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Allison
prese posto accanto all’uomo. Ordinò una soda e ne bevve un lungo sorso senza
mai staccare gli occhi dalle bottiglie posizionate di fronte a lei dietro il
bancone del bar.
Cole,
così si chiamava il tizio seduto accanto a lei, non si era voltato a guardarla
nemmeno una volta, ma aveva poggiato la mano sul lato sinistro della sua giacca
di pelle, scoprendo le sue carte un po’ troppo in fretta.
Allison
pensò che qualcuno ben addestrato non avrebbe mai commesso un simile errore, ma
in fondo quel tizio, a quanto le aveva detto Sam, era soltanto un ragazzo
assetato di vendetta, per nulla pronto a prendere parte a quel mondo dentro il
quale, senza saperlo, stava per avventurarsi.
Lei
si era resa conto di avere due possibilità: poteva convincere Cole a stare
lontano da demon-Dean e da tutto il resto con le cattive, oppure poteva parlare
con lui. Decise di iniziare dalla seconda opzione, poi avrebbe valutato come
procedere.
“Chiedimelo!”
esclamò girando poco il viso per guardarlo.
“Chiederti
cosa?” replicò lui senza muoversi di un millimetro. “Perché mi segui da almeno
un’ora? Chi sei? Risponderesti sinceramente a queste domande?”
Allison
arricciò poco la bocca scuotendo lievemente il capo in un gesto di assenso che
tradiva una lieve impazienza.
“Mi
chiamo Allison,” disse piano. “Sono una vecchia amica di Sam Winchester, il
tizio che hai rapito e pestato a sangue nel disperato tentativo di ricevere le
attenzioni di qualcuno che, credimi, non vuoi incontrare. Non in questo
momento.”
Cole
accennò una risata. “Mi dispiace di aver dovuto usare le maniere forti su Sam.
Lui era solo l’esca. Quello che voglio è”
“Dean,”
finì Allison per lui “ma credimi non è una buona idea.”
“Perché
potrebbe uccidermi come ha fatto con mio padre tanti anni fa?”
L’uomo
si voltò a guardarla. Una smorfia di disgusto gli aveva trasformato le labbra
in una specie di linea retta, dietro quegli occhi pieni di vita si celavano una
rabbia ed un’angoscia che Allison aveva visto diverse volte. Sentimenti che,
nel mondo di cui loro facevano parte, non avrebbero portato a nulla di buono.
“Si,
a dire la verità è proprio ciò che temo” rispose alzandosi.
Dalla
tasca posteriore dei suoi jeans scuri tirò fuori una pen-drive ed un foglio di
carta con sopra appuntato un numero.
“Senti,
so perfettamente come ti senti. Rabbia, angoscia, furore… sono sentimenti che
ho provato molto spesso nella mia vita. Non sprecherò il mio tempo ed il mio
fiato cerando di farti cambiare idea dicendoti quanto sono dispiaciuta per tuo
padre e cercando di convincerti che vendicarti non ti farà sentire meglio.” gli
disse. “In realtà ti farà sentire divinamente, almeno per un po’. Dentro quella
pen-drive c’è tutto quello che ti serve sapere. Tutto ciò che riguarda i
Winchester, quello che fanno per vivere, gli affari di famiglia. Studia tutto
attentamente e a quel punto la scelta sarà tua. Su quel pezzo di carta c’è il
mio numero di telefono, chiamami se hai delle domande e,” poggiò sul bancone un
pugnale, quello che Cole credeva ancora di avere appeso al fianco sinistro, e
sorrise “non abbassare mai la guardia. È la regola numero uno.”
L’uomo
sgranò gli occhi sorpreso ma non le disse nulla. Semplicemente la guardò mentre
lei usciva dal bar.
Fuori,
dopo aver raggiunto l’auto, Allison tirò fuori dalla tasca il suo cellulare.
Quattro chiamate perse ed un messaggio vocale da un numero che non conosceva e
un messaggio di testo di Sam; chiamami
appena puoi. È urgente.
La
donna ascoltò prima il messaggio vocale, dopodiché si prese un attimo per
riflettere prima di richiamare il minore dei Winchester.
Sammy,
come lei amava chiamarlo, rispose dopo tre squilli; il suo tono stanco ma
impaziente la fece sorridere.
“Sammy,
dal tono della tua voce sembra che tu non dorma da giorni.” gli disse.
“Mio fratello è un dannato demone,
Crowley è il suo migliore amico, ed un cacciatore principiante vuole farlo
fuori. Inoltre non riesco a trovare Cass. Una bella dormita mi sembra quasi un
miraggio al momento.”
“Non
preoccuparti di Cole, qualcosa mi dice che non sarà un problema. Almeno per un
po’. Quanto a Cass, ha già qualcosa di cui occuparsi, e anche io. Credi di
potertela cavare da solo per un po’.”
“Pare che io non abbia altra
scelta. Hai un nuovo caso per le mani?”
“Un
vecchio amico mi ha chiesto aiuto. Pensavo di partire adesso.”
“Dove sei diretta?”
“New
Orleans. Cercherò di fare più in fretta che posso. Chiamami se hai bisogno.”
“Grazie Ally. Fai attenzione, ti
voglio bene.”
“Anche
io Sammy. Fai attenzione anche tu e tienimi aggiornata.”
Allison
riattaccò e mise in moto. Il motore del suo maggiolone rosso fece uno strano
rumore, quasi come se fosse stanco di quei continui viaggi. Lei sospirò
portandosi il telefono all’orecchio.
“Era ora!” rispose una voce
impaziente.
“Anche
io sono felice di sentirti” replicò lei sarcastica. “Sto partendo ora da
Lebanon, Kansas. Sarò lì fra sedici ore circa.”
“Guida in fretta dolcezza, le cose
stanno peggiorando molto rapidamente.”
“Quanto
velocemente?”
“Diciamo solo che se vogliamo
rivedere Elijah vivo, ogni minuto è prezioso.”
La
donna fece un grosso respiro. “Nessuna pressione” mormorò. “Cerca di guadagnare
tempo, guiderò più in fretta che posso.”
“Ti invio l’indirizzo.”
“Klaus…
andrà tutto bene.”
“Spero che tu abbia ragione.”
Allison
Morgan poggiò il cellulare sul lato del passeggero ed ingranò la marcia. La
famiglia Mikaelson non era esattamente in cima alla sua personale e breve lista
di persone che vedeva sempre con piacere, ma Elijah… Elijah Mikaelson era tutta
un’altra storia.
****
NEW
ORLEANS – LOIUSIANA
Klaus
era assorto nei suoi pensieri, stringeva in mano un bicchiere di whisky mentre
rifletteva su quale fosse la mossa migliore per aiutare suo fratello. Il grande
orologio di legno poggiato alla parete ticchettava così rumorosamente che per
un attimo ebbe l’istinto di distruggerlo.
Quel
ticchettio era come un costante e fastidioso promemoria del tempo che scorreva
mentre lui attendeva l’arrivo dei rinforzi ed Elijah era prigioniero, succube
della loro madre.
Hayley
se ne stava accanto a lui, lo sguardo perso nel vuoto, aggrappata ad un
ricordo, all’immagine di un Elijah indistruttibile, ripetendo a se stessa che
sicuramente stava bene, se la sarebbe cavata, come sempre.
Elijah
Mikaelson era l’Originale dalla scintillante armatura, quello con la parola
giusta al momento giusto, sempre pronto a difendere l’onore e la vita delle
persone che amava, perfetto nei suoi completi eleganti che erano oramai il suo
marchio distintivo. Pensandoci bene Hayley si rese conto di non averlo mai
visto indossare una semplice t-shirt oppure una felpa ed un comunissimo paio di
jeans. Forse, pensò abbozzando un sorriso, era meglio così. Non sarebbe stato
Elijah diversamente.
Marcel,
accanto alla finestra, notò l’estranea per primo.
“E
tu chi diavolo sei?” chiese attirando l’attenzione di tutti e raggiungendola a
passo lento. Lo sguardo minaccioso non prometteva niente di buono, ma la donna
gli sorrise comunque, quasi incurante del pericolo.
“Calma
tigre!” esclamò lasciandosi cadere sul divano di pelle marrone. “Ho guidato per
sedici ore, non mangio da ieri sera e il mio telefono non ha smesso per un
attimo di squillare. In più ho dovuto usare l’ultimo briciolo di energia che mi
era rimasto per convincere quei due energumeni all’entrata a lasciarmi passare.
Sono spenta, finita! Quindi rilassati e lasciami riposare un attimo.”
Marcel
corrugò la fronte volgendo lo sguardo a Klaus ed Hayley; sul viso di lei
un’espressione perplessa, su quello di lui un sorriso divertito, per nulla
preoccupato.
“Esattamente
come hai convinto i due energumeni a lasciarti entrare?”
“So
essere molto persuasiva.”
Klaus
inarcò un sopracciglio versando del vino in un calice. “Li hai uccisi?”
“No!”
replicò lei mettendosi in piedi prima di afferrare il bicchiere. “Anche se quel
tizio dai capelli rossi era piuttosto irritante. Dormiranno per un po’, ma
staranno bene. Potrebbero avere un po’ di mal di collo però. Ah!”
L’uomo
rise voltandosi a guardare Hayley e Marcel. Le espressioni sui loro visi erano
esattamente uguali a quella che aveva avuto lui la prima volta che aveva
incontrato quella donna. Bella, letale, a volte fastidiosa ma a cui, anche se
non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce, teneva parecchio. Non poteva fare a
meno, ora che lei era lì, di pensare che tutto sarebbe andato per il verso
giusto.
“Macellus,
Hayley,” disse loro. “vi presento Allison Morgan. I nostri rinforzi.”
****
“Qual
è il piano?”
La
voce di Hayley sembrava quasi un sussurro, le mani stringevano una tazza così
forte che Allison credette che si sarebbe frantumata tra le sue lunghe dita
affusolate.
Rifletté,
che poteva esserci solo un motivo se sembrava più preoccupata di tutti gli
altri; era certa che quella donna provasse dei sentimenti per l’elegante affascinante
Originale.
“Tu
ed Elijah, che tipo i rapporto avete?” chiese mentre i visi i tutti si
corrucciavano in un’espressione quasi incomprensibile.
Hayley
si mise dritta sulla sedia scattando sulla difensiva. “Esattamente questo come
dovrebbe aiutarcisalvare Elijah?”
“Semplice”
replicò Allison incrociando le mani sul tavolo. “Esther è una potente strega,
non userà la forza, giocherà d’astuzia e se vogliamo batterla dobbiamo essere
più astuti di lei. La sua specialità è giocare con i sentimenti dei suoi
nemici. Ti guarderà dentro e tirerà fuori ogni tua emozione rivoltandotela
contro. Quindi qualunque cosa provi, spingila dentro di te nel posto più
lontano ed irraggiungibile che hai. Se non ne sei capace non disturbarti ad
unirti a noi in questa piccola missione.”
Hayley
abbozzò un sorriso nervoso e si sporse sul tavolo fissando gli occhi dentro i
suoi. “Esattamente, chi diavolo sei tu? Sei folle se pensi che io me ne starò
qui con le mani in mano.”
Allison
si alzò senza aggiungere altro, diede una rapida occhiata al suo cellulare e
sospirò volgendo lo sguardo a Marcel. “Vieni con me” gli disse.
L’uomo
scosse lievemente il capo “Dove?”
“Devo
incontrare una persona e potrei aver bisogno di un piccolo aiuto.”
“Allison!”
intervenne Klaus e il suo tono disse molto altro. “Dove diavolo stai andando?”
“Non
è importante che tu lo sappia al momento,” rispose lei tirando fuori le chiavi
della sua auto. “Ti basti sapere che fa tutto parte del piano per salvare
Elijah.”
“Quale
piano?” chiese Hayley scattando in piedi. Gli occhi dorati resi luccicanti da
una scintilla decisamente non umana.
Allison
sospirò legando i capelli in una disordinata coda di cavallo. “Tornerò tra
poco. E per allora farai meglio ad aver ritirato gli artigli lupacchiotta
oppure avrai una chiarissima idea di chi sono e di quanto folle posso
diventare.”
Hayley
non aggiunse nulla, semplicemente guardò uno stranamente calmo Klaus mentre la
misteriosa donna lasciava la casa seguita da Marcel.
NDA: Lasciatemi un
commento se vi va, sapere cosa ne pensate è importante per
me. E vi prego, se volete prendere in prestito scene, peronaggi o
l'immagine, ditemelo e vi darò tutto (o quasi); ma non
copiate. E' demoralizzante quando succede.
La
casa di Gerald era un vecchio palazzo fatiscente che avrebbe fatto invidia al
più spaventoso dei film horror.
Murales
sbiaditi lungo tutti i muri, strani simboli color cremisi pieni di sbavature
simili a rivoli di sangue. Allison scrollò le spalle
cercando di scrollarsi di dosso quella strana sensazione che sentiva da quando
era arrivata in città.
Una
sorta di lieve preoccupazione unita ad un’ancora più strana ed immotivata
paura. La paura che forse si stava muovendo troppo lentamente nella
realizzazione del piano perfetto per salvare Elijah. Imputò ogni sua sensazione
alla stanchezza, al timoroso pensiero costantemente rivolto a Castiel che stava per esaurire la sua grazia, a Dean che si
era trasformato in uno dei mostri che da sempre combattevano, a Sam che doveva
cavarsela da sola nel peggior momento della sua vita… ad una marea di cose che
richiedevano il suo intervento ma a cui non poteva partecipare, non in quel
momento.
Diede
una rapida occhiata all’edificio di fronte ai suoi occhi e tese una mano
lateralmente per fermare il passo di Marcel.
“Aspetta.”
gli disse fermandosi a sua volta. “Quei simboli impediscono ad ogni essere
soprannaturale di andare oltre quel muro.”
L’uomo
corrugò la fronte poggiandosi le mani sui fianchi. “Quello,” le disse “è uno
stupido murales fatto male.”
“Quello
è un antico simbolo enochiano che vieta il passaggio
a chiunque non sia umano. Se non mi credi, prova pure ad andare avanti. Ma devo
avvertirti che farà molto male.”
Marcel
scosse il capo incredulo; decise di proseguire senza dar retta a quello che Allison gli stava dicendo. Nella sua mente erano solo un
mondo di fandonie inventate da quella tizia un po’ stramba venuta fuori dal
nulla e che sembrava fin troppo incline al comando.
Aveva
fatto un solo passo al di là del muro quando sentì un bruciore fortissimo
invaderlo completamente e un suono quasi assordante lo costrinse a piegarsi
sulle sue ginocchia tenendosi la testa tra le mani. Il suono di due spari gli
arrivò quasi ovattato mentre il fischio andava scemando ed il bruciore passava
lentamente.
Allison
sospirò rimettendo la pistola della tasca interna della sua giacca e gli passò
accanto superandolo di qualche passo prima di fermarsi e voltarsi a guardarlo.
“Ti
avevo avvertito,” gli disse allargando le braccia “ora alza il culo e muoviti,
non abbiamo tutto il giorno e non ci vorrà molto prima che si accorga di noi.”
“Chi?”
replicò Marcel rimettendosi in piedi e seguendola a passo deciso. “Chi dovrebbe
accorgersi di noi? Questo posto è deserto. Vivo in questa città da secoli e non
c’è mai stato nulla qui.”
“Sei
sicuro?”
“Certo
che sono sicuro.”
Allison
abbozzò un sorriso “Come eri sicuro che quei segni sul muro fossero solo dei
murales venuti male?” disse tirando fuori dalla tasca un coltellino. “Dammi la
mano.”
Marcel
decise che non era il caso di replicare al commento sarcastico, in fondo aveva
ragione. Allungò la mano con un’espressione perplessa sul viso e la guardò
incidere il palmo due volte, profondamente, formando una croce.
“Era
per questo che ti serviva il mio aiuto?”
Lei
annuì facendo colare l’ultima goccia di sangue dentro un piccolo contenitore
cilindrico. “Tu guarisci in fretta, io ci avrei messo ore a smettere di
sanguinare.”
“A
cosa ti serve del sangue?”
La
donna tirò fuori dalla tasca un gessetto azzurro e disegnò un cerchio
irregolare sull’asfalto. Versò lentamente il sangue fino a formare uno strano
simbolo molto simile ad una V e sospirò facendo qualche passo indietro. “Revelant” sussurrò.
Marcel
sgranò gli occhi guardando il simbolo sull’asfalto prendere fuoco e
indietreggiò per riflesso quando davanti a lui comparve un omone di colore che
indossava un completo elegante.
“Allison Morgan…” sussurrò l’uomo spuntato dal nulla. “La
mia spina nel fianco.”
“Anche
io sono felice di vederti Gerald” rispose lei sarcastica. “Ricordi quando ho
salvato il tuo culo alato dai tuoi vecchi commilitoni? Tremando di paura mi hai
detto sono in debito con te. Beh è
tempo di riscuotere per me.”
Gerald
la guardò per un lungo minuto prima di rivolgere la sua attenzione all’uomo
accanto ad Allison. “Lui chi è?”
“Lui
è irrilevante.” rispose lei agitando poco la mano. “Ho bisogno che tu mi dia un
po’ dei tuoi… coltelli speciali.”
“Un
po’? Quanti esattamente?”
“Diciamo
quattro.”
Gerald
rise “Scordatelo. Quella è la mia scorta personale. Te ne darò due soltanto e
dopo che l’avrò fatto sparirai dalla mia vita.”
“Tre
e ti procurerai una nuova grazia per Castiel.
Dopodiché sparirò dalla tua vita.”
“Per
sempre?”
“Hai
la mia parola,” gli disse Allison poggiandosi la mano
sul petto. “Adesso dammi quei pugnali e
sparisci.”
Gerald
abbandonò le braccia lungo i fianchi e sorrise prima di sparire. Sull’asfalto
tre pugnali argentati brillavano sotto la luce del sole. Allison
li prese tra le mani e ne diede uno a Marcel.
“Questa
è l’arma più potente che tu abbia mai stretto in mano. Fai attenzione.” gli
disse.
“Ma
quello chi diavolo era? E come facevi a conoscere quella specie di incantesimo
per evocarlo? Chi diavolo sei?”
“Chi
fosse è irrilevante, ci ha dato ciò che ci serviva. Quanto all’incantesimo, me
lo ha insegnato un vecchio amico, John Constantine. Forse hai sentito parlare
di lui.”
Marcel
rise. “John Constantine è un dannato fumetto che poi è diventato un film.”
Allison
abbozzò un sorriso avviandosi verso l’auto. “Come ti pare, Marcellus.”
****
Allison
si mise a sedere su una grande sedia e sospirò guardando uno ad uno i volti dei
suoi interlocutori. Non era ancora del tutto certa che il suo piano avrebbe
funzionato e soprattutto non era certa che raccontare tutti i dettagli fosse
un’ottima idea.
Il
maggiore e possibile danno collaterale prevedeva un pericolo che Klaus non
sarebbe stato disposto a correre ma di cui lei non era affatto preoccupata.
“Il
mio piano è un po’ improvvisato per certi versi ma non potevo fare di meglio in
così poco tempo. Quindi cercate di ascoltare esattamente quello che sto per
dirvi. Non c’è margine di errore.” disse fissando un po’ troppo a lungo Hayley.
Sul
suo viso magro un’espressione imbronciata che metteva ancora di più in risalto
le labbra già imbronciate naturalmente.
Allison
sospirò raccontando per filo e per segno la sua idea. I visi dei tre di fronte
a lei corrucciati in un’espressione perplessa che lasciava intravedere la loro
impazienza. Il lupo diventato ibrido, l’Originale ed il vampiro sembravano
essere più inclini ad un gioco di violenza piuttosto che ad uno strategico. Allison sapeva bene che, con streghe come Esther, la
violenza non era la risposta, l’astuzia invece sì.
“I
pugnali che vi ho dato” disse concludendo “uccidono ogni essere
soprannaturale.”
“Ho
bisogno che voi due guadagniate tempo,” aggiunse indicando Hayley
e Marcel. “Io e Klaus andremo a prendere Elijah.”
“Questo
non ha senso,” intervenne Hayley. “Tu sei umana, io
sono un ibrido e Marcel è un vampiro, siamo più veloci e più forti. Dovresti
essere tu quella che guadagna tempo mentre noi tre andiamo a prendere Elijah.”
“No,”
rispose Allison abbozzando un sorriso. “Come ti ho
già spiegato, Esther giocherà con le nostre emozioni. Tu sei troppo coinvolta e
Marcel lo è troppo poco.”
“E
Klaus allora?” replicò prontamente Hayley. “La sua
rabbia non potrebbe essere usata contro di lui?”
“Sì,
potrebbe” affermò l’altra. “Ma lui ha passato secoli ad affinare il suo
autocontrollo, e in più, mi fido di lui. Tu invece non mi ispiri alcuna
fiducia.”
Si
alzò afferrando il suo cellulare e compose rapidamente un numero prima di
portarsi il telefono all’orecchio. “Si parte fra un’ora. Preparatevi.”
Hayley
la guardò allontanarsi mentre un senso di rabbia le colorava di nuovo gli occhi
d’oro e guardò Klaus che si rigirava tra le mani uno di quegli strani pugnali.
“Sul
serio?” urlò colpendo il tavolo con il palmo della mano. “Lei arriva dal nulla,
si elegge leader di tutti noi, se ne esce fuori con uno strampalato piano per salvare
Elijah, decide cosa possiamo e cosa non possiamo fare e noi ce ne stiamo qui e
semplicemente le ubbidiamo?”
“Calmati,”
le disse piano Klaus. “Sa quello che fa.”
“Ne
sei certo? Perché, per quotarla, non mi ispira alcuna fiducia” aggiunse Hayley furiosa. “Dove diavolo si è procurata questi
pugnali? Come facciamo ad essere certi che funzioneranno davvero?”
Volse
lo sguardo a Marcel, in cerca di supporto, ma tutto quello che ricevette fu
un’occhiata dubbiosa e anche un po’ frustrata.
“Non
so chi fosse il tizio che le ha dato quei pugnali” spiegò Marcel. “Tutto quello
che so è che è comparso dal nulla dopo che ha pronunciato una parola in latino
e disegnato uno strano simbolo sull’asfalto.”
“Questo
sì che è rassicurante.” disse Hayley accennando una
risata nervosa.
Klaus
si mise in piedi e fece un grosso respiro stringendo forte tra le dita il
pugnale che aveva in mano.
“Adesso
basta!” esclamò deciso. “Quella donna è la più forte, intelligente e astuta
cacciatrice che io abbia mai incontrato. L’unica che è stata capace di tenere
testa a Mikael quando comparse a Mistic
Falls pronto ad uccidermi. E tenere testa all’Originale cacciatore di vampiri
non è un’impresa semplice. Si tratta di mio fratello quindi l’ultima parola
spetta a me ed io mi fido di lei. Quindi cerca di calmarti oppure considerati
fuori dai giochi.”
L’uomo
non aggiunse altro ed Hayley non replicò.
Semplicemente lo guardò allontanarsi mentre rimaneva da sola con Marcel.
****
L’uomo
sospirò con le mani affondate nelle tasche del suo cappotto. Si guardò intorno
e scosse il capo mentre si voltava per essere faccia a faccia con lei.
“Una
chiesa sconsacrata? Sul serio? Dannatamente… banale.” disse
“Non
ho scelto io la location. Mi sono dovuta adattare.”
“Capisco,”
rispose lui. “Quello che non capisco è perché mi hai chiamato.”
Lei
gli lanciò un’occhiata tranquilla. “Ho bisogno del tuo aiuto.”
L’uomo
sgranò gli occhi e si avvicinò a lei di qualche passo. “Come hai detto scusa?”
chiese. “La potente Allison Morgan ha appena detto di
aver bisogno del mio aiuto? E cosa succederebbe se rispondessi di no?”
Allison
roteò gli occhi. “Non fare lo stupido Oliver” gli disse “E nel caso non
l’avessi notato, la mia non era una richiesta, era più un’affermazione.”
Oliver,
occhi verdi e furbi e capelli biondo scuro perennemente spettinati, le si
avvicinò ancora un po’ e le poggiò due dita sulla guancia sinistra.
“Autoritaria…” mormorò. “Affascinante. Ripetimi di nuovo perché non abbiamo già
consumato l’ardente passione che brucia tra di noi?”
La
donna scosse il capo abbozzando un sorriso. “Perché sei un idiota” rispose
spingendolo via con una mano. “E non fare l’offeso, sono sicura che ti hanno
detto di peggio.”
Lui
corrugò la fronte per un attimo, poi piegò le labbra in una smorfia di assenso
e scrollò le spalle. “Vero. Ma dimmi, di cosa hai bisogno?”
“Quello
che sto per chiederti è un grosso favore Oliver. Ed è pericoloso. Potrebbe
esporti e far saltare la tua copertura. C’è di mezzo una strega potente e”
“Adrenalina
assicurata e una strega da battere…” mormorò l’uomo. “Ci sto!”
Allison
annuì e si prese un attimo prima di esporre il piano al suo nuovo alleato.
“Dove
diavolo è andata a finire Allison? Il tempo scorre.”
Klaus
guardò di nuovo fuori dalla finestra ignorando le parole di Marcel. New Orleans
volgeva all’imbrunire e di Allison non c’era più
nessuna traccia da quasi due ore. Pensò che era strano, molto molto strano.
Allison
Morgan era un tipo imprevedibile, questo doveva ammetterlo, ma non era mai in
ritardo, soprattutto se si trattava di salvare la vita a qualcuno. Era
possibile che le fosse successo qualcosa e Klaus sapeva che, considerata la
mole di nemici che la donna aveva, era una reale possibilità. Ma sapeva anche
che lei era in gamba e che non si lasciava fregare facilmente.
Rimaneva
un’unica terribile opzione. Era anche la più plausibile e all’Originale dagli
occhi verdi non piaceva affatto.
“Ho
un terribile sospetto Marcellus” mormorò senza
voltarsi a guardarlo. “Il sospetto che la nostra bella cacciatrice ci abbia
dato buca e sia andata ad occuparsi di tutto da sola.”
“Cosa?”
Marcel corrugò la fronte. Non sapeva quasi nulla di Allison
Morgan ma averla frequentata per un alcune ore gli aveva fatto capire che
effettivamente poteva essere stata sufficientemente incosciente da compiere un
tale gesto. “Klaus, se il tuo sospetto è fondato dobbiamo assolutamente fare
qualcosa. Allison è in gamba ma tua madre è
maledettamente potente.”
Klaus
si limitò ad annuire pensieroso girandosi tra le mani la lama che Allison gli aveva dato prima di sparire nel nulla. La voce
di Hayley che urlava dall’atrio lo ridestò dai suoi
pensieri e lui corse di sotto seguito da Marcel.
Inginocchiata
sul pavimento, la ragazza stringeva tra le braccia uno svenuto Elijah mentre un
tizio mai visto prima li osservava da qualche metro di distanza.
“Chi
diavolo sei tu?” urlò Marcel raggiungendo lo straniero.
L’uomo
sorrise tranquillo, “Sono quello che ha riportato a casa il vostro amico.” disse
“Un grazie sarebbe gradito.”
Marcel
lo afferrò per il bavero della giacca e lo spintonò fino a sbatterlo al muro. “Te
lo chiederò solo un’altra volta; chi diavolo sei?”
Gli
occhi dell’uomo si fecero neri come la pece e Marcellus
indietreggiò perplesso.
“Non
mi piace quando vengo aggredito,” ringhiò l’ultimo arrivato chiudendo gli occhi
nel disperato tentativo di riprendere il controllo. Quando li riaprì erano di
nuovo verdi e sereni. “Mi chiamo Oliver. Sono un amico di Allison.
Lei mi ha chiesto di riportare a casa il vostro amico.”
Klaus
lasciò suo fratello, ora sdraiato sul tavolo, e si avvicinò all’uomo. “Allison?” domandò “Dove si trova?”
“Non
lo so,” rispose Oliver. “Mi ha solo chiesto di riportare il bell’addormentato a
casa e di farvi sapere che se la caverà. Di non preoccuparvi per lei.”
L’Originale
scosse energicamente il capo scagliando lontano il pugnale. “Dannazione Allison!” urlò. L’idea che la sua amica si fosse
intrufolata nella tana del lupo incurante di ogni possibile conseguenza lo
terrorizzava e lo faceva incazzare.
Oliver
corrugò la fronte affondando le mani nelle tasche del cappotto. “Qualcosa mi
dice che la folle Allison si è messa in guai molto
seri.”
“Molto
seri non rende sufficientemente l’idea. Probabilmente sarà morta in un paio di
ore se non facciamo niente per aiutarla.”
“Raccontatemi
ogni cosa!” domandò Oliver. Sul suo viso, per la prima volta da quando si era
materializzato in quella casa, un’espressione seria e preoccupata.
****
Allison
aprì gli occhi lentamente, sbattendo ripetutamente le palpebre nel tentativo di
abituare le sue iridi nocciola a quella luce forte che illuminava la stanza.
La
testa le faceva malissimo, nelle orecchie sentiva un ronzio ovattato. Si agitò
piano, scoprendo di essere incatenata. Ai polsi due grandi cerchi argentati
fissati ad un muro tanto vecchio quanto resistente. Sul metallo un’incisione
che conosceva fin troppo bene indicava che qualcuno stava giocando con della
magia molto potente. Quella consapevolezza le fece realizzare quasi
immediatamente dove si trovava.
“Dannate
streghe” mormorò.
“Molto
scortese da parte tua, considerato che ti trovi nella casa di una di loro.”
Allison
si voltò lentamente, cercando di mettere a fuoco il viso che le stava di
fronte. Capelli mossi e scuri, pelle color ebano. Un viso bello, nettamente in
contrasto con l’espressione malevola degli occhi.
“Lasciami
indovinare,” disse abbozzando un sorriso. “Esther Mikaelson.”
“La
mia fama mi precede.”
“Fossi
in te, non me ne farei un vanto” Allison agitò
nuovamente le braccia, cercando di capire quante possibilità aveva di riuscire
a liberarsi. Constatò che l’unica cosa che sarebbe riuscita a fare continuando
a tirare, era preocurarsi dei bei lividi sulle
braccia.
Esther
le si avvicinò. Inginocchiandosi di fronte a lei la guardò dritta negli occhi
con un’espressione che sembrava volerle leggere dentro. “Chi sei esattamente?”
le chiese. “Hai rischiato la vita per salvare Elijah, questo mi fa capire che
siete molto vicini.”
“Magari
ero in debito con lui e questo è stato il mio modo di pareggiare i conti.
Oppure Klaus mi ha costretta a sacrificare me stessa per Elijah. Dopotutto non
è lui il cattivo in questa storia?”
La
donna di fronte a lei abbozzò un sorriso. “Sarcasmo…” sussurrò. “Credi che
Klaus non sia il cattivo della storia?”
Allison
si guardò intorno cercando di valutare al meglio la situazione in cui si
trovava. “Vuoi davvero sapere quello che penso?”
“Non
vedo l’ora.”
“Io
credo,” disse ad Esther posando di nuovo lo sguardo su di lei, “che tu sia una
stronza fedifraga ed una pessima pessima madre.”
Esther
le afferrò il viso con una mano, stringendo forte. “Io amo i miei figli. È
proprio perché li amo che sto facendo tutto questo.”
“Amore?”
chiese Allison liberando il viso dalla presa con un
gesto rapido e deciso. “Hai rapito e torturato Elijah e lasci che Mikael riversi il suo odio su Klaus anche se lui non ha
nessuna colpa.”
“Klaus
è un mostro, un abominio.”
“Scommetto
che non la pensavi così mentre aprivi le gambe per il tuo bel licantropo.”
Esther
le tirò un ceffone, talmente forte che Allison era
sicura qualche osso del suo viso fosse andato in frantumi. Rialzò la testa
lentamente, un lento rivolo di sangue le scendeva dalle labbra.
“Che
c’è?” chiese ad Esther. “La verità ti fa infastidisce?”
La
strega si rimise in piedi, strinse per qualche secondo la croce che aveva al
petto e poi tese la mano verso di lei.
Un
dolore fortissimo si irradiò nel corpo di Allison,
partiva dal petto e si estendeva lentamente ed atrocemente fino alla testa,
annebbiandole la vista, togliendole l’udito. Un urlo quasi disumano riempì la
stanza. Esther rise chiudendo gli occhi, pronta a fare la prossima mossa,
decisa ad eliminare quell’espressione strafottente dal viso della sua
prigioniera. Quando li riaprì Allison non c’era più, era
sparita nel nulla. Al suo posto solo del sangue e nell’aria un forte odore di
zolfo.
****
Elijah,
svegliatosi da poco, fu il primo a correre verso Allison
non appena lei comparve all’interno del cerchio che Oliver aveva disegnato prima
di pronunciare una specie di incantesimo.
Era
rannicchiata su se stessa, semi cosciente, il labbro inferiore spaccato in due.
Era sudata e la sua pelle bruciava, ma era viva e questo era quello che
contava.
“Allison!” la chiamò girandola piano, per guardarla in viso.
“Allison, riesci a sentirmi?”
“No…”
mormorò lei. La voce roca come mai prima.
Quella
risposta, anche se suonava come un lamento, fu un sollievo per Elijah e gli
altri.
“Che
io sia dannato!” esclamò Oliver. “Te la sei cavata anche stavolta.”
Allison
aprì piano gli occhi incrociando lo sguardo preoccupato di Elijah. Si massaggiò
la fronte con una mano e si mise a sedere piano, ancora sorretta dalle braccia
dall’Originale elegante.
“Ho
incontrato parecchi stronzi nella mia vita. Ma lasciatevelo dire,” disse
tastandosi il labbro ferito. “Esther è la più stronza di tutte.”
Klaus
e Marcel si scambiarono una rapida occhiata. Poi scoppiarono in una fragorosa
risata.
****
“Chiunque
tu sia sarà meglio che sia importante.” Allison si
rigirò nel letto, il telefono attaccato al suo orecchio sinistro, gli occhi
chiusi, un vago sentore di sangue in bocca.
“Niente di importante, volevo solo
sapere se stai bene.”
Lei
aprì gli occhi sollevandosi un po’ fino ad essere seduta. “Sto bene, ma non
capisco perché ti interessi così tanto.”
“Lo sai perché.”
L’interlocutore
riattaccò ed Allison scosse il capo passandosi la
mano sugli occhi. Tornare a dormire sarebbe stato impossibile, anche se ci
avesse provato con tutte le sue forze.
Indossò
una vecchia felpa e scese di sotto. I piedi scalzi si gelarono subito al
contatto con il marmo pregiato della scala. Raggiunse la cucina ed aprì il
frigorifero alla ricerca di qualcosa da bere. Dell’acqua sarebbe stata la
scelta migliore ma una birra era decisamente quello che le serviva. Ne afferrò
una e la stappò mentre con il piede richiudeva il frigorifero.
“Sicura
che non ti serva qualcosa di più forte?”
La
voce di Elijah la colse di sorpresa ma non la spaventò. “Dipende.” disse voltandosi
per guardarlo in faccia.
“Da
cosa?”
“Da
cosa intendi con qualcosa di più forte.”
Elijah
abbozzò un sorriso e la raggiunse allungandosi fino ad aprire il pensile sopra
di lei. L’odore del vampiro le fece chiudere gli occhi per un attimo; sapeva di
muschio e di pericolo. Una combinazione irresistibile per i suoi gusti.
Lui
indietreggiò di pochi millimetri e le mostrò una bottiglia. “Tequila?” le
chiese. Poi le baciò la fronte indugiando un attimo di troppo. “Non farlo mai
più Allison.”
“Cosa?”
chiese lei alzando gli occhi per fissarli dentro i suoi. “Salvare il tuo culo
originale?”
“Rischiare
la tua vita per me. Se ti fosse successo qualcosa, io…”
“Ma
non mi è successo niente” lo interruppe lei. “Quindi non hai nulla di cui
incolparti o preoccuparti.”
“Tu
e la tua risposta sempre pronta, sei la donna più testarda che abbia mai
incontrato.”
“Basta
parlare!” esclamò Allison. “Ho avuto una pessima
giornata e ho seriamente bisogno di qualcosa di forte. Quindi dammi quella
dannata tequila oppure portami nella tua stanza. Scegli tu, ma smettila di
parlare.”
Elijah
la fissò per un minuto, poggiò la bottiglia sul mobile dietro di lei e sollevò Allison lentamente da terra, stringendola a sé quando lei
gli circondò la vita con le gambe.
“Ottima
scelta Mikaelson…” mormorò lei prima di poggiare la
bocca sulla sua.
Elijah
si versò un’altra tazza di the e sospirò dando una rapida occhiata ad Hayley che gli stava seduta di fronte.
Quella
mattina sembrava leggermente imbronciata, o meglio infastidita da qualcosa. Ma
al contrario di come era solita fare se ne stava silenziosa, quasi per una
volta avesse deciso di contare fino a dieci, o forse più, prima di aprir bocca.
“Posso
percepire che qualcosa ti turba, Hayley” disse
facendo vagare lo sguardo nella stanza per un attimo prima di poggiarlo su di
lei. “mi sbaglio forse?”
Lei
annuì bevendo un sorso di succo d’arancia. “Sì. Sto benissimo.”
“O
forse, la nostra dolce Hayley è infastidita dal fatto
che, nonostante il lavoro sia stato completato, Allison
sia ancora qui.” si intromise Klaus. Sul suo viso un’espressione divertita
mentre dava un morso al suo pane tostato.
“Tu
eri prigioniero di nostra madre quando Allison è
arrivata, quindi non puoi saperlo” disse ancora volgendo il suo sguardo ad
Elijah “ma la nostra Hayley non gradisce molto la
nostra ospite.”
Elijah
annuì impercettibilmente. “Capisco. Ma ti assicuro, Hayley,
che imparerai ad apprezzarla col tempo.”
“Onestamente?”
chiese lei afferrando la forchetta. “Spero che se ne vada quanto prima. Sembra
che voi tutti la adoriate, ma io non riesco proprio a capire cosa ci troviate
in lei. Sì, forse è in gamba in quello che fa, ma è autoritaria, cinica e ha la
pessima tendenza a dare ordini, come se fosse il dannato capo di tutto quanto.”
Allison
varcò la soglia della sala da pranzo in quel preciso istante. Sul suo viso un
sorriso sarcastico che faceva a pugni con i cerchi neri sotto i suoi occhi
stanchi.
“Adoro
essere l’argomento principale a colazione” disse afferrando un biscotto dal
piatto al centro del tavolo. “Il mio ego ne ha proprio bisogno a volte.”
“Ma
non mi dire…” sussurrò Hayley.
“Ad
ogni modo,” continuò l’altra. “Buongiorno a tutti, grazie per l’ospitalità che
mi avete dato nelle ultime due settimane, ma ora devo davvero andare. Altri
fratelli hanno bisogno del mio aiuto. Sembra quasi che sia il mio destino; salvare
il mondo una coppia di fratelli dopo l’altra.”
Elijah
deglutì a vuoto abbandonandosi contro lo schienale della sedia. L’idea che se
ne andasse non gli piaceva anche se sapeva che se fosse rimasta, la sua
presenza avrebbe potuto creare problemi agli equilibri già fragili di quella
strana convivenza.
In
più, c’era qualcosa in lei. Qualcosa di strano.
Lo
aveva notato la sera che l’aveva stretta nel suo letto e tutti i giorni dopo di
quello. Qualcosa stava disturbando quello sguardo nocciola. Non sapeva cosa
fosse ma sapeva che la donna non era al meglio della sua forma. Sapeva che se
le avesse chiesto di parlare avrebbe detto no
grazie ma sapeva anche che se avesse trovato il giusto modo sarebbe
riuscito a farla aprire. Sarebbe riuscito ad illuminare un po’ di quel buio nel
suo sguardo.
“Dove
sei diretta esattamente?” le chiese cercando di apparire tranquillo.
Lei
prese posto accanto a Klaus e chiuse per un attimo gli occhi. “Kansas.”
“Stai
bene, dolcezza?” le chiese Klaus.
“Senza offesa, ma non hai un bell’aspetto.”
“Grazie,”
replicò lei senza guardarlo. Quella sua voce roca pervasa di ironia. “Ho solo
un brutto mal di testa.”
“Credi
di poter guidare fino in Kansas? Sono circa sedici ore di viaggio.” chiese
Elijah.
Allison
aprì gli occhi e annuì prima di guardare il suo orologio. “Non ho il tempo di
riposare. Starò benissimo, non è certo la prima volta che guido mente una
dannata morsa mi stringe la testa.”
“Ne
sono certo. Ma credo comunque che non sia una buona idea.”
Lei
rise rimettendosi in piedi. “Se sei così preoccupato perché non vieni con me?”
Elijah
Mikaelson sospirò prendendosi un attimo per pensare.
Incrociò lo sguardo di suo fratello per un secondo e poi si alzò in piedi
poggiando il tovagliolo di stoffa sul grande tavolo con un gesto che mostrava
un’eleganza d’altri tempi.
“Dammi
il tempo di prendere alcune cose e poi possiamo andare.” le disse
incamminandosi verso le scale.
“Cosa?”
chiese lei di rimando. “Non dicevo sul serio!” gli urlò dietro mentre Hayley si alzava di scatto e lasciava la stanza con un
misto di rabbia e furore stampato sul viso.
“Allison Morgan!” esclamò Klaus soffocando una risata. “La
sola ed unica capace di creare tanto caos in così poco tempo.”
“Sta’
zitto!” esclamò lei dandogli un colpetto sulla spalla.
****
“Potresti
per favore fermarti alla prossima stazione di servizio?”
Elijah
si voltò a guardarla per un attimo e accelerò di poco. “Di questo passo non
arriveremo mai in Kansas. Cos’è? Devi fare di nuovo pipì?”
Allison
abbozzò un sorriso chiudendo il suo portatile e scosse il capo girandosi per
poggiare il computer sul sedile posteriore.
“Devo
acquistare delle cose che ci serviranno una volta arrivati lì. E, se mi avessi
lasciato guidare, saremmo già arrivati in Kansas” disse. “Comunque questo
umorismo on the road lascialo a tuo fratello, non ti si addice.”
Elijah
non aggiunse nulla. Si limitò ad accendere la radio mentre Allison
sospirava profondamente passandosi una mano sugli occhi stanchi.
La
donna si rese conto di essere nervosa. Non sapeva perché e di primo istinto
disse a se stessa che era senza dubbio colpa della stanchezza e nient’altro. Le
ultime settimane erano state frenetiche. New Orleans le si era presentata
davanti agli occhi bella come la ricordava ma non era esattamente il luogo
pacifico che molti turisti credevano.
Con
i vampiri sempre più furiosi per essere stati banditi dal centro della città ed
i licantropi alla mercé delle streghe… beh era solo questione di tempo prima
che si scatenasse una guerra tra le due specie da sempre rivali. Allison si era sorpresa di sapere che le cose, nonostante
qualche ostacolo lungo la strada, erano filate lisce fino a quel momento.
Aveva
dovuto rivalutare Hayley ammettendo, anche se non ad
alta voce, che lei era, effettivamente, il collante. I vampiri la rispettavano
per timore di Klaus ed Elijah ed i licantropi la idolatravano tutti presi dalla
leggenda secondo la quale lei era l’Alpha destinata a guidarli.
In
fondo Allison sperava che non lo fosse. Una bambina
con una taglia sulla testa a cui badare, due nonni folli come Esther e Mikael ed una
convivenza con Klaus ed Elijah erano già situazioni difficili da sostenere.
Sperava che almeno la responsabilità di quella possibile guerra non ricadesse
su di lei. Lo sperava perchè nonostante l’antipatia
reciproca, poteva facilmente mettersi nei suoi panni. Nei panni di qualcuno
costretto a crescere fin troppo in fretta.
Una
vita come la loro, quasi priva di ogni parvenza di normalità ti preparava a
tutto, ti rendeva forte ma allo stesso tempo ti rendeva fragile.
“Mi
dispiace,” sussurrò quando Elijah si fermò alla stazione di servizio. “Sono
stanca e quando sono stanca divento irascibile. Perdonami, non volevo fare la
stronza poco fa.”
Lui
sorrise allungando un mano fino al suo viso. Gliela poggiò sulla guancia destra
e fece correre il dito sul suo sopracciglio lentamente.
“Non
hai nulla di cui scusarti Allison,” le sussurrò.
“Sono solo preoccupato per te.”
“Sto
bene,” replicò lei slacciandosi la cintura di sicurezza “davvero. Ma sono
contenta che tu abbia deciso di venire con me. Hayley
d’altro canto… Non mi sembrava molto felice.”
Elijah
ritrasse la mano ed il suo sguardo si perse in un punto indefinito della strada
di fronte a sé. “È complicato.”
“Sì”
replicò Allison aprendo lo sportello dell’auto, “di
solito i sentimenti lo sono.”
L’Originale
elegante si schiarì la voce e la seguì con lo sguardo fin quando lei non sparì
dentro la stazione di servizio.
“Sì,
lo sono.” mormorò perdendosi in un ricordo che sapeva tanto di consapevolezza.
****
LEBANON
- KANSAS
“Non
vuole parlarmi. Se ne sta lì e mi guarda come un animale in gabbia.”
Sam
osservò Castiel mentre gli passava davanti. Le mani
chiuse dentro il suo trench, negli occhi chiari uno sguardo ferito e confuso.
Il
minore dei Winchester pensò che avrebbe tanto voluto aiutarlo ma che in realtà
non aveva la più pallida idea di come fare. Capiva il tormento dell’ex angelo
ma capiva anche il tormento della giovane Claire, trascinata a forza in un
mondo di cui quasi sicuramente, potendo scegliere, non avrebbe voluto fare
parte.
“Senti
Cass,” gli disse fermandosi un attimo alla ricerca
delle parole giuste da dire. “Hai fatto la cosa giusta. Quel tizio, Randy… stava solo usando Claire, non avrebbe esitato a
darla via in cambio di qualche dollaro. L’ha quasi fatto a dire il vero.”
“Sì
ma lui era lì per lei quando nessun altro c’era. Claire lo considerava gentile
e per questo gli voleva bene.” replicò Castiel. “Era
un lurido verme ma non meritava la fine che ha fatto.”
“Lo
so, lo so” rispose pronto Sam. “Credimi non sto cercando di trovare una
giustificazione per quello che è successo. Dean ed io… abbiamo dovuto uccidere
molte volte lungo il corso degli anni, ma quello che è successo in quella casa
è stato”
“È
stato cosa?” chiese Dean raggiungendoli lentamente.
Sam
sobbalzò voltandosi per guardare suo fratello. Negli occhi verdi dell’uomo che
gli aveva fatto da padre oltre che da fratello maggiore poteva leggere un senso
di colpa che avrebbe tranquillamente potuto annientarlo. Una paura a cui di
solito Dean non permetteva di venir fuori. Tutto per colpa di uno strano segno
sul braccio. Un dannato simbolo piccolo quanto una bruciatura ma più potente di
tutto quello che avevano affrontato nel corso di tutti quegli anni passati a
combattere l’inferno ed anche il paradiso.
“È
stato un massacro!” esclamò il maggiore dei Winchester. “Potete dirlo
tranquillamente, è la verità.”
“Dean,”
intervenne Cass “non eri in te. Il Marchio ha preso
il sopravvento e”
“Allora
toglimelo di dosso!” urlò Dean. “Taglialo via, brucialo. Fa’ qualunque cosa
ritieni necessaria ma aiutami. Questo dannato Marchio deve sparire.”
Cass
sospirò. “Non è così facile.”
“Abbiamo
cercato dappertutto Dean. Ogni libro che abbiamo trovato in questo posto
l’abbiamo letto da cima a fondo, ma non siamo riusciti a venirne a capo.” aggiunse
Sam.
“Beh
allora è una fortuna che sia arrivata la parte intelligente dello strampalato Team free will.”
Gli
sguardi di tutti e tre si fissarono sulle scale ed un sorriso, nonostante
tutto, si stampò sui loro visi quando videro Allison
scendere lentamente con una busta in mano ed un tizio elegante al seguito.
“Allison…” mormorò Cass sorpreso,
lieto, felice di vedere quel bel viso a cui tanto teneva.
“Lo
so, sono in ritardo. Ma qualcuno,” disse indicando Elijah con un gesto del capo
“non conosce proprio il concetto di guida
sportiva. Credo di aver visto una o due lumache sorpassarci sulla statale.
Allora” continuò poggiando la grande busta sul tavolo di fronte a lei. “pronti
a liberarvi di quel dannato Marchio?”
****
Dopo
quasi un’ora passata a farsi aggiornare su tutto quello che era successo dopo
il “ritrovamento” di Dean e la cura che l’aveva trasformato nuovamente in un
umano dopo il suo tragico periodo da demone, Allison
non si sentiva più ottimista come quando era arrivata al bunker.
Da
quello che Sam le aveva raccontato, sembrava davvero che non ci fosse nessuna
dannata soluzione a quel problema e la donna cominciava a pensare che forse
avrebbero dovuto prendere delle decisioni difficili, drastiche, se nient’altro
fosse venuto fuori.
La
descrizione di Dean durante il delirio da Marchio di Caino che Sam le aveva
raccontato nei minimi dettagli l’aveva fatta rabbrividire. Ma com’era solita
fare aveva tenuto le sue sensazioni per sé congedando l’amico con un non troppo
convinto fammici dormire su e domani farò
qualche telefonata.
A
chi avrebbe potuto telefonare per risolvere la situazione o quanto meno trovare
una pista valida da cui partire non lo sapeva ancora, ma era fiduciosa che
scorrendo la sua rubrica qualche nome potenzialmente interessante sarebbe
venuto fuori.
Ad
essere del tutto onesti, qualcuno le era venuto in mente, ma non sapeva quanto
fosse buona come idea. Aggiungere John Constantine alla già stranissima
situazione che si era venuta a creare tra Elijah ed i suoi amici non le sembrava
l’idea più brillante al mondo. Meglio aspettare e vedere se qualcos’altro
veniva fuori dal cilindro.
Dopo
un’ultima occhiata a Castiel che fissava Elijah con
uno sguardo carico di domande e anche irritazione, Allison
decise che era il momento di congedarsi e lasciare Sam con i due che
continuavano quella guerra fredda fatta di occhiataccie.
“Io
credo che vi lascerò da soli,” disse stiracchiandosi prima di alzarsi. “Voi
due,” aggiunse indicando Elijah e Castiel “cercate di
non fulminarvi a vicenda con lo sguardo e tu,” passò una mano tra i capelli di
Sam, “cerca di riposare. Hai un aspetto di merda. Senza offesa.”
Sam
rise appena alzando le mani. “Mi sei mancata sai?” disse sarcasticamente.
“Lo
immagino,” Allison sorrise sparendo lungo il
corridoio. “sogni d’oro” urlò.
Dopo
un attimo nella sua camera si diresse verso la camera di Dean e bussò due
volte. Aprì la porta prima che lui potesse darle il permesso di entrare e
sorrise al suo amico sdraiato sul letto a fissare il muro di fronte a sé.
“Hey” gli sussurrò raggiungendolo e mettendosi a sedere
accanto a lui. “Ho pensato che volessi un po’ di compagnia. E, venendo qui, ho
comprato questi.”
Gli
mostrò due DVD e Dean sorrise prendendoli in mano.
“La grande fuga” lesse sulla confezione.
“e Footloose?” domandò corrugando la fronte.
“Oh
quello è per me,” gli fece sapere Allison. “E non
fare quella faccia, solo perché il Marchio di Caino ti ha trasformato in un
pazzo maniaco con una passione per i massacri non significa che di improvviso
tutto il mondo giri intorno a te.”
Dean
si voltò per guardarla meglio e in quegli occhi nocciola riconobbe esattamente
i sentimenti di cui aveva bisogno in quel momento. Non pietà o dispiacere,
semplicemente amicizia e supporto.
“Mi
sembra giusto” ammise afferrando il suo portatile e poggiandoselo sulle gambe.
“Ma guardiamo prima La grande fuga.”
Allison
sorrise e gli si avvicinò un po’ per baciargli la fronte in un gesto che valeva
più di mille parole.
“Tiriamo
a sorte, Winchester!” esclamò tirando fuori una monetina.
E
tutto quello che Dean riuscì a fare fu ridere come non faceva oramai da
settimane.
Allison
si svegliò nel cuore della notte. Guardò l’orologio da parete di fronte a sé e
vide che segnava le 2.45 del mattino. La testa di Dean era poggiata sulla sua
spalla, probabilmente scivolata durante la notte.
Non
ricordava quanto del film avessero guardato prima che il sonno li facesse
crollare, ma era quasi del tutto sicura di essersi addormentata per prima visto
che l’ultima cosa che ricordava era lo sguardo annoiato di Dean durante la
scena finale di Footloose.
Raddrizzò
delicatamente il collo dell’amico e lui si mosse appena assumendo una posizione
quanto più dritta possibile. Allison si alzò dal letto lentamente, cercando di
fare meno rumore possibile, ed uscì dalla stanza richiudendosi la porta alle
spalle.
Aveva
fame ed aveva sete e soprattutto aveva un sacco di cose per la testa.
Sospirò
mentre raggiungeva la cucina e non fu sorpresa di trovarvi Castiel. Quello che
la sorprese, fu vedere che stava preparando del caffè.
“Angeli
e caffeina…” mormorò avvicinandosi e afferrando una tazza. “che strana
accoppiata.”
Lui
abbozzò un sorriso sollevando le spalle. “Non è rimasto molto di angelico in
me.” le disse. “A proposito, grazie per avermi aiutato, non sarei qui adesso se
Gerald non fosse comparso dal nulla con una nuova riserva di angelica energia
per me.”
Allison
si schiarì la voce aprendo il frigorifero per tirarne fuori delle uova. “Non ho
idea di cosa tu stia parlando.”
“Certo…
beh grazie.”
Lei
gli sorrise senza aggiungere altro aprendo ogni pensile alla ricerca di una
ciotola abbastanza capiente. “Hai visto Elijah per caso?”
Castiel
annuì lentamente per nulla intenzionato a nascondere il fatto che avere quel
tizio tra i piedi non gli faceva affatto piacere. “Ha detto che questo posto lo
incuriosisce quindi probabilmente sta facendo un giro turistico del bunker in
questo momento. Da quanto lo conosci? E soprattutto, quanto bene lo conosci?”
La
donna abbozzò un sorriso mentre scaldava una padella per le uova. “Lo conosco
da abbastanza tempo e abbastanza bene da sapere che posso fidarmi ciecamente di
lui. Credi che l’avrei portato qui altrimenti?”
L’ex
angelo fece un grosso respiro poggiandosi all’isola della cucina. “È solo che è
strano.”
“Cosa?
Elijah o realizzare che ho degli amici al di fuori del nostro piccolo Team Free Will?”
“Un
po’ entrambe le cose credo” ammise lui. “È cambiato tutto ultimamente.”
“Oh
andiamo” replicò Allison, “non essere così drammatico. Le cose cambiano, la
gente si evolve, è il naturale corso della vita.”
“Sì,
solo che per noi non cambia nel migliore di modi. Dean ha un dannato marchio
che prende spesso il controllo su di lui, nessuno sa come aiutarlo e in più la
figlia del mio tramite, che sto disperatamente provando ad aiutare, mi odia
profondamente.”
Lei
annuì versandosi l’omelette in un piatto. “Dean mi ha detto quello che è
successo. Pare che Claire sia un vero peperino.”
“Peperino è un eufemismo, credimi.” Cass
si mise a sedere. “È così infuriata con me e con suo padre e con il mondo
intero.”
“E
se provassi a parlarci io? Ci so fare con le persone e se tutto va bene e
decide di darmi retta, magari potrei convincerla a trasferirsi a Los Angeles, a
casa mia” propose Allison. “Vivrebbe da sola e quindi non dovrebbe rinunciare
alla sua tanto amata indipendenza, ma sarebbe in un posto sicuro e potrei
chiedere a qualcuno di tenerla sotto controllo senza che nemmeno se ne accorga.
Saresti più tranquillo credo.”
Cass
sgranò gli occhi e quell’azzurro si illuminò di colpo. “Sarebbe perfetto se tu
riuscissi a convincerla.”
Allison
si alzò e mise il piatto dentro il lavabo, bevve un sorso di succo d’arancia e
sospirò. “Mandami il suo numero. Le farò una telefonata.”
“Grazie
Allison.”
Lei
si voltò e gli sorrise prima di volgere lo sguardo ad Elijah che li osservava
dalla soglia della porta. “Hey!” esclamò raggiungendolo. “Piaciuto il bunker?”
“Devo
ammettere che lo trovo piuttosto interessante.” Elijah annuì seguendola con lo
sguardo.
“Fantastico!”
esclamò Allison dandogli una pacca sul petto mentre lo superava uscendo dalla
cucina. “Preparati, usciamo per un giro.”
****
“Esattamente
dove stiamo andando?”
Elijah
si mise comodo sul sedile del passeggero e volse lo sguardo ad Allison notando
che sembrava meno stanca di quando erano arrivati. Meno stanca ma ancora
preoccupata.
“Non
lo so con precisione,” rispose lei mettendo in moto. “Ho solo bisogno di
schiarirmi le idee e ho pensato che il mio saggio Originale potrebbe aiutarmi a
rimettere in ordine i pezzi del puzzle.”
“Mio?” fece eco il vampiro alzando un
sopracciglio e trasformando il suo viso in un misto di curiosità e divertimento.
“Mio!”
ripeté lei. “Sai che divento velocemente possessiva. Trascorri con me almeno
due settimane e diventerai di mia proprietà.”
Elijah
sorrise pensando che era un bene; quello scambio di sciocche battute dimostrava
che Allison stava tornando se stessa. “Ma davvero?”
Lei
annuì svoltando a sinistra, pronta a percorrere la statale senza una
destinazione precisa. “Davvero” gli disse abbozzando un sorriso mentre
abbassava il finestrino per lasciare che il vento le scompigliasse i capelli.
“Ieri
ho mentito ad uno dei miei migliori amici,” aggiunse dopo un lungo minuto di
silenzio. “E mi sento uno schifo.”
“A
volte mentire è necessario Allison. Soprattutto se lo si fa per una buona
ragione.” ragionò il suo passeggero fissando il panorama fuori dalla finestra.
Distese
di prati verdi si estendevano per miglia e miglia. Erano erbe selvatiche ma in
qualche strano modo lo facevano sentire calmo.
“Non
è per il fatto che ho mentito che mi sento uno schifo,” spiegò lei. “Mi sento
uno schifo perché non so davvero come aiutare Dean. Ho detto a Sam che avrei
fatto qualche telefonata ma la verità è che non so proprio chi chiamare. O
meglio, mi viene in mente solo una persona ma per quanto sia bravo, non credo
che possa aiutarmi, non stavolta.”
“Non
credi o ne sei certa?” domandò Elijah. “C’è una differenza e credo che, se tu
semplicemente credi che non possa
aiutarti, vale comunque la pena di chiamare e fare un tentativo.”
Allison
sospirò fermandosi di fronte ad una piccola stazione di servizio. Spense il
motore e strinse forte il volante. “Credo di aver paura. Paura che mi dica che
non c’è niente che può fare per Dean. Non voglio deluderlo. Quei tre strambi
personaggi sono la mia famiglia Elijah.”
“Proprio
perché sono la tua famiglia devi fare quella telefonata Allison.”
La
donna annuì e afferrò il cellulare. Si schiarì la voce mentre componeva il
numero e diede una rapida occhiata ad Elijah.
“Allison Morgan, che immenso
piacere ricevere una tua telefonata.”
Allison
abbozzò un sorriso cullata dall’accento inglese di John e respirò a fondo prima
di parlare. “John Constantine! Ho sentito che eri tornato in azione e volevo
accertarmi che fosse vero.”
“Lo è dolcezza, lo è. Anche se sono
certo che molti non la considerino una
buona notizia.”
“Per
quel che vale, io ne sono felice.”
John
rise e si prese un attimo per – Allison immaginò – dare una tirata alla sua
sempre presente sigaretta.
“Cosa posso fare per te tesoro?”
“Che
ne sai del Marchio di Caino?”
“So che qualunque cosa collegata a
quel dannato marchio non è una buona notizia. In che guaio ti sei cacciata
Allison?”
Allison
scosse il capo, quasi lui potesse vederla. “Non io John. Un amico, anzi più di
un amico, uno di famiglia. Per farla semplice, ha avuto un piccolo scontro con
Caino in persona e Caino ha pensato bene che era ora di andare in pensione e
così ha trasferito il marchio su di lui. L’unico problema è che quella dannata
cosa ha preso il sopravvento e adesso controlla quasi tutte le sue azioni.”
“Questa è una pessima, pessima
notizia.”
“Non
dirlo a me…” mormorò Allison. “John, è una cosa davvero importante, non ti
disturberei se non lo fosse.”
Dall’altra
parte del telefono ci fu silenzio per alcuni minuti, poi John sospirò.
“Fammi fare qualche ricerca, non ho
una soluzione ma credo di poterti dare qualcosa da cui partire. Aspetta mie
notizie.”
Riattaccò,
prima che Allison potesse aggiungere qualcosa, in pieno stile Constantine, e
lei sospirò passandosi la mano sul viso incapace di capire se quello che
sentiva nello stomaco fosse sollievo o paura. Forse entrambe, si rese conto.
****
“John
Constantine. Sei un fottuto genio!” urlò Allison rientrando nel bunker.
Elijah
la seguiva a passo lento sorridendo tra sé e sé di quell’entusiasmo che da un
po’ mancava sul viso della sua amica.
La
seguì giù per le scale fino alla “sala grande” e si fermò quando lei si fermò.
Allison
alzò gli occhi dal suo cellulare e sorrise al volto di fronte a sé.
“Charlie”
disse a metà tra la domanda e l’affermazione. “Sei proprio tu?”
La
rossa le sorrise avanzando verso di lei.
“Ciao
stronzetta!” esclamò stringendola in un forte abbraccio. Un abbraccio che le
riempì il cuore di gioia.
Allison
Morgan non si sarebbe mai stancata di quelle strette. Forse perché sapeva che
Charlie la stringeva mettendoci tutto il cuore, forse perché gli abbracci erano
da sempre così rari nella sua vita che quella morsa capace di scioglierle il
cuore la faceva sentire immediatamente meglio.
“Com’era
Oz?” le chiese Allison staccandosi da lei e mettendosi a sedere. Invitando
anche lei a farlo.
“Avventurosa!”
esclamò la rossa. Un grande sorriso le colorò il viso gentile. “Ma dimmi, come
sono andate le cose qui mentre ero via? A parte Dean che è diventato folle…”
abbozzò un sorriso che aveva l’intento di mascherare il sentimento comune a
tutti: la paura.
“Vedo
che ci sono dei volti nuovi.” continuò Charlie indicando Elijah con un dito.
L’uomo
fece qualche passo avanti e le strinse la mano in modo delicato. “Sono Elijah
Mikaelson.”
“Charlie.
Senza cognome… come Cher o Madonna.”
Allison
rise scuotendo il capo e fece cenno a Dean e Sam che erano appena entrati nella
stanza.
“Forse
ho delle novità.” annunciò poggiando il cellulare sul grande tavolo. “Un amico
potrebbe aver trovato un libro che potrebbe aiutarci con il problema del Marchio. Non sto facendo alcuna
promessa, sia ben chiaro. Ma è l’unica pista che abbiamo quindi credo che sia
il caso di dare un’occhiata.”
Gli
occhi di Dean si illuminarono per la prima volta da quando lei era arrivata al
bunker. “Fantastico!” esclamò “Andiamo a prendere questo libro.”
“Il
libro si trova in Italia, a Firenze.” gli fece sapere Allison. “Spero che tu
abbia superato la tua paura degli aerei Dean, perché io non posso andare in
Italia al momento, ho un sacco di cose in ballo e”
“Ci
vado io.” la interruppe Charlie. “Era comunque da molto tempo che desideravo
visitare l’Italia. Ne approfitterò per fare una vacanza. E se il libro dovesse
rivelarsi un vicolo cieco… beh continuerò a scavare. Troveremo un modo.”
“Sei
sicura?” le chiese Sam prendendo posto accanto ad Elijah. “Forse uno di noi dovrebbe
venire con te.”
“Con
chi credi di parlare, stronzetto?” replicò scherzosamente lei. “Me la caverò
benissimo. C’è solo un problema. Sono un po’ al verde al momento.”
“I
soldi non sono un problema.” si intromise Elijah. Fissò un punto indefinito della
stanza prima di posare gli occhi su Allison per regalarle uno sguardo che lei
conosceva sin troppo bene.
Allison
sorrise stringendogli la mano per un secondo. “Preparati Charlie. Firenze ti
aspetta.” le disse mentre componeva il numero di Cass pronta a raggiungerlo e
concludere il suo viaggio in Kansas con un bel discorsetto alla ribelle Claire.
****
“Devo
dirtelo,” sussurrò Elijah mentre si metteva al posto di guida. “questo tuo
strampalato gruppo di amici mi ha piacevolmente colpito.”
Allison
annuì. “Sono strampalati è vero. Ma sono la mia famiglia e aiutarli mi fa
sentire bene. Loro farebbero lo stesso per me.”
Elijah
si voltò a guardarla. “Molte persone farebbero molto per te Allison.”
Lei
si schiarì la voce e fissò la strada fuori dal finestrino prima di parlare di
nuovo. “Grazie per quello che hai fatto. Anche se non capisco perché l’hai
fatto. I soldi non sono un problema per me e tu lo sai. Sono l’unica cosa che
non è mai stata un problema in tutta la mia vita.”
Lui
rise. “Sì, lo so. Ma tu hai mollato tutto per venire a New Orleans a salvarmi.
Hai rischiato la tua vita per farlo. Mi sembrava giusto ripagarti in qualche
modo.”
“Te
ne sono grata. Ma non devi ripagarmi di nulla Elijah. Anche se forse non tu non
lo sai, molte persone farebbero molto anche per te.” Allison abbozzò un sorriso
prima di accendere la radio.
"I tuoi vampiri hanno bisogno di imparare un po'
di auto controllo" mormorò Allison dondolandosi
sulla sedia di legno.
Marcel si voltò a guardarla e corrucciò la fronte in
un'espressione perplessa. "I miei vampiri sono perfettamente in grado di controllarsi."
"Non credo proprio," replicò Allison scuotendo leggermente il capo. "Li osservo da
quasi due mesi e posso garantirti che non è affatto come credi. Guarda Gia per esempio; sembra la più equilibrata ma in realtà è
la più fragile. E quel tizio lì," aggiunse indicando un ragazzo dai
capelli rossi "quel tizio ti darà presto un sacco di problemi."
"Tu sei pazza." Marcel si girò per
osservarla meglio. "Gia è perfettamente in grado
di controllarsi e quel tizio, come lo chiami tu, è uno dei più equilibrati del
gruppo."
Allison annuì tirando fuori dalla tasca un coltellino. Con la
punta affilata si procurò un piccolo taglietto sull'indice sinistro e alzò la
mano in attesa.
Il tizio equilibrato fu il primo a
muoversi. Alzò la testa di scatto e i suoi occhi diventarono rossi, i denti
affilati vennero fuori e quasi come un automa si mosse in direzione di Allison. Marcel si alzò e lo fermò allungando la mano verso
di lui. Scosse il capo dando una rapida occhiata ad Allison
e sospirò quando vide che, anche se Gia stava ancora
seduta, faticava a rimanere ferma, pronta a scattare da un momento all'altro.
"Okay adesso basta!" esclamò Marcel
guardando tutti e nessuno allo stesso tempo. "Hai provato ciò che volevi
provare. E adesso?"
Allison sorrise mettendosi in piedi. "Adesso gli
insegniamo a controllarsi come si deve." Annunciò. E Marcel sospirò sicuro
che, qualunque cosa avesse in mente, non gli sarebbe piaciuta.
****
John sospirò passandosi una mano tra i capelli. Non ne
poteva più del tizio in cella con lui e mentre lo guardava andare avanti e
indietro in quello spazio ridotto pensò che se avesse pronunciato un
incantesimo che lo avrebbe messo a dormire per un po’ nessuno avrebbe potuto
biasimarlo.
Oltretutto, che diavolo erano quelle parole che
continuava a ripetere come un disco rotto? Sembravano passi della Bibbia ma
John non era sicuro.
“Hey amico,” gli disse
facendo un cenno con la testa. “Credi che se continuerai a camminare avanti e
indietro risolverai qualcosa?”
L’uomo lo guardò dritto negli occhi. “La fine del
mondo ci attende!” esclamò alzando una mano. Poi lo indicò con un dito.
“Un’ombra oscura sta per abbattersi su di noi.”
Constantine scosse il capo strofinandosi gli occhi.
“Non hai tutti i torti,” mormorò mentre si sdraiava sulla panca d’acciaio
fredda, unico accessorio d’arredamento in quell’angusta cella. Si rese conto,
mentre il rumore dei passi del suo nuovo amico gli impedivano di riposare, che
si era cacciato in un grosso guaio. Uno dal quale, doveva ammettere, non aveva
idea di come uscire.
C’era solo una persona che poteva tirarlo fuori da
quel posto e in fondo, pensò, glielo doveva dopo quella piccola informazione
che le aveva dato qualche tempo prima. Rise di se stesso… anche se avesse avuto
nessun favore da riscuotere Allison Morgan gli
avrebbe comunque dato una mano. Perché lei era fatta così; sfacciata, letale ma
generosa con le persone che considerava suoi amici. E John era abbastanza
fortunato da essere considerato tale.
Si alzò lento e si avvicinò alla porta. Batté quattro
volte sul metallo freddo e finalmente una guardia si avvicinò intimandogli di
piantarla.
“Voglio fare una telefonata” disse.
La guardia rise e diede un colpo all’altezza della
piccola finestrella che gli permetteva di avere una visuale dell’interno della
cella. “Scordatelo.”
John rise e tirò fuori dalla tasca del suo
impermeabile due biglietti da cento dollari. Li mostrò alla guardia e non si
sorprese affatto quando quella gli passò il suo cellulare mormorandogli di fare
in fretta.
Constantine compose velocemente il numero di Allison seguendo il suo amico in quella piccola marcia in
tondo all’interno della stanza. Sapeva che Allison
Morgan era una donna parecchio impegnata ed una cacciatrice particolarmente
ricercata, sempre pronta con una soluzione a quasi ogni problema, capace di
trovare una risposta a quasi ogni mistero. Parecchi cacciatori nel corso degli
anni le avevano chiesto aiuto e John non riusciva a ricordare una singola volta
in cui lei avesse risposto no.
Lei sosteneva di farlo perché, visto che quella era la
vita che le era capitata era meglio fare tutto al massimo, ma John sapeva che
in realtà dietro molti dei casi a cui decideva di lavorare c’era un latente
timore. Una paura del vuoto che sentiva quando si ritrovava da sola coi suoi
pensieri. Un desiderio quasi disperato di tenersi occupata. Di aiutare dei
perfetti estranei nella speranza di dimenticare che non era riuscita ad aiutare
chi le stava a cuore.
John provava pena per lei, ma più che altro provava un
grande affetto. Sì, Allison Morgan era una delle
persone più care a lui. Ma non lo avrebbe ammesso, perché lui odiava le
smancerie. E anche Allison le odiava.
“Allison!” esclamò quando
lei rispose. “Mai come in questo momento sono stato così felice di sentire la
tua voce.”
“John, in
che guaio ti sei cacciato?”
Lui rise mettendosi una mano in tasca. “Oh non ci
crederai. È una storia incredibile, ma è frutto di un grande malinteso, te lo
posso assicurare. Ho bisogno che tu venga a prendermi.”
“Okay. Dove
sei?”
John sorrise; eccola lì la Allison
generosa e sempre pronta ad aiutare che pochi fortunati conoscevano.
“Angola” le disse.
“La
prigione?”
“Sì! Sono stato arrestato.”
“Per cosa?”
“È una lunga storia, ma preferirei raccontartela di
persona, fuori da questo poco. Magari di fronte ad una birra. Ma dovrai offrire
tu temo, perché ho appena dato alla guardia i miei ultimi averi per garantirmi
questa telefonata.”
“Arrivo più
in fretta che posso.”
“Guida in fretta tesoro
e portati dietro il libretto degli assegni per la cauzione.”
John riattaccò prima che lei potesse dire altro e
roteò gli occhi quando il suo compagno di cella si gettò a terra in ginocchio
rivolgendo le sue preghiere ad un Dio a cui, John ne era certo, non fregava un cazzo di nessuno di loro.
****
“Posso chiederti una cosa?”
Allison si voltò per un secondo verso Klaus prima di concentrarsi di nuovo sulla
strada.
“Perché hai voluto che fossi io ad accompagnarti?”
“Che vuoi dire?” Allison
abbassò un po’ il volume della radio prima di cambiare la marcia.
“Solitamente chiedi sempre ad Elijah di accompagnarti,
ma stavolta l’hai chiesto a me anche se lui si era offerto.”
La donna sospirò scuotendo il capo.
“Solitamente,” disse. “io lavoro da sola. Ma visto che
mi avete arruolata in questa piccola battaglia contro i vostri folli genitori,
sto cercando di cambiare le mie abitudini.”
“Questo non risponde alla mia domanda.” Klaus rise
incrociando le braccia sul petto.
“Senti, credevo che ti andasse di fare una piccola
gita con me. E oltretutto stiamo andando in una prigione di massima sicurezza e
sono quasi certa che un posto come quello si adatti a te più che ad Elijah.”
“E oltretutto,” aggiunse Klaus. “hai notato che tra Hayley ed Elija c’è parecchia
tensione sessuale e orgogliosa come sei hai deciso che trattarlo con freddezza
è il modo migliore per fargli capire che tu, Allison
Morgan, non sei la seconda scelta di nessuno.”
Allison strinse con forza il volante dell’auto e sospirò guardando per un attimo
fuori dal finestrino. Quell’impertinente di un ibrido aveva ragione, anche se
le costava ammetterlo.
“Mi sono già trovata in una situazione simile. E non
mi è affatto piaciuto, perché sì, hai ragione, non voglio essere la seconda
scelta di nessuno. Merito di meglio.”
“Non credi di suonare un po’ presuntuosa?”
“Forse” ammise lei. “Ma non voglio nessuna
complicazione, e qualunque cosa ci sia stata o ci sia ancora tra me ed Elijah,
è una complicazione che non posso permettermi in questo momento.”
Klaus annuì mettendosi poco più dritto sul sedile del
passeggero.
“Lui tiene molto a te” le disse.
“Non ha importanza,” ripose Allison
alzando il volume della radio. “E ora fatti gli affari tuoi Mr Gossip.”
****
“Centocinquantamila dollari John!” esclamò Allison mentre uscivano dal penitenziario.
“Centocinquantamila. Ti rendi conto?”
Constantine frugò nelle tasche del suo impermeabile
alla ricerca di una sigaretta.
“Hai una sigaretta?” chiese alla sua amica
guardandola.
Allison spalancò la bocca inarcando un sopracciglio. “No John. Non ho una
sigaretta e ti sarei grata se mi dicessi come sei finito in questa dannata
prigione e come intendi restituirmi i miei soldi.”
L’uomo si fermò e mise entrambe le mani nelle tasche
dell’impermeabile. Fissò per un attimo il cielo e poi fece vagare lo sguardo
prima di fissarlo su Allison ed il suo accompagnatore
di cui ancora non sapeva neppure il nome.
“Stavo lavorando ad un caso e le ricerche mi hanno
condotto ad una strada buia e deserta, come accade ogni dannata volta” iniziò a
raccontare. “Lì mi sono ritrovato di fronte ad una ragazzina di circa tredici
anni. Stava parlando con un tizio chiuso in un completo elegante; un demone dell’incrocio è stato il mio
primo pensiero.”
John fece un grosso respiro prima di continuare.
“All’inizio pensavo che anche la ragazzina fosse posseduta. Ho pensato che fosse
in corso una sorta di riunione infernale,
ma poi mi sono reso conto che la ragazzina non era posseduta; stava stringendo
un patto con quel demone. Così prima che siglassero l’accordo mi sono mostrato.
Il demone è fuggito e la ragazzina ed io siamo rimasti da soli nella strada
buia e deserta di cui ti ho già parlato.”
“Una ragazzina di tredici anni stava stringendo un
patto con un demone?” Klaus gesticolò come per cercare di raccogliere le idee.
“Non è possibile” mormorò Allison.
“Vallo a dire a quella ragazzina. Ad ogni modo,”
continuò John. “una volta rimasto solo con lei ho cercato di capirne di più. È
saltato fuori che stava facendo un patto per salvare sua madre malata di
cancro. Aveva letto dei demoni dell’incrocio su alcuni libri di un certo Carter qualcosa.”
“Carver Edlund?” chiese Allison.
“Esatto!” esclamò John. “La ragazzina, Maggie, non
credeva che fosse vero ma ha provato e questo tizio è comparso e per poco non
ha comprato la sua anima.”
Klaus guardò Allison per
lungo minuto. “Conosci questo tizio dei libri non è vero?”
“Lo conoscevo,” precisò lei raggiungendo l’auto per
prendere il suo cellulare. “ma come diavolo sei finito qui?” chiese a John
mentre scorreva velocemente la rubrica.
“Stavo portando la ragazzina a casa ma una volante ci
ha fermati sulla strada.Salta fuori che
Maggie è la figlia di un politico molto importante. Ne avevano denunciato la
scomparsa qualche ora prima, ma non mi hanno creduto quando ho detto che le
avevo salvato la vita. Mi hanno accusato di averla rapita. Lei ha cercato di
dire che stavo dicendo la verità ma chi crederebbe ad una ragazzina di tredici
anni che racconta di aver tentato di vendere la propria anima ad un demone? E
così mi hanno sbattuto qui dentro pensando che nessuno avrebbe pagato la
cauzione.”
“Questa è la storia più incasinata che io abbia mai
sentito.” commentò Klaus.
“Benvenuto nella mia vita amico.” John allargò le braccia prima di voltarsi a guardare Allison.
Lei sospirò e si portò il telefono all’orecchio. “Crowley richiamami appena senti questo messaggio. Hai due
ore, dopodiché, se non mi avrai richiamata ti evocherò alla vecchia maniera e
sarò molto, molto arrabbiata.”
Riattaccò e fece cenno ai suoi due amici di salire in
auto mentre avvicinava di nuovo il telefono all’orecchio.
“Riguardo ai tuoi soldi,” le disse John mentre apriva
lo sportello. “Non credo che potrò mai restituirteli, ma d’altronde sei ricca e
vista la vita che facciamo morirai prima di poter spendere tutti i tuoi
milioni.”
Lo sguardo che Allison gli
riservò lo fece diventare serio come forse non era mai stato.
“Ti ho già detto che sei molto bella oggi?” le chiese.
“Sali in macchina e chiudi la bocca John!” esclamò lei
attendendo che la persona che stava chiamando rispondesse. “Cass,
sono io. Ho bisogno di aiuto” disse quando l’ex angelo la salutò dall’altra
parte del telefono.
Quando
Castiel arrivò all’indirizzo che Allison
gli aveva dettato al telefono, all’entrata della grande casa incontrò due tizi
che sembravano fare da guardia. L’ex angelo fece qualche passo all’interno dell’abitazione
attirando l’attenzione di una ragazza seduta ad un tavolo con in mano una tazza
di caffè.
“Posso
aiutarla?” chiese lei. E Castiel mise le mani nelle
tasche del suo impermeabile dando una rapida occhiata ai tizi all’entrata.
“Sono
Castiel” si presentò. “Allison
mi ha detto di raggiungerla qui ma non sono sicuro di trovarmi nel posto
giusto.”
Hayley
sorrise cordiale. “Io sono Hayley. Allison è di sopra” indicò con una mano la grande scala. “Aspetta
qui, vado a dirle che sei arrivato.”
Castiel
annuì facendo qualche altro passo all’interno di quel posto. Pensò che le cose
erano decisamente cambiate. Ricordò quasi con nostalgia le volte in cui si era
trovato in piedi in piccole stanze di squallidi motel; non erano quei posti a
mancargli, era quella sensazione che, nonostante le loro vite facessero schifo,
le cose erano comunque più semplici.
Demoni,
fantasmi, vampiri… salvare la vita degli innocenti. Schifoso ma tutto sommato
semplice. Quello che era successo negli ultimi anni invece era ben al di sopra
di semplici missioni, ben al di sopra di quello che i Winchester definivano,
con un pizzico di orgoglio e un pizzico di rassegnazione, gli affari di famiglia.
“Tu
devi essere l’amico di Allison.”
Castiel
si voltò e scrutò con attenzione il viso che si trovò davanti. Non ricordava di
averlo mai visto prima ma riusciva a percepire qualcosa di profondo, qualcosa
di forte. Se quel qualcosa fosse un bene o un male era troppo presto per dirlo.
“Sono
Castiel” ripeté come aveva fatto prima con la
ragazza.
L’altro
si incamminò verso il piano di sopra invitandolo a seguirlo. “Io sono Klaus.
Benvenuto nella mia umile dimora.”
****
“Te
lo chiedo per l’ultima volta, dopodiché metterò fine alla tua inutile vita,
prenderò un altro demone dell’incrocio e farò a lui il doppio di quello che ho
fatto a te.” Allison ripulì la lama con un grande
panno bianco. Fece un lieve sorriso a Cass che era
appena entrato nella stanza e si voltò nuovamente verso il demone legato alla
sedia. “E se l’altro demone non mi dirà nulla lo ucciderò e ne prenderò un
altro e poi un altro ancora e poi un altro fin quando non avrò avuto tutte le
informazioni che mi servono oppure fin quando non avrò decimato la tua stirpe,
o famiglia, o qualunque altro sia il termine che usate per definirvi.”
Il
demone rise alzando la testa per guardarla dritto negli occhi. “Credi che me ne
importi qualcosa? Credi che minacciando di uccidere i miei simili farai leva su
un qualche sentimento nascosto? Risparmia il fiato, cacciatrice.”
“Le
due ore sono passate,” Allison guardò il suo orologio
ignorando le parole del prigioniero e puntò gli occhi su Castiel.
“il tempo di Crowley è scaduto. Portiamolo qui alla
vecchia maniera.”
Castiel
annuì guardandolatirare fuori dal suo
borsone una piccola ciotola e un sacchetto di terra sepolcrale. “Vuoi che lo
faccia io? Sembri stanca Allison.”
“I
demoni dell’incrocio stanno stringendo patti con dei ragazzini,” Allison scosse il capo inginocchiandosi sul pavimento. “è
una cosa spregevole. Crowley è un mostro ma questo mi
sembra troppo persino per lui. Qualcosa ci sfugge Castiel
ed io devo capire cosa. E devo farlo prima che la cosa degeneri.”
L’ex
angelo sospirò. “Cosa vuoi che faccia?”
“Al
momento vorrei soltanto che provassi a far parlare quel dannato demone mentre
io mi occupo di Crowley.”
“Proverò
a fare in modo che il corpo che lo ospita non subisca troppi danni” Castiel si tolse l’impermeabile e lo poggiò sul pavimento
accanto a lei. “Magari riuscirò a guarirlo una volta che il demone sarà
esorcizzato.”
Allison
si mise in piedi e legò i capelli in una cosa di cavallo spettinata. “Fai ciò
che devi.” gli disse scambiando un’occhiata con Klaus che li osservava in piedi
sulla porta, Elijah accanto a lui. “John,” disse a Constantine che fumava una
sigaretta guardando curioso il demone intrappolato. “Tu vieni con me.”
“Con
molto piacere dolcezza. Dove andiamo
esattamente?”
“Al
piano di sotto. Faremo quattro chiacchiere con il Principe degli Inferi.”
“Re!”
esclamò una voce che li fece voltare tutti. “Sono il Re degli Inferi e, non che
me ne importi molto, ma” Cowley avanzò a passo lento
senza togliere le mani dalle tasche del suo cappotto nero. “perché uno dei miei demoni è immobilizzato e
sanguinante su una sedia?”
****
Allison
raggiunse il piano di sotto con Crowley e John e si
strofinò gli occhi guardando un attimo Hayley prima
di voltarsi verso il Re.
“I
tuoi demoni stanno stringendo dei patti con delle ragazzine Crowley”
gli disse poggiandosi le mani sui fianchi.
“Senti
tesoro, quelle teenagers farebbero di
tutto per una borsetta o per avere il quarterback ai loro piedi, o per il
titolo di reginetta del ballo. E hanno tutte dai diciotto anni in su. Non è
colpa mia se le giovani donne al giorno d’oggi sono così materialiste.”
“Basta
cazzate! Sto parlando di ragazzine di tredici anni Crowley!”
Allison urlò avanzando verso di lui con un’espressione
che Crowley sapeva, significava che la bella
cacciatrice aveva quasi raggiunto il punto di non ritorno. Un’espressione che
era meglio non sottovalutare, lo sapeva bene.
“Non
ho idea di cosa tu stia parlando. Io non stringo patti con dei tredicenni, per
chi mi hai preso? Non sono così disperato.”
“Vuoi
dirmi che non ne sai nulla? Vuoi farmi credere che non prenderesti l’anima di
un bambino avendone la possibilità?”
“Sono
il Re degli Inferi, ma non sono un mostro Allison” si
difese Crowley. “Se un bambino fosse il danno
collaterale di una qualche spiacevole situazione non me ne importerebbe, non ne
farei un dramma, ma non mi metterei mai a stringere patti con ragazzini di
tredici anni. Se uno dei miei ha fatto una cosa del genere sono furioso quanto
te. Non per il ragazzino, ma perché significa che mi ha disobbedito, è un
ribelle e a me non piacciono i ribelli.”
“Incredibile…”
Allison reclinò il capo all’indietro e fece un grosso
respiro cercando di riprendere il controllo.
“Senti
amico,” intervenne John mentre lei
raggiungeva il tavolo a cui era seduta Hayley e si
metteva a sedere a sua volta. “Vogliamo solo sapere chi è il cattivo. Se si
tratta unicamente di quel ribelle al piano di sopra oppure se lui è solo un
pupazzo in mano a dei burattinai. Tu aiutaci a capire chi dobbiamo uccidere e
poi ognuno per la sua strada e a non rivederci mai più.”
“Ma
tu chi diavolo sei?” Crowley corrugò la fronte senza
staccare gli occhi dall’uomo di fronte a sé. Con quell’impermeabile
stropicciato, lo sguardo cupo e la sigaretta tra le labbra sembrava la versione
dark dell’angelico Castiel.
“John
Constantine, signore delle arti oscure.”
“Signore
delle arti osc… oh cielo! Se non sono folli a te non
piacciono vero Morgan?” il Re degli Inferi si avviò su per le scale scuotendo
il capo. “Datemi dieci minuti con il ribelle, avrete tute le informazioni che
cercate.”
Allison
chiuse gli occhi per un attimo. “Non ucciderlo Crowley.
Lo esorcizzerò quando avrai finito e ridaremo al povero bastardo che lo ospita la sua vecchia vita.”
Lui
non rispose, semplicemente raggiunse la stanza in cui se ne stava imprigionato
il suo demone e chiese agli altri di lasciarlo da solo con il prigioniero.
****
“Aaron…
sei Aaron giusto?” Crowley trascinò una sedia e si
mise a sedere di fronte ad uno di quelli che lui amava definire i suoi tirapiedi. “Perché stavi stringendo un
patto con una ragazzina di tredici anni?”
Aaron,
se questo era il suo nome, non rispose, ma sfidò lo sguardo del suo padrone
senza battere ciglio per un minuto che sembrò interminabile. Poi abbassò la
testa.
Crowley
accavallò le gambe e sospirò sistemando un lembo del capotto sfuggito al suo
controllo.
“Non
capisco,” disse al demone. “Io vi tratto bene, sono decisamente più magnanimo
del mio predecessore. Vi lascio fare quasi tutto, pongo semplici, minimi limiti,
ascolto quello che avete da dire ma, nonostante tutto, tu hai deciso di
infrangere le poche regole che ho stabilito.”
“Stavo
facendo soltanto quello che devo. Sono un demone e i demoni fanno cose
spregevoli.”
“Quello
che hai fatto tu non è spregevole, è indecente. Sei un demone dell’incrocio, un
mio demone dell’incrocio, non hai
bisogno di fare cose di questo tipo, non è dignitoso. Fare patti con dei
ragazzini… ti fa sembrare disperato.”
Quello
che ricevette in risposta fu un lamento, una specie di suono gutturale.
Crowley
sospirò guardandosi intorno per un attimo.
“Aaron…
il tuo comportamento ci ha messo in un sacco di guai. Voglio dire, hai attirato
l’attenzione di Allison Morgan e lei è una spina nel
fianco. Ora inizierà a tenerci d’occhio ed io avrò una cosa in più di cui preoccuparmi.
Quindi dimmi, perché non dovrei ucciderti adesso, o meglio lasciare che sia lei
a farlo?”
“Perché
è stata tua madre, Rowena, a suggerirmi che prendere le anime dei bambini è una
buona idea. Lei pensa che le loro anime siano più pure e…”
“Tu
rispondi a me!” urlò Crowley furioso. “Non a lei.”
“Beh
mio caro signore degli Inferi,” Aaron si agitò poco sulla sedia. “si dà il caso
che preferisca le sue idee alle tue. Più giovani sono e più potere hanno le
loro anime e Rowena capisce questa cosa meglio di te. Ora, sono quasi del tutto
sicuro che Allison Morgan potrebbe trovare
interessante il mio racconto sulla potente strega dai capelli rossi. Credo che
potrebbe interessarle sapere che si tratta di tua madre e…”
Il
resto della frase gli morì in bocca. Aaron alzò gli occhi e li puntò dentro
quelli di Crowley mentre lui gli strappava il cuore
senza esitazione.
Il
Re degli Inferi si ripulì usando un vecchio panno bianco poggiato su un tavolo
e pensò per un attimo a quale sarebbe stata la sua prossima mossa. Poi, con
calma, si avviò di nuovo verso il piano di sotto e raggiunse Allison e gli altri al centro del grande atrio.
“Lui
era l’unico, un ribelle che credeva di potermi sfidare. Mi assicurerò che
niente del genere capiti mai più. Hai la mia parola, Allison.”
disse.
“Cosa
hai fatto?” Castiel strizzò gli occhi avvicinandosi
poco a lui. “L’hai ucciso non è vero?”
“L’hai
ucciso?” chiese Allison. “Ti avevo espressamente
chiesto di non farlo.”
“E
mi hai anche chiesto di farlo parlare e così ho fatto!” Crowley
urlò tenendo le mani ferme nelle tasche. “Non sono certo che tu l’abbia capito,
ma io non lavoro per te Morgan. Sì, collaboriamo di tanto in tanto ma, non
tirare troppo la corda.”
Allison
serrò la mascella e gli si avvicinò. “Guardati le spalle Crowley
e dì ai tuoi di fare lo stesso perché da questo momento in poi, vi tengo d’occhio.
So che mi stai nascondendo qualcosa e scoprirò cosa in un modo o in un altro.”
Crowley
la guardò dritta negli occhi ma non disse nulla, semplicemente sparì.
****
“Ho
parlato con Claire ieri, pare che si stia molto divertendo a Los Angeles,” Castiel camminava a fianco di Allison,
in direzione della sua auto.
“Sì,
la persona che la tiene d’occhio mi ha detto che si è ambientata davvero bene.
Chissà magari deciderà che vuole andare a scuola. Ma non forziamola, lasciamo
che sia lei a decidere.”
Castiel
abbozzò un sorriso e si fermò. Si voltò per guardarla e si chinò fino a
sfiorarle la bocca con la sua. Un bacio leggero, ma intenso.
“E
questo per cos’era?” Allison sorrise scuotendo poco
il capo.
“Mi
andava semplicemente di farlo.” rispose lui. “Sto andando a Lebanon,
raggiungerò Sam e Dean.”
Allison
si fece da parte per farlo salire in auto. “Fammi sapere come sta Dean e
telefonami se qualcosa ti sembra strano. Beh, più strano del solito, si
intende.”
“Lo
farò.”
“Guida
con prudenza.” la donna alzò la mano per salutarlo mentre lui si immetteva
sulla strada e si guardò per un attimo intorno prima di rientrare, cercando di
ignorare la strana sensazione che sentiva al centro dello stomaco.
NDA: Grazie a chi
legge e commenta e anche a chi legge soltanto. Proprio a voi vorrei
dire che un commento mi fa sempre piacere perchè ci tengo a
sapere cosa ne pensate e/o cosa vi piacerebbe leggere. Quindi
commentate, se vi va :)
8.
"Buongiorno ragazze!"
esclamò John scendendo lungo le scale e raggiungendo Hayley
ed Allison al tavolo nel grande atrio. L'aria era
fresca ma piacevole.
Quando Allison gli aveva
proposto di rimanere per qualche giorno e aspettare Chas
lì, senza prendere un autobus che ci avrebbe messo almeno dodici ore a
riportarlo ad Atlanta, lui non era sembrato molto convinto. Ma, doveva
ammetterlo, in quei giorni era finalmente riuscito a chiudere occhio per più di
due misere orenotte; forse perchè sapeva di non doversi guardare le spalle in quella
casa piena di prede ma anche predatori, forse perchè era certo che Chas e Zed fossero al sicuro...
quasi come se, per la prima volta nella sua vita, non avesse davvero nulla di
cui preoccuparsi, almeno per un po'.
"Qualcuno sembra essersi alzato per il verso
giusto questa mattina," gli disse Allison
facendogli segno di sedersi a fianco a lei mentre Hayley
abbozzava un sorriso portandosi una tazza di caffè alla bocca. "Hai
dormito bene?"
"Come non mi capitava da tempo. Infatti stavo
pensando di rimanere qualche altro giorno, per recuperare un po' del sonno che
generalmente perdo di notte."
"Se vuoi rimanere in città trovati un albergo,
questa casa è già sufficientemente piena di folli."
Hayley soffocò una risata continuando a bere dalla sua tazza
e poi la poggiò sul tavolo e prese in mano la lattiera porgendola ad Allison. "Vuoi un po' di latte?"
Allison aggrottò la fronte ma le porse la tazza per farsene
versare un po'.
"Dello zucchero?" chiese ancora la ragazza
porgendole una zolletta.
"Okay" Allison
abbozzò un sorriso mettendosi dritta. "cosa ti serve?"
"Cosa... volevo solo cercare di essere
gentile" Hayley scattò sulla difensiva scuotendo
il capo incredula. "Non so nemmeno perchè ci ho provato."
"Volevi essere gentile?" chiese Allison piegando poco il capo. "Così tutto d'un tratto,
dopo aver praticamente fatto capire a tutti che mi detesti dal profondo del tuo
cuore? È alquanto sospetto."
"Sì, lo è visto che sei una paranoica."
"Perdonala," John si intromise nella conversazione
addentando una brioche mentre fissava lo sguardo su Hayley.
"ma non è abituata alla gentilezza senza secondi fini. Succede quando vivi
una vita triste all’insegna della solitudine e della mancanza di amore.”
“John, sta’ zitto!” esclamò Allison.
“Beh mi dispiace” Hayley
continuò. “se solitamente nessuno è gentile con te senza volere qualcosa in
cambio e so che abbiamo avuto le nostre divergenze, ma…” si fermò come se fosse
alla ricerca delle parole giuste “recentemente ho avuto modo di osservarti e il
tuo amico Castiel mi ha raccontato un po’ di te e
forse siamo partite col piede sbagliato. Abbiamo in comune più cose di quanto
credevo.”
Allison sospirò. Apprezzava il tentativo e anche le parole ma
non era del tutto sicura che non avesse nessun secondo fine. Non perché si
trattava di Hayley che non aveva fatto mistero di non
sopportarla, ma perché, John aveva ragione, la gentilezza senza secondi fini
non aveva mai fatto parte della sua vita.
“In questo caso,” disse allungando la tazza verso di
lei. “vorrei due zollette di zucchero.”
L’altra sorrise appena versandogliele nel latte caldo
mentre John afferrava un’altra brioche.
“Ah che meraviglia…” mormorò l’uomo prima di voltarsi
verso Allison. “Tesoro,
sto per farti un complimento e giusto per essere chiari, ho decisamente un
secondo fine in questo caso.”
“Scordatelo Constantine,” Allison
agguantò una fetta di pane tostato. “non ti darò uno dei miei pugnali
angelici.”
Lui sospirò e fece segno a Chas
scorgendolo, mentre si guardava confuso in giro, all’entrata. “Amico, ben
arrivato. Avvicinati, ho bisogno che tu convinca Allison
a darmi qualcosa che non vuole darmi.”
“Convincere Allison Morgan?”
replicò l’ultimo arrivato raggiungendo proprio lei per stringerla in un
abbraccio amichevole. “L’ultima volta che ho controllato non era una cosa
possibile.”
Allison rise allontanandosi poco dall’uomo. “Tu sì che sei un
uomo saggio Chas” gli disse prima di indicare Hayley. “Hayley lui è Chas, Chas lei è Hayley. Una mia amica.” affermò speranzosa di poter davvero
trovare un’amica in lei.
****
Poche ore più tardi, quando Hayley
bussò alla camera di Allison, lo fece con la strana
sensazione che quello che stava facendo era sbagliato sotto molti punti di
vista. Era certa che Allison l’avrebbe vista nel modo
sbagliato e pensò che forse avrebbe dovuto pensare a come iniziare il discorso,
prima di bussare alla sua porta.
“Avanti!”
Dall’interno della stanza, la voce della cacciatrice
la invitò ad entrare ed Hayley aprì lentamente
avanzando piano.
“Disturbo?” chiese rimanendo ferma a metà tra dentro e
fuori.
“No, entra pure” Allison
scosse il capo sorridendole cordiale e continuò ad armeggiare con la sua
pistola. “Nel caso te lo stessi chiedendo, pulire le armi è più o meno quello
che faccio tutte le volte che non ho un caso a cui lavorare. Non che succeda
spesso a dire il vero, ma a volte ci sono dei momenti di quiete.”
L’altra abbozzò un sorriso e si mise a sedere
sull’altro lato del letto. “Ed io che credevo che, essendo una donna della
California, il tuo hobby principale fosse fare shopping.”
Allison rise. “Shopping” mormorò. “Non ricordo nemmeno
quand’è stata l’ultima volta che ho fatto shopping.”
“Non dirlo a me,” replicò Hayley
sospirando. “Castiel, mi ha detto che non torni molto
spesso a Los Angeles.”
“Castiel ha sempre avuto la
pessima abitudine di parlare troppo” Allison abbozzò
un sorriso poggiando il panno sporco sul pavimento. “E si preoccupa da sempre
troppo per me.”
“Posso chiederti una cosa?” Hayley
piegò poco il capo e la osservò attentamente. Era bella Allison,
poteva capire perché ad Elijah piacesse tanto, perché la maggior parte degli
uomini che aveva visto interagire con lei pendevano dalle sue labbra. E guardandola
rimettere insieme la sua pistola ad una velocità che non credeva possibilr, Hayley capì anche perché, sognante, Marcel l’aveva definita
incredibile qualche giorno prima mostrandole una mossa di combattimento che
proprio lei gli aveva insegnato.
L’altra si mise in piedi e si stiracchiò un attimo
prima di lasciarsi cadere seduta sul letto. “Lasciami indovinare, vuoi sapere
se tra me e Castiel c’è mai stato qualcosa.”
“Immagino che fosse piuttosto prevedibile come
domanda.” Hayley scrollò le spalle fermando una
ciocca di capelli dietro l’orecchio.
“C’è stato qualcosa,” le disse Allison
fissando un punto indefinito della stanza. “È durato il tempo di un battito di
ciglia, ma me lo porterò dentro per sempre.”
“Lo amavi non è vero?”
Allison sospirò guardandola per un lungo minuto. “Non lo so.
Forse l’ho amato o forse ho amato solo l’idea di amarlo. In ogni caso, l’amore
è una distrazione che non posso permettermi. Non con la vita che faccio” disse.
“Ogni sentimento, ogni persona… sono dei potenziali punti deboli. Non c’è un vissero felici e contenti alla fine
della mia storia.”
“Questo è davvero… deprimente.” Hayley
scoppiò a ridere seguita a ruota da Allison. Una
risata nervosa, consapevole; non c’era un lieto fine neppure per lei, ed Hayley lo sapeva molto bene. Sperava però che ci potesse
essere per Hope.
“Cosa ti serve Hayley?”
chiese Allison quando le risate scemarono. “Non
fraintendermi, apprezzo che tu stia provando ad essermi amica, e forse abbiamo
più cose in comune di quanto credevo, forse diventeremo davvero amiche ma sono
piuttosto sicura che tu ora non sia qui perché vuoi fare quattro chiacchiere con
me. Forse non so molto di te, ma non sei così difficile da leggere come credi e
posso vedere che stai morendo dalla voglia di dirmi qualcosa.”
Hayley si alzò e aprì poco la finestra per lasciare che il
rosso del tramonto di New Orleans inondasse la stanza.
“Si tratta di Hope,” disse.
“So che Klaus ti ha già detto tutto di lei. Lui crede che tu possa aiutarci a
proteggerla, dice di fidarsi ciecamente di te. E dopo quanto hai preso a cuore
quella storia delle ragazzine e dei demoni dell’incrocio inizio a capire
perché,” Hayley si voltò a guardarla. “Hope è con Elijah e Camille
adesso, ma vorrei che tu li raggiungessi. Perché Esther è una psicopatica
capace di tutto, perché Cami è solo un essere umano,
perché mi fido di Elijah ma lui non è completamente se stesso da quando sua
madre l’ha rapito e torturato. Mi sentirei più tranquilla sapendo che anche tu
sei lì.”
Allison Morgan fece un grande respiro perdendosi per un
attimo nei suoi pensieri. Poi tirò fuori da sotto il letto il suo borsone e
lanciò ad Hayley il suo cellulare. “Avverti Elijah
che parto ora. Sarò lì per l’una circa. E digli che gradirei trovare una bella
cioccolata calda al mio arrivo” sorrise raggiungendo il bagno ed Hayley si portò il telefono all’orecchio.
****
ARKANSAS
Elijah aspettò che Allison
arrivasse seduto su una vecchia sedia a dondolo sul portico. Hope dormiva già da un po’ e la giovane Camille
si era distesa sul divano, davanti al calore del camino, con in mano una copia
piuttosto rara della Bibbia.
L’Originale elegante sorrise quando la macchina si
fermò di fronte alla casa e si alzò incamminandosi con calma verso di lei. Era
buio, ma poteva comunque vedere gli occhi nocciola della cacciatrice brillare
di una luce che sembrava non spegnersi mai, i capelli raccolti in una disordinata
coda di cavallo, le mani piccole ma forti fasciate da guanti di pelle nera.
“Sbaglio o quei guanti sono un mio regalo?” le chiese.
Le mani chiuse nelle tasche del suo completo scuro.
“Non ti sbagli affatto,” rispose lei richiudendo piano
lo sportello anteriore e aprendo quello posteriore per recuperare la sua borsa.
“Anche se devo ammettere che mi stupisce che tu te ne ricordi. È passato molto
tempo.”
“Dieci dicembre del duemila dodici. Quando lasciai Mystic Falls dopo che ci aiutasti a tenere a bada Esther,
Los Angeles mi sembrò il posto migliore dove andare a riflettere.” Elijah fece
vagare lo sguardo prima di puntarlo su di lei.
“Riflettere?” fece eco Allison
abbozzando un sorriso. “Avrei usato un altro termine per raccontare il tuo
soggiorno ad LA, ma suppongo che anche riflettere vada bene.”
Elijah si schiarì la voce, rabbrividendo al ricordo
che il tono di Allison gli aveva riportato alla mente
e le prese la borsa dalle mani con delicatezza.
“Se non sbaglio hai richiesto che una cioccolata calda
fosse pronta al tuo arrivo” le disse spostandosi e indicando la casa con un
gesto del braccio.
“Sì, è vero,” Allison
sorrise e si fermò di fronte a lui, ad un soffio dalle sue labbra. “Non hai
motivo di essere imbarazzato Elijah, anche se devo ammettere che lo trovo
carino. Ma questa non è la Los Angeles di tre anni fa, e visto che non siamo
soli in questa casa, ti consiglio di bere qualcosa di fresco, credo che tu ne
abbia bisogno. Se capisci quello che intendo.”
Elijah sospirò scuotendo il capo. Rise mentre lei
scompariva all’interno della casa e ripensò a qualcosa che Damon Salvatore gli
aveva detto il nove dicembre del duemila dodici, la sera che aveva lasciato Mystic Falls.
“Ah, che tu sia dannato Damon Salvatore” mormorò
entrando a sua volta dentro casa.
****
L’uomo si risvegliò di colpo. Un suono strozzato gli
uscì di bocca mentre gli occhi chiari si iniettavano di sangue. Si prese un
attimo per guardarsi intorno, toccandosi il viso con entrambe le mani e poi si
mise a sedere e fissò gli occhi sulla persona che gli stava di fronte.
“Chi sei?” gli chiese.
L’altro rise mettendosi faccia a faccia con lui. “Sono
FinnMikaelson.”
“Io ero… morto. Sei stato tu a riportarmi indietro?”
“Sì, sono stato io.” Finn
incrociò le mani osservandolo attentamente.
“Perché?”
“Abbiamo una conoscenza comune e questa conoscenza sta
ficcando il naso nei miei affari di famiglia. Vorrei che tu la distraessi, per
così dire.”
L’uomo sospirò e si alzò. “Tu vuoi che io lavori per
te? Io non lavoro per nessuno, sono gli altri a lavorare per me. Ma, solo per
pura curiosità, chi sarebbe questa conoscenza comune di cui vorresti che mi
occupassi?”
“Allison Morgan!” Finn si mise in piedi. “Voglio tu ti occupi di Allison Morgan.”
“Ah,” sussurrò l’altro. “Ora sì che la cosa si fa
interessante.”
****
Allison scattò a sedere sul divano e si passò una mano sul
viso. Si poggiò l’altra all’altezza del cuore e deglutì a vuoto chiudendo per
un attimo gli occhi.
“Allison, stai bene?” Elijah
le si avvicinò, si piegò sulle sue ginocchia e le accarezzò il viso con una
mano. “Era solo un sogno” sussurrò sedendosi sul divano e prendendole le mani
tra le sue.
“Sto bene,” mormorò lei. “potresti solo… solo” si
fermò quasi come se stesse cercando le parole giuste e poi, senza dire nulla,
si piegò fino a poggiare la fronte sul petto di Elijah.
Lui le accarezzò la schiena con movimenti lenti e
regolari. “Va tutto bene,” le sussurrò. E stringendola si accorse che stava
tremando.
Elijah
si portò il telefono all’orecchio senza staccare gli occhi da Allison. La
donna, che stava giocando con Hope seduta sul grande tappeto al centro del
salotto, aveva un’aria stremata e l’Originale non potè fare a meno di sentirsi
preoccupato.
Non
sapeva se gli incubi che quella notte l’avevano tormentata fossero un caso
isolato o se invece andassero avanti da un po’. Si trovava in Arkansas da
qualche giorno oramai e dubitava che Klaus avesse prestato attenzione a quello
che succedeva alla bella cacciatrice.
“Elijah, sono un po’
impegnato al momento, temo che dovrò richiamarti.”
La
voce di Niklaus arrivò calma ma allo stesso tempo alterata da qualcosa che
l’altro non sapeva.
“Niklaus,
che succede?” Elijah sospirò ma non distolse lo sguardo da Allison ed Hope. Non
aveva vissuto molto con la sua nipotina, ma poteva giurare che tra le due fosse
nato un amore quasi immediato visti i sorrisi della piccola.
“Nostro fratello Finn
ha piazzato una barriera che ci impedisce di uscire di casa. E la casa è piena
di vampiri e licantropi visto che proprio oggi si sta tenendo quella dannata
riunione per ridiscutere le nostre alleanze come tu avevi suggerito,”
spiegò velocemente Klaus. “E, prima che
tu dica che questa è l’ennesima occasione per provare che possiamo coesistere,
sappi che il nostro caro fratello ha lanciato un incantesimo sui vampiri
rendendoli affamati come se non si nutrissero da mesi. Kol è ferito e non so
per quanto ancora riusciremo a tenere la situazione sotto controllo.”
“Non
sembra una situazione piacevole.”
“È anche peggio di quel
che pensi,” rispose Klaus. “Io e Marcel stiamo facendo molta fatica a tenere a bada i suoi
vampiri. A quanto pare gli insegnamenti di Allison sull’auto controllo non
hanno giovato a molto. A tal proposito, perché non attivi il vivavoce, così
posso chiederle se ha qualche idea per tirarci fuori da questa situazione.”
“Va
bene,” Elijah si schiarì la voce mettendo la mano sinistra nella tasca dei
pantaloni. Si avvicinò ad Allison ed Hope e si mise a sedere sul divano poggiando
il cellulare sul tavolino. “Klaus, sei in vivavoce.”
Allison
corrugò la fronte e prese delicatamente Hope. La mise a sedere sulle sue gambe
e le diede un orsetto di peluche mentre scivolava sul pavimento per essere più
vicina al tavolino. “Manco da meno di ventiquattro ore e già hai bisogno di
qualcosa. Dio… sei messo peggio di quel che credevo.”
Dall’altra
parte del telefono Klaus rise. “Oh
dolcezza, non immagini quanto.”
Niklaus
le spiegò velocemente quello che stava accadendo mettendo in chiaro che la
situazione richiedeva un immediato intervento.
“Posso
provare a mandare qualcuno Klaus, quello di cui hai bisogno è una strega
abbastanza potente da spezzare l’incantesimo di Finn e far cadere la barriera
almeno per il tempo che serve ai vampiri o ai lupi per lasciare la casa.”
Allison scorse velocemente la rubrica del suo cellulare e si fermò su un nome
che non chiamava da tanto, ma che forse era l’unica scelta possibile.
“E cosa proponi di fare
nel frattempo?” Klaus sospirò e il rumore di qualcosa
che veniva scagliato contro il muro risuonò chiaro attraverso l’apparecchio.
Allison
chiuse per un attimo gli occhi mentre faceva partire una telefonata. “Spezza il
collo a tutti i vampiri. Dormiranno per almeno un’ora e nel frattempo
cercheremo di far crollare quella barriera.”
“Non credo che Marcel
sarà d’accordo.”
“Spezzalo
a lui per primo, così non sarà d’intralcio. Non hai altra scelta se non riesci
a tenerli a bada” propose lei ed Elijah non potè trattenere un sorriso
nonostante la situazione.
“Valerie,
sono Allison Morgan,” aggiunse quando dall’altra parte del telefono risposero.
“Ho bisogno del tuo aiuto” disse alzando lo sguardo su Elijah sperando che
capisse quanto chiedere quel favore le costasse.
Elijah
disattivò il vivavoce e si portò di nuovo il telefono all’orecchio
allontanandosi da Allison. “Klaus, quando questa storia sarà finita dovremmo
parlare di Allison. Credo che qualcosa non vada in lei.”
“Percepisco una forte
preoccupazione nella tua voce, fratello. Quindi suppongo che dovremo parlarne. Dì
ad Allison di fare in fretta, qualunque sia il suo piano. Ti telefono non
appena tutto è risolto.”
Klaus
riattaccò ed Elijah scambiò una veloce occhiata con Camille, appena tornata,
prima di voltarsi a guardare Allison con in braccio la piccola Hope stretta al
suo petto.
****
Klaus
scorse una donna avvicinarsi alla barriera messa in piedi dalla perversa
ossessione di Finn e si avvicinò con le mani incrociate dietro la schiena.
“Fossi
in te non andrei oltre, tesoro” le
disse abbozzando un sorriso. “Immagino che tu sia i rinforzi mandati da
Allison.”
“Sono
Valerie,” la donna alzò le mani e sfiorò la barriera. Una leggera scossa
elettrica le bruciò la mano e lei sospirò indietreggiando di qualche passo.
“Avete un bel problema qui.”
“Davvero?”
mormorò Klaus senza nascondere il suo sarcasmo. “Non l’avevo notato.”
La
donna sorrise appena e tirò fuori dalla tasca un gessetto rosso. “Devo la mia
vita ad Allison, e sei carino, quindi farò finta di non aver percepito
l’irritante sarcasmo nella tua voce. Allison dice che intrappolato dentro la
casa c’è uno stregone, avrò bisogno del suo aiuto.”
Klaus
annuì senza staccare gli occhi di dosso alla donna. Aveva un abbigliamento
strano, molto hippie – e lui di
hippie ne aveva conosciuti parecchi – ma era bella. Occhi verdi e penetranti ed
una carnagione olivastra che metteva in risalto la cascata di capelli neri che
le accarezzavano le spalle. Si disse che doveva essere difficile, per un uomo,
scegliere tra lei ed Allison. Provò ad immaginarsele, fianco a fianco; croce e
delizia di tutti gli uomini umani e non incrociati sul loro cammino.
Scosse
il capo per scacciare quei ridicoli pensieri e prese un grosso respiro. “Kol!”
urlò senza voltarsi. “Vieni quaggiù e rendi la tua inutile esistenza utile, per
una volta.”
Kol
scese lungo le scale trascinandosi, il collo sanguinava ancora, gli occhi dei
vampiri ancora in piedi iniettati di sangue mostravano una seta senza
controllo.
Valerie
fissò gli occhi sull’ultimo arrivato e sospirò ripassando ancora una volta il
gessetto su una linea trasversale che agli occhi di Klaus appariva come uno
scarabocchio senza senso.
“Non
ho mai sentito parlare di te, né ti ho mai vista prima” le disse Klaus mentre
Kol aspettava istruzioni. “Eppure, dalla velocità con cui sei arrivata direi che
non abiti lontano.”
“Abito
qui a New Orleans e se non hai mai sentito parlare di me è perché non mi piace
dare nell’occhio. Faccio l’insegnante di professione, non la strega. E sto alla
larga dal Quartiere Francese.”
Klaus
annuì sospirando e indietreggiò appena mentre Valerie faceva segno a Kol di
avvicinarsi. I due poggiarono una mano ognuno sul proprio lato del muro e la
donna iniziò a pronunciare alcune frasi in una lingua che probabilmente nessuno
dei presenti, a parte Kol, conosceva.
“Ma
che diavolo di lingua è questa?” chiese proprio lui. Ma Valerie non rispose e
quando aprì gli occhi erano bianchi e vuoti, lente lacrime di sangue
scivolavano leggere sugli zigomi olivastri.
“Fai
uscire i tuoi vampiri, avete un solo minuto prima che la barriera si ripristini
e rimaniate di nuovo chiusi dentro fino a mezzanotte.” la donna parlò con una
voce che sembrava venire da lontano e Klaus fece cenno a Marcel che in fretta e
furia radunò il suo gruppo e lasciò la casa.
“Chiama
Allison, dille che la sua amica ce l’ha fatta,” gli disse Klaus mentre lui
sorreggeva Gia trascinandola fuori. “E tu,” disse ancora guardando Kol
“assicurati che la ragazza si riprenda.”
Dopodiché
corse via, veloce e senza aggiungere altro e Kol trascinò Valerie dentro prima
che la barriera invisibile tornasse con tutta la sua potenza.
****
“Sì,
va bene. Marcel, fai in modo che non uccidano nessuno nel tragitto verso casa.
Sarò lì tra due giorni e faremo in modo di intensificare il mio personalissimo
corso sull’autocontrollo. A dopo.”
Allison
riattaccò e tornò al suo posto sul divano accanto ad Elijah.
“La
barriera è caduta per un minuto. Marcel ha portato via i suoi vampiri e Kol ha
tirato dentro casa la mia amica. Rimarranno bloccati fino a mezzanotte, poi
saranno liberi.” la donna allungò le gambe fino a poggiarle sul tavolinetto e
chiuse gli occhi per un lungo minuto. Sentiva gli occhi di Elijah e Camille
addosso e sapeva che presto o tardi la domanda che Elijah moriva dalla voglia
di farle sarebbe arrivata.
“Sto
bene!” esclamò riaprendo gli occhi. “Prima che Cami me lo chieda fingendo che
non sia stato tu a chiederle di aprire questo argomento, sappi che sto bene,
Elijah.”
“Non
so di cosa tu stia parlando.” Elijah si mise più comodo sul divano e si lisciò
la cravatta scura.
“Okay,”
intervenne Camille. “Non voglio mentirti e offendere la tua intelligenza.
Elijah è preoccupato per te ma crede che gli diresti di farsi gli affari suoi
se dovesse chiederti cosa c’è che non va, quindi ha chiesto a me di indagare.
Sono una psicanalista, è il mio lavoro.”
“Psicanalista?”
chiese Allison sgranando gli occhi. “Tu vuoi psicanalizzarmi?”
“Vorrei
solo fare quattro chiacchiere con te. Parlare del lavoro che fai, di come ti fa
sentire.”
“Ah-Ah”
mormorò Allison. “Credimi, tu non vuoi saperne di più su di me. E in ogni caso
non potresti aiutarmi.”
“Mettimi
alla prova.”
Allison
annuì, si voltò per un attimo verso Elijah e scosse il capo mettendosi più
comoda prima di fissare lo sguardo su Cami.
“Avevo
due genitori perfetti. Mia madre era un’insegnante di musica e mio padre un
medico di grande successo. Si amavano e amavano me e mio fratello più di ogni
altra cosa al mondo. Il mio sogno era quello di fare l’insegnante di storia
oppure d’arte. Per i miei diciassette anni i miei genitori mi regalarono un viaggio
in Italia. Sarei dovuta partire subito dopo la fine della scuola e ritornare a
settembre” raccontò. “Ma un giorno, rientrando da un pomeriggio trascorso a
casa di un’amica mi accorsi che qualcosa non andava; era quasi ora di cena e la
casa era buia, silenziosa. Provai ad accendere la luce in corridoio ma non
funzionava così raggiunsi il salotto chiamando a gran voce mia madre. Scivolai
su qualcosa e sbattei la testa. Persi i sensi e quando riaprii gli occhi mi
resi conto che a farmi scivolare era stata la pozza di sangue sotto la sedia
alla quale era legato mio padre, agonizzante.”
Cami
si portò una mano sul petto, sentiva gli occhi pizzicarle di lacrime e guardò
Elijah che fissava Allison con uno sguardo perso.
“Accanto
a lui c’era mia madre, nelle stesse condizioni. Voglio risparmiarti i
particolari più cruenti Camille, quindi andrò dritta al punto in cui ti
confesso che ad uccidere i miei genitori fu un vampiro. Ma non un vampiro
qualsiasi bensì il mio fratello maggiore reso vampiro dalla sua stupidaggine e
da una donna che lo ha manipolato fino a convincerlo che la sete di sangue e
l’immortalità erano meglio di una vita felice e mortale.” continuò Allison.
“Tuo
fratello ha ucciso i tuoi genitori?” Camille si asciugò il viso bagnato di
lacrime e sospirò.
“Allison,
non sei costretta a parlarne” si intromise Elijah. La sua voce era incrinata
nonostante conoscesse già il passato della donna.
“Sì,
mio fratello ha ucciso i miei genitori e dopo anni io ho ucciso lui. E tu non
puoi aiutarmi Cami, perché il mio passato pesa come un macigno con cui dovrò
condividere per sempre, perché non c’è terapia che tenga quando tuo fratello ha
ucciso i tuoi genitori e tu sei stata costretta ad uccidere lui. Non puoi
aiutarmi perché tu chiami ciò che faccio lavoro,
ma quello che tu definisci tale è la mia vita. È quello che sono e ho imparato
a conviverci da molto tempo.” Allison si mise in piedi e prese un libro dalla
grande libreria dietro il divano. “Grazie per l’interessamento, ma trovati
qualcun altro da aiutare, io sto bene.”
Camille
non disse neppure una parola. La guardò allontanarsi e avviarsi verso il piano
di sopra mentre Elijah la seguiva con lo sguardo; il cuore colmo di tristezza
per quella donna a cui teneva più di quanto volesse ammettere.
****
Allison
si svegliò di soprassalto mentre le immagini confuse dell’ennesimo incubo le
scivolavano addosso facendola tremare. Si rese conto di non essere sola nel
letto e si girò lentamente fino a trovarsi faccia a faccia con Elijah.
Il
vampiro se ne stava sdraiato su un fianco, il braccio piegato sul cuscino gli
reggeva il capo. Allungò l’altra mano e la poggiò sulla fronte sudata di
Allison sentendo il corpo della donna rilassarsi all’istante.
“Hai
avuto un altro incubo,” le sussurrò facendo scivolare due dita sul suo viso,
disegnando i contorni della sua mascella.
“Sei
nel mio letto” rispose lei ignorando di proposito le sue parole.
“Tecnicamente”
Elijah si lascò scivolare fino a poggiare la testa sul cuscino, la mano che
prima gli sorreggeva la testa si tese fino ad Allison e si perse tra i suoi
capelli. “Questo letto è mio visto che è casa mia.”
Allison
abbozzò un sorriso. “Quindi essere il proprietario di casa ti dà il diritto di
piombare nella camera che occupo e nel letto in cui sto dormendo senza chiedere
il permesso?”
“Se
vuoi che me ne vada devi solo dirlo” sussurrò Elijah avvolgendole la vita con
un braccio e tirandola piano verso di sé.
Lei
sospirò piegando la testa fino a poggiare la fronte sul petto dell’uomo.
“Qualcosa di terribile sta per accadere, riesco a sentirlo.” Elijah non rispose
ed Allison si accorse di essere di nuovo sola nel grande letto. Solo che l’aria
era diversa, la temperatura, la luce… tutto era diverso.
“Ma
che diavolo…” mormorò scattando in piedi.
“Ho
pensato che fosse il momento di incontrarci,” disse una voce, ed Allison si
voltò per scoprire a chi apparteneva.
“Lasciami
indovinare,” gli disse. “Finn Mikaelson.”
“Perspicace”
Finn rise afferrando una sedia. “Credo sia il momento di fare quatto
chiacchiere.”
Allison sospirò prendendo posto su
una sedia. La stessa sedia che si trovava nella versione reale della camera che
stava occupando in quel momento. La sedia accanto al letto sul qualche Elijah
la stava tenendo stretta tra le braccia.
Si chiese se l’Originale si fosse
accorto che qualcosa non andava o se semplicemente la credesse addormentata
dopo una giornata emotivamente faticosa come quella che avevano avuto. Ripensò
alla conversazione con Camille e non poté fare a meno di sentirsi leggermente in
colpa; gettare su quella giovane donna tutte quelle terribili informazioni…
forse non era stato molto delicato da parte sua. Soprattutto perché la
psicanalista dal viso dolce stava solo cercando di aiutarla.
Si disse che avrebbe dovuto
scusarsi con lei una volta finita tutta quella cazzata della realtà alternativa
messa in piedi da Finn. Sempre se il maggiore tra i Mikaelson non l’avesse
uccisa con quel noiosissimo silenzio prima.
“Stai per caso tentando di
annoiarmi a morte?” chiese accavallando la gamba. “Credevo che mi avessi
portata qui perché dovevamo fare una chiacchierata. Cos’è? Hai perso le
parole?”
Finn sospirò sfregando lentamente
le mani. “Sei una creatura singolare. Sei…”
“Stanca di questa stronzata,”
Allison indicò la stanza con un gesto della mano. “Dimmi che diavolo vuoi e
facciamola finita okay?”
L’uomo rise scuotendo poco il capo.
“Lui mi aveva avvertito” mormorò. “Mi aveva detto che questa improvvisata non
ti avrebbe impressionata.”
“Non è la prima volta che vengo
trasportata in una dimensione alternativa da un folle stregone che ha come più
grande ambizione quella di uccidere la propria famiglia. Non è il mio primo
rodeo, Smemorina.”
“Oh, così mi deludi” Finn rise
mettendosi in piedi. “Mi sarei aspettato una citazione un po’ meno… scontata da
una come te.”
“Una come me?” fece eco lei. “E
come sarei esattamente?”
“Ambiziosa, coraggiosa,
intelligente, forte, bellissima” rispose lui. “Permettimi di farti una
domanda.”
“Se vuoi chiedermi di essere la tua
ragazza la risposta è no. Senza offesa, ma non sei il mio tipo.”
“Perché continui a mettere il naso
negli affari della mia famiglia?” il corpo che ospitava Finn Mikaelson si mosse
in direzione della finestra e incrociò le mani dietro la schiena.
Allison fece spallucce. “Forse non
ho altro di meglio da fare. O forse semplicemente trovo la tua famiglia
macabramente… intrigante. Adrenalinica in qualche modo.”
“Capisco,” sussurrò Finn tornando a
sedersi di fronte a lei. “Ma vedi, gli affari della mia famiglia non dovrebbero
riguardarti. Dovresti preoccuparti della tua di famiglia e lasciare che io, e
solo io, mi occupi della mia.”
La donna annuì e fece un grosso
respiro prima di replicare. “Il lui di cui hai parlato poco fa, quello che a
quanto pare mi conosce così bene da sapere cosa potrebbe o meno impressionarmi,
non te l’ha detto forse? Non ti ha detto che io non ho una famiglia?”
“L’ha fatto e oh… mi ha detto molto
molto di più. Vuoi sapere cosa mi ha raccontato esattamente?”
“Oh si ti prego. Non vedo l’ora”
rispose lei sarcastica. “Ma ti supplico sii rapido, mi sono stufata di stare in
questa specie di altra dimensione. Vorrei tornare a quella reale, con i
Mikaelson che mi sono simpatici.”
“Victor Monroe!” esclamò Finn. E
sentire quel nome fu sufficiente a trasformare il volto di Allison in un’ombra
scura che non sfuggì all’uomo. “È quello che potremmo comunemente definire la
cosa più vicina che tu abbia ad un padre. Mi sbaglio forse?”
Lei non rispose, ma incrociò le
mani cercando di controllare l’espressione sul suo viso.
“Cos’è? Hai perso le parole?” Finn
rise scuotendo il capo. “Questo è inaspettato.”
Allison fece un grosso respiro
valutando per un attimo la sua prossima mossa. Si alzò lentamente e lo
raggiunse. Si mise dietro la sedia che lui occupava e gli poggiò entrambe le
mani sulle spalle piegandosi poco.
“Qualunque cosa tu stia tramando,”
gli sussurrò ad un orecchio. “Sappi che se a Victor Monroe verrà torto anche un
singolo capello, verrà fatto un graffio o semplicemente scheggiata un’unghia,
ti riterrò direttamente responsabile e ti darò la caccia giorno e notte fin
quando non ti avrò trovato. E quando avrò finito con te, pregherai di poter
tornare indietro a questo preciso istante per poterci ripensare, per
rimangiarti le velate minacce che sono appena uscite dalla tua bocca. Questa è
una promessa mio caro Finn. E se la tua fonte è così affidabile come sostieni,
deve sicuamente averti detto che io mantengo sempre le mie promesse.”
Allison diede una rabbiosa spinta
alla sedia e Finn cadde in terra, un sorriso tuttavia era ancora stampato sul
suo viso.
“Quello che lui non ti ha detto,
probabilmente, è che io non sono esattamente come tutte le altre cacciatrici.
Ho un… dono, per così dire; me la cavo praticamente sempre” la donna schioccò
le dita e la stanza si trasformò in un bellissimo giardino fiorito.
“Ma cosa…” Finn si rimise in piedi
guardandosi intorno perplesso.
“Stai giocando con la mia mente
Finn, il che significa che stai giocando nel mio territorio. Il che significa
che qui ho io il comando, non tu.”
“Non è possibile!”
“Te l’ho detto, ho un dono” ripeté
Allison. “Dì a Matt che se vuole la guerra, l’avrà.”
Allison
scattò seduta sul letto, il naso le sanguinava ed Elijah la fissava con gli
occhi lucidi. Cami, sulla soglia della porta, li aveva sgranati, quasi come se
stesse assistendo ad una sorta di miracolo.
“Quanto
tempo sono rimasta incosciente?” chiese fissando prima l’Originale e poi la
donna.
“Tu
eri… eri morta. Non respiravi e il tuo corpo era freddo come il ghiaccio” la
voce di Camille tremava. Di paura.
Elijah
sospirò di sollievo passandosi una mano sul viso mentre Allison si alzava dal
letto. “Camille, potresti per favore prenderle dell’acqua e un’altra coperta?”
Lei
annuì lasciando la stanza, socchiudendo poco la porta mentre usciva.
Una
volta soli, Elijah si prese un attimo per osservare Allison. Era pallida e
visibilmente turbata ma era viva, poteva sentire il suo cuore battere e quando
lei gli sorrise, la paura che gli aveva attanagliato lo stomaco si sciolse in
calde e lenti lacrime.
La
raggiunse con tre rapidi passi e se la strinse al petto, felice di sentire il
calore che il suo corpo emanava.
“Credevo
di averti persa,” le sussurrò baciandole i capelli.
Le
mani di Allison si mossero lente fino a raggiungere le scapole, anche
attraverso la stoffa della giacca poteva sentire i muscoli del vampiro contrarsi
mentre la tensione si scioglieva.
“Sto
bene,” mormorò contro il suo petto.
Elijah
sciolse l’abbraccio quel tanto che bastava per guardarla in viso. “Cosa diavolo
è successo?”
“Tuo
fratello Finn voleva fare quattro chiacchiere con me e visto che non riusciva a
localizzarmi ha pensato bene di intrufolarsi nella mia mente.”
“Cosa
voleva?”
Allison
sospirò allontanandosi da lui. “Ha blaterato qualcosa riguardo al fatto che
dovrei smetterla di ficcare il naso negli affari della sua famiglia. Ha
minacciato di fare del male a Victor.”
“Lo
ucciderò con le mie mani,” Elijah strinse i pugni talmente forte da far
diventare le nocchie bianche.
“C’è
di più. Credo che non stia agendo da solo e credo di sapere chi è il suo
complice. Continuava a parlare di un tizio che, a suo dire, sapeva tutto di me
e credo di sapere di chi si tratta” la donna si passò la mano tra i capelli
cercando di rimettere in ordine i pensieri. “Credo che abbia riportato in vita
mio fratello.”
Seguì
un minuto di completo silenzio e poi il pianto di Hope risuonò lungo il
corridoio.
****
LOS
ANGELES – CALIFORNIA
Hayley
fissò la villa davanti a sé e sorrise mentre richiudeva lo sportello dell’auto.
Il sole della California rendeva il giallo chiaro delle mura della casa ancora
più brillante.
“Questa
è casa tua?” chiese ad Allison incrociando per un attimo il suo sguardo.
“Sì,
lo è.”
“Porca
miseria,” mormorò Hayley. “Quanti soldi hai esattamente?”
Allison
abbozzò un sorriso fermandosi accanto a lei. La reazione della donna non la
sorprese, se non altro perché era esattamente il modo in cui tutti reagivano la
prima volta. La grande villa dalle mura giallo chiaro si erigeva su due piani,
l’ampio vialetto chiuso da un grande cancello la faceva apparire ancora più grande
di quel che era.
“Non
mi sorprende che tu ti trovi così a tuo agio alla tenuta di New Orleans, in
confronto a questa villa quella sembra la casetta in piscina” aggiunse l’Ibrido.
“Mio
padre amava molto questa casa, io ne avrei preferita una più discreta ma dopo
la sua morte non me la sono sentita di venderla. Oltretutto ci vengo raramente.
Ha ripreso vita da quando ci vive Claire.” Allison fece cenno ad Hayley di
seguirla e si fermò di fronte al cancello.
“Chi
è Claire?”
“È
la figlia del tramite di Castiel. La madre l’ha abbandonata qualche anno fa. È
un’adolescente in gamba ma è un po’ problematica. Frequentava pessime compagnie
quando Castiel l’ha trovata, le ho offerto di vivere qui promettendole
un’indipendenza che in realtà non ha. Alcuni amici si occupano discretamente
della sua sicurezza, anche se lei non lo sa.”
Hayley
sorrise, ancora una volta colta di sorpresa dall’animo gentile che si
nascondeva sotto il sarcasmo e la riposta sempre pronta della cacciatrice.
Pensò che per quanto si fidasse di Cami e di Rebekah, per quanto le stimasse,
una donna come Allison era ciò che avrebbe desiderato per Hope se mai a lei
fosse successo qualcosa che avrebbe lasciato la sua piccola senza una figura
materna.
“Te
la presento,” le disse Allison strappandola ai suoi pensieri. “Potrete farvi
compagnia in piscina mentre io vado a fare ciò per cui sono venuta. Entra pure”
la invitò.
Hayley
avanzò e seguì Allison a passo lento mentre il grande cancello si richiudeva
alle loro spalle. Pensò che tutto sommato quella poteva essere considerata una
piccola vacanza.
****
Victor
Monroe aprì la porta strofinandosi gli occhi. L’orologio segnava le otto e
trenta del mattino e Lily era al lavoro da almeno mezz’ora. Pensò che
sicuramente la sua adorata fidanzata aveva dimenticato qualcosa, oltre alle
chiavi di casa, e sospirò scuotendo il capo quasi divertito dalla scena che si
ripeteva praticamente ogni mattina.
La
persona che si ritrovò davanti però non era Lily. Era qualcuno che amava
immensamente, ma non la sua molto incinta fidanzata.
“Allison…”
sussurrò sorpreso di vedere la donna che amava come una figlia sulla soglia
della sua porta di casa alle otto e trenta di un mattino in cui, lui sapeva, si
doveva trovare in Louisiana ad aiutare vecchi amici di cui aveva preferito non
sapere molto.
“Ciao
Vic” Allison lo salutò. Gli occhi le pizzicavano, ma sentiva l’urgenza di
sorridere, nonostante la sua visita non portasse buone notizie. Da quanto tempo
non vedeva l’uomo che amava come un padre. L’uomo che si era preso cura di lei,
che aveva creduto in lei quando tutti la ritenevano un caso disperato.
Non può essere aiutata mormoravano
in tanti, definendola una causa persa dopo la perdita della sua intera
famiglia. Quanta rabbia Allison gli aveva riversato contro, ricevendo in cambio
degli abbracci capaci di scaldare il cuore. Victor avanzò di qualche passo e la
strinse tra le braccia, senza preavviso, con quello slancio a volte un po’
imbarazzante che lo contraddistingueva.
“Allison,”
ripeté. “Sono così felice di vederti, ragazzina.”
La
donna si lasciò andare tra le braccia forti dell’uomo, chiuse gli occhi
respirando a fondo quell’odore che sapeva di casa e si aggrappò a lui quasi ne
avesse bisogno. “Sono felice anche io. Tanto felice.”
Victor
sciolse l’abbraccio per guardarla negli occhi. La invitò ad entrare ed Allison
realizzò che presto, quello sguardo azzurro non sarebbe stato più dolce come
era in quel momento.
La
voce potente di Victor vibrò per tutta la casa riecheggiando forte nelle
orecchie di Allison. Quando era entrata pronta a raccontargli la triste e
terribile possibilità sapeva che un rimprovero era quello che la aspettava,
quello che non sapeva era che la voce di Victor sarebbe stata così alta e i
suoi occhi così furiosi.
“Victor,
lasciami spiegare” gli disse cercando di non perdere la calma.
“Spiegare
cosa?” la interruppe lui. “Perché non hai bruciato il corpo di tuo fratello quando
avresti dovuto farlo? Che diavolo ti è passato per la testa? Hai lottato anni
contro quel mostro e quando finalmente sei riuscita ad averla vinta non sei
riuscita ad andare fino in fondo?”
“Esatto!”
Allison si mise in piedi guardandolo dritto negli occhi. “Era un mostro, l’ho
ucciso e sono quasi morta facendolo. E so che non avrei dovuto esitare, so che
bruciare il corpo è la regola numero due della nostra schifosissima lista di
regole da cacciatori, lo so. Ma quando mi sono ritrovata lì di fronte al suo
corpo, di fronte a quel viso… non ce l’ho fatta.”
“Avresti
dovuto prevedere che una cosa del genere sarebbe potuta accadere. Avresti
dovuto saperlo Allison. Sei più sveglia di così.”
“Perdonami,”
gli disse lei allargando le braccia. “se quando non sono riuscita a ridurre in
cenere il corpo di mio fratello non ho contemplato l’eventualità che un giorno
il fratello pazzo e stregone di alcuni amici che sto aiutando si sarebbe
incazzato con me decidendo di riportarlo indietro. La prossima volta compilerò
la lista dei pro e dei contro in modo più dettagliato così da essere sicura di
fare la scelta giusta.”
Victor
abbozzò un sorriso nervoso scuotendo il capo. Quanto odiava quando gli rispondeva
con quel dannato sarcasmo. “Piantala di fare del sarcasmo. Non è davvero il
caso.”
Allison
fece un grosso respiro, poi si passò la mano sul viso e fece vagare lo sguardo
per un attimo.
“Victor,
ho fatto un errore e mi dispiace. Ma questo non cambia le cose; tu e Lily
dovete lasciare la città, almeno per un po’. Troverò Matt e mi libererò di lui
ma nel frattempo dovete andare, per la vostra sicurezza.”
“Ti
libererai di lui?” fece eco l’uomo. “come hai fatto in passato? E così fra
qualche anno qualche altro folle stregone che ti odia deciderà che è il caso di
riportare il figliol prodigo in vita
ed io e la mia famiglia saremo costretti a scappare di nuovo. Tra poco avrò una
figlia Allison, non è questa la vita che voglio per lei. Non voglio che diventi
un’altra te.”
L’uomo
si rese immediatamente conto che quando aveva parlato bocca e cervello non
erano momentaneamente collegati. Sapeva esattamente cosa voleva dire
pronunciando quelle parole e sapeva esattamente che erano venute fuori nel modo
più sbagliato possibile. Gli occhi lucidi della giovane donna di fronte a lui
glielo confermavano più di ogni altra cosa.
“Non
era quello che intendevo Allison,” mormorò facendo qualche passo verso di lei.
“sono solo spaventato.”
Lei
deglutì a vuoto indietreggiando di qualche centimetro. Gli occhi fissi sul
pavimento, in testa un unico pensiero: non doveva piangere.
“Cerco
solo di proteggervi. Parla con Lily, tornerò tra qualche giorno e mi direte
cosa avete deciso. Ricorda che i soldi non sono un problema, potrete andare
ovunque vogliate se deciderete di partire.”
Victor
sospirò. “E se decidiamo di restare?”
“Beh
in quel caso farò di tutto per evitare a tua figlia di diventare un’altra me.”
Allison uscì di casa sbattendosi la porta alle spalle e maledisse il suo
cellulare che continuava a vibrare insistentemente.
Sul
display tre messaggi di Sam ed uno di Cass le annunciavano le cose stavano
andando di male in peggio.
****
WHITMORE
COLLEGE – DUE GIORNI DOPO
“La donna in bianco!” Alaric posò il
gessetto sulla cattedra e alzò gli occhi sui suoi studenti. La classe lo
osservava interessata e silenziosa e lui incrociò le braccia sul petto
schiarendosi la voce come per innescare una qualche reazione. “Qualcuno in
questa classe sa dirmi qualcosa della donna
in bianco, meglio nota come autostoppista
fantasma? E vi prego risparmiatevi la classica storia di un amore finito
che le ha spezzato il cuore.”
Una
donna in fondo alzò la mano ed Alaric corrugò la fronte perplesso mentre lei si
alzava per farsi vedere meglio. “Io conosco la vera storia.”
“Io
ho detto se qualcuno dei miei studenti sa raccontarmi la sua storia.”
“No,
professore” la donna uscì dalla fila di sedie e si fermò sui gradini fissando
l’uomo. “lei ha detto qualcuno in questa classe e anche se non sono una sua
studentessa io sono in questa classe.”
L’uomo
abbozzò un sorriso mettendosi a sedere sulla cattedra. “Va bene, racconta.”
“Constance
Welch, ventiquattro anni. Moglie amorevole e madre premurosa.” Allison scese
lentamente lungo i gradini fino ad essere accanto ad Alaric e si girò a
guardare la classe. “Suo marito era un vero coglione, la tradiva e la
trascurava e così lei cadde in un profondo stato depressivo. Un giorno stava
facendo il bagnetto ai suoi due bambini e qualcosa nella sua testa si ruppe. Li
uccise annegandoli nella vasca da bagno e fuggì via disperata. Raggiunse il
ponte e fece il volo d’angelo, ma il suo spirito rimase a vagare lungo quella
strada. Visto che non era riuscita a punire il marito per averla tradita e trascurata
quando era in vita, decise che si sarebbe presa la sua rivincita sull’intero e
corrotto genere maschile uccidendo qualunque uomo si fosse fermato per darle un
passaggio.”
La
donna fece una pausa ad effetto, poi riprese il racconto mentre in classe
regnava il silenzio. Una bella donna dagli occhi azzurrissimi la fissava seduta
in prima fila. Sembrava eccitata e allo stesso tempo spaventata dal racconto.
“Nel
corso degli anni,” continuò. “Molti caddero nella sua rete. Fino a quando
qualcuno non si accorse che c’era una frase che Constance continuava ripetere
ancora e ancora e ancora; non posso mai
andare a casa.”
“Non
posso mai andare a casa?” ripeté un ragazzo seduto in terza fila. “che diavolo
significa?”
“È
semplice; Constance uccise i suoi due figli e come ben sappiamo ogni morte
violenta crea un fantasma in cerca di vendetta. Constance non poteva andare a
casa perché lì la aspettavano i fantasmi dei suoi figli pronti a vendicarsi per
quello che lei aveva fatto loro.”
Si
sollevò un vociare confuso e Alaric richiamò tutti all’attenzione scuotendo il
capo con un mezzo sorriso a piegargli la bocca.
“Ad
ogni modo,” Allison mise le mani nelle tasche della giacca. “Lo spirito di
Constance non è più un problema. Non infesta più la Centennial Highway da circa
dieci anni oramai. Alcune voci di corridoio dicono che due cacciatori del
soprannaturale, uno molto alto e l’altro molto stronzo, si sono liberati di
lei.”
“Come?”
la donna dagli occhi azzurri della prima fila si sporse in avanti in attesa di
una risposta.
Allison
abbozzò un sorriso stringendosi nelle spalle. “L’hanno portata a casa.”
La
lezione finì in quel preciso istante e gli studenti si alzarono per lasciare
disordinatamente la classe. Allison ripensò ai suoi quattro giorni al college,
a quanto vivere tra quei ragazzi le avesse fatto capire che quella della
studentessa normale non era una vita adatta a lei. Forse era stato proprio in
quei giorni che aveva abbracciato appieno il suo essere cacciatrice.
Una
volta che anche l’ultimo studente ebbe lasciato l’aula e gli unici rimasti
furono lei, Alaric e la donna dagli occhi azzurri, non ci volle molto a mettere
in chiaro il ruolo di ognuno di loro.
“Immagino
che tu sia la fidanzata incinta del nostro caro Ric,” Allison si voltò e
sorrise alla donna mentre Alaric le si posizionava accanto. “Non riuscivo a
rintracciare l’illustre professore, quindi ho chiamato Stefan prima di venire.
Mi ha dato un veloce aggiornamento su tutto quello che sta succedendo da queste
parti."
“Sono
Jo,” la donna alzò la mano in segno di saluto.
“Allison,”
rispose lei guardando entrambi. “voi due farete dei bambini molto carini.”
Jo
sorrise tirando fuori il suo cercapersone e si scusò prima di allontanarsi per
fare una telefonata.
Alaric
la seguì con lo sguardo per qualche secondo, poi rivolse la sua attenzione ad
Allison. “Allison Morgan, carismatica esattamente come ricordavo. Che ci fai da
queste parti?”
“Ho
bisogno di aiuto Ric,” la donna si guardò intorno, assicurandosi che Jo fosse
ancora lontana e poi tornò a concentrarsi sull’uomo. “niente di pericoloso,
solo qualche ricerca. Ci ho provato da sola ma è come cercare un ago in un pagliaio.
Non ti disturberei se non fosse importante, soprattutto in un momento bello
come quello che stai vivendo. Ma Dean rischia la vita ed io non… non so cosa
fare per aiutarlo.”
L’uomo
le poggiò entrambe le mani sulle spalle e le sorrise gentile. “Mi hai salvato
la vita così tante volte Allison, se hai bisogno di aiuto devi solo chiedere,
senza darmi alcuna spiegazione. Il mio ufficio è in fondo al corridoio sulla
sinistra, aspettami lì. Accompagno Jo alla macchina e poi prendo il mio
computer e ti offro il pranzo mentre facciamo ricerche.”
“Mi
sembra un buon piano.” Allison lasciò l’aula salutando Jo con la mano mentre le
passava accanto e trovò l’ufficio di Ric quasi subito. Aveva messo in conto
molte cose quando aveva deciso di chiedere il suo aiuto; aveva messo in conto
di fare una donazione all’università, di fare una piccola donazione per il
futuro del nascituro, persino di fare loro un regalo di nozze anticipato con
una bella vacanza in qualche isola fatta di spiagge bianche e acqua
cristallina.
Quello
che non aveva messo in conto, ma che avrebbe dovuto calcolare, era il fatto che
avrebbe, senza dubbio, incontrato Damon Salvatore. Per questo ritrovarlo seduto
nell’ufficio di Ric la colse di sorpresa come non le capitava spesso.
“Hey,”
sussurrò lui guardandola. “Quanto tempo.”
Lei
sospirò rimanendo ferma sulla soglia della porta. “Non abbastanza se lo chiedi
a me.”
Damon
abbozzò un sorriso. “Me lo sono meritato. Decisamente. E anche se sono sicuro
che mi massacrerai per tutto il giorno, sono comunque felice di vederti.”
“Vorrei
poter dire lo stesso, ma mentirei” Allison fece qualche passo dentro l’ufficio.
“E non preoccuparti, non ti massacrerò tutto il giorno perché ho intenzione di
starti il più lontana possibile. Sono qui per parlare con Ric e solo con lui.
Avrei dovuto immaginare che Stefan avrebbe vuotato il sacco.”
“Non
l’ha fatto volontariamente. Ho ascoltato, per caso, la vostra conversazione e
così l’ho messo alle strette e mi ha detto tutto.”
“Ovvio
che l’ha fatto. Beh, Damon, se ti piace tanto ascoltare, ascolta quello che sto
per dirti e fai attenzione perché non lo ripeterò due volte; non voglio parlare
con te, né voglio ascoltare quello che hai da dire. Sono qui perché una persona
a cui tengo è nei guai e Alaric forse può aiutarmi. Vista l’urgenza della
situazione ti sarei grata se mi stessi lontano e mi lasciassi concentrare sulle
cose davvero importanti. Sulle persone
davvero importanti per me.”
Ci
fu un minuto di lungo silenzio fino a quando Alaric non attirò l’attenzione dei
due schiarendosi la voce.
“Va
tutto bene qui?” chiese raggiungendo la sua scrivania.
“Benissimo!”
Allison sorrise guardandolo. “Aspetterò fuori. Devo comunque fare un’importante
telefonata prima che io e te andiamo
a pranzo.”
Il
modo in cui sottolineò io e te con il
tono della voce fece capire a Ric che non c’era possibilità di replica. La
guardò lasciare l’ufficio mentre Damon la seguiva con lo sguardo e sospirò
afferrando il suo portatile. Quando rialzò gli occhi il vampiro lo stava
fissando con un’espressione che, ne era sicuro, significava che stava per
chiedergli un grosso favore.
“Allora…”
Alaric sospirò afferrando
la sua birra. Il più antico libro sull’occulto che possedeva aperto davanti ai
suoi occhi, lo sguardo di Allison
fermo sui test che si era offerta di correggere al suo posto purché nulla lo
distraesse dalla ricerca.
L’uomo
aveva pensato che non era molto etico e professionale da parte sua lasciare che
fosse lei a giudicare i suoi studenti, ma poi si era reso conto che nessuno
meglio di Allison Morgan
avrebbe potuto farlo.
“Allora
cosa?” chiese lei guardandolo per un attimo portandosi la forchetta alla bocca.
“Vuoi sapere cosa ne penso dei test dei tuoi studenti?”
“Certo,”
rispose Alaric cercando di
prendere tempo. “sono pronto per il tuo giudizio.”
“Ho
due opzioni: o tu sei il peggior professore dell’intero pianeta, o
semplicemente quello più sfortunato a cui sono capitati dei totali imbecilli
come studenti. Un certo Brad ha scritto, e quoto, la leggenda di Bloody
Mary nasce dalla morte di una giovane di nome Mary che ha bevuto così tanto
fino ad uccidersi. Ecco perché il cocktail prende il suo nome.”
Alaric
corrugò la fronte tirandole via di mano il foglio che stava leggendo e chiuse
gli occhi per un attimo prima di poggiarlo sul tavolo.
“Preferisco
la seconda opzione…” le disse.
“Ne
ero sicura.” Allison
abbozzò un sorriso tornando a concentrarsi sulla lettura e si chiese quanto
ancora ci avrebbe messo il suo amico a sputare il rospo.
La
risposta arrivò dopo cinque minuti, quando Alaric fece un grosso respiro e si schiarì la voce
guardandola attentamente.
“Allison,” le disse. “Odio doverlo
fare ma sono in debito con lui e se non lo faccio continuerà ad infastidirmi.”
La
donna scosse il capo poggiando la forchetta sul piatto ed incrociò le braccia
sul tavolo.
“Cosa,
esattamente, Damon ti ha chiesto di dirmi?”
“Vuole
solo l’occasione di parlare con te, crede che io possa essere in grado di
convincerti.”
Allison
annuì. “La risposta è no, ma hai fatto ciò che dovevi. Buon per te, ora
torniamo a concentrarci sulle cose serie.”
Alaric
la osservò per un lungo minuto, pensando a cosa dirle per convincerla a
cambiare idea. Poi decise di lasciar perdere, almeno per il momento.
“Posso
farti una domanda?” le chiese mentre tornava a concentrarsi sul libro di fronte
a sé. “Mi è parso di capire che praticamente vivi a New Orleans con Klaus e la
sua famiglia adesso, com’è la vita a casa Mikaelson?”
“Primo,”
Allison bevve un sorso
della sua birra prima di continuare. “non vivo con loro in pianta stabile.
Klaus mi ha chiesto aiuto per risolvere alcuni affari di famiglia e visto che
la cosa sta andando un po’ più per le lunghe di quanto credevo, ho deciso che
era meglio farmi ospitare per un po’. Mi piace New Orleans e che tu ci creda o
no tengo molto a Klaus. E, incredibile ma vero, credo che la cosa sia
reciproca.”
“Ah…”
mormorò Alaric. “Klaus Mikaelson capace di provare dei
sentimenti sinceri per qualcuno. Non lo avrei mai creduto possibile.”
“Beh
le cose cambiano Ric. Guarda te per esempio: prima cacciatore alla ricerca
della moglie perduta, poi tutore di due ragazzi, poi vampiro Originale,
fantasma ed infine umano di nuovo. Direi che con la vita che facciamo quasi
nulla è impossibile.”
Alaric
alzò la sua birra in segno di brindisi, abbozzò un sorriso e mangiò una
patatina. “Secondo?” le chiese.
Allison
sorrise. “Secondo, anche se volessi andarmene, non credo che ci riuscirei.
Anche se odio ammetterlo inizio a credere che chi abbia inventato il detto al cuore non si comanda avesse delle
basi dannatamente solide per affermarlo.”
L’uomo
si perse per un attimo in un ricordo. Il ricordo della grande chimica tra la
bella cacciatrice e il più saggio e affidabile degli Originali. “Lasciami
indovinare… Elijah Mikaelson
e i suoi costosi completi italiani hanno fatto breccia nel tuo cuore?”
“Temo
che abbiano fatto molto di più” ammise lei a bassa voce. “È frustrante. Non
riesco a… sai una cosa? Non importa. Abbiamo altre cose di cui occuparci e poi
sono certa che tu non vuoi annoiarti con queste stupidaggini. Parlami un po’ di
te e Jo e del vostro bambino
in arrivo invece. Com’è successo?”
“Nessuno
ti ha ma detto come nascono i bambini?”
Allison
roteò gli occhi. “Ah ah,
divertente. Andiamo, sono seria.”
“In
realtà non è così facile da spiegare. Dovrebbe esserlo ma non lo è. L’ho incontrata
e credo di averla amata subito ma ero un vampiro e non volevo trascinarla nel
caos che era la mia vita. Ma per quanto volessi allontanarla”
“Il
desiderio di tenerla vicina era più forte di qualunque altra cosa avessi mai
provato?” la donna finì la frase per lui fissando un punto indefinito del
tavolo.
“Non
avrei saputo dirlo con parole migliori.”
“Già…
so come ti senti” Allison
afferrò la sua birra e annuì. “L’amore è schifosamente complicato” sentenziò
mentre Damon ed Enzo si accomodavano al tavolo senza essere stati invitati.
****
“Voi
due che diavolo volete? Non ho alcuna memoria di me o Alaric che vi invitiamo ad unirvi a noi.”
Allison
si mosse un po’ sulla sedia prima di alzare lo sguardo sugli ultimi arrivati.
“Oh
andiamo…” le disse Damon. “Siamo tutti amici qui e ho pensato che sarebbe stato
piacevole pranzare insieme. Oltretutto,” il vampiro prese una patatina fritta
dal piatto della donna e la mise in bocca prima di parlare ancora. “Ho pensato
che ti avrebbe fatto piacere rivedere Enzo.”
Alaric
sospirò scuotendo il capo. “Hai pensato che le avrebbe fatto piacere rivedere
il vampiro che voleva ucciderla l’anno scorso? Ma che problema hai?”
“È
una sua idea, ma gli dovevo un favore e non ho potuto dire di no” spiegò Enzo.
“Ad ogni modo, ciao bellissima.”
disse rivolgendosi alla donna.
“Bellissima
sì” Damon piegò poco la testa per guardare la donna. “Ma mi sembra furiosa,
forse faresti meglio ad andartene via amico.”
Enzo
roteò gli occhi facendo cenno alla cameriera di portargli una birra. “Vorrei,
ma credo che le cose si faranno interessanti tra poco. Vedo un’affascinante
luce negli occhi di Allison,
e mi piace.”
Allison
rise poggiando per un attimo lo sguardo su Alaric che si passò una mano sul viso.
“Non
posso credere che tu lo stia facendo,” disse a Damon fermando una ciocca di
lunghi capelli castani dietro l’orecchio.
“Facendo
cosa?” il vampiro abbozzò un sorriso avvicinando la sedia a quella della donna.
“Stai
cercando di manipolarmi Damon; portare qui il tizio che ha provato ad
uccidermi, sottolineando il fatto che la sua presenza non mi mette di buon
umore…” Allison si voltò a
guardarlo. “Credi che con la sua presenza, la mia rabbia nei suoi confronti mi
farà mettere da parte quella nei tuoi. E la cosa più divertente è che ci provi
così ardentemente, credi davvero che funzioni.”
“Perché
funziona.”
“Dopo
tutti questi anni non hai ancora capito?” la donna scosse il capo. “Questi
giochetti non hanno mai funzionato con me. Non funzionavano anni fa quando
avrei fatto qualunque cosa per te, quindi come credi che possano funzionare
adesso che di te non me ne frega un cazzo?”
Damon
avvicinò ancora un po’ il viso al suo fissando lo sguardo negli occhi nocciola
della donna di fronte a sé. Pensò che visto che il suo piano originario non
aveva funzionato doveva provare il tutto per tutto per avere una qualunque
reazione da parte sua.
“Non
te ne importa…” mormorò. “Quindi se adesso ti stringessi la mano, o ti
baciassi, non sentiresti nulla?”
Allison
avvicinò la bocca a quella del vampiro. “Oh no Damon, sentirei qualcosa.
Sentirei l’urgente e inarrestabile bisogno di trafiggerti con un paletto. E
vuoi sapere una cosa? Lo farei davvero.”
La
donna gli posò un leggero bacio sulle labbra prima di prendere in mano la
forchetta e conficcarla nella mano che Enzo teneva ferma sul tavolo. Lui
trattenne a stento un urlo e si irrigidì sulla sedia.
“Questo
è per aver cercato di uccidermi lo scorso anno,” gli disse lei. “Ma nonostante
tutto, è stato bello rivederti, Lorenzo.”
Fece
segno ad Alaric e l’uomo si
alzò raccogliendo le sue cose.
“Grazie
per averci offerto il pranzo Damon, e stammi lontano.”
Damon
la guardò allontanarsi mentre Enzo tirava via la forchetta dalla sua mano.
Sarebbe guarita in fretta ma faceva male.
“Amico,”
disse pulendo via il sangue con un fazzoletto. “Credo di amare quella donna.”
L’altro
scosse il capo alzandosi. Si passa al
piano C, pensò mentre raggiungeva la sua auto parcheggiata fuori.
****
“Pronto?”
“Nel
caso te lo stessi chiedendo,” Allison
sospirò mettendo la borsa in auto. “Sì, Damon Salvatore è il solito idiota di
sempre, forse anche peggio.”
“Non so perché ma non
sono sorpresa.”Hayley
rise. “Come va la tua ricerca? Hai
scoperto qualcosa di utile?”
“A
parte il fatto che Alaric
sta per sposarsi ed avere un bambino? No, niente di utile. Credo che rimarrò
comunque per qualche giorno, mi piacerebbe fare due chiacchiere con Bonnie, infatti stavo andando
nella sua stanza.”
“Credi che lei possa
aiutarti?”
“Lo
spero, ma anche se non potesse vorrei comunque vedere come se la sta cavando da
quando è tornata. So cosa si prova a vivere un’esperienza come quella che ha
vissuto lei e dubito che Damon si sia preoccupato di chiederle come si sente.”
“Sanno di doverti
ringraziare per averli tirati fuori dal posto in cui si trovavano?”
“No,
perché non devono. Non ho idea di cosa tu stia parlando.”
“Oh andiamo Allison, ho capito qualcosa di te
e hai il Re dell’Inferno tra le chiamate rapide. Vuoi davvero farmi credere che
tu non c’entri assolutamente nulla con il loro ritorno?”
Allison
fece un grosso respiro. “Diciamo solo che ho contribuito in piccolissima parte.
Niente che valga la pena di dire loro comunque. Aspetta un attimo, qualcuno ci
sta ascoltando.”
La
donna si voltò ritrovandosi davanti Tyler Lockwood che la guardava curioso.
“Tyler!”
esclamò. “Non ti hanno insegnato che non si ascoltano le conversazioni altrui?”
Lui
abbozzò un sorriso. “Non era mia intenzione origliare. Ma ti ho vista e non ero
sicuro che fossi tu.”
“Beh
adesso sai che sono io, passa una buona giornata.”
La
donna sorrise aprendo lo sportello ma Tyler la afferrò delicatamente per un
braccio. “Aspetta.”
“Tyler,
non ho molto tempo adesso. Possiamo rimandare a dopo? Devo incontrare Bonnie e poi andare a cena da Alaric e Jo e poi, se avrò trovato quello che mi serve,
ripartire.”
“Ho
delle cose che appartenevano a Mason,” le disse Tyler. E lo sguardo della
cacciatrice cambiò immediatamente.
“Cianfrusaglie
per lo più. Dei vecchi vestiti sdruciti e uno strano anello con delle pietre
verdi e un piccolo lupo in rilievo. Credo sia stata tu a regalarglielo. Ho
provato a telefonarti quando le ho trovate, ma tu non hai mai risposto né
richiamato.”
Allison
si morse l’interno della guancia perdendosi per un attimo nel ricordo del suo
primo incontro con Mason Lockwood
quasi cinque anni prima, quando si era trovata per caso a Mystic Falls ed era rimasta incastrata nel dramma
mensile della drammatica vita di
Elena Gilbert.
“Hayley, ti richiamo dopo,” mormorò
riattaccando. Poi guardò Tyler dritto negli occhi. “Non ho molto tempo,
facciamo in fretta.”
Il
giovane annuì invitandola a seguirlo ed Allison
guardò Alaric quando lo
incrociò nel corridoio verso la stanza di Tyler. Lo sguardo del professore era
perplesso, sembrava volesse chiederle cosa diavolo stesse succedendo. Lei
abbozzò un sorriso per tranquillizzarlo, poi svoltò a destra e si prese un
attimo prima di entrare nella stanza.
****
MYSTIC
FALLS – 5 ANNI PRIMA
Allison
prese una tartina al salmone da un piatto di porcellana che, era sicura,
costava quanto la sua auto. Si guardò intorno cercando di farsi un’idea delle
persone che abitavano quella città e sospirò chiedendosi perché diavolo si era
lasciata trascinare in quella assurda situazione da quell’idiota di Damon
Salvatore.
Non
era nemmeno sicura che Elena Gilbert le piacesse… e
credeva che il sentimento fosse reciproco.
Prese
un po' di quello che credeva essere succo di mele e lo bevve tutto d’un sorso
prima di voltarsi alla ricerca di un cestino dell’immondizia in cui buttare via
il bicchiere.
“Credo
che tu possa lasciarlo lì” le disse un uomo guardandola curioso. “Sono certo
che una volta finito il ricevimento ci sarà un esercito di camerieri pronti a
pulire tutto. Il vantaggio di essere ricchi.”
L’uomo
si versò un bicchiere di limonata e ne bevve un sorso prima di puntare di nuovo
lo sguardo su di lei.
“Sei
un’amica di Carol?” le chiese.
Allison
respirò a fondo, pensando velocemente a come rispondere. Non aveva idea di chi
fosse Carol, tutto quello che sapeva era che il sindaco era morto.
“Tu
non sai neppure chi sia Carol vero?” l’uomo rise poggiando il bicchiere vuoto
sul tavolo. “Ti piace imbucarti ai ricevimenti funebri?”
“Non
proprio,” Allison si
rilassò un po’. Gli occhi azzurri dell’uomo erano capaci di infonderle una
tranquillità e un pizzico di allegria anche. “Sono venuta qui a Mystic Falls per lavoro, per così
dire… ma ho incontrato un vecchio amico e ha insistito perché mi fermassi
qualche giorno. Ha anche insistito affinché facessi la conoscenza dei più
influenti abitanti della città e ha detto che non c’era occasione o luogo
migliore per farlo di oggi, qui a questo ricevimento.”
L’uomo
annuì. “Capisco. Sai almeno chi è la persona morta? Il suo nome per esempio.”
“Tutto
quello che so è che era il sindaco della città e che era un vero idiota. Almeno
questo è quello che mi hanno detto. Credo si chiamasse Lockwood” rispose lei. “Ad ogni modo, io sono Allison.”
Lui
le strinse piano la mano. “Mason Lockwood.
Il sindaco idiota era mio fratello.”
Allison
chiuse gli occhi per un attimo. “Ovvio che lo era,” mormorò schiarendosi la
voce prima di guardarlo. “Mi dispiace per la tua perdita. E anche per quello
che ho detto.”
“Ti
ringrazio e, non esserlo. Mio fratello era davvero un idiota” rispose Mason.
“Ora sarà meglio che vada ad accogliere gli ospiti; ho parecchia gente da
salutare, manco da un bel po’. Ma magari ci vedremo in giro, Allison.”
La
donna annuì guardandolo allontanarsi e gli sorrise quando lui si voltò a guardarla
un’ultima volta prima di sparire dentro una stanza.
Allison
arrivò puntuale, com’era solita fare. Odiava essere in ritardo e odiava anche
essere in anticipo. Fermò la macchina sul vialetto e sospirò guardando l’auto
di Damon parcheggiata davanti alla sua. Era sicura che invitarlo non fosse
stata un’idea di Alaric e, in fondo, sapeva che si
sarebbe invitato da solo. Semplicemente perché odiava che lei lo ignorasse, non
perché fosse sinceramente dispiaciuto come voleva far credere agli altri,
persino a se stesso.
Se
c’era una cosa che Allison aveva capito da quando lo
conosceva, era che lui non era capace di provare rimorso. A volte, forse,
provava un leggerissimo senso di colpa che spazzava via giustificando ogni
azione con la convinzione che quello che aveva fatto era la cosa giusta da
fare, che non aveva altra scelta.
La
donna strinse tra le dita l’anello che si era appesa al collo, quello che le
aveva dato Tyler, quello che aveva regalato a Mason Lockwood
anni prima. La sua mente volò indietro al giorno in cui aveva capito che Damon
stava cercando di svelare il mistero che si nascondeva dietro la forza
soprannaturale di Mason.
Ha battuto Stefan a
braccio di ferro, le aveva detto. E Stefan non si è lasciato battere di proposito. Quel tizio nasconde qualcosa
ed io voglio scoprire cosa. Mi serve il tuo aiuto.
Ed
Allison aveva scosso energicamente il capo, decisa a
non aiutarlo.
Ma
poi l’aveva fatto, più che altro per evitare che facesse qualcosa di stupido.
Così era andata con lui ad un barbecue organizzato da Jenna, la zia di Elena.
Mason Lockwood era l’ospite d’onore; vecchio compagno
di liceo della donna. L’occasione perfetta per provare ad avere qualche
risposta.
MYSTIC FALLS- 5 ANNI PRIMA
“Damon,” lo salutò Alaric quando aprì la porta e se lo ritrovò davanti. “spero
che tu non abbia fatto un buco nell’acqua con tutta questa dannata storia,
Jenna ti detesta e adesso detesta anche me per averti invitato.”
Damon abbozzò un
sorriso porgendogli una scatola.
“Torta di pesche,” gli
fece sapere. “E questa è Allison, una vecchia amica.
Ti ho parlato di lei, ricordi?”
Alaric annuì posando gli occhi sulla
giovane donna accanto al vampiro. Era bella; la pelle chiara sembrava di
porcellana, gli occhi nocciola, le labbra rosate e ben definite. I capelli di
un bel castano caldo raccolti in una coda di cavallo. Indossava un vestitino
bianco e azzurro e Alaric pensò che le donasse molto.
“Molto piacere,” le
disse tendendo la mano verso di lei. “Sono AlaricSaltzman.”
“Allison
Morgan,” rispose lei stringendogliela. “ma non so ancora se conoscerti sia un
piacere, te lo dirò alla fine del pranzo.”
La donna avanzò dentro
casa guardandosi intorno e Damon abbozzò un sorriso seguendola. Alaric richiuse la porta e li seguì fino in cucina, dove Allison si stava praticamente presentando da sola.
“Damon,” mormorò Jenna
piegando poco le labbra in un’espressione contrariata. “sei venuto.”
Lui annuì prendendo la
torta di mano ad Alaric. “E ho portato una torta di
pesche.”
“Fantastico!” esclamò
la donna prendendola. “Anche Mason ne ha portata una. A proposito, Allison, vieni, te lo presento.”
Allison seguì Jenna fino ad una piccola
verandina sul retro della casa e sorrise a Mason quando lui si voltò a
guardarla.
“Due volte in una
settimana” le disse lui prendendo una birra e aprendola. “Quante erano le
possibilità?”
Jenna corrugò la
fronte. “Vi conoscete già?”
“Sì, ci siamo incontrati
al ricevimento funebre per suo fratello, non proprio un primo incontro da
ricordare.”
“Non è andato così
male,” intervenne Mason.
Allison rise. “Se lo dici tu,” gli prese
la birra dalle mani e ne bevve un lungo sorso, poi gliela ridiede. “E le
possibilità che ci rivedessimo così presto sono più di quante credi. Ora,
qualcuno potrebbe dirmi dove si trova il bagno?”
“Seconda porta a
sinistra al piano di sopra,” rispose Jenna guardando il suo vecchio amico.
Allison sparì dentro casa e Mason abbozzò
un sorriso bevendo un sorso della sua birra.
Lo
squillare del suo telefono la fece sobbalzare. Allison
scosse il capo per scuotere via i ricordi e sospirò rifiutando la chiamata.
Compose invece un altro numero e dopo quattro squilli la voce familiare le
rispose.
“Allison,
cosa posso fare per te?”
“Ho
bisogno di chiederti una cosa, e ho bisogno che tu sia completamente sincero
con me.”
Dall’altra
parte del telefono ci fu silenzio per qualche secondo, poi Klaus si schiarì la
voce.
“Chiedi pure.”
“Tu
uccidi la gente, a volte senza un vero motivo. Vorrei sapere perché lo fai.”
“Non lo so. Lo faccio e
basta. L’hai detto tu stessa, non c’è un vero motivo. Cos’è successo, Allison? Stai bene?”
Lei
sospirò. “Sì, sto bene. È solo che oggi ho fatto una specie di tuffo nei
ricordi. Ricordi che desidero davvero dimenticare Klaus, che credevo di aver
dimenticato.”
“Se vuoi dimenticare
smetti di provarci Allison. Parlo per esperienza se
ti dico che niente fissa una cosa così intensamente nella memoria come il
desiderio di dimenticare.”
Allison
fece un grosso respiro e sorrise ad Alaric che si era
appena affacciato alla porta e le stava facendo segno.
“Devo
andare ora,” disse a Klaus. “E giusto perché tu lo sappia, conosco Michel de Montaigne. Ma grazie per questa perla di saggezza.”
Quello
che sentì prima di riattaccare fu la risata di Klaus; una risata sincera che
spesso riservava solo a lei. Scese dall’auto e raggiunse Alaric
sulla porta.
****
“Mi
piace il tuo vestito.”
Allison
alzò gli occhi per un attimo e si sforzò di sorridere ad Elena. Non era sicura
del perché la ragazza fosse così gentile con lei da quando era arrivata, o
meglio, non era sicura del perché la sua gentilezza suonasse così autentica.
Elena
Gilbert ed Allison Morgan non si erano mai piaciute
molto. Se qualcuno avesse chiesto ad Allison perché lei
non avrebbe saputo dirglielo, probabilmente nemmeno Elena avrebbe saputo cosa
rispondere. Era semplicemente una sensazione, una questione di istinto, di prime
impressioni. E quelle nel caso di Allison si
rivelavano sempre le più giuste.
Difficilmente
aveva cambiato idea su qualcuno dopo essersene fatta un’idea al primo incontro
e difficilmente quelle persone si erano rivelate degne di un qualche beneficio
del dubbio.
“Grazie,”
rispose bevendo un sorso di vino. Poi volse lo sguardo a Jo
e abbozzò un sorriso. “Quella cosa sarebbe?”
Indicò
la salsa che Jo stava mescolando con tanto fervore e
la donna rilassò le spalle e allargò le braccia.
“Avrebbe
dovuto essere della maionese. Ma credo sia impazzita.” disse.
“Lo
sai, vero, che la maionese esiste già pronta? Devi solo andare al supermercato
e comprarla.” Allison poggiò il suo bicchiere divino sull’isola della cucina e tirò la
ciotola verso di sé. Mescolò energicamente per qualche secondo e poi aggiunse
un cucchiaio di acqua calda senza smettere di mescolare.
Jo ed Elena
guardarono affascinate la maionese tornare normale, liscia e densa come avrebbe
dovuto essere sin dal principio.
“Ti
prego, non dirmi che sai anche cucinare” mormorò Jo
assaggiando con un cucchiaino.
“Oh
sì che sa farlo.” Damon entrò in cucina, seguito da Alaric.
“Sa cucinare divinamente.”
“Non
è possibile!” esclamò Jo. “Non puoi essere
bellissima, carismatica, simpatica, una sensazionale cacciatrice – o almeno
così dice Alaric – e saper anche cucinare. Avere
tutti questi pregi va contro natura.”
Allison
rise. “Non se li bilanci con altrettanti difetti. E io ho anche quelli”
Alaric
sorrise guardandola raggiungere la sua borsetta e corrugò la fronte quando lei
porse a lui e Jo una busta bianca. Dentro c’erano due
biglietti aerei per l’Italia ed un itinerario che toccava le più belle città
per un totale di venti giorni.
“Il
mio regalo di nozze per voi” spiegò lei poggiando la borsetta sul piccolo tavolo
in cucina. “Non so se sarò qui il giorno del matrimonio.”
“Cosa?”
chiese Damon. “Devi esserci, ti hanno invitata. Sarebbe scortese non
accettare.”
La
donna alzò un sopracciglio e bevve un altro sorso di vino. “Non vedo come la
cosa ti riguardi. E poi, proprio tu parli di scortesia? È paradossale.”
“Sì,
lo è. Ma ha ragione,” le disse Alaric dando un bacio
sulla fronte a Jo che fissava ancora i biglietti
allibita. “devi restare, ci teniamo. È fra due giorni, non manca poi molto. Ti
prego.”
“Si
ti prego” intervenne Jo, “rimani.”
L’altra
fece un grosso respiro e sorrise sfiorando nuovamente la sua collana, in un
gesto istintivo che sembrava non riuscire a controllare.
“Conosco
quell’anello,” disse Damon notando il gesto. “Solo che non ricordo esattamente
come.”
Allison
si voltò a guardarlo, nei suoi occhi nocciola uno sguardo feroce che lui
purtroppo conosceva benissimo visto che ne era stato la causa tante volte.
“Era
al collo di Mason Lockwood il giorno che gli hai
strappato il cuore dal petto anche se ti avevo chiesto di non farlo” gli disse
lei. “Vuoi ancora parlarmi di cortesia, Damon?”
La
cacciatrice si allontanò, e Damon rimase un attimo immobile, quasi incapace di
respirare. Conosceva anche quell’inclinazione nella sua voce; era tristezza e
anche di quella lui era stata la causa tante volte.
****
MYSTIC FALLS – 5 ANNI
PRIMA
Allison si legò i capelli e raggiunse la
porta pronta ad uscire. Sul divano di casa Salvatore, Damon se ne stava seduto
con Elena e Stefan, Alaric di fronte a loro. La donna
alzò una mano in segno di saluto e nascose il ciondolo sotto la canotta.
“Dove stai andando?” le
chiese Damon. “Mason Lockwood non è umano. E non
sappiamo cosa sia esattamente. Abbiamo bisogno di capirlo, devi aiutarci, non
puoi andartene in giro.”
“Io so chi è Mason Lockwood,” rispose lei sorridendo. “È il tizio super sexy
con cui sto andando a fare jogging. Anzi, sono in ritardo. Ci vediamo dopo.”
“Fermati,” le disse
Damon raggiungendola. “non puoi flirtare con lui. Che succede se poi scopriamo
che è un qualche strano essere che vuole uccidere tutti i vampiri di Mystic Falls.”
Allison chiuse per un attimo gli occhi,
poi si voltò completamente per essere faccia a faccia con Damon. “Anche se
fosse così non sarebbe un mio problema, io sono umana. E oh…” tirò una
ginocchiata al vampiro e lui cadde in ginocchio diventando paonazzo. Un gemito
gli uscì di bocca.
La donna si abbassò
poco per guardarlo negli occhi. “Non azzardarti mai più a dirmi cosa posso o
non posso fare. Sai che non mi piace quando lo fanno” gli diede un buffetto
sulla guancia e uscì di casa mentre un sorriso piegava le labbra dei presenti.
Una volta raggiunto il
bosco, Allison individuò Mason, stava vicino al lago,
e lo raggiunse.
“Scusa, sono in
ritardo. Ed io odio essere in ritardo. Ma quell’idiota di Damon mi ha fatto
perdere tempo” gli disse.
Mason si strinse nelle
spalle. Poi sorrise indicando con un dito la canotta che Allison
indossava. La scritta nera Shut
up & kissme spiccava sul grigio chiaro dell’indumento.
“Quello è per caso un
messaggio per me?” chiese ridendo.
Allison fece un grosso respiro. “Beh
dipende.”
“Da cosa?”
“Vuoi che lo sia?”
Mason le si avvicinò di
qualche passo. “Dipende.”
“Da cosa?” la donna
rise poggiandosi le mani sui fianchi.
L’uomo alzò la mano e
la poggiò sul viso di Allison. Sentiva una specie di
istinto primordiale quando le era accanto. Lo aveva sentito la prima volta che
l’aveva incontrata e lo sentiva ancora di più adesso che le stava toccando il
viso. Si sentiva sicuro con lei, quasi come se sapesse, senza dubbio, che di
lei poteva fidarsi.
Avvicinò la bocca alla
sua, ma Allison gli poggiò due dita sulle labbra e
scostò quella mano grande dal suo volto. Gliela fece poggiare sul petto e
sospirò.
“Quello che senti non
dipende da me, ma dalla tua natura di lupo. Ami le sfide, ed io ne rappresento
una in questo momento, e sei sempre sovraeccitato perché è così che i lupi
sono” la donna si sfilò la collana e gliela mise in mano. “Il tuo segreto è al
sicuro con me Mason. Ma sta’ attento, i fratelli Salvatore hanno capito che sei
diverso e non si fermeranno fin quando non avranno capito come. E non appena
avranno composto il puzzle, Damon proverà ad ucciderti, perché rappresenterai
un pericolo per lui.”
Mason si allontanò poco
da lei, deglutì a vuoto e aprì la mano guardando ciò che gli aveva dato.
“Cos’è questa?” chiese.
“È un anello
protettivo. Ti aiuterà a tenere sotto controllo la rabbia che senti sempre
dentro.” Allison gli sorrise, poi gli si avvicinò,
gli prese il viso tra le dita di una mano e gli stampò un bacio sulla bocca.
Lui rimase fermo per un secondo, poi la strinse a sé poco prima che lei
rompesse quel contatto.
“Sì,” gli disse Allison indietreggiando di qualche passo. “Forse la scritta
era un messaggio.”
Si incamminò verso il
sentiero dal quale era arrivata e Mason si toccò le labbra guardandola
allontanarsi.
****
John
fissò la mappa con espressione perplessa. Non era mai capitato che un punto
fosse individuato così velocemente e non sapeva ancora dire se era un bene o un
male. Mystic Falls, Virginia, era una piccola
cittadina che lui conosceva solo di nome. Non c’era mai stato né credeva ne
avrebbe avuto l’occasione.
Si
era sbagliato.
“Chas!” esclamò. “Abbiamo un nuovo caso.”
L’altro
comparve da dietro una grande libreria. “Dove?”
“Virginia.”
“Devo
chiamare Zed?”
Constantine
scosse il capo accendendosi una sigaretta. “No, non ho voglia di avere tra i
piedi quel bel visino. Ci andiamo da soli.”
Chas
annuì prendendo tutto il necessario. “Ti aspetto in auto” gli disse.
John
si prese un momento per cercare di decifrare lo strano peso che sentiva alla
bocca dello stomaco. Poi diede un’altra tirata alla sigaretta e raggiunse Chas in macchina.
“Sarò
lì fra due giorni. Sarei dovuta partire oggi stesso, ma ho un impegno che non
può essere cancellato.”
“Allison,
che succede se…”
“No
Sam! Questo non è il momento di pensare negativo. Charlie tornerà presto con il
libro ed io ho scoperto qualcosa di interessante. Porterò del materiale e
troveremo una soluzione, insieme. Io, tu, Dean e Cass,
come facciamo sempre.”
Dall’altra
parte del telefono ci fu un lungo silenzio, poi un sospiro e per Allison fu come vedere il viso del suo amico trasformarsi
in una maschera di amarezza; gli occhi gonfi, gli angoli delle labbra piegate
in giù, la fronte corrucciata nel disperato tentativo di non piangere. Pieno
stile Sam Winchester.
“Hai ragione,” disse
lui. “Ci vediamo fra due giorni. Nel
frattempo cercherò qualche caso, niente di troppo impegnativo. Lo terrà
occupato ma non troppo… se capisci cosa intendo.”
“Qualcosa
che lo tenga occupato senza fargli venire voglia di fare un massacro. Sì,
capisco quello che intendi.” Allison fissò il
riflesso di Caroline Forbes allo specchio. Aveva
appena aperto la tenda del camerino dentro al quale stava provando l’abito per
il matrimonio di Alaric. Nei suoi occhi chiari uno
sguardo indecifrabile. “Devo andare ora. Ci vediamo presto Sammy,
ti voglio bene.”
Riattaccò
poggiando il cellulare sulla piccola seggiola che stava all’interno di quello
spazio e sorrise senza voltarsi. La sua bionda amica la fissava ancora, ma sul
suo viso ora c’era un’espressione che era il perfetto misto di tristezza e
sollievo. Si voltò piano e la strinse in un abbraccio che l’altra ricambiò
affamata d’affetto e di comprensione ed Allison pensò
che sapeva esattamente come si sentiva.
“Caroline,
mi è tanto dispiaciuto sapere di tua madre. Avrei voluto essere qui per te, per
sostenerti, ma…”
“Lo
so,” le rispose Caroline rompendo l’abbraccio ma tenendole ancora le mani. “eri
impegnata a salvare il mondo, come sempre.”
Risero
entrambe ed entrambe sapevano che in quella risata non c’era nulla di
divertente.
“Ho
provato a telefonarti,” riprese Allison. “Ma non hai
mai risposto e dopo un po’ il tuo numero risultava disattivato.”
Caroline
annuìspostandosi di nuovo dietro di
lei, le alzò piano la zip del vestito e fece un grosso respiro uscendo fuori
dal camerino.
“Sono
andata un po’… fuori di testa. Per così dire. Ho spento la mia umanità e fatto
cose che preferisco dimenticare. Forse è un bene che tu non sia riuscita a
rintracciarmi, saresti stata costretta ad uccidermi.”
Allison
abbozzò un sorriso spostandosi indietro i capelli. “L’importante è che tu stia
bene adesso.”
“Ci
sto lavorando,” ammise l’altra. “Ma questo è un giorno speciale. C’è un
matrimonio da organizzare e tu non puoi indossare questo abito.”
La
cacciatrice corrugò la fronte guardandosi allo specchio. Era certa che quell’abito
sarebbe piaciuto a Caroline Forbes; la leggera seta
color cipria, il corpettocolor tortora
lavorato. Eppure sembrava essersi sbagliata. “Credevo che ti sarebbe piaciuto.”
“Oh
lo adoro!” esclamò Caroline. “È stupendo. Tu hai sempre avuto un ottimo gusto.
Ma non puoi essere più bella della sposa, quindi non puoi indossarlo.”
Allison
roteò gli occhi, poi scosse il capo e intravide Jo,
riflessa nello specchio. Sembrava tesa, come ogni sposa dovrebbe essere. Dietro
di lei Elena e Bonnie. Tutte e tre la fissavano senza
proferire parola e la donna si voltò per essere faccia a faccia con loro.
“Cosa
c’è? Perché mi state fissando in quel modo?”
“Adoro
il tuo vestito…” mormorò la sposa. “Posso averlo dopo le nozze? Non credo che
ci entrerò mai perché sono incinta di due gemelli e quindi diventerò una balena
nei prossimi mesi, ma posso averlo comunque?” la donna scoppiò a ridere, poi si
mise a sedere facendo dei grossi respiri. Allison
appuntò mentalmente che organizzare le nozze in stato interessante non era una
buona idea; gravidanza e alcol non andavano d’accordo. L’organizzazione di un
matrimonio e la mancanza di alcol, nemmeno.
****
“Bel
vestito!”
Allison
alzò la testa di scatto, lasciò vagare lo sguardo per un secondo prima di
voltarsi. Conosceva quella voce ed era sicura che, se non si fosse controllata,
sarebbe finito tutto in un litigio. E lei non ne aveva voglia; non quella sera.
Quella
sera era per Alaric e Jo,
per il loro matrimonio, per il vestito da principessa della sposa, per gli
occhi lucidi dello sposo, per l’emozione di iniziare una nuova vita ed una
nuova famiglia insieme. Non avrebbe permesso a Damon Salvatore di irritarla,
non quella sera. Oltretutto, pensò, non aveva senso… Damon non sarebbe cambiato
mai o forse era già cambiato troppo.
“Grazie”
sorrise lisciandosi la parte inferiore, i tacchi alti le facevano già male e la
cerimonia non era nemmeno iniziata.
“Sei…
bellissima. Dico davvero.”
Allison
sospirò. “Anche tu non sei niente male. Dico davvero.”
Seguì
un minuto di silenzio, poi Damon parlò.
“Allison, mi dispiace tanto per Mason Lockwood”
disse. “A volte faccio cose che non dovrei fare e non so perché. Mi avevi
chiesto di darti del tempo con lui, di permetterti di parlargli, di non
ucciderlo ed io non ho fatto nulla di tutto questo. Ho fatto tutto il
contrario.”
“Lo
so.”
“Non
credevo che la cosa ti facesse ancora così male, che ti…”
“Credi
che sia per Mason, Damon?” lo interruppe lei. “Non lo è, non soltanto almeno. E
non è nemmeno perché mi hai lasciata a morire quando Enzo voleva uccidermi.
Quando lui ti ha chiesto di scegliere chi delle due salvare tra me e la tua preziosa Elana, era logico che
avresti scelto lei.”
“Se
non è colpa di queste cose, cos’è allora?” chiese lui avvicinandosi. “Io e te
litighiamo continuamente, su ogni piccola cosa. È la nostra caratteristica, lo
facciamo da sempre. Ma stavolta è così…”
“Diverso?”
domandò Allison. E davanti al suo annuire fece un
grosso respiro e si mise a sedere su una vecchia panca alla ricerca delle
parole giuste per spiegare. “È perché lo è, Damon. E non credo che le cose
potranno tornare come prima, perché noi non siamo quelli di prima. Io non sono quella di prima. Non è perché
hai scelto Elena o perché non mi hai dato retta quando ti ho chiesto di non
uccidere Mason, è perché…” la donna si fermò per un secondo, insicura.
Avrebbe voluto dirgli tanto; avrebbe voluto
dirgli che odiava che lui di solito non provasse nemmeno a scusarsi seriamente,
che odiava la sua convinzione che con un sorriso tutto poteva essere sistemato.
Avrebbe voluto dirgli che dopo quella sera un addio era l’unica strada che
credeva possibile per la loro amicizia. Avrebbe voluto dirgli tutto ma non
disse niente.
L’unica
cosa che riuscì a dire fu un oh merda…
mentre John Constantine avanzava verso di lei.
****
“Oh merda?” domandò John guardandola. “Beh
mi hanno detto di peggio.”
L’uomo
si accese una sigaretta e diede una prima tirata, poi mise una mano in tasca e
sorrise alla donna. Allison Morgan era bella, lui lo
aveva sempre saputo, ma vederla chiusa in quell’abito, con i capelli raccolti,
il trucco e tirata a lucido glielo fece notare ancora di più. In quel momento
però, oltre che bella era anche tesa. Nei suoi occhi nocciola Constantine poté
leggere un’ansia riconducibile ad una sola cosa: la sua presenza lì.
John
sapeva che lei aveva capito, sapeva che lei sapeva che lui lì, nel bel mezzo
del nulla nella periferia di una piccola cittadina della Virginia, poteva
significare solo una cosa: guai in vista. Il fatto che anche lei fosse lì era l’indizio
che le cose erano peggiori di quanto avrebbe potuto credere, perché i guai
sembravano seguirla sempre. O almeno così gli aveva sempre detto.
“John,
che ci fai qui?” Allison si alzò e gli si avvicinò di
qualche passo.
“Credo
che tu possa arrivarci da sola dolcezza”
rispose lui. “A proposito, sei una delizia per gli occhi. Salve,” continuò
voltandosi verso Damon. “Sono John Constantine, signore delle arti oscure.”
Damon
corrugò la fronte stringendo la mano che John gli tendeva. “Damon Salvatore,
vampiro.”
“Ah…”
mormorò Constantine. “Interessante. Ad ogni modo, sono qui perché ho motivo di
credere che qualcosa di terribile stia per accedere. Il fatto che voi siate
tirati a lucido mi fa credere che stavate per prendere parte ad una qualche
cerimonia, il che mi fa decisamente temere il peggio.”
Il
vampiro lo fissò perplesso. “Perché esattamente?”
“Perché
una cerimonia corrisponde ad gran numero di gente e le cose terribili tendono
ad accadere sempre in posti ed in momenti in cui tante, troppe, persone sono
radunate tutte insieme” intervenne Allison.
“Bingo!”
esclamò John buttando a terra quel che rimaneva della sua sigaretta e
spegnendola con la punta della scarpa. “Chas sta
facendo un giretto di perlustrazione.”
Allison
annuì, mentre la marcia nuziale iniziava a suonare. “Damon, raggiungi gli altri”
disse all’amico. “Cerca di comportarti in modo normale, io aiuto John e poi vi
raggiungo.”
“Allison, che diavolo succede?”
“Vai
ho detto,” gli disse lei. “Me ne occupo io. Qualunque cosa accada, viste le sue
condizioni, Jo ha la priorità. Hai capito?”
Fu
allora, che, inaspettatamente qualcosa lanciato ad altissima velocità colpì Allison alla parte posteriore della testa. Lei cadde in
terra, una grande quantità di sangue la circondò in pochi secondi; il vestito
color cipria macchiato di rosso, gli occhi chiusi. Inerme mentre all’interno
del granaio sembrava scatenarsi l’inferno.
****
Allison
riaprì gli occhi lentamente. Il calore del sole sul viso, una sensazione di
pace che non provava da tanto, tantissimo tempo. Si chiese cos’era quel vago
ricordo che sembrava fluttuarle nella mente. Un vestito elegante, Damon, John…
e poi un dolore alla testa.
Il
ricordo si fece man mano più vivo, i pezzi presero forma e tutto le tornò alla
mente. Era ad un matrimonio, il matrimonio di Jo ed Alaric, poi John era comparso dal nulla e i guai, come
previsto, erano iniziati.
Si
alzò in piedi e si guardò intorno, non c’era nessuno in quello che sembrava
essere un’immensa distesa di verde. Un leggero venticciolo
la avvolse portando con sé il profumo dei fiori. Si chiese dove fosse. Si
chiese se fosse morta.
Allison
chiuse per un attimo gli occhi, poi si voltò e fissò lo sguardo perplesso
sull’uomo di fronte a lei.
Credeva
che non avrebbe mai più visto quel viso, quel cappellino da baseball. Che non
avrebbe mai più sentito quell’esclamazione pronunciata con quel tono. La sua
presenza lì le faceva piacere, ma allo stesso tempo le dava un chiaro indizio
sul posto in cui si trovava, e non era un indizio piacevole.
“Bobby?”
chiese incredula. “Cosa… cosa ci fai qui?”
“Credo
che tu lo sappia ragazzina.”
“Sono
morta?”
L’uomo
alzò un sopracciglio avvicinandosi di qualche passo, fino ad essere faccia a
faccia con lei. “Cos’è, ti sei rincitrullita da quando sono morto? No che non
sei morta. Non ancora almeno.”
Allison
annuì cercando di elaborare tutte le informazioni in suo possesso, soprattutto
le ultime parole di Bobby; non ancora… L’abbraccio
improvviso dentro il quale l’uomo la strinse le fece dimenticare ogni cosa e si
lasciò andare in quella stretta paterna.
“Bobby,
cosa mi è successo? E che ci fai qui? Credevo fossi in Paradiso.”
“Sei
in una specie di coma” le spiegò Bobby allontanandosi poco da lei. “Io ero in
Paradiso ma a quanto pare sei un’anima succulenta e da lì mi hanno mandato qui
per convincerti a rimanere.”
“Rimanere?”
“Sì…
il Paradiso vorrebbe che tu ti lasciassi andare e trovassi la pace e altre
cazzate del genere. Quindi mi hanno mandato affinché io ti racconti le
meraviglie del grande hotel tra le nuvole.”
“E…?”
“E
quel posto fa schifo!” esclamò Bobby.
Allison
corrugò la fronte, poi allargò le braccia e sospirò. “Wow! Tu sì che sai come
fare un’ottima pubblicità.”
Bobby
si strinse nelle spalle. “Che vuoi che ti dica? È una noia mortale. Te ne stai
lì, chiuso nel tuo paradiso personale a fare nulla tutto il giorno.”
“Effettivamente
sembra terribile” constatò lei. “Ma c’è una cosa che ancora non capisco; questo
che posto è? Non è l’Inferno, perché lì ci sono stata e non c’era una bella
distesa di verde. Ma non è nemmeno il Paradiso perché sono stata anche lì e il
mio personalissimo Paradiso assomiglia ad un’isola Caraibica. Non è neppure il
Purgatorio perché sono stata anche lì ed era la Valle delle Lacrime e del
sangue… niente di simile a questo. Quindi dove siamo esattamente?”
“Un’isola
Caraibica?”
“Drink
freschi, spiagge bianche e acque cristalline… riesci a pensare a qualcosa di
più paradisiaco?”
Bobby
piegò la bocca in una specie di smorfia, poi fece un grosso respiro. “Siamo
nella tua testa,” le disse. “Quello che succederà da qui in avanti dipende da
te.”
Allison
fece un grosso respiro, poi si lasciò cadere sul prato verde e si guardò
intorno. “Non è una novità!”
****
Elijah
entrò di corsa dentro l’ospedale, passò tra la gente incurante di chi gli stava
intono e seguì il suo udito fino alla sala d’attesa di fronte alla stanza di
Allison.
Seduti
su due divanetti e varie sedie di plastica se ne stavano Castiel l’Angelo e i
Winchester, i fratelli Salvatore e il loro piccolo gruppetto, quel John
Constantine che aveva conosciuto a New Orleans e qualche altra persona che non
conosceva ma che sembrava tremendamente preoccupata.
Klaus
lo raggiunse dopo poco, fissò gli occhi su Caroline per qualche secondo e poi
diede una pacca sulla spalla al fratello. Poteva percepire il suo nervosismo,
la sua paura per le sorti di quella donna che gli stava tanto a cuore.
“Tutta
questa gente per una sola donna.” Klaus si avvicinò seguito da Elijah e abbozzò
un sorriso per nascondere il fatto che anche lui, come tutti i presenti,
sentiva un senso di apprensione fortissimo.
Damon,
in piedi, si voltò a guardarlo. “Una donna piuttosto speciale.”
“Che
diavolo è successo?” chiese Elijah avanzando di qualche passo. “E perché ci
avete messo una settimana ad avvertirci?”
“Abbiamo
avuto qualche altra piccola cosa di cui occuparci” la voce di Stefan arrivò
calma ma decisa.
Il
vampiro Originale sospirò avvicinandosi al vetro che divideva la sala d’attesa
dalla stanza di Allison. Sul letto, addormentata, indifesa, inerme, giaceva la
cacciatrice che lui era abituato a vedere sempre combattiva e autoritaria.
Sentì la gola stringersi, si chiese cosa sarebbe successo, si chiese se, se
fosse entrato a toccarla, lei avrebbe potuto sentirlo.
Mentre
entrava nella stanza, decise che l’avrebbe scoperto.
****
“Quindi
siamo nella mia testa. Ne sei sicuro?”
Allison
girò la testa per guardare Bobby e tornò a guardare in alto il cielo azzurro
sopra di loro quando l’uomo annuì sistemandosi il cappello.
“È
la tua testa e chiedi a me se sono sicuro?” chiese lui incrociando le mani
sullo stomaco. “Ti sei davvero rammollita da quando sono morto.”
“Sì,
forse è davvero successo,” ammise lei. “O magari sono solo stanca; ho avuto
parecchie cose da fare nell’ultimo periodo.”
“Raccontami.
Non posso più vivere all’insegna dell’avventura, ma almeno posso sopravvivere a
questa noia mortale tramite i tuoi racconti.”
“Beh
per prima cosa, Dean è impazzito, quel dannato marchio lo manda fuori di testa.
Ho provato a cercare una soluzione e credevo di aver scoperto qualcosa ma sono
finita qui quindi non ne ho ancora parlato con lui. Ho passato la maggior parte
del mio tempo a New Orleans, ad aiutare la famiglia dei vampiri Originali a
tenere al sicuro una bellissima bambina figlia di una notte di soprannaturale
passione tra un ibrido ed un licantropo, mio fratello è tornato in vita grazie
all’incantesimo di un folle stregone che mi odia e… e questo è quanto.”
Bobby
si mise a sedere. “Tutto qui?”
“Tutto
qui?” Allison si alzò in piedi e gli si posizionò davanti. “Hai sentito quello
che ho detto?”
“Quello
che ho sentito è il racconto di una tipica giornata nella tua vista,” disse lui
alzandosi.
“Credo
che morire abbia danneggiato i tuoi neuroni. Sì, è vero che la mia vita non è
mai tranquilla, come quella di quasi tutti i cacciatori del soprannaturale del
resto. Ma il mio ultimo anno non è stato come lavorare a due casi
contemporaneamente… cosa che ho fatto più di una volta, per la cronaca.”
Allison riprese fiato e seguì Bobby che aveva preso a camminare. “È stato molto
di più.”
“Quindi
cosa vuoi fare? Rimanere qui un’altra settimana per riposarti?”
“Settimana?”
chiese Allison. “Sono qui solo da qualche ora. Vero?” aggiunse confusa.
Bobby
scosse il capo. “No, sei qui da una settimana, solo che il tempo passa molto
molto lentamente. Te l’ho detto che morire è una noia mortale, a quanto
pare stare a metà tra la vita e la morte anche.”
“Se
il tuo compito è davvero quello di convincermi a venire con te in Paradiso,
sappi che stai fallendo miseramente.”
“Magnifico!”
esclamò Bobby. “Perché se decidi di rimanere significa che stai scegliendo di
morire e se ti azzardi a morire, io ti ammazzo.”
Allison
alzò un sopracciglio piegando poco il capo.
“Hai
capito quello che intendo” le disse Bobby. “Ragazzina, tu hai ancora molto da
offrire e da fare, non puoi morire.”
Lei
si schiarì la voce passandosi una mano tra i capelli. Poi sentì un forte
fischio, una luce accecante la costrinse a chiudere gli occhi. Quando li
riaprì, Bobby era sparito, ma una figura familiare avanzava verso di lei.
“Oh
mio Dio…” sussurrò. “Questa non me l’aspettavo.”
“Nonno?”
Allison indietreggiò di qualche passo. La figura
davanti a sé la fissava con un’aria perplessa, e lei credeva di avere la stessa
espressione.
“Allison?” chiese l’uomo guardandosi intorno. “Che sta
succedendo? Che posto è questo?”
“È…
è la mia testa.”
“La
tua cosa?”
“La
mia testa,” Allison si avvicinò di qualche passo all’uomo
e sorrise. Gli occhi le pizzicavano di lacrime mentre suo nonno la osservava
per poi spostare lo sguardo sullo spazio intorno.
“Sei
morta?” le chiese.
Lei
scosse il capo abbracciandolo. Un abbraccio forte, dolce che sapeva di
mancanza. Non aveva idea del perché, chiunque avesse scelto, aveva scelto suo
nonno. Lui era morto moltissimi anni prima, quando lei non era neppure
maggiorenne ancora, quando ancora i suoi genitori erano vivi, la sua vita era
tranquilla e Matt era solo il suo fratellone.
Ricordava
il giorno del suo funerale; la grande foto di lui col camice da medico
campeggiava sull’altare accanto ad una bara semplicissima che era il segno
visibile di quanto umile quell’uomo fosse stato. Un grande medico, un grande
padre, un grande nonno. Non c’era da sorprendersi, se con una figura di quel
calibro il padre di Allison fosse venuto su così bene.
“Oh
nonno, sono così felice di vederti” lei si accorse che stava piangendo, mentre
le braccia del suo nonno la tenevano stretta. Una mano sulla schiena, l’altra
paterna tra i capelli. Un abbraccio che le ricordava tantissimo quello di suo
padre.
“Bambina,
sono felice anche io” l’uomo sciolse l’abbraccio, ma la tenne vicina, a portata
di braccia. “Sono confuso ma sono felice.”
“Lo
so,” rispose lei. “So che sei confuso, ma ti spiegherò tutto. Voglio solo
abbracciarti stretto ancora un po’ prima.”
Il
vecchio Morgan sorrise, poi la strinse forte.
****
Elijah
afferrò il dottore per il collo e lo sollevò sbattendolo contro il muro.
“Dimmi
la verità,” intimò. “Sapete cosa fare per aiutarla o no?”
L’uomo
lo fissò spaventato, il suo istinto gli suggeriva di dire una cosa, ma la sua
bocca si spalancò per dire tutt’altro, per dire la verità.
“Non
abbiamo idea di cosa abbia,” confessò. “Fisicamente sembra star bene, dovrebbe
essere già sveglia a quest’ora ma è ancora in coma e noi non sappiamo cosa fare.”
Il
vampiro Originale percepì di non essere più solo nella stanza, così lasciò il
medico e lo salutò con una pacca sulla spalla dopo averlo soggiogato affinché
dimenticasse quello che era appena successo. Poi si voltò e puntò gli occhi
dentro quelli di Dean Winchester.
Il
cacciatore fissava Allison, stringendosi il braccio
con forza la osservava silenzioso, con lo sguardo vuoto, perso sul viso bello e
pallido della donna. Elijah si chiese cosa stesse pensando in quel momento, si
chiese se il marchio sul suo braccio, quel dannato segno che sembrava così
importante gli facesse percepire le sue emozioni amplificate, come succedeva a
lui e a tutti i vampiri.
Non
lo sapeva e non sapeva quale fosse la storia tra lui ed Allison,
ma aveva l’impressione che Dean fosse disperato quanto lui, forse di più.
“Mi
sento inutile,” disse Dean mettendosi a sedere. Con la mano raggiunse quella di
Allison e la strinse piano. “Lei è sempre pronta ad
aiutarmi, ad aiutare tutti noi. Trova una soluzione anche quando tutto sembra
perduto e adesso che lei ha bisogno di noi c’è una sala d’attesa piena di umani
e creature di qualunque genere che non sanno assolutamente cosa fare per
aiutarla. È uno schifo.”
Elijah
mise le mani nelle tasche del suo completo scuro e avanzò di qualche passo.
Capiva come si sentisse Dean e anche se non avrebbe usato quelle specifiche parole
per descriverlo, si sentiva esattamente allo stesso modo.
“Troveremo
un modo per aiutarla,” gli disse. “Fosse l’ultima cosa che faccio, troverò una
soluzione.”
“Come
esattamente? Non sappiamo nemmeno cosa stia succedendo.”
Il
vampiro scosse il capo, poi passò la mano sulla fronte di Allison
e sospirò. “Non lo so, ancora” ammise. “Quello che so è che non possiamo non
fare nulla.”
“E
se invece fosse esattamente quello che dobbiamo fare?”
La
voce di Constantine arrivò chiara dalla soglia della porta. Sia Dean che Elijah
si voltarono a guardarlo, sul viso del cacciatore uno sguardo colorato di
rabbia.
“Di
che cazzo parli?” Dean si mise in piedi e gli si avvicinò minaccioso.
“Amico,”
John si mise dritto. Fece qualche passo nella stanza e raggiunse i piedi del
letto di Allison. “Credi che mi piaccia l’idea?
Niente affatto. Allison è una spina nel fianco, ma mi
piace. È leale, generosa, un’ottima cacciatrice… ed è folle. Caratteristica che
io adoro in una donna.”
L’uomo
si lasciò sfuggire un sorriso, poi fece un grosso respiro prima di continuare.
“Ma
è in questo stato da quasi un mese oramai e noi ce ne stiamo seduti lì fuori
pensando a cosa fare per aiutarla e nessuno di noi si è chiesto se lei voglia
davvero essere aiutata” disse.
“Che
intendi dire?”
“Sta
fisicamente bene, l’ha detto il suo dottore. Forse se non si sveglia è perché non
vuole farlo.”
“O
forse è tutto frutto di uno strano sortilegio che la tiene intrappolata da
qualche parte” Elijah scosse il capo avvicinandosi all’uomo.
“Andiamo…è
Allison Morgan; se è ancora in questo stato dopo
tutto questo tempo non è perché qualcuno o qualcosa la trattiene. Le ho visto
fare cose straordinarie, non è possibile che un incantesimo sia riuscito a
intrappolarla da qualche parte. Se avesse voluto avrebbe già trovato il modo di
risolvere la cosa” Constantine piegò il capo con espressione triste. “Tu e gli
altri vampiri avete provato ad entrare nella sua testa, ma non ci siete
riusciti e credo che sia perché lei ha deciso di tenervi fuori. Forse questo
coma è il suo modo di dirci che dobbiamo lasciarla andare.”
Dean
sgranò gli occhi, scambiò una rapida occhiata con Elijah, uno sguardo che
sembrava voler dire che odiava quell’opzione ma che era, effettivamente una
cosa possibile.
“Lasciarla
andare non è un’opzione!” esclamò Elijah. Nei suoi occhi un fuoco che
Constantine conosceva fin troppo bene. Aveva visto troppa gente fare follie in
nome di quel fuoco…
John
scosse il capo mentre raggiungeva la porta per lasciare la camera. Si chiese,
se Allison non si fosse svegliata presto, come
sarebbe andata a finire quell’incresciosa situazione.
****
Allison
sospirò alzando gli occhi al cielo. Lente lacrime le scendevano lungo le
guance. Quando suo nonno era sparito lei si era sentita persa, scoraggiata e
spaventata per la prima volta da quando si era ritrovata lì.
Non
sapeva quanto fosse passato, sembrava poco ma la sua esperienza in quel mondo
strano e soprannaturale le suggeriva il contrario. Potevano essere passati
mesi, persino anni… in quelle strambe dimensioni alternative in fondo il tempo
passava diversamente dal mondo reale.
“Hey!” urlò.
Si
diede della stupida subito dopo averlo fatto, dubitava che qualcuno le avrebbe
risposto e nonostante fosse la sua testa, era quasi certa di non averne il
pieno controllo, non in quel momento. Pensò di concentrarsi… forse se avesse
mandato il giusto input al suo cervello sarebbe riuscita a mandare un messaggio
al suo corpo e qualcuno delle persone nella sua stanza avrebbe capito. Ma in
fondo… c’era qualcuno nella sua stanza? Per quanto ne sapeva poteva non esserci
neppure una stanza, non aveva la minima idea di cosa fosse successo o di cosa
sarebbe successo.
“Magnifico!”
esclamò lasciandosi cadere sul prato. “Fottutamente fantastico!”
“Wow…
sapevo che eri strana, l’ho sempre saputo ma non credevo fino a questo punto.”
Allison
corrugò la fronte, si prese un attimo prima di voltarsi. Conosceva quella voce,
la conosceva bene. Dio… se le era mancata quella voce.
“Mason…”
mormorò voltandosi.
Gli
occhi chiari che incontrò le fecero rivivere un tuffo nel passato, un passato
che aveva sempre sentito di non aver vissuto fino in fondo.
“Che…
che cosa ci fai tu qui? Sei davvero tu?” gli chiese avvicinandosi. Allungò la
mano fino a sfiorarlo, poi la ritrasse incredula.
“Sì”
Mason le sorrise. “Sono io.”
“Cosa…
Mason, sono un po’ confusa in questo momento.”
Lui
annuì avvicinandosi a lei. “Lo so Allison. E ti dirò
tutto quello che so di questa storia, solo non ora.”
“E
quando allora?”
L’uomo
fece un grosso respiro, poi la tirò verso di sé e le prese il viso tra le mani.
“Dopo
di questo,” le disse poggiando la bocca sulla sua.
Castiel
prese la mano di Allison e se la avvicinò
delicatamente alle labbra. La sfiorò prima di poggiarla di nuovo sul letto e
sospirò abbandonandosi sconsolato sulla sedia. Era stanco, anche se
teoricamente lui non poteva percepire la stanchezza.
La
vista di Allison su quel letto d’ospedale con i suoi
begli occhi chiusi oramai da poco più di un mese lo faceva sentire sempre come
se fosse sul punto di vomitare. Si disse che quella sensazione di malessere era
decisamente una delle poche cose che non invidiava agli esseri umani.
Strinse
di nuovo la piccola mano della cacciatrice e sorrise ripensando al giorno in
cui si erano incontrati per la prima volta; lei così fiera, così curiosa… Castiel non aveva visto neppure un briciolo di paura in
quegli occhi nocciola quando lei, Dean e Bobby l’avevano evocato in quel
vecchio capanno.
I
due uomini gli sparavano contro spaventati dal fatto che niente fosse capace di
stenderlo, lei lo fissava curiosa. Confusa ma curiosa. Se chiudeva gli occhi
poteva ancora ricordare nei minimi dettagli l’espressione sorpresa su quel viso
adesso pallido e immobile, quando quella stessa notte era volato silenzioso a
casa di Bobby solo per rivedere lei. Spinto da un sentimento che allora non
sapeva descrivere o etichettare ma che ben presto aveva iniziato a comprendere.
Quel
sentimento gli era costato parecchio nel corso degli anni, era diventato il suo
punto debole, poi il suo punto di forza… poi era cambiato col tempo
lasciandogli dentro un mix di emozioni così grande e caleidoscopico che a
distanza di anni ancora lo facevano sentire confuso ma a cui non avrebbe
rinunciato per niente al mondo.
Posso toccarti le ali?
gli aveva chiesto lei quella notte. E quella domanda era stata l’inizio di
tante, tantissime cose.
SIOUX FALLS – SETTE
ANNI PRIMA
“Ah!” esclamò la donna
bevendo un sorso di acqua. “L’Angelo è tornato. Speriamo che tu abbia voglia di
condividere qualche informazione in più rispetto a prima.”
Castiel la fissò perplesso, seguendone con
gli occhi i movimenti lenti ma decisi. Era singolare quella creatura, l’aveva
percepito non appena gli si era avvicinato dentro quel capanno mentre Dean
Winchester e il suo amico gli scaricavano addosso ogni tipo di caricatore a
loro disposizione.
Lei invece l’aveva solo
guardato per tutto il tempo. In quegli occhi belli ma pervasi di malinconia lui
ci vedeva tutto un mondo. Si chiese se tutte le donne fossero belle come lei.
Con quella bellezza che stava perfettamente a metà tra l’innocenza e la
sensualità.
Poi si chiese da dove
fosse uscita fuori la parola sensualità e si rese conto che il suo tramite
stava apprezzando la vista.
Si scosse poggiando lo
sguardo da un’altra parte per un lungo secondo, poi sentì che lei si era
avvicinata.
“Tu sei… strana” le
disse voltandosi per guardarla di nuovo.
Lei si poggiò al
ripiano della cucina dietro di lei ed incrociò le braccia mentre un
sopracciglio le si sollevava in modo quasi innaturale.
“Beh grazie!” esclamò.
“Tu si che sai come fare un complimento ad una donna.”
Castiel la fissò. Sentiva qualcosa nel
tono della sua voce ma non avrebbe saputo dire cosa.
“Sono strana
semplicemente perché non ho avuto paura mentre tu avanzavi come Superman in
quel capanno, immune ai proiettili, alle trappole del diavolo e a tutti quei
simboli disegnati sul pavimento?” gli chiese lei.
Lui piegò poco il capo
e socchiuse gli occhi per un attimo. Avrebbe voluto chiederle chi diavolo fosse
Superman ma non ne aveva il tempo. Dall’alto lo stavano già richiamando e lui
doveva correre.
“Sì… tu non sembri
avere paura di me e la cosa mi rende perplesso” le sussurrò mettendosi dritto.
“Dovrei averne?”
“Dovresti. Gli Angeli
non sono così misericordiosi come credi,” replicò lui. “Noi siamo guerrieri…”
“Anche io sono una
guerriera,” lo interruppe lei. Nella sua voce graffiata non c’era il minimo
affanno o timore. Anzi c’era quasi un vago tono di sfida. Come se lo stesse
sfidando a sostenere il contrario di quello che gli stava dicendo.
“Però hai ragione, sono
un po’ strana” continuò lei avvicinandoglisi di qualche passo. “Sei un Angelo
del Signore e sei davanti a me in questo momento. Hai detto di aver salvato
Dean perché Dio ha dei progetti per lui e hai detto che il tuo vero aspetto può
ferire le persone, così com’è successo con PamèlaBarnes… Dovrei avere un sacco di domande ma l’unica a cui
riesco a pensare non ha nulla a che vedere con quel poco che sappiamo di te.”
La donna gli si
posizionò davanti con una postura fiera.
“Posso toccarti le
ali?” gli chiese.
E lui volò via pochi
secondi prima che un sorriso gli colorasse il viso.
“Apri
gli occhi Allison, ti prego.” Castiel
le accarezzò la fronte con una mano, sperando di poterla guarire come faceva da
sempre, con un semplice tocco. Solo che stavolta non era così semplice.
****
“Hai
detto che è stato Crowley a mandarti qui a parlare
con me?”
“Sì, ha detto che ti trovi davanti ad un bivio
e che ti serviva il mio aiuto” Mason annuì seguendola in quella distesa verde
ma desolata che, a quanto aveva capito, era la sua testa.
“Crowley?” ripetè lei. Ma più a se
stessa, o almeno questa fu la sensazione che ebbe Mason.
“Ne
parli come se lo conoscessi.”
Allison
fece un grosso respiro, poi si lasciò cadere seduta per terra e si massaggiò le
tempie mentre Mason prendeva posto accanto a lei.
Doveva
ammettere, anche se aveva cercato di convincersi del contrario, che aveva
assolutamente perso il controllo di tutta quella situazione. Era arrivata ad un
punto in cui capire quello che stava succedendo andava oltre le sue abilità e
nonostante fosse stato appurato che tutto stava avvenendo nella sua testa, come
una specie di strano sogno allucinogeno senza fine, lei non era capace di
prendere le redini di tutta quella storia e mettere insieme tutti i punti per
poter guardare al quadro completo. Prima Bobby, per conto del Paradiso, poi suo
nonno per conto di Dio solo sapeva chi o cosa, e adesso Mason Lockwood per conto di Crowley.
Tutta
quella storia non aveva un senso logico e lei si sentiva come dentro un film
infinito senza capo né coda.
“Cosa
ti passa per la testa?”
La
voce di Mason la distolse dai suoi pensieri e visto che non sapeva come
rispondere esattamente a quella domanda, decise di sorridere e pensare un
attimo prima di parlare.
“Non
ci capisco più niente Mason” ammise. “Prima compare Bobby Singer, un vecchio
amico morto qualche anno fa. Mi dice che è stato mandato in questo posto dagli
Angeli per convincermi a mollare, per convincermi a lasciarmi andare alla pace
eterna. A morire… perché, apparentemente sono in una specie di dannato coma.”
Mason
annuì senza dire nulla, lasciandole il tempo di elaborare le sue stesse parole.
“Poi
compare dal nulla mio nonno paterno,” riprese Allison
girandosi per guardarlo. “Rimane davanti ai miei occhi per una manciata di
minuti e non dice assolutamente nulla di utile, anzi è più confuso di me. E
adesso tu... Che sei stato spedito qui da Crowley per
chissà quale folle ragione.”
“Per
aiutarti, ha detto lui.”
“Aiutarmi
in cosa?” chiese Allison allargando le braccia. “Hai
per caso la minima idea di cosa stia succedendo? Perché se non ce l’hai dubito
che tu possa aiutarmi.”
“Ma
sei felice di vedermi!” puntualizzò lui con tono scherzoso.
Lei
rise scuotendo il capo. “Sì lo sono, è vero” ammise. “Ma come diavolo sei
finito all’Inferno? Sì, sei un licantropo è vero, ma non hai mai fatto del male
volutamente, non sei una persona malvagia e di solito le persone come te
finiscono in Purgatorio. O dall’altro
lato come lo chiamano in molti.”
Lui
sospirò passandosi una mano tra i capelli.
“Ero
lì infatti” le disse. “Ma quel posto è imploso ad un certo punto e così tutte
le anime sono state ricollocate, per così dire. Io sono finito dritto ai piani
bassi. Suppongo che non ci sia redenzione che tenga per quelli come me.”
“Ed
è allora che hai incontrato Crowley?”
Mason
scosse il capo. “Non sapevo nemmeno chi fosse all’inizio. Poi un giorno arriva
questo tizio chiuso in un cappotto nero, con un accento piuttosto irritante e
si presenta ai nuovi arrivati”
raccontò. “Dice di essere il Re degli Inferi e dopo aver blaterato quelle che
lui chiama le Regole di Crowley se ne va via.”
“Le
Regole di Crowley?”
ripeté lei sgranando gli occhi. “Megalomane figlio di puttana che non è
altro.”
“Attenta
alle parole. È di mia madre che stai parlando.”
Allison
balzò in piedi e si voltò a guardarlo; Crowley se ne
stava lì, chiuso nel suo cappotto col suo irritante accento ma era un po’
sollevata di vederlo perché aveva la sensazione che fosse l’unico che potesse
dirle cosa cazzo stava succedendo.
“Spero
che tu sappia spiegarmi che diavolo sta succedendo, Crowley.
Perché comincio ad essere incazzata” gli disse.
Lui
abbozzò un sorriso, poi schioccò le dita e Mason sparì sotto gli occhi
perplessi di Allison.
“Allora,”
mormorò avanzando verso di lei. “Da dove vuoi che cominci?”
****
“Claire
calmati, non riesco a capire niente” Cass si spostò
poco di lato, cercando di capire quello che Claire gli stava dicendo. La voce
della ragazzina era confusa, spaventata… sembrava fosse affannata, come se
avesse corso.
“Victor e Lily… È successo
qualcosa. Non so esattamente cosa. Stavo andando a trovarli ma ho notato che
c’era qualcosa di strano, del sangue sul pavimento e di loro non c’era traccia.
Ti prego Castiel, devi assolutamente venire qui.”
Castiel
annuì avvicinandosi ai Winchester e agli altri. “Claire dice che qualcosa non
va a Los Angeles, con Victor e Lily. Ha visto del sangue in casa ma di loro non
c’era traccia.”
Dean
scambiò una rapida occhiata con suo fratello e con Klaus che stava seduto
accanto a loro, poi prese il telefono dalle mani di Cass
e tirò fuori le chiavi dell’auto.
“Claire,”
le disse. “Qualunque cosa succeda rimani in casa e non uscire per nessuna
ragione al mondo. Sei al sicuro se rimani all’interno. Hai capito?”
“Sì, ma ti prego, dovete venire.”
“Arriveremo
più in fretta che possiamo.”
Il
maggiore dei Winchester riattaccò, poi si passò una mano sul viso. “Dobbiamo
andare a Los Angeles. Probabilmente si tratta di Matt. Cass,
tu vieni con me, Sam tu invece rimani qui. Se Allison
si sveglia voglio che veda almeno uno di noi.”
Sam
annuì alzandosi. “Okay ma Dean, potreste aver bisogno di altro aiuto.”
“Vengo
io!” Klaus si alzò e puntò lo sguardo su Dean. “Credimi, posso dare una mano.”
Castiel
annuì, poi diede una rapida occhiata all’interno della stanza di Allison prima di seguire il cacciatore ed il vampiro fuori.
****
“John,
sei sicuro di volerlo fare?”
Constantine
gettò la sigaretta e la spense con la punta della scarpa, poi si tolse
l’impermeabile e arrotolò le maniche della camicia bianca.
“Sicuro?
Non proprio…” disse. “Ma non ho altra scelta, soprattutto considerato che da
quando ho detto che forse dovremmo lasciarla andare, quel tizio… Elijah e quel
Winchester non mi fanno avvicinare al letto di Allison
senza controllarmi a distanza ravvicinata.”
Chas
scosse il capo muovendosi intorno a John, creando un cerchio di sale al centro
del quale Constantine si sarebbe seduto.
“Puoi
biasimarli?” chiese quando ebbe finito. “Hai praticamente suggerito di
lasciarla morire e quelle persone in quell’ospedale le vogliono bene. Come le
voglio bene io e come le vuoi bene anche tu.”
“Non
ho detto che hanno torto e l’idea non mi fa piacere” spiegò John. “Credo solo
che quando una persona passa la sua intera vita a sacrificarsi per gli altri, a
preoccuparsi per gli altri, è giusto darle la possibilità di scegliere cosa
vuole fare in… situazioni come queste.”
“Credi
che voglia arrendersi? Che voglia mollare e… avere pace?”
Constantine
si mise a sedere in una posizione simile a quella della meditazione. “Credo che
sia ora di chiederlo a lei” disse mentre chiudeva gli occhi.
Cominciò
a pronunciare una formula in una strana lingua e Chas
si chiese se fosse latino. Probabilmente
sì, pensò mentre pregava che tutto andasse bene.
NDA:
Grazie a tutti per le visite e i commenti. Non manca molto alla fine di
questa storia ma seguirà un sequel, perchè le idee
sono tante... Buona lettura :D
18.
“Direi
che è il caso che tu cominci dall’inizio.”
Crowley
annuì e avanzò di qualche passo verso di lei. Doveva ammettere che adorava
vederla confusa, gli dava un certo senso di soddisfazione; la grande Allison Morgan non sapeva da dove iniziare per mettere
ordine in quel caos che sembrava circondarla.
“Devo
ammettere che vederti così confusa e disorientata mi dà un certo brivido,” le
disse abbozzando un sorriso. “È piacevole, per una volta, vederti perdere il
controllo.”
“Se
credessi che ne vali la pena, ti darei un pugno dritto in faccia. Ma questo non
cambierebbe il fatto che sei un vero bastardo, quindi risparmierò le mie
energie.”
Il
Re degli Inferi rise. “Woah… eccola la Allison Morgan che tutti conoscono e amano. Sai, sei una
spina nel fianco ma capisco perché c’è tutta quella folla di gente in attesa e
in ansia per te di fronte alla tua stanza d’ospedale.”
“Ma
di che parli?” Allison allargò le braccia. Cercava di
mantenersi vaga perché non voleva fargli sapere quello che aveva capito e
perché… beh non ci aveva capito molto.
“Cercherò
di farti un breve ma preciso riassunto” le disse lui. “Tuo fratello ti ha
colpito in testa mentre eri vestita di tutto punto per partecipare ad un
matrimonio. Il colpo è stato talmente forte che sei entrata in una specie di
coma e in bilico tra la vita e la morte ti sei ritrovata in questa specie di
limbo.”
“Limbo?”
“Sì.
Siamo dentro la tua testa ma siamo anche in una dimensione ultraterrena, un
ponte tra il vivere e il morire. In casi come questi, l’Inferno e il Paradiso
cercano di accaparrarsi l’anima. Alcune volte stringono una sorta di patto tra
di loro così da non doversela contendere. Ad uno non interessa quindi la cede
all’altro senza troppi drammi.”
“Una
specie di mercato delle anime…” sussurrò Allison.
“Più
o meno. Ma in questo caso, e cioè nel caso specifico della tua anima… beh è una
guerra all’ultimo sangue.”
“Perché?”
chiese la donna e davanti allo sguardo di Crowley
sospirò e alzò una mano. “Sai una cosa? Non dirmelo… non sono certa di volerlo
sapere.”
“Ad
ogni modo,” continuò il Re dopo un momento. “Il Paradiso vuole che tu smetta di
lottare, credono che tu abbia fatto già abbastanza e che ti meriti un po’ di
pace. Io invece vorrei che aprissi gli occhi e tornassi a fare quello che sai
fare meglio; rompere le uova nel paniere ai cattivi.”
Allison
annuì prendendosi un attimo per riflettere; conosceva Crowley
ed era certa che dietro quella sua “richiesta” ci fosse molto di più di quello
che lui voleva lasciar credere.
“Lasciami
indovinare… tu hai già in mente un cattivo in particolare a cui vorresti che
rompessi le uova nel paniere vero?”
“Sei
sveglissima, non c’è che dire” il tono di Crowley era
sarcastico, ma il suo sguardo era serio come mai prima.
“A
chi hai pestato i piedi, Crowley? L’ultima volta che hai
mandato me, Sam e Dean a risolvere un tuo problema, ci hai mandati incontro
alla morte con una pistola che, dicevi, poteva uccidere Lucifero. E ricordi
com’è finita? Jo ed Ellen sono morti in quella
dannata città del Missouri.”
“Lucifero
era un problema di tutti e mi sembra di aver già detto che quello è stato un
errore in buona fede,” si difese Crowley. “Credevo
davvero che la Colt potesse farlo fuori. Perchè
nessuno vuole credermi?”
“Cerca
dentro di te e avrai la tua risposta” Allison si mise
le mani sui fianchi e si guardò intorno prima di voltarsi a guardare di nuovo
lui. “Perché non inizi a dirmi qualcosa di utile?”
“Ad
esempio?”
“Ad
esempio, come cazzo faccio ad uscire da questo fottuto posto? E se decido di
uscire chi mi costringerai ad uccidere appellandoti continuamente e
fastidiosamente al me lo devi?”
Crowley
aprì la bocca, pronto a dirle tutto. Ma si fermò mentre una luce bianca si
irradiava, quasi accecante, intorno a loro.
“Un’altra
volta Morgan, ora stanno venendo a prenderti.”
Allison
si perse nella vista di quella luce per un attimo, poi si coprì gli occhi e
alzò la voce quanto più poteva mentre un sibilo assordante le riempiva le
orecchie.
“Mason
Lockwood” gridò. “Riportalo in vita e poi potremo
parlare di tutto il resto.”
La
fronte corrugata di Crowley fu l’ultima cosa che vide
prima di svegliarsi in un letto d’ospedale; Elijah al suo fianco, la mano di
Caroline Forbes stretta nella sua mentre Sam
Winchester e Damon Salvatore la fissavano come se fosse un miracolo.
****
Dean
entrò tenendo la pistola puntata in alto. Non sapeva con cosa avevano a che
fare e quindi la pistola avrebbe potuto rivelarsi inutile, ma tenerla in alto,
pronta a sparare, era una cosa che lo faceva sentire sicuro.
A
casa di Victor, su un tappeto che una volta sembrava essere bianco, c’era una
grande macchia di sangue secco misto a polvere e sporcizia. L’odore putrido gli
fece avvertire un formicolio al braccio… il braccio segnato dal Marchio di
Caino, quel segno che sembrava trasformarlo in qualcos’altro ogni volta che
prendeva il sopravvento; cosa che accadeva fin troppe volte.
Il
suo pensiero volò ad Allison… si chiese se ci fosse
stato qualche miglioramento, si chiese se si fosse svegliata e, se fosse
successo, come avrebbe fatto a dirgli che la casa dell’uomo che l’aveva amata e
cresciuta come un padre, sembrava un campo di battaglia. Sangue ovunque, odore
di morte e nessuna traccia di lui o della sua molto incinta fidanzata.
Allison
e Lily non erano mai andate d’accordo. Si erano sempre comportate in modo civile,
ma avevano approfondito la loro conoscenza solo quel tanto che bastava per
accettarsi l’un l’altra nella vita dell’uomo che condividevano.
Victor
le amava entrambe, in modi ovviamente diversi e anche se con disappunto e
dispiacere aveva dovuto presto accettare il fatto che non sarebbero mai
diventate amiche, apprezzando lo sforzo che facevano per stare nella stessa
stanza in un clima di semi pace il tempo di una cena ogni tanto. Dean sapeva
che ad un certo punto, nel corso di quella relazione tra la donna e Victor, Allison aveva iniziato a tornare a Los Angeles con meno
frequenza e quando lo faceva se ne stava quasi tutto il tempo chiusa in casa
dando alla coppia lo spazio che Lily reclamava con tanta prepotenza.
Soprattutto da quando la donna aveva scoperto di essere incinta, Allison aveva limitato le sue visite a Los Angeles ad una,
massimo due al mese. Abbastanza da non far preoccupare Victor, insuffucienti a rompere la stabilità che l’uomo aveva
faticosamente costruito con la donna che amava.
Insomma,
Allison e Lily non erano amiche, potevano a malapena
definirsi conoscenti, ma Dean era certo che se le fosse successo qualcosa,
specialmente se la colpa fosse stata di Matt – come sembrava essere – la sua
amica non se lo sarebbe mai perdonata.
Se
invece tutto quel sangue sul pavimento fosse appartenuto a Victor…
“Cazzo!”
esclamò. “Spero che questo sangue non appartenga a Lily o peggio ancora a
Victor. Non sono certo che Allison riuscirebbe a
reggere il colpo.”
“Questo
Victor,” si intromise Klaus. “Esattamente come fa parte della vita di Allison? Non so molto di lui… Allison
non è esattamente il tipo di donna che condivide le sue storie familiari.”
Dean
annuì piegando le labbra in un lieve sorriso che voleva dire che sapeva
esattamente cosa Klaus intendesse.
“È
l’uomo che l’ha cresciuta e si è preso cura di lei da quando i suoi genitori
sono morti. Sono molto legati, come puoi immaginare. Da quando Lily, la
fidanzata di Victor, è entrata a far parte dell’equazione le dinamiche sono un
po’ cambiate; Allison ha deciso di farsi da parte,
per tenere il marcio lontano da loro.”
“Ma
a quanto pare il marcio li ha trovati comunque” Klaus si guardò intorno,
piegandosi sulle ginocchia per sentire meglio l’odore del sangue. “E la
ragazzina che ha telefonato invece? Quella da cui Castiel
è corso non appena siamo arrivati in città?”
“Claire
è la figlia di Jimmy, il tramite di Castiel. Dopo che
Cass ha occupato il suo corpo la famiglia dell’uomo è
andata in pezzi e Claire ha intrapreso una cattiva strada… per così dire. Allison le ha offerto la sua casa, un posto dove essere al
sicuro ed indipendente allo stesso tempo… il sogno di ogni ragazzina.”
Klaus
sorrise. Quel piccolo tuffo in una parte di vita di Allison
che non aveva mai conosciuto gli fece vedere la cacciatrice sotto un’altra
luce. Era sempre stato certo che chiamare lei per chiedere l’aiuto necessario a
proteggere Hope fosse stata la scelta migliore, ma in
quel momento la certezza si rafforzò ancora di più.
“Allison si sveglierà,” disse Dean rompendo il silenzio che
si era creato. “Lei è forte, si sveglierà. Deve… svegliarsi.”
Il
vampiro sospirò rimettendosi in piedi. Stava per dire che era certo che si
sarebbe svegliata ma quando aprì la bocca per palare lo sentì; il battito di un
cuore veloce e regolare. Seguì il suo udito fino in cucina facendo cenno a Dean
di stargli dietro.
Lì,
dietro la grande l’isola di marmo scuro se ne stava seduto un uomo. Era
insanguinato, evidentemente sotto shock e stringeva tra le braccia il corpo
senza vita di una donna.
“Oh
mio Dio…” mormorò Dean. “Victor…”
Victor
sembrò tornare alla realtà, alzò gli occhi sul cacciatore, il suo sguardo era
vuoto.
“È
morta” sussurrò stringendo più forte il corpo tra le sue braccia. “E anche la
nostra bambina.”
Scoppiò
a piangere mentre lo stomaco di Dean si contorceva stretto in una morsa di
rabbia e tristezza.
****
John
riaprì gli occhi, un senso di stordimento gli faceva tremare tutto il corpo
mentre un vento leggero e soprannaturale spazzava via il cerchio di sale dentro
il quale si era seduto quando aveva iniziato quell’incantesimo che sperava
avesse funzionato.
Chas
gli fu accanto in pochi secondi. “Stai bene?”
Constantine
annuì frugando nelle sue tasche alla ricerca di una sigaretta. Quando la trovò
la accese e dopo la prima boccata si sentì più calmo.
“Benissimo,”
mormorò sarcastico, la testa sembrava esplodergli. “Quanto tempo sono stato…”
“In
quella specie di trance in cui sei caduto appena hai iniziato a pronunciare
l’incantesimo?” finì Chas per lui. “Trenta minuti
circa. Credi che abbia funzionato?”
“Non
lo so” ammise John. “Credo che sia il caso di scoprirlo però.”
Tirò
fuori dalla tasca il suo cellulare e compose il numero di Allison.
Se lo portò all’orecchio con una certa ansia, un’aspettativa talmente alta che gli
fece venire la nausea.
Quando
la voce della cacciatrice, con quel tono graffiato, ripose dall’altro capo,
John tirò un grosso respiro di sollievo e una gioia mai provata prima prese il
posto di quello stordimento che sentiva.
“Non
hai idea di quanto sia felice di sentire la tua voce, Allison.”
disse mentre Chas scoppiava a ridere scaricando tutta
la tensione accumulata in quell’ultimo mese.
“Allison, non potresti prendertela comoda almeno per un paio
di ore? Ti sei svegliata due giorni fa dopo parecchie settimane di coma. Non
credi…”
“Non
era un coma, Sam. Era una dannata dimensione alternativa. Mio fratello ha
pensato bene di spedirmici tramite un colpo in testa così, mentre io ero
impegnata a capire come cazzo uscirne, lui poteva fare tutto… tutto questo.” Allison interruppe Sam e allargò le braccia indicando il
caos che regnava dentro casa di Victor.
Matt
non aveva toccato l’esterno, fissato com’era con il mantenere le apparenze… la
facciata era perfetta, forse ancora meglio di com’era prima che lui arrivasse
all’interno e distruggesse tutto sul suo cammino.
Mentre
Allison si crogiolava su un prato mosso dal vento
nella sua stessa testa, sorridendo a Mason Lockwood,
parlando con Bobby, abbracciando suo nonno e minacciando Crowley,
il suo dannato – nel vero senso del termine – fratello faceva a pezzi la vita
dell’uomo che l’aveva cresciuta come una figlia, che l’aveva amata come tale. E
amarla gli era costato la sua vera figlia e la donna che amava.
Allison
non era ancora certa di come suo fratello fosse tornato, ma era certa che fosse
opera di FinnMikaelson,
ragion per cui lui era sulla sua personale lista di vendette, dritto in cima,
quasi in parità con Matt.
Prima
però, aveva cose più importanti di cui occuparsi, come tirare fuori dal baratro
Victor, sperando di tirarlo fuori prima che la bottiglia di wiscky
che si portava sempre dietro da oramai ventiquattro ore lo portasse ancora più
a fondo in quel buco nero di dolore che sembrava averlo inghiottito. E
preparare il funerale di Lily. Non c’era nulla che potesse fare per riportare
lei o la bambina indietro… il minimo che poteva fare era pagare per tutte le
spese del funerale e per tutto quello di cui la sua famiglia avrebbe avuto
bisogno nei giorni a venire. I soldi non avrebbero sistemato le cose, lo
sapeva, ma era tutto quello che poteva fare… almeno fin quando non avrebbe
trovato Matt. Poi lo avrebbe ucciso. La sua morte non avrebbe cambiato quello
che era successo, ma sarebbe stata fatta giustizia.
“Non
provarci,” le disse Sam tirandola fuori dai suoi pensieri. “Non provare a darti
la colpa per quello che è successo. Non è stata colpa tua.”
“Sì
lo è stata. Anni fa avevo la possibilità di farla finita sul serio ma non l’ho
fatto. Non ho bruciato il suo corpo ed era logico che uno dei miei tanti nemici
avrebbe trovato il modo di usare la cosa a mio totale svantaggio.”
“Allison… non potevi sapere che sarebbe successa una cosa
del genere. Anche se avessi bruciato il corpo, magari sarebbe successo lo
stesso. Avrebbero trovato un altro corpo pronto ad ospitarlo e sarebbe comunque
tornato.”
“Probabile,”
rispose Allison cercando di mettere un po’ di ordine
in quel posto, pensando che magari sarebbe stato meglio comprare un tappeto per
nascondere quegli aloni di sangue che proprio non ne avevano voluto sapere di
andare via, nonostante avesse strofinato con tutte le sue forze per ore. “Ma un
altro corpo non gli avrebbe dato i vantaggi che il suo offre Sam. Apprezzo che
tu voglia provare a farmi sentire meglio, ma non devi addolcirmi la pillola,
non a me. Sai che non funziona.”
Sam
annuì aiutandola a spostare delle cose. “E come posso aiutarti allora?”
Allison
abbozzò un sorriso amaro. “Hai una macchina del tempo per caso?”
“Temo
di no.”
“Lo
immaginavo,” la donna si passò una mano sul viso. “Allora per ora puoi aiutarmi
a mettere in ordine e poi magari ad organizzare il funerale.”
“Tu
non metterai bocca sul funerale di Lily!” tuonò Victor arrivato alle loro
spalle.
Allison
sobbalzò e si voltò a guardarlo, in quegli occhi dentro i quali si aspettava di
leggere vuoto e tristezza c’era invece una furia tutta destinata a lei. Un bene,
che non si fosse perso del tutto dentro se stesso… un male perché quella rabbia
lei la conosceva perfettamente e non avrebbe portato a nulla di buono.
“Victor,
ti prego…” provò a dire. Ma lui la interruppe indietreggiando di qualche passo
ogni volta che lei avanzava.
“Questa
casa dovrebbe essere decorata per l’arrivo di mia figlia e invece è decorata
della morte dell’amore della mia vita. Ed è tutta colpa tua.”
La
donna deglutì a vuoto ma accolse il colpo senza neppure provare a difendersi.
Sapeva che un fiume di parole, brutte parole, prima o poi l’avrebbero colpita
ma non se la sentiva di alzare la testa e difendersi. Non quella volta.
“Tu,”
continuò l’uomo. “Porti morte e distruzione ovunque tu vada. Non voglio vederti
al funerale di Lily e di nostra figlia, anzi non voglio vederti mai più.”
“Victor,”
intervenne Sam.
Ma
Allison lo bloccò alzando una mano. Gli fece un cenno
con il capo mentre le lacrime minacciavano di bagnarle il viso e prese la sua
giacca pronta a lasciare la casa. Ma c’era una cosa che doveva dire, una cosa
prima di uscire. Ce l’aveva sulla punta della lingua, impossibile da trattenere
perché era fatta della stessa rabbia chiusa dentro gli occhi di Victor.
“Io
vendicherò Lily. Le vendicherò entrambe, stai certo di questo.”
Victor
rise, una risata nervosa, piena di tristezza. Poi la fissò con uno sguardo
glaciale.
“E
credi che questo mi faccia sentire meglio?” le chiese prima di voltarsi per ritornare
nella sua stanza. “Sam può restare, ma tu… ti voglio fuori da casa mia.”
Allison
non disse nulla. Però uscì di casa.
****
“Dammene
un altro per favore,” Allison fece scivolare una
banconota da cento dollari sul bancone mentre il barman le riempiva il
bicchiere. Il cartello con su scritto in
questo bar si beve responsabilmente le stava davanti agli occhi, rosso su
bianco e la faceva ridere. O forse era l’alcool a farla ridere in quel modo.
Pensò che se avesse dato al tizio un altro bigliettone quella targa sarebbe
andata a farsi fottere nel fondo di qualche cassetto.
“Non
ti hanno mai detto che non si beve da soli? Sempre meglio farlo in compagnia.”
Klaus
si mise a sedere accanto a lei e le prese il bicchierino dalle mani. Lei non
provò nemmeno a protestare, si mise invece in bocca una manciata di noccioline
consapevole che mai e poi mai sarebbero riuscite ad assorbire nemmeno un po’
della tequila che si era scolata nell’ultima ora. La testa le scoppiava già e
non era sicura che stesse accadendo davvero, ma era quasi certa che il bancone
ondeggiasse davanti ai suoi occhi.
Lasciò
cadere la testa su quel legno bagnato e stese il braccio facendolo scivolare sotto
il capo, come un cuscino. Le tornò alla mente il giorno in cui aveva trascorso
qualche ora in quello stato, anche se in un bar diverso, in compagnia di un
altro Mikaelson. Era a Mystic
Falls e anche allora qualcosa di terribile era successo. Anche se non ricordava
esattamente cosa.
“Mystic Falls è una città che mi porta davvero sfortuna”
mormorò mentre si rimetteva dritta.
L’ibrido
annuì prendendo a sua volta qualche nocciolina, poi incrociò le mani sul
bancone sicuro che Allison non avesse ancora finito
di dar fiato alla bocca in quel momento di sfogo.
E
infatti, dopo qualche secondo lei parlò di nuovo.
“Credi
che potresti trasformarmi in un vampiro?” sussurrò guardandosi intorno. La
cacciatrice dentro di lei prendeva il sopravvento sull’alcool.
“Suppongo
che potrei farlo” le disse lui. “Ma non credevo che ti interessasse la vita
eterna.”
“La
vita eterna?” fece eco lei. “No no, amico mio” gli diede una pacca sulla
spalla. “Voglio solo sbronzarmi in pace, almeno una sola volta senza che la mia
testa inizi a fare male dopo il terzo bicchiere di tequila. E poi potrai
uccidermi se vuoi.”
“Certo,”
la assecondò Klaus.
“Però
pensaci…” riprese Allison dopo qualche secondo di
silenzio. “Non è strano che io mi ubriachi così facilmente? Cazzo! Sono una
cacciatrice di mostri, sono una tosta, non dovrei iniziare ad avere la nausea
così presto quando decido di ubriacarmi. Voglio dire… io lavoro sodo. Sono un
eroe, salvo la gente. Non dovrei avere diritto ad una sbronza senza troppi
drammi?”
“Dovresti”
le disse Klaus afferrandola giusto in tempo mentre lei provava ad alzarsi,
sbandando, dallo sgabello. “Magari la
prossima volta potresti cominciare con qualcosa di più leggero della tequila,
così ti ubriacheresti più lentamente.”
“Ah!”
esclamò Allison prendendogli il viso tra le mani. “Sei
un genio del male. O solo un genio, scegli tu. Ma non starmi troppo intorno, io
porto morte e distruzione ovunque vada.”
Klaus
rise. “Ricordi con chi stai parlando?”
“Giusto.
Tu sei l’Ibrido cattivo… nessuno sopravvive al tuo passaggio. Ma io lo so… lo
so. So che tu non sei cattivo. Sei solo tanto triste, te lo si legge negli
occhi. Tuo padre non ti ha mai voluto bene e tua madre… beh di sicuro non si
merita il premio miglior madre dell’anno"
Allison gli accarezzò i capelli lentamente, senza
staccare gli occhi da quello sguardo chiaro e triste sul viso del vampiro. “E i
tuoi fratelli ti giudicano continuamente. Sì, hai fatto delle scelte
discutibili è vero. E spesso uccidi senza motivo… ma è perché tu riesci a vedere
il quadro completo Klaus. Tu lo sai da sempre… sai da sempre che a volte
bisogna fare cose discutibili per un bene superiore.”
“Il
tuo punto di vista è decisamente… unico dolcezza.
Ma non sono sicuro che sia del tutto esatto, purtroppo.”
Allison
rise, senza motivo. A parte l’acool. “Sei carino sai?
Non ci avevo mai fatto davvero caso, ma sei davvero carino. E tu mi trovi
carina?”
Klaus
si alzò di scatto, ma elegantemente. Le mani di Allison
le crollarono lungo i fianchi, lui invece le strinse il viso tra le sue
facendo vagare lo sguardo su ogni angolo di quel volto.
“Sei
più che carina,” le sussurrò. “Sei bellissima, e coraggiosa e forte. La donna
più forte che io abbia mai conosciuto e credimi quando ti dico che ho
conosciuto un notevole numero di donne nella mia vita. Ma tu sei speciale, lo
sei sempre stata. Ed è per questo che so che ce la farai, ad uscire da questo
vuoto, da questo senso di colpa che ti sta divorando dentro in questo momento.”
Allison
sentì che alcune lacrime le stavano scivolando lente sulle guance, ma non si
mosse di un millimetro, lasciando che fosse il pollice di Klaus ad asciugarle
dolcemente.
“La
sua intera famiglia è morta, ed è tutta colpa mia” mormorò con una voce
talmente sussurrata che un normale essere umano forse non sarebbe riuscito a
sentire chiaramente.
“La
donna che amava e un’innocente creatura che non aveva ancora avuto la fortuna
di vedere questo spettacolare mondo sono morte” le disse Klaus. “Ma Victor non ha
perso la sua intera famiglia. Tu sei ancora qui.”
“Lui
mi odia.”
“Lui
odia il mondo intero in questo momento. Sì, forse è arrabbiato con te, ma fai
in modo di essere accanto a lui quando sarà pronto a farsi aiutare, perché quando
tenderà la mano per essere afferrato la tua sarà l’unica che vorrà stringere.”
Allison
annuì, le lacrime le accarezzarono le labbra e Klaus le asciugò con un bacio
leggero e breve che non aveva nulla di romantico né di passionale, né di erotico. Era
solo dolcezza e amicizia. Lei chiuse gli occhi abbandonandosi al corpo forte
dell’Ibrido. Aveva bevuto tanto, ma sentì con una lucidità incredibile quelle
braccia stringerla. Una sensazione di calma e sicurezza le scaldò il cuore più
di quanto la tequila era stata capace di fare.
****
Il
funerale ebbe luogo in una delle più belle chiese della città. Un coro gospel
aveva cantato una versione straziante ma bellissima dell’Ave Maria. Erano state
versate lacrime a non finire, qualcuno aveva quasi perso i sensi, molti avevano
perso la voce mentre si alternavano sul grande altare per raccontare vari
aneddoti su Lily.
Allison
era rimasta in disparte, filandosela prima che la folla lasciasse la chiesa per
raggiungere il cimitero e poi prima che i partecipanti si disperdessero dopo la
sepoltura. Nonostante Victor le avesse chiesto di stare fuori dall’organizzazione
del funerale, si era premurata di far preparare la casa per il piccolo ricevimento
che era seguito. All’arrabbiatura di Victor avrebbe pensato dopo. Però era
rimasta lontana. Almeno quello glielo doveva.
“Stai
bene?” la voce di Castiel le arrivò quasi ovattata.
Allison
si limitò ad annuire mentre si alzava dal divano, lisciandosi la gonna nera per
riflesso.
“Vado
a riposare un po’. Chiamami se serve qualcosa” mormorò mentre lui la seguiva
con gli occhi.
Sapeva
che Castiel sapeva che non stava bene, ma sapeva
anche che non c’era nulla che potesse chiedergli di fare per farla sentire
meglio. Quando dopo qualche minuto poggiò la testa sul cuscino sperò che la
stanchezza avesse la meglio.
Chissà,
magari una volta sveglia si sarebbe accorta che era stato tutto un incubo.
Okay... Allison
avrà un nuovo amico e sotto potete vedere che faccia
avrà. Sarà una persona capace di toccarle il
cuore. E voi quale ship preferite? Buona lettura,
Roby.
20.
Allison
entrò nella villa giusto in tempo per vedere due uomini trasportare una
gigantesca imitazione della Tour Eiffel che posizionarono vicino alle scale.
Mentre
camminava nel grande atrio guardandosi intorno, si chiese se per caso non
avesse sbagliato posto. Erano passate tre settimane dal funerale di Lily e per
quanto avesse cercato in un lungo e in largo una qualche traccia di Matt, tutto
quello che era riuscita a trovare erano stati alcuni cacciatori spaventati
dalle voci che circolavano a tal proposito.
Matt il sanguinario è
tornato, chiudetevi in casa e pregate… chi fosse il genio che
gli aveva dato quel soprannome ancora lei non lo sapeva, ma immaginava che
terrorizzare la gente fino a quel punto fosse qualcosa che eccitava
terribilmente suo fratello.
Oltretutto,
a parte Victor che ancora la detestava, aveva anche la questione Mason Lockwood di cui occuparsi e lui era strettamente collegato
a Crowley che era a sua volta un problema ulteriore.
Dubitava che il Re dell’Inferno avesse già tirato fuori il lupo come lei gli
aveva chiesto, perché era certa che quando l’avrebbe fatto, sarebbe subito
corso a chiederle qualcosa in cambio.
Forse
anche l’Inferno di Crowley aveva delle trafile
burocratiche da seguire. Per un attimo si chiese se avrebbe potuto fare
qualcosa anche per Jo… e si ripromise di provare a
capire se era fattibile, ma senza dirlo ad Alaric che
già passava tutto il suo tempo ad ubriacarsi. O almeno questo era quello che le
aveva detto Caroline quando le aveva telefonato per dirle che dopo il sonno semi-eterno di cui Elena era caduta
vittima, Damon era tornato ad essere il Damon stronzo di tanto tempo prima.
Stronzo con tutti tranne che con Bonnie che
considerava la sua compagna di sventure.
Mentre
guardava Klaus dare indicazioni ad una giovane donna vestita da chef, Allison si ricordò che anche FinnMikaelson era un problema… ma prima di affrontare
tutte quelle cose, voleva prendersi qualche giorno per rimettersi in pista, per
chiarirsi le idee, fare il punto e poi ripartire. E magari nel frattempo
avrebbe capito perché c’era una torta di quattro piani blu e bianca su un
carrello che viaggiava lento verso la cucina.
“So
che sono stata in coma per un mese circa, ma non credevo che aveste trasformato
la villa in una sala ricevimenti” disse raggiungendo l’Ibrido Originale.
Klaus
rise incrociando le braccia dietro la schiena. “In un mese possono succedere
tante cose.”
“Sì,
l’ho notato.” Allison poggiò il borsone per terra e
sospirò guardandosi intorno. “Credevo che Hayley si
fosse sposata mentre io facevo il mio lungo pisolino in ospedale. Ha detto che
visto che mio fratello è entrato in gioco lei e Jackson hanno deciso di accelerare
i tempi così che Hope avesse la protezione di cui ha
bisogno il più in fretta possibile.”
“Oh
sì, è stata una cerimonia molto… toccante” le disse Klaus. “Ma di una noia
mortale. Elijah non mi ha permesso di uccidere nessuno.”
Allison
corrugò la fronte prima di scuotere il capo per poi fissare gli occhi su un
grande tavolo rotondo sopra il quale era posizionata quella che aveva tutta
l’aria di essere una fontana di cristallo.
“È
una fontana…” mormorò indicandola con un dito.
“Una
fontana di puro cristallo che ho fatto scolpire appositamente per l’occasione.
Questa sera verrà riempita di champagne. O qualunque altra cosa tu preferisca.”
“Io?”
chiese stupita lei. “Perché devo essere io a scegliere?”
“Perché
per quanto mi consideri piuttosto bravo nell’organizzazione di sfarzosi
ricevimenti, questa è la tua festa di compleanno, quindi l’ultima parola spetta
a te. Oh buon compleanno comunque.”
Allison
sgranò gli occhi incredula. Non tanto perché Klaus le stava organizzando una
festa di compleanno, quanto per il fatto che con tutte le cose di cui aveva
dovuto occuparsi, aveva finito col dimenticarsi completamente che giorno fosse.
“Io
non…” farfugliò grattandosi nervosamente la fronte. “Klaus…”
“So
che non è un buon momento con tutto quello che sta succedendo ma penso che ti
farà bene divertirti un po’. E tutti quelli che ho chiamato per invitare sono
stati d’accordo con me. Devo dire che non hai molti amici… umani. Anzi non hai
molti amici a prescindere. Quindi ho chiamato i Winchester, ma l’Angelo e Dean
rimarranno ad occuparsi di Victor e Claire quindi verrà solo Sam. Poi ho
chiamato Mystic Falls e Damon e Alaric
saranno qui tra poco. Anche se penso che siano più interessati all’acool che alla festa in sé.”
La
donna si voltò a guardarlo e sul suo viso Klaus poté leggere un certo disagio.
Forse non era stata una buona idea… Stava per dirle che se preferiva avrebbe
annullato tutto, che non sarebbe stato un problema. Ma lei lo precedette.
“Klaus
è… è molto gentile da parte tua” gli disse.
“Ma…”
Lei
sembrò rifletterci un attimo. “Niente ma. È solo che io… sono stata così
impegnata, girando in lungo e in largo per cercare mio fratello e tutto il
resto che…”
“Tu
non ricordavi che oggi fosse il tuo compleanno fin quando io non l’ho detto
vero?”
Allison
annuì piano, facendo vagare lo sguardo per impedire all’Ibrido di leggerle
dentro. Anche se non aveva mai dato grande importanza ai compleanni, non poteva
fare a meno di sentirsi un po’ umiliata e annullata.
Klaus
alzò la mano e le accarezzò gentile i capelli. “I compleanni sono sopravvalutati
in fondo” le disse. “Annullerò tutto, dammi solo qualche minuto e sarà tutto
sparito.”
“No,”
gli disse Allison. “Non voglio che annulli la festa. Hai
ragione, svagarmi un po’ mi farà bene. Riempi quella fontana, ma non di
champagne. Riempila di birra, sono sicura che sarà più apprezzata.”
L’Ibrido
abbozzò un sorriso. “E birra sia.”
“Fantastico!”
Allison prese nuovamente il suo borsone. “Dov’è Hayley? Dobbiamo andare a fare shopping. Ho decisamente
bisogno di un nuovo vestito per la mia festa di compleanno.”
“Non
è qui al momento.”
La
cacciatrice si avviò su per le scale. “Le farò una telefonata.”
Accelerò
il passo per arrivare più in fretta in quella che oramai era diventata la sua
camera e fu allora che li vide; Elijah e Gia
scambiarsi un appassionato bacio… Pensò che Klaus aveva ragione; in un mese
molte cose potevano succedere. Si schiarì la voce, un po’ per attirare la loro
attenzione, un po’ perché occupavano il centro del corridoio e lei doveva
passare.
Gia si staccò da
Elijah e la fissò con un sorriso che si trasformò in imbarazzo non appena si
rese conto che era lei.
“Allison…” mormorò la giovane vampira. “Buon compleanno. Quando
sei arrivata?”
“Poco
fa, e grazie. Ma… vi prego, non interrompete le vostre effusioni solo perché
sono qui. Fatemi passare e poi continuate pure.”
La
ragazza di fronte a lei si passò una mano sul viso imbarazzata. “Io devo andare
a dire il vero. Ci vediamo più tardi, alla festa.”
Scomparve
giù per le scale ed Allison la seguì con lo sguardo
per alcuni secondi prima di voltarsi di nuovo verso Elijah. “Ti sei consolato
in fretta dopo che Hayley si è sposata.”
Elijah
ignorò le sue parole e si passò la punta del pollice sulle labbra prima di
allungare la mano verso il borsone sulla spalla di Allison.
“Lascia che ti aiuti.”
Ma
lei scosse il capo scansandosi. “Ce la faccio da sola. Ma grazie.”
L’Originale
la seguì fino alla sua stanza e una volta dentro chiuse piano la porta e mise
entrambe le mani nelle tasche dei pantaloni prima di parlare. “Non è come
pensi.”
“Davvero?”
chiese Allison togliendosi la giacca. “Perché io
penso che tu e Gia vi steste baciando
appassionatamente.”
“Allison…”
“Elijah,
ascolta…” lo interruppe Allison. “Mio fratello sta
cercando di uccidermi e non si fermerà fin quando non ci sarà riuscito. L’uomo
che mi ha fatto da padre negli ultimi venti anni ha appena perso la sua intera
famiglia e Dean ha un dannato segno sul braccio che occasionalmente lo
trasforma in uno spietato assassino. E oltretutto devo un favore al Re
dell’Inferno e…” si fermò per riprendere fiato e sospirò avvicinandosi a lui di
qualche passo. “La mia vita sta cadendo a pezzi e io non ho la forza né la
voglia per nessun tipo di relazione. E anche se non fosse così, vorrei qualcuno
che sappia amarmi, che sappia amare solo me. Qualcuno che mi metta prima di
ogni altra cosa, prima di ogni altra donna. E chiaramente quella persona non
sei tu.”
Elijah
fece un grosso respiro. “Dimmi cosa vuoi da me, Allison.”
Lei
tirò fuori dal borsone le chiavi dell’auto. “È questo il punto Elijah… Io non voglio
niente da te. Non più.”
Ci
fu un minuto di lungo silenzio, poi Allison parlò di
nuovo. “Senti, devo andare ora. Mi serve un vestito per la festa. Ci vediamo
dopo.”
Elijah
la guardò uscire dalla stanza in silenzio. Con gli occhi fissi sul pavimento si
chiese cosa fosse quel senso di totale desolazione che sentiva dentro.
“Buon
compleanno” sussurrò. Ma lei non poteva sentirlo.
Allison
si sistemò la gonna e si diede una rapida occhiata allo specchio prima di
scostare la tenda del camerino ed uscire. “Quante Gia
conosci Hayley?”
L’altra
diede un bacio alla piccola Hope e sospirò. “Zio
Elijah è fuori di testa” sussurrò.
La
bimba le regalò un sorriso divertito, quasi avesse capito, ed Allison fece un grosso respiro alzandosi sulla punta dei
piedi per guardare meglio il completo che aveva messo insieme; la gonna di
pelle nera le arrivava a malapena al ginocchio e la fasciava perfettamente.
Risultava meno aggressiva di quanto avrebbe potuto immaginare, forse perché ai
lati c’era un leggero decoro a costine che la piazzava perfettamente a metà tra
il classico e il rock. Come piaceva a lei. Mentre si sistemava la magliettina
di tulle color cipria pensò che quell’insieme era perfetto per un paio di
scarpe che aveva comprato tanto tempo prima ma che non aveva ancora avuto modo
di indossare.
Le
aveva acquistate per andare sotto copertura ad una cena di beneficenza in una
casa infestata ma alla fine aveva dovuto occuparsi di altro e così era finita a
cacciare vampiri in una campagna abbandonata del Maine. Non il luogo adatto a
quel tipo di scarpe.
“Benissimo
come? Benissimo come una moglie trofeo o benissimo come una giovane donna
pronta a divertirsi alla festa?”
Hayley
stava per rispondere, ma si bloccò quando un giovane uomo si mise a sedere
accanto a lei sul piccolo divanetto, fissando Allison
come se volesse mangiarsela con gli occhi.
“Io
direi benissimo della serie la
temperatura è appena aumentata qui dentro” disse l’uomo e l’Ibrida
trattenne una risata voltandosi a guardare la sua amica.
Allison
piegò poco il capo, poi si girò e fissò lo sguardo sul nuovo arrivato. Non
aveva idea di chi fosse, ed era certa al cento per cento di non averlo mai
incontrato prima, perché lei non dimenticava mai un viso.
“Tu
chi diavolo sei? Non hai una fidanzata che sta svaligiando il negozio usando la
tua carta di credito da cui tornare?”
Lui
abbozzò un sorriso scuotendo il capo.
“E
allora perché sei dentro un negozio di abbigliamento per donne? Ti piacciono le
scarpe col tacco per caso?”
“Anche
se fosse?”
“Non
farebbe alcuna differenza per me, perché so a cosa stai pensando e la risposta
è no.” Allison lo guardò mentre lui si alzava e si
prese un attimo per ammirarlo meglio. Era bello lo sconosciuto, con quei
capelli biondi, gli occhi chiari e le labbra piene.
“Primo,”
le disse lui tirandola via dai suoi pensieri. “Non credo tu sappia a cosa sto
pensando. Secondo, mi chiamo Diego Raider.”
La
cacciatrice annuì e si avvicinò di qualche passo a lui. “Primo, so esattamente
a cosa stai pensando. Secondo, non ti ho chiesto come ti chiami” gli disse.
Rimasero
a fissarsi per alcuni secondi, nessuno dei due si mosse di un millimetro ed Hayley si sentì improvvisamente come una terza incomoda.
Pensò che la temperatura stava decisamente salendo.
Poi
Diego fece un sorriso sicuro e incrociò le braccia sul petto. “Stavo pensando
che, per quanto sono sicuro che questa Gia di cui
state spettegolando sia bella, dubito che possa battere te col tuo caratterino
autoritario e… tutto il resto.”
Allison
inarcò un sopracciglio. “Tutto qui? Questo è tutto quello che sai fare per
abbordare una donna? Ed io che per un attimo ho creduto che saresti stato
capace di sorprendermi.”
“Invitami
alla festa alla quale hai intenzione di divertirti e magari lo farò.”
La
donna indietreggiò di qualche passo, fino a raggiungere la soglia del camerino.
“Perché invece non trovi da solo la festa? E magari anche un modo per entrare?
Quello sì che sarebbe sorprendente.”
Diego
rise e si inumidì le labbra prima di parlare. “Va bene. Mi piacciono le sfide.”
“Buona
fortuna allora.” Allison chiuse la tenda del camerino
e sorrise al suo riflesso allo specchio. Quel flirtare era stata una totale
perdita di tempo, lo sapeva… ma era stato divertente e divertirsi era quello di
cui aveva bisogno.
****
Quando
la festa era iniziata, Allison si era resa conto che
di tutti quegli umani che avevano varcato la soglia, a parte Sam, Alaric e Camille non conosceva
praticamente nessuno. Su un grande tavolo sotto la riproduzione gigante della
Tour Eiffel erano stati posizionati diversi pacchi regalo ed Allison non poté fare a meno di sentirsi un po’ stupida.
Aveva più di trent’anni, non era più tempo di feste di compleanno per lei.
Tuttavia
si sentiva anche coccolata, come non le capitava da tempo e quello era un aspetto
di tutta quella storia che le faceva piacere. Mentre guardava gli Originali,
Marcel, Sam, Damon, Alaric… pensando anche a chi non
aveva partecipato, in qualche modo di sentì grata per quella strampalata
famiglia e sospirò pensando che avrebbe tanto voluto che un umano in
particolare fosse lì. Ma Victor stava ancora piangendo per le sue perdite ed Allison sentì le lacrime pizzicarle gli occhi.
“Klaus,”
chiese all’Ibrido che era vicino a lei. “Chi sono tutte queste persone che non
conosco?”
“Non
ne ho idea. Sono andato in un ristorante all’ora di pranzo e ho soggiogato tutti
i presenti a partecipare.”
La
donna lo guardò perplessa. “È una cosa… deprimente. Perché l’hai fatto?”
“Perché,
come ti ho già detto, tu non hai molti amici.”
Allison
sospirò, perché Klaus aveva ragione. “A proposito,” disse afferrando un
bicchiere di vino rosso. “I vampiri e i lupi non si metteranno a litigare tra
di loro vero?”
“Non
lo faranno. Ho detto loro che se si fossero azzardati anche solo a guadarsi
senza sorridere avrei strappato loro il cuore dal petto.”
“Ovvio
che l’hai fatto!” esclamò Allison bevendo un sorso
dal bicchiere. “Questa festa è magnifica. Non so davvero cosa dire per
ringraziarti.”
“Non
ce n’è alcun bisogno” Klaus fece un gesto con la mano. “Ma potresti dirmi qualcos’altro;
quel tizio che è appena entrato, è un tuo amico o un imbucato? Perché non
ricordo di averlo soggiogato.”
Allison
puntò lo sguardo in direzione dell’entrata e sorrise scuotendo poco il capo.
Eccolo lì Diego Raider… che aveva trovato il modo di sorprenderla.
“Oh
no, non l’hai soggiogato tu. È stata la mia gonna” rispose avanzando verso la
sua sorpresa.
“Devo ammetterlo, non
credevo che ti avrei visto qui stasera. Ad essere onesta credevo che non ti
avrei visto mai più.” Allison prese un calice di
champagne da un vassoio e glielo porse sorridendo al cameriere che ricambiò
proseguendo il suo giro.
Diego Raider abbozzò
un sorriso prendendo il bicchiere. “Mi hai chiesto tu di sorprenderti ed io l’ho
fatto. Sei sorpresa di essere sorpresa? O ti dà semplicemente fastidio esserti
sbagliata? Scommetto che non succede spesso.”
La donna bevve un
sorso del suo vino e si mordicchiò il labbro prima di parlare. “Tu non sai
neppure il mio nome, quindi come fai a sapere cosa mi infastidisce e cosa no?”
“Vero,” ammise lui. “Ma
vedi, io ho un dono… mi basta un solo sguardo per capire tutto o quasi della
gente.”
“Oh non mi dire…” Allison rise. “Ti va di darmi una dimostrazione?”
“Va bene” Diego si
guardò intorno, poi guardò di nuovo lei. “Ma prima dovresti dirmi il tuo nome,
non funziona altrimenti.”
“Certo,” lo assecondò
lei. “Sono Allison.”
“Bel nome,” sussurrò
lui. “Bene, Allison… Scommetto che tu sei a questa
festa solo perché stai passando un momento difficile e ti andava di divertirti
per staccare un po’ la spina. Quasi certamente detesti il festeggiato” continuò
indicando con un dito un grande festone di buon
compleanno. “Anzi, a giudicare dalla riproduzione gigante della Tour Eiffel
direi che la festeggiata è una donna.”
“Impressionante”
scherzò Allison.
“Lo so” rispose lui
fingendosi convinto. “Ma non ho ancora finito. Dicevo… probabilmentedetesti la festeggiata ma da sempre sei
abituata a fare buon viso a cattivo gioco. Odi farlo ma molte volte non hai altra
scelta. E anche se non avere altra scelta è una cosa che non sopporti, ti adatti
in fretta.”
Allison deglutì a vuoto cercando di
mantenere il controllo e si chiese se quando Diego aveva usato la parola dono aveva parlato metaforicamente o se
invece si trattasse di un dono vero e proprio. Non sarebbe stata la prima
volta, in fondo, che un uomo interessante si rivelava qualcosa che non era…
“Stai bene?” le
chiese lui toccandole un braccio, trascinandola a forza fuori dai suoi
pensieri.
“Sì,” gli sorrise
lei. “Mi ero solo persa nei miei pensieri per un attimo.”
“Succede spesso
quando parlo con una donna che mi piace,” ammise lui con un sospiro. “Parlo
troppo e finisco per annoiarle a morte.”
Allison sospirò scuotendo il capo. “No,
non è questo. La tua analisi è stata piuttosto divertente in realtà, hai anche
azzeccato un paio di cose.”
Diego sgranò gli
occhi. “Sul serio?”
“Sembri sorpreso”
disse lei scoppiando a ridere.
“Lo sono! Di solito
dico solo una marea di parole senza senso ma non indovino mai assolutamente
nulla.”
“Beh in questo caso
hai azzeccato almeno una cosa. A volte detesto davvero la festeggiata.”
“A proposito,” disse
lui. “Puoi almeno mostrarmela? Mi sono imbucato alla sua festa, sarebbe il caso
di augurarle quanto meno buon compleanno.”
“Certo,” Allison sorrise. “Ce l’hai davanti.”
Diego la guardò
dritta negli occhi con un’espressione che la fece ridere di gusto… di nuovo.
****
“Incredibile..” Gia raggiunse Eljah e si mise al
suo fianco tenendo gli occhi fissi su Allison. Dentro
sentiva una sorta di gelosia che non era capace di controllare e si chiese se,
se non fosse stata un vampiro, quella strana sensazione sarebbe stata
altrettanto forte oppure no. Mentre la cacciatrice rideva di gusto con quella
risata rauca e contagiosa, attirando senza neppure provarci l’attenzione di
tutti i presenti, Gia realizzò che la forza con cui
quell’emozione l’aveva colpita non aveva nulla a che vedere col suo essere
vampiro, ma piuttosto col suo essere una donna.
“Cosa è incredibile?” chiese
Elijah senza guardarla.
Anche gli occhi dell’Originale
eleganti rimanevano fermi sulla festeggiata, ammaliati da quell’esplosione di
gioia che sembrava averla colpita, affascinati dal carisma che emanava,
attratti da quelle curve messe perfettamente in evidenza da una gonna che forse
nessun altra avrebbe saputo indossare con tanta eleganza e malizia allo stesso
tempo.
“Lei,” rispose Gia indicandola con un gesto discreto della mano. “Così
sexy e magnetica senza nemmeno provarci.”
“Credo che il segreto sia proprio
quello,” si intromise Klaus arrivando alle loro spalle. “Che non ci provi
nemmeno.”
“Il segreto,” Elijah si voltò
lentamente tenendo lo sguardo basso e una mano chiusa nella tasca dei pantaloni
del suo completo scuro. “È che lei non ne è assolutamente consapevole. Non si
rende conto di essere incredibilmente bella” disse poggiando di nuovo gli occhi
su di lei.
Klaus abbozzò un sorriso che
mascherò bevendo un sorso di champagne e scosse il capo dando una rapida
occhiata a Sam che li stava raggiungendo .
“Beh grazie per avercelo detto tu
Elijah” Gia inarcò un sopracciglio prima di sbattere
il bicchiere sul tavolo. “Credo che io me ne andrò a casa. Ho sempre odiato le
feste comunque.”
Il vampiro si allontanò sotto lo
sguardo perplesso di Elijah che però non provò neppure a fermarla e Sam fissò Klaus
con sguardo interrogativo.
“La nostra cara Gia era un po’ stanca…” gli spiegò l’Ibrido. “Schiacciata
dal peso dell’indecisione di mio fratello.”
“Molti sicuramente apprezzano il
tuo sottile e fastidioso sarcasmo, Niklaus” disse
Elijah voltandosi a guardarlo. “Mi spiace informarti che io non sono uno di
quei molti.”
Sam sorrise riconoscendo
perfettamente lo sguardo sul viso del vampiro elegante e si ricordò di quando
quello stesso sguardo era stato stampato prima sul viso di suo fratello,
terrorizzato dai rapporti sentimentali seri ma innamorato perdutamente di lei,
poi negli occhi di Cass diviso tra il suo essere una
creatura divina e i suoi desideri molto più simili a quelli degli umani.
“Non conosco tutta la storia,”
disse guardando Allison. “Ma credo di aver capito e
vorrei darti un consiglio, se me lo permetti.”
Il più giovane dei Winchester si
zittì per qualche secondo, poi parlò di nuovo quando si rese conto che il
silenzio di Elijah era un silenzio assenso.
“Lei è speciale,” riprese. “E non
si tratta del fatto che è bellissima e forte e senza peli sulla lingua. È
qualcosa di più, qualcosa che viene da dentro. Non so dirti cosa sia ma so
dirti che una volta che entra nella tua vita non riesci più a farla uscire. Ci
rimane per sempre. Sa aspettare, ma non tirare troppo la corda perché per
quanto sia paziente, se la corda si spezza… beh diciamo soltanto che non c’è
modo di ripararla.”
Elijah piegò poco il capo. Fece
un grosso respiro e aprì la bocca per dire qualcosa. Fu in quel momento che
Damon Salvatore fece la sua comparsa, seguito da Alaric
che già stringeva in mano un drink.
“E quello chi diavolo è?” chiese
il maggiore dei Salvatore indicando l’uomo che sussurrava qualcosa all’orecchio
di Allison facendola sorridere.
****
“Oh ecco la festeggiata!” Alaric si sforzò di sorridere mentre si avvicinava ad Allison. Sapeva che anche lei stava soffrendo per tanti
motivi diversi e vederla sorridere gli faceva così piacere che non voleva assolutamente
rovinare il momento. Per un attimo ripensò a Jo e a
quella famiglia che non aveva avuto la possibilità di nascere e crescere e
ancora una volta si chiese per cosa valesse la pena vivere.
“Alaric”
disse lei allargando le braccia per stringerlo in un abbraccio. “Grazie di
essere venuto.”
“Scherzi? Non mi sarei perso la
festa di compleanno della mia più cara amica per niente al mondo.”
“E oltretutto l’alcool è gratis e
di ottima qualità.”
“Sì” Alaric
abbozzò un sorriso passandosi una mano tra i capelli. “Anche questo.”
Allison annuì respirando a fondo. Capiva
come si sentiva l’uomo, anzi lo sapeva fin troppo bene. Sapeva anche che il
troppo bere sarebbe potuto diventare un problema serio col passare del tempo,
ma non era ancora il momento di intervenire.
“Andrà meglio,” gli sussurrò
sollevandosi sulla punta dei piedi per dargli un bacio sulla guancia. “Oh quasi
dimenticavo. Questo è il mio nuovo amico Diego Raider” aggiunse facendo cenno a
Diego. “Diego, questo è il mio amico Alaric.”
“Alaric,”
l’uomo gli strinse la mano. “Nome interessante. È un piacere conoscerti.”
“Sbaglio o qui si stanno
consumando delle presentazioni?” Damon arrivò bevendo e diede una pacca sulla
spalla di Alaric prima di guardare Allison. “Buon compleanno Allison.
Lasciatelo dire… sei bellissima. Molto più del solito.”
Allison gli sorrise. “Grazie Damon. Lui
è…”
“Diego,” finì l’uomo per lei. “Diego
Raider.”
“Damon Salvatore.” Damon gli
strinse la mano e gli si avvicinò. Fissò lo sguardo dentro il suo e parlò. “Ora
dimmi la verità. Cosa sei tu esattamente? Non stai cercando di fregare Allison vero?”
“Sono un uomo e assolutamente no”
rispose l’altro senza smettere di guardarlo. Gli effetti del soggiogamento
chiari sul suo viso. “Mi piace moltissimo Allison. La
trovo bellissima, sotto tutti i punti di vista. Voglio conoscerla meglio e
spero che lei voglia lo stesso.”
Il vampiro rise e gli diede un
colpetto sul viso. “Bene. Buona fortuna allora.”
Quando si allontanò Diego scosse
lievemente il capo e fissò Allison. Lo sguardo
confuso, come se si fosse perso qualcosa. “Credo di aver bevuto un bicchiere di
troppo” sussurrò sorridendo.
La cacciatrice piegò poco il capo
fulminando Damon con lo sguardo e lui si dileguò seguito da Alaric.
“Vuoi dell’acqua?” Allison si voltò verso Diego. “O magari fare un pisolino?
Ci sono delle belle camere di sopra. Molto spaziose.”
Lui scosse poco il capo e guardò
l’orologio. “No, ma credo che dovrei andare a casa. Ho un po’ di cose da fare.”
“Lavoro?”
“Sì,” l’uomo annuì. “Sto aprendo
una piccola tavola calda sulla Bourbon Street. Si chiama The Shelter. E c’è ancora molto da
sistemare.”
“Una tavola calda… interessante.
Magari passerò a trovarti domani, ti porterò un pezzo di torta.”
“Mi sembra un’ottima idea.
Comunque starò sveglio fino a tardi, nel caso volessi fare uno spuntino a base
di torta in compagnia a tarda notte” la guardò malizioso ed Allison
non poté fare a meno di sorridere.
Si strinse nelle spalle e si
schiarì la voce. “Vedremo.”
L’uomo le si avvicinò di qualche
passo e le diede un bacio sulla guancia, poi si allontanò e lasciò la casa.
Pochi secondi dopo le luci si abbassarono e il vociare confuso si trasformò in
un oh di sorpresa quando una
magnifica torta di compleanno venne portata al centro della sala, due scintille
accese in cima e una bottiglia di champagne in attesa di essere stappata dalla
festeggiata.
****
Era notte fonda quanto tutti
lasciarono la casa. Tutti compreso Sam che aveva preferito mettersi in viaggio
subito per essere di ritorno a Los Angeles quanto prima. C’era un nuovo caso, a
quanto le aveva detto, ma niente di preoccupante. Si sarebbero occupati loro di
Victor, tenendola aggiornata.
Prima di andare però le aveva
lasciato un regalo di compleanno da parte di Castiel;
un foglio che attestava l’iscrizione al liceo di Claire. Cass
aveva pensato che le avrebbe fatto piacere ed in effetti era stato il regalo
più gradito. Klaus, comunque era stato capace di sorprenderla regalandole la
prima edizione originale del 1813 di Orgoglio
e Pregiudizio che, giurava, era stata proprio Jane Austen
a regalargli.
Allison sorrise sistemando tutto nella
sua camera e poi raggiunse l’atrio dove Hayley stava
dando una mano a mettere in ordine.
“Hey,”
disse all’Ibrida “cercavo proprio te.”
“Mi hai trovata. A proposito, ho
visto che il sorprendente Diego è riuscito a sorprenderti.”
“Sì, to uscendo per andare da lui
a dire il vero. Gli ho promesso un pezzo di torta.”
“Solo la torta?”
Allison rise e annuì tirando fuori dalla
tasca della giacca un bracciale di diamanti che brillava in modo incredibile
sotto la luce del grande lampadario.
“Solo la torta,” rispose. “Ma
prima di andare ho un regalo per te.”
Le mostrò il bracciale ed Hayely corrugò la fronte perplessa.
“Per me? Non è il mio compleanno.”
“Ma ti sei sposata. E non ti
avevo ancora fatto un regalo di nozze.”
“Allison”
mormorò Hayley. “Non devi farmi un regalo.”
“Sì che devo e voglio farlo. Mi
piace Jackson e spero che a lui piacerà questo bracciale che indosserai quando
andrete a cena fuori ed io rimarrò qui a badare ad Hope.”
Hayley scosse il capo prendendo il
regalo che Allison le porgeva e sospirò guardandola. “È
bellissimo.”
“Era di mia madre,” confessò Allison recuperando una fetta di torta dal tavolo che
ancora non era stato portato via. “Era di sua madre e viene tramandata di generazione
in generazione.”
“No!” esclamò Hayley.
“Riprendila, non posso tenerla.”
“Hayley,
questo bracciale è fatto per una sposa, e dubito che io mi sposerò mai. Sì, il tuo
matrimonio è… un po’ insolito. Ma questo non significa che non possa diventare
qualcosa di importante. Avrei voluto dartelo il giorno delle nozze, così da
permetterti di indossarlo insieme all’abito da sposa ma ero in coma, quindi…”
“Allison,
io non…”
“Devo andare ora,” la interruppe Allison sorridendole. “Ci vediamo domani.”
Hayley la guardò uscire senza
aggiungere altro, stringendo in mano quel bracciale che però era molto di più
di quel che sembrava.
****
Quando Allison
arrivò alla tavola calda di Diego, sorrise scoprendo che la porta era aperta.
Pensò che l’avesse lasciata per lei, il che dimostrava una sicurezza in se
stessi che a lei piaceva, che la intrigava.
Varcando la soglia però si rese
conto che non era esattamente come aveva pensato. Diego era riverso sul
pavimento, un vampiro sopra di lui si stava nutrendo azzannandogli il polso,
vari altri morsi erano visibili sulle braccia, persino sul viso dell’uomo.
Un altro vampiro invece se la
rideva bevendo seduto ad un tavolo. Fu proprio lui che la vide. Si alzò di
scatto guardandosi intorno, come se cercasse un modo per scappare e attirò l’attenzione
dell’altro che si voltò a guardare la donna.
A differenza del suo compagno di
avventure però lui non mostrò alcuna paura, anzi rise alzandosi in piedi ed
avanzando verso di lei con i denti pronti ad azzannare. Allison
poggiò la torta sul bancone e con una mano chiuse a chiave la porta. Poi si
tolse la giacca e fece cenno al vampiro di avvicinarsi.
Volevo
aspettare un po' prima di postare questo capitolo, ma era pronto quindi
perchè aspettare? :)
22.
Il
vampiro si lanciò su di lei, nei suoi occhi venati di rosso una rabbia che la
cacciatrice aveva visto tante volte negli occhi di quasi tutti i suoi nemici.
L’altro succhiasangue, come Dean amava definirli,
giaceva per terra, un paletto conficcato nel suo petto; morto dopo aver tentato
invano di ucciderla.
Allison
lo colpì con un destro dritto sul naso. Non ne era certa, furiosa com’era, ma
credeva di aver sentito qualcosa scricchiolare. Dal suo naso colavano lenti
rivoli di sangue ad un ritmo regolare, sentiva il suo labbro superiore in
fiamme ma tutto quello di cui le importava in quel momento era il corpo di
Diego steso sul pavimento, pallido, sanguinante.
La
donna afferrò il vampiro per i capelli e gli sbattè
il viso sul bancone, poi barcollò quando lui indietreggiò sbattendola contro il
muro. Tossì, per la forza del colpo ma colse l’occasione per piazzargli le mani
al lati del viso. E con un unico gesto deciso gli spezzò il collo.
Il
vampiro cadde privo di sensi e lei scivolò piano lungo la parete. Aveva il
fiatone e gattonò fino a raggiungere il corpo di Diego. Si accertò che fosse
ancora vivo e tossendo di nuovo si guardò intorno pensando a cosa fare. Fuori
era l’alba e per la prima volta da tanto tanto tempo non sapeva esattamente cosa
fare. Sapeva che dare al ferito l’aiuto necessario aveva la priorità su tutto
il resto, ma se avesse lasciato lì il vampiro svenuto non lo avrebbe più
trovato al suo ritorno e anche la vendetta aveva un posto importante tra le
cose da fare, almeno per lei.
Prese
il cellulare dalla tasca interna dalla giacca e fu sorpresa di vedere che
nonostante i colpi funzionava ancora. Compose l’unico numero che le venne in
mente in quel momento e strinse la mano di Diego nella sua.
Lente
lacrime le scendevano sulle guance, sfiorandole il labbro ferito bruciavano
come l’Inferno e si sentiva stanca come non le era mai successo. Forse, pensò
mentre la voce del suo interlocutore le riempiva le orecchie, doveva prendersi
una pausa. Ma aveva troppe cose a cui pensare.
“Mi
serve aiuto,” mormorò. “Sono sulla Bourbon Street, in una tavola calda chiamata
The Shelter. C’è... c’è la mia auto parcheggiata
fuori. Fai presto, ti prego.”
Allison
lasciò cadere il cellulare per terra, poi diede una carezza a Diego e con la
poca energia che le rimaneva tirò fuori il suo pugnale. Raggiunse il vampiro
privo di sensi e dopo aver premuto sul suo labbro superiore per far scivolare
fuori i canini colpì con forza fino a romperli.
Abbozzò
un sorriso soddisfatto mettendoseli in tasca e fu allora che Elijah e Klaus
entrarono, l’Ibrido per primo.
“Che
diavolo è successo?” chiese guardandosi intorno. “Questi sono due dei vampiri
di Marcellus.”
Elijah
lo sorpassò scansandolo, raggiunse Allison e si piegò
per prenderle il viso tra le mani. Piangeva e tremava ed era in uno stato in
cui non l’aveva mai vista.
“Stai
bene?” le chiese scansandole i capelli dal volto. “Tutto questo sangue…”
“Non
è mio,” disse lei reprimendo un singhiozzo. “Io ho solo qualche graffio ma
Diego” lo indicò con un dito. “Respira a malapena. Ti prego, devi aiutarlo.”
Klaus
si morse il polso, poi lo avvicinò alle labbra dell’uomo lasciando cadere
qualche goccia e dopo qualche secondo le ferite iniziarono a rimarginarsi e il
respiro a tornare regolare.
“Starà
bene” la rassicurò. “Ma ora anche tu devi prendere un po’ del mio sangue.”
Lei
scosse il capo scansando il braccio dell’Ibrido e si ripulì il labbro con la
manica della giacca. Si aggrappò ad Elijah per rimettersi in piedi e sbandando
raggiunse il vampiro ancora incosciente.
“Devo
fare una cosa” disse afferrandolo per le braccia e trascinandolo piano verso
l’uscita.
“Allison” Elijah le si avvicinò. “Ti reggi a malapena in
piedi. Non puoi andare da nessuna parte in questo stato.”
“Me
la caverò. Aiutami solo a rinchiuderlo nel bagagliaio della mia auto.”
“Allison…”
“Aiutami
ho detto!” urlò lei. “Farò quello che devo e non c’è niente che tu possa fare
per farmi cambiare idea. Puoi solo scegliere se aiutarmi o meno, quindi… vuoi
darmi una mano oppure no?”
Elijah
scambiò una rapida occhiata con Klaus, poi la aiutò.
****
Marcel
indietreggiò abbozzando un sorriso. Pensò che da quando Allison
si era preso la briga di allenarli, i suoi ragazzi, come lui li definiva, non
erano mai stati così in forma. Alcuni di loro, i più abili, avevano anche
imparato ad usare i loro sensi amplificati per combattere ad occhi chiusi.
Allison…
bella e letale!
Marcel
aveva conosciuto molta gente durante la sua lunga esistenza, persino un numero
notevole di cacciatori, ma mai nessuno come lei; non uccideva per principio,
non superava mai i limiti e non guardava alle creature soprannaturali dall’alto
in basso, al contrario di molti dei suoi colleghi.
Ma
sapeva tutto quello che c’era da sapere sul soprannaturale, non sbagliava mai
un colpo e aveva tanti contatti. Probabilmente metà di quelle conoscenze le
doveva un favore. Pensò che voleva chiederle di dargli una mano con una vecchia
strega con cui non era mai riuscito a raggiungere un accordo per una
collaborazione. Magari lei con quel suo modo carismatico e persuasivo sarebbe
riuscita nell’impresa.
Stava
per mostrare ai suoi vampiri una mossa che lei gli aveva insegnato quando la
cacciatrice fece il suo ingresso, dietro di lei Elijah trascinava un vampiro
insanguinato con le mani legate… uno dei
suoi ragazzi.
“Che
diavolo succede?” chiese avanzando verso di lei. “Louis, stai bene?” domandò al
suo vampiro.
Lui
annuì senza dire nulla, dagli angoli della sua bocca scendeva del sangue.
“Si
chiama Louis?” Allison gli diede una rapida occhiata,
prima di voltarsi di nuovo verso Marcel. “Non lo sapevo. Oh e io sto bene,
grazie per avermelo chiesto.”
“Allison” le chiese lui. “Che diavolo sta succedendo?”
I
suoi vampiri si avvicinarono creando un semicerchio che fermo fissava la scena
ed Allison pensò che se avessero reagito, se avessero
iniziato a combattere lei non ce l’avrebbe fatta; le gambe sembravano cederle e
sentiva freddo. Ma rimase in piedi e li fissò con aria sicura, senza mostrare
come si sentiva.
La
cacciatrice mise la mano in tasca, la tirò fuori dopo qualche secondo di attesa
e lanciò qualcosa contro Marcel. Lui indietreggiò appena per riflesso, poi
guardò a terra e sgranò gli occhi quando si rese conto che quello che stava
osservando erano dei canini.
“Sono
quello che penso?” chiese pensando che magari era giunto ad una conclusione
troppo affrettata. “E dov’è Jason? Credevo che loro due fossero insieme a fare
la ronda.”
“Quindi
non hai dato tu l’ordine?” replicò Allison.
“Quale
ordine?” chiese di rimando Marcel. “Non capisco che cosa diavolo stia
succedendo.”
“I
tuoi vampiri non stavano facendo la ronda” spiegò lei. “Quando li ho trovati
stavano aggredendo e dissanguando a morte un uomo dentro il suo stesso locale.”
“Non
è possibile,” le disse lui mettendosi le mani sui fianchi. “Non ho mai dato un
ordine del genere.”
“Forse
i tuoi vampiri non sono poi così obbedienti. Forse sono semplicemente degli
animali, è nella loro natura in fondo.”
“Perché
non ascoltiamo la sua versione prima di giungere a conclusioni. Sono certo che
ci sia una spiegazione,” Marcel posò lo sguardo su Louis. “Avanti, dimmi che
sta succedendo.”
“Oh
credo che avrà difficoltà a parlare per un po’. Come avrai capito da un rapido
sguardo al pavimento, gli ho strappato i canini. So per certo che perdere le
vostre zanne vi fa più male di un paletto di legno conficcato nel corpo. E se
ne vedi solo due non è perché ho deciso di risparmiare Jason, ma perché l’ho
ucciso e visto che era morto non aveva senso privarlo dei suoi denti.”
Si
alzò un vociare confuso, poi alcuni dei vampiri avanzarono minacciosi ed Allison non si lamentò quando Elijah si mise davanti a lei
per farle da scudo.
Marcel
fermò i suoi soldati con un gesto
della mano e sospirò rimanendo in silenzio per qualche minuto.
“Ascoltatemi
bene” disse Allison spingendo Louis verso Marcel. “Da
oggi in poi Diego Raider è off-limits. Persino la strada in cui lavora lo è. È mio amico ed è sotto la mia protezione. Se
qualcuno ha un problema parli ora e cercheremo di trovare una soluzione, la prossima
volta non sarò così disponibile a trattare.”
“Sei
una puttana!” urlò uno dei vampiri raggiungendo Louis.
“Fossi
in te modererei il linguaggio” lo avvertì Elijah con la sua solita calma.
Allison
ignorò l’insulto e si avvicinò a Marcel. “Mi dispiace di aver dovuto uccidere
uno dei tuoi, ma non mi ha lasciato altra scelta. Ti conosco da poco ma so per
certo che non vuoi essere il leader di un piccolo esercito soprannaturale che
uccide gli esseri umani solo per il gusto di farlo. Mi sbaglio per caso?”
“No,
non ti sbagli” Marcel scosse il capo. “Indagherò su tutta questa vicenda ma ti
sarei grato se in futuro mi mettessi al corrente di quello che sta succedendo prima
di mutilare i miei uomini.”
La
donna piegò le labbra in un’espressione di assenso. “Mi sembra giusto.”
“Ora
vai a riposarti. Hai un aspetto di merda.”
La
cacciatrice indietreggiò e senza aggiungere altro lasciò la casa seguita da
Elijah. Non aveva uno specchio ma era certa che Marcel avesse ragione. Si
sentiva una merda.
****
Una doccia calda fa sempre sentire
meglio era un luogo comune a cui Allison
non aveva mai creduto. Infatti, dopo una doccia calda, lei non si sentiva
affatto meglio.
Mentre
il getto dell’acqua lavava via il sangue e lo sporco, aveva avuto modo di
pensare alla piega che la sua vita aveva preso da qualche tempo a questa parte
e non le piaceva per niente. Le tragedie sembravano seguirla ovunque e per un
attimo si convinse che Victor non aveva poi tanto torto quando aveva sostenuto
che morte e distruzione la seguivano ovunque andasse.
Si
asciugò gli occhi, ma fu inutile perché le lacrime continuavano a scendere,
calde e lente, segno che il suo autocontrollo aveva raggiunto il limite. Come
un vaso colmo. Sobbalzò quando bussarono alla porta della sua camera e si
strinse l’accappatoio in un gesto istintivo.
“Avanti”
disse più forte che poteva. Ma la voce le tremava terribilmente.
Elijah
fece capolino con la testa ma rimase fuori in attesa di un cenno che lo
invitasse ad entrare. Quando lei gli sorrise, lui avanzò richiudendosi la porta
alle spalle.
“Klaus
ha detto che il tuo… amico si riprenderà. Ha dato una ripulita, si è liberato
del corpo di Jason e ha soggiogato Diego per fargli dimenticare tutto quello
che è successo dopo la festa.”
Allison
annuì facendo un grosso respiro. “Grazie. Mi dispiace di avervi chiamati, so
che avete già un sacco di cose a cui pensare. Ma non sapevo come sistemare la
cosa.”
L’Originale
si sbottonò la giacca e si piegò sulle ginocchia, poi prese le mani di Allison tra le sue. “Smettila di dire stupidaggini. Non c’è
niente di cui tu debba dispiacerti e non c’è motivo di ringraziare. Tu sei
parte della famiglia e sei importante per noi. Sei importante per me.”
Lei
annuì di nuovo, quasi come se non sapesse cosa dire, quasi come se fosse a corto
di parole.
“Ora
devi prendere un po’ del mio sangue, guarirà le tue ferite” Elijah si avvicinò
il polso alle labbra ma Allison lo fermò prendendogli
la mano.
“Sono
solo dei graffi,” gli disse. “Non voglio che tu li guarisca. Mi ricordano per
cosa combatto.”
“Io
ti conosco Allison; non hai bisogno di un labbro
spaccato e di questi lividi per ricordarti per cosa combatti.”
“Sono
stanca Elijah,” la donna singhiozzò scoppiando in lacrime. “Sono tanto stanca.”
L’Originale
sentì gli occhi riempirsi di lacrime, ma sentì anche il desiderio di
stringerla, di essere forte per lei che in quel momento sembrava tanto fragile.
Le prese il viso tra le mani e le diede un bacio leggero sulla fronte.
“Lo
so,” le sussurrò. “Aggrappati a me, sono qui.”
Ed
Allison lo fece; lasciò che le lacrime scendessero e
che il dolore la abbracciasse mentre Elijah la avvolgeva stringendola forte.
Forse era proprio quello di cui aveva bisogno.
Il
suo telefono vibrò sul comodino ed Allison aprì gli
occhi a fatica nonostante avesse dormito tutto il giorno e la notte fino a quel
preciso istante. Le faceva male ogni parte del corpo, soprattutto un lato del
viso sul quale, con una rapida occhiata subito dopo la doccia, aveva capito
sarebbe uscito un bell’occhio nero. Anzi, forse la zona si era già gonfiata perché
lo sentiva pesante, quasi come se avesse difficoltà a tenerlo aperto.
“Pronto”
mormorò, la voce rauca come non mai; per la stanchezza e anche un po’ per il
fatto che aveva pianto a dirotto tra le braccia di Elijah fino a sentirsi
esausta, finchè i singhiozzi non le avevano graffiato
la gola.
“Ooh…”
risposero dall’altra parte. “Non hai mai
usato un tono di voce così graffiato con me prima. Stai cercando di sedurmi
forse?”
“Crowley” bofonchiò lei in tono seccato. “È notte fonda e
ieri ho avuto una pessima giornata. Non sono proprio in vena quindi dimmi cosa
vuoi e sarà meglio che sia importante.”
“Lo è. Credi che
altrimenti perderei tempo a telefonarti nel bel mezzo della notte? Anche io ho
cose più importanti di cui occuparmi.”
“Certo,”
Allison si mise a sedere sul letto e sospirò. Era
buio pesto ma era certa di essere sola nella stanza, Elijah doveva essersene
andato dopo che lei si era addormentata. “Che succede?”
“Il tuo amico… il
licantropo che mi hai chiesto di tirare fuori dall’Inferno.”
“Mason.”
“Lui, o come diavolo si
chiama”Crowley si schiarì la
gola e dal cambio della tonalità della sua voce Allison
capì che si stava muovendo. “Missione
compiuta. E giusto perché tu lo sappia è stato difficile tirarlo fuori, ho
dovuto dare qualche spiegazione.”
“Hai
dovuto dare qualche spiegazione a chi?” chiese Allison
perplessa. “L’Inferno è di tua proprietà.”
“Sì questo lo so, ma se tiro fuori un’anima
senza alcuna utilità, come il tuo amico ad esempio, devo dare una spiegazione
quanto meno credibile ai miei più stretti collaboratori. Si fanno domande e non
posso dire loro che l’ho tirato fuori solo perché tu me l’hai chiesto
altrimenti finiranno per pensare che lavoro per te mentre in realtà…”
“Okay,
ho capito” tagliò corto Allison. “Ma visto che mi hai
già anticipato che per questo favore dovrò lavorare per toglierti dai piedi
qualcuno, avresti potuto dire la verità.”
“Che sarebbe?”
“Io
e te abbiamo una stretta collaborazione lavorativa che la maggior parte delle
volte si rivela redditizia per entrambi.”
Crowley
rise. “Sei l’umana più sveglia che
conosco, ma a volte penso che passare troppo tempo con Alce e Scoiattolo non ti
faccia bene.”
“E
questo che vorrebbe dire?”
“Il Re degli Inferi non
collabora con la cacciatrice più odiata. Le dà la caccia fin quando non riesce
a prenderle l’anima e una volta che l’ha fatto la tortura fino a disumanizzarla
completamente.”
Allison
chiuse un attimo gli occhi, ma non poté fare a meno di provare un brivido
pensando al fatto che quello che Crowley aveva appena
detto l’aveva di certo messo in pratica tante volte.
“Hai
finito di raccontarmi i tuoi sogni nel cassetto?” gli chiese.
“Il tuo lupacchiotto”
disse l’altro ignorando le sue parole, ma Allison
notò che sembrava un po’ infastidito. “Incontriamoci
a mezzanotte lì in quella mega villa dove vivi a New Orleans. Io te lo consegno
e ti dico cosa devi fare per me.”
“No!”
esclamò la cacciatrice scuotendo il capo nel buio della stanza. “Non alla
villa.”
“Che c’è? Non vivi più
lì? Che io sia dannato… ti sposti più frequentemente di una comunità gipsy.”
“C’è
una vecchia casa poco fuori New Orleans, un posto fatiscente e abbandonato da
anni. È l’unica casa in quella zona, non puoi sbagliare. Ci vediamo lì a
mezzanotte in punto.”
“Come ti pare.”
Crowley
riattaccò ed Allison guardò l’ora sul display del suo
cellulare. Segnava le quattro del mattino; inutile tornare a dormire. Meglio
farsi una doccia calda e poi iniziare la giornata. Era tempo di rimettere le
emozioni e le vulnerabilità nel cassetto. Non era il momento di essere fragile.
****
Quando
Elijah arrivò in cucina, Allison stava seduta a
tavola con una tazza di caffè davanti, lo sguardo perso nel vuoto. Il labbro
gonfio e arrossato, il viso tumefatto. Sembrava fragile come non mai e lui
sospirò guardandola dalla soglia della porta.
Hayley
lo raggiunse non appena lo vide, la piccola Hope
invece era in braccio a Jackson, sorrideva giocando con un cucchiaino,
rigirandoselo tra le mani incuriosita.
“Che
cavolo le è successo?” sussurrò indicando Allison con
un gesto discreto del capo. “Se ne sta lì seduta, con lo sguardo perso nel
vuoto e sembra che sia stata investita da un camion.”
Elijah
si sbottonò la giacca e si inumidì le labbra prima di parlare. “Ieri ha avuto
una giornata difficile ma sta bene.”
L’Ibrida
incrociò le braccia sul petto. “Questo è quello che ha detto anche lei, io però
vorrei sapere la verità.”
“Hayley” l’Originale fece un grosso respiro fissando di
nuovo lo sguardo sulla cacciatrice. Muoveva il dito lentamente sul bordo della
tazza, totalmente assente e a lui venne solo voglia di stringerla di nuovo. “Ha
solo avuto una brutta giornata, sta bene. Te lo assicuro.”
Hayley
lo seguì fino al tavolo e lo osservò mentre si versava una tazza di thè.
Sembrava tranquillo ma si capiva che era nervoso, anche se provava a
nasconderlo. Si chiese perché perdesse tempo con Gia
quando era ovvio che fosse innamorato di Allison. E
nonostante qualcosa lo legasse a lui, a lei piaceva la cacciatrice, era sua
amica ed era bella e forte. La donna perfetta per Elijah.
“Allison,” sussurrò Elijah poggiando la mano su quella della
donna. “Come ti senti?”
“Mai
stata meglio” rispose lei senza guardarlo. “Come hai detto tu stesso ad Hayley.”
Lui
sospirò e bevve un sorso dalla sua tazza, Jackson invece abbozzò un sorriso
dando un bacio alla piccola Hope prima di darla in
braccio ad Hayley.
“Allison,” chiese guardando la cacciatrice. “Posso farti una
domanda? È una curiosità più che altro.”
“Purchè tu non mi chieda come sto puoi chiedermi tutto.”
“È
vero quello che si dice su tuo fratello?”
“Si
dicono un sacco di cose su mio fratello,” Allison
bevve un sorso di caffè oramai tiepido. “Potresti essere più specifico?”
Jackson
si schiarì la voce, sentiva gli occhi di Elijah su di sé, anche quelli di Hayley. Ma non riuscì comunque a frenare la sua curiosità, perché
si dicevano un sacco di cose su Allison Morgan la
bella e coraggiosa cacciatrice con un passato oscuro.
“Che
sia il vampiro più violento e sanguinario degli ultimi vent’anni?”
“Sì.
Mio fratello è un sadico bastardo il cui hobby preferito è uccidere la gente.
Non si ferma davanti a nulla, neppure davanti ai bambini.”
“E
adesso è tornato…”
Allison
annuì mettendosi comoda sulla sedia.
“Sto
per dirti una cosa adesso, e sono certo che per quanto brusco possa sembrare tu
capirai perché lo dico.”
“Jackson…”
intervenne Hayley.
Ma
Allison alzò una mano per fermarla e sospirò
poggiando le braccia sul tavolo. “Ti stai chiedendo se sia davvero il caso che
io rimanga qui mettendo in pericolo tutti, Hope compresa,
visto che uccidermi è la priorità numero uno sulla lista del mio pericoloso
fratello.”
“È
esattamente quello che stavo pensando.”
“Io
invece mi chiedo come esattamente questi siano affari tuoi considerato che
questa non è neppure casa tua” Elijah si voltò verso Jackson parlando con la
solita calma che lo caratterizzava.
“Qui
vogliamo tutti proteggere Hope,” argomentò il lupo. “La
mia preoccupazione è legittima.”
Elijah
sorrise appena. “Nessuno mette in discussione la legittimità della tua
preoccupazione, ma questo non ti autorizza a decidere chi può o non può vivere
qui.”
“Jackson
ha ragione” disse Allison alzandosi. “Se io fossi
stata lui mi sarei fatta le stesse domande.”
“No!”
esclamò Hayley poggiando lo sguardo su suo marito. “Non
ha affatto ragione.”
“Sì,
invece” ripeté la cacciatrice. “Dovremo riparlarne, ma non ora perché ho delle
cose di cui occuparmi. Qualcuno di voi ha idea di dove sia Klaus?”
“Lui
e Rebekha si stanno occupando di alcune faccende che
riguardano il corpo che ospita Rebekha”
“Interessante… Tornerò appena possibile.” Allison si avviò verso l’uscita. “E non prendetevela con
Jackson solo perché è stato onesto!” urlò mentre recuperava la borsa
precedentemente lasciata sul mobile all’entrata.
****
Allison
non era più certa che andare lì fosse stata una buona idea. Mentre bussava alla
porta guardandosi intorno le tornarono alla mente gli avvenimenti della notte
in cui il suo nuovo amico era quasi morto.
Sospirò
cercando di calmarsi e indossò il suo miglior sorriso quando Diego aprì la
porta. L’uomo la osservò preoccupato e le si avvicinò prendendola delicatamente
per le spalle.
“Che
cosa ti è successo?” le chiese confuso ed Allison
pensò che quello era uno dei pochi casi in cui era grata al potere del
soggiogamento.
“Io
ho… ho avuto un piccolo incidente d’auto. È stata una collisione piuttosto
violenta ma per fortuna nessuno si è ferito gravemente e…”
Diego
la strinse piano poggiandosela delicatamente sul petto, una mano intorno alle
sue spalle, l’altra tra i suoi capelli. Allison si
zittì rimanendo immobile, sorpresa dal gesto.
“Questo
per cos’è?” chiese alzando le mani e poggiandogliele sulle spalle ben
impostate.
“Hai
tutta l’aria di averne bisogno,” rispose lui sinceramente dandole un bacio sui
capelli. “E hai un profumo buonissimo” aggiunse accennando una risata.
La
donna rise stringendosi poco di più a lui; pensò che ne aveva davvero bisogno.
Allison
sospirò rumorosamente, il picchiettare delle sue dita sul volante era l’unico
rumore che riecheggiava nell’auto. Guardò il nome sul display lampeggiare per
qualche secondo prima di decidersi a rispondere; non perché ne avesse davvero
voglia, ma solo perché altrimenti non avrebbe mai smesso di chiamare.
“Cosa
posso fare per te?” disse abbandonando la testa contro il sedile.
“Manchi da ore e non
rispondevi al cellulare. Eravamo tutti preoccupati per te.”
La
cacciatrice scosse il capo, non esattamente la voce che si aspettava di
sentire. “Elijah… perché mi stai telefonando dal cellulare di Hayley? Avevi paura che non avrei risposto se avessi visto
il tuo numero?”
“In tutta onestà sì… Il
pensiero ha sfiorato la mia mente, ma il vero motivo è che il mio cellulare è
andato distrutto durante un piccolo conflitto con alcuni licantropi.”
“Vorrei
chiederti se stai bene, ma dalla tua voce direi di sì, quindi…” Allison guardò l’orologio al suo polso e scese dall’auto. “Ad
ogni modo, se non è importante avrei un po’ da fare adesso. Starò via per
qualche giorno a proposito. Devo risolvere alcuni problemi.”
“Via dove? E che tipo
di problemi? Potremmo aiutarti.”
“Sono
diretta a Non sono affari tuoi, una
piccola città nel Sud del Non ho bisogno
di aiuto ma grazie.”
Elijah
respirò a fondo prima di parlare e quando lo fece, Allison
poté sentire che il suo tono era cambiato. Si era ammorbidito, anche se suonava
un po’ infastidito.
“So
che sai cavartela da sola, ma non ti farebbe male lasciarti aiutare ogni tanto.
Soprattutto in questo momento. Sei ancora ferita e…”
“Sto
bene Elijah, ho solo qualche ammaccatura. Se avrò bisogno telefonerò, lo
prometto. Ma ora devo andare.”
La
donna volse lo sguardo a Crowley che era appena
arrivato. Teneva per il braccio Mason, confuso e disorientato; era sporco di
sangue ma sembrava stare bene. Riattaccò senza dare all’Originale il tempo di
rispondere o di captare qualche suono intorno e mise il cellulare in tasca
avanzando verso il Re dell’Inferno.
“Mason…”
sussurrò sorridendo. “Stai bene?”
Lui
annuì deglutendo a vuoto, ricambiò il sorriso con gli occhi lucidi e si liberò
dalla presa di Crowley per raggiungerla. La strinse
forte, rilassandosi completamente quando lei ricambiò l’abbraccio, scaldandolo
col calore della sua pelle.
Allison
gli accarezzò le spalle, poi la nuca. Gli baciò la guancia indietreggiando appena
e si sfilò lentamente la collana che aveva al collo. Una sottile catenella
dalla quale pendeva l’anello che lei stessa gli aveva regalato anni prima. L’anello
che poche ore prima aveva chiesto a Davina, la potente strega che conosceva
appena ma di cui Marcel sembrava tanto fidarsi, di trasformare in un anello lunare. Proprio per Mason…
“Indossa
questa collana e aspettami in auto. Arrivo subito” gli disse.
Mason
annuì di nuovo prendendo la catenina,
stringendole le mani per un attimo mentre lo faceva. Raggiunse l’auto e salì a
bordo, rilassandosi contro il sedile.
La
cacciatrice invece si avvicinò a Crowley. “Grazie di
averlo riportato indietro.”
Il
Re la guardò per un lungo minuto, con quello sguardo carico di domande e
superbo che aveva sempre.
“Che
diavolo ti è successo alla faccia? Sembri uscita da un incontro di pugilato.”
“Ho
avuto un piccolo scontro con alcuni vampiri.”
“E
ti hanno ridotta così? Che diavolo Morgan… ultimamente ogni volta che ci
incontriamo sei sempre tumefatta o in coma... o roba del genere. Stai perdendo
il tuo tocco.”
Lei
respirò a fondo stringendosi nelle spalle. “Sto solo avendo un brutto periodo.
Ad ogni modo che ti importa? Se non ti conoscessi direi che sei preoccupato per
me.”
“Ti
sbagli di grosso” Crowley abbozzò un sorriso. “Sono
preoccupato per me. Mi devi un favore e presto sarò pronto a riscuoterlo,
meglio per te che tu sia pronta e… sana per allora. Perché se fallisci il tuo
amichetto peloso torna dritto ai piani bassi.”
Allison
piegò gli angoli della bocca in un sorriso forzato. “Non minacciarmi Crowley. Sai che odio quando lo fanno. Sarò pronta, e poi
saremo pari.”
“Vedremo”
il demone mise le mani nelle tasche del cappotto. “Non che io mi preoccupi per
te o per la tua vita, sia chiaro… ma ho sentito alcune cose. Cose che
riguardano tuo fratello.”
“Che
tipo di cose?”
“Pare
che stia radunando un piccolo esercito e che colpirà presto, molto presto.
Potrei occuparmene io se vuoi.”
“E
questa premura in realtà è puramente egoistica giusto? Hai bisogno che io sia
in forma per riscuotere il tuo favore.”
“Vedo
che inizi a capire come funzionano le cose” Crowley sospirò.
“Questo… e anche il fatto che io detesto profondamente tuo fratello. È un
pallone gonfiato.”
La
donna corrugò la fronte, trovando inquietante il pensiero che Crowley e Matt si conoscessero.
“Esattamente
tu come conosci mio fratello?” chiese, e mentre lo faceva si rese conto che
forse non voleva sapere la risposta.
“Stava
cercando di arruolare i miei demoni.
Ho dovuto chiedergli di smettere di farlo…i miei demoni sono miei, lavorano solo per me e nessun altro.”
“Quando
l’hai incontrato? Dove si trova?” Allison si avvicinò
a lui. Si chiese se quell’incontro avrebbe dato più frutti di quanti credeva.
Ma
Crowley indietreggiò scuotendo il capo. “Non ho idea
di dove si ora, ma anche se lo sapessi non te lo direi. Stai uno schifo e Matt
non è esattamente il più dolce dei fratelli… ti annienterebbe in un secondo e
mi servi. Ora devo andare, ma mi farò sentire presto.”
Sparì
ed Allison serrò le mascelle stringendo i pugni per
un attimo. Si voltò per guardare in direzione dell’auto e grazie alla poca luce
proveniente dal lampione poté vedere che Mason si era addormentato. Tirò fuori
il suo cellulare e scorse la rubrica prima di far partire la chiamata.
“Tyler”
disse quando dall’altro capo risposero. “Vieni a New York, parti adesso e parti
da solo. Ti invio l’indirizzo con un messaggio.”
****
MikaelMikaelson non era mai stato un uomo dal cuore tenero.
Chiunque lo aveva incontrato sia prima che dopo la sua trasformazione l’aveva
sempre considerato un duro… un bruto nel migliore dei casi, una bestia senza
cuore nel peggiore.
Nessuno
si era mai fermato a chiedersi perché quell’uomo dall’aspetto virile ma non
violento, visibilmente innamorato di sua moglie fosse così duro con i suoi figli,
soprattutto con uno di loro. Nessuno tra quelli che l’avevano giudicato si era
fermato a chiedersi quale fosse il dolore che si portava dentro, da dove
venisse tutta quella rabbia.
Una
figlia perduta, un figlio che non era suo… un tradimento che bruciava nel fondo
dello stomaco. Sensazioni che una volta trasformatosi si erano amplificate. Freya… la sua dolce bellissima Freya
non c’era più e lui non avrebbe mai avuto il piacere di vederla crescere e diventare
forte, bellissima ed indipendente.
Amava
Rebekah, ma la perdita bruciava forte in fondo all’anima,
e anche quando l’anima aveva smesso di averla bruciava ancora.
Forse
era per questo che la sera in cui aveva incontrato Allison
Morgan era scattato qualcosa in lui… negli occhi di quella giovane donna aveva
visto lo stesso dolore che vedeva nei suoi quando si guardava allo specchio.
Probabilmente proprio quel dolore che li accomunava in qualche modo l’aveva
legato a lei. Sì… doveva essere quello, altrimenti non si spiegava perché sentisse
il bisogno di aiutarla. Anche il ritorno della sua Freya
l’aveva cambiato. Si erano riuniti da poco ma sentiva già un cambiamento.
Raggiunse
il ragazzo che stava osservando da un po’ e gli si sedette accanto. “Non si
dovrebbe mai bere da soli,” gli disse facendo segno al barman.
“Se
offri tu per me va bene.”
Mikael
bevve un sorso, poi si voltò a guardarlo. “Sono Mikael.”
NDA:
Ancora qualche capitolo in questa storia e poi un sequel... cosa vi
piacerebbe leggere andando avanti nella storia? Fatemelo sapere nei
commenti :)
25.
NEW YORK CITY – NEW
YORK
“Ancora
non capisco come tu abbia fatto a convincere il Re dell’Inferno a riportarmi
indietro” Mason si mise a sedere sul letto accanto a lei e sospirò. “Proprio me
che non sono praticamente nessuno.”
Allison
gli sorrise mettendosi in piedi. “Mi dispiace dirtelo, perché sembrerò
terribilmente crudele, ma credo che il fatto che tu non abbia una grande
importanza sia il motivo per cui ti ha lasciato andare. Non gli sei di nessuna
utilità ma io sì, ed è per questo che quando gli ho chiesto di riportarti
indietro ha colto al volo l’occasione di farmi un favore.”
“Così
adesso sei in debito con lui” ragionò Mason passandosi una mano tra i capelli
ancora bagnati. Il calore ed il pulito di una doccia erano sensazioni che si
era sforzato di dimenticare durante la sua permanenza ai piani bassi. Inutile
crogiolarsi nel pensiero di qualcosa che era sicuro non avrebbe mai più avuto.
E
invece Allison Morgan era arrivata a salvargli la
vita. Anche lei era un pensiero che aveva provato, invano, a togliersi dalla
testa, perché quel qualcosa che era nato tra loro non era mai sbocciato e lui
se ne pentiva ogni giorno.
Ripensò
a quel passato, a Katherine… quanti errori aveva
fatto. E quegli sbagli lo avevano portato alla morte.
“Esattamente”
rispose lei.
“Ma
sei certa che lavorare con lui sia una buona idea Allison?
Voglio dire… non sembra esattamente la persona migliore al mondo.”
“Non
è nemmeno una persona a dire il vero,” Allison prese
una sedia e gli si mise a sedere davanti. “Mason, non preoccuparti per me.
Adesso dobbiamo parlare di te.”
“Di
me?”
“Sì,
dei tuoi piani.”
Mason
rise. “Piani? Sono appena tornato dal regno dei morti, non ho alcun piano a
parte quello di passare quanto più tempo possibile con te.”
Lo
sguardo malizioso negli occhi chiari del lupo mannaro la fece sorridere ed Allison scosse il capo incrociando le braccia.
“Non
ti ho riportato indietro per passare del tempo insieme Mason… per quanto mi
piacerebbe non sarà possibile.”
Lui
allungò le mani fino a prendere le sue e si inumidì le labbra prima di parlare.
“Perché no?”
Allison
gli baciò i palmi, poi sorrise. “Mason, tu mi piaci, mi sei sempre piaciuto… ma
quel tempo è passato e credimi se ti dico che è meglio non starmi intorno,
soprattutto in questo momento. La mia vita è un casino e non ho chiesto a Crowley di farti tornare per puntarti addosso gli occhi
indiscreti di chi mi vuole male. E sono molti. Se vogliamo che questa seconda
occasione per te non vada a puttane ci sono alcune regole da seguire.”
“Tipo?”
“Primo,
dimenticati di Mystic Falls. Dimenticati degli amici
che avevi prima e tieni un profilo basso. Vivi la tua vita normalmente e non
toglierti mai e poi mai la collana che ti ho dato; quell’anello ti dà il
controllo sulla tua trasformazione. Durante la luna piena non ti trasformerai,
a meno che non sia tu a volerlo, ma sarà comunque una notte particolare per te
quindi cerca di non fare cazzate durante quei momenti.”
“Sei
seria?” Mason toccò l’anello con le dita tenendo lo sguardo fisso su di lei.
“Stai dicendo che questo minuscolo anello ha tanto potere?”
Lei
annuì. “Sì, è esattamente quello che sto dicendo. Ho chiamato Tyler, sarà qui
presto e tu, io e lui dobbiamo essere le uniche persone a sapere che sei
tornato. Non pensare nemmeno di avvicinarti a Damon per vendicarti. Neanche per
sogno, hai capito?”
“Sì
ho capito. Suppongo che non potrò neppure telefonare a Katherine
per dirle quanto è stata stronza vero?”
“Katherine è morta, Mason.”
L’uomo
sgranò gli occhi. “Come?”
“È
una lunga storia che non ha alcuna importanza. Ascolta… questa casa è tua
adesso, e qui sotto c’è un vecchio bar, anche quello è tuo. Beh tecnicamente è
mio, come la casa… ma hai capito cosa intendo.”
“No”
Mason scosse il capo alzandosi. “Non posso accettare tutto questo.”
“Piantala!”
esclamò lei guardandolo. “Mason, non sono qui per discutere con te. Voglio che
tu prenda questa seconda occasione che ti è stata data e che la vivi al
massimo. Io verrò a trovarti appena potrò e tu dovrai chiamarmi se qualcosa ti
sembra anche solo sospetto.”
L’uomo
aprì la bocca per dire qualcosa, ma prima che potesse parlare il suono del
campanello risuonò nell’abitazione facendolo sobbalzare.
Allison
si alzò, gli si avvicinò piano e gli baciò le labbra con le proprie per un
lungo minuto. “È tuo nipote. Vai ad aprire e inizia la tua nuova vita.”
Mason
la baciò di nuovo, con più trasporto. Poi andò ad aprire.
****
ANNAPOLIS
- MARYLAND
Uno,
due, tre… quattro squilli prima che la persona che aveva chiamato rispondesse.
Quattro squilli di attesa che le avevano fatto quasi cambiare idea. Non era una
mossa intelligente e lo sapeva, ma le parole di Crowley
continuavano a ronzarle nelle orecchie; Matt si stava costruendo un piccolo esercito. Avrebbe attaccato presto ed Allison sapeva che non si sarebbe scagliato direttamente
contro di lei… non subito almeno. Avrebbe preso di mira tutti quelli che amava
prima della grande sfida finale. Faccia a faccia con lei come tanti anni prima.
La
volta in cui aveva commesso l’errore che era costato la vita a Lily e che era
il motivo per cui Victor non le rivolgeva la parola da troppo tempo. Si chiese
come stava e pensò che magari avrebbe potuto fare un salto a Los Angeles; solo
per accertarsi che Cass non mentisse quando sosteneva
che si stava riprendendo, che oramai beveva poco e che aveva ripreso il
controllo.
Adorava
quell’Angelo, ma col tempo aveva imparato a mentire, soprattutto per non farla
soffrire. Aveva tutta l’intenzione di telefonargli quando finalmente il suo
appuntamento arrivò; a bordo di un’auto che non era sua ed Allison
pensò che avrebbe dovuto aspettarselo.
Quando
aveva chiamato Lorenzo, o Enzo per gli amici più stretti,
chiedendogli di incontrarla ad Annapolis avrebbe dovuto sapere che Damon
Salvatore sarebbe stato lì ad origliare. Annoiato com’era dopo la dipartita
della sua amata, alla ricerca di qualcosa di eccitante da fare, di nuovo in
pista col suo compagno di giochi preferito.
“Prima
di arrabbiarti,” le disse Enzo scendendo dall’auto e avvicinandosi a passo
lento a lei. “Sappi che non gli ho chiesto io di accompagnarmi. Era con me
quando hai telefonato e ha origliato l’intera conversazione.”
Allison
annuì. “Tipico” mormorò prima di voltare lo sguardo a Damon. “Come te la stai
cavando?”
“L’amore
della mia vita è dentro una bara in un coma che durerà fin quando la sua
migliore amica non morirà, Alaric beve come un
dannato e mia madre ha un nuovo gruppo di amici molto spaventosi ed io non mi
spavento facilmente.”
“Una
tipica giornata nella vita di Damon Salvatore,” la donna sospirò mettendo le
mani nelle tasche della sua giacchetta di pelle. Poi volse di nuovo lo sguardo
ad Enzo. “Ho bisogno del tuo aiuto.”
Il
vampiro sorrise sorpreso. “Tu, Allison Morgan, stai
chiedendo il mio aiuto?”
“Avete
tutti questa reazione quando chiedo di essere aiutata, perché?”
“Forse
perché di solito tu preferisci cavartela da sola piuttosto che chiedere aiuto,”
le disse Damon piegando poco il capo. “E che diavolo ti è successo alla faccia?”
“Un
piccolo incidente,” rispose lei agitando poco la mano senza guardarlo. “Allora,
credi di potermi aiutare?”
Enzo
arricciò la bocca, si prese un attimo prima di parlare. “Se ti aiuto significa
che poi sarai in debito con me?”
La
cacciatrice rise scuotendo il capo. “Hai provato ad uccidermi e stai ancora
camminando sulle tue gambe… non tirare troppo la corda.”
“Okay
okay… diciamo allora che io ti aiuto e che poi saremo
pari.”
“E
perché lui? Perché non chiedi a me di aiutarti?” intervenne Damon perplesso.
“Perché
si tratta di mio fratello,” Allison abbassò gli occhi
per un attimo, poi li rialzò. “Sta radunando un piccolo esercito per venire a
darmi la caccia e per quanto mi costi ammetterlo la sua imprevedibilità mi
rende nervosa. È arrabbiato, sadico… ho bisogno di dare un’occhiata ai suoi
piani da vicino, ma lui ti conosce Damon.”
“Ma
non conosce me” disse Enzo. “Quindi tu vorresti che io mi arruolassi e
diventassi una specie di talpa.”
Lei
annuì, si guardò intorno per un attimo e poi si mordicchiò il labbro. “Non ho
altra scelta,” disse. “Ma tu non devi accettare per forza…”
“Ci
sto” disse lui. “Dimmi solo come procedere.”
“Sei
sicuro? Mio fratello non è esattamente un tipo… piacevole.”
“Sono
sicuro” rispose il vampiro. “Dimmi solo qual è il piano.”
****
NEW
ORLEANS - LOUISIANA
Elijah
odiava quello che stava per fare. Si odiava per quello che stava per fare… ma
le ultime settimane, gli ultimi giorni, gli avevano fatto finalmente capire
tante cose.
Il
solletico che aveva sentito nel fondo dello stomaco quando Allison
era sparita per ore, senza rispondere al telefono, senza mandare un messaggio
per avvertire che tutto andava bene, glielo avevano fatto capire con ancor
maggiore chiarezza; non si trattava di paura, o almeno non solo di quello.
Quella
sensazione che percepiva nasceva dal fatto che gli mancava, gli mancava quella
voce roca, gli mancava quel bel viso, gli mancava averla intorno, gli mancava
ogni cosa di lei… Aveva amato Hayley, l’aveva amata
in un momento in cui il suo cuore era libero, un momento in cui Allison era lontana dai suoi pensieri. Se ne era innamorato
e quel sentimento l’aveva quasi consumato alimentato dalla sua paura di
lasciarsi andare.
L’aveva
amata e poi l’aveva persa. Ma il giorno del suo matrimonio con Jackson, mentre
le diceva addio per davvero, si era accorto che per tutto il tempo aveva
pensato ad Allison; non perché si trovasse in coma in
quel momento, non solo perché era dannatamente preoccupato per lei… ci pensava perché
si immaginava di vederla scendere giù per le scale chiusa in un bellissimo
abito, luminosa e stupenda come solo lei sapeva essere.
E
quando il pensiero era scemato ed era ritornata quella paura del sentimento, in
quell’istante era entrata in gioco Gia. Le voleva
bene e teneva a lei, non poteva negarlo… ma non era la donna di cui era
innamorato e finalmente quella consapevolezza non faceva più paura.
Doveva
mettere le cose a posto e doveva farlo subito perché era stanco di aspettare e perché
sentiva che Allison stava scivolando via. Magari tra
le braccia di quel Diego o magari tra le braccia di quell’Angelo... L’avrebbe
persa e il pensiero faceva male.
Meglio
mettere in ordine le emozioni ed i pensieri, essere pronto e poi smettere di
negarlo: lui amava disperatamente Allison Morgan.
“Gia,” sussurrò quando sentì la sua presenza nella stanza. “Dobbiamo
parlare.”
NDA: Grazie a chi
legge, segue, preferisce e recensisce :) se vi piacciono le storie
soprannaturali e se vi piacciono le storie su The Originals, i
crossover e via dicendo, vi invito a leggere Anima
mia e Black
Dahlia e se vi piacciono le storie romantiche Il
mio posto e Curtain
falls . E infine se vi piace Suits New
York New York .
Buona lettura :)
26.
SIOUX
FALLS – 4 ANNI PRIMA
“Dov’è
Bobby?”
Allison
alzò gli occhi su Sam e sospirò chiudendo uno dei libri che stava leggendo. “È
andato in città.”
“In
città? Fuori c’è un tempaccio.”
“Sì,”
convenne Dean. “Ma quell’uomo è un eroe. È andato a fare rifornimento di
alcolici visto che il migliore amico dei cacciatori era finito” indicò una
bottiglia vuota di scotch e Sam scosse il capo perplesso avanzando verso una
sedia
Fu
allora che uno scroscio di ali li fece voltare tutti e nonostante Allison non avesse mai visto il tizio che era appena
arrivato, sentiva che non c’era motivo di allarmarsi.
“E
tu chi diavolo sei?” chiese sollevando un sopracciglio.
“Balthazar…” mormorò Dean indietreggiando di qualche passo.
L’Angelo,
di cui lei aveva sentito solo parlare fino ad allora, le passò accanto ed Allison sentì che il suo corpo emanava calore, con un’intensità
diversa da quella di Cass. Il tramite che lo ospitava
era un uomo sulla cinquantina, con capelli biondo cenere spettinati a dovere e
un abbigliamento molto giovanile.
Una
figura attraente, con degli occhi azzurri profondi ed un viso maturo con un
ghigno divertito stampato sopra.
“Così
tu sei Balthazar” gli disse guardandolo mentre
afferrava una ciotola e cominciava a versarci dentro del sale.
“Oh”
mormorò lui. “La mia fama mi precede quindi”
“Lo
dici come se fosse una cosa positiva,” disse Allison
corrugando la fronte quando lui sparì e ricomparve davanti ai suoi occhi in
pochi secondi. “Che cosa stai facendo?”
Lui
versò dentro la ciotola del sangue e poi mise a soqquadro un cassetto alla
ricerca di un ulteriore ingrediente. Quando lo trovò, un osso, lo sbriciolò
dentro e iniziò a mescolare.
“Avete
mai visto Il Padrino?” chiese avvicinandosi ad una finestra. “La scena in cu
Don Cuneo muore nella porta girevole…”
Allison
allargò le braccia. “La famosa scena del Battesimo di fuoco intendi?”
Balthazar
abbozzò un sorriso. La guardò per un lungo minuto, poi volse lo sguardo ai
Winchester. “Stiamo per vivere anche noi un battesimo di fuoco; Raffaele ha
mandato un piccolo esercito a dare la caccia a Castiel
e a tutti quelli che lo hanno aiutato. Il che significa che voi tre, e cosa più
importante io, siamo dei bersagli. Per questo dovete andare via.”
“Dov’è
Castiel? Perché dovremmo crederti?” Sam avanzò verso
di lui, poi si fermò in attesa di una risposta.
“Cassy è nascosto molto molto bene e non importa che mi
crediate o no, andrete comunque dove io vi manderò” Balthazar
si sbottonò la giacca rivelando una grande chiazza di sangue sull’addome e
prese una chiave dalla tasca interna della giacca. La porse ad Allison e le sorrise. “Spero di rivederti presto Allison Morgan. Avevo sentito dire che sei una creatura…
singolare in un certo senso, ma nessuno mi aveva detto che fossi così bella.”
“Wow”
mormorò lei prendendo la piccola chiave. “Questo è… patetico.”
Lui
rise. “Farò in modo di rifarmi la prossima volta. Ora, scappate!” urlò
allungando le mani verso di loro.
****
LOS
ANGELES – CALIFORNIA
Allison
entrò dentro casa e si guardò intorno sconvolta. Sul tavolo, sul divano, sul
pavimento c’erano sparsi bicchieri pieni e vuoti, dalla piscina arrivavano urla
divertite e un adolescente dormiva seduto su una poltrona in salotto, o forse
era privo di sensi.
Non
le ci volle molto per capire quello che stava succedendo e per quanto fosse
stanca in quel momento, per quanto credesse che non fosse proprio il momento
giusto per quel tipo di divertimento, non riusciva proprio ad essere arrabbiata
con Claire; se aveva dato una festa voleva dire che si era fatta dei nuovi
amici e se si era fatta dei nuovi amici voleva dire che stava vivendo la sua
adolescenza nel modo giusto, come ogni adolescente dovrebbe fare.
C’era
la possibilità che tra gli invitati ad entrare in casa potesse esserci qualcuno
di non umano, ma in fondo la villa era ben protetta e Claire era sveglia; probabilmente
se fosse successo se ne sarebbe accorta. L’unico che non doveva assolutamente
essere invitato era Matt, ma di lui Claire aveva visto abbastanza fotografie da
sapere che aspetto avesse, quindi non era un problema.
Raggiunse
la cucina e si fermò ad un passo dall’isola. Poggiò il suo borsone per terra e
si schiarì la voce per attirare l’attenzione della giovane che praticamente
oramai viveva in casa sua. Claire si voltò sorridendo, ma il suo sorriso si
spense non appena la vide. Il suo viso si tinse di imbarazzo e si affrettò a
posare il bicchiere prima di avvicinarsi a lei.
“Allison” le disse dandole un abbraccio veloce. “Che bello
vederti, che ti è successo al viso?”
“Quello
che succederà ai tuoi amici se, una volta che saranno andati via, mi accorgerò
che qualcosa manca” rispose la donna prendendo il bicchiere che Claire aveva
poggiato sul ripiano e annusandolo. “Birra? L’ultima volta che ho controllato
non avevi ancora l’età giusta per bere e dubito che qualcuno qui dentro ce l’abbia.”
Claire
si mordicchiò il labbro abbassando lo sguardo per un attimo, poi si fece
coraggio e lo rialzò puntando gli occhi sulla padrona di casa.
“Mi
dispiace,” disse. “Mando tutti via.”
Allison
fece un grosso respiro guardandosi intorno, attraverso la porta finestra poteva
vedere una marea di giovani ragazzi divertirsi a bordo piscina. Le risate, le
urla, la gioia la riportarono indietro nel tempo a quando quella villa era
sempre pervasa da rumori; lo scroscio dell’acqua che si agitava a causa di un
tuffo, le urla di sua madre perché suo padre la schizzava continuamente, le
acrobazie di suo fratello che per un po’ aveva pensato di diventare un
nuotatore professionista… tutte cose che in quel posto non c’erano più da
tanto, troppo tempo.
“Possono
restare” disse guardando la ragazza. “Ma solo fino all’una. Nessuno ha il
permesso di salire al piano di sopra né di andare in garage. E se qualcuno ti
sembra troppo ubriaco per guidare chiama un taxi.”
Claire
saltellò. “Grazie graziegrazie.”
“Non
ringraziarmi, domani pulirai da cima a fondo e lo farai da sola.”
“Promesso”
rispose lei abbracciandola di nuovo. “Grazie.”
La
cacciatrice rise accarezzandole i capelli, poi sciolse l’abbraccio. “Dov’è Castiel?”
“È
partito questa mattina con Sam e Dean. Un nuovo caso, o qualcosa del genere.”
“Okay”
Allison aprì il frigorifero e prese una bottiglietta
di acqua. “Vado a fare una doccia e poi a dormire. L’una Claire, non un minuto
di più” le ricordò mentre saliva le scale.
“Va
bene” le urlò dietro l’altra.
****
“Un
altro” Victor sospirò passandosi una mano sul viso. “Ho detto un altro!” urlò
quando il barman rimase a fissarlo senza dire o fare nulla.
L’orologio
segnava le dieci del mattino e nonostante stesse bevendo da almeno un’ora, non
era ancora crollato come gli era successo le prime volte. Forse, si disse, il
suo organismo era assuefatto all’alcool e se fosse stato così sarebbe stato un
problema, perché avrebbe dovuto trovare un nuovo modo di spegnere il dolore che
sentiva in fondo al cuore, e sarebbe stato complicato.
“Finalmente
sei arrivata!” esclamò d’improvviso il barman e Victor alzò la testa di scatto
per capire con chi stesse parlando. “Non ero sicuro che fosse lui, ma quando ha
parlato ho riconosciuto subito la sua voce e mi sono ricordato che è tipo tuo
padre, giusto?”
“Grazie
della telefonata Bud,” disse una voce che lui
conosceva fin troppo bene. “Ci penso io ora.”
L’uomo
si allontanò portandosi via il bicchiere e Victor scoppiò a ridere abbandonandosi
contro la sedia. Allison si mise a sedere ma non
disse nulla; conosceva quello stato di totale isteria, quel ridere per
reprimere il desiderio di piangere a dirotto. Lo aveva sperimentato persino su
se stessa.
Quando
le risate dell’uomo che amava come un padre scemarono, sospirò e cercò il suo
sguardo. Quello che incontrò furono due occhi lucidi ma non avrebbe saputo dire
se era colpa dell’alcool oppure se le lacrime avevano velato l’azzurro delle
sue iridi.
“Andiamo
a casa” gli disse mettendosi in piedi.
“Con
te non vado da nessuna parte,” rispose l’uomo provando ad alzarsi, ma
barcollando nel tentativo. “Decido io quando è ora di tornare a casa e quando
sarà, ci tornerò da solo.”
“Sei
ubriaco fradicio alle dieci del mattino. Se dovessi scommettere direi che non
arriverai nemmeno alla porta senza cadere in terra. Come diavolo pensi di
tornare a casa?”
Lui
la indicò con un dito. “Non sono affari tuoi!” esclamò deciso. “Tu devi starmi
lontana; sei un’assassina… hai ucciso la donna che amavo e mia figlia. Hai ucciso la mia famiglia.”
Allison
deglutì a vuoto allargando le braccia. “Lascia almeno che ti chiami un taxi.”
“Perché?
Perché se guidassi in questo stato e mi succedesse qualcosa mi avresti sulla
coscienza? Non lo sopporteresti vero? Essere responsabile di un’altra tragedia…
sono già troppe le vite rovinate di cui sei colpevole.”
La
donna scosse il capo, si morse la lingua per tenerla a freno ma sentiva una
rabbia crescerle dentro. Era furioso e lo sapeva, lo capiva… ma non aveva il
diritto di parlare in quel modo.
“Sai
che ti dico?” disse cercando di rimanere calma. “Vaffanculo! Sono stanca delle
tue stronzate, della tua rabbia e del tuo rifiuto. Quindi vaffanculo” ripeté di
nuovo. “Ho finito di preoccuparmi per te.”
Si
voltò, pronta ad andarsene, certa che quel momento avrebbe segnato la sua
relazione con Victor, in un modo o in un altro. Quello dipendeva solo da lui.
Poi lo sentì, un dolore terribile partire dal centro della fronte e irradiarsi
per tutta la testa, i battiti del suo cuore aumentare di velocità, un freddo
innaturale invaderla, anche se il suo corpo era bollente.
Si
inginocchiò stringendosi la testa tra le mani, provando a non urlare, a
trattenere i lamenti. Quello che vide fu l’immagine sfocata di una donna che
stringeva in mano un ciondolo. Il corpo che ospitava FinnMikaelson riverso a terra.
Vincent Griffith è libero
sentì dire. L’anima di Finn è al sicuro dentro il mio ciondolo.
A parte noi tre nessuno dovrà mai
sapere cosa è successo qui oggi.
La
voce di Elijah arrivò chiara e decisa… sembrava così vicina. Poi un nome; Freya.
“Allison!”
La
voce di Victor la riportò alla realtà. Chiuse e riaprì gli occhi per qualche
secondo prima di essere di nuovo totalmente lucida. Le braccia di suo padre la stringevano forte, gli occhi
ancora velati ma di un sentimento facilmente riconoscibile: preoccupazione.
Le
venne in mente qualcosa da dire, qualcosa di sarcastico che avrebbe stemperato
la tensione… ma rimase zitta… Immobile.
NDA:
Presto la resa dei conti tra Allison e i suoi affari in sospeso... e un
avvenimento che la scuoterà un po' e che segnerà
la fine di qualcosa e l'inizio di qualcos'altro.. Buona lettura.
27.
Un
nuovo taglio di capelli era sempre riuscita a farla stare meglio. Non importava
quanto duro fosse stato il periodo, con una pettinatura nuova sentiva che le
cose avrebbero preso una nuova strada, quasi come una fenice che risorge dalle
ceneri.
L’ultima
visione che aveva avuto aveva fatto chiarezza su alcune cose; perché non
riuscisse a trovare Finn, perché quel bastardo non
avesse fatto nessuna mossa negli ultimi mesi, nemmeno gongolareper il fatto che il suo malefico piano
insieme a Matt aveva iniziato a dare i suoi frutti.
Molte
cose che prima le erano sfuggite cominciavano ad acquistare un senso, persino
Klaus che nell’ultimo periodo era stato evasivo, impegnato con Rebekah e il corpo che la ospitava… avrebbe dovuto capire
che c’era qualcosa che non andava, ma non era del tutto lucida da un bel po’
oramai.
Ora
finalmente era tornata la vecchia sé ed era pronta a fare ciò che doveva, senza
l’aiuto di nessuno, come sempre nella sua vita.
L’appartamento
che aveva comprato a New Orleans era il primo segno di quella ritrovata indipendenza. Niente più villa Mikaelson, niente più strane alleanze o amicizie, niente
più relazioni… niente di niente. Non con chi l’aveva presa in giro fingendo di
essere dalla sua parte.
Ripensò
a quando aveva parlato con Niklaus della punizione
che Finn meritava… l’Ibrido originale le aveva detto
che aveva carta bianca e ripensando al sempre
e per sempre che i fratelli Mikaelson si erano
giurati per secoli e secoli la cosa le era sembrata strana. Non ci aveva fatto
caso però, perché si fidava di lui. Grande errore… avrebbe dovuto essere più
sveglia.
Non
aveva detto a nessuno di trovarsi di nuovo in città, non ancora almeno e non
era certa che l’avrebbe fatto. Tuttavia, la prima persona che aveva visto una
volta tornata era stato Marcel e lui evidentemente non aveva saputo tenere la
bocca chiusa visto che adesso Elijah e Klaus se ne stavano davanti la porta di
casa sua, seduti sui gradini del portico di quella piccola villetta di
periferia.
“Il
nuovo taglio di capelli ti dona,” le disse Klaus quando lei scese dall’auto e
avanzò verso la porta.
“Grazie”
rispose lei spostandosi un po’ la frangia. “E ora andatevene via.”
“Marcel
ci ha detto che eri in città, gli abbiamo risposto che era impossibile perché
se fossi tornata ci avresti telefonato o saresti venuta a casa” Elijah si piegò
per farla passare. Poi si alzò e la guardò con attenzione.
“Io
sono a casa,” affermò lei indicando l’abitazione. “L’ho comprata una settimana
fa.”
“Vuoi
dire che sei tornata da una settimana?”
Allison
scosse il capo. “Oh no, sono tornata da circa dodici giorni. Ma mi ci è voluto
un po’ per trovare questa casa.”
Klaus
incrociò le braccia dietro la schiena. “Qual è il problema esattamente?”
chiese.
La
cacciatrice si strinse nelle spalle, un sorriso sarcastico le colorò il viso. “Chiedilo
a tua sorella” disse aprendo la porta.
“Rebekah? Non capisco” disse Elijah mettendo le mani in
tasca. “Cosa ha fatto?”
“Oh
non provarci” lo avvertì Allison e il suo tono era
cambiato, era aggressivo e lei sembrava sulla difensiva. “Mi avete trattata
come un’idiota fino ad ora ed è colpa mia che ve l’ho permesso, ma ho smesso di
giocare a questo gioco. So che Freya è tornata e so
che il caro Finn è custodito dentro un ciondolo che
tiene gelosamente appeso al collo. Lo stesso Finn che
ha riportato indietro mio fratello e le cui mani sono sporche del sangue di una
donna e di un bambino mai nato.”
Ci
fu un attimo di silenzio, gli occhi di Elijah si incupirono, quelli di Klaus
rimasero fissi sul viso furioso della cacciatrice. L’Ibrido pensò che avrebbe
dovuto immaginarlo… era chiaro che lo avrebbe scoperto anche se loro avevano
provato a tenerglielo nascosto con tutte le loro forze.
“Come
l’hai scoperto?” le chiese.
“Come
l’ho scoperto?” fece eco Allison. “Forse credete di
sapere tutto di me, ma in realtà non sapete assolutamente nulla.”
Elijah
sospirò. “Che vorrebbe dire?”
“Ho
un dono Elijah, a volte vedo delle cose, come delle visioni. Alcune volte sono
cose che devono ancora accadere, altre volte sono già accadute ma le vedo
comunque.”
Klaus
corrugò la fronte, poi sorrise. “Questa è una svolta interessante.”
“Sono
felice che la cosa ti intrighi” la donna fece qualche passo dentro casa e
poggiò a terra alcune buste che aveva in mano. “Sono in città solo perché ho
ancora degli affari da portare a termine, ma farò la cose a modo mio da ora in
poi, non sono sicura che vi piacerà e onestamente non me ne importa
assolutamente nulla.”
“Allison,” le disse Elijah avanzando di qualche passo.
“Perché non ci fai entrare, così potremo parlare. Devi capire che nonostante
tutto Finn è nostro fratello, e affidarlo a Freya in fondo fa contenti entrambi; non darà più fastidio
a nessuno e magari un giorno potrà tornare nel suo corpo originale per
redimersi.”
“Non
c’è niente di cui parlare, e comunque non crederei ad una sola parola. Non
riesco neppure a sopportare il suono della tua voce Elijah. Andate a casa e
lasciatemi in pace…”
Chiuse
la porta, anzi gliela sbatté in faccia e cercò di scordarsi di loro. Ma il
pensiero la accompagnò per tutto il giorno.
****
La
chiamata di Josephine arrivò quando Elijah stava
cercando di togliersi di dosso quella strana sensazione che la discussione con Allison gli aveva lasciato.
Più
di tutto gli faceva male il senso di tradimento che aveva visto dentro quegli
occhi nocciola di cui era innamorato ma a cui non aveva ancora confessato i
suoi sentimenti. Forse, visto come stavano le cose adesso, non avrebbe mai
avuto l’occasione di farlo. Gli tornarono in mente le parole del giovane Sam
Winchester.... non tirare troppo la corda
gli aveva detto, e lui aveva fatto un errore ancora peggiore di quello.
“Pronto,”
disse sospirando. “Josephine, cosa posso fare per
lei?”
“Signor Mikaelson,” rispose lei con calma. “Mi è giunta voce che lei e la sua famiglia
siete in contatto con una persona che vorrei davvero conoscere.”
“Sarebbe
utile se lei mi dicesse di chi sta parlando esattamente. Io e la mia famiglia
siamo in contatto con molta gente.”
“La signorina Allison
Morgan” gli fece sapere Josephine.
“Vorrei conoscerla, vorrei che voi veniste
a cena da me, domani sera. Oh e se può porti anche quella simpatica violinista,
Gia.”
“Josephine” Elijah fece un grosso respiro e si guardò
intorno. “Non sono certo di poter esaudire il suo desiderio. Io e… le due
giovani donne che lei vorrebbe a cena non siamo nei migliori dei rapporti in
questo periodo.”
Dall’altra
parte del telefono si sentì una risata ed Elijah pensò che era la prima volta
che la sentiva ridere, anche se si trattava di una risata quasi soffocata.
“Oh signor Mikaelson…”
disse dopo qualche secondo. “Mi creda,
capisco perfettamente quello che intende, ma non è un mio problema. Voglio che Allison Morgan venga a cena qui e vorrei che anche lei e Gia foste presenti.”
“E
posso chiederle perché è così importante per lei conoscere Allison?”
“La convinca a venire a cena e avrà
la sua risposta.”
La
donna riattaccò prima che Elijah potesse dire altro e lui rimase fermo, con il
cellulare ancora poggiato all’orecchio.
“Fantastico”
mormorò pensando a come avrebbe fatto a convincere Allison
e anche a convincere Gia.
****
Mikael
bevve un sorso di bourbon, poi si mise in piedi e afferrò il bastone con cui si
allenava ogni giorno. Il suo giovane studente
sarebbe arrivato da un momento all’altro ma Freya non
sembrava essere d’accordo con quella sua nuova amicizia.
“Padre”
gli disse. “Perché ti ostini a voler fare questa cosa? Abbiamo altre cose di
cui occuparci, cose più importanti.”
“Quello
che sto facendo è importante Freya,” le rispose lui.
“Anche se forse tu ora non riesci a capirlo, fidati di me.”
“Cos’ha
di speciale quella donna? Sembra che pendiate tutti dalle sue labbra in qualche
strano modo.”
Il
vampiro cacciatore di vampiri sospirò muovendo le braccia, poi lo sentì; il suo
studente era arrivato.
NDA:
Lasciatemi un commento con tutte le vostre idee e le vostre opinioni e
mi farete felice. Buona lettura, Roby.
28.
“Un’altra
firma qui e…” l’uomo attese che Allison finisse di
firmare, poi sorrise compiaciuto rimettendo la cartelletta nella borsa da
lavoro grigia e consumata. “Congratulazioni signora Morgan, è proprietaria di
un bellissimo ristorante.”
Allison
sorrise stringendo in mano quelle che erano le sue copie e sospirò salutando
con un cenno del capo l’uomo mentre usciva lasciandola sola, seduta al bancone
di quello che era, ufficialmente, il suo ristorante; il Rousseau’s. Solo che, a parte lei e lui, che era stato incaricato di
venderglielo e riscuotere il cospicuo assegno, erano le uniche due persone a
saperlo.
Camille
uscì in quel momento dalla cucina e le riservò un sorriso cordiale
approcciandola al bancone. “Allison, non sapevo che
fossi in città.”
“Vado
e vengo,” rispose la cacciatrice mettendo giù i documenti. “Sono tornata da due
settimane circa, ma non vivo più dai Mikaelson.”
La
bionda piegò poco il capo recuperando un bicchiere bagnato che asciugò senza
staccare gli occhi da lei. “Cos’è successo?”
“Niente
in particolare” Allison sospirò. “Avevo bisogno della
mia indipendenza e così ho comprato una piccola villetta poco fuori città.”
“Quindi
non c’entra niente il dramma amoroso fatto di triangoli tra te ed Elijah?”
“No,
anche se ad alcuni sembra così” la cacciatrice si passò la lingua sulle labbra,
poi si mordicchiò l’interno della guancia e infine parlò. “Camille,
devo dirti una cosa.”
“Dimmi
pure,” le disse l’altra. “Vuoi qualcosa da bere?”
“Una
soda sarebbe perfetta, grazie” la donna fece un grosso respiro, e si prese un
attimo per trovare le parole giuste. “Cami, ho appena
comprato questo ristorante.”
La
mano della barista si fermò a mezz’aria, prima ancora che iniziasse a riempire
il bicchiere. I suoi occhi chiari si spalancarono stupiti e aprì la bocca
diverse volte prima di emettere un suono. “Perché?” chiese semplicemente alla
fine.
La
sua interlocutrice si strinse nelle spalle. “Perché mi piace e perché se non lo
avessi comprato io l’avrebbe fatto un tizio del Minnesota che voleva trasformarlo
in una sala scommesse.”
“Che
vuol dire?”
“Da
quando le legittime proprietarie sono morte questo posto non appartiene a
nessuno. Ci sei tu a gestirlo, ma risultava essere di proprietà della città e
quindi chiunque poteva acquistarlo. Questo ristorante è un punto di riferimento
per i turisti e anche per gli abitanti di New Orleans e non volevo che lo
abbattessero per farne una bettola di scommettitori. So che tu non hai i soldi
necessari a comprarlo, quindi l’ho fatto io” spiegò.
“E
tu avevi i soldi necessari? Quanto diavolo è costato?”
“Mezzo
milione di dollari,” dichiarò Allison sorridendo
appena. “Sì, li avevo.”
“Come?”
“Sono
un’orfana, i miei genitori erano benestanti, per così dire… e visto che mio
fratello è, tecnicamente morto, anche quello che spettava a lui è andato a me.”
“È
terribile…”
“Sì
lo è… ma è andata così.” Allison le prese di mano la
soda e bevve un lungo sorso dalla bottiglia. “Ad ogni modo,” continuò cambiando
discorso “ovviamente puoi restare. Io lavorerò fianco a fianco con te di tanto
in tanto ma sarai comunque tu a gestire tutto. Volevo solo che sapessi la
novità da me prima che ti arrivi una comunicazione scritta da parte delle
competenti autorità.”
Camille
sorrise. “Grazie per la premura, e anche per il ristorante. Voglio che tu sappia
che ti consulterò prima di prendere qualunque decisione importante.”
“Decisione
in merito a cosa?”
La
voce era inconfondibile, la leggerezza con cui si era intromessa in una
conversazione privata anche.
“Klaus,”
disse Allison voltandosi verso di lui, trovandosi
davanti non solo l’Ibrido ma anche Elijah. “Questa è una conversazione
privata.”
“Privata?”
chiese lui di rimando. “Allora non dovreste parlarne al bancone di un bar in un
ristorante, chiunque potrebbe ascoltare. Non credi, Allison?”
Lei
annuì, poi bevve un altro sorso di soda prima di alzarsi. “Hai ragione” gli
disse. “Ma vedi, visto che io al contrario di voi non ho nulla da nascondere,
non ho pensato che forse era meglio nascondersi da qualche parte, come ad
esempio in un cimitero o in un vicolo buio, per parlarne.”
Camille
osservò la cacciatrice e l’Ibrido scambiarsi un’occhiata che sembrò durare in
eterno. Elijah invece stava in silenzio, le mani nelle tasche dei suoi
pantaloni eleganti. Negli occhi, puntati su Allison,
una dolcezza tutta riservata a lei.
“Allison ha comprato il ristorante” disse sentendo il
bisogno di interrompere quel momento, qualunque cosa stesse succedendo. “È
ufficialmente il mio capo.”
“Ah”
sospirò Niklaus mettendosi a sedere. “Fare il boss è sempre piaciuto ad Allison. È una questione caratteriale credo.”
La
diretta interessata rise, tirando fuori dalla tasca il suo cellulare. “Già,
alcuni nascono con certe attitudini. Essere autoritari come me, dolci come Camille, manipolatori come voi due… gli inseparabili
fratelli Originali.”
“Sempre e per sempre…” mormorò il più giovane
dei due.
“Allison” intervenne finalmente Elijah. “Potrei parlarti per
un attimo?”
“No,”
gli disse lei. Poi lentamente si avvicinò a Klaus. “E tu prendi il tuo sempre e per sempre e vai a farti fottere.”
Lui
sfidò quello sguardo nocciola ed infuriato per un istante, un’espressione
vagamente divertita sul viso. La guardò fin quando lei non si allontanò, con un
gesto calmo prese dei documenti sul bancone e sorrise a Camille
prima di voltarsi e lasciare il ristorante. Elijah dietro di lei.
****
“Allison, fermati!” Elijah la afferrò per un braccio
costringendola a voltarsi ma senza ribellarsi quando lei si liberò dalla presa
con un gesto brusco. Gli faceva male che non si facesse neppure toccare, ma la
furia che leggeva nel suo sguardo gli suggeriva di non insistere.
“Che
cosa vuoi?” gli chiese lei, con quella voce rauca e sensuale pervasa da un
leggero tremito. “Non ho tempo adesso.”
L’Originale
sospirò indietreggiano di qualche passo. Voleva guardarla meglio, perdersi in
quel viso bellissimo circondato da onde castane scuro che le incorniciavano gli
occhi nocciola e quelle dannate fossette sulle guance.
Era
bella, bellissima. Bella più di qualunque altra donna avesse mai amato, o forse
era solo il fatto che, in quel particolare modo, non aveva mai amato. Era uno
di quei sentimenti capaci di consumare qualcuno e quel suo distacco lo logorava
già un po’ dentro.
Ricordò
con un velo di malinconia uno dei pomeriggi che avevano trascorso insieme, anni
prima quando lui l’aveva raggiunta a Los Angeles.
LOS ANGELES – TRE ANNI PRIMA
Allison gemette stringendo le mani di
Elijah che stringevano le sue. Gli baciò il collo prima di spostarsi sulla sua
parte di letto e rise fissando il soffitto.
“Cavolo Mikaleson,”
gli disse. “Credo che mi mancherai quando sarai ripartito.”
Elijah si girò verso di lei e
allungò una mano passandole due dita sulle labbra. “Credimi, il sentimento è
reciproco” sussurrò abbozzando un sorriso. “Stasera vorrei portarti a cena.”
Lei incrociò il suo guardo prima di
sollevare la testa sorreggendola con la mano. “A cena fuori?”
“Sì, un bel ristorante per una
bella signora. Vorrei vederti con un bel vestito e vorrei tenerti la mano per
tutta la sera.”
Allison sorrise. “Sotto tutta la passione
si nasconde un animo romantico allora.”
“Se avessi l’anima direi di sì”
scherzò lui, ma nei suoi occhi si poteva leggere una lieve malinconia.
“Hey”
mormorò la donna poggiandogli una mano sulla guancia. “L’animo umano è pieno di
potere ma non sono del tutto certa che sia ciò che fa di qualcuno una persona.
Ho visto esseri soprannaturali comportarsi più umanamente e decentemente di
tanti esseri umani, Elijah. Come te per esempio… Non hai l’anima ma sei più
compassionevole, appassionato e buono di tanti uomini.”
L’Originale si prese un attimo per
perdersi negli occhi belli e lucidi di Allison.
Quello sguardo era pieno di ombre, colpa di un passato piuttosto ingombrante,
un passato che gli aveva raccontato con molta tristezza. “Sei bellissima sai?”
“Più di tutte le donne che hai
incrociato nel corso dei secoli?” la donna rise.
“Sì” ammise lui serio. “sì, molto
di più.”
“Allison, ho bisogno di chiederti un favore” mormorò
ritornando al presente. “Ma prima vorrei chiederti scusa.”
“Non
serve,” rispose lei. “Non ti crederei comunque quindi dimmi solo cosa vuoi.”
“Quando
eri in coma, abbiamo avuto dei problemi con il corpo che ospita Rebekah e abbiamo chiesto l’aiuto di una donna, JosephineLaRue.”
Allison
corrugò la fronte. “Questo nome dovrebbe dirmi qualcosa?”
“Non
credo che tu la conosca, ma lei ha molta voglia di conoscere te,” Elijah fece
un grosso respiro cercando di essere più chiaro possibile. “Non so perché, ma
ha saputo che… ha saputo che siamo in contatto e mi ha chiesto di estenderti un
invito a cena per questa sera.”
“Gentile
da parte sua…” la donna guardò il suo cellulare; quattro messaggi di Diego, due
chiamate perse di Sam e un messaggio vocale da parte di John Constantine.
Pensando al suo amico umano si disse che forse era arrivato il momento di dare
e pretendere qualcosa in cambio. “Okay, va bene. Ti aiuterò, ma tu devi aiutare
me prima.”
****
Quell’addio
si stava rivelando più complicato di quanto pensasse. Mentre Elijah soggiogava,
su richiesta della cacciatrice, Diego affinché lasciasse la città e si
dimenticasse di lei e di tutto, Allison pensò che era
stanca di dire addio, ma era consapevole che probabilmente le cose non
sarebbero mai cambiate.
“Vivrai
la tua vita felice e non metterai piede a New Orleans per lungo lungo tempo. Qui non ti sei trovato bene e così hai pensato
che era meglio trasferirsi in un posto lontano e diverso, magari l’Europa.”
“Credo
che mi trasferirò in Europa” disse Diego come in trance. Poi, quando Elijah
indietreggiò di qualche passo, chiuse ed aprì gli occhi due volte tornando
lucido.
“Salve,”
disse guardando Allison. “Prendete quello che volete,
il locale sta per chiudere, quindi offre la casa.”
Sparì
dietro la porta della cucina ed Allison trattenne a
stento le lacrime. Il mento le tremava, ma si sforzò di mantenere il controllo
e fissò gli occhi sul vampiro Originale.
“Grazie,”
gli disse. “Mandami l’indirizzo con un messaggino, ci vediamo alle otto in
punto.”
Elijah
annuì deglutendo a vuoto. “Allison” la chiamò in un
sussurro e lei si fermò senza voltarsi. “Perché hai voluto che lo soggiogassi affinchè se ne andasse, affinchè
si dimenticasse di tutto, di te…”
“Perché
è un brav’uomo e il mio è un pessimo mondo.”
Il
vampiro sentì l’urgenza di avvicinarsi e stringerla forte. Stringere la
fragilità che sentiva nelle sue parole… invece rimase immobile mentre lei se ne
andava.
NDA: Di Josephine
non si sa molto quindi ho improvvisato scrivendo una libera
interpretazione del personaggio. E per i fan di Elijah ed Allison... ci
siamo... Buona lettura, Roby.
29.
Elijah
la stava aspettando poggiato alla sua auto quando lei arrivò. Non a bordo del
suo inconfondibile maggiolone, ma con un taxi. Gli sembrava ancora impossibile
essere riuscito a convincerla e nonostante con Gia avesse
fallito, la sola presenza di Allison era sufficiente
per lui e sperava che lo fosse anche per Josephine.
Quando
la donna scese dall’auto Elijah pensò che fosse la creatura più bella che
avesse mai visto; fasciata da un abito grigio a costine che scendeva arricciato
su una spalla, i capelli sciolti mossi, quella frangia che le accarezzava dolcemente
la fronte le dava l’aria di una bellissima bambola di porcellana.
“Perché
sei venuta in taxi?” le chiese andandole incontro.
Lei
fece un grosso respiro stringendosi addosso il cappotto. “La mia auto è rotta.
Ho provato a farla partire ma non ha funzionato.”
“Avresti
potuto chiamare me. Sarei venuto a prenderti.”
“Il
servizio taxi esiste per un motivo. Avevo anche pensato di venire a piedi ma
con questi tacchi alti passeggiare non è proprio un piacere.”
Elijah
abbozzò un sorriso. “Lo immagino, ma sei bellissima.”
“Il
trucco fa miracoli,” Allison sospirò guardandosi
intorno. “Entriamo?”
L’Originale
annuì invitandola a precederlo, poi la seguì perdendosi nella scia di profumo
che lasciò al suo passaggio. Il cuore gli suggeriva di afferrarla per un
braccio, stringersela al petto e perdersi su quelle labbra rosate e soffici. Ma
la ragione gli suggeriva di non farlo perché non era quello il momento giusto,
il modo giusto… e lui di dar retta alla testa più che al cuore ne aveva fatto
un tratto distintivo.
Quando
le fu accanto sulla soglia della porta, fu impossibile resistere e con
delicatezza le poggiò un mano sulla schiena mentre con l’altra bussava alla
porta. Fu felice di vedere che lei non si scansava, anzi si lasciava toccare,
avvicinare, con l’aria rilassata come non la vedeva da giorni.
Stava
per dirle qualcosa quando il maggiordomo aprì e sorridendo li invitò ad entrare.
Allison lo precedette all’interno della casa e si
guardò intorno senza mostrare alcuna sorpresa o ammirazione per l’arredamento
classico ed elegante. Nonostante la casa fosse molto grande lei sembrava
totalmente a proprio agio e questo non lo sorprese perché era stato a casa sua
a Los Angeles e ricordava quanto fosse grande.
Il
maggiordomo prese i loro soprabiti, poi li guidò lentamente lungo il corridoio
fino al grande salotto. Josephine era seduta su una
poltrona, la stessa sulla quale era stata seduta quasi tutto il tempo quando
Elijah le aveva fatto visita per la prima volta, a quel tempo in compagnia di Gia e del suo talento come musicista.
“Signor
Mikaelson” disse quando li vide. Alzandosi li
raggiunse e sorrise cordiale. Poi si voltò verso di Allison.
“Lei
deve essere la signorina Morgan,” asserì. “Grazie di aver accettato il mio
invito a cena, per me era molto importante fare la sua conoscenza. Ma prego,
accomodatevi. Gradite qualcosa da bere?”
“Niente
per me” rispose Elijah attendendo che Allison si
mettesse a sedere prima di sedersi a sua volta.
“Un
bicchiere di vino sarebbe perfetto per me” chiese proprio la cacciatrice
sorridendo gentilmente all’anziana donna. “Posso sapere perché era così
importante per lei fare la mia conoscenza?”
Josephine
fece cenno ad una cameriera che sparì dietro un arco e tornando composta
rivolse lo sguardo ad Allison. “Ho chiesto di
incontrarla perché volevo raccontarle una storia.”
“Una
storia?”
“Sì,
la storia di come ho conosciuto i suoi genitori.”
Allison
sgranò gli occhi sorpresa, talmente concentrata e pallida che Elijah pensò che si
sarebbe sentita male.
LOS ANGELES –
CALIFORNIA 32 ANNI PRIMA
La serata di beneficienza
organizzata dall’ospedale era bella esattamente come l’aveva immaginata. Josephine aveva partecipato a diversi di quegli eventi, più
per ascoltare la buona musica che tanto le mancava che per altro.
Fare del bene mangiando bene e
conoscendo gente interessante – in un modo o in un altro – era bello, ma la
musica… quei musicisti seduti al pianoforte oppure col viso poggiato al loro
violino… in quelle feste erano sempre sublimi.
Lei non poteva sognare più, per
colpa di una madre gelosa e possessiva, per colpa di un sentimento che le aveva
fatto male ancor prima di sbocciare. Il suo musicista jazz non era stato
abbastanza uomo da ribellarsi, da combattere per lei. Anzi, l’aveva lasciata
quando era stato chiaro che le sue mani non sarebbero state mai più capaci di
suonare e oltre al danno Josephine aveva subito anche
la beffa.
“Queste serate sono sempre
bellissime. Partecipo a queste feste di beneficienza da anni eppure non mi
annoio mai.”
Josephine si voltò verso la donna che le
aveva parlato strappandola dai suoi pensieri e si ritrovò davanti ad una
signora elegante con bellissimi capelli rossi raccolti in un ordinato chignon.
Fasciata da un abito bianco e nero era radiosa, quasi etereae guardandole il ventre arrotondato capì perché.
“Partecipo a molte di queste serate
anche io,” le disse. “Ma queste organizzate dall’ospedale qui a Los Angeles
sono sempre le migliori. E il dottor Morgan è un grande oratore oltre che un
ottimo medico.”
“Ah quindi conosce mio marito.”
“Suo marito?”
L’altra sorrise. “Sì, è mio marito
da quindici anni, e so che sembra che io lo racconti per vantarmi, ma in realtà
lo faccio solo perché sono molto innamorata e fiera della mia famiglia.”
“Oh lo immagino” Josephine sorrise poggiando istintivamente la mano sul
ventre, pensando solo dopo che forse non era un gesto gradito. Ma la donna
sorrise poggiando la mano bella su quella deforme.
“Nascerà tra poco e sarà la
sorellina felice di uno splendido fratellino di dieci anni” le fece sapere.
“Ha già un nome?”
“Allison
Marie. Si chiamerà Allison Marie Morgan e farà grandi
cose.”
“Lei
non era ancora nata signorina Morgan, ma sua madre era già innamorata di lei,
glielo si leggeva negli occhi.”
Allison
deglutì a vuoto e con la punta delle dita si asciugò il viso. Poi si alzò e
singhiozzando si avvicinò a Josephine per stringerla
in un abbraccio inaspettato e stranamente ricambiato dall’anziana.
****
Al
contrario di quanto lui si aspettava, Allison non
protestò quando alla fine della cena Elijah si offrì di accompagnarla a casa.
Sull’auto regnava il silenzio ma non c’era alcun imbarazzo.
La
donna era ancora persa nelle emozioni della serata appena trascorsa, un regalo
inaspettato che le aveva fatto bene al cuore anche se l’aveva fatta piangere. Josephine l’aveva omaggiata con un ricordo che le scaldava
l’animo e anche se poi le aveva chiesto di occuparsi per suo conto di una
strega che nessuno riusciva a trovare e fermare, Allison
non se l’era presa.
Sentire
parlare di sua madre era stata un’emozione talmente grande che Josephine si era meritata qualcosa in cambio e una strega
era un affare di poco conto per la cacciatrice.
Quando
arrivarono davanti casa, Elijah scese dall’auto e corse dall’altro lato per
aprirle la portiera. La seguì fino alla porta di ingresso e poi si fermò mentre
lei apriva ed entrava. Non era stato invitato e dubitava che lei gli avrebbe
chiesto di entrare… ma poco male, quello che aveva in mente poteva farlo
benissimo anche dall’altra parte della soglia.
“È
stata una serata piuttosto impegnativa per te, a livello emozionale” le disse
prima che lei avesse l’occasione di parlare e salutarlo.
Lei
annuì ma un sorriso le colorò il viso. “Sì, direi di sì. Ma è stato bello
sentire parlare di mia madre.”
Lui
fece un grosso respiro guardandosi intorno, poi tirò fuori dalla tasca interna
della giacca un cartoncino dorato e glielo porse.
“Cos’è?”
gli chiese lei.
“Devo
dirti una cosa ma visto che hai detto di non sopportare il suono della mia voce
ho pensato di scrivertelo. Leggi.”
Allison
prese il bigliettino con espressione perplessa, stringendolo delicatamente tra
le mani e accese la luce all’entrata di casa per leggere meglio.
So di non meritare
niente da te, ma ho una richiesta…
… avvicinati.
Lei
piegò poco il capo e lo guardò per un lungo istante; confusione e curiosità si
alternavano su quel viso bello, dentro quegli occhi lucidi ed espressivi. Si
tolse le scarpe e il cappotto e poi con calma gli si avvicinò, rimanendo sulla
soglia di marmo che divideva l’interno dall’esterno.
Elijah
fece finalmente quello che il cuore gli suggeriva di fare, perché della ragione
pensò che ne aveva le scatole piene. Senza esitare le avvolse la vita con un
braccio e la baciò.
Lei
rimase immobile per un attimo, sorpresa da quel tocco deciso, da quel bacio
impetuoso e dopo qualche secondo gli prese il viso tra le mani e chiuse gli
occhi abbandonandosi alla piacevole stretta di quel braccio. Dischiuse le
labbra permettendo alla lingua calda dell’Originale di insinuarsi dentro la sua
bocca, di cercare la sua lingua ed incontrarla in quella danza che sapeva di
attesa e desiderio.
Con
trasporto si strinse a lui sollevandosi sulla punta dei piedi, approfondendo
ancora di più quell’incontro di bocche.
Poi,
improvvisamente si staccò e fece un grosso respiro; le labbra arrossate, gli
occhi ancora chiusi, un sorriso quasi timido che si affacciava su quel volto.
“Questo
sì che era un bacio della buonanotte come si deve…” scherzò riaprendo gli occhi
e puntando lo sguardo dentro il suo.
Lui
la baciò di nuovo, ma stavolta fu un bacio veloce. Le spostò piano la frangia
per poi baciarle la punta del naso. “Ho un altro bigliettino per te” le disse
infilando la mano nella tasca della giacca.
Ma
lei scosse il capo poggiandogli una mano sul petto. “Dimmelo a voce” gli
sussurrò.
Elijah
sorrise. Per quello sguardo nocciola carico di attesa, per quell’espressione
dolce, perché stava per pronunciare due parole che aveva già pronunciato nel
corso dei secoli ma che non aveva mai sentito come in quel momento.
“Ti
amo, Allison” disse con voce chiara e decisa.
La
risposta che ricevette fu un bacio intenso alla fine del quale lei gli diede la
buonanotte senza invitarlo ad entrare ed Elijah sospirò accarezzandosi le
labbra con le dita.
Poi
andò a casa, ma dubitava che sarebbe riuscito a chiudere occhio.
NDA:
Penultimo capitolo di questa grande avventura. A presto con l'ultimo :)
buona lettura, Roby.
PS LEGGERO RATING
ROSSO ALLA FINE DEL CAPITOLO.
30.
Uccidere
la strega che Josephine le aveva chiesto di levarle
di torno, era stato semplice, forse fin troppo. Allison
non aveva mai avuto grossi problemi con le streghe, ma quella volta era filato
tutto in modo così liscio da destare sospetto.
Sì,
aveva avuto l’aiuto di Cass, arrivato dal Kansas
proprio per darle una mano, e per aggiornarla sulle condizioni di Dean che, a
quanto le aveva detto, erano disastrose, ma era stato comunque troppo facile.
Si
ripromise, mentre camminava verso l’auto con Castiel,
di andare a trovare i Winchester appena possibile. Di capire che fine aveva
fatto Charlie dopo la sua partenza per l’Italia e di mettersi a cercare una
soluzione per il suo amico. A quel punto anche qualcosa capace di fargli
guadagnare tempo sarebbe stato sufficiente.
Ora
però doveva pensare ad un’altra cosa, una cosa che si era ripromessa di fare
dopo il suo primo incontro con Josephine. Una cosa
che non le era stata chiesta ma che sentiva dentro.
“Cass,” gli disse mentre lui posava alcune cose sulla sua
auto. “grazie per avermi aiutata con questa strega.”
L’angelo
si strinse nelle spalle e abbozzò un sorriso. “Non c’è bisogno di dirmi grazie,”
le disse. “E oltretutto è stato un gioco da ragazzi.”
“Già,”
Allison si guardò indietro, con gli occhi puntati su
quell’edificio dentro il quale aveva prestato fede alla promessa fatta all’anziana
donna che comandava le streghe di New Orleans. Poi sorrise a Castiel “Come rubare caramelle ad un bambino.”
Lo
sguardo che ricevette in ritorno era confuso e per riflesso anche lei corrugò
la fronte.
“Cosa?”
domandò. “Credevo che Metatron ti avesse trasformato
in una specie di database della cultura pop. Non dirmi che non conosci l’espressione
rubare caramelle ad un bambino.”
“La
conosco.” Castiel chiuse le mani nelle tasche dell’impermeabile,
alzò gli occhi al cielo per qualche secondo e poi guardò di nuovo Allison. “È solo che la trovo senza senso.”
“Come
la maggior parte dei modi di dire” affermò la cacciatrice legandosi i capelli
in una morbida coda di cavallo. “Cass, vorrei
chiederti un altro favore prima che tu vada.”
“Qualunque
cosa.”
“Ho
bisogno del tuo aiuto per… sistemare qualcosa di rotto.”
****
Il
maggiordomo li fece accomodare in salotto mentre andava a chiamare la padrona
di casa che già dormiva. Allison guardò l’antico
orologio a pendolo posizionato all’angolo della stanza e si rese conto che
effettivamente era un po’ tardi; quasi le due del mattino.
Non
ci aveva fatto caso mentre guidava a velocità moderata verso la città, Castiel dietro di lei su un’auto scassata ma su cui
sembrava sentirsi particolarmente a suo agio.
Mentre
aspettavano che Josephine scendesse, seduti su quel
divano ordinato, nel silenzio di una casa che sembrava la versione elegante di
quella dentro la quale avevano cacciato, Allison
ripensò al giorno in cui gli aveva dato una lezione di guida. Allora Dean gli
aveva già insegnato le nozioni base, Sam lo aveva fatto esercitare e lei era
arrivata solo per migliorare il tutto.
Era
stata una giornata divertente, come non ne vedeva da parecchio.
“La
signora sarà da voi tra qualche minuto. Posso portarvi qualcosa da bere nel
frattempo?” parlò il maggiordomo interrompendo i suoi pensieri.
Entrambi
Cass ed Allison scossero il
capo mentre lei tirava fuori dalla tasca della giacca il suo cellulare. Un
messaggio di Enzo sul display la avvertiva che si tirava fuori da quel piccolo
piano che prevedeva di fingersi un alleato di Matt per scoprirne le mosse.
Ho cose più importanti di cui
occuparmi recitava il testo. Ma spero che tu te la cavi, bellissima. Subito dopo un altro
avviso, un nuovo messaggio da parte dello stesso mittente. Lo so, ti devo ancora un favore…
Allison
serrò le labbra stringendo forte il cellulare in mano prima di spegnerlo e
rimetterlo in tasca. Fu allora che Josephine arrivò
in salotto, elegante e con i capelli raccolti, anche a quell’ora di notte.
“Signorina
Morgan,” le disse sorpresa. “Nonostante lei mi sia particolarmente simpatica,
non credo che una visita a quest’ora sia appropriata.”
“Mi
dispiace Josephine” si scusò l’altra. “Ma era piuttosto
urgente e non sono sicura di avere molto tempo a disposizione.”
Lo
sguardo dell’anziana signora si fece confuso prima di poggiarsi su Castiel. “Lei è?” gli chiese.
“Lui
è Castiel,” rispose Allison
avvicinandosi alla donna. “È qui per sistemare le sue mani.”
E
uno sguardo alle mani della donna fu sufficiente a far capire a Cass cosa dovesse fare.
****
Le
aveva detto che la amava, ma lei non aveva risposto. Almeno non a parole… perché
quel bacio, quel bacio era stato la risposta migliore che potesse dargli.
Eppure dopo quel momento, due sere prima, era sparita. Quando aveva provato a
telefonarle non aveva risposto, e solo dopo ore lo aveva avvertito con un
messaggio di testo che si stava occupando con Castiel
di quella strega che Josephine le aveva chiesto di
uccidere.
Si
stava portando il telefono all’orecchio, per chiamarla di nuovo, quando lei
avanzò nella stanza fasciata da un paio di jeans scuri che mettevano in risalto
le sue forme.
“Allison” le disse alzandosi per andarle incontro.
Lei
lo scrutò da capo a piedi e sorrise. “Quindi è così che dormi di solito? Con i
pantaloni di una tuta e senza maglietta? Ed io che credevo che dormissi
indossando uno di quei pigiami di seta color blu diplomatico.”
“E
perché lo pensavi?
“Non
lo so,” ammise lei sedendosi sul grande davanzale della finestra. Fuori un
vento fortissimo minacciava l’inizio di un temporale. “Abbiamo dormito diverse
volte insieme ma ogni volta che è successo, l’uso dei vestiti non era
contemplato e quindi ho iniziato a far galoppare la fantasia. Un pigiama di
seta mi sembrava da te.”
Elijah
accennò una risata avvicinandosi a lei. Con delicatezza le accarezzò le cosce
allargandole piano, per farsi largo tra di esse. “Per una volta direi che ti
sei sbagliata.”
“Sì,
succede anche ai migliori a volte” disse lei poggiandogli una mano sull’addome
nudo, sentendo un brivido pervaderla per intero quando i loro corpi entrarono
in contatto. “Ho alcune richieste prima.”
Lui
le baciò delicatamente le labbra, poi annuì. “Parla pure.”
“Abbiamo,
o comunque stiamo per intraprendere una relazione, giusto?”
“Corretto.”
“Bene,”
Allison gli baciò il collo ed il mento prima di
continuare. “Affinché funzioni dobbiamo stabilire qualche semplice regola.”
L’Originale
fece cenno di sì col capo mentre un calore lo scaldava e il suo corpo reagiva istintivamente
al profumo che lei emanava.
“Primo,
nessun segreto. Ci diremo tutto, anche se sapremo che l’altro non sarà d’accordo,
anche se probabilmente ci arrabbieremo l’uno con l’altra. Nessun segreto” la
donna alzò le braccia invitandolo a sfilarle la maglietta e lui lo fece facendo
poi scorrere il dorso di una mano sulla parte di seno destro libera dal
reggiseno.
“Nessun
segreto” ripeté sbottonandole i jeans.
“Secondo,
ci preoccupiamo l’uno per l’altra, ma rispettiamo i reciproci spazi. Io mi
fiderò delle tue scelte e tu ti fiderai delle mie. Magari ne discuteremo, ma
non dobbiamo mai dimenticare che indipendentemente da tutto, io so ciò che
faccio e…beh anche tu sai ciò che fai.”
“Non
ti dirò mai e poi mai cosa fare. Capito.”
Allison
rise facendo leva sulle braccia per sollevare il bacino e permettergli di
sfilarle i jeans. Elijah tirò via anche gli slip, poi lasciò che lei slegasse i
laccetti dei suoi pantaloni e lentamente li facesse scendere giù per le gambe.
“Sei
sveglio, Mikaelson. Hai saputo leggere tra le righe.”
Il
vampiro sospirò, le prese il viso tra le mani e disegnò il contorno di quelle
labbra rosate con la punta della lingua. “Hai altre richieste?” le domandò
facendo scivolare le mani fino a fianchi.
“Dimmelo
di nuovo,” la voce della donna divenne un sussurro mentre lui lentamente le
scivolava dentro, stringendosela addosso, facendo aderire perfettamente i loro
corpi.
Elijah
diede la prima spinta. “Cosa?” le chiese intrecciando le dita alle sue e
sollevandole le braccia in alto, bloccandole contro il vetro freddo della
finestra.
Allison
gemette, chiuse gli occhi mentre il respiro diventava affannoso sotto le spinte
decise ma gentili dell’Originale. Quelle labbra che le baciavano il collo, l’incavo
tra i seni, la bocca… lasciavano una scia di fuoco al loro passaggio. “Che mi
ami” riuscì a dire mentre i gemiti si rincorrevano nel silenzio della stanza,
mentre il freddo della finestra dietro la sua schiena si faceva bollente.
Lui
le strinse di più le mani, affondando la lingua dentro la sua bocca, in un
bacio forte, intenso, appassionato. Si perse in quella danza calda e umida di
cui non avrebbe più saputo fare a meno e le lasciò le mani per stringerla
ancora di più. “Ti amo tantissimo” le sussurrò staccandosi dalle sue labbra.
Le
mani di Allison si persero tra i suoi capelli,
stringevano di più ad ogni spinta, seguendo quel violento piacere che sentiva
nascerle dentro.
“Ti
amo anche io” rispose stavolta, un attimo prima che l’orgasmo la scuotesse
facendola gemere profondamente.
Elijah
la seguì dopo pochi secondi; le dita strette sulle sue cosce, il viso perso tra
i suoi capelli. Si sentì felice, come non si sentiva da secoli, mentre le dita
affusolate della donna che amava gli accarezzavano la nuca.
Con
decisione la tirò su e portandola in braccio la poggiò sul materasso con una veemenza
che la fece ridere e poi tremare di nuovo di piacere.
NDA: Eccoci alla
fine di questa storia! Grazie a tutti quelli che l'hanno seguita,
commentata letta e basta e amata! Oltre che a quelli che l'hanno
aggiunta tra le preferite, le seguite, le ricordate ecc ecc. Spero che
mi lascerete un commento per questo ultimo capitolo che lascia tanti
punti aperti, lo so. Ma non temete... appena potrò mi
metterò al lavoro su un sequel.
Per ora, buona lettura, Roby.
31.
Un
urlo nel silenzio della notte era da sempre la premessa ideale per ogni
perfetto film horror, ma per Allison era praticamente
la normalità. E un urlo era infatti quello che aveva svegliato sia lei che
Elijah alle due e trenta di quella specifica
notte.
La
notte in cui avevano messo a tacere ogni dubbio reciproco sui sentimenti che
provavano l’uno per l’altra, la notte in cui tutto avrebbe avuto inizio, o
almeno così sperava.
Qualcosa
però, già mentre lui la stringeva baciandole le spalle, accarezzandole i
capelli in attesa che il sonno vincesse e le facesse chiudere gli occhi
dolcemente, le suggeriva che nulla sarebbe stato facile in quella relazione,
perché nulla era facile nella sua vita, mai.
Aprì
gli occhi di soprassalto e si mise a sedere sul letto con un balzo che le fece
venire un capogiro. Elijah invece si guardò intorno confuso, domandandosi
esattamente cosa diavolo stesse succedendo.
Il
sonno al quale si era abbandonato, tenendo la donna che amava stretta tra le
braccia, era un sonno che somigliava tanto alle sue notti da umano, quelle che
ricordava con tanta nostalgia, popolate da sogni di un futuro che poi non aveva
avuto, in quella vita che comunque non era andata poi tanto male se ora se ne
stava lì a cullare la bella cacciatrice addormentata tra le sua braccia.
“Che
diavolo sta succedendo?” chiese quando un’altra serie di urli si susseguirono a
pochi secondi uno dall’altro, riempiendo il silenzio, disturbando la pace.
Non lo so
avrebbe voluto rispondere Allison, non ho idea di cosa stia accadendo. Ma
non lo disse, perché avrebbe mentito; una vocina nella sua testa le suggeriva
infatti che lei era la causa di tutto quel trambusto e il giallo visibile dalla
finestra, tanto simile alle fiamme, le confermava che non si trattava di un
semplice incidente notturno, né di qualche vampiro di Marcel che stava facendo
festa lì in quel posto che chiamavano casa, così lontano dallo chic quartiere francese. Quel baccano, quel
fuoco che ora bruciava per strada era per lei.
Si
alzò di corsa e indossò i jeans più velocemente che poteva, facendosi scivolare
la maglietta giù per la testa mentre correva per le scale; Elijah dietro di
lei. Fuori un gruppo di vampiri spegneva il fuoco dentro il quale alcuni di
loro erano bruciati. Quando le fiamme si spensero, ogni sospetto prese forma,
quasi vita. Sul muro annerito campeggiava una scritta rossa e sbavata, fatta
col sangue; un messaggio semplice ed inquietante:
IO SONO DAPPERTUTTO E STO VENENDO A PRENDERTI
“Che
cazzo significa?” urlò qualcuno e si alzò un vociare confuso.
Ma
Allison non stava ascoltando, lei non riusciva a
sentire nulla che non fosse il battito del suo cuore, il sangue pomparle nelle
vene in una scarica di adrenalina, rabbia e paura.
Non
vide neppure il vampiro che la stava attaccando, si accorse solo che qualcosa
le stava accadendo intorno perché il braccio di Elijah la spinsevia, facendola cadere, mentre l’Originale
aiutato da Marcel si occupava di tenere fermo l’aggressore.
“Lui
sta arrivando,” disse il vampiro ridendo, con una risata sottile e divertita.
“Non puoi sfuggirgli.”
A
Marcel bastò una rapida occhiata per capire che qualcosa nel suo vampiro non andava. “È soggiogato”
mormorò sorpreso.
“Non
sono soggiogato” rispose lui guardandolo. “È solo che non sono mai stato dalla
vostra parte. Quando mi avete trovato, un mese fa, avevo già deciso con chi
schierarmi, e cioè con i vincenti.”
Elijah
piegò poco il capo. “E potremmo sapere chi sarebbero i vincenti?”
“Mio
fratello,” Allison si rimise in piedi. “Parla di mio
fratello.”
“Tuo
fratello è in città?”
Lei
annuì e si avvicinò al vampiro che ancora Marcel ed Elijah tenevano fermo.
“Lasciatelo andare” chiese pensando che i piedi nudi su quell’asfalto bagnato
le facevano male.
“Lasciarlo
andare?” chiese Elijah. “Io pensavo di strappargli il cuore.”
La
cacciatrice gli poggiò una mano sulla spalla, per richiamare la sua attenzione,
incontrare i suoi occhi. “Lascialo andare, per favore” ripeté quando lui la
guardò.
Il
vampiro venne liberato ma Marcel e l’Originale rimasero comunque fermi
dov’erano.
“Torna
da Matt,” disse Allison fissando il galoppino di suo fratello. “E digli che non vedo l’ora
che venga a prendermi.”
Il
vampiro sparì in pochi secondi e lei rimase immobile a fissare il muro davanti
a sé, gli occhi di tutti puntati su di lei la costrinsero a voltarsi e
rientrare dentro più in fretta che poteva. Ringraziò il cielo quando iniziò a
piovere, perché la pioggia si confuse alle lacrime e nessuno si accorse che
stava piangendo.
****
“Allison”
la voce di Sam risuonò chiara e dolce attraverso l’apparecchio, come tutte le
volte che parlava con lei. Allison pensò che le
sarebbe mancata quella delicatezza che le usava riguardo ad ogni cosa, così
come le sarebbe mancato l’atteggiamento incurante di Dean che molto spesso la
trattava come un uomo ignorando che non lo era, e la dolcezza di Cass che da sempre la metteva al primo posto.
Pensò
anche che forse sarebbe stato bello sentire anche Claire, visto che non le
parlava da tanto. Per sapere come se la cavava, e Victor magari.
“Ciao
Sammy” disse all’amico. “Ti chiamavo solo per un
saluto, oggi mi è capitata tra le mani una vecchia musicassetta di Cindy Lauper e mi sono ricordata di quando l’ho inserita nella
radio dell’Impala e a Dean è quasi preso un infarto.”
Dall’altra
parte Sam rise, con quella sua risata spontanea che poche volte si sentiva. “Aspetta, ci sono qui anche Cass e Dean, ti metto in vivavoce.”
“Hey!”
sentì Dean prima.
“Ciao Allison”Cass dopo.
“Il
Team Free Will al completo” scherzò lei.
“Non al completo, manchi tu.”
Allison
sospirò ripensando al giorno in cui quel nomignolo: Team Free Will era venuto
fuori dalla bocca del maggiore dei Winchester. Li rappresentava, in tutto e per
tutto. Loro con le loro scelte indipendenti… quante volte avevano mandato al
diavolo ogni piano che il destino sembrava avere per loro, in nome di un libero
arbitrio che non si era sempre rivelato la scelta migliore, ma a cui non
avrebbero rinunciato per nulla al mondo. Sentì che Dean e Sam avevano iniziato
a discutere di qualcosa, anche se non capiva esattamente cosa.
“Ragazzi!”
urlò zittendoli all’istante. “Devo andare ora, ma volevo solo dirvi che vi
voglio bene e che per quanto sia stata difficile la nostra vita, per quanto
complicate le nostre battaglie, non cambierei niente. O quasi…”
“Allison,”
stavolta era Dean a parlare e lei sapeva che più degli altri aveva capito. “Suoni come una dannata lettera di addio.
Che diavolo succede?”
“Vi
sto davvero dicendo addio” rispose lei con la voce tremante. “Dite a Victor che
ho combattuto con tutta me stessa per vendicare Lily e la loro bambina.”
Riattaccò,
poi gettò il cellulare a terra e lo distrusse pestandolo con un piede. Ne tirò
fuori uno da un cassetto e dopo aver composto un numero se lo portò all’orecchio.
“Pronto”
“Sono
io, ho bisogno di chiederti un favore.”
“Oh quindi siamo di nuovo amici
ora? Credevo che mi odiassi.”
“Klaus,
ti prego, è importante.”
“Sembri agitata, Allison. Dove sei?”
Il
tono dell’Ibrido era diverso, se non lo avesse conosciuto bene Allison avrebbe giurato che fosse preoccupato. Genuinamente
in pensiero per lei. “Non ha importanza” gli disse. “Ho messo… ho messo Elijah
a dormire per un po’.”
“Nel senso che gli hai spezzato il
collo?”
“Sì,
ho dovuto. Non mi avrebbe lasciata venire da sola a fare questa cosa.”
“Lasciata sola ad andare dove? E
per fare cosa?”
“Sto
per combattere la mia personale battaglia Niklaus,”
gli disse lei. “Non volevo che lui venisse con me mettendosi in pericolo. E sì,
ti odio ancora, ma ti voglio bene, nonostante tutto sei mio amico. Quando sarà
grande, dì ad Hope che la zia Allison
le ha voluto tanto bene e salutami Hayley.”
La
cacciatrice scoppiò in lacrime, poi riprese il controllo e si asciugò il viso.
“Allison”
le disse l’Ibrido. “Fagliela vedere!”
Lei
mise giù e distrusse anche quel telefono, come aveva fatto col primo. Fu in
quel momento che suonarono alla porta. Lei la guardò per qualche secondo, poi
pensò ad Elijah un’ultima volta prima di parlare.
“È
aperto!” urlò senza muoversi. “Entra pure.”
E
Matt lo fece, avanzando deciso verso di lei dopo essersi chiuso la porta alle
spalle.
****
Elijah
aprì gli occhi e si portò la mano alla nuca. Aveva ancora la camicia sbottonata,
quella che stava provando ad indossare quando Allison
gli aveva spezzato il collo dopo avergli sussurrato un addio che non aveva
avuto il tempo di comprendere.
Si
alzò con un balzo, tornando lucido. Il viso che vide quando si rimise in piedi
fu quello di Niklaus. “Allison…
devo trovarla.”
“In
questo momento credo che si trovi faccia a faccia con suo fratello,” Klaus
bevve un sorso da un bicchiere.
“Cosa?
La ucciderà, dov’è?”
“Non
lo so, mi ha telefonato per dirmi di venire ad occuparmi di te, di dire ad Hope che le vuole bene. Un addio.”
L’Ibrido
non si sorprese quando la mano di Elijah gli si strinse attorno al collo, e non
si sorprese quando venne sbattuto contro un muro. “Dove si trova?”
“Sta
combattendo la battaglia della sua vita, te l’ho detto.”
“Perché
non sei andato a cercarla invece di venire qui?”
“Era
piuttosto chiaro che non voleva essere aiutata. E chi sono io per portare via
ad una giovane ed abile cacciatrice la possibilità di avere la sua personale
vendetta?”
“Lei
morirà!” urlò Elijah. “Sei un…”
“Rilassati!”
lo interruppe Klaus. “Credi davvero che la lascerò da sola a combattere questa
battaglia? Volevo solo darle un po’ di tempo per godersi il momento.”
“Godersi
il momento?” Elijah lo lasciò andare ed indietreggiò di qualche passo. “Tu sei
pazzo” gli disse prima di correre via, a salvare Allison.
Klaus
lo seguì subito dopo.
****
Allison
era stesa sul pavimento, insanguinata e dolorante quando la porta si spalancò
ed Elijah e Klaus comparvero sulla soglia.
Aveva
combattuto e si era difesa, ma suo fratello era dannatamente forte e lei era incredibilmente
stanca. Abbozzò un sorriso quando vide il suo Originale elegante, ma dubitava che
si fosse visto considerato che il suo viso era una maschera di sangue e lividi.
“Allison” lo sentì dire. Lo vide provare ad entrare e
ricordarsi, nervosamente, che non era stato invitato in casa. “Dannazione! Allison, invitami ad entrare, ora.”
Ma
lei non aveva intenzione di farlo e stava per urlargli di andarsene quando un
colpo di tosse la costrinse a fermarsi e concentrarsi per respirare.
“Bene
bene, ci sono degli spettatori.” Un giovane uomo con la faccia da ragazzino
scese giù per le scale e una volta arrivato a lei si accovacciò per scansarle i
capelli dal viso. “Shh non sforzarti.”
“Stai
lontano da lei” gli disse Elijah. “Portala fuori o morirà. E se lei muore, Dio
mi aiuti, ti strapperò il cuore dal petto.”
“Oh,
quanta veemenza. Tu devi essere Elijah,” gli disse Matt avanzando verso la
porta di qualche passo, non abbastanza perché loro potessero afferrarlo.
Klaus
rise. “Questa è una tua geniale intuizione?”
“Un
semplice uso della logica” rispose l’altro. “Vedi, il mondo soprannaturale
parla e al momento il pettegolezzo più gustoso parla di una bella cacciatrice
ed un Originale elegante travolti dalla passione. Un bel salto di qualità per
la mia sorellina, devo ammetterlo. L’ultima volta ci siamo incontrati era
innamorata di quel rozzo cacciatore; Dean Wincheter.”
“Se
sai tutte queste cose,” disse Klaus allargando le braccia. “Saprai di certo
anche chi sono io.”
Matt
scosse il capo. “In realtà non ho idea di chi tu sia.”
“Sono
NiklausMikaelson!” esclamò
l’Ibrido. “Ricorda questo nome, ricorda questa faccia, perché sarà l’ultima che
vedrai prima di morire… permanentemente questa volta.”
Il
giovane vampiro si finse terrorizzato, poi scoppiò a ridere. “E come intendi
fare?” gli chiese afferrando Allison per i capelli e
rimettendola in piedi. Il lamento che le uscì di bocca fece gemere di dolore
anche Elijah. “Non puoi neppure entrare in casa, perché non sei stato
invitato.”
Seguì
un minuto di silenzio, pieno di sguardi rabbiosi e di sfida, poi Matt parlò di
nuovo. Ma stavolta rivolto direttamente ad Elijah. “Dì addio alla donna che
ami” sollevò la mano che stringeva un pugnale e la puntò dritta al cuore di Allison.
“No!”
urlò Elijah. Un urlo potente che riecheggiò in tutta la casa.
Il
coltello aveva quasi toccato il petto di Allison,
quando Matt di improvviso si portò entrambe le mani alla testa, il corpo di Allison cadde in terra e lei gemette di nuovo, stavolta
sembrava con un po’ più di energia.
“Che
mi sta succedendo?” urlò il vampiro.
Ma
nessuno gli rispose.
Allison
alzò poco la testa per guardare i suoi amici sulla porta. “Entrate pure,” disse
loro.
Klaus
sorrise mentre i suoi occhi si iniettavano di sangue. “Tu porta via la nostra
adorata Allison, io mi occupo di lui” stabilì mentre
entravano.
****
DUE
SETTIMANE DOPO
Marcel
le passò una bottiglietta di acqua e sorrise tamponandosi la fronte con un
asciugamano. “Per essere una che due settimane fa stava per morire te la stai
cavando piuttosto bene.”
Lei
si strinse nelle spalle, l’intensità del combattimento le toglieva il respiro,
ma si sentiva bene. “Non sono ancora tornata in perfetta forma, ma allenarmi
ogni giorno mi aiuta.”
“Dovresti
comunque prendertela con calma.”
“Che
c’è” Allison rise e bevve dell’acqua prima di
continuare. “Elijah ha minacciato di farti male se io me ne faccio?”
“Non
ho usato questi termini esatti, ma sì, il succo era quello” l’Originale
elegante avanzò verso di loro, ma stavolta non era chiuso in un completo.
“Sei
venuto ad allenarti anche tu?” gli chiese Marcel indicandolo.
“Sì,”
confermò lui. “Ma non con te.”
Allison
alzò un sopracciglio perplessa. “Con me? Credevo che fossi venuto per dirmi di
smettere e mettermi a riposare.”
“Era
questa l’intenzione,” il vampiro si mise in posizione. “Ma poi mi sono
ricordato di una cosa.”
“Regola
numero due” sussurrò Allison stringendosi l’elastico
che le teneva i capelli raccolti. “Okay. Allora fatti sotto, Mikaelson.”