ROOM

di PokeShiira
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** III ***
Capitolo 4: *** IV ***
Capitolo 5: *** V ***
Capitolo 6: *** VI ***
Capitolo 7: *** VII ***
Capitolo 8: *** IX ***
Capitolo 9: *** AVVISO ***



Capitolo 1
*** I ***


"Sto per morire qui Herbert?"

"Sì John, stai per morire qui."

"Perché lo pensi?"

"Torna a dormire John."

Dall'altoparlante uscì il solito rumore spezzato, prima che la stanza scivolasse in un silenzio mortale. John rabbrividiva sotto le leggere coperte che gli avevano procurato. Stava morendo. Erano passati novanta giorni dall'ultima volta che aveva mangiato del cibo normale, sei da quando gli era stata data l'ultima pillola e centosessanta da quando aveva visto un altro essere umano.

John provava a dormire, ma i morsi della fame avevano la meglio. Si alzava dal letto e camminava in giro per la stanza cubica, lunga appena quattro metri. Raggiungeva l'altro lato della stanza, controllava il piccolo drop box, non trovava niente, si girava e tornava indietro. Ogni volta che raggiungeva l'altro lato, si fermava e dava un'occhiata fuori dalla finestra, dove poteva osservare il muro di detriti a una decina di centimetri di distanza. Non era in nessun modo spettacolare, ma John credeva che lo fosse. Quando sei abbastanza disperato, puoi vederci qualsiasi cosa tu voglia. Lusso, foreste tropicali, angoli di strada pieni di gente, persino casa tua, ma dopotutto, era solo sporco. In realtà è come se fosse già morto.

Ogni tanto John sentiva dei rumori. Un rantolo qui, o forse un suono metallico lì. Le prime settimane questi rumori lo tenevano sveglio dal terrore, ma in quel momento, quei rumori offrivano l'unico segno di vita oltre la voce dell'altoparlante. La voce era qui fin dall'inizio, Herbert. Herbert ha portato John in questo nuovo mondo e Herbert sarebbe stato l'unico a farlo uscire. Ogni volta che John si svegliava dal primo giorno, barcollante nel suo sudore, sentiva arrivare la voce dall'interfono.

”Ciao John, cerca di non sforzarti troppo, non vorrei che ti facessi male troppo presto.”

Anche se queste parole erano fredde, John vi si affezionò come un bambino, o almeno si affezionò a chi le pronunciava. All’inizio era così, perché pensava che fosse colui che l'avrebbe condotto alla libertà, ma adesso era l'unica cosa che gli ricordava che non stava sognando, che non era all'inferno, che era tutto reale e che lui l'avrebbe vissuto minuto per minuto.


"Come hai dormito John?"

"Bene."

"Bene? Nient’altro?"

"No."

“Molto monosillabico oggi, vero?"

"Sta' zitto."

John era arrabbiato perché non aveva ricevuto la sua piccola pillola nel drop box. Ne trovava sempre una nello scomparto metallico dopo aver dormito. Era un fatto di routine e ora che la routine era stata spezzata, il panico aveva assalito John per tutta la mattinata.

"Che c’è, John?"

"Ho detto sta' zitto."

"E' per la tua razione, John?"

"Dov'è?"

"Ti ho chiesto… è per la tua razione, John?"

"Sì, e ora dove cazzo è?"

John era sulla soglia dell'esaurimento nervoso. La sua intera esistenza era basata su questa semplice routine: dormire, mangiare, camminare, dormire, mangiare, camminare, dormire. E ora era stata fermata, lasciando John con nulla.

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Capitolo 2
*** II ***


"Oh calmati, sono sicuro che salterà fuori da qualche parte."

"Sto per morire."

"Tutti moriremo un giorno, John."

John batteva le dita sulla finestra nervosamente, era in ansia. Se non avesse ricevuto la pillola sarebbe morto sicuramente; era l'unica cosa a mantenerlo in vita. I pensieri gli correvano per la testa cercando di capire perché lo volessero morto proprio oggi, perché metterci così tanto tempo per poi decidere di farlo morire di fame.

"Perché uccidermi così?"

"Ucciderti John? Ti assicuro che nessuno sta cercando di ucciderti”.

"E allora dov'è la pillola?"

Un sospiro arrivò attraverso l'altoparlante. "Sei semplicemente fuori controllo adesso, credo che tu abbia bisogno di un po’ di tempo per calmarti e raccogliere i tuoi pensieri."

"Herbert giuro su dio che-"

L’interfono venne chiuso e la stanza tornò silente ancora una volta. John era contento che Herbert se ne fosse andato così improvvisamente; non aveva idea di cosa stesse per giurare e non aveva nulla su cui avrebbe potuto farlo. Le minacce a Herbert lo facevano solo ridere fin dal primo giorno, e quando iniziò a parlare di suicidio Herbert disse solo "Preferirei non avere a che fare oggi con un problema, John."

Era inutile. Anche se John avesse voluto uccidersi, non avrebbe avuto ragione di farlo. Una volta pensò di rompere la finestra e provare ad usare un pezzo di vetro per tagliarsi la gola, ma Herbert lo informò che era fatta di vetro antiproiettile.

Era essenzialmente a prova di morte.


Le ore passavano mentre John controllava la drop box praticamente ogni minuto, sperando e pregando per la piccola pillola che gli avrebbe concesso di vivere un altro giorno, forse due. Avrebbe dovuto prendersi una pausa ogni tanto, le sue gambe magre non erano capaci di sopportare il peso del suo scheletro, non rimaneva molto dei muscoli e sicuramente non era rimasto alcun grasso. E quando aveva le energie di camminare, le sue gambe oscillavano con disagio, come un bambino che impara a camminare. Non riusciva a ricordare se era sempre stato così o se fosse un sintomo della fame. In ogni caso, era un segno di morte.

Affamato e mentalmente esausto dal riporre le sue speranze nell'arrivo della pillola dal drop box, John andò a letto sconfitto e spaventato. Per la prima volta era spaventato dalla morte. Herbert e John parlavano della morte abbastanza spesso, precisamente della morte di John. Era sempre sereno ed era rassicurante sapere che sarebbe stato finalmente altrove, da qualche parte fuori da quelle pareti, ma stanotte, era terrificante. La reale paura della morte strisciava lentamente su di lui. Come si sarebbe sentito? Dove sarebbe andato? Avrebbe ancora avuto fame? Tutti questi pensieri continuarono a ronzargli per la testa finché continuò a singhiozzare nel piccolo cuscino sul suo letto.

"John?" Scoppiettò l’interfono.

John tirò su col naso e sputò delle macchie di muco sul letto, con le lacrime che gli rigavano il viso.

"John, so che non sei morto. Parlami per favore. Mi dispiace per prima."

John si rigirò nel letto. Non era sicuro del perché si stesse scusando. Le scuse sono un segno di errore o debolezza. Cose che Herbert non ha mai mostrato.

"Avanti, John, non trattarmi così. Non sono buono con te?"

"Cosa vuoi?", disse John con voce stridula.

"Ecco il John che conosco. Ascolta, ho una sorpresa per te." La voce sembrava allegra mentre veniva fuori dal dispositivo attaccato al muro.

John si guardò intorno, spaventato. Non sapeva che cosa Herbert volesse dire. La stanza stava per esplodere in un inferno di fiamme? Del gas velenoso sarebbe stato rilasciato nella stanza ponendo fine alla sua vita? Sarebbe stato costretto a strisciare in una piccola scatola fino a quando non sarebbe stato schiacciato in centinaia di pezzettini? John rabbrividì e si raggomitolò su se stesso.

"John non essere timido", ridacchiò Herbert, "controlla la tua posta".

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Capitolo 3
*** III ***


Gli occhi di John scattarono nell'angolo della stanza in cui c'era il drop box. Sembrava invariato. Non aveva sentito o visto nessun movimento nella stanza, non ci poteva essere niente.

"Sei sempre così cauto quando ricevi dei regali?"

John strisciò fuori dal letto e zoppicò verso il drop box. Afferrò la piccola maniglia e aprì lentamente, rivelando un piccolo bastoncino circolare all'interno. Lo prese con cautela, temendo di essere morso, ma non fu così. Lo sollevò nella stanza luminosa e realizzò cosa fosse. Ne aveva visti un sacco. Era un cacciavite.

"Ah, non c'è niente di meglio che un buon vecchio set di oggetti, vero John?". "Suppongo di doverlo usare per infilzarmi". "Caro amico, non essere assurdo!".

John studiò l'arnese. Era piccolo e rotondo quasi quanto un hot-dog. L'impugnatura era rossa e brillante, cosa che non vedeva da tanto tempo. Sopra il manico c'era la piatta cima metallica, un normale cacciavite.

"Allora, John?"

"Allora cosa?"

"Non dovrei avere un 'Grazie'?"

"No."

"Beh, tanto non succede mai", mormorò Herbert prima di spegnere l’interfono. Ma John non era più solo. Qualcosa era diverso. Perché gli era stato dato un cacciavite? John era tentato di rimetterlo nel drop box, non poteva portare altro che male, ma non ci riuscì. Si sentiva collegato ad esso, erano due oggetti estranei che non avevano ragione di esistere in quel luogo, e non poteva abbandonarlo perché sapeva che adesso non sarebbe più rimasto solo. John si raggomitolò nel letto con il suo nuovo amico e si addormentò, sospettoso ma grato. Fece la miglior dormita da quando era arrivato in quel posto.


John si svegliò, sentendosi molto più fresco del solito. La profonda sensazione di vuoto era ancora presente, ma non era pesante come prima. Si alzò, afferrò saldamente il cacciavite e si recò al drop box. Lo aprì e con sua sorpresa all'interno trovò due pillole. Fuori di sé dalla gioia, ne prese una e la divorò in un paio di secondi. Anche se aveva la consistenza del gesso, i suoi sensi impazzirono. Il suo stomaco si sentì subito pieno: era soddisfatto. Prese l'altra pillola e stava per metterla in bocca quando il citofono suonò di nuovo e la vivace voce di Herbert risuonò nella stanza.

"Buongiorno John! Com'era la colazione?". "Buona, ma perché due?". "Due colazioni? No, no, sciocco. C'è la colazione, poi il pranzo e poi la cena”. "Rispondi. Perché due pillole?". "Oh, quello! Sono lieto che tu l'abbia notato, ad essere sincero, spesso le cose più importanti sono le più piccole".

John si agitò, era strano per Herbert essere così casuale, ma erano due giorni di fila che succedeva. Forse gli era successo qualcosa che lo aveva cambiato.

"Perché?"

"Beh, sei stato così agitato ieri, visto che non ne hai avute che adesso te ne ho date due!"

"Perché?" Chiese di nuovo, stavolta un po’ più forte. Ora che il suo stomaco era pieno era più fiducioso.

"E' giusto, John! Ieri abbiamo saltato, perciò oggi ne avrai due, semplice”.

John non voleva credergli, ma qualcosa nella sua testa gli diceva che Herbert non stava mentendo. Non poteva discutere, non c'era niente di cui discutere. Era semplice, come diceva Herbert; stava solo ripagando quello che gli doveva. Era la cosa giusta da fare.

"Grazie."

“Oh, prego, prego, John”. Herbert disse ciò con tono piatto; ora era più simile al solito Herbert, non più il gioviale come un minuto fa. John mise la pillola extra in tasca; l’avrebbe tenuta per le emergenze, non si sa mai. Afferrò poi il cacciavite e tornò a letto. Rimase ad osservare il soffitto per molto tempo, pensando a cosa ne sarebbe stato di lui. Sarebbe rimasto lì per sempre? Era invecchiato? Non ricordava nulla di prima di ritrovarsi qui. Non ricordava neppure il suo nome prima di quel “Ciao John” venuto dall’interfono la prima volta.

Da quel che sapeva, non aveva mai avuto un nome. Era solo un membro marginale della società, uno di quelli invisibili e sconosciuti. Credeva in questo perché odiava pensare che avesse una vita, una famiglia e degli amici. Persone che avrebbero sentito la sua mancanza. Probabilmente avevano già celebrato il funerale a quest’ora, nessuno lo avrebbe cercato. Questo deprimeva John incredibilmente, perciò tornò a credere di non essere mai stato altri che un nessuno.

John rimase sdraiato lì finché non ebbe un’idea: avrebbe scritto la sua storia, l’avrebbe registrata in questa stanza. Afferrò il giravite e lo premette contro le pareti bianche. Non era certo di cosa fossero fatte, ma pregò che rimanesse il segno. Premette verso il basso con forza e un terribile rumore stridulo fece eco per tutta la stanza. C’era un leggero segno dove il cacciavite era passato. John poteva scrivere. Continuò a scolpire il muro per diversi minuti finché non fu soddisfatto di ciò che aveva ottenuto. Proprio nel centro nel muro ora c’era una scritta.

“Il mio nome è John Nessuno”.

Non era molto, ma era un inizio. Non sapeva di cosa, ma era sicuramente un inizio e John era soddisfatto di ciò. Desiderò avere qualcuno con cui ammirare questa sua opera. Pensò ad Herbert. Ora amava Herbert più di quanto non avesse mai fatto; Herbert gli aveva donato il cacciavite e, di conseguenza, gli aveva restituito la sanità. John, per la prima volta da settimane, stava pensando chiaramente e con razionalità. C’era molto di più nella vita che semplice istinto di sopravvivenza. C’erano pensieri, emozioni, curiosità. Era meraviglioso. John voleva ringraziare Herbert, prima di ogni altra cosa.

“Herbert?”

Vennero dei rumori dall’altoparlante. “Sì, John?”

“Posso vederti?”

“No, John.”

“Perché?”

“E’ contro le regole, John. Va’ a dormire.”

John si accucciò nel suo letto. Avrebbe voluto pressarlo ancora, ma non voleva infastidire Herbert. Tentò di chiudere gli occhi, ma non riuscì a farlo.

“Herbert?”

“Sì, John?”

“Grazie.”

Ci fu uno strano silenzio. Qualcosa non andava. Qualcuno doveva aver trovato Herbert e doveva averlo sgozzato. Molto probabilmente ora era in una pozza fatta del suo stesso sangue e John era ora definitivamente solo. Sarebbe morto di inedia senza che gli occhi di Herbert lo osservassero e commentassero la sua routine. John ora non aveva più nulla.

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Capitolo 4
*** IV ***


“Prego. Vai a dormire.”

John tirò un sospiro di sollievo e si immerse nel materasso. Avrebbe potuto dormire facilmente sapendo che Herbert lo osservava e proteggeva sempre, come una madre col suo bambino. Aveva tutto ciò di cui avesse bisogno: cibo, compagnia, addirittura passatempi rudimentali. Era un uomo completo.


Il mattino seguente John, appena svegliato, dopo aver inghiottito la sua pillola quotidiana incominciò subito a lavorare con il suo nuovo amico. A mano a mano gli stridii e i suoni graffianti del cacciavite sulle pareti della stanza cominciarono a dare forma a parole, e poi ad una frase vera e propria.

"Giorni in cui non sono morto."

Questo aveva scritto in un angolo. Sotto la scritta c'era molto spazio che avrebbe potuto utilizzare, accanto ad una tacca solitaria. John si accorse che in tal modo sarebbe anche riuscito ad ottenere una concezione del tempo che passava… insomma, bastava che incidesse un segnetto ogni volta che si svegliava.

All'inizio aveva avuto l'abitudine di contare i giorni ogni volta che riceveva una pillola, ma dopo un po' gli era sembrato privo di senso. Non c'era motivo di sapere quanto tempo gli rimaneva, ma solo che sarebbe morto. E ciò era inevitabile. Ma John si sentiva diverso ora. Qualcosa era cambiato… si sentiva felice. Aveva di nuovo un motivo per vivere.

Dopo aver ammirato la sua opera per un po', tormentato dai propri pensieri, John ripose con cautela il suo nuovo amico sul letto. Poi lentamente si inginocchiò a terra con le gambe traballanti e si sdraiò supino, appoggiando i palmi aperti a terra.

Iniziò cercando di sollevare se stesso almeno per qualche centimetro, e si stupì quando riuscì a completare la flessione. Sentiva nuovamente la vita dentro di sé! Fiducioso, riprovò un'altra volta, ma a metà dell'esercizio le braccia crollarono e sbatté il viso contro il pavimento di metallo. Un po' stordito si rialzò e si appoggiò al letto, respirando affannosamente. Afferrò il suo amico e lo strinse a sé.

Passò il resto del giorno ad immaginare tutto ciò che poteva fare ora, con il suo nuovo amico. Pensò anche che aveva tutti i mezzi per suicidarsi, ma gli sembrò privo di senso uccidersi proprio ora che non era più solo. Così decise che sarebbe vissuto, il più a lungo possibile, per giunta, e avrebbe continuato a scrivere anche semplicemente una frase alla volta.

Era determinato a creare qualcosa di immutabile e permanente nella sua vita, e con quelle scritte ora poteva farlo.


Un singhiozzo. O forse un pianto? Sì era proprio un pianto! Un lamento monotono e solitario. John era stato svegliato da qualcuno che piangeva. Non aveva idea di che ora fosse, e pensò anche che sarebbe potuto essere un sogno, se non fosse che il pianto durò per diversi minuti. Sembrava acuto, ma nello stesso tempo basso e gutturale, quasi come se la persona venisse soffocata da qualcosa.

Spaventato, John afferrò il suo cacciavite. Nessuno avrebbe fatto del male al suo amico. Si rintanò in un angolo nel buio, stringendo l'attrezzo con entrambe le mani, quasi come per avere una presa più sicura. Rimase in quella posizione per quelle che gli sembrarono ore, fino a quando finalmente il mugolio cessò.

John era scioccato. Quella era la prima cosa di vagamente umano che aveva udito da Dio sa quanto tempo, oltre a Herbert, naturalmente.

"Oh, John, che ci fai in piedi ad un'ora così tarda?"

John fu colto di sorpresa ed in un primo momento si spaventò, fino a quando non riconobbe la familiare voce calma di Herbert.

"C-c… cosa era… q-quello?"

"Come dici?"

"C-cosa era quel… pianto?"

"Pianto? John… credo che tu sia un po' stanco…”.

"Herbert, per favore io-"

L'altoparlante stridette e si spense.

John era confuso e spaventato, e non aveva avuto alcun tipo di spiegazione. Forse aveva ragione Herbert, forse aveva semplicemente sognato il rumore. Ma poi pensò che magari era stato proprio Herbert, che gli stava facendo uno scherzo. Decise che quest’opzione fosse più probabile, e la linea di condotta migliore era semplicemente quella di ignorarlo. Non c'era motivo di dare a Herbert la soddisfazione nel vederlo nel panico a causa di uno stupido rumore.

D'ora in poi, John sarebbe stato irremovibile.

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Capitolo 5
*** V ***


Dopo aver dormito per quelli che sembrarono solamente alcuni minuti, John si alzò dal letto e si avvicinò al drop box. Come presupponeva, c'era un'altra pillola, in attesa del consumo. Così, dopo averla inghiottita velocemente, tornò al letto e, preso il suo amico, si diresse nell'angolo per aggiungere un altro segnetto.

Terminato il lavoro, decise che avrebbe provato a fare ancora qualche flessione: diamine, se stava per morire, almeno sarebbe morto con un bell'aspetto! Questa volta riuscì a fare flessioni per qualche minuto, lentamente, tanto che quando terminò, si sentiva praticamente esausto, ma avvertiva anche un certo senso di gratitudine. Stava migliorando.

Si sdraiò sul letto, facendo ruotare il cacciavite tra le dita, pensando a cose nuove da scrivere sul muro. In realtà non riusciva mai a trovare qualcosa di talmente importante da poter essere scritta, ma tutto questo pensare gli permetteva di non impazzire.

"Oh no… di nuovo", pensò John. Ancora quel maledetto pianto. Questa volta sembrava più forte però, quasi fosse diretto proprio a lui. Deciso a non assecondare il gioco malato di Herbert, John restò fermo e immobile, come se non avesse sentito nulla. Mantenne la posizione fino a quando a poco a poco quel terribile rumore si spense tra i singhiozzi. Soddisfatto di se stesso e di non essere caduto di nuovo nella trappola, tornò a dormire.


Lentamente, quasi senza accorgersene, la vita di John si trasformò in una monotona routine quotidiana. Si alzava dal letto, ingeriva la sua pillola, incideva un piccolo segnetto nel muro, due o tre flessioni e poi si perdeva nei propri pensieri fino alla notte. Sarebbe stata una vita particolarmente noiosa per una persona comune, ma John aveva dimenticato le lussurie e i divertimenti della sua vita precedente, e tutto ciò che aveva gli bastava, non chiedeva altro. Anche il pianto durante la notte incominciò a fare parte della routine. Ogni volta che andava a dormire si incominciavano a sentire i fastidiosi lamenti che John puntualmente ignorava.


Passarono tredici giorni, fino a quando una notte il pianto fu particolarmente forte.

John era quasi abituato a sentirlo tanto che normalmente riusciva anche ad addormentarsi mentre quello si protraeva per tutta la notte. Stava per farlo quando udì qualcosa che gli fece spalancare gli occhi.

"Per l'amor di Dio, per favore! Qualcuno mi aiuti!"

John strabuzzò gli occhi, a denti stretti.

"Oh merda merda merda", mormorò tra sé e sé John.

Strinse a sé il cacciavite più forte che mai. Milioni e milioni di pensieri gli attraversavano la mente a talmente folle velocità che si sentiva intontito, non riusciva a capire cosa succedesse.

Insomma… lui… era sempre stato solo in questo posto, no? Eppure quella che aveva sentito era una voce. Non un semplice pianto o rumore. Era una voce. C'era qualcuno insieme a lui.

Non aveva per niente senso.

John rimase nel suo letto, mentre il pianto continuava incessantemente.

Non aveva per niente senso. Anche se il rumore si fosse fermato per caso, sarebbero passate ere prima che si fosse azzardato a mettere di nuovo piede fuori dal letto.

John era confuso… cercava di capire cosa avesse sentito realmente. Ma certo! Tutto aveva un senso! Herbert! Se era in grado di produrre un pianto, sarebbe stato di certo in grado di riprodurre anche una voce umana.

Ridacchiando nervosamente, John si rilassò. Doveva fare tutto parte del piano di Herbert. Che idiota che era stato. Così, sollevato e anche un po' stordito, si diresse zoppicando verso il drop box, inghiottendo la pillola.

Mentre incideva l'ennesimo segnetto, decise che sarebbe stato meglio ricadere nella quotidiana routine, per far sì che Herbert non si accorgesse dell'ansia e del disagio che crescevano in lui.

Per sentirsi meglio, provò a fare altre flessioni. Il piano era di mantenere Herbert completamente ignaro delle sue emozioni, di quanto fosse terribilmente stanco e spaventato (dopotutto non aveva dormito per tutta la notte). John non sapeva quanto tempo fosse passato dall'ultima volta che aveva sentito la sua voce, ma sapeva che lo stava ancora osservando. E sapeva che avrebbe dovuto muoversi, così che Herbert non si accorgesse che lui sapesse. Sapeva che lo stava tormentando ogni notte.

Così, mise fuori le gambe dal letto e le appoggiò a terra.

"Coraggio, mantieni la calma" si disse.

Appoggiò le mani aperte a terra e fece un respiro profondo.

Le braccia si piegavano in modo incontrollabile… otto… nove… stava per arrivare a dieci. Non era mai arrivato fino a tanto. Ora le braccia erano quasi del tutto distese, e John si sforzò di fare un piccolo sorriso attraverso il dolore bruciante.

Ce l'aveva fatta. Era soddisfatto finalmente, ma stava perdendo sensibilità ad un braccio. Non aveva realizzato ancora da quanto tempo si stesse tenendo in tensione. Quasi senza accorgersene, stanco e senza pensarci, si lasciò andare. Le vertigini lo avvolsero e non vide altro che bianco e rosso.


"… Che diavolo?" mormorò a mezze parole quando si risvegliò sputando sangue e saliva.

In un primo momento si spaventò. Cosa era successo? Era stato attaccato? Aggredito a casa sua? Ma dopo alcuni attimi capì cosa era successo. Il suo corpo lo stava tradendo… si stava lentamente deteriorando nonostante le pillole, che gli garantivano appena il sufficiente fabbisogno per vivere.

Alzò la testa dal pavimento e avvertì qualcosa di strano sul viso. Qualcosa di freddo. Spaventato, John si girò da ogni parte cercando cosa potesse esserne la fonte. Guardò perfino la pozza di sangue e saliva sotto di lui, confuso. Riusciva ad avvertire quel brivido freddo solo da un lato, come se avesse danneggiato i nervi del viso. "Vuol dire che… sarà così per sempre?", pensò spaventato.

Poi se ne accorse.

Un piccolo pannello rettangolare, con dei buchi, proprio sotto il suo letto, contro il muro.

John si guardò intorno per un'ultima volta… non voleva essere attaccato alle spalle mentre era sotto il letto, poi si chinò e strisciò fino a quando non poté avvicinarsi oltre.

Sì, era come un leggero vento che proveniva da lì, ma che cavolo ci faceva?

Tentò di scrutare cosa ci fosse dall'altra parte ma non ci riuscì: i fori erano piccoli solo abbastanza da far passare una brezza leggera, e non si distingueva nulla se non buio totale. Allora tentò di forzarla con le dita, cercando di aprirla, ma l'unica cosa che ottenne fu un lungo taglio sull'indice.

Avvilito, strisciò fuori e si sedette nuovamente sul letto.

Il suo sguardo passò dalla pozza sul pavimento alle sue mani entrambe coperte di sangue. Si voltò, cercando qualcosa con cui pulirsi, ma trovò solo le due coperte con cui dormiva. Pensò che sarebbe riuscito ad addormentarsi anche usandone una soltanto, così ne prese una.

Per quanto a lungo strofinasse, però, le grosse macchie rosse sul pavimento non volevano saperne di sparire. Perfino quelle sulle sue mani sembravano ormai secche.

Le sue mani… prima lo avevano tradito. Sarebbero mai tornate alla normalità?

John decise che non aveva importanza. Di questo passo, continuando ad indebolirsi, tra un paio di giorni probabilmente non sarebbe nemmeno riuscito a sollevarle. Pigramente gettò la coperta insanguinata dall'altra parte della stanza e si voltò tentando di dormire.

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Capitolo 6
*** VI ***


John si svegliò con la tipica sensazione di aver dormito solo per qualche minuto. Non c'era modo di stabilire quanto tempo fosse passato, ma John aggiunse comunque una tacca sul muro dei “Giorni in cui non sono morto”. Lo faceva regolarmente e aveva, a sua volta, accumulato una buona collezione di segni. John pensava di fare una passeggiata verso il drop box per vedere se c'era una nuova pillola, quando improvvisamente si ricordò della sua importante scoperta. Ma fu subito colpito da un forte senso di delusione. Le sue dita presentavano ancora i segni della sconfitta.

John passò il resto della giornata come uno zombie in trance, controllando periodicamente il drop box per una pillola, per poi tornare a letto. Andò avanti così finché non si stancò e tentò di dormire di nuovo, sperando, in cuor suo, che questa sarebbe stata l'ultima volta. Le tacche che un tempo portavano a John gioia, ora servivano soltanto come monito della sua morte imminente. Non c'era via d'uscita, John avrebbe trascorso il giorno seguente qui, così come il giorno successivo, così come la tacca dopo di quella e così come ogni altra tacca finché non fosse morto.

“Gesù Cristo, oh, Gesù”

John aveva sentito molte urla, più forti di prima ma sempre ovattate, tranne stasera, che erano seguite da rumori di colpi selvatici.

“Ma che cazzo?”

Una goccia di sudore gelido colò dal volto di John. Era terrorizzato. La sua attenzione era completamente rivolta al mostro che lo avrebbe fatto a pezzi, subito dopo aver finito con chiunque avesse appena gridato. Tutto ciò che doveva fare, era abbassare la guardia e sarebbe morto. I suoi occhi guizzarono intorno alla stanza in cerca di qualcosa con cui difendersi.

“Finestra? No, è infrangibile”. “Coperta? Troppo debole”.

Non c'era niente, non c'era speranza. John strinse i pugni in previsione della morte e sentì un duro frammento di plastica sfiorargli contro le dita. Il cacciavite. Istantaneamente, John lo prese tra le sue mani e lo puntò verso il lato opposto della stanza, agitandolo freneticamente come se si dovesse difendere da una folla inferocita. John fece ciò mentre strizzava gli occhi, finché non si accorse di qualcosa.

La stanza era completamente avvolta dal silenzio. Le orecchie di John fischiavano, e i suoi occhi erano umidi. Allentò la presa e il cacciavite rotolò sul letto. John si sentiva in imbarazzo, lui voleva soltanto raggomitolarsi su se stesso e addormentarsi per sempre, ma non riusciva neppure a fare ciò. Sicuramente Herbert stava godendo di questo, applaudendo lentamente mentre lacrime gli scendevano giù per la guancia; tanto doveva ridere in quel momento. L'adrenalina era ancora in circolo e non c'era modo per John di tornare a dormire. John uscì dal letto e setacciò la camera, cercando qualcosa, qualsiasi cosa di diverso.

Nulla di nuovo nel drop box, sempre la stessa quantità di segni sul muro.

John continuò a cercare qualcosa, ma non c'era nulla. Lui voleva solamente distrarsi dai rumori e dall'imbarazzo. John tornò al suo letto e vi si sedette sopra, il suo cuore batteva ancora fuori controllo.

“Perché? Perché?”

Le parole continuavano ad aleggiare dentro la testa di John, ma non c'era risposta alle sue domande, niente per consolarlo. John era sempre più arrabbiato e strinse il pugno con tale forza che le sue dita divennero bianche. Fece una smorfia e iniziò a piangere.

“Perché? Perché?”

Era divenuto il mantra di John. Strinse i denti mentre dondolava avanti e dietro. Le sue mani tremavano fuori controllo.

“Perché? Perché?”

John cominciò a mordersi il labbro. Un piccolo rivolo di sangue colò dalla ferita sul letto.

“Perché? Perché?”

Nella testa di John sembravano esserci un migliaio di voci, che gridavano fuori controllo, ma ripetevano sempre la stessa cosa.

“Perché? Perché?”

La sua faccia avvampò.

“Perché? Perché?”

John alzò il braccio e scagliò il cacciavite contro la parete. L'urto mandò in frantumi l'impugnatura, facendo volare lontano la parte metallica.

“Perché?! PERCHE’?!”

John si sedette e cominciò a piangere sul letto. Le voci erano scomparse, ma un nuovo suono riempì la stanza. Un suono di grande tristezza. John si sedette e pianse. Il sapore di sangue e sale riempì lentamente la sua bocca. Sputò grosse gocce sul pavimento, accanto alla macchia di prima, insozzando ancora di più la stanza.

John si guardò attorno, aspettandosi di vedere Herbert ridere di lui. Ma lui non c'era. La stanza era la stessa degli ultimi dieci giorni, e dei dieci giorni prima di quelli, e dei cento giorni ancora prima. A terra vide i resti del manico rotto del cacciavite. John si buttò giù dal letto e si inginocchiò accanto ai frammenti rossi. Cercò di raccoglierli nella sua mano, ma alcuni erano tanto piccoli che non riusciva neanche ad afferrarli.

"Oh mio Dio…"

John si dondolava avanti e indietro, farneticando tra sé e sé mentre raccoglieva i pezzi del suo amico morto.

"Cosa ho fatto?!"

John sentiva sempre più lacrime rigargli il viso prima di notare una cosa. Il ferro del cacciavite. Non era lì. John perlustrò con gli occhi tutta la stanza, ma non riusciva a vederlo da nessuna parte. Si alzò e cominciò a controllare ogni centimetro della stanza, ignorando i pezzi di plastica che gli ferivano i piedi.

"Dove sei? Mi dispiace… Oh Dio, mi dispiace!"

John desiderava di poter tornare indietro nel tempo, a prima di lanciare il suo amico. Voleva migliorare le cose. John doveva interrompere le sue ricerche ogni qual volta le fitte di rimorso diventavano tanto insopportabili da costringerlo a sedersi. Non poteva sopportare un tale dolore. John tornò al letto e osservò la melma che aveva creato piangendo.

Il suo cuore mancò un colpo quando improvvisamente realizzò di non aver guardato in un solo posto in tutta la stanza.

John si mise carponi e infilò le mani dentro la pozza. Le mosse freneticamente al suo interno, ma presto le ritrasse. Non avrebbe mai potuto trovarsi in quella melma. Eppure qualche secondo fa ci avrebbe potuto scommettere. John voleva immergerci le mani perché era convinto che avrebbe trovato il suo amico. Non solo il suo corpo andava deteriorandosi, ma anche la sua psiche.

"Che diavolo mi sta succedendo?"

John si lasciò cadere, sdraiandosi accanto alla pozza. Sarebbe voluto morire proprio lì, non aveva più alcuna ragione per vivere. Aveva ucciso l'unico amico che aveva in questo posto. Il suo sguardo era perso nel vuoto mentre contemplava l'opportunità di affogarsi in quella melma. Mentre tentava di rialzarsi, con la mente che accarezzava la dolce idea di uccidersi, gli sembrò come se qualcosa brillasse da sotto il letto. Pensando che i suoi occhi lo stessero ingannando, alzò solo leggermente la testa. C'era un piccolo luccichio. Il suo cuore mancò un battito.

Si riposizionò e cominciò a spingersi sotto il letto, imbrattandosi tutto con la pozza nel frattempo. Continuò a muoversi sotto il letto finché il suo naso quasi non toccò il muro. Guardò in basso e trovò un lungo pezzo di metallo. Il suo amico. John allungò il suo braccio e afferrò il cacciavite. Avvicinò il viso e lo esaminò attentamente. Sembrava perfettamente integro.

“Oh, grazie al cielo!”

John lo premette sul suo viso mentre sussurrava più e più volte che gli dispiaceva e che era grato di non essere più solo. John iniziò il lento processo per tornare indietro e poter finalmente dormire un po’. Mosse il braccio e nel farlo si ferì con qualcosa di freddo e duro. John lo maledì e si rigirò per vedere cosa lo aveva graffiato. Rigiratosi, sentì una leggera brezza soffiare sul suo volto. Era la ventola. John ritornò sui suoi passi, colto da un’illuminazione. Aveva il suo amico con sé, poteva forzarla. John posizionò il suo cacciavite e cominciò a fare leva per aprire uno degli angoli della protezione di metallo.

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Capitolo 7
*** VII ***


All’inizio si muoveva a stento, ma John ci mise tutta la sua forza, finché finalmente un angolo della protezione non saltò via con un sonoro “bang”. L’aria dalla ventola continuava a soffiare, ma ora sembrava diversa. John proseguì con gli altri angoli, ignorando il dolore che il giravite senza manico gli procurava scavando nel suo palmo. Dopo essersi messo in una posizione migliore, si liberò in fretta anche degli altri angoli. John era su di giri, il sudore gli colava dalla fronte fino a terra. Cosa avrebbe trovato? John spostò con attenzione la protezione distrutta della ventola e si mosse in avanti finché la sua testa non si trovò direttamente sul buco. John prese un profondo respiro e guardò giù. Luce. Accecante luce bianca. Era familiare, eppure strana.

“Che diavolo…”

John non riusciva a pensare. Sentiva come se il suo cervello stesse per esplodere. Non aveva parlato con nessuno per dio solo sa quanto tempo, ad eccezione che con Herbert - ma con lui era diverso.

“Chi ha parlato?”. La voce era terrorizzata, disperata.

“Io”, sussurrò John giù per la ventola.

“Dove sei?”

“Quassù”

John continuò a guardare giù nel buco, non vedendo altro se non bianco finché non apparve una figura. Era una persona. Era scheletrica e aveva capelli neri e arruffati. Guardò tutto intorno alla stanza, chiaramente spaventato fino alla follia.

“Sono proprio quassù”, disse di nuovo John, con più confidenza ora.

L’Estraneo guardò in su, strabuzzando gli occhi.

“Oh grazie al cielo… Sei qui per farmi uscire, vero? Vero?!”

Le speranze di John s’infransero in un solo istante. Per qualche strana ragione aveva pensato che questa persona lo avrebbe potuto tirare fuori, ma era ovvio che si fosse sbagliato. Quest’uomo sembrava tanto spaesato quanto John, se non di più.

“No… No, io sono qui da molto tempo”. Le parole non venivano fuori con facilità; era da molto che non parlava con un estraneo, ancora di più se in carne e ossa.

“Cazzo… Cazzo, CAZZO!”. L’Estraneo si afferrò la testa e cominciò a camminare avanti e dietro, uscendo a volte dal campo visivo di John. Continuò a urlare ed imprecare sempre più forte. John assisteva in silenzio.

“Senti… Da quant’è che sei qui?”, chiese John, cercando di calmare l’Estraneo.

“Ah… Ehm… Non ne ho idea, non ne ho la più fottutissima pallida idea! Una notte? Forse due, tre? Non lo so, amico, non lo so…”. L’Estraneo era molto nervoso.

“Hai avuto la pillola?”

“Ah? Cosa? Pillola? Di che cazzo stai parlando?”. Ora l’Estraneo stava guardando John dritto in faccia.

John si morse le labbra. Se non stava prendendo la sua pillola, doveva essere affamato.

“Guarda, il mio nome è John, sono bloccato qui come te. Hai idea di come sei finito qui?”

“Come sono finito qui, eh? Come sono finito qui?”. L’Estraneo quasi scoppiò a ridere dopo aver ripetuto la frase. “Non ricordo un cazzo!”

“Ok, puoi dirmi cosa c’è nella tua stanza?”

“Non c’è un fottuto cazzo, amico! C’è, ehm, una finestra e, ehm, un letto. Sì, c’è un letto, un cazzo di letto. Tutto qui amico, neanche una strafottutissima porta.”

John cominciò a sentirsi un po’ nervoso. “C’è un interfono?”

“Un cosa?! Senti amico, non c’è un bel cazzo di niente qui”. L’Estraneo stava ancora guardando su. John non era certo se riuscisse a vederlo attraverso la ventola oppure no.

Perché non c’era un interfono? In che altro modo avrebbe potuto parlare con Herbert? Che diavolo stava succedendo?

“Hai del cibo, John?”

John afferrò la pillola extra che teneva in tasca.

“No.”

“Cazzo, non va per niente bene amico”. L’Estraneo uscì dal suo campo visivo di nuovo.

Gli occhi di John continuavano a chiudersi e lui combatteva per mantenerli aperti.

“Ascolta, io devo andare, ma tornerò più tardi. Non ho dormito bene per giorni.”

L’Estraneo mormorò qualcosa, ma John era troppo stanco per ascoltare. Sarebbe voluto restare, avrebbe voluto parlare. Questa era la cosa più grossa che gli fosse mai successa. Finalmente aveva davvero qualcuno. Ma aveva bisogno di riposo, non voleva svenire dal sonno sotto il letto.

Lentamente si tirò fuori, passando sopra la pozza di colore arancio e rosso scuro. Si arrampicò sul letto e vi si distese. Aveva tanto su cui pensare eppure non abbastanza energia per farlo. Nel giro di pochissimo John si addormentò.


Gli occhi di John si aprirono bruscamente. Si rizzò a sedere e si guardò intorno nella stanza. Era ancora solo, ma proprio sotto di lui c'era qualcun altro ora. Qualcuno con cui parlare, con cui fare piani, forse perfino con cui scappare insieme un giorno. John scese barcollando dal letto e raggiunse il drop box, c'era una pillola.

La prese e la infilò in bocca, lasciandosela scivolare avidamente giù per la gola. Prese il cacciavite rotto da accanto al suo letto e graffiò la parete. La stanza si riempì del solito tremendo rumore, ma John continuò a premere finché non ci fu un nuovo segno sul muro. Non era ancora morto.

John si era perfezionato nello scivolare sotto il letto. Si agitò avanti e indietro fino a tornare nella sua posizione abituale. Tirò la testa in avanti e la premette contro il buco.

"Ciao?"

John sentì dei rumori strascicati, alcuni leggeri colpi.

"Cos-chi è là? John? John sei tu?"

"Sì."

"Non spaventarmi più così, amico!". L’Estraneo entrò nel campo visivo di John asciugandosi gli occhi.

"Come hai dormito?"

"Dormire? No amico, non posso dormire. Non posso dormire adesso". L’Estraneo stava nuovamente camminando.

"Dovresti provare, ti aiuterebbe; renditi i primi tempi un po' più facili."

"Più facili? Come più facili? Sono intrappolato in una fottuta scatola, e sono fottutamente morto se non trovo del fottuto cibo!". L’Estraneo sembrava più tranquillo, doveva trovarsi nell'angolo.

"Ti aiuterà a pensare più chiaramente."

"Pensare più chiaramente? Amico, non voglio pensare più chiaramente qui dentro. No amico, per nulla. Se devo morire tanto vale che lo faccia andando fuori di testa, capisci che intendo?". Le parole dell’Estraneo arrivavano scandite da tonfi sordi; stava sbattendo la testa ritmicamente contro il muro.

John si riposizionò. Erano passati quattro giorni e l’Estraneo stava solo peggiorando.

"Hey… ti hanno già portato del cibo?"

L’Estraneo rise semplicemente, e i tonfi continuarono.

"Cibo? Quale cibo, amico? Non c'è cibo qui…". L’Estraneo iniziò a camminare per la stanza, maledicendo se stesso.

John toccò la pillola nella sua tasca, era ancora lì. Poteva darla all’Estraneo… ma se John ne avesse avuto bisogno? Non poteva rischiare.

"E qualche medicina? Come una pillola, o qualcosa del genere?"

"Non voglio una cazzo di medicina da questa gente, amico! Ti fidi di questa gente? Cosa cazzo non va in te?". L’Estraneo stava sbattendo la testa su ogni muro, come testandone la robustezza.

John sentì il suo stomaco saltargli in gola. Merda… E se quelle pillole fossero state veleno? Se quelle pillole facessero scherzi alla sua mente, influendo sulla sua capacità di pensare chiaramente, di dormire, di ricordare. Nella sua mente stava suonando un allarme, aveva bisogno di tempo per pensarci.

John provò ad aprire la bocca e dire qualcosa, ma i colpi sul muro dell’Estraneo divennero presto l'unico rumore udibile oltre il ronzio delle sue orecchie, e decise che era inutile continuare la conversazione. John strisciò fuori da sotto il letto, e la sua camicia grattò contro la macchia di sporco sul pavimento.

Nel momento in cui lasciò l'oscurità del suo sottoletto, John rimase accecato dai quasi brillanti muri bianchi. Si alzò in piedi e portò le mani alla testa. Il panico assorbì la sua mente. John non aveva mai nemmeno contemplato l'idea che lui, che Herbert, avrebbe provato ad avvelenarlo. John si immaginò a giacere in un’enorme stanza piena di persone, tutti quanti che parevano dormire, sognando tutti lo stesso terribile sogno che stava facendo lui. Perfino questo sconosciuto, è reale? Sta succedendo veramente tutto questo o è tutto una qualche vivida allucinazione procurata dalle pillole e dalla sua turbata psiche? Era troppo per poterlo gestire, John si sentì sul punto di vomitare.

Avanzò inciampando fino al suo letto e tirò le coperte fin sopra la testa. Premette le sue mani fortemente contro le sue orecchie, per cercare di fermare il ronzio, il ronzio e i fottuti colpi che provenivano da sotto. John strinse i denti, e premette ancora più forte le sue mani sulla testa provando a smorzare il persistente rumore di colpi.

Bang.

Il sudore rigò la fronte di John.

Bang.

I palmi delle mani di John divennero rossi a causa della pressione.

Bang.

John iniziò a trattenere il respiro.

Bang.

Lacrime iniziarono a scorrere sul suo volto ora rosso.

Bang.

L'intero corpo di John iniziò a tremare mentre continuava a trattenere il respiro.

Bang.

John aprì la bocca, incerto se per urlare o respirare.

Bang.

Buio. Era tranquillo ora.


"Morirai qui, John?"

John emise un gemito e si alzò rapidamente a sedere sul letto. La stanza era incredibilmente buia. Le pareti bianche avevano sempre lasciato la stanza in luce perpetua, ma ora John vedeva con difficoltà.

"Vuoi morire qui, John?"

Voci nel buio. John premette la schiena contro il muro, portando le gambe verso il petto.

"C… Chi sei?"

Improvvisamente centinaia di incomprensibili sussurri riempirono la stanza, ripetendo debolmente le parole di John.

"Chi sei? Chi sei? Chi sei?"

Il cuore di John batteva rapidamente, e forte.

"John, vuoi morire qui?"

I sussurri parlavano come se fossero una singola entità, nessuna voce aveva dominanza sulle altre.

"No… no, no, no, no". John sputò fuori le parole scuotendo la testa mentre le lacrime gli rigavano il volto.

"Non ti fidare di lui, John". "Non c'è da fidarsi". "Ti sta mentendo, John". "Puoi uscire di qui, John".

John era certo di essere diventato pazzo, stava scuotendo la testa più forte ora. Sentiva le loro parole, ma non avevano significato per lui.

John voleva morire, voleva che tutto finisse. Iniziò a singhiozzare più forte.

"Non ti fidare di lui, John". "Non c'è da fidarsi".

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Capitolo 8
*** IX ***


Le migliaia di deboli voci arrivavano a John da ogni parte. John cominciò a urlare, con un urlo profondo e primitivo, nel buio. Urlò per le notti che era rimasto là dentro, che gli parevano migliaia, urlò per la fame, urlò per il terrore ma soprattutto, urlò per dimostrare che era ancora umano, che era ancora vivo. I suoi occhi iniziarono a sgranarsi mentre fissava il buio e il suo ruggito si fece più forte. Improvvisamente una forma iniziò a delinearsi nel buio. Nell'angolo opposto della stanza poteva ora intravedere una figura umana. L'urlo di John si placò mentre guardava l'essere. Non riusciva a coglierne le caratteristiche, finché restava in quell'angolo senza muoversi.

John si rannicchiò in silenzio. I sussurri si erano fermati e ora notava l'inquietante assenza di suoni, era come se si trovasse nel vuoto. John continuò a fissare la presenza, stando attento a non muoversi. La curiosità superò l'orrore e John aprì la bocca per parlare. Istantaneamente, il suono di un migliaio di voci urlanti riempì la stanza, non più deboli. L'essere nell'angolo iniziò a spostarsi, muovendosi lentamente verso John. John era paralizzato, le voci erano più forti di qualunque cosa avesse mai udito, si sentiva come se i suoi timpani stessero per scoppiare.

John di nuovo desiderò la morte, voleva essere fuori da quella stanza, lontano dalle voci, lontano da quell'inferno. I suoi occhi iniziarono a ruotare dietro di lui mentre le voci crescevano d’intensità, più arrabbiate. John non poteva respirare, il suo corpo tremava, lottando per l'aria. La presenza continuava a muoversi lentamente verso John in mezzo al caos. I polmoni di John cominciavano a bruciare e i suoi occhi sembravano stare per esplodere, il dolore era lancinante. Proprio mentre John si sentiva morire per il dolore, una fredda mano toccò gentilmente la sua nuca, e percepì un soffio freddo vicino alle orecchie. Le voci si placarono e la stanza si riempì di luce bianca ancora una volta, mentre John udiva una sola parola gentilmente sussurrata nel suo orecchio.

“Dormi”.


John riacquistò coscienza normalmente sdraiato sul suo letto. Il suo corpo sembrava rigido e si dovette sforzare per sedersi dritto. John lentamente si alzò e, con cautela, osservò tutta la stanza. Era normale, esattamente come la ricordava prima della notte precedente. John misurò tutta la stanza a passi lenti, assicurandosi che non mancasse nessun dettaglio, ma ciononostante non riuscì a trovare un oggetto o un dettaglio fuori posto. Soddisfatto dalla piccola ricerca, John controllò il drop box. All'interno vi era una nuova pillola, John se la lanciò in bocca e la lasciò scendere giù per la sua gola secca. Si sedette sul pavimento e si portò le mani alla testa.

“Cosa cazzo è successo ieri notte?”

Il cervello di John analizzò migliaia di possibili scenari, ma uno soltanto pareva essere sensato. John stava impazzendo, la sua mente alla fine si era distrutta e questo era l'inizio della sua caduta verso la follia completa. John iniziò a ridere sommessamente tra sé. Dopo tutti quei giorni e quelle notti era infine impazzito e questo non faceva comunque differenza.

Sia da sano che da pazzo completo egli sarebbe rimasto in quella stanza. Per sempre. E in quel momento si ricordò delle voci. Prima di urlare gli avevano parlato, avevano detto qualcosa.

“Puoi uscire da qui John”

Le leggere voci risuonavano ancora chiaramente nella testa di John. Forse non stava impazzendo… Forse poteva uscire da quel posto. John mosse la mano e toccò qualcosa di freddo. Improvvisamente la fredda mano della notte precedente gli tornò alla memoria e immediatamente balzò via da dove stava seduto. Il cuore di John stava pulsando di nuovo velocemente e guardò il punto dove aveva appoggiato la mano. Proprio lì vide il corpo metallico del cacciavite. John rise di nuovo.

“Sto davvero diventando pazzo”

John si trascinò di nuovo vicino al giravite e lo strinse nella mano. Si alzò e camminò dove quotidianamente segnava le sue incisioni.

“Giorni in cui non sono morto”

John lesse quelle parole e ricordò quando per la prima volta le incise sul muro.

John considerò l'idea di cancellare la scritta “morto” con “pazzo” ma poi ci ripensò, nulla sarebbe più importato nel caso fosse impazzito. John rapidamente incise un altro segno sul muro. Si alzò e ammirò il suo lavoro. Col tempo il muro si era rapidamente riempito. Diverse file e colonne di segni verticali segnavano il muro di John e proprio nel centro c'era scritto “Il mio nome è John Nessuno”.

John passò le dita sul nome.

“Io sono qualcuno”, si disse John. ”Io sono qualcuno…”

Improvvisamente un forte urlo lo investì da basso, era l’Estraneo. John rapidamente si gettò sul letto e si trascinò presso la macchia nera sul pavimento mentre strisciava presso la ventola. L'urlo continuava e John attaccò il viso alla ventola.

“Hey?”

“Tu! Oh per fortuna sei tu, oh Cristo grazie!”. L’Estraneo pareva essere estasiato, stava camminando velocemente intorno alla stanza, urlando frequentemente forti ringraziamenti.

John si limitò a guardare nervosamente mentre l’Estraneo si muoveva per la stanza.

“Io… uh… Io posso uscire da qui e tu, cazzo, tu anche amico mio! Possiamo entrambi andarcene da qui!”

John era dubbioso, ciò che l’Estraneo stava dicendo era completamente insensato ma percepiva la sincerità nella sua voce. John aprì la bocca.

“Come?”

“COME?!?”. L’Estraneo rise e ringraziò ancora. ”Ce ne andiamo in un modo fottutamente semplice: camminando fuori di qui!”.

L’Estraneo rideva istericamente e batteva le mani sul muro a mo' di tamburo.

John realizzò di non essere pazzo, perché la follia vera la stava osservando ora.

“Sì, amico! C'è… uh… questo Pannello, no? Questo pesante pannello. La cosa più fottutamente pesante che abbia mai visto, amico… Ed è giusto nella mia fottuta camera!”. Altre risate.

“Come lo hai trovato?”

“E' fottutamente pesante, amico!”. L’Estraneo sembrava stesse ansimando, isterico.

John provò a schiarirsi la gola. “Come hai trovato il pannello?”

“Oh amico, sono fottutamente affamato, lo sai? Avrei bisogno di un po' di cibo, qualcosa da mangiare e potrei smuoverlo. Ora sono troppo debole, troppo debole amico, troppo debole”. John non riusciva più a sentire passi. L’Estraneo doveva essersi seduto.

John si risistemò sotto il letto cercando una posizione comoda.”Quindi… uh… non ti hanno ancora nutrito?”.

“Sono troppo debole amico, potrei muoverlo se solo avessi del cibo… Allora potrei uscire e venirti a prendere amico! Potrei venirti a prendere!”. L’Estraneo tossì qualcosa, John non riuscì a capire se fosse saliva o sangue.

John cambiò posizione ancora una volta e qualcosa di piccolo si schiacciò contro il suo petto, John si alzò e mise la mano nel taschino che aveva sul petto. Era la pillola, quella in più che John stava conservando.

La estrasse dal taschino e la osservò.

“Amico, ho così fame…”. L’Estraneo iniziò a sussurrare queste parole, sembrava stesse per spirare.

John continuò a osservare la pillola. Sapeva di poterla dare all’Estraneo… E se non fosse stato veramente pazzo? E se ci fosse realmente un qualche pannello che portava alla… libertà?

“Hey, uh… tu. Non mi hai ancora detto come hai fatto a trovare il pannello”.

John attese ma non udì nulla, solo il rumore di un respiro affannoso. Iniziò a voltarsi di nuovo quando l’Estraneo mugolò qualcosa. John premette l'orecchio sul buco della ventola.

“Voci amico… quelle voci… così tante”.

L’Estraneo emise un forte ronfo e John sentì un sordo colpo mentre il suo corpo cadeva sul pavimento.

Era svenuto.

John rapidamente strisciò fuori da sotto il letto e iniziò a girare per la stanza e strofinarsi la faccia. Le parole dell’Estraneo lo avevano emozionato e terrorizzato contemporaneamente. Era emozionato perché ora sapeva di non esser pazzo, quelle voci, quella… cosa, ciò che era accaduto la notte scorsa. Nonostante ciò era ancora sano, per ora.

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Capitolo 9
*** AVVISO ***


Ciao a tutti lettori, scusate per l'html, ma scrivo da telefono. perchè? perchè il mio computer ci ha lasciati, è stato un colpo al cuore, sia perchè non pubblicherò più storie finchè non avrò un computer nuovo, anche perchè la storia ROOM era finita, e avrei caricato i capitoli , ma il pc è morto prima, se riusciranno a sistemarlo il pc sarà sistemato, perderò tutti i capitoli della storia, quindi, ROOM finisce in ogni caso. grazie per il supporto, ma non temete, morirò per poi risorgere. - PkSr (PokeShiira)

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