Life Out of Control

di justinbieber
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 (NEW) ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***



 

“C’è qualche problema in famiglia?”
“E’ successo qualcosa?”
“Ne vuoi parlare?”
“Devo chiamare i tuoi genitori?”
“Jenner, il preside le vorrebbe parlare.”


Non funzionava. Ormai le minacce, le parole dolci o i complimenti non significavano niente per me. L’unica cosa che significava davvero era capire il perché. Tre mesi ed ero ancora a cercare una motivazione.

Non mi avevano solamente tolto un compagno di classe, mi avevano tolto l’amore, la sicurezza e la voglia.

Ogni mattina mi svegliavo con un peso sul cuore – anzi, sul petto perché ormai il cuore era andato in frantumi, calpestato e spazzato via. Mi sentivo come se avessi perso una parte di me, mi sentivo vuota, sola.

Nessuno riusciva a capire il dolore che provavo. Quella voragine nel petto che ormai nessuno si prendeva la briga di riempire – e se mai ci avesse provato, lo avrei allontanato timidamente.

I professori mi chiedevano il motivo di questo mio peggioramento scolastico e di questa mia mancata concentrazione. Alcuni giorni rispondevo scuotendo la testa e scusandomi, altri scoppiavo a piangere e mormoravo un falso “problema in famiglia” – quando in realtà andava tutto bene con i parenti. Mamma e papà erano sempre a lavoro, Rafe era diventato come uno sconosciuto e mi andava bene perché era quello che volevo. Sapevo che avevo bisogno di avere qualcuno al mio fianco in quel momento ma non volevo nessuno – se quella persona non era Justin, non volevo nessuno.
Lo stesso valeva anche per la ragazza che mi aveva consolato alle quattro di notte del 3 Febbraio quando realizzai che non sarebbe mai più tornato a scuola. Cacciai la migliore amica che avessi mai avuto fuori dalla mia vita quando alla mia affermazione “Mi sento sola” ricevetti come risposta un “Non sei sola, hai miliardi di cellule che ti proteggono” 

La solitudine che avevo sempre letto nei libri, nei volti delle persone, ora riuscivo a leggerla nei miei occhi ogni mattina quando mi guardavo allo specchio. Disgustata cercavo di fare un sorriso e qualche volta ci riuscivo a portarlo avanti fino a sera. Ma fino alla sera riuscivo a portare anche un dolore lancinante al petto, le urla soppresse, i nodi allo stomaco, i pugni chiusi.

Tornavo a casa e mi buttavo sul letto. Cercavo qualche sua notizia, leggevo i commenti di alcune ragazze sotto le foto caricate poche ore prima:
- Che belle labbra
- Quanto sei carino!
- Stupendo ♥
Sentivo le mani tremare e il sangue gelarmi ogni volta che lui rispondeva flirtando, usando un punto e virgola e una parentesi chiusa a fine frase. Finivo sempre con lo stringere i pugni ed eliminare tutte le applicazioni in cui lui potesse essere presente; applicazioni che sarebbero state scaricate il giorno successivo.

La parola ‘Basta’ era ormai qualcosa di giornaliero per le mie labbra – così giornaliera che ci avevo fatto l’abitudine e che ormai aveva perso di significato. In fondo era una imposizione a cui avevo smesso di dare ascolto ma che continuavo a ripetermi ogni volta che finivo con il broncio e gli occhi chiusi. Un’imposizione a cosa, poi? Al mio cuore? Alla mia mente? Ai miei pensieri? Alla mia voglia matta di confessargli tutti i miei sentimenti? Ai miei rendimenti scolastici scadenti?

Volevo dimenticarlo, togliermelo dalla testa, farlo sparire ma non ci riuscivo – e la stella affissa all’entrata della scuola in suo onore, con il nome scritto in stampatello, non mi aiutava. Non mi aiutavano nemmeno i pettegolezzi che giravano nei corridoi, le ragazzine sedute in mensa con i loro iPod impostati sulla riproduzione continua del suo album, lo sguardo di pena di Naomi e i suoi abbracci pieni di gioia con Chaz o il ciondolo che, dopo essere stato attaccato al mio zaino per più di tre anni, dopo essersi intrecciato a Justin, era stato gettato con rabbia una settimana dalla sua espulsione dalla scuola.

Senza nessuno continuavo ad andare avanti ma non vivevo. No, quello no. Vivere riesce a tutti, giusto?
Vivere significa essere in grado di svolgere le funzioni vitali giorno dopo giorno, no? Io non ci riuscivo. Facevo fatica a respirare. Vedevo Justin accanto a ragazze alte e snelle che mi facevano sentire in colpa ogni volta che mandavo giù un boccone, anche d’insalata. La poca energia che avevo la tiravo fuori la notte per fare uscire quelle lacrime che aspettavano di rotolare lungo la mia guancia dalla mattina.

Quello non era vivere, era sopravvivere. 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***





Evelyn's Point of View:
 
Mi sedetti al tavolo ringraziando il cameriere che lentamente mi avvicinava la sedia rivestita in … probabilmente pelle nera.
“Secondo te è pelle?” Chiesi una volta rimasti soli.
Rafe mi guardò per poi scuotere la testa come se fossi senza speranza.

Era passato un anno e mezzo da tutta quella confusione che mi ero creata intorno a me. Molte cose erano cambiate. Il cambiamento più importante era stato il rapporto con Rafe – eravamo ritornati come quelli di una volta; dopo mesi trascorsi in camera mia con la serranda chiusa e la luce spenta, era corso in mio soccorso riportando letteralmente la luce nelle mie giornate.
Settimane prima avevamo fatto una scommessa e il perdente avrebbe offerto una cena in un ristorante scelto dal vincitore. Ovviamente, avevo vinto io. 

Alzai lo sguardo e lo vidi ridere mentre teneva in mano il cellulare. “Rafe!” Mollai le posate e guardai l’obiettivo cercando di non ridere. Non appena rimise tutto in tasca, ripresi le pinze e la forchetta in mano e ritornai a fissare il piatto di Escargot à la Bourguigonne. “Non riesco a prenderle!” Sussurrai ridendo.
“Dopo questa cena credo che non riuscirò più a guardarti in faccia senza sboccare.”
Feci un mezzo sorriso. “Io invece credo che ti guarderò sempre come una femminuccia.” Non appena tirai fuori un’escargot, l’avvicinai facendola svolazzare in direzione di Rafe.
Spostandosi indietro con la sedia, scosse la testa. “Ripeto: sei disgustosa.”
Sorrisi quasi compiaciuta prima di portarmi la forchetta alla bocca.

Non appena arrivò il dolce, arrivò anche la domanda che sapevo, sarebbe uscita dalle sue labbra. “Insomma Evelyn, come stai?”
Facendo sprofondare il cucchiaino nella crème brûlée feci spallucce. “Fila tutto liscio.” Feci un sorriso prima di portarmi un cucchiaio pieno di crema in bocca.

E alla fine era la verità. Stavo bene – tralasciando le poche volte in cui crollavo. Crollavo quando mi ritrovavo la sera da sola, con le lenzuola fin sopra le orecchie e le braccia avvolte intorno alle ginocchia. Mi ritrovavo circondata dal buio, a pensare a Naomi che non c’era più nella mia vita o a Justin che, in realtà, non c’era mai stato.

“Ok,” Allungò la vocale di qualche secondo prima di fare un sospiro e prendere un sorso di Bordeaux. “E l’università?” Posò il bicchiere e aspettò una risposta.
“Non mi lamento. Ho dato qualche esame in anticipo –” M’interruppi vedendo un sorriso quasi compiaciuto sulle sue labbra. Lo imitai e alzai le sopracciglia. “Beh?”
Chiuse gli occhi per qualche secondo prima di riaprirli e guardarmi. Sorrideva dolcemente – un sorriso che non ti aspetteresti mai da un fratello. “Lo sai che mamma e papà sono fieri di te?” Mi portai una ciocca di capelli dietro l’orecchio senza rispondere. “Tutti lo siamo. Sei sempre stata vista come la piccolina di casa, la piccolina che non sarebbe mai cresciuta e che sarebbe stata a casa con i genitori fino a che qualcuno non ti avrebbe fatto uscire con la forza.” Continuai ad ascoltare e annuire. “Il fatto che tu abbia deciso di affittare un appartamento tutto tuo, ha stupito tutti. Qualche volta entro in cucina e vedo ancora mamma con la bocca spalancata.” Abbozzai un sorriso. “Da un anno a questa parte la casa è diventata così silenziosa.”
Mi sentii le guance avvampare –  essere al centro dell’attenzione non mi era mai piaciuto, soprattutto nell’ambito familiare. “Te l’avevo detto che ti sarei mancata!” Cercai di farlo smettere di essere così serio e profondo.
“Forse,” Fece spallucce sorridendo. “Sei comunque mia sorella.”

Tutta la felicità scomparve non appena arrivò il conto. “Rafe tu sei un uomo perciò dovresti offrirmi la cena.” Dissi passando la tavoletta con sopra affisso il pezzettino di carta.
Non appena lesse la cifra, scosse la testa con gli occhi che quasi fuoriuscivano dalle orbite, “Merda!” Sussurrò. “La prossima volta te lo scordi di scegliere il ristorante.”



 
Justin’s Point of View:

Sentii la porta del bagno sbattere e pochi minuti dopo sentii l’acqua della doccia scorrere.

Rimasi disteso sul letto a fissare il soffitto per qualche minuto – minuti interminabili. Chiusi gli occhi e lasciai le mie dita scorrere lungo i capelli per poi tirare leggermente sulle punte. Rilasciai un respiro che stavo trattenendo non appena riaprii gli occhi ancora socchiusi dalla rabbia.

Afferrai il cellulare e, aprendo qualche applicazione, inizia a dare il buongiorno a tutte quelle persone sconosciute che mi aveva portato dove ero adesso: al top.
Programmi, serie tv o film volevano la mia presenza. Mi chiamavano, mi offrivano cifre che mai sarei riuscito ad ottenere continuando a rimanere in quella cittadina del Canada. Sentivo le urla chiamare il mio nome, i pianti di quando –accidentalmente– sfioravo le dita di qualche ragazza, i complimenti urlati dall’altra parte della strada quando uscivo.

Mi sentivo vivo, imbattibile, coraggioso. Mi sentivo come fossi un leone – mi avrebbero chiamato il re della savana. 

Continuai a controllare le applicazioni rimanendo offline il più possibile. Notai un post di Rafe – era da tanto tempo che non lo sentivo; un po’ come tutti i ragazzi del Canada.
Avevo perso ogni contatto e non mi dispiaceva.
Non mi era mai piaciuto quel mondo pieno di normalità, noia e ingiustizia. Questo mondo invece era diverso – lussuoso e vizioso.

Mi presi qualche secondo per leggere le riflessioni di Rafe sulle ultime notizie di cronaca – riflessioni che probabilmente lessi solo io spinto dalla noia del momento. Pochi post sotto c’era un video, lo aprii tirandomi leggermente su con i gomiti.


Lo guardai ripetute volte, ogni volta soffermandomi su un particolare. Ora il suo sorriso, ora i capelli più lunghi dell’ultima volta che l’avevo vista, ora la risata dolce, ora i suoi occhi marcati dalla matita, ora i suoi denti bianchi …

Evelyn.

Aggrottai la fronte continuando a guardare quel video di pochi secondi, ripetendo il suo nome in silenzio. Vederla lì, fatta di pixel e sorrisi, mi fece sciogliere tutta la tensione che avevo in corpo.

Non che l’avessi dimenticata ma ormai non ci pensavo più. Evelyn era un nome che ormai apparteneva al passato.

E se appartiene al passato perché stai qui a pensarci?

Scossi la testa lasciando il cellulare cadere sulle cosce in modo da avere le mani libere per strofinarmi il viso e togliermi quella voce dalla testa.

Non appena chiusi gli occhi, ebbi un flash del video precedente. Sentii rimbombare in ogni angolo della stanza la sua risata metallica.
Per quanto potesse essere del passato, rimaneva sempre una ragazza che – “Dio mio.” Sussurrai mordendomi il labbro inferiore.
 
Era sbagliato quello che stavo per fare ma da quando Justin Bieber faceva le cose giuste?

Mi alzai dal letto e lentamente mi avvicinai al bagno. Bussai due volte e senza aspettare una risposta entrai lasciando la porta socchiusa.
La stanza era annebbiata e umida, il suo viso spuntò da dietro il vetro scuro della doccia.
Aveva il volto accigliato, agitato, nervoso. Mi avvicinai a passo svelto ed entrai facendomi posto.
Ci stetti meno di dieci secondo che il suo volto era già rilassato, sereno e pieno di desiderio. 

Avvolsi le braccia intorno a quel corpo bagnato e caldo. Mi chinai lentamente verso il lato del suo viso, lasciando un bacio qua e là, mentre avanzavo facendola indietreggiare in cerca del getto d’acqua.

“Mi dispiace.” Sussurrai facendo uscire quelle parole come un mugolio. Era una bugia, bella e grossa, ma dovevo giocarmi bene le mie carte.
Ebbi la conferma quando le sue labbra si attaccarono velocemente alle mie.

Rimasi con gli occhi chiusi immaginando che quella pelle toccata dalle mie labbra fosse di un’altra ragazza. Che quei sospiri non fossero della ragazza dai capelli color rosso fuoco. Che quelle braccia avvolte intorno al mio collo non fossero sue. Che quelle dita attorcigliate ai miei capelli non fossero di Anastasia ma di Evelyn.
 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***





Evelyn's Point of View:
 
Sentivo le mani tremarmi e i palmi impregnarsi di sudore ogni secondo di più.

“Io non so se ce la faccio.” Sussurrai continuando a fissare la strada.
Rafe scosse la testa abbassando il volume della radio. “Di che ti preoccupi?”
Mi strusciai i palmi contro il tessuto nero della gonna e mi portai le ginocchia al petto – sapendo che probabilmente Rafe mi stava odiando per aver posato le scarpe sul sedile della sua macchina. “Non lo so. Naomi sarà lì e non so come comportarmi.”
“Mmmh,” Si fermò al semaforo rosso e si voltò verso di me. “Perché tu pensi a come comportarti prima di incontrare le persone?” Rise aggrottando la fronte.
Sbuffai annoiata dal fatto che non capisse la situazione. “Rafe,” Feci una pausa scuotendo la testa, “E’ stata la mia migliore amica per … per quanto non lo so neanche! Eravamo culo e camicia. Non la sento da più di anno e rivederla mi fa … effetto.” Mi voltai verso di lui. “E poi sì.” Dissi non appena s’illuminò la luce verde del semaforo.
“Sì cosa?”
“Sì, penso a come comportarmi prima di incontrare le persone.”
“Che vita di merda allora.” Disse ridendo.
Feci un sospiro ignorando la sua risposta perché avevo già intuito che non avrebbe capito e che non mi avrebbe aiutato neanche un po’. Me la sarei cavata da sola.

Ormai eravamo a pochi minuti dal ristorante e avrei rivisto tutti gli amici di vecchia data. Beh, diciamo che ero stata invitata solo perché ci sarebbe stato Rafe.
Avevo terminato la scuola con l’ignorare tutti quanti e, probabilmente, avrei chiesto scusa a tutti la sera stessa.

Non appena Rafe svoltò a sinistra, intravidi in lontananza le luci del ristorante più nominato di Atwood.

“Ho la nausea.” Sussurrai guardando fuori dal finestrino.
“Evelyn, è solo una serata fra amici.” Possibile che mio fratello non riusciva a capire il problema?
“Non sono miei amici Rafe!” Dissi buttando giù le gambe dal sedile. “A stento ricordo le loro voci, se proprio dobbiamo dirla tutta.”
“Ti divertirai.” Fu l’ultima affermazione che fece prima di parcheggiare la macchina e scendere.
Cercando di controllare le mie emozioni, aprii la portiera e lentamente la richiusi dietro di me. Seguii Rafe e facendo un respiro profondo entrammo nel locale.

Non appena mettemmo piede nella stanza che ci avevano riservato, si alzò un urlo di voci maschili. Mi fermai nel momento in cui Rafe iniziò a battersi i pugni contro il petto e a ridere con gli altri ragazzi mentre si scambiavano un segno di saluto con le mani. Non appena finirono, iniziai ad avvicinarmi al tavolo nuovamente.

“Ev!” Fu l’urlo di Chaz, seduto a capo tavola, che distolse l’attenzione da Rafe. Scattai sull’attenti e sorrisi imbarazzata prima di dire il suo nome – sembrando quasi sorpresa. “Siete venuti tutti e due.” Aggiunse.
Annuii prima di sedermi accanto a Rafe a fine tavolo. E per la prima volta trovarmi seduta in fondo ad un tavolo mi aveva resto felice.

Mi tolsi il cappotto e non appena mi risedetti, incrociai lo sguardo di Naomi che era seduta proprio al fianco di Chaz. Rimanemmo a fissarci per qualche secondo – entrambi sorprese e imbarazzate. Fece un sorriso a labbra strette, quasi forzato. Ricambiai con un sorriso che speravo potesse farle capire che ero dispiaciuta per quello che era successo fra noi.

La serata stava andando meglio di come l’avevo immaginata, ma non l’avrei mai ammesso a Rafe, il quale mi lanciava uno sguardo ogni tanto cercando di capire come mi trovassi.

“Hey Lyn.” Mi voltai di scatto confusa dal fatto che Naomi mi aveva chiamato usando un sopranome dato all’elementari. Mi guardò sorridendo e agitando un pacchetto di sigarette in mano. “Mi accompagni a fumarla una?”
Annuii alzandomi e dando due strattoni verso il basso alla gonna nera che avevo addosso.

Incrociai le braccia sul ventre non appena fuori e guardai Naomi accendersi una sigaretta.
Vidi i suoi occhi spostarsi verso la mia direzione. “Ne vuoi una?”
Scossi la testa sorridendo e stringendomi ancora di più in me stessa. “Da quanto?” Chiesi indicando la sigaretta.
Sorrise alzando le spalle. “Dalla scorsa estate.”
“Oh,” Mi uscì come un sussurro pieno di sorpresa – quando in realtà di sorpresa non c’era nulla. Chaz non --
“Sì lo so a cosa stai pensando.” Fece un tiro stringendo la sigaretta fra le labbra. “Chaz mi sta portando sulla cattiva strada.” Disse facendomi ridere. “Ma è un bravo ragazzo. Tu che mi racconti?”
Alzai le spalle guardando una Lamborghini nera superare il limite di velocità nella strada deserta dietro Naomi. “Niente di che,” Ammisi tornado a guardarla.
Esalò il fumo verso la direzione opposto a dove mi trovato. “Ragazzi?” Mi fece l’occhiolino facendo penzolare la sigaretta sorretta dall’indice e il medio.
Sorrisi scuotendo la testa. “Nada.”
“Non ci credo!” Alzò il tono di voce buttando la testa all’indietro. “E’ scientificamente impossibile che tu non abbia trovato qualcuno da portati a letto in un’università.” Sorrise facendomi capire che scherzava, anche se sapevo che una parte di lei si stava seriamente domandando come fosse possibile.
Mi aggiustai il ciuffo che lentamente mi stava cadendo sugli occhi. “Ho ricevuto avances ma …” Cercai il alzare una parte del labbro superiore in segno di disgusto.
Naomi rise buttando a terra e pestando il filtro della sigaretta. “Sei sempre la solita ragazza difficile.” Scosse la testa facendomi segno di rientrare dentro. “E non ti riesce ancora fare la faccia disgustata.”
Scoppiammo entrambi a ridere – un po’ per la situazione imbarazzante, un po’ perché era la verità.
“Comunque mi sei mancata.” Si voltò verso di me continuando a camminare.
Sorrisi, “Pure tu, cosa credi?”
Si fermò di colpo facendomi quasi sbattere la testa contro la sua. Allargò le braccia e mi strinse a se dondolando.

In quel momento capii che eravamo ritornate.

 

 
Quasi mi strozzai quando tutti iniziarono a battere sul tavolo ululando e alzandosi; Rafe compreso – il quale mi diede anche una botta in testa mentre agitava le braccia. Alzai lo sguardo e lo vidi entrare di fretta e fuori con un sorriso stampato in faccia.
Posai la forchetta e scossi leggermente la testa incredula.

Non poteva essere vero.
Non poteva essere qui.
Non dopo che l’avevo quasi dimenticato.
Non ora.
Non stasera.
Non oggi.
Non mai.


“Ce l’hai fatta grande!” Urlò Ryan dandogli una pacca sulla spalla.
Justin annuì togliendosi il cappuccio. “Eh, scusatemi sono arrivato adesso. Ho cercato di fare il prima possibile.”

Diedi un colpetto al fianco di Rafe – niente. Ne diedi un alto – niente.

Cristo santo.

Ne diedi un altro, questa volta un po’ più forte. “Evelyn! Gesù!” Urlò Rafe voltandosi verso di me per poi posare la mano sul punto in cui l’avevo colpito.
Sentii tutti gli occhi su di me – e soprattutto sentii i suoi.

Non perché fossero speciali o perché fossero magici o roba simile; semplicemente perché erano gli unici che mi interessava non avere addosso.

Non poteva essere vero.
Non poteva succedere di nuovo.


“Hey Ev!” Per quanta confusione potesse esserci, sentii come se la sua voce stesse rimbombando in tutti gli angoli della stanza.
Alzai lo sguardo verso di lui e, anche se avevo un sorriso stampato in faccia, potevo sentire il mio cuore frantumarsi in mille pezzi. Di nuovo.

Da quando se ne era andato, avevo pregato giorno e notte di risentire la sua voce. Di sentire la sua voce pronunciare il mio nome – ma ora che lo avevo davanti a me, volevo solo sprofondare nel vuoto e piangere fino a consumare tutte le lacrime.

E di nuovo, la domanda che mi aveva perseguitato per tutti quei mesi precedenti ritornò: Perché?

“Hey!” Ricambiai il saluto cercando di sembrare felice di vederlo quando in realtà stavo sperando che tutto questo fosse un incubo.
Chaz gli indicò la sedia vuota di fronte a me.

No.

Lo vidi camminare verso di me  – sì, era certamente un incubo.

Svegliati, ti prego.

Sentii come se la testa mi si fosse staccata dal corpo e stesse girando all’impazzata. Ripresi la forchetta e la posai diagonalmente sul piatto. Mi era passato l’appetito.
Rafe si voltò verso di me, “Beh che volevi?”
Scossi la testa rapidamente – facendomi aumentare il giramento che ormai non era più solamente di testa.

Lasciai un sorriso sarcastico uscire dalle mie labbra.
Ancora una volta, eravamo ultimi della fila.


 
Justin’s Point of View:

Non appena Chaz mi aveva mandato un messaggio dicendomi che c’era anche la folle innamorata, ero saltato giù dal letto e, prendendo la prima felpa, ero partito. Il navigatore diceva trenta minuti ma ce l’avevo fatta in un quarto d’ora.
Era la prima volta che mi prendevo del tempo per me e … il suo profumo mi stava mandando in ecstasy.

Sentivo il bisogno di fissarla, di osservare ogni singolo movimento, di toccarla ma non mi era permesso. Chaz, Ryan e tutti gli altri continuavano a bombardarmi di domande su quel mondo tanto lontano dal loro.

“Justin,” Urlò Naomi dall’altra parte del tavolo interrompendo la risposta che stavo dando a Ryan. “Com’è il Giappone?”
Sforzai un sorriso e iniziai a raccontare, per la centesima volta, l’esperienza nella terra degli incanti.

Mi alzai di scatto dalla sedia non appena finii il discorso cercando di evitare altre domande.
Ero venuto qua per divertirmi – non per rilasciare altre interviste anonime.

Lo sguardo di Evelyn seguì ogni mio movimento e, per la prima volta in tutta la serata, riuscii a incontrare finalmente i suoi occhi.
Era rimasta – come sempre – nel suo spazio ascoltando e sorridendo a qualche battuta.

Non era cambiata, per niente.

“Mi accompagni un attimo fuori?” Le domandai quasi fosse un segreto.
Annuì velocemente prima di alzarsi e tenendosi quel tubino nero che avvolgeva le sue – Dio mio.
Trattenni un sorriso malizioso mordendomi il labbro inferiore prima di voltarmi e avvicinarmi a un cameriere.
“Scusi,” Aspettai che si voltasse verso di me prima di proseguire. “Dov’è l’uscita per –”
“Non importa Justin,” Sentii la voce di Evelyn a pochi centimetri dietro di me. “Ho accompagnato Naomi qualche minuto fa. Mi ricordo dove … si trova l’uscita.” Concluse con un tono confuso e insicuro.
Mi voltai sorridendo prima di scuotere la testa e ritornare a fissare il cameriere. “Dov’è l’uscita per il retro?”

Per quanto fossi sicuro che non ci fosse nessuno ad aspettarmi fuori dall’uscita principale, non avevo intenzione di rischiare di ritrovarmi il giorno successivo in prima pagina – in più affiancato da una bella ragazza.


 
 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***





Justin’s Point of View:
 
Evelyn poteva provarci quanto voleva ma non sarebbe riuscita a fregarmi.

Per quanto si sforzasse di parlare con nonchalance del suo nuovo appartamento all’interno dell’università, di guardarmi dritto negli occhi o di seguire i miei discorsi, sapevo che dentro di lei stava esplodendo. La fregano gli occhi luminosi, il sorriso stampato sulle labbra a ogni mia affermazione, le mani tremolanti che gesticolavano per poi avvolgersi nuovamente intorno alla vita e il piede destro che lentamente – e probabilmente anche inconsciamente – tracciava cerchi invisibili contro l’asfalto.

Non mi dispiaceva che la situazione non fosse cambiata.

Non appena finì di raccontare, a grandi linee, cosa le era successo negli ultimi mesi, si guardò intorno inumidendosi le labbra. “Che facciamo qui fuori?” Sorrise ritornando a me.
Alzai le spalle prima di posare la schiena contro la parete. “Non ne ho idea ma non ho intenzione di ritornare dentro.” Feci un respiro prima di portarmi le mani nelle tasche dei jeans. “Sono venuto qua per rivedere i miei amici, per divertirmi un po’.”
Continuò a guardarsi intorno come se aspettasse l’arrivo di qualcuno. “Perché non ti stai divertendo?” Sorrise incrociando le braccia contro il petto.
Ricambiai il sorriso scuotendo la testa. “Sì, certo ma …”

Evelyn’s Point of View:

Lo guardai per qualche secondo aspettando che finisse la frase.
Rimase con le labbra socchiuse e lo sguardo perso nel vuoto.

“Ma…?” Ripetei la sua ultima parola cercando di farlo ritornare sul pianeta Terra.
“Vuoi venire a fare un giro in macchina?”
“Dopo vieni con me? Andiamo a prendere qualcosa al bar?”
Questa volta non mi sorrise, non mi diede le spalle, non sentii nessun ticchettio di orologio – solo il battito cardiaco accelerare.
Per quanto volessi ricadere di nuovo nella sua trappola d’amore, non potevo farlo succedere.

Scossi la testa facendo un passo indietro. “Credo che ci stiano aspettando …” Indicai dietro di me con il pollice, “Dentro.”
“E allora?”
Mi sentii la testa fluttuare nell’aria intorno a me e, per quanto non volessi stare in sua compagnia, mi ritrovai ad annuire.


Con lo sguardo fisso sulla strada deserta di fronte a noi, sentii l’umiliazione impregnarsi sulla mia pelle. Come un secchio di acqua gelida, il ricordo di ciò che gli avevo scritto mesi prima mi colpì rendendomi più imbarazzante di quanto potessi già esserlo.

Mi voltai leggermente verso Justin; con un mezzo sorriso faceva pressione sul pedale dell’acceleratore, le braccia tese e lo sguardo di uno che sa il suo, continuando a pavoneggiare la sua Lamborghini.
“Ah,” Sorrise togliendo una mano dal voltante. “Senti qua.” Accese la radio e iniziò a far dondolare la testa in avanti e indietro seguendo il ritmo.
La musica proveniva da ogni parte.
Chiusi gli occhi e lo seguii con la testa per qualche secondo. “Forte.” Sussurrai allungando la e finale.
“Cazzo se è forte!” Rise accentuando la stretta sul volante.

L’idea di poterlo sentire ridere di nuovo, di vedere le sue mani che, forse scioccamente, mi avevano fatto innamorare sin dall’inizio mi riempiva il cuore di gioia. Non metaforicamente; sentivo letteralmente il cuore riempirsi di sangue , stringersi in se e fare mille caprile.
Riaverlo qui, accanto a me, fisicamente, era un sogno che diventava realtà?

I miei pensieri furono interrotti dalla vibrazione del mio cellulare. Ormai con il sorriso stampato in faccia, accettai la chiamata senza neanche curarmi di guardare l’ID.

“Pronto?” Solo dopo averlo pronunciato, realizzai quanto il mio tono di voce fosse alto e allegro.
“Ev?” Rafe quasi urlò confuso dall’altra parte della cornetta. Mugolai qualcosa in risposta. “Dove cazzo sei?” Disse facendo una veloce pausa ogni parola.
Risi sentendomi sconosciuta alle mie emozioni. Ero incontrollabile. Accavallando la gamba sinistra sulla destra, guardai Justin. “Rafe vuole sapere dove siamo.”  Mi fece cenno di passargli il telefono e … come dirgli di no?
Si posò il telefono all’orecchio, “Sta bene, tranquillo amico.” – Sorrise, quasi compiaciuto, per poi chiudere la chiamata lanciando  gentilmente il cellulare sulle mie cosce.

Mi sentii l’aria mancare.

Sto bene.

“Insomma,” Ritornò serio guardando la strada.
“Insomma…” Ripetei giocando con gli angoli della cover del mio telefono.
“Hai qualcuno di cui mi dovrei preoccupare?”
Aggrottai la fronte a quella domanda confusa e piena di significata. “Come?” Chiesi cercando di non illudermi troppo.
“Hai qualcuno che non sarebbe d’accordo nel vederti seduta sul sedile di una Lamborghini guidata da Justin Bieber?”
Buttai fuori l’aria dal naso trattenendo una risata che, in quel momento, poteva essere evitata.

Rimasi un attimo in silenzio chiedendomi come avrei dovuto rispondere.
Con Naomi era stato facile. Alla domanda se ci fosse qualcuno nella mia vita, un no secco aveva evitato domande cui neanche io avevo trovato ancora una risposta.

La verità era tutt’altra: il suo nome era Miroslav, un ragazzo russo con un accento che avrebbe fatto cadere in ginocchio anche la ragazza più fedele del pianeta.
Non potevo chiamarlo ragazzo o fidanzato perché non era niente di tutto ciò.
Magari compagno di uscita? Amico che manda messaggi di buongiorno e buonanotte?  Compagno che ti porta i libri, che ti scorrazza ovunque, che passa le giornate con te e che quando avvolge le sue braccia intorno a te, ti fa provare qualche sensazione? Smisi di pensare e diedi una risposta. “Potrebbe esserlo.” Sorrisi sentendomi le guance avvampare. Sorrisi più per l’imbarazzo e per il fatto di non saper raccontare bugie.

Per qualche secondo, cadde il silenzio in macchina.

“Bene.” Sussurrò strofinandosi velocemente il palmo della mano sulle lebbra. “Come si chiama?”
“Miroslav. E’ un ragazzo che frequenta la mia stessa univers—” Mi fermai non appena sentii un cellulare, il suo, squillare.

La mano sinistra lasciò il volante e si fiondò nella tasca dei pantaloni per poi razzolare qualche secondo prima di tirare fuori il telefono.
“Pronto?” Non appena rispose, iniziai a giocare nuovamente con la cover del mio cellulare. “Hey.”

Il suo tono era cambiato dal Pronto? di qualche secondo fa. Era un Hey lieve, detto con una tale dolcezza che mi fece aggrottare la fronte. Smisi di tortura il mio cellulare e mi concentrai, continuando a fissarmi le gambe, a quello che aveva da dire.
Ogni frase era una pugnalata al cuore. Ogni frase pronunciata con quel tono – che avrei pagato pur di sentirlo in modo diretto.

Continuai a mordermi il labbro inferiore cercando di non ascoltare.

Non so esattamente quanto durò quella telefonata perché il tempo si fermò non appena le parole più banali e comuni lasciarono le sue labbra: “Ti amo.” E boom! Il rumore del rombo della macchina divenne sordo, il suono della sua voce era confuso e lontano, avevo lo sguardo perso e fisso sul cruscotto di fronte a me, gli alberi che fino a pochi secondi prima sfrecciavano ai lati della macchina, sembravano rallentare ogni secondo di più.

La telefonata era finita ma il modo con cui aveva marcato, in tono amorevole, quelle due parole rimbombava ancora nella mia testa. Socchiusi gli occhi e facendo un respiro profondo ritornai a fissare la strada.

“Senti qua!” Interruppe subito quel silenzio in cui stavo cercando di trovare pace, aumentando di poco il volume della radio. “Più accelera, più aumenta il volume.”
Tornando serio e fissando la strada, lasciò tutto il peso del piede sul pedale dell’accelerazione.

Spostai lo sguardo sul tachimetro:  130, 160, 190, 220 –

Senti l’aria mancarmi, le dita cercare appiglio nel sedile.

La freccia rossa continuava a oscillare intorno al numero 280. Le casse continuavano a pompare musica che lentamente aumentava insieme al rombo a singhiozzo della macchina.

Non ero abituata a quel tipo di macchina o a quella velocità.

Aspettai qualche secondo cercando di trovare il coraggio di chiedere di rallentare.
Non appena la freccia rossa del tachimetro toccò i 300 km/h posai la mano sul braccio di Justin. “Rallenta.” Lo ripetei due volte continuando a fissare la strada.
Lo sentii ridere e diminuire la velocità.
Feci un sospiro, quasi di sollievo, e mi domandai se avessi dovuto ringraziarlo.

Ringraziarlo di cosa?

Di avermi fatto rischiare la vita dopo un anno e più che non ci vedevamo? Di avermi chiesto di ‘venire a fare un giro’ solo per vantarsi della sua ‘baby’ Lamborghini e di farmi ascoltare la conversazione con la sua ragazza? O magari ringraziarlo di essere scomparso per –

“Non dirmi che hai avuto paura?” Sorrise divertito spostando lo sguardo su di me.
Mi limitai a lanciargli un’occhiata che rispondeva alla sua domanda . “Un po’.” Ammisi cercando di nascondere tutte quelle emozioni negative che mi circolavano nel sangue con un sorriso. “Puoi accompagnarmi a casa?” Lo dissi senza pensarci due volte.
In quel momento il desiderio di essere lontana da lui era più forte della voglia di averlo accanto. Non avevo intenzione di stare male di nuovo. Il sol pensiero di iniziare, nuovamente, ad avere sbalzi d’umore mi terrificava.

Quella serata doveva terminare il prima possibile.

“Di già?” Chiese quasi sconfortato.
“Ho lezione domani mattina.” Mentii.
“E non puoi saltare?”
“Se potessi, non ti avrei chiesto di riportarmi a casa.” Mi uscì con tono acido e infastidito ma abbastanza convincente.


Ringraziai ancor prima che fermasse la macchina davanti al cancello con sopra la scritta Canada University College.
“E’ qui che abiti?” Chiese rallentando per poi fermarsi al ciglio della strada.
Annuii cercando di farla breve. “All’interno ci sono alcuni appartamenti. Un po’ campus.”
Questa volta fu lui ad annuire continuando a guardarsi intorno come un bambino che mette per la prima volta il naso fuori di casa.

Era tanto bello da procurare dolore.

Continuai a fissarlo e più lo fissavo, più capivo che tutti i miei sforzi per dimenticarlo erano stati inutili. Più lo fissavo e più capivo che avrei sempre messo lui al primo posto. Più lo fissavo e più capivo che mi avrebbe riavuto ogni secondo.

Guardami. Pregai.

Ero sconfortata e stanca di questa situazione. Volevo togliermi di dosso ogni desiderio represso fino a quel giorno.
Avrei voluto posare le mie labbra sopra le sue – rosee e a forma di cuore, per sentirlo mio qualche secondo.

Distolsi lo sguardo non appena i suoi occhi incontrarono i miei. Erano troppo per me, non ci riuscivo a guardarlo.
Sorrisi e aprii lo sportello quando fui fermata dalla sua voce. “Mi ha fatto piacere rivederti.” Mi voltai e lo vidi indossare un sorriso – quasi di scusa, come se mi avesse letto nella mente per tutto questo tempo.
“Pure a me.” Sussurrai prima di chiudere la portiera e incamminarmi dentro il campus.

Eravamo veramente due persone destinate a non incontrarsi mai?


 
 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***



 
 
Evelyn's Point of View:
Mi portai le ginocchia al petto e avvolsi le braccia intorno alle gambe continuando ad ascoltare il racconto di Miroslav.
Per quanto cercassi di togliermi Justin dalla mente, i ricordi della sera precedente continuavano a tormentarmi. Avevo passato le ultime due notti a rigirarmi nel letto cercando di trovare il coraggio di stare lontana dal computer; la voglia di sapere se fosse fidanzato mi stava mangiando viva – e sapevo che questa sarebbe stata la terza notte in bianco.

“Evelyn?” Domandò Miroslav. “Stai bene?”
Annuii velocemente, “Sì.” Risposi sedendomi composta. “Perché non andiamo a fare un giro?” Dissi alzandomi dal letto ancora  disfatto dalla mattina. Continuò a guardarmi indossare il giubbotto in fretta e furia.
“Evelyn, fermati un attimo.” Scosse la testa continuando a seguirmi verso la porta d’ingresso. “Sono quasi le ventitré, che intenzioni hai?”

Ho intenzione di prendere un po’ di aria –così fredda da farmi sbarazzare del suo pensiero.

“Tu che intenzione hai di fare qui?” Mi guardai intorno prima di voltarmi di nuovo verso la porta. “Andiamo.” Fermandomi all’uscio della porta aspettai che uscisse.
Lo vidi sorridere e afferrare il giubbotto dal divano. “Io saprei cosa fare qui.” Sussurrò con un mezzo sorriso sorpassandomi.
M’imposi di ignorare quell’affermazione e chiusi la porta dietro di me.

Nascondere che qualcosa mi stava turbando non era mai stato così difficile. Le mie risposte monosillabiche, il mio silenzio e il mio sguardo perso nel vuoto aumentavano la curiosità di Miroslav nel sapere cosa mi stesse succedendo.
“Ora ti fermi un attimo.” Iniziò la frase prendendomi per il polso per poi tirarmi davanti a lui. Lo guardai confusa e consapevole di cosa sarebbe successo. “Sei sicura di stare bene?”
Annuii sospirando. “Quante volte te lo devo dire?” Falsificai un sorriso iniziando a incamminarmi di nuovo. Dopo due passi mi fermai di nuovo. Alzando gli occhi al cielo, mi girai e fissai Miroslav sorridere.
“Ascolta,” Sorrise avvicinandosi sempre di più. “So che odi quando lo faccio ma…”
“No, ti prego. Non di nuovo!” Sorrisi sapendo cosa stava per fare.
Ridacchiò fissandomi negli occhi. “Qualsiasi cambiamento del modo di vestirsi, qualsiasi negligenza come una parte del corpo lasciata distrattamente scoperta,” Fece una pausa e, sbottonandomi il primo dischetto del giubbotto, continuò la sua analisi psicologia su di me. “O un bottone abbottonato male significa sempre qualcosa che il proprietario non vuole dire,” Sbottonò l’ultimo dischetto per poi ritornare a giocare con il primo. “Direttamente.” Concluse.

Non faceva una piega.

“Quindi,” Iniziò ad abbottonarli nuovamente ma in modo corretto, “Cosa c’è che non va?”
Mi aveva preso in contro piede e non avevo nessuna risposta. Mi ero promessa di non portare Justin mai, in qualunque situazione, fra noi due – perciò mi limitai a ridere e, prendendolo sotto braccetto, iniziai a camminare. “Sai cosa?” Mi voltai verso di lui continuando a camminare e aspettando che i suoi occhi incrociassero i miei. “Devi smetterla di fare ‘tirocinio psicologico’ con me.” Dandoli una spinta con il fianco, ne approfittai per farmi avvolgere sotto il suo braccio.

 
No One’s Point of View:
Fu quella sera che Evelyn, sconfitta dalla delusione, si lasciò andare tra le braccia di quel ragazzo dagli occhi così azzurri che sembravano ghiaccio.
Con il petto di Miroslav contro la sua schiena, aveva passato l’intera notte a domandarsi se ciò che aveva fatto era giusto o sbagliato. Se poteva essere considerato tradimento anche se, consapevolmente, sapeva di non essere in nessuna situazione sentimentale con Justin.

Mordendosi le labbra e trattenendo il fiato ogni volta che una lacrima scendeva lentamente sulla guancia, si promise di non guardare mai più indietro, di non finire mai nella stessa stanza con il ragazzo che l’aveva fatta soffrire per così tanto tempo.
Sorrise a quanta determinazione era riuscita a trovare tra le braccia di Miroslav e, rotolando su se stessa lentamente sperando di non svegliarlo, iniziò a fissarlo. Aveva un volto rilassato, le spalle che si muovevano seguendo il suo respiro pacifico e tranquillo. La curiosità di sapere cosa stava sognando divorava Evelyn e la speranza che stesse sognando lei si accese.
Avvicinando sempre di più il suo corpo a quello di Miroslav, portò una mano sulla sua guancia e accarezzandolo lentamente realizzò.

 Non era più Miroslav il ragazzo di fronte a lei, era il suo futuro.



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Capitolo 6
*** Capitolo 6 (NEW) ***


Un altro incontro e un altro cambiamento. 

Con la coda dell’occhio vidi Justin scavalcare la sdraio con la gamba sinistra prima di posarcisi sopra e distendersi. Voltandosi verso di me lasciò una risata fuoriuscire dalle sue labbra, “Sei stata avvertita della festa, vero?”
Annuii facendo un mezzo sorriso, “Non peggiorare la situazione, ti prego!” Dissi alzando gli occhi dal libro, “E’ già imbarazzante e frustrante”
“E’ molto più che imbarazzante!” Avvicinandosi alla mia sdraio, posò i gomiti sulle sue ginocchia e iniziò a scannerizzare la pagina con gli occhi. “La fibrillo genesi di ßA è un processo di …” fece una pausa in cui solo le sue labbra si muovevano senza emanare nessun suono, “po…polimerizzazione il cui andamento nel tempo è rappresentato da una curva … sigmoide?” Ogni parola lo portava ad aggrottare sempre di più la fronte ed a fine frase la sua faccia era tutto un punto interrogativo. Togliendogli il libro da sotto, lo chiusi appoggiandosi sopra le braccia incrociate. Lo guardai ridendo. “Oltre a studiare mentre a pochi metri da te c’è una festa, studi anche queste cose? Spero tu stia scherzando!” Sorrise portandosi alle labbra la bottiglia di birra.
Feci spallucce ricambiando il sorriso, “Lo sai come si dice: prima il dovere, poi il piacere”
Sorrise asciugandosi le labbra con il dorso della mano, “Il tuo dovere è passare questa vacanza con me, con tutti noi.”
Alzai le sopracciglia cercando di prenderlo in giro, “E il piacere?”
Allargò le braccia portandosi leggermente indietro con la schiena, “E’ qui!” Disse sorridendo e ritornando alla posizionale iniziale.
“Sei una specie di ‘prendi due, paga uno’?”
Sorrise prima di prendere un altro sorso dalla bottiglia. 

Pochi minuti dopo mi ritrovai a camminare sulla sabbia fredda e umida insieme a Justin. Chi l’avrebbe mai detto? Se qualcuno, due anni fa, mi avesse detto che sarei stata di nuovo a fianco a Justin senza palpitazioni e tremori, sarei scoppiata a ridere. Sarebbe ovviamente stata una risata nervosa. E invece tutto era cambiato, tutto era stato stravolto -- io in prima persona ero stata stravolta da mille avvenimenti. Mi fermai sul posto non appena sentii dentro di me crescere la voglia di sentire l’acqua di mare. Mi chinai e iniziai a svoltare e risvoltare i jeans fin sopra le caviglie, “Vieni a sentire l’acqua?” Chiesi alzando lo sguardo verso l’altro e incrociando il suo. Lo vidi annuire e posare la birra sulla sabbia.

“E’ calda!”
Mi voltai ridendo e annuendo alla sua affermazioni. Incrociando le braccia continuai a fissare il buio lontano davanti a noi alla ricerca di intravedere la linea dell’orizzonte.
“Perché?” - Mi voltai di scatto con la fronte aggrottata. “Perché cosa?” Chiesi fissandolo confusa. 

In tutti questi anni i suoi occhi erano cambiati. Non per colpa dell’assenza di luce in quel momento ma i suoi occhi si erano scuriti, avevano perso quel luccichio e dava l’impressione che fossero privi di anima. Non erano paurosi ma erano privi di quella cosa che, fino a qualche anno fa, mi rendeva difficile fissarlo negli occhi. 

“Tu lo sai perché è calda l’acqua.” Lo disse facendo un mezzo sorriso divertito e inarcando leggermente le sopracciglia. “Perché?” Continuò.
Sbuffai ridendo e alzando gli occhi al cielo, “Dipende.” Dissi vagamente scavando una buca con le dita dei piedi nella sabbia bagnata.
“Da cosa?” Chiese immediatamente.
Mi voltai nuovamente sorridendo alla curiosità da bambino di sei anni che stava dimostrando, “Dipende da due fattori. L’acqua rilascia più … Per quale motivo stai sorridendo?” Dissi a braccia conserte.
Continuò a sorridere, “Mi piace il fatto che tu sappia così tante cose. Cosa rilascia l’acqua?”
Mugolai qualcosa non convinta della sua risposta prima di finire la frase, “L’acqua rilascia più lentamente il calore, al contrario della sabbia che, infatti, è fredda e umida.”
“Quindi,” Fece una pausa spostando lo sguardo sulle schiuma del mare ai nostri piedi prima di riportare lo sguardo su di me, “questo sarebbe il calore della giornata che, piano piano, sta rilasciando?” Era tornato nuovamente serio e dalla sua espressione, sembrava compiaciuto di aver imparato qualcosa di nuovo.
“Sì - inoltre di notte la temperatura si abbassa. Idem quella del tuo corpo quindi è inevitabile che tu percepisca la temperatura dell’acqua leggermente più alta.” Cercai di tagliare corto per non sembrare il solito topo di biblioteca.
“Forte…” Disse avvolgendo una mano intorno alla mia spalla e spingendomi delicatamente in modo da iniziare a camminare di nuovo verso le nostre scarpe e la sua bottiglia di birra. Pochi passi e la sua spalla stava lentamente lasciando la mia. Si sedette sulla sabbia afferrando la birra alla sua destra per poi riposarla in mezzo alle sue gambe. Lo seguii sedendomi di fianco. 

Stranamente, la situazione non era imbarazzante. Non sentivo nessun risentimento, rimorso, ricordo, dolore o gioia. Mi sentivo in compagnia di un vecchio amico, non di un vecchio amore che mi aveva, probabilmente inconsciamente, spezzato il cuore. La sua compagnia stava risultando piacevole -- o forse lo era l’atmosfera. Justin aveva avuto questa idea di affittare una intera isola per festeggiare il suo ventesimo compleanno -- aveva invitato circa trenta persone. Non mi era ancora chiaro il perché avesse scelto me. 

Mi distesi portandomi le braccia dietro la nuca. Gli occhi puntati verso il cielo completamente macchiato e sfumato di bianco. L’infrangersi delicato delle onde, il fruscio leggero delle foglie di palma provenire dall’alto e la sabbia umida sotto il mio corpo mi avvolsero in un senso di pace interiore che cercavo di trovare ogni giorno.
“Come fai a sapere così tante cose?” Distolsi lo sguardo dal cielo e guardai Justin, seduto con le gambe leggermente piegate, le braccia sopra le ginocchia e tra le dita la bottiglia penzoloni. Nonostante mi avesse posto una domanda, mi stava ancora dando la schiena e l’unica cosa che potevo intravedere sotto il chiarore della luna era la sua nuca. Puntai lentamente i gomiti nella spiaggia e mi tirai su. Copiando la sua posizione, girai la testa verso di lui. Aveva ancora lo sguardo fisso davanti a lui. Seguii il suo sguardo e capii che stava puntando una luce in mezzo al mare, probabilmente una barca. Forse un peschereccio.
“Non lo so.” Risposi in tutta sincerità, o quasi.
Rise scuotendo la testa e continuando a fissare il punto. “Non sei mica un mago, puoi svelare i tuoi trucchi.”
“Potrei dirtelo ma poi dovrei ucciderti …” Dissi citando la frase del film ‘Il buono, il brutto e il cattivo’ prima di voltarmi nuovamente a guardarlo. Inutile … il suo sguardo era ancora fisso su quella luce in mezzo al mare.
Fece spallucce prima di prendere un altro sorso dalla bottigli, “Prima non eri così.” Disse aggrottando la fronte per qualche secondo. “Non che io mi ricordi più di tanto di come tu andassi a scuola…” Si voltò con un mezzo sorriso, “Non eri neanche tanto brava a suggerire.” Fece l’occhiolino prima di tornare a fissare di fronte a lui. “Però non ti ricordo sicuramente così piena di sapere.”
“Io non ti ricordo sicuramente chiedermi cose tipo perché il cielo è blu.” Risposi ridendo.
“Giusto,” Fece una pausa , “Il mio era un complimento.” Questa volta toccò a me fare una pausa nella quale cercai di capire se il suo tono era sarcastico. Dopo qualche secondo, decisi di prenderlo come tale e ringraziarlo. “L’unica cosa che mi colpisce è che sembri contenta.” Continuò. 

Lo guardai confusa. 

“Dicono che il sapere ti distrugge. Più sai, peggio stai. La conoscenza ti rovina le belle cose della vita - Dare sempre una motivazione, una spiegazione a tutto ... Come è possibile riuscire a sorridere quando si hanno risposte?” Continuò a fissare quel punto di luce che ormai non era più di fronte a noi ma leggermente spostato verso la sua destra.
Il suo discorso non era chiaro, era confuso e … basato sul nulla. “Il sapere ti rende libero, Justin.”
“No,“ Fece una breve pausa, “Il coraggio ti rende libero.”
“Perché hai bisogno di coraggio?” Chiesi cercando di capire il suo punto di vista su questa situazione.
“Dietro l’angolo c’è sempre gente pronta a sparare merda sul tuo conto, pronta ad accusarti e puntare il dito. Il coraggio è sopravvivenza. Immagino che, da una parte, sia meglio non sapere; prendere la vita così come viene. Non travisare quello che sto dicendo; è bello il fatto che tu sappia così tante cose ma del sapere te ne fai ben poco quando sei qui. E’ meglio non sapere, non chiedere e non cercare informazioni. E’ meglio vivere il momento con le preoccupazioni del caso.”

Non la pensavo così e non riuscivo a capire come potesse seriamente pensare una cosa del genere.

Fece spallucce prendendo un sorso. Chiuse gli occhi per pochi secondi e poi si voltò verso di me, “Abitiamo in due mondi completamente diversi.” Disse con un mezzo sorriso e continuando a sorseggiare la sua birra.
Annuii - ancora convinta che di quel discorso neanche lui ne era sicuro, “Però, vuoi scommetere che c’è una cosa, che accumuna entrambi questi due mondi?” Dissi sorridendo e afferrandoli il braccio. “Chiudi gli occhi.” Esigetti. Mi guardò confuso prima di cedere e seguire il mio ordine. Lentamente lo spinsi all’indietro in modo da farlo distendere. Copiai il suo stesso movimento e una volta toccata la sabbia, girai la testa verso Justin che aveva il volto rivolto verso l'alto. “Apri gli occhi e guarda.” 

Mentre le sue palpebre iniziarono a muoversi, il suo sorriso era già scomparso. Rimasi a guardarlo fissare davanti a lui ciò che avevo fissato minuti prima. 

E’ meglio vivere il momento con le preoccupazioni del caso.

“Io penso che vivere con le preoccupazioni non ci aiuti. L’aiuto lo trovi rendendoti imponente sotto un cielo stellato … e a guardarlo...” Spostai lo sguardo sull’opera d’arte sopra di me prima di essere interrotta da un suo sussurrò. “Le preoccupazioni scompaiono” Mormorò quasi fosse un segreto.

 



 

Non chiedetemi il perché di questo mio ritorno perché non saprei come rispondervi!
Sono cambiate davvero tante cose dall’ultima volta che sono entrata in questo sito
e, soprattutto, sono cambiate tante cose da l’ultima volta che ho scritto questa storia.
(E sonocambiata davvero tanto anche io e il mio modo di vedere le cose)
Prima di pubblicare questo capitolo, ho riletto un po’ la storia e ho visto che molte cose
erano sconnesse e forzate; ho cancellato gli ultimi due capitolo
(quelli in cui Evelyn e Justin ritornavano insieme come per magia)
In questo capitolo sono passati due anni e vi chiedo una cosa:
non fate calcoli matematici e facciamo finta che siano passati solamente due anni dall’ultima volta e che hanno venti anni :p
Non complichiamoci le cose. Molti personaggi che prima erano presenti nella storia saranno
dimenticati e probabilmente non ne parlerò più. Mi piace l’idea di vedere questi due anni come anni bui -
probabilmente verrà fuori cosa è successo in questi anni con i capitoli che verranno.
Premetto che non ho idea quando posterò un nuovo capitolo (calcolando anche che fra tre giorni parto per l‘america meridionale!!!)
Ho scritto questo cap. proprio perché ho riacceso il mio vecchio computer e ho trovato
tantissime foto di “jevelyn” e robe varie e mi sono fatta prendere dall’emozione ahhahha :P 

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