Il dono di una madre...

di Strega1981
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo_La notte dell'addio. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1_Angelica. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2_La Pitonessa. ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3_La Rivelazione. ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4_Miride. ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5_Lisandra. ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6_Demoni. ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7_Nelle Terre di Nord Ovest. ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8_Un Aiuto dal Cielo. ***



Capitolo 1
*** Prologo_La notte dell'addio. ***


Prologo_La Notte dell’Addio.

La giovane donna dai lunghi capelli biondi correva nel buio della foresta, le braccia candide che sanguinavano copiosamente a causa dei graffi provocati dai rovi…
Fuggiva da ore, un fagotto stretto al petto, il corpo debole e reso fragile dalle recenti fatiche del parto, la magia che, pur scorrendole ancora nelle vene, non le era di alcun aiuto.
Non poteva usare la magia…non doveva…o lui avrebbe potuto trovarla…
In realtà, già sapeva che l’avrebbe trovata…era solo questione di tempo…di ore forse…o di minuti.
E per lei, ogni minuto era prezioso come la vita…quella stessa vita che ora custodiva tra le braccia sempre più stanche…
Un’ombra maligna oscurò la luna per un istante…e la strega si appiattì contro il tronco scuro di una quercia azzurra, trattenendo la propria aura magica con un rapido incantesimo che sperava le avrebbe permesso di non farsi avvertire dal demone.
L’ombra aleggiò ancora sopra le cime degli alberi, muovendo la testa fumosa a destra ed a sinistra…poi si spostò, emettendo un grido rauco ed allontanandosi verso sud.
Nello stesso momento, un flebile vagito, proveniente dal piccolo involto di tessuto che la donna stringeva a sé con tenacia, ruppe il silenzio.
Lei chinò il volto pallido su di esso, il sorriso colmo d’amore e di pena.
“Ssst…buoni piccoli miei…buoni…siamo quasi arrivati…”
Guardò verso l’alto, ma l’ombra non ritornò…forse l’aveva vista…forse no…ma almeno le dava il tempo di fuggire ancora…
In quel silenzio quasi assordante, il suo udito acuito dalla disperazione avvertì un gorgoglìo…un suono echeggiante di onde e di sassi che rotolavano nell’acqua…
Gli occhi grigio azzurri le si dilatarono, e nella gola le vibrò un singulto di speranza.
Il mare…
Sospirò, le lacrime che iniziavano ad affacciarsi dalle sue iridi chiare.
“Finalmente…gli Dei mi hanno assistita…”
Animata da una nuova speranza, da una nuova determinazione, la donna riprese la propria corsa…e nel giro di pochi minuti, che a lei parvero comunque ore, il grande Mare delle Sirene le apparve davanti in tutta la sua maestosa immensità.
La giovane madre corse fino al punto in cui batteva l’onda, inginocchiandosi sui sassi lisci e tondi e guardandosi attorno, nell’intento di scorgere almeno una piccola imbarcazione, anche abbandonata…anche distrutta.
L’avrebbe riparata con la magia…se solo…
Un grido le gelò il sangue, e la figura minacciosa del demone di fumo nero torreggiò su di lei…volando via subito dopo.
Strinse più forte al seno i bambini…ma era troppo tardi.
Per lei…e per i suoi figli.
“No…no!”
Lui…lui stava arrivando…la creatura demoniaca forse aveva avvertito la sua presenza nella foresta…o forse aveva sentito la magia dei bambini…quella magia che lei, indebolita dal parto, non era riuscita ad occultare…
O magari, molto più semplicemente, aveva rifatto il giro di poco prima…e l’aveva vista correre sulla spiaggia.
Erano tutte ipotesi plausibili…ma la certezza era una sola.
Lui l’aveva trovata…ed il suo tempo stava per scadere.
Sentendosi già sconfitta, la strega bionda premette la fronte sul panno che avvolgeva i suoi piccoli…quindi rialzò il capo, scostandolo con le dita sottili…sospirando dolorosamente nel guardare i minuscoli visi dei bambini che dormivano tranquilli l’uno accanto all’altro.
E le lacrime, che fino a poco prima aveva trattenuto, le scorsero roventi sulle guance diafane.
“Non ce l’ho fatta…non sono riuscita a salvarvi…perdonatemi, bambini miei…”
Ricordi amari come fiele le si riversarono nella memoria, al pensiero di quanto aveva…amato, quell’uomo dal quale ora fuggiva…un essere spietato che, dietro ad un volto d’angelo, nascondeva tutto il male che gli Dei fossero stati in grado di generare…
Aveva sperato che il suo amore lo avrebbe redento, salvato…ma lui non cercava alcuna redenzione…e non anelava l’amore.
Lui voleva solamente un erede…e doveva generarlo con una strega perché fosse abbastanza potente da ereditare, un giorno, il suo trono di malvagità…
Spalancò gli occhi nel buio, folgorata da un’improvvisa consapevolezza.
Un erede…lui voleva un erede…e sapeva che quell’erede era nato…
Ma non sapeva…almeno non ancora…che il suo tanto agognato discendente non era venuto al mondo da solo.
E quel segreto, forse, poteva essere l’unica via della salvezza.
La strega dai capelli biondi si riscosse, girando lo sguardo intorno a sé con apprensione…un vento gelido di morte proveniva dalla foresta che si era appena lasciata alle spalle, facendola rabbrividire…segno che lui si stava avvicinando.
Il tempo…quel tempo che poteva osservare srotolarsi infinito dinnanzi a lei…ora le appariva come un carceriere crudele…che non le lasciava scampo…
Doveva fare presto…doveva scommettere su quella flebile, remota possibilità.
Anche se per farlo, avrebbe dovuto spezzare il proprio cuore in due…
Decisa ormai a compiere quella scelta che ogni madre avrebbe riconosciuto come lacerante, posò sulla spiaggetta sassosa l’involto che sino a quel momento aveva tenuto serrato contro il petto, e si alzò in piedi, puntando un braccio verso gli scogli poco distanti, sui quali vedeva crescere le canne sottili dei flauti di mare…
Un grosso fascio di quelle piante resistenti e nodose si staccò dalle rocce, volando fino a lei…rapidamente, utilizzando adesso senza più ritegno la magia che si era negata fino ad un attimo prima, intrecciò gli steli flessibili in un canestro, e quando fu pronto, lo depose accanto ai suoi figli addormentati.
Con il cuore stretto in una morsa, si inginocchiò ed aprì la coperta candida con la quale li aveva avvolti per fuggire, fissando per l’ultima volta le piccole teste accostate, l’una bruna, l’altra bionda.
Chissà per quanto tempo, non avrebbe potuto rivederli così vicini…forse mai più, per tutto il resto della propria esistenza…ma almeno, avrebbe dato loro una speranza di ritrovarsi…un giorno.
La donna alta e pallida estrasse dal fagottello il neonato con i capelli biondi, stringendolo forte a sé prima di infilarlo con dolcezza nel cestino di giunchi…ed accarezzò con la punta delle dita, il petto che le spasimava di dolore, il visetto angelico della bambina.
Sospirò, trattenendo i singhiozzi e chinandosi per baciarla con infinita tenerezza.
“Piccola mia…perdonami, se puoi… Lasciarti, è l’unico modo per salvarti…e per salvare tuo fratello… Se vi trovasse entrambi, nessuno di noi avrebbe più scampo dalla sua smania di distruzione… Tu sei la nostra…la sua unica speranza…”
Incapace di lasciarla andare, strinse il pugno sul suo minuscolo torace…sentendo le unghie che le si conficcavano nella carne…
Una goccia scarlatta fece capolino tra le sue dita…e la strega bionda ebbe un’idea…mentre il vento gelido dietro di lei aumentava d’intensità.
Si guardò le mani, e con forza ripeté il gesto, piantandosi le lunghe unghie nei palmi, lasciando scorrere il sangue che, magicamente, si fermò a mezz’aria, formando due pietre scintillanti.
Con il dito indice, mentre le ferite le si rimarginavano, tracciò sulla superficie dei due rubini altrettante linee sinuose, formando alcune lettere.
Una L…ed una T…
Afferrò la prima, e continuando a tracciare spirali nell’aria, attingendo materia impalpabile dall’acqua del mare e dalla spuma che si liberava dalle onde, la circondò di un castone argentato e la appese ad una catenella d’argento…
Pose poi il gioiello, creato dal suo sangue e dal suo potere, nel cestino, tra le pieghe delle fasce che avvolgevano la bimba.
Quindi prese il cesto tra le braccia, iniziando ad avvicinarsi all’acqua e parlando con dolcezza alla bambina dormiente.
“Ti chiamerai Liomea, piccola mia… Anche se ora ci separiamo, sappi che non smetterò mai di amarti…e di pensarti… Tu crescerai lontana da noi…dove sarai al sicuro…ed un giorno, che io esista ancora oppure no, salverai tuo fratello… Lui vuole un erede maschio…non ti seguirà…non ti cercherà…e non saprà mai che sei esistita…”  
Un’onda le bagnò i piedi, schizzandole il vestito di broccato celeste…la donna si curvò sull’acqua, appoggiandovi il suo prezioso fardello…il cestino iniziò subito a galleggiare, ed il moto ondoso lo allontanò rapidamente dalla riva…portandolo sempre più al largo.
Devastata, la strega dai capelli biondi si lasciò cadere in ginocchio in mezzo alla risacca, ignorando l’abito ormai fradicio, perché il freddo del mare non era nulla, in confronto al gelo che sentiva dentro il proprio ventre…privato per sempre di ciò che aveva appena generato.
Senza accorgersene, cominciò a cantare…una nenia dolce e struggente…l’ultimo addio a sua figlia.
 
“Se mi cercherai…non mi troverai…
Se mi penserai…nel cuore tuo mi avrai…
Portami con te…figlia dell’amore…
Portami nel cuore…per tornare a me…
Cerca la tua via…intrecciala alla mia…
Cerca la magia…sempre dentro te…
Cercala ogni istante…ti porterà da me…”
 
Il cestino galleggiò in lontananza, fino a scomparire tra i flutti…e con un boato, un turbine di vento e di tempesta si abbatté sulla spiaggia, assieme ad un urlo di furore.
La giovane donna corse accanto al figlio che aveva fino a quel momento lasciato da solo…proprio nell’attimo in cui, tra fiamme e fumi di zolfo, un uomo circondato da soldati di pietra e da demoni neri faceva la propria apparizione davanti ai suoi occhi terrorizzati.
Lei prese in braccio il bambino, stringendolo forte a sé…per proteggerlo…o almeno per provarci.
Niente, purtroppo, poteva ormai evitargli il suo destino maledetto…
A cavallo di un enorme stallone nero come la notte, i cui occhi fiammeggianti erano spaventosi quasi quanto quelli del suo padrone, il potente mago si fermò a pochi passi da lei, facendo inalberare il destriero che sputò lingue di fuoco dalle froge.
Lo stregone, il cui volto era bellissimo almeno quanto era crudele la sua anima nera, la squadrò con arroganza e scherno, scrutando prima il mare alle sue spalle, e poi il fagotto che teneva stretto al seno.
Rise, una risata divertita…nella certezza della propria vittoria.
“Ben trovata, mia dolce Xellesia… Posso immaginare quale fosse il tuo piano…e posso dirti che esso è miseramente fallito…”
Inarcò un sopracciglio, lisciandosi la barbetta scura e scuotendo i lunghi capelli castani.
“Se non erro, avevi intenzione di raggiungere Tir Na Gog…l’isola evanescente che nemmeno io posso trovare… Mi duole dirti, che streghe più potenti di te non sono riuscite ad approdarvi… Solo l’innocenza può posare il piede sulle sue spiagge, e tu, mia dolce sposa, quell’innocenza l’hai perduta per sempre…”
Scese da cavallo, avvicinandosi a lei con sguardo duro…le iridi verdi che brillavano malvage nel buio della notte.
“Non ti ho mai chiesto di amarmi, Xellesia…come non ti ho mai promesso amore… Io non so amare…ho maledetto me stesso e la mia anima per divenire ciò che sono… Ma ti ho promesso poteri inimmaginabili…se tu mi avessi dato l’erede che desideravo… E proprio adesso che questo mio figlio nasce…tu tenti di portarmelo via… Dovrei ucciderti…e se vuoi saperlo, desidero ucciderti…”
Xellesia rabbrividì, ma non smise di stare eretta e fiera davanti a lui…
Lo aveva amato moltissimo…stregata dal suo fascino, dal suo potere e dalla sua bellezza…ed aveva desiderato ardentemente fargli conoscere l’amore…donargli un nuovo futuro…un nuovo trono che non fosse costruito sul sangue…
Ma ora…ora sentiva solo disprezzo…e se lui voleva ucciderla, non lo avrebbe fatto mentre lei lo supplicava…
Suo figlio, comunque, sarebbe vissuto…il resto non contava…e dopo quanto era accaduto, lei in fondo era già morta.
La giovane strega annuì, ferma.
“Allora uccidimi, Darken… Macchia con il mio sangue le fasce che avvolgono tuo figlio… In fondo, quale modo migliore per donargli un futuro di morte e malvagità…?”
Lo stregone la fissò a lungo, ma un istante dopo esplose in una nuova risata, che echeggiò per tutta la spiaggia solitaria.
Darken le andò più vicino, passando le mani tra quelle della donna e la copertina che proteggeva il neonato…la sua voce suadente si abbassò, mentre prendeva in braccio il bambino.
“Ho sempre ammirato il tuo coraggio, mia bellissima Xellesia… E comunque, mi compiaccio nel vedere che, sapendoti sconfitta, non hai insistito nel tuo proposito… Ora, lascialo a me…lui è mio.”
Xellesia lottò contro il desiderio di trattenere il suo piccolo, e permise che lui glielo togliesse dalle braccia…chinando la testa in un gesto d’accettazione.
Darken doveva pensare che lei, giunta di fronte all’ostacolo insormontabile del mare, troppo indebolita per poter materializzare una qualche imbarcazione, avesse rinunciato al proprio intento di fuga…e spiandone l’espressione compiaciuta, la donna avvertì un impercettibile, ma tenace sollievo, farsi strada nel suo cuore straziato.
Si…lo stregone non aveva il minimo sospetto che un’altra creatura, sfuggita al suo controllo, fosse nata quella notte…aveva il suo tanto agognato delfino tra le mani…e null’altro gli importava.
La strega bionda si morse il labbro, imponendosi di non piangere.
Sentirsi strappare via l’ultimo dei suoi figli era come farsi dilaniare il petto…ma quella consapevolezza, assieme al segreto che portava racchiuso nell’animo…ed alla speranza che dondolava sulle onde nel cestino di giunchi, l’avrebbe aiutata a sopravvivere.
Ignaro dei pensieri che attraversavano la mente della sua giovane sposa, Darken alzò verso il cielo stellato l’infante, che sentendo l’aria fredda si svegliò e si mise a piangere…il mago rise, soddisfatto.
“Si…piangi figlio mio! Annuncia la tua nascita al mondo intero ed agli Dei che io stanotte mi accingo a sfidare! Altri pianti si alzeranno, un giorno, quando tu occuperai accanto a me il trono che ti spetta! Dolore e sciagura attenderanno coloro che oseranno sfidare la tua potenza! Ed i comuni mortali piegheranno il capo di fronte al tuo potere, che aprirà la strada al mio regno di distruzione e di morte, e che mi affiancherà per cancellare ogni traccia di quell’amore con cui gli uomini hanno corrotto il mondo!”
Il bambino pianse più forte, e Darken lo tenne tra le braccia, cullandolo in un gesto che chiunque avrebbe potuto interpretare come amore paterno…se lui non fosse stato quanto di più lontano esistesse, dall’amore…
Il potente stregone alzò gli occhi sulla donna bionda rimasta a poca distanza, annuendo soddisfatto.
“Questa notte mi hai reso molto felice, mia cara sposa…per questo, ti faccio grazia della vita… Tu alleverai mio figlio, fino a che egli non sarà pronto per rivendicare il proprio possesso sul mondo dei mortali… Quando sarà il momento, e sarò nuovamente certo della tua fedeltà, vi donerò un regno… Fino ad allora, vivrai con me e con il bambino nel vulcano Nekrad, ai confini del mondo, ove io ho il mio, di regno…quello stesso regno di cui avresti potuto essere regina, se l’illusione dell’amore non ti avesse portata a compiere cotante sciocchezze.”
Il cuore già sanguinante di Xellesia spasimò, annientato da quell’ultima, terribile notizia.
Lei era cresciuta nel bosco delle fate…in mezzo agli gnomi…ai fauni…agli elfi ed ai folletti…
Come tutte le streghe, era stata generata da un mago e da una ninfa…e fino a che non lo aveva incontrato – lui, Darken, il più potente tra i maghi – era vissuta nella spensieratezza e nella gioia luminosa di quel luogo magico.
A nulla erano valsi gli avvertimenti di sua madre, che si era ritrasformata per sempre in albero, un faggio blu, ripudiandola davanti al suo rifiuto di abbandonare quell’amore folle ed impossibile.
Suo padre, il mago della Brughiera del Nord, l’aveva abbandonata alla nascita, su richiesta di sua madre, che non aveva voluto lasciare i propri luoghi natii…ma Xellesia non aveva mai sentito la sua mancanza…felice com’era di abitare in quel posto bellissimo e colmo di magia.
Ed ora, lo avrebbe lasciato per sempre…per vivere in quel vulcano spaventoso che aveva sentito nominare sottovoce dalle rondini e dalle cicogne…
Le uniche, e sole, che osavano spingersi così a nord nel mondo conosciuto, e che si tenevano prudentemente lontane dalle sue pendici roventi.
Si era innamorata follemente di quello stregone dagli occhi ammaliatori e dal potere incalcolabile, e per quell’amore insensato stava perdendo tutto…
Aveva perduto sua madre, che la rinnegava come figlia…aveva perduto i suoi amici, le creature magiche della foresta, che da quando era rimasta incinta la tenevano a distanza, fissandola con sospetto e sgomento…ed ora perdeva l’unico luogo che potesse chiamare casa…
Ma lo meritava…meritava soltanto quello…e l’unica cosa che chiedeva, ormai, era di poter crescere suo figlio…la sola ragione di vita che le fosse rimasta.
Annuì, obbediente…e Darken le sorrise, ferocemente soddisfatto.
“Bene… Ti faccio un altro dono che non meriteresti, ma che dovrebbe darti l’idea della mia contentezza, davanti a questo splendido maschietto che tu hai generato per me. Se hai pensato ad un nome, ti consento di darglielo… E sarà questo nome, a diffondere il terrore in ogni angolo del mondo…”
Xellesia alzò un poco il volto, fissando il bambino.
“Io…pensavo di chiamarlo…Tarabas…”
Lo stregone parve pensarci su, e subito dopo, sempre con il bimbo tra le braccia, salì a cavallo, tendendole la mano.
“E sia, mia dolce Xellesia… Ora andiamo, la strada per il Nekrad è lunga…anche con la magia…”
La donna esitò un istante, ma poi stese il braccio, afferrando le sue dita bollenti e lasciandosi tirare sulla groppa della gigantesca cavalcatura.
Con un grido, Darken spronò l’esercito ed i demoni che lo circondavano, e nel giro di un battito di ciglia furono in viaggio, il vento che frustava i loro volti nella corsa verso i confini del mondo.
Xellesia avvertiva il corpo bruciarle, dal desiderio di voltarsi un’ultima volta verso il mare…ma resistette al proprio impulso di madre, e non si girò…
Voltò così per sempre le spalle a quelle onde alle quali aveva affidato sua figlia…ed assieme ad esse, voltò le spalle anche al proprio cuore.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1_Angelica. ***


Capitolo 1_Angelica.

“Colui che ama sarà riamato… Tornerò da Angelica…e se la renderò felice, forse un giorno, imparerò ad esserlo anch’io…”
“Aiutami ad amarti, dolce Angelica…ed insegnami ad essere felice…”
 
L’alta figura stava accanto alla finestra, appoggiata ai tendaggi di seta preziosa, osservando dall’ombra del palazzo reale la vita che scorreva al di fuori delle sue immense sale, decorate con mosaici d’oro e d’argento.
Tarabas faceva vagare il proprio sguardo penetrante, dal cortile del castello, fino alle Colline Blu, che erano state il suo rifugio quando aveva deciso di abbandonare quel male che sembrava perseguitarlo…e che desiderava solamente lasciarsi alle spalle, dimenticando ciò che era stato un tempo…e cercando di vivere in armonia con il resto del creato…
Soltanto tre primavere prima, aveva detto ad Angelica quelle frasi…ma mai, avrebbe pensato che si sarebbero avverate in modo tanto completo e meraviglioso.
La sua scelta di restare al fianco della ragazza che aveva dimostrato di amarlo più di qualsiasi altra cosa, al punto di seguirlo fino ai confini del mondo e di rischiare la vita per lui, era stata dettata dalla…tenerezza, che Angelica gli aveva fatto nascere nel cuore…con i suoi capricci forse…ma anche con i suoi occhi pieni d’amore…e di desiderio di lui…un desiderio che mai, avrebbe creduto di poter leggere così intensamente negli occhi di qualcuno.
Certo, dimenticare non era stato semplice…poiché per lungo tempo il pensiero di Fantaghirò lo aveva tormentato…ma poi le lune erano passate…e la sua immagine aveva assunto i contorni sfocati del ricordo…sostituita dalla figura luminosa di Angelica…e dal suo sorriso radioso.
Era così bello, vederla felice…e lui, giorno dopo giorno, aveva scoperto di iniziare ad…amare…quella creatura che a volte sapeva essere esasperante…ma che altrettante volte riusciva a riempire il suo cuore indurito di emozioni che non pensava di poter provare…non per un'altra donna che non fosse Fantaghirò…
Si…ogni giorno accanto ad Angelica si era rivelato un’incredibile scoperta…e la serenità che aveva sostituito i tormenti dovuti al dolore di aver perduto sua madre proprio nel momento in cui credeva di averla ritrovata…e di aver scoperto che razza di demone fosse suo padre…quel padre che neppure aveva mai pensato di avere…quel padre che nemmeno ricordava…prima di quell’incontro terrificante con la personificazione stessa del male…era stata un balsamo per il suo animo lacerato dal dolore e dalla perdita.
Angelica aveva medicato il suo cuore…gli era stata accanto ogni momento…non lo aveva mai abbandonato…ed aveva atteso con pazienza che fosse lui, ad avvicinarsi a lei.
Era maturata, lasciando da parte i capricci – sebbene talvolta avesse qualche piccolo…ritorno, ai vecchi difetti – e le bizze che tanto l’avevano resa insopportabile all’inizio…ed imparando a stare in silenzio, godendo semplicemente della gioia serena di averlo vicino.
Erano trascorse le stagioni…e piano piano, Tarabas aveva compreso che un nuovo sentimento, stava prendendo il posto dell’iniziale tenerezza…che Angelica se non c’era gli mancava…e che iniziava a venirgli…naturale…immaginare un futuro con lei.
L’uomo che era stato il mago più temuto della terra, aveva scoperto che l’amore poteva essere anche pace…e felicità…e non solo tormento e tristezza.
Poiché se Fantaghirò gli aveva fatto scoprire quel sentimento…era stata Angelica, a tramutarlo in realtà…ed a fargli comprendere che più che di amare, gli esseri umani avevano un bisogno disperato di sentirsi amati.
E lui, prima di Angelica, non si era mai sentito così amato da nessuno…
C’era voluto altro tempo, quando aveva capito di amarla a propria volta, per consentire al loro nuovo amore di realizzarsi…
Re Thor non aveva dimenticato il suo duello con Rufus…non aveva scordato l’umiliazione che Fantaghirò gli aveva inflitto…ed a lungo l’aveva accusato della perdita di quello che era stato, comunque, suo figlio secondogenito.
Ma gli anni passavano anche per il sovrano del Regno della Pagoda d’Oro, e scomparso Rufus, il suo trono aveva comunque bisogno di eredi…
Così, poiché Angelica non avrebbe mai accettato al proprio fianco nessuno che non fosse Tarabas, e visto e considerato che come principessa rimaneva soltanto lei, Re Thor aveva stabilito che un mago, come genero, non era poi forse la disgrazia che poteva sembrare…soprattutto perché Tarabas aveva ormai dato più di una prova del fatto di aver abbandonato la via del male.
In una notte stellata, durante il passaggio di una cometa, colui che era stato il più potente dei maghi e la principessa dei Territori d’Oriente si erano uniti in un matrimonio segreto, ed il popolo aveva saputo di tale unione solamente a cose fatte.
Nessuno aveva protestato, e Tarabas, da quel momento, era divenuto il successore del re, il principe che avrebbe preso il suo posto se mai avesse deciso di abdicare, al fianco dell’erede legittima, la principessa Angelica, ora sua sposa.
Ed era accaduto, incredibilmente, poiché circa un anno dopo, con il sopraggiungere della seconda primavera, Tarabas aveva lasciato il Regno con un piccolo manipolo di soldati, diretto al vulcano Nekrad, determinato a recuperare ciò che poteva essere rimasto delle spoglie della sua povera madre.
A lungo aveva riflettuto su quel proposito, ma ora che aveva trovato qualcosa di simile alla felicità, non riusciva a pensare al corpo di Xellesia, abbandonato in quel luogo di morte, privo di sepoltura.
Sua madre si era sacrificata per loro, per salvarli…dimostrando in quell’unico gesto tutto l’amore che gli aveva sempre negato e taciuto…e lui voleva averla vicina…anche se solo nella memoria ed in una tomba sulla quale portare un fiore.
Il Re si era opposto fermamente a quell’idea, sostenendo che, anche se Darken era stato sconfitto, il vulcano rimaneva comunque un luogo pericoloso…ma Angelica, come sempre, si era ribellata al padre, ed aveva appoggiato il marito…un gesto che aveva commosso Tarabas nel profondo, e che aveva accresciuto il suo…amore, per la dolce principessa che in ogni istante, cercava di dimostrargli quanto lo amasse, e quanto desiderasse renderlo felice.
Lui ed i soldati del Re avevano viaggiato per molti giorni, ed una volta giunti al vulcano, erano riusciti a ripercorrere a ritroso la strada attraverso la quale Tarabas, Angelica, Fyodor, Fantaghirò, la Strega Nera e Parsel erano fuggiti tempo addietro…ritrovando, ancora perfettamente intatto, il corpo della Strega Xellesia…ma non solo.
Infatti, mentre i soldati provvedevano a fasciare le spoglie mortali della madre di Tarabas così da poterla trasportare degnamente fino al loro paese, un giovane armigero aveva esplorato quello che era stato il cuore del regno di Darken…ed aveva gridato, apparentemente spaventatissimo, attirando l’attenzione di tutti e facendo accorrere Tarabas per mostrargli ciò che aveva scoperto.
Lì, nelle infuocate sorgenti della sala del trono, galleggiava un altro corpo…il corpo di Rufus, anch’esso intatto, ma pietrificato…vittima dello stesso incantesimo da cui, anni prima, era stato colpito il principe Romualdo.
Tarabas si era dato dello stupido, per non averci pensato già allora…ma era ovvio che l’acqua del vulcano, per quanto rovente, avesse le stesse proprietà e gli stessi poteri di quella che un tempo avevano infettato i suoi soldati d’argilla.
Darken, sebbene gli fosse ancora difficile accettare quell’idea, era comunque suo padre…le loro magie avevano la stessa origine…quindi, nel mettere in atto il proprio gesto disperato, Rufus aveva sofferto sicuramente molto più di Romualdo, ma come avevano poi accertato gli indovini di Re Thor, non era morto…si era tramutato in pietra…e solo una cosa avrebbe potuto rompere quell’incantesimo.
Un bacio…il bacio di un amore vero…un bacio che purtroppo nessuno poteva dargli, perché nessuno, durante la sua sfortunata esistenza, aveva amato Rufus…
Non sua madre, che era morta nel darlo alla luce…non suo padre, che lo aveva incatenato come una bestia…né il suo popolo, che a malapena sapeva della sua esistenza.
Solo Angelica, in verità, provava un po’ di affetto per quell’essere infelice che era stato il suo fratellino più piccolo…ma non era abbastanza.
Rufus era perciò condannato a restare per sempre pietrificato, in una sembianza eternamente giovane…conservando almeno l’aspetto umano che Darken, in un gioco crudele, gli aveva donato prima che morisse…
Rivedendo le spoglie di quel figlio al quale non aveva dato nulla, se non la grazia della vita, Re Thor aveva perso ogni sua baldanza…ogni arroganza…e dopo aver ringraziato Tarabas per averglielo riportato, aveva scelto di abdicare…
Aveva dato ordine che la torre nella quale un tempo il principe era stato segregato venisse trasformata nel suo mausoleo…gli aveva fatto preparare un letto d’oro ove ogni giorno otto ancelle portavano fiori freschi e profumati…l’aveva fatto vestire con abiti consoni al suo rango, e passava le giornate a vegliarlo incessantemente, espiando così la colpa di non averlo amato a sufficienza quando era in vita.
Era un uomo diverso, oramai, il re…come lo era Tarabas, che aveva assunto il comando del regno cercando di farsi amare dai propri sudditi, sincerandosi che a nessuna famiglia mancasse il pane, ed amministrando la giustizia con saggezza e benevolenza.
Con la poca magia che gli era rimasta, indebolita dalla sua determinazione di non usare mai più i propri poteri malvagi, cercava di far sì che le terre fossero sempre fertili e l’acqua abbondante…che la carestia e la fame stessero lontane dai loro confini e che nessuno avesse da patire l’indigenza e la povertà.
Oramai, si era rassegnato all’idea che la sua magia si fosse quasi esaurita, ma non gli importava…gli importava solo di Angelica, del regno che era stato affidato ad entrambi, e del futuro che sembrava attenderli…e che lei gli offriva a piene mani, innamorata e felice.
Nel tempo, il popolo aveva smesso di temerlo ed aveva iniziato ad amarlo…numerosi erano i contadini che venivano da lontano per sottoporgli i loro problemi…le stesse voci che un tempo lo avevano insultato, ora lo lodavano e lo benedicevano.
Ed anche Angelica, nel suo nuovo ruolo di regina, era cambiata profondamente.
Abbandonando il proprio infantile egoismo, aveva incominciato ad interessarsi dei problemi della gente, aveva destinato alcune sale del palazzo al ricovero degli anziani e degli orfani, e visitava regolarmente le case dei sudditi più poveri, portando loro aiuto e conforto.
Il regno prosperava, sotto la nuova guida, ed un avvenire luminoso pareva a portata di mano…soprattutto da quando, circa sei lune prima, la dolce Angelica aveva dato a Tarabas una notizia a dir poco straordinaria.
Con gli occhi lucidi di lacrime di gioia, gli aveva confidato di aspettare un bambino…e Tarabas, che mai aveva accarezzato l’ipotesi di diventare padre, aveva sentito il proprio cuore colmarsi di una felicità che non pensava potesse esistere…e che di certo non credeva riservata a lui.
Malgrado avesse capito molto presto di amarla, ci aveva messo un po’ ad essere…un vero marito…per lei…
La prima notte che avevano condiviso, era accaduta assai dopo le loro nozze…perché Angelica, ovviamente, non aveva alcuna esperienza…e perché Tarabas, dentro di sé, temeva ancora di farle del male.
Tuttavia, una sera in cui la luna splendeva alta nel cielo, al punto che era difficile scorgere la luce delle stelle, la sua dolce sposa aveva bussato alla porta dei suoi appartamenti…e Tarabas, andando ad aprire, se l’era trovata davanti…bellissima in quella veste rosa che ne lasciava intravvedere il corpo meraviglioso a malapena celato dal velo trasparente…emozionata e rossa in viso…non più sfacciata…ma solo desiderosa di amarlo…e prendendola in braccio per condurla sul letto, aveva compreso che non c’era niente, che avrebbe potuto fare per farle del male…
Da quella notte, molte altre si erano succedute…una più appassionata e meravigliosa dell’altra…ed ora, il risultato di quell’amore e di quella passione, di quel nuovo sentimento che aveva cambiato entrambi, cresceva nel grembo di Angelica.
Anche il Re Thor era stato lieto della notizia, ed aveva bandito grandi festeggiamenti, nei quali era stato coinvolto persino il popolo.
Quando la gravidanza della regina si era fatta evidente, molte feste avevano iniziato a rallegrare le piazze ed i paesi…cibo e doni erano stati distribuiti fin nelle province più remote del Regno…ed altrettanti doni avevano cominciato ad arrivare, sia dai territori del reame che da quelli confinanti, assieme agli auguri di lunga vita e prosperità per i giovani sovrani e per il loro erede.
Ma proprio quando Tarabas pensava che nulla più avrebbe potuto incrinare quella meravigliosa serenità, quella pace dilagante…una terribile sciagura si era abbattuta su di loro.
Durante una caccia, Angelica era caduta da cavallo…
La giovane regina aveva lanciato un urlo straziante, tenendosi il ventre rigonfio, e poi – mentre Tarabas accorreva per evitarle una caduta troppo violenta, rischiando di ferirsi o di fare del male al bambino – era precipitata in un sonno profondo, dal quale non si era più risvegliata…
Medici, cerusici, erboristi e maghi di ogni angolo del paese erano giunti a palazzo, nelle ultime settimane, per visitarla, ma nemmeno uno di loro aveva saputo pronunciare una diagnosi sensata.
La regina era viva, e come lei suo figlio…ma dormiva, e niente poteva destarla da quella sorta di incantesimo…
Poiché oramai tutti erano convinti che fosse una maledizione, quella che aveva colpito la sovrana del Regno della Pagoda d’Oro…nessuno però riusciva a comprenderne l’origine…e nessuno sapeva come porvi rimedio.
Da quel momento, per Tarabas era cominciato un nuovo strazio…e quando non vegliava la sua sposa, nell’inutile speranza di vederla risvegliarsi, si ritirava nelle sue stanze, perso nei propri pensieri.
In realtà, lui aveva già un sospetto su cosa potesse aver provocato quel maleficio…
Il sonno di Angelica, pur senza la pietrificazione, era molto simile a quello di Rufus…e lei portava in seno suo figlio…l’erede di una dinastia di maghi…oltre che del trono dei Territori d’Oriente.
Possibile che la magia oscura che un tempo lui aveva dominato stesse, attraverso il sangue del bambino, infettando sua madre?
Possibile che il sonno incantato di Angelica fosse stato causato da quello stesso male, da quella malvagità a cui lui aveva rinunciato, e che ora trovava un nuovo modo – il più spietato – per perseguitarlo?
E se era davvero così, come poteva lui, ora ridotto all’ombra di ciò che era stato un tempo, dal punto di vista magico, riuscire a salvarla…e salvare la vita innocente di suo figlio?
Non era più in grado di compiere magie, a parte qualche semplice incantesimo di bassa lega…ed anche se fosse tornato in possesso dei propri, antichi poteri, quella era magia oscura…la stessa che aveva provocato quell’orribile fato avverso…
Gli occhi verdi di Tarabas si velarono d’angoscia, al pensiero del sorriso di Angelica, quando lui, con la magia, faceva fiorire all’improvviso i fiori del giardino per poterle donare la rosa più bella…o quando di notte chiamava le lucciole davanti alla loro finestra, facendo volteggiare le graziose creature in una danza di luce che dipingeva la meraviglia sul volto bellissimo della sua dolcissima sposa…
Quei momenti erano durati così poco…e lui avrebbe voluto dirle…e mostrarle…ancora così tante cose…ed invece…
Perché…perché era condannato a fare del male alle persone che amava?
Perché coloro che amava dovevano essere divorati da un demone…come sarebbe dovuto accadere a Fantaghirò, tante lune prima, quando aveva cercato di ottenere il bacio impossibile?
Allora si era incatenato, per non ucciderla…ma adesso…cosa avrebbe dovuto incatenare, per salvare sua moglie e suo figlio?
Perché proprio quando pensava che il mostro fosse stato annientato, un altro ancora più subdolo sorgeva per distruggere la sua felicità?
Forse perché lui era destinato all’odio eterno, come un tempo gli aveva confessato Xellesia?
Si…doveva essere così…anche se la bestia era stata sconfitta…la malvagità che era dentro di lui continuava ad esigere vittime…ad esigere sangue…ed ora, le due creature che più amava al mondo, e per le quali avrebbe dato subito la vita, erano vittime di quel potere malvagio…
Un rumore improvviso lo fece voltare, ed il suo sguardo vacuo individuò, nel piazzale di fronte al Palazzo Reale, due guardie che spintonavano quella che sembrava una ragazzina cenciosa.
Per un istante ebbe l’impulso di ignorare la scena, desideroso com’era di rimanere solo a meditare sul proprio dolore…ma poi, le urla della bambina gli ricordarono i suoi doveri di sovrano, ed indossato il mantello che aveva lasciato abbandonato sul letto, il giovane uscì dalla porta tempestata di pietre preziose, e si incamminò verso i giardini reali…
 
“Lasciatela andare…!”
La voce di Tarabas immobilizzò le guardie, ed i soldati si girarono, sorpresi, inginocchiandosi poi a terra con le lance puntate verso il cielo, e chinando umilmente il capo mentre lui incedeva verso di loro.
“Re Tarabas…ai vostri ordini…”
Tarabas li guardò stancamente, inarcando un sopracciglio ed aggrottando la fronte, deciso – malgrado l’apatia che lo avvolgeva – a capire cosa stesse succedendo.
“Non approvo che una bambina venga trattata in modo così severo…nemmeno se avesse qualche colpa da scontare nei confronti della Corona… Esigo una spiegazione…perché la stavate cacciando da Palazzo? Sapete bene che, per ordine mio e della regina, esso è aperto a tutti…e tutti possono chiedervi udienza…”
Una delle guardie alzò a malapena la testa, imbarazzato e confuso.
“Maestà…questa piccola sciocca balbetta cose senza senso…e quando le abbiamo detto che non doveva disturbarvi con le sue fandonie, ha tentato di introdursi nel Palazzo attraverso le cucine…”
La voce della ragazzina, alta e sonora, coprì le scuse del soldato, e la piccola si alzò in piedi, fiera nei propri panni laceri, guardando Tarabas diritto negli occhi.
“Non balbetto sciocchezze! E non sono né pazza né sciocca! Sono venuta a darvi un consiglio…ma questi due non vogliono lasciarmi passare!”
A dispetto della terribile ansia che lo dilaniava, Tarabas percepì un sorriso spuntargli sul volto scavato da tante notti insonni…
Quella ragazzetta gli ricordava Angelica…anche lei aveva lo stesso modo di tirare su il volto, in segno di sfida…e sorridendo gentilmente, per la prima volta dopo giorni, le si avvicinò, annuendo.
“Non ti preoccupare piccola…ti porgo anzi le mie scuse per essere stata così maltrattata… Ogni consiglio del mio popolo è bene accetto… Da dove vieni…?”
Si abbassò su un ginocchio, per guardarla bene in faccia…e la bambina ricambiò il suo sguardo, gli occhi nerissimi del tutto privi di paura.
“Mi chiamo Myo…vengo dalla provincia est…la mia casa è molto lontana dalla reggia. Vivo con mia madre e le mie sorelle…nostro padre è morto anni fa…per colpa del vento nero…”
Tarabas avvertì il gelo attanagliargli il cuore a quelle parole…il vento nero
Era il vento che Darken aveva scatenato per trovarlo…per ricondurlo al male…quindi, quella bambina, anche se non lo sapeva, era orfana per colpa di suo padre…
Con delicatezza, le pose le mani affusolate sulle spalle, rabbrividendo nel sentire le sporgenze delle ossa…era magra, povera creatura…probabilmente la sua famiglia, o quel che ne restava, era molto povera…
Non era la prima volta che gli accadeva di scoprire che alcuni sudditi ancora versavano in condizioni tanto disgraziate, malgrado tutti gli sforzi suoi e di Angelica per portare cibo e dignità anche negli angoli più lontani e dimenticati del loro reame…tuttavia, nonostante le difficoltà che di certo affrontava ogni giorno per sopravvivere, quella ragazzina aveva forse viaggiato a lungo, soltanto per parlare con lui.
Le sorrise ancora, commosso da tanta dedizione…e decise che l’avrebbe ascoltata anche se avesse balbettato sul serio delle sciocchezze.
“Hai fatto tanta strada per darmi questo consiglio…sono certo che sarà prezioso. Parla dunque…ti ascolto…”
Myo scrutò a lungo il bel volto del sovrano, come se volesse soppesare la sua sincerità…dopo qualche minuto di silenzio però, parve soddisfatta del proprio esame, ed annuì, seria.
“Re Tarabas…se volete risvegliare la regina…dovete interpellare la Melusina…”





Nota Autrice:
Benvenuti a tutti!
Allora, come potete vedere, questa è la storia DI TARABAS, ed i personaggi più noti della saga, una volta tanto, staranno sullo sfondo.
Al momento il nostro mago è ancora del tutto ignaro di ciò che gli riserva il futuro...ma nel piccolo scorcio di passato che abbiamo visto al prologo - nel quale, per farvi friggere, non ho messo note - tutti hanno potuto osservare che, la notte della sua nascita, qualcosa di davvero importante è accaduto...qualcosa che potrà cambiare per sempre il suo destino...
Curiosi eh?
Allora...seguite la mia storia!
Ciao!

Strega1981

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Capitolo 3
*** Capitolo 2_La Pitonessa. ***


Capitolo 2_La Pitonessa.

Tarabas sentiva come se qualcuno lo avesse colpito al cuore con una freccia infuocata.
La ragazzina, Myo, ancora lo fissava con decisione…e lui non riusciva a credere di aver udito le parole che lei aveva appena terminato di pronunciare.
Di tutti i messaggi dei quali pensava potesse essere latrice quell’insolita ambasciata, nessuno avrebbe mai potuto essere più diretto…ed incredibile.
Alle sue spalle, un soldato avanzò di qualche passo, pronto a trascinare via la piccola suddita.
“Cosa vi dicevo maestà? E’ una visionaria…parla di leggende alle quali nessuno crede più!”
Il giovane sovrano si girò di scatto, bloccandolo con uno sguardo che non ammetteva repliche…la sua vecchia espressione crudele, che comunque non mancava di intimorire coloro che avevano la sfortuna di vederla…se era necessario.
Quella frase era stata talmente sconcertante, che Tarabas voleva essere certo di aver sentito bene…e voleva sapere tutto di quella…fantasia…se davvero poteva servire a riportagli Angelica.
“Non osare avvicinarti a lei…!”
La guardia si bloccò, indietreggiando subito dopo con le gambe che gli tremavano vistosamente, e Tarabas tornò a rivolgersi alla bambina, avvicinando il volto al suo per farle ripetere quanto aveva appena detto.
“Cosa…cosa stai dicendo…?”
Myo assentì di nuovo, il volto magro che trasudava determinazione.
“Sire…solo gli stupidi parlano di leggende… Le Melusine esistono, anche se sono ormai molto rare… Sono creature sagge, che conoscono tutti i segreti…ma trovarle è difficile…ed è ancora più difficile chiedere il loro aiuto… Io vivo sulle sponde del Lago di Pietra…e tutto il mio villaggio, da generazioni, sa che lì abita una Melusina… Ci siamo sempre rivolti a lei, nei momenti di difficoltà…ed è stato grazie a lei, se il mio villaggio non è stato spazzato via dal vento nero… Mio padre è stato uno dei primi a morire, perché i Cavalieri Neri lo hanno sorpreso nei campi, e lui non ha fatto in tempo a mettersi in salvo, assieme ad alcuni altri… Ma quando gli Anziani si sono resi conto di cosa stava succedendo, sono corsi ad interpellare la Melusina…e lei ha insegnato loro i rituali per proteggere la nostra gente. Siamo molto poveri…ma tanti di noi sono sopravvissuti… Tempo fa, io stessa mi sono rivolta a lei…e lei mi ha fatto trovare le erbe per salvare la mia sorellina da una grave malattia…quando il Capo del Consiglio l’aveva già data per spacciata…”
Scoccò un’occhiata colma di disapprovazione al soldato che l’aveva definita una sciocca.
“Certi credono che le Melusine possano procurare ricchezza e potere…ma non c’è niente di più sbagliato. Sono creature antiche…antichissime…e vanno interpellate solo quando si tratta di vita o di morte…senza secondi fini…o la loro vendetta può essere tremenda… Le leggende del mio villaggio parlano di uomini che sono stati tramutati in polvere…dopo aver provocato la collera della Melusina…”
Si girò di nuovo verso Tarabas, sorridendo compiaciuta.
“Maestà…la presenza della Melusina è sempre stata un segreto del mio villaggio…ma voi vi siete dimostrato un re molto buono…ed anche se l’abbondanza non è ancora giunta in tutte le province, sono molte le voci che parlano della vostra generosità… Le Melusine ascoltano coloro che desiderano salvare le persone che amano…ed io sono certa che se vi rivolgerete a lei, saprà rivelarvi il segreto della maledizione che ha colpito la regina…ed il modo per sconfiggerla. Ho pensato che fosse giusto, per il bene del Regno, rivelarvi questo segreto…sono sicura che non ne abuserete…e comunque, le Melusine sanno nascondersi, se vogliono…non temono nulla. Spero che mi crederete…perché so che già molti medici hanno visitato la regina…ma che nessuno ci ha capito nulla… La Melusina conosce i segreti del mondo terrestre e del mondo magico…se c’è una creatura che può dirvi cosa fare…quella è lei.”
La mente di Tarabas ragionava freneticamente, cercando di comprendere una dopo l’altra le parole di quella bambina sconosciuta, ma che sembrava davvero convinta di ciò che gli aveva confidato.
Tutte quelle informazioni, dopo tanti giorni di prostrazione, erano difficili da sopportare, per la sua mente annebbiata dal dolore…ed in realtà una sola, alla fine, era importante…vitale.
Non aveva mai sentito parlare delle Melusine, nei tanti secoli che aveva trascorso con sua madre nel mondo sotterraneo…ma sapeva per esperienza che c’erano forme di magia talmente antiche da essersi perdute nella memoria del tempo…e se una di quelle poteva essere la chiave per salvare Angelica ed il loro erede, lui doveva trovarla.
Nel frattempo i soldati, sconcertati dal suo lungo silenzio, gli si avvicinarono, tossicchiando piano.
“Maestà…non vorrete dar retta…”
Senza consentirgli di terminare il discorso, il giovane monarca si alzò in piedi, stendendo un braccio verso di loro in un gesto di comando, gli occhi verdi che lampeggiavano, imperiosi.
“Voi due…fare preparare il mio cavallo…e quattro dei miei uomini più fidati come scorta. Fate attrezzare anche un carro di provviste per il villaggio del Lago di Pietra…è evidente che questa povera gente si trova ancora in estrema miseria. Uno di voi vada nelle cucine, ed avvisi Chao Lun, la cuoca, di dare subito qualcosa da mangiare a questa bambina. Tu…”
Si rivolse alla ragazzina, ferma davanti a lui.
“…sai cavalcare?”
Lei sorrise, annuendo.
“Si…un po’ si…abbiamo un asinello…l’ho lasciato a mia madre perché le serve per arare l’orto…lei da sola non ce la fa…”
Tarabas assentì, convinto.
“Bene…allora ti farò preparare un pony…esso è già tuo. Dopo che avrai mangiato e ti sarai riposata dalle fatiche di questo viaggio che hai affrontato per me, ci guiderai fino al tuo villaggio, e da lì al luogo ove vive questa creatura di cui parli… Porteremo alla tua gente gli aiuti che gli occorrono, e saranno vostri in ogni caso… Ma se dici il vero, tu e la tua famiglia tornerete a palazzo con noi. Tua madre sarà la governante del principino…e quanto alle tue sorelle, le più grandi avranno un posto qui alla reggia, e le più piccole potranno crescere assieme ai figli delle nostre ancelle. Tu invece, diverrai responsabile delle voliere della Regina…”
Il volto gli si oscurò, ed un sorriso triste gli aleggiò sul volto bellissimo dai lineamenti eleganti, ricambiando lo sguardo sbalordito di Myo, che evidentemente non aveva considerato che il suo gesto istintivo avrebbe potuto fare la fortuna della sua famiglia.
Il pensiero di Tarabas corse alle grandi gabbie che, al centro dei giardini reali, ospitavano pappagalli, pavoni, uccelli del paradiso ed altre bellissime specie alate…e sospirò, sopraffatto dai propri ricordi.
“Angelica…se ne è sempre occupata personalmente…ma ora i suoi piccoli amici piumati sono molto trascurati…e ne soffrono. Cercavo da tempo una persona fidata che potesse occuparsi di loro…almeno fino al suo risveglio…ma anche dopo. Molti sono i doveri di una sovrana, e la mia sposa si è spesso lamentata di non riuscire più a dare ai suoi uccellini le attenzioni di quando era solo una principessa… Sono certo che, quando saprà che te ne occupi tu, ne sarà felice.”
 
“Fate attenzione Sire… La ragazzina dice la verità…le Melusine sono creature antichissime…antiche quanto il mondo…e non sapevo che ne esistessero ancora sulle terre emerse… Molte hanno raggiunto le sirene, con le quali condividono parte della loro natura, nelle acque del mare…allontanandosi dal mondo degli uomini. Siate cauto, se davvero avrete modo di avvicinare uno di questi esseri… Sono subdole e capricciose, ed è molto facile cadere nei loro tranelli…”
Tarabas tirò le redini di Negromante, il suo cavallo, quando all’orizzonte iniziò a delinearsi il profilo di alcune case a forma di cono, fatte di sassi uniti tra loro con calce candida.
Ripensava alle parole dell’indovino di corte, al quale aveva chiesto ragione del racconto della ragazzina che era giunta a Palazzo…e che gli aveva confermato l’esistenza di quelle creature leggendarie delle quali, a quanto pareva, un’esponente ancora risiedeva nei loro territori.
Re Thor non era parso affatto felice della sua decisione di seguire la bambina in quella regione così remota…ed aveva ignorato la piccola suddita, limitandosi a dare il consenso per la sua partenza.
Non sarebbe stato necessario chiederglielo, Tarabas lo sapeva, ma era convinto che fosse giusto far capire al popolo che il parere del vecchio Re era ancora tenuto in grande considerazione, soprattutto perché, fino al suo ritorno, sarebbe stato lui, a reggere il peso del comando.
Viaggiavano oramai da due giorni interi, ed il giovane sovrano aveva fatto fare delle brevi soste solo per riposare i cavalli…il che voleva dire che la piccola Myo doveva aver camminato almeno quattro giorni, e di buon passo, per giungere a Palazzo…
Non era mai stato al Lago di Pietra, ma ricordava che Angelica gliene aveva parlato, una volta o due…sebbene lei, nominandogli quella zona, l’avesse definita un sito privo di insediamenti umani.
Il lago stesso, lo aveva descritto come una sorta di antica sorgente termale…ma senza scendere nei dettagli…limitandosi a dire che sua madre, quando era incinta di Rufus, vi si recava spesso sulla portantina per cercare sollievo ai dolori provocati da quella gravidanza difficile.
Poiché la regina era morta comunque, una volta nato il bambino, il Re si era rifiutato di tornare in quei luoghi…e per Angelica, che allora era solo una bambina di quattro anni, il Lago di Pietra aveva assunto i contorni indistinti del mito.
Era una delle province al limite estremo del loro Regno, al punto che persino il lago non apparteneva del tutto al territorio della Pagoda d’Oro…a metà delle sue acque, infatti, cominciava una delle tante terre sperdute…che si estendeva fino alle Montagne Oscure…ove si sussurrava vivessero creature spaventose…e verso le quali nessuno si avventurava mai.
Non sapeva se quella parte di territorio appartenesse ad un qualche regnante…non c’erano terre coltivate ed era perlopiù disabitato…di conseguenza, il Lago di Pietra svolgeva praticamente il ruolo di confine…e non c’era pertanto da sorprendersi se quella zona non avesse ancora beneficiato degli aiuti che i giovani regnanti avevano iniziato a distribuire una volta saliti al trono.
Da che potesse rammentare, nessun esponente del villaggio era mai giunto alla reggia, prima di Myo…e quando entrò nel minuscolo agglomerato di costruzioni bianche come la neve, iniziò a sospettare il perché…
Mentre il piccolo manipolo di soldati faceva il suo ingresso tra le povere case infatti, solo donne, vecchi e bambini fecero capolino dalle porte…era quindi palese che fossero decisamente pochi gli abitanti che avrebbero potuto affrontare un viaggio così lungo…di conseguenza, Myo era stata davvero coraggiosa, a tentare l’impresa da sola.
Tarabas girò gli occhi attorno a sé, costernato…
La gente era silenziosa, addirittura ostile…e nemmeno la comparsa di Myo riusciva a stemperare l’atmosfera carica di tensione.
Persuaso del fatto che fosse meglio apparire meno…regale, Tarabas scese dalla propria cavalcatura, e si avvicinò ad un uomo molto anziano, che stava dritto sulla porta della casa al centro dello spiazzo intorno al quale erano radunate, come in un cerchio perfetto, tutte le altre.
“Madre….!”
Spezzando il silenzio quasi irreale, Myo scivolò sul fianco del piccolo pony che l’aveva trasportata fino a quel momento, correndo incontro ad una donna circondata da tre o quattro bambine, tutte molto somiglianti a lei…stessi capelli neri e lisci…stessi occhi a mandorla scuri e luminosi.
L’uomo che doveva essere il capo villaggio osservò con un debole sorriso la donna che accoglieva sua figlia tra le braccia, ma subito dopo si girò a guardare lui…ed il suo sorriso svanì.
Tarabas gli andò incontro, tenendo Negromante per la cavezza.
“Salve…io sono…”
Il vecchio lo interruppe con un cenno secco della mano.
“So perfettamente chi siete, Re Tarabas…e so cosa cercate…”
Sconcertato da quell’atteggiamento così freddo, quando in genere nei villaggi il popolo lo accoglieva con gioia ed entusiasmo, Tarabas si guardò ancora attorno, stranito e confuso…
Le case davano l’idea di essere state molto belle, un tempo…e statue bianchissime di animali, scolpite con notevole maestria, adornavano i lati delle porte…i tetti delle costruzioni erano di pietra nera, che creava un piacevole contrasto con il candore dominante…
Tuttavia, l’intero scenario recava i segni evidenti dell’abbandono…ed il bianco accecante pareva inghiottire la luce, anziché rifletterla…tornò perciò a rivolgersi al vecchio decano, perplesso.
“Perché…perché questo villaggio è così…così silenzioso…e tetro?”
L’anziano chinò brevemente il capo, indicando poi il lago che si stendeva, pacifico ed immobile, davanti a loro.
“Il nostro villaggio…era un tempo prospero e felice… La gente di tutto il regno veniva qui ad estrarre la calce che serviva per rendere candidi i muri dei palazzi più importanti del Paese…e le acque del lago erano rinomate per le loro proprietà medicinali… La terra era fertile…e ci permetteva di vivere con dignità…ed i nostri artigiani erano conosciuti ed apprezzati in ogni angolo del reame…”
Il viso rugoso dell’uomo si indurì, e gli occhi già sottili divennero due fessure nel ricordare la tragedia che aveva distrutto le loro vite per sempre…
“Poi…la regina morì…dando alla luce quel bambino che molti definivano maledetto dagli Dei…ed alcuni dissero che erano state le nostre acque a provocare quella disgrazia… Tuttavia, molti ancora venivano da noi…se non altro per la calce e per i nostri prodotti…anche se nessuno di loro osava più avvicinarsi al lago… Ed un giorno…un giorno che non potrò mai dimenticare…il vento nero devastò le nostre terre…uccise i nostri uomini…tra cui mio figlio… Il demone della pestilenza infettò il lago…e la malattia si diffuse tra la gente del villaggio… Si sparse la voce che questo luogo era avvelenato, corrotto, maledetto…ed i nostri abitanti non poterono neppure chiedere aiuto ai villaggi vicini, perché ne venivano scacciati a sassate… Coloro che si salvarono, si rivolsero disperati a colei che cercate… Fu lei ad aiutarci a sopravvivere…a spiegarci come sanare l’acqua della fonte che alimenta il lago…ed a salvare i pochi superstiti… Ma oramai le voci che definivano queste terre foriere di morte avevano fatto il giro del Regno…nessuno venne più qui…e la nostra gente continuò ad essere guardata con sospetto… Alla fine, nessuno di noi si è più voluto allontanare dal cerchio delle case…e ci siamo adattati a vivere separati dal mondo esterno. A poco a poco, il nostro villaggio è stato dimenticato…”
Alzò il volto segnato dagli anni sul suo, ancora giovane e bello, trapassandolo con un’occhiata simile alla punta di una spada.
“Ho sentito molte voci su di voi, Re Tarabas…e so che siete un uomo giusto… Ma troppa è stata la sofferenza che abbiamo patito a causa del Re Thor…quando in quel tempo di disgrazia e di morte preferì chiudersi nella sua Reggia, ignorando le grida disperate di coloro che soffrivano…che morivano. Se fino ad oggi non siamo mai venuti a palazzo, è stato perché, oltre a non avere molti di noi la forza fisica necessaria per affrontare un viaggio tanto impervio e difficoltoso, temevamo che, sapendo da dove provenivamo, la gente ci avrebbe trattato ancora come appestati. Ora ci chiediamo se, una volta ottenuto ciò che cercate, anche voi vi dimenticherete di nuovo di noi…”
Tarabas tese una mano, scuotendo la testa e facendo ondeggiare i lunghi capelli scuri e lisci.
Con gentile fermezza, afferrò la spalla del vecchio, stringendogliela forte.
“Non accadrà…ve lo giuro…”
Annuì, sporgendosi verso di lui.
“Ascoltate…ho portato provviste per la vostra gente…e vi assicuro che né io né la regina, sapevamo alcunché delle vostre condizioni tanto tremende… Sono ancora molte le cose delle quali sono all’oscuro, come sovrano, ma ho sempre cercato di portare tutto l’aiuto possibile…ovunque fosse necessario. Se anche la mia ricerca non dovesse rivelarsi…risolutiva…vi garantisco sin d’ora che verrà fatto tutto il necessario perché questo villaggio ritorni all’antico splendore… Vi do la mia parola d’onore…e ringrazio Myo per essere venuta alla reggia… Con il suo coraggio, mi ha permesso di venire a conoscenza della vostra situazione…e di porvi rimedio…”
Il capo villaggio lo scrutò a lungo, e l’ombra di un sorriso gli balenò tra le rughe profondamente incise dagli anni, accompagnato da un movimento impercettibile del collo ossuto.
“E sia…Re Tarabas…avete la nostra fiducia… Quando ho scoperto che Myo era scappata, ho temuto per la sua vita…ma più di tutto ho temuto che sareste venuto qui soltanto in cerca di ciò che vi serviva…ignorando la nostra gente…”
Tarabas fece un nuovo gesto di diniego, deciso…quelle persone avevano sofferto indicibilmente, a causa dell’essere che lui avrebbe dovuto chiamare padre…ed avrebbe fatto il possibile, per rimediare a quell’ingiustizia.
Per sé stesso…e per la sua sposa che dormiva il proprio sonno incantato…
“La vostra gente…è la mia gente. Ho giurato alla mia regina di essere un buon re…e di espiare il male che ho fatto nella mia vita passata rendendo felici i sudditi del Regno che lei, sposandomi, mi ha affidato. Non dovrete più soffrire…mai più.”
Il sorriso del vecchio si ampliò, e l’uomo annuì, facendo un gesto in direzione delle persone che ancora stavano assiepate lungo i muri delle case.
“Voglio credervi…”
A quelle parole, gli abitanti del villaggio parvero rasserenarsi…e tanti di loro si avvicinarono al carro che portava i viveri…Tarabas lanciò un’occhiata al capo delle guardie, e l’uomo iniziò la distribuzione delle forme di formaggio, di pane, della carne sotto sale e degli otri di vino speziato…
Ben presto, i sorrisi e le risate sostituirono le espressioni corrucciate e diffidenti…ed il vecchio si rivolse a Myo, che dopo aver abbracciato sua madre, era tornata accanto al giovane monarca.
“Avevo giurato a tua madre che se fossi tornata, ti avrei frustata per la tua incoscienza… Ma ora so che hai agito bene…e che gli Dei devono averti illuminata, coraggiosa Myo… Conduci quindi il nostro sovrano ove risiede la nostra protettrice…ma lascia che sia lui, a parlare con lei… Non intrometterti…è una prova che Re Tarabas deve affrontare da solo…”
Accarezzò i lunghi capelli neri della ragazzina, poi si rivolse di nuovo a Tarabas, gli occhi antichi divenuti ora seri e guardinghi.
“Ricordate che colei che cercate è una creatura antica e potente…e che la grotta che ha eletto a sua dimora non è entro i vostri confini…quindi ella non vi deve alcuna obbedienza. Il padre del Re Thor provocò la sua collera, un tempo…per questo si disse che queste acque avevano ucciso la regina e deformato il bimbo che portava in grembo. Sono menzogne, ma ciò non significa che la Melusina non sarebbe stata in grado di fare quanto si racconta… Conosco il vostro passato, Re Tarabas…tutti sanno del vostro esilio sulle Colline Blu, quando avete abbandonato la via del male, prima che l’amore della Principessa Angelica, ora nostra regina, vi conducesse al trono. Voi un tempo eravate potente…ma lei lo era già assai più di voi. Adesso, la vostra magia è debole…prestate quindi molta attenzione…poiché la Melusina non conosce la pietà…ma solo la saggezza…”
E senza attendere risposta, rientrò nella sua casetta di pietre bianche, dopo aver lanciato un ultimo sguardo, forse commosso, alla gente festante…
 
Myo aveva fatto lasciare i cavalli al villaggio, ed aveva condotto Tarabas, scortato da due guardie, lungo la sponda del lago, facendogli percorrere a piedi buona parte della riva sassosa.
Trascorsa circa un’ora, la ragazzina si addentrò in un punto ove, sempre costeggiando l’acqua limpida, la vegetazione si infittiva…e poco dopo, l’apertura di una caverna comparve davanti agli occhi sorpresi del giovane, che si appressò al suo ingresso.
“E’ qui…?”
Lei annuì, tranquilla.
“Si, sire…venite, vi faccio strada…”
Entrarono, facendo attenzione a non scivolare sulle rocce rese sdrucciolevoli dall’umidità, guidati dalle torce che i due soldati avevano acceso per illuminare il cammino.
Ad un certo punto, il piccolo sentiero all’interno di quell’antro misterioso si inclinò, sprofondando nel sottosuolo…
Scesero ancora, in un’oscurità sempre più fitta…ed alla fine di quella lunga discesa, Tarabas si ritrovò in una sorta di ampia sala, dove stalattiti e stalagmiti decoravano l’ambiente come sculture senza tempo…e dove un lago sotterraneo, quieto e cristallino, faceva filtrare la luce che, attraverso un canale nascosto, doveva probabilmente giungere dall’esterno, rischiarando quel luogo arcano.
Improvvisamente, un boato scosse la terra sotto i loro piedi, ed un rumore simile a quello dei sonagli di un serpente si diffuse, echeggiando, nell’ambiente sino a quel momento silenzioso.
“Chi osa profanare questo luogo…?!”
 




Nota Autrice:
Ciao a tutti!
Allora, come avete visto...e letto...il nostro Tarabas inizia, a piccoli passi...ad avvicinarsi alla verità...
Cosa avrà da dirgli la Melusina?
Bè...c'è ancora un capitolo da leggere!
Buona Lettura!

Strega1981 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3_La Rivelazione. ***


Capitolo 3_La Rivelazione.

Tarabas si guardò attorno, cercando la fonte di quella voce…una voce femminile…vibrante di potere.
Poiché nessuno rivendicava quelle parole minacciose, il giovane parlò con tono alto e chiaro, guardando alle rocce dall’altra parte del laghetto…mentre Myo, scossa da un lieve tremito, si nascondeva dietro al suo mantello.
“Perdonateci mia signora…vi prego… Sono venuto a domandare il vostro aiuto…”
Prima che potesse parlare ancora, un nuovo tremore fece scuotere la terra…e da una sporgenza posta proprio sopra il livello dell’acqua, spuntò un busto di donna.
Tarabas la guardò, sorpreso da quell’inattesa apparizione.
Era lei la Melusina?
No…non era possibile…quella ragazza poteva avere vent’anni…ma forse anche meno…eppure, la voce stessa che aveva parlato poco prima era molto giovane.
La scrutò quindi, restando in guardia…nel sospetto che quell’ingannevole innocenza potesse celare ben altro.
Era indubbiamente bellissima…i suoi lunghi capelli neri, lisci, erano lasciati sciolti sulle spalle…e le scendevano fino al seno turgido e completamente nudo, celandolo allo sguardo di chi aveva l’ardire di invocarla…la pelle era diafana e delicata, con una lucentezza di perla…il busto era armonioso…il ventre liscio e piatto, tipico di una donna giovane che non aveva ancora affrontato gravidanze…l’ombelico una minuscola conchiglia al centro della O immacolata disegnata dai muscoli tesi…
Il volto, simile a quello di una statua troppo bella per essere specchio della realtà, era un ovale perfetto, con le guance finemente cesellate e le labbra rosse come lamponi appena colti…le sopracciglia disegnavano un arco impeccabile…le ciglia, lunghe ed arcuate, scintillavano come seta…e soltanto gli occhi, gialli e magnetici, benché ammalianti, tradivano la sua natura quasi certamente non umana.
Trovandosi davanti una creatura di una bellezza tanto abbagliante e selvaggiamente provocante, Tarabas fu certo che qualsiasi uomo, vedendola, sarebbe stato assalito dalla lussuria…tuttavia, quel po’ di magia che ancora scorreva nel suo sangue lo avvertì di un pericolo sottile ma imminente…impedendogli di provare il benché minimo desiderio di lei…ed anzi avvertendolo che quell’incantevole sembianza era la prima trappola per coloro che si avventuravano in quella grotta alla sua ricerca.
Un movimento alle sue spalle lo allertò, e come conferma ai propri sospetti, vide una delle guardie che, con gli occhi sgranati e le mani già tese dalla bramosia di quel corpo all’apparenza così sfacciatamente esposto, avanzava d’un passo in direzione dell’acqua.
“Fermo…!”
Richiamato da quell’ordine perentorio che rimbombò per qualche istante sulle pareti di pietra chiara e lucida, il soldato parve riaversi…e Tarabas lo guardò con disapprovazione, scuotendo piano la testa.
“Solo uno sciocco penserebbe di poter possedere questa donna… Colei che ci osserva non è una creatura umana…è un essere magico che deve essere rispettato… Indietro, soldato…subito.”
L’ordine non avrebbe potuto essere più spaventoso se fosse stato urlato, poiché il semplice tono minaccioso di Tarabas, accompagnato da una sua occhiata furente, bastava a ricordare a chiunque chi fosse stato un tempo il loro amato sovrano…e l’uomo indietreggiò, tremando.
Nessuno aveva dimenticato i racconti sulla sua crudeltà, e l’amore che la gente provava per lui era pari solo al terrore che quel ricordo incuteva loro, assicurandogli il rispetto imperituro dei sudditi.
Erano molte, infatti, le persone del popolo che credevano che, se provocata, la sua magia avrebbe ancora potuto scatenarsi, distruggendo qualsiasi cosa si fosse parata sul suo cammino…e Tarabas, pur non amando quelle dicerie, non le scoraggiava…poiché un re non era tale, se non incuteva almeno un poco di timore a coloro che governava.
Una lieve risata lo riscosse dai propri pensieri, facendolo voltare di nuovo in direzione di quella ragazza misteriosa…e davanti al suo sguardo sbalordito, la figura emerse dalle rocce, chinando il capo in un gesto accondiscendente…rivelando una lunga coda di serpente, con dei sonagli all’estremità, ove un’altra donna avrebbe avuto le gambe…ed il sesso.
“Molto bene, Re Tarabas…davvero molto…molto bene…”
La Melusina sciolse le proprie spire, strisciando verso di lui con la schiena eretta…sorridendo compiaciuta ed evidentemente divertita dalla sua espressione sconvolta.
“Oh si…so chi siete…”
Assentì, incrociando le braccia sul busto candido.
“Le stelle mi avevano avvisata della vostra nascita…a suo tempo…ed il vento mi ha raccontato della vostra redenzione… So bene perché siete qui… Datemi quindi il mio compenso…acciocché io possa pronunciarmi…”
Tarabas sussultò, sentendosi impietrire a quelle parole…ma fu Myo, superando la paura, a farsi avanti.
“Scusate…mia signora…a me non avete chiesto…non mi avete chiesto di pagare…”
La Melusina bloccò la sua protesta zittendola con un’occhiata feroce, gli occhi gialli che balenavano di fiamme verdi e rosse.
“Tu hai pagato…piccola Myo…cercando personalmente le erbe con le quali hai guarito tua sorella… Hai percorso le campagne, senza mangiare né bere…per due interi giorni…fino a che non hai trovato ciò che ti occorreva. Forse nemmeno te ne sei resa conto, e non importa. Il tuo impegno e la tua generosità sono state la moneta con cui hai pagato il mio intervento…ma Re Tarabas mi chiede molto più che un semplice farmaco…”
Riprese a guardare l’uomo che un tempo era stato un mago temuto da tutto il mondo dei mortali e degli immortali…ed le sue iridi di serpente scintillarono d’astuzia.
“Voi mi chiedete due vite, Re Tarabas…quindi, dovreste sapere quale prezzo potrebbe essere…adeguato…per ottemperare ad una simile richiesta…”
Il giovane sovrano percepì il proprio sangue ghiacciarglisi nelle vene, mentre il suo cervello lavorava freneticamente nel cercare di comprendere quale fosse la reale richiesta della pitonessa.
Due vite…aveva detto…e la sua conoscenza della magia…per quanto tentasse di ricordare l’eventuale esistenza di soluzioni alternative…gli rammentava che in genere…una vita…si pagava solamente con un’altra vita…
Senza che la sua volontà glielo avesse ordinato in modo diretto, Tarabas si volse lentamente a guardare alle proprie spalle…dove i due armigeri ancora attendevano ordini…i volti terrei chini per resistere alla tentazione di fissare con desiderio la bellissima creatura che continuava a dondolare, tentatrice, davanti a loro nella sua provocante nudità.
Proprio in quell’istante però, la risata della Melusina tornò a distrarlo, inducendolo a voltarsi verso di lei.
“Oh no…non è così semplice…la vita di un figlio vale molto di più, mio giovane re…”
Gli occhi verdi dell’antico mago tremarono, percependo più acutamente la presenza della piccola Myo che ancora si nascondeva dietro il suo mantello…
La vita di un figlio…di un bambino…nel mondo magico aveva un valore immenso….una vita innocente…innocente come quella della ragazzina coraggiosa che aveva rischiato la propria esistenza per avvisarlo della sola speranza che poteva rappresentare la salvezza di sua moglie…e di suo figlio.
Un’immagine che non avrebbe mai voluto ricordare si formò, per un istante, nella sua mente…l’immagine del sé stesso di un tempo…del demone che avrebbe sacrificato senza ripensamento alcuno la vita di quegli uomini…e di quella bambina.
E la cosa più orrenda, di quell’immagine ormai così remota eppure vividissima e crudelmente reale, fu la tentazione che lo pervase, in un orribile attimo di disperazione, di tornare ad essere, anche solo per poco tempo, quel mostro…quell’essere privo di anima che poteva compiere l’inenarrabile…come rapire i figli dei re…come uccidere una ragazzina buona e generosa…per il proprio interesse…anche se il suo interesse, era colei che gli aveva insegnato la gioia di essere amato…e la creatura che portava in seno…il frutto del loro amore.
Pensò a Myo…che aveva perso suo padre, per colpa di Darken…l’uomo che lo aveva generato…
Pensò alla piccola Esmeralda, la figlia adottiva di Fantaghirò, che aveva perso i genitori quando lui cercava il bambino destinato a sconfiggerlo…
E pensò al popolo di Angelica…quel popolo che ora lo chiamava Re…ed a tutte le sofferenze che aveva dovuto patire…quando i tre cavalieri oscuri scatenati da Darken avevano portato in ogni dove il vento nero
A causa di quel vento di morte, Fantaghirò aveva rischiato di perdere tutto ciò che aveva…interi regni avevano patito la carestia, la fame, il dolore…Rufus era morto…ed era morta Xellesia, sua madre.
E tutto quel male…tutta quella morte…erano stati causati dal semplice fatto che lui fosse nato…secoli prima…da quell’essere malvagio che avrebbe dovuto chiamare padre
Spalancò gli occhi, inorridito, mettendo protettivamente un braccio attorno alle spalle della piccola Myo, ed avanzando di qualche passo in direzione della pitonessa che, dritta e fiera, ancora aspettava la sua risposta.
No!
Non voleva essere il mostro!
Non sarebbe tornato il demone di quel tempo maledetto!
Angelica…la sua dolce Angelica…la donna che già nel suo aspetto di demone aveva deciso che lo avrebbe amato…ma che con il proprio amore era riuscita a sconfiggere l’ultimo singulto di malvagità che lo pervadeva…regalandogli un nuovo avvenire di luce.
Lei…lei avrebbe saputo perdonarlo, se anche si fosse lasciato vincere dal male…lei che lo aveva amato anche quando il suo nome era legato all’oscurità che lo aveva generato…lei che aveva saputo amarlo già allora…quando sapeva ciò di cui era stato capace un tempo.
Ma lui, rompendo il giuramento che aveva fatto a lei ed al loro figlio ancora non nato…sarebbe stato capace di perdonare sé stesso?
Sarebbe stato in grado di tornare al bene…quel bene con il quale pensava di aver cancellato il proprio passato…quando il male lo avesse nuovamente contaminato…seppure per il desiderio di salvare coloro che più amava nella sua nuova, sofferta esistenza di mortale?
No…non sarebbe tornato al male a cui la sua nascita lo aveva condannato…e se era una vita, quella che la pitonessa desiderava, non sarebbe stata di quegli innocenti…e di certo non quella di Myo.
Cadde in ginocchio davanti all’essere magico che dondolava superbamente davanti a lui, e raschiò con le mani la sabbia impalpabile che circondava il piccolo lago sotterraneo, alzando verso di lei quegli stessi occhi un tempo alteri, in cui invece ora brillavano le lacrime.
“Mia signora…io non ho nulla con cui pagare…se non con la vita. Io so che vi sarebbero vite molto più degne della mia…con le quali ricambiare all’aiuto che invoco da voi…”
Chinò il capo, disperato…ma anche deciso come mai era stato prima di allora.
“…ma ho giurato a me stesso…ed alla mia sposa…ed al mio popolo…che il male su cui un tempo ho regnato sarebbe scomparso per sempre dal mio cuore…e che non mi avrebbe mai più soggiogato…mai…nemmeno per salvare…quanto ho di più caro.”
Scosse la testa, guardando la sabbia fine, simile a polvere dorata, quasi nella speranza di potervi leggere quello che sarebbe stato il suo destino.
“Non potrei mai…mai più guardare il volto della donna che amo…oppure gli occhi di mio figlio…sapendo di aver sacrificato per loro delle vite innocenti…vite che non mi appartengono e sulle quali non ho alcun diritto…”
Tornò a fissarla, le guance ormai inondate dall’agonia che gli dilaniava il petto, nel terrore di ciò che il rifiuto della Melusina avrebbe potuto significare.
“Già troppe vite sono andate perdute, per il solo fatto che io sia esistito… Pertanto mia signora, se è una vita che volete, per salvare Angelica e mio figlio…allora prendete la mia. So che non vale quello che vi chiedo…ma è tutto ciò che ho…e l’unica cosa che mi appartenga davvero. Per il resto…io non sono un re…sono un servo del mio popolo…e non posso chiedere nulla a nessuno dei miei sudditi…se non il perdono per il male che ho compiuto…”
Ormai svuotato, Tarabas abbassò il volto, stringendo le palpebre per trattenere le altre lacrime, brucianti, che minacciavano di far crollare la sua determinazione.
Sentiva su di sé lo sguardo immobile dell’essere magico, ed un silenzio di tomba, nel quale echeggiarono le sue ultime parole, si dilatò tra le pareti di pietra della grotta sotterranea.
Il silenzio durò a lungo, e Tarabas già si aspettava di vedere le spire della pitonessa allontanarsi in un tacito rifiuto…o di udire la sua risata sprezzante prendersi gioco di lui…
Invece, dopo un tempo che al giovane parve eterno, la coda della Melusina si avvicinò al suo volto…una delle sezioni più sottili…quasi l’estremità ove stavano quei sonagli in grado di scuotere la terra…e sfiorandolo proprio sotto gli occhi, la pelle squamosa raccolse due grosse e scintillanti lacrime, simili a pietre preziose, che rilucevano nella luce fioca della caverna.
Confuso, seguì il movimento della coda, fino a che il suo sguardo non incrociò di nuovo quello della Melusina…ed il suo viso bellissimo, adesso, era rischiarato da un dolce sorriso.
La pitonessa scosse piano il capo, facendo dondolare le lunghe ciocche corvine mentre raccoglieva le lacrime nel palmo della mano.
“Alzatevi in piedi Re Tarabas…nessuna vita, oggi, dovrà essere sacrificata…”
Davanti ai suoi occhi stupefatti, la creatura magica strinse le due lacrime nel pugno, e quando le sue dita si riaprirono, due diamanti avevano preso il loro posto…due schegge di luce che la Melusina, sempre sorridendo, si portò alle orecchie, alle quali rimasero magicamente appese, illuminando la sua pelle di perla come fiamme trasparenti.
Annuì, compiaciuta e meno altera di quanto fosse stata fino a quel momento.
“Non c’è cosa che valga di più, del bene che sconfigge il male. Malgrado esso si agiti ancora nel vostro cuore, la vostra bontà ed il vostro desiderio di bene riescono a tenerlo incatenato in fondo alla vostra anima. Nella mia lunga esistenza, ho visto tante volte il male convertirsi in bene…ma mai, ho visto un’anima destinata alla malvagità mutare quanto la vostra. L’amore vi ha cambiato Re Tarabas…l’amore che avete conosciuto e che avete scoperto di poter provare. Queste lacrime, che voi avete stillato nel dolore di una scelta che un tempo avreste compiuto senza alcun rimorso e che oggi vi inorridisce, e nella vostra richiesta di sacrificare la vostra vita, per coloro che amate, senza nemmeno sapere se sarebbe servita o bastata, ne sono la prova. Non c’è tesoro più grande, mio signore…nessun pagamento, potrebbe essere più degno di questo.”
Chinò lievemente il capo, nel primo gesto rispettoso che avesse fatto da quando avevano messo piede nella caverna.
“Vi aiuterò con piacere, Re Tarabas, ma sappiate che io stessa posso fare molto poco, se non indicarvi la via da percorrere…”
Alzandosi in piedi, Tarabas sbatté le palpebre, sconcertato.
“Come…voi non potete…?”
La pitonessa agitò nuovamente la testa in un cenno di diniego, ma il suo dispiacere era così evidente che l’uomo, pur avvertendo lo sconforto fare di nuovo capolino nel proprio cuore colmo di pena e di tormento, se ne sentì rinfrancato.
“No Re Tarabas…purtroppo, non c’è cura per sanare ciò che ha colpito la vostra sposa ed il vostro bambino… La risposta a ciò che cercate, non posso darvela io…essa è già dentro di voi…”
Tarabas sentì il proprio volto passare dallo sconforto allo stupore più assoluto, e la Melusina se ne dovette accorgere, perché un sorriso blandamente divertito le curvò le labbra rosse come ciliegie, e la creatura si erse in tutta la propria fierezza, torreggiando su di lui.
La sua bella voce, fino a quel momento bassa e musicale, divenne ora perentoria e solenne, rimbalzando ed echeggiando nello spazio ridondante della grotta ove aveva la propria dimora.
“Re Tarabas…ascoltate la mia profezia ed il mio giudizio. La notte della vostra nascita, una legge magica venne infranta senza che colui che compì questo atto scellerato ne avesse alcun diritto. La legge che venne infranta è la legge più importante del nostro mondo…la legge dell’equilibrio. Senza di essa, la natura stessa non avrebbe modo di esistere…”
Tarabas assentì, costernato, soppesando quelle parole misteriose…e la Melusina proseguì.
“In base a questa legge, ogni essere mortale oppure immortale ha il diritto di poter scegliere liberamente tra il bene ed il male. A voi questo diritto fu negato, e fu posta su voi la maledizione che vi condannava all’odio eterno, ed al rifiuto imperituro del bene. Con più forza e più coraggio di quelli che avrebbe potuto dimostrare ogni altro essere di questo mondo, voi avete annullato questa maledizione…la stessa che vi obbligava a trasformarvi in mostro, ed a divorare l’oggetto del vostro amore. Essa è stata piegata…ma non ha smesso di tormentarvi. Ed ora, la bestia che voi pensavate di aver sconfitto sta divorando dall’interno, attraverso il vostro sangue, vostro figlio…e con esso la vostra sposa.”
Tarabas avvertì le proprie gambe piegarsi, sotto il peso immane di quella rivelazione, nella consapevolezza che ciò che aveva sospettato sin dal primo momento era vero…e che non c’era alcun modo…per salvare le due creature che più amava.
Tremò, sporgendosi verso la pitonessa, disperato ed impotente.
“Vi prego…ditemi che c’è speranza…fosse anche la mia vita…dovessi uccidermi ora, qui, davanti a voi… Mia signora, vi supplico, ditemi che c’è speranza…”
Sopra di lui, la Melusina annuì impercettibilmente, il volto severo ed immobile.
“Si Re Tarabas…la speranza c’è…ma è dentro di voi…e nel vostro passato…”
Prima che lui potesse domandare ancora, lei riprese a parlare.
“Quando voi nasceste, come per ogni creatura, bene e male erano dentro di voi… In seguito alla maledizione pronunciata da vostro padre, il mago Darken, il bene che vi portavate dentro fu incatenato, affinché non potesse nuocere al destino che egli aveva deciso per colui che riteneva il proprio erede. Ora voi avete incatenato anche il male, ma il bene non è ancora libero di agire, in voi…esso riesce ad agire solo tramite i vostri gesti e la vostra volontà, e non è abbastanza. Ed il male, che voi avete solo tacitato, agisce ancora attraverso il vostro sangue, ove il bene non può arrivare.”
Sospirò, alzando le braccia in un gesto imperioso.
“Voi dovete liberare il bene che è dentro di voi…riequilibrando il male. La magia che credevate perduta, e che ancora invece vi pulsa nelle vene, è in realtà solamente inibita da questa lotta che il vostro corpo sta affrontando…con un male che non si rassegna alla sconfitta ed un bene che non riesce a liberarsi dalle sue antiche catene. Un conflitto che vi sta fiaccando, ogni giorno di più, e che ha indebolito la vostra magia che sarebbe ancora potente come un tempo…anzi molto più potente di allora, perché non c’è potere più grande di quello in cui agiscono bene e male presenti in ugual misura. Un potere che, grazie alla vostra ascendenza, non avrebbe rivali in questo mondo…e che sarebbe più che sufficiente per salvare vostro figlio e la Regina Angelica.”
Sorrise al suo sguardo stupito…poiché Tarabas, da molte lune, aveva pensato che ormai la magia in lui si stesse esaurendo…
Il giovane scosse il capo, sempre più confuso.
“Voi…cosa volete dire…? La mia magia…”
Lei lo zittì con un movimento perentorio della mano.
“La vostra magia, come ho detto, è ancora forte…ma è indebolita dal vostro conflitto interiore. Un tempo, quando era potente, lo era perché voi non vi ponevate domande…ma è bastata la prima di molte domande a far vacillare il vostro potere…un potere che attingeva solo al lato malvagio. Se poteste attingere al vostro lato benigno, evitando così la continua lotta con il male che si agita in voi, essa risorgerebbe ancora più forte di quanto non sia mai stata.”
Tarabas deglutì, senza capire.
“Ma io…come posso fare…come posso sconfiggere la maledizione che incatena il bene che ho nel cuore…se la mia volontà non è stata sufficiente a farlo?”
La Melusina sorrise, comprensiva.
“La vostra speranza di sconfiggere il vostro lato malvagio, sta nella vostra nascita…e nel lato migliore di voi, che ancora non conoscete…”
La pitonessa avvolse le proprie spire, osservandolo compiaciuta, come se potesse vedere, a differenza di coloro che erano presenti in quella grotta, incluso lui, molto più lontano…e probabilmente era così.
“Re Tarabas…quando voi nasceste…qualcos’altro nacque assieme a voi. Qualcosa che vi fu impedito di conoscere…e che fu invece serbato da vostra madre, la strega Xellesia, per darvi la speranza, un domani, di riprendervi ciò che vi era stato tolto. Con grande sacrificio, vostra madre riuscì a mettere in salvo questa preziosa parte di voi… Ora, poiché essa ha ancora in sé la magia originale che vi ha generati, non contaminata dalla maledizione che vi condannò quando eravate ancora in fasce, questa vostra parte perduta potrà aiutarvi a riequilibrare la magia che è in voi, liberando il lato benigno affinché quello malvagio smetta di agitarsi nel vostro animo. Ritrovatela…e con essa ritroverete la magia che vi permetterà di salvare coloro che amate. Ma attenzione…sarà un lungo viaggio quello che dovrete compiere…e dovrete farlo solo con coloro di cui avete piena fiducia…perché è un viaggio che non potete affrontare da solo. Molti saranno gli inganni che incontrerete sulla vostra strada…e molte le risposte che non potreste trovare, se non con il giusto aiuto. E ricordate…dovrete farcela prima che la vostra regina finisca il tempo. Se vostro figlio nascerà prima che il male sia stato sconfitto per sempre, esso gli ruberà la vita…e con essa…anche quella di sua madre.”
La creatura magica, piegando la testa in segno di saluto, fece per andarsene…come se avesse ultimato la profezia…ma Tarabas si sporse ancora verso di lei, cercando confusamente di dare un senso a quelle parole sibilline e misteriose che non gli avevano dato, in realtà, risposta alcuna.
“Mia signora! Come posso trovare ciò che dite…?! Da dove devo cominciare…!?”
La pitonessa strisciò in silenzio fino all’acqua, poi lo guardò al di sopra della propria spalla, muovendo appena i lunghi capelli neri.
“Recatevi al luogo ove sono custodite le cose non dette…il vostro viaggio inizia lì…”
E senza dargli tempo di porre altre domande, la Melusina emise un grido e si gettò nell’acqua, scomparendo per sempre alla sua vista, e lasciando dietro di sé solo i cerchi concentrici sul liquido cristallino…




Nota Autrice:
Bene...questo è l'ultimo capitolo del post...
Quindi, una nuova domandina...
Con chi affronterà il viaggio, il nostro Tarabas?
E dove dovrà recarsi, per trovare le prime risposte?
Attendo i vostri riscontri su questa nuova storia...e nel frattempo vi mando un abbraccio!
A presto (spero)!

Strega1981

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Capitolo 5
*** Capitolo 4_Miride. ***


Capitolo 4_Miride.

Il pennello scorreva sulla tela, tracciando la linea ricciuta di una ciocca di capelli chiari.
La ragazza dalla chioma bionda, seduta su un masso piatto sulla spiaggia, dipingeva in silenzio, con il solo rumore del mare a farle compagnia.
I colori erano disposti ordinatamente su una tavolozza di legno scuro, ricavato da uno degli alberi dell’isola, ed erano stati ottenuti da sapienti miscele di estratti naturali, che donavano alle tinte una vividezza ed un realismo forse impossibili da trovare in qualsiasi altro angolo del mondo conosciuto.
La giovane donna spostò la punta del pennello in setole di crine d’unicorno dai capelli agli occhi, intingendola prima in un color turchese intenso, che rese lo sguardo del suo modello sorprendentemente vivo, vibrante…
Ma non c’era alcun modello, lì sulla sabbia, davanti a lei…
L’aria salmastra le vorticava attorno, facendole volare i lunghi capelli intorno al volto, e consentendo ad alcuni fili dorati di impigliarsi nelle sue ciglia, ma senza tuttavia distoglierla dal suo lavoro.
Il ritratto del giovane uomo, infatti, prendeva rapidamente forma…più velocemente del sole, che ancora una volta concludeva il proprio viaggio, avvicinandosi alla linea dell’orizzonte, ove si sarebbe tuffato tra le onde, in mezzo a mille spruzzi d’oro.
All’improvviso, una voce ruppe il silenzio quasi arcano di quella spiaggetta remota.
“Principessa Lisandra! Principessa Lisandra!!”
La fanciulla si volse, serena, a guardare la figura esile che correva sulla sabbia dorata, e continuò a dipingere.
Una ragazza dai lunghissimi capelli corvini la raggiunse, correndo a piedi scalzi sulla battigia, fino a che non le fu vicina, ansimando.
“Lisandra…vostra madre vi sta cercando… E tra poco il sole sarà tramontato…è meglio che rientriate a palazzo…”
L’altra assentì, dando gli ultimi ritocchi al ritratto tenuto in piedi da un cavalletto d’argento lucente.
“Si, Cleolia…arrivo subito…”
L’ancella, fasciata in un vaporoso abito color glicine, si abbassò ad osservare la tela, sorridendo lietamente.
“Mmm…ancora questo ritratto, principessa… Quindi…lo avete sognato anche questa notte?”
Lisandra annuì, ripassando una linea grigio perla sul profilo del colletto che circondava il collo muscoloso della figura maschile immortalata sul telo bianco.
“Si…come ogni notte…ma non mi stanco mai di sognarlo…”
Sorrise a propria volta, distogliendo lo sguardo dal dipinto e posandolo sul mare, le cui onde, in un eterno movimento, parevano cullare i suoi dolci sogni d’amore.
“Un giorno…un giorno lui attraverserà il mare…e verrà da me… So che accadrà… E quel giorno, saremo felici…per sempre…”
Cleolia ridacchiò, rialzandosi.
“Spero per voi che sia così, altezza…lo spero davvero… Ma fino ad allora, vi converrebbe non far attendere oltre vostra madre…sapete bene che non ama sapervi fuori dal castello, al calar del sole.”
Anche la principessa rise, iniziando a riporre i colori ed i pennelli, e ricoprendo il quadro con un pezzo di stoffa asciutta e pulita, che lo avrebbe preservato da eventuali danneggiamenti lungo la strada.
“Già…vorrei tanto sapere cosa ritiene che mi possa accadere… La nostra isola è un luogo di pace assoluta…al punto che nemmeno il Kraken osa recare danno ai suoi lidi… Le sirene approdano sulle nostre rive…gli unicorni alati l’hanno eletta a loro patria… Persino nella notte più profonda, noi abbiamo luce e tepore… Mia madre è quasi assurda…ma la capisco… In fondo, mi ha attesa a lungo… Quindi, meglio non farla aspettare… Aiutami, Cleolia…il quadro è ancora umido…non voglio rovinarlo… Ti prego, portami i colori…”
L’ancella si inchinò, prendendo la scatola d’oro ove Lisandra aveva chiuso, al sicuro, i pigmenti ed i pennelli che aveva utilizzato.
“Certo altezza…con grande piacere…”
 
Nel palazzo di conchiglia, la Fata Miride scrutava il panorama dall’osservatorio della torre più alta, ove un gigantesco macchinario, assai somigliante a quello che i mortali avrebbero un giorno definito telescopio, le consentiva di controllare, seppure per pochi minuti, quello che accadeva al di là del mare.
La sua fronte liscia, priva di qualsiasi imperfezione malgrado i molti secoli di vita che poteva vedere srotolarsi alle proprie spalle, era increspata, mentre attraverso i dodici specchi che le galleggiavano davanti, simili a globi di luce, prendeva atto di quanto stava succedendo sulle terre emerse.
Nubi nere offuscavano la vista…nei regni del Nord si era diffusa una nuova carestia, causata dalle piogge brevi ed incostanti che non avevano dato modo al grano di maturare…e che avevano lasciato seccare i fiumi, al punto che solo i grandi corsi d’acqua, ormai, potevano fornire il prezioso liquido alle persone ed ai loro animali, poiché gli affluenti erano del tutto asciutti.
Tuttavia, non era quello a preoccuparla maggiormente…
Oltre alla fame, ed alla malattia che sovente seguiva la miseria, nei regni oltre l’oceano che faceva loro da scudo e da barriera, si andavano addensando foschi cumuli tempestosi, che sembravano spargere nuovo terrore tra quelle genti già tanto provate da quell’ennesima piaga dovuta alla terra poco generosa.
La Fata Miride sospirò, scuotendo la lunga chioma argentea ed osservando un combattimento in uno degli specchi più alti.
Gli uomini erano esseri talmente sciocchi…potevano dirsi in grado di realizzare meraviglie, e nonostante tutte le battaglie che già avevano imposto nel susseguirsi delle ere alla propria specie, ancora non capivano che era inutile combattere, quando le cose andavano male.
Appena subentravano delle difficoltà, cominciavano a litigare…ad azzannarsi come bestie affamate per qualche tozzo di pane…ad uccidersi gli uni con gli altri per decidere del possesso di poche, misere cose…proprio come quei due contadini che, nel suo specchio, stavano lottando per stabilire quale delle loro mucche dovesse bere per prima, in un fiumiciattolo il quale, sebbene esiguo, avrebbe potuto abbeverarle entrambe senza troppe difficoltà.
E poco dopo, anche accanto a loro, si materializzò una nube nera, densa come il fumo di un incendio, che oscurò la visuale…e l’ultima cosa che la fata avvertì, senza poterla vedere, furono le grida di spavento dei due uomini ed i muggiti delle loro vacche che si allontanavano, probabilmente fuggendo assieme ai padroni.
Con un ampio gesto del braccio, la Fata Miride fece coprire le superfici lucide degli specchi di una patina cristallina, e li mandò nuovamente ad incastonarsi tra gli ingranaggi dell’osservatorio, ove sarebbero rimasti fino a che non fosse stata lei, a richiamarli.
Sua figlia stava arrivando, e non aveva alcuna intenzione di farla assistere a quello spettacolo pietoso.
Accarezzandosi le braccia candide in un gesto di sconforto, la bellissima fata abbassò gli occhi, contemplando il proprio riflesso sul pavimento di marmo blu oceano, simile ad un mare immobile.
Ad un qualsiasi mortale, la sua età apparente poteva essere ritenuta più o meno sulle quaranta primavere…l’aspetto che, secondo il suo personale metro di giudizio, doveva avere una regina per essere rispettata.
Lei non era nata in quell’isola, ma vi era approdata quasi cinquemila anni prima, disgustata da ciò cui aveva assistito sulla terraferma, reclamando il proprio diritto ad un regno nel quale risiedere in pace.
Era figlia del Vento del Sud e di una sirena, che l’aveva concepita su una spiaggia lontana nella quale si era fermata a riposare…il vento l’aveva accarezzata, durante il sonno, e qualche tempo dopo era nata lei, progenie del mare e del vento, dei quali aveva ereditato i poteri.
Sua madre, la sirena Lenora, accorgendosi che fuori dall’acqua la sua bambina presentava gambe umane, l’aveva affidata alle cure delle ninfe dell’Estuario d’Occidente, ove si gettava il fiume che, secondo la leggenda, alimentava l’Oceano stesso, e presso il quale sovente si recava a trovarla, impedendole di sentire la mancanza di quella madre che non poteva condividere con lei il piacere di camminare sulla terraferma.
La giovane fata era stata cresciuta con amore e dedizione, ed aveva avuto modo di sviluppare appieno i propri, straordinari poteri…
Era in grado di controllare il vento e la pioggia, i fulmini e le correnti marine, i gorghi ed il moto delle onde…poteva spostarsi in volo, generando delle nuvole…e poteva nuotare senza stancarsi, facendo apparire, se lo desiderava, una coda di pesce al posto delle proprie gambe, che riprendevano il loro aspetto originario semplicemente toccando la sabbia asciutta.
Dalla propria madre aveva inoltre ricevuto la capacità di comunicare con le creature marine, tra cui il terribile Kraken…la sola cosa che non aveva ereditato era la voce ammaliante delle sirene, ma quella piccola, innocua mancanza non era nulla, se paragonata ai poteri di cui la sua nascita l’aveva investita.
Una volta adulta, l’Estuario aveva iniziato ad andarle stretto…così la Fata Miride, ancora molto giovane – non aveva nemmeno cinquecento anni – si era allontanata dal luogo ove era cresciuta, per visitare il resto delle terre emerse.
Purtroppo, era rimasta estremamente delusa da ciò che vi aveva trovato…
Senza poterlo prevedere, si era vista coinvolta in una guerra che vigeva tra due regni all’epoca molto potenti, che poi si erano distrutti tra loro, ed i cui discendenti ignoravano le proprie origini.
Aveva tentato, con i propri poteri, di portare aiuto e consiglio…e si era persino invaghita del generale di uno dei due re rivali…sino a che non aveva scoperto che quell’uomo, troppo preso dalla guerra e dalla sete di potere per comprendere il significato della parola amore, stava tentando di usarla per ottenere la supremazia sul regno nemico, e per conquistare l’immortalità che lei poteva procurargli.
Furente come solo una creatura potente ed immortale poteva essere, la giovane Miride aveva scagliato la propria, terribile vendetta su quello stolto…e dopo aver assistito alla devastazione generata da quella guerra inutile, era tornata ai propri luoghi natii, per sfogare tra le braccia materne tutta la desolazione che quel viaggio le aveva piantato nel cuore.
Una volta rinfrancata però, aveva deciso di intraprendere un nuovo viaggio, alla ricerca di un luogo in cui dimorare in tranquillità, lontana dalla cattiveria degli uomini…e soprattutto ove potessero trovare asilo coloro che più venivano segnate dalle battaglie insensate di quelle creature sciocche ed egoiste…le donne.
Per quel poco che aveva vissuto tra i comuni mortali, si era resa conto che erano loro, a subire maggiormente gli eventi originati dalle guerre…le regine e le principesse, ma anche le contadine e le serve che vedevano morire i loro mariti, i loro figli, i loro genitori…le donne che venivano maltrattate, vendute, scambiate come trofei di battaglia…le fanciulle che si ritrovavano a dover sopravvivere in condizioni al di là del sopportabile mentre gli uomini andavano a combattere.
E quindi, per tutte loro, lei aveva scelto di partire…
Non voleva più rimanere sulla terraferma…non voleva restare ove gli uomini, un giorno, avrebbero potuto incrociare di nuovo il suo cammino…e così, a bordo di un navicello di giunchi e di conchiglie, aveva vagato a lungo, nell’immensità dell’Oceano, guidata dalle sorelle di sua madre, fino a che, dopo molte lune di navigazione, era giunta a Tir Na Gog…
Innumerevoli erano le leggende che parlavano di quell’isola misteriosa, e solo le sirene erano in grado di trovarla…loro, ed il Leviatano, la potente creatura marina che ne proteggeva le rive.
Alcuni racconti sostenevano che l’isola si spostasse da sola, in balia delle correnti…altri che si trovasse sul dorso di una tartaruga gigante, vecchia quanto il mondo…altre ancora che per fermarla in un punto preciso fosse necessario piantare una lama di ferro sulla battigia…ma la verità – lei stessa l’aveva scoperta posando per la prima volta il piede sulla sabbia candida della sua spiaggia silenziosa – era che l’isola era protetta da una barriera magica, originata dal cuore più profondo della terra…e che era dotata di una propria, imperscrutabile e misteriosa volontà.
Ed erano quella barriera e quella volontà, per merito di una magia antichissima che gli Dei stessi avevano creato, ad impedire a qualsiasi creatura, mortale od immortale che fosse, animata da intenzioni malvage, non solo di raggiungerla…ma anche solo di avvistarla.
Nel suo caso, nemmeno l’aiuto delle sirene avrebbe potuto consentirle di approdarvi, se il suo dolore, la sua tristezza ed il suo profondo desiderio di dare un reame non solo a sé stessa, ma anche a tutte le donne e le fanciulle rese orfane e sole dalla malvagità degli uomini, non l’avessero spinta alla ricerca di un luogo di quiete, ove il mare l’avrebbe protette, con lei come madre, sorella e sovrana, e celate allo sguardo di coloro che avrebbero desiderato far loro ancora del male.
Giunta sull’isola leggendaria, aveva subito innalzato un altare sul punto più alto del promontorio…lì, aveva ringraziato gli Dei per averla assistita nel suo lungo peregrinare…e sempre lì, aveva pronunciato un nuovo incantesimo, usando la propria forza magica e sacrificando la bellezza dei propri capelli, fino ad allora biondi e lucenti come oro puro, che da quel momento erano diventati color argento, malgrado lei fosse ancora molto giovane, per conferire all’isola un nuovo potere.
Fino a quel momento infatti, Tir Na Gog era rimasta nascosta agli sguardi degli umani, e solo casualmente i naufraghi l’avevano raggiunta, spesso abbandonandola nel giro di pochi giorni, spaventati dalla solitudine e dalla lontananza con la terraferma, per accorgersi solamente al loro ritorno nel mondo dei mortali che il tempo, in quel luogo fatato, scorreva in modo molto diverso, rispetto al resto delle terre conosciute.
Grazie a lei, quell’isola vagabonda – perché Tir Na Gog davvero si spostava, seguendo le correnti oceaniche – aveva acquisito anche il potere di attirare a sé tutti coloro che l’avessero cercata con ingenuità, desiderio di pace ed animo sincero…e molto più degli uomini, erano più spesso le donne, che anelavano asilo con quei sentimenti nel cuore.
Erano di conseguenza state numerose, nei secoli, le fanciulle che, vittime di naufragi, di battaglie od in fuga da ingiustizie e malvagità, erano approdate sulle sue sponde…e non vi avevano più trovato solitudine e silenzio…ma un castello maestoso che era divenuto per loro una nuova casa…una nuova patria.
Nel tempo che era trascorso, ormai difficile da calcolare, dal suo arrivo, Miride aveva utilizzato il proprio potere per erigere il grande maniero di conchiglie e rocce, ed aveva chiamato al proprio cospetto le driadi dei venti, ancelle di suo padre, che volentieri avevano accettato di servirla, rendendo meno solitario il suo esilio…ma anche le sirene, le quali, risalendo al suo fianco i corsi d’acqua che si gettavano tra le onde del mare, l’avevano aiutata a conoscere fino all’angolo più remoto del suo nuovo regno.
Nel frattempo, pure molte bambine ancora in fasce erano giunte, cullate dalle onde, fino a quel luogo di serenità…le bambine abbandonate alla clemenza delle acque…che nella loro innocenza venivano attirate dal potere dell’isola vagante.
Quelle bambine erano diventate figlie, per le donne che avevano trovato in Tir Na Gog la loro dimora, ed attorno alla Fata si era formata una piccola, pacifica comunità che non aveva nessun desiderio di tornare sulla terraferma.
Laggiù, oltre la foschia e la barriera dell’oceano, le leggende su quella terra magica si erano moltiplicate, e Miride le ascoltava attraverso gli specchi dell’Osservatorio, rispondendo con placido divertimento alle voci timorose degli uomini.
Lei aveva deciso di vivere lì, per sempre…di divenire custode e protettrice di quella terra…
Per ottemperare a quel proposito, e far sì che l’isola accettasse – poiché Tir Na Gog era dotata anche di una propria magia…e di una propria, consapevole coscienza – il suo potere e la sua presenza, aveva quindi giurato di conservare per sempre la propria purezza…troppo delusa da quel primo, lontano e tragico amore per desiderare di mescolarsi nuovamente ai mortali nella ricerca di un possibile compagno.
Lì, Miride era felice…e come lei, tutte le donne, le ninfe e le driadi che le si erano radunate attorno.
Alcune, date le dimensioni dell’isola, avevano scelto di vivere nei boschi che circondavano il castello…altre, preferivano risiedere a palazzo, dando il loro contributo alla vita del maniero…altre ancora, benché poche, nei secoli l’avevano abbandonata…e Miride l’aveva lasciate partire, cariche però di doni che avrebbero consentito loro di iniziare una nuova vita…anche perché, se si abbandonava Tir Na Gog, molto difficilmente la si sarebbe potuta ritrovare, e farvi ritorno.
Quella terra magica aveva molto da offrire…le sue grotte traboccavano d’oro, d’argento e pietre preziose…le sue acque interne erano terapeutiche…persino la sua sabbia aveva poteri magici.
Tutte cose che, per le abitanti dell’isola, non avevano valore…lì nulla doveva essere comprato o scambiato, e la vita scorreva placida, priva di tutte le complicazioni che gli uomini erano stati così bravi ad inventarsi…tuttavia, potevano essere molto utili, se si desiderava tornare sulle terre emerse…tanto, nessuno che avesse avuto desiderio di conquista ed avidità, avrebbe mai potuto trovare l’isola fatata…e seppure fosse accaduto, Miride aveva tutto il potere che le occorreva per tenere i malvagi lontani dalla loro terra.
All’improvviso, un rumore affrettato di passi la distrasse…e qualche istante dopo, una bellissima ragazza dai lunghi capelli biondi fece il suo ingresso nel salone ove lei si era soffermata a pensare al passato, ed al futuro.
La Fata Miride si girò verso la fanciulla, sorridendo per la prima volta dopo tante ore di riflessione.
“Eccomi Madre…mi avete cercata?”
Miride tese le braccia, e la giovane di fronte a lei vi si rifugiò dentro, lasciandosi stringere.
La fata le accarezzò la lucente chioma dorata, respirando l’odore di salsedine che la permeava.
Il dono più bello che gli Dei le avessero mai fatto…sua figlia…Lisandra.




Nota Autrice:
Eccomi di nuovo da voi, a chiedervi perdono per tutti questi mesi di silenzio, come ho fatto nella FF dedicata agli X-men dove, ne sono certa, i lettori mi avevano data per dispersa...è stato un periodo molto difficile dal punto di vista umano, per me...ma finalmente ne sono uscita...e sono tornata.
Mi spiace davvero di essermi assentata per così tanto tempo, e spero che chi seguiva questa storia continui a farlo, le loro recensioni mi avevano fatto davvero, davvero piacere.
Tornando alla storia, come avete visto l'obbiettivo si sposta, momentaneamente, sull'isola fatata che Xellesia sperava di raggiungere all'inizio del racconto, e sulle cui spiagge chi troviamo?
Avete capito chi è?
Se non l'avete fatto, lo scoprirete a breve...ma ricordatevi che nulla, in questa storia, è semplice come sembra...come accade del resto per ogni incantesimo fatto bene...
Buona lettura, spero di ritrovarvi nella zona recensioni!

Strega1981

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Capitolo 6
*** Capitolo 5_Lisandra. ***


Capitolo 5_Lisandra.

“Vostra Maestà! Vostra Maestà!!”
In piedi sulla terrazza della torre più alta del castello di conchiglia, Miride distolse lo sguardo dal panorama, volgendosi in direzione dell’ancella, una driade del vento, che correva verso di lei, saltando da un refolo di brezza all’altro, stranamente agitata.
“Cosa c’è Isidea…? Perché tutta questa confusione?”
La fanciulla, i cui capelli color lillà ondeggiavano nell’aria pur quasi immobile, si fermò all’altezza della balconata di madreperla, indicandole il mare alle proprie spalle.
“Altezza…una bambina! Una bambina sulla spiaggia! L’abbiamo trovata raccogliendo le alghe!”
Il volto diafano della Fata Miride si increspò appena, rivelando un principio di sconcerto.
“Isidea…non vedo il motivo di tanta sorpresa…non è certo la prima…e purtroppo, fino a quando perdurerà la malvagità degli uomini, non sarà nemmeno l’ultima… Portatela a palazzo…”
La driade agitò il capo, gli occhi viola dilatati dall’evidente stupore.
“No mia signora…questa è sicuramente diversa! I delfini…i delfini l’hanno portata sulla loro groppa, e l’hanno vegliata fino a che non l’abbiamo raccolta! Inoltre… Maestà, non saprei spiegarvelo…dovete vederla!”
A quelle parole, lo sguardo di Miride si fece attento…poiché i delfini erano creature strettamente legate alla magia del mare…le uniche che non venissero attaccate né dal Kraken né dal Leviatano, e solo molto di rado accompagnavano le persone meritevoli sino ai loro lidi.
Che avessero guidato una creatura ancor priva di storia fin sulla spiaggia, quando la sua innocenza le avrebbe comunque consentito di venire attirata dall’energia fatata dell’isola, era a dir poco insolito, per non dire straordinario…
Con un lieve gesto della mano, generò una soffice nube argentea sulla quale salì con grazia, puntandola poi verso la piccola baia ove Isidea la stava precedendo, e dove poco dopo notò un piccolo crocchio di ninfe, intente ad osservare qualcosa di minuscolo che si era arenato, apparentemente innocuo, sulla sabbia rosata.
Quando si lasciò scivolare dal suo improvvisato destriero di vento, che si dissolse immediatamente non appena ne fu scesa, il gruppo si aprì al suo arrivo, arretrando con un inchino.
Miride osservò il cestino di giunchi, avvicinandosi lentamente, il vestito di seta che frusciava impercettibilmente a contatto con la polvere d’oro che ricopriva la spiaggia.
Incuriosita, si chinò sul canestro, e le sue iridi dorate incontrarono quelle color fiordaliso di una bellissima bambina…una neonata di nemmeno un quarto di luna, che la fissava tranquilla, il visetto di porcellana assorto e serio, ed insospettabilmente espressivo, per una bimba così piccola.
Piano, accostò una mano alle fasce che avvolgevano la piccina…ed in quell’istante, una sorta di pressione, come un muro di energia invisibile, premette contro le sue dita sottili, lasciandola interdetta e sorpresa.
Isidea, che le si era affiancata, fissò la bimba, la voce vibrante di meraviglia.
“Vedete Maestà…? Qualcosa la avvolge…non sappiamo cosa sia…ma appena abbiamo provato a prenderla in braccio…l’abbiamo sentita…l’abbiamo sentita tutte…”
Miride assentì, senza rispondere a quelle parole, limitandosi ad osservare la piccola, la quale, placidamente, continuava a ricambiare il suo sguardo.
Nel frattempo, il sole stava sorgendo su Tir Na Gog…ed un momento dopo, un raggio di aurora colpì il cestino…liberando dei fasci di luce scarlatta proprio dal punto in cui doveva esserci il cuore della bambina.
Le ninfe arretrarono ancora, spaventate…erano creature timide, dopotutto…e tutto ciò che di potente esulava per loro dalla magia degli elementi, in genere le turbava…
Ma Miride non era una ninfa…era una fata…una delle fate più potenti che fossero mai nate sulle terre emerse…poiché gli elementi stessi avevano contribuito alla sua nascita…e quindi, iniziando ad intuire cosa potesse essere l’energia misteriosa che permeava la neonata, tentò nuovamente di toccarla, preparata, stavolta, all’ostacolo di quella strana barriera.
Le sue dita affusolate incontrarono per la seconda volta il muro invisibile…ma lei, determinata a non lasciarsi sopraffare da quel potere così insolito, fece resistenza…riuscendo, nel giro di pochi attimi, a superarlo, con la stessa sensazione che avrebbe provato passando la mano attraverso l’acqua di una cascata.
Ormai certa di ciò che all’inizio era solo un sospetto, la Fata Miride raggiunse il lino candido, infilando l’indice ed il medio tra le fasce bianche come neve…e lì, come aveva intuito, trovò qualcosa…un ciondolo…un rubino, grande quanto una noce, incastonato in un pendente d’argento squisitamente lavorato.
Nello stesso momento in cui prese in mano il gioiello, l’inspiegabile energia che aveva fino a quel momento avviluppato la bambina parve svanire…e Miride lo sentì…come sentì qualcos’altro, provenire dalla piccina.
Osservando affascinata, alternativamente, il monile e la piccola, la fata cercò di scoprire un qualche nesso tra le due cose…e quando non vi riuscì…la risposta si materializzò da sola nella sua mente…mentre Isidea, ancora scossa, le si appressava, stranita.
“Maestà…ma cosa…cos’è quell’oggetto…?”
Miride annuì, ormai certa di aver capito…anche se molti, restavano gli interrogativi…
“Un incantesimo…un incantesimo molto potente…una magia che aveva lo scopo – ne sono sicura – di proteggere la vita di questa creatura… Ma da cosa…non so dirlo.”
Si chinò nuovamente sulla culla di giunchi, avvertendo che il potere di poco prima non era in realtà scomparso…si era come ritratto, indietreggiando…assorbito forse dalla bambina stessa.
Sorridendo, la sollevò tra le braccia…e la piccola tese le manine verso i suoi capelli, afferrando una lunga ciocca argentata e gorgogliando una risatina.
La fata avvertì il proprio cuore colmarsi di tenerezza…poiché da tempo, sin da quando aveva stretto il suo patto segreto con l’isola vagante, si era rassegnata senza troppi rimpianti all’idea che non avrebbe mai avuto figli…
Li avrebbe desiderati, e molto…ma Tir Na Gog esigeva una regina vergine…e la sua nuova terra era per lei troppo importante…per cedere ai propri, egoistici desideri…
Adesso però, quella bambina le risvegliava nel petto una speranza da tempo seppellita…assieme alla certezza che la piccola, innocente naufraga custodisse un grande potere…ed un grande segreto…e che un giorno, presto o tardi, avrebbe dovuto affrontare entrambi.
E quindi, avrebbe avuto bisogno di qualcuno che la preparasse…che la guidasse…e che la proteggesse…come forse sperava di fare, con quell’incantesimo che l’aveva accompagnata sino alla spiaggia dell’isola dell’eterna primavera, colei che l’aveva generata.
“Chi sei piccolina…e come sei arrivata qui da noi?”
La bimba strinse gli occhi, nel principio del sonno…e Miride la cullò dolcemente, lasciando che si addormentasse.
Si rivolse quindi alle proprie ancelle, che le si erano avvicinate, ammirando la bellissima creatura ormai dormiente.
La fata osservò il ciondolo che ancora stringeva nel palmo della mano, notando la linea sinuosa che lo decorava…e decise.
“Ascoltatemi bene…da questo momento, il suo nome è Lisandra…ed è mia figlia.”
 
Miride discostò da sé la ragazza, osservandone il volto acceso dalla corsa e gli occhi scintillanti.
“Dov’eri cara? Il sole sta calando…e non ti ho vista per tutto il giorno…non eri nemmeno al pasto del mattino…”
La fanciulla sorrise, serena.
“Sono stata nel bosco, con Cassia…e poi sono andata sulla spiaggia a dipingere… Mi piace farlo con questa luce…il mare è così bello al tramonto… Ma mi dispiace se vi ho dato pensiero, Madre…”
Lo sguardo di Miride si incupì impercettibilmente, ma le sue labbra rimasero distese in un sorriso, mentre accarezzava con il dorso della mano la guancia della figlia.
Duemila primavere, nel tempo dei mortali, erano trascorse da quando il cestino di giunchi era stato ritrovato sulla spiaggia dalle sue ancelle.
All’apparenza, il suo aspetto era quello di una ragazza di diciotto o diciannove anni…ma malgrado la sua giovane età – duemila anni, per gli immortali, non erano molti…e comunque, a Tir Na Gog il tempo scorreva in modo assai differente rispetto a quanto accadeva nel mondo dei mortali – Lisandra era già molto versata nelle arti magiche.
Sin da bambina, aveva dato prova di saper controllare il potere delle fiamme, che era in grado anche di generare…e lei, non appena quei poteri si erano manifestati, si era premurata di aiutarla a governarli così che non fossero per la fanciulla fonte di pena o di paura.
Consapevole che, nella pace imperitura dell’isola, servita in tutto dalle ninfe e dalle driadi che riconoscevano in lei, senza dubbio alcuno, la loro principessa, Lisandra avrebbe potuto crescere oziosa ed incapace di badare a sé stessa, l’aveva affidata a suo tempo alle cure di Cassia, un’abile cacciatrice e spadaccina giunta fino a quella terra vagabonda in seguito ad un violento naufragio, e divenuta negli anni, a tutti gli effetti, la guardiacaccia del loro pacifico regno galleggiante.
Cassia si occupava di vegliare sulla salute degli animali selvatici che popolavano Tir Na Gog, di abbattere quelli vecchi o malati – non essendovi predatori di grandi dimensioni, a parte qualche lupo, le piccole prede tendevano a riprodursi con troppa…solerzia – per procurare alle abitanti del castello la poca carne di cui abbisognavano, oltre che per rifornire coloro che risiedevano al di fuori delle mura del maniero.
Portandola con sé in quegli anni, le aveva insegnato a cacciare, a mettere le trappole ed a pescare…ma anche a procurarsi il cibo nella misura che le occorreva, a curare gli animali feriti quando li trovava, ad orientarsi con il sole e le stelle, a remare, a cavalcare, a tirare di spada e con l’arco.
Lisandra era quindi cresciuta coraggiosa e fiera, abile nell’arte della caccia e del combattimento, ma anche leale, nobile nell’animo e nei gesti e generosa nei modi.
Già da tempo infatti, provvedeva a visitare al posto della madre le case delle donne che avevano preferito abitare nell’interno dell’isola, portando con sé cibo, sementi e generi di prima necessità, assieme alla voce della loro sovrana.
Malgrado il clima mite del regno, la pace dilagante, e l’abbondanza dell’acqua e della terra, a volte accadeva che coloro che rimanevano lontane dal castello, potessero avere dei momenti di sconforto dovuti alla solitudine ed all’isolamento…in genere, Miride ne veniva avvisata dagli uccelli e dal vento…ma spesso era Lisandra, ad andarle a trovare, a scambiare con loro qualche parola ed a sincerarsi dei loro eventuali bisogni.
Inoltre, durante la sua crescita, erano state molte le bimbe e le naufraghe che avevano trovato rifugio nella pacifica isola vagante, e Lisandra aveva sovente assistito le ninfe e le driadi per prestare loro soccorso e per confortarle dopo tante disavventure e sofferenze.
Aveva quindi imparato la fierezza, ma anche la compassione e la generosità, soprattutto perché Miride, per farle comprendere la differenza tra il bene ed il male, quando le abitanti del loro regno le raccontavano le proprie angosce, l’aveva sempre voluta vicina, senza nasconderle nulla su quanto fosse grande la malvagità degli uomini.
Intrepida amazzone, amava cavalcare nel folto dei boschi dell’isola, in compagnia degli unicorni e dei cavalli selvatici giunti a nuoto quando Tir Na Gog era passata, in tempi remoti, molto vicino alle terre emerse…così come adorava gettarsi dalle scogliere che si affacciavano sul mare, per tuffarsi tra le onde cristalline ed incontrare così i delfini e le sorelle di sua nonna Lenora, che sin dal primo giorno l’aveva considerata la propria, adorata nipote.
Da Cassia, aveva appreso anche i rituali giusti per ringraziare gli Dei, quando uccideva una preda per sfamarsi…mentre dalle ninfe dei boschi e dalle sirene, aveva imparato i segreti delle piante medicinali, delle acque sorgive e termali e delle alghe marine, e le ricette per ricavarne unguenti e medicamenti utili per sanare le più svariate malattie…anche se su Tir Na Gog, difficilmente ci si feriva…ed ancor più raramente ci si ammalava.
Proprio per l’apparente inutilità di tali insegnamenti, in una terra la cui energia rendeva pressoché impossibile, assieme al potere di colei che la governava, la malattia, la morte, la fame e la miseria, Lisandra aveva talvolta espresso alla madre i propri dubbi sulla reale necessità di quella sorta di addestramento, a parte l’assistenza alle abitanti dell’isola, compito che amava e che svolgeva con gioia.
In quei casi, la Fata Miride non le rispondeva mai in modo chiaro, si limitava a sorriderle, evasiva e misteriosa, ed a dichiarare che, quando e se avrebbe mai preso il suo posto per regnare sull’Isola Vagante, quelle nozioni le sarebbero potute tornare utili.
In realtà, molti erano i timori della Fata riguardo al futuro della figlia adottiva…ma non aveva mai voluto rivelargliene la natura, convinta che, fino a quando fosse rimasta sull’isola, Lisandra sarebbe stata al sicuro.
La fanciulla sapeva perfettamente di non essere la sua vera figlia…sapeva di essere stata trovata sulla spiaggia come tante altre bambine prima di lei che ora abitavano, come ancelle o come membri della loro solitaria comunità, nel castello, e con molte delle quali lei stessa era cresciuta…ciò di cui non era al corrente, era il pericolo che la madre putativa aveva intuito il giorno del suo arrivo sull’isola, poiché Miride non era mai riuscita a trovare il coraggio – od il momento giusto – per parlargliene.
La Fata le aveva sempre detto di aver deciso di adottarla perché, contrariamente a quanto era accaduto con le altre piccole naufraghe, aveva percepito in lei la magia, ed aveva quindi immaginato che qualcuno avrebbe dovuto insegnarle ad utilizzarla…ed a controllarla.
Non le aveva mai raccontato, però, dell’energia misteriosa che l’avvolgeva quando era stata ritrovata…come non le aveva detto del ciondolo che recava con sé…o dello strano potere che a volte avvertiva in lei…
Ai suoi dubbi, si contrapponeva la serenità nel vedere che Lisandra non si poneva alcuna domanda su cosa avesse lasciato al di là del mare…certo, era consapevole di essere diversa, rispetto alle altre ragazze che formavano la loro corte…ma pensava che la sua diversità fosse rappresentata solamente dalla magia che le scorreva nelle vene…quella stessa magia che le aveva consentito di venire adottata dalla regina dell’isola…e null’altro la turbava.
Quindi, la Fata lasciava scorrere i giorni…le lune…chiedendosi se quel pericolo che aveva intuito incombere sulla bambina di quel mattino lontano un domani si sarebbe palesato…o se sarebbe rimasto oltre la foschia che custodiva la loro isola…oltre l’oceano che come uno scudo le difendeva dalla malvagità degli uomini…ed oltre i suoi timori di madre.
Scosse piano la testa, sfiorando i capelli della figlia, e ne osservò le dita sporche di pittura.
“Dipingevi…?”
Lisandra annuì, ed un sorriso radioso le illuminò l’espressione come un raggio di sole.
“Si, Madre…”
Il cuore di Miride fremette, ma si sforzò di non dare a vedere la preoccupazione che quel sorriso le aveva provocato.
“Sempre lui…?”
Gli occhi di Lisandra parvero irradiare luce, ed assentì di nuovo, felice.
“Oh si…anche stanotte l’ho sognato… Sorrideva, sapete? Era così bello…”
Miride sospirò, scrutando con apprensione quelle iridi color del mare piene di sogni e di speranze…
Ancora quel sogno…sempre lo stesso…che non mancava di stritolarle il petto come una morsa crudele, la sola che in tutti quegli anni sereni avesse intaccato la sua felicità nell’avere accanto quella figlia che gli Dei le avevano inviato in dono sulle acque dell’oceano.
Sin da quando era molto piccola, Lisandra asseriva di sognare un uomo…e sin da allora, era convinta che quel viso che sognava, fosse quello dell’uomo a lei destinato.
Forte di quella certezza, la ragazza lo disegnava continuamente, ritraendolo sempre come lo sognava…in volto oppure a mezzobusto…spesso sorridente…a volte imbronciato…a volte triste.
Lisandra era molto brava a dipingere…e negli anni aveva eseguito numerosi ritratti di sua madre…ma anche delle donne, delle ninfe e delle driadi che abitavano a palazzo, tele che erano andate ad adornare i corridoi del castello di conchiglia, e delle quali chiunque le guardasse non mancava di tessere le lodi.
Tuttavia, i ritratti di quel giovane erano assai più numerosi degli altri…ed erano appesi tutti nelle sue stanze…a tenerle compagnia, in attesa che colui che vi era immortalato comparisse all’orizzonte.
Lei era certa che un giorno, prima o poi, quell’uomo sarebbe giunto sull’isola come molti altri naufraghi avevano fatto prima di lui…ma che a differenza di tutti coloro che l’avevano lasciata per tornare sulla terraferma, lui sarebbe rimasto lì, con lei…per sempre.
Per sempre…a Tir Na Gog, quelle parole avevano realmente un senso…poiché le ore si dilatavano e si restringevano…i minuti equivalevano a giorni…ed i giorni ad istanti…e quel tempo che già per gli immortali avrebbe significato ben poco, valeva ancora di più…
Se davvero avesse avuto la certezza che le cose sarebbero andate così, Miride sarebbe stata anche felice di quei sogni e di quelle speranze…purtroppo però, tra i suoi poteri non vi era la chiaroveggenza…e la sua più grande paura, era che invece quell’uomo avrebbe potuto provocare la partenza di Lisandra, persuadendola a lasciare la sicurezza e la pace della loro isola, per correre incontro a quei pericoli che forse non avevano mai smesso di minacciare la sua vita.
Ma se Lisandra, un giorno, avesse sul serio deciso di partire…il suo amore di madre sarebbe stato sufficiente ad impedirglielo?
Persa in quei pensieri, Miride non si avvide di aver aumentato la presa sulle spalle sottili della ragazza…e Lisandra, accorgendosene, si sciolse dall’abbraccio materno, scrutandola in volto e fissandola con perplessità.
“Madre…ma cosa succede? Avete un’espressione…sembrate così preoccupata…”
La fata si riscosse, rendendosi conto di quanto stava facendo, e ricompose il proprio volto di porcellana in un sorriso tranquillo, cercando di non palesare la propria ansia.
“No mia cara…è tutto a posto…”
La ragazza, dubbiosa, scrutò l’Osservatorio alle spalle della Fata, ed annuì, comprensiva.
“Qualche problema sulle terre emerse, vero Madre? Avete sempre l’amarezza sul volto, quando guardate oltre il mare… Cosa sta succedendo…un’altra guerra?”
La fronte liscia della Fata Miride si increspò, quasi stesse soppesando la risposta da darle…ma alla fine sospirò, indicando la porta d’ebano ricoperta di conchiglie che portava al salone.
“Forse cara…ma non ne sono certa… Dopotutto, gli uomini sono come barche alla deriva in un mare di alterne fortune…e molte delle loro disgrazie sono essi stessi, a provocarle… Non so, spero solo che sia una delle tante battaglie senza futuro…quella che si profila all’orizzonte… In ogni caso, non ci toccherà…la nostra terra sa proteggerci…ed io so proteggere lei, e tutte coloro che la abitano…”
Era la verità, anche se non tutta…ma Miride rise piano, rasserenandosi un poco.
“Tutto qui, figlia mia…davvero. Piuttosto, ora andiamo a cena… So che Cassia ha portato degli splendidi uccelli…e Martha li ha cucinati proprio come piacciono a te… Vieni, scendiamo…”
La ragazza lasciò che sua madre le mettesse il braccio attorno alle spalle, avviandosi con lei verso la grande sala da pranzo affrescata, sulle cui pareti erano dipinte sirene e fate avvolte in veli trasparenti…tuttavia, continuò a spiarla di sottecchi, sicura che le sue parole non fossero del tutto veritiere.
Sapeva che la fata che lei chiamava madre si preoccupava molto più di quanto dicesse, per quanto accadeva oltre la barriera dell’oceano…ma soprattutto aveva da tempo il sospetto che per lei i suoi sogni fossero fonte di inquietudine…
Malgrado si sforzasse di capire però, non ne comprendeva assolutamente la ragione…e riteneva comunque giusto metterla a parte di quei pensieri, anziché nasconderglieli…
La fata Miride, tra i suoi numerosi poteri, aveva anche quello di poter leggere la mente…un potere che utilizzava assai di rado…poiché nessuna tra le abitanti dell’isola avrebbe mai avuto il benché minimo interesse a mentirle.
Inoltre, quella particolare capacità non aveva effetto su di lei…e quell’impedimento era costituito dai suoi poteri magici…quegli stessi poteri che gliel’avevano fatta scegliere come figlia adottiva…ma che spesso, forse, le facevano paura…quanto i suoi sogni.
Quei timori la facevano soffrire…perché Lisandra amava davvero molto sua madre…e mai avrebbe voluto darle un dispiacere.
Lei non voleva lasciare l’isola…era la sua casa…la sua patria…il luogo in cui era cresciuta…ed in cui era certa sarebbe vissuta per sempre.
Desiderava solamente che il suo principe – poiché era sicura che di un principe si trattasse – giungesse fino a lei…e che rimanesse lì con loro, in quel luogo pieno di pace…e di serenità.
Un giorno…si…un giorno tutto ciò che sperava sarebbe accaduto…e quel giorno, sua madre avrebbe capito che quelle paure erano assolutamente inutili…gli inutili timori di una fata, ma anche una donna, che troppo a lungo aveva atteso una figlia da amare…
Lisandra sorrise, stringendosi a lei, appoggiando la testa bionda alla sua guancia liscia e sorridendole con dolcezza attraverso la frangia dorata.
“Certo Madre…inizio ad avere fame…andiamo…”




Nota Autrice:
Altro capitolo, nuovi misteri e domande, cari lettori!
Ovviamente, immagino che tutti abbiate capito che la bionda Lisandra altri non è che la piccola Liomea, e che sia ormai chiaro che la nostra soave fanciulla non sa nulla del proprio passato, e del fratello che ha lasciato al di là del mare.
Resterà sull'isola ad aspettare il suo arrivo, oppure attraverserà l'oceano per andargli incontro?
E chi è l'uomo che Lisandra ritrae sulle sue tele?
La risposta arriverà solo più avanti, ma nel frattempo, un ultimo capitolo per voi...
Buona Lettura!

Strega1981

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Capitolo 7
*** Capitolo 6_Demoni. ***


Capitolo 6_Demoni.

Ivaldo mise la mano nel secchio, ritraendola colma di sabbia…e sbuffò, costernato ed impotente.
“Rimandatelo giù…”
Il contadino accanto a lui annuì, calando nuovamente il secchio nel pozzo, e quando sentì il fondo lasciò andare la carrucola, asciugandosi il sudore dalla fronte con aria sconfitta.
L’uomo muscoloso, i cui capelli biondi erano resi ancor più chiari dal sole cocente, si guardò attorno, ed attirò con un ampio movimento del braccio l’attenzione di un cavaliere che galoppava a poca distanza da loro, e che nel vedere quel gesto lo raggiunse, tenendo per le redini un secondo cavallo.
Cataldo gli si avvicinò, annuendo con gravità quando ne riconobbe l’espressione rabbiosa.
“Anche questo…vero?”
Ivaldo assentì, avvicinandosi al fianco dell’animale e montando in sella con agilità.
“Si…vuoto e secco…completamente asciutto. Oggi è già il sesto…”
Cataldo scosse il capo, sospirando.
“No…è l’ottavo. Sir Lyonel ha esplorato la provincia nord, stamattina…anche i due pozzi principali alla foce del fiume si sono prosciugati…”
Il volto di Ivaldo tradì una rabbia crescente, ma lo scintillio dei suoi occhi cerulei ne rivelò anche la disperazione che iniziava ad attanagliargli il cuore.
“Non dirai sul serio…? I pozzi della foce…secchi?”
Il suo compagno sospirò, più calmo ma altrettanto sconfortato.
“Vorrei scherzare fratello…ma non è così. Fino alla settimana scorsa continuavano a dare acqua…ma adesso sono totalmente asciutti. Il che significa che ci rimane solo il fiume, per l’approvvigionamento, e la corrente è sempre più lenta. Per fortuna, i canali d’irrigazione che abbiamo scavato nella primavera dell’anno precedente hanno una pendenza sufficiente a raccogliere ogni goccia d’acqua, fino a che il fiume scorrerà… Il problema sarà quando smetterà di scorrere…”
Ivaldo scrutò l’orizzonte, schermandosi la vista con la mano per proteggersi dai raggi di fuoco che spaccavano il terreno, ormai più simile ad una pietra crepata che alla terra fertile ove fino a poche lune prima dondolava il grano maturo…
Da sempre, tra loro due, era Cataldo il più calmo…il più ragionevole…ed anche in quel momento tanto disgraziato, la sua pacatezza non mancava di farsi sentire…malgrado fosse chiaro che anche lui era terribilmente angosciato da quella penosa situazione.
Lui era diverso, era quello istintivo…quello che non si fermava a pensare…quello che agiva.
Tuttavia, sebbene non invidiasse in alcun modo il carattere posato del suo compagno d’armi, era consapevole di come quelle loro diversità, nelle quali si compensavano la calma e l’energia, avessero consentito ad entrambi, in più di un’occasione, di cavarsi fuori dai guai.
Ed i guai, al momento, erano di dimensioni decisamente ciclopiche…  
Ormai da sei lune, non cadeva una sola goccia di pioggia…la terra era talmente arida da sembrare incendiata…i pozzi, uno dopo l’altro, si seccavano…e non c’era più un campo, che non avesse perduto almeno i due terzi del raccolto.
C’erano state altre carestie, in quegli anni…ma nessuna come quella…anche perché non era la mancanza di pioggia, o l’aridità del terreno, il problema peggiore.
“Ci sono stati altri casi di malattia?  Cosa dicono nei villaggi…?”
Cataldo scosse la testa, osservando malinconico il roteare sinistro di alcuni uccelli sul cadavere di un cervo morto di sete.
“Niente di nuovo…almeno per ora. Il che è una buona notizia, amico mio… Fino a che non sapremo da cosa è provocata, non potremo guarirla… Dobbiamo quindi sperare che nessuno si ammali…ed evitare che il morbo si diffonda con ogni mezzo…”
“Magari fosse così semplice…”
Ivaldo si limitò ad esprimere con la mente quel pensiero, evitando di tradurlo in parole.
Sin da quando era cominciata la siccità, si erano diffusi i sintomi di quella che era stata definita la malattia…
Nessuno sapeva come arrivasse…o come la si potesse curare…si sapeva soltanto che pareva colpire le fasce più povere della popolazione…in particolare gli anziani…e che non c’era modo di sconfiggerla…si poteva solo sperare che guarisse da sola…e fino a quel momento, purtroppo, non c’erano state guarigioni…
Tutti gli indovini di corte erano al lavoro giorno e notte, per capire cosa stesse accadendo…ma nessuno di loro era riuscito a scoprire nulla…ed intanto la fame, ancor più velocemente della malattia, correva di villaggio in villaggio…
All’improvviso, un urlo tagliò l’aria, ed i due cavalieri si fissarono, atterriti.
Quello…non era un urlo umano…ma loro sapevano benissimo, a chi appartenesse…
 
Tarabas viaggiava oramai da giorni, fermandosi solamente a notte inoltrata, per far riposare Negromante e mangiare qualcosa delle provviste che aveva portato con sé.
Dopo la profezia della Melusina, si era affrettato a rientrare a palazzo, per informare il Re Thor di quanto era accaduto al Lago di Pietra, e per dare istruzioni al gran ciambellano di ciò che avrebbero dovuto fare i dignitari di corte durante la sua assenza.
Molti di loro si erano offerti di accompagnarlo in quel viaggio il cui esito era incerto, ma lui aveva rifiutato, sostenendo che preferiva saperli alla reggia, al servizio del popolo ed a vegliare su sua moglie…
In realtà, l’unica cosa che desiderava era partire il prima possibile, seguendo le istruzioni della Pitonessa…poiché lei gli aveva detto di affrontare quel viaggio con qualcuno di assoluta fiducia…e non aveva idea, malgrado fossero passati già tre anni, se ci fosse a Corte qualcuno di cui potersi fidare veramente…mentre al di fuori del Palazzo d’Oro, nei territori del Nord, c’era una sola persona, della quale potesse fidarsi al punto di affidarle la vita della sua sposa, e di suo figlio…
Il regno di Fantaghirò tuttavia era molto lontano dai territori orientali…assai più lontano di quanto ricordasse.
Nei tempi in cui risiedeva con sua madre nel Regno Sotterraneo, pur trovandosi più vicino al loro territorio, aveva percorso la strada aiutandosi con la magia…adesso, non sapendo nemmeno quanta gliene fosse rimasta, e per cosa fosse meglio utilizzarla, aveva scelto di viaggiare come un mortale…ma il cammino si era rivelato talmente lungo…e non era neppure certo di quanto fosse grande, ancora, la distanza da percorrere…
Osservò il sole, agitato…e vide che era già allo zenit…come testimoniava il calore indicibile che gli scottava la pelle…
Benché il regno di Re Romualdo fosse molto a nord, faceva decisamente più caldo di quanto rammentasse.
Stava perlustrando con lo sguardo attorno a sé, incerto sulla direzione da prendere…quando un urlo roco ed agghiacciante gli gelò il sangue nelle vene…
Girando il cavallo in direzione delle grida disperate che sentiva a poca distanza dal punto ove si trovava, ebbe la certezza assoluta che quello non fosse un urlo umano…ma più di tutto, fu certo di averlo già sentito, da qualche parte…
 
Ivaldo e Cataldo brandivano le spade, consapevoli però che le loro lame lucenti ben poco potevano fare contro il demone di fumo che aleggiava davanti a loro, circondandoli con una densa nebbia nera che toglieva loro l’aria, le forze…la vita.
Un istante dopo l’altro, si sentivano sempre più deboli…come se quel combattimento inutile li ferisse più di qualsiasi duello…più di uno scontro sul campo di battaglia.
Due contadini li osservavano disperati, stringendosi l’uno all’altro…
Stavano litigando, fino a poco prima…arrivando fin quasi a colpirsi…quando la demoniaca creatura li aveva aggrediti…provocando quelle urla angosciose che avevano condotto i due sovrani in loro soccorso…ma adesso, erano loro a rischiare di morire…ed i due sudditi potevano solo assistere, impotenti, alla loro sconfitta…perché nessuno poteva nulla, contro quei demoni neri…
Ivaldo si piegò su un ginocchio, continuando a roteare l’arma…il ghigno diabolico di quei denti affilati sostenuti dalla sola aria che lo scherniva, in attesa della sua morte…ed i pianti dei due agricoltori che gli riempivano le orecchie con il loro strazio…
All’improvviso però, una folata d’aria gelida e vivificante investì il demone, spazzandolo via come fosse stato semplicemente il fumo di un falò troppo grande…e Cataldo si guardò intorno, stupito e scosso.
Aveva avvertito, seppure in modo confuso, una voce pronunciare delle parole incomprensibili, ma solo una cosa era certa…
Quella creatura maligna che fino ad un istante prima stava per uccidere lui ed Ivaldo si era dissolta…e loro, miracolosamente, erano salvi…
Guardando alle proprie spalle, l’unica cosa che vide fu una figura riversa a terra, con accanto un possente destriero nero come la notte.
“Ivaldo…aiutami!”
 
Quando Tarabas si risvegliò, fu sorpreso di ritrovarsi in un ambiente che non conosceva…
La prima cosa che notò, appena i suoi sensi furono sufficientemente desti da permettergli di riconoscere i dettagli di ciò che lo circondava, fu che qualcuno gli aveva tolto gli abiti che portava, e che recavano i segni di un lungo viaggio…che era pulito, mentre ricordava di non aver quasi toccato l’acqua, negli ultimi giorni, se non per bere…e che il suo braccio – al quale si era ferito dopo una caduta da cavallo, nella fretta di raggiungere i territori del Nord – era stato medicato.
Combattendo contro il senso di nausea che ancora lo spossava, cercò di mettere a fuoco il luogo ove si trovava.
Era in una stanza buia, appena rischiarata dalla luce di alcune candele, ed era stato disteso su un letto enorme, ricoperto di alcune spesse pelli d’animali…le cortine delle finestre erano tirate, e nella camera si percepiva una gradevole frescura, assai piacevole dopo il caldo massacrante che aveva patito lungo la marcia forzata a cui aveva costretto sé stesso e la propria cavalcatura.
Restando disteso con le palpebre abbassate, ancora vittima della stanchezza, si sforzò di andare indietro con la memoria alle ultime ore…e sforzando la mente provata dalla fatica, il giovane rivide con gli occhi del ricordo quell’essere spaventoso che aveva visto infierire contro due uomini…che pur lottando valorosamente stavano per essere sopraffatti dalla sua ferocia.
Aprì gli occhi, rammentando quell’urlo che l’aveva portato a soccorrere i due cavalieri…e la figura maligna di quella creatura che mai ricordava d’aver visto nella propria, lunga vita…e che tuttavia non gli era apparsa del tutto estranea…come non gli era parso sconosciuto il suo grido terrificante.
Tarabas aggrottò le sopracciglia, voltandosi a guardare la luce di una candela posta su un grande mobile di legno scuro a poca distanza dal letto.
No…era certo di non aver mai incontrato qualcosa come quello strano…demone…fatto di fumo nero…ma dentro di sé, anche se non avrebbe saputo dire in quale luogo ed in quale anfratto della propria anima…qualcosa gli diceva che non era la prima volta…in cui lo vedeva…
Tuttavia, quello sforzo di memoria gli stava provocando un forte mal di testa…e dopo la fatica alla quale si era sottoposto, non era in grado di sopportare a lungo il dolore…non fino a che non fosse riuscito a riposare un poco.
Per sottrarre i due uomini dalle grinfie di quell’essere, aveva lanciato un incantesimo di vento…dissolvendolo…ma da tempo non ne utilizzava di così potenti…e la sua debolezza dal punto di vista magico aveva fatto il resto, rubandogli le forze, e lasciandolo svenuto su quel prato corroso dal calore impietoso del sole.
Sospirò, desolato ed impotente…
Se la sua magia era ormai così debole che anche un semplice incantesimo sugli elementi lo privava di ogni energia…come poteva ritrovare ciò che aveva perduto…e con esso riacquistare la propria, perduta potenza?
In quell’istante, la porta della stanza si aprì, e fece il suo ingresso una bellissima donna dai lunghi capelli biondi ed ondulati, vestita con un abito di broccato rosa, seguita da una bambina che poteva contare forse quattro primavere, quasi identica a lei, se non più bella.
La donna gli sorrise, chinando piano la testa in segno di saluto.
“Vi siete svegliato finalmente…come vi sentite?”
A fatica, Tarabas si raddrizzò sui cuscini, cercando di rimanere seduto e di osservare la dovuta educazione…dopotutto, era ospite…e sebbene non sapesse ancora di chi, quella gente lo aveva comunque portato al sicuro.
“Un po’ meglio…grazie mia signora. Posso sapere chi devo ringraziare, per avermi così generosamente prestato assistenza?”
Lei rise con gentilezza, tenendo per mano la bambina.
“Siamo noi a dovervi ringraziare… Senza il vostro intervento, mio marito sarebbe probabilmente morto…e con lui mio cognato. A nome mio e di mia sorella, la Regina Caterina, vi dò il benvenuto nei Territori di Nord Est… Io sono la Regina Carolina…e lei è mia figlia, la principessa Gisele…”
Carolina…Caterina…il cuore di Tarabas ebbe un sussulto.
Le sorelle di Fantaghirò si chiamavano così…ricordava, al vulcano Nekrad, di averla udita chiamarle, quando aveva osservato il proprio castello rimpicciolito sotto la campana di vetro che lo proteggeva, vittima dell’incantesimo di Darken…
Uno spasimo doloroso gli contrasse il petto, nell’osservare la bambina che lo scrutava con due grandi occhi color campanula.
Quella piccina…era la nipote di Fantaghirò…la bambina che assieme ad un altro…forse il figlio dell’altra sua sorella…Romualdo gli aveva impedito di rapire.
Poi Romualdo era caduto nel fiume…si era pietrificato…e Fantaghirò era partita per trovare lui e salvare l’uomo che amava…a costo di sposare il mago più potente e malvagio di tutti i tempi.
Era stato così, che si erano incontrati…quanto tempo era passato…già quattro anni…forse anche di più…e sembrava un’eternità.
Tossicchiò, raddrizzandosi maggiormente e schiarendosi la voce, incerto su cosa dire…non era sicuro, infatti, che la scoperta della sua identità sarebbe stata per i suoi ospiti una sorpresa gradita.
“Mia signora…non so come ringraziarvi…per avermi prestato aiuto. Perdonate una domanda…conoscete forse voi la Regina Fantaghirò…?”
Un'altra voce si intromise nella discussione, ed una seconda figura, fasciata in un abito di broccato azzurro, entrò nella camera…una donna con i capelli neri, gli occhi scuri ed il viso meno bello di quello di colei che l’aveva preceduta…ma più dolce, ed indubbiamente più saggio.
“Certo che la conosciamo, cavaliere…è nostra sorella… Tuttavia, il suo castello si trova nel Regno di Nord Ovest… C’è ancora un giorno intero di cammino, prima che possiate raggiungerlo…”
“Come mai vi state recando lì?”
Due uomini erano entrati, seguendo le due donne…e quello con i capelli più scuri e ricciuti gli si avvicinò, sorridendo affabilmente.
Tarabas annuì, sentendosi a disagio…improvvisamente, quella stanza enorme gli appariva piccolissima.
“Io…ho bisogno di parlare con Fantaghirò, di un fatto molto urgente…una questione di vita o di morte… E’ l’unica persona di cui mi fidi abbastanza…non potrei rivolgermi a nessun altro…”
L’uomo biondo si fece avanti, perplesso.
“Chi siete? Non ce lo avete ancora detto… Se avete bisogno di aiuto, potremmo esservi utili…in fondo, vi dobbiamo la vita…”
Tarabas distolse lo sguardo, poi prese fiato, buttandolo fuori assieme al proprio nome.
“Il mio nome è Tarabas…sono il Re del Regno della Pagoda d’Oro, nei Territori d’Oriente…”
A quell’unica parola, le quattro figure indietreggiarono…ed Ivaldo sguainò la spada che portava sul fianco, ponendola a difesa della donna bionda e della bambina.
“Voi! Con quale coraggio…osate venire nel nostro territorio?!”
L’uomo accanto a lui gli pose una mano sulla mano sulla spalla…ma l’altro si scansò, fissandolo con rabbia.
“No Cataldo! Quest’essere immondo ha cercato di rapire i nostri figli…anni fa…non te lo ricordi?! Come puoi…chiedermi di calmarmi?!”
Carolina – doveva essere sua moglie, senza dubbio…poiché la bambina somigliava ad entrambi – gli andò vicino, scuotendo piano la testa.
“No Ivaldo…nessuno l’ha dimenticato… Ma Fantaghirò ci ha detto che Tarabas gode della sua fiducia…e che ha fatto molto per salvare il nostro regno, l’ultima volta. Se lei ha fiducia in lui, almeno dobbiamo lasciare che si spieghi.”
Caterina si affiancò alla sorella, calma, e guardò il cognato con disapprovazione.
“Ivaldo…noi eravamo nel castello di Fantaghirò, quando il vento nero l’ha rapito con tutti coloro che vi erano dentro… Ricordo di aver visto il volto di quest’uomo, sopra la cupola di vetro, prima che il castello tornasse alle sue dimensioni normali… Nostra sorella ci ha detto tante volte che senza il suo aiuto non ce l’avrebbe mai fatta…e che Romualdo stesso gli deve molto. Se la sta cercando, deve essere per un motivo più che serio… Che parli, quindi…ascoltiamolo.”
Ivaldo fissò alternativamente la moglie, la cognata e l’altro uomo…quindi, seppure con evidente riluttanza, rimise la spada nel fodero, senza tuttavia smettere di scrutarlo con malcelato disprezzo.
Annuendo con un sorriso tranquillo, la Regina Caterina tornò a rivolgersi a lui, pacata.
“Diteci, quindi…Re Tarabas… Quali gravi motivi vi hanno condotto al nostro regno?”
 
Tarabas parlò a lungo, descrivendo ai quattro sovrani il tragico fato che aveva colpito la sua sposa, incinta del loro erede…raccontò loro del viaggio fino al Lago di Pietra…del suo incontro con la Melusina…e di ciò che lei gli aveva suggerito di fare.
Alla fine sospirò, stremato da quel racconto e dalla fatica che ancora non accennava ad abbandonare il suo corpo prostrato.
“Io…so di chiedere molto…nel domandare aiuto. Molti sono i miei torti, nei confronti dei vostri regni…e mi assumo anche le colpe dell’uomo che, pur avendolo ignorato per secoli, avrei dovuto chiamare padre… Ma se io non merito nulla, mia moglie…ed il bambino che porta in grembo…non hanno alcuna colpa. Chiedo soltanto di poter salvare le loro vite…della mia non m’importa. La Pitonessa sostiene che devo affrontare questo viaggio…ma che debbo farlo con qualcuno in cui io possa riporre la più completa fiducia. Io e Fantaghirò ci siamo promessi eterna amicizia…ed è l’unica persona della quale io possa fidarmi ciecamente… Indicatemi solo la direzione…me ne andrò oggi stesso…senza arrecarvi ulteriore disturbo…”
Cataldo tacque, camminando avanti e indietro sul pavimento di legno della stanza…quindi, dopo qualche minuto di silenzio, si girò in direzione della moglie, scambiandosi con lei un cenno d’intesa.
“Re Tarabas…comprendo pienamente le vostre ragioni…ed anche se i nostri motivi di…risentimento…nei vostri confronti…sono più che giustificati dalle vostre azioni passate…la mia regina ha ragione. Inoltre, potrei sbagliarmi, ma ho l’impressione che i nostri regni stiano seguendo, seppure per strade diverse, il medesimo fato… Come, non saprei dirlo… Avete detto che la vostra sposa è caduta nel…sonno incantato…più o meno due lune fa…giusto? Bene, è lo stesso periodo in cui i nostri pozzi hanno cominciato a seccarsi… Senza contare che, a ben pensarci, vi è un’altra coincidenza che li lega… La siccità che affligge i nostri territori dura ormai da sei lune…esattamente il tempo trascorso da quando la vostra sposa ha scoperto di attendere un bambino.”
Caterina assentì, pensierosa.
“Quindi…stando alle lune…ne rimangono meno di due…prima che l’incantesimo che ha colpito la Regina Angelica…divenga irreversibile…”
L’uomo sospirò, fissando colui che era stato il mago più crudele e temuto di ogni tempo…Tarabas ricambiò il suo sguardo, in un lampo di improvvisa comprensione reciproca.
“E con esso, temo, anche il destino dei nostri regni… “




Nota Autrice:
Prima regola di una buona storia - dal manuale di Strega1981 - ogni personaggio deve fare almeno una comparsata!
Qui ci salutiamo, lettori e lettrici, con la speranza che io riesca a postare presto, magari entro la fine del mese.
Tarabas è giunto quasi al primo dei suoi obbiettivi, trovare Fantaghirò ed iniziare con lei questa lunga, difficile avventura alla scoperta dei segreti celati dal suo passato?
Cosa accadrà quando il nostro mago e l'eroina per eccellenza si ritroveranno?
Lo saprete il prima possibile, e spero che nel frattempo vorrete farmi avere i vostri pareri sugli ultimi capitoli, soprattutto chi aveva già iniziato a recensire questa storia!
Vi aspetto, e vi saluto con un abbraccio!
A presto!

Strega1981


PS: i primi capitoli della storia sono stati revisionati, in quanto ho cercato di migliorarne lo stile secondo me un pò frettoloso dovuto all'ansia di postare (mi succede con ogni nuova storia).
Chi vuole - mi farebbe piacere - può farmi sapere se gli sembrano migliori rispetto a quelli iniziali, e nel frattempo ringrazio ancora tutti coloro che anche solo si fermano a leggere, un grande grazie di cuore!

Strega1981

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Capitolo 8
*** Capitolo 7_Nelle Terre di Nord Ovest. ***


Capitolo 7_Nelle Terre di Nord Ovest.

Il sole bruciava impietoso sulle loro teste, mentre Fantaghirò provvedeva a distribuire delle forme di pane alla folla che si assiepava attorno al carro dei rifornimenti.
Ogni mattina, prima del sorgere del sole, lei ed alcuni cavalieri dell’esercito del castello uscivano con i carri colmi di gerle di pane, per andarlo a distribuire ai contadini delle campagne circostanti.
Con la scarsità di acqua che c’era, nessuno riusciva più ad impastare nulla…nemmeno una misera focaccia dura come il ferro.
Il castello però poteva contare su una piccola sorgente sita entro le sue mura, che al momento non sembrava patire la siccità devastante, forse perché la sua origine era molto in profondità, dove la terra non era corrosa dal sole e dal calore.
Fino a che la sorgente avesse tenuto, all’interno del maniero – dotato di un piccolo mulino nei sotterranei – si poteva impastare e cuocere il pane…anche se non era dato di sapere per quanto tempo sarebbe bastata la farina.
I campi erano arsi dal sole…non c’erano quasi più né grano né avena…e sebbene il castello avesse delle buone scorte, accumulate con oculatezza negli anni di abbondanza, dopo tutti quei mesi di caldo spietato, la speranza di un raccolto che potesse risollevare le sorti del regno si faceva sempre più sbiadita e lontana…incenerita dal sole cocente.
Oramai, per centellinare le provviste e farle durare, avevano fatto la farina con qualsiasi cosa si potesse macinare.
La crusca…l’avena selvatica…le castagne secche…la segale…le ghiande…le faggiole…persino la corteccia degli alberi giovani…erano state usate per la panificazione…
I boschi ed i prati erano stati spremuti fino al limite delle forze, nell’attesa della pioggia…ma il sole continuava a brillare crudele sulle Terre del Nord…e non c’era segno dal cielo che consentisse di sperare in un miracolo.
Ogni sera, al tramonto, quando la temperatura si faceva più tollerabile, lunghe file di sudditi si mettevano in coda con otri ed anfore per centinaia di metri oltre il ponte levatoio.
La sorgente del castello era a disposizione di chiunque, a causa dei pozzi ormai secchi e dei corsi d’acqua ridotti al lumicino, avesse bisogno di attingere il prezioso liquido…l’unico vincolo, posto più sulla fiducia che sul controllo, era di non sprecarla…ma ciò innescava un nuovo circolo vizioso.
Non si potevano innaffiare nemmeno gli orti più piccoli…riducendo così anche quelle poche scorte di cibo sulle quali i contadini contavano nei periodi di disgrazia…non ci si poteva pulire adeguatamente, moltiplicando il rischio di epidemie…l’acqua doveva essere impiegata solo per le necessità indispensabili…il bere, degli uomini e degli animali, ed il mangiare.
Fantaghirò alzò gli occhi al cielo, sudando copiosamente sotto la lunga frangia castana.
Il loro regno era allo stremo…e le terre confinanti se possibile stavano anche peggio…assai più di quanto fosse accaduto con Darken…con la Strega Nera…e con tutti i nemici con i quali negli anni si era scontrata.
Se gli Dei non mandavano loro un aiuto, non era sicura che stavolta sarebbero sopravvissuti a lungo.
Proprio in quel momento, una voce familiare la riscosse dai suoi cupi pensieri.
“Vostra Altezza! Vostra Altezza…!”
La donna si voltò in direzione di Sir Piqquot, che cavalcava spedito verso di lei attraverso il campo giallo di stoppie acuminate come punte di spada, osservandolo mentre le si avvicinava, schermandosi gli occhi scuri con la mano.
“Cosa sta succedendo…?! Avevo detto che non sarei rientrata prima di qualche ora…è accaduto qualcosa al castello?”
Il cavaliere si fermò a poca distanza da lei, facendo impennare il destriero lanciato al galoppo…Fantaghirò fece un leggero sorriso…malgrado l’età ormai vicina alle sessanta primavere, Sir Piqquot rimaneva uno dei migliori cavalieri del regno.
“Altezza…abbiamo già avvisato Re Romualdo…è stato lui a mandarmi da voi per farvi tornare a palazzo… E’ giunto un messaggero…stanno arrivando al castello le vostre sorelle, la Regina Caterina e la Regina Carolina…assieme a Re Ivaldo ed a Re Cataldo…ed ai vostri nipoti. Pare che si tratti di cosa molto urgente…”
Non appena Fantaghirò udì i nomi, si mise due dita tra le labbra, emettendo un fischio secco ed acuto e facendo accorrere Chiomadoro, il suo fedelissimo cavallo, nascosto sotto alcuni cespugli spinosi fitti e scuri, nel vano tentativo di proteggersi dalla calura.
Il bellissimo animale dal manto dorato si affiancò al carro, e lei lo montò con agilità, lasciando le ultime direttive agli scudieri.
“Continuate la distribuzione fino all’ultima pagnotta, ed assicuratevi che basti per tutti… Ci rivediamo al castello… Sir Piqquot, restate qui a sostituirmi, e fate rapporto al vostro ritorno…io conosco la strada.”
E senza lasciare all’uomo il tempo di ribattere alcunché, spronò il cavallo in direzione del castello.
La faccenda era preoccupante, a dir poco…in genere, le sue sorelle si muovevano da sole…oppure ognuna con il rispettivo consorte, per le visite al regno paterno…
Che stessero arrivando tutti assieme, lasciando incustodito il castello che era stato del padre di Romualdo, era perlomeno strano…e di certo, la cosa non prometteva niente di buono…
 
Tarabas guardò fuori dalla finestra della carrozza, osservando i profili brulli delle montagne in lontananza.
I boschi non erano quelli che ricordava…erano radi e spogli…e gli alberi parevano scheletrici, così diversi dalla selva rigogliosa e selvaggia che lo aveva accolto quando era partito dal Regno Sotterraneo alla ricerca della voce della donna che aveva osato sfidarlo…
Negromante era legato dietro la piccola vettura, mentre Cataldo ed Ivaldo le cavalcavano ai due fianchi…lui divideva l’abitacolo con le regine, assieme ai loro bambini, poiché i quattro sovrani, dietro la sua insistenza di partire il prima possibile, erano stati concordi nell’affermare che non fosse ancora in grado di viaggiare a cavallo.
L’uomo sbirciò attraverso le tendine di velluto color vino, e la Regina Caterina parve leggergli nel pensiero…forse semplicemente perché i loro pensieri erano simili.
“Si…un tempo questi boschi erano molto diversi…”
Tarabas si volse a guardarla, osservando con malinconia il principino Gerard, che si era addormentato tra le braccia di sua madre.
Caterina cominciò a cullarlo, accarezzandogli piano i corti capelli scuri.
Annuì, malinconica.
“La siccità ha bruciato tutto…ma mio marito ha sempre pensato che non fosse un semplice fenomeno naturale, quello che sta imperversando nei nostri regni. Fin dai tempi del regno di nostro padre, ci sono stati periodi sfortunati con la pioggia…o con la mancanza di essa. Abbiamo avuto una lunga guerra…così lunga che pensavamo fosse eterna… Ma mai, qualcosa ha messo così in ginocchio le nostre terre, in così poco tempo…e per così tanto tempo. Il vostro arrivo dimostra che ciò che pensava mio marito è vero…”
La donna seguì il suo sguardo, e sorrise dolcemente quando lo vide posarsi sul bambino addormentato.
“Vedrete…salveremo la vostra regina…ed anche vostro figlio…”
Carolina intervenne, pettinando la lunga chioma bionda di Gisele con una spazzola d’argento…la bambina iniziava a diventare irrequieta, dopo il lungo viaggio…e quell’operazione pareva calmarla.
“Fantaghirò saprà cosa fare…lei non si arrende mai…e vi aiuterà nella vostra ricerca… E forse, veramente questo riporterà la pace nei nostri regni…dobbiamo sperarlo tutti…”
Tarabas annuì, il volto bellissimo da cui sentiva trasparire tutta la propria tristezza…e tutto il rimorso che provava nel guardare quei due bambini.
Sospirò, schiacciato da una pena troppo pesante da portare, dopo così tanto dolore.
“Potrete…mai perdonarmi?”
Le due donne si fissarono, perplesse…e subito dopo la comprensione si fece strada nei loro cuori, quando capirono a cosa fossero riferite le sue parole.
Caterina sorrise, comprensiva.
“Re Tarabas…voi godete della fiducia di nostra sorella, ed anche se avete dei torti, sappiamo che avete fatto molto per ripararli… Ciò che è accaduto in passato, appartiene al passato…e nulla all’epoca è stato così irreparabile da farvi meritare il nostro perpetuo disprezzo. Se riusciremo a risolvere il mistero di questa…piaga…che affligge le nostre terre, tutti avremo delle buone ragioni per gioire… Guardare indietro non serve a nulla…quel che è fatto, è fatto…” 
Anche Carolina lo guardò con gentilezza,  riponendo la spazzola e prendendo la figlioletta tra le braccia…Gisele si rannicchiò sul suo seno, mettendosi il pollice in bocca.
“Andrà tutto bene…nostra sorella saprà come risolvere tutti questi misteri. Lei trova sempre una soluzione…”
Tarabas stava per rispondere ancora, ma la velocità della carrozza che andava rapidamente diminuendo lo indusse a guardare di nuovo fuori…e tra gli alberi scheletrici, vide finalmente spuntare il profilo del castello di Fantaghirò.
 
“Re Ivaldo e Re Cataldo…la Regina Carolina e la Regina Caterina…la principessina Gisele…il principino Gerard…e sua altezza reale Re Tarabas, dal Regno della Pagoda d’Oro…”
Il ciambellano, il cui volto era segnato da un’evidente prostrazione dovuta certo al caldo impietoso che riusciva a penetrare persino gli spessi muri del castello, terminò comunque con mirabile impegno l’annuncio…ed i sette reali avanzarono lungo la passatoia di velluto rosso, che dall’enorme portone di quercia nera portava allo scranno del trono.
Tarabas osservò costernato l’alta figura che lo attendeva sulla grande seduta laminata d’oro, circondato malgrado la calura da pelli di animali che, anziché apparire fuori luogo in quell’ambiente afoso, parevano accentuarne l’autorità e la regalità del suo sguardo.
Era la prima volta, pensò improvvisamente l’uomo con stupore, che lui e Romualdo si trovavano faccia a faccia…ai tempi dell’incantesimo infatti, il Re di fronte a lui si era mutato in pietra, a causa sua…ed al loro ultimo incontro, Romualdo aveva le sembianze dell’infelice Fyodor, per colpa di suo padre.
Ora, per la primissima volta, Tarabas poteva osservare l’uomo amato da Fantaghirò in tutta la sua bellezza e maestosità.
Romualdo aveva i capelli biondi chiari, mollemente ricciuti, di una bellezza quasi femminile, che gli ricadevano sul collo, incorniciando però un volto i cui lineamenti in apparenza delicati facevano trasparire una profonda forza di volontà ed un carattere che doveva essere determinato e risoluto, espressi entrambi dallo scintillio dei suoi occhi di un azzurro quasi stupefacente.
Il giovane monarca lo fissava con tranquillità, le gambe accavallate l’una sull’altra, e pareva studiarlo…
Anche per Romualdo, l’annuncio di Sir Gawain, che gli comunicava l’imprevista visita delle cognate e di un ospite che mai avrebbe pensato di ricevere al loro castello, era stato motivo di stupore e di curiosità.
In silenzio, fissò a lungo i bei tratti eleganti dell’uomo che era stato il mago più temuto di ogni tempo, rammentando quando lo aveva visto, dopo aver riacquistato la memoria per uno scherzo crudele di Darken, nei giardini del vulcano Nekrad.
Ora, per la prima volta, stava davanti a lui nelle proprie sembianze originarie…e per un solo istante, fu contento che Fantaghirò non fosse ancora giunta a palazzo, sebbene avesse mandato Sir Piqquot a chiamarla con la massima sollecitudine.
Così, quello era l’uomo che tanto aveva amato la sua Fantaghirò…il suo grande amore…la sola donna che, dal pomeriggio in cui aveva scorto tra i cespugli i suoi bellissimi occhi castani, avesse mai amato nella vita.
L’aveva amata credendola ninfa…l’aveva amata quando sospettava che fosse un uomo…l’aveva amata sapendola figlia del re nemico…e l’aveva amata nella morte apparente della pietrificazione…nelle nebbie della sua memoria perduta…e nella sofferenza in cui aveva temuto di non poter più essere l’uomo che lei amava.
Era certo del proprio amore per lei, quanto del suo per lui…ma un’improvvisa quanto dolorosa stilettata di gelosia gli trafisse il cuore, alla vista del volto bellissimo che una sorta di malinconia rendeva quasi arcano…e non poté fare a meno di chiedersi se, almeno una volta da quando lo aveva conosciuto, Fantaghirò davvero non avesse mai amato quell’uomo che ora, per qualche misterioso motivo, era giunto fino al loro regno.
Sul serio non aveva mai provato niente per lui, se non affetto ed amicizia…?
Amava Fantaghirò…l’amava da sempre…l’amava più di quanto amasse sé stesso…il loro regno…i loro sudditi…eppure, c’erano di quelle volte in cui la sua regina rimaneva per lui un mistero insondabile.
Ed il mago di fronte a lui, era il più incomprensibile ed intricato tassello di quel mistero…
Tarabas si sentiva trafiggere dallo sguardo color cielo di Re Romualdo che, nella sua lunga osservazione, non aveva ancora profferito parola.
I due sovrani, le loro consorti ed i principini, si erano fermati all’ingresso del salone, nell’evidente intento di lasciare che il Re delle Terre di Nord Ovest, ed il Re del Regno della Pagoda d’Oro, si spiegassero senza interferenze, né interruzioni.
Ma quello sguardo…quello sguardo che trasudava regalità…lui lo aveva mai avuto, nei tempi in cui si riteneva potente ed invincibile?
In un'altra epoca forse avrebbe risposto di si…ma ora, nel segreto più profondo del proprio cuore, era certo che non fosse mai accaduto.
Quello era lo sguardo di un uomo che era andato e tornato dagli inferi…lo sguardo di un uomo che non una, ma tante volte aveva lottato per difendere il proprio amore per la donna che amava…che troppe volte aveva rischiato di perderla…e che ogni volta era riuscito a risalire dalle tenebre…in nome di un amore che non temeva nulla…se non la perdita della persona amata.
Il suo amore per Angelica sarebbe stato altrettanto forte?
E sarebbe bastato, a fargli salvare la sua sposa ed il loro bambino non ancora nato?
Lui aveva già lottato abbastanza, da poter credere che il suo amore avrebbe trionfato?
Non lo sapeva…e temeva la risposta…e fu quel timore, a fargli piegare il ginocchio sotto il peso di una paura che non sarebbe riuscito a sradicare dal proprio cuore, fino a che non avesse visto la sua dolce Angelica riaprire gli occhi e sorridergli…
“Re Romualdo…sono qui a chiedere l’aiuto della vostra regina, Fantaghirò…”
Deglutì, fissando il velluto impolverato che copriva il pavimento…Romualdo taceva, osservandolo.
“Un grave fato ha colpito la mia sposa…incinta del nostro erede…ed ho solamente due lune per salvarli entrambi… Ma mi aspetta una ricerca che non posso intraprendere da solo…e qualcuno di molto potente mi ha…rivelato…che solo una persona in cui io riponga la mia completa fiducia potrebbe aiutarmi in questa missione che all’apparenza è senza speranza. Fantaghirò…è l’unica persona di cui mi fidi abbastanza.”
Fu lui a tacere, adesso, nel silenzio assordante che si dilatava tra di loro…fino a che, il morbido rumore di due stivali che percorrevano il tessuto della passatoia non lo fece trasalire…e nello stesso istante, sentì due mani forti che lo prendevano per le spalle, aiutandolo ad alzarsi.
Tirò su il volto, incerto…Romualdo era sopra di lui, e gli sorrideva con immensa compassione.
“Alzatevi, Re Tarabas…non siete nato per inginocchiarvi dinnanzi a me…”
Attese che fossero l’uno di fronte all’altro, anche se Romualdo era un poco più basso di lui, ed annuì, pacato.
“Molti sono state le vostre colpe…ma altrettanti, se non di più, sono stati i vostri meriti nei confronti del nostro regno. La mia regina ha grande amicizia per voi…ed io non sono così ingrato da non ricordare quanto vi dobbiamo, nella sconfitta del mago Darken, vostro padre. Quindi rimanete in piedi, e chiamatemi amico…perché questo voi vi siete dimostrato, in passato.”
Gli batté una mano sulla spalla, sorridendo al suo sguardo sorpreso.
“Fantaghirò sarà qui a momenti…l’ho mandata a chiamare…era nei campi, a distribuire pane ai contadini. Purtroppo, avrete notato che il nostro regno è stato duramente provato dalla carestia e dalla siccità…”
In quell’istante, le porte del salone si aprirono di nuovo…ed una figura dai lunghi capelli castani si stagliò nella luce accecante del pomeriggio.
Fantaghirò sorrise, incredula, riconoscendo l’uomo che stava accanto a Romualdo.
“Tarabas…tu qui….!”
Tarabas sentì un sorriso piegargli le labbra…il primo, vero sorriso dopo giorni di angoscia.
Le corse incontro, abbracciandola con trasporto e staccandosi da lei subito dopo per guardarla negli occhi…il suo aspetto non gli era familiare, perché era la prima volta da quando la conosceva, che la vedeva con i capelli lunghi.
Ma c’era una luce nel suo sguardo…una luce che nessun altro possedeva…e che gli fece capire che, al di là del tempo che era trascorso dal loro ultimo incontro, lei era Fantaghirò…la sua amica, la sola persona alla quale avrebbe affidato la vita…la sua…e quella della donna che amava…e del loro bambino non ancora nato.
Le strinse le spalle, tentando di controllare la voce.
“Fantaghirò…ho bisogno del tuo aiuto…ne ho bisogno ora più che mai…”




Nota Autrice:
Ciao a tutti amichini!
Allora, so che mi avevate data per morta, e so che alcuni di voi mi hanno lasciato delle recensioni di recente...grazie a tutti voi, perché malgrado la mia lunga assenza, le visite sono aumentate e quindi ancora c'è chi segue la mia storia.
Non l'ho abbandonata, state tranquilli...semplicemente, il 2016 si è concluso come è iniziato - un cesso - ed ho dovuto semplicemente prendere atto del fatto che l'unica soluzione era buttarselo alle spalle e cominciare il 2017 con tanti buoni propositi, primo tra tutti postare con maggiore puntualità!
Quindi, eccomi ancora tra voi con due nuovi capitoli a cui presto ne seguiranno altri.
Passate bene le feste? Spero di si...io le ho passate ed archiviate.
Perciò, eccoci qui.
Tarabas ha il suo primo incontro con Romualdo, ed era una scena a cui tenevo perché se ci pensate i nostri baldi amici non si sono mai trovati faccia a faccia...diciamolo pure, Romualdo in questo ha avuto sfiga.
Comunque, qui il tempo è tiranno, e bisogna darsi da fare...ci sono tre regni in gioco!
Che faranno i nostri amici?
Intanto, godetevi questi capitoli...ve lo rivelerò quanto prima!!!
Un abbraccio a tutti!!

Strega1981

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Capitolo 9
*** Capitolo 8_Un Aiuto dal Cielo. ***


Capitolo 8_Un Aiuto dal Cielo.

Tarabas sospirò, concludendo il proprio racconto per la seconda volta in due giorni, e si sedette di fronte alle sei persone che lo osservavano, guardandosi ogni tanto tra di loro.
Fantaghirò fu la prima a riaversi dalla sorpresa, sedendosi accanto a lui e prendendogli la mano.
Gli sorrise, annuendo.
“Tarabas…il nostro regno ti deve tutto… Senza di te, il mio castello sarebbe rimasto sotto una campana di vetro…e senza il tuo aiuto, Romualdo non avrebbe mai recuperato la memoria…e non avrebbe potuto uccidere Darken. Io ti aiuterò, non dubitarne…e se è un viaggio che dobbiamo fare, lo affronteremo insieme. Da dove intendi cominciare…?”
Tarabas trasalì, costernato…aveva affrontato la prima parte del viaggio pensando di dover raggiungere il prima possibile il regno di Fantaghirò…ma non aveva mai ragionato su quale sarebbe stato l’effettivo…inizio…di quel cammino che già si prospettava impervio e colmo di incertezza…
Romualdo, osservandolo in silenzio, comprese il motivo del suo mutismo, e gli si avvicinò, scambiandosi uno sguardo con i suoi compagni d’arme.
“Fantaghirò…penso che Tarabas…non abbia ancor bene ragionato…sulla prima meta…del viaggio che la Melusina gli ha imposto…”
A quelle parole, l’antico mago chinò il capo, sentendo la disperazione attanagliargli nuovamente il petto…troppo poco, era durato il sollievo del vedere lo sguardo colmo d’affetto della sua alleata…e del ritrovarsi tra amici che volevano aiutarlo…al di là dei suoi errori passati.
Scosse la testa, sconfitto.
“E’ vero…non ho mai pensato…in questi giorni…ad un luogo dal quale…cominciare…le ricerche…”
Di nuovo un ostacolo…di nuovo l’oscurità…che lo inghiottiva a dispetto della poca luce che quella speranza gli aveva fatto intravvedere…per un tempo troppo breve perché potesse recargli sollievo.
Un lungo silenzio cadde nella sala ove si erano radunati i sette sovrani…interrotto però poco dopo dallo scalpiccio di passi affrettati che percorrevano il corridoio fuori la porta…e che annunciarono l’arrivo di una figuretta vestita di broccato color pesca, che piombò nella stanza spalancando la pesante porta di quercia.
“Tarabas…allora era vero!!!”
Il giovane sovrano alzò lo sguardo verso l’esile apparizione che lo fissava, gli occhi verdi traboccanti di gioia ed entusiasmo…era una ragazzina di circa quattordici anni, con lunghi capelli biondi che le scendevano in morbidi boccoli lungo le spalle e la schiena, e le cui delicate vesti non bastavano a contenerne l’esuberanza e la gioia di vivere…
Per un attimo rimase interdetto, di fronte alla leggiadra sconosciuta…ma poi, alla sua figura aggraziata si sovrappose quella imbronciata e scarmigliata di una bambina di dieci primavere…che protestava vivamente ad ogni ordine, e che lo seguiva con lo sguardo nella sua partenza dai Regni del Nord…
Fu allora che la riconobbe…ed un sorriso più ampio si disegnò sul suo volto affaticato.
“Esmeralda…sei veramente tu…?”
La giovinetta annuì, correndogli incontro ed abbracciandolo di slancio…poi si ritrasse, scrutandolo ansiosamente da sotto in su.
“Ho sentito Sir Gawain che raccontava cosa ti è successo…mi dispiace così tanto…”
Lui le accarezzò i capelli, sorridendo ancora e ricordando con nostalgia la bambina che si era lasciato alle spalle quattro anni prima.
“Grazie…mia dolce Esmeralda… E’ meraviglioso ritrovarti qui…”
Interrompendo il loro colloquio con l’ingenuità dei bambini, la principessina Gisele le si avvicinò e le tirò la gonna, inducendola ad abbassare gli occhi per guardarla.
“Esmeralda…andiamo a giocare?”
La fanciulla sorrise dolcemente, prendendo in braccio la cuginetta…quindi si volse verso Fantaghirò, accennando con la testa bionda al cortile del castello.
“Fantaghirò, posso andare fuori con Gisele?”
La donna assentì, guardandola con un misto di affetto, apprensione ed orgoglio.
“Certo Esmeralda…ma rientrate non appena fa troppo caldo…Gisele è ancora molto piccola…”
Esmeralda fece un lieve inchino, lanciando un ultimo sorriso un po’ dispiaciuto a Tarabas…
Evidentemente, sarebbe voluta rimanere con loro…ma doveva aver capito che la situazione era assai delicata, ed anche terribilmente tediosa per i piccoli principi che, con il passare delle ore, sarebbero potuti diventare irrequieti.
Tese quindi la mano verso Gerard, che stropicciandosi gli occhi la raggiunse, trotterellando sulle gambette ancora incerte…la ragazzina lo prese saldamente per le dita paffute, indicando il portone principale.
“Staremo nel patio esterno, all’ombra…almeno fino a che il sole non sarà alto… Rientreremo per il desinare…ci vediamo dopo…?”
Romualdo le sorrise, palesemente fiero della sua gentilezza nei confronti dei due bambini che pure non erano legati a lei da vincoli di sangue.
“Certamente Esmeralda, troverai Tarabas ancora qui, almeno fino al tramonto…anche qualora si debba partire, lo faremo non prima di domani…”
Lei annuì con dolcezza, poi si avviò con grazia verso i giardini reali…Tarabas la seguì con gli occhi, incantato.
“E’…cresciuta molto…in questi anni…”
Romualdo assentì, scambiandosi uno sguardo affettuoso con Fantaghirò, e lei si spostò una ciocca di capelli dietro l’orecchio, andando indietro con la memoria.
“E’ vero…ormai assai poco rimane della bambina testarda che portai via dalle rovine del castello dei suoi genitori… Non fraintendermi, la sua fierezza e la sua caparbietà sono ancora le stesse…ma la crescita ha modellato gli spigoli, e la sua età molto ha fatto nell’accentuare la sua bellezza e la sua nobiltà. E’ una fanciulla splendida, ormai…non è più una bambina. Anche se a volte, quando tira su la testa, rivedo in lei il fantasma della bimba di un tempo…e non smetto di ringraziare gli Dei, per avermi permesso di salvarla…”
Tarabas ripensò a quali…circostanze…avevano reso orfana la piccola Esmeralda…ed un nuovo stile di dolore gli penetrò il petto, facendogli abbassare la testa, prima di cercare lo sguardo non di Fantaghirò, ma di Romualdo.
“Che ne è stato…del suo regno?”
Romualdo si avvicinò a Fantaghirò, ponendole una mano sulla spalla…la regina gliela accarezzò in un gesto inconsapevole, che però trasmetteva tutto l’immenso amore che li legava…il re sorrise, pacato.
“Pochi mesi dopo il suo arrivo nel nostro regno, forse due lune, abbiamo messo un reggente. Si tratta di Sir Baldiow…un uomo retto, onesto e fedele. Era uno dei consiglieri del mio defunto padre, uno dei più giovani all’epoca…ma già allora, aveva cercato di dissuadere mio padre dall’idea della guerra. Purtroppo non venne ascoltato, troppe voci un tempo si levavano nel fomentare il conflitto tra i nostri regni…e molte altre si sarebbero levate prima che arrivasse la pace. Ora è anziano, ovviamente…ma è e rimane un uomo di pace, profondamente votato ai propri doveri, fedele a me in tutto ciò in cui non ha potuto essere fedele al mio colpevole genitore. Ci manda ogni mese un resoconto sulle terre del regno di Esmeralda, il Regno della Valle del Drago…e comunque, noi la portiamo almeno ogni tre lune a visitare la sua terra natia. Possiamo quindi vigilare sulle condizioni dei suoi abitanti, e verificare che non vi siano disordini. Un domani, quando avrà l’età giusta, Esmeralda potrà rivendicare la corona che le spetta di diritto… Ovviamente, al momento, anche queste visite sono state sospese…la situazione è identica ovunque, non avrebbe senso metterla in pericolo.”
Tarabas aggrottò la fronte, perplesso…Cataldo, seduto su un triclino di legno scuro, dovette comprendere il suo stupore, perché sorrise, scambiandosi un’occhiata con Ivaldo.
“Il regno di Romualdo…e quello delle nostre regine, sono stati in guerra per molti anni… Non so come iniziò la guerra…posso solo dirvi che quella guerra durò tanto che la gente non ricordava nemmeno…cosa fosse la pace.”
“Durò tanto…che nemmeno io, pensavo sarebbe mai finita…”
Una voce profonda si intromise nella conversazione, e le teste dei sette sovrani si volsero all’unisono in direzione di un pesante tendaggio blu notte, sotto il quale, la figura ancora imponente di un uomo molto anziano, si stagliava contro il buio del corridoio alle sue spalle.
Fantaghirò sorrise, alzandosi…e le sue sorelle la imitarono, sorprese.
“Padre! Che bello vedervi!! Non eravate in viaggio?!”
L’uomo scosse il capo, accogliendo nel proprio abbraccio le due figlie maggiori…Fantaghirò si fece loro vicina, porgendo il braccio al Re Padre…lui vi si appoggiò, ma il suo gesto pareva dettato più dall’affetto che dalla necessità.
“Sono tornato, figlie mie, per stare vicino ai nostri sudditi in questo momento di difficoltà…e per non imporre la mia presenza ed il dovere dell’ospitalità ai regni nostri vicini, che versano in identica se non maggiore disgrazia. In questi giorni così drammatici, dobbiamo rimanere uniti…il mio posto è qui.”
Fantaghirò annuì, e Romualdo fece cenno a due paggi di avvicinare una sedia imbottita, affinché il vecchio Re potesse sedersi comodamente.
“Era mia intenzione scrivervi, Carolina…non è nemmeno da un quarto di luna che nostro padre è arrivato. Ma sono stata trattenuta…bè…da questioni più urgenti. Sono quasi sempre nei campi, in questi giorni…cerchiamo di mantenere tranquilla la situazione tra i contadini.”
Romualdo fece un cenno di assenso, cupo.
“Fino a che durano la sorgente del castello e le scorte di grano, possiamo contare sul fatto che non vi siano disordini…tuttavia, per chi abita distante dal palazzo è più dura, e sono già stati diversi gli scontri dovuti alle privazioni cui sono sottoposti gli abitanti delle campagne circostanti. Ringraziando gli Dei, si tratta di litigi di poco conto…ma temiamo che la situazione possa degenerare. Così cerchiamo di portare sollievo tramite distribuzioni continue di pane, è tutto ciò che possiamo fare, per adesso. Ma anche per noi è necessario giungere alla risoluzione di questo mistero…o i nostri regni sono condannati.”
Il Re Padre prese posto tra loro, sorridendo saggiamente al genero.
“Romualdo…nessun regno è condannato, fino a che i suoi sovrani non perdono la speranza. Se ai tempi della guerra avessimo perduto la speranza, non avremmo mai riportato la pace…”
Tarabas fissò l’anziano monarca, stupito.
“Mio Signore…”
Il Re Padre spostò gli occhi su di lui, annuendo piano.
“Ditemi pure, Re Tarabas…”
Il giovane sovrano aggrottò la fronte, stupito.
“Mi…mi parlerebbe…di questa guerra…?”
Il Re parve sorpreso, ma poi annuì ancora, raccogliendo le mani in grembo…Romualdo si sedette accanto a Fantaghirò, ed anche gli altri si disposero ad ascoltare.
“La guerra tra i nostri regni, fu iniziata da mio padre, e dal padre del padre di Romualdo… Se dovessi dirvi come cominciò, non ne sarei in grado… Forse per motivi di territorio…forse per smania di ricchezze…non so. Ma io ed il padre di Romualdo ereditammo il loro odio, assieme al trono…e proseguimmo quella guerra insensata, senza chiederci quanta sofferenza sarebbe costata al popolo. Fu Romualdo, in realtà, il primo a cercare la pace…anche se, dapprima, la sua ricerca fu per me motivo di grande costernazione…poiché non ero in grado di rispondere adeguatamente alla sua domanda…e ciò parve, inizialmente, condannarci tutti…”
Fece una pausa, e Tarabas girò lo sguardo attorno a sé, fino a che non incontrò gli occhi chiari di Romualdo, che assentì a propria volta, stringendo la mano a Fantaghirò.
“Mio padre…io non ricordo molto di lui, in realtà. Sin da bambino, mi mandò a studiare l’arte della guerra nei paesi dell’estremo Nord…nelle terre dei ghiacci eterni. Mi tenne distante dagli scontri…mi fece crescere lontano dal clangore delle spade. Lì, incontrai Ivaldo e Cataldo, che divennero i miei fidati compagni d’arme. Quando rientrai in patria, alla morte di mio padre, diedi loro i titoli nobiliari necessari per starmi accanto come consiglieri…e loro mi dimostrarono una volta di più la loro amicizia e fedeltà, non accettando alcun possedimento terriero…loro desideravano soltanto rimanere al mio fianco, e così fecero…ma per ciò che avevo in mente, non mi serviva il consiglio di nessuno. Non era la mia guerra…ed il popolo stava soffrendo. Non volevo continuare la follia di mio padre e di mio nonno…ed anche se tutti i dignitari di corte di mio padre, salvo pochi, furono sconvolti dalla mia scelta, Ivaldo e Cataldo furono concordi con me, quando presi la mia decisione.”
Il giovane Re si scambiò un’occhiata colma di significato con gli altri due sovrani, ed il Re Padre riprese la parola, guardando le sue figlie una ad una.
“Romualdo non voleva proseguire la guerra, e mandò un messaggero con una proposta che avrebbe posto fine a tutti i conflitti… Un duello, tra lui ed il nostro campione…un unico scontro che aveva il valore della guerra stessa, ed il cui esito avrebbe sancito la definitiva vittoria o sconfitta dei nostri regni. Era una proposta giusta e leale…ma io non avevo un campione. Anche se l’avessi avuto, non lo avrei mandato, comunque… Molte voci, in particolare quella del malvagio generale del mio esercito di allora, mi traevano in inganno, spingendo me a continuare a combattere, ed i miei indovini a dirmi che nel mio regno non c’era un campione all’altezza del duello. Io ero già vecchio, allora…non potevo pensare di tenere testa ad un re giovane e valoroso. Sembrava una dilemma senza soluzione…e la soluzione, in verità, fu l’unica che io non avrei mai potuto nemmeno vagheggiare.”
Fantaghirò guardò le sue sorelle, e Carolina rise al ricordo, precedendola prima che parlasse.
“Fummo proprio noi, a proporci come campioni del regno… Mia sorella Caterina prese il titolo di Marchese di Sorian…io quello di Barone di Levrieri…e Fantaghirò quello di Conte di Val d’Oca. Nostro padre sparse la voce che eravamo tre stranieri, e che ci eravamo offerti di difendere la bandiera del Reame, in nome di un’antica gratitudine delle nostre contee… Una storia assurda, per certi versi…ma funzionò. Il popolo era stremato, tutti anelavano la fine della guerra…”
Cataldo intervenne, sporgendosi verso la moglie.
“In tanti anni non ho mai capito una cosa però…anche noi, ricevemmo il messaggio che sarebbero giunti nel nostro territorio tre cavalieri…ed eravamo entusiasti all’idea di averne uno a testa. Poi però, fu solo Fantaghirò, ad arrivare a destinazione…perché?”
Caterina pose gli occhi scuri su Fantaghirò, sospirando.
“Fantaghirò era l’unica in grado di affrontare il duello…noi eravamo del tutto inadatte a pensare anche solo di brandire una spada. Nostro padre aveva posto la condizione che partissimo tutte e tre…ma Fantaghirò sapeva bene che noi le saremmo state soltanto di peso.”
La sorella intervenne, scuotendo le lunghe ciocche castane scure e parlando con voce accorata.
“Caterina…voi non eravate un peso, per me…”
Carolina le sorrise, posandole una mano candida sul ginocchio, dove Fantaghirò aveva la propria…Tarabas notò la differenza, chiedendosi come avesse fatto a non accorgersene prima.
Le mani di Caterina e Carolina erano lisce, delicate…quelle di Fantaghirò erano altrettanto chiare, ma più dure, callose…con i segni che tradivano l’uso costante delle briglie e della spada.
“Fantaghirò…tu non ci vedevi come un peso, ma lo saremmo state. Nella nostra incapacità, ci saremmo rivelate subito, facendo scoprire la nostra identità di donne. E nessuno avrebbe accettato una donna in duello, o non avremmo mai dovuto dire che eravamo tre stranieri, naturalmente uomini. Tu eri la sola che sapeva combattere…ed anche se fosti molto dura con noi, per costringerci a tornare indietro, capimmo subito che lo facevi per il nostro bene…per proteggerci.”
Fantaghirò spostò lo sguardo da Carolina a Caterina, poi si girò verso Romualdo.
“Bè, anche a me le cose non furono rese facili…dato che Romualdo sospettò da subito la mia vera identità.”
L’uomo le sfiorò una guancia con il dorso delle dita, muovendo il collo in un gesto indulgente.
“Furono i tuoi occhi a tradirti, amore mio… Li avevo intravisti nella foresta…ma anche se così non fosse stato, i tuoi erano gli occhi di una fanciulla…nessuno avrebbe potuto convincermi che tu fossi un uomo.”
Scoppiò a ridere, accarezzandole i capelli.
“Comunque, pare che io sia stato l’unico a dubitare di te…nessun altro nemico ha mai messo in dubbio la tua identità maschile…per fortuna.”
Anche Fantaghirò rise, guardandolo con amore.
“Forse perché noi eravamo destinati ad amarci…in fondo, se tu non avessi…temporeggiato, con tutte quelle prove stupide…io non mi sarei mai accorta di amarti. E’ stato il tempo che mi hai dato, a farmi accorgere che ti amavo…ed anche se io avessi vinto il duello, e con esso la guerra, ora non saremmo così felici…”
Un silenzio carico di emozione calò su di loro…ma poco dopo, Fantaghirò riprese a parlare, guardando sia Romualdo, che le sue sorelle, che i cognati…ed infine il Re Padre…e poi Tarabas.
“Dalle vostre parole sembra quasi che sia stato merito mio, la fine della guerra…ma non è così. Qualcuno molto prima di me, aveva capito come si sarebbero dovute svolgere le cose.” 
Si rivolse al padre, pacata.
“Non fui io Padre, a comprendere quale sarebbe stato il modo giusto, per affrontare la sfida di Romualdo…fu la Strega Bianca. Poi io lo interpretai come il segno che, avendo studiato in segreto l’arte della spada, avrei potuto sfidarlo alla pari. Solo tempo dopo, quando voi eravate lontano, e quando la Strega Nera ci attaccò, capii che la Strega Bianca sapeva già allora che sarebbe stato l’amore, e non la spada, a portare la pace ai nostri regni.”
Cataldo tossicchiò, richiamando la sua attenzione.
“E’ vero…ma se tu non ti fossi spacciata per il Conte di Val d’Oca, non è detto che le cose sarebbero andate allo stesso modo. Sarebbe stato troppo semplice pensare che i nostri matrimoni avrebbero portato la pace…erano solo la naturale conclusione di un disegno assai più grande, amica mia. E la tua abilità con la spada troppe volte ha salvato i nostri Regni, per essere stata un semplice espediente. No Fantaghirò, la Strega Bianca sapeva anche questo…e cioè che tu dovevi essere la principessa guerriera, colei che avrebbe preso sulle sue spalle il nostro destino, quando i guerrieri non avrebbero potuto farlo.”
Tarabas trasalì a quel nome misterioso che veniva ripetuto più volte.
“Chi è la Strega Bianca?”
Il Re Padre sospirò, lo sguardo velato dall’età che si faceva lontano.
“Una creatura magica, custode della nostra foresta, che ha vegliato su Fantaghirò fin dalla sua nascita. Molte volte ho sfidato la sua clemenza…ed altrettante lei ha perdonato la mia arroganza. Il mio rimpianto è di non averla mai potuta ringraziare come merita…”
Fantaghirò scrutò suo padre con un sorriso malinconico, emettendo a propria volta un lieve sospiro.
“In varie forme, ha guidato i miei passi in mezzo a mille difficoltà…è stata lei, alla fine, la vera artefice della pace…”
Tarabas osservò in silenzio il trono dal quale Romualdo l’aveva accolto solo poche ore prima, poi tornò a guardare i sette sovrani, incluso il Re Padre.
“E così…una storia di guerra…è diventata una storia d’amore…?”
Fantaghirò annuì lentamente, stringendo con dolcezza la mano di Romualdo.
“Si…è così…”
Nello stesso momento però, Caterina si alzò in piedi, gli occhi sgranati, fissando sua sorella.
“Ma certo!! Come abbiamo fatto a non pensarci prima!?!?”
Cataldo fissò la moglie come se fosse impazzita.
“Caterina, ma cosa stai…?”
Lei scosse vigorosamente la testa, sempre guardando Fantaghirò.
“La Strega Bianca!! Lei saprà di certo come fare…da dove cominciare la ricerca!!!”
Fantaghirò trasalì, osservando Romualdo…poi agitò il capo in un gesto di diniego, abbattuta, parlando alla sorella maggiore.
“Non è possibile Caterina…sai che la Strega Bianca, aiutandoci nella guerra contro la Strega Nera, ha perduto i suoi poteri. Non vedo come…”
Romualdo la interruppe, riprendendole la mano con vigore.
“Si…ma anche se ha rinunciato ai suoi poteri magici, non può aver perso tutta la sua conoscenza magica… Tarabas, ripetete quello che vi ha detto la Melusina…”
Tarabas si concentrò, stringendo il pugno nel ricordare le parole della pitonessa.
“Ha detto…che il mio viaggio sarebbe iniziato dove ci sono…le cose non dette…”
Deglutì, raccogliendo le idee sotto gli occhi di Fantaghirò, di Romualdo e degli altri sovrani.
“Io…inizialmente avevo pensato che…dovevo cominciare dal Regno Sotterraneo…dove vivevo con mia madre Xellesia…prima di incontrare Fantaghirò ed Esmeralda. Ma più ci penso…più mi sembra impossibile che laggiù ci sia qualcosa di non detto. Ciò che mia madre mi nascondeva, era nei suoi ricordi…nella sua memoria…come la profezia dove si diceva che un figlio di re mi avrebbe sconfitto entro il suo decimo compleanno. Nulla in quel luogo aveva segreti per me…poiché avrei potuto trovarli, e mia madre di certo non voleva correre rischi…quindi dubito che, tornandoci dopo tanti anni, troverei qualcosa che possa svelare il segreto che lei ha portato con sé nella tomba.”
Romualdo si alzò in piedi, tenendosi il mento con aria pensosa.
Dove ci sono le cose non dette…non so perché, ma dubito che più di un luogo possa corrispondere ad una descrizione così…particolare. Io penso che la Melusina si riferisse ad un luogo molto preciso…un luogo del quale solo una creatura magica può essere a conoscenza. Anche se la Strega Bianca ha perso i poteri, quel luogo lei lo potrebbe conoscere. Caterina ha ragione Fantaghirò…forse la Strega Bianca potrebbe indicarci la strada giusta…non possiamo perdere tempo a cercare a caso. Tarabas non può farlo…e nemmeno noi.”
Fantaghirò si mise in piedi, cominciando a camminare avanti ed indietro.
“Questo è vero…ma io non saprei dove cercarla. Quando tentai di invocare il suo aiuto, Fulmine e Saetta mi dissero che si era trasferita in campagna…non so dove, né a che distanza da qui. Come potremmo cercarla…? Lo hai appena detto tu stesso, amore mio…non possiamo perdere tempo prezioso.”
“Ma forse dal cielo si potrebbe vedere meglio, dove vive la Strega Bianca…”
Un’altra voce si intrufolò nella loro conversazione…e voltandosi in direzione del portone principale, tutti videro di nuovo Esmeralda, che affidati i bambini ad una balia, ora camminava rapidamente nella loro direzione.
Quando le fu davanti, tese una mano a Fantaghirò…e lei vide sul suo palmo un oggettino marrone.
Sgranò gli occhi, stupita.
“Ma questo…è il fischietto di Saetta…pensavo di averlo perduto…”
Esmeralda sorrise, scuotendo la bellissima testa bionda.
“No…ti cadde quando uscimmo dal pozzo, dopo che Saetta riuscì a far piovere. L’ho raccolto e conservato…senza mai usarlo…ma sapevo che prima o poi sarebbe servito. Tieni…te lo restituisco.”
Fantaghirò la fissò per un lungo istante, poi la abbracciò di slancio, stringendola forte a sé.
“Grazie tesoro mio…sei stata meravigliosa.”
Prese il fischietto, indicando agli altri il portone ancora aperto.
“Venite…dobbiamo essere all’esterno.”
Tarabas si alzò per primo, seguendola assieme a Romualdo che gli si affiancò immediatamente…Caterina, Carolina, Ivaldo e Cataldo andarono loro dietro…solo il Re Padre ed Esmeralda rimasero nel salone.
Fuori il sole era già alto, e la temperatura era ormai torrida…Fantaghirò scrutò ansiosamente il cielo privo di nubi, poi soffiò nel fischietto, ed un lieve suono musicale si sprigionò dal suo interno.
Per qualche istante non accadde nulla…poi un tuono echeggiò nel cielo limpido, e due lampi attraversarono l’aria…un momento dopo, due figure comparvero sul selciato antistante il castello.
Fulmine e Saetta erano identici a come Fantaghirò se li ricordava…i due ragazzini si lanciarono tra le sue braccia, palesemente felici di ritrovarla.
“Fantaghirò! Finalmente ci rivediamo!!”
Si scostarono, osservandola da sotto in su con gioia mista ad apprensione…e fu Saetta a parlare per prima.
“Hai bisogno di noi? Cosa possiamo fare per te? Non possiamo far piovere…ci dispiace…nemmeno noi siamo in grado di fare nulla contro questa siccità…”
Cataldo si fece avanti, rivolgendosi a Saetta…lei la conosceva già, anche se non aveva mai incontrato suo fratello.
“Quindi…non si tratta di una normale siccità, vero?”
Fulmine annuì, il sorriso che spariva dal suo volto eternamente infantile.
“No…non lo è…ma non sappiamo cosa l’abbia provocata. Abbiamo corso settimane, in mezzo ai cieli…e non abbiamo scoperto nulla. Qualcosa impedisce alle nuvole di formarsi…neppure noi riusciamo a generarle. E’ una forza magica, potente…però non riusciamo a capirne l’origine, né la natura. Ci dispiace molto…ma se possiamo fare qualcos’altro, siamo a vostra disposizione.”
Fantaghirò li fissò entrambi, decisa.
“Ragazzi…voi sapete dove possiamo trovare la Strega Bianca?”
Fulmine e Saetta si guardarono, perplessi…e Saetta parlò con voce incerta.
“Bè…si…direi di si…ma lo sai che lei…insomma…”
Romualdo si avvicinò, teso.
“Si…sappiamo che ha perso i suoi poteri. Ma non vogliamo chiederle di aiutarci con la siccità…dobbiamo trovare un luogo particolare…e lei è l’unica che potrebbe saperne l’ubicazione. Potete portarci da lei?”
Fulmine fissò la sorella, poi sbuffò, annuendo.
“Certo…”
Fece un’espressione strana, quasi…arrabbiata.
“…ma non vi piacerà, quello che troverete…”




Nota Autrice:
Ciao a tutti!
Come promesso, avevo detto due capitoli e due ne ho messi!
Un breve riassunto della storia di Fantaghirò, giusto per introdurre l'intervento di una figura che non potevo proprio evitare di far intervenire...
E che storia di Fantaghirò sarebbe, senza la Strega Bianca?!
Ovviamente, la nostra cara Madrina non ha più molto a che vedere con il mondo magico, il tempo dei miracoli è finito da un pò...ma come tutte le Streghe e Fate che si rispettino ha ancora qualche carta da scoprire...e quindi saprà fare la sua parte per mettere i nostri eroi nella giusta direzione.
Ed assieme a lei, anche Esmeralda, Fulmine e Saetta danno una mano alla risoluzione dei misteri!
Ma cosa avrà inteso dire Fulmine, con quelle strane parole?
Bé, lo saprete al prossimo post...ma vi prometto risate fin da ora!!!
Nel frattempo, posso sperare nei vostri commenti, anche solo uno piccino picciò?
Ciao, alla prossima!

Strega1981

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