A fugitive dream

di steffirah
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


NdA: Sono tornataaaa! Con una storia totalmente diversa :’) Anche se non aggiornerò quotidianamente a causa dell’università T.T
Prima che cominciate a leggere dovete sapere che questa ff è ispirata ad un otogizoshi/emakimono (ossia un racconto giapponese, accompagnato da immagini) intitolato “A tale of fugitive dreams”. Studiando letteratura giapponese ne lessi la trama e mi dissi: «È perfetta!»
La lirica iniziale e la prima di Naruto appartengono alla storia originale. Le altre le ho inventate io e vogliate perdonarmi se sono pietose, ma tutto posso essere tranne che una poetessa ç.ç
Inoltre, molti termini li ho lasciati in giapponese. Vi spiegherò il significato alla fine del capitolo!
Avvertimento: dovrebbe essere ambientata in periodo Heian, ma mi sono divertita a mescolare un paio di cose. Spero possiate perdonarmi!
Detto ciò, spero che vi piaccia.
Buona lettura! ^_^



 
 
Dal momento in cui ho visto
l'uomo che mi è più caro mentre riposavo,
ho cominciato a credere a quelle cose
che gli uomini chiamano “sogni”


 
CAPITOLO 1
 
 
«Vi ripeto di no. Mia figlia non andrà mai a corte con loro. Non lascerò che la sfruttino, la contaminino con i loro sotterfugi e poi la abbandonino per dedicarsi alle loro concubine.»
«Padrone, cercate di essere ragionevole. Ormai non c'è più nessun uomo che dedica anima e corpo ad un’unica donna. Nondimeno a corte.»
«Allora non sposerà un nobile.»
«Ma volete che una fanciulla del rango di vostra figlia venga umiliata dai popolani? Volete abbandonarla per strada?!»
«Assolutamente no, ma non permetterò nemmeno che sia vittima della gelosia delle donne e degli intrighi di quei...»
La voce di mio padre divenne sempre più lontana, sempre più distante mentre lentamente aprivo gli occhi. Mi voltai verso la finestra, notando che un flebile raggio di sole si era appena fatto breccia al di là delle nubi mattutine. Che mio padre fosse tornato?
Mi appoggiai uno scialle sulle spalle e uscii nel giardino, avvicinandomi al laghetto pieno di carpe koi. Mi guardai attorno, sperando di vedere un'ombra, una sagoma familiare, di udire un fruscio, la sua voce divenuta ormai così estranea per me eppure tanto familiare... Ma niente. Silenzio, nient'altro che un silenzio assordante mi circondava, ricordandomi che lui non era ancora tornato. Quanto tempo era trascorso ormai dalla sua partenza? Proprio quella notte doveva essere calata la seconda luna, quindi due mesi... Due mesi di silenzi. Due mesi di non risposte, due mesi di negazione alla mia richiesta di corrispondenza. Ormai ci stavo perdendo ogni speranza.
Mi sedetti sulla sponda del laghetto, sospirando.
Mio padre era un ufficiale da ben trent’anni. Avrei dovuto essere abituata alle sue lunghe assenze, erano frequenti e raramente avevamo avuto opportunità di trascorrere del tempo insieme. In seguito alla nascita di mia sorella Hanabi e alla morte di nostra madre era diventato un po' più presente... Ma forse era soltanto un'illusione. Forse non era altro che il riflesso di un mio desiderio incondizionato. Non che lui mi odiasse, anzi sapevo che provava un amore profondo nei miei confronti. Le ultime parole che mi disse furono: «Ti voglio troppo bene, per questo ti proibisco di uscire durante la mia lontananza. Il mondo è cattivo e non sai mai cosa potrebbe succederti.»
Sapevo il significato nascosto dietro quelle parole: "Sei troppo ingenua, troppo buona e caritatevole, troppo debole. Potresti essere soggiogata, finire nei guai senza sapere come uscirne. Potresti perderti, non conosci neppure le strade della città. Sei una giovane dama, comportati come tale. Se ti trovassi in pericolo chi ti salverebbe? Se venissi rapita o stuprata cadrebbe un'onta sul nome della nostra famiglia. Noi siamo gli Hyuuga, da generazioni governiamo questa terra, e una sciocchina come te non può permettersi di rovinare tutto solo perché vuole esplorare il mondo."
Mio padre era frustrato perché non aveva avuto eredi maschi, e per questo lo capivo. Sperava di lasciare tutto al nostro parente più prossimo, Neji, ma pochi mesi fa perì nel corso di una battaglia contro un clan nemico.
Mio padre avrebbe potuto risposarsi - non sarebbe stato uno scandalo per nessuno, al contrario - e provare a concupire un nuovo erede. Avrebbe potuto farlo pregando le divinità. Ma no, non aveva tempo per dedicarsi alla religione o ad altre donne. Non lo avrebbe mai sopportato e la verità è che ha amato talmente tanto mia madre che nessuna donna avrebbe potuto sostituirla. In seguito alla sua morte per settimane intere smise di mangiare e di uscire di casa. Poi si riprese, e la sua occupazione principale divenne il lavoro. Nient'altro che il lavoro... E far maritare Hanabi. Non mi sentivo messa da parte, né mi sentivo trascurata. Ma non riuscivo a capire perché a mia sorella minore, che era soltanto una bambina, aveva soli 12 anni, non avesse impedito di sposare il principe Konoha no Maru, secondogenito dell'imperatore, e invece a me avesse persino proibito incontrare le persone a corte. Lei aveva appena raggiunto l'età per sposarsi - che comunque a me sembrava troppo bassa, ma le opinioni di una donna non contavano nulla in questa società -, mentre io l'avevo superata da ben cinque anni. Non potevo incontrare altre giovani della mia età, non potevo confrontarmi col mondo e capire se ci fosse qualcun altro che come me si sentiva un uccello in gabbia. Perché era quello che ero diventata, dalla morte di mia madre. Una bambola di porcellana da esporre ma non toccare, un bocciolo di ciliegio da preservare prima che tutti i suoi petali si aprano e volino via, seguendo il flusso del vento. Ma nonostante tutto non mi sentivo sola.
Sorrisi, stringendomi nello scialle, pensando che c'era Sakura con me. Inizialmente avrebbe dovuto essere una serva nel nostro casato, ma sotto mia richiesta sono riuscita a farla diventare una mia dama di compagnia. Tuttavia non vedevo nessuna differenza di grado tra noi, nessun bastione sociale. Anzi, ella era la mia più cara amica. Mi aiutava a prepararmi nelle occasioni importanti, mi istruiva su ciò che avveniva al di fuori delle mura della casata Hyuuga, a volte nascondeva degli oggetti che comprava per strada e me li regalava. Così avevo avuto l'opportunità di leggere molti più libri di quanti ne possedessimo a casa, avevo avuto modo di saggiare cibi del popolo - che non mi dispiacevano - e avevo iniziato una collezione di oggetti "strani", come li definivo io. A volte si trattava di un pettine d'osso dalla forma più allungata, altre volte di una borsetta a tinta unica di stoffa grezza... Erano accessori completamente diversi da quelli a cui ero abituata.
Sakura, d'altra parte, riceveva in cambio delle lezioni di cetra da parte mia. Da poco tempo le stavo insegnando a suonare il koto e poiché ci conoscevamo sin da quando eravamo bambine davamo vita a diverse gare di poesia o dipinti. In fondo, era il nostro unico modo di divertirci. Nel mio castello ricevevo poche visite, se non da compagni di mio padre che non facevano altro che intimorirmi tutto il tempo. Mio padre aveva ragione sul fatto che fossi timida, e schiva. Probabilmente aveva ragione su tutto. Ma non riuscivo ad evitare di arrossire ogni volta che un uomo mi guardava. Sakura diceva che mi mangiavano con gli occhi perché per loro ero "un fiore raro che sboccia soltanto nelle avversità". Col tempo avevo capito cosa intendesse dire e, crescendo, ero sempre più spaventata dai lupi che si celavano tra le montagne.
Fortunatamente non appena ebbi raggiunto l'età per prendere marito fu impedito mostrarmi in pubblico e gli estranei potevano parlarmi soltanto attraverso la cortina. Mi sentivo più protetta, nonostante c'era sempre qualche volpe che cercava di spiare dagli spiragli, ma per loro sfortuna anche io e Sakura eravamo abbastanza furbe da non farci vedere.
Eppure, quello fu il mio addio ufficiale ad ogni contatto con il mondo.
 
 
Terminologia:
koto= strumento musicale simile alla cetra, con 13 corde suonate tramite un plettro a forma di unghia.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Angolo autrice: Rieccomi! Scusate il ritardo ç.ç Non mi ero neppure resa conto fosse trascorso così tanto tempo dalla pubblicazione del primo capitolo… Pensate un po’ come sto!
C’è da ammettere che questo capitolo è alquanto malinconico e ombroso. Non disperate, la situazione comincerà a migliorare già a partire dal terzo ^_^
Le poesie che troverete qui le ho inventate io -///-  Non ne vado fiera, avrei potuto fare di meglio, ma sembravano rispecchiare almeno un minimo i canoni dell’epoca.
Mi dispiace rompere così tanto, potete anche non leggere queste piccole note. Era giusto per chiedervi scusa del ritardo T.T
Buona lettura!

 

 
CAPITOLO 2
 
 
Era un giorno di pioggia e io fissavo con malinconia gli alberi del mio giardino. Quel giardino tanto amato da mia madre, curato da lei sin nel minimo dettaglio. Dalla sua morte nulla era cambiato, avevo fatto in modo che fosse immutabile, affinché l'anima della mia cara madre divenisse immortale. Non era giusto legarla alla Terra, e consapevole di ciò ogni sera pregavo affinché fosse in pace,  al di là del mare. Tuttavia di lei non mi rimaneva altro che il nostro impeccabile giardino e una ninna nanna che da quando avevo memoria avevo sempre cantato a Hanabi. Ma ormai anche quei tempi erano andati. Era persino raro che cantassi. In fondo, ero un usignolo a cui era stata strappata persino la voce. Gli uomini si innamoravano di essa, e io dovevo evitare di attirare l'attenzione. Quando venivano a trovarmi non dovevo parlare con essi, così ben presto persero ogni speranza. I loro bollenti spiriti si raffreddarono, eppure continuavano a trovarmi "un'abitante del cielo", paragonandomi alla divina Kaguya.
A volte mi chiedevo chi fosse stato il primo a mettere simili voci in giro. Io non mi ritenevo possedere alcuna bellezza o grazia particolare, tutt'altro: mi sentivo una fanciulla come tante altre, che coltivava sogni i cui frutti non avrebbero mai potuto germogliare. La gabbia che mi rinchiudeva diveniva ogni giorno più stretta e mi sembrava di soffocare sempre di più, non potevo negarlo. Fingere sarebbe stato vano. Ma non potevo ribellarmi perché sapevo di meritarlo: io ero stata la causa della morte di mia madre, io dovevo pagare per quel peccato.
«Hinata-sama, è arrivata una lettera dalla principessa Hanabi.»
Mi voltai verso Sakura, la quale si era appena inginocchiata al mio fianco, allungandomi un pezzo di carta ripiegata.
«Quante volte devo ripeterti di chiamarmi soltanto “Hinata”?», le ricordai gentilmente, prendendo con delicatezza la lettera dalle sue mani.
«Tante. E ogni volta le ripeto che non cesserò mai di chiamarla “Hinata-sama”.»
Non riuscii a trattenere un sorriso in risposta alla sua pervicacia.
Sfiorando con le dita il sottile foglio color pesca sbiadita lo dispiegai e ne lessi il contenuto. In breve Hanabi mi diceva che l'indomani sarebbe venuta a trovarmi e a ciò allegò un poesia:
 

Seppur sia stata separata
 per tanto tempo dal nido,
 la rondine, prima o poi,
 ritorna alla sua casa
 
Vi trovai un'allusione al fatto che presto sarebbe giunta la primavera, e pensai non dovesse essere una coincidenza. Cosa stava cercando di comunicarmi?
«Vuole rispondere con una poesia?»
Guardai Sakura, ridandole il foglio, e mormorai:
 

L'alba è lontana,
e il mio cuore
 continua a dormire,
 cullato dal ghiaccio dell'inverno

 
Lei scosse la testa, posando la lettera tra le pieghe del suo kimono, e ribatté:

 
Presto il ghiaccio si scioglierà
 e il giovane ciliegio
 potrà liberarsi
 della sua prigione

 
 
Compresi che la sua era soltanto un'ipotesi, ma apprezzai il suo tentativo di consolarmi. Voleva dirmi di non abbattermi e non perdere tutte le speranze.

 
Per quanto il ciliegio possa incantare
 presto o tardi svanirà,
 e al suo tramonto
 a me non rimarrà nient'altro che contemplare
 la luce della luna

 
«Hinata-sama, così mi rattristate.»
«Perdonami Sakura, ultimamente faccio dei sogni strani e sono molto confusa. Ordina alle altre dame di preparare tutto per domani.», conclusi, rivolgendo lo sguardo al cupo cielo piangente, rispecchiandomi in esso.
«A patto che voi ci allietate col vostro koto.»
Mi voltai e notai le mie servitrici al suo fianco, avvolte da grezzi kimono così insignificanti. Sapevo che erano felici di essere al mio servizio, mi erano tutte fedeli, eppure mi dispiaceva legarle con delle catene a me, costringendole a vivere una condizione simile alla mia, seppur completamente diversa. Per questo motivo cercavo di fare quanto era in mio potere per compiacerle e rallegrarne gli spiriti, affinché le vedessi sempre sorridenti e liete di trovarsi in questo posto buio.
«Se voi accettate di cantare per me.»
Loro annuirono e quasi saltarono dalla gioia, tornando alle loro mansioni.
Rientrai in camera e, seduta sul futon, presi il koto tra le mani come se fosse l'oggetto più fragile al mondo e strimpellai qualche nota, prima di dare vita ad una vera melodia. Suonai rasserenandomi, rilassandomi al suono delle loro voci. Mi abbandonai completamente alla loro libertà di cinguettare, tanto che non mi accorsi di essere caduta in un sonno profondo.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


CAPITOLO 3

 
Quella notte accadde di nuovo.
Avevo appena posato lo strumento su un lato quando, all'improvviso, lui apparve.
Istintivamente cercai di nascondermi e celare le mie sembianze, ma come ogni volta i raggi della luna sembravano illuminare il mio viso con una luce talmente radiosa da farmi pensare che fosse giorno. Mi illudevo di esser sveglia e vedevo quel gentiluomo avanzare, lentamente, e scivolare silenziosamente al mio fianco. Era di una leggiadria unica e impareggiabile, nessun uomo m'era mai parso tanto nobile prima di allora.
Venne anche lui accarezzato dalla luce della luna e trattenni il fiato da cotale splendore. Per molte notti avevo sognato di lui, ma mai ero riuscita a dare un'occhiata al suo volto... E rimasi senza parole. La luce della luna sbiadì come una nube in un simile confronto, anzi perfino il sole era pallido rispetto alla luminosità della sua figura.
Mi accorsi di quanto fosse giovane, sembrava avesse la mia età, e non potei evitare di domandarmi se anche il principe Hikaru Genji, Genji lo Splendente, per la cui bellezza tanto era stato elogiato nei racconti, potesse reggere un tale paragone. Perché pensavo che per me il giovane gentiluomo che sedeva e sorrideva dinanzi ai miei increduli occhi era più bello di qualsiasi essere avessi mai incontrato o di cui avessi mai letto o sentito parlare prima. Sembrava perfetto, troppo perfetto. Forse avevo ragione a supporre che non si trattasse d’altro che di un fantasma, uno spirito che non riusciva a trovare pace e vagava nella mia casa... Ma allora perché corteggiarmi con tanta insistenza?
Sorprendendomi mi sfiorò una mano, portandosela alle labbra e arrossii. Non riuscivo ad allontanarmi da lui, il mio cuore scrosciava ripido come una cascata e martellava nel petto come un tamburo sciamanico. Il tocco delle sue labbra fu il contatto più dolce e delicato che avessi mai provato sulla mia pelle, e quasi mi persi completamente in quell'incontro segreto e fugace. Stavo per cedere alla sua dolce fragranza di zagara quando il suo sguardo divenne triste. Mi guardò in attesa, come se si aspettasse qualcosa da me, ma il suo cambiamento repentino d'umore mi aveva confusa.
«Voi non mi amate.»
Quelle furono le prime parole che sentii pronunciare dalle sue labbra. La sua voce mi risuonava nella testa, come una dolce nenia. I suoi occhi si tinsero di lacrime mentre aggiungeva, amareggiato:
«Non avete risposto alla mia lettera.»
Improvvisamente ricordai ciò che era successo la notte precedente: io ero stesa nel letto e non riuscivo a vederlo per bene, ma la sua ombra posò un rametto di glicine insieme a un foglio color lavanda accanto al mio viso. Su di esso, una poesia:

Più inconsistente di fantasmi
incontrati in un desideroso sogno:
il viso di colei che è reale,
ma distante e sconosciuta

 

Sapevo bene cosa rispondergli – dopotutto era ciò che anche io vedevo in lui –, ma prima che riuscissi ad aprire bocca un gallo si frappose a noi e lui dovette, a malincuore, lasciarmi.
Era un nuovo giorno e quando mi svegliai sola, nella mia cupa e fredda camera, piansi lacrime amare.




NdA: La poesia è originale, tradotta alla bell'e meglio dall'inglese ^_^
Ancora una volta, vogliate perdonare il ritardo ç.ç

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


CAPITOLO 4
 
 
«Hinata-sama, vi prego, ritrovate il contegno. Vostra sorella presto sarà qui e non può trovarvi in questo misero stato.»
«Non riesco a fermarle.», lamentai, singhiozzando.
Cercai di arrestare il fluire delle mie lacrime, ma sembrava possedessero una vita propria e stessero cercando di ottenere il controllo del mio corpo. Le mie dame sedevano in cerchio attorno al mio capezzale, piangendo con me seppure non ne vedessi il bisogno. Erano lacrime sprecate, non dovevano curarsi tanto di me. Non era ciò che meritavo.
«Spiegatemi almeno cosa vi succede.», mi implorò Sakura, stringendomi le mani tra le sue.
«L'ho perduto, per sempre...» Nuove lacrime sgorgarono dai miei occhi, più impetuose e graffianti delle precedenti, ardenti mentre scivolavano ai lati del mio viso. Il semplice pensiero che tutto era finito prima ancora che cominciasse mi spezzava il cuore, e non avevo alcun diritto di rinsavire perché ero conscia che non fosse altro che colpa mia.
Sapete quel che succede ad un amore non corrisposto.” Questo fu il suo addio.
Sì, sapevo cosa succedeva. Io ne sarei stata maledetta, lui si sarebbe tolto la vita. Non potevo permetterlo.
In cuor mio continuavo a sperare che non fosse altro che un effimero sogno e presto il suo ricordo sarebbe svanito nel nulla. Eppure ogni cosa di lui mi sembrava così reale che a volte mi chiedevo se non riuscisse ad entrare davvero nella mia stanza e non si trovasse realmente lì con me. Tutto di lui era vero, potevo immaginare il suo aspetto o la sua voce, ma non il suo calore. Non la sua dolce fragranza di hana no tachibana. Non i suoi pensieri più intimi, così vicini ai miei.
«Annunciate a mia sorella che sono indisposta a riceverla.» La mia voce giunse persino alle mie orecchie come un flebile sussurro e mi chiesi se almeno loro fossero riuscite a sentirmi.
Sakura si alzò in fretta e dopo poco rientrò, seguita da Hanabi che subito prese il suo posto accanto a me.
«Corri a chiamare dei preti, sbrigati!», le ordinò e Sakura corse via. Era così simile a un passerotto...
«Anee-sama, cosa ti è successo? Arrivo al castello e lo trovo deserto, tutti sono riuniti attorno alla tua stanza e qui vi trovo te, in preda ai singulti, come posseduta, incapace persino di alzarti dal letto.»
Non avevo alcuna intenzione di crucciare la mia sorellina, così mi sforzai di parlarle.
I parroci arrivarono presto, ma a nulla servivano le loro preghiere. Per quanto recitassero i sutra le loro note non avrebbero mai potuto raggiungere i gracili frammenti del mio cuore e ricomporli.
Capendo che era tutto inutile e scoprendo il mistero dietro la mia “sconosciuta e improvvisa malattia”, un monaco di Ishiyama-dera, appartenente al mio casato, suggerì di recarmi al tempio di Kannon, il bodhisattva della compassione, e pregare la divinità, la quale avrebbe potuto esaudire il mio desiderio.
Nelle sue parole trovai tutte le risposte cui arrancavo e decisi di recarmi lì a piedi, proprio come Tamakazura nella “Storia del Principe Genji”, che aveva rifiutato di essere accompagnata nel suo pellegrinaggio ad Hatsune. Da un lato ero convinta che quanto più sarebbe stato arduo il mio viaggio tanto più le mie preghiere sarebbero state accolte; dall'altro vidi quell’occasione come un primo spiraglio di libertà nella mia misera e ristretta esistenza.



Terminologia:
Hana no Tachibana = fiori di arancio

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


CAPITOLO 5
 
 
Affinché potessi recarmi al tempio si fecero tutti i preparativi necessari: le mie ancelle sostituirono il sfarzoso jūnihitoe del clan con lunghe vestali dai colori pallidi e prive di ricami. Mi cosparsero il corpo di sacre fragranze e nascosero il viso e i lunghi capelli sotto un uchikatsugi.
La strada da fare non era molto lunga. Partimmo quella stessa notte, i sacerdoti mi indicarono la via e dietro di me Sakura e altre due dame più fidate mi facevano compagnia. Non potevo parlare con loro, non dovevo assolutamente comunicare con nessun altro all'infuori della divinità, così cominciai a pregare non appena misi piede fuori dal palazzo. Hanabi era rimasta lì con le guardie, non potevamo abbandonare casa nostra con tutti i tesori di famiglia che conteneva. Sapevo che lei era abbastanza forte e temibile dall'alto della sua posizione, quindi non mi impensieriva.
Ciononostante, mentre imploravo Kannon di farmi incontrare il giovane ancora una volta, le rivolsi una preghiera anche per mia sorella, affinché stesse bene. L'annuncio che doveva darmi era che nostro padre stava tornando. Pregai anche per lui, cosicché potesse affrontare un viaggio senza pericoli e tornare a casa sano e salvo. Dopodiché dedicai un ultimo pensiero all'anima di mia madre. Mi attesi un segno da parte sua, qualunque cosa che mi facesse capire che la mia era una decisione giusta: che stavolta non avevo sbagliato, stavolta era questo il mio cammino.
Pregare per lei non era diventata un'abitudine, ogni giorno lo facevo con un vivo sentimento. Il mio obiettivo non era espiarmi del mio peccato, non avrei mai potuto, e non era neppure possibile riavvolgere il tempo ed evitare che accadesse. Se solo fossi stata più forte, se solo fossi riuscita a proteggermi da sola...
La verità è che da piccola venni rapita. Proprio quella notte mio padre tardava a rincasare e degli uomini vestiti in nero – erano dei ninja, come appresi in seguito – appartenenti ad un altro villaggio provarono a portarmi via, dal loro capoclan. Mia madre subito accorse ma, per difendermi, venne ferita e morì lì, sulla neve, davanti ai miei pallidi, stanchi, spaventati occhi da infante. Di ciò che seguì ci pensarono le guardie, mio padre e il suo esercito. Non mi interessavano le conseguenze. Per me l'unica cosa che esisteva era il corpo giovane di mia madre che si fondeva col candore della neve, mentre rivoli dello stesso colore delle fragole le disegnavano ghirigori sul petto e ali di farfalla nel ghiaccio, attorno alla sua figura.
Delle lacrime si rimpossessarono dei miei occhi al crudo ricordo e mi sforzai di cacciarle, proseguendo per la mia strada.
Mi accorsi che eravamo usciti dal villaggio e stavamo salendo su un'altura. C'erano delle scale da salire prima di poter raggiungere il tempio sacro. Sakura, Ino e Temari dovettero rimanere lì, dove trovarono ristoro in un ryokan; soltanto i parroci mi seguirono e, una volta salita fino all'ultimo gradino, nonostante mi sentissi stanca morta – non avevo mai camminato tanto in vita mia – sorrisi alla statua di Kannon ed entrai nel tempio per pregare, nella speranza che i miei desideri venissero esauditi.



NdA: Heya!
Okay, mi sono appena resa conto di quanto siano corti questi capitoli :O scusatemi, so che per adesso è un po' noioso, ma sto cercando di attenermi alla trama. Nel momento in cui la storia diventerà "mia" (quando avrò libero arbitrio lol) ve ne accorgerete haha xD Forse i capitoli si allungheranno... O si accorceranno (ANCORA!!), chissà! 
Terminologia:
jūnihitoe = capo d'abbigliamento risalente al periodo Heian
- uchikatsugi = copricapo con un lungo velo, utilizzato dalle donne per mantenere l'anonimato

- ryokan = albergo tradizionale / sorta di locanda
Ripeto, per chi ha studiato letteratura o storia giapponese, che in questa "favoletta" mi sono divertita a mettere insieme elementi di varie epoche :3 non me ne vogliate ç.ç
Con tanto affetto <3

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


CAPITOLO 6
 
 
Una volta lasciata sola mi inginocchiai dinanzi alla statua della divinità e accesi degli incensi, dedicando anima e corpo al mio unico proposito.
Prima di poter entrare nel tempio delle sacerdotesse m'avevano aiutata a liberarmi dell'uchikatsugi, sciogliendomi i capelli, e mi cosparsero nuovamente il corpo con un unguento che serviva a purificarmi dalle impurità del viaggio.
Era quasi l'alba quando, circondata dall'atmosfera sacra del tempio, ricordai che esattamente in quel luogo la somma Murasaki Shikibu scrisse il “Genji Monogatari”. Alzai lo sguardo verso il volto della statua di Kannon, chiedendomi se fosse soltanto una coincidenza, quando udii fievoli parole provenienti da una stanza adiacente alla mia. Com'era possibile che non le avessi sentite prima? Ero talmente immersa nella preghiera da isolarmi completamente dal mondo esterno.
Se mi concentravo potevo percepire dei passi lenti e strascicati nel corridoio, un'allodola immergersi nel suo primo canto, sussurri e bisbiglii portati da leggere ventate, le quali superarono gli spiragli delle quattro mura sacre per sfiorare il mio viso, entrare nelle mie vesti, carezzare il mio corpo e danzare attorno ai miei capelli.
Chiusi gli occhi, rabbrividendo, seppur non ne avessi motivo. Non c'era nulla da temere. Non c'erano altre presenze con me, non c'erano spiriti e l'unico che desideravo incontrare sembrava essersi sciolto come la neve. Doveva essere volato verso il cielo e aver raggiunto la pace. Sì, non vi erano altre spiegazioni.
Eppure, proprio quando stavo per convincermene, in quello stesso istante giunse alle mie orecchie la sua inconfondibile voce. Una volta l'avevo udita, in sogno, ma mai sarei riuscita a dimenticarla.
Ne seguii la scia e scoprii che proveniva dalla stessa stanza in cui avevo precedentemente sentito voci maschili. E se si trattava di una sorta di riunione di spiriti?
Deglutii e mi coprii meglio le spalle, raggiungendo l'ombra e appoggiandomi alla parete, per scoprirne di più. Trattenni il fiato quando egli disse, nello stesso tono triste del mio sogno:
«Non la incontrerò più, ne sono consapevole.»
Una seconda voce, gelida come il ghiaccio, intervenne, atona: «Ancora con questo sogno?»
Una terza voce, frustrata come se la situazione riguardasse lui in prima persona, aggiunse: «Secondo me sta diventando un incubo.»
«Bada a come parli.» Era lui!
Il mio viso parve accendersi come una brace, mentre mi facevo più vicina per ascoltare meglio, sbirciando da una piccola fessura. Mi vergognai di me stessa, non era un comportamento che si addiceva ad una fanciulla, ma era più forte di me. Dovevo vederlo; dovevo accertarmi che fosse davvero lui.
Scrutai la stanza e lo trovai, appoggiato alla parete. Sembrava stanchissimo. Lo fissai attonita e sorpresa nel constatare che era esattamente come lo ricordavo. Poteva un fragile ed effimero sogno essere tanto lucido?
«Lei non potrebbe mai essere un incubo. Se soltanto anche voi potreste incontrarla cambiereste subito idea.»
«Naruto-dono, non è per questo che siete giunto fin qui?» Una quarta voce, più serena e al contempo tetra, si indirizzò a lui come “padrone”.
Naruto-sama... Questo è il vostro nome? Non siete uno spirito? Siete un nobile anche voi? Le parole di mio padre riecheggiarono nella mia mente, ripetendomi che mai avrei sposato un uomo di corte. Non ero libera di poter scegliere il mio destino? Non potevo semplicemente scegliere chi amavo, come aveva fatto lui diciassette anni addietro?
«Sì.» Il mio cuore perse un battito. Lui aveva detto “sì”, proprio quando stavo per essere divorata dai miei stessi dubbi. «Ci troviamo qui perché spero di trovare sollievo. Appena volgerà giorno mi recherò personalmente a pregare la divinità e voi mi attenderete qui. Dopodiché partiremo, nella speranza di trovarla, prima o poi.»
Mi si ghiacciò il sangue nelle vene. Non poteva assolutamente entrare nella stanza e trovarmi in queste pessime condizioni. Sarebbe finito tutto. Ero sporca, stanca, abbigliata con abiti miseri, ricoperta da tante fragranze... Ero un disastro e il nostro incontro ufficiale sarebbe andato a monte. Nulla si poteva paragonare all'atmosfera intima degli incontri nei nostri sogni, alla ricchezza dei nostri broccati, a quanto i nostri profumi si intrecciassero, al candore della nostra pelle, ai nostri respiri tanto vicini da sfiorarsi e...
Arrossii, col batticuore, considerando che il problema ero io, visto che le sue condizioni continuavano ad essere impeccabili.
Combattuta tra il restare e l’andare via, esitai quando anche lui, parlando del sogno, fece un riferimento alla Storia di Genji. Un altro punto in comune! Lo sentii descrivere la donna del suo sogno e compresi che lui non mi vedeva come la divina Kaguya. Per lui ero qualcosa che andava ben oltre le divinità, appartenevo ad altri mondi e ad altri tempi. Mi paragonava al candore della neve, alla sua sfuggevolezza, e ciò mi sorprese. Erano in pochi coloro che apprezzavano l'inverno, la stessa stagione in cui sono venuta al mondo. La stessa in cui ho perso mia madre.
Di nuovo le sue parole mi fecero risorgere dallo sconforto.
«Una bellezza simile non s'è mai vista nella terra di Yamato.»
«Forse è davvero frutto dei vostri sogni. L'avrete immaginata ed etichettata come donna ideale.» La seconda voce parlò di nuovo e io caddi quasi nel panico. Se lui avesse cessato di crederci...
«Lei esiste. Non ci sono ipotesi, è una certezza. Vi ripeto che la troverò.»
I miei occhi si riempirono di lacrime di fronte al suo viso determinato. C'era mai stato qualcuno che mi aveva amato così tanto in tutta la sua vita?
«E una volta che l'avrete trovata? Avete appena lamentato che non avete ricevuto risposta.» Di nuovo lui.
Identificai l'uomo con i capelli bruni legati in una lunga ed alta coda. Non potevo arrabbiarmi, sapevo che aveva ragione. Avevo esitato troppo. Ero stata un'incosciente. Ma d'ora in poi non mi sarei mai più tirata indietro.
«È così, Shikamaru. E non puoi immaginare quanto il suo silenzio m'abbia reso triste. Tuttavia non voglio perderla. Non sono disposto ad arrendermi. Desidero incontrarla di giorno e ascoltare la sua risposta, qualunque essa potrebbe essere.»
Sorrisi tra me, allontanandomi dalla mia postazione, sapendo che sarebbe stata positiva. Io lo amavo, con tutta me stessa, e mai questo sentimento avrebbe potuto abbandonarmi.
Chiusi gli occhi e rivolsi il mio sorriso grato alla statua. Anche se non ci fossimo più incontrati avevo almeno avuto la possibilità di vederlo un'ultima volta e sapere cosa pensava di me. Sapere che esisteva. Sapere di essere ricambiata.



Angolino autrice:
Salve a tutti! Perdonate il mio super super ritardo ç.ç ma l'università a malapena mi lascia respirare ç//ç
Per farmi perdonare pubblicherò fino al capitolo 8, così arriviamo a metà. Teoricamente la storia originale finirà lì, dal capitolo 9 in poi sarà tutta mia inventiva xD quindi chi preferisce potrà fermarsi all'ottavo. Per chi vorrà continuare ci saranno altri otto capitoli.
Ah, poi volevo avvisarvi che sia l'ottavo che il sedicesimo sono dal punto di vista di Naruto!
Detto questo, buona lettura e buona giornata a tutti!

 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


CAPITOLO 7

 
Quel mattino le stesse sacerdotesse della sera prima vennero a prelevarmi. Acconciandomi nuovamente i capelli e rimettendomi l'uchikatsugi mi guidarono fino in fondo alle scale, dirette al ryokan. Era strano vedere così poca gente in giro – dopotutto da poco era sorto il sole e oltre che monaci, sacerdotesse e accoliti non c'erano molte altre persone che avrei potuto incontrare. Tuttavia non riuscivo a non sperare di imbattermi almeno in uno dei compagni di Naruto-sama, se non proprio lui. Necessitavo di una prova che quella della scorsa notte non fosse stata un'ulteriore fantasticheria.
Con mio grande tormento, non ebbi modo di incrociare nessuno di loro. Un po' afflitta e dispiaciuta ma fiduciosa nell'avvenire mi separai dalle fedeli servitrici della divinità e mi ricongiunsi alle mie dame. Le trovai già tutte sveglie e mi suggerirono un bagno ristoratore prima di tornare al palazzo. Presto sarebbe arrivato un nostro servente con un carretto e avrebbe portato abiti puliti, quindi per il momento avevo tutto il tempo di rilassarmi. Stavo già per seguire la loro proposta – ne sentivo un vivo bisogno – quando un giovanotto chiese di incontrarci. Mi rassettai velocemente e nascosi il volto dietro una lunga manica prima di riceverlo. Scoprii che era stato mandato dall'anziana balia del mio defunto cugino, la quale, avendo saputo che mi trovavo nei paraggi, aveva espresso il desiderio di incontrarmi. Ricordai che fosse trascorso tantissimo tempo dall'ultima volta in cui ci eravamo viste, quindi accettai. Scrissi su un foglio la mia risposta positiva e la porsi al messaggero, che subito tornò indietro ad informare la sua padrona. Ordinai alle mie dame di prepararsi, celai nuovamente le mie sembianze e, poiché il carro ancora non era arrivato, decisi di andare prima a farle visita. Lasciai una di loro al ryokan e condussi le altre con me, seguendo un altro giovane fanciullo che aveva il compito di condurci a destinazione.
Camminavamo in tutta calma e si formò un chiacchiericcio spensierato tra Ino e Sakura quando un'improvvisa folata di vento fece sfuggire dalle mani di quest’ultima un fazzoletto di seta. Esso mi passò accanto e, senza pensarci neppure, mi allungai per afferrarlo, sporgendomi dalla balaustra del vecchio ponte che stavamo traversando. Riuscii a prenderlo e una volta che lo ebbi tra le dita mi voltai per restituirlo a Sakura. Lei lo colse dalle mie dita e mentre si inchinava per ringraziarmi udii qualcosa di sinistro. Un rumore inquietante, poi lo scricchiolare del legno al di sotto dei miei piedi.
Trattenni il fiato, mi si fermò il cuore mentre tutto correva dinanzi ai miei occhi.
Vidi il vento impossessarsi dell'uchikatsugi e portarmelo via, le due dame allungarsi nella direzione in cui mi trovavo pochi istanti prima gridando il mio nome, il legno del ponte spaccarsi ulteriormente. Temetti per la loro vita quando, in seguito a quella caduta che mi sembrava interminabile, venni avvolta dalle acque del fiume. Fui circondata dall'oscurità, dal gelo che mi spingeva in ogni direzione. Tentai disperatamente una richiesta d'aiuto, ma così non feci altro che peggiorare la situazione. Non avevo mai imparato a nuotare, non ne vedevo la necessità. Non avevo mai visto un corso d'acqua, neppure da lontano. Non avevo mai viaggiato e sì, mio padre aveva ragione. Ero una sciocca a pensare che la mia vita potesse cambiare all'improvviso. Ero una donna, il cui ruolo era unicamente quello di attendere il marito a casa. O, nel mio caso specifico, il padre. Ne ero consapevole, eppure avevo voluto osare, tentare la fortuna e spingermi in una nuova avventura.
Cominciava a mancarmi il respiro e arrancavo in cerca d'aria quando intravidi nelle tenebre uno spiraglio di luce. Senza ancora saperlo ero stata avvolta dal calore del sole.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


CAPITOLO 8
 
 
Il desiderio di incontrarla. Era quello ciò che mi spingeva ad andare avanti, ciò che mi spronava a proseguire in quel breve viaggio che durava ormai da giorni, parendomi interminabile.
Tutto era iniziato in una notte di tempesta: osservavo immalinconito il vento scuotere con impeto gli alberi del monte Obase, perduto nel mio dolore inconsolabile. Ciò che avevo perso non lo avrei mai più ritrovato e per quanto arrancavo in cerca di una famiglia, di un titolo nobiliare, in vista di una scalata sociale, sapevo che nulla sarebbe cambiato. Le mie condizioni sarebbero sempre rimaste le stesse, un nobile di medio rango, né ricco né povero, ma erede di un'intera casata perché ultimo sopravvissuto. I problemi riguardanti l'eredità non avevano neppure sfiorato la mia mente, finché il mio ultimo parente rimasto in vita, uno dei tre sennin, celebre per i suoi poemi, mi disse che il villaggio sarebbe passato nelle mie mani e avrei dovuto dedicarvi anima e corpo. Fino ad allora mi ero sempre divertito, fuggendo dai miei doveri, trovandoli meramente noiosi. Ma adesso che non c'era più nessuno? Chi dovevo ascoltare? Di chi potevo fidarmi? Di quei nobili perbenisti e opportunisti di corte? Sapevo che bastava davvero poco per soddisfare le ultime volontà di colui che avevo per lungo tempo considerato come un padre: trovare una ragazza di rango né troppo alto né troppo basso, corteggiarla, sposarla, mettere su una famiglia e far rifiorire il clan Namikaze. Un clan che, tra l'altro, avrei voluto cancellare.
Per generazioni i Namikaze erano stati imperatori e, alla morte di mio padre e mia madre, era subentrato il parente più prossimo, della zoku Sarutobi. L'imperatore aveva degli eredi, motivo per il quale non volevo immischiarmi in tali faccende. Probabilmente ero anche io un erede legittimo, ma non era il potere ciò a cui aspiravo: io non desideravo altro che avere una famiglia. Volevo riavere indietro i miei genitori, volevo provare amore e, per una volta nella vita, volevo essere davvero felice.
Ecco perché, affinché non mi legassero al governo per i loro infimi scopi, decisi di assumere per conto mio le redini del mio villaggio, con pochi e fedeli servitori, sotto il cognome della zoku di mia madre, Uzumaki. Così non avrei attirato l'attenzione su di me.
Questo pensavo quando, cullato dagli ululati del vento, mi addormentai e la vidi per la prima volta. Fu un momento davvero fugace e lei ne era sorpresa quanto me. Mi chiesi, in quell'istante, come avesse potuto entrare nella mia camera, quando poi non ne riconobbi i pannelli, riccamente decorati con motivi floreali. Anche lei stava seduta nei pressi di un porticato, da sola, accanto ad una stufetta; per poco non si ustionò le dita per lo spavento, quando si accorse della mia presenza. In fretta si celò il viso con una manica, intimidita, voltandosi da un'altra parte. Rimasi lì, immobile, in un angolo, come folgorato. Prima che potesse nascondersi l'avevo vista e mai avevo incontrato una creatura tanto perfetta in vita mia.
Di donne, ne avevo viste parecchie, soprattutto di quelle che venivano dal mio secondo padre e mi sembravano tutte frivole, sciocche, insignificanti. Tradivano i loro mariti e da loro venivano tradite. Quello si chiamava amore? Era davvero quello l'idillio erotico curtense? Essere un cortigiano perfetto significava seguire l'esempio di Hikaru Genji e amare tutte le donne? Non l'avrei mai accettato. Io avrei scelto una donna, e questa donna l'avrei amata per sempre.
Per questo motivo fino ad allora era sempre stato difficile, quasi impossibile, soddisfare le richieste di mio padre. Ma adesso... Non la conoscevo, non sapevo il suo nome, l'avevo intravista soltanto per un istante, eppure ero sicuro che si trattasse di lei. Non vi era ombra di dubbio.
Quando mi svegliai, quella prima notte, non riuscivo a capacitarmene: era stato talmente reale che mi sembrava di continuare a vedere le sue fattezze nell'oscurità del cielo invernale. Non poteva essere un sogno. Rivedevo i suoi capelli nel velo della notte, i suoi occhi nella brillante luce delle stelle, la sua pelle nella candida neve che improvvisamente sembrava più luminosa, più calda.
Non me ne resi neppure conto, ma da quell'incontro cominciai ad amare l'inverno e a comporre talmente tante poesie da sorprendere persino me stesso. Di giorno mi esercitavo nelle pratiche di corteggiamento, ma ogni notte, ad ogni incontro, finivo sempre con l'essere talmente abbagliato dalla sua bellezza da rimanere fermo in un angolo della stanza, immobile, pietrificato, una statua decorativa che la venerava in silenzio. Non riuscivo neppure a parlarle, in qualche modo il suo silenzio mi impauriva, mi faceva sentire un codardo. E se mi temeva? E se mi odiava per questi incontri impropri? Se mi stavo infiltrando come un ladro nella sua vita privata? O peggio, se lei non era altro che una fantasticheria? Se era un frutto della mia fervida immaginazione? Se era uno spettro? Se era una donna morta da tempo? ... Non sarebbe mai stata mia...
No. Non potevo permetterlo. Lei doveva essere mia, o quanto meno doveva conoscere i miei sentimenti, così puri e sinceri. Se mi avesse rifiutato me ne sarei fatto una ragione, forse era già stata promessa in sposa a qualcuno o era già maritata. Ma in quel frangente non riuscivo a riflettere e così una notte mi feci coraggio.
La trovai stesa nel letto, forse non aveva ancora aperto le porte a quella illusoria realtà, ed esitai. Stavolta stavo davvero per fare un passo più lungo della gamba e tutto si sarebbe deciso la notte seguente.
Scivolai silenziosamente accanto a lei – non volevo disturbarla e intromettermi nei suoi dolci sogni – e posai un rametto di glicine a cui avevo annodato una poesia accanto al suo viso. Mi vergognavo di me stesso, era la prima volta che facevo leggere quello che componevo a qualcun altro e forse i miei versi erano troppo semplici e banali. Mi avrebbe sicuramente considerato un ingenuo, di certo aveva sperimentato corteggiamenti migliori di questi miei infantili tentativi. Stavo per riprendere il mio dono quando le sue ciglia fremettero e capii che era troppo tardi per tirarmi indietro. Aprì le palpebre e i suoi occhi, confusi, incontrarono i miei, terrorizzati dal quale avrebbe potuto essere l'esito di quell'incontro. Mi sforzai di sorriderle come sempre, quando venni strappato via dal suo sguardo, svegliandomi all'improvviso, coperto d'un velo di sudore.
Era giunta l'ora di cercarla sul serio, rimisi i miei uomini in cammino e un monaco in un villaggio mi consigliò di chiedere aiuto alla dea Kannon, che si diceva potesse esaudire i desideri. Quando mancava meno di un giorno alla destinazione la sognai di nuovo. Ero trepidante, mi sentivo in qualche modo più vicino alla mia meta, ed ero curioso di conoscere la sua risposta. Lei, tuttavia, si limitò a guardarmi. Mi osservava, incredula, come se non fosse possibile per noi incontrarci ancora nonostante le lunghe notti trascorse in sua compagnia.
Quella notte la luna splendeva alta, nel cielo, era come se all'improvviso fosse giunta l'estate.
Impavidamente le sfiorai una mano, mentre il cuore mi tremava nel petto... Ma lei non si ritrasse. Improvvisamente il bisogno di toccarla, di sentirla più vicina, era diventato insopportabile. Portai il palmo della sua mano al viso e vi posai le labbra. Un leggero rossore si impossessò delle sue guance: era davvero deliziosa. Sorrisi, intenerito dalla sua reazione così fanciullesca, e ipotizzai che fosse inesperta quasi quanto me. Di certo nessuno poteva battermi nell'essere impacciato.
Avrei voluto fare di più, stringerla tra le braccia, farle capire che c'ero, che poteva contare su di me in qualsiasi momento. Eravamo estremamente vicini, mai lo eravamo stati così tanto, riuscivo a sentire il suo delicato profumo di lillà, il calore emanato dal suo corpo avvolgermi e legarmi a sé. La vidi perdersi in me quanto io mi stavo perdendo in lei, le sue labbra si dischiusero e stavo per cedere al desiderio di renderla mia, quando realizzai non avesse risposto alla mia poesia. Non aveva risposto al mio amore.
Mi svegliai, amareggiato, prima ancora che lei riuscisse ad emettere qualsiasi suono. Mi arresi all'idea che, almeno nei sogni, non saremmo mai riusciti a capirci, ma non lo avrei mai accettato nella realtà. Dovevo trovarla, assolutamente, e sentire la sua risposta, a qualsiasi costo.
Quella stessa notte giungemmo al tempio e all'alba del giorno dopo pregai velocemente la dea. Non c'era molto tempo. Dopo essere scesi dal luogo sacro comprammo una barca, affidando i cavalli ad uno dei miei uomini, per poter perlustrare il territorio.
Fu allora, totalmente preso dalla mia missione, che sentimmo un rumore assordante. Ci voltammo tutti verso il ponte dinanzi a noi, il cui legno andava sbriciolandosi sotto i piedi di una dama. Non ci pensai neppure due volte a togliermi l'eboshi, il sekitai e l'hou del sokutai per gettarmi nelle gelide acque del fiume, pur di soccorrerla. Nuotai controcorrente e la vidi annaspare, in cerca d'aria. Ringraziai il cielo che indossasse semplici abiti della zona – ipotizzavo fosse stata anche lei al tempio, oppure lavorava lì, anche se le due dame ben agghindate al suo servizio sembravano far cadere questa teoria – e liberai un lembo del suo vestito che si era impigliato tra le rocce, per poi prenderla tra le braccia e tornare in superficie.
Trovai la barca a pochi metri da me, chiesi ai miei compagni di aiutarmi a tirarla su e mi accorsi che avesse perso conoscenza. Pensai avesse bevuto parecchia acqua, così mi adoperai a farle riprendere i sensi, slacciandole di poco la stretta veste che le rendeva difficile respirare, praticando le basi del pronto soccorso, mentre sentivo Sasuke inveire contro qualcuno. Non capii cosa avesse detto, ero troppo concentrato a salvarle la vita: avrei impedito a qualunque costo che qualcuno morisse dinanzi i miei occhi, di nuovo, senza fare qualcosa per salvarla.
Dopo un po' vidi le sue labbra tremare e iniziò a tossire, voltandosi su un lato. La aiutai a stare seduta e a sputare l'acqua, liberando i polmoni. Potevo solo immaginare quanto le bruciassero, quanto fosse impaurita era plausibile dalle lacrime che scivolarono dagli angoli dei suoi occhi, che stringeva come se temesse di essere ancora lì sotto, di essere ancora in pericolo. Come se tutto fosse perduto.
La coprii con l'hou e le massaggiai le spalle, rassicurandola che era salva e adesso andava tutto bene. Si strinse nel mio vestito, come in cerca di una protezione e, preso da chissà quale istinto, la abbracciai, per trasmetterle il mio calore e la mia sicurezza.
«Va tutto bene.», ripetei, accarezzandole i capelli, come se fosse una bambina, ma lei si tese come una corda.
Mi chiesi cosa le avesse preso all'improvviso quando appoggiò le mani sul mio petto e si allontanò di poco, alzando lo sguardo su di me.
Non era possibile. Quegli occhi li avrei riconosciuti ovunque. Quel dolce e infantile sguardo che tanto avevo desiderato. Come avevo potuto non rendermene conto subito? Lei era lì. Mi guardava, incredula. Mi sorrideva, riconoscente. Era tra le mie braccia. La persona che tanto avevo agognato era davanti ai miei occhi. Era viva, piena di colori, era splendente, era calda nonostante fosse totalmente ricoperta d'acqua ghiacciata, era leggera, era una dolce presenza, era così –
«Brutto mascalzone, giù le mani dalla nostra padrona!»
Qualcosa di duro mi colpì la fronte, caddi all'indietro e finii col battere la testa.
«Ancora tu, donna?»
Mi misi seduto, massaggiandomi le due zone colpite, trovando un vaso di ceramica affianco al mio viso. Ma cosa?! Un attentato? Qualcuno osava sfidarmi?
Guardai nella direzione da cui era arrivato e notai una delle dame, dai lunghi capelli rosa, prendere la donna dei miei sogni e voltarla verso di sé, privandomi del bagliore del suo viso. Non poteva essere! Voleva portarmela via? Proprio adesso che l'avevo trovata?!
«Fa' silenzio! E anche voi Hinata-sama, non vi azzardate a pronunciare parola. Già vi siete fatta toccare e baciare da quello screanzato, non vogliamo che la situazione degeneri ascoltando persino la vostra voce!»
Un attimo. Ero io lo screanzato?
Ma cosa ben più importante: avevo scoperto il suo nome! Si chiamava Hinata! Era davvero perfetto per lei, mai nome poteva adattarsi meglio ad un essere umano.
Sorrisi inebetito, totalmente inebriato da lei. Mi stesi, portandomi un braccio sugli occhi, continuando a ripetere il suo nome nella mia testa.
Hinata.
Hinata!
Allungai una mano verso il sole, e strinsi il pugno come per afferrarlo.
Hinata! Adesso che ti ho trovato farò qualunque cosa per renderti mia! Riuscirò a farti innamorare di me! Ci sposeremo e creeremo una grande famiglia! Tu, Hinata, realizzerai il mio sogno, ne sono certo!! Ed io farò qualunque cosa per realizzare il tuo!
Ti amo, Hinata!!



Terminologia:
- zoku = clan, famiglia, tribù
- Eboshi, sekitai e hou sono elementi che compongono il sokutai, ossia l'abito tipico di un nobile dell'epoca.
 

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


CAPITOLO 9


 
Era la fine. Possibile che tutto dovesse terminare così? Decesso per annegamento.
Le divinità mi stavano giocando un brutto scherzo, ma di certo era la giusta punizione. Stavo pagando un peccato commesso in precedenza, il karma finalmente era giunto a riscuotere il suo prezzo. Dovevo aspettarmelo. Dovevo essere più realistica, dovevo capire che il mio sogno non sarebbe mai divenuto realtà. Una parte della mia anima sarebbe rimasta per sempre accanto a lui, in quella dolce dimensione onirica, mentre tutto il resto sarebbe svanito, ghiacciato, andato alla deriva, intirizzito, appassito. Ero mortale anche io, dopo tutto.
Si sbagliavano. Non potevano paragonarmi a Kaguyahime. Ero evanescente e, come tutte le cose, prima o poi anche io sarei scomparsa. La neve si sarebbe sciolta. Il sole e la luna sarebbero tramontati. Le stagioni si sarebbero alternate senza cuore. La schiuma degli oceani si sarebbe dissolta. E allo stesso modo, io. Ma non mi aspettavo che accadesse così presto. Non era ancora il momento. Non avevo ancora fatto nulla nella mia misera vita. Era errato opporsi. Una presunzione. Ma volevo vivere. Volevo tornare a respirare. Volevo viaggiare e scoprire le bellezze del mondo. Volevo incontrarlo. Volevo rispondergli. Volevo essere libera. Possibile che la mia unica libertà fosse data dalla morte? No... No!
Lottai contro me stessa, contro l'acqua che fluiva nel mio corpo, e mi sforzai di tornare in superficie.
“Forza... Forza!”
Iniziai a percepire un’essenza fresca e familiare... Vento. Il vento soffiava accanto alla mia pelle, riuscivo a sentire l'aria. Era lì, dovevo soltanto riceverla.
Qualcosa mi toccò il viso.
Qualcosa mi toccò il petto.
Qualcosa si posò sulle mie labbra.
Le dischiusi e finalmente lo sentii: un dolore indescrivibile ai polmoni. Era come se me li stessero stringendo con forza, per ridurli a poltiglia. Ero a malapena consapevole di star tossendo. Mi dolevano le orecchie. Mi pulsavano le tempie.
Quanta acqua avevo bevuto? Quanto avevo rischiato? Quanto ero stata vicina a porre la parola “fine”? E se non era finita? E se quello era soltanto l'inizio di una dilaniante agonia che m'avrebbe condotta dritta nelle fauci della morte?
Mentalmente pregai la divinità di fare qualcosa per salvarmi, quando percepii un leggero peso avvolgermi il corpo infreddolito. Capii che c'era una presenza, una persona accanto a me, e mi sentii meglio. Mi avrebbe aiutata. 
Mi assistette mentre sputavo tutta l'acqua, massaggiandomi la schiena; mi posò le mani sulle spalle, come a voler infondermi sicurezza. Ipotizzai si trattasse di Sakura, o del messaggero che ci stava fungendo da guida, quando dovetti ricredermi nell'istante in cui mi strinsi nella sua veste, inalando la sua fragranza. Era sconosciuta, eppure così conosciuta...
Questa persona mi abbracciò e l'odore divenne più penetrante. Cos'era? Dove l'avevo sentito? Un profumo talmente forte, naturale, solare... Dove l'avevo già incontrato?
In ritardo, realizzai stesse parlando. Seppure sentissi le orecchie ancora un po' otturate mi concentrai sulla sua voce. Dopo qualche sforzo capii una frase, rassicurante, e quasi mi pietrificai. Non era possibile.
Calore.
Protezione.
Sicurezza.
Affetto.
Il cuore sembrò volarmi via dal petto come un colibrì mentre aprivo gli occhi – nonostante bruciassero – e li alzai sul suo viso. Attraverso le gocce d'acqua che mi si erano impigliate tra le ciglia lo vidi: era lui. L'uomo dei miei sogni. L'uomo che aspettavo. L'uomo che amavo. Naruto-sama. Lui, proprio lui, mi aveva salvata.
Dimenticando per un attimo la timidezza e tutto ciò che richiedeva il galateo di corte gli sorrisi, con tutta l'anima.
Era lì. A pochi centimetri dal mio viso. Mi stava stringendo a sé, come se non volesse più lasciarmi. Il suo sguardo incredulo. Il suo splendido sorriso. Vederlo nei sogni era bellissimo. Averlo visto per poco da vicino era stato fantastico. Ma quel momento... Lui così vicino, i nostri corpi bagnati che aderivano alla perfezione, le sue labbra a portata delle mie... Bastava un gesto, anche minuscolo, per fargli capire quello che provavo. Per dirgli che lo amavo. Ma sarei mai stata tanto coraggiosa?
Deglutii, prendendo la mia decisione, quando venne colpito da qualcosa e cadde indietro, separandosi da me. Così tornò il gelo. Dov'era il suo calore? Dov'erano le sue forti braccia? Dov'erano i suoi ardenti occhi? I suoi incantevoli capelli? La sua pelle infuocata? Volevo lui. Lo volevo accanto a me, in quell'istante e per sempre.
Feci per alzarmi quando venni bloccata da Sakura che mi abbracciò, tutta preoccupata. Non me ne ero resa conto, ma in qualche modo eravamo approdati a riva.
Si allontanò di poco, alzando la voce e puntando lo sguardo su un uomo dai capelli corvini.
«Fa' silenzio!»
Lo guardai smarrita. Era uno degli uomini che stava nella stanza con Naruto-sama, quello con la voce tagliente; ogni volta che parlava era come se mille aghi ti stessero perforando il corpo e mi sembrava strano non essermi resa conto che aveva aperto bocca. Ero troppo presa, totalmente incantata dal fascino di quell'uomo... Naruto-sama... 
Lo cercai con lo sguardo e lo trovai steso ancora sulla barca, a pochi metri da me, mentre si massaggiava la zona ferita. Ero in procinto di aiutarlo quando Sakura mi costrinse a voltarmi verso di lei e mi rimproverò, redarguendomi a non aprire bocca.
Sospirai, se solo mi avesse lasciato spiegare che era lui l'uomo che mi aveva provocato tanta sofferenza e al contempo sì tanto piacere... Ma forse, in effetti, era meglio tacere, o gliel'avrebbe fatta pagare in tutti i modi.
Quando poi disse una frase: «Già vi siete fatta toccare e baciare da quello screanzato» ...
Ci misi un po' ad assimilare le sue parole. Abbassai lo sguardo sul petto, rendendomi conto che la veste era stata allentata. Mi coprii meglio con il suo hou, ripetendo "toccare" e "baciare" nella mia confusa mente. Toccare... Baciare... Il contatto sulle mie labbra... Non potevo crederci.
Avvampai, incapace di emettere qualsiasi suono. Mi portai le mani al viso, provando improvvisamente caldo.
M'aveva baciata?! Perché non ero cosciente?! Avrei potuto ricambiare!
Frustrata, mi coprii le guance, sentendole bruciare. Era come se un incendio stesse divampando in me, alimentato dalla traccia della sua presenza lasciata sul mio corpo.
«Hinata-sama, come vi sentite?»
Cercai di tornare alla realtà, anche se mi sembrava di poter svenire da un momento all'altro, e rassicurai con un cenno le mie fedeli dame. Sorrisi loro commossa, notando fossero entrambe in lacrime, e allargai le braccia per farmi abbracciare.
Il messaggero ci propose di raggiungere la casa della padrona per poter fare un bagno caldo e riscaldarci e, allo stesso tempo, dall'altra sponda del fiume vedemmo un portantino degli Hyuuga farci segno e avvisarci che aveva portato i vestiti di ricambio. Con lui c'erano Temari e dama Tenten, la promessa sposa del mio defunto cugino, che rimase sconvolta nel trovarmi in quelle disdicevoli condizioni.
Poiché era impossibile riattraversare il ponte, Naruto-sama si alzò di scatto, rivestendosi in fretta – arrossii nuovamente, notando solo allora che era a petto nudo e con i capelli sciolti – e ordinò ai suoi uomini di dirigere la barca verso quella riva e prendere i vestiti di ricambio.
Cercai di nascondermi quanto più potevo, spostando dietro le orecchie le ciocche bagnate che mi si erano attaccate al viso, ricordando che non era esattamente quello l'incontro che avevo previsto per noi. Ma il destino, a volte, era davvero imprevedibile. E sorprendente.
Quando tornarono da noi ci inchinammo di poco, grate della loro gentilezza, e fui subito raggiunta da Temari e dama Tenten che mi strinsero, ringraziando i kami che fossi ancora viva.
In seguito sia io che Naruto-sama apprendemmo che l'invito alla magione della balia era stato esteso anche a lui. Mi sembrava più che corretto, nonostante si fosse alzata qualche lamentela da entrambe le parti.
Ad ogni modo, ciò che al momento occupava maggiormente i miei pensieri era che saremmo stati di nuovo a stretto contatto. Per molto tempo. Consapevoli l'uno della presenza dell'altro.
Mi bastava sapere questo per sentirmi la donna più felice della terra di Yamato.

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


CAPITOLO 10
 
 
Una volta giunti alla nostra destinazione fummo invitati dalla padrona di casa a fare un bagno caldo per rifocillarci. La cara nutrice subito parve riconoscermi e mi accolse istantaneamente come una figlia, seppure l'ultima volta che ci eravamo viste fossi soltanto una bambina. Si informò sull'accaduto e ne rise con grazia, deliziata dall'atto eroico di Naruto-sama. A malincuore dovetti separarmi da quest'ultimo, ma non ne soffrii, conscia che seppure fosse lontano dai miei occhi c'erano soltanto poche fragili pareti di carta a separarci. Consapevole che eravamo più vicini che mai.
Durante il tragitto, dopo che il portantino fu tornato alla nostra proprietà, nonostante Sakura e le ragazze tentassero in ogni modo di tenermi lontana dal suo sguardo, avevo costantemente sbirciato nella sua direzione, trovandolo a fare lo stesso per poi sorridermi apertamente non appena lo scoprivo. I suoi compagni, d'altra parte, mi fissavano di sottecchi, con sospetto, quasi come se stessero cercando di capacitarsi che io esistessi davvero. Era ironico forse, ma era il mio stesso pensiero su Naruto-sama. Il nostro incontro era stato troppo improvviso, troppo fortuito, troppo destinato per sembrare reale. Una parte di me, la più puerile, la più timorosa, la più indugiante, ancora non riusciva a capacitarsi di essersi svegliata dritta tra le sue braccia.
E se, piuttosto che essermi svegliata, mi fossi addormentata? Se quello non era altro che l'ennesimo meraviglioso sogno, di cui lui era protagonista? Se ero annegata nelle acque del fiume e quello era un ideale di aldilà che avevo inconsciamente disegnato nella mia mente? Dopotutto era poco probabile, se non totalmente impossibile, che un giovane gentiluomo – per altro, lo stesso dei miei sogni – si tuffasse in acqua per soccorrere una fanciulla, considerata come poco meno che nulla. Queste cose accadevano soltanto nei monogatari e no, la mia vita non era un racconto, e senz'altro non un romanzo. La si poteva definire più una breve novella incentrata sul dolore, la frustrazione, la paura. Dopotutto, da quando ero nata non m'era accaduto nulla di particolare e i miei desideri non potevano avverarsi proprio adesso, tutti in una volta, come se Kannon avesse ascoltato le mie preghiere e, smossa per l'appunto a compassione, avesse fatto in modo da arrecarmi almeno un briciolo di felicità. Vi ero infinitamente grata, ma ammettiamolo: escludendo il gesto di per sé, un uomo non si sarebbe mai tolto i vestiti con tanta facilità e per nessun motivo al mondo avrebbe sciolto i capelli. Sapevo che era un motivo di vergogna comune negli uomini, tanto che non conoscevo neppure la lunghezza di quelli di mio padre. Eppure lui non mi aveva dato l'impressione d'aver esitato neanche per un momento. Era accorso in mio aiuto, senza pensarci due volte. Era così... diverso. Lui nuotava controcorrente, distaccandosi dal banco.
Tra l'altro, ancora non riuscivo a capire cosa ci fosse di umiliante nel mostrarsi coi capelli sciolti. Quelli di Naruto-sama m'erano parsi particolarmente affascinanti, e forse ciò sarà dovuto anche al fatto che fossero bagnati. Ancora mi sembrava di vederle, quelle lunghe spighe di grano che rilucevano al sole, impreziosite da diamanti di rugiada. Raggi di luce bagnati dal mare.
Chiusi gli occhi e sorrisi tra me, portandomi una mano sul cuore, scoprendone il battito accelerato.
«Vi trovo molto più raggiante.», osservò Sakura mentre m'aiutava a liberarmi dall'impaccio degli umidi abiti che mi fasciavano il corpo.
Ricambiai il suo sorriso, annuendo.
«Quindi siete riuscita a raggiungere la vostra meta?»
«Sì.», confermai e recitai:
 
 
Le foglie d'autunno sono sbiadite,
i canti della primavera si sono affievoliti,
il ghiaccio d'inverno è salito fino al cielo,
facendo precipitare una pioggia d'estate
 
 
Sakura mi guardò a bocca aperta.
«Dobbiamo trascriverla su un byōbu non appena rincasiamo!»
Le dedicai una breve risata, togliendomi il kosode per immergermi nell'acqua calda, dove le altre dame al mio seguito mi aspettavano.
«Hinata-sama, non riesco a credere che siate riuscita ad ammetterlo!», esultò dietro di me, per poi entrare nella vasca e abbracciarmi per la contentezza.
Sussultai dall'improvviso contatto – non che non fossi abituata a fare bagni con altre donne, avevo una lunga esperienza alle spalle con la mia sorellina – ma fu comunque inaspettato. Era tanto che non si lasciava andare a simili dimostrazioni d'affetto. Non che io facessi qualcosa per invogliarla, d'altronde.
«Ammettere cosa?», chiese Ino, rivolgendoci uno sguardo malizioso e Sakura urlò, su di giri:
«La nostra padrona si è innamorata!»
Rimpicciolii in un angolino, arrossendo fino alla punta dei capelli. Mi portai le mani sul viso, mentre esclamazioni di stupore e di gioia si susseguivano sulle onde del vento. Era davvero necessario annunciarlo così?
«Non sono la vostra padrona...», le ricordai, con un filo di voce.
Loro mi ignorarono completamente e io mi rassegnai ai loro commenti e risolini. Quanto meno, lo consideravano un giovane dai modi garbati – al di là della prima idea che aveva avuto Sakura di lui.
Addirittura, dama Tenten rivelò d'averlo già incontrato da qualche parte, molto tempo prima, ma non riusciva a ricordare in quale luogo e in che circostanza. Poco importava, quando ciò che contava davvero era la nostra idea comune che fosse un nobile.
Scivolando nella sorgente fino al mento chiusi nuovamente gli occhi, trovando al di là delle palpebre scure lo sguardo risentito e adombrato del mio chichiue. Mi si contrasse lo stomaco mentre lo vedevo allungare un dito accusatorio nei miei confronti, per poi afferrarmi e rinchiudermi in una prigione di ferro e fuoco.
Per quanto la mia "fuga" fosse stata necessaria, ero più che consapevole che non me l'avrebbe mai perdonata. Mai.




NdA: 
Cari lettori! Cercerò di non scocciarvi, voglio solo avvisarvi che la poesia è opera mia. Quindi, se pensate che fa schifo vi do ragione xD

Terminologia:
- Monogatari = storie/racconti 
- byōbu = paraventi costituiti da vari pannelli dipinti o decorati con poesie, spesso utilizzati negli interni per delimitare gli spazi privati
- kosode = kimono utilizzato come sottoveste
- chichiue (che si legge "ciciue" e non "kiki", attenzione xD) = "padre" (mooolto formale/gentile)

 

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


CAPITOLO 11
 

 
Una volta uscite dalla vasca la padrona di casa ci fece trovare degli abiti puliti nelle nostre camere. Le sue dipendenti ci assisterono nell'aiutarci a rivestirci, e io fui lasciata sola con due splendide donne. Una era giovane, dai tratti delicati e il viso da bambina, la pelle liscia come buccia di pesca; l'altra era più adulta, qualche capello grigio cominciava a mostrarsi in mezzo alle nere ciocche ben tirate in uno chignon e rughe profonde scolpivano il suo viso. Domandai i loro nomi per buona educazione ed erano rispettivamente Aoi e Kohane.
Mentre mi ricoprivano coi vari strati del jūnihitoe presero ad elogiare la sinuosità del mio corpo, complimentandosi più volte. Mi sentii molto in imbarazzo, ma preferii tacere.
Dopo poco Kohane-san cominciò a truccarmi, mentre Aoi-san finiva di vestirmi.
«Ci ricordate così tanto la nostra padrona da giovane.»
«Da quanto tempo siete al suo servizio?», mi informai, allargando le braccia e restando immobile, per aiutarle nel lungo processo.
«Sono trascorsi parecchi anni.», si immalinconì Kohane-san, sospirando. Immaginai che lei fosse stata al suo fianco da molto tempo prima di Aoi-san.
«Ormai non si esibisce più durante i riti e sono poche le cerimonie a cui si appresta. È un vero peccato.», si intristì Aoi e io la guardai, confusa dalle sue parole.
Kohane-san si accorse della mia incomprensione e chiese, sorpresa: «Non lo sapete? La nostra padrona era una sacerdotessa presso il tempio.»
Fissai i suoi occhi scuri per un lungo istante, profondamente colpita.
«Mio cugino non me ne aveva mai parlato.»
«Oh, forse perché il periodo in cui ha cominciato ad occuparsi del vostro nobile cugino coincide con la rinuncia ai voti.», ipotizzò Aoi-san, stirandomi le maniche, per poi alzare di un tono la voce: «Ecco fatto.»
«Vi sta d'incanto.», osservò Kohane-san, allontanandosi per guardarmi meglio e commovendosi.
«È stato un privilegio poter riutilizzare queste stoffe pregiate, dopo tutto questo tempo.»
«Non ce n'era bisogno...» Mi dispiacqui, ma Kohane-san scosse la testa.
«Siete eterea.»
Arrossii e Aoi-san si intromise, spingendomi appena per farmi voltare.
«Se non ci credete giudicate voi stessa.»
Spalancai gli occhi dinanzi alla figura riflessa, non riconoscendomi in essa. Non potevo essere io. Eppure quell'inconfondibile colore perlaceo nelle mie iridi mi apparteneva. Non potevo dubitarne. Caratterizzava tutti i discendenti del casato Hyuuga. E pure i tratti gentili del mio viso erano rimasti, seppure la pelle fosse stata incipriata da un leggero strato di bianco, le palpebre ricoperte da polvere cremisi e le mie labbra fossero state dipinte di rosso. I lunghi capelli sciolti erano stati pettinati alla perfezione, ricadevano in maniera impeccabile sullo strascico, in tutta la loro lunghezza. Ma il mio corpo... Quella luminosità... Tutti quei bei colori accesi... Non mi appartenevano.
La mia famiglia era caratterizzata da molteplici norme. Tra queste, la scelta del colore degli abiti da indossare: qualsiasi tonalità di violetto, dal lilla più chiaro al viola più scuro, talvolta sostituito da abiti blu, neri o bianchi, in base alla circostanza. Ogni clan aveva dei simboli che li contraddistinguevano, ma col mio pensavo i miei strani occhi, dalla cromatura così chiara, totalmente differente dal resto degli abitanti del Giappone, fosse abbastanza. I colori freddi erano cresciuti con me. Facevano parte della mia vita. Tutto quel caldo mi rendeva diversa, qualcun altro... Avevo cessato di essere Hyuuga Hinata.
Il kimono di base era rosato, con motivi floreali bianco puro. Al di sopra del kosode e del nagabakama rosso c’erano un hitoe rosato e dieci uchigi composti, in sequenza, da broccati oro zecchino, arancio mandarino, verde prato, rosso scarlatto a rosso fuoco. L’uwagi era decorato con camelie gialle, arancio, viola e fili intrecciati dorati. La fascia in vita era di un verde simile alle foglie primaverili, mentre i cordoncini che dalle spalle scendevano sul petto erano violacei, rossi e azzurri. Ero divenuta l'arcobaleno.
Mi portai una mano al viso, incredula, e inspirai una delicata fragranza. Chiusi gli occhi, immaginando quella finissima seta riposare dolcemente sulle gabbie profumate dagli incensi. Come si sentiva? Come stava il suo spirito? Era contenta di me? Mi accettava? Mi perdonava per quell'intrusione?
«Con cosa avete impreziosito queste stoffe?», chiesi, liberandomi dei miei stessi pensieri.
«È una miscela preparata personalmente dalla nostra padrona per profumare le sue vesti. Utilizza erbe particolari che crescono in queste valli e petali di pesco, impastandoli col miele.»
«Capisco.» Stesi le labbra all'altra me stessa. Inchinai di poco il capo, quasi come se la stessi conoscendo veramente per la prima volta. La guardai sorridente, per poi congedarmi con lei e rivolgermi alle due donne, inginocchiandomi e abbassando la testa.
«Grazie per esservi prese cura di me.»
«Oh Hinata-sama, così ci imbarazzate!», esclamò Aoi-san e quasi all'unisono Kohane-san mi rimbrottò:
«Hinata-sama, alzatevi! Non è un comportamento che si addice ad una signorina del vostro rango! Inchinarsi dinanzi a due umili servitrici è -»
«Non ci trovo nulla di male.», la interruppi incontrando i suoi occhi, per poi subito mortificarmi. Che gesto sconsiderato! «Ah, mi perdoni, non era mia intenzione interromperla! Prego, concluda pure la frase!»
Dopotutto, era una persona molto più saggia di me. Dovevo portarle rispetto, seppure secondo la società il suo rango fosse inferiore al mio.
«Hinata-sama, voi... Voi siete una mosca bianca.»
Spalancai gli occhi in seguito a quell'affermazione, cercando di capire se fosse rivolta a me... Oppure alla creatura allo specchio, che riposava dolcemente dietro la mia schiena.
«Siete così pura.», mormorò Aoi-san, sorridendomi con affetto e io mi sentii sempre più estranea alla loro descrizione. Stavo perdendo di vista me stessa, la mia identità...
La mia anima era unta di peccati che ancora non avevo potuto espiare. Ero totalmente impura.
«Vedo che andate d'accordo!» Una risata cristallina, una voce gioviale nonostante l'età avanzata... Mi voltai verso la padrona di casa.
«Hinata-sama, siete incantevole.»
Abbassando lo sguardo sul pavimento in tatami, con le guance riscaldate, mormorai: «Vi ringrazio per la vostra ospitalità, Umi-sama. E per l'averci permesso di fare un bagno, per i vestiti e -»
«Finirai di ringraziarmi domattina, mia cara.», rise serena. «Ora siete pronta?» La guardai confusa e il suo sorriso travolse il suo viso. «Tutti attendono voi per la cena.», spiegò.
«Tutti?», ripetei, improvvisamente la testa aveva ricominciato a girarmi.
«Tutti.», confermò. «Compreso il nobile gentiluomo che vi ha salvato la vita.»
Nei suoi occhi colsi una luce maliziosa mentre le mie gambe divennero simili ad alghe smosse dalla corrente dei mari.
«Portate questo con voi.», suggerì poi, allungandomi un ricco ventaglio dorato dalle frange porpora e turchesi e disegni di fiori ambra e arancio intrecciati. Fu la prima a lasciare silenziosamente la stanza, mentre le due donne ridacchiavano dietro di me.
«Forza, Hinata-sama. È ora di andare.», mi spronarono ad avanzare.
Un po' esitante, feci scivolare i tabi sul legno, muovendomi silenziosamente verso il regno in cui dimorava il mio sogno.



Terminologia:
- jūnihitoe = abito dell'epoca Heian indossato dalle nobildonne, composto da vari strati che ho sopra elencato, ossia il kosode che già conoscete, il nagabakama rosso (pantaloni lunghi e larghi), l'hitoe, gli uchigi e infine l'uwagi (strato superiore, ovviamente quello più riccamente decorato)
- tabi = calzini di cotone che arrivano fino alla caviglia e separano l'alluce dalle altre dita

 

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


CAPITOLO 12
 
 
Una cena. Nient'altro che una cena. Un semplice pasto quotidiano condiviso con persone estranee ma che mi facevano sentire come a casa. Nulla di più. Eppure era diventato per me qualcosa di molto più profondo. Un mistero facilmente svelabile.
Gli occhi di Naruto-sama.
I capelli di Naruto-sama.
Il volto di Naruto-sama.
Le labbra di Naruto-sama.
Tutto mi era alieno e al contempo strettamente familiare. 
Una volta aver fatto il mio ingresso nella stanza adibita al pranzo era calato il silenzio. Il mio viso era coperto dal ventaglio, il quale lasciava intravedere soltanto i miei occhi; tuttavia ciò non poté impedire alle mie guance di tingersi dopo essermi resa conto che m'avevano lasciato un posto libero, vicino a Sakura. E di fronte a Naruto-sama. Avevo chiuso gli occhi e li avevo riaperti subito, ma il suo abbagliante viso non svaniva. Era lì e mi guardava con meraviglia.
Gli occhi: due specchi di luce.
Il sorriso: un raggio di sole.
M'ero seduta portando il piede sinistro indietro, scivolando morbidamente su un enza, con le gambe ben allineate. Lo guardai di sottecchi, mentre lui non sviava mai lo sguardo. Nemmeno quando i nostri occhi si incontravano. Le sue iridi erano fiamme ardenti che avvolgevano le mie in un'unica, grande vampa. Il mio stesso corpo parve infuocarsi, tanto che affinché il ventaglio non tremasse dovetti reggerlo con entrambe le mani. Quel gioco di sguardi lo stava vincendo lui. Non ero mai stata insistente, né la mia indole sarebbe riuscita a sopportare oltre l'imbarazzo. Ma a quel punto non riuscivo nemmeno più a capire se fosse lui a corteggiarmi o io stessi tentando di sedurlo utilizzando tutte le armi che possedevo. Da quando ero diventata quel tipo di donna?
Attorno a noi si creò un chiacchiericcio, e mi sembrò corretto quanto meno presentarmi. Così, quando ci fu servito il cibo, lentamente, come una foglia che cade da un albero, cullata dolcemente dal vento, poggiai il ventaglio al mio fianco e fronteggiai gli uomini seduti davanti ai miei occhi, poco abituati a quel grande numero di persone. Sforzandomi di non arrossire e di non fissare lo sguardo su Naruto-sama lo feci scivolare sui presenti, uno per uno, rivelando loro la mia identità. Sakura si mostrò contrariata, ma alla fine si arrese e spiegò discretamente la mia situazione. Alcuni dei presenti risultarono colpiti dalla mia storia, altri erano sorpresi, altri sghignazzavano. Volevo conoscere la reazione di Naruto-sama, ma al contempo era ciò che più temevo e non riuscivo a guardarlo.
Ciononostante, quello era un momento cruciale.
Osai sfidare la nostra sorte, ma ciò che trovai non era quel che mi aspettavo. Perché il suo sguardo era triste? Perché piccole, invisibili, trasparenti lacrime imperlavano i suoi occhi e ricamavano le sue ciglia, come gocce di rugiada intrappolate in una ragnatela?
Lo guardai stupefatta e lui sussultò, portandosi le lunghe maniche al viso per asciugarsi, prima che gli altri lo scoprissero. Tesi le labbra, chiedendomi a cosa fosse dovuto un comportamento simile, ma lui mi guardò intensamente prima di sussurrare, a bassissima voce, affinché lo sentissi soltanto io, tanto gli ero vicina: «Mi dispiace per voi.», per poi adombrarsi nuovamente.
Non pensavo potessi infondergli una simile empatia, così sorrisi rassicurante e scossi la testa, facendogli capire che il mio passato non contava più nulla ormai. Quello che mi premeva era scoprire di più su di lui, ma soprattutto... Poter rimanere soli, in modo da dargli la mia risposta.
Quando l'atmosfera divenne piana Umi-sama prese parola, dando voce ad una parte dei miei pensieri.
«Per quanto riguarda voi, Naruto-san? Ho sentito dire che provenite dal clan Uzumaki.» Il suo tono suonò sospettoso e non potei fare a meno di interessarmi.
Dato che avevamo finito di cenare – era la prima volta che mangiavo insieme ad altre persone, non appartenenti alla mia famiglia, addirittura mostrando il mio viso e rivelando la mia voce! – ripresi il ventaglio e me lo riportai davanti al volto, posando lo sguardo sull'ospite seduto di fronte a me. Egli si era voltato verso la padrona di casa, dedicandole le sue attenzioni, così dovetti accontentarmi del suo maestoso e regale profilo.
«È esatto.», confermò, annuendo. «I miei genitori sono morti alla mia nascita, così sono stato allevato dal nostro parente più prossimo. Devo ammettere che da bambino ero alquanto... ribelle. Mi opponevo a qualsiasi regola. Poi, quando ebbi compiuto 14 anni, anche questo mio caro zio morì. Essendo lui un celebre e rinomato poeta mi sforzai di seguire le sue orme, così cominciai ad interessarmi alle pratiche di corteggiamento, anche se tutto si è intensificato dopo che...» Mi rivolse un'occhiata e le sue guance si tinsero d'un leggero rosato. I suoi occhi saettarono su Umi-sama, mentre io mi intristivo. Quanto poteva essere dura crescere in una situazione simile? Cos'avevo vissuto io, in confronto, per lamentarmi?
«E così sono diventato quello di adesso. Sono a capo di un esercito personale, gli uomini che vedete ne sono una parte, e del mio stesso clan, essendo io l'ultimo sopravvissuto. Ho visitato diverse terre, per capire cosa fosse meglio per il mio casato, e se non per una battaglia non mi sono mai spinto tanto lontano.», concluse, abbandonandosi ad un sospiro inudibile, che soltanto io riuscii a cogliere. Doveva essere molto difficile per lui parlarne.
«E cosa vi ha spinto fin qui?», lo interrogò Sakura, improvvisamente curiosa.
Arrossii, già conoscendo la risposta, e lui ebbe una reazione abbastanza simile. Sostenne il suo sguardo inquisitorio, ma tentennò. Alla fine il guerriero chiamato Sasuke rispose per lui.
«Pellegrinaggio.»
Lei lo guardò poco convinta e io e Naruto-sama ci rilassammo istantaneamente. Per fortuna la conversazione non aveva ancora preso una piega imbarazzante... E decisiva.
«Esatto! Siamo giunti qui per pregare la divinità!», esclamò Naruto-sama, con uno sguardo convincente.
 Mi trattenni dal sorridere, i miei occhi m'avrebbero rivelata.
«Interessante.», commentò Umi-sama. «Avete già visitato i primi 12 templi?»
Si limitarono ad annuire, senza entrare troppo in dettaglio.
«E posso chiedervi il nome del vostro famoso zio, se mi è concesso?»
«Certamente. I suoi allievi lo chiamavano “Jiraiya-sensei”.»
Umi-sama spalancò la bocca, formando una “o” impeccabile, palesemente strabiliata da quella risposta.
«Lo conoscevate?», domandò Naruto-sama e lei sorrise, mentre le servitrici sedute al suo fianco ridacchiarono. Chiuse gli occhi, rilassandosi, rivelando:
«Ho avuto modo di essere stata corteggiata da lui, quando ero giovane.»
La sua confessione non parve sorprenderlo, mentre io cominciai a preoccuparmi. Se aveva deciso di seguire il suo esempio significava che anche lui aveva corteggiato molteplici donne?
Mi scrollai dai miei pensieri, sforzandomi di non sentirmi gelosa. Dopotutto era naturale, se si voleva essere un buon cortigiano, ovunque rinomato, si doveva seguire la prassi. Anche se lui m'aveva dato sin dal primo istante l'impressione che non fosse interessato in simili pratiche ed esperto quasi quanto me. In un modo o nell'altro, anche lui aveva confermato la mia idea, ma da quando era quattordicenne erano trascorsi anni e durante tutto quel tempo... Poteva aver avuto altre esperienze, era innegabile.
«Posso sapere la vostra età?», gli chiese infine Umi-sama e lui rispose prontamente:
«Ho 17 anni.»
Oh, la mia stessa età. Quindi sicuramente i grandi cortigiani avrebbero voluto vederlo maritato con una fanciulla più giovane e io perdevo così tutte le mie speranze.
«Sapete che Hinata-sama è una danzatrice?»
Ci volle qualche secondo prima che le parole pronunciate da Sakura mi fossero chiare.
Avvampai, nascondendomi maggiormente col ventaglio. Perché l'aveva detto? Cambiare argomento così all’improvviso era disarmante.
«Davvero?» Oh no, la voce piena di aspettative di Naruto-sama...
Abbassai le palpebre, e dama Tenten esclamò: «A tal proposito, è molto che non vi vedo danzare!»
Rivolsi uno sguardo a lei, comprensiva. L'ultima volta m’ero esibita quando annunciò il suo matrimonio con mio cugino. Dalla sua scomparsa avevo cessato di danzare – anche se, in ogni caso, ciò si limitava alle mura della nostra dimora.
«Ci piacerebbe davvero tanto se ci allietaste con la vostra danza, Hinata-sama.», mi propose Umi-sama, lo sguardo ricco di intendimenti. Naruto-sama annuì energeticamente.
In conflitto con me stessa, sperando di non deludere le sue attese, non potei far altro che arrendermi alle loro richieste. Riluttante, all'apparenza entusiasta, mi alzai con un unico, flessuoso movimento, preparandomi a mostrare loro la ragione del mio peccato. Tracciando su quelle pareti il mio triste passato.




Angolino autrice:
... Perdonate il ritardo! *sprofonda sotto terra* 
Sono decisamente mortificata, ma l'università non mi dà pace tra prova d'intercorso di quà, prova d'intercorso di là, prova d'intercorso che forse non potrò fare ecc... Non so quanti di voi frequentino l'università, ma mi auguro non sia anche da voi tutto così... casinista e disorganizzato @.@
Mi rendo conto che non aggiorno da tanto, sono dispiaciuta ç.ç vi ringrazio se nonostante il mio essere incapace e ritardataria continuate a seguire la storia ç.ç <3 
Ora basta chiacchiere, c'è soltanto un termine che forse non conoscete: "enza", ovvero stuoie rotonde su cui ci si sedeva.
Detto ciò, alla prossima! (Abbiate un po' di pazienza T.T)


 

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


CAPITOLO 13

 
Posizionatami al centro della stanza, a dispetto dei miei timori, fu semplice seguire la musica suonata dalle mie dame. Ogni movimento era spontaneo, il mio corpo lo ricordava alla perfezione. Mi sentivo leggera, leggiadra, come se avessi perduto qualsiasi consistenza. Come una piuma m'involavo, intonando la ninna nanna cara alla mia nobile madre. Usufruendo del ventaglio, mostrai loro il calare del sole e il sorgere della luna; cullai la me stessa bambina, rincuorandola, facendole capire che la mamma era sempre con lei. Che non l'avrebbe mai lasciata. Danzammo insieme, ma quando mi addormentai accadde la tragedia.
Il rapimento.
La lotta.
L'assassinio.
La morte.
La neve.
Il sangue.
Le ultime note, le più tristi.
Le lacrime.
La perdita.
L'abbandono dello spirito.
Il buio più assoluto.
Il silenzio.
Un battito di mani. Fu quello a riportarmi in me.
Aprii gli occhi e, da stesa, mi rialzai, inchinandomi umilmente. Riprendendo fiato.
Da un lato era stato difficile: da tanto non permettevo alla mia anima di fuggire, facendomi perdere così il controllo del mio corpo. Era trascorso tempo da quando la mia mente s'era spenta l'ultima volta, azzerandosi totalmente, e l'unico modo in cui riuscissi ad esprimere il mio dolore fosse il canto. In quei momenti, anche l'ambiente che mi circondava e il tempo presente sparivano; tornavo lì, a quella notte, su quella strada, impietrita da valli innevate, catturata nella rete di sangue appartenente a mia madre, una farfalla intrappolata in una tela di sofferenza.
Approfittando del viso coperto dal ventaglio aperto presi un fazzoletto di stoffa che nascondevo in una manica per asciugarmi le guance rigate dalle lacrime, non volendo saggiamente sporcare di cipria le ricche e ampie stoffe di broccato. Percepii le dame al mio seguito posare gli strumenti e inchinarsi dietro di me, il che mi ricordò l'ultima occasione in cui io e Naruto-sama ci eravamo incontrati in sogno. Due albe. Due tramonti. In due giorni la mia vita era cambiata totalmente, dall'arida terra s'era rivolta ad un cielo impreziosito di gemme.
Gli applausi continuarono ancora per poco, sostituiti da elogi vari, soprattutto da Umi-sama che ripeté più volte: «Incantevole. Siete stata un prodigio. Non lo pensate anche voi, Uzumaki-sama?»
Sbirciai nella sua direzione e vidi i suoi occhi immobili, fissi su di me, piangenti, simili a due stelle cadenti. Chiuse le palpebre per un lungo istante, impedendomi l'accesso al suo animo, e quando le rialzò accennò ad un sorriso.
«Sì. Intensa.» La sua voce, fioca, arrochita dalle lacrime trattenute.
Abbassai lo sguardo, sforzandomi di capire in cos'avessi sbagliato. Perché aveva reagito così? Dove avevo fallito?
Delusa da me stessa mi rimisi in piedi e mi scusai, annunciando di essere stanca. Non che fosse una menzogna, ma ad essere onesta avevo bisogno di rimanere sola. E riflettere.
«Perdonatemi, ma dopo tutto quello che è successo oggi, io...»
Esitai e Umi-sama immediatamente propose: «Vi faccio accompagnare da Aoi e Kohane?»
«No, non ce n'è bisogno. Ricordo dove si trova la mia stanza.», la rassicurai e Sakura scattò in piedi in un unico rapido movimento.
«Vi accompagno io.»
Scossi la testa e le sorrisi, seppure lei non potesse vedermi.
«Tu intrattieniti qui con le altre. È giusto che vi divertiate, non ci capita tutti i giorni di incontrare così tanti giovani.», risi flebilmente, fingendomi la tipica donna che non ero. Lei storse la bocca, contrariata e aggrottò le sopracciglia. Con un'occhiata le feci capire di non preoccuparsi per me e poi mi rivolsi agli altri, senza neppure vederli davvero.
«Auguro a tutti un dolce riposo.», conclusi, prima di congedarmi e volgere loro le spalle.
Uscii silenziosamente dalla stanza, scivolando facilmente sul pavimento in legno di cipresso, senza emettere il minimo rumore, e mi avviai verso la mia camera attuale. Passando per il wataridono mi fermai, aprendo una veranda e rivolsi lo sguardo alla luna, ora alta nel cielo, che mi pareva più vicina che mai, tanto da illuminare gli alberi del vasto giardino. Totalmente immersa in quella contemplazione non mi accorsi di essere seguita, finché una voce amata non raggiunse le mie orecchie.
«Mi dispiace.»
Mi voltai alla mia destra, non tanto sorpresa dalla sua presenza, quanto dal suo tono mesto e accorato.
«Per cosa, Uzumaki-sama?» Ipotizzai fosse meglio che anche io mi rivolgessi così nei suoi confronti, quando poi realizzai che quella era la prima volta in assoluto in cui parlavo direttamente, unicamente con lui. E lui faceva lo stesso con me, solo con me, e non in un sogno. E il suo viso, il suo corpo, illuminati dal flebile ma rischiarante pallore lunare non erano un costrutto della mia mente. Lui era lì. Al mio fianco. Era vero. Era reale. Se avessi allungato una mano avrei potuto toccargli il viso, rendermi conto che era carne e non un'immagine, non uno spettro trasparente, non un'anima vagante, bensì una persona. Un essere umano, come me.
«Per il vostro passato. Deve essere stato terribile assistere ad una scena simile.» La sua voce si smorzò e sviò lo sguardo, posandolo sulla sfera che illuminava le nostre imperfezioni. Le nostre paure. I nostri dolori.
Mi sorpresi del fatto che fosse riuscito a capirlo. Mi ero impegnata per trasmettere il mio passato, riportarlo in vita affinché mia madre fosse ancora una volta al mio fianco, ma era incredibile che fosse riuscito a capire la mia storia.
«Lo è stato. Lo è ancora, ogni volta che ci ripenso.» Abbassai la voce, avvicinandomi al parapetto in legno, imitandolo. «Tuttavia, non dovete preoccuparvi per me. Al mio fianco ci sono mia sorella Hanabi, il mio nobile padre, i membri del mio casato, le mie dame... Non sono sola.»
«No, ma vi sentite sola. Lo capisco, è un po' come mi sento anche io. So quello che volete dirmi, la nostra situazione è differente, ma i nostri sentimenti sono molto simili... Credo.», esitò.
Mi voltai di poco e lo trovai a guardarmi poco convinto, quasi speranzoso.
«Voi avete sofferto molto più di me.», mormorai ma lui scosse la testa.
«Io non ho mai conosciuto i miei genitori. Voi avete conosciuto vostra madre e vi eravate molto legata. Per questo penso che, da un punto di vista, perdere qualcuno che ci era caro... Può essere otto milioni di volte peggiore rispetto alla morte di qualcuno con cui non si è mai avuto modo di creare legami.»
«Forse è così.», dovetti concedergli. «Ma la solitudine, il più delle volte, può diventare un dolore più grande della stessa sofferenza.»
Le sue spalle sobbalzarono impercettibilmente e abbassò la testa, ridendo in maniera a malapena udibile.
«Probabilmente è così. Che stupido, pensare che il mio proposito era complimentarmi con voi per la vostra esibizione. Ho rovinato tutto, vero?»
Scossi vigorosamente la testa. Complimentarsi? Quindi... Gli ero piaciuta?
Il cuore cominciò a battermi nel petto all'impazzata.
«Allora lasciate che ve lo dica. Ho assistito a numerose danze nella mia vita ma nessuna, mai, era stata tanto travolgente. Davvero, mi avete trasportato via, nel vostro mondo, nel vostro passato, ed è stato arduo ritornare al presente. Il vostro canto, unito ai vostri leggiadri movimenti, era pura poesia. Avete una voce celestiale, Hyuuga-sama, non ho mai udito nulla di simile. Eravate così ammaliante. In realtà, me ne vergogno, ma la mia esperienza con le donne non è mai stata alcunché di speciale. Ne ho conosciute tante, la maggior parte erano amanti di Jiraiya-ojisan ma... Ma non hanno mai attirato la mia attenzione come siete riuscita a farlo voi. I loro volti mi sembravano insignificanti, tutti simili, sottomessi alla volontà di un unico uomo. Come se dipendesse tutto da noi, quando poi in realtà è quasi come se fossimo noi a dipendere da voi. Non ho esperienze in amore, quindi non posso saperlo. Non ho mai amato una donna come amo voi.»
Lo fissai a bocca aperta. Dalla sorpresa il ventaglio mi cadde di mano, lasciandomi scoperta. Tuttavia non ebbi la forza di abbassarmi per raccoglierlo. Non riuscivo neppure a muovere un muscolo. Un arto. Qualsiasi cosa. Dovevo rispondergli. Dovevo dirglielo. Dovevo fargli capire quanto lo amassi. Eppure mi sentivo come pietrificata. Perché? Perché non avevo più alcun controllo? Perché non riuscivo a fare ciò che volevo? Perché era come se il mio corpo non mi appartenesse? Perché lui aveva quell'effetto su di me?
«Quindi, non so come comportarmi. Quasi sicuramente avete ricevuto corteggiamenti migliori, mentre io non so neppure da dove cominciare. Pensavo che una poesia fosse l'approccio giusto, ma probabilmente mi sbagliavo. O evidentemente non ricambiate i miei sentimenti.»
Il suo tono si rattristò e io provai ad aprire bocca, invano. Mi sforzai di emettere un suono, ma pareva che l'aria fosse bloccata nei miei polmoni. Cosa mi stava succedendo?
«Me ne farò una ragione. Oh, perdonatemi Hyuuga-sama, che sconsiderato. S’è fatto tardi, sarete stanca. Sicuramente vorrete riposarvi e io vi sto trattenendo. Vogliate perdonar...mi.»
In quel momento si voltò, i suoi occhi incontrarono i miei, e vagarono sul mio viso, sorpresi. Trattenni il fiato, lui fece lo stesso. Mi chiesi come fosse possibile che lui possedesse tutti quei chiari colori, estivi, e come potessero essere tanto splendenti anche nella notte. Come potesse il suo viso essere tanto affascinante... E rassicurante. Come riuscisse ad infondermi tutta quella calma... Quella fiducia...
Fece un passo verso di me. Le dita della sua mano sinistra si avvicinarono ad una mia guancia. La sfiorarono. Vi tracciarono un segno infuocato. Il cuore stava per esplodermi. Il suo viso si abbassò accanto al mio. Le fiamme sembrarono estendersi al resto del mio volto, concentrandosi sulle mie labbra. Gli occhi cominciarono a lacrimarmi, i suoi brillavano di un'emozione che ci legava. Che apparteneva a noi due. Che ci aveva uniti.
Il suo caldo respiro, così vicino...
Chiusi gli occhi, lui mi prese delicatamente il viso tra le sue mani. Coi pollici seguì la linea delle mie gote, fino ad arrestarsi agli angoli della mia bocca. Schiusi le labbra, dimenticando chi fossi, dove mi trovassi, consapevole soltanto di lui, ma sorprendentemente le sue si posarono sulla mia fronte, senza disturbarsi a spostare i capelli.
Aprii gli occhi, sussultando, incontrando la sua pelle a pochi centimetri da me. Seguii con lo sguardo la linea del suo collo e non mi trattenni dall'allungare un dito per toccarlo.
La sua pelle.
Il suo calore.
Era tutto così vivo. Lo sentii tremare e mi allontanò con delicatezza. Come se fossi una creatura caduca, frangibile.
«Hyuuga-sama, io... Scusate se mi sono permesso di avvicinarmi così tanto a voi.»
Si abbassò a raccogliermi il ventaglio e io dovetti a malincuore concederglielo. Dentro di me sorrisi – era inusuale che un uomo si scusasse per questo motivo. Anzi, secondo quanto mi era stato raccontato e avevo letto nei romanzi – tra cui il “Genji Monogatari” – non si facevano scrupoli ad approfondire il contatto. Come pensavo, lui era diverso. Lui era speciale. Forse era di questo che mi ero innamorata.
Coprendomi il viso lo guardai un'ultima volta, augurandogli dolcemente: «Buonanotte, Uzumaki-sama.»
Feci per andarmene, ma lui mi fermò prendendomi una mano. Stringendo le mie dita tra le sue. Come se temesse potessi sparire da un momento all'altro.
Non mi voltai questa volta, consapevole che finché non fossi riuscita a confessargli i miei sentimenti non aveva alcun senso confonderlo in quel modo.
I suoi polpastrelli disegnarono caratteri astratti sul mio palmo, provocandomi piacevoli brividi. Le stoffe del suo sokutai sfilarono sul legno, incrociandosi alle mie. Il suo corpo aderì perfettamente al mio e mi resi conto, soltanto in quell'istante, di quanto fossi piccola e minuta rispetto a lui. Il grande numero di vesti ingannava la mia percezione, ma adesso che eravamo cosi vicini... Era come se ci stessimo incontrando nuovamente nei nostri sogni.
Con l'altra mano mi spostò i capelli su un lato e si accostò al mio orecchio. Qui mi soffiò, carezzandomi col suo respiro:
«Buonanotte, Hyuuga-sama. Che i vostri sogni possano essere meravigliosi, quanto lo siete voi.»
“O quanto lo siete voi.”, avrei voluto precisare, ma lui non me ne diede il tempo.
Andò via, lasciandomi lì, in mezzo ad un corridoio, errante su un sentiero che mi avrebbe portata verso la primavera.




NdA: 
*sbuca lentamente con la testa fuori dal cuscino*
Heilà! ^_^'' 
Si, lo so, vorrete linciarmi ç.ç Non sono morta (non ancora) ma con l'ultima prova d'intercorso m'illudevo di essermi finalmente liberata...e invece no! Grazie, università! Aaah, cosa si deve fare per passione çwç
Allora.... Finalmente c'è stato un contatto fisico, yoohoo, si progredisce! Non disperate, prima o poi questa merdina finirà <3 e siamo mooolto vicini alla fine!
Sappiate che vi voglio bene, e se avete smesso di leggere vi capisco perfettamente (a quanto pare sono una persona inaffidabile). Ma nonostante tutto grazie per essere arrivati fin qui.
With love x 

Terminologia:
Wataridono = corridoi che collegano i vari edifici delle shinden-zukuri



 

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


CAPITOLO 14

 
La prima cosa che feci, raggiunto il padiglione ad ovest in cui si trovava la mia camera, fu mettermi seduta, armarmi di un foglio rosato, pennello e inchiostro per poter trascrivere la mia risposta. Sapevo già quale messaggio avrei voluto trasmettere, ma ciononostante ci pensai a fondo prima di appoggiare la punta bagnata sulla superficie di carta. Stesi l'inchiostro sul foglio, dipingendo linee sinuose, carezzando il tramite del nostro amore ed ero talmente concentrata da non rendermi conto che Sakura mi aveva raggiunta alle spalle. Mi bloccai con il pennello a mezz'aria, voltandomi a guardarla, sorpresa. Mi fissava a braccia conserte, un sorriso sornione ad illuminarle il viso.
«Ebbene?»
«Cosa?» Mi affrettai a nascondere la poesia, cercando di non macchiarla, e lei ridacchiò alle mie spalle.
«Si tratta della vostra risposta?»
Mormorai un'affermazione, spostandomi i capelli dal viso, imbarazzata. Aveva letto?
Lei rimase in un rispettoso silenzio, pertanto sbirciai nella sua direzione, cercando di capire cosa occupasse i suoi pensieri. Cosa pensasse di me.
«Ne siete sicura?» Chiuse gli occhi e io assentii, pertinace.
«Sì.»
«Desidero soltanto la vostra felicità.» Aprì lentamente le palpebre, guardandomi intensamente attraverso le lunghe e scure ciglia. «Seguite il vostro cuore, sono certa che non sbaglierete.» Sorrise formando uno spicchio di luna prima di congedarsi, augurandomi dolci sogni.
Dolci sogni... Chissà come sarebbe stato tornare a dormire, con la consapevolezza che il sogno era divenuto realtà. Il mondo si era ribaltato, lo spirito s'era rivelato umano e io... Io lo attendevo. Io gli sarei stata devota. Io gli avrei offerto il mio corpo, la mia anima, la mia esistenza, la mia vita. Il mio passato, presente e futuro erano nelle mani di Naruto-sama perché sì, ci credevo: il nostro incontro non poteva essere un caso. Se ci eravamo incontrati significava che ciò era già scritto nel nostro fato. Eravamo destinati a conoscerci ed amarci. Forse lui mi era stato donato per una buona azione compiuta in passato... Ma io? Io per lui cosa sarei stata? Una dannazione o una salvezza?
Mi spogliai rapidamente e soffiai sulle candele, spegnendole. Attesi che la traccia di fumo si disperdesse nell'aria, seguendone il percorso morbido e sinuoso fino al soffitto, finché non si dissolse... Come tutte le cose, a questo mondo.
Sospirai, rassegnata, stendendomi e strinsi gli occhi. Rallentai il respiro, concentrandomi su tutto ciò che vi era di positivo nella mia vita. Pensando a tutte le cose che avevo avuto, e tutto quello che mi restava...
Così la vidi. Mia madre. Splendida, candida, leggiadra come sempre. La sua bellezza evanescente, il respiro d'una nube, gli occhi d'una perla, la voce d'un cigno lontano, che piange, starnazza, lacrime rosse, foglie scarlatte... L'autunno....
«Hinata...»
«Madre...»
Un flebile sussurro, a malapena udibile dall'orecchio dei vivi.
«Hinata, sei contenta?»
«Moltissimo, madre!»
Una me bambina, il sorriso che tracciava un raggio di sole nel cielo azzurro, un abito ampio, elegante, una dimora sconosciuta.
«Ti piace qui fuori?»
Il suo viso, gentile, una carezza balsamica per un'anima tormentata, disperata.
«Si. Grazie per avermi concesso di accompagnarvi.»
Una risata, cristallina. Un delicato scampanellio. Uccellini che cinguettano.
«Hinata, non avrei mai potuto lasciarti sola a casa. E poi, mi sento più al sicuro a pensare che ci sei anche tu accanto a me.»
Lunghe e candide dita sfiorarono il suo ventre, presto accompagnate da una mano più piccola.
«Non vi accadrà nulla.» Il mio tono, rassicurante.
Madre, sorellina... Vi avrei sempre protette, a costo della mia stessa vita.
Poi una casa, grandissima, molto simile alla nostra. Un uomo adulto, dai lunghi capelli argentei. Simpatico. Sbruffone. Mi faceva ridere col suo modo di fare e le sue conversazioni, tanto che sentivo dolore alla pancia.
In seguito un'altra risata, più lontana. Un ghigno di soddisfazione. Grano nel cielo, oro nel mare. Un vortice d'autunno tra di noi.
«Ce l'ho fatta!!! Ojichan ojichan!!! Ho centrato il bersaglio!!! Diventerò un grande guerriero!!»
Arco e frecce abbandonate per terra, dimenticati dal tempo. Dagli anni. Una grande mano callosa in quei disordinati ciuffi del sole.
«Certo che lo diventerai! Non ti fidi di tuo zio? Ma adesso, le buone maniere. Inchinati e porta rispetto alle giovani dame che sono venute a trovarci.»
«Insomma, jichan! Io non sono un donnaiolo come te, non mi interessa! Voglio soltanto diventare ancora più forte, così posso proteggere tutte le persone che amo! E non accadranno più cose brutte!!»
Un'esclamazione di gioia, determinazione, entusiasmo. Il fuoco, in quel bambino di 6 anni. Un sorriso amichevole e poi la sua scomparsa, rapida, così come era apparso nella stanza. Così come era entrato subdolamente nella mia mente e vi si era nascosto, per anni, celandosi nelle ombre, fino poi a riapparire come per magia. Era una stregoneria. Non poteva essere un'illusione.
Spalancai gli occhi, trattenendo il fiato. Ci eravamo già conosciuti? Possibile che l'avessi dimenticato, per più di dieci anni? Perché m'era tornato alla memoria proprio adesso? Era per questo che aveva cominciato ad apparire nei miei sogni? E io che pensavo si trattasse d'un principe lontano. Di incogniti reami. Mi sbagliavo. Lui era sempre stato presente. Lui era sempre stato lì, a vegliare su di me.




NdA:
Ciao a tutti!
Buone feste! :3 spero abbiate trascorso un sereno Natale ^w^
Lo so, è un capitolo un po'... mmm... particolare. Ma siamo quasi alla fine, quindi rallegratevi ^_^
Detto ciò, buona giornata! E se non dovessi connettermi entro Capodanno, Buon 2016!!! *w* <3
With love <3

 

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


CAPITOLO 15
 

Era quasi l'alba. Mi alzai e mi rivestii velocemente, prendendo la lettera tra le mani. La nascosi tra le pieghe del vestito e alzai la tendina, assicurandomi che nessuno fosse nei paraggi.
Certa che tutti fossero ancora intrappolati nel regno dei sogni mi alzai ed uscii, attraversando il corridoio e giungendo all'esterno, affacciandomi verso est. Ad ogni secondo che passava una stella sarebbe sorta, illuminando il mio cammino.
Strinsi la lettera al petto, arrotolandola per bene, piegandola accuratamente. Mi guardai intorno, col vento accogliente che mi soffiava un buon risveglio tra i capelli, sibilandomi il suo buongiorno nelle orecchie. Feci scorrere lo sguardo sul giardino e, alle prime luci del giorno, riconobbi un pruno con i primi rami fioriti. Era perfetto! Trovato il mio obiettivo, indossai i zori in legno e paglia e attraversai un piccolo stagno prima di fermarmi davanti al suo tronco. L'erba sotto i miei piedi era impreziosita dalla rugiada mattutina, una nebbiolina poco fitta rivelava cristalli che volavano verso il firmamento, splendendo in fiocchi e diamanti.
Mi allungai per arrivare al ramo più basso, rabbrividendo al contatto col freddo e duro legno, sfiorai con le dita il lucente strato di ghiaccio che increspava la corteccia e spezzai il rametto con un semplice gesto, affinché i fiori non perdessero nessun petalo. Vi avvicinai la poesia e la legai al ramoscello.
Sorrisi, guardando i candidi petali divenire rosati e la portai alle labbra, suggellando la mia promessa con un bacio.
Sobbalzai lievemente quando vidi un'altra veste posarsi sulle mie spalle. Non c'era bisogno che mi voltassi. Riconobbi quelle mani. Quelle lunghe e forti dita che avevano vissuto così tante avventure. Così tante battaglie. Riconobbi quella presenza. Quell'aura calda e rassicurante, che apparteneva unicamente a lui.
Mi voltai, il suo viso tracciato dalla preoccupazione.
«Starete congelando. Cosa ci fate qui fuori di buon mattino, prima ancora che il gallo canti?»
Non gli risposi, ma gli allungai il foglio fiorito. Lui mi guardò perplesso, ma subito superò lo sgomento e sciolse la poesia, leggendola. Brevi raggi perpendicolari illuminarono il profilo del suo viso, rivelando la sua sorpresa. I suoi occhi brillarono come oceani di luce e mi guardò a bocca aperta, incredulo.
Non trattenni le lacrime nel pronunciare:
 
 
Prima che il nuovo giorno
 giunga a separarci
 ho umanizzato le presenze,
 utilizzando la chiave di antichi ricordi
 
 
Ci siamo già conosciuti, lo sai?
 
 
Non sarà il giorno a separarci,
ma ci unirà ora che so che tali ricordi
non sono un gioco di qualche cattivo demone,
bensì la conferma
che una fiaba possa realizzarsi
 
 
Si lo so. Per questo non ti lascerò, mai e poi mai.
Era come se riuscissi a sentire la sua voce, trasportata dalle onde di quel fiume che ci aveva fatti imbattere l'uno nell'altra.
«Hyuuga-sama, la vostra... La vostra è una conferma?», mi chiese poi in tono commosso, le sue dita tremanti s'avvicinarono al mio viso, sfiorandomi esitante una guancia.
«Hinata. Chiamatemi “Hinata”, vi prego.», lo implorai. Piegai impercettibilmente la testa, raggiungendo il suo ampio, accogliente palmo.
«Allora anche voi, rivolgetevi a me semplicemente come “Naruto”.» Le sue dita sfiorarono le mie gote, il suo polso scivolò sul mio mento, il suo palmo esplorò il mio collo scoperto.
«Naruto...», pronunciai, chiudendo gli occhi, mentre il suo braccio scendeva dietro la mia schiena per stringermi a sé. Mi appoggiai al suo petto, inalando a fondo il suo dolce profumo. «Io… Io ti amo.», mormorai, la voce rotta dall’emozione.
Gliel’avevo detto. Finalmente, dopo tutto quel tempo, tutte quelle notti, tutte quelle occasioni sprecate… ero riuscita a rivelarglielo.
«Anche io. Anche io ti amo, Hinata! Non immagini quanto!»
La sua voce raggiante, sorridente, giunse con forza alle mie orecchie. Alzai lo sguardo sul suo viso e tutte le mie emozioni esplosero, sbocciarono dal mio cuore, scatenando una pioggia di sentimenti che avvolsero entrambi, circondandoci con una cupola rosata, sovrastata dal bagliore dell’alba.
La nostra prima alba.




Angolino Autrice:
Sorpresa! Siamo riusciti a chiudere quest'anno con l'ultimo capitolo - almeno dal punto di vista di Hinata!
Ahhhw, sono commossa. Davvero ç///ç Non avrei mai pensato di farcela a pubblicare fino al quindicesimo prima del 2016. *dondola*
So che le poesie sono le solite merdine, e forse è anche una quasi-conclusione un po' deludente. Mi dispiace :'(
Ma tralasciando la mia pessima scrittura, posso augurarvi buon anno nuovo! *///* Sono così contenta aaahh!! <3 
Spero che trascorriate una splendida serata! Mi raccomando, mangiate tanto ;P 
Con l'augurio che quest'anno possa concludersi al meglio e che il 2016 sia migliore per tutti, vi mando un grosso abbraccio dalla mia addobbata cameretta ^w^
Un bacione! *3*

 

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


CAPITOLO 16
 

L'acqua della sorgente era calda, piacevole. Il vapore si alzava, avvolgendo il mio viso, benedicendolo mentre già gongolavo nella mia stessa beatitudine. Provocata dall'incontro con quella fanciulla. Letteralmente, la dama dei miei sogni. L'avevo tratta in salvo. L'avevo stretta tra le mie braccia. Avevo quasi saggiato il suo odore. La sua pelle...
Mi inebriai del dolce ricordo del suo corpo, crogiolando piacevolmente in quel pensiero. Ma anche se la mia mente viaggiava lontano, i miei sensi erano all'erta, erano attenti, consapevoli che lei fosse tanto vicina. Finalmente...
«E così, l'avete trovata.» Sasuke interruppe bruscamente i miei pensieri, tirandomi una gomitata.
Lo sbirciai con la coda dell'occhio.
«Io ne ero sicuro. Ho sempre avuto fiducia in lei.»
«Almeno non abbiamo dovuto spingerci molto lontano. Mi sento risollevato.» Un sospiro da parte di Shikamaru.
«Sarebbe stata una seccatura, eh?», lo prese in giro Sai, beffeggiandolo.
«Già.»
«Non la trovate perfetta?», mi intromisi, riportando l'attenzione su di lei. «Non è bellissima? Non è candida come un fiore?», chiesi sognante, rivedendola volteggiare elegantemente tra i caldi fumi acquei.
«Spero per voi che non sia evanescente quanto un fiore.»
Rivolsi un'occhiataccia a Sasuke.
«Come una perla?», mi corressi.
«Di certo è rara da trovare, proprio per questo dovreste stare attento che nessuno ve la porti via.»
«Sai, non provarci neppure o ti farò assaporare la mia spada.»
Lui mi rispose con un sorriso e Shikamaru pose fine al confronto: «Naruto-dono, i gusti sono gusti. Credo nessuno di noi sia interessato a quella fanciulla.»
«Quella fanciulla?! Il suo nome è Hinata e dovreste essere ciechi per non provare nulla, neppure guardandola o sentendola. Ciechi, sordi, insensibili.», borbottai tra me.
«Che rottura.»
«Confermo.»
«Approvo.»
Irritato, sbottai: «E per curiosità, c'è qualche donna che ha catturato il vostro interesse?»
Tutti e tre sviarono la domanda, spostando lo sguardo altrove.
«Comincia a fare caldo.»
«Già, noi usciamo ad asciugarci.»
«Vi aspettiamo a cena.»
«Aaah? Ma quindi è un “sì”?», chiesi incredulo, alzandomi a mia volta, ma loro avevano già abbandonato la vasca ed erano rientrati. Mormorando tra me li seguii, cercando di capire da quanto tempo fossero attratti da una donna. Che mi ero perso?
Nella stanza degli ospiti trovai degli abiti di ricambio, ben piegati in un angolo. La vecchia padrona di casa pensava proprio a tutto. Dovevo ricordarmi di ringraziarla per l'accoglienza, nonostante non ci conoscesse. Oh, anche per l'avermi elogiato con sì belle parole! Jiraiya-ojichan sarebbe stato molto fiero di me!
Mi rivestii in fretta e nel corridoio trovai i miei uomini, impegnati in profonde conversazioni con le signorine al seguito di Hinata-sama. In effetti, più che delle servitrici m'erano parse fanciulle d'alto lignaggio. Forse erano sue dame di compagnia.
Mi accomodai accanto a Sasuke e pochi istanti dopo venimmo raggiunti da una divinità. Procedeva con passi leggeri, il candido volto nascosto dietro un ventaglio dorato, gli occhi profondi, iride attraenti, lo sguardo attento, sensuale, d'un'aquila. Tenni gli occhi fissi su di lei, per tutto il tempo. Volevo conoscere ogni suo gesto, ogni suo pensiero, ogni suo respiro, ogni suo battito di ciglia.
Poi, quando ci fu portato il cibo, abbassò lo schermo, mostrandomi la sua pura bellezza. Le labbra imbronciate, rosse, un bocciolo di rosa, i suoi sottili occhi, le sue vaghe sopracciglia, il suo piccolo naso, le sue guance rotonde come una mela, la sua pelle incipriata dalla neve... Capii. In quell'istante compresi perché mi attraeva tanto. Non si era sconvolta quando m'ero spogliato per salvarla. Non aveva riso di me. Non mi aveva rifiutato, cacciato, mandato via. Non m'aveva nascosto la sua gratitudine. Non era finta, sottomessa, remissiva. Ma, cosa che al momento mi sembrava più incredibile di tutte: anche lei era differente dalla massa;  i suoi denti rilucevano d'un bianco naturale che s'addiceva perfettamente alla sua chiara carnagione. Al diavolo le dame che si tingevano i denti di nero, Hinata-sama era molto più attraente di voi! Lei non aveva bisogno di trucchi, inganni. Lei era genuina. Lei era onesta. Lei era sincera. E questo me la faceva amare sempre di più.
Dopo che si fu presentata e la dama coi capelli rosa – la stessa che poche ore prima aveva quasi cercato di uccidermi – ebbe spiegato brevemente le condizioni di vita nel suo casato mi intristii. Non m'ero mai considerato la persona più sfortunata o sola al mondo, ma sapere che Hinata-sama aveva vissuto una situazione simile alla mia... Mi rendeva laconico. L'amore che traspariva dai suoi occhi quando si parlava di sua madre... Era qualcosa che non avevo mai provato. E mai avrei avuto modo di provare. Non sapevo cosa fosse l'amore materno. Non potevo capire cosa fosse l'amore di un figlio. Ma potevo quanto meno immaginare cosa si provasse a veder morire una persona cara davanti ai propri occhi. Una persona che ci ha cresciuti, che ci ha allevati come fossimo figli suoi... Vedere la sua vita spezzarsi, lentamente allontanarsi, disperdersi tra le nubi e involarsi con esse tra i monti... A me era successo, con Jiraiya-jichan.
Senza rendermene conto qualche lacrima si impigliò tra le mie ciglia e mi affrettai ad asciugarla, con le maniche del vestito. La resi consapevole che condividevo la sua sofferenza, quando successivamente l'anziana signora mi chiese di me. Risposi evitando di entrare nei dettagli, anche se non ero mai stato molto abile nell'arte della dialettica. Più che cortigiano sembravo essere nato guerriero. Perdonami zio, so che dalla terra delle montagne e dei mari mi starai guardando. Purtroppo non diventerò mai abile quanto te.
Quando poi la padrona di casa mi chiese di mio zio – lasciando perdere fortunatamente il pellegrinaggio – non fui molto sorpreso nello scoprire che lo conosceva. Chissà perché, ma me lo aspettavo da un uomo simile. Sorprendentemente si incuriosì anche riguardo la mia età, e le risposi prontamente, un po' confuso, finché la dama violenta non attirò la mia attenzione, rivelando che Hinata-sama era una danzatrice. Stupefatto da una simile rivelazione la guardai, pieno di aspettative. Ero certo che non mi avrebbe deluso.
Parve un po' insicura, ma dopo poco si arrese alle nostre volontà e si posizionò al centro della sala. Le sue dame, attorno a lei, formarono una mezzaluna, con degli strumenti a corda che s'erano fatte consegnare dalle servitrici di quella casa. La dama dai lunghi capelli color canarino strimpellò la prima nota e le altre due intonarono il primo verso di quella che si rivelò essere una ninna nanna straziante. Lacerante.
Hinata mosse i primi passi e divenne unica protagonista, narratrice della sua stessa storia.
Un ventaglio che diveniva sole, luna, neve...
Vesti che si muovevano insieme ad alberi, vento, secche foglie...
Una battaglia interiore, contro la morte, in lotta per la vita...
Così ebbe inizio la magia, con la quale la sua voce mi portò nel passato.
Mi mostrò la sua storia, la sua morte, la perdita e la sofferenza.
Il ventaglio vibrava, creava semicerchi attorno al suo viso perso, lontano, totalmente immerso nella sua sofferenza... Eppure era estremamente affascinante.
Ogni movimento, ogni espressione, ogni spostamento d'aria, ogni sillaba pronunciata dalle sue piccole labbra disegnavano l'ambiente. Era come se fossimo usciti all'esterno, come se non ci trovassimo più in quella stanza riscaldata dalle carbonelle.
Improvvisamente era inverno, un gelido inverno, il freddo mi ghiacciava le ossa, i miei occhi fissi su di lei, entrando nella sua storia, inerme, senza potervi prendere parte, come uno spettatore, frustrato dalla mia stessa impotenza.
Come potevo salvarla dagli scheletri degli alberi, dal gelo, dalle mani della morte...?
Le sue dita mostravano illusioni, magie, i suoi palmi pura poesia. Così come la sua voce, il suo canto avvolto in lacrime di sangue, tutto di lei mi faceva pensare che gli esseri soprannaturali potessero realmente mostrarsi. Era come posseduta, come se in lei fosse entrata la divinità più bella, più leggiadra, più elegante, ma anche più triste di queste terre.
Troppo presto ebbe fine, troppo presto tornò in sé, troppo presto il suo canto si spense e il suo corpo morì, cullato dolcemente dal freddo respiro del vento.
Sentivo gli applausi, ma non riuscivo a fare altrettanto. Non ero in grado di muovere neppure un muscolo. M'aveva stregato, totalmente. Ero completamente, indissolubilmente perduto in lei.
Incantevole? Non era sufficiente a spiegare ciò che ella evocava in me.
«Intensa.»
Era travolgente: una valanga di sensazioni, un maremoto di emozioni, un uragano di sentimenti, un terremoto di pensieri. Era l'assoluto, l'infinito, scomposto e ricomposto. Era la guida, il tramite, verso altri mondi. Era un essere celeste incarnatosi in una splendida creatura, la migliore che io avessi mai incontrato... Nonché l'unica che mi abbia mai fatto sentire tanto sciocco. Impaurito. Debole. Sconfitto. Innamorato.
Purtroppo dopo poco ci abbandonò. Era stanca, non la biasimavo. Erano successe tantissime cose, quel giorno. Un unico giorno... poteva bastare a modificare radicalmente la mia vita, quasi facendola ripartire dal principio?
Mi alzai, augurando a mia volta la buonanotte a tutti e, circospetto, la seguii. Eccola lì, fuori il corridoio, lo sguardo rivolto alla luna. Quella stessa luna che aveva illuminato le nostre effimere notti. Ora giaceva, lassù, nella pienezza del buio, consacrandoci a una nuova esperienza. Ad un nuovo inizio. E se volevo che accadesse, avrei dovuto seguire le regole. Avrei dovuto corteggiarla come si doveva. Avrei dovuto attrarla, utilizzando tutte le armi a mia disposizione. Eppure, non ci riuscivo. Così, mi limitai a parlarle.
Conversare con lei era un piacere unico, perché mai m'ero sentito tanto ascoltato o preso in considerazione da qualcuno. Lei mi sentiva davvero. Lei comprendeva. Lei si apriva con me. Lei mi stava inconsciamente detergendo dalle mie sofferenze, come un acquazzone ripuliva il mondo dalla polvere e la cenere. Lei condivideva la mia sofferenza. Lei mi fronteggiava. Lei era forte, era umile. Lei mi contraddiceva. Lei mi sopraffaceva. Lei mi confondeva. Lei mi rasserenava. Riuscì a farmi sorridere. Così glielo dissi. Cercai di farle capire quanto la ammirassi, quanto la amassi, senza eccedere, senza esagerare, senza correre troppo e arrischiarmi a rovinare tutto. Non volevo spaventarla.
Ciononostante il ventaglio le cadde di mano, toccando il pavimento con un tonfo sordo; anche stavolta, puro silenzio. Nemmeno una parola uscì dalle sue labbra pure e immacolate.
Mi scusai per la scortesia che le stavo arrecando, intrattenendola a sì tarda notte, quando lei aveva affermato di essere stanchissima.
La guardai. In quel preciso istante il tempo si fermò. Non più una folata di vento, non più un fruscio delle foglie degli alberi, non più un uccello in volo. Il mondo scomparve, la notte si dissolse. C'era soltanto Hinata. Hinata, che mi guardava con i suoi occhioni sorpresi, ora che era esposta. Hinata, che aspettava qualcosa, ma la sua anima tremava. Le sue guance rosee, le sue labbra dischiuse, la sua candida pelle... Inconsciamente feci un passo verso di lei. Le mie dita tremanti non indugiarono oltre, tastando la morbidezza del suo viso. Il suo sguardo perso nel mio. Lei, che si abbandonava tra le mie mani. Lei, che si affidava alle mie cure. Le mie labbra fremettero, calde come quei carboni ardenti, richiedendo un contatto... Ma lei non m'aveva risposto. E io non volevo pressarla, tantomeno imporle i miei sentimenti. Così, mi limitai a posarle sulla sua fronte.
Tuttavia, spiazzandomi, anche lei mi sfiorò. Fu inevitabile che mi tirassi indietro, se non volevo compiere qualche gesto sconsiderato.
Mi scusai, recuperai per lei il ventaglio e glielo porsi; si coprì il viso e fece per andarsene, augurandomi la buonanotte. Un dolce augurio, dedicato soltanto a me.
Non mi frenai dal trattenerla, prendendole una mano. Era così piccola e fresca, fragile e delicata, liscia e tremante nella mia stretta. Mi avvicinai al calore del suo corpo, volendolo sentire più vicino. Desiderando di poterlo imprimere nelle mie vesti, sulla mia pelle, insieme al suo fragrante profumo di monti lontani e valli incantate. Le spostai una ciocca di capelli dall'orecchio, sussurrandole la mia risposta.
Chiedendomi da quando fossi diventato tanto audace mi allontanai, tornando nella mia provvisoria stanza.
Mi spogliai lentamente, prendendomi tutto il tempo a mia disposizione. Mi stesi sul futon, coprendomi con i miei stessi vestiti, seppure non avessi freddo; tutt’altro, c’era un piacevole tepore e non capivo se provenisse dalla camera oppure fossi io ad emanarlo.
Trovai parecchia difficoltà ad addormentarmi, lei ruotava attorno ai miei pensieri; era al centro della mia mente e s’ingigantiva sempre di più, finché non prese la mia mano e mi condusse lontano, in un passato ormai obliato.
Era un mattino d’autunno, dovevo avere sì e no sei anni. Giocavo con spensieratezza insieme ad altri bambini, fingendo di essere soldati in battaglia. Ognuno di noi doveva mirare ad un bersaglio – ossia, il centro della corteccia di un albero, contrassegnato da un cerchio –, il quale rappresentava il nostro nemico. Dopo numerosi tentativi finalmente riuscii a centrarlo. Preso dalla foga del momento abbandonai tutto a terra, correndo da mio zio. Non mi sorprese trovarlo insieme ad una donna, anche se mi sembrava strano fosse accompagnata da una bambina. Incrociai lo sguardo di quest’ultima, grandi occhi color glicine, straripanti altruismo e serenità, lunghi capelli che riflettevano le profondità della notte, legati con dei nastrini purpurei, un sorriso timido mentre si nascondeva dietro le grandi vesti dell’altra donna.
La guardai per un attimo inebetito. Era così diversa da me, così nobile e aristocratica. Sembrava appartenere a tutt’altra classe sociale. Ciò che più mi sconvolgeva era la sua calma, il suo placido e timido sguardo, la sua quiete, il suo comportamento tranquillo e pacato.
Aggiornai mio zio, rivelandogli che ero riuscito a colpire il bersaglio, ma lui mi redarguì per il mio comportamento sconsiderato. Che rabbia mi faceva, talvolta era come se le donne fossero più importanti di me. Sapevo quanto mi volesse bene, mi considerava alla pari di un figlio, ma all’epoca ero soltanto un bambino, pertanto me ne andai stizzito, tornando a giocare, abbandonando quella splendida creatura, raccattandola nel dimenticatoio.
Che ingrato. Come potevo aver permesso che accadesse? Come avevo potuto obliterare quella fanciulla?
Aprii gli occhi, asciugandomi in fretta le lacrime. Mi alzai, rivestendomi, e uscii in corridoio, cercando una boccata d’aria fresca. Mi appoggiai alla parete, respirando a fondo. L’avevo già conosciuta. C’eravamo già incontrati, in un passato remoto. Quindi non era stata frutto della mia fantasia.
Ero certo che si trattasse di un ricordo rimosso dalla mia memoria, e la conferma di ciò mi venne data da Hinata-sama.
Eccola lì, accanto alla staccionata in legno, fissava malinconicamente il cortile. Il vento scivolava tra i suoi lunghi capelli, circondandola di neve e d’una lieve aurea mattutina. Stringeva un pezzo di carta al petto, come se fosse il suo tesoro più prezioso. Che fosse la lettera che le avevo scritto quella notte?
Ah, no… Non dovevo essere sciocco. Non dovevo illudermi inutilmente.
La vidi sorridere tra sé, illuminando così tutto il suo viso, mentre si abbassava per indossare i sandali e traversava di corsa il giardino, fermandosi dinanzi ad un albero di pruno. Si allungò sulle punte, prendendo un ramo fiorito e spezzandolo in un gesto secco e al contempo delicato, per poi legarvi intorno il foglietto. Le sue spalle furono scosse da un brivido e mi feci avanti, certo che avesse freddo. Le posai il mio hou attorno alla schiena, proteggendola contro il gelo. Ella mi guardò e, senza neppure rivolgermi una parola, mi porse il rametto.
Lo presi, confuso dal suo comportamento, e sciolsi il leggero nodo, scoprendo una poesia.
 
 
Il ponte dei sogni s’è infranto
bruciando le acque del fiume:
la primavera ha soffiato sul ghiaccio
che ricopriva i giovani germogli,
involandolo ora nella volta celeste
 
 
La guardai, cercando di capacitarmi che fosse tutto vero. Che fosse reale. Che, come pensavo, come avevo sempre sperato, ella ricambiasse i miei sentimenti. Che le porte si fossero spalancate in quel vicolo cieco in cui ero rimasto intrappolato, aprendomi il cammino verso il paradiso. Che finalmente potessi essere felice, insieme a lei. Che finalmente potessi riempire la mia vita d’una pienezza inestimabile.
 
 
Che potessi ricominciare una nuova vita, insieme a Hyuuga Hinata.




Angolo autrice: 
Eccoci alla fine. Sono felice, ma al contempo così triste ç.ç Quanto meno, è una happy ending awww <3 a voi immaginare il continuo ^//^ 
Non sarò molto chiacchierona, tranquilli. Voglio soltanto ringraziarvi per essere giunti fin qui, e aver apprezzato questa storiella. Grazie davvero. *piange commossa*
Con infinita riconoscenza,
la vostra Steffirah 

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