Il Ramingo dello Spazio

di saccuz
(/viewuser.php?uid=723106)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo 1 ***
Capitolo 2: *** Prologo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 3 ***



Capitolo 1
*** Prologo 1 ***


Prologo 1
 

Alast era fermo, immobile, nascosto contro una roccia, tratteneva il respiro. Dietro il masso sentiva dei passi in avvicinamento, avvertiva il suo movimento, percepiva la sua presenza e anche uno sprazzo dei suoi pensieri. Presto avrebbe fatto il giro della roccia e sarebbe stato scoperto, e allora addio effetto sorpresa… avrebbe dovuto nascondersi meglio, ma ormai era troppo tardi per rammaricarsi… eccolo, stava girandoci attorno… desiderò intensamente di non farsi vedere, di diventare un tutt’uno con la roccia. Improvvisamente la figura entrò nel suo campo visivo, Alast sentì un brivido, pronto ad entrare in azione, eppure l’altro gli passò davanti, come se non lo avesse visto. Incuriosito allora si guardò le mani, erano dello stesso colore della roccia, completamente rosse.
Attese un attimo, aspettò che l’altro gli volgesse le spalle, e poi scattò.
Gli piombò addosso urlando e, gettandosi su di lui, lo trascinò a terra.
 
«Non vale, non vale, non vale!! Imbroglione!!» urlò il bambino! «Lo sai che io non so fare quello che fai tu!».
Ma Alast non lo ascoltava, era troppo impegnato a ridere a crepapelle delle lamentele dell’altro
«E dai Laren, che gusto c’è sennò!» esclamò sorridendo «così è molto più divertente… altrimenti sarebbe troppo facile!».
 
I due bambini discutendo e scherzando stavano correndo lungo un sentiero di terra rossa, che portava alle cupole abitative, quando si fermarono di botto: dall’atmosfera del piccolo avamposto infatti stava scendendo a forte velocità una nave. Già era un evento sensazionale che un’astronave arrivasse fino a quella colonia situata oltre i margini esterni della Via Lattea, in pieno vuoto intergalattico, ma che il vascello in questione fosse addirittura un cacciatorpediniere era incredibile! Da che il bambino ricordasse non una nave della flotta era mai passata da quelle parti.
Questa nel frattempo, circondata da un alone di aria incandescente, si dirigeva a forte velocità verso il desueto molo d’attracco della colonia.
 
Alast percepì un senso di pericolo sempre più incombente prendere forma nella sua testa. Istintivamente avvertiva una forte repulsione verso quella nave, sentiva l’impulso di mettersi a correre, di nascondersi, di trasformarsi in una pietra e di restare tale fino alla scomparsa di quel vascello. Ma la curiosità era troppa per poter essere ignorata, così, dopo aver relegato quella sensazione in un angolo remoto della sua mente, si rimise a correre, per vedere da vicino il cacciatorpediniere.
 
Quando alla fine giunsero all’astroporto la nave era già atterrata, ma nessuno era ancora sbarcato. Attorno al velivolo si era radunata la maggior parte degli abitanti della colonia che, galvanizzati dall’arrivo dell’astronave, aspettavano con ansia la discesa dell’equipaggio.
 
Improvvisamente si aprì un boccaporto, ma dalla nave non uscirono persone, bensì una fitta pioggia di raggi laser che, abbattendosi sulla folla radunatasi, falcidiavano frotte di abitanti terrorizzati che scappavano da ogni parte, cercando di mettersi al riparo.
 
Alast osservava impietrito la scena; era paralizzato dall’orrore: vide sua madre trasformarsi in una nuvola di fumo, suoi amici cadere a terra, con larghe bruciature su tutto il corpo, e non muoversi più. Le immagini arrivavano come al rallentatore al suo cervello: riusciva a distinguere le espressioni terrorizzate di quelli che scappavano; notava le smorfie di dolore di chi, scappando, cercava di tamponare il sangue che usciva dalle ferite; osservava la triste rassegnazione delle persone colpite e distese a terra, con le mani distese lungo i fianchi, che aspettavano la morte. E vide anche quella, nei volti bianchi dei cadaveri, nelle loro membra rese rigide dal decesso, nelle loro ferite ancora rosse ma che ormai non versavano più sangue: in quei corpi calpestati vide la fine di tutto ciò che conosceva.
Voleva urlare, piangere, scappare, ma non riusciva a spostarsi, era come immobilizzato, sentiva i suoi piedi farsi pesanti, la pelle cambiare colore, le orecchie avevano smesso di sentire, non sbatteva neanche più le palpebre, i polmoni non cercavano più ossigeno, improvvisamente gli occhi smisero di vedere. Tutto si era fatto nero, sordo e immobile, non percepiva neanche più il dolore, la tristezza, non percepiva più niente.
 
Intorno a lui la gente moriva, scappava, cercava di combattere, si spegneva per sempre, ma Alast non si rendeva conto di niente, era freddo, duro, immobile; come una pietra.
 
 
Inalò aria fredda. Il suo cuore fece un battito, poi un altro, poi un altro ancora, infine ricominciò pompare sangue con forza, come al solito. Le sue orecchie percepivano un lieve ronzio, come una cantilena. Avvertiva il vento fra i capelli; sentiva le dita tornare sensibili, venne inondato da una luce accecante, segno che anche gli occhi era tornati in funzione. Le ginocchia gli cedettero di schianto, cercò di proteggersi con le braccia, ma queste non si mossero. Batté violentemente la faccia a terra. Solo allora si accorse della presenza di altre persone: erano in tre, indossavano un lungo vestito grigio, che arrivava fino ai piedi, in una mano tenevano un bastone di legno lavorato.
 
Lentamente, con un grande sforzo, si tirò in piedi. Avvertì le ginocchia scricchiolare, la schiena gemere, mentre le braccia inviavano dolorose fitte al suo cervello.
 
Infine si rese conto dell’ambiente circostante: intorno a lui vedeva edifici smembrati, rovine di palazzi anneriti dal fumo, strade ingombre di macerie che nascondevano solo in parte il bianco inconfondibile delle ossa umane. Tutto l’ambiente era devastato e in rovina, riusciva a stento a riconoscere i resti del molo di attacco della colonia.
 
Istantaneamente lo assalirono i ricordi dei suoi genitori, dei suoi amici, di Laren, di tutte le persone che bene o male conosceva. Fu come se un macigno gli fosse entrato nel petto. Avvertiva un peso dentro di lui, che aumentava man mano che la consapevolezza di quello che era successo prendeva forma nella sua mente. Più ripensava ai suoi parenti, più quel peso cresceva, fino a diventare insopportabile. Alla fine Alast non riusciva più a respirare, era schiacciato dal dolore, il suo corpo e la sua mente si ribellavano a tutto quel dolore, si sentiva soffocare, non riusciva ad avere un pensiero razionale, tremava, era come sul punto di esplodere.
Senza nessun preavviso, uno di quei tre uomini, che non avevano ancora detto una parola, coprì la distanza che lo separava dal ragazzo e lo abbracciò.
Quell’improvviso e spontaneo gesto di affetto finalmente lo liberarono: iniziò a singhiozzare contro il petto di quell’uomo; non gli importava se tre sconosciuti lo vedevano piangere, non gli importava se stava facendo la figura del bambino, non gli importava più di niente, voleva solo piangere e basta.
 
Pianse a dirotto per alcuni minuti, inzuppando di lacrime il vestito dell’uomo, fino a che quest’ultimo, non gli appoggiò una mano sulla fronte, mormorò alcune parole e si alzò in piedi. Subito la mente di Alast fu invasa da una luce calda e rassicurante, mentre una dolce melodia gli risuonava nelle orecchie. Sentiva la sua mente ricomporsi, i suoi pensieri riprendere un filo logico, le immagini dei defunti diventare sempre meno vivide e finire in un piccolo angolo della sua mente, percepiva distintamente il macigno che si era formato nel petto e che, nonostante il pianto liberatorio non era sparito, polverizzarsi, mentre il suo animo era invaso da una tranquillità incredibile. Tutto a un tratto si scoprì più calmo, smise di piangere, si asciugò gli occhi e, analizzando con più calma la situazione, metabolizzò finalmente la presenza di quei tre uomini.
 
Quasi gli avesse letto nel pensiero, il più giovane dei tre, che lo aveva abbracciato, disse: «Gran bel trucco il tuo! Ho visto raramente una forma di auto-pietrificazione così completa, i miei complimenti.»
Alast si concesse un sorriso e, toccandosi la testa disse: «Beh, anche il tuo non è male!»
«Grazie – rispose quello - ma ne conosco anche di migliori.».
Il ragazzo si incupì all’improvviso: «Chi ha fatto questo? – disse indicando le macerie alle sue spalle – chi siete voi? Quanto tempo sono rimasto una pietra? E soprattutto, come avete fatto a farmi tornare normale?»
«Quante domande – disse l’uomo – meglio andare con ordine: il responsabile, o meglio i responsabili di questo scempio sono dei pirati che, da un paio d’anni, battono queste zone, razziando e distruggendo le colonie minerarie. Spuntano dal nulla, atterrano, massacrano la popolazione, prendono ciò di cui hanno bisogno e se ne vanno. Tu sei uno dei pochissimi superstiti che abbiamo ritrovato.
Sei rimasto pietra per circa sei mesi, se non fossimo passati di qui probabilmente non saresti mai tornato umano. Ritrasformarti non è stato troppo difficile, la tua era una semplice ma ben eseguita metamorfosi, non troppo complicata da annullare. Infine, noi siamo stati inviati qui per eliminare la minaccia pirata in questo settore.»
«Ma chi vi ha mandato? Come avete fatto a capire che io ero umano?»
«Sempre più domande… ci ha inviato un’organizzazione della Terra, che ha sedi in tutta la galassia. Ti abbiamo riconosciuto come umano per un semplice motivo, tutti quelli come noi lasciano delle tracce del loro passaggio, noi siamo solo incappati nella tua…»
«Tutti quelli come noi come?» chiese Alast
«Beh – rispose l’uomo sorridendo – non avrai mica pensato di essere l’unico mago della galassia!».

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Prologo 2 ***


Prologo 2
 
Alast rimase a bocca aperta: «Un mago? Io?»
«Beh – rispose l’altro – il tramutarsi in pietra, la sensazione di pericolo, il far cambiare colore alla pelle…, tu come li chiameresti, se non magia?»
«Ehi, come fai a sapere che posso cambiare colore!!??»
L’uomo non rispose, limitandosi a strizzargli l’occhio.
«E adesso? Cosa ne sarà di me?»
«Dipende da cosa scegli di fare»
«Posso scegliere?»
«Ovvio! Puoi scegliere se rimanere qui, da solo, aspettando che arrivi una nave sulla colonia e, nell’eventualità in cui tu sopravviva fino ad allora, imbarcarti, diventare un marinaio, passare la tua vita in un vascello e chissà, un giorno magari diventarne capitano. Oppure potresti chiederci un passaggio fino al pianeta più vicino, dove verresti consegnato alle autorità, piazzato in un orfanotrofio e poi, una volta maggiorenne, mandato allo sbaraglio nel mondo…»
«C’è anche una terza strada, vero?» disse Alast
«Già – disse l’uomo sorridendo – potresti rimanere qui per qualche giorno, in attesa di una nave della nostra associazione, che ti prenderebbe, ti porterebbe sulla Terra, nella nostra sede centrale, dove impareresti ad usare la magia, a fare, per così dire, trucchi migliori del diventare un sasso!».
 
Alast osservò la navetta di Dereb (così aveva detto di chiamarsi quell’uomo) e dei suoi silenziosi compagni sollevarsi dal terreno e schizzare ad altissima velocità verso il cielo, per poi sparire inghiottita dallo spazio. Era molto più piccola di quella dei pirati, e si era chiesto come avrebbero fatto a sconfiggerli, ma Dereb si era limitato a sorridere, dicendogli che la sua era molto, molto più veloce, e che non doveva fermarsi alle apparenze, che in realtà quella piccola nave poteva creare molti più problemi di quanto non potesse sembrare. Poi lo aveva salutato, era salito sulla nave, ed era partito. Chissà se lo avrebbe più rivisto…
 
Si guardò intorno: gli avevano assicurato che in un paio di giorni sarebbero venuti a prenderlo, e gli avevano lasciato provviste per due settimane, non avrebbe di certo sofferto la fame. Smise di volgere lo sguardo intorno a se, puntando deciso verso casa sua, o almeno quello che ne rimaneva. Nonostante si fosse preparato mentalmente a ciò che lo aspettava, rimase comunque sconvolto dalla devastazione della casa. La ricordava bella, pulita, con le pareti rosse, con quella sua piacevole forma semisferica, che gli ricordava una scodella per la colazione rovesciata al contrario. Ora invece i muri erano crollati, i calcinacci occupavano tutta la strada e anche l’interno, le poche pareti rimaste in piedi erano annerite dal fumo, piene di crateri fatti dai colpi dei laser. L’interno era pieno di macerie, di polvere, di cocci; tutto ciò che non era stato portato via era stato distrutto, carbonizzato. Entrò in quella che una volta era la sua camera. Il suo letto non c’era più, il tetto era crollato, distruggendo quei pochi mobili risparmiati dalla razzia.
 
Uscì.
 
Girovagò ancora un per un po’ fra le case in rovina, scavando nelle macerie, spostando calcinacci, alla ricerca di qualcosa, qualunque cosa, che potesse, una volta sulla Terra, ricordargli casa. Quando scese la notte, riparò in una delle poche case con un tetto ancora intero.
La mattina, dopo aver mangiato qualcosa, si diresse verso una parte della colonia che non aveva ancora esplorato dopo l’attacco: il quartiere ovest, la zona in cui abitava Laren. Dovette camminare per più di un ora per raggiungere quella zona, i detriti infatti avevano ostruito completamente le strade del centro, e Alast procedeva a stento fra le macerie, incespicando, cadendo, sbucciandosi le mani, ma alla fine riuscì a passare.
Quando raggiunse il quartiere ovest si rese conto che gli abitanti della colonia non si erano lasciati trucidare senza reagire, ma anzi, avevano opposto una fiera resistenza al nemico. Vedeva chiaramente scheletri di persone avvinghiati uno sull’altro, pareti crivellate dai colpi dei laser, crateri nel suolo scavati dall’esplosione di granate al plasma.
Giunse infine a quella che era stata la casa di Laren, perché in quel momento altro non era se non ammasso di calcinacci pieni di polvere.
Alast entrò in quella che ricordava essere la cucina, anche se ormai era ridotta a un cumulo di cenere e resti carbonizzati, il salotto e la camera dei genitori erano nelle stesse condizioni. C’era solo più un posto in cui doveva entrare: la camera del suo amico. Questa era nella stessa situazione del resto della casa: spoglia, con i frammenti del tetto sul pavimento, con i resti delle pareti neri dal fumo e perforati dai colpi delle armi.
Improvvisamente dal mare di ricordi ne emerse uno particolare:
“Lui era andato a trovare Laren a casa, e quello lo aveva portato in camera sua:
«Sai – disse Laren – ho letto un libro su uno scienziato che nascondeva un libro in un posto, e poi secoli dopo un suo parente lo trovava, e con quel libro salvava il mondo da un epidemia!»
«Wow – rispose Alast – sembra interessante!»
«Già, e ho deciso di fare anche io una cosa del genere!»
«Vuoi salvare il mondo da un’epidemia?»
«Ma no! Voglio nascondere anche io qualcosa per i miei pro-pro-pronipoti, così che, quando lo troveranno, si ricorderanno di me!»
«Che bella idea! Che cosa nasconderai?»
«Beh, non deve essere qualcosa di troppo grande, sennò poi è troppo difficile nasconderlo… pensavo di nascondere il cristallo che abbiamo trovato l’anno scorso, se non ti dispiace, ovviamente…»
«Dispiacermi? Ma scherzi? È fantastico, così si ricorderanno anche di me!»”
Chissà se era ancora lì…
 Alast era per terra in ginocchio, che scavava a mani nude nella sabbia rossa dell’asteroide. Dopo pochi minuti si rimise in piedi, fra le mani aveva una scatola rossa. L’aprì: dentro c’era un cristallo rosso. Senza esitazione se lo mise in tasca, per poi girarsi e tornarsene sui suoi passi.
 
Tre giorni dopo una navetta entrò nell’atmosfera, atterrando a qualche centinaio di metri di distanza, in quelle che una volta erano culture idroponiche.
Dalla nave non scesero, come si era aspettato, uomini con abiti grigi e bastoni, ma un ragazzo e una ragazza, di circa vent’anni. Entrambi con maglia e pantaloni rossi.
«Bene! – disse la ragazza – prendiamo il bambino e andiamocene, non mi piace questo posto.»
«Ah, eccolo!» disse il ragazzo vedendo Alast arrivare
«Chi siete?»
«Ciao! – disse il ragazzo - siamo stati incaricati di portarti via da qui.»
«Non siete come Dereb e gli altri »
«Ovvio – intervenne la ragazza – loro sono maghi a tutti gli effetti, noi siamo ancora allievi, vicini al passaggio ma pur sempre novizi.»
«Allora – disse il ragazzo – andiamo?»
«Sapete fare anche voi le magie?»
«Certo! Non siamo al livello di un mago ma non ce la caviamo così male.»
Alast sapeva che avrebbe dovuto essere diffidente, eppure guardandoli avvertita una sensazione di potere, meno marcata rispetto a quella di Dereb, ma comunque facilmente percepibile.
«D’accordo, andiamo!» disse infine.
«Eccellente! – esclamò il ragazzo – Sei mai stato su un’astronave?»

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1
 
Il ragazzo, con i capelli cortissimi ed interamente vestito di bianco, passeggiava rapidamente su e giù nella sala di attesa, torcendosi nervoso le mani. Improvvisamente, con un sibilo, la porta si aprì.
Alast prese un profondo respiro e varcò la soglia. Si ritrovò in una grande sala con undici lati, inondata di luce. Intimorito, fece qualche passo in avanti sul lucido pavimento di marmo bianco. Sugli scranni che si innalzavano contro le pareti, uno per ogni angolo, sedevano i Dieci, chiusi nelle loro tuniche viola. Il ragazzo, volgendo lo sguardo attorno a se osservava i volti in penombra degli arcimaghi; diversi li conosceva di vista, altri di nome, ma alcuni erano per lui dei perfetti sconosciuti. Improvvisamente uno di questi, che Alast riconobbe come la reggente del consiglio dei Dieci, Urdra, parlò:
«Il sommo stregone - disse indicando lo scranno centrale, che era vuoto - si scusa per la sua assenza, ma impegni improrogabili lo hanno condotto lontano da questa sala.»
Il ragazzo si limitò a chinare la testa in segno di comprensione. Da una parte era contento della sua assenza, poiché il capo supremo del consiglio aveva fama di essere estremamente severo, ma dall'altra era profondamente deluso, il supremo arcimago infatti non si mostrava mai in pubblico, a eccezione di alcuni eventi particolari, come appunto gli esami finali dell'apprendistato.
La voce roca e burbera dell'Arcimago Quinn lo allontanò dai suoi pensieri:
«Sei tu Alast, della colonia mineraria di Ilmor 3?»
«Sì signore, sono io»
«Bene! Poiché i tuoi maestri ti hanno ritenuto sufficientemente abile da poter diventare novizio, sei stato convocato in questo giorno dinnanzi a tale consiglio che ha il compito, fra le altre cose, di giudicare gli aspiranti al passaggio di livello. Oggi non verrà testata la tua conoscenza della magia, che é compito dei tuoi maestri, ma la tua comprensione della medesima. La prova inizierà fra un minuto. Sfrutta questo tempo per fare, come dico io, mente locale, giovanotto!» Disse l'uomo, sottolineando l'ultima frase con una strizzata d'occhio.
 
Alast chiuse gli occhi, cercando di placare il grande flusso di pensieri che gli passavano per la mente. Fece come gli era stato insegnato, eliminando un pensiero alla volta: prima l'immediata simpatia che provava per Quinn, poi la preoccupazione per l’esame, e poi via via, sempre più a fondo, fino ad arrivare ai pensieri e ai sentimenti più remoti; riuscì a scacciare la felicità che aveva provato la prima volta che era arrivato sulla Terra, poi toccò al freddo dell'astronave, quindi alla simpatia dei due novizi che lo avevano recuperato. Quando arrivò a Dereb, come ogni volta, dovette fare uno sforzo intenso per riuscire a reprimere anche quel pensiero. Quell'uomo riusciva a far nascere in lui sentimenti molto forti, provava infatti per il mago un affetto fortissimo, tanto che talvolta si trovava a considerarlo come un padre, nonostante non lo vedesse ormai da molti anni. Infine appianò i ricordi precedenti, come ormai faceva da diverso tempo a quella parte prima di dormire (era infatti l'unico modo che aveva per non essere tormentato dagli incubi) e aprì gli occhi.
 
Tutta l'operazione non era durata un minuto, e adesso si sentiva la mente libera e leggera, pronta ad affrontare il test.
Un arcimago di cui non conosceva il nome, notando che aveva terminato di sedare i pensieri, batté una volta le mani:
«Bene, direi che possiamo iniziare!»
Subito i dieci membri sollevarono i bastoni, e Alast percepì i suoi occhi chiudersi, mentre dinanzi a lui, nella parte interna della sua palpebre, si dischiudeva un universo intero di sensazioni, emozioni, pensieri, fiamme scintillanti e oscuri blocchi di ghiaccio, che gli roteavano rapidissimi intorno, risultando quasi sfumati. Rimase a guardare ammaliato quello spettacolo straordinario, osservando le scie rosse delle fiamme intrecciarsi con quelle quasi nere del ghiaccio e formare arabeschi e disegni che neanche il più grande dei poeti avrebbe mai potuto descrivere, nè il più grande dei pittori rappresentare. Eppure era inquieto: sentiva la necessita di andare più a fondo, avvertiva che quello che “vedeva” altro non era che uno schermo, che un inganno, che “oltre” c’era qualcos’altro, e sapeva di volerlo raggiungere.
Si concentrò intensamente su tutto ciò che gli roteava intorno, cercando di mettere a fuoco. Subito tutte quelle “entità” rallentarono, andando a disporsi in modo più ordinato, alcuni più vicini ed altri più lontani. Alast percepì la loro quantità, era milioni, anzi miliardi, più guardava lontano e più ne vedeva comparire. Ogni tanto una di quelle fiamme, che splendeva meno delle altre, scompariva, sostituita da un blocco di ghiaccio, ma altrettanto spesso uno di quei blocchi veniva sostituito da una fiamma nuova e potente, che rischiarava e rinvigoriva i fuochi vicini. Percepiva però la presenza di qualcos’altro, celato più a fondo, non alla portata di tutti… Si concentrò di più, sentì il sudore iniziare a colargli per lo sforzo, la mente gli doleva, tutti i suoi muscoli tremavano, ma infine le fiamme e il ghiaccio iniziarono a sparire. Al loro posto comparvero dei cubi trasparenti: alcuni, pochissimi, circondati da una potente luce gialla, tutti gli altri invece contenenti la stessa luce, che premeva insistentemente contro le loro pareti, senza però riuscire a romperle.
Si concentrò più a fondo, cercando di andare ancora avanti, sentiva che c’era altro da vedere, da osservare, da imparare. Lentamente iniziò a muoversi, vedeva i cubi spostarsi ancora, assumere altre disposizioni, finchè non si trovò circondato da dieci cubi, circondati da una violenta luce gialla, che si estendeva per diverse decine di metri dal punto di origine…
Ed allora, finalmente, capì.
 
 
Il ragazzo si trovava nuovamente nella sala di attesa, appoggiato contro una parete. Era completamente esausto. Non aveva mai faticato tanto come in quel paio d'ore, per la prima volta aveva dovuto dare fondo a tutte le sue energie. Fosse dipeso da lui sarebbe già andato a letto, e invece doveva stare lì, ad aspettare la deliberazione del consiglio.
La porta si aprì con un sibilo. Alast, facendo leva sulle gambe e, appoggiandosi al muro, si tirò in piedi, cercando far rallentare i battuti del cuore, ancora velocissimi per lo sforzo di prima. Poi, un passo alla volta, entrò nella sala.
 
Al centro di questa era comparsa un’antica sedia di legno scuro, finemente lavorata, con intarsi di uno sconosciuto materiale chiaro che si diramavano dal centro del sedile e si avvolgevano attorno a tutta la sedia: lungo i braccioli, sullo schienale e anche nelle gambe.
«Siediti apprendista.» La secca voce della reggente Urdra risuonò nel silenzio della sala.
Alast, che si reggeva in piedi a fatica, fece come gli era stato ordinato. Dopo che si fu seduto la voce dell’Arcimaga riprese:
«Dopo una profonda riflessione questo consiglio, al quale si sono rivolti i tuoi maestri per domandare il tuo passaggio di livello, ha raggiunto una decisione»
A quelle parole Alast sentì un brivido corrergli lungo la schiena, e fissò intensamente le facce degli arcimaghi, cercando inutilmente di distinguere le loro espressioni nella penombra.
 
Improvvisamente gli Arcimaghi si alzarono all’unisono, battendo contemporaneamente i bastoni per terra.
Subito il legno scuro della sedia iniziò a risplendere, schiacciando Alast contro lo schienale, con le braccia incollate ai braccioli e la parte inferiore del corpo alle gambe del mobile. Infine la sedia smise di brillare, ma il ragazzo era comunque immobilizzato. Poi, lentamente, gli intarsi presero vita ed, emanando una tenue luce azzurrina, iniziarono a muoversi come se fossero dei tentacoli, avvolgendo in poco tempo tutto il suo corpo. Quando anche questi smisero di brillare Urdra tornò a parlare:
«Apprendista Alast di Ilmor, sei tu disposto ad applicarti anima e corpo allo studio della magia?»
«Sì!» rispose Alast, e subito i tentacoli bianchi emisero un tenue lampo di luce
«Apprendista Alast di Ilmor, giuri tu di non rivelare a nessuna altra persona non appartenente a questa fratellanza alcuna delle conoscenze che apprenderai qui?»
«Sì!» e di nuovo gli intarsi produssero un tenue bagliore
«Apprendista Alast di Ilmor, ti impegni ad ubbidire ai tuoi maestri, ai Dieci e a tutti i membri di rango superiore al tuo incondizionatamente?»
«Sì!» e di nuovo i vincoli che lo bloccavano sulla sedia brillarono
«Apprendista Alast di Ilmor, sei tu disposto a servire la fratellanza in ogni modo?»
«Sì!»  questa volta i tentacoli emisero un bagliore più forte
«Apprendista Alast di Ilmor, sei tu disposto a combattere per la fratellanza con tutta la tua forza e con il cuore saldo?»
«Sì!» gli intarsi produssero un lampo di luce molto più intenso, che fece sbattere gli occhi ad Alast
«Apprendista Alast di Ilmor, sei tu disposto a soccombere alla morte per il bene della fratellanza?»
«Sì!» questa volta i vincoli si illuminarono a tal punto da costringere Alast a chiudere gli occhi
«Ed ora, che il giuramento è stato sancito dai mistici vincoli, ALZATI, novizio Alast di Ilmor!»
 
E l’intera sala fu invasa dalla luce. Alast sentì il suo corpo staccarsi dalla sedia e, ad occhi chiusi per non essere accecato dalla luce, si alzò in piedi. Lì, nel centro della sala, avvolto dalla luce, percepì una grande ondata di energia investirlo in pieno. Era a metà fra l’essere immerso in una vasca d’acqua calda e l’essere fasciato da una coperta. Avvertì quella forza modellarsi attorno al suo corpo, mentre ogni stimolo esterno abbandonava la sua mente. Le sue palpebre non si muovevano più, le sue braccia non rispondevano ai comandi, le gambe erano immobili, mentre sentiva il respiro rallentare. Non percepiva più i suoi vestiti addosso, la pietra di Laren nella tasca, i capelli sulla testa. Improvvisamente sentì un forte dolore all’anulare, era come se qualcosa gli fosse entrato nel dito, fin dentro le vene, e che ora si stesse muovendo all’interno del suo corpo. Percepiva distintamente quella forza farsi largo nei suoi condotti interni, sentiva quel dolore risalire il braccio, lasciando un forte bruciore lungo tutto il suo cammino. Infine arrivò al cuore, e a quel punto avvertì quel suo organo come esplodere, rilasciando un’ondata di energia in tutto il corpo, dalla punta dei piedi fino alla punta dei capelli. Tutto era invaso da quell’energia, che si insinuava in ogni cellula, attraverso ogni membrana, arrivando fino al nucleo, per poi fondersi con esso. Si sentiva forte, potente, come mai lo era stato, si sentiva invincibile.
Poi, lentamente, le sue percezioni si fecero più confuse, i pensieri sconnessi. Le ginocchia gli cedettero, gli addominali non lo tennero più dritto, si afflosciò a terra, mentre sulla sua mente calava una spessa patina di tenebra.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2
 

Alast aprì gli occhi. La stanza era ancora immersa nel buio, l'orologio olografico segnava le tre di notte, dalla finestra aperta entrava una lieve brezza notturna, mentre nel cielo, immersi in quel mare di stelle, piccoli oggetti orbitavano attorno alla Terra, residui mai cancellati di un passato ormai lontano. Nonostante l"ora tarda si sentiva sveglio, attivo. Si alzò. Al suo dito, incastonato nell'anello, il cristallo di Laren scintillava sotto i raggi della luna. E pensare che ci aveva messo così tanto per abituarsi ad averlo al dito... Si ricordava ancora la sensazione di calore che aveva percepito il giorno in cui era diventato novizio... Ancora adesso un po' gli dispiaceva che il cristallo di Laren fosse rimasto incastonato lì dentro, ma almeno così non si doveva più preoccupare di poterlo perdere... Gli avevano assicurato che quell'anello non si sarebbe tolto dal suo dito fino a che non fosse diventato un mago.
Il ragazzo, dentro i suoi vestiti completamente rossi, uscì nel piccolo balconcino su cui dava la stanza. L'immenso parco che si estendeva per chilometri, composto più che altro da una immensa foresta, appariva come uno straordinario oceano verde, le cui onde erano composte dalle cime degli alberi, inondate dai pallidi raggi lunari. Il soffice fruscio delle foglie e il delicato frinire dei grilli gli richiamavano alla mente quegli ologrammi di mari e oceani che spesso a casa sua, sulla colonia mineraria, gli piaceva guardare prima di dormire. Non aveva mai visto il mare dal vivo...
A volte gli veniva voglia di scappare, di mollare tutto, di rubare la prima navetta che avesse avuto a tiro e volare via, fino al mare...
Ma non si faceva illusioni, sapeva che sarebbe stato irrealizzabile, la Terra era disabitata, questo era vero, ma sarebbe stato rintracciato comunque.
I profondi mutamenti naturali che l'umanità, durante il suo secondo periodo (cioè quello in cui aveva imparato a utilizzare un'energia diversa da quella muscolare, come non mancava di ricordargli il suo maestro di storia) aveva causato, erano stati talmente gravi e profondi che lo stesso Equilibrio era intervenuto. In quel periodo, gli avevano insegnato, l'umanità rischiò per la prima volta l'estinzione: esseri esistiti soltanto in racconti mitici, come draghi, grifoni, elfi, giganti e troll, si erano abbattuti sulla razza umana, all'epoca ancora incapace di viaggiare liberamente nello spazio, come delle locuste: distruggendo, uccidendo, mettendo in ginocchio un'intera specie.
La salvezza era infine derivata da quelli come lui: uomini capaci di risvegliare in loro stessi antichi poteri, gli unici in grado di confrontarsi con quelle creature, che con sprezzo della vita ingaggiarono violenti combattimenti contro i mostri, riscendo a concedere più tempo all’umanità .
A quel punto la popolazione, protetta e aiutata dai maghi, che si erano uniti in una confraternita, aveva sviluppato una tecnologia che gli consentisse di lasciare definitivamente il pianeta. Lentamente l’umanità colonizzò prima Marte e la Luna, poi, con sforzi immani, l’intera galassia. Sulla Terra rimasero soltanto loro, a cui venne affidato il compito di riportare la Terra all’antico equilibrio. Nel corso dei decenni, sotto la spinta di potenti magie, il pianeta rinacque, mentre le creature lentamente svanirono, senza lasciare traccia del loro passaggio. Ora, dopo secoli, la Terra rimaneva ancora sotto il controllo della confraternita, che garantiva il mantenimento dell’equilibrio nella galassia.
 
Alast sbatté le palpebre: perso com'era nei suoi pensieri non si era reso conto dello scorrere del tempo. I numeri che veleggiavano nella sua stanza indicavano ormai le cinque di mattina, e là, ad est, si iniziava ad intravedere un tenue bagliore rossastro spandersi nel cielo, cacciando nelle profondità dello spazio la grandiosa luce della via lattea. Nonostante fosse sulla Terra da anni, rimaneva sempre colpito dall'alba. La magnificenza della nascita e della scomparsa del sole erano per lui come le meraviglie dello spazio sono per uno che non ha mai lasciato il suo pianeta: bellezze per vedere le quali vale la pena morire.
 
Dopo aver ammirato a lungo il cielo tingersi di rosa, Alast si voltò e tornò nella sua camera. Era stato in piedi quasi metà della notte, e sapeva che presto ne avrebbe pagato lo scotto, ma sul momento si limitò a svestirsi, infilandosi sotto la doccia.
Alle sei in punto uscì dalla camera, camminando per i lunghi corridoi bianco lucido, fino alla mensa dove, come un'onda multicolore formata da abiti bianchi e rossi, i novizi e gli apprendisti ricevevano la fornitura di cibo per tutto il giorno.
Si mise in coda anche lui insieme ai novizi, rispondendo ai rapidi cenni di saluto di alcuni altri studenti. Vide poco più avanti nella fila l’aggraziato profilo di Karid, una novizia che non gli era affatto indifferente, ma di cui non riusciva in alcun modo a capire le intenzioni. Sbuffò: avrebbe proprio voluto riuscire a leggerle nella mente per riuscire a farsi un’idea chiara della situazione, ma sarebbe stato, oltre che tremendamente volgare e irrispettoso, anche tremendamente difficile, visto che erano tutti addestrati a chiudere la mente a qualsiasi tentativo di forzatura dall’esterno, e il tentativo non sarebbe di certo passato inosservato.
Alast dilatò la sua mente, prendendo coscienza della moltitudine di menti che lo circondavano. Ognuna aveva la sua particolarità, la sua conformazione, i suoi pensieri; fra tutte queste cercò quella di Karid e la trovò. Allungò la sua mente fino a quella e, con delicatezza la toccò. Con i suoi occhi la vide sobbalzare, mentre percepiva la sua mente chiudersi automaticamente, cercando di identificare l’intruso.
«Heilà Karid» pensò il ragazzo, inviando la frase fino alla mente della ragazza
«Oh, ciao Alast! Come va?» rispose quella
«Bah, tutto bene… Ho sentito che quel despota del tuo maestro ti ha fatto rimanere in condivisione magica per tre giorni»
«Lascia perdere, quando ho finito era esausta, ho a mala pena avuto la forza di buttarmi su un letto»
«Tutto questo proprio quando cade la giornata di libertà…»
«Mi brucia ancora adesso.. per colpa sua dovrò aspettare altre due settimane»
«Ricorda, prima il dovere e poi il piacere»
«Alast, vaffan…»
Il ragazzo preferì interrompere la connessione prima che Karid lo subissasse di insulti.
Finalmente fu il suo turno, e il novizio prese dalle poco cortesi mani dell’inserviente il contenitore con il cibo, da distribuire durante la giornata, fino a cena.
 
Dopo circa dieci minuti uscì dalla mensa, ed entrò nel giardino interno. Lì vi trovò una vecchia donna, avvolta dentro la caratteristica tunica grigia, che sedeva su una panchina, con il bastone appoggiato sulle gambe.
«Salute Fena!» disse Alast allegramente
«Salute a te Alast, come stai oggi?» rispose l’altra
«Non c’è male maestra, non c’è male»
«Spero che i tuoi ricordi ti abbiano lasciato in pace stanotte, perché oggi ti servirà avere la mente sgombra!» E detto questo, si alzò con un’agilità insospettabile per l’età.
«Seguimi» disse rivolta ad Alast.
Condusse il ragazzo nuovamente all’interno, lungo altri corridoi.
Ben presto uscirono in una sala immensa, dal soffitto altissimo, con il pavimento di un uniforme colore grigio chiaro. Ogni singolo spazio interno era occupato da rampe, carrucole, attrezzi, macchie scure e, soprattutto, strani oggetti di dimensione e forma variabile, dai tre ai trenta metri, che emettevano luci e suoni.
«Le navette! Ma allora oggi si va all’esterno!» disse Alast
La vecchia si limitò a sogghignare.
«Karl! – urlò – che cos’hai per me?»
«Dipende da cosa ti serve!» A rispondere era stato un uomo alto e muscoloso, con baffi a spazzola e radi capelli sulla testa.
«Lispar e Rdet si sono portati via i cargo planetari migliori, dovevano formulare un so quale  arcano incantesimo corporeo in Amazzonia e in Artide» aggiunse
«Non c’è problema – rispose l’insegnate di Alast – a me basta un modulo biposto»
«Nel qual caso puoi stare tranquilla, di quei trabiccoli ne ho da vendere!»
«Trattali con il dovuto rispetto quei “trabiccoli” – disse Fena – se non fosse per quelli saresti disoccupato! Devo forse ricordarti che questo hangar non abbonda di incrociatori e di navi intergalattiche?»
«Non girare il coltello nella piaga, lo sai da quanto tempo chiedo un trasferimento all’hangar 2!»
A quelle parole un ricordo si affacciò alla mente di Alast.
“Era appena sceso dalla nave che lo aveva portato sulla Terra, era piccolo, aveva caldo, molto caldo, ma soprattutto aveva paura. Paura di non essere all’altezza, paura di aver improvvisamente perso tutti i suoi poteri, paura di fallire, ma soprattutto paura di rimanere da solo. Durante tutto il viaggio aveva sentito terribilmente la mancanza di Dereb, verso il quale, nonostante lo avesse incontrato solo per poche ore, provava un fortissimo e particolare moto di affetto. Non appena scese dalla nave uno straordinario spettacolo si parò davanti a lui. Si trovava in uno spiazzo enorme, probabilmente più ampio di tutta la superficie dell’asteroide su cui era sempre vissuto. Era così grande che non riusciva a vederne la fine, e in lontananza riusciva solo a scorgere immagini sfocate di altre astronavi ormeggiate.
«Ma andiamo – disse la sua maestra riportandolo alla realtà – cosa ci faresti al porto? Puliresti i vetri delle navi dalla polvere cosmica? Moriresti di noia al controllo atterraggi! L’unica sarebbe riuscire a farti ritrasferire al centro di riparazione 3, ma ormai sei troppo vecchio per quello!»
«Ma che idiozie vai dicendo! Sono ancora fresco e pimpante come un ragazzino, anzi, forse di più!»
«Certo certo – disse svogliatamente Fena – ma adesso dobbiamo andare, abbiamo già perso troppo tempo.»
«D’accordo… Ho un classe 2 appena revisionato, nucleo energetico non maggiorato, con autonomia di duecentomila chilometri. Ti può andare?»
«Non speravo di meglio! Andiamo Alast!».
 
La navetta, un ammasso di metallo di forma ovoidale, con un'unica capsula, schizzava rapida sopra la foresta, facendola diventare un’unica distesa di un verde uniforme. Per quanto fosse un modello ormai superato il ragazzo doveva ammettere che l’interno era indiscutibilmente comodo.
 
Dopo circa un oretta di viaggio il mezzo atterrò in piena foresta. Le coordinate sul quadrante indicavano che si trovavano in quella che Fena, da buona appassionata di archeo-geografia, gli aveva spiegato essere anticamente chiamata Foresta Nera.
Alast rabbrividì per il freddo.
«Certo che avremmo potuto prendere degli abiti adatti Fena»
«Draghi miei che mammoletta che sei ragazzo, quand’ero giovane passavo intere giornate a meditare in Alaska con quello stesso vestito che indossi tu! Comunque non ti preoccupare, presto non sentirai più la differenza di temperatura!».
Camminarono per circa un quarto d’ora nel folto della foresta, finchè non uscirono in una piccola radura, al cui centro spiccava un enorme albero, che si stagliava nella foresta per diverse decine di metri.
«Quello che vedi è uno degli alberi più antichi del pianeta, è sopravvissuto a tutti gli sconvolgimenti causati dall’uomo negli ultimi mille anni. Al momento del tuo esame ti è stato chiesto di scrutare le energie magiche, e tu sei riuscito ad arrivare, cosa non comune, lo riconosco, fino ad osservare l’intensità magica dell’uomo. Ma devi sapere che oltre, più a fondo, c’è un’altra energia magica, molto più potente ed antica, che affonda le sue radici nell’intero pianeta. Questo albero è posizionato precisamente sopra uno dei punti di sfogo di quest’energia, per questo è sopravvissuto così a lungo.»
Fena lo fece sedere, con le gambe incrociate e la testa appoggiata contro il tronco dell’albero.
«Bene, ora apri la mente, cerca all’esterno, come quando cerchi altre menti o forze magiche…»
Alast chiuse gli occhi, e lasciò che i suoi sensi, opportunamente aiutati da influssi magici, si espandessero attorno a lui… Percepì il frusciare di una foglia contro un’altra, l’odore di morte di quelle cadute, la ruvidezza delle singole fibre della corteccia dell’albero contro la sua fronte, percepì Fena ammutolire la sua mente e la sua forza magica per non disturbarlo… eppure non percepiva niente altro, il vuoto completo…
Aumentò il flusso magico, incanalandovi buona parte dei suoi poteri. Iniziò a percorrere con la mente tutta la foresta, fin dove riusciva ad arrivare, eppure non avvertiva niente di niente.
Senza preavviso Fena si mosse, i suoi passi nella mente di Alast risuonarono come le esplosioni di plasma che si usavano a casa sua nelle miniere:
«Non così! – Gli disse – se avessi dovuto sondare l’intera superficie della foresta non sarebbe stato più semplice usare i sensori della navetta? Non limitarti alla materia, vai oltre!»
Il ragazzo distolse gli sforzi dai sensi, concentrandosi del tutto sulla mente. Improvvisamente, nel buio dei suoi sensi, comparve una scintilla, poi un’altra, e poi un’altra ancora. Con lentezza estenuante le scintille iniziarono ad unirsi, prima a coppie, poi sempre di più, fino a formare un sottilissimo filo di energia. Alast aprì gli occhi, lasciando che la visione si sovrapponesse alla vista, e ciò che vide lo lasciò senza fiato. L’albero davanti a lui era interamente percorso da sottili condotti di energia, che salivano fino ai rami più alti, fin dentro le singole foglie; e poi giù, nelle radici, dove da singoli fili diventavano matasse, che andavano sempre più in profondità nel terreno, ingrossandosi. All’improvviso, seguendo queste scie, il ragazzo vide non una matassa di fili, ma fiumi interi di energia che scorrevano nel sottosuolo, vide fitti canali diramarsi sotto tutta la crosta terrestre, intersecarsi, mescolarsi e, in qualche punto, salire in superficie, connettersi alle forme di energia esterne. Si mise a seguire uno di questi fiumi per tutto il percorso, fino ad un punto in cui toccava il suolo: vide l’energia mantenere in vita un piccolo cespuglio di selce, che vi era nato sopra, vide un grillo con un’ala rotta guarire semplicemente toccando le foglie dell’arbusto… Tornò indietro, era curioso di vedere l’origine di quell’energia: vide la scia ingrandirsi, tornare una matassa, poi un fiume, poi un mare, poi un oceano intero, eppure percepiva la sua continuazione, avvertiva la mancanza di un punto finale, era euforico, voleva andare sempre più avanti, non fermarsi…
Improvvisamente venne brutalmente riportato alla realtà: l’oceano sconfinato di energia venne sostituito da una violenta luce bianca, sentì le ginocchia cedere (anche se non si ricordava di essersi alzato) e la testa iniziare a dolere. Venne afferrato a mezz’aria da un paio di mani, che gli evitarono di colpire il suolo e lo appoggiarono delicatamente sul terreno. Lentamente la luce bianca svanì, e gli occhi tornarono a vedere, inquadrando il vecchio viso di Fena, che lo osservava in parte preoccupata e in parte compiaciuta.
«Bene, vedo che hai trovato la rete universale Alast, sono molto contenta»
Il ragazzo si mise in ginocchio con un grugnito
«Riposati adesso, sei stravolto. Vedere quello che hai visto senza venire annientati dalla sua potenza è difficile, e richiede una notevole quantità di magia… Sinceramente non mi aspettavo che riuscissi ad arrivare fino a quel punto.»
«Punto? Quale punto? - chiese l’allievo – non vedevo altro che una distesa sconfinata di energia, e basta! Ho cercato di raggiungerne la sorgente, ma mi hai bloccato prima!»
«Hai la fronte che scotta, gli occhi iniettati di sangue e sei esausto: non sei ancora in grado di superare gli oceani metafisici, solo i maghi, e anche quelli solo dopo un lungo addestramento particolare, riescono a passarli indenni… per quanto riguarda la sorgente di tutto questo, ti posso rispondere io, non esiste! Prima di tutto devi capire che tutto quello che hai visto, che ti è sembrato puramente metafisico, in realtà è saldamente legato alla realtà: per esempio un oceano come quello che hai osservato è circa la quantità di energia che passa per un sistema solare.
La fonte che stavi cercando di raggiungere, che materialmente parlando è più al di là del nostro stesso universo, anzi, alcuni recenti teorie sostengono che vada oltre il nostro intero piano di esistenza, non è visibile per due motivi: uno, è troppo lontana, perché neanche noi maghi riusciamo a superare il piano di esistenza, e due, perché le risonanze magiche che sono state eseguite mostrano come ad un certo punto questa enorme quantità di energia non abbia un inizio, ma che sia, ad un certo punto, formata da masse magiche di uguali dimensioni.»
«Ma queste sono solo teorie, giusto?» Disse Alast, cercando di afferrare quei concetti che nonostante tutta la sua buona volontà, non riusciva ad afferrare a pieno.
«Teorie con solide basi! Non chiedermi quali perché non ho mai studiato cosmo-metafisica. Comunque vedo che ti sei ripreso, direi che è ora di andare!»
E così dicendo si alzò, dirigendosi verso al navetta. Solo allora il ragazzo si accorse che sole stava tramontando.
«Fena, per quanto sono rimasto ad osservare tutto questo?»
«Tutta la mattina e buona parte del pomeriggio, poi, dopo che ti ho richiamato, sei rimasto in sospensione mentale per diverse ore.»
Il novizio la fissò allibito, per poi dirigersi anche lui verso la navetta.

 

Angolo, o meglio sgabuzzino, dell’autore: con questo capitolo, un po’ (forse un po’ tanto) più lungo dei precedenti, ho voluto segnare una battuta di arresto degli avvenimenti, rallentare un po’ in vista del prossimo capitolo, che però temo con ancora più ritardo di questo, voglio infatti risistemare un po’ i precedenti capitoli e quelli del pescatore di stelle, che necessitano urgentemente di una revisione. 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo 3 ***


Alast era in piedi.
Non era nel suo letto, anzi, il suo letto non sapeva neanche che fine avesse fatto. Si guardò il corpo, alla ricerca della solita tunica rossa da novizio. Al suo posto vide dei vestiti color ocra, dal tipico taglio unisex, di scadente produzione industriale. Conosceva quei colori fin troppo bene. Erano i vestiti che portava la maggior parte della gente a casa sua, là nella colonia.
La colonia… Di scatto volse lo sguardo intorno a se, colto da una tremenda consapevolezza. Improvvisamente fu avvolto da un frastuono assordante. Urla di dolore, terrore, frustrazione, rabbia; boati di esplosioni, sibili di fucili al plasma si spandevano tutto intorno a lui, dando voce alle terrificanti immagini che vedeva. Vide sua madre cadere di nuovo, crivellata dai colpi, suo padre venire vaporizzato da un’esplosione, Laren inciampare e venire calpestato dalla folla. Istintivamente chiuse gli occhi e urlò. Ma non appena la sua voce lasciò la bocca, tutto intorno a se si fece silenzio. Alast si fermò, riaprì gli occhi e di fronte a lui vide i cadaveri dei suoi conoscenti, dei genitori, di Laren, di Karid, poco più in là riconobbe il piccolo corpicino di Fena, tutti senza vita, scomposti a terra, con i vestiti ancora rossi per il sangue fuoriuscito dalle ferite. Al centro di tutto c’era Lui. Non riusciva mai a capire chi o cosa fosse quell’essere, ma ne capiva benissimo le intenzioni. Senza perdere tempo si mise a correre, mentre un bollente raggio rosso gli passava sopra la testa. Corse, corse, corse, senza mai fermarsi, inseguito dalla voce del pirata, mentre la stessa arma che aveva ucciso le persone a cui teneva, tentava di uccidere anche lui. Corse, saltando le pareti distrutte delle case, aggirando macerie dal colore vagamente rossiccio che ingombravano le strade. D’improvviso si ritrovò a correre circondato dai muri bianchi a cui era abituato sulla Terra. Svoltò gli angoli che conosceva a memoria, oltrepassò la mensa, vuota come non mai; schizzò oltre il giardinetto dove era solito incontrarsi con Fena, saltò la panchina (che si era misteriosamente materializzata davanti ai suoi piedi) dove da un po’ di tempo si trovava con Karid per chiacchierare. Corse fino a che non sentì i polmoni brucare, e poi continuò. Svoltò per angoli mai esistiti né visti, corse lungo scale inesistenti, sempre più incalzato dai raggi del fucile del pirata. Infine gli i parò davanti la porta della sua camera, in cui si buttò a capofitto, chiudendo la porta. Subito si accorse dell’errore, non sarebbe potuto andare più da nessuna parte, era in un vicolo cieco. Istantaneamente la porta della stanza venne abbattuta, e il vano della porta venne completamente occupato dalla figura del pirata, che, dopo averlo fissato con un ghigno soddisfatto, premette il grilletto.
 
Alast si svegliò di colpo, con la fronte coperta di sudore e il cuore che palpitava rapidissimo nel petto.
Si rizzò a sedere, con il fiato corto e il terrore negli occhi. Impiegò un intero minuto prima di riacquisire il controllo su di se, riappoggiando il capo sul letto.
Alzò gli occhi verso il soffitto, vedendo confermata la teoria che era sicuro fosse vera: era piena notte.
Rinunciando a riprendere sonno (cosa che sapeva che non sarebbe comunque accaduta), si alzò e, dopo essersi vestito della consueta tunica rossa, uscì dalla sua camera.
Essendo perfettamente conscio di stare violando una delle principali e basilari regole della struttura, non andare in giro di notte, schermò istantaneamente la sua mente dall’esterno.
Iniziò a camminare, lasciando che i suoi piedi lo guidassero meccanicamente attraverso quei corridoi che, dopo anni e anni di abitudine, ormai conoscevano a memoria, fino al giardino che aveva attraversato di corsa nel sogno. Il suo luogo di ritrovo abituale con Fena. Con pochi passi arrivò davanti al gigantesco e contorto ulivo che troneggiava nel centro del piccolo giardino e con un paio balzi giunse fino alla biforcazione dei rami dell’albero, dove si distese, respirando la tranquillità del giardino di notte. Lasciando che i suoi sensi si allargassero per tutto il giardino, colse la presenza di miriadi di insetti, ognuno preso nelle sue opere. Lentamente, beandosi di questa calma, chiuse gli occhi è sprofondò in un sonno senza sogni.
 
«Bene bene, ma cos’abbiamo qui!!»  la voce, incredibilmente energica e squillante, benché segnata dal passare impietoso del tempo, rimbombò violentemente nella testa del ragazzo, il quale, svegliandosi di soprassalto, perse l’equilibro e cadde rovinosamente dall’albero.
«Accidenti Fena! Ti sembra questo il modo di svegliare la gente?» disse Alast, rialzatosi in piedi e massaggiandosi la spalla sulla quale era caduto.
«Rispetto ragazzino, rispetto! E ringrazia che ti ho trovato io e non il custode… La tua mente è invisibile, ma altrettanto non si può dire per il tuo corpo…»
«Ma si può sapere che ci fai in giro a quest’ora, Maestra?»
«Potrei farti la stessa domanda, caro il mio allievo, ma nel tuo caso credo di conoscere già la risposta… Incubi?»
«Già…»
«Beh, per una volta almeno sono stati moderatamente utili!»
«Utili??» rispose Alast incredulo, poiché era capace di definire i suoi incubi con qualunque aggettivo, fuorché “utili”.
«Sì, utili. Mi hanno risparmiato la fatica di venirti a svegliare nel tuo dormitorio.»
«Venirmi a svegliare?»
«Sì, venirti a svegliare, e smettila di ripetere ogni mia frase. Credi che vada in giro per i corridoi a notte fonda per puro sfizio? Non sono mica te!»
«Ma cosa c’era di così urgente da venirmi a chiamare ora?» chiese il ragazzo, mentre in cuor suo iniziava a farsi strada una remotissima speranza.
«Beh, da quando qualche anno fa hai toccato per la prima volta la rete universale hai fatto progressi rapidissimi ed eccezionali. Dopotutto era solo questione di tempo…»
«Davvero Fena? Non mi stai prendendo in giro? E’ magnifico! Stupendo! Fantastico! Grazie mille Fena!»
«Frena frena, l’esame per diventare mago non è una passeggiata.» disse la vecchia, con uno sguardo evidentemente compiaciuto.
«Fena, è fantastico! – la interruppe il ragazzo, mentre la bolla di speranza gli esplodeva nel petto – Ma ancora non capisco, come mai venirmi a cercare in piena notte? Me lo avresti potuto dire domattina.»
«Mica pensi che la navetta possa aspettare i nostri comodi!»
«Navetta? Vuoi dire che l’esame si svolgerà fuori dalla Terra?»
«Gli esami che sostenuto fin’ora avevano come obiettivo testare la tua conoscenza, su vari livelli, della magia. Suddetti esami si sono sempre svolti nell’ambiente sicuro e protetto dell’accademia, qui sulla Terra. Ma un mago molto raramente si muove all’interno di questa struttura, anzi, trascorre la maggior parte del tempo all’esterno, dove eventi imprevedibili accadono continuamente, e dove la rapidità di decisione e di reazione è vitale. Quindi è giusto che la tua idoneità venga testate nell’ambiente in cui ti ritroverai ad operare. E questa notte il consiglio mi ha comunicato che si è verificata, in una zona della galassia, una situazione ideale per il tuo esame.»
«Di che cosa si tratta?!»
«Quanta fretta. Ti spiegherò tutto con calma una volta sulla navicella. Troviamoci alle cinque e trenta davanti all’hangar 3. Vedi di non tardare.» L’ultima raccomandazione, aggiunta con tono ironico, venne accolta da una risata lontana mentre Alast si dirigeva di corsa verso il suo dormitorio.
Non aveva un minuto da perdere.
Mentre sfrecciava nei corridoi semi deserti, popolati soltanto da qualche raro apprendista, avvolto nella tunica bianca, che si dirigeva in mensa, avvertiva dalle camere i rumori tipici del risveglio.
Senza attendere un altro istante allargò la percezione della sua mente, cercando e trovando il suono della mente di Karid, la cui melodia indicava chiaramente lo stato di sonno in cui ancora si trovava. In qualsiasi altro momento Alast avrebbe scosso la testa, pensando a quanto fosse meritata la fama di ritardataria che aveva quella ragazza. Ma quello non  era un momento come gli altri, per cui Alast inviò un roboante messaggio alla mente della ragazza:
«Hei Karid, sveglia!»
Il ragazzo avvertì distintamente l’interruzione delle melodie del sonno, prontamente sostituite da una sequela di insulti, subito schermata dalla giovane.
«ALAST! – il suo nome gli rimbombò violentemente nella testa, mentre sfrecciava verso il proprio alloggio – ma che diavolo fai! Ti rendi conto di che ore sono?!!»
«Ciao Karid. Sì, l’ora in cui gli studenti normalmente si svegliano…»
«Non mi avrai mica svegliato per discutere dei miei orari, vero?»
«No infatti, ti ho svegliato per salutarti, sto partendo!»
«Partendo? E per dove?»
«Non ne ho idea, Fena non ha voluto dirmi molto sul mio esame!»
«Stai per diventare mago? Congratulazioni Alast! – poi aggiunse, con un tono diverso – bene, ora ti saluto, vado a vestirmi, già che mi hai svegliato, tanto vale approfittarne. A presto Alast.»
«D’accordo… A presto Karid.»
Nonostante il dialogo mentale avvenisse in tempi estremamente rapidi, il ragazzo era giunto davanti alla porta della sua camera, in cui entrò senza esitazione l’instante successivo.
In meno di dieci minuti Alast era nuovamente nel corridoio, ormai decisamente più pieno di vita, con in spalla uno zaino a paradosso spaziale, che permetteva di riempirlo molto più di quanto ci si sarebbe potuti aspettare dall’esterno.
 
Rapidamente raggiunse l’hangar 3, il cui nome già di per se provocava una notevole scossa di adrenalina. Perché se infatti gli hangar 1 e 2 erano dedicati rispettivamente alle navette planetarie e alla flotta da guerra, il 3 era l’approdo riservato ai vascelli interstellari.
Giunto davanti alle enormi porte pressurizzate di colore grigio scuro che separavano l’hangar dai corridoi interni, Alast si guardò intorno, alla infruttuosa ricerca del mantello grigio di Fena.
Al posto della donna (la quale non era, come lui, in anticipo di venti minuti), trovò invece ad attenderlo una figura slanciata vestita di rosso, con dei capelli biondi ricci lunghi fino alle spalle che incorniciavano un delicato viso olivastro, impreziosito da due grandi occhi dalle iridi quasi nere. Occhi che, non casualmente, lo stavano fissando.
«Ciao Karid!»
«Alast…» disse la ragazza, spostando il peso sui due piedi
«Non dovresti andare a lezione? È quasi ora..»
«Vorrà dire che farò tardi…»
«Come al solito»
«Come al solito…» disse quella mostrando un lieve sorriso.
«Sei sicura che vada tutto bene Karid?»
«Oh sì, magnificamente…»
«Non si direbbe!»
«Beh, no… È solo che volevo salutarti di persona prima di partire… Sai, il fatto è che questi viaggi possono durare anche settimane e portare gli esaminati fino all’altro lato della galassia… E spesso poi quelli che lo passano non tornano neanche sulla Terra, ma vengono assegnati direttamente ad altre sedi distaccate… Insomma, potremmo non vederci per un po’ e quindi volevo… come dire, cioè, fare in modo che tornassi, prima o poi!» e, senza attendere oltre, senza alcun preavviso, ridusse a zero la distanza fra lei e Alast…
 
«E allora ragazzo mio?! Vogliamo tornare in noi? – la voce energica di Fena fece uscire di colpo il ragazzo dai suoi pensieri – eccellente! Ora, caro allievo, lascia che ti dia un suggerimento, non serve a niente schermare la mente dalle intrusioni esterne se poi la tua faccia parla più di un libro aperto!»
«Ma Fena, io, nel senso, cioè…»
«Siamo stati giovani tutti carissimo! Forza adesso, vogliamo entrare in questo hangar 3 oppure no?! Le navicelle non aspettano!»
E detto questo la Maestra aprì le porte, che scivolarono lateralmente sibilando.
Con il cuore in gola Alast entrò nell’hangar.

Angolo dello "scrittore" (o per meglio dire del tipo che di cui vi ritrovate a leggere gli orrori):
E dopo lungha attesa, infiniti paitimenti e profondissimi ripensamenti, ecco qui un nuovo capitolo di questa storia che, se continuo con questo ritmo, non finirà per il prossimo secolo!
Come al solito vi invito a farmi sapere cosa ne pensate nei commenti...
Spero di non far passare altri sei mesi prima del prossimo capitolo!
A (spero) presto!
Saccuz

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2915959