Il gigante armato

di pamina71
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Obbedisco ***
Capitolo 2: *** Patate alla bifolca. ***
Capitolo 3: *** La finestra sul bosco ***
Capitolo 4: *** Un ciuffo di capelli ***
Capitolo 5: *** Danse Macabre ***
Capitolo 6: *** Un tetto d'ardesia ***
Capitolo 7: *** Non sarà troppo? ***
Capitolo 8: *** A tentoni ***
Capitolo 9: *** Leprotti in salmì ***
Capitolo 10: *** Ecco il gigante ***
Capitolo 11: *** Si torna indietro ***
Capitolo 12: *** La leggerezza dell'essere ***
Capitolo 13: *** La guerra dei bottoni ***
Capitolo 14: *** Doppi giochi ***
Capitolo 15: *** Pinze, paioli e cucchiai ***
Capitolo 16: *** Preoccupazioni ***
Capitolo 17: *** Chiacchiere e distintivi ***
Capitolo 18: *** Il mio tesoro ***
Capitolo 19: *** Ospiti ***
Capitolo 20: *** Un divano verde ***
Capitolo 21: *** Sodoma e Gomorra ***
Capitolo 22: *** Nomi e cognomi ***
Capitolo 23: *** Una donna che lavora ***
Capitolo 24: *** Per Favore ***
Capitolo 25: *** Scandali e strategie ***
Capitolo 26: *** L'ultima cena ***



Capitolo 1
*** Obbedisco ***


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1. Obbedisco

 

Oscar spalancò con forza il battente destro della porta di ingresso, entrò come una furia nel corridoio principale della Caserma, che percorse a lunghe falcate, facendo risuonare i tacchi degli stivali con una serie di colpi sordi e stizziti.

Salì la scalinata principale quasi di corsa, facendo gli scalini a due a due.

Aprì la porta del proprio ufficio con altrettanta foga, e la richiuse con un colpo secco.

Dopodiché si lasciò cadere sulla sedia e diede una manata alla scrivania.

- Maledizione!.

 

Dabbasso, i soldati che l'avevano vista entrare come una Erinni si guardarono l'un l'altro.

- La mia solita fortuna! Stavo per andare a chiedere una licenza. - Commentò Antoine.

- Io, fossi in te, aspetterei qualche ora - Gli rispose Gérard.

- Secondo te, André, cosa le é preso?

- Visto che arriva dall'ufficio del Generale Bouillé, direi che ci hanno mollato una bella gatta da pelare. Per farla uscire fuori dai gangheri in quella maniera, direi che ci hanno assegnato uno di quegli incarichi senza senso, che sarebbero compito di qualcun altro. Vado a vedere.

- Beh, buona fortuna!

Salì rapidamente gli scalini e bussò piano sulla porta.

- Avanti - rispose dall'interno una voce stanca.

André si affacciò sull'uscio e la vide accasciata un poco scompostamente sulla sedia. Sembrava esausta.

- Non indovinerai mai cosa dobbiamo fare.

- E' così pericoloso? O faticoso?

- No, niente affatto. E' semplicemente un incarico oltre confine, che per un reggimento che dovrebbe essere la Guardia Metropolitana di Parigi é assolutamente fuori luogo.

Il soldato attese in silenzio che continuasse.

- Dobbiamo andare a recuperare un uomo, incarcerato per aver tramato contro la corona, e riportarlo qui a Parigi per il processo, in modo che, secondo il ministro, sia di lezione per altri eventuali cospiratori. Al momento si trova imprigionato in una fortezza arrampicata in punta alle Alpi, in un posto gelido, ma che ha il nome delicato di Fenestrelle.

- Cioè alcuni di noi devono passare il confine, andare nel Regno di Sardegna solo per recuperare un prigioniero?

- Già...

- Ovviamente siamo il reggimento più adatto per questo incarico. Mandarci il Royal Allemand o il Royal Suédois sarebbe stato troppo furbo, vero Oscar?

- Senti, André, non ho potuto farci nulla. Ho provato a controbattere, mi hanno detto che non è un problema di Reggimento, é un problema di fiducia nel singolo...Mi spiace.

- Non ho capito.

- Siccome a quanto pare di me si fidano più di quanto non facciano con altri aristocratici, visto che il prigioniero in questione avrebbe cospirato con membri dell'alta nobiltà, questo incarico è stato assegnato a me. Con l'aiuto di quattro militari di mia fiducia.

André la osservò. Avrebbe dovuto essere un complimento, ma sembrava che lo vivesse come una punizione.

- Sono solo riuscita ad ottenere una paga doppia per chi mi accompagnerà. Mi spiace per i ragazzi, e per te.

- Potrebbe essere una buona occasione, il viaggio di andata sarà qualcosa di molto simile ad una vacanza. - La rincuorò André.

Oscar si mise a ridere. Era impagabile. Riusciva sempre a trovare il lato positivo delle situazioni.

- Avvisa Gérard, Alain e François. Voi quattro verrete con me. Oggi nel pomeriggio riceveremo le lettere di incarico. Si parte dopodomani all'alba. Da stasera sarete in licenza. Anzi, saremo. Sarà meglio andare a casa a recuperare abiti pesanti, anche se è maggio, non so cosa troveremo lassù. Secondo te, i ragazzi ne hanno?

- Non troppi.

- Vedrò cosa posso fare. Viaggeremo in cinque su sei cavalli. Quello in più ci servirà per le tende ed il cibo, ed al ritorno uno di voi a turno viaggerà a cassetta del carro rinforzato con un tiro a due che servirà a condurre il prigioniero. Il carro verrà fornito dal comando della fortezza. Lasciami controllare il percorso, ora.

- Ti aspetto per tornare a palazzo Jarjayes, allora. Verso le sei?

Oscar annuì.

 

All'ora convenuta, André vide Oscar andargli incontro tagliando in diagonale la Piazza d'Armi antistante l'ingresso. Le porse le redini di César, ed entrambi si avviarono.

- Quanto ci metteremo?

- Non ne sono sicura. Da Parigi a Lione sono cinque giorni di diligenza, per cui noi potremmo impiegarne quattro, col bel tempo, dormendo sia in tenda che nelle locande. Da lì la distanza è inferiore, ma saranno strade di montagna. Altri cinque o sei giorni. Uno o due di permanenza alla fortezza... Il ritorno sarà più lento. Direi tra i venti ed ventiquattro giorni in totale.

- Un bel viaggetto, non c'è che dire!

 

Un uomo alto, con addosso un lungo mantello nonostante la mite temperatura primaverile, si rivolse sussurrando all'uomo di fianco a lui, un poco più basso, molto magro, vestito come un borghese medio con un completo poco appariscente di una tonalità scura di verde bosco.

- Quella. Non so quanti uomini porterà, tra tre e cinque, direi. Quello al suo fianco ci sarà di sicuro, è stato al servizio della famiglia per anni.

Tacque un attimo.

- Non mi importa come, ma quell'uomo, quel prigioniero, non deve arrivare a Parigi. Uccidete solo lui, oppure tutta la scorta, o tutta la guarnigione di stanza alla fortezza. Ma non deve testimoniare per alcun motivo.

- Non temete. Per cinquemila livres1 uccido chi volete. E chi sarà necessario.

  • 1 Un domestico guadagnava 50 livres l'anno, un maestro 150, un professore 1000. 5000 mi sembra equo per un assassino prezzolato.

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Capitolo 2
*** Patate alla bifolca. ***


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Altro capitolo leggermente interlocutorio, quindi lo posto oggi. Dal terzo si entrerà nel vivo, e cercherò di seguire una cadenza settimanale il martedì.

Per ora grazie a chi ha recensito con grandi aspettative e chi ha inserito questa ff nelle seguite/preferite!

 

2. Patate alla bifolca.

 

All'alba del sei maggio, tre soldati a cavallo, con un quarto animale carico di salmerie, attendevano nella Piazza d'armi il loro Comandante ed uno dei loro compagni. Il resto della Caserma si stava risvegliando e preparando per le attività quotidiane.

La città stava lentamente tornando alla vita, con i garzoni che si recavano al lavoro, i venditori ambulanti che spingevano i loro carretti verso i mercati, mentre alcuni irriducibili festaioli rientravano da uno dei balli dati la notte precedente.

Oscar ed André comparvero nel riquadro della cancellata. Gli altri furono rapidi a raggiungerli e si avviarono, in senso contrario a quella operosa corrente affaccendata che andava verso les Halles ed il centro, verso la Senna, dopo aver varcato le porte delle dogane.

Pochi invece seguivano la loro direzione, in uscita da quel conglomerato medievale di case e vie buie che era ancora Parigi.

Attraversando la Senna dal Pont Neuf furono affiancati da una carrozza con uno stemma conosciuto.

- Buongiorno! Siete mattinieri, al contrario di me! -

Oscar si girò con aria stupita ad udire quella voce. André strinse un poco più forte le redini.

- Conte di Fersen! Buongiorno. Immagino che invece Voi siate di ritorno da un ballo.

Oscar aveva un tono tagliente e seccato nella voce, che mai André aveva udito nel rivolgersi al Conte. Gli altri soldati, senza saper chi fosse, riconobbero l'uomo che mesi prima Oscar aveva lasciato uscire dai giardini della reggia durante una ronda notturna1.

- Confesso di sì. Suppongo che voi siate invece diretti a sud. Mi dispiace che abbiano affidato a Voi questo incarico, così lungo e pesante. Forse sarebbe stato più corretto affidarlo a qualcun altro, magari avrei potuto svolgerlo io...

- E allora perché non Vi siete offerto volontario? - Lo rimbeccò, stizzita, prima di rivolgergli un saluto militare ed andarsene, lasciandolo ad interrogarsi su quella frase secca e vagamente rabbiosa.

André decise di rigirare il coltello nella piaga, per quella sua vena dispettosa che ogni tanto gli veniva nei confronti di Oscar, e ben sapendo di essere l'unica persona a potersi permettere tanto.

- Cominciamo bene!

- Sarebbe a dire?

- Sei stata scelta per una missione non dico segreta, ma quantomeno riservata, e scopriamo così, su un ponte, che almeno un'altra persona ne è a conoscenza, e ha la furbizia di spiattellarlo davanti a tutti...capisco che fosse esausto dopo il ballo, però...

Come si fa ad essere esausti per un ballo? Per una ronda, magari... Pensò Gérard, senza cogliere il sarcasmo dell'affermazione.

- Sai che hai ragione? - Commentò Oscar improvvisamente vigile. - Credevo che fosse una cosa decisa nelle alte sfere e comunicata direttamente a me. Invece...quanti altri idioti lo sanno?

François sobbalzò nell'udire simili parole uscire dalle labbra del Comandante. André invece si chiese da quando, per lei, il Conte fosse passato nel novero degli idioti.

Oscar continuò a sbuffare. Non aveva ancora del tutto accettato quella missione, quella "seccatura", come l'aveva più volte definita in nella giornata di licenza, ed ora scopriva che probabilmente aveva più falle di quante credessero.

- E sappiamo benissimo come vanno queste cose: gli ufficiali lo sanno, ne parlano alle amanti, agli amici, ai parrucchieri, a Dio sa chi, che lo racconteranno ad altri e tempo una settimana chiunque sarà a conoscenza del fatto che stiamo andando proprio lì. Così, se qualcuno volesse impedire il ritorno del prigioniero, avrà tutto l'agio di farlo.

- Comandante. - Chiamò timidamente Gérard. - Ma dove stiamo andando? André ha parlato di una fortezza, ma non ho mica capito bene. - Aggiunse vergognandosi un poco.

- Aspetta un poco. Usciamo dalle porte della città e vi spiegherò strada facendo, appena saremo più isolati.

 

Quando furono lungo la strada che da Parigi si dirigeva verso sud, verso Fontainebleau e poi Nevers, si misero attorno al cavallo cremello del Comandante , che iniziò a spiegare.

- Dobbiamo andare a recuperare questo prigioniero di cui non ci hanno detto nulla, se non il numero: prigioniero 121. Sappiamo solo che ha cospirato contro la Corona. In qualche modo è stato arrestato nel Regno di Sardegna, che ora è alleato della Francia, visto la figlia del loro Re è sposata al fratello del nostro Re.

- Non ho ben capito: basta dare la figlia in sposa e due Re diventano alleati? Chiese l'ingenuo François.

- All'incirca sì. Perché credi che abbiano spedito qui dall'Austria la Principessa Maria Antonietta? Avevano un principe da sistemare. E questo ci sta evitando la guerra da molti anni. - Riassunse sbrigativamente André.

- Oh...

- Comunque. - Tagliò corto Oscar, a cui il discorso stava creando un certo disagio - Ora è tenuto in una fortezza in cima alle Alpi. E' una costruzione a suo modo spaventosa. E' composta da due forti principali, cinque ridotte e quasi trenta risalti collegati da una scala coperta che occupa un paio di leghe. Da alcuni anni ha anche una parte adibita a prigione, dove appunto dovrebbe trovarsi il nostro uomo.

Udendo un cavallo al trotto avvicinarsi si interruppe. Riprese solo dopo che il cavaliere, un uomo magro, con uno scuro abito verde, li ebbe superati.

- Vedremo lì cosa aspettarci. Non abbiamo nemmeno informazioni riguardo al prigioniero. A parte il numero. Per ora proseguiamo. Dubito che, se dobbiamo attenderci qualche azione di disturbo, essa abbia luogo durante il nostro viaggio di andata. Ci ho pensato, André; se anche la notizia si diffondesse a corte, dovremmo essere tranquilli fino al momento in cui lo preleveremo. Almeno, spero.

 

La giornata trascorse tranquilla, tra lunghe cavalcate silenziose e momenti di chiacchiera. Oscar riuscì in qualche modo a rilassarsi. Dopo la complicata missione per proteggere il principe Adelos, era il primo viaggio fuori Parigi. Ma questa volta aveva con sé uomini di cui si fidava, di cui aveva a poco a poco conquistato la lealtà ed in cui era la prima a confidare. Sapeva che Andrè li considerava amici, e questo le dava la certezza di avere scelto bene. Alain era grosso, robusto, abile con la spada. Gérard, era timido, balbuziente, ma con il fucile aveva un'ottima mira. François aveva l'aspetto ed i modi di un ragazzino, ma era una delle persone più rette che conoscesse, ed il suo scarso peso lo rendeva molto agile con la spada.

E tutti e quattro erano brave persone. Sapeva di potersi fidare. Forse anche di poter allentare un poco la corda che le teneva stretta al volto la maschera irreprensibile di Comandante inattaccabile. Chissà, magari aveva ragione Andrè; il viaggio di andata sarebbe stato simile ad una vacanza.

 

I primi due giorni di viaggio trascorsero serenamente, inclusa la prima notte passata in tenda. Al termine del secondo giorno, si accamparono nei pressi di la-Charité-su-Loire, poco prima di Nevers.

Accesero un fuoco, allegro e scoppiettante. L'accampamento, come la sera prima, era composto da tre tende, due per i soldati, ed una per il Comandante. André e Gérard ne dividevano una, mentre il minuto François si spartiva lo spazio con il massiccio Alain. Recuperarono dalle bisacce poste sul sesto cavallo pane, formaggio carne salata. Avevano anche delle patate, che André, aiutato da Oscar, inserì sotto la cenere, perché cuocessero mentre terminavano di montare le tende.

- Sapete fare le patate alla bifolca2? - Chiese Gérard, sinceramente stupito.

Alain commentò che aveva trovato strano, già quando avevano preparato gli accampamenti per la scorta del principe Adelos, che Oscar sapesse montare una tenda, anche se poi le occorreva aiuto per il serraggio finale. Figurarsi cucinare alcunché.

Gli arrivò una risposta divertita: - Ti assicuro che saresti capace anche tu, se tuo padre ti avesse mollato nei boschi in compagnia di un altro ragazzino, quando avevi undici anni, dicendoti tranquillamente che sarebbe passato a recuperarti dopo tre giorni. O impari ad accendere un fuoco, tirare su una tenda che non ti rovini in testa al primo soffio di vento, a cuocerti qualcosa, oppure fai una pessima fine.

Tre paia d'occhi li osservarono esterrefatti. Alain pensò che più udiva da quei due (sopratutto da André in realtà, dal Comandante non avevano mai ricevuto confidenze di sorta) storie su questa stranissima infanzia condivisa, più si stupiva che fossero cresciuti tutto sommato sani di mente. Lo vorrei proprio conoscere questo padre, che non solo vuole trasformare una figlia femmina nel maschio che non ha, ma la sottopone a prove che a nessun padre verrebbero in mente; e non per mancanza di mezzi, ma per raggiungere il suo scopo di fabbricarsi un bel soldatino!

André cambiò argomento estraendo dalle proprie borse da sella altre due bottiglie, le ultime, del Borgogna fornito dalle cantine di Palazzo Jarjayes che la sera prima aveva riscosso così tanto favore da parte dei soldati.

La serata trascorse in maniera tranquilla. Oscar si sentiva sempre più a proprio agio in quella nuova situazione. Sapeva di potersi fidare, forse come mai le era accaduto nel suo incarico precedente. Poteva rilassarsi perché, dopo aver dovuto combattere, letteralmente, per avere la loro fiducia, ora che l'aveva ottenuta sapeva di avere conquistato qualcosa che sarebbe valso per sempre.

Dovendosi alzare all'alba, si misero a dormire relativamente presto, senza neanche organizzare dei turni di guardia, contando sul numero non eccessivamente esiguo e sulla sicurezza che, se qualcosa fosse accaduto, sarebbe stato dopo aver preso in carico il prigioniero.

 

Quando furono tutti ritirati nelle tende, un cavallo baio condotto da un cavaliere magro passò lungo la strada, ad una trentina di passi dal punto in cui erano accampati, superandoli in direzione di Nevers.

 

 


1  Solo nel manga.

2  Nei Berukids la Ikeda le chiama così. Sono anche oggetto di una graziosa ff francese sull'infanzia di Oscar. Non erano ancora così diffuse da essere il sostentamento base degli strati bassi della popolazione.

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Capitolo 3
*** La finestra sul bosco ***


3. La finestra sul bosco

 

All'alba del terzo giorno smontarono rapidamente le tende per partire al più presto, dopo aver rotto rapidamente il digiuno con qualcosa di freddo. Sebbene il calore non accennasse a scemare1 ed anche a quell'ora cominciassero già a sentirlo nelle loro divise di panno, sembrava infine che il cielo si decidesse a rannuvolarsi, ed a porre fine a quell'interminabile sfilza di giorni senza pioggia che stavano rendendo assetata l'intera campagna francese.

L'intenzione, se il tempo lo avesse permesso, era quella di superare Nevers e Moulin, per dirigersi verso Roanne, con una decisa svolta verso est, lasciandosi Vichy sulla destra.

La giornata fu segnata dalle solite chiacchiere, ma con l'incombere di un cielo sempre più cupo, che da uggioso che era la mattina, diventò plumbeo durante la giornata e minacciosamente nero verso la metà del pomeriggio.

Una decina di miglia dopo Lapalisse cominciò a piovere, un temporale primaverile violento e feroce, che li inzuppò nel giro di alcuni minuti. Il panno delle divise si impregnò d'acqua in poco tempo, rendendole quasi nere, pesanti, appiccicose, freddissime. Tuoni sempre più vicini segnarono il sentiero. Lampi improvvisi rendevano a tratti luminoso il cammino nel bosco, trasformandolo nel contempo in un pericoloso possibile percorso di fuoco, un puntaspilli per saette, con quelle querce altissime e quei faggi levati verso il Cielo.

Dovevano levarsi da lì al più presto. Spronarono i cavalli al galoppo, sperando che i lampi non cadessero troppo vicino, spaventandoli.

 

Il minuscolo villaggio di La Pacaudière comparve dinanzi ai loro occhi come una piccola isola in un agitato mare in tempesta. Una locanda dall'appetitoso nome di "Au sanglier rôti" si affacciava sulla strada principale, ormai un torrente di fango, invitante e tiepida. Lasciarono i cavalli nella stalla e corsero dentro riparandosi come potevano.

Si ritrovarono in una sala da pranzo che altro non era se non una grande cucina di campagna con i muri imbiancati a calce, e lunghi tavoli disposti perpendicolarmente ad un enorme camino, al cui centro un girarrosto spiegava inequivocabilmente il nome del luogo. Si fermarono nei pressi dell'uscio, sgocciolando vistosamente sull'impiantito in legno, sino all'arrivo di una donnetta bassa e tondetta, con un viso ancora piacente ed un abito scuro che conteneva a stento delle forme ancora così evidenti che in gioventù dovevano aver provocato più di una rissa tra gli avventori.

Muovendosi affaccendata intorno al loro proruppe in un

- Oooh! Cari! Ma siete fradici! Vi do subito delle stanze per potervi cambiare ed asciugare. Cinque?

I soldati stavano per protestare, nessuno di loro avrebbe potuto permetterselo, nemmeno con la doppia paga promessa. Fu Oscar a rompere gli indugi, con una decisa conferma, e provvedendo al pagamento con una rapidità che non diede a nessuno il tempo di replicare.

- Ci vediamo giù tra un'ora. Non è necessario che indossiate la divisa. E, presa una chiave, salì la scala seguendo l'indaffarata proprietaria che la precedeva portando una pila di asciugamani, lisi e rammendati, ma puliti.

 

Rapidamente come era cominciato, il temporale si esaurì. Le nuvole tornarono grigie, il tamburellare frenetico delle gocce sui vetri lasciò il posto ad un leggero concerto sulle tegole del tetto, sino a trasformarsi in un lieve gocciolio dalle grondaie e dagli alberi del bosco che quasi toccavano il lato posteriore della locanda, su cui si affacciavano le loro stanze, tutte in fila come stanze di un collegio. Al comandante la proprietaria aveva lasciato la stanza d'angolo, con due grandi finestre che si affacciavano sul bosco.

Oscar si affacciò a guardare il cielo. Alla sua destra, poteva solo scorgere una curva della strada dalla quale erano arrivati. Di fronte, un'imponente quercia ed i faggi del fitto bosco che si perdeva a vista d'occhio.

Controllò la divisa che aveva messo ad asciugare vicino al fuoco, per verificare quanto fosse ancora umida. Poi si lasciò cadere sul letto in attesa di scendere per la cena. Era davvero stanca. Si compiacque di aver preso la decisione di rimanere alla locanda. L'ultimo mese era stato davvero impegnativo, ed ora questa missione che le sembrava davvero pesante...sebbene, come aveva detto Andrè, si stesse rivelando più piacevole del previsto.

Il letto pareva pulito, pensò che avrebbe finalmente goduto di un sonno ristoratore, più tardi. Per non assopirsi, si mise prona e recuperò il libro che aveva poggiato sul comodino, un'opera di un miliare duramente punito per la sua pubblicazione, che le aveva fatto avere la sorella Josephine e che durante il viaggio contava di poter leggere con calma. " Lettera I. Cara amica, come vedi...".2

 

Quando scese per la cena trovò i quattro soldati già sistemati ad uno dei lunghi tavoli. Scavalcò la panca senza schienale per mettersi tra André e François, mentre dal lato opposto Alain occupava molto più spazio, seduto accanto a Gérard che si sentì subito impacciato per il fatto di avere Comandante seduto di fronte. Fu un momento di reciproco riconoscimento: Oscar non aveva mai visto i suoi uomini senza divisa e non poté fare a meno di notare che gli abiti fossero lisi e rammendati. Né, dal canto loro, l'avevano mai vista in abiti civili. Si stupirono dei quanto apparisse più magra e minuta senza la giacca con le pesanti spalline, e di come sembrasse anche più femminile. Nessuno di loro sospettava l'esistenza, sotto la divisa, di quello strumento di tortura che erano le fasce che quotidianamente indossava, e che in quel momento erano diligentemente poste ad asciugare dinanzi al fuoco. Portava una camicia bianca ed un lungo panciotto azzurro, liscio e privo di ricami, senza la giacca, e pareva più borghese che aristocratica. Non potevano sapere che si trattava di una scelta ponderata, quella di non mettere nel bagaglio abiti appariscenti, per non accentuare la differenza di censo tra loro.

Quei tre giorni avevano reso Oscar molto rilassata nei riguardi dei sottoposti, le cene precedenti dinanzi ad un piccolo falò avevano cementato una specie di spirito di gruppo che non aveva ancora sperimentato. Mangiarono cibo rustico, cinghiale in civet, accompagnato da uno spesso vino rosso. Chiacchierarono di molte cose, quella sera. Piccoli pettegolezzi da camerata, che strappavano risate o commenti più o meno salaci, racconti delle loro vite parigine, qualche timida domanda al Comandante per capire come fosse invece la sua, ancora colpiti dall'accenno del giorno prima ai metodi educativi poco ortodossi del Generale. Si sentiva apprezzata, in un modo che forse non aveva mai percepito tra le Guardie Reali.
Abituate ad obbedire senza fiatare, per evitare guai, per indole o per convenienza, avevano obbedito a lei come ai predecessori ed al successore. In questo nuovo incarico, la fiducia così duramente conquistata era ormai un saldo fondamento del vivere quotidiano, che per la prima volta poteva percepire avendo lei per prima abbassato le barriere sociali che li separavano.
Un altro tassello componeva inoltre quel mosaico. André.
Oscar si stava rendendo conto di un impercettibilmente graduale mutamento della propria percezione nei suoi confronti. Nei mesi trascorsi nella Guardia Metropolitana3, il vederlo in mezzo agli altri aveva fatto sì che lo osservasse con attenzione maggiore, con uno sguardo diverso.
Uno sguardo che nasceva anche dalle confessioni ricevute in una fredda notte di marzo, quando l'aveva colta di sorpresa baciandola e confessandole il suo amore.
Uno sguardo che a volte sorprendeva lei stessa, come la sorprendeva il fatto di cercare in lui un appoggio fisico e solido per sopperire al fatto che non fosse sempre accanto a lei.
Come al suo arrivo, dopo aver sfidato un feroce Alain4 che si ergeva a campione dell'onore offeso dei soldati.
Come quando si era lasciata sostenere nel suo pianto, questa volta di gioia, il giorno in cui, pronta a cedere l'incarico,era stata richiamata indietro dai soldati che la imploravano di restare.
Come quella sera: senza parere, stava cercando di avvicinarsi sulla panca per poter sentire sul proprio braccio il contatto casuale con il suo bicipite sinistro, attraverso la stoffa leggera delle due camicie, sentendosi nello stesso tempo stranamente bene e idiota come una ragazzetta.

Nello stesso tempo, l'oggetto di tante attenzioni apparentemente casuali si stava interrogando sulla natura di quanto gli pareva di percepire. Sentiva ogni tanto un leggero sfioramento al braccio sinistro, che, per quanto poteva dire di conoscere Oscar, non gli pareva involontario. Era sempre stata ritrosa a qualsiasi contatto non desiderato, insofferente, scocciata, quasi rabbiosa. Quindi, non si trattava di una cosa casuale. Ma allora? Possibile che...?
Si era reso conto di un lentissimo, esasperantemente graduale cambiamento in lei. Ma non aveva il coraggio di spingersi oltre, non dopo il disastro combinato mesi prima. Avrebbe dovuto aspettare che fosse lei a fargli capire qualcosa, non poteva correre rischi di sorta.
Decise di godersi quei contatti quasi impercettibili e lasciare che le cose seguissero il loro corso.

Intanto, erano oggetto di osservazione divertita o stupita da parte degli altri tre.
Gérard e François ascoltavano increduli il modo di parlare sia del comandante che del loro commilitone, decisamente più loquace di quanto non fosse di solito. Si rendevano conto di quanto il tono e i termini usati fossero simili, per quei due. I pochi accenni ad una vita precedente suggerivano l'esistenza di un legame e di una condivisione che in caserma sfuggivano, ed ora apparivano evidenti. Si accorsero che il Comandante gli permetteva alcune bonarie canzonature che nessuno di loro avrebbe mai nemmeno potuto prendere in considerazione, figurarsi osare dirle ad alta voce.
Invece Alain osservava André come negli stessi anni dall'altra parte del mondo gli esploratori osservavano gli abitanti della Nuova Guinea. Un individuo appartenente ad un universo troppo distante per provare a comprenderne le azioni. Un innamoramento così seraficamente plateale, così tranquillamente esposto allo sguardo dei commilitoni, così sufficiente a sé stesso, non era cosa che capitasse tutti i giorni. E neppure tenta di saltarle addosso ogni tre per due, come farei io se dovessi passare tutto sto tempo con una che mi piace, non dico neanche amarla, giusto una che mi piace!

Verso le undici, Oscar si alzò per tornare nella propria camera. Era sfinita. In piedi dall'alba, sentiva una grande stanchezza, unita al desiderio di restare un poco sola con i propri pensieri, nonstante la compagnia fosse piacevole.
Diede la buonanotte e salì le scale.
Giunta nella propria stanza, portò le mani tra il collo e le spalle, allungando i muscoli contratti. Si sfilò il panciotto e lo gettò sulla pediera del letto in legno.
Udì i passi dei soldati che salivano, il pensiero corse rapidamente ad André. Si chiese se avesse percepito o capito qualcosa quella sera. Si diede della stupida. Non aveva mai fatto cose del genere. Lei, il gelido Comandante, la Vergine di ghiaccio, come la chiamavano a Corte. Nemmeno quando era (o credeva di essere?) innamorata di Fersen. Una simile impudenza non le sarebbe mai venuta in mente. Neanche in mente. Nella pancia.
Prima di togliersi la camicia bianca, che aveva già iniziato a slacciare, e prepararsi definitivamente per la notte, andò verso la finestra, da cui si intravvedeva uno spicchio di luna. Voleva dormire tranquillamente, quindi pensò di chiudere le imposte. Aprì i vetri e si sporse per raggiungere l'anta destra. Il fermo era troppo lontano, si chinò ancora un poco. Scivolò leggermente in avanti, piegata in due sul davanzale.
Fu allora che dai piedi della grande quercia si udì una detonazione secca e si vide la fiamma di un colpo di pistola.

1 Nel 1788, la siccità si ripresentò molto più forte rispetto al 1785, e le temperature della primavera furono molto elevate con punte superiori ai 32-34 gradi, con il risultato che mandarono praticamente in fumo quasi tutto il raccolto di cereali. A metà luglio dello stesso anno, sulla Francia centrale, si abbatté un tempesta di pioggia e grandine che distrusse il raccolto dell’uva, di grande importanza per l’economia del paese.

2 Pierre Chloderlos de Laclos, Les liaisons dangereuses, 1782.

3 Mi baso principalmente sul Manga, quindi André non solo non viene allontanato da Oscar, ma viene arruolato direttamente dal Generale.

4 Nel manga c'è un unico duello, Oscar viene sfidata subito da Alain, come rappresentante della truppa che non la vuole al comando. Anche la vittoria avviene in modo diverso. Ancora al manga si riferisce l'episodio citato subito dopo.

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Capitolo 4
*** Un ciuffo di capelli ***


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4. Un ciuffo di capelli.

 

La porta della stanza si spalancò con violenza ed irruppero dentro i quattro soldati della Guardia.

Oscar era seduta a terra, sotto la finestra ancora aperta, con le gambe distese, le mani poggiate ai lati delle anche, il respiro più affannoso del solito che sollevava ritmicamente la fossetta del giugulo, esposta dal colletto aperto della camicia. Guardava fissamente a terra.

- Sto bene, la pallottola mi è passata tra i capelli. - Disse, indicando un ciuffetto biondo a terra dinanzi a lei.

Alain prese una bugia, fece il giro ed andò a cercare la pallottola sul muro che faceva fronte alla finestra. La trovò poco più in alto della specchiera.

Entrò anche la paffuta padrona della locanda, corsa su con la maggior velocità concessale dalle gambe stanche.

- Cosa é accaduto? Cos'era quel rumore?

- Hanno sparato al Comandante. - Rispose Gérard.

- Oh, Gesummaria!

Oscar fece un gesto con la mano aperta, come a scacciare un brutto pensiero.

- Nulla di grave, mi hanno mancata. Stanotte hanno fallito e non ci riproveranno, e farò in modo di ripagarvi per il muro.

- Ma nemmeno da dire! - Rispose la donna. Che però intanto pensò: Meno male che stanotte non ho altri avventori, altrimenti avrei potuto perdere clienti!

Aiutandosi con una mano sul davanzale, si alzò in piedi, il respiro era quasi tornato normale.

- Tornatevene a dormire...

- Ma, Comandante...- esordì François, - dobbiamo cercarlo.

- Col buio? Nel bosco? Sarà già lontano. Domattina con la luce proveremo a cercare se ha lasciato qualche traccia. Era appostato sotto quella grande quercia. Siamo tutti stanchi. Andate. Il tono era quello solito, di comando. Ma lo sguardo era ancora basso, e lievemente fisso.

La proprietaria scese le scale. Alain, François e Gérard si avviarono verso le rispettive stanze, strascicando chi le scarpe1 che i piedi già scalzi. Qualcuno aveva la camicia slacciata, qualcuno fuori dai pantaloni.

André rimase sulla soglia.

- Ne sei davvero sicura?

Oscar alzò lo sguardo per la prima volta; sollevandolo dal pavimento vide che era scalzo. Percorse ancora la sua figura e si avvide con imbarazzo che non portava nemmeno la camicia2, anzi che i pantaloni senza la cintura scivolavano verso il basso, retti soltanto dagli ischi sporgenti, mentre il segno di passaggio tra gli addominali e gli obliqui costituiva per lo sguardo una strada verso il basso che le fece contrarre la gola e l'ombelico, e la costrinse a girare il volto.

- Sicurissima- rispose con una voce tutt'altro che ferma.

- Vai. - Disse poi, spingendolo lievemente con una mano poggiata sulla sua spalla destra per farlo voltare verso il corridoio, accorgendosi un istante troppo tardi che sfiorarlo era un errore che sarebbe stato meglio non commettere.

Chiuse la porta e si lasciò cadere esausta sul letto.

 

Quella stupida troia! Se non si fosse mossa l'avrei fatta secca stasera e potrei tornare a Parigi per intascare il compenso

Invece mi toccherà seguirli ancora, a dormire nei boschi, porca di quella...

E adesso staranno all'erta, come non era ancora successo. Capaci di mettere su dei turni di guardia!

Ma ha solo avuto fortuna! Cercherò di trovarmi faccia a faccia con lei. Cosa sarà mai, una donna soldato, figuriamoci!

 

Oscar si rigirò nel letto per quella che poteva essere la centesima volta. Troppi pensieri nella testa, troppe sensazioni sotto le dita, troppe immagini sotto le palpebre chiuse. Troppe immagini...no. Una. Una sola. Ma insistente come non mai.

Cosa mi sta succedendo? Mi hanno appena sparato, ed io...io invece di pensarci, invece di trovare una soluzione, di valutare una strategia...sto qui col respiro mozzo, a cercare di ripescare il ricordo di un contatto, e a perdermi il sonno nel rammentare ciò che ho appena visto?

Ma, fino ad ora, mi sono sempre appoggiata contro di lui, contro il suo torace, senza sentire nulla3?

 

Il mattino successivo, sebbene avesse trascorso una notte pressoché insonne, scese comunque inappuntabilmente stretta nella divisa, all'ora convenuta.

- Vorrei cercare di arrivare a Lione entro stasera. - Esordì, sedendosi con gli altri.

- Per due motivi, anzi tre. Credo che per quanto possibile sarebbe meglio dormire nelle locande delle città più grandi, per cercare di evitare il ripetersi di simili gesti. Nel viaggio di ritorno non sarà fattibile, con il prigioniero nel carro, e ritengo sia meglio arrivare alla fortezza il più freschi che riusciremo. Sarà un ritorno duro, con questo sicario che, evidentemente, deve impedire l'arrivo dell'uomo a Parigi. Ritengo quindi che sia giusto passare dalla Maréchaussée a riferire all'Intendente Generale della nostra missione. Non era nelle mie intenzioni, ma quello che è successo stanotte cambia tutto. E devo passare a ritirare del denaro. Non sono sicura di averne a sufficienza, se useremo così spesso le locande e le stazioni di posta.

Alain si sentì rassicurato, ma piccato nel suo onore maschile.

- Ma pagherete voi, non l'Esercito? Non è giusto...

- Devo salvare la mia pelle, quindi pago io e tu non protesti, chiaro, Soisson? Non mi sembra il momento di mettersi a filosofare su questioni del genere.

 

Dopo aver mangiato qualcosa rapidamente, scesero verso la vecchia quercia. Alla luce livida dell'alba, cercarono qualche traccia. Apparentemente, nulla. Poi notarono un capello, lungo una spanna, agganciato ad una sporgenza della corteccia. Avrebbe potuto essere di chiunque; annotarono mentalmente il colore, rossastro, non il tiziano brillante dei capelli di François, un rosso slavato, biondastro.

Dopodiché partirono. Avevano ancora più di venti leghe4 da percorrere prima di giungere a Lione; tenendo i cavalli sempre al trotto od al galoppo leggero, concedendosi una pausa breve per il pranzo, sarebbero potuti arrivare per il tramonto.

 

Giunsero in effetti in città, sporchi e stanchi, mentre il sole scendeva alle loro spalle in una sinfonia di arancioni e rossi. Scesero in una locanda di buon livello "Il Puledro Impennato5", indicata nella lista che il Generale aveva fornito ad Oscar, insieme (e qui non poté che ringraziare la preveggenza del vecchio militare, visto che lei si era opposta) ad una lettera di cambio per un banchiere corrispondente della banca di famiglia. La locanda si trovava di fronte alla chiesa gotica di Saint Georges, e si affacciava sulla Saône. Chiesero espressamente della finestre con vista sul fiume. Sparare loro addosso, per qualcuno appostato sull'altra riva, non sarebbe stato possibile.

Ebbero tre stanze al secondo piano, anche in questo caso una misura di sicurezza per aumentare la distanza da un possibile tiratore. A differenza della sistemazione nelle tende, organizzate per dimensioni degli occupanti, questa volta i soldati si divisero per coppie di amici, con François e Gérard nella camera più vicina alle scale, Alain ed André in quella successiva, mentre Oscar prese la terza, curando bene che non fosse d'angolo, per non offrire possibilità di fuoco dalle case limitrofe.

Stremata e sporca, Oscar chiese un bagno nella propria stanza, ed altrettanto fece André, attirandosi lo stupore e le canzonature degli altri, secondo i quali la brocca sarebbe stata più che sufficiente.

- Oh, piantala, Alain! Sono abituato così e così continuerò a fare. Se dovessi cambiare qualcosa nel mio modo di agire per ogni critica ricevuta da parte vostra o da qualche nobile non resterebbe più traccia di me stesso. Quindi, fine del discorso.

- Allora, tu fatti pure bello per la biondina che non ti fila, noi andiamo a fare un giro nei dintorni. - disse, chiudendo in fretta la porta per evitare una pezzuola fradicia lanciata con forza verso la sua faccia.

I tre soldati scesero le scale ridacchiando, felici di trovarsi nuovamente in una città, seppure lievemente intimiditi per il luogo decisamente al di sopra delle loro possibilità economiche. Sbirciarono nella sala da pranzo e compresero che a cena avrebbero dovuto fare sfoggio di tutta la loro educazione. Mano male che sono in divisa, pensò François, se dovessi mettere i miei vestiti mi vergognerei da morire! Chissà come deve essere mangiare spesso in questi posti...chissà se la casa del Comandante sembra questa locanda, all'interno.

Uscendo, incrociarono un avventore impolverato che tentava di entrare, e gli cedettero il passo.

Alain guardò quell'abito verde scuro, la parrucca da poco prezzo, e gli parve di averlo già visto. Ma non riusciva a ricordare dove. Forse mi sbaglio...

 

Nel frattempo, Oscar si stava godendo il massaggio dell'acqua sulle membra indolenzite dai quattro giorni di cavalcata. Ed il fatto di poter rimanere un poco sola con i propri pensieri. Nonostante lavorasse in una caserma affollata, aveva spesso modo di rimanere da sola nel proprio ufficio per lungo tempo, ed a palazzo poteva rinchiudersi nelle proprie stanze senza dover rendere conto a nessuno. Cavalcare, mangiare, ed in tenda persino dormire facendo attenzione ad ogni azione le pesava moltissimo. Si chiese come facessero i soldati, nelle rumorose ed affollate camerate. E come facesse André, passato dalla pace della propria stanza a quella condivisione perenne.

Già, André. Si ripromise che, entro la fine del viaggio, avrebbe cercato di venire a capo di quel groviglio che si affollava dentro di lei.

Da un angolo della memoria, le ritornò davanti agli occhi chiusi una vecchissima immagine: loro due, seduti nella grande cucina di palazzo, di fronte alla nonna, ognuno con le braccia aperte alla larghezza del torace da bambino, ognuno con una matassa di lana colorata appoggiata ai polsi, mentre le abili mani della vecchietta sbrogliavano un intrico bicolore, frutto dei loro tentativi di giocare al labirinto del Minotauro svolgendo il filo per i passaggi del palazzo.

Le sembrava di essere nella stessa situazione. Avevano tirato due fili lungo tutta la loro esistenza, ora si trattava di metterci le mani, e decidere se erano due matasse differenti, divise, ognuna per uno scopo diverso, lana grossa e filato sottile; oppure se erano come quei fili talmente delicati che per essere lavorati in maniera utile devono essere uniti a coppie.

 

Dall'altra parte della parete, un pensiero analogo si levava da una seconda tinozza. Talmente simile e parallelo, che se fossero state note, ne sarebbe nata una graziosa sonata a due voci.

Godendosi il silenzio e il momento di solitudine, con gli occhi chiusi, il capo poggiato sul bordo di zinco, André si stava chiedendo cosa aveva in mente quella testa matta che si trovava oltre il muro. Sempre che, lei per prima, sapesse con certezza cosa avesse in mente. Cosa della quale dubitava. Brava con le truppe, pessima con se stessa.

Gli era parso di cogliere, negli ultimi tempi, segnali di un leggero cambiamento, una lenta evoluzione. Talmente graduale che sarebbe sfuggita a chiunque, ma non a lui, allenato da anni di ricerca delle sfumature. Come la sera prima, tornò a chiedersi se fosse possibile che Oscar si stesse avvicinando a lui.

Ripensò allo sguardo che gli aveva rivolto sulla porta, la sera prima, imbarazzato, ma non equivocabile, al tremito lieve della mano quando lo aveva spinto fuori.

Ripensò al rumore di lei che si era rigirata nel letto per ore, la notte precedente, augurandosi di essere almeno in parte la causa di quel trapestio.

Ripensò alla cena, sulla panca, alle braccia che si sfioravano.

Ripensò ai contatti di quegli ultimi mesi, forse più frequenti di quanto lo fossero stati in anni ed anni trascorsi insieme.

Ripensò infine ad una notte di febbraio,a quel suo modo aggressivo, maldestro e rabbioso, di farle sapere che la amava. quanto se ne vergognava...Eppure...forse...forse era servito, in qualche modo contorto, a far sì che Oscar lo vedesse infine in un modo diverso.

 

Si ritrovarono infine per la cena, in una grande sala con una tappezzeria verde acqua alle pareti, piccoli specchi ed alcune dorature. Doppieri alle pareti ed un lampadario centrale la rendevano luminosa. Le tovaglie candide, i piatti in ceramica smaltata, un poco pretenziosi, i bicchieri in vetro davano il tocco finale all'ambiente. Un solido ambiente borghese, nulla a che fare con certi caffè di Parigi, ma più che sufficiente per far sì che i tre soldati si sentissero un poco intimiditi, anche se Alain non lo avrebbe ammesso neanche sotto tortura.

Ognuno di loro fece ricorso alle migliori maniere che possedeva, mentre François e Gérard, che avevano chiesto timidamente consiglio ad André (ricevendone in risposta di fare come lui, e di seguire le sue occhiate), per il momento sedevano rigidi sul bordo delle loro sedie.

Alain ritornò nuovamente sul discorso del pagamento, che Oscar chiuse con un secco:

- Non pago io, paga mio padre. Ti fa stare più tranquillo questo? Non sei ospite di una donna, metti da parte il tuo orgoglio maschile e mangia.

Questa uscita scanzonata fece sorridere gli altri, e stemperò la tensione per il resto della serata. Ritornarono le chiacchiere della sera prima, meno rumorose, ma comunque affiatate e conviviali. Scoprirono altri dettagli della vita del comandante, quando, spiegando i progetti per la mattina seguente, disse:

- Io andrò alla Maréchaussée con André, per prima cosa. Devo parlare all'Intendente e consegnargli alcune lettere per garantirci un ritorno tranquillo. Poi in banca. Poi voglio mezz'oretta libera per me, ho voglia di andare a bermi un cioccolata, prima di infilarmi tra le montagne...

I ragazzi si guardarono. Cioccolata? Tra tutte le cose del mondo, il Comandante ha un debole per la cioccolata? Ossignore!

- Garantirci un ritorno tranquillo? - André ritornò allo scopo del loro viaggio.
- Cosa vuoi fare?
- Ho delle lettere per gli Intendenti delle città dove passeremo. Se qualcuno ha cercato di far fuori me, è evidente che cercherà di eliminare il prigioniero 121. Per quanto possibile, passeremo nelle città e la notte lo faremo dormire nelle prigioni locali. Troppo pericoloso farlo dormire nel carro con noi che montiamo di guardia. Lo faremo solo quando sarà inevitabile. Il comandante della fortezza ci preparerà le lettere per le città sabaude, Briançon e Chambéry.
- Quindi ci fermeremo anche a Nevers? Come non abbiamo fatto ora?
Oscar pensava di aver evitato l'argomento, ma André sembrava intenzionato a non lasciare correre.
- Perché proprio Nevers?- chiese Alain, tagliando l'arrosto che gli pareva il migliore mai assaggiato.
- La giustizia a Nevers viene amministrata dal Marchese di Norpois - Gli rispose André.
- E allora?
- Allora, la moglie del marchese è mia sorella Louise Hélène... - Spiegò Oscar con un sospiro seccato.
- Oh, ma allora avreste dovuto passare! - Riprese François tutto infervorato.
- Non avreste dovuto evitare di passarci a causa nostra. Noi vi avremmo atteso! Davvero!
- Non é per quello, François. Diciamo che mia sorella si vergogna di me. Del lavoro che faccio, di come mi vesto.
Un silenzio un poco imbarazzato colse la tavolata. In quel momento, si avvicinò loro l'uomo con l'abito verde che Alain aveva incrociato sulla porta.
- Scusate se mi permetto...- esordì con un lieve inchino.
Oscar lo guardò sollevando leggermente la testa. Una parrucca di non eccelsa fattura sul capo, un abito verde bosco abbastanza impolverato; si chiese come potesse permettersi quella locanda. Aveva gli occhi chiari, quasi grigi, un viso pallido con qualche rara efelide, alcune rughe attorno agli occhi ed alle labbra. Un naso dritto e sottile e gli zigomi un poco sporgenti lo facevano sembrare un vecchio precettore iracondo.
- Desiderate? - gli disse abbastanza seccamente.
- Ecco, sono un mercante e mi devo recare oltralpe per acquistare vendere le sete di Lione ed acquistare delle stoffe in lana nel biellese. Ho una certa somma con me e mi chiedevo se potessi fare il viaggio con voi. Vi avevo già visti uscire da Parigi, e avrei già voluto chiedervelo allora.
Rimase in attesa, leggermente chino, con le mani strette in una posa servile.
Ecco dove l'avevo visto! Ci aveva superati poco dopo le mura...pensò Alain.
- Spiacente di deludervi, ma siamo militari della Guardia Metropolitana di Parigi, già ci siamo spinti sino qui, ed é anomalo, ma non è nei nostri incarichi varcare il confine. Mentì cortesemente Oscar.
- E' un vero peccato. Quand'è così, vi saluto e tolgo il disturbo.
Bugiarda schifosa! Come se non sapessi dove vai!
E si allontanò verso un isolato tavolo d'angolo, dal quale continuò ad osservarli di sottecchi.

Ho chiesto ai figuranti volontari che rappresentano sia francesi che piemontesi nella rievocazione dell'assedio di Torino del 1706 e mi sono fatta dire nei dettagli come fossero le divise dei soldati, fanti e granatieri: camicia, gilet e giacca di panno. No mantello, per i soldati semplici (e panno della giacca nemmeno troppo spesso). Durante i combattimenti, e in effetti dai quadri si vede, rimanevano in camicia e gilet. Sotto le ghette bianche non ci sono gli stivali: scarpe chiodate e calzettoni.

2  Anticipo di parecchi mesi una scena del manga, il rientro dalla ronda sotto la pioggia.

3  Stesso episodio della nota 2.

In Francia una lega (la lieue de poste), equivaleva a 3,898 km. Di solito era il percorso che si poteva fare a cavallo in un'ora

Omaggio al caro vecchio Tolkien.

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Capitolo 5
*** Danse Macabre ***


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5. Danse macabre

 

La mattina successiva, Oscar, dovendo comunque attenersi agli orari della Maréchaussée, se la prese comoda. Comoda per le sue abitudini, visto che in ogni caso lei ed André furono pronti ad uscire dalla locanda per le otto del mattino.

Si recarono direttamente dall'Intendente, il Visconte di Rozières1, che accolse con malcelata curiosità quell'ufficiale, evidentemente donna, evidentemente bella, ed evidentemente, date le lettere col sigillo reale che portava con sé, impegnata in una missione per conto di Sua Maestà.

Ascoltò con attenzione il racconto del viaggio e dell'attentato, se così lo si poteva definire, avvenuto a La Pacaudière.

- Vi chiedo quindi di avvisare per il viaggio di ritorno i vostri colleghi, e chi si occupa delle prigioni nelle varie città. Ho il sospetto che cinque persone, nei boschi, non basterebbero a garantire l'incolumità del prigioniero 121. - Spiegò Oscar.

- E vi prego di allertare Parigi se non ci vedrete tornare entro due settimane da oggi. - Concluse

- Siete così preoccupata? - Chiese l'intendente.

- Non troppo, ma meglio essere previdenti. Se quell'uomo ha veramente cospirato come si dice, penso che più di uno potrebbe volere la sua testa.

- Allora non mancherò.

- Vi ringrazio, Vi auguro una buona giornata e spero di rivedervi al più presto.

 

Uscì con André, nel sole dalla mattina di maggio, respirando l'odore dei glicini fioriti di una casa vicina.

- Ora possiamo andare da Monsieur Berthollet a riscuotere questa lettera, ha l'ufficio vicino alla Loggia del Cambio, non dovrebbe essere difficile trovarlo. Dovremmo tornare indietro, non è lontano dalla locanda. Bisognerebbe attraversare il Ponte De la Feuillée.

Non era un lungo percorso, ma nessuno dei due conosceva la città: vi erano stati, anni addietro, con il Generale che faceva strada. Inoltre, sapendo di avere tutta la mattina a disposizione, giacché avevano dato appuntamento agli altri per mezzogiorno dinanzi la locanda, si permisero il lusso di girovagare a caso nelle stradine della città vecchia, non troppo larghe, curve, strette tra i palazzi di due o tre piani.

Si ritrovarono così nel mercato della città, pieno di luci, odori, forti, colori intensi, grida dei mercanti per attirare alle loro bancarelle servette e massaie, folla spintonante, una sinfonia confusa che allargava i sensi e li confondeva. Oscar si sentì portata indietro nel tempo, quando le era ancora concesso frequentare con la nonna il vivace mercato di Arras, durante le estati che vi trascorreva. Storse il naso davanti ai pescivendoli, con le loro mercanzie fin troppo odorose, si soffermò a guardare i banchetti con montagne di fragole e insalate verdissime, ogni tanto tirava Andrè per una manica per mostrargli qualcosa di curioso.

Quando si sentì afferrare all'altezza del gomito sinistro rispose lievemente stizzita: - Dai, non abbiamo fretta, aspetta un attimo. - Cercando di liberarsi dalla presa, che le parve insolitamente salda, troppo salda.

Poi si volse e si avvide che accanto a lei non c'era una giubba blu da soldato, ma un mantello color fango, da cui usciva una mano guantata. Poi sentì un coltello pungerle il fianco all'altezza dei reni.

- Non fiatare.

Un sussurro roco uscì dal bavero alzato, e dal cappello che le impediva di vedere bene chi fosse. Anche perché l'uomo era più basso di lei, per guardarlo in volto avrebbe dovuto chinarsi. La mano la guidò verso una via laterale, lontana dal chiasso, buia ed angusta. Tentò di opporre resistenza, ma la presa era salda sul suo muscolo. Decise di lasciarsi guidare e di rilassare il braccio. Si voltò per vedere dove fosse André, ma non riuscì a vederlo.

Lui, dal canto suo, stava sollevando lo sguardo da un odoroso banchetto di spezie, ognuna delle quali occhieggiava da un differente sacchetto di iuta, componendo un decorativo insieme di cerchi colorati. Era contento, in quei giorni lontano da Parigi aveva riposato bene l'occhio destro, riusciva a cogliere tutti i dettagli anche in pieno sole.

- Ascolta, Oscar..Oscar, dove ti sei cacciata?

Si alzò in tutta la sua statura. Vide i capelli biondi allontanarsi da lui, dalla strada intasata di mercanti e mercanzie, la vide rigida, accompagnata da un uomo con un mantello troppo pesante per la giornata primaverile, troppo vicino perché fosse un caso, con il gomito destro che gonfiava troppo la cappa all'indietro per non fare immaginare un coltello in quell'abbraccio.

L'uomo la condusse nel vicolo, troppo sicuro di sé, troppo persuaso che una donna sarebbe stata facile preda. Le lasciò il braccio, ponendosi dinanzi a quella che credeva solo una ricca donna viziata.

Oscar ne osservò i movimenti. Era magro, forse anche agile. Era più basso di lei, ma più vecchio. Il mantello sarebbe stato di sicuro un impaccio, per lui. L'uomo non parlò, passò il coltello nella mano sinistra ed estrasse una spada. Il Comandante non aspettava altro. Sguainò la propria e si mise in posizione di guardia.

Il vicolo era stretto, il duello sarebbe avvenuto forzatamente in parallelo alle case. Il sicario si accorse un istante troppo tardi di essersi messo in posizione di svantaggio. Alle sue spalle, un cancello di legno scuro, mentre alle spalle della sua avversaria, anche se lontano parecchie braccia, c'erano il mercato e la salvezza.

Si guatarono a lungo. Oscar decise che non avrebbe attaccato per prima. Attese che il suo avversario si innervosisse. Era evidente che non si sarebbe mai atteso alcun tipo di resistenza.

Un altro. Uno dei soliti stupidi che pensano che una donna sia una vittima per definizione.

L'uomo attaccò. Era abbastanza abile con la spada, ma la sua posizione non gli permetteva di agire liberamente. Inoltre non aveva l'esercizio costante al quale il Comandante si sottoponeva con regolarità. Dopo un paio di affondi, Oscar gli aveva già toccato il polso, poco più di un graffio, ma sufficiente a farlo sanguinare copiosamente. Un'ombra si parò in fondo al vicolo, oscurandolo ulteriormente.

Non poteva voltarsi a guardare chi fosse, ma lo sguardo preoccupato del suo avversario le diede un'idea sull'identità del nuovo arrivato. L'uomo tento un ultimo assalto alla disperata, sbilanciandosi in avanti nel tentativo di colpirla al fianco. La sua contendente, agile e magrissima, lo evitò agevolmente appiattendosi contro il muro, cosicché il sicario arrivò ad un paio di passi da André, in completo disequilibrio, reggendosi malamente con il piede sinistro, il più avanzato e la mano destra che reggeva la spada talmente mal posizionata da raschiarla contro l'umido muro. Il soldato ebbe gioco facile nel disarmarlo e puntargli la spada alla gola.

Dall'alto del vicolo si udì un rumore di persiane che si aprivano.

Chissà chi sono, sembrerebbe un duello, ma sono troppo eleganti, pare che danzino. E due di loro sono troppo belli per essere dei veri soldati...magari sono arrivati degli attori girovaghi, provano una nuova commedia....

André non sapeva però del coltello. L'uomo alzò la mano sinistra e con una rotazione del busto tentò di colpirlo all'addome, ed il soldato fu costretto ad inarcarsi, contraendo gli addominali, alzando le braccia e quindi lasciando parzialmente la mira della spada sul collo. L'uomo, il cui obiettivo primigenio era comunque il comandante, continuò la rotazione e cercò di raggiungere Oscar.

Dall'alto si udì una voce femminile gridare: -Attento!.

Evidentemente, il rumore aveva attirato una donna curiosa, che sembrava parteggiare per i due bei soldati.

Maledizione! Ci mancava una stupida ad aiutarli!

Oscar non ci mise che un secondo a ferire anche la seconda mano. Allora André gli fu sopra e, nuovamente, puntò la spada alla gola.

La donna dall'alto fece un applauso. André sorrise e, senza mollare la presa sul prigioniero, abbozzò un inchino divertito.

Eh, sì, erano davvero degli attori

Oscar si chinò ansimando. Sciolse la fusciacca che le circondava la vita sottile, e la utilizzò per immobilizzare le mani dell'uomo. Gli sfilò il cappello dalla testa, rivelando una rada capigliatura biondo rossastro. Il nostro sicario di La Pacaudière...

Gli tolse il mantello, controllando che non avesse armi.

- Come vi chiamate?

Silenzio

- Chi vi ha mandato?

Un altro lungo, ostinato mutismo.

- Portiamolo alla Maréchaussée, ci penseranno loro. - Suggerì André.

- D'accordo, rispose Oscar sospirando. Scavalcò il loro prigioniero che, allibito, vide il Comandante poggiare il capo per un momento sul petto del soldato, che le mise una mano sulla schiena con un gesto molto affettuoso.

 

Presolo ognuno per un gomito con la mano libera dalla spada, sollevarono il sicario ferito e lo scortarono per le poche centinaia di passi che li separavano dalla Maréchaussée, tra gli sguardi stupiti delle massaie, dei venditori e dei monelli di strada saltellanti attorno.

Arrivati dinanzi all'edificio, sostarono un attimo sulla scalinata, dove Oscar ne scelse uno magrissimo, scalzo, con l'aria vispa negli occhi nocciola. Tirò fuori una moneta d'argento.

- Ascolta, troverai tre soldati vestiti come lui - disse, indicando André - davanti alla Locanda del Puledro Impennato. Devi dire loro che il Comandante ha avuto un problema, e che farà tardi. Che mi aspettino lì.

Il ragazzetto annuì, e scappò confondendosi immediatamente tra la gente.

 

Il Visconte di Rozières li osservò entrare, decisamente stupito dal terzetto: la donna che aveva incontrato nemmeno due ore prima, accompagnata dallo stesso soldato, che portavano tra loro un uomo magro, con una rada chioma, gli occhi furibondi, sanguinante dal polso destro in maniera abbondante.

- Che cosa é accaduto?

Oscar spiegò brevemente i fatti, ben sapendo che sarebbe comunque stato necessario stendere un rapporto.

Terray diede ordine di rinchiuderlo in una delle cella del seminterrato, e di medicarlo.

- Domani verrà condotto al Castello di Pierre Scize2.

- Potrei parlargli? - Chiese Oscar.

- Più tardi, ora venite dal Colonnello De Coligny, occorrerà stendere un rapporto sull'accaduto.

 

Dopo aver dettato il rapporto, scesero verso le celle, mentre il Colonnello avrebbe provveduto a scriverne le due copie supplementari, che poi Oscar avrebbe dovuto firmare.

L'uomo giaceva su un pancaccio in una cella scura ed umida, illuminata dall'alto da una finestra a bocca di lupo. Voltava loro le spalle. Provarono ad attirarne l'attenzione, ma pareva dormisse. Lo chiamarono più volte. Chiesero al soldato che fungeva da carceriere di aprire la porta per interrogarlo, ma questi rispose che non ne aveva l'autorità.

A quella affermazione, l'uomo rise scompostamente.

- Bene, vi mandano a prendere un prigioniero di cui neanche conoscete il nome, non vi lasciano interrogare chi ha tentato di farvi fuori...bell'ufficiale, siete!

Oscar sentì salire una rabbia sorda.

- Fortunata, però, altrimenti l'altra sera non avreste avuto scampo. Ed abile con la spada, questo ve lo devo. Anche se, senza l'aiuto del vostro soldatino...

- E voi chi sareste, per essere così sicuro di voi? In fondo, non avete portato a termine il Vostro incarico, non mi pare possiate vantarvi molto. Non vi pagheranno, per di più. E marcirete al Pierre Scize.

- Chi mi paga è molto più potente di Voi. Non giurerei sul fatto che le cose vadano come dite.

Dicendo questo, si sistemò meglio sul tavolaccio, voltando loro le spalle e dando evidentemente segno di considerare chiuso l'interrogatorio.

- Non ne caveremo nulla di più. Disse André.

- Forse al nostro ritorno, la prigione lo avrà ammorbidito un poco....

 

In cima alle scale, trovarono l'Intendente Terray ad attenderli.

- Tra pochi minuti il Colonnello avrà terminato, potrete firmare e sarete liberi.

- Molto bene, vi ringrazio. - Rispose Oscar.

- Anche se ormai non credo valga la pena di lasciare Lione in giornata. Meglio partire domattina presto.

- Quand'è così, stasera dovete essere miei ospiti, Voi ed il Vostro attendente! Abito a pochi passi da qui, non sarà difficile raggiungermi. In ogni caso, manderò una carrozza a prendervi.

André sollevò leggermente un sopracciglio, nel sentirsi attribuire il suo antico ruolo.

D'altra parte così appariva agli occhi del Marchese, giacché Oscar si era presentata accompagnata solamente da lui, lasciando gli altri tre sottoposti ad attenderla. Inoltre per Terrray era implicito che una donna, bella per giunta, dovesse avere un attendente che si occupasse di vegliare su di lei.

Sempre che non ci fosse altro, tra quei due. In fondo, si è scelta un attendente decisamente di bella presenza, pensò, guardando André con gli occhi di padre di due fanciulle in età da marito. Stasera Dauphine e Léontine non gli toglieranno gli occhi di dosso.

Le buone maniere imposero ad Oscar di accettare, supportata inoltre dalla considerazione che sarebbe stato meglio avere tutto l'appoggio possibile dall'Intendente.

Dopodiché presero congedo.

 

Tornarono rapidamente alla locanda, dove trovarono i tre soldati serenamente installati presso i tavolini all'aperto della terrasse.

Mangiando, li ragguagliarono rapidamente su quanto fosse accaduto.

Il Comandante si sentiva in leggero imbarazzo nel dire che aveva un invito per la serata, insieme ad André ma senza di loro.

Alain si mise a ridere senza freno.

- Pensate davvero che potremmo offenderci per non essere invitati dall'Intendente! Piuttosto, ci ha fatto un favore! Meglio divertirci a modo nostro, vero, ragazzi?

Gli altri annuirono sollevati.

- Meglio una taverna, senza paragoni!

 

Oscar non aveva ancora concluso i suoi impegni. C'era ancora la lettera di credito da cambiare presso Monsieur Berthollet.

- Ma stavolta andiamo tutti. - Disse un insolitamente deciso François.

E così fecero, nonostante le proteste di Oscar, secondo cui l'unico pericolo era ormai rinchiuso in cella.

 

La sera, la carrozza li lasciò dinanzi ad un palazzo a tre piani, in marmo candido. Un grosso portone sormontato da un timpano triangolare si apriva dinanzi a loro. Timpani alternati triangolari e circolari si alternavano alla finestre del piano nobile, tutte illuminate.

Una grande scala curva li condusse verso le sale di rappresentanza del palazzo, dove furono accolti dal Marchese, vedovo, e dalle due figlie, una fanciulla dallo sguardo timido e grandi occhi nocciola, Dauphine, ed una ragazza dall'aria molto più energica, con occhi e capelli molto più scuri, Léontine.

Quest'ultima decise che André era un soggetto molto interessante ed il suo sguardo non lo lasciò un attimo, nemmeno durante le presentazioni agli altri ospiti.

Oscar la osservava un poco divertita ed un poco risentita. Ultimamente, un ultimamente che cominciava ad essere abbastanza lungo in realtà, le pareva di sentire nei suoi confronti uno strano senso di possesso. E sapeva benissimo che non aveva davvero nulla a che fare con i loro rapporti di lavoro...

I suoi pensieri e gli sguardi di Léontine furono interrotti da un soldato comparso all'improvviso.

- Il prigioniero! Sta molto male! Crediamo sia stato avvelenato!

- Come fate a dirlo?

- L'alito che sa di aglio, i dolori, la diarrea...e ora sta delirando.

André sussurrò: - Arsenico...

 

Dopo aver percorso più rapidamente possibile la breve distanza che li separava dalla Marechaussée scesero nel seminterrato e si trovarono di fronte uno spettacolo atroce.

Sia Oscar che André avevano visto delle vittime da avvelenamento da arsenico, ma non avevano mai visto qualcuno spegnersi sotto il suo effetto.

L'uomo giaceva sul pancaccio, con la pelle ormai già coperta di piccole vesciche, mentre la vasodilatazione già aveva reso le guance pallide ed il naso di un colore rosso innaturale. Il corpo appariva gonfio. Il respiro era mozzo, quasi un rantolo.

Il lezzo dovuto alla diarrea era ormai insopportabile, ma non pareva accorgersene, il delirio aveva lasciato posto al coma che precede la fine.

 

Oscar dovette poggiarsi ad André per riuscire a risalire le scale.

- Cosa ha mangiato?

- Del pane che aveva con sé al suo arrivo...

- Lascio a Voi il compito di indagare, Intendente. Magari, al mio ritorno saprete dirmi qualcosa di più...Quanto alla Vostra cena, vogliate scusarmi, ma...

- Neanche da dire, Comandante, neanche da dire.

Anche l'intendente aveva perso l'appetito.

 

 

 

 

 

1 Un Intendant (che per comodità chiamerò Intendente) come Intendant de police, é incaricato del mantenimento dell'ordine pubblico, comanda la Maréchaussée (corpo di polizia), monitora l'opinione pubblica. È responsabile per i rifornimenti e lo stazionamento delle truppe. Approvvigiona forniture militari. Sorveglia la Milizia Provinciale. All'epoca Antoine Jean Terray, Visconte di Rozières.

2 Il suo nome deriva dalla conformazione della roccia sul quale era edificato, che sembrava divisa in due, ovvero scissa (in francese "scize"). Il castello si innalza sulla Saone, in un luogo dove il fiume precipita tra la collina di Fourvière e della Croix-Rousse. Sul punto più alto si innalzava una torre, adibita nel corso della storia anche a luogo di detenzione

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Capitolo 6
*** Un tetto d'ardesia ***


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Grazie e a tutte per le recensioni, grazie a chi ha messo questa storia tra le preferite, seguite, ricordate. E grazie a chi legge senza commentare.

Non sarebbe divenuta così lunga e completa senza di voi.

 

6. Un tetto di ardesia.

 

Il breve percorso in carrozza sino alla locanda fu silenzioso, interrotto solo dallo scalpitio dei passi del cavallo e dal risuonare delle ruote sulle pietre del selciato.

Il loro respiro era leggero ed inudibile, solo il tintinnare dei puntali metallici delle cordelline1 contro la croce ad otto punte fissata sul petto di Oscar rendeva concreta la loro presenza.

Il breve tratto fu anche pieno di pensieri ed emozioni.

Innanzitutto la preoccupazione: da chi era stato eliminato quell'uomo? Da qualcuno che voleva farlo testimoniare, difendendolo anche con mezzi illeciti? Oppure da un secondo sicario, talmente preoccupato di compiere sino in fondo il lavoro da eliminare un rivale? Un suicidio? Risposte che avrebbero dovuto attendere.

In secondo luogo, la pena pena per quella fine miseranda e miserabile, dolorosa, squallida, ripugnante.

Poi il sollievo, quello di André per la fine della giornata che gli permetteva di riportarla alla locanda intera, ancora una volta.

Ed ancora, la gratitudine di Oscar, per quella presenza salda e costante. Non solo per essere comparsa nel vicolo, la mattina, ma per essere sempre di appoggio alle sue azioni; gratitudine già espressa, per chi con la propria presenza, le permetteva di vivere in quel modo2, gratitudine pensata e non detta, per l'armatura di basso della sua vita, che le consentiva di stare sempre troppo in alto, in quelle note di testa che le erano così naturali3.

Infine, il bisogno di sentire un contatto, in quella sera di orrore, che le fece poggiare la gota sulla manica della giubba di André.

Il tocco leggero sul braccio lo fece voltare verso di lei. Rimase ad osservarla un momento, aggiungendo anche questo alla lista di piccoli gesti incongrui che stava compiendo da qualche tempo a quella parte. Oscar sollevò a sua volta lo sguardo verso di lui, rimanendo immobile per quanto lo permettevano gli scossoni della carrozza sul selciato, tenendo le labbra appena socchiuse, e gli occhi persi in un'espressione che non le aveva mai visto...

André ruotò lentamente il busto cercando di non spostare il braccio su cui lei si poggiava, cercando di non farla allontanare, continuando a fissare quelle labbra così vicine, così incredibilmente vicine alle proprie, che parevano attirarlo con una malia antica, sebbene il ricordo di un maldestro e disperato tentativo di baciarla e dichiararle il proprio amore fosse, mesi prima, sfociato nel peggiore dei suoi gesti.

Nella mente di lei stava galleggiando lo stesso ricordo, la memoria di un gesto tormentato, di un amore tanto soffocato da diventare crudele, eppure quello che le sovveniva erano la morbidezza delle sue labbra ed il sussurro carezzevole della sua voce "Ogni volta che un respiro esce dalle tue labbra proibite qualcosa di bruciante mi invade il corpo e il mio cuore non può trovare pace...". Avrebbe voluto fargli capire che qualcosa stava mutando da allora, che forse non erano più davvero proibite. Avvicinò leggermente il proprio viso a quello di lui...e la carrozza si arrestò all'improvviso, con un leggero scossone.

Udirono la voce del cocchiere:

- Siete arrivati.

Scesero in silenzio, in silenzio entrarono, ed in silenzio salirono le scale.

Da anni si nutrivano di silenzi. Alcuni rabbiosi, altri un poco impacciati, silenzi complici e silenzi alcolici. Silenzi utilizzati per non mentire, ed altri che erano peggio di una falsità. Silenzi attoniti, silenzi che ordinavano, che ferivano. Questo era un silenzio come non capitava da anni. Un tentativo di comprendersi, di capire esattamente le intenzioni dell'altro, per non ferirsi a vicenda, per non farsi del male da soli.

Oscar saliva le scale senza peso, senza quasi far risuonare il legno, che rivelava la sua presenza solo attraverso leggeri cigolii. André la seguì sino alla porta della sua camera, l'ultima delle tre assegnate loro. Avrebbe dovuto darle la buonanotte, ma le parole avrebbero interrotto quella situazione così meravigliosamente anomala, e pareva che anche lei la pensasse allo stesso modo, poiché non aveva ancora posto la mano sulla maniglia di ottone della porta laccata di bianco.

Anzi, si era poggiata con la schiena al montante.

Si fosse trattato di chiunque altra, André avrebbe pensato ad un invito esplicito. Ma Oscar non sapeva gestire questo tipo di situazioni, anche se a Corte aveva avuto modo di vedere decine, se non centinaia di corteggiamenti e tentativi di seduzione.

Eppure, qualcosa stava accadendo tra loro. Non era in grado di spiegarselo razionalmente, ma uno strano flusso di sensazioni, di emozioni, una corrente come quelle che nei laghi creano piccoli vortici si stava insinuando tra i loro occhi, stava creando un'atmosfera differente, tesa e rilassata nello stesso tempo, piena di qualcosa che poteva solo definire desiderio.

Mosse un passo verso di lei, che non si mosse, né tentò di sfuggirgli. Un altro passo e furono vicinissimi, tanto vicini che il respiro di Oscar gli muoveva lievemente una ciocca di capelli posata sulla spalla. Si trovò ad avere quello sguardo azzurro fisso nel proprio. Non vi leggeva alcun timore. Si chiese che cosa leggesse lei nel suo.

Si avvicinò ancora, posando infine le labbra sulle sue, e poggiandole le mani sui fianchi magri, con i palmi sul bacino. Oscar lo allacciò invece dietro il collo. Assaporò la morbidezza di quelle labbra che le erano rimaste impresse nel cuore e nei sensi, dopo quella sera sventurata. Le pareva che volessero non solo baciarla, ma prendere completamente possesso del suo essere.

André la tirò con le mani, per fare aderire i due corpi. Oscar si ricordava un abbraccio caldo, che la circondava e la stringeva completamente, questo era diverso, meno amoroso e più sensuale. Le passò rapidamente nella testa il pensiero che questa parte di lui le era completamente sconosciuta. D'altra parte, anche questa parte di sé le era abbastanza estranea.

Il bacio stava cambiando aspetto, non era più una dichiarazione d'amore, non era una presa di possesso, stava diventando una richiesta, un bisogno.

 

Udirono un rumore, dei passi di pesanti scarpe chiodate da militare su per le scale, ed un vociare allegro e scomposto. Si staccarono rapidamente, sentendo arrivare i tre soldati. Ad Oscar pareva di essere tornata bambina, quando doveva nascondere le marachelle combinate con André al precettore, alla nonna od ai genitori...le scappò da ridere, guardandolo negli occhi da sotto in su come molti anni prima.

Fu così che li videro i tre militari, con un buffo sorriso sui volti.

- Allora la serata é stata un successo! Dico bene?

- Insomma...il nostro sicario é morto.

- Come? Quando?

- Avvelenato. Sentite, non mi va di discuterne qui. Parliamone domani, lontani dalla città e da qualsiasi orecchia ci possa sentire.

- André aggiunse: - E secondo me sarebbe meglio essere a Grénoble entro dopodomani sera. Visto ciò che è accaduto, meglio fare il più in fretta possibile.

Si salutarono e rientrarono nelle stanze.

 

Quindi la nostra Generalina non è poi così senza macchia come diceva il Duca...pensò uscendo dal ripostiglio della biancheria. Potrebbe tornarmi utile... per ora lasciamo che abbassino la guardia. Tutti quanti.

 

André giaceva sul letto a con le gambe distese, la caviglia desta su quella sinistra, e le mani intrecciate dietro la nuca, in una posizione che il suo vicino di branda aveva ormai imparato a conoscere.

- E' stato tanto orribile?

- Eh? - Rispose un André tirato fuori a forza da altri pensieri.

- Il morto avvelenato, dico. Deve essere una cosa abbastanza spaventosa.

- Non sai quanto. Disgustoso, pietoso, schifoso, anche. Non si é suicidato. Nessuno si infliggerebbe da solo un tormento simile. Meglio una dose massiccia di noce vomica, o il laudano. Quindi secondo me è stato eliminato. Non so se per noi sia un vantaggio od un pericolo...Adesso dormiamo, domattina si partirà presto. - Tagliò corto André.

Alain tacque, lasciandogli il silenzio necessario per ripensare a quanto era accaduto non in prigione, ma nel corridoio appena oltre la porta. Per riassaporare il contatto sulle labbra, per risentire il suo corpo vicinissimo a quello di lei, fianchi contro fianchi, e per ricordarsi che gli aveva stretto le braccia al collo, avvicinandolo anziché respingerlo.

Mai come ora la condivisione forzata di tempi e spazi della vita militare gli stava stretta. Avrebbe voluto essere solo, per poter rivivere le cose con calma. Od andare da lei a parlare, ma per comunicare a con calma avrebbe dovuto attendere chissà quanto tempo...

 

Nella stanza accanto, Oscar era seduta sul letto, scalza, stringendosi le ginocchia al petto mentre guardava fuori dalla finestra uno spicchio di luna calante.
Ma cosa ho fatto? L'ho fatto davvero? Non stavo così bene da anni, però...però lo amo davvero? E' amore questo. Non assomiglia in nulla a quello che provavo quando dicevo di Amare Fersen, O era quello a non essere amore?
L'amore é anche questo turbamento che mi attanaglia le viscere? O questa é solo lussuria? O una cosa che ho fatto perché ho visto la morte in faccia?
E se sbagliassi? Se perdendomi dietro a queste emozioni mettessi in pericolo me, lui, gli altri, la missione? Posso davvero permettermi di mescolare le cose?
Perdermi adesso nei tormenti del mio cuore? Non è il momento più sbagliato di tutti? Non dovrei pensare alla sicurezza della missione? Sono solo e soltanto una donna, che non riesce a ragionare lucidamente?
Eppure...eppure sono così felice. Avevo quasi dimenticato come ci si sente ad essere felici...

Il mattino dopo partirono presto, ed al galoppo leggero. Ancora sessantacinque leghe li separavano da Briançon, l'ultima città fortificata francese. Ad un buon passo, cinque giorni di viaggio. Avrebbero dormito nel punto in cui li avesse colti il tramonto, senza rallentare l'andatura per rimanere nei pressi di qualche locanda, e se avessero dormito in tenda avrebbero istituito dei turni di guardia.
Quando il sole fu alto, allo zenit, si fermarono per riposare e consumare un pasto leggero.
André ragguagliò tutti sui dettagli dell'accaduto alla prigione.
- Possiamo essere abbastanza sicuri di un omicidio, direi. L'arsenico, poi, sembra essere il veleno più diffuso...
- Se é stato qualcuno che voleva eliminare un sicario inadatto, ci dobbiamo aspettare altri attacchi, verso di noi, da parte di qualcun altro che vorrà farci fuori prima che arriviamo al Forte. - Riassunse Alain per tutti.
François suggerì: - E se invece ci fosse qualcun altro che vuole farci raggiungere il prigioniero, e trama nell'ombra per aiutarci?
- Mi sembrerebbe strano, in realtà, ma non possiamo trascurare nemmeno questa ipotesi. In ogni caso, meglio stare molto in guardia.
- E' per il pericolo, che eravate così arrabbiata per questa missione? Anche con quel Conte che abbiamo incontrato lungo la strada? - Chiese Gérard.
- Non solo...é che quando ci sono missioni pericolose, chiamano sempre i reggimenti in cui siete arruolati voi figli del popolo, e non mi pare giusto. Poi, il Generale Bouillé mi aveva detto che era stato, diciamo, suggerito a quel Conte di offrirsi volontario...visto che Sua Maestà aveva creato un reggimento speciale per lui, come gesto di fedeltà e ringraziamento. A quanto pare, lui come Girodelle della Guardia Reale hanno trovato più comodo rimanere a Parigi.
Rispose Oscar, con una leggera acrimonia nella voce.


Per tutto il giorno proseguirono sulle strade fiancheggiate da campi, alberi e radure. La prima notte in tenda fu tranquilla, nessun rumore tranne qualche volpe curiosa attratta dai loro avanzi. I turni di guardia da due ore permisero a tutti di riposare quasi a sufficienza, ed il secondo giorno iniziò secondo ottimi auspici.
Il ricordo di quella morte orribile si faceva più lontano nelle menti di Oscar ed André, ed i due soldati più giovani stavano recuperando allegria e voglia di chiacchierare, soprattutto François, timido, ma desideroso di amicizia, e che cominciava a sentire un poco di nostalgia della sua numerosa famiglia.
La sera, sedettero di fronte al fuoco su cui arrostiva il pane a fette spesse, sul quale avrebbero posto il formaggio preso a Lione. André aveva recuperato nei paraggi alcuni funghi, i primi che nascevano a maggio, che chiamava Morchelle e che Gérard chiamava Pungole. Stavano cuocendo in una piccola gamella poggiata su tre grosse pietre.
François si mise a raccontare di aver comprato a Lione della stoffa per vestire i fratellini, lasciando intendere che aveva un poco di nostalgia per la sua numerosa famiglia.
- Uno dei motivi per cui sono stato contento di questa missione, oltre al fatto di poter vedere posti che sennò non avrei nemmeno potuto avvicinare, é la paga doppia. Per i miei genitori sarà una benedizione.
Oscar guardò quel ragazzino magro, il cui misero soldo aiutava a sostenere a stento un folto gruppo familiare di cui parlava spesso con grande affetto.
- Ma tu, André, non ne hai fratelli?
- Ne avrei avuti, in realtà. Un fratello che é morto prima che nascessi, ed una sorellina, che era malata e morì quando avevo due anni. Non me la ricordo, però, se non attraverso i racconti che mi facevano mia madre e mia nonna.
Non era un discorso che affrontasse facilmente, gli procurava ancora un dolore sordo nel petto. Oscar pensò che, per aprirsi così, doveva davvero fidarsi dei suoi nuovi amici. Volle sviare l'attenzione da quel ricordo triste.
- Sapete che la mamma di André era così bella che un pittore l'ha voluta come madonna in una chiesa?
- Davvero? Chiese François, tutto eccitato all'idea.
- Sì, nella parrocchia di Anzin-Saint-Aubin, non troppo lontano da dove vivevano quando stavano in Normandia. Io l'ho visto, quel dipinto.
André si stupì non poco che Oscar avesse ricordato quel dettaglio. Non sapeva se prenderlo come un'ulteriore segno di avvicinamento.
Avrebbe dovuto parlarle al più presto.
Ma la sera e la notte trascorsero senza il tanto sospirato confronto.

Il terzo giorno proseguì come i due precedenti, forse con qualche chiacchiera in più durante il tragitto. Il gruppo stava diventando sempre più cameratesco e, nello stesso tempo, si stava insinuando nelle loro menti che forse il sicario era stato ucciso da qualcuno che aveva a cuore la loro missione ed il prigioniero 121.
Superarono Grénoble nel pomeriggio. Quando oramai sarebbe stata ora di pensare ad un accampamento, grosse nuvole si radunarono all'orizzonte, scure e gravide d'acqua. Si preparava un temporale peggiore di quello che li aveva infradiciati la settimana precedente.
Le prime gocce, grosse come acini d'uva, li colsero lungo la strada, nei pressi di un viottolo laterale che conduceva, qualche centinaia di passi più a destra, verso una misera fattoria. Pensarono di chiedere riparo.
La fattoria era costituita dall'abitazione e da una stalla che fungeva anche da fienile. Entrambe le costruzioni erano in pietra grigia, con il tetto in lastre di ardesia. Il tutto aveva un aspetto desolatamente povero. Bussarono alla porta della casa, che venne aperta da una donna giovane, ma sciupata, con un liso abito di cotone grosso. Alle sue gonne si stingevano cinque bimbetti dai varia età, da uno che a malapena si reggeva in piedi ad uno che poteva avere una decina d'anni.
La donna era decisamente intimorita dalle divise. Temeva un furto di cibo, soprusi, forse anche peggio.
Fu Oscar a spiegare che cercavano solo un riparo per la notte, all'asciutto, lontano da quel diluvio che si annunciava interminabile. Quando prese dalla sacchetta una moneta d'argento per ripagarli del disturbi di occupare il fienile, la donna si scostò immediatamente per accoglierli. Mandò il bambino grande a prendere la legna, li fece entrare in quella che era una grande cucina con un lungo tavolo e alcune sedie dall'aspetto antico. Persino per i tre soldati parigini, la grande stanza col pavimento in terra battuta, le finestre piccole che la rendevano buia, il camino annerito rappresentavano un'indigenza a loro sconosciuta.
La donna li invitò a sedersi, ed a mangiare con loro. Si affaccendò con delle uova, ed in poco tempo riuscì a produrre un'invidiabile frittata con le erbe dei boschi, offrì pane di segale e formaggio di capra. Oscar era a disagio, le pareva di aver tolto il cibo di bocca a quei bambini.
La donna li invitò anche a dormire nei loro letti, ma declinarono. Un poco per non eccedere nell'invadere quella casa, in parte per aver dato un'occhiata a quei letti di stoppie le cui lenzuola parevano lì da tempo immemorabile. Preferirono dormire nel fienile, sebbene il fascino di riposare su quei mucchi profumati fosse, pensò Oscar rigirandosi per la decima volta, decisamente sopravvalutato nei libri sentimentali che tanto amavano le sue sorelle.
Non istituirono turni di guardia, chiunque li avesse seguiti sarebbe stato scoraggiato da quel temporale tremendo.
Rimase a lungo sveglia a guardare il tetto di travi grezze sovrastate dalle lastre di ardesia. I soldati avevano fatto in modo da dormire lontani da lei, nonostante ciò le pareva di sentire la presenza di André accanto a lei, come un solido fantasma, che le impediva di prendere sonno. Il tamburellare della pioggia era divenuto uno sgocciolio, decise di alzarsi e guardare fuori. Doveva schiarirsi le idee, le pareva di essere in un momento in cui i suoi problemi la stessero portando lontano dalla missione...



1 Dal Ministero della Difesa: "Le cordelline constano di una treccia in canutiglia, con i capi di cordone semplice attorcigliati nel mezzo e guarniti di puntali metallici. Tale treccia pende, per i suoi due capi, a lunghezze ineguali dalla spalla al braccio destro. Una linguetta metallica a spilla, che fissa la treccia alla spalla destra, suddivide le cordelline nei due tratti ineguali." -  Nota speciale per Tixit.

2 Citazione dal manga.

3 Autocitazione da "E va bene così...senza parole".

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Capitolo 7
*** Non sarà troppo? ***


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7. Non sarà troppo?

 

Oscar scese la scaletta del fienile ed uscì dalla porta male in assetto sui cardini. Non pioveva più, ma la notte era molto scura. La luna era quasi del tutto scomparsa, l'indomani sarebbe stato luna nuova. Pessima cosa, per montare le guardie. Pensò. Solo alcuni frammenti di cielo stellato si intravvedevano tra le spesse nuvole.

Sospirò. Era molto stanca, ed un'altra notte di sonno cattivo non le ci voleva proprio, avrebbe dovuto trovare un modo per chiarirsi con se stessa, altrimenti avrebbe perso la lucidità, in quel momento così necessaria.

Udì un cigolio alle spalle. Era André che la stava raggiungendo. E che, al contrario di lei, aveva avuto la saggia idea di mettersi un mantello1. Quel maggio imprevedibile aveva mutato in una notte fresca il calore opprimente di quelle giornate.

Ecco, ho perso ogni speranza di recuperare un minimo di lucidità. Pensò Oscar.

André l'aveva seguita in un moto improvviso, senza una decisione razionale dietro al proprio gesto. Sperava di poterle strappare una frase che mettesse qualche punto fermo alla situazione, anche se con poca convinzione. Conosceva la ritrosia di lei ad imprigionare con le parole sentimenti che non le erano del tutto chiari.

- Non riesci a dormire?

Oscar scosse la testa in segno di diniego, muovendo i riccioli sulle spalle. Un brivido di freddo le fece scuotere involontariamente le scapole. André le si avvicinò di spalle, allargando il mantello e nascondendola al di sotto.

Fu il primo a stupirsi del proprio atto, non era da lui forzare verso un contatto, soprattutto da quando aveva combinato quel disastro una notte di febbraio... gli parve che il suo corpo si muovesse dotato di una volontà propria ultimamente, compiendo gesti che gli sfuggivano.

Oscar ebbe un pensiero simmetrico, accoccolandosi all'interno di quell'abbraccio che, stavolta sì, le ricordava una stretta di febbraio, mentre sentiva la propria schiena aderire al torace caldo che le offriva appoggio, con l'impressione che il suo corpo agisse sotto una spinta che le era estranea, muovendosi prima che la mente avesse modo di giudicare e vagliare.

Eppure, lì, nell'aia di una misera fattoria spersa nel nulla, tra le sue braccia, si sentiva a casa come non le accadeva da tempo. E comprese che quello non era altro che amore. Non era lussuria, come aveva temuto. Non amicizia, come aveva creduto per anni. Nemmeno affetto fraterno, come per lungo tempo le aveva fatto comodo pensare. E neppure, un innamoramento nuovo. Era qualcosa che c'era da molto, molto tempo, si disse. Ma che non aveva saputo e voluto vedere. E che aveva tenuto nascosto ad entrambi, costringendo André per troppo tempo in una sofferente terra di nessuno.

Forse era il momento per farglielo sapere...

Si voltò per guardarlo in volto, senza forzare per uscire da quella stretta gentile. Si fissarono a lungo. Trattenendosi dalla tentazione di baciarlo, con la voce un poco oscillante, ma con un tono sicuro di quanto affermava, iniziò a parlare:

- Ho capito delle cose, negli ultimi tempi. Innanzitutto che sono stata una stupida egoista.

Sospirò e prese fiato chiudendo gli occhi.

Dillo, dillo, dillo! Se devi dirmelo, fallo ora, non ti perdere nei tuoi giri di parole che sono peggio dei tuoi silenzi....

Pensò André che attendeva il resto con un misto di eccitazione e terrore.

- E poi...ho capito che...ti amo.

Concluse in un soffio.

Andrè si sentì come se i lacci e le catene che gli avevano trattenuto l'anima per anni andassero di colpo in frantumi. Non rispose. Non ve ne era bisogno. La serrò ancora più saldamente tra le braccia e la baciò.

Un gesto che era insieme promessa e liberazione. Dono di sé e presa di possesso. Dichiarazione e richiesta.

Sentiva tra le sue braccia quella schiena esile, il petto che si poggiava al suo torace, le mani di lei sulle scapole, poggiate in un languido abbandono che non conosceva, una morbidezza di gesti che il suo vivere da soldatino non le aveva mai concesso di avere.

Oscar invece si stupiva di quanto si sentisse felice, protetta e compiuta in quell'abbraccio che la cingeva completamente, che pareva fatto e creato apposta per lei.

Si baciarono ancora, ed ancora, nel buio di una notte di montagna e nel tepore di un mantello scuro. Si baciarono fino a che le parve di avere preso una piacevole abitudine che non avrebbe più dimenticato.

Si baciarono fino a che entrambi ebbero chiaro che avrebbero voluto andare oltre. Ma non in quella situazione precaria.

Oscar si sentiva quasi spaventata da se stessa, era una situazione che non conosceva, mai aveva dovuto fare i conti con il proprio desiderio, così concreto, così rappresentato da una debolezza che le piegava le ginocchia e le stringeva l'ombelico. Non aveva mai sentito così concreta la necessità di sentire la pelle di qualcuno sotto le proprie dita, la voglia che altre labbra, così vicine, assaporassero le sue ancora ed ancora, il fremito del suo corpo racchiuso tra due braccia solide, la consapevolezza di essere desiderata.

Andrè, fin troppo consapevole della propria bramosia, ascoltava tutte le sensazioni che gli venivano dal proprio corpo, con tutti i sensi all'erta. Il freddo della notte che gli mordeva le caviglie nude, il canto indisponente di un assiolo nel bosco, il fruscio lieve della stoffa pesante del mantello. Ed il calore di quel corpo così stretto al suo, il leggero cedere di lei che si lasciava reggere dalle sue braccia, la pelle che solo un tessuto leggero separava dalle sue dita, il lieve sentore di acqua di rose che ormai l'accompagnava ovunque. I respiri tenui sul suo collo, le labbra di lei poggiate su una clavicola, il solletico dei capelli che lo invadevano.

Si separarono per coscienza di quanto stava per accadere.

Oscar prese la mano di lui, e se ne portò il palmo al viso. Poi si sciolse dall'abbraccio e dal mantello, scivolando veloce all'interno del fienile.

 

Alain udì un rumore che lo risvegliò del tutto da un sonno faticoso, in quel mucchio di fieno troppo caldo e troppo scomodo.

Aprì gli occhi senza muoversi e vide una figura sottile risalire la scaletta a pioli e tornare nell'angolo opposto. Stava per archiviare quanto visto sotto la voce "necessità primarie" quando si avvide che nel loro angolo di fienile erano rimasti in tre.

Guarda guarda...domani avremo di che chiacchierare, con André.

E si girò sul fianco con un sorriso sornione.

 

 

Il mattino seguente Oscar scese di buon'ora dal fienile. Trovò ad osservarla uno di quei silenziosissimi bambini, il maggiore. Lo guardò con attenzione: i piedini scalzi e neri, le manine già screpolate, le braccia magrissime sotto una camicia troppo grande e troppo sottile. Si frugò in tasca e gli diede un'altra monta d'argento. Il ragazzino non ringraziò e corse in casa velocissimo, quasi timoroso che quello strano soldato vestito di blu cambiasse idea.

- Non sarà troppo, quello che gli avete dato? - Una voce la riscosse dalla contemplazione del bambino.

- Troppo per quello che ci hanno offerto, certo, Alain. Ma guardali. Nulla è troppo per chi vive così. Ora preparatevi, voglio arrivare a Briançon il più presto possibile.

Alain pensò una volta di più che il Comandante aveva una logica tutta sua, e si allontanò verso i cavalli, attorno ai quali Andrè stava trafficando con selle e finimenti.

- Dormito bene?

- Come un bambino. - Rispose André senza scomporsi.

- Nonostante le passeggiatine all'aria aperta? O proprio per quelle? - Insisté Alain, col suo tono più scanzonato.

André alzò la testa di colpo. Ammutolito. Pensò che una risposta avrebbe potuto mettere nei guai Oscar. Ci mancava Alain, accidenti!

 

Una nuova giornata di viaggio trascorse simile alle precedenti, anche se ora il fatto di sapere che il confine era vicino rendeva tutto più concreto e dava una data alla fine di quel percorso interminabile. La sera montarono le tende in una minuscola radura accanto ad un folto d'alberi, ai quali legarono i sei cavalli.

Erano tutti stanchissimi, per il dormire male, le guardie, le cavalcate che sforzavano i muscoli delle gambe e della schiena, le tende da montare, i cavalli a cui badare.

Anche le bestie erano sfinite dalla salita, dal peso dei cavalieri. Masticavano lente l'erba e la biada che André e Gérard avevano preparato per loro. Gérard aveva una buona indole, ed il suo carattere pacato lo rendeva adatto ad occuparsi dei cavalli.

Quattro mantelli bai, il sauro di André ed il cremello di Oscar si riposavano pacati legati ai rami bassi.

I soldati dormivano nelle loro tende, a parte Gérard, a cui era toccato il secondo turno di guardia. Un turno pressoché inutile. La notte era molto scura a causa della luna nuova, si riusciva a vedere solo ciò che veniva illuminato dal falò acceso nel cerchio delle tende.

Non si avvide di una figura scura che si avvicinò silenziosamente ai cavalli, e con un ferro allentò un chiodo allo zoccolo anteriore di due animali.

 

Si stavano rapidamente avvicinando alla città fortificata di Briançon, dove pensavano di poter riposare tranquillamente un paio di giorni. Avevano già superato Chantemerle, ed erano presso il bivio che portava verso Embrun, si trattava di un paio di leghe al più. Sarebbero giunti entro il tramonto. Avevano già perso tempo perché il cavallo di François aveva perduto un ferro durante la mattinata.

Avevano però con loro alcuni ferri nuovi di ricambio ed il minimo degli attrezzi indispensabili. Di nuovo André ed Oscar avevano da un lato ringraziato il Generale e dall'altro allibito i soldati raccontando che quest'ultimo aveva preteso che entrambi avessero almeno un'idea di come si potesse cambiare un ferro in condizioni precarie.

All'epoca la cosa aveva scatenato l'ilarità degli altri ufficiali Suvvia, Augustin, non siamo più nei secoli bui del medioevo, quando ad ogni aspirante cavaliere si richiedeva di saper ferrare! Ma il Conte Jarjayes aveva in effetti partecipato a più di una campagna, e sapeva cosa poteva voler dire trovarsi con un cavallo sferrato quando si era lontani da ogni villaggio...come ora. Quindi aveva insistito. Che suo figlio fosse il migliore tra i soldati del regno, che sapesse fare tutto, o quasi.

In una svolta particolarmente pietrosa della strada, fu Droit, il cavallo di Alain, a perdere un ferro.

Oscar iniziò subito a lanciare improperi contro Antoine Druot, il maniscalco della Caserma, ma André la interruppe:

- Già stamattina avevo un dubbio, ma a me ora sembra davvero che il chiodo sia stato allentato...vedi questo piccolo segno?

I cinque cavalieri si guardarono esterrefatti: allora qualcuno durante la notte si era avvicinato tanto da arrivare ai cavalli!

Non ebbero tempo di commentare, perché una pallottola, che pareva giunta dalla direzione di Embrun, prese Gérard di striscio2 alla spalla sinistra. Si buttarono a terra, prima di sentire il fischio di un secondo proiettile. Difficilmente sarebbe partito un terzo colpo.

Prima che potessero fermarlo, François saltò sul proprio cavallo e partì in direzione del presunto sicario.

- Françooooiiiis! Torna indietro!

Gli gridò il Comandante, ma era troppo tardi. Anche Oscar montò sulla propria cavalcatura, e partì nella stessa direzione, urlando:

- Voi restate qui.

André non provò nemmeno ad obbedire agli ordini. Salì Su Alexandre e si lanciò all'inseguimento.

Solo il ferito Gérard e l'appiedato Alain rimasero ad attendere nei pressi del bivio, mentre le ombre si allungavano e la notte senza luna stava per incombere.

 

Vedendosi inseguito, l'uomo raggiunse velocemente il proprio cavallo e iniziò una corsa pericolosa lungo il sentiero in discesa che scendeva da Briancon costeggiando il fiume Durance, incassato tra le montagne. Non pareva esserci traccia di abitazioni, ma sapeva che presto avrebbe incontrato la miniera3. Sarebbe stato sufficiente entrare nei cunicoli per sottrarsi alle ricerche, e nello stesso tempo tendere un agguato a quei soldati.

Arrivò alla miniera d'argento al tramonto, legò il cavallo velocemente, senza preoccuparsi di nasconderlo, anzi: sarebbe stato un'esca perfetta. Entrò e si avviò nei cunicoli, dopo aver acceso una lanterna con il proprio acciarino.

 

 

 

 

 

 

 


1 Sono in missione, quindi hanno anche abiti civili; ma il mantello non era contemplato per i soldati semplici.

2 Non è che il sicario sia particolarmente imbranato, ma all'epoca la precisione di mira era un concetto molto più elastico del nostro, causa la meccanica delle armi. Inoltre ogni arma andava ricaricata con un procedimento lungo, prima di poter effettuare un altro tiro.

3 Le miniere di Argentière-la-Bessée, conosciute dal medioevo, ed in seguito abbandonate. Nel 1785 ritentarono di renderle produttive, ed all'epoca del racconto vi erano impiegati circa 60 minatori.

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Capitolo 8
*** A tentoni ***


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8. A tentoni.

 

François giunse sul posto per primo, legò rapidamente il cavallo e si inoltrò nell'apertura mentre il sole moriva ad ovest. Vide, appena oltre la soglia, la rastrelliera con le lanterne rave1, ne prese una e dopo alcuni tentativi riuscì ad accenderla.

 

Alain e Gérard, dopo aver provveduto a medicare quest'ultimo, si prepararono ad una lunga attesa. Fuori discussione cavalcare in una notte così buia, quindi sapevano che sino all'alba non avrebbero avuto notizie degli altri tre.

 

Anche Oscar ed André arrivarono di lì a poco. Il sole era ormai tramontato, solo un poco di luce crepuscolare permetteva di vedere qualche contorno. Trovarono anch'essi le lanterne, decidendo di prenderne una sola. Si ad addentrarono nella miniera, alla ricerca del sicario e del soldato. André precedeva, con la lanterna nella mano sinistra, ed una Pistola nella desta. Oscar aveva invece sfoderato la spada.

Si trovavano in un cunicolo in discesa. Non si udiva alcun rumore, ad eccezione dei sassolini che scricchiavano sotto le loro suole, e del tenue sfrigolare della fiammella. Il debole chiarore non illuminava che un paio di passi oltre la lanterna. Più di una volta superarono dei passaggi laterali, dai quali arrivavano correnti d'aria gelida. La coscienza di essere in uno spaventoso dedalo buio si stava facendo macigno nelle loro coscienze. Senza avere idea dell'estensione della miniera, sapevano che avrebbero potuto perdervisi senza mai venire ritrovati.

Camminarono per un tempo indefinito. Dieci, cento, cinquecento passi? O mille? Il percorso non era lineare, curve e pieghe tracciavano una strada casuale, scavata da generazioni di piccole esplosioni causate dall'abattage au feu2. Incrociarono numerose gallerie laterali, videro anche dei piccoli laghi. Non lo sapevano, ma stavano procedendo sotto il letto del fiume, che talvolta allagava i pozzi e gli scavi.

Ad ogni nuova diramazione laterale, tendevano le orecchie per udire tracce del sicario, ma nulla. Solo il lento sgocciolio delle infiltrazioni, ed i propri respiri, pesanti in quell'aria greve. Dopo altro tempo trascorso nel cunicolo, udirono un leggero ansito. Ma non videro nulla. Avanzarono ancora più lentamente, cercando di far tacere i sassolini polverosi che tradivano i loro passi. La lampada illuminò una figura distesa. Era François, steso a terra con la spada caduta al fianco, la lanterna spenta ed un rivolo di sangue che colava da una tempia.

Gli si inginocchiarono accanto.

- Cosa é successo?

- L'ho visto, l'ho rincorso, ed abbiamo iniziato a combattere. Poi ho perso la lampada, non so se mi abbia spinto o se sono inciampato, comunque sono caduto ed ho battuto la testa. Ma non va troppo male.

Gli riaccesero la lanterna.

- Non so da che parte sia andato. Può essere davanti o dietro di noi...

- Noi non l'abbiamo superato od incontrato. - Disse André.

- Quindi dovrebbe essere avanti a noi, sempre che questi dannati cunicoli non si chiudano ad anello.

Riaccesero la lanterna di François, ma non avevano acqua per pulire la ferita, non grave, ma sporca di terra e polvere di quarzo.

Si trattava di prendere una decisione. Seguire il sicario, in quel labirinto, rischiando di perdersi, o tornare indietro e sparare di bloccargli l'uscita?

Discussero un poco sottovoce, soppesando rischi e vantaggi. Lo stato di François e l'assoluta ignoranza del luogo fecero propendere per il ritorno verso l'uscita.

Si incamminarono lentamente, Oscar davanti con la lampada, ed André che sorreggeva il compagno ferito, leggermente indietro. Ogni tanto si fermavano, con le orecchie ben tese in ascolto di eventuali rumori. Ma, a parte il loro fiato, sempre nulla. Eppure, mentre camminavano, ad André pareva di udire un suono di passi lontani. Si chiedeva se fosse un gioco di echi, o se qualcuno li stesse seguendo. Ma appena si fermavano, anche il rumore pareva tacere, quindi probabilmente i trattava davvero di un'eco.

Poi udirono un suono diverso. Ricordava il rumore dei grossi ciocchi nel camino della grande cucina della Caserma. Lontano, ma amplificato dal risuonare nelle gelide pareti di quarzite. Procedettero. Era senza dubbio il suono di legna che ardeva. Avevano visto in alcuni punti grosse cataste di legna, il cui scopo non avevano indagato.

Dopo una svolta verso sinistra, videro un chiarore provenire da un cunicolo distante una ventina di passi. Oscar sguainò la spada, André riprese la pistola, lasciando che François camminasse reggendosi alla parete.

Temevano un attacco diretto, nessuno di loro conosceva le tecniche di estrazione dell'argento.

Fecero ancora qualche passo. non videro nessuno.

Avanzarono un altro poco. L'uomo non si vedeva.

Si portarono quasi all'altezza del ramo laterale. Oscar guardò dentro. Non comprese esattamente cosa stava vedendo, ma l'istinto le disse che la cosa non era per nulla buona.

- Veloci, in fretta! Passiamo, passiamo! - Riuscì a dire con una voce stridula.

Erano appena passati, quando un cigolio della roccia annunciò l'irreparabile. Un grosso boato, e migliaia di frammenti di roccia appuntita uscirono volando dal cunicolo, scagliati contro la parete di fronte, e pronti a sfogare verso le due direzioni dello scavo principale.

Li colsero in pieno, come sassi aguzzi che li colpirono creando un dolore sordo, come schegge, che colpirono soprattutto il povero soldato già ferito, come polvere graffiante che urticava le mani ed il viso, li soffocò una farina che si insinuava in gola e negli occhi. L'onda d'urto aveva spento le loro lanterne.

 

Si costrinsero ad avanzare. A tentoni, per togliersi da quell'angolo di inferno il più in fretta possibile. Avrebbero riacceso dopo le lampade. Tossendo, inciampando ed imprecando, percorsero ancora un centinaio di passi. Poi, sulla destra notarono un'apertura, una specie di camera circolare, del diametro di una decina di passi. Entrarono e vi si accasciarono. Cercarono di pulirsi il viso, e di sputare via la polvere, lasciando che le lacrime lavassero gli occhi.

La divisa di François era tagliuzzata in più punti, le gambe erano piene di schegge. Sicuramente, tra i tre era quello messo peggio.

- Non possiamo restare qui.

André cercò a tentoni nelle tasche l'acciarino, recuperò una delle lampade, mentre la seconda si era rovesciata nella concitazione del momento ed aveva perso l'olio e la accese.

 

L'uomo uscì nella notte stellata. Quando udì il suono dell'esplosione, prese le redini del cavallo e si incamminò pazientemente verso il villaggio a valle. Troppo buio per cavalcare. Avrebbe scoperto l'indomani cosa fosse successo. Se sono morti, meglio, ho finito. Se no, comunque staranno per un bel po' a Briançon a leccarsi le ferite, e potrò agire indisturbato.

 

Cominciarono ad avanzare lungo un percorso che pareva essere quello da cui erano entrati. Largo, relativamente diritto, e con una pendenza verso l'alto. Camminarono per qualche centinaio di passi, per poi ritrovarsi in una specie di sala, tondeggiante, con il fondo coperto d'acqua. Una via senza uscita. Ripercorsero a ritroso il corridoio, videro alla loro destra una svolta che avevano tralasciato. Doveva essere quella, la via d'uscita. Dopo poche decine di passi, la via si fece tortuosa e capirono di aver sbagliato ancora.

E ancora. E ancora. Persero il senso del tempo. L'orientamento se n'era andato da un pezzo. Erano sfiniti. Dovevano uscire, respirare aria pulita, e trovare un sorso d'acqua.

Continuarono la marcia nell'oscurità. Dopo un tempo che a loro parve infinito, alla fine di un corridoio, videro un camino che saliva verso il cielo aperto. Una presa d'aria, alta e stretta. Non sarebbero riusciti ad arrampicarvicisi, ma forse avrebbero potuto spingere Oscar, la più leggera, verso l'apertura. E vi riuscirono.

Graffiandosi le mani, riuscì ad afferrare la roccia sopra di lei, ed a fare leva per spingersi fuori. Aria! Si guardò intorno. Non era lontana dall'ingresso principale, né dal punto dove avevano lasciato i cavalli. Corse alle selle e recuperò una corda, che fissò al montante della sella di César. La calò dall'apertura. Facendo indietreggiare cautamente il cavallo, riuscì ad issare il minuto e malconcio François, che si slegò la fune dalla vita e si sedette a terra ansimante.

Poi fu la volta di André, che ebbe maggiori difficoltà ad uscire dallo stretto rettangolo aperto nella roccia, strappandosi la divisa all'altezza della spalla sinistra. Si inginocchiò e si sedette sui talloni, alzando il capo verso il cielo.

Finalmente si trovavano tutti alla luce delle stelle ed al riparo degli Écrins. Mai l'aria era parsa più fresca e benedetta. Vicino all'ingresso, una piccola fonte in pietra, un semplice bacile con un getto in metallo curvato, li accolse quando vi immersero le mani, ed il viso, dando ristoro agli occhi infiammati.

Presi alcuni panni dalle bisacce, Oscar aiutò il soldato lentigginoso con la sua ferita alla fronte, e sulle mani. Poi pulì i tagli di André e lo aiutò a sciacquarsi gli occhi. Dopodiché lasciò che fosse lui ad aiutare il commilitone con i tagli sulle gambe, ritirandosi più in là.

Oramai erano sicuri che il sicario fosse via, non avendone più trovato il cavallo.

François non era in grado di cavalcare, doveva riposare almeno un poco. Nella bisaccia della sella del Comandante c'era un piccolo flacone contenente del laudano, e poterono darne una quindicina di gocce al ferito per permettergli di placare almeno in parte il dolore.

André propose di andare a riposare in una delle baracche della miniera, ma Oscar preferì inoltrarsi di qualche centinaio di passi nel bosco. Per fortuna, potavano contare su una delle lanterne. Non voleva dover dare spiegazioni, e non voleva che le informazioni su di loro viaggiassero troppo velocemente. Trovarono un angolo riparato, dove gli aghi caduti da tre grandi abeti rendevano il terreno morbido e profumato. Poggiarono a terra le coperte da sella, Oscar gettò il proprio mantello addosso al ferito e François sprofondò subito nel sonno artificiale dell'oppio.

Si stese su una delle altre coperte, ed André le si mise accanto, abbracciandola e coprendo entrambi con la sua cappa scura. In quella stretta rassicurante, finalmente Oscar riuscì a trovare un minimo di riposo in quella estenuante serata.

 

Più su, al bivio, Alain e Gérard erano tesi e preoccupati per la sorte dei loro tre compagni, e timorosi di un attacco verso di loro, così esposti. Si erano rifugiati in un piccolo gruppo di alberi giovani, ma non era un riparo sufficiente. Stabilirono degli stretti turni di guardia, e quella sera nessuno dei due ebbe delle crisi di sonno, tanta era la tensione che li mordeva alle viscere.

 

François si svegliò prima dell'alba, poiché gli effetti del laudano stavano scemando ed un dolore acuto gli stava trafiggendo parte della schiena e della coscia sinistra. Rimase per un momento disteso ad occhi chiusi, tentando di contrastare quel dolorosissimo risveglio. Percepì di essere disteso su una coperta, e di avere addosso qualcosa come un mantello.

Gli sovvennero alla memoria poco a poco l'inseguimento, le gallerie buie della miniera, l'esplosione, la fuga. Si diede dell'idiota. Aveva ceduto all'istinto e aveva inseguito quell'uomo che li seguiva da tempo. Aveva disobbedito agli ordini. Aveva messo in pericolo loro tre. Come uno stupido.

Aveva ceduto perché non sopportava più la paura di essere braccato come un capriolo, la paura di essere assalito in ogni momento...udire che il sicario si era avvicinato a tal punto da toccare i cavalli era stato troppo, aveva reagito malgrado se stesso. Non si era comportato come un buon soldato. Se il Comandante l'avesse punito sarebbe stato giusto..

Si sforzò di aprire gli occhi, e vide il cielo livido dell'alba attraverso i rami degli abeti. Cercò con gli occhi i compagni di quella nottata di terra e fuoco, e credette di essere ancora sotto l'effetto del medicinale. Il Comandante dormiva ad una decina di passi da lui, mentre André la serrava strettamente in un abbraccio protettivo, da cui il soldato distolse lo sguardo imbarazzato.

François pensò che tutto sommato non erano affari suoi. Tutti loro avevano amiche, fidanzate o amanti. Se ad André piaceva lei, che facesse pure. Non avrebbe mai denunciato qualcuno per una cosa del genere. C'era di finire sulla forca, per un'accusa di rapt de séduction.

Ricominciò a guardare il cielo che schiariva, finché sentì dei rumori provenire dai due compagni di viaggio, ed allora chiuse gli occhi per non far sapere di aver visto qualcosa che avrebbe potuto essere compromettente.

Solo dopo alcuni istanti, esordì in un: - Buongiorno - Roco e dolente.

- Come ti senti? - La voce di Oscar aveva un tono preoccupato, nel porgli una domanda.

- Non troppo male, ma abbastanza a pezzi, se devo essere sincero.

- Ce la fai a montare in sella?

- Dovrei...

-Ti do ancora un poco di laudano, non per farti dormire, solo per diminuire il dolore. Dovremmo essere a Briançon in meno di due ore, anche se ormai non ho più il coraggio di fare programmi.

Il soldato sorrise a quell'affermazione e accettò con gratitudine qualche goccia.

Montarono in sella e partirono. Erano affamati, poiché erano digiuni dalla sera prima, stanchi ed impolverati.

 

Dopo una mezz'oretta furono in vista di Gérard ed Alain, che vedendoli arrivare si affrettarono a preparare una colazione improvvisata. Solo quando furono più vicini si accorsero delle condizioni in cui erano, soprattutto François.

Mentre mangiavano, vennero ragguagliati sui dettagli.

 

Poi partirono. Ora la strada era tutta in salita, con il Pic du Mélézin che faceva la guardia ai viandanti. Una visione inusitata per quei cinque abitanti delle grandi pianure della Francia centrale. La città fortificata, piccola a loro giudizio, si estendeva su vari livelli, che parevano salire partendo dalle mura che comparvero loro di fronte. Entrarono in città dalla Porte d'Embrun mentre il campanile della collegiata suonava le dieci. Percorsero la via principale, anch'essa in salita, che tagliava la fortificazione da una porta all'altra, vicino alla quale si trovavano gli uffici amministrativi.

Mentre Oscar, accompagnata da André si recava dal delegato dell'Intendente3, il Conte di Beauvoisin, un esponente della piccola nobiltà locale, gli altri furono incaricati dei trovare una locanda pulita ed in posizione protetta, e di trovare un medico per François.

 

- Buongiorno, Generale. Ci sono notizie da parte di mio figlio?

- Caro Jarjayes, arrivate a proposito. E' giunto un rapporto fatto spedire tramite l'Intendente di Lione. Oscar ed i soldati, sono stati aggrediti un paio di volte, ma a quanto pare ne sono usciti egregiamente, senza nemmeno un graffio, ed addirittura arrestando il malintenzionato che dava loro la caccia. Malauguratamente, l'uomo pare sia morto in cella, senza poter testimoniare alcunché.

- Questo è una seccatura, ma mi compiaccio che mio figlio stia lavorando egregiamente.

- E fate bene ed esserne orgoglioso. - Concluse il Generale Bouillé.

Quindi si allontanò, tra la piccola folla che sempre animava i corridoi di Versailles.

- Posso conferire un momento con voi? - Gli chiese un aristocratico, alto e prestante, elegantemente abbigliato con un lussuoso giustacuore nero e oro.

 

 

 

 

 

 


1 Lampada ad olio lenticolare (rave): Costruita in ferro o in ottone con un contenitore dell’olio a sezione ellissoidale, di forma circolare oppure a stella con 8 o 16 punte. Un lungo gambo per portarla o appenderla. Molto diffusa in Francia.

2 Il lavoro procede mettendo del legno ed accendendo un fuoco. Dopo un quarto d'ora di combustione, nell'angolo riscaldato si raggiungono gli 800°, la roccia comincia ad esplodere (étonnement.). Sistema ingegnoso precedente l'invenzione della dinamite.

 

3Briancon era piccola, non aveva un Intendente proprio, ma dipendeva dalla Generalitè di Grenoble. era una Subdélégation. Non ho fonti sufficienti per sapere il nome del delegato.

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Capitolo 9
*** Leprotti in salmì ***


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9. Leprotti in salmì.

 

Briançon era a tutti gli effetti un presidio di confine. Ultima città francese prima del valico del Monginevro, raccoglieva tutti i viandanti, i mercanti, gli sfaccendati, i nobili intenti al grand tour che volevano arrivare in Italia. Il Conte di Beauvoisin era un seccato ed affaccendato burocrate di provincia, poco affine all'Intendente di Lione, così affabile ed ospitale.

Accolse in maniera spiccia quell'ufficiale impolverato, scarmigliato e lievemente ferito; dedicò non più di un battito di ciglia a considerare che l'ufficiale fosse una donna, liquidando la cosa come una stranezza della capitale; provvide in modo spiccio affinché un sottoposto redigesse il rapporto e ne inviasse una copia a Parigi, dopodiché li lasciò al loro destino. Anche la promessa di trattenere al sicuro per una notte il prigioniero, quando fossero stati di ritorno, fu fatta in maniera spiccia e seccata.

 

André ed Oscar si recarono verso il punto convenuto per il ritrovo con gli altri, scendendo dalla Porta della città alta, la Porte de Pignerol1. Si sedettero sull'orlo della fonte in pietra, vicina alla Piazza d'armi, guardando curiosi quella strada in discesa che costituiva l'asse principale della città, affollatissima a quell'ora della tarda mattinata. Le case alte e strette, con le persiane colorate, i tetti molto inclinati la rendevano una vista davvero piacevole nel sole di maggio. La Garoguille centrale, che raccoglieva l'acqua piovana e quella di un torrente per avere una riserva sufficiente a sedare eventuali incendi, rumoreggiava placida al centro della via acciottolata.

Videro arrivare Alain con aria soddisfatta.

- La miseria! La città è minuscola, ma è piena di traffici, Trovare tre stanze nello spesso posto è stato difficilissimo. Ma vi piacerà, Comandante, credo. Vi accompagno. Si chiama Le Péché Gourmand.

Oscar si mise a ridere, sinceramente divertita. Avrebbe scommesso un mese di paga che i suoi soldati sarebbero riusciti a trovare una locanda che promettesse pasti buoni e, soprattutto, molto abbondanti.

Vi arrivarono scendendo la via principale, che con montanara coerenza si chiamava Grand Rue. La locanda era situata all'incirca a metà della breve via, non lontano dal tribunale. Entrarono ed Alain li condusse verso una piccola saletta comune ove gli altri li stavano attendendo. Ad Oscar piacquero subito i soffitti bassi dalle travature in noce scuro, le pareti ricoperte di legni scuri, le sedie ed i mobili intagliati con strani decori, fiori o stelle a sei petali.

- Se vi piace ci fermiamo. - Disse Alain.

- Ma certo! Chiama il proprietario.

Arrivò un ometto magro e tirato, evidentemente fare il locandiere di successo in quei luoghi aveva qualche svantaggio.

- Sono Monsieur Jean, se la mia locanda è di vostro gradimento faccio subito portare i bagagli nelle vostre stanze, che sono la 12, la 13 e la 14.

- La locanda ci andrà benissimo, rispose Oscar. - Provvederemo noi a portare i bagagli nelle stanze; però ci occorre che troviate qualcuno che lavi e rammendi le nostre divise entro la mattina di dopodomani. Inoltre arriverà tra poco il medico per vedere questo soldato. Fatelo salire senza indugio.

- Molto bene. C'è altro?

- Sì, ci farebbe piacere mangiare tra circa un'ora e mezza. Nel frattempo io ed i soldati avremmo bisogno di acqua calda per lavarci.

- Ai vostri comandi.

Poi si voltò verso il mucchietto delle sacche con i loro abiti. Erano sette. La sua e quella di André un pochino più grandi. Le tre dei soldati. Ne prese due che non erano mai state aperte.

- Qui ci sono abiti pesanti; vero che siamo a maggio ma dormire fuori di notte sarà un'esperienza freddina, visto che stiamo salendo. E potete usarli ora, mentre le divise saranno a riparare.

- Ma...

-Alain, sta zitto e prendili!

-Ma...

- Nel libro "L'arte della Guerra" Sun Tzu dice di occuparsi dei soldati come fossero figli. Fila!

Gérard lo guardò con un sorriso sghembo:

- E con questo ti ha zittito. - Disse, prendendosi uno spintone come risposta.

 

Cher Monsieur,

il nostro comune amico ha mandato due importuni falchetti a cacciare le nostre lepri prima che raggiungano la carotina.

Ho provveduto a eliminare un falchetto a Lione, mentre il secondo continua a cacciare, con poco successo, le lepri.

Vi avevo detto che quello del nostro amico è un sistema poco avveduto, meglio prendere la carotina dalle loro zampe, così non solo la faremo a rondelle, ma le lepri (sia che scappino, sia che finiscano in salmì) faranno comunque una pessima figura.

Dopo che avranno recuperato la carotina, deciderò se è meglio agire in solitudine o cacciare in compagnia del falchetto.

Vi farò avere notizie al più presto.

 

Si ritrovarono nella sala da pranzo all'ora convenuta, tutti in borghese. Oscar aveva nuovamente indossato il completo con giustacuore azzurro che portava alla locanda di La Pacaudière la sera in cui le avevano sparato. La sala era già quasi piena.

Notarono ad un tavolo d'angolo lo stesso commerciante di stoffe, con lo stesso abito verde, che aveva chiesto la loro compagnia a Lione, e che li salutò con un freddo cenno del capo.

Gli altri tavoli si stavano occupando poco a poco: commercianti, qualche ricco fattore, un paio di nobili. Fecero il loro ingresso due appariscenti personaggi. Un uomo ed una donna, giovani entrambi, lussuosamente abbigliate, allegri, esuberanti, che parevano conoscere bene il proprietario e desiderosi di essere al centro dell’attenzione.

Salutarono anche cortesemente la tavolata dei soldati, che ricambiarono in parte perplessi, poiché mai avevano visto persone come quelle, ed in parte disinteressati, poiché ne avevano già viste fin troppe, negli anni passati.

Mentre attendevano un piatto sconosciuto a tutti loro, che la cameriera aveva presentato come una specialità locale, discussero il da farsi. L’idea era di trascorrere due giorni a Briançon, per permettere un poco di recupero a François. Il medico aveva detto che i suoi erano per lo più ematomi, con pochi tagli a rischio di infezione. Tuttavia, era stanco e provato, come tutti, in fondo. E avrebbero dovuto arrivare alla fortezza pronti a caricarsi di un problema ulteriore, il fatto di provvedere alla sicurezza del prigioniero 121.

Chi aveva sparato loro era ancora in circolazione, e non avevano nessun indizio riguardo alla sua identità.

I discorsi furono interrotti dall’arrivo di una giovanissima cameriera con la loro ordinazione.

- Raclette per tutti, nevvero?

I cinque guardarono la mezza forma di formaggio depositata al centro del tavolo, accompagnata da un minuscolo braciere con sospettosa curiosità.

- Dovete far sciogliere il formaggio con il calore, poi con la paletta lo raschiate sul piatto in cui potete mettere i sottaceti, le patate, la charcuterie…

- Grazie molte, Mademoiselle. - La congedò gentilmente André. Poi, rivolto ad Oscar:

- E tu, non approfittare del piatto comune per far mangiare gli altri.

- Sì, nonna, lo canzonò lei.

 

- Avevi ragione, alcuni dei soldati che sono arrivati sono davvero carini! - Cinguettò la cameriera

- A me piace quello molto alto e con le spalle molto larghe. – Disse la sua amica reggendo un piatto per ogni mano.

- A me credo piaccia quello con un lungo ciuffo su un occhio. Riprese la prima ragazza.

- Hai visto, ha ragione la padrona, c’è una donna con loro veste da uomo.., Ha detto che aveva la divisa da ufficiale quando è arrivata. Ed è anche molto bella.

- Bella? Ma figurati! Ha dei begli occhi, si, ma…troppo magra, senza forme. Io sono bella, no?

- In fondo che importa? Se ne andranno tra due giorni, era solo per rifarsi un poco gli occhi. Vado, altrimenti i piatti si freddano, riprese l’altra.

Ma Marie non era per nulla convinta.

 

Dopo uno dei pasti più divertenti degli ultimi anni, decisero di fare una passeggiata per smaltire in qualche modo il piatto buono, ma decisamente pesante che avevano affrontato. Non ci voleva molto per effettuare il giro completo della città fortificata, da una porta all’altra, su e giù per i vicoli e le scalette, dalla Collegiata alla chiesa dei Cordeliers. Si ritrovarono verso la metà del pomeriggio a guardare giù dalla scarpata in fondo alle mura, con alcune case sul fondo e il torrente Durance, non ancora fiume.

Scorreva inquieto, invitante e luminoso sul fondo della stretta valle.

- Ci andiamo, domani? Chiese Oscar.

- Comandante, con tutto il rispetto. Nemmeno morto. Se posso riposare riposo. Rispose secco Alain.

François e Gérard si guardarono le scarpe. André invece rispose:

- Sì, perché no? Magari si riesce a fare il bagno.

- Figurati, sarà gelata.

- Scommettiamo?

- Andata!

- Siete matti!

 

Maledizione! Si sono salvati, ed ora sono qui a Briançon. Mi toccherà attendere che siano di nuovo in viaggio, quanta strada inutile! Avrei preferito farli fuori subito, tanto peggio...

Aspetterò.

 

Prima di cena, Oscar scese a leggere un poco nella sala comune, che aveva scoperto essere poco frequentata. Sperava che André la raggiungesse, a ricreare un poco quell’atmosfera di casa che si creava quando leggevano entrambi accanto al fuoco.

La stanza era scura, per il legno che ne ricopriva le pareti, le tende rosso vinaccia, illuminata da un fuoco caldo che intiepidiva l’ambiente che stava decisamente rinfrescando con l’arrivo del crepuscolo.

Sul tavolino basso dinanzi a lei, una teiera e due tazze, una delle quali ancora vuota. Il libro che le aveva dato la sorella era tutto sommato divertente, e si era ripromessa che quei due giorni sarebbero stati davvero di vacanza. In realtà si era anche ripromessa un’altra cosa.

Se solo scendesse…

La porta si aprì senza rumore e un André sorridente e rilassato fece i suo ingresso. Oscar diede due leggeri colpi sull’imbottitura del divano accanto a lei, per indicargli dove sedersi. Le si accostò e si sedette leggermente in diagonale, con il gomito destro sullo schienale e le ginocchia che quasi sfioravano quelle di lei.

Si misero a parlare di inezie, girando attorno all’argomento che interessava entrambi con dei giri larghi che andavano restringendosi, come una spirale in acqua, un mulinello che portasse inevitabilmente verso il centro dei loro pensieri: noi.

- Allora domani andiamo al fiume?

- Sì

- Soltanto noi due?

- Soltanto noi due.

- Era ora.

- Sì, era ora.

E intanto il mulinello li aveva portati ad avvicinarsi sino a che Andrè poté metterle una mano sulla spalla, e chinarsi su di lei, baciandola.

Si staccarono e rimasero un attimo in reciproca contemplazione.

- Ti amo. - Le disse. Non lo aveva ancora fatto, dalla notte in fattoria.

- Ti amo. - Rispose lei, e pensò che avrebbe potuto dirglielo per ogni giorno della propria vita.

Si riscossero udendo il rumore della porta che si apriva nuovamente.

Entrò la cameriera Marie, la ragazzetta che li aveva serviti per il pranzo.

- Posso ritirare?

- Ma tu non hai preso il tè.

- Non importa, non mi andava. Grazie Mademoiselle.

Ma quanto stava vicino a quella donna così strana? Forse perché lo obbliga. Se davvero è il suo Comandante, può ordinare quello che vuole, e prendersi i soldati che vuole.

La ragazza era appena uscita con il vassoio, lasciando loro a malapena il modo di rientrare nel loro mondo ovattato, che qualcun altro fece un fastidioso ingresso.

La dama vista nella sala da pranzo, con il suo lussuoso abito giallo, luminosa come un sole, accompagnata dal consueto cavaliere, anch'esso vestito con più lusso che buongusto.

- Sono il Visconte De Bergues, e questa è mia sorella Marie Edvige2.

- Oscar François de Jarjayes, mentre il nome del mio amico è André Grandier.

- Cosa ci fate in questo posto, delizioso per carità, ma così lontano dalla civiltà? - Indagò

- Siamo nell'esercito, siamo qui per un incarico. Purtroppo uno dei nostri ha avuto un leggero incidente, ci fermeremo un paio di notti.

- Bene, saremo lieti di intrattenerci con Voi dopo la cena, avrete delle gustose novità dalla capitale, immagino! - Trillò la sorella battendo le mani come una bimba.

- Poi, sono curiosa...come vi trovate a vivere in uniforme, Voi? Oh, deve essere così eccitante!

- Non quanto pensate...rispose Oscar decisamente imbarazzata, sia dalla piega della conversazione, che dagli sguardi che le stava invece rivolgendo il Visconte.

Venne salvata da un'ulteriore, quanto provvidenziale, aprirsi della porta. Fecero il loro ingresso i tre soldati, che avevano preferito rimanere a riposare nelle loro stanze.

 

Dopo la cena, Alain propose un giro per osterie, che Oscar declinò dicendo di essere stanca. Anche André addusse una certa fatica, e lasciò che gli amici partissero senza di lui.

Oscar si girò a guardarlo, proponendogli:

- Prenderesti un bicchiere della staffa? Su da me, però, non vorrei fare altri incontri sgraditi.

Ecco, l'ho detto.

Ecco, l'ha detto.

- Certo. Prima che i due fratelli ci incastrino.

E scapparono su per le scale con un sorriso divertito, come due monelli.

Entrati nella stanza, non troppo grande, ma confortevole nel suo stile montanaro tipico di tutta la locanda, Oscar gettò su una sedia in un angolo il giustacuore ed il panciotti azzurri che indossava. André si fermò ad osservare una bottiglia di vino con due bicchieri sul tavolino accanto al camino.

Allora ci ha pensato prima. Allora, forse...

Si mise ad armeggiare per aprire lo bottiglia, e quando l'ebbe stappata Oscar gliela prese dalle mani per versare il vino. Ne approfittò per sfilarsi anche lui la giacca, il panciotto ed allentare il fiocco sul collo. Stava iniziando a pensare, anzi a percepire, che nella stanza si stava formando un'atmosfera differente da qualsiasi altra vi fosse mai stata tra loro. Nemmeno due sere, prima, alla fattoria, si era sentito in quel modo, e sì che quello era stato una momento in cui il desiderio era diventato davvero tangibile.

Oscar gli porse, il bicchiere, sorrise, ed alzò lievemente il proprio in un muto brindisi. Poi ne bevve un sorso soltanto e , sempre rimanendo in piedi, lo poggiò sul tavolino. Intrecciò le dita tenendo i palmi aperti, in un gesto leggermente teso.

- Ieri sera...mi è piaciuto molto...dormire abbracciata a te.

-...

- In parte mi pareva di essere tornata piccola, a quando venivo da te per paura dei temporali...

-...

Avanti, vai avanti.

- In parte...mi sembrava quasi...diesserelatuasposa...

L'ho detto, l'ho detto.

Andrè si avvicinò a lei.

- E' piaciuto molto anche a me. E mi piacerebbe molto che accadesse ancora.

Si avvicinò ancora, tanto da sfiorarla con il torace, e si chinò fino a sussurrarle tra i capelli:

- Posso restare, stanotte?

Gli rispose già con le labbra sulle labbra:

-Sì.

La parola di promessa e di resa divenne un bacio, sempre più possessivo, sempre più sensuale.

Come alla fattoria, Oscar si accorse che sensazioni del tutto nuove, o quasi sconosciute, le accendevano i sensi, sentiva l'urgenza di averlo più vicino, il desiderio di sentire la sua pelle contro la propria. Sentiva la paura di non essere all'altezza, si chiese se quel corpo che sempre aveva obbedito ai suoi comandi3, che si era piegato agli allenamenti più duri, che aveva sopportato ferite e colpi, sarebbe stato in grado di venirle in soccorso, ora, e di aiutarla a non deluderlo.

Si accorse che intanto le aveva allargato l'apertura della camicia ed aveva iniziato a fargliela scivolare giù dalle spalle, ora scoperte come se avesse un corsetto. Le percorse le clavicole con la punta delle dita, poi si chinò a baciarle.

Oscar gli pose le mani sul punto vita. Sentiva i fianchi sotto le dita, attraverso la stoffa. voleva raggiungere quel corpo che le stava togliendo il sonno nelle ultime notti. Strinse più forte e fece scorrere i lembi fuori dai pantaloni. Ora poteva infilare le mani e raggiungere i fianchi magri, dalla pelle sorprendentemente liscia, e meravigliosamente calda.

Sentì le mani di André raggiungere le sue, e scostarle. Lo guardò stupita, preoccupandosi di aver fatto qualcosa di sbagliato. Ma si accorse che, semplicemente, lui aveva aperto maggiormente la sua camicia azzurrina e aveva intenzione di sfilargliela facendola scivolare verso il basso. La fece passare le mani oltre i polsini come se fosse una carezza, poi la fece cadere attorno alle sue gambe.

Rimase a guardarla come se vedesse una fata, facendola sentire bella come non le era mai accaduto.

Oscar gli sfilò a sua volta l'indumento, e passò delicatamente le dita bianchissime sulla sua pelle più scura...Si sentì accarezzare sull'ombelico, e sentì che il tocco saliva leggero verso i seni.

Poi il gesto cambiò improvvisamente di intensità, diventò un contatto sempre più vorace, frenetico.

André la strinse a sé, pelle contro pelle, e lei, senza ben sapere come, si ritrovò adagiata sul letto, percorsa da dita e labbra affamate di lei. Si rese conto che quelle dita le stavano sfilando gli indumenti che restavano, per poi risalire lente e carezzevoli.

Si alzò a sedere, per ripetere lo stesso gesto su di lui. Le tremavano leggermente le mani, per la frenesia ed un poco di timore. Andrè la lasciò fare con pazienza, senza aiutarla, in parte assaporandosi la gradevolezza della cosa, in parte trovando giusto che fosse lei a fargli capire dove volesse arrivare.

E si ritrovarono finalmente occhi negli occhi, con unico indumento i capelli biondi che ricadevano sulle spalle di entrambi, a chiedersi ed accordarsi il permesso di appartenersi, in quella notte e per sempre.

Oscar lo strinse a sé e scivolò di nuovo sulle coltri, portandolo con sé nell'abbraccio e permettendogli, infine, di spezzare il sigillo della sua verginità.

 

Oscar rimaneva rannicchiata al fianco di Andrè, poggiando il capo sulla sua spalla destra, e guardandone il profilo.

- Non rimanere sempre rannicchiata, non devi aver vergogna di te. Sei bellissima. Non hanno importanza le cicatrici. - Disse sfiorando il segno sulla spalla destra.

Andrè invece non pareva provare imbarazzo con lei, si muoveva in modo naturale, come se tutta la vita avessero condiviso simili momenti.

- Sono stata tanto...goffa?

- Niente affatto. - La rincuorò. - Tu sei sempre aggraziata, quando cammini, quando combatti, e anche quando mi baci e mi abbracci.

Sorrise.

- Sono molto inesperta. - Ammise. Ne era consapevole. E sapeva anche che Andrè non lo era. Ma non le importava. Il suo passato era cosa sua. Non avrebbe fatto la donnetta isterica; aveva la certezza di essere amata, ora. Preferiva di gran lunga essere la donna del suo presente.

- C'è solo un rimedio all'inesperienza. - Le disse con un sorriso monello. - Fare esercizio.

Allargò le braccia a croce e chiuse gli occhi. - A tua disposizione.

 

 

 

 

1 Per i curiosi: http://www.briancon-vauban.com/plan-briancon.html

2 Dritta dritta da Le petit Nicolas

3 Citazione molto, molto libera da Les Memoires d'Hadrien.

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Capitolo 10
*** Ecco il gigante ***


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10. Ecco il gigante.

 

François, Alain e Gérard sedevano a colazione mangiando con calma, godendosi il tepore della sala, il cibo insolitamente abbondante ed il lusso di una giornata priva di impegni dinanzi a loro.

- Hai visto André? Non é ancora sceso. - Chiese il soldato lentigginoso, posandosi soddisfatto una mano sullo stomaco.

- Per essere precisi, non lo vedo da ieri sera. Non é tornato in camera. - Rispose Alain.

Gérard lo guardò preoccupato.

- Bisogna dirlo al Comandante. Con tutto quello che è successo da quando siamo partiti...

- Mi sbaglierò, ma secondo me il Comandante sa benissimo dove si trova. E non è uscito dalla locanda.

François fece due più due rispetto a quanto aveva visto nel bosco.

- Anche secondo me, ha solo cambiato stanza.

Gérard intese cosa volessero dire e arrossì lievemente. Era sempre stato facile all'imbarazzo, il povero Lassalle, nonostante un figlio ed un altro in arrivo. Gli altri risero attirando l'attenzione degli unici altri due ospiti intenti alla colazione, il Visconte De Bergues e la sorella.

 

Oscar stava aspettando seduta su una delle poltroncine della camera. André era tornato in quella che divideva con Alain per radersi, e prendere le proprie cose per trasferirsi definitivamente da lei. Spinto dalle insistenze di lei, che non voleva saperne di fare le cose di nascosto, si era deciso a spostarsi. Non condivideva del tutto la sicurezza di Oscar riguardo al fatto di mettere al corrente gli altri, ma in viaggio come erano, in un minuscolo gruppo, mantenere dei segreti non sarebbe stato una buona tattica. Quando udì un lieve bussare si alzò convinta che fosse lui, ed aprì la porta con veemenza, pronta a baciarlo per poi scendere nella sala da pranzo. Si trovò invece di fronte la giovanissima cameriera, stupita di trovare qualcuno in camera, che aveva bussato solo perché così le aveva imposto Monsieur Jean, bussare comunque, ed ancor più stupita per come le era stato aperto.

- Ah, siete Voi. - Si sentì dire da quella strana donna abbigliata da soldato.

- Entrate pure, uscirò entro un paio di minuti al massimo.

E le volse le spalle, fissando fuori dalla finestra la piccola folla che si agitava nella Grand Rue.

Marie rimase un attimo a fissare quei capelli biondi e quella figura così esile, così differente dalla sua figuretta procace, di cui tanto andava fiera. Non si capacitava che potesse esistere una donna simile. Le ispirava un'antipatia istintiva. Che poi potesse comandare dei soldati, figuriamoci!

Si udì bussare di nuovo. Il Comandante aprì la porta ed apparve quell'altro soldato tanto carino, che nemmeno si accorse della sua presenza, ed abbracciò la donna bionda baciandola sulla bocca. Lei lo respinse con gentilezza, facendogli presente che non erano soli, gli prese di mano una sacca che poggiò ai piedi del letto, uscì tirandoselo dietro e chiuse la porta.

Scesero le scale ridendo. Già una figuraccia, in nemmeno dodici ore.

 

Oscar venne bloccata da Marie Edvige, in evidente vena di chiacchiere, che la stordì con un profluvio si parole sugli ultimi acquisti effettuati, sul clima meraviglioso del luogo, sul cibo pesante.

André dovette così entrare da solo nella sala, ed i commilitoni poterono dedicargli una serie di battute più o meno grevi. Che si interruppero di colpo quando il Comandante, liberatasi più o meno urbanamente dell'importuna damigella, li raggiunse.

Spalmando di burro una fetta di pane, disse tranquillamente:

- Penso che possiate modificare la vostra sistemazione nelle stanze, se volete. Andrè ha deciso che verrà a stare nella mia.

I soldati tutto si sarebbero attesi, tranne una dichiarazione d'intenti così chiara. Una cosa più o meno segreta, una storia clandestina, un amore furtivo e nascosto. Ma non questo. Che André non avesse mai fatto mistero del suo amore era cosa risaputa. Che il Comandante, una volta decisasi a contraccambiare, avrebbe fatto altrettanto, non era per nulla scontato. Anzi. Qualunque aristocratica avrebbe nascosto una simile liaison.

Fu l'ingenuo François ad interrompere il silenzio che seguì.

- Vi siete fidanzati?

- Tecnicamente non credo che si possa chiamare fidanzamento. - Gli rispose Andrè. - Forse dovrei prima almeno provare a chiedere al padre, ma direi che l'idea è più o meno quella. Bisogna definire i dettagli formali, diciamo.

Oscar sorrise alla tazzina. Bell'ottimismo definire dettagli formali il pasticcio in cui si stavano cacciando. Il più grosso della loro carriera di combinatori di pasticci.

 

Il Visconte stava uscendo dalla propria camera, ma si fermò in ascolto udendo un brandello di conversazione tra le due cameriere. Quella giovane, l'ochetta vanitosa, stava dicendo all'altra:

- Annette, lo sai che uno dei soldati ha spostato la sacca nella stanza di quella donna ufficiale?

- Non sono affari tuoi, Marie.

- Ma è così strano...di sicuro gliel'ha ordinato lei. Chi potrebbe andare da una donna così perché la trova bella?

Io ci andrei, oh, se ci andrei. Pensò De Bergues.

- Smettila, non si parla così degli ospiti. Se ti sentisse Monsieur Jean...

- Ma era quello carino...

- Vai ad occuparti delle stanze, pettegola!

Notizie interessanti, vedo.

 

La giornata trascorse in maniera serena e spensierata, per Oscar, tra la passeggiata al fiume, un meraviglioso ozio, dono improvviso in quelle vite affaccendate, il panorama montano così poco usuale. Il progetto primigenio di una nuotata, che tanto aveva tentato Andrè dovette essere abbandonato non appena posero i piedi in quella che pareva una meravigliosa acqua fresca, per rivelarsi una tremenda morsa di ghiaccio. Divenne però un momento di pace, lontano dal mondo e dalle sue preoccupazioni, di baci teneri e languidi, di conversazioni occhi negli occhi.

Un romitaggio privato e personale sino alla sera quando si ritrovarono nuovamente con gli altri in attesa che fosse pronto per cenare.

Si erano ormai abituati alla presenza ciarliera del Visconte e della sorella, che non perdeva occasione per svolazzare attorno ad Oscar come un cardellino colorato, invocando la scarsità di donne con cui chiacchierare e fare amicizia, cosa che non cessava di lasciarla perplessa, visto che nemmeno le sue sorelle l'avevano mai giudicata adatta alle confidenze femminili.

Anche il Visconte pareva interessato a lei, cosa che immancabilmente irritava André, viste le sue insistenti domande su quanto si sarebbero fermati, se avessero potuto fermarsi ancora con loro, i commenti sui possibili rischi di un viaggio così lontano da Parigi.

Quella sera scese per la cena anche un'altra donna, minuta, visibilmente incinta, anzi ormai quasi a termine, ma tirata e con delle brutte occhiaie a segnarle il volto per il resto grazioso. L'accompagnava il marito, un uomo basso, grasso e burbero, che non pareva perdere occasione per alzare la voce contro di lei, anche in quel posto pubblico. In meno di cinque minuti il suo tono era divenuto allarmante.

Gli altri avventori iniziarono a guardarlo. Il Visconte si allontanò. Oscar ed i soldati invece si fecero più vicini.

- Sei la solita stupida! Sei inutile!

Stava urlando contro la povera sposa tremante. In un parossismo di rabbia, alzò una mano e le diede un violento schiaffo, che la fece cadere.

Oscar gli si parò innanzi. Lo sovrastava di tutta la testa.

- Se ti piace picchiare le donne, prenditela con me.

L'uomo si girò e la squadrò con disprezzo da capo a piedi.

- Ah, si, mi hanno detto che qui c'era una donna travestita da uomo. Levati dai piedi, scherzo di natura.

- E tu lasciala in pace.

L'omaccione scattò verso Oscar per colpirla, ma fu più svelta e lo bloccò stringendogli la giugulare con una mano. Intervennero Alain ed André a bloccargli le braccia contro il muro. Alain aveva già fatto balenare fuori dalla manica il coltello che aveva sempre con sé.

Si affacciarono alla porta le due cameriere portando il fascio delle loro divise lavate e stirate. Marie guardo stupita ed imbarazzata la scena. Invece Annette sorrise e disse ad alta voce:

- Era ora, che qualcuno lo mettesse in riga, quel buzzurro. Sempre a picchiare la moglie. Anche ora che aspetta il bambino.

La giovane madre la guardò con gratitudine, mentre François la aiutava a rialzarsi e Gérard le porgeva una seggiola.

L'energumeno venne lasciato andare, con un ultimo strattone e la minaccia di essere trattato peggio se avesse di nuovo toccato la moglie.

Si girò rabbiosamente: - La moglie è mia!

Oscar non ci vide più. Sfilò il coltello ancora nascosto dalla mano destra di Alain e si avventò contro l'uomo puntandoglielo contro il ventre prominente, costringendolo contro la parete rivestita in legno.

- Lei è tua moglie. Non un tuo oggetto. - Gli sibilò contro.

Scese con la lama verso la cintura-

- Non hai il diritto di trattarla in questo modo.

La lama venne fatta ancora scorrere verso il basso.

- Non ti ci azzardare mai più.

Con un colpo secco conficcò il coltello nel legno, appena sotto la cucitura del cavallo dei pantaloni del suo avversario. Si girò e si diresse verso l'altra stanza.

- Sai, ora non sono più tanto sicuro che tu abbia fatto un buon affare - disse Alain rivolto ad Andrè mentre recuperava il pugnale.

 

- Quando qui lavorava quel mostro di Michel, che ci palpava tutte ed a volte tirava qualche ceffone, allora ci sarebbe dovuta essere qui quella donna! - Disse Annette.

- Dici? Non lo so...impicciarsi in quel modo...e poi, ti sembrano gesti da farsi? - Rispose Marie.

- Ma la stava picchiando! - Si scandalizzò l'altra. - E ti assicuro che, se avessi avuto io un coltello, non lo avrei piantato sotto la cucitura, a Michel! Nemmeno un poco!

- Quanto la fai lunga! Se veniva da te, vuol dire che gli piacevi, che sei bella!

- Sei davvero una ragazzina. Gli uomini non ti vengono dietro solo perché sei bella. E non sempre avere la fila è una buona cosa.

Vecchia carampana! Dici così perché sei gelosa!

 

La sera i soldati si ritirarono presto. Bisognava partire all'alba.

Due di loro, però, dormirono poco. Dovevano onorare un sentimento nuovo, e la felicità di averlo reso pubblico. Rimandando il problema di discutere quei dettagli formali che avrebbero potuto seriamente compromettere il loro futuro.

 

Il mattino successivo, si rimisero in cammino. La strada saliva decisamente verso la cresta, fiancheggiata a sinistra da montagne di nuda roccia ferrosa, dal particolare color ruggine, e a destra da altri declivi coperti di abeti. Sullo sfondo, alcune vette coperte di nevi perenni. La loro intenzione era quella di superare il colle del Monginevro1, che rappresentava sia il confine, sia il punto di scollinamento, entro il primo pomeriggio. Il valico era alto, speravano di arrivare più a valle prima di piantare la tenda. Per quanto fosse maggio, si rendevano conto che la notte la temperatura sarebbe scesa parecchio.

Salirono per lungo tempo, tra curve e tornanti del sentiero, prima di raggiungere il microscopico gruppo di case che segnavano il confine.

Presentarono le credenziali ai confinieri, che, evidentemente a conoscenza del fatto che un gruppo di militari francesi sarebbero passati, li lasciarono andare con un nuovo documento da aggiungere alla lettera in loro possesso.

- Bene, eccoci nel Regno di Sardegna. Tra meno di un giorno saremo alla fortezza per prenderci il Prigioniero.

- Perché ce lo restituiscono? - Chiese François.

- Non lo so con esattezza. - Rispose Oscar.

- Al momento, come ti ho detto, sono alleati della Francia. Magari anche solo per farci un favore, rinsaldare l'alleanza. Questo è un regno piccolo, e nuovo, ci tiene ad avere buoni rapporti con un vicino ingombrante2.

- Cosa vuol dire che è un regno nuovo?

- Sessanta, settanta anni fa questo era un ducato francese. Poi hanno fatto una guerra, c'è stato un cambio di alleanze, una cosa un poco complicata da raccontare. Fatto sta che noi francesi abbiamo assediato la loro capitale. C'era anche mio nonno. Una brutta cosa, gli assedi, sempre. Un sacco di morti inutili da tutte le parti. Ma hanno vinto loro, ci hanno cacciati, e nelle trattative che sono venute dopo da Ducato sono stati promossi a Regno.

François la guardava stupito. Aveva sempre pensato che i Regni fossero intoccabili. Che la Francia fosse immutata da sempre. Sapere che ne aveva perso un pezzo gli pareva minare la fiducia nello stato delle cose che conosceva.

 

Cavalcarono ancora a lungo. Scesero e ricominciarono a risalire. Scollinarono nuovamente e ridiscesero. Montarono le tende, con la stessa divisione di posti che avevano mantenuto prima di Briançon, vicino ad un villaggio in una valle ombrosa e strettamente incassata tra i due crinali. Il nome Pragelato non faceva ben sperare per la temperatura notturna.

Stabilirono dei turni di guardia, sebbene non avessero avuto alcun dubbio di essere seguiti.

Ad André toccò il primo. Si sedette davanti al fuoco, ben avvolto nel mantello. Oscar gli accoccolò di fianco.

- Vai a dormire, è stata una giornata pesante.

- No, preferisco restare qui con te. Sono solo un paio d'ore, non cambia nulla per il sonno. Ma ho un sacco di tempo da recuperare, con te.

Poi alzò gli occhi a guardare le costellazioni sopra il suo capo. Solo lo stormire dei pini ed il battere leggero dei teli della tenda interrompevano il silenzio. Ma era un silenzio dolce e piacevole. Bello rimanere con lui, senza altre pretese.

 

Il mattino dopo, lunedì 21 maggio, furono finalmente a Fenestrelle, in vista del forte. Fu chiaro a tutti il perché lo chiamassero il Gigante Armato. Una cosa mai vista. Un intero pezzo di montagna trasformato in forti, risalti, garitte e ridotte.

Capirono perché nessuno avesse mai provato ad attaccarlo. Compresero anche perché il prigioniero veniva custodito proprio lì.

Il Forte vero e proprio, aveva origine dalla grande tenaglia sud-occidentale e proseguiva sul versante francese, con una impressionante successione di ventotto risalti, postazioni di artiglieria, simili a dei gradoni, che sfuggivano in sequenza verso l’alto a formare una muraglia somigliante ad una grande scalinata lungo il ripido fianco della montagna fino alle pendici di un altro Forte. Altre piccole ridotte si trovavano sempre più in alto lungo la cresta.

Percorsero l'ultimo tratto ed entrarono, grazie alle lettere consegnate da Oscar attraverso la Porta Reale, sebbene fosse destinata solo agli alti ufficiali. Lasciarono i cavalli nelle scuderie, e si inoltrarono nella vasta Piazza d?Armi, su cui si aprivano una Chiesa, di grosse dimensioni, il Palazzo degli Ufficiali, il più basso di tre edifici destinati ai quartieri militari, mentre gli altri sorgevano alle spalle, in salita lungo il crinale, ed il palazzo del Governatore. Videro uscire appunto da questo palazzo un ufficiale in divisa, che si presentò loro in ottimo francese.

- Sono il Colonnello Jamas, Governatore della Fortezza.

- Generale di Brigata3 Oscar François De Jarjayes, e questi sono i miei soldati. Siamo qui per prendere in consegna il prigioniero 121.

- Vi aspettavamo. Anzi, vi attendavamo un pio di giorni fa.

- Siamo stati trattenuti. Diciamo che ci sono delle persone interessate a non farlo arrivare a Parigi, e ci hanno creato qualche ostacolo.

- Capisco. Bene, oggi siete qui e potete ritenervi al sicuro.

Si guardarono intorno.

- Direi!

- Potete posare le vostre cose negli alloggi a voi destinati, rifocillarvi e poi vi accompagnerò volentieri a visitare il Forte. Dopodiché vi presenterò il prigioniero.

 

Il Colonnello Jamas parlava del Forte come se parlasse del figlio, con malcelato orgoglio e voglia di vederlo primeggiare. Li condusse nelle cucine, nelle scuderie, nei quartieri dei soldati.

Poi li trascinò su per le creste a visitare le ridotte, e li condusse attraverso una scala coperta, lunghissima, quasi mezza lega, che con quattromila gradini dalla struttura centrale arrivava ad un piccolo forte in quota, il Forte delle Valli. Per fortuna non li condusse sino alla piccola garitta che sorvegliava il tutto, posta in cima ad uno sperone roccioso e che i soldati della guarnigione avevano battezzato garitta del Diavolo.

Lasciò ad Oscar il tempo per redigere un conciso rapporto da spedire a Versailles.

Infine li accompagnò al Palazzo degli ufficiali. Qui, in una grande stanza d'angolo, alta, luminosa, con due grosse finestre, stava dall'ottobre precedente il prigioniero 121. Era un uomo alto, dai bei lineamenti. Molto smagrito, con l'aspetto sofferente ed una brutta tosse.

Due incongruenze colpirono Oscar, che dapprima non riuscì a spiegarsi. Poi capì: La grande stanza in cui lo tenevano, aveva sì due finestre, ma queste non avevano né vetri né altro per ripararlo dal freddo invernale. E poi, lo aveva già vista da qualche parte. Ma dove?

- Monsieur, buongiorno, sono Oscar François De Jarjayes, Comandante della Guardia Metropolitana di Parigi. Sono qui per condurvi al processo che verrà celebrato contro di Voi. E questi sono i soldati che mi aiuteranno a fornirvi la scorta.

- So benissimo chi siete, e perché siete qui. Dal fatto che non mi abbiate chiamato per nome deduco invece che Voi non sappiate affatto chi io sia. Divertente! Vi spediscono in un'altra nazione a prendere qualcuno di cui nemmeno si degnano di dirvi il nome. Non vi sentite patetica? Fate il vostro lavoro e lasciatemi in pace. Non avrete altre risposte, da me.

Detto questo, volse loro le spalle ostentando un sussiegoso disprezzo.

 

 

 

 

 

 

1860 m di altitudine.

2  L'assedio di Torino ebbe luogo nel maggio 1706 durante la Guerra di Successione Spagnola. Oltre 44.000 soldati franco-spagnoli assediarono la Cittadella fortificata di Torino, difesa da circa 10.000 soldati sabaudi che combatterono strenuamente fino al 7 settembre, quando l'esercito a difesa della città costrinse gli assedianti alla ritirata. La guerra proseguiì ancora sino al 1712. Con la firma del Trattato di Utrecht nel 1713 e di quello di Radstadt del 1714 i Savoia passarono da Duchi a Regnanti e Vittorio Amedeo II divenne il primo re della dinastia. Da questo punto di vista il Regno è relativamente nuovo. Fu contea dal 1003 al 1416, quando divenne Ducato (Amedeo VIII fu il primo Duca designato all'Imperatore Sigismondo); in seguito, col trattato di Pinerolo, Vittorio Amedeo ottenne la cessione di Pinerolo e del corridoio che l'univa alla Francia, la restituzione di tutti i territori sabaudi conquistati dai Francesi durante la guerra e il trattamento regio, di cui già godeva da parte di quelle di Madrid, Vienna e Londra.

3 Titolo che le viene assegnato nel manga.

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Capitolo 11
*** Si torna indietro ***


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11. Si torna indietro.

 

Il mattino dopo risalirono a cavallo di buon'ora.

Il sesto cavallo era stato attaccato, insieme a quello di Gérard che sedeva a cassetta, ad un carro dotato di sbarre in metallo, che lo rendevano simile ad una gabbia. Una cerata lo proteggeva dalle intemperie e dal sole.

Il fatto di viaggiare in questo modo avrebbe reso ancora più lento e periglioso il viaggio di ritorno. Oscar temeva le notti all'aperto tra una città e l'altra. Avevano infatti convenuto che, per maggior sicurezza del prigioniero e per concedersi un poco di tregua, ove possibile avrebbero consegnato il prigioniero alle autorità locali per la notte. Ma sarebbero state poche occasioni. E quanto avvenuto a Lione non deponeva certo a favore della sicurezza delle celle francesi.

La prima parte del viaggio fu in salita, in una via incassata dapprima tra due muraglie di faggi e sambuchi, poi sempre più verso un grande bosco di abeti. Scollinarono e ridiscesero. Si ritrovarono in un piccolo villaggio, ai piedi di un grande monte coperto di pietraie, ma era ancora presto per montare le tende.

Percorsero ancora un paio di leghe, risalendo nuovamente ed avvicinandosi al confine, al minuscolo borgo di Claviére. prima di prepararsi per la notte. Erano ancora in territorio sabaudo, e questo li rassicurava. Difficilmente il sicario avrebbe corso il rischio di passare la dogana nei due sensi a distanza di pochi giorni. Erano quasi certi che li attendesse al di là del confine.

Si attivarono per preparare il campo, accendere il fuoco, montare le tende. Anche Oscar partecipava ai preparativi. L'unico escluso era il silenziosissimo prigioniero, che non aveva ancora fatto udire la propria voce dal mattino. Oscar ogni tanto lo osservava di sottecchi, cercando di ricostruire se e quando lo avesse già visto.

 

- Buonasera, Maggiore, vi trovo in ottima forma!

- Grazie, Conte, in effetti queste due settimane di licenza sono state un toccasana.

- Vi siete riposato, dunque...

- Non molto, a dire il vero. Mi sono recato nella mia tenuta nello Champagne in interessante compagnia, troppo interessante per pensare a riposarmi.

- Siete sempre lo stesso, a quanto pare.

- Ecco che arriva il Generale Bouillé, quel noioso individuo! Devo sparire, vorrà sicuramente incastrarmi per quell'incarico nelle terre dei Savoia.

- Ah, non avete di che preoccuparvi. Lo hanno già assegnato da una decina di giorni.

- Benissimo. A chi hanno appioppato la rogna?

- Al Comandante delle Guardie Metropolitane. Sapete bene che gli incarichi peggiori vanno a quei plebei.

Il Maggiore Victor Clément De Girodelle si sentì un poco in colpa. Aveva fatto di tutto per evitare quella missione, ed ora faticava ad immaginare una donna su quelle impervie strade di montagna. Strana scelta, quella di Bouillé.

 

Dopo la cena, cucinata sfruttando le provviste avute al forte, verdura fresca che permise loro di preparare una minestra che li scaldò un poco in vista della fredda notte montanara, formaggio e quelle terribili pagnotte durissime, cotte una volta al mese, che le truppe sabaude chiamavano munizioni, rimasero qualche momento a chiacchierare attorno al fuoco. Il prigioniero non si trovava molto lontano, era rimasto nel suo carro-carcere, protetto dal freddo dalla cerata ed ascoltava incuriosito i discorsi della propria scorta.

Stava cercando di capire perché ci fosse una donna al comando del plotoncino che gli avevano assegnato, e perché proprio la Guardia Metropolitana. Nonostante ciò, gli pareva che quella donna fosse un buon Comandante, e che i soldati la rispettassero.

Stavano canzonando il soldato dai capelli rossi a proposito di una certa Amélie, di cui pareva fosse innamorato, ma non avesse il coraggio di dichiararsi. Udì la voce del soldato più grosso e massiccio dichiarare:

- Guardate cosa mi hanno regalato al forte. - Tirando fuori una piccola fiaschetta con un liquido verdognolo.

- Cos'è quella roba?

Si chiama genepy, lo fanno con delle piantine di qui, se ho ben capito. Ve lo faccio assaggiare, disse, passando il giro la fiaschetta.

- Abbiamo un prigioniero da sorvegliare, cercate di non prendervi una sbronza.

- Ma ce n'è un sorso per uno!

E tanto dissero che convinsero anche la donna ad assaggiare, convincendo sempre di più anche Monsieur 121 che fosse un tipo decisamente sui generis, senza grossi problemi di rispetto delle divisioni sociali.

Doveva farsene un'idea più chiara. Poi, forse, avrebbe potuto sfruttare le debolezze sue e dei soldati per tentare una fuga.

 

Stabilirono dei turni di guardia. In Francia i turni sarebbero stati doppi, con due soldati alla volta e una maggiore durata.

Il prigioniero fu svegliato prima dell'alba da alcune voci che parlavano sussurrando. Il Comandante era seduta al fianco dell'uomo che era appena subentrato nella sorveglianza. Era quello con i capelli neri che gli coprivano un occhio, forse ferito.

Non riusciva a cogliere bene le parole, ma ormai era sveglio, quindi tanto valeva cercare di conoscere meglio i carcerieri. Avrebbe avuto tutto il giorno, per dormire, coricato in quella carretta con sbarre. Scostò un poco la cerata e si mise ad osservare.

Erano seduti molto vicini, il soldato teneva il fucile sulle ginocchia, ed entrambi comunque continuavano a guardarsi intorno, nella pallida luce del primo quarto di luna e nel chiarore del piccolo fuoco. Ma parlavano fitto, ed ogni tanto si sorridevano con aria...tenera? Che ci fosse qualcosa tra quei due? La vicinanza ed i modi sembravano far intendere che fosse così.

Tuttavia, non un gesto fuori luogo tradiva una intimità differente, lasciava intendere che fossero amanti. Perché, se così fosse stato, sarebbe stato una bella leva da forzare.

Monsieur 121 decise che forse poteva valere la pena di tirar fuori la voce, e vedere se qualche soldato si sarebbe sbottonato.

 

Oscar ed André erano intenti in una conversazione molto privata, che si svolgeva in un pianissimo appena udibile, nonostante l'estrema importanza dell'argomento, sul loro futuro e le possibilità che si aprivano dinanzi a loro.

- Sei davvero sicura di quello che hai detto?

- Certo che sì. Non vorrai farmi credere che preferisci fare le cose di nascosto. Una storia clandestina, questo vorresti?

- No, ma sei sicura che tuo padre non scopra di botto che sei una donna, che lo hai deluso, e che per questo non decida di rinchiuderti in un convento? Ne sei sicura?

- Sicura no, ma ha sempre sostenuto che le Lettres de cachet siano un'usanza infame e che non le avrebbe mai usate.

André la guardò di sbieco, senza aggiungere nulla. Vero, il Generale era un uomo corretto così come aveva insegnato ad esserlo ad Oscar. Però...

- Secondo - continuò lei contando sulle dita - Sono sicura, perché me lo ha detto, e perché lo ha dimostrato, che mio padre ti stima e ha fiducia in te.

- Giusto perché mi sono sempre tenuto alla larga da te e dalle tue sorelle! - Rispose ridendo André. - Ora non ne sarei più così convinto.

- Io continuo ad essere più ottimista. Ed, terzo, preferisco davvero farmi cacciare di casa, od andarmene, piuttosto che fare le cose in segreto, o costringerti a nasconderti. Non sei un ladro. E non mi vergogno di te e della tua nascita. Questo deve esserti ben chiaro.

Si inginocchiò per avere gli occhi all'altezza di quelli di André.

- Io amo te. Come sei, per quello che sei. Per il tuo cuore e per la tua testa. E anche per il tuo viso, e le tue labbra. In tutto questo non ho mai considerato il mestiere di tuo padre. Né ho mai pensato che fare il maestro d'ascia fosse disonorevole. Anzi, da piccola, quando mi parlavi di lui, spesso pensavo che fosse migliore del mio.

Rimasero a guardarsi. La tentazione di baciarsi era forte. Se ne accorgevano entrambi.

André voleva ringraziarla, ma non gliene lasciò il tempo.

- Ho impiegato un'eternità ad accorgermi di amarti. Ma questo non ha nulla a che fare con le tue origini. Ha molto, ma molto più a che fare con il fatto di essere stati bambini insieme.

Si risedette e rimase in silenzio.

- Abbiamo tutto il viaggio per ripensare a come fare. Non è detto che dobbiamo entrare a Palazzo e precipitarci da lui.

- Allora vorrei chiederti una cosa. Ma non qui. Non ora. Appena saremo in una situazione migliore.

- Cosa?

- Che impaziente!

 

Monsieur 121 non era riuscito a cogliere nulla da quei sussurri, anche se la situazione gli pareva interessante. Chissà di cosa parlavano così fittamente. Lo aveva incuriosito molto il gesto della donna, che si era inginocchiata di fronte al soldato. Per un attimo, aveva creduto che si sarebbero baciati. Invece, nemmeno un gesto.

Ma era una situazione da tenere d'occhio. Avrebbe potuto essere un punto debole. Se davvero il Duca avesse mandato qualcuno a liberarlo...

 

- Ma dov'è André? - Chiese Oscar, impaziente di partire, ora che il sole si era levato.

- Ancora al ruscello , Comandante.- Rispose Gérard.

- Si sta ancora radendo, per lui è difficile usare lo specchio piccolo.

Le regole dell'esercito imponevano ai soldati di presentarsi sempre ben rasati ed in ordine, e in giornata sarebbero passati al Fort des Têtes, quindi quell'attività era un obbligo.

Oscar decise di raggiungerlo. Anche quelle piccole difficoltà quotidiane erano un pedaggio alla sua smania di primeggiare e catturare il Cavaliere Nero. Lo trovò seduto su un tronco, alle prese con il lato sinistro del viso, ancora insaponato e difficile da visualizzare.

- Serve aiuto?

Oscar gli si mise alle spalle, prendendogli gentilmente il rasoio con la mano destra. Con la sinistra lo obbligò dolcemente a poggiare il capo sul suo petto.

- Spiegami come si tiene.

André le inclinò lievemente la mano e la guidò per il primo passaggio. Poi chiuse gli occhi godendosi quella gentilezza inattesa, la mano sinistra di lei tra il collo e l'orecchia, a scostare quel ciuffo di capelli più lunghi, il respiro che gli solleticava la fronte.

Oscar, attenta a non fargli male, osservava invece il naso dritto, le labbra che si ricordava così morbide, fermandosi a fissare la piega di cupido così marcata, mentre con il pollice della mano libera sentiva la consistenza morbida del lobo sotto l'orecchia, che pareva accarezzare ad ogni piccolo movimento, e che alcune sere prima aveva appena appena mordicchiato. Possibile che fosse così bello anche nei dettgli più insignificanti?

Terminato di aiutarlo, indietreggiò un poco, obbligandolo a rovesciare ancora più indietro la testa. Poi si chinò a sfiorargli le labbra con le proprie, teneramente, in un curioso bacio capovolto.

- Si può avere la rasatura così tutti i giorni?

- Solo se fai il bravo.

 

Ripartirono e percorsero le poche leghe che li separavano dal confine. Iniziarono quindi la discesa per rientrare verso Briançon. Dopo poche curve videro., alla sinistra del sentiero, quello che pareva un fagotto di stoffa gettato a lato della strada.

Si fermarono ed Alain andò a vedere. Non si trattava di un fagotto. Era un uomo, un uomo con una giacca verde, con una ferita al capo e gli abiti laceri in più punti. Riconobbero il mercante di stoffe che alloggiava con loro alla locanda di Briançon, e che a Lione aveva chiesto di essere accompagnato. Scesero ad aiutarlo, pulendo un poco la ferita con acqua.

Era stato aggredito, malmenato e rapinato.

Lo fecero salire a cassetta, insieme a François che quel giorno conduceva.

Si sentivano tutti vagamente in colpa, per aver rifiutato quando aveva chiesto la loro compagnia per varcare il confine. Ma il regolamento non lo avrebbe permesso, e poi, a dirla tutta, ognuno di loro aveva sospettato di quell'aspetto poco rassicurante, della voce melliflua, degli sguardi obliqui. Ed ora, eccolo lì, picchiato a sangue, derubato, ed abbandonato lungo la strada.

Da un certo punto di vista, un sospetto in meno. Rassicurante, per un verso. Molto meno, per certi altri. Ora non avevano davvero idea di chi diffidare.

Lo avrebbero riaccompagnato a Briançon, per la denuncia.

 

Arrivati in città, lo fecero scendere presso il corpo di guardia, dove chiamarono un medico per farlo curare. Provvidero poi affinché il Conte di Beauvoisin fosse informato e fosse messa a sua disposizione una stanza.

Oscar presentò la propria domanda presso l'intendente, ed ottenne i documenti che le erano stati promessi durante la prima visita. Monsieur 121 avrebbe trascorso la notte al Fort des Têtes. Dopo la disavventura di Lione, sarebbe stata molto attenta al luogo ed alle persone cui affidare il prigioniero. Non un misero plotoncino, ma un grosso forte stazionato su uno sperone roccioso sovrastante la città , separato da un altissimo ponte, il Pont d'Asfeld, e protetto da una guarnigione di oltre milleduecento soldati. Riteneva che sarebbe stata una sistemazione sicura.

Affidarono l'uomo nelle mani del Colonnello al comando del forte, e tornarono alla locanda dove avevano dormito alcune sere prima, Le Péché Gourman di Monsieur Jean.

Lasciati i cavalli al forte, si diressero alla città a piedi. François tremava, guardando giù da quell'altissimo ponte, con la Durance che scorreva rumorosa incassata in fondo alla gola. André gli prese un gomito per accompagnarlo oltre tenendolo in mezzo al passaggio. Il tragitto di andata, a cassetta, non lo aveva turbato così tanto.

Pareva che non fosse passato nemmeno un giorno. Vi ritrovarono il Visconte De Bergues con la sorella, la donna incinta che il marito aveva malmenato, e una certa varietà di ospiti di ogni condizione sociale.

Il Visconte, non appena vide entrare il gruppetto, li avvicinò ciarliero come non mai. Sembrava anzi persino più impiccione ed intraprendente. Dopo aver saputo che il mattino seguente sarebbero partiti definitivamente, sembrò quasi preso da una smania irrefrenabile. Si appiccicò ad Oscar in un serrato e per nulla privato corteggiamento, nessuno ebbe alcun dubbio nel qualificarlo in quel modo, in grado di spiazzarla completamente, di far crescere in André una cupa rabbia, di infastidire i tre soldati che erano con loro.

Oscar sbloccò la situazione svincolandosi maleducatamente, afferrando la sacca con ira, salendo svelta le scale che conducevano al piano superiore, e dicendo rivolta ad André, in modo che fosse chiaro anche all'odioso aristocratico:

- Ti aspetto in camera, fai con comodo.

 

- Ebbene, ci ritroviamo tra i monti, a quanto pare.

- E' stato il Duca a darvi l'incarico?

- Ovviamente; Voi invece siete stato mandato dal Conte, immagino.

- Certamente. E quali sono i vostri intenti, se posso chiedere?

- Recuperare 121, e ricondurlo al Duca.

- Vivo?

- Vivo.

- Io invece devo impedire che testimoni al processo. Non importa che lo uccida o meno.

- Allora potremmo unire le nostre forze. Come sapete, non amo agire in solitudine. Ho già un piccolo aiuto, sebbene poco adatto per gli scontri diretti. Con Voi, sarà molto più semplice, visto che ridurremmo parecchio la loro superiorità numerica.

- Sarebbe una buona cosa, sono riusciti a cavarsela persino nella miniera d'argento.

- Invece Monsieur Bellot è stato eliminato a Lione, era troppo dilettantesco. Ed anche perché avevamo un vecchio conto in sospeso. E' bastato dare qualche moneta ad un soldato di guardia affinché gli consegnasse una pagnotta all'arsenico. I soldati hanno una paga talmente misera che sono sempre corruttibili. Come le cameriere, d'altronde.

- Già....

 

Marie ed Annette stavano preparando i tavoli per la cena, quando la più giovane venne chiamata da Monsieur Jean.

- Porta questa cioccolata alla camera del Comandante delle Guardie. Dì che è un omaggio di un ospite.

- Subito, Monsieur.

La ragazza salì le scale, e svoltò sul pianerottolo verso il corridoio di destra. una voce la bloccò.

- Sembra golosa, quella donna, non ti pare?

- Ehm, sì.

- E non solo di cioccolata.

- Ehm, sì. - Marie sapeva che Monsieur Jean non transigeva sul fatto che si parlasse male degli ospiti.

- Secondo me, col lavoro che fa, si può prendere qualsiasi soldato le aggradi. Anche quello carino che piace a te.

- Già...

- E' vero che è decisamente affascinante, sempre così compita e perfetta.

Marie sospirò. Perché tutti la trovavano affascinante? E io, allora?

- Certo che anche lui la potrebbe trovare ben poco seducente, se la vedesse in preda ad un atroce dolore al ventre, con tutto quello che quel tipo di dolori comporta...non so se mi spiego...E a quel punto potrebbe accorgersi di te. Visto che domani partirà, se vuoi farle uno scherzetto il momento propizio sarebbe ora. Per esempio, perché non usi queste polveri, diciamo lassative, in quella cioccolata?

Marie si guardò intorno...certo che se Monsieur Jean l'avesse scoperta... Poi Annuì. La polvere scese leggera nella caraffa.

La ragazzina si incamminò per il corridoio e bussò ad una porta.

 

Oscar aveva appena terminato di lavarsi. Sapeva che era un'abitudine costosa ed aristocratica, ma proprio non sopportava la polvere e l'odore dei cavalli addosso. Amava apparire sempre in ordine. Ora, poi aveva un motivo in più per essere sempre inappuntabile. Si guardò indugiando un poco allo specchio, ancora avvolta in un grosso telo di lino candido.

Le venne in mente un pensiero poco adatto ad un soldato, riguardante il fatto che forse avrebbe potuto apportare delle modifiche al suo guardaroba...magari avrebbe scritto ad una delle sorelle. Si vergognò della propria vanità.

- Se hai finito di fare la vanitosa, io ti starei aspettando.

Si voltò a guardare Andrè che, con i capelli ancora umidi, sedeva sul letto rilassato e sornione, anche lui appena coperto da un telo di lino avvolto attorno ai fianchi magri, che gli arrivava appena alle ginocchia. La stessa immagine che le aveva tolto il sonno due settimane prima...Sono passate solo due settimane? Due settimane da quando mi chiedevo cosa fosse giusto fare? Ed ora non mi pare di aver mai preso decisione più giusta.

Gli andò vicino, pronta a donarglisi di nuovo, come era accaduto alcuni minuti avanti, quando entrando nella camera l'aveva presa all'improvviso, in piedi, addossata al muro accanto alla porta, senza darle il tempo di riaversi dalla sorpresa ma solo quello di ritrovarsi accesa dallo stesso stupefacente desiderio.

Venne interrotta da un leggero bussare alla porta.

- Sono Marie, la cameriera, ho portato la cioccolata.

André si tuffò sotto le lenzuola, Oscar disse di entrare, nascondendosi dietro il paravento a fiori. La ragazzina posò il vassoio sul tavolino, accennò un inchino e riattraversò rapidamente la soglia, accompagnata da un rapido ringraziamento.

Nessuno notò il suo sguardo rabbioso e vendicativo.

 

 

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Capitolo 12
*** La leggerezza dell'essere ***


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12. La leggerezza dell'essere.

 

Oscar si scostò dalla porta che aveva appena richiusa, mentre Andrè le si fece incontro ridendo come quando era ragazzino.

- Quella ragazzina é ovunque! Comunque credevo di bastarti io, non pensavo che avresti ordinato la cioccolata.

- Infatti non l'ho ordinata. Sarà un omaggio del locandiere.

La abbracciò sorridendo.

- Sarai sempre un'inguaribile golosa... - le disse baciandola sulla spalla destra, lasciata scoperta dal telo di lino. Armeggiò con i capi che lo trattenevano fermo all'altezza del seno, li sciolse, e con un ampio gesto della mano sinistra glielo tolse, facendolo volteggiare come una mantilla da torero. Le frange intrecciate sul lato corto colpirono il tavolino basso, rovesciando la piccola brocca a fiorellini rosa che conteneva la cioccolata, spargendone la maggior parte del contenuto sul vassoio dal quale iniziò a gocciolare per terra.

Si voltarono ad osservare quel piccolo disastro, per poi dimenticarsene immediatamente: per la nonna sarebbe stata una piccola catastrofe, mentre per loro, dopo quello che avevano passato in quei giorni non era nemmeno degno di essere definito una seccatura.

Anche il secondo telo finì rapidamente a terra, mentre i due amanti allacciati si lasciavano scivolare sul letto morbido.

- Ma tu non dovevi dirmi qualcosa?

- Chiederla, non dirla, chiederla.

- A me sembra che siamo abbastanza comodi, ora...- Gli disse Oscar, mollemente adagiata con il mento sul dorso delle mani il cui palmo poggiava sul petto di lui.

Lo sguardo di André perse lo scintillio birichino e si fece improvvisamente serio.

Oscar si chiese se fosse il caso di preoccuparsi per quel cambiamento repentino, e si dispose in un'attesa affannata.

- Tu...mi sposeresti?

- Certo che ti sposo!

Gli buttò le braccia al collo e scese a cercagli le labbra.

- Allora avevano ragione i soldati...siamo fidanzati!

Ma Andrè, sebbene felice, non era così scherzoso quanto lei.

- Davvero sposeresti uno come me?

- Bello come te? O coraggioso come te? O appassionato come te?

- Non stavo scherzando. Povero come me. Plebeo come me.

Oscar si mise a sedere irrigidita e nervosa. Se c'era un termine che non sopportava associare a lui, era quello.

- E' un discorso già affrontato e non ne voglio sentire parlare mai più. La tua nascita è una questione chiusa, per me. E farò in modo che si chiuda anche per gli altri. A partire da te.

Rilassò le spalle e si accoccolò nell'abbraccio di lui, che la strinse non solo con amore ma con gratitudine per le parole appena pronunciate.

Poi scese a cercarle le labbra. La baciò a lungo, senza fretta. Come a suggerire che, adesso, aveva tutta la vita per poterlo fare con calma.

La fece stendere sulla schiena e continuò la scia di piccoli baci scivolando sempre più verso l'ombelico, per arrivare a baciarla dove ancora non era arrivato in quei primi giorni.

Oscar sapeva che si potesse fare, ne aveva udito parlare in brandelli di conversazione, ma non aveva mai immaginato che fosse una cosa simile, un perdersi della mente nell'ascolto del proprio corpo. Non aveva il coraggio di aprire gli occhi e guardarlo. Le venne alla mente il lampo di un'immagine familiare: Andrè che per mangiare i macarons li apriva leccando la crema all'interno...e su quel pensiero si abbandonò definitivamente.

Quando riemerse dagli ultimi fremiti che la percorrevano, si fece contro al torace di lui che si era sdraiato sul fianco sinistro. Chiuse le palpebre. Allora l'amore era anche questo. Ricondurre a lui ogni dettaglio della propria esistenza. I macarons non sarebbero mai più stati per lei degli innocenti dolcetti rosa, né i teli di lino sarebbero stati solo un oggetto per asciugarsi, neppure il rasoio sarebbe stato solo una lama in metallo.

Chissà se anche per lui era la stessa cosa. Alzò lo sguardo verso il suo volto, le labbra morbide, le ciglia lunghe, gli zigomi un poco rilevati. Gli si fece ancora più vicino, cercandogli la bocca.

Andrè si lasciò mordere ed assaporare. Poi sentì che scendeva verso la fossetta tra le clavicole, e gli sfuggì un sorriso, a metà tra il piacere ed il solletico. Si abbandonò ad una piccola catena di baci che gli percorse il petto e l'addome. Quando intuì cosa stava per fare, provò a fermarla.

- Non..non sei obbligata. Non hai doveri coniugali.

- Ma io voglio farlo. Disse posandogli un dito sulle labbra.

Andrè si abbandonò alle sensazioni che gli arrivavano, sospirando su quella mano che era rimasta poggiata alla sua bocca, baciandola e mordendola.

No, decisamente non lo stava facendo per dovere. Per quanto incerta ed impacciata fosse ad Andrè arrivava interamente la sua passione, la determinazione a donargli in quel momento piacere, solo e soltanto piacere. E mentre il piacere sopravveniva ad ondate, gli giungevao ugualmente flutti quasi solidi di amore e devozione.

 

- Generale, i miei omaggi!

- Buongiorno a Voi Jarjayes.

- E' già giunto il secondo rapporto di mio figlio?

- Non ancora, lo attendiamo a giorni. Immagino vi sia stato qualche lieve intoppo... Siete preoccupato?

- Non posso dubitare della sua abilità, ma è accompagnato solo da due uomini abbastanza esperti e due ragazzini, e la cosa un poco mi impensierisce. Anche perché...- si interruppe e, come usava tra cortigiani consumati, diede un rapido sguardo per veder quali orecchie vi fossero intorno. Poi riprese:

- L'altro giorno anche il Duca mi ha parlato della missione. Credevo che meno persone ne fossero a conoscenza, il fatto che sia così risaputa mi fa temere fughe di notizie.

- Oh, non preoccupatevi, caro Jarjayes! Il Duca è un personaggio molto vicino a Sua Maestà, se è stato informato ci saranno delle ottime ragioni. Non vi è motivo di impensierivi.

- Certo, certo, non volevo certo dubitare del Duca...- Si affrettò a correggere il Generale.

- Volevo però parlarvi di una differente questione, se avete tempo di seguirmi nel mio ufficio.

- Senza dubbio.

E si allontanarono, due anziani uomini in uniforme, con la schiena dritta ed il passo deciso.

 

Quella sera erano tutti coscienti che per parecchie sere non avrebbero dormito in un letto, né mangiato comodamente. Ne approfittarono quindi tutti.

Si divertirono parecchio alla faccia di Gérard, quando udì il Comandante ordinare delle Oreilles d'âne, credendo che fossero davvero delle orecchie di poveri asinelli,. Ci volle del bello e del buono perchè almeno uno fosse in grado di smettere di ridere per spiegargli che erano a base di spinaci selvatici.

Oscar si sentiva davvero se stessa in quel gruppetto squinternato di persone così diverse, già nei giorni precedenti, ed ora la coscienza di decidere di appartenere a qualcuno, senza che questo la trasformasse in una bambola da usare, le donava una leggerezza d'animo mai provata.

Per tutta la vita le avevano detto e ripetuto che la cosa preminente era il dovere, che le cose davvero importanti erano pesanti, che non doveva sentirsi schiacciata da ciò che le chiedevano. Scopriva ora che esisteva la leggerezza. La levità. Il volo. Che avevano ragione i bambini, ad incantarsi dietro agli aquiloni. Andrè le aveva fatto un altro dono, in quei giorni. Le aveva regalato le ali.

 

Fu quindi con leggerezza che quella sera scostò infastidita il Visconte tornato all'attacco con il suo molesto corteggiamento, e la di lui sorella, le cui sfinenti chiacchiere cominciavano a darle sui nervi.

Fu con leggerezza che si premurò di sapere come stesse la moglie malmenata del manesco mercante, dandole la certezza di essere ascoltata e non disprezzata.

Fu con leggerezza che rimase per un poco a bere vino con i ragazzi, per poi salire in camera scortata da André.

Fu con leggerezza che si concesse ancora e ancora a lui, quella notte.

Fu con animo lieve che si preparò alla nuova tappa, il mattino seguente.

Fu con leggerezza che ripensò ad alcuni versi che le avevano fatto compagnia per anni.

 

All'alba erano già alla porta del Forte per recuperare il prigioniero, e si incamminarono nel mattino ancora frizzante di aria umida e fresca. A cassetta quel giorno si trovava Alain.

Rientrati in città tagliarono lateralmente per ritrovarsi di nuovo alla Porte d'Embrun, dalla quale erano rientrati pochi giorni prima. Si lasciarono alle spalle la città fortificata ed iniziarono una nuova discesa, meno ripida di quella che li aveva portati a Briançon, ma gravida di preoccupazione. Tutti si ricordavano il bivio che aveva condotto tre di loro alle miniere e ferito un quarto membro della compagnia. Invece lo superarono indenni e ben presto il sentiero si rituffò nel bosco frondoso di faggi e castagni. La giornata era calda, il sole ardeva tra le fronde ed anche in quel riparo verde si sentivano soffocare nelle divise. In più la preoccupazione per la missione non dava loro tregua.

Se si erano sentiti al sicuro in territorio sabaudo, ora pareva loro di essere alla mercé di chiunque.

Ad Oscar parve di vedere alcune figure sfuggenti percorrere un sentiero più alto, ma i rami le coprivano la vista. Anche Alain ebbe la stessa fugace impressione. Ma nessuno disse nulla, tenendo la paura per sé.

Passarono in questo modo due giorni e due notti, con i pasti presi rapidamente, le tende montate con le orecchie all'erta, i turni di guardia che si trasformavano in preoccupate ricerche ad occhi sbarrati nel buio. Per fortuna la luna era al primo quarto ed avrebbe fatto sempre maggiore luce permettendo loro di essere meno vulnerabili.

Anche perché ormai tutti avevano avuto la fugace visione o la inquietante impressione che qualcuno li seguisse e li vedesse.

Unico cambiamento, il prigioniero aveva talvolta rivolto loro la parola. Il primo giorno aveva posto alcune domande ad Alain, ed il secondo aveva quasi intavolato una conversazione con Gérard. Oscar ed Andrè, discutendo del fatto che pareva una faccia già nota, avevano avuto l'impressione di riconoscere in lui un giornalista, od un illustratore per le Gazettes, visto al processo per lo scandalo della collana. Non ne erano tuttavia certi. Né il prigioniero aveva detto qualcosa che potesse confermare o smentire.

La terza giornata cominciò con Andrè seduto a cassetta, a condurre il piccolo carro. Gérard e François lo affiancavano uno da destra ed uno da sinistra. Oscar, come consuetudine, era in testa ed Alain chiudeva la piccola carovana.

Monsieur 121 decise che era ora di iniziare a capire qualcosa del soldato che sedeva di fronte a lui. Se avessero tentato di liberarlo, e davvero quel soldato avesse costituito un ponto debole per il comandante...Devo scoprirlo.

- Così tu sei André, giusto? Sto cominciando a conoscervi.

- Non ho l'abitudine di parlare a chi non dice il proprio. - Rispose secco il soldato.

- Lo sapete, invece. 121.

- Allora io sono la matricola 174517.1

- Sei spocchiosetto, tu. Gli altri non hanno fatto tante storie. Ma già, sei il soldatino preferito della Comandantina...

- Se lo dici tu.

Gli altri due ascoltavano incuriositi lo strano dialogo, mentre sia Oscar che Alain erano troppo lontani per udire distintamente.

- Credi di essere superiore ai tuoi compagni perché hai ottenuto i favori di un'aristocratica?

Vediamo se riesco ad irritarlo per ottenere qualche informazione.

- Credi di sapere molte cose, tu. Credi di avere ragione. Anche quando ti hanno catturato eri convinto di avere ragione?

- Facile parlare, quando sei libero. O credi di esserlo.

- Tu credevi di esserlo. Io non l'ho mai detto.

- Pensavo che tu ti sentissi libero di amare chi ti pare.

- Non si è mai liberi quanto si desidera, quanto si vuole, quanto si teme. Forse nemmeno quanto si vive2. Portiamo comunque la livrea del nostro tempo, qualunque mestiere si faccia, qualunque ruolo si viva. E' davvero essere liberi, questo? Anche tu, eri libero quando hai complottato agli ordini di qualcuno più potente di te? Se dovessero davvero venirti a prendere, saresti libero? Libero quanto credi? L'uomo nasce libero3. Ma poi vive libero? Pensaci su.

Monsieur 121 tacque. Pensava di ottenere facilmente una risposta, che quello seduto dinanzi a lui fosse solo un soldato abbastanza carino da piacere alla donna che guidava il gruppo. Nulla più. Invece si era trovato a parlare con un uomo intelligente, e pensante. Lucido, nella sua analisi dei loro tempi e delle loro situazioni rispettive.

Senza peraltro scoprire nulla riguardo le reali relazioni tra lui ed il comandante.

 

Il resto della giornata trascorse in maniera calma, lungo il sentiero ombreggiato da alberi frondosi. Ormai mancava poco a Grenoble, vi sarebbero giunti prima del tramonto. Oscar aveva già avvisato da Briancon del loro arrivo l'Intendente locale, Gaspard Louis Caze De La Bove4, sperando che potesse accogliere il loro prigioniero per quella notte almeno. Oscar sapeva delle proteste che vi erano state a Grenoble pochi giorni dopo la loro partenza da Parigi, quando il Governatore del Delfinato, Louis Philippe D'Orléans e lo stesso La Bove, avevano fatto approvare a forza gli editti reali al Parlamento locale, che li vedeva come un tradimento dell'impegno preso dalla corona secoli prima5, in una seduta durata ventuno ore. Dopodiché, il parlamento era stato chiuso e i membri erano stati forzatamente messi in vacanza d'ufficio.

Ovviamente il Duca era rientrato a Parigi difilato, dopo l'evento.

In tutto ciò, Oscar sperava che il suo messaggio fosse giunto e che avrebbero ottenuto un minimo di riposo. Un'oretta, un'oretta e mezza e ci siamo.

 

Chissà, forse la sicurezza di essere arrivati ad un rifugio tranquillo, dopo tre giorni.

Forse il sole che si abbassava sull'orizzonte.

Forse la stanchezza.

Ma solo fiocamente udirono un rumore di zoccoli sul tappeto di foglie del bosco.

Poco distintamente colsero delle ombre tra le foglie dei castagni e delle querce.

L'odore di sottobosco calpestato e funghi schiacciati non disse nulla alle loro narici stanche. Solo uno sbuffo di polvere attirò la loro attenzione.

Ma quando tre figure a cavallo, vestite di scuro, con la metà inferiore del volto nascosta da un fazzoletto, piombarono su di loro all'improvviso, giungendo dal folto alla loro sinistra, fu una sorpresa dolorosa e faticosa da affrontare.

Uno dei cavalieri si diresse immediatamente verso il carro del prigioniero, lanciandogli un ferro con cui aprire la serratura della sua prigione su ruote. Poi si diresse verso Alain, che aveva fermato Droit e ne era sceso, preparandosi ad ingaggiare un duello.

Il secondo si fermò alcuni metri indietro, sparando verso di loro. Con la prima pistola mirò verso Lasalle, il più vicino a lui, poi puntò la seconda verso André, per bloccare l'avanzata del carro.

Gérard fu così fortunato da non venire colpito e scese rapidamente da cavallo, impugnò il fucile già carico e colpì alla gamba destra l'assalitore.

Poi si girò a controllare. Andrè pareva ferito, anche se solo leggermente, alla spalla sinistra. Il taglio quasi orizzontale sulla divisa suggeriva un colpo di striscio, non troppo pericoloso.

François si diresse in avanti, verso il Comandante che era impegnato in un altro duello con il terzo assalitore. Piccolo, e con una corporatura che gli parve anomala, sul momento, era però decisamente agile, e stava impegnando Oscar in una scherma di tecnica e leggerezza. La giovane recluta avrebbe voluto aiutare il comandante, ma non aveva modo di intervenire.

Gérard recuperò uno degli altri fucili e si mise a ricaricarli entrambi. Era rapido ed abile in queste attività, ma l'operazione richiedeva almeno mezzo minuto per ogni fucile. Un'eternità, in quelle condizioni

Nel frattempo, il prigioniero aveva aperto la serratura, e con le mani ancora bloccate dai ferri, era saltato giù dal carro per fuggire. Andrè, resosene conto, lo aveva rincorso, sebbene dolorante alla spalla. Era riuscito a farlo cadere, ed ora lottavano furiosamente a terra, tra i solchi dei carri sul sentiero. François se ne avvide ed accorse in suo aiuto. Il Prigioniero, seppure in ceppi, si dibatteva furiosamente assestando calci, mordendo e dibattendosi in ogni modo possibile. François ricevette un colpo alla tempia con la parte sporgente delle manette che stringevano ai polsi il prigioniero. Vide un lampo di luce attraversagli gli occhi e si accasciò a terra rantolando. Gli venne addirittura un conato di vomito.

Monsieur 121 ne approfittò per dedicare tutta la sua attenzione ad Andrè. Cercò di passargli le mani attorno al collo, per utilizzare le manette per forzarlo al collo. Il soldato faticava a liberarsi, la ferita alla spalla sinistra bruciava, e gli impediva di portare il braccio in alto quanto avrebbe voluto.

Oscar continuava il suo duello con l'assalitore basso di statura, che pareva intenzionato a spingerla verso il folto del bosco, lontano dalla carrareccia. Intanto il terzo, dopo essersi allontanato a cavallo, stava tornando verso di loro, con qualcosa in mano. Una piccola sfera di colore scuro6.

La lanciò, e questa rotolando cadde presso il carro con i due cavalli.

Un forte botto, un lampo giallastro. E poi sangue dei poveri cavalli ovunque.

Carne a brandelli, su Oscar ed il suo avversario. Schegge del carro in ogni direzione.

Colate di scuro liquido su Monsieur 121. Gocce rosse sui volti.

L'odore dello zolfo. L'odore del sangue, metallico, che si sovrapponeva. L'odore nauseante di bestia sventrata.

Oscar dovette fermarsi per togliere dal viso i capelli biondi cosparsi di grumi, e pulire gli occhi.

L'uomo che aveva lanciato la granata diresse il cavallo verso il prigioniero, che nel frattempo era riuscito a spingere il ferro centrale delle manette contro la gola di Andrè, il quale stava ormai per perdere conoscenza. Lo afferrò dal colletto, tirandolo su malamente, e si rivolse al suo liberatore:

- Portiamolo con noi, ci sarà utile.

Il bandito issò il soldato sul proprio cavallo, mentre Monsieur 121 salì sul primo animale che vide, ovvero Alexandre.

Il sicario che aveva André sul cavallo, avvisò gli altri, che si precipitarono verso le cavalcature, e partirono colpendo ferocemente gli animali con gli speroni.

Gérard, con la mano sinistra spostò una colata di sangue e visceri dal volto, mirò e tentò di colpire Monsieur 121, ma prese solo di striscio la sua cavalcatura...

Oscar ebbe appena il tempo di realizzare chi stessero portando via, prima di lanciare un acuto grido disperato.

 

 

 

 

1 Il mio è un omaggio voluto. Spero nessuno si offenda.

2 Citazione da Marguerite Yourcenar, L'Oeuvre au noir, traduzione mia quindi un po' stentata: On n'est pas libre tant qu'on désire, qu'on veut, qu'on craint, peut être tant qu'on vit.

3 Il Contratto Sociale di Jean Jacques Rousseau, citazione lievemente modificata.

4 Gaspard Louis Caze, Barone De La Bove

5 Dal 1349 il Delfinato era una regione che noi definiremmo a statuto speciale, con privilegi garantiti. Il Governatore generale era Louis Philippe D'Orléans. Dopo questo episodio vi fu una rivolta, il 7 giugno, la Journée des Tuiles (tegole, lanciate sui soldati), che innescò la convocazione degli stati Generali del Delfinato, che furono il prologo della Convocazione Nazionale.

6 Una granata, piccola sfera in metallo contenete polvere nera ( 75% nitrato di potassio, 15% carbone di legno, 10% zolfo). Si accendeva con una miccia a combustione lenta.

 

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Capitolo 13
*** La guerra dei bottoni ***


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13. La guerra dei bottoni

 

Oscar si guardò intorno spaesata. François giaceva inginocchiato tentando di rialzarsi, Alain era ancora troppo stupito dalla rapidità con cui si era concluso il combattimento, Gérard teneva in mano il pesante fucile. Il carro era sventrato, i cavalli sopravvissuti erano irrequieti.

Si avvicinò lentamente a César, cercando di pensare in maniera lucida. Rinfoderò la spada, controllò di avere le pistole. Prese della corda, miccia e polvere. Due piccoli pugnali e due pistole. Si ricordò delle carte della zona.

Si sentiva pulsare le tempie, le pareva di galleggiare in una bolla di ansia. Ma doveva pensare, impartire ordini e prendere decisioni. In due sarebbero stati più rapido. Chi scegliere? Il più esperto.

- Alain! Tu vieni con me. Voi prendete i cavalli, il carro e presentatevi a Grènoble, da De La Bove, l'Intendente. Sempre dritto, per la città. Spiegate che è successo. Aspettateci lì.

Poi balzò agile in sella a César, e partì al galoppo, seguita da Alain sul suo Droit.

 

- Giusto Voi, Generale Jarjayes! Vi stato appunto cercando.

- Buongiorno a Voi Generale, avete bisogno dei miei servigi?

- No, nulla di tutto ciò. Era mia intenzione informarvi che ho ricevuto il secondo rapporto inviato da Oscar. Quando è stato scritto si trovavano a Briançon, ed erano brillantemente riusciti a sventare un tentativo di sabotaggio della missione, che li aveva obbligati ad un pericoloso inseguimento in miniera. Devo dire che Oscar se la sa cavare brillantemente anche in situazioni decisamente inconsuete. Vi faccio i miei complimenti.

- Vi ringrazio, Generale. Pensate che potrei leggere il rapporto?

- Certamente, andate nel mio ufficio e chiedete al mio attendente!

- Vi ringrazio ancora.

Ma cosa ho fatto? Perché non mi sono opposto a questa cosa? Troppo, troppo, pericolosa! Troppo!

 

Presto il sole sarebbe tramontato. André si sentiva tremendamente sballottato, in sella a quel cavallo condotto da qualcun altro, con le mani legate tra il pomolo e l'arcione della sella, quindi senza grossi possibilità di reggersi. La gola dove Monsieur 121 aveva premuto con i ferri delle manette gli doleva ancora moltissimo. La testa pulsava e faceva fatica mettere a fuoco.

Ma doveva in qualche modo recuperare l'uso del proprio corpo. Doveva liberarsi, o perlomeno agire.

Non poteva lasciarsi trascinare dagli eventi. Non poteva morire. Non poteva perderla. Non ora che si erano trovati. Non ora che le cose erano cambiate dopo una vita intera di attesa. Non morire solo. Non dopo aver condiviso ogni cosa fin da quando erano piccoli. Piccoli...piccoli...ma certo! Ecco l'idea!

Si sforzò di ragionare. Oscar l'avrebbe seguito? Certo che sì. Di questo era sicuro. Sapeva dove si sarebbero diretti? Certo che no. Cosa avrebbe potuto fare?

Il suo cavaliere conduceva il galoppo senza nemmeno degnarlo di uno sguardo. Provò a forzare la corda. Erano i chiudi-fila di quel gruppo eterogeneo. Non riusciva a liberarsi, ma almeno poteva allentare un poco i nodi. Tirò e sfregò sino a che i polsi furono dolenti e scorticati. Ma aveva allargato il cappio in modo da potere muovere un poco la mano.

Portò la destra alla divisa, riuscendo a raggiungere uno dei numerosi bottoni metallici. Cominciò a tirare e ruotare per staccarlo. Se avessero preso un bivio, avrebbe tentato di lasciarlo cadere a terra. Quella notte la luna sarebbe stata tra il primo quarto e la pienezza. Forse avrebbe brillato abbastanza per essere evidente. Riuscì a staccarlo. Provò a sfregarlo sul panno della giacca per lucidarlo ulteriormente. Era vitale che brillasse alla luce della luna.

Presto giunsero ad un bivio. Era il primo o mentre era ancora stordito ne avevano superati altri? Non poteva saperlo. Guardò il bottone. Lo lasciò cadere, indirizzando una muta preghiera...

 

Oscar stava spronando il cavallo in un galoppo frenetico. Recuperare il necessario ad un eventuale combattimento le aveva portato via alcuni minuti preziosi, aggiunti a quegli attimi di spaesamento che avevano seguito il lancio della granata. Si sentiva addosso il lezzo della carne e del sangue che la avevano investita con l'esplosione. Sentiva in gola il fumo e la polvere acre. Gli occhi le pungevano per l'esplosione e per le lacrime che tentava di ricacciare indietro.

La gola era talmente chiusa per lo sforzo di non piangere da procurarle un dolore insistente.

Non adesso, non adesso! Non me lo possono portare via adesso! Al diavolo la missione, che lo ammazzino il prigioniero! Non mi importa! Io rivoglio Andrè, adesso, subito!

La preoccupazione per l'incombere del tramonto la stava devastando. Come avrebbero fatto, di notte? C'era la luna, vero, ma come avrebbero visto le tracce? Non era un momento in cui la persone viaggiassero molto, ma quelle strade erano abbastanza frequentate...come fare? Dove avevano intenzione di andare? A Grenoble? In Svizzera?

Anche i fuggitivi avrebbero dovuto far riposare o cambiare i cavalli...

Alain la seguiva, ma Droit non era veloce come César, e doveva portare un peso maggiore. Era preoccupato. Non aveva mai visto il Comandante perdere la testa in quel modo. Mai.

Era sempre stata il soldato perfetto, freddo e razionale. Nemmeno quando l'aveva sfidata a duello in caserma. Nemmeno quando, mesi prima, l'avevano legata ad una sedia e minacciata di abusarne1, aveva ceduto. Ora che avevano preso André, stava cedendo. Non stava ragionando. Sarebbe stato meglio avesse fermato il cavallo per un attimo e si fosse sfogata a piangere, per poi ripartire con la mente svuotata dal dolore. Ma non osava dirglielo.

Nel frattempo il sole era sceso dietro i boschi, e solo un crepuscolo violaceo illuminava la strada. Una luna quasi piena era già sorta, come una benevola divinità che si offrisse di guidarli.

Fermarono i cavalli. Dinnanzi a loro, in lontananza il profilo di Grènoble stagliato sul cielo indaco, e la strada che vi conduceva. Sulla sinistra, un sentiero più stretto, che portava ad alcuni villaggi, come Sassenage, e permetteva di arrivare a Lione senza passare in città; era la via che avevano percorso in senso inverso più di due settimane addietro. A destra, la larga carrareccia per Chambéry, che passando sul lago di Annecy giungeva a Ginevra.

Oscar, pensierosa, chiuse gli occhi tentando di comprendere cosa avrebbero fatto i fuggitivi.

Alain si guardava intorno. Verso destra, qualcosa attirò la sua attenzione, e scese dal cavallo. Un luccichio, incongruo in quel luogo, gli disse che forse avrebbe potuto essere importante. Un bottone di ottone, ben lucidato...identico a quello della sua divisa. Non era un caso. Niente affatto.

E bravo André, ci lascia le mollichine come Pollicino!

- Comandante! Venite a vedere!

Oscar balzò giù senza badare a dove metteva i piedi, e corse per quei pochi passi che li separavano. Alain la guardò col sorriso sghembo che riservava per gli scherzi meglio riusciti.

- Sappiamo che direzione hanno preso.

- Vogliono portare il prigioniero al sicuro in Svizzera, probabilmente. Oppure semplicemente hanno un covo lungo questa strada.

Lo guardò e gli disse semplicemente.

- Grazie, Alain. Grazie.

Prese il bottone da quel palmo smisuratamente grande rispetto al suo, stringendolo come un piccolo tesoro. E la sua testa riprese a funzionare. Ora non era più perduta nei boschi. Sapeva di avere un modo ed una possibilità di salvarlo.

- Procediamo ancora per un poco. Attenzione a tutte le svolte, dovessero esserci altri segni. Più avanti ci fermeremo a far riposare i cavalli, ed anche noi dovremo prenderci un poco di tranquillità. Persino loro si dovranno arrestare, alcuni dei loro cavalli portano un peso doppio.

Risalì su César, e già era ritornata ad essere il Comandante Oscar François de Jarjayes.

 

Il Generale posò i fogli sul piano ordinato della pesante scrivania in noce cui sedeva. Sospirò, poggiò la schiena al velluto cremisi dietro di lui e si mise una mano a coprire gli occhi.

Evidentemente, almeno due persone avevano inviato un sicario, in maniera probabilmente scoordinata, visto che uno era morto. A Lione. L'Intendente di Lione era una persona affidabile, leale verso la corona, ma non una mente particolarmente brillante. Difficile pensare che si fosse fatto corrompere. Ma avrebbero potuto giocarlo in maniera abbastanza elementare.

Senza contare che Lione era la città più prossima al Delfinato. E una buona parte del percorso della missione avrebbe dovuto attraversare quell'area. Il cui Governatore, notoriamente, non era esattamente un suddito esemplare, anzi. Louis Philippe D'Orléans era stato sospettato più volte di ordire trame contro Sua Maestà. Questo faceva di lui il sospettato numero uno, tra i possibili mandanti.

E il secondo? Un uomo legato a doppio filo al duca era sicuramente Honoré Gabriel Riqueti. Probabile mandante? Certamente. Ma, soprattutto, visti i precedenti arresti, mandante di un sicario poco avveduto che avrebbe potuto sbagliare mira alla locanda e farsi prima catturare poi ammazzare a Lione.

Il Generale sospirò ed allungò le gambe sotto la scrivania. Il primo pericoloso perché determinato. Il secondo, pericoloso perché avventato.

Doveva provare a far qualcosa anche lui, da Versailles. La situazione sembrava molto molto più grave di quanto si prospettasse all'inizio.

 

- Non so cos'abbia, dottore, non capisco! Sta malissimo da tre giorni, vomita, delira, è consumata dall'arsura.

- Che vi risulti, Monsieur Jean, é' stata a contatto con dei malati? Ha mangiato qualcosa di diverso dal solito?

- Beh, so che un nobile di passaggio alla locanda le aveva regalato una confezione di macarons per compensarla dei suoi servigi...

 

Ad Andrè il viaggio pareva interminabile, anche se la posizione della luna non era mutata di molto da quando era sorta in cielo, e non avevano mai lasciato la strada principale. Poteva solo sperare che gli inseguitori (Oscar aveva preso con sé tutti? O solamente Alain? Od aveva fatto la follia di partire da sola?) ritrovassero il bottone, quel pezzetto di metallo che per lui aveva assunto lo stesso valore del diamante Régent.

Intanto ne teneva in mano altri due, pronto per eventuali deviazioni.

Stavano correndo lungo la strada, ed ai lati la foresta aveva lasciato il posto ad una contrada di campi ordinati, grano alto quasi pronto per la mietitura, arature per l'orzo, ed altri dove il profumo dell'erba tagliata indicava che la fienagione era già avvenuta.

Alla sua sinistra si vedevano le ombre scure di alcune montagne, ed in alcuni tratti si udiva distintamente lo scroscio di un torrente.

Ad un tratto rallentarono improvvisamente. Il capofila stava evidentemente cercando qualcosa. Lungo la strada, alla sua destra, un piccolo pilone votivo. Dopo pochi passi, un sentiero stretto. Se anche chi li stava conducendo aveva dovuto rallentare, la cosa era grave.

Lasciò cadere un bottone davanti al pilone, ed il secondo appena svoltato. Poi cominciò ad armeggiare freneticamente con un altro. Se avessero di nuovo cambiato sentiero a breve, avrebbe dovuto essere pronto.

Dopo poche centinaia di passi, si arrestarono dinanzi ad una fattoria, non molto diversa da quella in cui Oscar gli aveva detto di amarlo, e che nel ricordo era divenuta un luogo dolcemente meraviglioso. L'uomo che conduceva il cavallo scese, slegò il cappio che fissava le sue mani all'arcione e lo strattonò per farlo scendere. Andrè poté vederlo in volto, si era sfilato il fazzoletto: mascella robusta, naso aquilino, occhi scuri. Mai visto.

Invece prestò attenzione alla voce che dava ordini. Quella la conosceva. Ed era accompagnato da una seconda voce...femminile? Nota anche quella. Il Visconte e la sorella. O meglio, pensò, il sedicente Visconte. Abili davvero, a dissimulare. ci erano cascati con tutte le scarpe.

Mentre pensava, lasciò cadere un ultimo bottone. Purché non lo notassero, raccogliendolo e vanificando i suoi sforzi. Purché non venisse calpestato e nascosto nel terreno.

Venne spinto dentro una costruzione bassa, di pietra, insieme a Monsieur 121. Probabilmente un ovile. Due minuscole finestrelle la illuminavano. Prive di inferriate, ma era fuori discussione che due uomini potessero passare da simili aperture. Nemmeno Oscar sarebbe passata. La porta era invece nuova. Nessuna speranza di sfondarla.

Andrè si sedette su un cumulo i paglia, poggiò le spalle al muro e chiuse gli occhi. Voleva isolarsi.

 

Nella cucina della fattoria, intanto, dinanzi ad una tavola su cui erano stati rapidamente poggiati del pane, dei viveri ed un fiasco di vino, ferveva una discussione sul destino di Monsieur 121.

- Il Duca vorrebbe che lo si faccia arrivare in Svizzera - disse Dénis, alias Visconte De Bergues. Ma ci pagherebbe anche se morisse, visto che la cosa principale è non farlo testimoniare.

- Ecco, appunto - rimbeccò Jean Paul, l'uomo che aveva attirato Oscar e gli altri nella miniera - facciamolo fuori e non se ne parla più. Che poi...non capisco, tutte queste storie per farlo arrivare in Svizzera! Non hanno mica fatto tante scene con gli altri: fatti fuori, spariti, discorso chiuso.

- Ma gli altri non erano figli illegittimi del Duca d'Artois! Ed inoltre, se lo facciamo arrivare in Svizzera il guadagno per noi sarà maggiore - riprese Christine, finta sorella del falso Visconte, con cui condivideva letto ed avventure sia criminali che galanti da alcuni anni.

- Per voi! Ma io?

- Potremmo dividere la somma che ci darà...- propose Christine.

- Questa mi pare una proposta ragionevole.

- E poi, non dimentichiamoci - riprese Dénis - che il Duca offrirà una ricompensa ulteriore se facciamo fuori il Comandante. Per questo abbiamo preso con noi quel soldato che le piace tanto, vero, Christine?

- Già, visto che sinora se l'è sempre cavata. Mi chiedo ancora come abbiano fatto a capire che quella cioccolata era condita con arsenico e ad evitare di berla.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

1  Episodio del Manga

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Capitolo 14
*** Doppi giochi ***


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14. Doppi giochi

 

Oscar era esausta, ma si impose di continuare ancora. Scrutava il paesaggio ed il terreno, andando al trotto, per valutare se vi fossero sentieri e tracce. Vide una piccola mulattiera alla sua destra, poco dopo una colonna con un santo approssimativamente dipinto.

Rallentò. Qualcosa luccicava ai piedi della figura. Scese. Un bottone. Imboccò la stradina. Un altro.

Si incamminarono lungo il sentiero fiancheggiato da un muretto a secco. Più avanti, una fattoria, con una finestra illuminata.

Avrebbero potuto essere loro, o dei poveri pastori ignari. Oscar si voltò verso Alain.

- Vado a vedere. Voglio capire se sono loro, se possiamo riprenderci Monsieur 121 e salvare Andrè, e quale sia la situazione.

Prese uno stiletto lungo e con l'impugnatura molto sottile e lo mise nello stivale destro. Infilò due pistole nella cintura. Poi passò al soldato le redini di César. Si tolse l'orologio dalla tasca e glielo diede.

- Dammi un'ora. Se non torno, vieni, con la polvere da sparo, le armi ed il resto.

Il soldato si sedette sul muretto, in attesa. Le undici e venti della notte.

 

Oscar si incamminò alla luce della luna, cercando di fare meno rumore possibile quando fu sulla misera aia. Se non ci fosse stata la luce alla finestrella, avrebbe detto che fosse stata disabitata. Nessun belato, nessun cane ad abbaiare, nessun muggito. Nemmeno l'odore degli animali. Questa assenza di vita cominciò a convincerla di essere nel posto giusto.

Si avvicinò all'abitazione, e guardò dalla finestra illuminata. Una stanza, con un tavolo usurato. Attorno, quattro persone. Di fronte a lei, Monsieur 121, che si massaggiava i polsi, ancora segnati dei ferri. Accanto a lui un volto anonimo, di quelli che si è magari già avuto l'occasione di incrociare, ma li si è dimenticati. Di spalle, un uomo ed una donna in abiti maschili. Si mise in ascolto. Stava parlando la donna.

- Vi accompagneremo in Svizzera, il Duca preferisce così. Dovete riconoscere di esserci debitori della vita, e pertanto immagino che non ci farete scherzi, né proverete a fuggire da quanto il vostro, e nostro protettore, ha pensato per Voi. Provare a tornare a Parigi equivarrebbe morire. Sono stata chiara?

La sorella del Visconte! Quanto sono stata idiota! Che imbecille sono! Quei due! Altro che aristocratici in villeggiatura!

Sentì Monsieur 121 rispondere:

- Non sono né stupido, né ingrato. So che il Duca ha pagato voi per liberarmi, e gliene sarò sempre riconoscente. Eppoi, tornare a Parigi, per cosa? Per essere arrestato daccapo? Per rischiare lo squartamento dinnanzi ad una folla urlante? Meglio l'esilio. Posso scrivere anche da Ginevra.

- Siete molto ragionevole. Rimanete a mangiare un boccone con noi, poi salirete a riposarvi con Jean Paul. Noi ci occuperemo del soldato.

Il sottinteso era chiaro: non si fidavano pienamente dell'uomo appena liberato.

Mentre si accingevano a mangiare, Oscar uscì dal cono di luce della finestrella ed andò verso le altre costruzioni. La prima che vide, forse un pollaio, piccola e bassa, era deserta. Poi si recò verso una struttura più alta, con due piccole aperture. Una porta solida e nuova stonava con la miseria circostante. Si avvicinò cautamente, guardando in terra per non fare rumore con qualche sasso. Fu così che vide un ultimo bottone. Lo raccolse e lo mise in tasca con gli altri.

Prese in mano la pistola, e tirò il chiavistello.

Nel buio non riuscì dapprima a scorgere nulla, poi lo vide, appoggiato alla parete di fondo.

- André!

Corse avanti, e si mise in ginocchio accanto a lui, re-infilando la pistola nella cintura. Gli prese le mani.

- Stai bene?

- Sì, ma sei da sola?

- No fuori, c'è Alain; usciamo, andiamo a chiamarlo e poi torneremo a prenderci 121.

- Non ne sarei così sicuro...- disse una voce alle loro spalle.

- Visconte...anzi Dénis, vero? - Chiese Oscar.

- Vedo che ne sai più di quel che pensassi. - Disse avvicinandosi. Oscar si rialzò di scatto, tentando di dargli una testata nel ventre, ma l'uomo si scostò e le afferrò il polso, torcendolo. La costrinse a terra, tirando fuori un coltello.

Guardò Andrè che si era rialzato per metà, tentando di intervenire, e puntò il coltello alla gola di Oscar.

- Prova a reagire e la sgozzo immediatamente. Si rialzò trascinandosela dietro, recuperò un pezzo di corda lercia da una mangiatoia e le legò i polsi. Poi le prese la spada dal fianco. La spinse accanto ad Andrè, richiuse la porta e dall'esterno disse:

- Faremo i conti più tardi.

 

Gérard e François arrivarono stanchi e sporchi all'Intendenza di Grenoble. Ovviamente, data l'ora, De La Bove era già rientrato a casa propria. Si presentarono al soldato di stanza presso la guardiola, che, viste le condizioni delle loro divise, non ebbe alcuna difficoltà a credere ai due soldati, rifocillarli e dare loro un posto ove trascorrere la notte.

Il mattino seguente avrebbero parlato con l'Intendente e deciso cosa fare per aiutare i compagni ed il Comandante.

- Dove saranno?

- Non lo so, è notte, i cavalli erano esausti...

- Riusciranno a ritrovare Andrè?

- Non lo so, non lo so davvero. Che tracce potrebbero trovare?

- Il Comandante è in gamba, ed anche Alain.

- Speriamo, speriamo davvero.

 

Alain guardò l'ora, impaziente. Le undici e trentacinque. Era passato solo un quarto d'ora.. Avrebbe dovuto ancora attendere parecchio. Dal suo punto di osservazione non aveva potuto vedere se non ombre, qualcuno muoversi tra due edifici.

 

Oscar si avvicinò carponi ad André.

- Stai bene? - Si sentì chiedere con un filo di apprensione nella voce.

- Sì, non ti preoccupare. Ho un coltello nello stivale. Pensi di riuscire a prenderlo?

- Direi di sì, avevo allentato un poco le corde durante il viaggio, per riuscire a seminare i bottoni.

Malgrado tutto, Oscar sorrise.

- Li ho recuperati, li ho in tasca. - Non gli disse che li aveva conservati come un piccolo tesoro.

Andrè provò ad infilare la mano nel gambale in cuoio, ma non vi era spazio sufficiente. Allora glielo sfilò, lasciando cadere il piccolo pugnale affilato. Con quello segarono le corde che li tenevano legati ai polsi.

Oscar gli mise le mani sotto al mento e lo sfiorò con un leggero bacio in punta di labbra. Aveva davvero temuto, e quel contatto gli trasmise tutta l'agonia di quelle ore di ricerca e tutto il sollievo di essere lì insieme. Poi il soldato prese il sopravvento.

- Ho anche due pistole. Tienile tu.

André le prese, nascondendole sotto la giacca non più trattenuta dai bottoni che erano stati la sua salvezza.

Poi suggerì di formare un legaccio fasullo da arrotolare attorno ai malleoli dei polsi per fingere che le corde stessero ancora facendo la loro funzione. Concordarono inoltre di far parlare, se possibile, il carceriere che si fosse presentato loro per scoprire quanto più possibile sulle loro intenzioni. Nella loro esperienza, la vanità aveva sempre il sopravvento sulla prudenza, in questi casi.

Lo informò inoltre su quanto aveva disposto riguardo ai soldati, in modo che si potesse attendere l'intervento di Alain, se fosse accaduto.

Infine, Oscar si accoccolò al suo fianco e si dispose ad attendere l'arrivo del carceriere o del commilitone poggiandogli il capo sull'omero in un attimo di pace in quella giornata convulsa.

 

Il Generale Jarjayes era esausto per la giornata appena trascorsa e preoccupato per Oscar. Ciononostante, si trovava ad un ricevimento a Corte, con la precisa intenzione di incontrarvi due persone.

La prima si palesò nel suo campo visivo sorridente come il suo solito, in un abito di broccato dorato che riprendeva il colore dei capelli.

- Padre! Sono sorpresa di trovarvi qui. Anche perché, e devo dirvelo nonostante io rischi di parere offensiva, avete l'aria davvero stanca.

- E lo sono, mia cara Josephine. Ma ho urgente bisogno di chiedere un piccolo favore a voi e di parlare con un'altra persona.

La figlia lo guardò con sollecitudine. Non accadeva spesso che le chiedesse aiuto.

- Sediamoci laggiù e ditemi tutto, gli disse allacciandosi al suo braccio.

 

Oscar era seduta in quella posizione accanto ad André da pochi minuti quando udirono un rumore al catenaccio esterno. I loro sensi si allertarono. Si interrogarono vicendevolmente con gli occhi. Per ora attendiamo? Vediamo come vogliono agire? E poi ci libereremo? Un veloce e muto segno di assenso, e Jean Paul, smessi gli abiti da Visconte, fece il suo ingresso accompagnato dalla sedicente sorella che reggeva una lampada.

Si voltò ad appenderla ad un gancio presso la porta, con le movenze lente ed aggraziate che la contraddistinguevano. Ma che evidentemente divenivano rapide ed agili quando impugnava una spada.

- Bene, eccovi finalmente qui, nelle mie mani, esordì Jean Paul.

 

Alain controllò ancora l'orologio. Mezzanotte. Ma cosa stava accadendo? Perché ci stava mettendo tanto?

Stava letteralmente friggendo per l'impazienza. Nonostante questo, si disse che il Comandante sapeva il fatto suo. Nonostante tutto, si predispose ad attendere ancora un poco. In fondo, un ordine era pur sempre un ordine.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 15
*** Pinze, paioli e cucchiai ***


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15. Pinze, paioli e cucchiai

 

Oscar non batté ciglio di fronte all'affermazione di Dénis. Credeva di averli in pugno? Tanto meglio.

- La ricompensa promessa per l'evasione del prigioniero é molto interessante. Il nostro benefattore è molto amico del padre naturale del ragazzo, che sarà lieto del servigio fornito. Ma il nostro benefattore, continuiamo a chiamarlo così, pare abbia voglia di liberarsi di Voi, Comandante. Gli avete procurato dei fastidi, in passato. Ed è disposto ad aggiungere qualcosina di tasca propria, per questo favore aggiuntivo.

Gli occhi azzurri non si staccarono dal volto del sicario, lo fissavano senza timore e senza curiosità apparente.

- Sinora siete stata fortunata, avete sfuggito attentati diretti, tranelli in miniera, siete persino riuscita a capire che la cioccolata era avvelenata evitando di berla.

Questa volta un guizzo passò rapido nelle pupille, la scoperta di una fortuna insperata d inconsapevole.

- Ma questa volta siete decisamente in trappola, con le mani legate, in un punto isolato. Siete stata impulsiva, e sciocca. Inseguirci, per riportare a casa questo soldatino che pare vi stia tanto a cuore...ci avreste inseguiti, certo, ma non in questo modo, per recuperare il prigioniero. E siete caduta nel nostro gioco. Eccovi, qui, alla mia completa mercé.

Questa volta fu André ad essere attraversato da una certezza piena di colpa, amara come la punta avvelenata di una freccia.

Ma entrambi attendevano il momento in cui Dénis, nel suo discorso avrebbe abbassato la guardia. Non era sfuggito alla vanità del cacciatore, alla voglia di incensarsi per la propria bravura, proprio come avevano previsto1.

- Ma, giacché siete qui, potremmo approfittare per divertirci un poco.

Ad Oscar si contrassero i muscoli attorno all'ombelico. Bisognava agire. Ma non capiva. E la donna? Escluso che fossero fratelli, le era balenata l'idea che potesse esserci tra loro una relazione sentimentale, o che fossero amanti.

Fu la donna, di cui ancora non avevano udito il nome, a palesare la situazione. Si inginocchiò ala sinistra di Oscar, in modo da trovarsi con il volto alla stessa altezza del suo, gli occhi negli occhi e rivolgersi a lei in un sussurro, udibilissimo nel silenzio della piccola costruzione:

- Ciò che piace a Dénis piace anche a me. Condividiamo tutto. A lui piace guardare quando due donne si baciano...piace a tutti gli uomini, secondo me piacerebbe anche al tuo amico.

Oscar non rispose e non si mosse. Non indietreggiò. La donna pensò che sapesse esattamente di cosa stese parlando, che la lasciasse fare.

Oscar alzò lentamente le mani, annodate ai polsi con un grosso ed evidente nodo che sfiorò quasi il seno della donna. La donna si avvicinò con le labbra socchiuse per un bacio.

Oscar aprì i polsi all'improvviso, sciogliendo il cappio tanto grande quanto inutile, afferrò la donna per le spalle e la colpì con una forte testata sul volto.

La donna si accasciò al suolo, portandosi le mani al naso ed urlando di dolore.

Oscar si alzò in piedi facendo uscire lo stiletto dalla manica destra della divisa. Nello stesso tempo, André aveva sciolto i propri lacci, impugnato la pistola e l'aveva puntata verso Dénis. Anche quest'ultimo aveva estratto le propria, ma il soldato aveva avuto più tempo per prepararla, nell'attesa. Il cane era già carico. Sparò per primo, colpendo il sicario all'altezza del fegato. Anche questi riuscì a sparare, mentre già cadeva. André si sentì mordere dal dolore di una pallottola conficcata nel polpaccio sinistro e cadde in ginocchio.

Oscar scattò in avanti saltando la donna, per cercare di soccorrerlo. Si sentì afferrare per lo stivale, e voltandosi vide due occhi carichi di odio osservarla. Tentò di liberarsi, spintonò la donna. Aveva ancora il coltello in mano, quando la sua avversaria tentò di afferrarle il polso, le dita si chiusero sulla lama dello stiletto. Un urlo disumano, un fitto di sangue rosso vivo. A terra, la sicaria si guardava la mano destra inutilizzabile, dai tendini recisi che la condannavano ad una vita da storpia.

Raccolse Andrè, lo alzò a forza, lo aiutò a trascinarsi fuori.

Richiuse il chiavistello.

 

Il Generale Jarjayes si accostò al Colonnello, Vincent Guy, Barone De Salis Samade.

- Buonasera. So che siete in partenza per il sud della Francia col Vostro reggimento. Vorrei chiedervi una piccola cortesia.

- Dite pure - rispose il Barone.

- Mio figlio si trova in viaggio nelle stesse zone per riaccompagnare a Parigi un prigioniero che dovrebbe testimoniare in un processo per cospirazione. So che vi sono persone desiderose di eliminarlo, e i continui attacchi cui sono stati sottoposti lo provano. Ho anche alcuni sospetti su chi potrebbe avere interesse ad eliminare quest'uomo. So che la vostra fedeltà alla Corona è proverbiale, Vi chiedo quindi, se doveste incontrarli, di porgere loro aiuto e di inviarmi una informativa circostanziata sulla reale situazione.

- Non temete. Sono padre anch'io.

 

Il rumore aveva allertato Jean Paul ed il prigioniero 121, che corsero giù per le scale buie, attraversarono il cortile e si trovarono di fronte il soldato ferito ed il Comandante. Oscar era armata solo di un coltellino, mentre l'uomo aveva una spada. Anzi, la sua spada. Si osservarono girandosi intorno come lupi. Andrè non aveva ancora estratto la seconda pistola. Non voleva far sapere di essere armato, e non sapeva chi sarebbe stato utile colpire.

Si udirono dei passi sulla ghiaia, e alla fioca luce della luna videro arrivare , correndo, Alain, anch'egli allarmato dagli spari. Arrivò dritto su Jean Paul, pronto a dare manforte al Comandante.

Nella confusione, Monsieur 121, pensò di potersi dileguare e si volse per correre. Diede le spalle ad Andrè pensando che un ferito non potesse inseguirlo. Ma Andrè prese la pistole e tentò di mirare alla gamba, procurandogli una ferita gemella della propria.

Oscar lasciò Alain al duello e gli si precipitò sopra, per impedire ulteriori fughe. Jean Paul riprese coraggio. Buon avversario il suo, forte, ma non aveva una tecnica eccelsa. Continuò gli affondi fino a che riuscì a disarmarlo.

Poi girò le spalle, corse ai cavalli, slegò il primo della fila, balzò in sella e si dileguò verso la Svizzera.

 

Oscar era ancora seduta sul Monsieur 121, con un ginocchio puntato tra le scapole dell'uomo.

Alain andò verso di loro e lo prese in consegna. Oscar aiutò Andrè a rialzarsi ed andarono verso la casa.

Era spoglia ma pulita. Aiutò André a sedersi su una delle seggiole, mentre Alain ne avvicinò un'altra alle scale, vi fece sedere senza tanti complimenti Monsieur 121 e gli ammanettò una mano alla ringhiera, con uno dei ferri che aveva tenuto con sé.

- Alain, mi faresti la cortesia di portare qui i cavalli e prendere la borsa piccola legata alla destra della mia sella? Ci sono dentro il laudano ed altre cose. Vediamo se riesco a cavar fuori questi due proiettili.

André provò a protestare:

- Ma il tizio nell'ovile è più grave di noi....

- André, come Comandante ho delle priorità: prima i soldati del Reggimento, poi la missione, poi i nemici. Secondo, forse posso cavarmela con in proiettile in una gamba, per toglierlo dall'addome le tre nozioni in croce che ci ha impartito Lassonne al tempo non sono davvero sufficienti. Proverò a bendarlo, e vedremo se riusciremo a spostarlo. Alain, vai per favore.

Mentre il soldato compiva quanto richiesto, Oscar salì rapidamente le scale ed esaminò la situazione. Doveva essere stata una casa di agricoltori relativamente agiati. Sul ballatoio si aprivano alcune camere, con dei letti ove avrebbero potuto dormire. In una poté recuperare una bacinella in metallo smaltato, ed una brocca.

Tornò al piano terreno e le posò sulla tavola.

Il camino era acceso e vi stava cuocendo una zuppa, evidentemente la cena dei tre cospiratori. Oscar spostò il paiolo e lo sostituì con uno più piccolo, riempito con un poco d'acqua presa da una brocca posta sulla tavola ancora apparecchiata dalla cena tardiva, poi liberò dai piatti il piano in legno.

In quel momento entrò Alain reggendo una piccola borsa in cuoi.

- E' questa, Comandante.

- Sì, bravissimo, grazie.

Oscar si mise ad armeggiare ed estrasse il laudano che aveva dato a François, delle bende ed uno strano oggetto in metallo, con due occhielli come quelli delle forbici, ma delle lunghe punte lisce invece delle lame.

Si rivolse ad André:

- Ce la fai a salire sul tavolo?

Lo aiutò a sedersi ed al liberare il polpaccio dalla ghetta che copriva il calzettone, da quest'ultimo e dalla scarpa chiodata in dotazione ai soldati. Il proiettile era entrato nel muscolo, senza ledere i tendini. Non era nemmeno troppo in profondità. Oscar recuperò un chcciaio e si apprestò ad aprire il laudano, ma Andrè le fermò la mano.

- No, domani voglio essere lucido.

- Sarà tremendamente doloroso.

- Lascia andare. Alain, guarda se trovi un cucchiaio di legno.

Il commilitone obbedì curioso alla richiesta, glielo passò ed Andrè se lo mise tra i denti.

- Comincia.

Oscar versò nel bacile l'acqua calda, vi immerse la pinza e alcune bende che utilizzò per pulire con delicatezza la ferita. Si soffermò ad osservare il proiettile. A lungo, sino a dimenticarsi che quella fosse carne dell'uomo che amava, sino ad escludere il pensiero di André dalla mente, sino a cancellare il fatto che sarebbe stato doloroso.

Prese la pinza con la mano destra e andò diretta verso il proiettile. Doveva allargare un poco la ferita.

André ebbe uno spasimo, morse il legno sin quasi a spezzarsi i denti per non utrlare, ed arpionò con la mano il braccio di Alain. Oscar iniziò lentamente a tirare. A metà percorso la il pzzo di metallo scivolò dalla pinza e dovette ricominciare daccapo. La seconda volta riuscì ad estrarla.

La lasciò cadere a terra con un tonfo sordo.

Era pallida ed ansante.

- Non sono in grado di cucire. Metterò un unguento e ci penseremo domani.

Lo medicò e strinse le bende.

- Siete stata brava, Comandante. - Le disse Alain, mentre aiutava André a sistemarsi su una sedia mentre ne disponeva una seconda sotto la gamba.

Oscar si avvicinò a Monsieur 121 e lo fece avvicinare alla tavola.

- Io il laudano lo voglio.

- E sarà meglio! - Commentò Alain - Così dorme e per un pezzo non ci rompe i...ehm, scusate, ma vorrei tirare il fiato e riposarmi anche io.

- Non c'è nulla di cui scusarsi, Alain. - Rispose il Comandante, lasciando intendere di condividere il punto di vista del soldato sul loro prigioniero.

Estrasse con alcune difficoltà in più il secondo proiettile, poi trascinarono l'uomo, intontito dalla bevanda, verso uno dei letti al piano superiore. Ad ogni buon conto, gli fissarono una mano ad uno dei montanti del letto con il ferro già utilizzato prima.

 

Scesero al piano terreno, ed Oscar, sebbene esausta, prese le bende e si diresse verso la porta, seguita da Alain con una lampada.

Fu in quel momento che si udì una detonazione.

Spalancò la porta con ansia.

Nessuno sull'aia, nessuno nel cortile, nessuna ombra alla luce della luna piena...

Il colpo di certo era arrivato dall'ovile. Posarono a terra gli oggetti e si diressero verso la piccola costruzione, correndo. Spalancarono l'uscio e videro i due corpi riversi a terra. Dénis era spirato nei minuti in cui avevano provveduto a medicare i due feriti, e la donna aveva preferito seguirlo, sparandosi al cuore con la mano integra.

Oscar chiuse la porta e vi poggiò la schiena con un sospiro. Si chiese cosa ci fosse dietro un'amore così grande e così malato, cosa avesse nel cuore una donna che tollerava ed incitava il tradimento per poi uccidersi alla sua morte.

Si diresse a capo chino verso la costruzione principale, nella quale Alain era già entrato, spiegando ad André cosa fosse accaduto.

Quando la vide comparire, pallida e a capo chino, le si rivolse gentilmente:

- Non dovete dispiacervi così tanto, Comandante. Quelli ci avrebbero fatto fuori senza nemmeno pensarci su due volte. Abbiamo solo più un nemico alle costole, ora.

La osservò sorridere tirata, sedersi e spostare i capelli dal volto stanco. Decise di prendere in mano la situazione.

- Qui c'è ancora del cibo. Propongo di mangiare qualcosa e poi andare a dormire.

E, sempre parlando, rimise il paiolo sul fuoco, recuperò piatti e stoviglie, e li pose sulla tavola con del pane, del vino e qualche altra cosa trovata in giro.

Mentre Alain preparava, Oscar afferrò un pezzo di sapone ed uscì alla fonte dell'aia, per togliersi di dosso la polvere, e il sangue dei cavalli che ancora le impiastrava i capelli.

Solo quando si fu seduta al desco con le chiome ancora bagnate ed ebbe messo in bocca il primo boccone, Oscar si rese conto di quanta fame avesse, e di quanto fosse esausta.

Terminata la cena, lasciarono tutto nello stato in cui si trovava e selirono al piano di sopra, sostenendo Andrè ognuno da un lato.

Si sistemarono occupando le stanze ai lati del prigioniero; Alain si coricò in quella puiù vicina alle scale, Mentre Oscar ed Andrè andarono verso il fondo del corridoio. Oscar diede ancora un'occhiata al prigioniero, ancora sotto l'effetto dell'oppiaceo, ancora legato. Ma, per sicurezza, incastrò una sedia sotto la maniglia esterna per bloccare ulteriormente un eventuale tentativo di fuga.

- Alain! - Chiamò ancora. Quando lo vide apparire, gli sorrise - Grazie, e buona notte. E domattina ci si sveglia quando ci si sveglia. Dobbiamo recuperare le forze.

- Questo sì che è parlare! - E il soldato richiuse la porta.

Oscar raggiunse il letto su cui Andrè si era già sdraiato, dopo essersi tolto la giacca e la maglia della divisa. Rimase in camicia e pantaloni, e gli si sdraiò di fianco, poggiandogli il capo sulla spalla.

Si addormentarono quasi istantaneamente.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

1Il topos dell'assassino/sicario che parte con il monologo prima di passare all'azione è abbastanza Hollywoodiano, ma sempre comodo.

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Capitolo 16
*** Preoccupazioni ***


Il prossimo aggiornamento tarderà un paio di settimane.

Intanto vorrei ringraziare chi mi recensisce, chi ha inserito la storia nelle seguite/ricordate/preferite, chi legge silenziosamente. Il vostro appoggio è prezioso.

 

16. Preoccupazioni.

 

André si svegliò per un leggero dolore alla gamba. Tutto sommato, aveva creduto che sarebbe stato peggio. Oscar era al suo fianco, accartocciata su se stessa come quando era bambina, l'immagine della stanchezza.

Il sole era già alto nel cielo, ma nessun rumore proveniva dalla casa. Alain probabilmente dormiva ancora, non si sarebbe alzato se non dopo essere stato costretto, mentre il prigioniero era forse ancora sotto l'effetto del laudano.

Si stiracchiò leggermente, si sedette per controllare che la benda non fosse macchiata di sangue. Pareva di no, grazie al cielo. Allora si rimise sdraiato a guardare il viso della donna al suo fianco, sentendo crescere il desiderio e chiedendosi se sarebbe stato sempre così, risvegliarsi accanto a lei, e provare fortissima quella passione che gli pulsava alle tempie. E se per lei sarebbe stato lo stesso, o se sarebbe mai arrivato il giorno in cui l'avrebbe respinto...

Perso in questi pensieri si accorse appena che uno sguardo assonnato rispondeva al suo, sorridendogli. Le labbra delicate di lei si posarono sulle sue, risvegliando completamente i suoi sensi. Ma, non appena si volse per abbracciarla, una fitta gli trapassò la ferita strappandogli una smorfia ed un lamento. La fronte corrugata di Oscar lo ricondusse alla realtà.

- Non è nulla... - sussurrò per non interrompere il momento. Lei parve capire sia il dolore, sia il desiderio, sia la delusione. Si accostò a lui per baciarlo permettendogli di rimanere in posizione supina, si liberò rapida delle vesti e gli si sedette sul grembo.

Dopo averlo scoperto parzialmente degli strati di stoffa, con attenzione per non toccare la ferita, iniziò a muoversi su di lui per accoglierlo e fargli percepire il proprio amore. Dolce e passionale da fargli quasi ringraziare la ferita. Ancora una volta André si chiese se si sarebbe mai abituato a simili risvegli.

 

Mentre Oscar si rivestiva per iniziare la giornata, ebbe modo di ritrovare lo spirito monello che lo contraddistingueva, dicendole:

- Se le cure che mi spettano sono queste dovrei farmi sparare più spesso.

 

Un'ora più tardi, erano pronti alla partenza., ognuno su un cavallo, anche i due feriti: André che si reggeva abbastanza bene e Monsieur 121, con la testa ancora ciondolante per la nuova leggera dose di laudano ricevuta (più per renderlo inoffensivo che per attutire il dolore) e le mani legate all'arcione.

Grénoble non era distante, e sebbene partissero in tarda mattinata, confidavano di arrivare relativamente presto, pur non essendo del tutto certi delle distanze percorse.

Unica preoccupazione di André, vedere Oscar fermarsi e scendere più volte da cavallo, lasciandolo perplesso ed un poco innervosito per questi gesti poco usuali.

Giunsero in città all'incirca a mezzodì, e si recarono immediatamente presso l'Intendente La Bove, certi del preavviso dato da Gérard e François, che infatti trovarono nella sala d'attesa della Géneralité.

Non ebbero difficoltà, visto lo stato delle divise, i due feriti, ed il loro racconto, a convincere l'Intendente della necessità di offrire loro ristoro, cure, financo un aiuto sartoriale per ripristinare le divise martoriate e stazzonate.

Oscar non avrebbe voluto fermarsi così a lungo, ma le forze mancavano a tutti, per cui si risolse suo malgrado ad accettare due notti di ospitalità, mentre il prigioniero veniva trattenuto nella prigione locale. Ottenne però che uno dei suoi uomini rimanesse a vegliarlo, scegliendo tra i due che non avevano partecipato all'inseguimento.

 

La sera, nella stanza della foresteria che le avevano assegnato, Oscar si mise a redigere un nuovo rapporto da far avere a Parigi. In realtà non si fidava per nulla dell'Intendente della città, non per qualcosa che avesse fatto in particolare o di cui fosse a conoscenza, ma per il fatto che fosse ancora una città del Delfinato. Non si sentiva per nulla al sicuro. Qualcosa le stava sfuggendo. però non era abbastanza lucida e riposata per tirare le fila di quanto sapeva. Posò la penna e sospirò, guardando fuori dalla finestra. Inutile pensarci ancora, le mancava un tassello. Sigillò il rapporto con la ceralacca e lo portò con sé mentre si recava nella stanza di André per cercare un poco di conforto. Non si fidava a lasciarlo sulla scrivania.

Era già passata a sincerarsi che il prigioniero e François (che lo avrebbe vegliato) fossero nelle migliori condizioni per passare la notte, e si era scusata con la giovane recluta per la nottata scomoda che avrebbe dovuto trascorrere. Alain e Gérard erano usciti rumorosamente per cercare un'osteria. Solo lei ed Andrè, disteso per riposare la gamba ferita, rimanevano nella foresteria deserta.

 

- Padre, non ho molte notizie per voi. So che Marie Christine darà un ballo domani sera, a cui lui dovrebbe, dico dovrebbe essere presente. Mi recherò accompagnata dalla nipote di Madame Campan, vedrò cosa posso scoprire. Soprattutto vedrò se Riqueti si troverà a Palazzo.

- Ti ringrazio moltissimo, cara.

 

Oscar raggiunse la stanza di André con una ciotolina piena di ciliegie acquistate tornando dalla visita alla prigione. Un piccolo pensiero goloso per il malato, aveva deciso, comprandole.

Lo raggiunse nella stanza spoglia come una cella francescana, e si sedette sul letto accanto a lui. A dire il vero, non era neanche scomodo, per essere quello di una foresteria militare.

Mangiarono le ciliegie chiacchierando, con la naturalezza che ormai si era creata tra di loro. Poi lui si avvicinò a baciarla e carezzarle la schiena, eppure percepiva una ritrosia non presente la mattina.

Che cosa accadeva? Quando le avvicinò le mani ai fianchi, tentando di allentare la boutonnière dei pantaloni, le mai di lei lo fermarono gentilmente. Che già fosse in corso quanto paventava? Si scostò leggermente. Perché?

Oscar teneva gli occhi bassi, con le guance lievemente colorite.

- Non...non posso. Non potrò per alcuni giorni.

Ecco svelato l'arcano, una cosa così banale da non averla nemmeno messa in conto, mentre già temeva respingimenti e disperazione. André sospirò sollevato, e le sorrise.

- Stai qui, rimaniamo solo abbracciati. - Disse posandole un bacio leggero sulla fronte solcata da una rughetta di preoccupazione. Per lei era tutto talmente nuovo da crearsi imbarazzi e disagi anche solo per la normalità. Era mai esistita normalità, per lei?

- Quanti ne abbiamo? - Le chiese.

- Ventotto, perché?

- Devo imparare a tenere il conto. - Le disse con il suo sorriso più impertinente. - Per evitare sorprese...in entrambi i versi.

Oscar si guardò le mani. Aveva il viso un poco mesto, sembrava intimorita.

- Sai, temo che non ci sia il rischio di sorprese...sono così vecchia...

Andrè la guardo stupito ed addolorato. Non gli era mai passato per la testa che potesse essersi creata simili problemi. Non aveva nemmeno immaginato che si fosse posta la questione di un ipotetico figlio e che si fosse data una simile risposta senza appello. Che su queste questioni celasse un dolore che doveva essere davvero grande.

- Chi te lo ha detto?

- Nessuno, ma...vedi madri della mia età in giro?

- No, ma che c'entra? Non è solo questione di età, ci sono...oh, beh, altre cose, mariti non voluti, amanti con cui un figlio sarebbe un impiccio. Non generalizzare usando te stessa come paragone.

Sollevò su di lui due occhi grandi e acquosi di lacrime trattenute, in attesa che continuasse a parlare, forse in attesa di venire consolata.

- Anche se non condivido le tue conclusioni, sono contento di scoprire che tu ci abbia pensato.

- E tu? Tu, chi hai pensato?

- Si.

- E...?

- E, sì, mi farebbe piacere. Io un figlio lo vorrei. Ma non è essenziale. Se non dovesse arrivare, sarà la volontà del Cielo. Ma, soprattutto, non lo vorrei ora, non prima di aver risolto la nostra situazione. E sappi che ti amo, la nostra famiglia siamo prima di tutto noi. Poi arriverà quello che arriverà.

E la strinse, trascinandola sul suo petto, costringendole la fronte nell'incavo del collo, per raccoglierne le lacrime ed i sospiri...

 

Il giorno dopo, si ritrovarono ancora una volta con una intera giornata libera davanti. Ma, questa volta Oscar decise di non lasciarla passare invano. Installati ai tavoli all'aperto di una locanda poco distante, per non forzare troppo la ferita di André che comunque si professava stufo ed arcistufo della foresteria, con il fiume lucente che scorreva al loro fianco e la vista delle montagne oltre i tetti delle case, riassunse loro quanto aveva scoperto.

- Dénis e la donna erano al soldo di qualcuno che vorrebbe fare arrivare il prigioniero in Svizzera, e salvarlo. Jean Paul è al servizio di qualcun altro, presumo uno dei cospiratori, a cui interessa solo che non testimoni; se per farlo si tratta di ucciderlo, la cosa gli è indifferente.

- Quindi é rimasto in giro il peggiore. - Chiosò Gérard.

- Possiamo anche metterla così. Però erano gli altri due ad essere pagati da qualcuno che aveva anche lo scopo di mettere in cattiva luce l'esercito in generale e di far fuori me in particolare. Quindi magari le cose potrebbero andare meglio. - Concluse Oscar stringendo la mano destra attorno al proprio bicchiere di vino e bevendone un sorso.

- Io però - riprese André -starò molto meglio quando saremo fuori dal Delfinato. Non che a Lione l'Intendente sia un genio, però, almeno...

François lo interruppe:

- Lo hai già detto l'altro giorno..cos'ha che non va il Governatore del Delfinato?

- A parte aspirare al trono, a parte essere sospettato di un paio di complotti, a parte avercela a morte col Comandante, Louis Philippe D'Orléans non ha nulla che non va. Una pasta d'uomo. - Gli rispose André con uno dei suoi sorrisi serafici. - Ma preferisco levarmi dalla sua sfera d'influenza in tempi rapidi.

Detto questo, si stirò voluttuosamente e riprese.

- Ma Monsieur 121? Sempre col carrettino? Dovremmo procurarcene uno, se del caso.

Oscar fece un gesto secco allargando le mani tese.

- No, basta. Siamo troppo lenti, troppo esposti, assolutamente no! Lo legheremo all'arcione e cavalcherà. Uno di noi a destra, uno a sinistra, uno davanti e due dietro. Abbiamo perso troppo tempo, e dato troppo agio agli avversari.

- Approvo!- Disse risolutamente Alain battendo la mano sul tavolo.

- Così in un giorno e mezzo saremo a Lione, e in meno di una settimana potremo ritornare a Parigi.

 

La giornata e la serata trascorsero così, pigramente e familiarmente. Solo Gérard, la sera venne distaccato per la sorveglianza a Monsieur 121, sempre a causa della scarsa fiducia che il gruppo nutriva sulla sicurezza nella prigione locale.

La mattina seguente li vide tutti in sella di buon'ora, compreso il detenuto, installato su uno dei cavalli sottratti agli inseguitori defunti, mentre il secondo era stato assegnato a François. Con le mani nei ceppi e questi fissati all'arcione, non vi era modo per il prigioniero di fuggire. Il gruppo procedeva nella formazione illustrata da Oscar il giorno precedente, spedito al piccolo trotto, molto più rapidamente di quanto avrebbe fatto se avessero ancora avuto il carro al seguito.

Percorsero più di una dozzina di leghe, attendandosi per la sera quasi nei pressi di Bourgoin- Jaillieu, un borgo che non era più un villaggio, ma non ancora una città.

Montarono le tende, e si accinsero a cucinare. Monsieur 121 guardava perplesso quello strano Comandante donna; l'aveva vista combattere con la spada durante la fuga, trovandola brava ed agile, l'aveva osservata curare Andrè ed aveva avuto giovamento dalle cure che gli erano state prodigate, l'aveva ascoltata chiacchierare affabile con i ragazzini che si ritrovava come soldati, ed ora osservava come fosse pacatamente seduta ad arrostire per tutti il pane sul fuoco.

Non riusciva a farla coincidere con l'immagine mentale che se ne era fatto al processo per lo scandalo della collana, l'amante lesbica di Maria Antonietta. In realtà, nemmeno riusciva ad immaginarsela a corte. Non si erano mai parlati direttamente. Provò ad intavolare un discorso.

- Sapete che credo di avervi già vista. Ai tempi del processo A Jeanne Valois.

Oscar sollevò lo sguardo dal pane e gli rispose pacatamente:

- Lo so. Io credo di aver visto Voi. Tra i giornalisti, od i disegnatori, non ricordo bene.

Tanto valeva buttare qualche carta.

- Sono un giornalista, all'epoca ero solo un praticante.

- E come ci siete finito in questa storia, che ha tutta l'aria di una congiura di nobili tra nobili per scalzare altri nobili?

- Adesso volete sapere troppo. Diciamo che sto cominciando ora a vederla come l'avete definita Voi adesso. Credevo veramente di fare qualcosa per il popolo. Mi sono fatto ingannare dai loro falsi propositi. Io sono cresciuto tra il popolo, so come vive, anche se.... - e s'interruppe. Gli stava per scappare un'informazione che preferiva trattenere per sé.

Ma Oscar comprese, sommando l'esitazione alla frase detta da Dénis sul padre naturale del ragazzo. Aveva udito parlare di quel giornalista del quale si mormorava fosse figlio del dissoluto Conte D'Artois1. Partecipare alla congiura per odio, rancore e rivalsa verso il padre. Una vera ragazzata.

Non gli disse nulla, sorrise lievemente e tornò a badare al pane.

 

Per poter riposare con tre tende, dovettero sistemare il prigioniero a dormire con Alain, le due reclute insieme, mentre André si trasferì in quella di Oscar, procurandosi lazzi e battute dagli altri mentre cercavano nei dintorni la legna da ardere. Ma in fondo, era un ottimo motivo per venire canzonato, e non se ne adontò più di tanto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

1 Per motivi di copione, stravolgo i fatti storici. Il Duca D'Artois sarebbe un poco giovane per un figlio ventenne.

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Capitolo 17
*** Chiacchiere e distintivi ***


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17. Chiacchiere e distintivi.

 

Il secondo giorno di viaggio procedette senza sorprese o scossoni. Nel pomeriggio videro nuovamente stagliarsi il profilo della città sdraiata sui suoi tre fiumi come una bella donna su un'ottomana, con la fortezza del Pierre Scize a vegliarla dall'alto.

E fu proprio quello il punto verso cui diressero i cavalli. Senza neanche passare dalla Généralitè, ove Oscar aveva intenzione di recarsi in un secondo tempo, lasciarono Monsieur 121 al sicuro nel ventre di quella tremenda prigione. Era sufficientemente tranquilla riguardo al fatto che lì nessuno l'avrebbe avvelenato.

D'altro canto, il detenuto non era uno stupido. Gli lasciarono sufficienti viveri per una notte, acqua da bere e persino del vino. Si raccomandarono all'infinito affinché non mangiasse nulla che gli venisse offerto. Nessuno sarebbe entrato nella cella, di questo era sicura, sia per la fama del luogo, sia per la lettera consegnata al direttore, sia per il danaro dato sottobanco al secondino.

Ma non dimenticava che, dei tre assalitori, era libero proprio colui che probabilmente aveva avvelenato il "collega" proprio nella stessa città.

 

Lasciato il prigioniero, si diressero dall'Intendente Terray, per sapere se si fosse scoperto qualcosa riguardo alla morte misteriosa occorsa all'uomo che li aveva aggrediti.

Ovviamente, a parte confermare l'avvelenamento e l'ora del decesso, il medico non aveva concluso nulla.

Una breve inchiesta interna era stata avviata, ma senza troppa convinzione. In fondo, che fosse morto non era un grosso fastidio. A nessuno, poi, interessava davvero sapere se uno dei militari preposti alla sorveglianza avesse accettato qualche soldo sottobanco per eliminarlo.

Oscar ed i soldati spiegarono quanto era loro accaduto, diedero una sommaria descrizione di Jean Paul e raccontarono quanto avevano saputo sugli accadimenti di Lione. Ma Terray era impermeabile, non amava le seccature, e questa storia pareva proprio destinata a diventarlo. Così prese appunti, promise aiuto e ricerche, non appena avesse potuto, ma tutti compresero che non avrebbe fatto nulla. Il foglio su cui stava scrivendo sarebbe finito sotto una polverosa pila di simili fogli che giacevano inevasi sulla scrivania. Simbolo del perché la gente di Francia si stava sempre più staccando da chi li governava.

Terray fece il gesto di invitarli a cena presso la sua dimora, ma Oscar, adducendo a pretesto la ferita e la fasciatura abbastanza visibili di Andrè, ed una propria inesistente ferita, declinò.

 

Rientrarono nella stessa locanda sulla Saône ove avevano alloggiato nella sosta precedente, dove chiesero ed ottennero due stanze affacciate sul fiume, per la stessa ragione di sicurezza che li aveva spinti a volerle durante il viaggio di andata. Se la locandiera notò qualcosa rispetto alla distribuzione degli occupanti nelle stanze, anni di mestiere le suggerirono di non commentare od interferire.

 

Una carrozza elegante con lo stemma dei Liancourt si arrestò davanti all'ingresso di Palazzo Jarjayes, e ne scese una Josephine al massimo dello splendore, con un abito turchese come i suoi occhi che splendeva nel sole del tardo pomeriggio, i capelli raccolti solo parzialmente ed un sorriso vittorioso sulle labbra.

Baciò con affetto Marie, e, saputo che la madre non era ancore rientrata da Versailles, ma il Generale era nel proprio studio, si avviò rapida per lo scalone.

Bussò, ma entrò senza attendere risposta.

Fu accolta con un: - Ebbene?

La cosa non parve preoccuparla, si sedette trionfante raccogliendo intorno a se la seta dell'ampia gonna.

- Ebbene, Riqueti era al ricevimento. Si è assentato una mezz'oretta con il Duca, si sono rintanati in biblioteca e ne sono usciti con certe facce scure, seccate e preoccupate. Il Duca è impermeabile, ma Riqueti, con qualche bicchiere di troppo, si lascia andare parecchio.

- E....

- E ha detto che le cose non stanno andando come dovrebbero. Ubriaco come una botte, ha vaneggiato credendo che non capissi. Ha usato una specie di codice, talmente infantile che l'avrebbe compreso persino Loulou. Ha detto che i leprotti non solo hanno preso la carota ma teme si siano liberati del falchetto perché le notizie hanno smesso di arrivare regolarmente, da un paio di giorni.

- Se i leprotti sono chi speriamo noi, mi hai portato notizie molto utili, mia cara.

- Ne sono lieta, questa missione mi preoccupa molto, sapete. Volete che ne parli al fratello di mio marito? Potrebbe...

- NO! - Si affrettò ad interrompere il Generale.

- Scusami, cara. Ritengo sia meglio di no. Preferisco non diffondere troppe voci.

Tacque un attimo pensieroso.

- Sento una carrozza, credo che sia arrivata tua madre. Andiamo a salutarla.

Ed il Generale si levò in piedi, troncando sul nascere ogni ulteriore discussione.

 

I soldati cenarono nuovamente nella sala tappezzata di verde. Durante il viaggio, avevano appreso a stare a tavola in maniera meno imbarazzata, e riuscirono a godersi con più tranquillità le pietanze buone e già più raffinate, ed il vino Château d'Yquem che André aveva insistito per prendere. Chiacchierarono amabilmente a lungo, anche dopo aver terminato la cena.

André fece divertire molto gli altri soldati raccontando la vita a Palazzo quando ancora c'erano le sorelle, e la casa, tra le figlie, le cameriere, le istitutrici, le amiche del cuore e le amiche lontane, cugine, conoscenti, sartine e ruoli vari, pareva decisamente un collegio femminile, in cui vi era perennemente qualcuno sull'orlo di una crisi di nervi per un boccolo mal riuscito, una parola di troppo ed un corteggiatore in meno. Il tutto visto e raccontato con lo sguardo di un bambino, prima e di un ragazzino, poi.

Gli altri raccontarono aneddoti della caserma, e la serata passò piacevolmente, senza che sentissero il bisogno di spostarsi a bere altrove.

Quando salirono le scale per andare alle rispettive camere, Alain trovò il modo di rimanere indietro con Andrè per porgli una domanda che gli era frullata in testa in quella serata.

- Ma il Comandante, prima di te, ha avuto altre storie?

- Si è presa una cotta seria una volta, ma è stato un mezzo disastro.

Alain capì che con la tendenza a minimizzare dell'amico, non avrebbe ottenuto altro. Poteva significare tutto, da una semplice passioncella finita male, ad un abbandono all'altare, a Oscar sedotta ed abbandonata con un figlio in arrivo...chissà.

André salì le scale senza curarsi oltre della domanda e raggiunse la stanza che divideva con Oscar. Ancora una sera di abbracci affettuosi e quotidianità condivisa, anche quello avrebbe fatto parte della sua vita, prima o poi.

 

Il mattino dopo, ripresero le cavalcature e si recarono nuovamente al Pierre Scize per recuperare Monsieur 121.

Salendo gli oltre duecento scalini dalla porta alla torre, Oscar era seriamente preoccupata per come avrebbe trovato l'uomo. Se durante la serata era riuscita a cancellare quei pensieri molesti, ora le tornavano in mente più vividi che mai.

rimase leggermente indietro rispetto agli altri e fu Alain ad aspettarla.

- Siamo quasi in vista di Parigi. Che farete allora?

- Che dovrei fare? Consegnerò il prigioniero all'Abbaye.

- Non parlavo della missione. Parlavo del mio amico. Siete davvero convinta di quello che ci avete detto? Che parlerete a Vostro padre e tutto il resto? Non è che appena rientrati nella capitale vi vergognerete di lui?

Oscar si fermò sullo scalino dove si trovava, puntando gli occhi all'altezza di quelli del soldato. furiosa ed offesa.

- Te la lascio passare perché sei mosso da ottime intenzioni e perché non mi conosci.

- E Voi, Vi conoscete? Siete sicura che il ritorno a casa non Vi farà tornare sulle Vostre decisioni?

- Se tu avessi anche solo una vaga idea di quanto ho pagato alcune delle mie decisioni non parleresti così. - Rispose puntandogli l'indice al petto, con tanta veemenza da spingerlo ad arretrare sullo scalino.

- Quindi ti lascio ai tuoi dubbi.

E corse su per i gradini, decisa a raggiungere gli altri il più rapidamente possibile, mortificata ed addolorata per le parole che le aveva rivolto.

Si ricompose un poco parlando con la guardia del piano, di come fosse trascorsa la notte del prigioniero e cose simili. Andrè si accorse però della sguardo turbato, delle gote rosse e si ripromise di chiederle spiegazioni più tardi.

Ad ogni buon conto, Monsieur 121 era in vita ed in buona forma.

Partirono quindi lungo la strada per Parigi, sempre nella formazione dei giorni precedente, con il sollievo di essere finalmente quasi alla fine del cammino. Occorreva non fare errori e non cedere l'attenzione neanche per un momento.

Ripercorsero a ritroso la strada del viaggio di andata, pernottando poco dopo Roanne la prima sera e cercando di raggiungere Lapalisse la seconda. Appena una lega o due prima del borgo, videro un grosso accampamento militare. Dalle insegne, con le caratteristiche fiammature verdi e rosse dedussero che si trattava del reggimento del Barone di Salis-Samade. Il Generale suo padre aveva intrattenuto rapporti sufficientemente amichevoli col Barone, quindi Oscar ritenne necessario, ed anche utile, fermarsi per prendere contatto.

Portando con sé Alain ed Andrè, si recò quindi alla tenda del Barone che comandava il reggimento, che al momento vi si trovava con alcuni degli ufficiali e sottufficiali. Venne accolta con gentile rigore militare, e venne invitata assieme al suo piccolo manipolo a sistemare le tende con il reggimento.

- Potrete riposare e mangiare un poco meglio, mentre il detenuto sarà guardato a vista dalle nostre sentinelle. Vostro padre non mi perdonerebbe mai, se dovesse sapere che ci siamo incontrati e non Vi ho offerto ospitalità.

- Io ed i miei uomini ve ne siamo infinitamente grati. - Rispose Osar con un lieve inchino.

Il Barone chiamò due fanti, cui diede l'ordine di montare la tenda dell'ufficiale biondo, e di mostrare ai suoi soldati il posto migliore ove sistemare le proprie. Poi chiamò un sergente e gli ordinò di prendere in consegna il prigioniero, metterlo in ceppi e non perderlo d'occhio.

Si rivolse poi di nuovo ad Oscar:

- Vi attendo per cenare alla nostra tavola, più tardi.

Lei tentò di schermirsi, adducendo il fatto che avrebbe ritenuto più corretto rimanere con i propri soldati. Non voleva lasciare Andrè da solo, e nello stesso tempo era bloccata dalle convenzioni sociali: non era più il suo attendente, non avrebbe potuto trovare una scusa per seguirla.

Fu proprio lui a trarla d'impaccio:

- Comandante, avete faticato con noi par parecchie settimane, ci pare giusto che possiate prendervi una serata di libera uscita. D'altra parte, dove credete che possiamo mandare noi? - disse con il suo spirito arguto.

Oscar accettò a malincuore, e rimase di proposito indietro con lui, mentre si recavano verso lo spiazzo per le loro tende. Alain udì l'inizio del loro dialogo, mentre cercava di allontanarsi per non fare da terzo incomodo.

- Non volevo fermarmi con loro.

- Invece devi. Sei un ufficiale. Credi che sarà l'ultima volta?

- Ma....

- No, niente ma. Fino a quando non avremo parlato a tuo padre, va bene così. Lo so, che ci saranno occasioni in cui dovrò rimanere indietro. Va bene così.

Oscar abbassò lo sguardo, pensierosa. Ecco di cosa parlava Alain. Lo aveva capito meglio di lei. Non voleva più vivere quelle situazioni sgradevoli. Occorreva parlare al Generale, e subito, appena arrivati a Parigi.

- Ma dopo...verrai da me? - Chiese con gli occhi nascosti dalle lunghe ciglia, guardando in giro con aria distratta come se volesse esplorare l'accampamento.

- Sempre.

Ed accelerò il passo per raggiungere gli altri.

 

Presi in questi discorsi amari, non si accorsero di un messaggero che partiva rapidamente in direzione nord - nordovest.

 

Oscar ritornò alla propria tenda stanca ed irritata.

Si sfilò gli stivali con stizza e gettò la giacca su un ramo basso del melo vicino cui si trovava. Entrò nella tenda e si gettò bocconi sulla coperta lasciata a terra. Era infastidita dalla serata appena trascorsa, dai discorsi vuoti di Salis-Samade e dei suoi sottufficiali, seccata dagli sguardi insistenti che un tenente di cui non aveva memorizzato il nome le aveva rivolto per tutta la cena, dalle vacue vanterie del capitano e dall'esercito in generale. Essersi chiarita con se stessa la risollevò un poco, come anche il fatto di ammettere che le era mancato Andrè.

Si mise a sedere, si sfilò i pantaloni e rimase solo con la lunga camicia, visto che sotto il telo della tenda la calura opprimente che stagnava sulla piana della Loira si faceva sentire in maniera aggressiva.

Si rimise prona cercando di pensare, con una mano sotto la gota e gli occhi chiusi. La serata appena trascorsa le aveva messo in chiaro cosa sarebbe accaduto una volta fatto ritorno a Parigi. Era essenziale chiarire al mondo il loro rapporto. Non sopportava di venire invitata in certe situazioni, in alcuni ambienti, seppur noiosi ed irritanti, e che lui ne fosse escluso per via della sua nascita. Non li frequentava, non accadeva spesso, ma la feriva oltremodo doverlo umiliare con queste esclusioni.

Aprì gli occhi sentendo uno smuoversi i teli anteriori della piccola tenda. Rapido, Andrè entrò e si distese accanto a lei. Portava solo i pantaloni e la vistosa fasciatura bianca sul polpaccio destro. Scese a baciarle il collo, accarezzandole nel contempo la vita dopo aver scostato la stoffa leggera della camicia.

Impedendole di muoversi, la fece sua fremente e geloso come mai le era apparso, possessivo nel silenzio imposto dal fragile nascondiglio di una cerata color ocra, prigioniera del torace che contro la sua schiena era insieme scudo e forziere.

Sentì che doveva dirglielo, che voleva dirglielo.

- Sono tua. Sono e sarò sempre e soltanto tua.

 

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Capitolo 18
*** Il mio tesoro ***


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18. Il mio tesoro.

 

Il sonno nella tenda non poteva durare a lungo, il sole che filtrava tra i rami passava facilmente l'esile schermo di stoffa, svegliando i soldati dell'intero accampamento fin dalle prime luci della mattiniera alba estiva.

Andrè si rese conto di essere rimasto tutta la notte nella tenda sbagliata, e che non sarebbe riuscito a passare inosservato, uscendone. E invece, stranamente, nell'andirivieni generale della mattina, con i preparativi per la partenza, lo smontaggio delle tende, i soldati del reggimento intenti alla rasatura d'ordinanza ed a rimettersi in ordine, la sua uscita passò non fu assolutamente notata.

Raggiunse la propria tenda, dove François dormiva ancora, recuperò la giacca, e dopo aver tastato con attenzione la tasca interna dove celava quanto fortunosamente acquisito la sera prima, sorrise al pensiero di quel piccolo tesoro, poi iniziò i preparativi per la partenza.

 

Oscar ed i soldati si recarono di buon'ora da Salis-Samade per congedarsi, dopodiché presero con loro Monsieur 121 e risalirono a cavallo. Si avviarono in direzione di Parigi. La giornata a cavallo fu lunga, tutta tenuta al piccolo trotto. Superarono Moulins, e fecero solo una breve pausa per mangiare. Mentre sbocconcellavano qualcosa con la poca fame lasciata dall'afa opprimente di quello che ormai si era tramutato in un giugno torrido, Oscar decise di dare voce alle sue preoccupazioni ricordando loro che uno dei sicari era ancora in giro.

- E' fuggito, e quasi sicuramente è illeso. Inoltre, se ci sta seguendo, sa che presto giungeremo a Parigi, per cui mi aspetto che colpisca ogni momento, ogni lega di più. Non dimentichiamoci poi che il suo mandante non era quello disposto a far fuggire il prigioniero. A lui basta che non parli. Se questo vuol dire eliminarlo, meglio per lui. E potrebbe andare dal secondo mandante a reclamare la "taglia" per la nostra morte. Quindi, occhi aperti. E direi che vale per tutti, noi soldati, ma anche per voi, Monsieur 121. Siamo nella stessa barca, ora.

- Gustave.

- Come?

- E' il mio nome. Gustave Sylvestre Satie. E' passato del tempo, ho visto come mi avete protetto, e sebbene mi stiate conducendo ad un processo terribile sento che posso fidarmi di voi.

I soldati lo guardarono stupiti da quella affermazione. André riconobbe il nome come firma di qualche veemente articolo letto tempo addietro, ma preferì non farne cenno.

- In questo momento per me siete meno pericolosi di Jean Paul. Vi aiuterò come posso, soprattutto facendo da sentinella.

Fu Oscar a rispondergli.

- Vi ringrazio di aver capito, Monsieur Satie.

Dopo aver bevuto un ultimo sorso d'acqua, ripresero il cammino.

La dichiarazione del proprio nome ebbe il merito di far riconsiderare il prigioniero ai soldati. Il primo a rivolgergli la parola fu il giovane François, ma presto iniziò un lungo scambio nel quale Gustave ebbe modo di raccontare la sua infanzia di figlio illegittimo, ma curato, gli studi, l'avvicinarsi al giornalismo. Raccontò di come si fosse avvicinato ad ambienti prima liberali, poi rivoluzionari.

Infine, di essersi fatto convincere da alcuni aristocratici conosciuti a casa del padre che un complotto per esautorare Luigi XVI sarebbe stato la migliore delle soluzioni. Non disse i nomi dei congiurati. Ma ammise di averci pensato molto, in carcere, e di essersi convinto di essere stato usato, di essere stato una pedina. Non era intenzione di quegli uomini pensare al bene del popolo o della Francia, ora ne era convinto. Sarebbero saliti al potere per comportarsi esattamente come i regnanti attuali.

Non si accorse della smorfia di disappunto di Oscar nel momento in cui udì parlare male della propria amata Regina, e concluse il discorso dicendo che sarebbero stati necessari cambiamenti di altra portata.

 

Tra i discorsi ed il panorama disteso del grande fiume, il pomeriggio trascorse rapidamente. Quando Alain cominciò a reclamare a gran voce la cena, l'orologio del comandante segnava a malapena le sei. Oscar avrebbe voluto superare Nevers e cavalcare sino al tramonto, prima di accamparsi, ma il pranzo frugale stava avendo la meglio sullo stomaco dei soldati.

Giunsero alla mediazione di accamparsi appena attraversato il borgo, che si stendeva di fronte a loro. Un ponte di mattoni dalla ampie arcate superava la Loira, e dall'altro lato svettava il campanile della Cattedrale di Saint-Cyr- et Sainte-Juliette, mentre ad Oscar pareva persino di intravvedere alcune delle guglie del Palazzo Ducale1 ove risedeva la sorella, una bianca costruzione rinascimentale, con piccole torrette poligonali, forse un poco eccessive per il suo gusto sobrio.

Si avviarono lungo il solido ponte, con ampi contrafforti a reggere le arcate, le spallette che raggiungevano appena il ginocchio dei cavalli. Rimanevano ormai pochi passanti, che si affrettavano verso la casa o le locande per la cena.

Gustave non notò nulla, gli altri non si avvidero di nulla di particolare, ma l'occhio da soldato di Alain percepì una incongruenza ce sul momento non seppe decifrare. Ma abbastanza vivida da informarne il Comandante:

- Qualcosa è stonato, ma non saprei cosa.

Oscar si guardò attorno allarmata, gli altri fecero altrettanto. Tutto pareva tranquillo ed a posto. Eppure...eppure...

Eppure il vagabondo accasciato sulle pietre all'altezza dell'ultimo pilone, al sole nonostante il caldo, con un mantello addosso in quella calura opprimente, ora che lo vedevano da vicino appariva decisamente fuori contesto.

Oscar si slanciò improvvisamente spronando César nella direzione dell'uomo.

Questi si alzò in piedi rapidamente, effettuando nello stesso tempo un movimento col braccio destro che altro non poteva essere se non un segnale. Oscar si fermò di colpo, quasi facendo impennare César. L'uomo si liberò dal mantello, mostrando una spada già sguainata nella destra. Repentinamente, apparvero altri quattro uomini alle sue spalle, che si disposero perpendicolarmente alla campata del ponte. I soldati arrestarono a loro volta le cavalcature. Osservarono un attimo i loro avversari. Poi tutti scesero, predisponendosi allo scontro. Non ebbero il tempo di mettersi in guardia, che un tremendo boato arrivò dalla loro sinistra.

Non fu una nube, quella che li raggiuse e li coprì, leggera ed impalpabile. Ma una nuvola di polvere, sassi, mattoni, schegge e rumore, violenta onda di dolore e di sangue.

Per alcuni istanti non videro nulla, la polvere rossa dei mattoni offuscava il cielo ed irritava le cornee. Il fragore aveva colpito le orecchie ed i suoni apparivano ora ovattati e lontani. Stentavano a riconoscere amici e nemici. Quando finalmente la polvere si diradò, poterono guardarsi attorno.

Uno squarcio si apriva ora nella spalletta, e parecchi mattoni avevano colpito alcuni dei soldati, e persino alcuni assalitori, evidente mente un gruppo raffazzonato e poco avvezzo a simili assalti.

Difatti, due di loro giacevano sul selciato colpiti al capo, e chiaramente in fin di vita.

Ma anche Oscar, la più vicina all'esplosione, non era uscita illesa. Una grossa scia di sangue le scendeva dalla tempia sinistra, scavando un solco brillante nell'ocra che le copriva le gote. Ed un grosso frammento di pietra del parapetto le stava conficcato nel bicipite, bloccandole i movimenti ed infliggendole un dolore acuto e pulsante.

Gli altri erano malconci, ma in grado di combattere, e si lanciarono addosso ai due superstiti, uno dei quali si rivelò essere Jean Paul. Quattro contro due, i soldati ebbero facilmente la meglio, lasciando sul terreno gli avversari feriti forse non a morte ma in maniera decisamente grave.

André corse verso Oscar, che si era accasciata sulle ginocchia, raccogliendola tra le braccia.

Aiutato dagli altri, la issò sul proprio cavallo, tenendo César al passo.

Gérard e François lo guardavano disperati. Erano in una città sconosciuta, con il comandante ferito, ed un prigioniero. Lasciavano morti e feriti sul ponte. Cosa avrebbero fatto?

- Dove andiamo? - Chiese Alain.

- Da Louise Héléne. - Rispose André e si incamminò deciso oltre il ponte.

 

- Madame, Madame!

La Duchessa sollevò lo guardo dal ricamo che stava eseguendo, osservando con malcelata irritazione la cameriera che aveva fatto irruzione nel suo salottino con tanta foga.

- Ci sono dei soldati, davanti all'ingresso, tutti sporchi di polvere rossa, e... e... uno di loro è ferito, e dicono che si tratta di Vostra sorella! - Concluse agitatissima la ragazza.

- Come?

Louise Héléne De Norpois, moglie dell'Intendente di Nevers, si alzò trattenendo un sospiro nervoso. Cosa diamine ci fa qui quella testa matta di Oscar? Sa che odio le visite improvvise, sa che non sopporto la sua folle esistenza, ed ora di presenta senza preavviso? Ah, ma mi sentirà, oh, se mi sentirà!

Ed uscì a passo di marcia, senza rendersi conto di riprodurre la camminata di suo padre quando era furioso.

Percorse il grande atrio, ed arrivò all'ingresso. Suo malgrado, dovette fermarsi sui gradini del perron poiché la vista che le si parò dinanzi ebbe il potere di smorzare la sua ira.

Sei figure a cavallo, coperte di polvere di mattoni, con evidenti ferite da taglio e tracce di esplosioni. Su un cavallo scuro, due cavalieri, uno dei quali più sporco degli altri, tentava con uno sforzo immane di rimanere ritto e persino di sorridere, con un oggetto che sporgeva da una spalla sanguinante.

- Buongiorno, Louise. - disse il ferito con una voce che era indubitabilmente quella di Oscar.

- Siamo costretti a chiederti aiuto.

La dama si riscosse, si volse verso l'interno del Palazzo, nel cui atrio si erano radunati numerosi domestici.

- Preparate sei stanze da letto, cinque nel lato sinistro dell'ala ovest, ed una nel lato destro, dove porterete mia sorella. Jacques, vai a cercare il medico di famiglia, e fallo giungere qui più rapidamente possibile. Pierre, tu e gli altri occupatevi dei cavalli. Preparate bagni per i cinque feriti meno gravi, e cercate abiti per tutti, mentre porterete a pulire e rammendare le divise. Maire, aiuta mia sorella a liberarsi di quegli abiti ed a ripulirsi prima che giunga il medico.

La servitù si mosse rapida per obbedire agli ordini, nei quali i soldati riconobbero un tono "di famiglia", pronunciati con razionalità ed una certa quale freddezza.

Presero in consegna Oscar, mentre alcune ragazze raccolsero le loro sacche, ed altre sparirono verso le stanze interne. Un compassato valletto si rivolse ai soldati, dicendo loro di seguirlo.

Sfilarono dinanzi alla Duchessa, cui André rivolse un:

- Buongiorno Madame - ed un lieve inchino, seguito dagli altri. Louise Héléne fu stupita nel riconoscerlo dalla voce, troppo tempo era passato da quando lo aveva visto per l'ultima volta, con i capelli ancora lunghi, nessuna ferita in volto ed un differente mestiere sulle spalle.

I soldati entrarono con gli occhi sgranati nel grande palazzo, stupiti ed intimoriti dagli affreschi, dai marmi, dai mobili laccati e dorati. Furono ancora più stupiti dalle loro stanze, con letti morbidi dalle trapuntine di piume, con piccoli baldacchini e lenzuola bianche e ricamate.

Solo André mantenne la sua calma abituale. Era già stato nel Palazzo, anni prima, e aveva frequentato troppe altre dimore nobiliari per stupirsene. Sapeva anche che il Duca, uomo previdente ed avvezzo a trattare col mondo, aveva parecchie stanze da mettere a disposizione degli ospiti. Alcune mediamente belle, destinate alla borghesia, come quelle in cui Madame aveva deciso di alloggiarli, ed altre decisamente lussuose, come quella destinata ad Oscar. Fu lui a spiegare che il prigioniero avrebbe dovuto rimanere ammanettato, che forse sarebbe stato importante recuperare i feriti al ponte per scoprire qualcosa di più, e contattare il Duca, in quanto Intendente.

Poi si rivolse ad una cameriera dall'aria giovane e sveglia.

- Io vado a ripulirmi, non si può entrare in questo stato da un ferito. Quando il medico avrà terminato con il Comandante, avvisami, per cortesia. E nel frattempo, aiutatela come meglio potete a liberarsi dalla polvere.

Sorrise alla ragazza ed entrò rapido nella stanza assegnatagli lasciando una lieve scia color mattone.

Buttò gli abiti a terra ed iniziò a lavarsi nella tinozza che già si trovava nella camera. Evidentemente, le abitudini di Palazzo Jarjayes si erano radicante anche a Nevers. Si sentì meglio, più lucido ed ottimista, sebbene ancora molto preoccupato.

Asciugò sommariamente i capelli, giusto perché non gocciolassero.

Si rivestì con gli abiti che gli vennero consegnati, ovviamente d ottima fattura, anche se un tantino larghi per il suo fisico asciutto.

Stava per uscire e disporsi ad attendere nel corridoio l'arrivo del medico, non sopportando più l'inazione, quando si ricordò improvvisamente di qualcosa. Si chinò sul fagotto dei propri indumenti sporchi, estrasse un minuscolo pacchetto dalla giacca, e lo pose nella tasca destra.

Poi uscì e si dispose in attesa di fronte alla porta della stanza in cui stavano provvedendo ad Oscar.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

1 Il rinascimentale Palazzo ducale di Nevers esiste; licenza poetica che all'epoca l'Intendente fosse Norpois, cognato di Oscar.

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Capitolo 19
*** Ospiti ***


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19. Ospiti.

 

Mentre attendeva fuori dalla stanza che il medico terminasse il proprio lavoro, André ringraziò mentalmente che il Palazzo del Duca si trovasse praticamente all'interno del borgo, e non in una posizione aristocraticamente defilata come Palazzo Jarjayes. Questo aveva permesso l'arrivo del medico in una manciata di minuti, un soccorso rapido per quelle ferite apparentemente poco gravi.

Con la schiena poggiata accanto allo stipite della porta, lasciò vagare lo sguardo verso il corridoio colmo di ritratti di antenati ed antenate, uomini severi in abiti neri e sbuffanti al ginocchio, dame con la gorgiera, bambini irrigiditi dalla posa. Si stupì una volta di più quanto questi corridoi si somigliassero nelle varie dimore nobiliari che aveva visto.

La ferita lo preoccupava, ma non eccessivamente, pareva dolorosa ma non troppo pericolosa. Si riscosse udendo aprirsi una porta. Alain si affacciò alla propria stanza per chiedere notizie e, quasi fosse un segnale atteso, comparvero anche gli altri due commilitoni.

- Notizie?

- Per ora no.

Si ritrovarono tutti e quattro nel corridoio, in attesa che il medico desse loro qualche particolare, commentando sottovoce la dimora nella quale si trovavano e le stanze che parevano loro lussuose e confortevoli.

- Quindi tu e il Comandante siete cresciuti in un posto così? - chiese il curioso François.

- Più o meno - fu la risposta di Andrè, che preferì non specificare che Palazzo Jarjayes, sebbene più sobrio ed austero, fosse persino più vasto ed imponente.

La porta si aprì, infine, e ne uscì un uomo dal naso aquilino, i capelli radi raccolti in un codino ed il portamento rigido. Si stupì di trovarsi i quattro soldati in ansiosa attesa, mentre la padrona di casa non pareva essere ancora giunta per chiedere notizie.

- La ferita alla spalla era bruttina ma non grave. Mi sono limitato a ripulire e ricucire. Con qualche giorno di riposo dovrebbe andare molto meglio. Il taglio alla tempia era superficiale, non ho nemmeno dovuto dare dei punti. Ora dorme per via del laudano che le ho dato, credo che non si risveglierà prima di domattina.

- Grazie. - Rispose Andrè per tutti.

- Certo che quella donna ha più cicatrici di alcuni ufficiali di mia conoscenza. Buonasera. - Chiosò il dottor Gide prima di calcare con decisione il tricorno sul capo ed andarsene.

Lo guardarono allontanarsi silenzioso sul soffice tappeto del corridoio, sino a raggiungere la scala all'estremità.

Andrè aprì silenziosamente la porta ed entrò per controllare, lasciano comunque il battente spalancato, per evitare malignità da parte di Louise Hélène qualora fosse arrivata. Oscar dormiva in un grande letto con le cortine verde oliva, nella tipica posa in cui i medici lasciano i pazienti, distesa supina, con la braccia a bloccare il copriletto sul lenzuolo inferiore, mentre questo le copriva il petto sino allo sterno. Un fasciatura stretta le cingeva l'omero sinistro, ed una le incoronava la fronte. Ma la cosa che turbò Andrè e lo costrinse ad arretrare fu il fatto che si intravvedevano le maniche appena accennate di una veste da notte candida, di tessuto leggero e di taglio assolutamente femminile.

L'aveva veduta con abiti maschili, e nelle ultime settimane si era persino abituato a vederla senza vestiti, ma in quel momento il suo aspetto lo colpì come non gli accadeva da tempo. Il contrasto tra le fasciature ed il tessuto lieve la rendeva fragile e delicata come non gli era apparsa nemmeno nelle loro notti d'amore.

Si sentì lievemente in colpa per quei pensieri proprio mentre lei era stordita dal laudano, e si voltò per andarsene e lasciarla riposare, trovandosi invece di fronte la sorella di Oscar, anche lei ad osservare con occhi nel contempo tristi e duri la dormiente.

- Non credevo che avesse tante cicatrici...- disse a bassa voce osservando le spalle e le braccia che poggiavano sul copriletto, dove una serie di lividi bluastri stavano cominciando ad apparire.

- Ne ha ben di più. -Le rispose serenamente Andrè. - Non è un lavoro privo di rischi, il suo.

- E tutto per compiacere quell'....nostro padre e le sue follie. - Si corresse cammin facendo.

- Ormai è fatta. Non può tornare indietro. Né Vostro padre cambierà avviso.

Louise Hélène rimase ancora un attimo immobile. Non credeva che per sua sorella la vita fosse tanto dura. Anzi, aveva sempre pensato che fosse una vita maggiormente divertente della propria, allegra e libertina, con accesso agli svaghi ed alle feste che a lei, in provincia, era negato. Le venne il dubbio che così non fosse. O che, perlomeno, quel tipo di esistenza portava con sé dei pericoli sino ad allora non immaginati. Non seppe rispondersi riguardo alla seconda parte del suo pensiero, se la frequentazione così assidua di compagnia maschile le permettesse di "distrarsi" quanto aveva sempre immaginato facesse.

Le sue divagazioni vennero interrotte da una voce baritonale all'esterno della stanza, segno che il Duca di Norpois era rientrato a casa per la cena. In quanto Intendente, era già a conoscenza dell'esplosione al ponte, del duello, dei tre cadaveri (anche Jean Paul era infine deceduto per le ferite, da interrogare rimaneva ora solo uno degli uomini da lui assoldati) e del ferito. Non era però riuscito a comprendere ove si fossero rifugiati i soldati vittime dell'attentato, ed ora li ritrovava nella propria magione, venendo addirittura a scoprire che al comando del drappello vi fosse Oscar.

Troppo, per il Duca, in un torrido pomeriggio, prima della cena e di un rinfrancante bicchiere di Porto. Chiese ed ottenne che i soldati lo raggiungessero nel suo studio, per farsi riassumere gli eventi davanti a cinque bicchieri di vetro molato.

 

Il Generale Bouillé camminava col suo passo lento per i corridoi della Reggia, con il ventre prominente che lo precedeva di almeno un passo. Quando incrociò il Generale Jarjayes che marciava spedito per un corridoio perpendicolare, lo chiamò e gli disse che era giunto un quarto rapporto, nel quale si diceva che due sicari, un uomo ed una donna erano stati eliminati. Sorvolò sul rapimento, sul ferimento di un soldato, e su parecchie cose. Non era il caso di agitare ulteriormente l'amico.

Il Generale se ne andò soddisfatto e sollevato, certo che ormai il rientro non fosse molto distante. Aveva intenzione di rivedere la figlia, prima di una missione che lo avrebbe tenuto lontano da Parigi, insieme al suo reggimento, per circa un paio di mesi.

Ma non era del tutto tranquillo, né per Oscar, né per la corona. Quanto gli aveva detto Josephine ancora gli tormentava i pensieri, e ancora non aveva avuto informazioni utili da altre ricerche che stava facendo effettuare da un uomo fidato.

Per quel giorno era troppo irritato per lavorare oltre. Decise che sarebbe tornato a Palazzo, per rilassarsi in biblioteca con un buon libro ed un cognac.

 

Nevers, 3 giugno 1788.

Caro Padre,

non so quanto il regio Esercito vi tenga informato, anche se penso sappiate che Oscar si trova in missione lontano da Parigi.

Mi pare corretto farVi sapere che ora si trova nella dimora di mio marito, ove è giunta nella giornata di oggi, ferita non gravemente. Immagino che verranno redatti rapporti e scartoffie (sorrise, pensando a quanto il termine avrebbe irritato il Generale), ma questa mia sarà sicuramente più rapida ed efficace.

Sta sufficientemente bene, e tutti i soldati ai suoi ordini sono con lei. Anche il detenuto che riportavano è vivo ed in salute.

Vi saluto con affetto.

Louise Hélène De Norpois, Duchessa di Nevers.

 

La dama richiuse rapidamente la lettera, sigillandola con lo stemma del casato del marito e la consegnò ad un valletto, dicendo di farla recapitare alla sua dimora avita nel più breve tempo possibile, e si accinse a scendere per la cena con aria sussiegosa. Si era domandata a lungo se fare cenare alla propria tavola dei soldati di origine plebea, ed infine, sebbene le pesasse, si era risolta per il sì, più che altro per il timore della reazione di Oscar, una volta che si fosse svegliata. Si accinse a scendere per la cena. Anche lei ne temeva le ire. Meglio un paio di cene sgradite che l'atteggiamento di sufficienza che la sorella avrebbe assunto se fosse stata contrariata.

 

Intanto, nel salottino del Duca, André aveva terminato di riassumere gli ultimi eventi, preoccupando non poco l'Intendente. Lo turbava che quanto accaduto fosse avvenuto sotto la propria giurisdizione, lo spaventava toccare per la prima volta con mano quanto fossero reali i complotti di cui si vociferava, lo terrorizzava avere in casa una possibile vittima.

Per prima cosa, farò portare quell'uomo nelle prigioni dell'Intendance.

Si alzò dalla poltrona di velluto verde.

- Riposatevi ancora qui. Servitevi tranquillamente di Porto. Io vado a prepararmi per la cena, ed a dare qualche disposizione per trasferire il vostro prigioniero. Qui non avrei modo di difenderlo. La cena sarà servita tra mezz'ora.

E li lasciò, allontanandosi col suo passo pesante.

I soldati rimasero un attimo in silenzio. François, rimasto teso fino ad allora per la presenza del Duca, si allungò sulla poltrona che occupava sospirando vistosamente, mentre Gérard osservava curioso quello studio. Alain approfittò subito dell'invito e si riempì nuovamente e generosamente il piccolo calice.

- Per favore, non complicarci le cose. Rimani sobrio.

- Che scarsa fiducia hai in me, André! - Rispose ridendo l'interpellato.

- Non ho intenzione di farci cacciare da questa bella casa. E non voglio mettere nei guai il Comandante. Tu, piuttosto.

- Io, cosa?

- Che racconterai a quella sussiegosa damina rispetto a quello che hai intenzione di combinare con la sorella?

- Siamo in due a decidere, dovrei consultarmi con Oscar, ma credo che non diremo nulla. L'intenzione era di andare a parlare direttamente col padre. io eviterei fughe di notizie.

Gli altri rimasero un attimo in silenzio, i due più giovani cominciavano a vedere le difficoltà cui André aveva di tanto in tanto accennato. Alain era invece il più dubbioso. Voleva vedere il Comandante rapportarsi alla propria famiglia, l'indomani per giudicare.

Dopo un poco fu François a parlare.

- André, il Palazzo del Comandante somiglia a questo?

- Più o meno. E' più sobrio, un poco meno alla moda. Ma un poco più grande, e isolato nelle campagne tra Parigi e Versailles. Perché me lo chiedi?

- Il Comandante mi ha chiesto se ad una delle mie sorelle potrebbe interessare lavorare da loro. Ho risposto di sì, perché noi abbiamo sempre necessità di denaro, sai che siamo parecchi figli. Ma ora che vedo il tipo di dimora...non so se sarebbe adatta.

Andrè sorrise. Sapeva che la vecchia cameriera che aiutava sua nonna ad occuparsi di Oscar aveva intenzione di ritirarsi dal figlio. E così lei aveva pensato bene di dare lavoro ad una ragazzina di una famiglia assolutamente bisognosa, ma anche di procurarsi una persona fidata e fedele a lei, non al Generale. Se era stata cresciuta come François, sarebbe stata leale ed affidabile.

- Sarà adattissima. E se ho capito quale ruolo dovrebbe ricoprire, non sarà nemmeno un lavoro troppo pesante.

Il viso lentigginoso del ragazzo si aprì in un sorriso lieto. Una buona notizia, che con la paga raddoppiata di quel mese avrebbe messo la famiglia al riparo dalla fame l'inverno successivo.

Andrè si alzò.

- Vado a vedere come sta il Comandante, ci vediamo tra dieci minuti.

 

Il Generale si era appena seduto a tavola, quando gli fu annunciato un messaggero da parte del Comandante de Reggimento Salis-Samade.

Ordinò di farlo entrare, prese il messaggio che costui gli porgeva, e diede disposizioni affinché fosse rifocillato in cucina.

Tolse il sigillo al biglietto, lo lesse e sorrise. Un paio di giorni e la missione si sarebbe conclusa senza intoppi. Bene. Alzò il bicchiere e bevve un sorso in un brindisi silenzioso. Non gli restava che attendere notizie riguardo al complotto, per poi riferire eventualmente alle loro Maestà.

Nelle cucine, intanto, il soldato mangiava raccontando all'attenta governante quanto aveva visto la sera prima. La povera donna era felicissima. Per la prima volta in un mese, poteva avere notizie serie, e non i vaghi accenni del generale. Benedisse in cuor suo quel ragazzo, riempiendogli nuovamente il piatto.

 

Andrè spinse leggermente la porta ed entrò nella stanza in penombra.

Si avvicinò silenziosamente al letto, scostando le cortine verdi. Oscar aveva abbandonato la posizione composta in cui l'aveva messa il medico, e si era raggomitolata su un fianco, nella posizione che ormai aveva imparato a conoscere. Le pose una mano sulla fronte, in una carezza simile a quelle che si riservano ai bambini.

- Ha la febbre? - Chiese una voce alle sue spalle.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 20
*** Un divano verde ***


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20. Un divano verde.

 

André si volse verso Louise Hélène, che era entrata silenziosamente alle sue spalle, benedicendo mentalmente il fatto che avesse frainteso il suo gesto.

- Pare di no, la ferita non dovrebbe essere infetta. Lasciamo che riposi. Tornerò dopo.

Si preparò ad uscire, porgendo il braccio alla Duchessa, un poco più bassa di Oscar, elegante nel portamento ed abbastanza snella nonostante le tre gravidanze1.

La cena fu un momento decisamente faticoso per i soldati, impegnati nel non fare cattive figure, una sorpresa per la Duchessa, decisamente prevenuta nei confronti dei giovani ospiti, sui quali dovette ricredersi (senza sapere quanto su di loro avesse influito il mese trascorso con Oscar), un supplizio per Andrè, attento alle parole, alle intonazioni di tutti, teso nel non tradirsi e nello sperare che nessuno sbagliasse.

Il dialogo ruotò principalmente attorno alle loro peripezie durante quell'assurdo viaggio, che era stato raccontato al Duca solo per sommi capi.

Ora invece François entrò nei dettagli di quanto accaduto nella miniera, Gérard fece inorridire tutti raccontando dei cavalli sventrati. André raccontò quanto si era svolto nella grangia isolata, insistendo sul fatto che Dénis volesse prendersi Oscar.

- Esattamente come Nicholas De La Motte. - Concluse il discorso, posando la forchetta sul lieve decoro dorato al bordo del piatto.

Un discorso ed una chiusa indirizzati in maniera specifica a Louise Hélène, di cui conosceva la cattiva disposizione verso la sorella. Sapeva che in lei si mescevano come due uve mal amalgamate l'invidia per la libertà quotidiana garantita dalla divisa ed il sospetto per un libertinaggio nascosto dalla sua aura di freddezza, producendo un vino malmostoso di affetto rabbioso. Ed infatti la Duchessa fermò a mezzo il gesto di tagliare la carne, interrotta dal pensiero di quanto avrebbe potuto succedere. il pensiero corse alle braccia livide, alle bende, alle cicatrici che aveva veduto. Di nuovo, pensò che forse i pericoli superavano abbondantemente i piaceri in quell'esistenza così differente dalla propria.

 

Fu un sollievo quando il Duca addusse il fatto che il giorno dopo avrebbe lavorato come scusa per ritirarsi presto, ed anche lui poté abbandonare il resto della compagnia, avvisando che sarebbe passato a controllare Oscar, onde evitare sorprese e commenti. Per fortuna, Louise Hélène, memore di situazioni simili a Palazzo Jarjayes non ebbe modo di sorprendersi.

Fu così che ebbe modo di andare nuovamente nella stanza verde, e sedersi per una mezzora nel silenzio della notte quasi estiva, interrotto solo dal frinire dei grilli nel giardino e dal fruscio delle tende di pizzo smosse dalla brezza. Quei suoni tenui nella casa che si preparava alla notte, accompagnati dal respiro lieve di Oscar, dal ticchettio della pendola sulla mensola del caminetto, dal tinnire delicato degli oggetti che teneva in tasca e con cui giocherellava guardando il volto della sua amata abbandonata al sonno ebbero il potere di quietare il suo animo teso e vibrante.

Rimase ad osservarla nella penombra della stanza, mentre la luce tremula di un doppiere modificava ombre e luci sulle sue gote e sulle sue braccia, appena coperte dal pizzo della veste da notte che indossava. Come era accaduto poche ore prima, si soffermò ad osservare quanto la rendesse differente quell'indumento bianco, femminile seppure casto, e si stupì a chiedersi se glielo avessero prestato mentre era cosciente o meno. Si ripromise di indagare, e si alzò dalla poltrona che aveva accostato al letto, verde come tutti gli arredi della stanza. Sperando nella fortuna, si chinò a posarle un bacio lieve sulle labbra socchiuse, per poi andare nella propria stanza, appena di fronte nel corridoio.

La sapeva al sicuro, e poteva permettersi un sonno ristoratore.

 

Il Generale Jarjayes si levò all'alba, ristorato e fresco. Dopo essersi preparato rapidamente ma nel suo consueto modo impeccabile, dopo aver consumato una colazione solitaria, si recò alle scuderie e partì per raggiungere gli atri ufficiali agli alti comandi.

Mancò pertanto di pochi minuti il corriere proveniente da Nevers, che si annunciò a palazzo dicendo di avere una missiva personale per lui.

Fu così che la missiva di Louise Hélène rimase sulla scrivania dello studio sino alla tarda serata.

 

Anche André si svegliò abbastanza presto, sentendosi tuttavia riposato.

Si preparò con la consueta cura e attraversò il corridoio che la grande finestra ad oriente illuminava. Quell'ala del palazzo era stata evidentemente risistemata da poco, le stanze in infilata sostituite dalla nuova sistemazione. Entrò con passo lieve nella stanza di Oscar, trovandola seduta sul letto, un poco pallida ma tranquilla, con un libro tra le mani.

Gli sorrise, battendo con la mano sinistra sulle coltri accanto a sé in un gesto che era un piccolo invito.

- Ti aspettavo.

André la guardò di rimando, e si accostò, sedendosi nel punto indicato, quasi di fronte a lei.

Le carezzò i capelli. Erano stati spazzolati, notò, non aveva l'aria dolcemente arruffata di quando si svegliava accanto a lui. Gli fermò la mano, portandosi il palmo davanti alle labbra, e deponendovi un bacio delicato. Un ringraziamento tacito per la sua presenza.

- Grazie di esserti preoccupato di portarmi qui.

- Voglio solo saperti al sicuro.

- Gli inseguitori immediati sono stati eliminati, dovremmo ripartire prima che il mandante ne abbia consapevolezza. E' importante ridurre al minimo la mia convalescenza qui, per non mettere tutti in pericolo.

- Ma ora non stai bene.

- In tre giorni potrei cavalcare. Cercherò di rimettermi in fretta.

- Magari comincia mangiando, che ne dici? Ieri sera con il laudano hai digiunato...

- Infatti, ho una fame da lupi. Ma non voglio mangiare qui da sola, preferisco scendere. Non posso lasciarvi ancora nelle grinfie di mia sorella.

- Non ci crederai, ma ce la siamo cavata bene anche senza te a fare la mammina....

Oscar sorrise a quella definizione, che avrebbe fatto sicuramente inorridire il Generale.

 

Quel giorno ed il seguente trascorsero per tutti in una strana atmosfera, tra il rilassamento da vacanza e una sottile inquietudine per la situazione. I soldati percepivano di essere ospiti appena tollerati, Oscar si tratteneva a fatica quando la sorella utilizzava i suoi consueti toni acidi, sebbene percepisse un lieve cambiamento, un ammorbidimento di cui non le era chiara l'origine.

André era forse il più inquieto, lui solitamente padrone di sé stesso si rendeva conto di essere enormemente sulle spine, timoroso di ogni frase detta dai commilitoni.

Nel tardo pomeriggio di quel giorno, Oscar sedeva nella piccola biblioteca al pian terreno, seduta lateralmente su uno dei divani in velluto, verde come molti degli arredi di quella casa modaiola, con un libro tra le mani. Si stava decisamente riprendendo, e pensava che l'indomani avrebbe tentato una breve cavalcata. André era uscito con i soldati, per permettere loro di fare un giro della città e soprattutto di cambiare aria, togliendoli da quella casa troppo esigente.

Il Duca era preso dagli impegni di Intendente, ed la Duchessa si era recata a spettegolare presso il salotto di Madame Thionville, cosicché Oscar aveva modo di far vagare liberamente i propri pensieri. Che tornavano invariabilmente al disagio di quei giorni, legato al fatto di non poter dichiarare apertamente cosa provasse per André. Mentire (o tacere, che era poi lo stesso) le pesava enormemente. Non provava la minima vergogna per quanto stava facendo. Amava un uomo che lavorava per il Regno, esattamente come lei. L'unica differenza tra loro stava nel fatto che il padre era stato mastro d'ascia anziché Generale. E questo, lo sapeva bene, agli occhi del mondo, del suo mondo, era un ostacolo insormontabile. Si chiese se lo sarebbe stato davvero anche per suo padre. Lo avrebbe scoperto presto. Pochi giorni, e si sarebbero trovati di fronte, e gli avrebbe parlato. Non temeva la sua rabbia. Perché era certa che si sarebbe infuriato. Ed era certa che, pur reagendo male, non avrebbe commesso atti irreparabili.

Li avrebbe cacciati, senza ombra di dubbio, ma era sicura che non avrebbe utilizzato lettres de cachet e che non avrebbe fatto condannare André. Se la sarebbero cavata, anche se sospettava di vedere le cose in modo troppo ottimista.

Era ancora immersa in questi pensieri quando un vociare allegro, di certo inconsueto tra quelle mura, la riscosse. Erano rientrati i soldati.

Andrè la raggiunse, chiudendo la porta e sedendosi sul bracciolo imbottito del divano. Si era tolto la giacca, e sedeva sporgendosi pericolosamente verso di lei. Un sussurro, sebbene la stanza fosse vuota:

- Vieni da me, stasera? - Gli chiese.

- Sicura che sia prudente?

- Mia sorella mi crede una peccatrice lasciva. Al massimo alimenterò questa sua convinzione.

- Comincio a pensare che abbia ragione...- le rispose con un sorriso dispettoso dipinto in volto, ed un lucore passionale nelle iridi.

Si sarebbe sporto maggiormente, se il rumore della porta che si apriva non l'avesse fatto irrigidire, mentre Oscar sobbalzava impercettibilmente.

La Duchessa entrò, solidamente impacchettata nel suo corsetto dorato, nonostante il caldo impietoso della giornata quasi estiva. Cominciò a parlare del pomeriggio appena trascorso, informandoli con dovizia di particolari su persone a loro sconosciute, come se la scena apparsa ai suoi occhi fosse di normale consuetudine. Ma non cessava di osservarli, e mentre la cameriera che era apparsa con solerzia versava il tè e lo zuccherava pescando da una elaborata chicchera d'argento, le sovvenne una frase cui non aveva prestato peso...Andrè che suggeriva che le cicatrici della sorella fossero "ben di più"...come avrebbe potuto saperlo, se non offrendosi come complice per i libertinaggi? E cosa avrebbe potuto essere quel lieve istante di imbarazzo al suo ingresso?

Louise si diede della stupida per essersi lasciata commuovere dalle ferite di Oscar: era esattamente come se l'era immaginata, immorale, ponta a sfruttare il proprio ruolo per una vita assolutamente non adatta ad una donna.

Si augurò che la ferita guarisse rapidamente, liberandola da quella presenza ingombrante; pensò che avrebbe dovuto raccontare al proprio confessore di quella situazione, per chiedere consiglio e magari per spingerlo a parlare con Oscar.

 

Il Generale sedeva nel suo studio, con le gambe accavallate, fumando la pipa con calma e con il suo fare elegante. Aveva avvisato che si facesse entrare subito la persona che si fosse presentata.

Il biglietto della figlia giaceva sul sottomano in pelle consunto dall'uso. Si era sbagliato, le missione non era affatto conclusa, né al sicuro. Anzi, le cose parevano peggiorare.

Un leggero bussare, e la porta si aprì. Entrò un uomo alto e segaligno, col portamento da militare nonostante gli abiti borghesi.

- Ebbene?

- In effetti pare che Riqueti abbia spesso incontrato un certo Gustave Satie, un giornalista, e numerosi suoi amici. Su Satie vi sono voci insistenti che lo indicano come figlio del Conte D'Artois, e paiono decisamente ben fondate.

Il Generale assentì, le frequentazioni libertine del Conte D'Artois, spesso in compagnia del Duca D'Orléans, non erano un mistero per nessuno.

- Inoltre Satie è un frequentatore assiduo del Palais Royal, come numerosi libellisti. Prove di contatti diretti tra Riqueti e il Duca D'Orleans non vi sono...qui bisogna contentarsi delle voci, secondo cui entrambi sono propensi alla destituzione del Re.

Il Generale tacque per un lungo momento, poi prese una borsa e la porse all'uomo.

- Vi ringrazio.

L'uomo prese con un inchino quanto gli veniva porto e si allontanò rapidamente.

 

Terminato il tè, Oscar si alzò dal divano e si recò verso le vetrine che contenevano alcuni violini.

- Posso? - Chiese, rivolta alla sorella.

Questa fece un ampio gesto con la mano, lasciando ondeggiare il pizzo della veste, per indicare che gli strumenti erano a sua disposizione.

Ne prese uno, lo sistemò sotto il mento, e portò in posizione la mano sinistra. La ferita non le dava troppo fastidio. Non suonava da molto tempo, ne provava il desiderio ed il bisogno. Arpeggiò qualche nota, sorridendo. Si, poteva andare.

So volse verso gli altri due, porgendo un secondo violino ad André e chiedendo alla sorella, con uno sguardo dolce che l'altra non riconobbe: - Ci accompagni?

Avrebbe voluto ritrarsi, ma il ricordo di antiche lezioni, il fatto di non suonare se non da sola, il desiderio di far di nuovo parte di quel piccolo mondo che è un gruppo di persone che suonano, la fece accettare.

Si sedette al clavicembalo con un movimento dell'ampia gonna.

- La Follia2?- Chiese. Gli altri due annuirono, divertiti. La suonavano da anni, da quando ancora veniva il maestro a Palazzo. Non era saperla a memoria, era sapersi a memoria. Ed ogni volta adattarsi al nuovo accompagnatore, che stavolta tornava ad essere quello vecchio, la ragazzina con cui lo avevano studiato e preparato a lungo per seguirlo al severo genitore. Poi la bellezza aveva preso il sopravvento, ed i piccoli violinisti lo avevano eletto a simbolo del loro essere, in una esecuzione violenta e rabbiosa. Che permaneva tuttora.

- La scala, prima.

I soldati, dal piano di sopra, scesero curiosi ad udire quei suoni. Si chiesero che potesse essere. Madame, certo. Ma poi? Forse il Comandante. Non si sarebbero aspettati che a condurre quei due archetti con rabbia fossero non solo Oscar ma anche il loro commilitone. A nessuno di loro era mai venuto in mente sapesse suonare.

Una cosa era evidente a tutti, non solo ai tre figli del popolo, ma persino alla severa dama al clavicembalo. La sovrumana sintonia tra i due. Nonostante qualche errore, qualche bequadro scappato tra le dita, la bellezza dell'esecuzione consisteva nel sapere dove l'altro sarebbe andato, nel prevedere le dinamiche senza guardarsi, gli attacchi dai respiri.

Alain capì cosa intendeva l'amico quando gli parlava di lei e dei loro sentimenti. E pensò che la sorella avrebbe capito al volo, lei che stava eseguendo a fatica, presa in mezzo tra le loro rabbie e i loro voli.

Ma era aspettarsi troppo da Louise Hélène.

 

- Duca, che piacere vederVi! A cosa debbo questa visita?

- Abbiamo un problema, mio caro Riqueti, abbiamo un problema...

 

 

 

 

 


 

 

1 Ripasso la mia personale genealogia:

Josephine (1754, sposata con Louis Antoine Savinien de Liancourt – due figlie maritate ed un figlio quasi ventenne);

Hortense (1752), sposata con Maxence Reymond De La Rolancy – madre di Loulou)

Louise Hélène (1751, sposata al marchese di Norpois due figli maschi ed una figlia già maritata)

Constance (1750, sposata a Lord Henry Middleton ed ha due figli gemelli, Jules e James, tredicenni ,ed un figlio diciottenne, Paul)

Geneviève (1748, vedova, 3 figli maschi e due figlie femmine).

2 https://www.youtube.com/watch?v=fBlm3frdvQU

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Capitolo 21
*** Sodoma e Gomorra ***


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21. Sodoma e Gomorra.

 

Al termine dell'esecuzione, un valletto rimasto sulla soglia annunziò che era pronta la cena. François era tutto eccitato per quanto aveva udito, e nel breve percorso sino alla saletta ove avrebbero mangiato, si appiccicò ad André, entusiasta per l'abilità dell'amico; se dava per scontata quella del Comandante, di nascita aristocratica, così non era per lui.

- Ma che bravo sei! Sai anche suonare, accidenti, non solo scrivere!

Alain sorrise: - Però suona meno di quanto scriva. Ha già riempito centinaia di pagine, in quei suoi quaderni scuri...

Solo Oscar notò il rapido irrigidirsi delle spalle di Andrè a quell'uscita. Strano, è pieno il mondo di gente che tiene un diario. Perché si è così spaventato? Teme che li leggano? Ha scritto di noi?

Reputò saggio distrarre l'uditorio raccontando cosa fosse la sonata appena eseguita, e l'argomento musicale si protrasse per una parte della cena, sino a quando cominciò leggermente a deviare verso lo scopo della loro missione.

E, con questo, a scivolare lentamente verso la politica. Terreno sdrucciolevole, e pericoloso, a casa di un Intendente. Oscar non ebbe problemi a spiegare il proprio punto di vista, su quanto stesse accadendo, sul comportamento che avrebbe dovuto tenere il Ministro delle finanze. I soldati ascoltavano il quieto rimbalzare delle frasi, poiché l'intendente non appariva troppo interessato nel difendere la propria posizione e quella della Corona. Nessuno di loro ebbe l'ardire di entrare nella disputa.

Andrè rimaneva in un silenzio inquieto, indeciso tra il trattenersi a causa della propria condizione di roturier ed il desiderio di intervenire.

Fu invece Louise a porre una domanda volutamente ambigua alla sorella:

- Ma se pensate che il Re sia in torto, perché conducete il prigioniero a svelare il complotto? Non avreste preferito la destituzione?

Oscar dovette trattenersi.

- Sebbene io pensi che Sua Maestà sia in errore, ritengo altrettanto vero che potrebbe mutare avviso, se debitamente informato delle situazioni. La scelta dei ministri e dei consiglieri non è scevra di rischi. Non mi sogno di pensare alla destituzione, senza contare che giurerei che i cospiratori sarebbero più contrari alle misure di Brienne di quanto non lo sia lo stesso Luigi. La Journée des Tuiles già ha messo in luce questi problemi strutturali.

- Pensate dunque che il popolo abbia il diritto di criticare l'operato del Re e dei suoi Ministri? - Chiese la Duchessa, scandalizzata dalla risposta ricevuta.

- Il diritto, sì. - disse Oscar guardandola negli occhi, seria e decisa.

- E forse persino il dovere, in taluni casi. - La voce seria di Andrè fece voltare la nobildonna nella sua direzione.

Lo guardò come se lo vedesse per la prima volta. Il roturier che sorgeva a valutare l'operato reale. Una voce dagli ultimi. Il giovane Mosé che punta il dito verso il Principe d'Egitto.

- E' corretto fare presente gli errori a qualcuno che stia sbagliando. Anche se esso è il Sovrano.

- Ma il Sovrano è posto sul trono da Dio. - Riprese Madame stringendo le posate fino a sbiancarsi le nocche.

- E' stato Dio stesso a permettere all'uomo di ergersi a giudice di sé e di sfidarlo, contrattando. E' quello il momento della Bibbia in cui l'uomo diventa uomo.

Alain si girò stupito dall'uscita dell'amico. E questa da dove gli è venuta?

Oscar si voltò pacificamente, pronta ad ascoltare con interesse, senza mostrare di turbarsi per una simile frase.

L'Intendente era più incuriosito che scandalizzato:

- Spiegatevi.

- La distruzione di Sodoma e Gomorra1.- Spiegò Andrè come stesse per parlare di banalità come il tempo atmosferico.

- Dio si sta preparando alla punizione delle città, come la si vede nelle incisioni delle Bibbie rilegate, apre il cielo e lo colma di nuvole pronte a riversare fuoco e zolfo. Eppure, anziché piegarsi alla Volontà distruttrice del suo Signore e Padrone, Abramo osa intromettersi e chiedere : "Forse vi sono 50 giusti. Davvero li vuoi sopprimere? Non perdonerai per riguardo ai 50 giusti?", e poi contratta via via qualora fossero meno.

Abramo osa frapporsi tra il giustiziere a la sua vittima2, osa mettere in discussione la giustizia divina. In quel momento, raggiunge l'apice dell'essere uomo, per quanto povero e misero potesse essere agli occhi di Dio. Il quale, non solo non lo punisce incenerendolo immediatamente, ma accetta di venire a patti con lui, mandando gli angeli a cercare i giusti. E' allora che l'essere umano diventa immagine e somiglianza del suo creatore, quello per cui è stato generato.

Dunque perché un uomo qualunque non potrebbe mostrare al Sovrano i suoi errori?

Il Duca terminò il borgogna nel suo bicchiere. Non aveva argomenti per ribattere. Era stato furbo, giocando Louise Hélène sul suo stesso terreno di bigotta. Comprese allora la ragione per cui il generale aveva insistito affinché da ragazzo venisse istruito. Una mente lucida ed acuta.

Madame rimase interdetta, sebbene l'interpretazione fosse ardita, la sostanza biblica del discorso era corretta.

Fu Oscar a rompere il silenzio:

- Di questo parlavi sino a notte fonda con Padre Bonnet?

- Tra le altre cose...

La nobildonna lo guardò perplessa. Chi era diventato, crescendo, il ragazzino che conosceva? Qualcuno di subdolo, che discorreva con i francescani e poi professava idee libertarie? Un pericolo per la sorella? Quali dottrine intendeva propinarle?

Il nome del sacerdote diede il destro ad Alain di portare la conversazione su altri temi, meno pericolosi, mentre il desinare volgeva al termine.

Al momento di alzarsi, La Duchessa, rimasta silenziosa, trovò il modo di rimanere indietro e di fermare la sorella:

- Fai attenzione.

Oscar la osservò perplessa, alzando un sopracciglio.

- Con quelle idee, potresti ritrovarti con André che pretende di ergersi a tuo giudice, di rinfacciarti i tuoi sbagli.

- Lo fa già da molto tempo. Per mia fortuna. - Rispose sorridendo.

Si avviò verso la porta e poi si volse per sorridere alla dama impietrita. - Buona notte.

 

Il Duca si fermò un attimo prima di avviarsi per l'imponente scalinata.

- Siete consapevole di quanto avete detto stasera?

- Sì, anche se non del tutto sicuro di come sia stato compreso.

- Mi siete parso del tutto chiaro. Per voi l'essere umano in quanto tale, e non in base al proprio ruolo sociale, può e deve esprimere un giudizio qualora chi stia più in altro sia in fallo. Pericolosamente lucido e semplice.

- Può e deve giudicare, e chiedere un cambiamento.

- Siete intelligente, e sprecato come militare. Ma fate attenzione.

Andrè fece un lieve inchino e lasciò che Norpois si avviasse per gli scalini di marmo, prima di fermarsi a respirare il profumo dei tigli che veniva dal giardino.

 

Oscar si era fatta aiutare ad indossare nuovamente una veste da notte della sorella, sentendosi inconsueta e graziosa.

Spazzolandosi i capelli, sorrise al pensiero di quanto le aveva detto la sorella. Se solo avesse immaginato quali fossero le sue intenzioni; se solo avesse pensato a quanto lontana l'avevano portata i pensieri che André aveva condiviso con lei. Lo avrebbe comunque scoperto presto, non appena avessero potuto parlare con il Generale.

La porta sì aprì con un sospiro ed apparve Andrè, che si era liberato del giustacuore e del gilet grigi indossati a cena, ed era scalzo per non fare rumore.

Si lasciò cadere stanco sull'ottomana, portando una gamba sul velluto morbido. Oscar si voltò a mezzo per osservarlo mentre, con la naturalezza di chi condivide la stanza ed il tempo da anni, pescava un macarons dalla piccola piramide sul tavolino intarsiato e si disponeva a mangiarlo come d'abitudine, aprendo con cura le due metà, un gomito poggiato al ginocchio. Le sovvenne il paragone che a Briançon le era stato suggerito con quel gesto, ed il batticuore le avvampò i sensi e le gote.

- Perché mi guardi così?. - Le chiese, un sorriso tra l'affascinato ed il compiaciuto.

- Vieni qui. - Quasi un ordine.

Si alzò agile, lieve nell'impalpabile ed inusuale tenuta, solo la fasciatura al braccio a rammentare il suo rude mestiere. Gli andò vicino, fermandosi appena prima dei sfiorare con la veste la metà del dolcetto che l'avrebbe macchiata col rosso della ganache. Andrè fissò quel che teneva in mano, poi alzò lo sguardo verso di lei.

- Toglila.

In pochi istanti, di nuovo un ordine, pronunciato sottovoce, dolcemente, ma inequivocabile. Slacciò i nastri di raso che fermavano la chiusura dell'indumento, lasciandolo scivolare attorno ai piedi nudi.

Andrè mangiò il mezzo macarons che teneva nella destra, sempre osservandola, poi le porse la mano ora libera per farla sdraiare accanto a lui sulla stretta seduta in seta.

Con il mezzo dolcetto rimasto le disegnò una scia color rosso tentazione che dall'incavo dei seni scendeva superando l'ombelico. Le offrì il pasticcino e si chinò su di lei per assaporare quella commistione di gola e lussuria.

 

Il Generale si alzò di pessimo umore, dopo una notte agitata e priva di ristoro. Aveva deciso, nonostante tutto, di non scendere a Nevers in aiuto di Oscar, sebbene il pensiero lo tentasse. Ne avrebbe messo in discussione il nome e la carriera. E se fosse stata davvero suo figlio mai avrebbe avuto quell'impulso. Per la prima volta, il pensiero che fosse una donna gli aveva farro sorgere dubbi sul mestiere delle armi scelto per lei.

Si recò immediatamente al proprio reggimento, al quale fece scontare il suo pessimo umore.

 

Al tavolo della colazione Oscar espresse chiaramente il desiderio di provare a cavalcare.

- Se riesco, partiremo domattina per essere a Parigi sabato. Ho una caserma di cui riprendere il controllo, e vorrei essere attiva al più presto. Andrè, mi accompagneresti per un giro nelle campagne qui intorno? Un'oretta, solo per vedere come reagisce il braccio alla postura ed alle redini.

- Volentieri.

 

La passeggiata a cavallo fu un momento di riposo per la mente, un istante in cui parlare e sorridere senza far attenzione a quanto accadeva intorno. Quei giorni a casa della sorella avevano reso chiaro ad entrambi cosa li avrebbe attesi, e, pur senza dirselo, ognuno di loro desiderava comunicare le loro scelte al generale al più presto, quali che fossero le conseguenze, per non continuare a lungo in quella assurda finzione.

Il viottolo che avevano preso si inoltrava sinuoso nelle campagne, per poi arrivare a costeggiare la Nièvre, più piccola e tranquilla della Loira che incrociava più avanti. Si sedettero nei pressi di un salice che si specchiava nelle acque limpide.

- Mi sei piaciuto ieri sera, quando hai tenuto testa a mio cognato. Negli ultimi anni hai preso coscienza del tuo valore, e sono felice che tu ti senta autorizzato a ribattere agli aristocratici.

Poggiò una mano sulla sua. Era fiera del suo uomo.

- Quindi il passaggio da tua sorella non ti ha fatto cambiare idea? Sempre sicura di voler avere una vita con me?

- Ma che domande fai? Non basta certo un giro in un palazzo ducale a farmi mutare avviso. Anzi, semmai ho compreso l'urgenza di chiarire la situazione una volta per tutte.

Si sentì afferrare le mani. E percepì qualcosa sfiorarle la pelle dell'anulare sinistro.

Chinò la testa, e vide una piccola fascia d'argento, piatta e non troppo larga, recante il bassorilievo di una triskèle3.

Semplice, né maschile né femminile. Rimase a guardarla, con un sorriso incantato. Una promessa divenuta solida. Alzò gli occhi verso di lui e lo raggiunse con un bacio lieve, quasi da sposa.

Gli prese le mani e sentì qualcosa nel pugno chiuso. Un anello gemello, che tratteneva ancora sul palmo.

- Lo porterò appeso al collo, con una catenina...

- Non ci pensare nemmeno! Tu te lo metti al dito!

Lo prese e glielo infilò, seria e decisa come sapeva essere, prima di afflosciarsi morbida nella sicurezza del suo abbraccio.

- Magari non lo tengo a casa di Louise, che ne dici? Aspettiamo.

Dovette ammettere che aveva ragione e si rassegnò sospirando. E a ben guardare, dovette riconoscere che sarebbe stato meglio spostare il proprio al dito medio, era troppo largo per quelle dita affusolate.

 

Il Duca lasciò vagare lo sguardo dalla vetrata del proprio studio, mentre l'altro parlava. Annuiva di tanto in tanto, senza lasciar trapelare emozioni.

Terminato che fu il discorso, sfregò le mani sul ricco tessuto che gli fasciava le cosce.

- Mi sembra la soluzione migliore. Procediamo come avete detto. Una eliminazione rapida. E mi pare il posto più adatto. Tuttavia...se si potesse trovare una maniera alternativa, vorrei liberarmi anche del Comandante delle Guardie. Pensateci.

E lo congedò.

 

Oscar era ancora indecisa riguardo all'ora in cui stabilire la partenza del giorno successivo. Non aveva nessun desiderio di una levataccia all'alba, considerandosi tutto sommato in convalescenza.

Sarebbe sicuramente partita in tarda mattinata, se un evento non le avesse fatto mutare opinione. Avere come commensale per il pranzo il cereo, severo, accigliatissimo gesuita che fungeva da padre spirituale per la sorella.

Fu così che optò per una poco onorevole, ma salvifica, fuga.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

 

L'idea di questa parte viene da "Uno strano luogo per morire" di D. B. Miller. La parte biblica è in Genesi, 18, 20-33.

2  Dal commento alla "bibbia mini - Testo Ufficiale CEI":Per la prima volta nella Bibbia, la giustizia divina è messa in discussione"

3  Triskéle, triscele, triskell. Simbolo bretone (celtico, esoterico, etc...), tre spirali che possono o meno essere racchiuse in un cerchio. Le tre spirali simboleggiano passato, presente e futuro.

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Capitolo 22
*** Nomi e cognomi ***


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22. Nomi e cognomi

 

Il mattino seguente i cinque soldati, nelle loro divise rimesse a nuovo della solerti mani delle sarte di palazzo, dopo aver fatto tappa molto presto presso l'Intendance per prendere Gustave Satie, si misero in marcia speditamente.

Non era stato trattato male, in quei giorni, ma fu felice di rivedere il sole di quel giugno stranamente caldo e di cavalcare all'aria aperta.

La permanenza solitaria in cella lo aveva reso ciarliero.

- Allora, ragazzi, si stava bene a Palazzo?

- Dal punto di vista materiale si stava benissimo: letti comodi, stanze enormi, un sacco di cibo, buono per giunta, però...ecco, io mi sentivo a disagio, era tutto così, come dire, formale. Un poco freddo, non so se mi spiego. - Rispose François.

- Infatti, dopo aver visto l'interno di uno di quei palazzi, mi chiedo, Comandante, se siete davvero sicura che mia sorella sarebbe adatta a lavorare da Voi, come avete detto. Non sa come trattare i cristalli, l'argento...

- Non ti preoccupare. Io cerco una persona affidabile, a fare le cose si impara. - Gli rispose Oscar, tranquilla - E poi, non troverai nessuno rigido come mia sorella, non sempre almeno. Solo quando lei o Geneviève vengono in visita. Persino il Generale è più aperto di loro due.

- Io non conosco questo terribile padre che ci descrivete di tanto in tanto, ma mi sarei davvero goduto la scena se André avesse rifilato a lui quella tirata sulla Bibbia per poter argomentare che il popolo ha il diritto di giudicare il Re! - Riprese Alain, facendo sorridere Oscar ed attirando l'attenzione di Satie, che non seppe trattenersi dal chiedere cosa fosse accaduto.

Andrè pareva restio a spiegarlo, così intervenne Gérard, che doveva aver ascoltato davvero attentamente poiché, sebbene con minor proprietà di linguaggio, ma molta enfasi, riassunse la tesi dell'amico. Il giornalista fu davvero colpito dall'idea di fondo.

Satie ne fu decisamente colpito, e ammirò l'idea di fondo che però, stranamente, gli ricordava qualcosa che aveva letto tempo addietro, sebbene non si ricordasse chi ne fosse l'autore. Pensò inoltre che la scorta con la quale era costretto a viaggiare fosse un gruppo tutto sommato piacevole di persone; avrebbe potuto imbattersi in un gruppo ben peggiore, come trattamento e come cultura.

Peccato lo stessero accompagnando in carcere...

 

Caro Padre,

Vi scrivo per dirvi quanto io sia sinceramente preoccupata per mia sorella.

A parte le ferite del corpo, che guariranno, mi chiedo se frequentare simili ambienti plebei non sia di nocumento al suo spirito. Vederla circondata da idee sediziose, che mi pare si stiano insinuando sin dentro il Vostro palazzo, mi lascia davvero dubbiosa riguardo alla sua vita.

Davvero ritengo, come Vi ho già umilmente espresso altre volte, che la vita che conduce non sia una buona cosa. So che non volete sentirlo ripetere, ma un marito sarebbe per lei una benedizione divina.

La lettera proseguiva con toni melodrammatici sullo stesso tema, e si concludeva con un freddo saluto, e la firma elegante e chiusa con uno svolazzo sulla lettera finale: Louise Hélène De Norpois, Duchessa di Nevers.

Louise Hélène sigillò la lettera, ma questa volta non le parve una priorità. Si limitò ad inserirla nel mucchietto della corrispondenza che il marito avrebbe spedito nel pomeriggio.

Aver scritto la faceva sentire a posto con la propria coscienza, e tanto le bastava, per il momento. Decise di essersi meritata una passeggiata in calesse, dopo quello giornate così pesanti trascorse con una compagnia tanto invisa.

 

Il Generale Jarjayes, convocato presso gli alti comandi, aveva avuto una mattinata faticosa, conclusasi con la scoperta poco gradita che la sua missione era stata anticipata al lunedì. La cosa gli seccava, perché pensava che, con il ritardo dovuto alla ferita, sarebbe partito senza poter vedere Oscar e raccontarle cosa era venuto a sapere su quell'incarico che tanto le stava costando.

Mentre si stava apprestando a rientrare a casa, incrociò casualmente il Conte di Fersen che, dopo essersi sincerato con reale sollecitudine delle condizioni di Oscar, gli disse di aver incrociato un uomo che lo cercava.

- Mi sono permesso di farlo attendere nell'anticamera principale. Pare avesse fretta di incontrarvi.

E se ne andò con un rapido saluto militare, lasciando il generale perplesso e preoccupato, mentre si incamminava.

Aprendo la porta, l'anziano ufficiale vide un uomo vestito poveramente, comprendendo immediatamente che si trattava di un emissario. Non ebbe bisogno di osservare oltre. L'uomo lo aveva evidentemente riconosciuto, qualcuno gli aveva dato indicazioni precise. Il Generale comprese immediatamente: il suo informatore aveva qualche novità da comunicargli con urgenza. Ricevette una lettera, accuratamente ripiegata.

Dopo aver dato una moneta d'argento all'uomo, che se ne andò soddisfatto del guadagno, cercò una sedia un poco in disparte e, confuso tra la piccola folla di militari e civili in attesa per i più disparati motivi, la aprì.

Poche righe:

Il Duca ha deciso. Tenteranno di eliminare Satie alle porte della città.

Non dovessero riuscire, sarà avvelenato in cella.

Il Generale richiuse la missiva e si passò una mano sul mento.

Ferita com'era, Oscar sarebbe rimasta ancora un poco dalla sorella, sicuramente. Sarebbe bastato avvisarla, e chiederle di informarlo in maniera dettagliata dei suoi piani per il viaggio di ritorno, in modo da organizzare una sorveglianza alle porte di Parigi, per sventare l'attentato.

La famiglia Jarjayes avrebbe concluso un altro incarico reale con onore.

Si attivò immediatamente per organizzare la cosa.

 

Nel frattempo, Oscar ed il gruppetto di soldati stava terminando il pranzo tardivo che era stato consumato nei pressi di Giens, all'ombra di un gruppo di noccioli.

Le vettovaglie lasciate da Louise Hélène erano state abbondanti, cosicché avevano potuto sfamarsi a sufficienza.

Ciononostante, una leggera inquietudine aveva colto Oscar. Era consapevole di essere alla fine del cammino, sicura che chi era interessato all'eliminazione di Gustave Satie avrebbe ancora tentato di colpirli. Espresse ad alta voce il suo pensiero, voleva che i soldati fossero pronti ad ogni evenienza.

Fu Andrè a dare risposta ai suoi dubbi.

- Non credo che sarà un grosso problema. I due mandanti, che secondo me sono due persone che ben conosci, hanno un modo di agire ripetitivo e facilmente prevedibile. Ci attenderanno alle porte di Parigi. Sanno da dove arriviamo, avranno disposto degli attacchi presso le porte meridionali. Se all'altezza di Villejuif cominciassimo a dirigersi verso nord-ovest per entrare in città dalla parte del Fauburg du Temple, od ancor meglio dal Fauburg Saint- Martin, per raggiungere la Conciergerie da Rue Saint-Martin penso non avremmo nessun problema.

Oscar lo guardò ammirata, una soluzione rapida per un problema che a lei era parso grave ed insormontabile. Fu rapida a concordare con lui:

- Hai ragione, un paio d'ore a cavallo in più ci risolveranno molti problemi.

Ma fu Satie a cogliere il senso della prima parte del discorso.

- Quindi tu credi di sapere chi siano i mandanti dietro al mio inseguimento, quindi i potenziali organizzatori del complotto.

- Ho una mia teoria, sì.

- E sarebbe?

- Gran parte dei problemi che abbiamo avuto sono stati nel Delfinato, cosa che non è sfuggita a nessuno. Un caso? Forse. Se non fosse che il Governatore del Delfinato, oltre ad avere una serie di conti in sospeso con lei - disse indicando Oscar che sedeva sull'erba alla sua destra- ha un interesse diretto nella successione, e si sospetta abbia già provato altre volte ad ascendere al regno in qualche modo.

- E chi sarebbe? - Chiese Gérard, incuriosito.

- Louis Philippe D'Orléans, naturalmente.

Alain fece un lieve fischio, tra l'ammirato e lo stupito.

- Nientemeno!

Satie non reagì. Andrè proseguì l'esposizione della sua teoria.

- Nel suo Palais Royal si riuniscono spesso intellettuali e giornalisti, come te, Gustave. E come qualcuno che conosco io e che ogni tanto mi capita di aver modo di salutare. Penso che ti abbia contattato così, non è vero? Ti ha convinto ad agire per lui?

Il giornalista chiuse gli occhi con stizza. Non credeva fosse tanto facile collegare gli eventi.

- E questo qualcuno una sera mi raccontò davanti ad un Borgogna che negli ultimi tempi vi era un nuovo frequentatore abituale, alle riunioni di Palais Royal, un uomo robusto, col viso butterato dal vaiolo, che mi hanno descritto come "un uomo dalla bruttezza grandiosa e folgorante". Facile pensare a Honoré Gabriel Riqueti.

- Il conte di Mirabeau! - Disse Oscar alzando la voce, con gli occhi spalancati per la sorpresa.

- Ecco chi è il conte! - Soggiunse François.

Satie continuava a tacere.

Lo stavano potando a Parigi per testimoniare ed un soldato intelligente e ben informato aveva compreso quasi tutto con poche informazioni. Quasi tutto. Non tutto. Un tassello gli mancava.

Fece il gesto di sollevare un invisibile cappello, in segno d'ammirazione.

- Per le informazioni che avevi, hai dedotto bene.

Oscar gli pose la mano sinistra sulla sua, sorridendogli. In quel gesto, i due anelli risaltarono per un attimo.

 

Ripartirono rapidi e, finalmente, più consapevoli. Dare un volto al nemico era stato importante. Entro la serata avrebbero voluto essere a Nemours.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

 

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Capitolo 23
*** Una donna che lavora ***


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23. Una donna che lavora.

 

Arrivarono a Nemours poco dopo i vespri.

Superarono la cittadina, pensando di accamparsi poco più avanti, quando le nuvole che solcavano il cielo si chiusero in quella maniera repentina così tipica del mese di giugno, trasformando la pioggia in una grandinata che li costrinse a chiedere rifugio presso una fattoria che concesse loro l'uso del fienile.

Cenarono e dopo aver chiacchierato si disposero a dormire nell'erba appena tagliata, odorosa di campi e di fresco.

Tutti sapevano che il giorno dopo avrebbe potuto essere pericoloso. E, in ogni caso, il preludio del rientro a casa ed alla vita normale. Con quello che avrebbe comportato. Anche per Gustave, il rientro alla quotidianità di un carcere.

 

Albeggiava, una luce livida entrava dalla piccola apertura che serviva per arieggiare il fieno. Il primo a destarsi fu Alain, che distolse lo sguardo nel vedere in un canto Oscar dormire su un fianco, mentre Andrè poggiava il petto alla schiena di lei, e una mano scendeva sugli steli verdi oltre i fianchi. Nulla di scandaloso, ma osservare quella intimità così domestica gli diede l'impressione di stare guardando qualcosa di proibito, più che se li avesse visti amoreggiare.

Il soldato pensò che a lui non era mai successo, di passare una notte intera accanto ad una donna solo per tenerezza, né aveva mai provato quel desiderio. Forse Gérard, pronto a divenire padre, sapeva cosa volesse dire, o forse il timido François. Ma non lui. E gli spiacque, parendogli di aver perso un pezzo di esperienza. Diversa, certo, dalla passione che condivideva con le "sue" donne. Ma forse ugualmente invidiabile.

Si riscosse. Ma cosa andava a pensare! Non era certo da lui desiderare una fidanzata fissa! Si sarebbe perso tutto il divertimento!.

Per sfogare l'irritazione cominciò a risvegliare il resto della piccola truppa rumoreggiando volutamente ed attirandosi il risentimento degli altri.

 

Quel mattino tutti si prepararono con cura. Non solo il ritorno a Parigi, il fatto di doversi presentare alla Conciergerie per la consegna di Satie, ma l'idea stessa del rientro a casa li spingeva a sistemare le uniformi, a radersi, a preparare financo i pensieri.

Oscar era rimasta con Satie seduta su un ciocco all'ombra del fienile con i gomiti sulle ginocchia e le mani rilassate, godendosi gli ultimi attimi di pace e sorvegliandolo in attesa degli altri.

Fu il giornalista ad interrompere il silenzio:

- Interessanti, ieri, le argomentazioni del vostro amico.

Lei si volse un poco verso l'uomo. Non disse nulla, ma lo sguardo lo invitava a continuare.

- Ma, come ho detto, mi pareva di averle già lette da qualche parte. Non in un articolo di giornale, non in un saggio. Mi pare fossero parte di un qualche romanzo che circola a Parigi da alcuni mesi, se non erro.

Oscar mosse leggermente una mano verso l'alto, in un tacito ebbene?

Gustave continuò:

- Una tesi ardita, un poco particolare, non si dimentica facilmente. Quindi, o il vostro amico ha brillantemente sostenuto una tesi altrui, oppure...

Oscar lo guardò, alzò le braccia al cielo stiracchiandosi come un gatto, gli sorrise e rispose:

- Oppure.

 

I soldati stavano terminando di radersi. Gérard non riusciva più a trattenere la gioia per il rientro a casa, chiedendosi quanto fosse cresciuto nel frattempo il ventre della sua Anne, ansioso di vederla e di portare la paga doppia di quelle cinque settimane. Un vero lusso.

Anche François era felice. Poter tornare a casa ed avvisare di aver trovato lavoro per la sorella Marie, oltre alla paga. Un lusso, per loro. E non solo, il Comandante aveva detto che forse avrebbe potuto trovare un impiego da cameriera ad una seconda ragazzina della famiglia Armand. Il soldato ci aveva fatto qualche conto con due bocche in meno da sfamare e due salari nuovi in arrivo avrebbe potuto lasciare la casa per vivere con la sua amata Amélie. Il soldato aveva davvero ottimi motivi per rientrare a casa con gioia.

Alain era contento di rivedere infine madre e sorella, ma non provava la stessa gioia sfrenata. Anzi, quella specie di avventura lo aveva divertito molto e gli spiaceva tornare entro i confini della caserma.

Si chiese cosa pensasse Andrè, che terminava con attenzione quel momento mattutino così complicato per lui avendo a disposizione solo lo specchio piccolo. Pacato come al solito, ma Alain aveva imparato che sapeva trattenersi molto bene. Possibile non fosse neanche un poco ansioso di dover incontrare...il futuro suocero? Di dover parlare a quella specie di cerbero che gli era stato dipinto?

- Allora, Andrè, pare che ci siamo. Oggi o domani è il gran giorno, no?

L'altro terminò il passaggio col rasoio prima di rispondere, laconicamente:

- Così pare.

- Oh, dai. Tutto qui quello che sai dire?

- E cosa dovrei risponderti? Posso farti un resoconto completo a discorso avvenuto, sempre che io sia ancora un uomo libero, dopo...o un uomo vivo.

- L'ottimismo non ti manca, vedo.

- Oscar è molto fiduciosa. Per certi versi anche io. Per altri, cosa vuoi che ti dica? Non lo so, sul serio, non lo so nemmeno io.

- Immagino che ti chiederà delle cose pratiche. Mantenervi, e cose simili.

- Quello mi preoccupa poco. So cosa rispondere. Sono le argomentazioni sul censo e l'onore della famiglia, e l'aristocrazia che saranno dure da smontare.

- Certo, ma...sul serio pensi che il tuo soldo basti a mantenervi? O contate sul denaro di lei?

- Non sono né così stupido, né così privo di onore. Ho dei risparmi, la paga di attendente era migliore, e per anni se svolgevo delle mansioni aggiuntive a palazzo venivo pagato anche per quelle. E poi ho un guadagno che viene...da un'altra cosa. Ovvio che Oscar sia pagata infinitamente di più. Ma se il padre dovesse cacciarla e diseredarla, o se decidesse lei di andarsene, non sarebbe un problema. Una vita dignitosa possiamo garantircela , in due.

Alain si scompigliò i capelli, perplesso. Un guadagno che viene...da un'altra cosa. Chissà di che stava parlando. Ma non poté indagare oltre, furono interrotti da Oscar che li incitava a sbrigarsi, per poter infine partire.

 

Lasciarono quindi il fienile, diretti a Parigi.

Per un curioso gioco del destino, nello stesso momento il conte di Fersen stava lasciando la propria dimora diretto a Nevers. L'amicizia per Oscar, il senso di colpa dovuto al fatto di non essersi offerto per quella missione, la sua assoluta fedeltà verso la sua Regina lo avevano spinto ad accettare immediatamente la richiesta del Generale Jarjayes. Questi, la sera precedente, lo aveva informato di quanto sapeva a proposito dell'incarico affidato alla figlia, dei timori per la sua conclusione, dei pericoli nascosti.

Convinto che Oscar fosse ancora in casa della sorella, e bloccato agli alti comandi per l'organizzazione della partenza del suo reggimento che sarebbe avvenuta di lì a due giorni, e dubbioso riguardo l'affidabilità di molti nobili, si era risolto a chiedere aiuto allo svedese, certo che fosse al di fuori del complotto. Su molti altri non avrebbe potuto avere certezze.

E Fersen aveva accettato. In sella al suo cavallo sauro, si stava dirigendo a sud, rapido, ma senza una fretta eccessiva. Era felice di essere lui ad avvisarla. Immaginava anche Oscar che l'avrebbe rimandato indietro con un piano di protezione delle porte della città, che spettava alla Guardia Metropolitana in effetti, ma cui avrebbe volentieri contribuito con i sui uomini del Royal Suédois.

 

Il piccolo drappello cavalcò senza interruzioni, tranne una breve sosta per il pranzo, fino a Villejuif, dove, lasciandosi alla sinistra il piccolo borgo su cui svettava il campanile bianco e senza pretese della chiesa di Saint-Cyr et Sainte-Julitte, cominciarono l'aggiramento della capitale.

Lasciarono alla loro destra Charenton e Belleville, poi costeggiarono la Barrière sino al Fauburg Saint Martin, per imboccare l'omonima via. Gli ingressi alla città erano controllati dagli addetti alle dogane, quindi, avendo affrontato indenni il percorso attorno alle mura (ove si sarebbero attesi un agguato) e dopo aver superato i controlli si sentirono al sicuro, protetti dalla cinta della città come dalle gonne di una balia.

Non notarono un uomo che, seduto a terra accanto al portone del convento dei Récollets1, s'alzò all'improvviso al loro apparire all'inizio della via.

Aveva ragione il Duca! Aveva ragione, maledizione, a dire che quella donna non avrebbe aspettato di essere guarita. Benissimo. Avrò la mia occasione per farmi notare! Mica vado dal capo, quel gran figlio di...me la voglio prendere io la gloria per questa azione! Lo ammazzo io quel traditore schifoso!

Proprio come quella volta, quando ho derubato quel nobilastro, con tutta la sua scorta di tre uomini. Correre in mezzo, attaccarmi alla cintura, tirarlo a terra, poi agire. E come quella volta la scorta non fece nulla, così stavolta i soldati del popolo mi lasceranno fare.

E, come quella volta, mi frutterà un bel gruzzolo!

E così dicendo si diresse verso di loro, che avanzavano a gruppi di due cavalieri, senza curarsi della superiorità numerica, confidando nella scarsa fedeltà dei popolani e nella debolezza della donna al comando. Tagliò in diagonale il piccolo spiazzo davanti all'edificio religioso. Passava inosservato, nella piccola folla indaffarata del primo pomeriggio. Si avvicinò con passo apparentemente normale. Evitò una donna con un bimbo piccolo tra le braccia, rallentò per lasciar passare un carretto, e si trovò a costeggiare il cavallo di Gérard, che avanzava in senso contrario al suo, affiancato a quello su cui si trovava Satie. Oscar ed Andrè, che lo precedevano, erano già passati oltre. Alain chiudeva il gruppo con François.

L'uomo tentò di passare tra le ultime due coppie di cavalli, costringendo Armand a tirare le redini per non investirlo.

- Ma che fai? Vuoi farti ammazzare?

Approfittando dello scompiglio, si avvicinò a Satie, tirò fuori un coltello con la mano destra, mentre con la sinistra afferrava la cintura di Gustave per trascinarlo a terra. Il prigioniero oppose resistenza, malgrado le mani legate, e tentò di colpirlo con lo stivale.Gérard liberò il piede dalla staffa, per calciare l'aggressore, mentre Oscar volto rapidamente il suo César.

Satie resisteva, avendo compreso le intenzioni dell'uomo, mentre Alain e Andrè, i più rapidi a scendere di sella, gli si avvicinarono dai due lati.

L'assalitore si guardò intorno. Aveva fatto una stupidaggine, tentando di agire da solo, se ne rendeva conto solo in quel momento; ed era circondato dai soldati che non avrebbero esitato a consegnarlo. Altro che figli del popolo fedeli al popolo! Forse avrebbe potuto liberarsi, e portando l'informazione al capo, guadagnarci qualcosa.

Tentò una mossa disperata, infilandosi sotto la pancia del cavallo di Gérard . Il risultato fu prevedibile. La bestia scartò innervosita per la situazione, per l'uomo che gli sfiorava una delle zampe, e si agitò colpendolo con un calcio all'addome.

Oscar scattò a trarlo fuori da quella posizione pericolosa, mentre il poveraccio si portava una mano all'altezza della milza.

- Chi ti manda?

Ma l'uomo aveva già perso conoscenza.

In quella giunsero due soldati della Guardia, attirati dal vociare e dalla confusione.

- Comandante! Siete tornati! - Disse il bretone Loïc, una delle ultime reclute arrivate, affidabile e ciarliero. Con lui, di ronda, il massiccio Etienne, taciturno quanto l'altro era logorroico.

Oscar si riscosse:

- Siamo in città, ma dobbiamo ancora portare quest'uomo la carcere della Conciergerie, e poi voglio che i tuoi compagni abbiano la paga stasera, prima di rientrare a casa. Non riprenderemo servizio domani, visto che tanto sarà domenica e si sono meritati un poco di riposo. Voi accompagnate questo ferito all'infermeria della caserma, spiegando a D'Agoût che ci ha aggrediti e vorrò interrogarlo. A lunedì dunque.

I due soldati, dopo il saluto militare, scattarono ad eseguire gli ordini.

 

Nel frattempo, Andrè si era preoccupato di verificare che Satie fosse illeso, e di risistemarlo sulla sella. Mentre gli sistemava i finimenti, Gustave si chinò verso di lui:

- Non so se ieri non ne hai fatto menzione apposta, o se non vi hai pensato. Ma ti sei chiesto perché voi? Perché una donna, giudicata più debole, e dei figli del popolo, giudicati meno affidabili nei confronti della corona, per questa missione?

Andrè sollevò lo sguardo, fissandolo con gli occhi spalancati.

- Io credo che qualcuno lo abbia suggerito a quel pallone gonfiato che vi ha mandati qui. Qualcuno di abbastanza credibile da dar consigli ad un Generale. Bouillet è un borioso di prima categoria, ma di solito non commette errori di valutazione. Secondo me è stato spinto a scegliere lei. Stacci attento, alla tua soldatina. Oltre al Duca ed a Mirabeau c'era qualcun altro, qualcuno che le mani non se le sporca. Qualcuno di cui nemmeno io so il nome. Qualcuno di potente e insospettabile.

Vide arrivare Oscar e tacque.

 

Si risistemarono in sella, diretti verso la Conciergerie, posta nello stesso edificio del Palais de Justice, continuando a percorrere la stessa via sino all'incrocio col Boulevard du Nord, dove le strade si facevano più strette, e fino al Pont Notre Dame, dove passarono la Senna e voltarono a destra per raggiungere il bianco edificio con i sui tetti in ardesia scura.

 

Lasciarono tutto sommato malvolentieri Gustave alla cura delle guardie, sebbene immaginassero che con un padre così potente avrebbe avuto una cella comoda, ed un buon trattamento al processo. Si avviarono verso la Reggia, ultima tappa del loro viaggio, per recarsi gli acquartieramenti della Guardia Metropolitana che vi si trovavano per il disbrigo delle ultime formalità burocratiche ed un rapido ritiro delle paghe che Oscar voleva arrivassero rapidamente alle famiglie, oltre a voler controllare di persona che fossero effettivamente di entità doppia.

 

Verso l'ora di cena, con il sole ancora alto in quella giornata di giugno, i cinque soldati stavano per accomiatarsi. Le paghe in tasca, i complimenti del Generale Bouillet, l'idea di rivedere casa, tutto contribuiva a renderli ciarlieri.

Tre di loro si sarebbero diretti in città e, lasciati i cavalli, avrebbero considerato conclusa la loro avventura fuori Parigi. Oscar ed Andrè avrebbero percorso il breve tratto che li separava da Palazzo Jarjayes.

Alain fu quello che prese in mano la situazione.

- Comandante, martedì siete nostra ospite. Noi tre vi invitiamo a cena.

Oscar sorrise, e provò a rifiutare.

- Non è il caso, sul serio. Conservate il vostro denaro per altro.

- Non se ne parla nemmeno, ci teniamo!

E dissero e fecero sino a convincerla.

- Tu, invece, Andrè, se vuoi puoi venire, ma la cena te la paghi da solo. Con la fame che ti ritrovi ci ridurresti sul lastrico.

- Ah, ben gentili! Rispose, fingendo di offendersi.

Oscar sorrideva, senza accorgersi che qualcuno, poco lontano, la osservava.

Il Maggiore Girodelle, giunto da un'ala laterale, si era fermato incuriosito a guardare quella che era stata per anni il proprio comandante. E che, in tanti anni, non aveva mai visto tanto felice. La trovava diversa. La guardò, sempre dritta come un fuso, ma non più rigida come un soldatino di legno; gli sembrava più una ballerina. Si sorprese da solo per quel paragone, ma era davvero quella di una danzatrice l'immagine che gli era balzata alla mente.

Differente. E non solo per le gote abbronzate dal sole: la trovava più rilassata, più fluida nelle movenze eleganti. Persino seduttiva, un termine che mai gli sarebbe passato per la mente di associare al freddo comandante negli anni passati. Gli parve persino di veder luccicare un anello, proprio lei che, a differenza di uomini e donne di Corte, mai aveva ornato d'oro le proprie mani.

Si avvicinò tranquillamente al gruppo, per salutare e comprendere. Oscar lo salutò gentilmente, ma con un sorriso un poco furfante che non le aveva mai visto. Dopo un paio di convenevoli, gli chiese come fosse andata la sua vacanza.

- Se non ricordo male, eravate appena partito, quando mi hanno convocata qui per affidarmi questa missione. Vi siete divertito?

Girodelle si sentì colto in fallo. Che lei sapesse che aveva chiesto una licenza in quel periodo proprio per evitare di essere coinvolto?

- Direi di si, anche se temo non si possa dire altrettanto di voi, con la missione che vi hanno affidato.

- Vi parrà strano, ma, a parte quei cinque o sei attentati, è stato quanto di più simile ad una vacanza mi sia mai capitato di affrontare ne panni di Comandante. Le montagne, il cibo rustico, le notti in tenda...devo dire che è stato tutto sommato un intermezzo piacevole.

Il Conte, che era impallidito al sentire nominare gli agguati, pensò che scherzasse. Invece la trovò serena e sincera, con una levità che gli era sconosciuta.

Uno sfregare di scarponi sull'acciottolato riportò Oscar ai suoi uomini.

- Avete ragione, ragazzi, meglio andare. Vi aspetto lunedì, e tu, François, provvedi che tua sorella sia alla caserma lunedì al termine del turno e la scorterò a Palazzo per presentarla alla governante.

Vedendo che i soldati, persi in quel dedalo di cortili e porticati stavano prendendo una direzione sbagliata, Andrè la raggiunse per indicare loro la via.

Girodelle, rimasto solo con Oscar, le si rivolse affabile.

- Sapete che vi trovo molto bene? Sembrate più felice tra quei popolani che qui a Corte.

- Ed é vero, sapete?

- Siete seria?

- Serissima. Non nego che vi siano stati inizialmente dei momenti duri. Molto duri. Ma, una volta dimostrato che sono un Comandante di valore, è stato molto più semplice vivere nella nuova caserma.

Fece una pausa.

- Vedete, qui tutti mi conoscevano come un prodotto della volontà di mio padre, un gioco, uno scherzo della natura. Sempre pronti ad osservare e criticare. Né uomo , né donna. Soldato per capriccio altrui, non valevo nulla se non come curiosità, come uno degli automi di Vaucanson2. Invece quei ragazzi sono abituati ad avere intorno donne che lavorano, le loro madri, le sorelle, le fidanzate sono lavandaie, cameriere, sartine. Io per loro sono semplicemente una donna che lavora. Con un mestiere anomalo, ma al quale hanno finito per abituarsi. Mi trattano da donna e da Comandante nello stesso tempo. Vi assicuro che è molto più gratificante del mio antico ruolo.

Il Maggiore fu colpito da quell'esternazione, ed ancor più per il fatto che si fosse rivolto a lui con quei toni solo dopo la partenza dalle Guardie Reali. Quanto poco la conosceva!

 

Vide giungere Andrè, che aveva accompagnato i soldati e stava rientrando nella piccola corte per riaccompagnare infine Oscar a Palazzo Jarjayes.

Avevano appena preso commiato da Girodelle, quando videro passare una divisa rossa. Oscar si voltò verso l'uomo:

- Padre!

Anziché sorridere, il Generale li guardò corrucciato. Andrè si affrettò a portare la mani dietro la schiena.

- Oscar! Cosa ci fai qui? Louise Hélène mi ha scritto che eri stata ferita!

- Avrà esagerato come al solito. Solo un graffio, ed era ora, per me, di far ritorno alla Caserma. Così siamo partiti ieri.

- Maledizione! Ieri ho contattato il Conte di Fersen, per venirti a recare un messaggio a Nevers. Un mio informatore mi aveva detto che vi avrebbero attaccati all'arrivo in città.

- Difatti Ma Andrè lo riteneva altamente probabile, cosicché siamo entrati a Parigi a nord. Alla porta di Rue Saint Martin c'era solo una vedetta, che ci ha comunque assaliti, ma il suo attacco non è andato a buon fine, ed ora il prigioniero si trova alla Conciergerie.

- Secondo il mio informatore potrebbero tentare di ucciderlo appena messo piede in cella.

Oscar sbiancò, si voltò di colpo ed iniziò a correre verso le scuderie, seguita da Andrè e dal padre.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Convento in Rue Saint Martin, di una confraternita francescana riformata, i "frères mineurs de l'étroite observance de Saint François".

2  Vaucanson fu l'inventore del primo telaio automatico, ma all'epoca fu famoso per alcuni automi, anatomies mouvantes, tra i quali un piccolo flautista completamente automatizzato dotato di labbra mobili, e l'anatra digeritrice.



 

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Capitolo 24
*** Per Favore ***


Da questo capitolo, ho l'onore di avere una copertina disegnata appositamente da Sabrina Sala, che ringrazio infinitamente.

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24. Per favore.

 

Il sole era basso all'orizzonte. La luce rosata colpiva il muro di pietra bianca con una dolcezza fuori luogo, per un carcere. Lasciati i cavalli al piantone dell'ingresso, il Generale, Andrè ed Oscar chiesero di essere condotti con urgenza alla cella di Gustave Satie. Rimasero all'ingresso, invece, i tre soldati che avevano sorpassato lungo la strada per Parigi, e che si erano aggregati nella corsa sfrenata verso la Conciergerie, avendo compreso che qualcosa di grave era in atto.

Giunti davanti al prigioniero, lo videro con il corpo teso dagli spasmi, sussultando ad ogni risuonare di passi sull'impiantito, irrigidendosi ad ogni gracchiare di corvi.

Con uno sforzo immane, volse il capo verso di loro.

- Hanno...vinto...mi hanno..e...eli...mi..nato.... Gran...de....Orien.....te...

Oscar sentì gli occhi riempirsi di lacrime rabbiose, per il rimpianto di essere stata lei a condurlo a quella morte impietosa.

- Per....favore...non lascia...temi...mo..ri...re così....per ....favore......finite...mi.

Il Comandante non riusciva a vederlo in viso, oltre le lacrime che, nonostante tutto, le colmavano gli occhi. Andrè stava lottando con se stesso, tra il dolore di vedere un uomo in quello stato e l'incapacità di finirlo, nel vano desiderio che ci fosse un rimedio per quell'avvelenamento da noce vomica1.

- Aprite! - la voce del Generale risuonò secca, infliggendo un altro spasmo a quel povero corpo. Altri ne vennero, al cigolare della serratura, ai tacchi che si muovevano sulla fredda pietra, allo stridio della spada sul fodero.

E poi la pace, portata dalla pietosa arma di un vecchio ufficiale che non lo conosceva.

 

Reynier de Jarjayes rinfoderò la spada e comandò a gran voce di poter parlare con Monsieur Hubert, Concierge du Palais, quindi responsabile dei prigionieri all'interno del carcere.

Chiese ragione di quanto avvenuto, dall'alto del proprio grado, ma non ottenne altro che risposte laconiche e la ripetuta assicurazione:

- Verrà aperta un'inchiesta interna.

Non era entrato nessuno dall'esterno, quindi l'unica deduzione possibile era che fosse stato avvelenato da un secondino corrotto, esattamente come a Lione. E, proprio come nell'altra prigione, ci si scontrava contro l'ottusa burocrazia (volutamente ottusa?) dell'inchiesta interna, il coprire con le procedure le mancanze della struttura.

Oscar era furibonda, uscì a grandi passi dal corridoio e si diresse verso la scalinata che conduceva al cortile.

Il Generale salutò freddamente Monsieur Hubert e si avviò con passo calmo, quasi stanco. Andrè approfittò del momento per dirgli quanto altro sapeva. Gli pose leggermente la mano su un gomito.

- Signore.

Il militare lo guardò, fermandosi un attimo su un pianerottolo.

- Satie aveva confermato la mia ipotesi riguardo al Duca D'Orléans ed al Conte Mirabeau come mandanti.

- Il che coincide con le mie informazioni.

- Ma mi ha anche detto che vi è qualcun altro, che potrebbe aver spinto affinché al recupero provvedesse una donna, ritenuta più debole, con un gruppo di popolani, ritenuti meno affidabili.

Il Generale rimase attonito.

- Bouillet?

- Non credo, e nemmeno lo credeva il prigioniero. Qualcuno che glielo avrebbe suggerito.

Il padre di Oscar riprese a scendere le scale, ancora più lentamente, con gli occhi ridotti a due fessure e la fronte aggrottata. Andrè lo seguiva concentrato.

Louis Philippe era Grand Maître del Grande Oriente di Francia2 . Chi altri era nella massoneria, di abbastanza potente? Chi avrebbe potuto dare imbeccate a Bouillet? Dai discorsi colti da Bernard, da quanto aveva immaginato, uno ed uno soltanto. Decise di comunicare i suoi sospetti al Generale.

- Se la voce che vuole Philippe d'Orléans non rivale del Duca di Luxembourg3 come pubblicamente fanno apparire, ma segretamente alleati, fosse vera...

Il Generale si bloccò, interdetto. Lo aveva visto nel pomeriggio...possibile? E si erano parlati come colleghi...possibile?

Conosceva anche lui quella voce, ma non gli era mai capitato di darvi peso, sino ad ora. Eppure...così ogni tassello andava a posto.

Udì André proseguire nel proprio ragionamento.

- Il Duca di Luxembourg potrebbe tranquillamente aver suggerito lui a Bouillet, in quanto Maresciallo di Campo dell'Esercito Reale, chi inviare per questa missione. E se così fosse...

- Intoccabili. - Concluse per lui la voce baritonale dell'ufficiale.

- Possiamo tenerci per noi i nostri sospetti, lavorare in segreto per smascherarli, ma null'altro. Non abbiamo modo di colpirli.

Scesero le scale e raggiunsero gli altri, che attendavano mestamente nel cortile interno.

Alain si soffermò ad osservare il Generale, di cui tanto aveva udito parlare. Uno che aveva deciso di sovvertire le leggi della natura, uno che spediva due ragazzini nei boschi da soli per tre giorni, ma capace di pagare ad un orfano i precettori del figlio, uno che aveva finito un prigioniero agonizzante, ma prima aveva spronato il cavallo in una corsa furiosa per riuscire a salvargli la pelle. E che ora non pareva essere troppo turbato né da un avvenimento é dall'altro. Un anziano uomo elegante, freddo e composto, un groviglio di contraddizioni che aveva passato alla figlia, davvero qualcuno che avrebbe potuto decidere in ogni verso quando Andrè gli avrebbe parlato dei suoi propositi. Spaventoso nella sua imprevidibilità e compitezza.

Oscar mandò a casa i tre soldati, dicendo loro che avevano già perduto sin troppo tempo.

Gli altri tre si avviarono invece verso palazzo Jarjayes, con il cuore pesante e la testa colma di preoccupazioni.

 

Arrivati a Palazzo, furono investiti dall'affettuosa tempesta della Nonna Marie, che si incaricò di far portare dentro e sistemare le sacche con gli abiti, di accoglierli affettuosamente, di ordinare che venissero accuditi i cavalli, preparata l'acqua per il bagno e, ovviamente, la cena: solo una volta riempito lo stomaco, la governante avrebbe considerato terminato il rito del rientro.

Voltandosi un attimo sugli scalini del perron, il Generale si rivolse ad André:

- Stasera cena con noi.

Poi si incamminò, stanco ma deciso, verso i propri appartamenti. Era seriamente preoccupato per la piega degli eventi, ed il fatto che sarebbe partito il lunedì mattina non lo rassicurava affatto. Gli pareva che la Corona fosse in pericolo, che fatti come la Journée des Tuiles4 di due giorni prima (causa delle riunioni degli ultimi giorni e della sua prossima partenza), già preceduta dalla rivolta dei canuts5 a Lione e tutto ciò che era venuto dopo stessero mettendo in pericolo la Monarchia stessa, l'aristocrazia per come lui la conosceva.

Si chiese se infilare Oscar in una divisa ora non la stesse condannando a morte. Gli eventi dei quella missione, pure se conclusa onorevolmente, parevano confermare i suoi timori. Lui, avrebbe potuto proteggerla? E Madame Marguerite? E le altre figlie?

Si lasciò cadere pesantemente sulla poltroncina di velluto accanto al letto, nella sua stanza, mettendosi una mano sugli occhi, per la prima volta in vita sua davvero in preda ai dubbi.

tra

La cena fu impegnata quasi completamente nel resoconto completo della missione, riesaminato nei dettagli per permettere al Generale di comprendere tutta la struttura nascosta dietro gli eventi, pur tuttavia evitando i dettagli che avrebbero turbato Madame Marguerite, a casa per salutare il marito che sarebbe partito da lì a due giorni.

L'annuncio della partenza mise in uno stato d'ansia i due innamorati, che insieme alle preoccupazione per gli ultimi avvenimenti dovettero fare i conti con un nuovo problema: parlare al padre prima della partenza, od attenderne il ritorno, oltre un mese più tardi? Bloccati a tavola, dovevano attendere di ritrovarsi da soli per discuterne. nessuno dei due aveva immaginato una simile possibilità.

Madame invece osservava di sottecchi la figlia, i movimenti sempre pacati e composti con cui portava il cibo alla bocca, ma non poté non notare stava mangiando di gusto, e che lo sguardo spento che le ricordava aveva lasciato spazio ad occhi vivaci e ridenti, nonostante i pericoli. Notò anche il minuscolo, insignificante anello al suo dito, che era sfuggito al marito.

Si chiese se qualcun altro ne avesse uno identico, e, chiunque fosse, lo benedisse silenziosamente. Se era stato capace di un tale mutamento nella figlia, sarebbe stato il benvenuto , in ogni caso. Si volse a guardare André, alla propria sinistra. Nessun gioiello, non era così stupido,, ma anche lui pareva diverso, più sicuro delle proprie argomentazioni, non in soggezione di fronte al Generale. E la Contessa pensò che, tutto sommato, sarebbe stata una buona cosa. Dura da far digerire al consorte, ma buona, sul lungo periodo.

 

Al tramonto, la duchessa di Nevers passeggiava quieta nel proprio giardino. Dopo la partenza della sorella, stava recuperando la serenità disturbata da quel manipolo di invasori rumorosi e grevi.

Fu quindi con irritazione che vide avvicinarsi un cavaliere, un bell'uomo impolverato e stanco.

- Buonasera, Madame. Sono Hans Axel Von Fersen e cerco il Comandante Oscar François De Jarjayes.

- Ma non è qui. A quest'ora dovrebbe essere a Parigi da un pezzo.

Nonostante la polvere, vide l'uomo impallidire.

 

Il Conte Jarjayes e la moglie Marguerite si ritirarono presto, dopo la cena, stanchi entrambi per la fatica degli ultimi giorni a Corte.

Oscar ebbe così agio di poter rimanere con Andrè a parlare sulla terrazza, nella quiete della sera estiva profumata di tiglio.

- Perché ti sei tolto l'anello? - un sussurro, anche se nessuno avrebbe potuto udirli senza essere visto da quella posizione.

- Non mi pareva davvero il caso di irritare tuo padre, se domani dovrò andare a parlargli. Ma sono felice che tu l'abbia tenuto.

Lei si commosse per il sorriso che le rivolse pronunciando quella frase, così dolce e così. consapevole.

- Ma tu vuoi davvero dirglielo domani? Non è tutto troppo precipitoso? Non abbiamo neanche deciso cosa dirgli?

- In primo luogo, gli parlerò io. Voglio fare le cose come si conviene. Come è stato fatto per le tue sorelle. Non sono aristocratico, ma proprio per questo devo rispettare le convenzioni come e più degli altri. E poi io ho pensato parecchio a cosa dirgli. Ci vuole strategia, per fiaccare le sue difese. E attaccare subito, prima che qualche voce giunga alle sue orecchie, prima che possa farsi dei preconcetti.

Oscar sospirò. Andrè le si avvicinò.

- Domani sarà fuori tutta la giornata, potremo rivedere all'infinito il nostro piano. Fidati di me.

- Mi fido sempre di te.

- Ecco, brava. E ti fidi a entrare con me nella tua stanza?

- Solo se prometti di avere cattive intenzioni.

Andrè si mise a ridere, con il suo tipico ghignetto da monello, per poi tornare serissimo all'improvviso.

- Sai che domani a quest'ora sarà tutto diverso? Nel bene, o nel male. Ma tutto diverso. Potresti ritrovarti priva di tutto. Se vuoi possiamo ancora fermarci, possiamo rimanere così in questo limbo brumoso, senza trarre in mezzo tuo padre.

Oscar gli prese il volto tra le mani.

- Non dirlo nemmeno per scherzo. Se ho un timore, è legato a quello che potrebbe accadere a te. Mi fido del senso di giustizia di mio padre, ma non posso negare di provare molta inquietudine. Per il resto, non mi turba perdere gli agi.

Continuando nel gesto, lo baciò. Ne fu ricambiata con un trasporto nuovo e diverso dal solito.

Andrè la spinse lento verso il letto, più morbido ed ampio di quelli che li avevano accolti sino a quel momento. Ma si amarono con il trasporto della disperazione, con il grande timore, inconfessato l'uno all'altro, che potesse essere un'ultima notte. Fu forse per quello che Oscar, accogliendolo in sé, ebbe l'ardire di chiedergli in un sussurro:

- Dammi un figlio.

 

Durante la notte, Oscar si svegliò parecchie volte, inquieta. Ed ogni volta le pareva sempre più difficoltoso rientrare nel rifugio dei sogni. Da un lato, non aveva ancora l'abitudine necessaria a ritrovarsi accanto al corpo di Andrè e riappisolarsi facendo finta di nulla, dall'altro il pensiero dell'indomani le dava non pochi motivi di preoccupazione.

Pensando che avrebbe amato sentirsi accudito, in uno dei suoi innumeri momenti di veglia, Oscar decise di andare nella camera di lui a recuperare il necessario per la rasatura. SI era rammentata di quel dolce momento sule montagne, e voleva davvero occuparsi di lui.

Fu così che il pendolo del corridoio batté tre colpi mentre un fantasma scalzo, con indosso una lunga camiciola bianca, scivolava rapido sui pavimenti lisci per riportare nei propri appartamenti gli oggetti recuperati nell'altra ala del palazzo. Solo allora, ritornando a sdraiarsi per l'ennesima volta, Oscar riuscì infine ad assopirsi.

 

La mattina seguente, La governante Marie bussò leggermente alla porta degli appartamenti di Oscar, ma il giorno era iniziato da poco, quindi non attese risposta, per entrare, immaginando di trovare ancora addormentata la sua occupante. Fu quindi con sgomento che si avvide che non solo la sua bambina era già sveglia, ma si trovava in compagnia del nipote che, seduto al tavolino da toilette con indosso solo i pantaloni e la faccia insaponata, pareva godersi un mondo le attenzioni con cui Oscar lo stava circondando.

Marie non ebbe fiato per parlare. Se la figlia di un Conte si occupava di radere il nipote di una governante, il mondo stava davvero andando a catafascio.

I due non parvero far troppo caso al suo turbamento, e la salutarono allegramente.

- Ciao! Siediti un attimo, dobbiamo dirti una cosa.

Più che sedersi, la donna si accasciò sulla prima poltroncina disponibile.

 

Alla stessa ora, a Nevers, il Conte di Fersen, anch'esso reduce da una notte agitata e turbata da innumerevoli sensi di colpa, si accingeva a montare a cavallo per ripetere il viaggio di ritorno. Arrivato così tardi dalla sorella di Oscar, poteva tranquillamente ammettere di aver fallito la propria missione. La sua amica aveva sicuramente varcato la cinta muraria di Parigi da quasi un giorno. Qualsiasi cosa fosse dovuta accadere, era già avvenuta. Si incamminò con un macigno al posto del cuore. A questo punto, sperava solo che fosse ancora viva.

 

La giornata a Palazzo Jarjayes trascorse nello steso tempo pigra e nervosa.

Marie continuava a dimenticarsi ciò che stava facendo, per tornare col pensiero a quanto le aveva comunicato il nipote la mattina.

Andrè, dal canto suo, continuava a ripensare al discorso da fare al Generale, valutando e soppesando ogni singola congiunzione con l'aiuto di Oscar.

Madame Marguerite, dopo essersi riposata, aveva chiesto della figlia, per poter stare un poco con lei. Che provò ad aprirsi alla madre, ma non riusciva a trovare le parole, e finì col lasciarle qualche vago commento. La Contessa integrò quel poco con quanto aveva osservato la sera prima, traendone qualche sua propria conclusione.

 

Verso metà pomeriggio fece il suo arrivo il Generale, seguito pochi minuti dopo da una carrozza dalla quale scese, luminosa come il sole nel suo abito color oro, una sorridente Josephine.

André colse al volo l'opportunità che la sua comparsa gli offriva, e spinse galantemente le due sorelle verso la terrazza posteriore, ombreggiata da un profumato tiglio, facendo portar loro tè e pasticcini. Dal canto suo, prese fiato come se dovesse andare in battaglia, e si accinse a salire lo scalone verso lo studio del Generale.

Josephine si installò su una poltroncina, si fece accosta ad Oscar e le raccontò la sua parte, già parzialmente nota, nelle indagini ufficiose del padre. Le disse della viscidezza del Conte Mirabeau, degli incontri ai balli, mascherati da conversazioni salottiere e, soprattutto, le raccontò della preoccupazione del generale, descrivendoglielo in una veste poco usuale, che ebbe il potere di far ben sperare Oscar.

- E Andrè cosa è andato a fare da nostro padre? Non ne avete discusso ieri sino alla nausea di questa storia? Non vi pare ora di chiuderla?

- Oh, in realtà è salito per domandargli una cosa.

- E cosa? Non me la contate giusta, anche tu sembri parecchio sulle spine.

Oscar immaginò che da lì' a qualche minuto la notizia sarebbe esplosa, tanto valeva avvisare la sorella.

- La mia mano.

Josephine sorrise, con la tazza di tè bloccata a mezz'aria.

- Ecco, questa sì che è una notizia! Però lo immaginavo, che prima o poi sarebbe accaduto...Lo immaginavo da...oh, beh, te lo dirò poi! Anche se mi chiedo perché sentiate l'esigenza di esporvi alle ire di nostro padre. Potrebbe essere una cosa seriamente pericolosa, ci hai pensato?

- E l'alternativa? La clandestinità? No, grazie.

Oscar rimase a fissarsi le mani con espressione preoccupata. Dalla finestra dello studio del padre, rimasta aperta, non giungevano voci irose, e questo le pareva un buon segno.

- Ci ho pensato, sia. - Disse poi in un soffio. - E sono terrorizzata di quanto sta accadendo lassù.

Josephine rimase sorpresa da quella inusitata dichiarazione di debolezza. Si sollevò dalla poltroncina per sedersi sul bracciolo di quella della sorella, e poggiarle una mano sul gomito.

- Da quando lo immaginavi?

- Da quando mi è capitato tra le mani un quadernetto...una cosina ben scritta, a metà tra un romanzo e un diario...

- Che hai provveduto a far stampare in Belgio?

- Lo sapevi?

- Lo so da non molto. Ero a conoscenza dei quadernetti, pensavo fossero solo piccole memorie private. Invece mi ritrovo uno scrittore che gira per casa.

- E ci ha fatto dei bei soldini, se lo vuoi sapere.

Oscar realizzò che la sorella aveva letto e si sentì in imbarazzo tremendo. Quel libro raccontava una ipotetica storia romantica tra un borghese ed una nobiledonna, sulla scorta della Nouvelle Heloise, ma con accenti più drammatici, che le ricordavano la Manon Lescaut, e alcune scene che l'avevano imbarazzata fino all'inverosimile.

Josephine la guardò.

- E io i prendo tutto il merito del titolo.

Oscar si sorprese a sorridere suo malgrado. La sua deliziosa, vanitosa sorella! Le doveva un altro immenso favore.

- Ecco perché il titolo è così svenevole. Ma fammi il piacere, Les égarements du cœur6!

E riuscì ad attendere più serenamente l'esito del colloquio

 

1 All'epoca utilizzata come veleno per topo, la noce vomica è la pianta dal cui frutto si ricava la stricnina, veleno neurotossico.

2 Gruppo massonico. Il Duca ne divenne Grand Maître nel 1771.

3 Anne Charles Sigismond de Montmorency-Luxembourg, Marchese di Royan, Conte d'Olonne, Duca di Châtillon-sur-Loing duca di Piney_Luxembourg, Pari e primo barone cristiano di Francia, Maresciallo di campo dell'Esercito Reale. Un personaggio legatissimo alla famiglia reale, storicamente legato alla massoneria e storicamente rivale del Duca D'Orléans.

4 7 giugno 1788, la Tournée des Tuiles (tegole, lanciate sui soldati), che innescò la convocazione degli stati Generali del Delfinato, che furono il prologo della Convocazione Nazionale. Fece 3 morti e 20 feriti tra la popolazione, e molti feriti nel reggimento della Royal-Marine

5 La rivolta dei Canuts (operai tessili) preparò nel 1786 i primi sussulti rivoluzionari. Repressa brutalmente, diede modo agli operai di imparare ad organizzarsi in segreto.

6 Rubato a Les égarements du cœur et de l'esprit (1736) di Crébillon.

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Capitolo 25
*** Scandali e strategie ***


25. Scandali e strategie.

 

Il Generale Jarjayes fece accomodare Andrè nella poltroncina dinanzi alla sua, convinto volesse ancora parlare della missione. Aveva trascorso parte dalla domenica a sistemare gli ultimi dettagli per la partenza dell'indomani e si apprestava a godersi il raro lusso di una cena con la moglie e due delle figlie, cosa che lo rendeva di umore alquanto sereno.

- Di cosa volevi parlarmi?

- Signore, sono venuto per dirmi che amo vostra figlia.

Vostra figlia. Nulla di più, senza specificare quale. Non ve ne era bisogno. E senza predersi in inutili preamboli.

Il militare non si scompose.

- Che la ami lo so da tempo. Se se qui è perchè sono cambiate alcune condizioni.

Pacato, senza ombra di ira nella voce.

- Infatti. Adesso anche lei ama me, e sono qui per chiedere la sua mano.

Diretto, senza giri di parole. Tutto preparato nelle discussioni del mattino.

- Ed era il caso? Tu non sei aristocratico, Oscar conduce la vita che sappiamo. Continuare facendo finta di nulla non vi bastava?

Non chiese da quanto andasse avanti la loro relazione. Forse davvero non gli importava. Possono entrare nei nostri letti, ma non nei nostri cuori1? Questo credete, Generale? Pensò Andrè; ma non disse nulla, non era davvero il momento.

- Volevo fare le cose come si conviene. Per lei, che lo merita, e per me, che ho comunque un onore da mantenere.

- Come si conviene? Sai che sarebbe comunque uno scandalo?

- Uno scandaletto, Generale, che verrebbe presto dimenticato. Come è stato condannato all'oblio il Suicidio della piccola Polignac costretta al matrimonio con un quarantenne, come è stato dimenticato che il Duca di Artois ha un figlio illegittimo, come sarà cancellato dai ricordi l'avvelenamento di oggi. Poi nuovi pettegolezzi arriveranno a coprire i precedenti.

- Non dimenticherei io.

Brutta stoccata. Poi il Generale tacque, lo sguardo perso oltre la finestra.

- Certo, sei una brava persona. So che la ami sinceramente. Se tu fossi nobile...

- Ma non lo sono. E, ora forse, è un bene.

Jarjayes lo guardò stupito, ed Andrè si giocò la carta su cui aveva puntato tutto.

- Avete visto cosa è accaduto, a Lione, a Grénoble, il complotto cui abbiamo assistito. L'Aristocrazia potrebbe essere in pericolo. I militari più di tutti. Ed Oscar, donna nobile e soldato, lo sarebbe doppiamente. Perché non metterla al riparo con un matrimonio borghese? Se poi avesse risonanza, meglio. Una famiglia come la vostra che si mescola al Terzo Stato: farebbe clamore sufficiente a metterla al sicuro in caso di rivolte. Lei, e magari anche Madame e le sorelle. Mentre la sua amicizia con la Regina farebbe comunque dimenticare presto queste nozze al resto della Nobiltà nel caso i miei timori fossero infondati.

Andrè tacque, aveva usato tutta la strategia possibile. Ora toccava al suo avversario, che non pareva irato, così almeno poteva sperare di non essere punito per il proprio ardire.

Il vecchio militare stava soppesando le opzioni. Furbo il ragazzo. Gli aveva sottoposto un'argomentazione a cui non avrebbe mai pensato. E nemmeno troppo campata in aria. Ma non era possibile prendere una decisione così, sui due piedi.

Pensò che dieci anni prima non avrebbe esitato a farlo frustare per la sua sfrontatezza.

Ora gli pareva quasi una proposta ragionevole. Nessun altro avrebbe chiesto Oscar in sposa, questo lo sapeva. E quell'uomo la amava, la sopportava e la proteggeva. Più di quanto avrebbe potuto dire dei suoi generi aristocratici. Ma. Ma. Ma. Era un roturier. Colto, raffinato, quasi benestante. Ma roturier.

Anche il Generale giocò di strategia, non aveva studiato tutti quei manuali per nulla.

- Non posso risponderti ora. Avrai un assenso od un diniego al mio ritorno. Fino a quel momento, circospezione.

E lo congedò.

 

Andrè scese la scalinata senza sapere se sentirsi affranto o felice. Un mese di attesa. Eppure non gli pareva che il colloquio fosse stato sfavorevole alla sua causa. Certo che tutto quel tempo lontano da Palazzo non avrebbe giovato...o sì?

Oscar lo vide arrivare, lasciò la poltroncina e lo raggiunse. Josephine ritenne meglio defilarsi un poco e scese per una breve passeggiata nel vialetto.

Li vide tornare nel punto ove si trovava sino a poco prima e parlare a bassa voce, lei con la testa inclinata verso la spalla di Andrè e lui chino su di lei, le labbra che appena si muovevano in quelli che non dovevano essere più che sussurri. Non vide sorrisi nei loro occhi, nè disperazione nei gesti. Cosa fosse riuscito a rispondere il padre per generare una reazione del genere, davvero non riusciva a figurarselo. Nè gioia, nè disperazione. Una pacatezza indispettita.

Ma venne presto distratta da un messo a cavallo. Lo avvicinò e si fece consegnare la lettera. Vide che proveniva da Louse Hélène, ed era indirizzata al padre. Si premurò di portarla in biblioteca e poggiarla sul tavolo d'angolo, seminascosta da un pesante volume di Racine che vi pose sopra. DI solito la sorella aveva un discreto talento per causare guai e problemi. In quel modo la missiva non avrebbe potuto fare troppi danni.

 

Oscar non riusciva a stare ferma, doveva muovere le mani, o le gambe, o gli occhi, resa spaventosamente inquieta dal dover procrastinare la cosa. Si domandava il perchè. Il generale, solitamente così deciso, stava prendendo tempo. La cosa non la rassicurava minimamente.

Andrè rifletteva.

- Smettila di agitarti in questo modo. E' vero, tuo padre è uomo dalle decisioni rapide, ma sulle cose importanti si prende il tempo necessario a ponderarle accuratamente. Non ha agito d'impulso assegnandoti alla Guardia Reale, nè quando tua madre ha dovuto scegliere chi servire tra la Delfina e la Du Barry, e nemmeno per maritare le tue sorelle. Lascialo fare.

- In compenso ha fatto un colpo di testa da manuale alla mia nascita.

- Non credo, sai? Secondo me ci pensava da un pezzo, e lo aveva pianificato con cura. Guarda il tuo nome.

- In che senso? Era il nome di un commilitone che gli ha salvato la vita.

- Certo, certo. Ma pensalo da un altro punto di vista. Perfettamente maschile, immodificabile, impossibile da femminilizzare. Non può averlo deciso lì, nell'anticamera degli appartamenti di tua madre. Ci pensava da tempo, e non era una cosa che potesse raccontare in giro; alla tua nascita ha solo concretizzato. Stavolta farà lo stesso.

 

Nelle stesse ore, Louis Philippe d'Orléans si apprestava a ricevere alcuni amici per la cena. Mentre si lasciava accuratamente lisciare la giacca dal maggiordomo, gli venne annunziato l'arrivo del Conte Mirabeau.

Il Duca fece un elegante e molle gesto con la mano per indicate al valletto di farlo entrare.

- Ebbene? Cosa volete?

- Satie è morto, più nessuno potrà ora collegarci alla presunta cospirazione. La quale è miseramente fallita. Detto questo, io me ne chiamo fuori.

- Voi pensate di chiamarvene fuori? Nemmeno per idea. Siete dentro quanto me, e lo siete tutt'ora. Voi continuerete, più o meno apertamente, ad appoggiarmi. Sempre. O rivelerò quanto so, facendo ricadere tutta la colpa su di voi. Sono piuttosto bravo, in questo, sapete?

- Non potete...

- Invece posso. E lo farò. Come Voi farete quanto vi verrà detto. Altrimenti la mia posizione di Grand Maître del Grande Oriente mi permetterà di scegliere liberamente la maniera più opportuna di eliminarvi. Dovrete quindi essere più accomodante. Se, come si dice, verranno davvero convocati gli Stati Generali del Delfinato2, e poi del Regno, io avrò bisogno di persone fidate, all'interno. Io e il Duca di Louxemburg, ovviamente. Ci attendiamo lealtà. Questa sarà la mia occasione di ascendere al trono.

Mirabeau non potè che accondiscendere.

 

Scese le ombre della notte, e salutata Josephine che si appestava a tornare a Parigi più perplessa che mai (il padre non aveva fatto nessuna allusione, aveva lasciato che la serata scorresse come se nulla fosse stato detto), Oscar passò a salutare il Generale nel suo studio. Si aspettava forse accenni o domande ma egli, dopo aver raccolto benevolmente l'augurio di buon viaggio la congedò con estrema naturalezza. Nè affettuosità evidenti, nè rabbie represse. Non le parve di raccogliere nessun gesto o traccia di sentimento differenti dal solito.

Lasciò la stanza sempre più frastornata. Si diresse verso l'ala della servitù, tagliando attraverso l'anticamera della biblioteca3, salì la scala in pietra e si diresse decisa verso la camera di Andrè. Aveva insistito per trascorrere almeno una notte da lui, in mezzo alle sue cose, tra le pareti semplici e modestamente imbiancate. Lui non era riuscito a farla recedere con le proprie proteste, nè con le scuse di ordine pratico: quando aveva fatto notare che il letto era stretto per due persone, Oscar si era limitata a ribattere:

- Tanto dormiamo comunque appiccicati, che differenza vuoi che faccia?

Arrivata dinanzi alla porta entrò senza bussare.

 

Il lunedì mattina il Generale partì di casa, molto presto, senza parlare con alcuno se non il proprio cameriere personale. Aveva già salutato tutti la sera precedente. Si volse solo a guardare il palazzo, ma nessun lume rischiarava i vetri delle finestre.

Arrivato alla Reggia, dove il reggimento lo stava attendendo, e dove sarebbe stato raggiunto anche dal Royal-Allemand. Non amava queste missioni in doppio, ma non aveva avuto modo di sottrarsi agli ordini.

Fu con sommo stupore che vide il Duca di Louxembourg aggirarsi tra gli uomini intenti agli ultimi preparativi.

Si sorprese molto meno quando vide che si stava dirigendo proprio verso di lui.

Le parole che gli rivolse ebbero invece il potere di terrorizzarlo.

- Non sarebbe saggio diffondere quanto avete avuto modo di comprendere, vedere, sospettare. Nè per voi nè per la vostra famiglia. Siete concorde con me, nevvero? - disse, andandosene poi senza lasciare il tempo di rispondere.

 

Quando Andrè arrivò in caserma, insieme ad Oscar, quel lunedì mattina, l'ora dell'appello era passata da un pezzo e raggiunse i commilitoni impegnati all'armeria, mentre lei riprendeva possesso dell'ufficio.

- Toh, chi si vede! - lo apostrofò tutto allegro Alain! - Stavamo per procurarci i fiori da portare al cimitero!

- Bello sapere che sprizzavate ottimismo!

- Ma allora è andata bene?

- In effetti non propriamante. Il Generale ha deciso che ci penserà sopra per tutto il periodo della sue missione. Un mese abbondante.

Alain lo guardò a bocca spalancata, e alcuni degli altri, cui era stato prontamente riferito tutto il procedere della cosa, lo guardarono con tanto d'occhi.

- Chiudi quella bocca, che sembri un merluzzo! - lo canzonò Andrè, un poco sulle spine per aver intuito che anche altri sapevano.

Ma durante il trascorrere delle ore potè tralasciare questa ulteriore fonte di preoccupazione. Se aveva temuto che la notizia avrebbe fatto sì che i soldati considerassero Oscar una donna facile a concedersi, quindi una possibile preda, dovette rendersi conto che sbagliava. Anzi, sembrava che il fatto di essersi legata ad uno dei soldati ne avesse qualche modo rafforzato l'appartenenza alla Brigata B. L'essere la donna di uno di loro pareva concederle quella fiducia completa che fino ad allora le era mancata.

Altra fiducia le arrivò da un episodio curioso.

Uno dei due soldati di piantone all'ingresso, arrivò perplesso verso l'ala centrale della caserma.

- Avete visto il Comandante? C'è una donna mooolto incinta che la cerca. - Chiese all'attonito gruppo che usciva dall'armeria.

- Questa poi! Che venissero donne incinte a chiedere ragione dei Comandanti precedenti, era quasi all'ordine del giorno. Ma questa è una donna pure lei. Vorrei proprio sapere come ha fatto.

E mentre si allontanava ridendo verso il quadrato degli ufficiali, un ttonito Andrè si avviò verso il cancello, seguito da un Alain roso dalla curiosità.

Vi era in effetti una figura infagottata in un liso abito scuro, impolverato e sdrucito. La osservarono meglio, parve loro di riconoscere un volto familiare...la moglie le mercante di Briancon! Ecco chi era. La povera sposa malmenata da quel bruto cui Oscar aveva piantato un coltello in un punto molto pericoloso per il suo onore maschile.

La accolsero gentilmente, la fecero entrare e sedere. Le venne portato un poco di cibo.

Tra i singhiozzi spiegò di essere fuggita dalle angherie coniugali, e di aver cercato le sole persone che mai si fossero prese la briga di difenderla da lui. Quando Oscar arrivò, la poveretta sembrava un tantino rinfrancata. Ma non era il caso di far sapere in giro di avere in caserma una moglie fuggitiva. Meglio una vedova. Così la donna venne scortata da André ed Alain presso il monastero di Saint-Joseph de la Providence, che come molti, forniva ospitalità ad alcune pensionanti, e dove si era ritirata Madame Elodie, sorella del Generale, donna estremamente pia e devota. Una lettera indirizzata alla zia da Oscar spiegava per sommi capi la situazione (la nova versione di essa, perlomeno) e raccomandava la savoiarda alle attenzioni della nobildonna.

Il gesto parve raccogliere i favori di molti dei soldati.

 

Mentre Andrè era impegnato nella scorta alla donna, Oscar ricevette un'altra visita. Il Conte di Fersen, preoccupato per il ritardo con cui era stato inviato in suo soccorso, aveva deciso di passare a vedere di persona come andassero le cose non appena messo piede a Parigi.

Venne rassicurato sulla sicurezza dei soldati e del Comandante e, giacchè ormai era al corrente di molti dettagli, Oscar gli raccontò tutto quello che sapeva. Inclusa la scarsa, per non dire inesistente, collaborazione di Monsieur Hubert, quella mattina, al Carcere della Conciergerie, ove si era recata con Andrè per verificare lo stato della indagine interna.

Era stata accolta con sospetto, ed il Concierge non aveva esitato a far pesare i propri legani con il Duca, una presunta affiliazione al Grande Oriente, veghe ed oscure minacce.

Oscar era seriamente preoccupata.

- Non hanno scrupoli, non ne hanno mai avuti. Vegliate su Maria Antonietta. E vegliate sui bambini. Non fidatevi.

Le parole dell'amica preoccuparono il Conte oltremisura. A tal punto, si era arrivati?

Si congedò con gratitudine. Salendo a cavallo, ebbe modo di commentare la visita alla Duchessa di Nevers.

- Oscar, so che é vostra sorella. Ma non datele troppo spazio di manovra, ho l'impressione che non abbia capito nulla di Voi. E va cianciando di certe amicizie pericolose cui stareste dando troppo spazio...se ho ben capito ciò che intende dire..ebbene...fate in modo che non interferisca. A presto.

Spronò la cavalcatura e partì verso Versailles.

Oscar si domandò se veramente avesse compreso.


 

 

1  Citazione imperfetta; per l'originale, Guida Pettegola al Settecento Francese, F. Sgorbati Bosi

2  Gli Stati Generali del Delfinato si riunirono il 21 luglio 1788, e richiesero la convocazione degli Stati Generali del Regno, e furono in parte mossi da spirito democraticom, in parte rappresentarono la voce delle opposizioni delle classi privilegiate alle proposte di riforme discali di De Brienne. Siccome il Duca d?Orleans era Governatore del Delfinato, mi sono permessa un poco di fantapolitica

3  Ispirato alla struttura di Palazzo Barolo a Torino

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Capitolo 26
*** L'ultima cena ***


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26. L'ultima cena

 

Oscar ebbe a malapena il tempo di concludere la lettura di tutti i documenti arretrati entro le sei, ora convenuta con François per far arrivare la sorella Marie. Aveva deciso di assumerla a Palazzo dopo averla vista una sola volta, e per giunta come propria cameriera personale. La donna che sino ad allora aveva aiutato la nonna di Andrè ad occuparsi di lei aveva intenzione di ritirarsi a casa del figlio, ormai le era troppo faticoso il lavoro in una dimora nobiliare. E Oscar non voleva che ad occuparsi della sua persona fosse una di quelle cameriere che alcune volte aveva udito parlare di lei come una ragazza strana, buffa, piatta ed inavvicinabile. Mai e poi mai avrebbe voluto farsi aiutare con le fasce o con eventuali medicazioni dalla pettoruta Sophie o dalla vanitosa Claudine. E di alcune altre, come Anne, sapeva che erano sgradevolmente disposte alla delazione nei confronti del resto della servitù. Cosa che avrebbe potuto costituire un rischio, ora che Andrè aveva assunto un ruolo diverso nella sua vita, almeno sino alla risposta del Generale.

Meglio una persona estranea alle logiche del Palazzo, e legata lei come persona che le permetteva di risollevare la propria famiglia dalla miseria. Oscar si piacque poco, in realtà la pareva di comprare la fedeltà della ragazza. Ma al momento le occorreva assolutamente qualcuno di fidato.

Mentre questi pensieri le occupavano la mente, riordinò meccanicamente l'ufficio, uscì e si incamminò verso la cancellata. Qui trovò François assieme ad una ragazza magra, rossa e lentigginosa quanto lui, con un visetto aperto e sorridente.

Andrè pensò che sarebbe stata perfetta per occuparsi di Oscar.

Alain, venuto ufficialmente ad accompagnare l'amico, ed ufficiosamente a curiosare come fosse la sorellina di François, la trovò estremamente carina e dolce, e decise che avrebbe trovato il modo di passare a visitare Andrè a palazzo, per vedere di conoscerla un poco.

La ragazza salutò con affetto il fratello e, per la prima volta in vita sua, salì su una carrozza e lasciò la città di Parigi.

 

Arrivati che furono a Palazzo, Oscar si premurò di affidarla alle mani della nonna sua omonima, che le avrebbe spiegato cosa fare. Il padre aveva lasciato la dimora la mattina, la madre se ne era andata nel primo pomeriggio. La casa era di nuovo a sua completa disposizione, ma nello stesso tempo desolatamente vuota.

Una piccola sorpresa la attendeva sullo scrittoio dei suoi appartamenti: una lettera della sorella Constance, che la avvisava del ritorno dall'Inghilterra. Maritata ad un nobile della contea del Devon, Sir Henry, aveva tre figli, e non aveva più fatto ritorno in patria dal matrimonio avvenuto circa diciotto anni prima. In compenso, aveva visitato l'Inghilterra, le Colonie americane, l'Irlanda. Ed ora era finalmente di ritorno. Sarebbe giunta circa sei settimane più tardi, verso la fine del mese di luglio.

In tempo per vedere nostro padre benedire la mia unione con André o cacciarmi di casa, pensò Oscar.

Ma Constance, nelle proprie lettere, aveva dimostrato di possedere ampie vedute e vasta cultura. Forse avrebbe potuto essere una valida alleanza nel caso fosse stato necessario acquietare le ire paterne.

 

Il primo incarico affidato alla giovane Marie in quella fine di pomeriggio fu quello di spolverare e riordinare la biblioteca. Un lavoretto tranquillo per introdurla nell'ambiente. Curioso impegno per una ragazzina analfabeta, quello di rimettere a posto i volumi sparsi in giro.

Dopo aver passato con cura il panno sulle modanature delle ante a vetro, dopo aver sistemato lumi e tavoli, si ritrovò con tre o quattro libri rilegati in pelle odorosa, con le scritte in oro. Intimorita dal peso e dal lusso, comprese che per rimettere ogni tomo al proprio posto avrebbe dovuto usare non il titolo, per lei una serie di segni incomprensibili, ma lo spessore della costola. Prese il primo, un sottile volume di Chrétien de Troyes, e lo inserì nello spazio libero più esiguo; poi fu la volta di un Corneille e di una raccolta di Catullo. Infine, sollevò il pesante volume di Racine sotto cui Josephine aveva nascosto la lettera. Il foglio piegato1 scivolò a terra. Credendo che fosse contenuto nel libro, Marie lo raccolse, lo infilò accuratamente nel libro, che pose nella vetrina chiudendola a chiave.

 

Oscar si buttò sul letto, crucciata ed insofferente. Quell'attesa della risposta paterna le pareva infinita ed era iniziata da un giorno appena. Scalciò via gli stivali con rabbia. Forse sarebbe parso tutto più sopportabile se non fosse stata ancora così stanca per la missione, e se l'epilogo dell'incarico non fosse stato così frustrante. La morte di Satie. l'inamovibilità di Monsieur Hubert, la probabile intromissione della Massoneria. Si chiese se quello che faceva fosse davvero utile per qualcuno. Per la prima volta nella sua vita, mise in dubbio il suo stesso mestiere. Si chiese se davvero non stesse servendo né la Francia, né la Regina, ma solo qualche oscuro potentato di cui ignorava l'esistenza.

Si rialzò, ancora nervosa, e si diresse scalza e silenziosa, verso il balcone della propria stanza per respirare un poco d'aria fresca e ristorare lo spirito ed il corpo.

Ristette così per un attimo, la mani poggiate alla balaustra in pietra bianca, gli occhi chiusi, recuperando in parte la calma perduta, sino a che non udì due voci femminili. Non aprì le palpebre, non voleva dare l'impressione della padrona ficcanaso.

- Sarebbe dovuto toccare a me, il posto di Cameriera personale del Comandante Oscar2! E invece se ne arriva lei portandosi dietro una ragazzina! Da che mondo è mondo al ruolo di cameriera personale in questa casa tocca alla persona che è a servizio da più tempo! Cos'è, non vado bene, io?

- Evidentemente no, Claudine.

- Avrà paura di avere al proprio servizio una cameriera più bella di lei! Non hai visto che ragazzina scialba ha scelto?

- Sei sempre la solita, vanitosa e parli troppo. Non hai mi pensato che potrebbe averti scartata perché potrebbe averti sentita parlare come stai facendo ora? Che potrebbe non fidarsi?

La cameriera rimase a bocca aperta, impietrita da quello che le diceva l'amica e che le appariva come una rivelazione. E mentre il dubbio di essere stata scartata per la propria linguaccia lunga si insinuava nella sua mente, sollevò senza esserne del tutto consapevole lo sguardo verso gli appartamenti di Oscar, trovando un paio di occhi blu che la fissavano con uno sguardo tra il furente ed il ferito. Abbassò la testa, pronta ad essere richiamata per una sfuriata di proporzioni mai viste, ma non sentì nulla. Rialzò gli occhi per vedere la figura esile e magra rientrare rapidamente nella stanza e chiudere rabbiosamente i vetri.

Oscar si fermò nel mezzo del tappeto che si trovava di fronte al letto. Se prima le pareva che la parte della sua vita relativa al lavoro andasse alla deriva, in quel momento la fragile imbarcazione che reggeva la sua vita sentimentale andò a frantumarsi contro uno scoglio. Dopo il rinvio del padre, sentirsi definire brutta aveva inflitto un duro colpo alla scarsa fiducia che riponeva nel proprio aspetto, così differente dal sentire comune riguardo a come avrebbe dovuto essere una donna per essere ritenuta bella.

Mentre era assorta in questi pensieri, udì bussare lievemente: era André che saliva per passare qualche momento solo con lei e trascorrere la serata insieme.

Fu rapido ad accorgersi dell'umore non del tutto sereno di lei. Messo a parte dei sui pensieri sul loro ruolo di sodati, anche André ammise di non sentirsi del tutto a proprio agio talvolta, di avere la stessa impressione di essere asservito a poteri forti di origine dubbia e sconosciuta. E le rivelò che talvolta, se non ci fosse stata lei avrebbe pensato di lasciare. Oscar si sentì allora in dovere di raccontargli di avere avuto lo stesso pensiero, pochi minuti prima.

Discussero a lungo, e convennero che, se fosse venuto il momento in cui entrambi avessero vissuto con vero disagio l'esercito, allora avrebbero valutato se abbandonare l'esercito.

Eppure, ad Andrè pareva che l'animo di Oscar non si fosse ancora del tutto placato. Dopo varie insistenze, riuscì a farsi raccontare con una voce imbarazzata quanto aveva udito dalle cameriere e come quelle parole l'avessero umiliata.

Non gli disse che per molto tempo non le era importato, che quando si era invaghita di Fersen le premeva solamente di essere riconosciuta come donna, ma che ora per lui le avrebbe fatto piacere essere ritenuta bella.

Non le disse nulla, per rassicurarla. Si limitò a recuperare la sua copia di Les égarements du cœur ed a farle leggere una frase: "Lieve andava, senza sapere quanti occhi ammirati la seguissero, sempre credendosi meno di quanto fosse".

Oscar sollevò gli occhi dalla pagina, con le gote imporporate da una leggera vergogna mista a (possibile?) vanità. Non seppe fare altro che baciarlo per ringraziarlo, e come nei carmi di Catullo, il primo ne tirò altri cento, e mille, e la sera si tramutò in mattina.

 

Il Duca D'Orléans sedeva soddisfatto nel proprio salotto, osservando il tramonto dall'ampia finestra apertacon un bicchiere di Armagnac in mano, ripensando al fatto che l'ultima questione si era risolta nel modo migliore. Peccato eliminare quel ragazzo, e avrebbe dovuto fare i conti con i tentativi di vendetta del padre naturale, il Duca D'Artois, ma era una variabile già messa in conto. Meglio che affrontare il processo, con ciò che ne sarebbe conseguito.

Il Duca di Luxembourg aveva provveduto la mattina stessa a minacciare il vecchio Generale, e quella era un'altra questione risolta.

Rimaneva la figlia, quell'insopportabile impicciona, fedelissima di Maria Antonietta. Ma proprio questo era il suo tallone d'Achille. Qualsiasi futuro incarico le avrebbero dato, vi si sarebbe buttata a capofitto. Sarebbe stato sufficiente raccomandarla per la prima missione pericolosa si fosse prospettata. A farsi ammazzare, ci avrebbe pensato da sé. Sorrise e bevve un altro sorso dal bicchiere di cristallo molato.

 

Il martedì mattina la caserma era nel pieno dell'attività, nonostante il calore fosse già intenso prima che il sole avesse superato la barriera costituita dall'ala est. Oscar aveva deciso di superare le proprie ansie mettendosi a lavorare indefessamente, e costringendo al lavoro tutta la Brigata B. Le pareva che gli allenamenti fossero stati meno fruttuosi, durante la sua assenza, quindi mise i soldati all'opera in maniera razionale, dividendoli a gruppi secondo i rispettivi punti deboli.

Il risultato fu una giornata molto impegnativa, ma che per molti si rivelò anche soddisfacente, lasciando a parecchi l'impressione di progressi rapidi, anche se non del tutto duraturi.

Per questo motivo, quando al termine degli incarichi quotidiani Oscar si ritrovò con André ed i tre soldati che avevano costituito la piccola compagnia del viaggio sulle Alpi, tutti erano affamati ma decisamente di buon umore.

Alain, François e Gérard inoltre erano davvero soddisfatti di potersi sdebitare, per quanto simbolicamente, di quanto ricevuto durante il viaggio. Sebbene perfettamente coscienti della differenza di ceto e di possibilità economiche, e consapevoli che il denaro venisse dalla famiglia più che dal Comandante, il loro orgoglio virile/maschile  aveva un tantino risentito del dover accettare pasti ed alloggi offerti da una donna.

Quella sera, pur nell'ambito concesso dal contenuto delle loro scarselle , avevano tutte le intenzioni di fare bella figura. Non condussero quindi il Comandante alla Bonne Table , piccola locanda poco distante dove era quasi sempre possibile incontrare soldati della Guardia in libera uscita , ma poco oltre, verso est, senza arrivare al Palais Royal. Qui, in una tranquilla via traversa di Rue Saint Dénis il cugino di Lassalle gestiva una taverna di medio livello, frequentata da mercanti e piccola borghesia ed avrebbe permesso loro di cavarsela con una spesa ragionevole. E la scelta si dimostrò decisamente felice. Oscar dopo l'imbarazzo iniziato dovuto al dispiacere di pesare su quelle misere tasche, si sentì nuovamente a proprio agio come durante il viaggio.

Nella posizione appartata in cui si trovavano, riuscirono a scherzare sull'accoglienza ricevuta al loro ritorno in caserma, su come fossero stati accolti dal Colonnello D'Agôut, e si misero ad immaginare come l'avrebbe presa se si fosse accorto di avere un soldato fidanzato col proprio superiore.
André riuscì persino a ridere della situazione di stallo in cui era stato costretto dal Generale, ironizzando su quali e quanti strumenti di tortura avrebbe potuto acquistare durante un intero mese di campagna, per poi utilizzarli si di lui.

Risero e parlarono sino a che non arrivò l'ora del rientro in Caserma. Ed anche sulla via del ritorno le chiacchiere non mancarono, sebbene nell'ultimo tratto Oscar ritornasse ad essere taciturna. Stava meditando una volta di più su quanto si trovasse a proprio agio con quelle persone. E quanto avrebbe giovato a quel padre tanto rigido di cui avevano appena riso passare una serata ascoltando le parole di gente umile.

Ripensò a quanto anche ora sentisse vere le parole dette al Maggiore Girodelle, che tra i soldati della Guardia per la prima volta aveva compreso chi fosse e quale dovesse essere il suo ruolo: una persona che faceva, bene, il proprio lavoro. Ma anche una donna, che nella propria vita voleva decidere liberamente chi amare e da chi farsi amare.

Voleva scegliere di essere felice. Con André. E questa era una cosa che nessuno le avrebbe portato via.

 

 

 

Angolo dell'autrice.

 

Con questo capitolo la storia si chiude, per rinascere dalle proprie ceneri come l'Araba Fenice.

La parte avventurosa ha detto tutto ciò che aveva da dire, quindi non ha più ragione di essere. Ma la storia d'amore ha ancora molta strada da fare, e la ritroverete, se vorrete, sempre di martedì, intrecciata ad una nuova avventura di sapore più noir.

Ringrazio chi ha letto in silenzio, chi ha recensito, chi ha inserito il Gigante nelle storie preferite/seguite/ricordate. Non pensavo sarebbe piaciuto così tanto, e ve ne sono davvero riconoscente.

Ringrazio Sabrina Sala per la meravigliosa copertina che mi ha disegnato col suo talento.

Vi voglio bene.

 

Pamina

 

1 Le lettere erano piegate e sigillate, non imbustate.

2 Mi attengo al Manga, che ho in edizione francese, dove nessuno, mai, parla di lei con un appellativo al femminile, ma sempre come di: Monsieur, Comandante o Conte.

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