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A broken record spins in circles
She can’t listen anymore
She’s turned around a thousand times
She set that bridge afire
But did u want to listen,
You took the world with you
So what is left, so what is left for me?
Un
disco rotto continua a girare lei
non può più sentirlo E’
cambiata mille volte, ha
chiuso col passato Ma
volevi ascoltarmi? Ti
sei portata il mondo via con te A
me, a me cos’è rimasto?
“Se
solo potessimo vedere l’infinita
catena di conseguenze derivanti da ogni nostro minimo gesto. E invece
ce ne
rendiamo conto quando rendersene conto non serve più a
niente.”
-Looking
for Alaska
***
Il
taxi era bloccato nel traffico
newyorkese da quasi quaranta minuti. Fuori, il cielo era limpido e il
sole
brillava riscaldando ogni cosa.
Ad Annabeth era capitato di vedere un
tempo tanto magnifico solo un’altra volta nei suoi intensi
diciassette anni di
vita.
«
Annabeth, l’hai mai visto un cielo così bello?
», le domandò Thalia, la sua
migliore amica, portandosi gli occhiali da sole tra i capelli scuri per
poter
guardare meglio.
La
biondina puntellò i gomiti sull’asciugamano e
lasciò che la testa le
ciondolasse all’indietro: nel cielo di Oak Island non
c’era neppure una nuvola.
Il sole batteva forte per essere una giornata di fine maggio, ma alle
ragazze
non importava, avevano la crema solare… dimenticata nella
borsa da spiaggia di
Thalia.
«
Mai. », sospirò di beatitudine Annabeth,
sorridendo all’amica mentre si
rimetteva gli occhiali da sole.
Erano
in spiaggia da mezzogiorno, e il resto della giornata si stendeva
davanti a
loro pieno di meravigliose possibilità. Quella era la loro
estate.
«
L’anno prossimo come oggi, saremo a New York. »,
rincarò Thalia, sorridendo al
pensiero.
Annabeth
rise: « Una cosa per volta, Thalia; dobbiamo ancora decidere
a quale scuola
iscriverci a settembre! ».
Si
scambiarono un’occhiata ed entrambe scoppiarono a ridere.
«
Non dimenticherò mai la faccia del professor Colbert quando
i pompieri hanno
iniziato a togliersi i vestiti davanti a tutta la scuola! »
esclamò Thalia,
ghignando.
Annabeth
fece spallucce:« Far scoppiare l’allarme
antincendio usando il becco di Bunsen
è stato un dannato colpo di genio! », rise
Annabeth, le lacrime agli angoli
degli occhi mentre fissava il sole.
«
E’ il tuo cervelletto iperattivo a produrre idee brillanti,
Annabella! »,
replicò Thalia, pizzicandole una guancia con fare
affettuoso.
«
Devo dirti una cosa. ».
Le
risate si interruppero istantaneamente, e Annabeth guardò
Thalia con
preoccupazione.
«
Dimmi. ».
«
L’anno prossimo non ho intenzione di tornare a scuola. Ho
diciott’anni ormai,
posso finire da privatista. Prendere il GED. ».
Annabeth
era senza parole.
«
Siamo state compagne di banco per quattro anni, Thalia. Mi abbandoni
così, di
punto in bianco? ».
«
Andiamo – tentò di rabbonirla la più
grande – non è che fuori dalla scuola non
ci vedremo. E poi, quando compirai diciotto anni anche tu, potresti
ritirarti
e
prendere il GED insieme a me. Potremmo diplomarci in anticipo e partire
per New
York immediatamente! »
«
Secondo te, mia madre mi permetterà di ritirarmi da scuola e
prendere il GED?
»,chiese retoricamente Annabeth, amareggiata.
Thalia
rimase impassibile: « Avrai diciott’anni, potrai
prendere da sola le tue
decisioni. ».
Ma prendiamola per buona… due diciottenni a New York! A fare
cosa? »
Dopo
quella volta, Annabeth aveva
pensato a quella conversazione per tutta l’estate.
Dopo l’incidente, la sua mente
l’aveva archiviato come incognita troppo grande, ricordo
troppo doloroso.
Come la maggior parte di quelli in
cui era coinvolta Thalia.
Che erano, in sostanza, la stragrande
maggioranza dei ricordi di Annabeth.
La bionda estrasse dalla pochette
nera i suoi occhiali da sole, li indossò e
continuò a guardare fuori.
Ricordava così minuziosamente episodi
del genere, eppure non ricordava per nulla la notte in cui aveva ucciso
la sua
migliore amica.
O l’intero mese che aveva preceduto
la sua morte.
Non riusciva più a controllare le sue
crisi di pianto, certe volte le capitava di iniziare senza neanche
accorgersene.
Farlo davanti all’autista che suo
padre aveva mandato a prenderla all’aeroporto era fuori
discussione. Suo padre,
meno di tutti gli altri, l’avrebbe mai vista piangere.
Era questione di principio.
Ormai era a New York, sua madre
l’aveva ripudiata e cacciata di casa, e il giorno dopo
sarebbe stato il suo
primo giorno di scuola alla Goddess’ Academy.
Naturalmente, suo padre non avrebbe
mai scelto un’anonima scuola pubblica per la sua figlia
più scomoda; no, doveva
nasconderla dentro le mura di
quella imponente accademia, dietro metri e metri
di blocchi di marmo, sotto volte a stella e su pavimenti consumati da
secoli di
usura.
Una goccia salata le scivolò sulla
mano destra, che teneva incrociata sull’addome, nello stesso
punto in cui la
cicatrice le deturpava la pelle.
Sbuffò nervosa: stava piangendo di
nuovo.
***
Percy
Jackson teneva molto alle
tradizioni.
Per esempio, ogni anno per la finale
di campionato di football indossava due calzini spaiati che aveva
trovato nel
suo cassetto una volta in cui era di fretta e doveva andare allo stadio
con
Paul e sua madre, circa sette anni prima. Erano calzini fortunati.
Insieme a Rachel e Grover, gli
inseparabili, mangiavano gelatine di frutta ogni qual volta si
avvicinavano le
interrogazioni di fine semestre.
Ogni anno, da solo, il giorno prima
dell’ultimo giorno di scuola andava da Starbucks e si faceva
servire un mega
caffellatte in tazza large e la beveva tutta d’un sorso
– senza aggiungere
nemmeno una bustina di zucchero, e lui nei caffellatte normali ce ne
metteva
almeno tre.
L’indomani si sarebbe svegliato
presto – per le sei, sei e un quarto – e per la
prima volta avrebbe guidato
fino all’accademia sulla sua moto.
Un ragazzo non prende la patente
tutti i giorni. La moto era stata un regalo di Paul, e a dire il vero
sua madre
non si era dimostrata entusiasta nemmeno la metà di Percy.
Sua cugina, invece,
l’aveva adorata fin da subito.
«
Ti ha comprato una moto per i tuoi diciott’anni? »,
gli domandò Thalia con voce
squillante, dall’altro capo del telefono.
Percy
rise, seduto sul letto in camera sua davanti allo specchio, guardando
nel suo
riflesso il suo sorriso a trentatré denti.
«
E’ già la terza volta che te lo dico!
Sì! Paul mi ha preso la moto! ».
Oh,
a dire il vero Percy l’avrebbe ripetuto anche una quarta
volta più che
volentieri.
Non
sembrava vero neanche a lui.
«
Questo, caro cugino – affermò Thalia con voce
carica di invidia – è la fortuna
che vi ritrovate voi figli di genitori divorziati! Regali contentini!
Ci credo
che
tua madre volesse tirargli via il collo! ».
Percy
storse la bocca, alzando gli occhi al cielo.
«
Mia madre non l’ha presa così male. E Paul mi ha
già comprato molti anni fa,
più o meno quando mi ha insegnato a nuotare. » le
ricordò il ragazzo, con voce
un po’ seccata.
«
Certe volte mi dimentico da quanto tempo stanno insieme Paul e tua
madre. »
Percy
adorava sua cugina Thalia, sul serio, e l’accettava con tutti
i suoi pregi e i
suoi difetti, ma quella sua bocca larga, ora che aveva diciotto anni,
iniziava
a
dargli noia.
Seguì
un breve silenzio imbarazzato, durante il quale Thalia doveva essersi
resa
conto di quanto l’avesse sparata grossa.
Tentò
di rimediare nel solito modo che usava quando voleva uscire da una
discussione
scomoda: frettolosamente e senza pensare.
«
Ho perso il conto delle storielle che ha avuto mio padre. Avessi almeno
i
regali contentino! ».
«
Già – tagliò corto Percy, chiudendo
definitivamente l’argomento – sai, le
lezioni finiranno questa settimana! Non vedo l’ora.
»
Thalia
prese la palla al balzo. « A questo proposito, non
verrò a trovarti quest’anno.
»
«
Che cosa?? » esclamò Percy, sorpreso: «
ma dovevi venire già l’anno scorso e mi
hai bidonato. Cos’è successo questa volta?
».
«
Oh, una scemenza… mi hanno espulso da scuola. ».
Altro silenzio.
«
E adesso che farai? », domandò Percy, preoccupato.
Il
tono di Thalia lasciava intendere che non si sarebbe lasciata abbattere
da una
cosa del genere. Per lei era davvero una scemenza.
«
Ho già pensato a tutto, cugino. Prenderò il
diploma per corrispondenza. La
scuola non fa per me. Troppe regole. ».
«
Ma il diploma per corrispondenza è da sfigati, Thalia. Non
pensi che… » ma la
ragazza lo interruppe subito, annoiata.
«
Ho già deciso, Percy. Mi diplomerò in anticipo e
verrò a importunarti a New
York! ».
Percy
sospirò, rassegnato. « Me lo prometti?
».
«
Promesso. ».
Inghiottì
l’ultimo sorso di
caffellatte e si asciugò la bocca con il dorso della mano.
Sentiva il telefono pesante nella
tasca dei pantaloni. Come aveva fatto già altre trecento
volte, lo prese in
mano, sbloccò lo schermo e scorse la rubrica fino al
numero di Thalia.
Ingrandì la foto del contatto e
sorrise appena, ricordando il momento in cui era stata scattata.
Erano in aeroporto, circa tre anni
prima: Percy aveva i capelli lunghi fino al collo, un ridicolo gesto di
ribellione adolescenziale contro i dogmi della società
sessista – voluto in
particolar modo da Thalia, che al contrario, aveva lo stesso taglio di
capelli
di un ragazzo, una mezza rapata con i capelli più lunghi in
cima alla testa e
più corti verso la nuca.
Erano guancia a guancia per entrare
entrambi nella foto e facevano le boccacce all’obiettivo;
nella parte bassa si
vedeva il braccio di Thalia che reggeva il telefono per fare lo scatto
dall’alto.
Fece scorrere il dito sul numero
della cugina e portò il cellulare all’orecchio.
Uno, due, tre squilli.
“Ciao!
State chiamando Thalia Grace. La frase del giorno è:
perché fare oggi quello
che potreste rimandare a domani? Sapete cosa fare.”.
Biiip.
Percy chiuse la chiamata e abbandonò
la schiena contro la sedia, improvvisamente privo di forze.
Non voleva ammetterlo a se stesso, ma
stava dimenticando la voce di sua cugina.
Quando pensava a lei gli veniva in
mente quella foto, e quando pensava alla sua voce ripercorreva
mentalmente quel
messaggio vocale oppure sentiva Thalia pronunciare il suo nome.
Non riusciva a ricordare di che cosa
si fossero detti l’ultima volta che si erano sentiti per
telefono, né se si
fossero scambiati parole d’affetto.
***
E
questo è il mio grande progetto
iniziato il 6 luglio di quest’anno, alle undici di sera,
subito dopo aver
chiuso i libri di fisica.
Oggi è il 17 Ottobre, e sto ancora
preparando quel maledettissimo esame xD Okay, drammi personali a parte,
here we
are.
Tengo tantissimo a questa storia, e
capisco che questo sia solo il prologo e che probabilmente non ci
avrete capito
un accidenti, ma datele almeno una
possibilità <3
E’ naturalmente una Percabeth, perché
ormai io e questa ship un giorno comprariremo su Real Time al programma
“Io e
la mia ossessione” ^^”
Questo prologo si intitola New
Begginings, ed è il titolo della prima traccia del disco
What is it to burn dei
Finch.
Ora, questa fanfiction ha cambiato
titolo qualcosa come trecentomila volte, e il primissimo doveva essere
proprio
quello. In fase di scrittura il titolo è
cambiato e il progetto iniziale di
dare ad ogni capitolo il titolo di una canzone di quel disco e quindi
concludere la storia a tredici capitoli, si è dissolto.
La storia sarà lunga almeno venti
capitoli, se non di più.
Tutti i versi delle canzoni
all’inizio dei capitoli si riferiscono a Thalia, mentre
generalmente ogni
citazione sotto i versi si riferisce a qualcosa che prova/pensa/capita
ad
Annabeth.
Riassumendo in breve il prologo:
Annabeth ha fatto qualcosa che ha
portato sua madre, la simpaticissima Atena, ad impacchettare le sue
belle cose
e spedirla dall’altro capo del continente, a vivere da suo
padre con la sua
dolcissima nuova compagna e i suoi nuovi perfetti figli. In tutto
questo,
Thalia non
c’è e cerco di chiarire che tipo di persona fosse,
una ragazza alla
ricerca di sé stessa, con le sue idee in testa, molto
testarda e altrettanto
confusa. Lei e Percy sono naturalmente cugini, ed erano molto legati.
Annabeth
e Percy non si conoscono, per adesso. Ma si incontreranno presto ;)
Se andate sulla mia pagina autore su Facebook .
, che ho
ampliamente spammato sull’alltra mia FanFic su“Amici
con Benefici – Storia di un’idea
luminosa” (sì, avete capito che con i titoli sono
una
merda <3 ), troverete alcune still che ho creato per questa
storia, più le
schede personaggio dei protagonisti principali, con alcuni dettagli in
più per
renderli un po’ più veri,
e darvi
l’impressione di conoscerli meglio. Provo a renderli IC in
ogni capitolo, ma
dato il passato che ho affibbiato a ciascuno di loro, è un
po’ difficile che
non ne vengano influenzati nei ragionamenti e nei comportamenti.
Dedico la storia aGReina , che è stata
la
prima a leggere tutto questo e che mi ha aiutato, corretto e supportato
in ogni
momento della stesura di questo progetto :3 Grazie, GReina :*
PS* per i più pigri, lascio una delle
Still create da me appositamente per questa FanFic, magari vi viene
voglia di
vedere le altre su su Facebook .
E
questi sarebbero I volti dei
protagonisti. Naturalmente Logan Lerman per Percy Jackson,
Chloé Moretz per
Annabeth Chase e Michelle Tratchtenberg per Thalia Grace.
Dovrebbe
essere tutto.
Tengo molto a questa storia, spero
che possa piacere anche a voi tutti. Apprezzo i lettori silenziosi, ma
questa
volta ho davvero bisogno di
pareri.
Aggiornerò la prossima volta tra due
settimane, poi gli aggiornamenti saranno mensili. Fatevi sentire
<3
A prestissimo,
Clarrianne Donavon
Letters
to
you It's empty tonight and i'm all aloneSento
un vuoto stasera e sono tutta
sola
Get me through this oneFammi superare questo momento
Do you notice I'm gone?Ti sei
accorta che me ne sono andata? Where
do you run to so far away?Verso
dove stai correndo così lontano? Non
è la specie più forte a sopravvivere, e nemmeno
quella
più intelligente ma la specie che risponde meglio al
cambiamento. -
Charles Darwin *** Una
cosa più brutta di essere in
ritardo il primo giorno di scuola? Essere la ragazza nuova ed arrivare
in
ritardo il primo giorno di scuola. Tutta
colpa
della metro,
pensava indispettita la ragazza dai boccoli biondi mentre attraversava
con
passo deciso i larghi corridoi dell’accademia, diretta alla
classe di inglese.
La porta era aperta. Diede
una rapidissima occhiata
all’interno in modo da accertarsi che il prof non ci fosse
ancora, quindi entrò
a passo svelto, visibilmente sollevata. Per
quella volta, l’aveva scampata.
Fece un respiro profondo per calmare i nervi, si sistemò
un’ultima volta il
gilet nero che portava lo stemma dell’accademia,
stirò le pieghe della gonna e
ancora una volta guardò nervosamente i suoi stivaletti neri.
Mise
piede in aula con passo deciso,
testa alta e spalle dritte, come se l’avesse fatto un altro
milione di volte –
cosa che in realtà era successa piuttosto spesso, per una
sola vita. Non
tutti i suoi nuovi compagni di
classe diedero segno di averla notata, quando si diresse in fondo
all’aula e
prese posto nell’ultima fila, nel banco accanto alla
finestra. Tra questi, una
moretta tutta truccata che le aveva messo gli occhi addosso fin da
quando aveva
fatto il suo ingresso, le sue amiche impiccione e un paio di ragazzi
cui era
passata davanti mentre andava a sedersi. Nel banco accanto al suo era
seduto un
ragazzo dai capelli neri piuttosto lunghi - tanto che arrivavano a
coprirgli la
fronte – due nontantovispi
occhi
verdi e delle sottili labbra imbronciate. Davanti
a loro, una ragazza dai
lunghi capelli rossi e le guance piene di lentiggini e un ragazzo
minuto, con
corti capelli castani e caldi occhi dello stesso colore. «
Ciao » disse la ragazza,
sorridendole radiosa « io sono Rachel. ». Annabeth
si domandò che cosa ci fosse
da sorridere a quell’ora del mattino, ma invece di dirlo ad
alta voce sollevò
brevemente gli angoli della bocca nel fantasma di un sorriso gelido e
rispose. «
Annabeth Chase. ». «
Io sono Grover, e il tuo compagno
di banco è morto di sonno. », ghignò
Grover, punzecchiando il ragazzo al fianco
di Annabeth. Lui
si riscosse, ignorandolo, e alzò
il suo sguardo smeraldino sul suo volto. Aggrottò le
sopracciglia, come se
avesse visto qualcosa di strano, e mugugnò assonnato. «
Percy Jackson. ». Annabeth
inarcò le sopracciglia: che
vitalità. «
Non farci caso », le consigliò
Rachel, sorridente. « A Percy serve qualche ora prima di
riprendersi
totalmente. ». «
Io direi più qualche giorno. »,
rincarò Grover, ridendo. L’ombra
di un sorriso comparve sul
volto assonnato di Percy, per poi trasformarsi subito dopo in uno
sbadiglio. I
suoi amici scoppiarono a ridere,
Annabeth inarcò un sopracciglio chiaro e non disse niente. Si
accorse che Percy la stava
guardando, i suoi occhi verde chiaro erano lucidi per via dello
sbadiglio;
distolse rapidamente lo sguardo per spostarlo fuori dalla finestra. Non
voleva
fare amicizia. Fosse
stato per lei non ci sarebbe
nemmeno più andata, a scuola. Figuriamoci in quella,
poi. Il
professore entrò in aula in quel
momento e gli studenti – chi più, chi meno - gli
rivolsero la loro attenzione
facendo cadere la classe nel silenzio. *** Percy
era rimasto particolarmente
sorpreso dall’arrivo di Annabeth, ma dopo averle lanciato uno
sguardo aveva
compreso subito che la ragazza non aveva alcun interesse nel
socializzare o
nell’essere partecipe durante le lezioni. Beh, non che lui ne
avesse tutta
quella gran voglia, ma almeno prendeva appunti, di
tanto in tanto. La ragazza, invece, non aveva nemmeno un
libro o
un quaderno per gli appunti, figuriamoci una penna. Durante le quattro
ore di
lezione era rimasta a guardare fisso fuori dalla finestra, senza mai
aprire
bocca o emettere un suono. Non
sembrava se la tirasse, anche se
era particolarmente bella. I
suoi capelli illuminati dal sole
sembravano dello stesso colore del miele. Non
che Percy li avesse osservati più
del dovuto, naturalmente. Ma, ecco, ce l’aveva avuta accanto
per tutta la
giornata, questi erano dettagli che avrebbe notato comunque. Probabilmente. Era
suonata la campanella del pranzo,
e insieme ai suoi amici Grover e Rachel, si stavano avviando verso la
mensa. «
Tipa strana quella Annabeth, vero?
», chiese Grover a un certo punto, risvegliando
l’attenzione di Percy. Rachel
fece spallucce: « E’ il suo
primo giorno di scuola, e probabilmente le sembriamo dei mostri con
queste
orribili divise arancioni. ». «
Parla per te, rossa. » fece Grover,
sistemandosi il gilet come se volesse rincuorarlo da quel commento. «
A me l’arancione sta benissimo. ». A
quel punto Rachel e Grover lo
stavano guardando, e Percy si sforzò di sorridere
– probabilmente non gli venne
bene, perché i due si scambiarono un’occhiata e la
ragazza attaccò. «
Come stai, Percy? ». Avevano appena
varcato la soglia della mensa, e si misero in coda per farsi servire al
banco. «
Bene, Rachel. E tu? », replicò
sbrigativo, incrociando le braccia al petto. Grover
si schiarì la gola, nel
tentativo di far capire a Rachel che non era il momento. La
ragazza colse, sospirò e prese a
guardare nella stessa direzione in cui guardava l’amico. «
Annabeth sta mangiando da sola. »
disse, indicando la ragazza con un cenno del capo e non troppa
discrezione. Percy
si stiracchiò strategicamente,
vedendo la ragazza in visione periferica seduta di spalle ad un tavolo
vuoto. «
Ci sediamo noi con lei. », affermò
Grover, facendo l’occhiolino a Percy. Rachel
alzò gli occhi al cielo,
mentre si faceva servire dell’insalata di riso. «
Oh, Grover, dalle pace. E’ solo il
suo primo giorno! ». «
E poi, non mi è sembrata molto
amichevole. », commentò Percy, servendosi del
puré di patate. Rachel
mise su quel broncio
angosciato che i due amici avevano imparato a conoscere, e che avrebbe
tenuto
per il resto della giornata se non fosse stata accontentata. «
Oh, andiamo. », sbuffò Percy,
facendo strada al gruppetto. *** Annabeth
attese ancora qualche
minuto, prima di tirar fuori le pillole. Anche
se aveva più volte controllato
che nessuno la stesse guardando, si sentiva osservata, tanto che le
pizzicava
la nuca. Cercò
di non darci peso, visto che
era una dei tanti effetti collaterali del disturbo post traumatico da
stress
che le era stato diagnosticato a Oakland poco dopo
l’incidente. Tirò
fuori due blister e un tubetto e
lesse attentamente le piccole scritte sulle confezioni: prima di pranzo
avrebbe
dovuto prendere solo il protettore gastrico. Storse
leggermente la bocca: c’era
scritto che era da prendere almeno mezz’ora prima dei pasti.
Sbuffò, quindi
sfilò una pillola dalla confezione e se la portò
alla bocca, inghiottendola
senz’acqua. In
quel momento si vide circondata
dai suoi vicini di banco, Grover, Percy e Rachel. Per poco non le
andò di
traverso la pillola. «
Ti dispiace se ci sediamo con te? »
chiese Rachel con tono amichevole, anche se si era già
praticamente sistemata
al posto di fronte a lei. Grover
la imitò, sedendosi accanto
all’amica, e a Percy non rimase che sedersi vicino a miss
Ghiacciolo, ancora
una volta. Notò
immediatamente i blister che la
ragazza aveva ficcato nello zaino senza troppe cerimonie e la sua
postura
rigida. Dall’espressione
nello sguardo di
Grover, Percy capì che non era stato l’unico a
notare quella mossa. «
Prego. » replicò Annabeth a scoppio
ritardato, ancora statica sulla sedia. «
E così, questo è il tuo primo
giorno. », buttò lì Grover, tanto per
fare discussione, mentre con la forchetta
spiluccava le zucchine lesse che aveva nel piatto. Percy
si sarebbe dato una pacca sulla
fronte se avesse potuto farlo senza essere visto. Grover aveva un
talento
nell’ammettere l’ovvio! «
Già. », replicò Annabeth, che
doveva pensarla come Percy, visto che guardava il ragazzo con entrambe
le
sopracciglia inarcate, come se si stesse domandando se fosse uno
scherzo. «
Ti stai trovando bene? », chiese
Rachel, improvvisamente a disagio mentre coglieva i messaggi
provenienti dalla
comunicazione non verbale della biondina. «
E’ solo il primo giorno. Non lo so
ancora. ». La fiera della banalità. Percy
alzò gli occhi al cielo,
lanciando uno sguardo veloce all’orologio appeso sulla porta
della mensa:
sarebbero stati i tre quarti d’ora più lunghi
della sua vita. «
Almeno la scuola ti piace? E’ molto
vecchia, credo che abbia tre secoli! », esclamò
Grover, in un disperato tentativo
di fare conversazione. Sembrò
aver colto nel segno. «
In realtà credo che ne abbia almeno
quattro. Si capisce dal tipo di colonne che sono nell’atrio.
Sono un’ovoidale
allungato, grosse alla base che vanno a restringersi fino alla cornice
e… credo,
almeno. ». Annabeth si arrestò con il cucchiaio a
mezz’aria: era di nuovo
partita in quarta parlando di architettura. E
l’architettura antica non era
esattamente un argomento molto popolare, tra i sedicenni di New York
del 2015. Percy
sorrise inconsciamente: quella
era la prima frase articolata e di senso compiuto che avesse sentito
dire dalla
ragazza. E
aveva proprio l’aria di sapere che
cosa stesse dicendo. Rachel
intercettò il suo sorriso e lo
guardò incuriosita, rivolgendo comunque la sua attenzione ad
Annabeth: « Sei
un’appassionata di architettura? ». Adesso
la bionda era veramente
imbarazzata, come se lo stesso argomento che prima l’aveva
animata adesso la
mettesse a disagio. «
Oh, beh. Sì. Più o meno. Un
pochino. » «
Un pochino più del pochino di noi
comuni mortali. » commentò Grover, ammirato. Percy
lanciò all’amico uno sguardo
canzonatorio: ammirato, certo. Sapeva
che Grover si stava rendendo
conto che Annabeth non era il tipo di ragazza con cui avrebbe retto una
conversazione
per più di cinque minuti. «
Ho letto qualche libro, ecco. »,
borbottò schiva, abbassando lo sguardo al suo piatto e
trangugiando il suo
pasticcio di verdure. «
Sei stata all’Empire State
Building? », chiese Percy, lasciando perdere il cibo e
incrociando le mani
sotto il mento. Annabeth
si rilassò sulla sedia, le
sue spalle si abbassarono leggermente per qualche pensiero triste. «
Sono arrivata in città da poco. Non
ho ancora trovato il tempo. ». La
risposta fece sorgere in Percy
altre domande, ma come al solito Rachel fu più veloce di
lui. «
Ah, non sei di New York? E da dove
vieni? ». Le
spalle di Annabeth tornarono
rigide, e il suo volto tornò serio e distaccato. «
Da Oakland, in California ».
Grover
e Rachel rimasero in silenzio,
così come anche Percy. Oakland
era la città in cui abitava
Thalia. E anche se nessuno l’aveva menzionata, il suo nome
era una presenza
tangibile a quel tavolo. Continuarono
a mangiare in
silenzio. *** Più
imbarazzante di quel pranzo con i
suoi compagni di scuola, c’erano solo le imbarazzanti cene di
famiglia a cui
presenziava anche il padre di Annabeth, che non faceva che chiederle di
parlare
dei suoi sentimenti ed incoraggiarla ad esprimere le sue ansie. Fortuna
che suo padre si tratteneva
all’università fino a tardi per la maggior parte
della settimana, e che quella
tortura non capitasse mai per due giorni di seguito. Dopo
pranzo erano ritornati in aula,
e non si erano più rivolti la parola – anche se di
tanto in tanto Grover e
Rachel si scambiavano qualche frase di circostanza per cercare di
ravvivare la
discussione. Riuscivano
quasi a farla sentire in
colpa; volevano conoscerla davvero. Non
Percy, lui era un tipo di poche
parole, decisamente. Ma
Rachel… se si fossero trovate ad
Oakland entrambe, Annabeth non le avrebbe mai rivolto la parola. Era
quanto di più diverso esistesse
da lei. Rachel era una brava ragazza. Annabeth era
un’assassina. Prese
mentalmente appunto di prendere
ulteriormente le distanze. Non doveva affezionarsi. Doveva
resistere fino alla fine
dell’anno in silenzio, senza farsi notare, senza farsi
espellere. *** Suonata
la campanella dell’ultima
ora, Annabeth si era alzata dal suo posto senza dire una parola ed era
schizzata fuori dall’aula come se avesse chissà
quale urgenza di prendere le
distanze da Percy e i suoi amici. Rachel c’era rimasta un
po’ male, lo si
capiva dal modo in cui chiedeva insistentemente: «Secondo voi
ho fatto qualcosa
che l’ho offesa? ». I
loro compagni di classe
abbandonarono l’aula con inerzia, anche se era solo il primo
giorno di scuola
erano già stremati dal riprendere la routin scolastica. «
Come mai tocca a te il primo turno
di pulizie? », gli chiese nuovamente Grover, mentre dalla
soglia dell’aula lo
guardava riordinare i gessi nel cassetto della scrivania e pulire la
polvere
dalla lavagna con uno straccio. «
Così non dovrò farlo più avanti.
».
Rachel gli batté una pacca sulla spalla. «
Da quando sei diventato così
saggio, Jackson? ». «
Dai, voi andate. Io torno in moto.
». li rassicurò Percy, dato che doveva ancora
spazzare il pavimento dell’aula –
e lui era lentissimo in quel frangente. Con
un sorriso di scuse, Grover annuì
e si tirò dietro Rachel, che sventolò la mano
mentre veniva strattonata fuori
dall’aula: « Ciao Percy! ». Finì
in tempo perché scoppiasse il
diluvio universale in terra. Che razza di sfortuna. Uscì
dal grande atrio della Goddess’
rimboccandosi la giacca a vento, l’aria profumava di pioggia
e il sole era
sparito dal cielo. E dire che il giorno prima c’era stato un
clima da spiaggia.
Percy
si preparò a scendere la lunga
scalinata in marmo bianco che portava nel cortile
dell’Accademia, quando notò
Annabeth seduta per terra, con la schiena contro una delle imponenti
colonne
del porticato. Inarcò
un sopracciglio: la ragazza
era bagnata fradicia, i boccolosi capelli biondi erano appiattiti sulla
sua
fronte ed era molto pallida, ad eccezione delle guance…
rossissime. Lo trovò
molto stupido da pensare in un momento come quello, ma anche in quelle
condizioni Annabeth rimaneva una delle ragazze più graziose
che avesse mai
visto. Nonostante nel suo cervello suonasse un allarme che gli intimava
di allontanarsi
in silenzio ed andarsene a casa, Percy le si avvicinò: si
stava massaggiando le
braccia con le mani e tremava visibilmente. «
Sei caduta in una pozzanghera? »,
le chiese, piegandosi al suo fianco. Annabeth
sobbalzò nel sentire quella
voce profonda così vicina al suo orecchio: si
specchiò negli occhi verdi di
Percy, che la guardava come se fosse uno strano animale stirato sulla
strada
durante un temporale. «
Sono inciampata in questa città
terribile. » borbottò la ragazza, rabbrividendo
dal freddo. Percy sorrise
leggermente, solo per un momento. «
Oh, ancora non hai visto niente. »,
disse con tono solenne, come per rassicurarla. Annabeth
sbuffò, e tra di loro
calò nuovamente il silenzio. Percy
si tirò nuovamente in piedi, le
mani in tasca e l’indecisione sul volto. Guardò
verso le nuvole temporalesche
nello stesso momento in cui un tuono illuminava New York per poi farla
ripiombare immediatamente dopo nell’ombra. «
Viene a prenderti qualcuno? », le
domandò il ragazzo, dondolandosi leggermente sui talloni, a
disagio. Annabeth
non si sbilanciava mai,
sembrava avere intorno un’aura di impenetrabilità
assoluta, come se niente e
nessuno potesse mai toccarla davvero. Inaspettatamente,
sotto lo sguardo
incuriosito di Percy, la ragazza tirò la testa indietro e
rise amaramente. «
Figurati se la mia matrigna ha il
coraggio di mettersi in macchina con questo tempo! ». Percy
sospirò, in uno slancio di
compassione. «
E tuo padre? ». «
Mio padre si ricorda di me solo
quando si tratta di iscrivermi in una scuola pomposa come questa,
frequentata
da gente pomposa che ti guarda dall’alto in ba…
». Annabeth si interruppe
improvvisamente, le labbra socchiuse a formare una muta smorfia di
vergogna. Percy
rise di cuore: finalmente
quella ragazza dimostrava una qualche emozione. «
Oh, in effetti io ti sto guardando
dall’alto in basso, sta’ tranquilla. » la
rassicurò, prendendola un po’ in
giro. Annabeth
chiuse la bocca, la riaprì,
la chiuse di nuovo e poi si alzò in piedi, immusonita. Oh,
perché Percy non poteva fare a
meno di pensare che fosse adorabile? L’aveva
lasciata senza parole. E lei
non aveva l’aria di una che ne rimaneva a corto tanto spesso.
Visto
che non si decideva a parlare,
Percy prese nuovamente fiato e le rivolse un’occhiata
circospetta. «
Quindi… come hai fatto a inzupparti
in questa maniera? ». Lei lo ricambiò con uno
sguardo risentito. «
Ero alla metro, c’erano i pompieri…
sembra che si fosse rotta una qualche tubatura nei tunnel e avessero
bloccato
le corse per tutto il pomeriggio. Quando sono tornata in superficie
è scoppiato
l’acquazzone. ». «
Beh, un po’ di acqua non ha mai
fatto male a nessuno. », conferì Percy con voce
conciliatoria. Annabeth
sembrò volerlo fulminare con
lo sguardo. « Sì, ma troppa può
ucciderti. » (*)fece una breve pausa, « mi
ammalerò di sicuro, me lo sento. »,
sbuffò, di malumore. Anche
se era d’accordo con lei, Percy
si astenne dal commentare. Si dondolò sui talloni
un’ultima volta, quindi la
buttò lì. «
Posso accompagnarti a casa, se
vuoi. ». Annabeth
lo guardò con le
sopracciglia aggrottate. « Hai la macchina? ». «
La moto. ». Anche
se non lo avrebbe mai ammesso
ad anima viva ed avrebbe sempre – sempre
– spergiurato il contrario, Percy aveva fantasticato a lungo
sull’effetto che
avrebbe avuto sulle ragazze il sapere che aveva una moto. Beh,
la reazione di Annabeth lo
deluse totalmente. Storse
il naso come se gli avesse
proposto di farsi un bagno nel melmoso laghetto delle anatre a Central
Park di
venerdì notte, e scosse la testa con vigore. «
No, grazie. Aspetterò che finisca
di piovere e poi tornerò a piedi. ». «
Guarda che me la cav… ». «
Ho detto no. Aspetterò. ». Percy
allargò le braccia e mostrò i
pugni aperti in segno di resa; aveva capito che razza di testarda fosse
quella
biondina tutta annacquata. Ciononostante, si rese conto di trovarla
simpatica.
Si inginocchiò all’improvviso, posando la schiena
contro un lato della base
della colonna. Annabeth lo guardò come se fosse matto:
« Che stai facendo? »,
gli domandò, sorpresa. Percy
circondò le braccia con le
ginocchia e gli permise di guardarlo dall’alto in basso,
facendole il primo
vero sorriso che lei gli avesse mai visto fare nell’arco
della giornata. «
Mi metto comodo. Acquazzoni come
questo non ci sono spesso a New York, ma quando capitano durano molto.
Aspetto
con te. » *** Booom. Ed
ecco il primo incontro tra Percy
ed Annabeth. E’
stato come ve l’aspettavate? Allora,
vi siete fatti un’idea di che
tipo sia Annabeth? E soprattutto avete notato i suoi
“movimenti sospetti” in
mensa? Nulla è scritto per caso :3 Proseguendo
nella storia ho cercato
di mantenere un equilibrio nelle varie dinamiche tra i diversi
personaggi,
coinvolgendo anche Thalia per quanto possibile ^^” Sulla
base dei commenti che riceverò,
deciderò se continuare con gli aggiornamenti mensili o
passare ai
bisettimanali. NEWS:
Uno
spinoff
su Thalia, in cui racconto dall’inizio cosa le è
successo, cosa è successo ad
Annabeth, qual è il misterioso incidente a cui tutti
alludono e di cui nessuno
parla. Dovrebbe
svilupparsi per una decina
di capitoli per poi collegarsi a questa storia, e verrebbe pubblicato
in
contemporanea ai capitoli di Start Over in cui si parla maggiormente di
Thalia.
Che dite? Il titolo sarbbe Over Again. Vi
lascio una still fatta da
Stay__Alive su wattpad, in cui sono presenti i miei protagonisti
così come li
ho immagiati:
Se
volete vedere altre Still,
anticipazioni sul prossimo capitolo o le schede personaggio,
raggiungetemi sulla
mia Pagina
Autore su Facebook, Clarrianne Donavon EFP. Questo
è tutto, a presto! Clarrianne
Donavon
(*) Citazione presa
direttamente dal film
Jumanji.
I'll sacrifice one
moment for one truthSacrificherò un istante per unaverità If we get through tomorrow,Se arriveremo a domani then we'll be fineStaremo bene
“Ecco
perché ho paura: ho perduto qualcosa di importante, non riesco più a trovarlo,
e ne ho bisogno. Paura come qualcuno che perde gli occhiali, va dall’ottico e
scopre che in tutto il mondo non ci sono più occhiali e lui dovrà fare senza, e
basta.”
-John
Green
***
Era
martedì della seconda settimana di scuola quando Annabeth
rifece la sua comparsa in classe: Percy la vide
entrare con quel suo passo deciso, il volto un po’ sciupato e lo sguardo
eternamente altrove. Si sedette al suo fianco come se non fosse stata assente
per una settimana intera; probabilmente era una sua impressione, ma a Percy pareva di riuscire a scorgere dalla maglietta
arancione della divisa scolastica le clavicole un po’ più sporgenti del
normale.
« Che c’è? », gli domandò piccata Annabeth, notando come il ragazzo le stesse facendo i raggi
x.
Lui
scosse la testa frettolosamente e si voltò dal lato opposto, piuttosto
imbarazzato.
« Annabeth! » esclamò Rachel, che si dondolava sulla sedia davanti a loro: « sei
sciupatissima! ».
Persino
Grover pensava che quello fosse un commento fuori
luogo; Percy fu improvvisamente felice di non dover
partecipare alla conversazione.
« Mi sono ammalata. ».
Rachel aggrottò la fronte con aria grave.
« Il tempo ha fatto il matto ultimamente.
Sicuramente è stato il cambio di stagione! ».
Percy vide con la coda dell’occhio Annabeth annuire brevemente, come a voler troncare il
dialogo, per poi estraniarsi come suo solito guardando fuori dalla finestra.
Si
sentì stupidamente deluso; che cosa si aspettava? Dopotutto, di fatto quello
era solo il secondo giorno che trascorrevano come compagni di banco.
***
Annabeth guardò insistentemente fuori
dalla finestra, finché Rachel non recepì il messaggio
e voltò la sua attenzione altrove. Sfortunatamente, nello stesso istante la
professoressa Dodds fece il suo ingresso in aula:
quel giorno sembrava persino più cattiva del solito. Fece l’appello, e quando
arrivò al cognome “Chase”, alzò lo sguardo sugli alunni scrutando tra i loro
volti fino a incontrare quello di Annabeth. La
ragazza si alzò in piedi con un gesto secco, facendo stridere le gambe della
sedia sul pavimento come unghie sulla lavagna. Arrivò alla cattedra, e allungò
all’insegnante il certificato medico di degenza ospedaliera. La signora Dodds lesse giusto le prime due righe, quindi restituì il
foglio alla ragazza e prese ad annotare qualcosa sul registro.
« Non so come abbia fatto a procurarsi un
certificato medico per una semplice febbre, signorina Chase. Stia sicura che
non le andrà bene una seconda volta. ».
La
signora Dodds guardò Annabeth
con aria austera, e la ragazza le restituì uno sguardo di sufficienza, quindi
le voltò le spalle e tornò al suo posto senza dirle una parola. Per un istante
l’intera classe aveva trattenuto il fiato. Percy
tornò ad osservare di nascosto la sua compagna di banco mentre si riaccomodava
al suo fianco; degenza ospedaliera, per la febbre? La signora Dodds non pareva avere tutti i torti, in quel caso.
***
Le
due ore di statistica corsero via abbastanza velocemente, con la Dodds che parlava da sola con la lavagna e gli studenti che
stavano attenti a non farsi cogliere col cellulare in mano mentre facevano
tutto al di fuori che seguire la lezione. Finalmente era arrivato il momento
della settimana che Percy adorava in assoluto: nuoto
col professor Brunner.
La
retta che gli studenti pagavano alla Goddess’ era
esageratamente alta per la maggior parte delle tasche dei comuni mortali, ma di
fronte ad una struttura all’avanguardia come l’edificio che ospitava la
piscina, Percy non poteva che essere soddisfatto di
spendere in quel modo i suoi soldi – anche se in realtà erano i soldi di suo padre.
Lui
e Grover salutarono le ragazze e si recarono nei loro
spogliatoi per cambiarsi ed indossare il costume da nuoto con il simbolo
dell’accademia sul fianco e si ritrovarono fuori poco dopo.
Rachel arrivò al fianco di Annabeth con il nuovo modello femminile proposto
dall’accademia quell’anno. Un sobrio due pezzi privo di scollatura sul seno,
sostanzialmente una fascia e un pantaloncino leggermente più corto ma più
attillato di quello che portavano i ragazzi.
Annabeth, invece, indossava il pezzo
di sotto e la maglietta arancione, senza gilet.
« Tu non partecipi, Annabeth?
», le domandò Grover, sorpreso. Annabeth
scosse la testa: « Ho il certificato medico. » spiegò,
stringendosi nelle spalle.
Senza
dire nulla andò a sedersi sulle panchine a ridosso della piscina.
« Oh, ragazzi, Annabeth
è così timida! Pensate che si è cambiata nel bagno, invece che nello
spogliatoio assieme alle altre. » bisbigliò Rachel guardando altrove, dal tono di voce si capiva quanto
trovasse tenera la ragazza nuova.
Percy guardò l’amica dai capelli rossi e
strinse le labbra, indeciso su cosa dire.
« In realtà, penso che non voglia farsi
conoscere e basta. », affermò Grover facendo
spallucce, come se si scusasse di dire quello che pensava.
Il
primo giorno di scuola anche Percy l’avrebbe pensata
come Grover, ma se ripensava a quei momenti che
avevano passato insieme sotto il porticato durante il temporale, non ne era più
così sicuro. Annabeth era un mistero per lui.
« Che oche. ». Questa volta Rachel non si fece problemi a mantenere basso il tono di
voce, e i suoi amici capirono immediatamente il perché. Drew e il suo seguito
di barbie avevano accerchiato Annabeth.
« Perché non hai messo il costume? »,
la sentirono gracchiare da quella distanza.
La
bionda rispose qualcosa nel suo solito tono risoluto ma il trio non riuscì a
cogliere, Drew rispose e le risate delle sue amiche riecheggiarono nella
struttura.
Percy guardò verso l’ingresso della
piscina con fare scocciato: adorava il professor Brunner,
ma perché ogni volta che succedeva qualcosa, lui non era mai presente??
Neanche
l’avesse evocato, l’uomo sulla quarantina entrò allegramente ciabattando forte
sulle brillanti mattonelle azzurre, e il rumore parve allertare il gruppo di
Drew, che subito si disperse allontanandosi da Annabeth.
Il
professor Brunner passò di fronte a Grover, Rachel e Percy ammiccando a quest’ultimo, quindi si fermò proprio di
fronte ad Annabeth.
La
ragazza rimase seduta a guardarlo con la testa leggermente inclinata verso
destra, come se fosse curiosa di sentire che cosa avesse da dirle il prof.
« Chase! Ho saputo dello scherzetto che ha
fatto alla piscina della sua vecchia scuola, ad Oakland. ».
« Secondo voi di che scherzo parla? »,
sussurrò Grover, drizzando le orecchie assieme al
resto della classe.
Percy scorse le guance della ragazza
arrossarsi lievemente, e i suoi occhi grigi sfuggire imbarazzati allo sguardo
del prof.
Tuttavia,
di qualunque cosa il prof Brunner stesse parlando,
era evidente che non avesse intenzione di sbandierarlo ai quattro venti e che
lo trovasse anche abbastanza divertente, nonostante tutto. Diede una pacca
amichevole sulla spalla della ragazza, che al contatto si irrigidì e arrossì
ancora di più: dalla sua espressione si diceva che avrebbe preferito trovarsi
in qualunque altro posto piuttosto che lì, sotto gli occhi curiosi di tutti.
« Oh, voi giovani! Ammiro un sacco la
vostra energia. Ciononostante, Chase… spero che tu non intenda ripetere la cosa
anche qui. La palestra è stata restaurata giusto prima delle vacanze estive.
Insomma, sarebbe un peccato. », il professor Brunner le fece l’occhiolino e Annabeth
gli sorrise timidamente, appena appena.
« Non si preoccupi prof. », quasi
balbettò, « un fulmine non cade mai due volte nello stesso punto. ».
Il
signor Brunner si fece una grossa risata, ridendo di
una battuta che solo loro due potevano capire, sotto lo sguardo leggermente
allibito dell’intera classe.
« Suvvia, voi altri. Che state
aspettando? Riscaldamento, immediatamente! ». Brunner abbandonò la sua aria bonaria per tornare ad essere
l’allenatore esigente che tutti conoscevano.
« Chissà di cosa stavano parlando. »,
mormorò Rachel mentre faceva i suoi esercizi di
stretching, tra Grover e Percy.
« Vorrei tanto saperlo anche io. »,
ammise Percy, piegandosi in avanti fino a toccarsi le
dita dei piedi con la punta delle dita delle mani.
***
Percy fece le sue vasche, quindi uscì
dalla piscina per lasciare la sua corsia agli altri compagni in fila. Vide Annabeth dall’altro lato della palestra che lo guardava, ma
appena le sorrise lei si voltò. Non gliel’avrebbe fatta passare liscia; la
raggiunse e si sedette al suo fianco sulla panchina.
Lei
si scansò appena per evitare di bagnarsi.
« Sei un buon nuotatore. », ammise la
biondina, guardandolo di sottecchi. Percy sapeva di
esserlo, ma era di natura piuttosto modesta.
« Mi sono allenato per tutta l’estate. »
« A New York? », chiese Annabeth, piuttosto scettica conoscendo il livello di
inquinamento di quell’angolo di mare. Percy rise: « Dei, no. Ho una casa al mare in un posto fuori città, ogni
anno ci vado con mia madre e il mio patrigno. ». Annabeth annuì, prendendo nota dell’informazione.
« Anche i tuoi sono divorziati, eh. »,
mormorò, la testa nuovamente persa i altri pensieri. Percy
intercettò il suo sguardo e cercò di richiamare la sua attenzione.
« Oh, Paul è un tipo apposto. I miei
funzionano meglio presi uno alla volta, piuttosto che insieme.
», per enfatizzare il tutto, il ragazzo fece il segno di due polsi
incatenati che venivano separati.
« Non ti tuffi? », si affrettò a chiedere,
tornando a posare lo sguardo sulla piscina e sui suoi compagni di classe che
eseguivano diversi stili di nuoto nelle corsie. Annabeth
fece una smorfia: « Il mio medico dice che non posso
fare attività sportiva per altre due settimane. ».
« Ah. ». Quando si parlava di salute, Percy sapeva che era buona educazione non indagare oltre. Cosa
che Drew, appena uscita dalla piscina, sicuramente ignorava.
« Cara, te l’ha
prescritto il medico? E ti ha detto anche di prendere una mela al giorno, per
caso? ».
Percy le lanciò un’occhiata gelida che la
ragazza tuttavia non colse affatto, infatti andò incontro ai due e si sedette
nel mezzo, con le ginocchia a contatto con quelle del ragazzo.
Annabeth si scostò ancora lungo la
panchina. Clarisse, un’altra compagna di classe, era seduta lì vicino sul bordo
piscina, con le gambe nell’acqua. « Oh, come minimo
non saprà nuotare. ».
La
pazienza di Annabeth era al limite.
« Ma per favore », le apostrofò, con tono
da sapientona, « sono nata a Oakland. I miei piedi sono praticamente palmati.
».
Percy si sforzò di reprimere un sorriso
spontaneo e Drew invece fece una risata forzata quanto falsa.
« Allora perché tieni la maglietta e
non indossi il costume? Hai qualcosa da nascondere? »,
insinuò, acida.
« Maper
favore! » ripeté Annabeth, ignorando le due
ragazze.
Clarisse
diede un calcio nell’acqua schizzando la biondina: in pochi secondi la
maglietta le aderiva completamente alle forme generose del seno.
« Siete proprio delle deficienti. » non poté
evitarsi di commentare Percy, mentre le due
sghignazzavano tra di loro.
« Lascia perdere, Percy.
Non ne vale neanche la pena. », affermò Annabeth con voce gelida, abbassando le mani ai bordi della
maglietta per sfilarsela. Drew e Clarisse smisero di ridere in contemporanea, e
Percy quasi aprì la bocca dallo stupore.
« Per dio! », si lasciò sfuggire Drew,
trattenendo le risate. Anche se da ridere c’era ben poco.
Immediatamente
sotto i contorni della fascia del costume, la gabbia toracica di Annabeth era deturpata da una cicatrice rossa che le
scavava la pelle in diagonale, fino all’ultima costola. Percy
si chiese se non le avessero trapiantato un polmone.
Che
razza di cicatrice era quella? Mai visto qualcosa di più spaventoso. Sulla
carnagione chiarissima della ragazza risaltava peggio di un marchio a fuoco,
disegnando due diversi livelli di pelle: quella sana tutta intorno, e quella
della cicatrice che andava riformandosi.
Annabeth sospirò sonoramente, per
cercare di calmare l’alzarsi e l’abbassarsi furioso del suo petto. Cercava di
non darlo a vedere, ma era chiaro che le era costato molto liberarsi della
maglietta.
« Se mi ammalo di nuovo, chi glielo va a
dire a quella pazza della Dodds? » chiese a nessuno
in particolare, abbandonando la maglietta bagnata sul pavimento.
Se
anche qualcuno gliel’avesse raccontato, pensò Percy,
sicuramente quella strega non ci avrebbe creduto.
***
Ciao a tutti!
Qualora qualcuno si stesse facendo domande
sulla mia latitanza, volevo far sapere a tutti che sto bene x°D Sono soloimpantanatissima con
gli esami all’università.
Ho diviso questo capitolo in due parti
essendo originariamente di dodici pagine, ho pensato che sarebbe stato più
facile da leggere D:
Ringrazio chiunque abbia letto fin qui e
in particolare le anime buone che hanno recensito lo scorso capitolo, spero di
ritrovarvi qui nonostante la mia latitanza ^^”
Come sempre ripeto che le frasi della
canzone all’inizio del capitolo sono riferite a Thalia,
la citazione sotto invece si rifanno a qualcosa che succede nel capitolo J
Lo Spin off di Thalia è workinprogress, quanti hanno voglia di leggerlo?