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di Clarrianne Donavon
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Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** New Beggingings ***
Capitolo 2: *** Letters to you ***
Capitolo 3: *** Post Script Pt 1 ***



Capitolo 1
*** New Beggingings ***


New Beginnings

A broken record spins in circles
She can’t listen anymore
She’s turned around a thousand times
She set that bridge afire
But did u want to listen,
You took the world with you
So what is left, so what is left for me?

Un disco rotto continua a girare
lei non può più sentirlo
E’ cambiata mille volte,
ha chiuso col passato
Ma volevi ascoltarmi?
Ti sei portata il mondo via con te
A me, a me cos’è rimasto?

 

“Se solo potessimo vedere l’infinita catena di conseguenze derivanti da ogni nostro minimo gesto. E invece ce ne rendiamo conto quando rendersene conto non serve più a niente.”

-          Looking for Alaska

 

 

***

 

 

Il taxi era bloccato nel traffico newyorkese da quasi quaranta minuti. Fuori, il cielo era limpido e il sole brillava riscaldando ogni cosa.
Ad Annabeth era capitato di vedere un tempo tanto magnifico solo un’altra volta nei suoi intensi diciassette anni di vita.

 

« Annabeth, l’hai mai visto un cielo così bello? », le domandò Thalia, la sua migliore amica, portandosi gli occhiali da sole tra i capelli scuri per poter guardare meglio.
La biondina puntellò i gomiti sull’asciugamano e lasciò che la testa le ciondolasse all’indietro: nel cielo di Oak Island non c’era neppure una nuvola. Il sole batteva forte per essere una giornata di fine maggio, ma alle ragazze non importava, avevano la crema solare… dimenticata nella borsa da spiaggia di Thalia.
« Mai. », sospirò di beatitudine Annabeth, sorridendo all’amica mentre si rimetteva gli occhiali da sole.
Erano in spiaggia da mezzogiorno, e il resto della giornata si stendeva davanti a loro pieno di meravigliose possibilità. Quella era la loro estate.
« L’anno prossimo come oggi, saremo a New York. », rincarò Thalia, sorridendo al pensiero.
Annabeth rise: « Una cosa per volta, Thalia; dobbiamo ancora decidere a quale scuola iscriverci a settembre! ».
Si scambiarono un’occhiata ed entrambe scoppiarono a ridere.
« Non dimenticherò mai la faccia del professor Colbert quando i pompieri hanno iniziato a togliersi i vestiti davanti a tutta la scuola! » esclamò Thalia, ghignando.
Annabeth fece spallucce:« Far scoppiare l’allarme antincendio usando il becco di Bunsen è stato un dannato colpo di genio! », rise Annabeth, le lacrime agli angoli degli occhi mentre fissava il sole.
« E’ il tuo cervelletto iperattivo a produrre idee brillanti, Annabella! », replicò Thalia, pizzicandole una guancia con fare affettuoso.
« Devo dirti una cosa. ».
Le risate si interruppero istantaneamente, e Annabeth guardò Thalia con preoccupazione.
« Dimmi. ».
« L’anno prossimo non ho intenzione di tornare a scuola. Ho diciott’anni ormai, posso finire da privatista. Prendere il GED. ».
Annabeth era senza parole.
« Siamo state compagne di banco per quattro anni, Thalia. Mi abbandoni così, di punto in bianco? ».
« Andiamo – tentò di rabbonirla la più grande – non è che fuori dalla scuola non ci vedremo. E poi, quando compirai diciotto anni anche tu, potresti ritirarti
e prendere il GED insieme a me. Potremmo diplomarci in anticipo e partire per New York immediatamente! »
« Secondo te, mia madre mi permetterà di ritirarmi da scuola e prendere il GED? »,chiese retoricamente Annabeth, amareggiata.
Thalia rimase impassibile: « Avrai diciott’anni, potrai prendere da sola le tue decisioni. ».
Ma prendiamola per buona… due diciottenni a New York! A fare cosa? »


Dopo quella volta, Annabeth aveva pensato a quella conversazione per tutta l’estate.
Dopo l’incidente, la sua mente l’aveva archiviato come incognita troppo grande, ricordo troppo doloroso.
Come la maggior parte di quelli in cui era coinvolta Thalia.
Che erano, in sostanza, la stragrande maggioranza dei ricordi di Annabeth.
La bionda estrasse dalla pochette nera i suoi occhiali da sole, li indossò e continuò a guardare fuori.
Ricordava così minuziosamente episodi del genere, eppure non ricordava per nulla la notte in cui aveva ucciso la sua migliore amica.
O l’intero mese che aveva preceduto la sua morte.
Non riusciva più a controllare le sue crisi di pianto, certe volte le capitava di iniziare senza neanche accorgersene.
Farlo davanti all’autista che suo padre aveva mandato a prenderla all’aeroporto era fuori discussione. Suo padre, meno di tutti gli altri, l’avrebbe mai vista piangere.
Era questione di principio.
Ormai era a New York, sua madre l’aveva ripudiata e cacciata di casa, e il giorno dopo sarebbe stato il suo primo giorno di scuola alla Goddess’ Academy.
Naturalmente, suo padre non avrebbe mai scelto un’anonima scuola pubblica per la sua figlia più scomoda; no, doveva nasconderla dentro le mura di
quella imponente accademia, dietro metri e metri di blocchi di marmo, sotto volte a stella e su pavimenti consumati da secoli di usura.
Una goccia salata le scivolò sulla mano destra, che teneva incrociata sull’addome, nello stesso punto in cui la cicatrice le deturpava la pelle.
Sbuffò nervosa: stava piangendo di nuovo.

 

***

 

Percy Jackson teneva molto alle tradizioni.
Per esempio, ogni anno per la finale di campionato di football indossava due calzini spaiati che aveva trovato nel suo cassetto una volta in cui era di fretta e doveva andare allo stadio con Paul e sua madre, circa sette anni prima. Erano calzini fortunati.
Insieme a Rachel e Grover, gli inseparabili, mangiavano gelatine di frutta ogni qual volta si avvicinavano le interrogazioni di fine semestre.
Ogni anno, da solo, il giorno prima dell’ultimo giorno di scuola andava da Starbucks e si faceva servire un mega caffellatte in tazza large e la beveva tutta d’un sorso – senza aggiungere nemmeno una bustina di zucchero, e lui nei caffellatte normali ce ne metteva almeno tre.
L’indomani si sarebbe svegliato presto – per le sei, sei e un quarto – e per la prima volta avrebbe guidato fino all’accademia sulla sua moto.
Un ragazzo non prende la patente tutti i giorni. La moto era stata un regalo di Paul, e a dire il vero sua madre non si era dimostrata entusiasta nemmeno la metà di Percy. Sua cugina, invece, l’aveva adorata fin da subito.  

« Ti ha comprato una moto per i tuoi diciott’anni? », gli domandò Thalia con voce squillante, dall’altro capo del telefono.
Percy rise, seduto sul letto in camera sua davanti allo specchio, guardando nel suo riflesso il suo sorriso a trentatré denti.
« E’ già la terza volta che te lo dico! Sì! Paul mi ha preso la moto! ».
Oh, a dire il vero Percy l’avrebbe ripetuto anche una quarta volta più che volentieri.
Non sembrava vero neanche a lui.
« Questo, caro cugino – affermò Thalia con voce carica di invidia – è la fortuna che vi ritrovate voi figli di genitori divorziati! Regali contentini! Ci credo che
tua madre volesse tirargli via il collo! ».
Percy storse la bocca, alzando gli occhi al cielo.
« Mia madre non l’ha presa così male. E Paul mi ha già comprato molti anni fa, più o meno quando mi ha insegnato a nuotare. » le ricordò il ragazzo, con voce un po’ seccata.
« Certe volte mi dimentico da quanto tempo stanno insieme Paul e tua madre. »
Percy adorava sua cugina Thalia, sul serio, e l’accettava con tutti i suoi pregi e i suoi difetti, ma quella sua bocca larga, ora che aveva diciotto anni, iniziava a
dargli noia.
Seguì un breve silenzio imbarazzato, durante il quale Thalia doveva essersi resa conto di quanto l’avesse sparata grossa.
Tentò di rimediare nel solito modo che usava quando voleva uscire da una discussione scomoda: frettolosamente e senza pensare.
« Ho perso il conto delle storielle che ha avuto mio padre. Avessi almeno i regali contentino! ».
« Già – tagliò corto Percy, chiudendo definitivamente l’argomento – sai, le lezioni finiranno questa settimana! Non vedo l’ora. »
Thalia prese la palla al balzo. « A questo proposito, non verrò a trovarti quest’anno. »
« Che cosa?? » esclamò Percy, sorpreso: « ma dovevi venire già l’anno scorso e mi hai bidonato. Cos’è successo questa volta? ».
« Oh, una scemenza… mi hanno espulso da scuola. ». Altro silenzio.
« E adesso che farai? », domandò Percy, preoccupato.
Il tono di Thalia lasciava intendere che non si sarebbe lasciata abbattere da una cosa del genere. Per lei era davvero una scemenza.
« Ho già pensato a tutto, cugino. Prenderò il diploma per corrispondenza. La scuola non fa per me. Troppe regole. ».
« Ma il diploma per corrispondenza è da sfigati, Thalia. Non pensi che… » ma la ragazza lo interruppe subito, annoiata.
« Ho già deciso, Percy. Mi diplomerò in anticipo e verrò a importunarti a New York! ».
Percy sospirò, rassegnato. « Me lo prometti? ».
« Promesso. ».
 

Inghiottì l’ultimo sorso di caffellatte e si asciugò la bocca con il dorso della mano.
Sentiva il telefono pesante nella tasca dei pantaloni. Come aveva fatto già altre trecento volte, lo prese in mano, sbloccò lo schermo e scorse la rubrica fino al
numero di Thalia.
Ingrandì la foto del contatto e sorrise appena, ricordando il momento in cui era stata scattata.
Erano in aeroporto, circa tre anni prima: Percy aveva i capelli lunghi fino al collo, un ridicolo gesto di ribellione adolescenziale contro i dogmi della società
sessista – voluto in particolar modo da Thalia, che al contrario, aveva lo stesso taglio di capelli di un ragazzo, una mezza rapata con i capelli più lunghi in cima alla testa e più corti verso la nuca.
Erano guancia a guancia per entrare entrambi nella foto e facevano le boccacce all’obiettivo; nella parte bassa si vedeva il braccio di Thalia che reggeva il telefono per fare lo scatto dall’alto.
Fece scorrere il dito sul numero della cugina e portò il cellulare all’orecchio. Uno, due, tre squilli.
Ciao! State chiamando Thalia Grace. La frase del giorno è: perché fare oggi quello che potreste rimandare a domani? Sapete cosa fare.”. Biiip.
Percy chiuse la chiamata e abbandonò la schiena contro la sedia, improvvisamente privo di forze.
Non voleva ammetterlo a se stesso, ma stava dimenticando la voce di sua cugina.
Quando pensava a lei gli veniva in mente quella foto, e quando pensava alla sua voce ripercorreva mentalmente quel messaggio vocale oppure sentiva Thalia pronunciare il suo nome.
Non riusciva a ricordare di che cosa si fossero detti l’ultima volta che si erano sentiti per telefono, né se si fossero scambiati parole d’affetto.

 

 

 

***

 

E questo è il mio grande progetto iniziato il 6 luglio di quest’anno, alle undici di sera, subito dopo aver chiuso i libri di fisica.
Oggi è il 17 Ottobre, e sto ancora preparando quel maledettissimo esame xD Okay, drammi personali a parte, here we are.
Tengo tantissimo a questa storia, e capisco che questo sia solo il prologo e che probabilmente non ci avrete capito un accidenti, ma datele almeno una
possibilità <3
E’ naturalmente una Percabeth, perché ormai io e questa ship un giorno comprariremo su Real Time al programma “Io e la mia ossessione” ^^”
Questo prologo si intitola New Begginings, ed è il titolo della prima traccia del disco What is it to burn dei Finch.
Ora, questa fanfiction ha cambiato titolo qualcosa come trecentomila volte, e il primissimo doveva essere proprio quello. In fase di scrittura il titolo è
cambiato e il progetto iniziale di dare ad ogni capitolo il titolo di una canzone di quel disco e quindi concludere la storia a tredici capitoli, si è dissolto.
La storia sarà lunga almeno venti capitoli, se non di più.
Tutti i versi delle canzoni all’inizio dei capitoli si riferiscono a Thalia, mentre generalmente ogni citazione sotto i versi si riferisce a qualcosa che prova/pensa/capita ad Annabeth.
Riassumendo in breve il prologo: Annabeth ha fatto qualcosa che ha portato sua madre, la simpaticissima Atena, ad impacchettare le sue belle cose e spedirla dall’altro capo del continente, a vivere da suo padre con la sua dolcissima nuova compagna e i suoi nuovi perfetti figli. In tutto questo, Thalia non
c’è e cerco di chiarire che tipo di persona fosse, una ragazza alla ricerca di sé stessa, con le sue idee in testa, molto testarda e altrettanto confusa. Lei e Percy sono naturalmente cugini, ed erano molto legati. Annabeth e Percy non si conoscono, per adesso. Ma si incontreranno presto ;)
Se andate sulla mia pagina autore su 
Facebook . , che ho ampliamente spammato sull’alltra mia FanFic su
“Amici con Benefici – Storia di un’idea luminosa” (sì, avete capito che con i titoli sono una merda <3 ), troverete alcune still che ho creato per questa storia, più le schede personaggio dei protagonisti principali, con alcuni dettagli in più per renderli un po’ più veri, e darvi l’impressione di conoscerli meglio. Provo a renderli IC in ogni capitolo, ma dato il passato che ho affibbiato a ciascuno di loro, è un po’ difficile che non ne vengano influenzati nei ragionamenti e nei comportamenti.
Dedico la storia a GReina , che è stata la prima a leggere tutto questo e che mi ha aiutato, corretto e supportato in ogni momento della stesura di questo progetto :3 Grazie, GReina :*

 
PS* per i più pigri, lascio una delle Still create da me appositamente per questa FanFic, magari vi viene voglia di vedere le altre su su   Facebook .

 

https://fbcdn-sphotos-a-a.akamaihd.net/hphotos-ak-xap1/v/t1.0-9/11221643_688477977952787_4901236192959768462_n.jpg?oh=e035ea1e9dfd40750053e491c8d034d0&oe=56C9E57C&__gda__=1456554912_d5fd0dd4b21571df54f1123686e5777a

  Image and video hosting by TinyPic
E questi sarebbero I volti dei protagonisti. Naturalmente Logan Lerman per Percy Jackson, Chloé Moretz per Annabeth Chase e Michelle Tratchtenberg per Thalia Grace.

 

Dovrebbe essere tutto.
Tengo molto a questa storia, spero che possa piacere anche a voi tutti. Apprezzo i lettori silenziosi, ma questa volta ho davvero bisogno di pareri.
Aggiornerò la prossima volta tra due settimane, poi gli aggiornamenti saranno mensili. Fatevi sentire <3
A prestissimo,
Clarrianne Donavon

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Capitolo 2
*** Letters to you ***


Letters to you
 
 
It's empty tonight and i'm all alone                               Sento un vuoto stasera e sono tutta sola
Get me through this one                                                       Fammi superare questo momento
Do you notice I'm gone?                                               
Ti sei accorta che me ne sono andata?
Where do you run to so far away?                                Verso dove stai correndo così lontano?
 
 
 
Non è la specie più forte a sopravvivere, e nemmeno quella più intelligente ma la specie che risponde meglio al cambiamento.
- Charles Darwin

 
 
***
 
Una cosa più brutta di essere in ritardo il primo giorno di scuola? Essere la ragazza nuova ed arrivare in ritardo il primo giorno di scuola.
Tutta colpa della metro, pensava indispettita la ragazza dai boccoli biondi mentre attraversava con passo deciso i larghi corridoi dell’accademia, diretta alla classe di inglese. La porta era aperta.
Diede una rapidissima occhiata all’interno in modo da accertarsi che il prof non ci fosse ancora, quindi entrò a passo svelto, visibilmente sollevata.
Per quella volta, l’aveva scampata. Fece un respiro profondo per calmare i nervi, si sistemò un’ultima volta il gilet nero che portava lo stemma dell’accademia, stirò le pieghe della gonna e ancora una volta guardò nervosamente i suoi stivaletti neri.
Mise piede in aula con passo deciso, testa alta e spalle dritte, come se l’avesse fatto un altro milione di volte – cosa che in realtà era successa piuttosto spesso, per una sola vita.
Non tutti i suoi nuovi compagni di classe diedero segno di averla notata, quando si diresse in fondo all’aula e prese posto nell’ultima fila, nel banco accanto alla finestra. Tra questi, una moretta tutta truccata che le aveva messo gli occhi addosso fin da quando aveva fatto il suo ingresso, le sue amiche impiccione e un paio di ragazzi cui era passata davanti mentre andava a sedersi. Nel banco accanto al suo era seduto un ragazzo dai capelli neri piuttosto lunghi - tanto che arrivavano a coprirgli la fronte – due nontantovispi occhi verdi e delle sottili labbra imbronciate.
Davanti a loro, una ragazza dai lunghi capelli rossi e le guance piene di lentiggini e un ragazzo minuto, con corti capelli castani e caldi occhi dello stesso colore.
« Ciao » disse la ragazza, sorridendole radiosa « io sono Rachel. ».
Annabeth si domandò che cosa ci fosse da sorridere a quell’ora del mattino, ma invece di dirlo ad alta voce sollevò brevemente gli angoli della bocca nel fantasma di un sorriso gelido e rispose.
« Annabeth Chase. ».
« Io sono Grover, e il tuo compagno di banco è morto di sonno. », ghignò Grover, punzecchiando il ragazzo al fianco di Annabeth.
Lui si riscosse, ignorandolo, e alzò il suo sguardo smeraldino sul suo volto. Aggrottò le sopracciglia, come se avesse visto qualcosa di strano, e mugugnò assonnato.
« Percy Jackson. ».
Annabeth inarcò le sopracciglia: che vitalità.
« Non farci caso », le consigliò Rachel, sorridente. « A Percy serve qualche ora prima di riprendersi totalmente. ».
« Io direi più qualche giorno. », rincarò Grover, ridendo.
L’ombra di un sorriso comparve sul volto assonnato di Percy, per poi trasformarsi subito dopo in uno sbadiglio.
I suoi amici scoppiarono a ridere, Annabeth inarcò un sopracciglio chiaro e non disse niente.
Si accorse che Percy la stava guardando, i suoi occhi verde chiaro erano lucidi per via dello sbadiglio; distolse rapidamente lo sguardo per spostarlo fuori dalla finestra. Non voleva fare amicizia.
Fosse stato per lei non ci sarebbe nemmeno più andata, a scuola. Figuriamoci in quella, poi.
Il professore entrò in aula in quel momento e gli studenti – chi più, chi meno - gli rivolsero la loro attenzione facendo cadere la classe nel silenzio.
 
***
 
Percy era rimasto particolarmente sorpreso dall’arrivo di Annabeth, ma dopo averle lanciato uno sguardo aveva compreso subito che la ragazza non aveva alcun interesse nel socializzare o nell’essere partecipe durante le lezioni. Beh, non che lui ne avesse tutta quella gran voglia, ma almeno prendeva appunti, di tanto in tanto. La ragazza, invece, non aveva nemmeno un libro o un quaderno per gli appunti, figuriamoci una penna. Durante le quattro ore di lezione era rimasta a guardare fisso fuori dalla finestra, senza mai aprire bocca o emettere un suono.
Non sembrava se la tirasse, anche se era particolarmente bella.
I suoi capelli illuminati dal sole sembravano dello stesso colore del miele.
Non che Percy li avesse osservati più del dovuto, naturalmente. Ma, ecco, ce l’aveva avuta accanto per tutta la giornata, questi erano dettagli che avrebbe notato comunque. Probabilmente.
Era suonata la campanella del pranzo, e insieme ai suoi amici Grover e Rachel, si stavano avviando verso la mensa.
« Tipa strana quella Annabeth, vero? », chiese Grover a un certo punto, risvegliando l’attenzione di Percy.
Rachel fece spallucce: « E’ il suo primo giorno di scuola, e probabilmente le sembriamo dei mostri con queste orribili divise arancioni. ».
« Parla per te, rossa. » fece Grover, sistemandosi il gilet come se volesse rincuorarlo da quel commento.
« A me l’arancione sta benissimo. ».
A quel punto Rachel e Grover lo stavano guardando, e Percy si sforzò di sorridere – probabilmente non gli venne bene, perché i due si scambiarono un’occhiata e la ragazza attaccò.
« Come stai, Percy? ». Avevano appena varcato la soglia della mensa, e si misero in coda per farsi servire al banco.
« Bene, Rachel. E tu? », replicò sbrigativo, incrociando le braccia al petto.
Grover si schiarì la gola, nel tentativo di far capire a Rachel che non era il momento.
La ragazza colse, sospirò e prese a guardare nella stessa direzione in cui guardava l’amico.
« Annabeth sta mangiando da sola. » disse, indicando la ragazza con un cenno del capo e non troppa discrezione.
Percy si stiracchiò strategicamente, vedendo la ragazza in visione periferica seduta di spalle ad un tavolo vuoto.
« Ci sediamo noi con lei. », affermò Grover, facendo l’occhiolino a Percy.
Rachel alzò gli occhi al cielo, mentre si faceva servire dell’insalata di riso.
« Oh, Grover, dalle pace. E’ solo il suo primo giorno! ».
« E poi, non mi è sembrata molto amichevole. », commentò Percy, servendosi del puré di patate.
Rachel mise su quel broncio angosciato che i due amici avevano imparato a conoscere, e che avrebbe tenuto per il resto della giornata se non fosse stata accontentata.
« Oh, andiamo. », sbuffò Percy, facendo strada al gruppetto.
 
***
 
Annabeth attese ancora qualche minuto, prima di tirar fuori le pillole.
Anche se aveva più volte controllato che nessuno la stesse guardando, si sentiva osservata, tanto che le pizzicava la nuca.
Cercò di non darci peso, visto che era una dei tanti effetti collaterali del disturbo post traumatico da stress che le era stato diagnosticato a Oakland poco dopo l’incidente.
Tirò fuori due blister e un tubetto e lesse attentamente le piccole scritte sulle confezioni: prima di pranzo avrebbe dovuto prendere solo il protettore gastrico.
Storse leggermente la bocca: c’era scritto che era da prendere almeno mezz’ora prima dei pasti. Sbuffò, quindi sfilò una pillola dalla confezione e se la portò alla bocca, inghiottendola senz’acqua.
In quel momento si vide circondata dai suoi vicini di banco, Grover, Percy e Rachel. Per poco non le andò di traverso la pillola.
« Ti dispiace se ci sediamo con te? » chiese Rachel con tono amichevole, anche se si era già praticamente sistemata al posto di fronte a lei.
Grover la imitò, sedendosi accanto all’amica, e a Percy non rimase che sedersi vicino a miss Ghiacciolo, ancora una volta.
Notò immediatamente i blister che la ragazza aveva ficcato nello zaino senza troppe cerimonie e la sua postura rigida.
Dall’espressione nello sguardo di Grover, Percy capì che non era stato l’unico a notare quella mossa.
« Prego. » replicò Annabeth a scoppio ritardato, ancora statica sulla sedia.
« E così, questo è il tuo primo giorno. », buttò lì Grover, tanto per fare discussione, mentre con la forchetta spiluccava le zucchine lesse che aveva nel piatto.
Percy si sarebbe dato una pacca sulla fronte se avesse potuto farlo senza essere visto. Grover aveva un talento nell’ammettere l’ovvio!
« Già. », replicò Annabeth, che doveva pensarla come Percy, visto che guardava il ragazzo con entrambe le sopracciglia inarcate, come se si stesse domandando se fosse uno scherzo.
« Ti stai trovando bene? », chiese Rachel, improvvisamente a disagio mentre coglieva i messaggi provenienti dalla comunicazione non verbale della biondina.
« E’ solo il primo giorno. Non lo so ancora. ». La fiera della banalità.
Percy alzò gli occhi al cielo, lanciando uno sguardo veloce all’orologio appeso sulla porta della mensa: sarebbero stati i tre quarti d’ora più lunghi della sua vita.
« Almeno la scuola ti piace? E’ molto vecchia, credo che abbia tre secoli! », esclamò Grover, in un disperato tentativo di fare conversazione.
Sembrò aver colto nel segno.
« In realtà credo che ne abbia almeno quattro. Si capisce dal tipo di colonne che sono nell’atrio. Sono un’ovoidale allungato, grosse alla base che vanno a restringersi fino alla cornice e… credo, almeno. ». Annabeth si arrestò con il cucchiaio a mezz’aria: era di nuovo partita in quarta parlando di architettura.
E l’architettura antica non era esattamente un argomento molto popolare, tra i sedicenni di New York del 2015.
Percy sorrise inconsciamente: quella era la prima frase articolata e di senso compiuto che avesse sentito dire dalla ragazza.
E aveva proprio l’aria di sapere che cosa stesse dicendo.
Rachel intercettò il suo sorriso e lo guardò incuriosita, rivolgendo comunque la sua attenzione ad Annabeth: « Sei un’appassionata di architettura? ».
Adesso la bionda era veramente imbarazzata, come se lo stesso argomento che prima l’aveva animata adesso la mettesse a disagio.
« Oh, beh. Sì. Più o meno. Un pochino. »
« Un pochino più del pochino di noi comuni mortali. » commentò Grover, ammirato.
Percy lanciò all’amico uno sguardo canzonatorio: ammirato, certo.
Sapeva che Grover si stava rendendo conto che Annabeth non era il tipo di ragazza con cui avrebbe retto una conversazione per più di cinque minuti.
« Ho letto qualche libro, ecco. », borbottò schiva, abbassando lo sguardo al suo piatto e trangugiando il suo pasticcio di verdure.
« Sei stata all’Empire State Building? », chiese Percy, lasciando perdere il cibo e incrociando le mani sotto il mento.
Annabeth si rilassò sulla sedia, le sue spalle si abbassarono leggermente per qualche pensiero triste.
« Sono arrivata in città da poco. Non ho ancora trovato il tempo. ».
La risposta fece sorgere in Percy altre domande, ma come al solito Rachel fu più veloce di lui.
« Ah, non sei di New York? E da dove vieni? ».
Le spalle di Annabeth tornarono rigide, e il suo volto tornò serio e distaccato. « Da Oakland, in California ».
Grover e Rachel rimasero in silenzio, così come anche Percy.
Oakland era la città in cui abitava Thalia. E anche se nessuno l’aveva menzionata, il suo nome era una presenza tangibile a quel tavolo.
Continuarono a mangiare in silenzio. 
 
***
 
Più imbarazzante di quel pranzo con i suoi compagni di scuola, c’erano solo le imbarazzanti cene di famiglia a cui presenziava anche il padre di Annabeth, che non faceva che chiederle di parlare dei suoi sentimenti ed incoraggiarla ad esprimere le sue ansie.
Fortuna che suo padre si tratteneva all’università fino a tardi per la maggior parte della settimana, e che quella tortura non capitasse mai per due giorni di seguito.
Dopo pranzo erano ritornati in aula, e non si erano più rivolti la parola – anche se di tanto in tanto Grover e Rachel si scambiavano qualche frase di circostanza per cercare di ravvivare la discussione.
Riuscivano quasi a farla sentire in colpa; volevano conoscerla davvero.
Non Percy, lui era un tipo di poche parole, decisamente.
Ma Rachel… se si fossero trovate ad Oakland entrambe, Annabeth non le avrebbe mai rivolto la parola.
Era quanto di più diverso esistesse da lei. Rachel era una brava ragazza. Annabeth era un’assassina.
Prese mentalmente appunto di prendere ulteriormente le distanze. Non doveva affezionarsi.
Doveva resistere fino alla fine dell’anno in silenzio, senza farsi notare, senza farsi espellere.
 
***
 
Suonata la campanella dell’ultima ora, Annabeth si era alzata dal suo posto senza dire una parola ed era schizzata fuori dall’aula come se avesse chissà quale urgenza di prendere le distanze da Percy e i suoi amici. Rachel c’era rimasta un po’ male, lo si capiva dal modo in cui chiedeva insistentemente: «Secondo voi ho fatto qualcosa che l’ho offesa? ».
I loro compagni di classe abbandonarono l’aula con inerzia, anche se era solo il primo giorno di scuola erano già stremati dal riprendere la routin scolastica.
« Come mai tocca a te il primo turno di pulizie? », gli chiese nuovamente Grover, mentre dalla soglia dell’aula lo guardava riordinare i gessi nel cassetto della scrivania e pulire la polvere dalla lavagna con uno straccio.
« Così non dovrò farlo più avanti. ». Rachel gli batté una pacca sulla spalla.
« Da quando sei diventato così saggio, Jackson? ».
« Dai, voi andate. Io torno in moto. ». li rassicurò Percy, dato che doveva ancora spazzare il pavimento dell’aula – e lui era lentissimo in quel frangente.
Con un sorriso di scuse, Grover annuì e si tirò dietro Rachel, che sventolò la mano mentre veniva strattonata fuori dall’aula: « Ciao Percy! ».
Finì in tempo perché scoppiasse il diluvio universale in terra. Che razza di sfortuna.
Uscì dal grande atrio della Goddess’ rimboccandosi la giacca a vento, l’aria profumava di pioggia e il sole era sparito dal cielo. E dire che il giorno prima c’era stato un clima da spiaggia.
Percy si preparò a scendere la lunga scalinata in marmo bianco che portava nel cortile dell’Accademia, quando notò Annabeth seduta per terra, con la schiena contro una delle imponenti colonne del porticato.
Inarcò un sopracciglio: la ragazza era bagnata fradicia, i boccolosi capelli biondi erano appiattiti sulla sua fronte ed era molto pallida, ad eccezione delle guance… rossissime. Lo trovò molto stupido da pensare in un momento come quello, ma anche in quelle condizioni Annabeth rimaneva una delle ragazze più graziose che avesse mai visto. Nonostante nel suo cervello suonasse un allarme che gli intimava di allontanarsi in silenzio ed andarsene a casa, Percy le si avvicinò: si stava massaggiando le braccia con le mani e tremava visibilmente.
« Sei caduta in una pozzanghera? », le chiese, piegandosi al suo fianco.
Annabeth sobbalzò nel sentire quella voce profonda così vicina al suo orecchio: si specchiò negli occhi verdi di Percy, che la guardava come se fosse uno strano animale stirato sulla strada durante un temporale.
« Sono inciampata in questa città terribile. » borbottò la ragazza, rabbrividendo dal freddo. Percy sorrise leggermente, solo per un momento.
« Oh, ancora non hai visto niente. », disse con tono solenne, come per rassicurarla. Annabeth sbuffò, e tra di loro calò nuovamente il silenzio.
Percy si tirò nuovamente in piedi, le mani in tasca e l’indecisione sul volto.
Guardò verso le nuvole temporalesche nello stesso momento in cui un tuono illuminava New York per poi farla ripiombare immediatamente dopo nell’ombra.
« Viene a prenderti qualcuno? », le domandò il ragazzo, dondolandosi leggermente sui talloni, a disagio.
Annabeth non si sbilanciava mai, sembrava avere intorno un’aura di impenetrabilità assoluta, come se niente e nessuno potesse mai toccarla davvero.
Inaspettatamente, sotto lo sguardo incuriosito di Percy, la ragazza tirò la testa indietro e rise amaramente.
« Figurati se la mia matrigna ha il coraggio di mettersi in macchina con questo tempo! ».
Percy sospirò, in uno slancio di compassione.
« E tuo padre? ».
« Mio padre si ricorda di me solo quando si tratta di iscrivermi in una scuola pomposa come questa, frequentata da gente pomposa che ti guarda dall’alto in ba… ». Annabeth si interruppe improvvisamente, le labbra socchiuse a formare una muta smorfia di vergogna.
Percy rise di cuore: finalmente quella ragazza dimostrava una qualche emozione.
« Oh, in effetti io ti sto guardando dall’alto in basso, sta’ tranquilla. » la rassicurò, prendendola un po’ in giro.
Annabeth chiuse la bocca, la riaprì, la chiuse di nuovo e poi si alzò in piedi, immusonita.
Oh, perché Percy non poteva fare a meno di pensare che fosse adorabile?
L’aveva lasciata senza parole. E lei non aveva l’aria di una che ne rimaneva a corto tanto spesso.
Visto che non si decideva a parlare, Percy prese nuovamente fiato e le rivolse un’occhiata circospetta.
« Quindi… come hai fatto a inzupparti in questa maniera? ». Lei lo ricambiò con uno sguardo risentito.
« Ero alla metro, c’erano i pompieri… sembra che si fosse rotta una qualche tubatura nei tunnel e avessero bloccato le corse per tutto il pomeriggio. Quando sono tornata in superficie è scoppiato l’acquazzone. ».
« Beh, un po’ di acqua non ha mai fatto male a nessuno. », conferì Percy con voce conciliatoria.
Annabeth sembrò volerlo fulminare con lo sguardo. « Sì, ma troppa può ucciderti. » (*)fece una breve pausa, « mi ammalerò di sicuro, me lo sento. », sbuffò, di malumore.
Anche se era d’accordo con lei, Percy si astenne dal commentare. Si dondolò sui talloni un’ultima volta, quindi la buttò lì.
« Posso accompagnarti a casa, se vuoi. ».
Annabeth lo guardò con le sopracciglia aggrottate. « Hai la macchina? ».
« La moto. ».
Anche se non lo avrebbe mai ammesso ad anima viva ed avrebbe sempre – sempre – spergiurato il contrario, Percy aveva fantasticato a lungo sull’effetto che avrebbe avuto sulle ragazze il sapere che aveva una moto.
Beh, la reazione di Annabeth lo deluse totalmente.
Storse il naso come se gli avesse proposto di farsi un bagno nel melmoso laghetto delle anatre a Central Park di venerdì notte, e scosse la testa con vigore.
« No, grazie. Aspetterò che finisca di piovere e poi tornerò a piedi. ».
« Guarda che me la cav… ».
« Ho detto no. Aspetterò. ».
Percy allargò le braccia e mostrò i pugni aperti in segno di resa; aveva capito che razza di testarda fosse quella biondina tutta annacquata. Ciononostante, si rese conto di trovarla simpatica. Si inginocchiò all’improvviso, posando la schiena contro un lato della base della colonna. Annabeth lo guardò come se fosse matto: « Che stai facendo? », gli domandò, sorpresa.
Percy circondò le braccia con le ginocchia e gli permise di guardarlo dall’alto in basso, facendole il primo vero sorriso che lei gli avesse mai visto fare nell’arco della giornata.
« Mi metto comodo. Acquazzoni come questo non ci sono spesso a New York, ma quando capitano durano molto. Aspetto con te. »
 
 
 
***
Booom.
Ed ecco il primo incontro tra Percy ed Annabeth.
E’ stato come ve l’aspettavate?
Allora, vi siete fatti un’idea di che tipo sia Annabeth? E soprattutto avete notato i suoi “movimenti sospetti” in mensa? Nulla è scritto per caso :3
Proseguendo nella storia ho cercato di mantenere un equilibrio nelle varie dinamiche tra i diversi personaggi, coinvolgendo anche Thalia per quanto possibile ^^”
Sulla base dei commenti che riceverò, deciderò se continuare con gli aggiornamenti mensili o passare ai bisettimanali.
 
NEWS: Uno spinoff su Thalia, in cui racconto dall’inizio cosa le è successo, cosa è successo ad Annabeth, qual è il misterioso incidente a cui tutti alludono e di cui nessuno parla.
Dovrebbe svilupparsi per una decina di capitoli per poi collegarsi a questa storia, e verrebbe pubblicato in contemporanea ai capitoli di Start Over in cui si parla maggiormente di Thalia. Che dite? Il titolo sarbbe Over Again.
 
Vi lascio una still fatta da Stay__Alive su wattpad, in cui sono presenti i miei protagonisti così come li ho immagiati:
Image and video hosting by TinyPic


Se volete vedere altre Still, anticipazioni sul prossimo capitolo o le schede personaggio, raggiungetemi sulla mia Pagina Autore su Facebook, Clarrianne Donavon EFP.
Questo è tutto, a presto!
Clarrianne Donavon
 

 (*) Citazione presa direttamente dal film Jumanji.

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Capitolo 3
*** Post Script Pt 1 ***


Post Script

Pt. 1

 

 

 

I'll sacrifice one moment for one truth Sacrificherò un istante per una verità
If we get through tomorrow, Se arriveremo a domani then we'll be fine Staremo bene

 

“Ecco perché ho paura: ho perduto qualcosa di importante, non riesco più a trovarlo, e ne ho bisogno. Paura come qualcuno che perde gli occhiali, va dall’ottico e scopre che in tutto il mondo non ci sono più occhiali e lui dovrà fare senza, e basta.”

-          John Green

 

***

 

Era martedì della seconda settimana di scuola quando Annabeth rifece la sua comparsa in classe: Percy la vide entrare con quel suo passo deciso, il volto un po’ sciupato e lo sguardo eternamente altrove. Si sedette al suo fianco come se non fosse stata assente per una settimana intera; probabilmente era una sua impressione, ma a Percy pareva di riuscire a scorgere dalla maglietta arancione della divisa scolastica le clavicole un po’ più sporgenti del normale.

« Che c’è? », gli domandò piccata Annabeth, notando come il ragazzo le stesse facendo i raggi x.

Lui scosse la testa frettolosamente e si voltò dal lato opposto, piuttosto imbarazzato.

« Annabeth! » esclamò Rachel, che si dondolava sulla sedia davanti a loro: « sei sciupatissima! ».

Persino Grover pensava che quello fosse un commento fuori luogo; Percy fu improvvisamente felice di non dover partecipare alla conversazione.

« Mi sono ammalata. ».

Rachel aggrottò la fronte con aria grave.

« Il tempo ha fatto il matto ultimamente. Sicuramente è stato il cambio di stagione! ».

Percy vide con la coda dell’occhio Annabeth annuire brevemente, come a voler troncare il dialogo, per poi estraniarsi come suo solito guardando fuori dalla finestra.

Si sentì stupidamente deluso; che cosa si aspettava? Dopotutto, di fatto quello era solo il secondo giorno che trascorrevano come compagni di banco.

 

***

 

Annabeth guardò insistentemente fuori dalla finestra, finché Rachel non recepì il messaggio e voltò la sua attenzione altrove. Sfortunatamente, nello stesso istante la professoressa Dodds fece il suo ingresso in aula: quel giorno sembrava persino più cattiva del solito. Fece l’appello, e quando arrivò al cognome “Chase”, alzò lo sguardo sugli alunni scrutando tra i loro volti fino a incontrare quello di Annabeth. La ragazza si alzò in piedi con un gesto secco, facendo stridere le gambe della sedia sul pavimento come unghie sulla lavagna. Arrivò alla cattedra, e allungò all’insegnante il certificato medico di degenza ospedaliera. La signora Dodds lesse giusto le prime due righe, quindi restituì il foglio alla ragazza e prese ad annotare qualcosa sul registro.

« Non so come abbia fatto a procurarsi un certificato medico per una semplice febbre, signorina Chase. Stia sicura che non le andrà bene una seconda volta. ».

La signora Dodds guardò Annabeth con aria austera, e la ragazza le restituì uno sguardo di sufficienza, quindi le voltò le spalle e tornò al suo posto senza dirle una parola. Per un istante l’intera classe aveva trattenuto il fiato. Percy tornò ad osservare di nascosto la sua compagna di banco mentre si riaccomodava al suo fianco; degenza ospedaliera, per la febbre? La signora Dodds non pareva avere tutti i torti, in quel caso.

 

***

 

Le due ore di statistica corsero via abbastanza velocemente, con la Dodds che parlava da sola con la lavagna e gli studenti che stavano attenti a non farsi cogliere col cellulare in mano mentre facevano tutto al di fuori che seguire la lezione. Finalmente era arrivato il momento della settimana che Percy adorava in assoluto: nuoto col professor Brunner.

La retta che gli studenti pagavano alla Goddess’ era esageratamente alta per la maggior parte delle tasche dei comuni mortali, ma di fronte ad una struttura all’avanguardia come l’edificio che ospitava la piscina, Percy non poteva che essere soddisfatto di spendere in quel modo i suoi soldi – anche se in realtà erano i soldi di suo padre.

Lui e Grover salutarono le ragazze e si recarono nei loro spogliatoi per cambiarsi ed indossare il costume da nuoto con il simbolo dell’accademia sul fianco e si ritrovarono fuori poco dopo.

Rachel arrivò al fianco di Annabeth con il nuovo modello femminile proposto dall’accademia quell’anno. Un sobrio due pezzi privo di scollatura sul seno, sostanzialmente una fascia e un pantaloncino leggermente più corto ma più attillato di quello che portavano i ragazzi.

Annabeth, invece, indossava il pezzo di sotto e la maglietta arancione, senza gilet.

« Tu non partecipi, Annabeth? », le domandò Grover, sorpreso. Annabeth scosse la testa: « Ho il certificato medico. » spiegò, stringendosi nelle spalle.

Senza dire nulla andò a sedersi sulle panchine a ridosso della piscina.

« Oh, ragazzi, Annabeth è così timida! Pensate che si è cambiata nel bagno, invece che nello spogliatoio assieme alle altre. » bisbigliò Rachel guardando altrove, dal tono di voce si capiva quanto trovasse tenera la ragazza nuova.

Percy guardò l’amica dai capelli rossi e strinse le labbra, indeciso su cosa dire.

« In realtà, penso che non voglia farsi conoscere e basta. », affermò Grover facendo spallucce, come se si scusasse di dire quello che pensava.

Il primo giorno di scuola anche Percy l’avrebbe pensata come Grover, ma se ripensava a quei momenti che avevano passato insieme sotto il porticato durante il temporale, non ne era più così sicuro. Annabeth era un mistero per lui.

« Che oche. ». Questa volta Rachel non si fece problemi a mantenere basso il tono di voce, e i suoi amici capirono immediatamente il perché. Drew e il suo seguito di barbie avevano accerchiato Annabeth.

« Perché non hai messo il costume? », la sentirono gracchiare da quella distanza.

La bionda rispose qualcosa nel suo solito tono risoluto ma il trio non riuscì a cogliere, Drew rispose e le risate delle sue amiche riecheggiarono nella struttura.

Percy guardò verso l’ingresso della piscina con fare scocciato: adorava il professor Brunner, ma perché ogni volta che succedeva qualcosa, lui non era mai presente??

Neanche l’avesse evocato, l’uomo sulla quarantina entrò allegramente ciabattando forte sulle brillanti mattonelle azzurre, e il rumore parve allertare il gruppo di Drew, che subito si disperse allontanandosi da Annabeth.

Il professor Brunner passò di fronte a Grover, Rachel e Percy ammiccando a quest’ultimo, quindi si fermò proprio di fronte ad Annabeth.

La ragazza rimase seduta a guardarlo con la testa leggermente inclinata verso destra, come se fosse curiosa di sentire che cosa avesse da dirle il prof.

« Chase! Ho saputo dello scherzetto che ha fatto alla piscina della sua vecchia scuola, ad Oakland. ».

« Secondo voi di che scherzo parla? », sussurrò Grover, drizzando le orecchie assieme al resto della classe.

Percy scorse le guance della ragazza arrossarsi lievemente, e i suoi occhi grigi sfuggire imbarazzati allo sguardo del prof.

Tuttavia, di qualunque cosa il prof Brunner stesse parlando, era evidente che non avesse intenzione di sbandierarlo ai quattro venti e che lo trovasse anche abbastanza divertente, nonostante tutto. Diede una pacca amichevole sulla spalla della ragazza, che al contatto si irrigidì e arrossì ancora di più: dalla sua espressione si diceva che avrebbe preferito trovarsi in qualunque altro posto piuttosto che lì, sotto gli occhi curiosi di tutti.

« Oh, voi giovani! Ammiro un sacco la vostra energia. Ciononostante, Chase… spero che tu non intenda ripetere la cosa anche qui. La palestra è stata restaurata giusto prima delle vacanze estive. Insomma, sarebbe un peccato. », il professor Brunner le fece l’occhiolino e Annabeth gli sorrise timidamente, appena appena.

« Non si preoccupi prof. », quasi balbettò, « un fulmine non cade mai due volte nello stesso punto. ».

Il signor Brunner si fece una grossa risata, ridendo di una battuta che solo loro due potevano capire, sotto lo sguardo leggermente allibito dell’intera classe.

« Suvvia, voi altri. Che state aspettando? Riscaldamento, immediatamente! ». Brunner abbandonò la sua aria bonaria per tornare ad essere l’allenatore esigente che tutti conoscevano.

« Chissà di cosa stavano parlando. », mormorò Rachel mentre faceva i suoi esercizi di stretching, tra Grover e Percy.

« Vorrei tanto saperlo anche io. », ammise Percy, piegandosi in avanti fino a toccarsi le dita dei piedi con la punta delle dita delle mani.

 

***

 

Percy fece le sue vasche, quindi uscì dalla piscina per lasciare la sua corsia agli altri compagni in fila. Vide Annabeth dall’altro lato della palestra che lo guardava, ma appena le sorrise lei si voltò. Non gliel’avrebbe fatta passare liscia; la raggiunse e si sedette al suo fianco sulla panchina.

Lei si scansò appena per evitare di bagnarsi.

« Sei un buon nuotatore. », ammise la biondina, guardandolo di sottecchi. Percy sapeva di esserlo, ma era di natura piuttosto modesta.

« Mi sono allenato per tutta l’estate. »

« A New York? », chiese Annabeth, piuttosto scettica conoscendo il livello di inquinamento di quell’angolo di mare. Percy rise: « Dei, no. Ho una casa al mare in un posto fuori città, ogni anno ci vado con mia madre e il mio patrigno. ». Annabeth annuì, prendendo nota dell’informazione.

« Anche i tuoi sono divorziati, eh. », mormorò, la testa nuovamente persa i altri pensieri. Percy intercettò il suo sguardo e cercò di richiamare la sua attenzione.

« Oh, Paul è un tipo apposto. I miei funzionano meglio presi uno alla volta, piuttosto che insieme. », per enfatizzare il tutto, il ragazzo fece il segno di due polsi incatenati che venivano separati.

« Non ti tuffi? », si affrettò a chiedere, tornando a posare lo sguardo sulla piscina e sui suoi compagni di classe che eseguivano diversi stili di nuoto nelle corsie. Annabeth fece una smorfia: « Il mio medico dice che non posso fare attività sportiva per altre due settimane. ».

« Ah. ». Quando si parlava di salute, Percy sapeva che era buona educazione non indagare oltre. Cosa che Drew, appena uscita dalla piscina, sicuramente ignorava.

« Cara, te l’ha prescritto il medico? E ti ha detto anche di prendere una mela al giorno, per caso? ».

Percy le lanciò un’occhiata gelida che la ragazza tuttavia non colse affatto, infatti andò incontro ai due e si sedette nel mezzo, con le ginocchia a contatto con quelle del ragazzo.

Annabeth si scostò ancora lungo la panchina. Clarisse, un’altra compagna di classe, era seduta lì vicino sul bordo piscina, con le gambe nell’acqua. « Oh, come minimo non saprà nuotare. ».

La pazienza di Annabeth era al limite.

« Ma per favore », le apostrofò, con tono da sapientona, « sono nata a Oakland. I miei piedi sono praticamente palmati. ».

Percy si sforzò di reprimere un sorriso spontaneo e Drew invece fece una risata forzata quanto falsa.

« Allora perché tieni la maglietta e non indossi il costume? Hai qualcosa da nascondere? », insinuò, acida.

« Ma per favore! » ripeté Annabeth, ignorando le due ragazze.

Clarisse diede un calcio nell’acqua schizzando la biondina: in pochi secondi la maglietta le aderiva completamente alle forme generose del seno.

« Siete proprio delle deficienti. » non poté evitarsi di commentare Percy, mentre le due sghignazzavano tra di loro.

« Lascia perdere, Percy. Non ne vale neanche la pena. », affermò Annabeth con voce gelida, abbassando le mani ai bordi della maglietta per sfilarsela. Drew e Clarisse smisero di ridere in contemporanea, e Percy quasi aprì la bocca dallo stupore.

« Per dio! », si lasciò sfuggire Drew, trattenendo le risate. Anche se da ridere c’era ben poco.

Immediatamente sotto i contorni della fascia del costume, la gabbia toracica di Annabeth era deturpata da una cicatrice rossa che le scavava la pelle in diagonale, fino all’ultima costola. Percy si chiese se non le avessero trapiantato un polmone.

Che razza di cicatrice era quella? Mai visto qualcosa di più spaventoso. Sulla carnagione chiarissima della ragazza risaltava peggio di un marchio a fuoco, disegnando due diversi livelli di pelle: quella sana tutta intorno, e quella della cicatrice che andava riformandosi.

Annabeth sospirò sonoramente, per cercare di calmare l’alzarsi e l’abbassarsi furioso del suo petto. Cercava di non darlo a vedere, ma era chiaro che le era costato molto liberarsi della maglietta.

« Se mi ammalo di nuovo, chi glielo va a dire a quella pazza della Dodds? » chiese a nessuno in particolare, abbandonando la maglietta bagnata sul pavimento.

Se anche qualcuno gliel’avesse raccontato, pensò Percy, sicuramente quella strega non ci avrebbe creduto.

 

***

 

 

 

 

Ciao a tutti!

Qualora qualcuno si stesse facendo domande sulla mia latitanza, volevo far sapere a tutti che sto bene x°D Sono solo impantanatissima con gli esami all’università.

Ho diviso questo capitolo in due parti essendo originariamente di dodici pagine, ho pensato che sarebbe stato più facile da leggere D:

Ringrazio chiunque abbia letto fin qui e in particolare le anime buone che hanno recensito lo scorso capitolo, spero di ritrovarvi qui nonostante la mia latitanza ^^”

Come sempre ripeto che le frasi della canzone all’inizio del capitolo sono riferite a Thalia, la citazione sotto invece si rifanno a qualcosa che succede nel capitolo J

Lo Spin off di Thalia è workinprogress, quanti hanno voglia di leggerlo?

A presto

Clarrianne Donavon

 

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