On the road

di Omega85
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1° capitolo ***
Capitolo 2: *** 2° capitolo ***
Capitolo 3: *** 3° capitolo ***



Capitolo 1
*** 1° capitolo ***



~~ON THE ROAD
Mi dicono che devo piangere, piango. Mi dicono che devo ridere, rido. Mi dicono che devo correre, corro. Mi dicono che devo scrivere, scrivo. Ed eccomi qui, davanti ad una pagina completamente bianca, da riempire con queste piccole linee di inchiostro che ora si spessiscono, ora si bloccano, ora si ingarbugliano con tanti fronzoli rotondi che paiono quasi una decorazione. Da riempire con queste piccole e semplici parole che nascondono un significato non troppo chiaro alla luce del sole. On the road. Questo è il titolo della storia che andrò a raccontare. Perché vivere per strada, non vuol dire essere barboni o poveri, vuol dire sapersela cavare in ogni situazione, vuol dire avere la forza di andare avanti senza stancarsi mai, vuol dire avere fegato, vuol dire saper viaggiare. Viaggiare. Già perché viaggiare è forse la cosa più importante e libera della nostra vita. Viaggiare, senza una meta chiara e precisa, viaggiare, solo per il gusto di farlo.

Ore otto, nuovo giorno, palloso come al solito.
 Questo è lo spirito con cui intraprendo l’inizio di una nuova giornata. La solita orribile giornata. A scuola, circondato da compagni sfigati con gli occhiali e la faccia piena di brufoli, a casa con mia madre che mi urla dietro e mio padre che non si muove da quel dannatissimo schermo del computer. Questo, in linee generali, è lo scorrere della mia vita. Eccomi adesso davanti al cancello della scuola. Lo odio. Triste come ogni ragazzo che ne varca la soglia. Potevano almeno metterci un colore squillante e allegro come l’arancione, no! Vedi che ti vanno a scegliere proprio il grigio. Chissà perché poi sono tutti fissati con il grigio, così monotono, così brutto, forse perché adorano farci soffrire. Attraverso piano il cortile infestato da piccoli odiosi ed eccitati primini saltellanti, la scuola è iniziata da poco, per questo sono così felici. Guardo le loro facce, i loro zaini, tutti così allegri e carini. Poi guardo me,  almeno ci provo per quanto sia possibile, e mi vedo. Rozzo, malandato e arrogante. Poi arriva il momento peggiore: la classe. La nostra classe è piccola, storta e stretta, somiglia parecchio alla professoressa di francese (vi lascio intendere). I banchi tutti storti, e mezzi scassati, ma la cosa che mi fa più pena di tutte sono i miei compagni. Non capiscono nulla. Pensano solo alla scuola oppure al calcio. Sono ancora in quella fase infantile che non sopporto. In ogni caso come avrete capito non mi trovo bene. Mi siedo, solito banco leggermente staccato dagli altri perché non li sopporto più, solita accoglienza con quella scritta nera enorme che c’è sulla sedia: “ciao merda”, solita ansia che arriva e ti travolge per l’interrogazione di letteratura. Solita prof che entra e dice tutta contenta “Sorpresa! Interrogazione.” Come se fosse per davvero una sorpresa. Ed ecco che così passano piano le ore della giornata, lente e inesorabili. Poi finalmente uno stacco, una piccola pausa chiamata SALVEZZA. Nell’intervallo posso finalmente uscire da quel manicomio di pazzi ambulanti  andarmene tutto solo in giro per i corridoi. Mi ricordo per i primi tempi che i miei compagni trovavano insolito che andassi in giro tutto solo e allora venivano lì da me a chiedermi se avevo qualche problema o altro, ma visto che non hanno mai capito perché gli rispondevo in modo così piccante, alla fine hanno smesso, e oramai non mi caga più nessuno. Così vago, tra quella gente inutile, guardandoli tutti e salutando di tanto in tanto qualche faccia amica. Vago pensando a qualche scusa o fortuna che possa riuscire a trascinarmi fuori da qui. Poi ecco che arriva sempre la guastafeste. Dobbiamo tornare dentro. Ed ecco che rincomincia quella che potrebbe definirsi una vera e propria carneficina di studenti impreparati. La prof di geografia, Bianchi, è una vera e propria canaglia. Dice che non interroga e poi lo fa, dice che non facciamo nessuna verifica fino alla fine del quadrimestre e poi la vedi che prepara segretamente tutte le domande da metterci dentro. Sembra quasi che il suo obbiettivo non sia farci studiare, ma sia coglierci con le mani nel sacco, beccarci quando non sappiamo nulla e darci una sfilza di quattro interminabile. Poi si lamenta di noi alle riunioni di classe, ma dico, si è mai vista? Eccomi finalmente a casa, finalmente si fa per dire, apro appena la porta e non faccio in tempo ad entrare che mia madre inizia: “Quanti compiti hai?” “Devi farti la doccia oggi lo sai vero?” “Vieni a mangiare che poi ti aiuto con matematica”… e avanti di questo passo fino a che non riesco a convincerla che sto studiando chiuso in camera. Anche qui mi fermo e rifletto, cerco sempre un appiglio, un qualcosa che mi porti via e che mi regali finalmente un po’ di pace. Non ho nulla da fare per tutto il pomeriggio, se non la doccia e i compiti, che la maggior parte delle volte non faccio. Non amo lo sport o l’attività fisica, e poi non sono uno che mantiene gli impegni, se facessi per esempio calcio andrebbe a finire che salterei tutti gli allenamenti e al loro posto me ne andrei in giro a non fare nulla per la città. Così rimango tutto il giorno in casa, e ho modo di seguire bene anche la vita dei miei genitori. Dovrebbe essere bello potersi intrufolare nelle loro vite, ma non è così nel mio caso. Papà non fa nulla se non telefonare e imprecare davanti al suo computer portatile e la mamma sta tutto il giorno in cucina a pulire e ripulire i fornelli e a preparare cene e pranzi con anche otto giorni di anticipo. Alla fine tra un’imprecazione e l’altra e tra uno strofinaccio e l’altro arrivano all’ora di cena. La cena è sempre noiosa, nessuno sa mai cosa dire e si creano sempre momenti di silenzio imbarazzante. Così va a finire che si mangia velocemente e poi ognuno va per i fatti suoi. Papà torna davanti al computer, mamma torna a sparecchiare e pulire pentole e fornelli e io mi guardo un po’ di tele. Dopo un po’ mi stufo e vado a letto, è sempre così, non cambia mai.
Ore otto, nuovo giorno, palloso come al solito.






Ciao a tuttiiiiii!!! Prima storia! Spero vi piaccia e spero che abbiate la voglia di mettervi a scrivere su quei pesanti tasti neri per lasciare una recensione! Anche se negativa! :) vi saluto e spero abbiate voglia di sapere come andrà avanti e soprattutto che cosa centri il titolo on the road!!

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Capitolo 2
*** 2° capitolo ***


Eccoci ancora qui, nulla è cambiato e nulla cambierà. Sono ancora le otto, sono ancora davanti al cancello, sono ancora rozzo, malandato e arrogante. Oggi c’è una bella luce davanti al cancello, è qualcosa che non accade spesso, sarà per via dell’estate che persiste con fatica in mezzo a tutte queste foglie che sembrano avere una fretta pazzesca di cambiare colore e di abbandonare la loro piccola casa. Questa strana luce e il pensiero delle foglie mi hanno messo stranamente di buonumore. Un buonumore che non si prova spesso. Uno di quei buonumori che non va sprecato. Basta. Ed eccomi qui, lontano da tutto e da tutti, lontano da quell’orribile cancello grigio. In quello che è un po’ il mio posto preferito. È un piccolo parco attraversato da una piccola stradina mezza asfaltata e mezza no, un piccolo boschetto che finisce subito con l’arrivo della strada. Qui mi piace, è un posto tranquillo dove non c’è mai nessuno se non qualche vecchietto che sparge le briciole del pane avanzato sulla stradina che presto si popola di passerotti e piccioni. Sono seduto su una panchina a pensare che forse quello che sto facendo ora l’avrei dovuto fare una marea di tempo fa, ma non ne ho mai avuto il tempo e la voglia, in fondo la mia città non la conosco nemmeno troppo bene, mi piace stare a casa a consumare le mie giornate riflettendo e facendomi una doccia dopo l’altra, avrete capito che per mia madre la doccia è un passo fondamentale. In ogni caso ora sono qui, a godermi la mia giornata senza sprecare il mio buonumore. Mi si avvicina una ragazza. Cosa alquanto insolita. Ha dei jeans a zampa di elefante un po’ troppo lunghi che strascicano per terra inzuppandosi tutti di foglie rifiuti e quello che le capita di pestare. Le scarpe sono delle banalissime all star rosse completamente consumate e rotte sui lati. Sopra indossa una magliettina nera e una felpa slacciata rossa. I capelli sono raccolti in una pettinatura non identificata grazie ad un mollettone. Nel tutto ha l’aria un po’ trasandata e stanca, ma allegra e simpatica. Mi si siede affianco, è strana. Si gira a guardarmi, mi guarda negli occhi e sembra riuscire a scavare a fondo. Così ci provo pure io. Non sono bravo in questo genere di cose e infatti l’unico particolare che noto è che ha dei bellissimi occhi marroni, grandi, con le ciglia molto lunghe ma non trattate con mascara o trucchi del genere. Non ha nessun segno di trucco per la verità, nemmeno un leggero fondotinta. Le labbra sono spesse ma piccole i lineamenti sono dolci e ha un’aria matura e consapevole. È bella. Inizia a parlarmi, non capisco perché lo stia facendo, e non capisco soprattutto perché io rimanga qui ad ascoltarla. Qualcosa sembra come attirarmi in lei, così ascolto attentamente. “Ti capisco benissimo, sei qui perché sei stufo di tutto e di tutti. Davvero come ti capisco. Io ero nella tua stessa situazione sai? Stufa di tutto, è stato allora che ho deciso di andarmene.” Nei suoi occhi si accende come una luce. Una luce che ricordava vagamente quella che poteva essere la luce di una speranza. Di un qualcosa che finalmente cambia. E quella luce piano piano mi stava coinvolgendo e iniziava a brillare anche nei miei occhi, me ne rendevo conto. “Era tutto così triste e monotono che ho deciso di farle cambiare io le cose, di non aspettare il destino. Perché ora che arrivava lui …” la sua espressione cambiava di continuo, passava da un sorriso che ripensa ad un ricordo lontano ad un corrucciarsi della fronte. “Ed in effetti mi rendo conto che quella scelta ha cambiato completamente la mia vita, ma è stata la scelta migliore che potessi fare. Vengo dalla Puglia, la mia vita è iniziata lì ed io alla Puglia ci sono affezionata, ma amo viaggiare. Ho abbandonato tutto e ho iniziato la mia vita sulla strada.” Non era credibile. Una ragazza che alla mia età ha abbandonato tutto per mettersi a viaggiare, senza nemmeno soldi immagino. La cosa migliore sarebbe stata quella di ringraziare e andarmene eppure non riuscivo. “È stato difficile ma ne è valsa completamente la pena. Adesso viaggio liberamente e ho imparato ad arrangiarmi. Non conosco regole sono libera!” Era tutto molto bello, ma ancora non capivo nulla. “Tranquillo adesso arrivo al nocciolo della questione. Tu sei stufo di tutto. Non volevi altro che un’occasione per andartene che finalmente ti si è presentata. La mia proposta è una sola, chiara e semplice. Viaggia!”

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Capitolo 3
*** 3° capitolo ***


~~3° CAPITOLO
“E ora?” “Cosa?” “Che facciamo?” “Beh, è questo il bello di vivere per strada!” Mi prende per un braccio e mi guida attraverso i mille binari e treni che arrivano o partono, la stazione è grande. Facciamo lo slalom fra gruppi e gruppi di persone tutte incatenate nei jeans o nelle magliette attillate. Dopodiché, mi coglie di sorpresa e spicca un salto aggrappandosi all’ultimo vagone di un treno. Siamo all’esterno del vagone. Il treno è partito e noi con lui, con l’aria fra i capelli e un sorriso di soddisfazione stampato in faccia. È la prima volta che mi vedo: rozzo , maleducato e arrogante, ma felice. Sento urlare: “Ancora lei! E non è sola!” Ci hanno visti, evidentemente lei è famosa in questi luoghi, le mie labbra si aprono in un leggero sorriso comprensivo, ma oramai il treno va, e non si ferma. La guardo, è ancora più bella e strana della prima volta, e adesso la luce che si accende nei suoi occhi è una luce sincera, che esprime tutta la libertà e la felicità che ha in corpo. Non mi guarda, il suo sguardo è perso lontano, nel venticello fresco di quel pomeriggio autunnale, chissà che cosa pensa … I miei pensieri vengono interrotti da quello strano fischio ormai famoso del treno quando va. Non sappiamo quale sia la nostra destinazione, in ogni caso saremo felici di esserci arrivati. Solo ora mi accorgo che anche lei mi sta guardando da un pezzo. Mi scruta solo superficialmente non come la prima volta, ma ho paura comunque che riesca a leggere quello che penso, mi spaventa quando lo fa. Sto parlando come se la conoscessi da una marea di tempo, che strano! Mi metto a ridere dentro di me e lei sembra capire tutto perché le si allarga un sorriso fantastico che le incornicia il volto perfettamente. Ok basta! Distolgo lo sguardo imbarazzato, ci siamo guardati negli occhi anche troppo a lungo. Lei mi guarda ancora e non sembra per nulla darle fastidio. È strana. L’ho già detto e probabilmente lo ripeterò ancora parecchie volte, ma è incredibile quanto sia vero! Devo ammettere che non so veramente più come comportarmi, continua a guardarmi e io non ho il coraggio di riposarle gli occhi in faccia. Mi salva, distoglie lo sguardo e sorride. Ora sono più tranquillo e mi concentro su ciò che ho guardato fino ad ora ma che non ho mai messo a fuoco per la preoccupazione: il paesaggio …
Urla e mi spacca i timpani, è lì davanti alla porta pietrificata e non capisco.”Sono le quattro, non è possibile!” poi si sente in lontananza una piccola vocetta stridula che risponde, è al telefono. Non capisco cosa dica ma posso sentire bene la risposta che arriva: “No! No! No! Non è assolutamente possibile!” sta urlando e allora la raggiungo in cucina allarmato. La vedo mentre mette giù tutta agitata. Ha il viso sconvolto, manco gli fosse sparito il figlio! Sarà una delle sue solite cavolate, del tipo: mi si è rotta un’unghia. “È sparito è sparito!” la guardo, penso di avere quell’espressione da deficiente che lei non sopporta dipinta sulla faccia, ma questa volta penso di essere giustificato. “Ti rendi conto che il nostro piccolo figliolo non è da Mario e non ci è nemmeno andato?” “e allora?” “Non è ancora tornato! È sparito! È sparito” “Ma che cavolo vai cianciando, sarà a prendere ripetizioni da qualcuno, oppure al parco, è una meta famosa per i ragazzi del posto.” Mi guarda male … ma che ho detto? “A volte sembra proprio che tu non lo conosca tuo figlio! Non ama i ragazzi né la compagnia, non è possibile che sia lì e in ogni caso ci avrebbe pensato ad avvisarci! Non è proprio possibile!” A parte che non ci avrebbe mai avvisato, lo conosco bene, ma non oso ribattere, sembra, o meglio, è troppo arrabbiata, perciò lascio scorrere, in ogni caso non mi sto preoccupando, sarà da qualche parte nel paese. Non faccio in tempo a finire le mie riflessioni o a risponderle che lei ha già il telefono in mano e sta chiamando tutti: amici, parenti, la scuola e alla fine, la polizia. Non posso crederci, è lì che sbraita da almeno dieci minuti con la poliziotta che sembra essere spazientita.

1 ANNO DOPO
Ansia, è l’unica cosa che provo da quando ho deciso di far finire tutto. Sì, tutto. Viaggiare è bello, meraviglioso, ma, come diceva qualche fuori di testa se una storia non ha fine non ha senso, quindi anche questa storia finirà. Si chiuderà con un ultimo capitolo che è quello che andrò a raccontarvi ora, tutto è cominciato quando in qualche modo abbiamo raggiunto il Portogallo. Sembra eccessivo, vero? Eppure no, noi l’abbiamo fatto, ci siamo riusciti. Ed è proprio per questo che ho deciso di tornare indietro, tornare a casa. Arrivare fino al Portogallo è stata come una meta, un luogo d’arrivo che segnava la fine di tutto, del nostro viaggio, del nostro vagabondare e del nostro essere inseguiti e prendere treni che non ci spettano. La fine di tutto. Ma è dura dopo un anno tornare a casa, così e farmi rivedere dai miei, dopo quel fatidico pomeriggio in cui l’ho conosciuta. Si, lo ricordo benissimo, benissimo … Comunque, dopo il Portogallo eccoci in treno per Milano, oramai non manca molto, dovremmo esserci. Mi sta guardando, è consapevole del fatto che ci stiamo per lasciare, lei per me non è stata solo un’amica, è stata come una maestra, una maestra che mi ha insegnato molto più di quello che tutti gli altri mi abbiano mai insegnato nei miei otto anni di scuola. Una maestra che come unica materia da insegnarmi aveva l’esperienza, e grazie a questa mi ha insegnato quasi tutto, quasi tutto quello che è l’insieme delle cose essenziali nella vita di tutti i giorni, quasi tutto quello che poi sarà il mio pane quotidiano. Per questo sto cercando da ore di far sparire dalla mia mente il pensiero che presto la mia maestra d vita se ne andrà. Ma non ci riesco. La guardo, lei mi guarda e insieme ripercorriamo quelli che sono stati il nostro viaggio, i nostri sogni; le nostre speranze, le nostre follie, le nostre fughe. E poi … e poi ci tocca percorrere l’addio. Scendiamo dal treno, siamo arrivati. Per quanto poco mi ricordi del mio paese so che la stazione è vicinissima a casa mia. Camminiamo lentamente, passo dopo passo, svoltiamo l’angolo, attraversiamo la strada e la mia porta ci sovrasta dall’alto di quei pochi gradini che la precedono. La mia mano trema, ma il suono del campanello no, è forte e deciso, mi guardo indietro per l’ultima volta, lei mi sorride:
“Buona fortuna!”
Detto questo si avvia di nuovo verso la stazione. Qualcuno finalmente apre la porta e ho paura, mi sorprendo a rivoltarmi, non era esattamente quello che volevo fare ma fa niente e lei è ancora là. Con quella piccola nebbiolina bianca e leggera che la circonda. Torna da dove é venuta: dalla strada. E tutto finiva, così nel nulla, perso completamente in quella piccola e leggera arietta che preannunciava l’arrivo dell’inverno.

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