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Lista capitoli: Capitolo 1: *** Era una notte buia e tempestosa... *** Capitolo 2: *** Risvegli *** Capitolo 3: *** Faccia a faccia *** Capitolo 4: *** Il primo passo *** Capitolo 5: *** Le parole che non ti ho detto *** Capitolo 6: *** Goodbye my lover, goodbye my friend *** Capitolo 7: *** Controproposte *** Capitolo 8: *** La paura che ho di te *** Capitolo 9: *** Quando meno te lo aspetti ***
Capitolo 1 *** Era una notte buia e tempestosa... ***
ERA UNA NOTTE BUIA E
TEMPESTOSA…
Si alzò sulle punte e posò l’occhio destro sullo spioncino,
sfiorando con la punta delle dita il legno bianco della porta di casa sua;
cercò di cogliere ogni più piccolo movimento proveniente dal pianerottolo,
dalla rampa di scale e persino dall’ascensore, ma niente. Tutto era fermo,
immobile. Come al tentativo precedente. E a quello prima ancora. E a quello
prima ancora.
A dire il vero tutto era piuttosto fermo da giorni. Ogni
tanto, molto tardi la sera ad onor del vero, sentiva
dei rumori provenire dall’appartamento che stava dall’altra parte del
pianerottolo; quando succedeva correva alla porta e si ripeteva meccanicamente
la solita scena, quasi una sorta di rito, un balletto ben studiato:
sollevamento sulle punte, occhio fisso nello spioncino, denti affondati nel
labbro inferiore in una atroce tortura.
All’improvviso di nuovo un rumore, una porta che si chiudeva
al di là del pianerottolo, e l’istinto di rimettersi di vedetta ruggì nel suo
petto, ma dovette frenarlo perché aveva appena preso tra le braccia la sua
nipotina nata poche settimane prima. Guardò quel visetto roseo e paffuto che
riusciva sempre a strapparle un sorriso, anche e soprattutto in quei giorni in
cui stranamente sentiva di non meritare di essere felice. Ed in effetti non lo
era. Felice. Era tutto l’opposto: aveva voluto e preteso i suoi spazi, la sua
libertà e la sua indipendenza e se ne era pentita dopo neanche un paio di
giorni. Era una sensazione sgradevole, fastidiosa, seccante, rendersi conto di
avere sbagliato. Non le sembrava di aver preteso troppo, in fin dei conti:
aveva appena chiuso una relazione che durava da anni, aveva pur diritto ad un
pausa diriflessione! Oddio…in realtà,
non aveva chiuso proprio niente, visto che era arrivata in ritardo a quella
maledetta udienza! E Renzo ora era troppo impegnato per anche solo pensare di
chiamare l’avvocato per fissare una nuova udienza: doveva fare il padre, oltre
che il nonno! Di nuovo una colata di acido le attraversò l’esofago arrivando
allo stomaco come un fiume di lava incandescente: il pensiero della seconda
paternità di Renzo sarebbe stata una ferita sempre aperta, doveva solo imparare
a conviverci. Certo, c’era stato un momento in cui il pensiero di quel
tradimento non la turbava così…un periodo in cui le era sembrato di poter
tornare ad essere felice, di poter avere una vita nuova. Ma era di nuovo
cambiato tutto, non per colpa sua. Ovviamente.
Il viso di Gaetano sorridente che la accoglieva in
commissariato la mattina dopo la loro prima notte insieme si affacciò
prepotentemente nella sua mente. Una fitta all’altezza del petto, che decise di
ignorare, mentre un sussulto della piccola Camilla richiamò la sua attenzione.
-Non corri alla porta questa volta, mamma?
La voce di Livietta arrivò improvvisa alle sue spalle.
-Livietta, pensavo stessi dormendo.
La ragazza scosse il capo senza distogliere quei due grandi
occhi azzurri da quelli color cioccolato della madre.
-Non gli hai ancora parlato?- chiese poi ignorando i silenzi
di Camilla.
-Parlato a chi?
Per tutta risposta Livietta alzò il sopracciglio sinistro con
l’aria di una a cui non la si fa.
-Vuoi davvero giocartela così?
-Livietta…
-Livia.
-Come, scusa?- chiese Camilla sorpresa da tanta fermezza nel
tono di voce di sua figlia.
-Livia. Sono Livia. Sono adulta, sono una mamma, ora. Mi
sembra arrivato il momento di chiamarmi Livia, non ti pare?
-Certo…certo- balbettò in risposta Camilla. Faticava ancora a
credere che la sua bambina fosse cresciuta tanto e fosse ora una madre;
smettere addirittura di chiamarla con il suo nomignolo affettuoso le sembrava
impossibile.
-E visto che sono adulta, vorrei mi trattassi come tale.
Quanto ancora devo aspettare per sapere cosa è successo tra te e Gaetano?
Camilla posò lo sguardo sulla piccola che ancora teneva in
braccio. Non aveva ancora raccontato a nessuno della chiacchierata (se così si
poteva chiamare) avuta con Renzo e Gaetano davanti alla macchinetta del caffè
in ospedale il giorno in cui erano nati Lorenzo e la piccola Camilla. La
ragione? Beh, la versione ufficiale comprendeva scarsità di tempo, lontananza
della sua amica Francesca per un convegno ed altre scuse patetiche dello stesso
tipo. La verità era che sapeva di aver fatto una cosa quantomeno discutibile:
non tanto nella sostanza, quanto piuttosto nella forma.
-Allora?- incalzò Livia decisa ad andare fino in fondo. Erano
giorni che Gaetano non si faceva vedere: prima del parto, passava di tanto in
tanto, la mattina prima di andare in ufficio o la sera al rientro. Ma da quando
erano tornate dall’ospedale, del commissario si erano perse le tracce. E meno
Gaetano si faceva sentire, più sua madre sembrava diventare inquieta, benché si
facesse in quattro per non darlo a vedere.Era chiaro come il sole che in ospedale doveva essere successo qualcosa:
e quando lui si era definito un “amico adottato” le era stato evidente che sua
madre doveva aver in qualche modo ridimensionato il ruolo di Gaetano nella sua
vita. Il perché però le era sconosciuto e francamente incomprensibile: erano
mesi che non vedeva sua madre felice come nei giorni in cui si incontrava di
nascosto con il vicino di casa e poi, di punto in bianco, lui era tornato ad
essere solo un amico. Doveva essersi persa dei pezzi di quella storia per
strada. Non che avesse mai voluto indagare in proposito: all’inizio perché in
qualche modo sperava che i suoi avrebbero ricucito di nuovo lo strappo, in
seguito perché non era pronta ad essere la confidente sentimentale di sua
madre.
Ma ora era diverso: chiaramente qualcosa di grosso era
capitato e non era sicura che sua madre fosse nelle condizioni mentali per
prendere una decisione ponderata…perlomeno non mentre il suo ex marito
diventava padre per la seconda volta da un’altra donna. E c’era anche il non
tanto remoto rischio che la nuova condizione di nonna potesse averla convinta
di dover stare ancora di più accanto a sua figlia, sacrificando se stessa.
Per questo si trovava ora ad insistere come mai aveva fatto
prima e avrebbe lasciato quella stanza solo quando sua madre si fosse decisa a
sputare il proverbiale rospo.
***
Tende tirate, finestre chiuse, porte ben sigillate ovunque e
cuffie ad alto volume nelle orecchie. Voleva essere certo di non sentire nulla,
non il benché minimo rumore provenire dall’appartamento di fianco al suo. Lo infastidivano
persino i vagiti della nuova arrivata: non che ce l’avesse con lei, ma qualsiasi
cosa lo portasse a ricordare quanto accaduto in quel maledetto ospedale era
cosa assai sgradita.
A dire la verità, erano alquanto sgraditi anche tutti i
ricordi della sua vita precedente, al momento….per la precisione tutti i
ricordi relativi agli ultimi dieci anni della sua esistenza. Persino la sua
stessa immagine riflessa allo specchio gli dava la nausea: forse perché in
tutto questo tempo, tutto il lavoro che aveva fatto su di sé era stato fatto in
un certo senso per lei.
Quella stessa lei, che dopo averlo usato come e quando gli
era servito, lo aveva mollato sull’orlo del baratro. Era così che Gaetano si
sentiva: in bilico sull’abisso e con una gran voglia di buttarcisi dentro.
E dire che lui per lavoro aveva imparato a conoscere la
persone, a valutare e a giudicarle con una certa precisione sin dal primo
momento, dalla prima parola pronunciata, ma con la professoressa Baudino si era sbagliato di grosso. Anzi, aveva preso
proprio la proverbiale tranvata. Ora che a mente fredda
(beh, quasi fredda) ripensava a quegli ultimi dieci anni, doveva ammettere a se
stesso che di segnali negativi ne aveva avuti a bizzeffe: vengo da te, mi
faccio fare la dichiarazione d’amore e poi ti mollo; torno da te, ti giro
attorno come e quanto voglio per soddisfare la mia curiosità investigativa, ti
bacio e poi ti mollo; ci rivediamo, ti convinco a sposare Roberta, te la faccio
mollare all’altare e poi scappo in Spagna; ti ritrovo a Torino, ricominciamo
con i Vermouth e le indagini, ti ospito a casa mia mentre mio marito non c’è,
poi ti invito ad una festa a casa mia e mi faccio mio marito con te che mi
guardi. Per finire con il botto: vengo a letto con te, ma non siamo una coppia…forse
in futuro, chissà. E lui sempre a rincorrerla, sempre ad aspettarla, sempre ad
amarla.
Per non parlare del nuovo arrivato: Michele Carpi. Scalzato per
anni da Renzo, da Livietta, persino da Potty ed ora…da
Michele Carpi. Per lui Camilla gli aveva mentito guardandolo dritto negli
occhi, aveva rischiato la galera per lui. E non gli erano sfuggiti nemmeno i
cambiamenti di lei: più solare, più felice, più luminosa…tutto da quando era
riapparso Michele Carpi. Anche Renzo l’aveva capito.
Dio, come aveva fatto ad essere così ingenuo? Lui non era mai
stato niente per Camilla, se non la tentazione, forse la sua iniezione di
autostima, ultimamente il toy-boy, ma poi che altro? Nulla.
Era bastato il primo ostacolo e lei aveva mollato. LO aveva mollato, per la
precisione. La verità, anche se gli costava ammetterlo, era solo una: lui la
amava, lei no. Si era crogiolato per anni nella convinzione che lei lo amasse,
ma fosse troppo leale e onesta per mandare all’aria un matrimonio, per distruggere
la felicità della famiglia e tutto solo per stare con lui. In realtà, non lo
amava affatto: amava forse l’idea di essere inseguita, cercata, voluta,
desiderata…ma non certo lui.
Il vicequestore dovette ricacciare indietro a fatica il
groppo in gola che minacciava di esplodere in un pianto a dirotto, ma era
stanco di mostrarsi debole e vulnerabile: era accaduto poco tempo prima con
Torre, al quale aveva confidato con voce tremante che senza Camilla lui non
poteva stare. A ripensarci si sentiva un totale e completo idiota. Per la
rabbia scagliò un cuscino del divano contro la libreria. Quella libreria che
avevano comprato e montato insieme. Odiava quella libreria, odiava quella casa.
Odiava pure l’intero palazzo dove due anni prima l’aveva per caso rincontrata. Odiava
Torino e se avesse potuto avrebbe mollato tutto su due piedi e se ne sarebbe
andato. Anche se scappare in qualche modo l’avrebbe data vita a Camilla: come
aveva fatto con Praga lui e Barcellona lei. E poi a Torino c’era ormai la sua
vita: Tommy lì si sentiva a casa e non voleva costringerlo ad un nuovo
trasloco, anche se con lui viveva solo pochi giorni al mese. E c’era pure
Torre: lasciarlo solo a Torino dopo averlo “deportato” dalla capitale solo per
seguirlo non gli sembrava affatto corretto.
Però doveva fare qualcosa; non poteva restare lì, a due passi
da lei, vivendo come un eremita chiuso in casa per la paura di incontrarla e di
dare sfogo a tutta la sua frustrazione. Doveva dare una svolta alla sua vita,
chiudere il capitolo Baudino ed andare avanti.
Si alzò dal divano, prese il primo borsone che trovò nell’armadio
e vi infilò un paio di vestiti e la foto di lui e Tommy che teneva in salotto. Poi
si guardò attorno, prese le chiavi di casa e uscì senza voltarsi indietro.
Tutta la sua determinazione andò a scontrarsi con la vista
della porta di casa di Camilla, chiusa davanti ai suoi occhi. L’istinto di bussare
con tutta la forza che aveva in corpo, di dirle quanto la odiava per quello che
gli aveva fatto, per come lo aveva ridotto, era così forte che dovette fare uno
sforzo sovraumano per fermare la mano che combatteva per entrare in azione. Gli
bastò tornare con la mente a quell’ospedale e a quella macchinetta del caffè
per cacciare indietro il desiderio di ritrovarsela davanti: in quel momento il
pensiero del suo viso riusciva solo a farlo infuriare più di quanto credeva
umanamente possibile. Persino più di quando litigava con Eva per Tommy.
Inforcò le scale, felice che fosse il cuore della notte e che
nessuno potesse vederlo in quello stato; ma ovviamente il destino doveva
avercela con lui per una ragione che ancora non riusciva a comprendere.
-Vai da qualche parte?- domandò una voce che riconobbe subito
come quella di Renzo. L’uomo stava spingendo nel cortile il passeggino di suo
figlio nel tentativo di farlo addormentare.
Gaetano non rispose nemmeno, non ce n’era bisogno.
-Senti, se è per quello che è successo in ospedale o negli
ultimi mesi…io…- tentò di giustificarsi l’uomo evidentemente stravolto dalla
paternità, dall’essere diventato contemporaneamente nonno e persino dai mesi di
lotte senza esclusione di colpi con il poliziottosuperpiù.
-Non è per quello- fu il laconico commento del commissario.
-Quindi non stai scappando nel cuore della notte come un
ladro?
-Adesso sei tu il poliziotto?
-Per carità, me ne guardo bene. In famiglia Camilla basta e
avanza.
Fu sufficiente sentire pronunciare quel nome perché tutti i
muscoli di Gaetano si contraessero in uno spasmo involontario di dolore e
rabbia mal celati.
-E così non stai scappando- continuò Renzo avendo notato la
reazione dell’ex rivale in amore. Già, ex. Perché se quegli ultimi giorni gli
avevano insegnato una cosa era proprio quella che nella vita di Camilla non c’era
posto per Renzo, non almeno come marito. E, nonostante lo smarrimento inziale,
Renzo aveva realizzato che gli andava bene, che Camilla a modo suo lo aveva
perdonato e aveva trovato il modo di far funzionare civilmente i rapporti tra
loro come una buona famiglia allargata. Quello che invece non gli era affatto
chiaro era il comportamento che aveva tenuto nei confronti di Gaetano: lo aveva
amato per anni, desiderato con ogni fibra del suo corpo per un decennio ed ora…lo
aveva mollato. Non poteva credere si trattasse di Michele Carpi…apparteneva al
passato come e più di Renzo! Eppure se Gaetano stava ora davanti a lui in mezzo
al cortile con un borsone in mano le cose tra lui e Camilla non dovevano essere
migliorate più di tanto. E in un certo senso lo capiva pure, anzi parteggiava
per lui: dopo dieci anni di onorata fedeltà e dedizione il poliziotto si
meritava più di qualche settimana di sesso e di una pidocchiosa pausa di
riflessione annunciata davanti ad una macchinetta del caffè.
-Non sto scappando, anche se non credo che la cosa ti
dispiacerebbe- rispose Gaetano.
-Invece ti stupirà sapere che un po’ mi dispiace, sai?
-Perché non potrai più avermi sotto controllo? Tranquillo. È tutta
tua. Non voglio più averci niente a che fare- non riusciva a sentir pronunciare
quel nome, figuriamoci dirlo lui stesso ad alta voce.
-E ti arrendi quindi?
La resa non era proprio nelle corde del commissario, non lo
era mai stata, ma dovette ammettere che in quel caso non poteva fare
diversamente.
-Mettiamola in questo modo: non vedo il motivo di continuare
a lottare per qualcosa che solo io ho desiderato sin dall’inizio.
Renzo avrebbe voluto dire molte cose. Troppe. Non gli sarebbe
bastata la notte intera per confutare l’affermazione del commissario, ma lesse
negli occhi di Gaetano quella stessa disperazione che aveva visto nei suoi nel
momento in cui si era reso conto che aveva perso Camilla per sempre. Si limitò
ad annuire.
-Allora, buona fortuna, vicequestore Berardi- Renzo allungò
la mano e strinse energicamente quella di Gaetano.
-Anche a te, Renzo.
Il silenzio della notte avvolse il commissario che senza
nemmeno voltarsi a dare un’ultima occhiata alla finestra di Camilla si
allontanò stanco ed improvvisamente solo come non lo era mai stato in tutta la
sua vita.
Angolo dell’autrice:
premetto che non so come andrà a finire questa storia, nel
senso che già mentre scrivevo questo capitolo avevo delle idee che man mano si
sono modificate con lo scorrere delle dita sulla tastiera. Quello che vi deve
essere chiaro è che in questo momento non sono una fan di Camilla, perciò non
posso assicurare il lieto fine. Ho deciso che mi lascerò trasportare dalle
emozioni del momento mentre scrivo senza programmare troppo…del resto a noi le
cose vengono meglio quando non le programmiamo giusto? (cit. non del tutto
voluta). Per tale ragione ogni vostro commento sarà gradito e utile anche per
indirizzare il corso degli eventi.
Quella notte
non aveva praticamente chiuso occhio.
Per essere completamente sinceri, non aveva nemmeno passato
molto tempo a letto. La chiacchierata con Livia era andata per le lunghe,
perché Camilla si era trovata a narrare di fatto quanto accaduto negli ultimi
dieci anni della sua vita: sua figlia aveva ascoltato in silenzio,
interrompendola di quando in quando conalcune domande su passaggi, momenti, parole e gesti che non le erano
completamente chiari. Al termine di quello che in pratica era stato un
lunghissimo monologo, Livia si era alzata dal divano, aveva abbracciato la
madre e, presa la piccola di casa, si era ritirata nella propria camera.
Per qualche istante Camilla era rimasta senza parole, perfino
leggermente seccata dal mutismo della figlia, ma, tornata a sua volta in
camera, comprese quello che era appena accaduto. Il solo fatto di aver
finalmente tirato fuori tutto quello che aveva vissuto e provato in quegli anni
l’aveva fatta sentire infinitamente più leggera. Si era infilata sotto le
lenzuola con un piccolo sorriso che le increspava le labbra, forte di una
speranza, una sensazione di benessere, che la chiacchierata con Livia le aveva
regalato.
Poi, erano cominciati gli incubi: ad occhi chiusi, i ricordi
degli ultimi dieci anni si erano trasformati in un incubo senza fine, ma quando
si era svegliata di soprassalto, sudata e con il battito decisamente
accelerato, il senso di quegli incubi le era sfuggito. Non ricordava
esattamente cosa avesse sognato, ma una strana sensazione opprimente di ansia e
di angoscia aveva preso il posto della leggerezza con cui era andata a dormire.
Ed in quelle condizioni il sonno l’aveva lasciata.
Il pianto della piccola Camilla le offrì la scusa per
abbandonare definitivamente il letto ed occupare la mente con pensieri che non
fossero velati da una certa dose di inquietudine.
-Ehi, piccolina! Nemmeno tu riesci a dormire?- disse entrando
in quella che un tempo era la stanza degli ospiti, ora riadattata a nursery per
la neonata. Sollevò la piccola che continuava a manifestare la propria
disapprovazione per essere stata lasciata sola in quella grande camera,
cominciando a cullarla come era solita fare con la sua Livietta diciotto anni
prima.
-Mamma!- mormorò proprio Livia entrando in camera della
figlia con ancora gli occhi chiusi. –Che ci fai qui?
-Camilla piangeva…
-E sono io quella che dovrebbe alzarsi. O al massimo George.
Torna a dormire, che fra qualche ora devi essere a scuola.
-Adesso mi dai anche ordini, mammina?- ribatté divertita
Camilla, mentre con delicatezza lasciava quel fagottino rosa tra le braccia di Livia.
-Se servisse a qualcosa, lo farei- commentò la ragazza, ma il
tono di voce lasciava intuire che dietro a quella affermazione si nascondeva
molto altro.
Camilla avrebbe volentieri risposto a tono se solo ne avesse
avuto il tempo; un leggero bussare alla porta la costrinse ad affacciarsi in
corridoio per sincerarsi di non essere preda di allucinazioni uditive derivanti
dal poco sonno…o dall’avanzare dell’età.
Di nuovo delicati colpi sulla porta di casa.
Camilla e Livia si guardarono incuriosite, prima di dirigersi
verso la porta. Una rapida occhiata dallo spioncino (tanto per Camilla ormai
quella era una abitudine consolidata) e la porta si aprì lasciando entrare
Renzo.
-Papà!- mormorò Livia.
-Renzo! Che…che ci fate voi qui?- il plurale divenne d’obbligo
quando Camilla notò il passeggino sul pianerottolo accanto all’uomo. Non erano
state molte le occasioni in cui le era capitato di avere a che fare con il
secondogenito di Renzo e francamente non le era del tutto chiaro come questa
cosa la facesse sentire: l’istinto materno le faceva adorare anche quel
bambino, che, per uno strano scherzo del destino, assomigliava così tanto a
Livietta da piccola, mentre la ragione le urlava che quei cinquanta centimetri
di tenerezza erano il simbolo del fallimento del suo matrimonio.
Alla fine prevalse l’istinto e lasciò che Renzo spingesse
all’interno dell’appartamento il passeggino di Lorenzo.
-Scusa, Camilla, per l’ora. E me ne sarei anche andato se
nessuno mi avesse aperto, solo che…ho dimenticato le chiavi dell’appartamento a
casa di Carmen e lei sta dormendo, quindi…
-Tu e Lorenzo siete rimasti chiusi fuori casa.
-In pratica…
Camilla si ritrovò suo malgrado a sorridere: era capitato
anche a loro nei primi giorni con Livietta. A quell’epoca Renzo aveva cercato
rifugio dalla suocera al piano di sotto, anche se in quel caso l’idea di
svegliare la donna alle sei del mattino lo aveva messo stranamente di buon
umore.
-Vieni, dai. Ti preparo un caffè.
Livia salutò il padre e si richiuse in camera con la piccola
Camilla cercando di farla riaddormentare e soprattutto per evitare che una
nuova crisi di pianto della piccola Turner potesse svegliare lo…zio…Dio,
suonava tutto ancora così strano ed inquietante!
Camilla e Renzo, invece, si diressero verso la cucina con
Lorenzo che dormiva tranquillo incurante di quello che stava accadendo nel
mondo degli adulti.
Il silenzio tra i due era piuttosto pesante, complice anche
il fatto che Renzo sembrava fissare Camilla con un’espressione indecifrabile.
-Che c’è? Ho qualcosa in faccia?- chiese la donna ad un certo
punto.
-No! No, stai benissimo. Come sempre, del resto
-Uhm…ok.
Quella battuta le riportò alla mente le parole che un tempo
le aveva detto Gaetano, quando ancora si conoscevano da poco e lui, fin troppo
cavaliere e gentiluomo, si limitava a ricoprirla di complimenti velati e
gentili ma che la turbavano come non avrebbero dovuto. Ed all’improvviso l’idea
di essere lì con Renzo, a quell’ora del mattino, a parlarsi civilmente, la fece
sentire terribilmente in difetto, come se quella tregua (e forse persino pace)
ritrovata con Renzo altro non fosse che un espresso tradimento nei confronti di
Gaetano. Del resto, aveva allontanato entrambi gli uomini, ma mentre con Renzo
continuava ad esserci una inevitabile frequentazione, con Gaetano i rapporti si
erano praticamente troncati.
Davanti agli occhi le balenò l’immagine cristallina di un
Gaetano deluso tanto quando gli aveva mentito sulla notte passata con Michele.
E quel senso di disagio alla bocca dello stomaco tornò a coglierla
all’improvviso, facendole desiderare di ricacciare Renzo fuori dalla porta.
Aveva criticato aspramente il commissario per la sua immotivata gelosia fino a
poche settimane prima, arrivando a definirlo infantile ed immaturo nel bel
mezzo del centro di Torino, ed ora si ritrovava a pensare che probabilmente il
suo comportamento non era stato poi così esente da critiche e recriminazioni. Tutto
sommato Gaetano aveva avuto le sue buone ragioni per dire quello che aveva
detto, più e più volte, su lei, su Renzo, e in ultimo anche su Michele. Ma
perché solo ora riusciva a vedere lucidamente che le parole di Gaetano avevano
un fondamento più che solido? Che diamine era cambiato in pochi giorni? Perché
prima sentiva di dover attaccare Gaetano e ora le sembrava di essere dalla
parte del torto? Sprazzi della conversazione notturna con Livietta tornarono a
galla prepotenti, portando alla luce occasioni e circostanze nelle quali
avrebbe potuto, e anzi dovuto, comportarsi diversamente…per lei stessa, per
Gaetano e anche per Renzo stesso. E di nuovo quella sensazione viscida e
strisciante di angoscia si fece sentire, ancora più forte.
-Ho…chiamato l’avvocato- esordì Renzo, al quale scappò un
sorriso divertito vedendo l’espressione stupita di quella che ormai doveva
cominciare a considerare la sua ex moglie. –Che c’è? Pensavi me ne fossi
dimenticato?
-No…no…beh, in effetti mi sorprende che sia stato tu a fare
il primo passo, e così in fretta. Con tutto quello che è successo negli ultimi
mesi credevo che tu…
-…che io volessi approfittare di Camilla e Lorenzo per
prendere altro tempo?
La donna alzò le spalle confermando così le parole del
marito.
-No- continuò Renzo -diciamo che ho recepito il messaggio,
alla fine. Mi ci è voluto un po’ di tempo per capirlo e assimilarlo,
per…accettarlo, ma ora sono qui, depongo le armi. Desidero solo vivere in pace
con te, Livia, nostra nipote e anche con Carmen e Lorenzo.
Camilla puntò i suoi occhi in quelli di Renzo: non c’era
rabbia, delusione, frustrazione. Era sincero, o almeno lo sembrava.
-Come mai questo atteggiamento conciliante tutto ad un
tratto?
-Beh, abbiamo quasi rovinato il matrimonio di nostra figlia a
causa dei nostri litigi. Non voglio rischiare di rovinare anche l’infanzia di
Lorenzo. Io ho fatto il casino e io ne devo pagare le conseguenze, non lui. E
poi come hai tenuto a precisare anche in ospedale, tu mi vuoi bene, mentre io
ti amo. E non penso che questa sia una cosa che il tempo possa più sistemare
ormai.
Il contenitore del caffè scivolò dalle mani di Camilla, ma
lei quasi non se ne accorse: quelle parole, le parole che aveva detto a Renzo e
Gaetano in quel dannatissimo ospedale! Quelle stesse parole avevano aperto gli
occhi a Renzo sul fatto che il loro matrimonio era davvero finito; che effetto
avevano potuto avere allora su Gaetano, con cui la relazione, ancora agli
inizi, era così debole e fragile? LUI era debole e fragile: aveva cercato di
dirglielo in tutti i modi ma solo ora se ne rendeva conto…e il suo discorso, il
suo volersi sentire libera e indipendente, quel “vi voglio bene”…aveva
probabilmente distrutto anche la più piccola speranza di Gaetano. Cosa aveva
detto quando erano in macchina con Tommy? Che non era stanco di aspettare lei,
ma le sue decisioni? Oddio, lei aveva preso una decisione e adesso era
possibile che lui…che lui…ma non era questo che intendeva! Non era “quella”
decisione…
-Camilla, ti senti bene?
La donna annuì ma decise comunque che per precauzione era
meglio lasciar terminare a Renzo la preparazione di quel caffè. L’uomo tornò a
fissarla: la conosceva da una vita e poteva facilmente intuire cosa stesse
passando per la mente di Camilla.
-A proposito di…di quella conversazione in ospedale…
-Preferirei non parlarne, se non ti dispiace.
-Invece credo che dovremmo. Ho…ho visto Gaetano ieri sera. O
meglio, stanotte- Renzo fece una pausa di silenzio per lasciare a Camilla assimilasse
l’informazione, cosa che avvenne pochi secondi dopo. –Non preoccuparti, non
sono volati pugni, né ci siamo sfidati a duello all’alba.
Nonostante tutto, Renzo riuscì a strappare un accenno di sorriso
alla donna seduta sullo sgabello proprio di fronte a lui.
-Ti ha detto qualcosa? Di me?- Camilla temeva quella risposta
tanto quanto la bramava. Un contatto seppur indiretto con Gaetano, la
possibilità di sapere se dopo tutto lui ancora la stesse ancora aspettando.
Anche se non credeva di avere il diritto di sperare…
-Non esattamente…ecco, credo che lui…sì, insomma…credo se ne
sia andato, ecco.
Questa volta Renzo dovette attendere qualche secondo di più
perché Camilla cogliesse il senso profondo della sua affermazione. Ci aveva
pensato tutta la notte: doveva raccontare a Camilla di quell’incontro notturno?
Di certo, il vicequestore non aveva posto condizioni quando si erano saluti,
non gli aveva detto di lasciare Camilla fuori da tutta questa faccenda. Del
resto, se se n’era andato nel cuore della notte,
forse voleva proprio evitare che la donna venisse a conoscenza di questa
novità. Ad ogni modo Camilla lo avrebbe scoperto prima o poi (e conoscendo le
sue dote investigative più “prima” che “poi”) e poco sarebbe cambiato se lo
avesse saputo da Renzo o lo avesse scoperto da sola.
-Cosa vuoi dire con
“se n’è andato”?- Camilla schizzò in piedi con un’agilità che non credeva più
di possedere almeno dai tempi del liceo, e forse nemmeno allora, ma le parole
di Renzo avevano scatenato quel mostro interiore che da qualche ora gironzolava
liberamente tra lo stomaco e il petto.
-Andato. Andato. Aveva una borsa. Andato- continuò a ripetere
Renzo gesticolando e cercando di evitare di rivelare i dettagli della conversazione.
Giunto a questo punto, forse comprendeva perché aveva esitato tanto prima di
decidersi a parlarne a Camilla.
-Sii più preciso, per favore! Aveva un borsone? Che borsone?
Era grande, piccolo? Che ti ha detto?- il tono concitato tradiva l’avvenuto
superamento di qualsiasi soglia di controllo: l’ansia era ormai degenerata in
panico totale. Era come divisa in due: da un lato il suo cervello voleva sapere
il più possibile da Renzo (ed era disposta anche alla tortura se si fosse resa
assolutamente necessaria), dall’altro il suo corpo le gridava di prendere la
via della porta e di andare a controllare di persona cosa stava succedendo
nell’appartamento di fronte.
Alla fine fu il corpo a prevalere sulla mente e senza nemmeno
rendersene conto si trovò davanti alla porta di casa di Gaetano. Suonò il
campanello più volte, bussò alla porta con crescente impazienza. “Adesso apre.
Adesso viene ad aprire” continuava a ripetere dentro di sé in una sorta di mantra.
-Camilla…- Renzo l’aveva seguita più per paura che potesse
mettersi a tentare di sfondare la porta a spallate che per reale interesse.
-Adesso arriva, vedrai. È sotto la doccia o ancora a letto,
ma vedrai che viene.
Fu quello il preciso istante in cui per la prima volta in
tutta la sua vita Renzo si rese conto di quanto Camilla amasse Gaetano Berardi:
quegli occhi così spaventati all’idea di averlo perso per sempre, la voce
tremante, quel suo volersi convincere che a breve Gaetano avrebbe aperto la
porta e tutto sarebbe tornato alla normalità. Avrebbe voluto che il suo ultimo
gesto da marito fosse quello di poter alleviare il dolore che le sarebbe
derivato dalla consapevolezza che lui, Gaetano, non era più lì, dove lei lo
aveva sempre cercato e trovato. Accanto a lei.
-Camilla- tornò a ripetere questa volta passandole un braccio
attorno alle spalle per costringerla con tutta la dolcezza di cui era capace in
una simile circostanza ad allontanarsi da lì. Lei sollevò gli occhi ormai pieni
di lacrime e si aggrappò con la poca forza che le era rimasta alla giacca di
Renzo.
Livia lì trovò così, stretti in quello strano abbraccio,
intuendo perfettamente cosa doveva essere appena successo. E senza bisogno di
aggiungere altro, si avvicinò ai genitori stringendoli entrambi a sua volta.
Angolo dell’autrice:
dunque, che dire? Il percorso che riportrà
Camilla tra le braccia di Gaetano (forse?) è appena cominciato.Lei aveva bisogno di tempo per capire…e
quindi il riavvicinamento tra i due sarà graduale. Entrambi hanno molto da dire
e da spiegare a questo punto e forse dovranno trovarsi a metà strada se
vogliono avere la seranza di rimettere insieme i
pezzi di questo rapporto. Insomma…bisogna continuare a leggere er scoprire come andrà =)
Il suono della campanella, già
molesto di per sé soprattutto per la popolazione studentesca, era
insopportabile anche per le orecchie di Camilla quella mattina.
La professoressa Baudino presentava tutti i classici sintomi del
post-sbronza: mal di testa, occhi gonfi e arrossati, difficoltà di
concentrazione, agitazione. Le sarebbe piaciuto poter affermare di aver almeno
goduto dei benefici di quella sbronza! Invece, se si ritrovava in quelle
condizioni pietose, non doveva ringraziare una buona dose di alcool
(preferibilmente vermouth), ma la lunga (anzi, oserebbe dire la più lunga della
sua vita) sessione di pianto mattutina, sdraiata nel suo letto cullata dal
silenzio di quelle quattro mura che già altre volte l’avevano trovata in
lacrime.
Quando era rientrata in casa quella
mattina, sorretta a forza da Renzo e da Livia, era corsa a rifugiarsi in
camera, con la non tanta velata idea di chiudercisi dentro per sempre ed
isolarsi dal mondo: aveva appena perso l’amore della sua vita, la sola persona
che le era sempre stata accanto “nella buona e nella cattiva sorte” (ironico, a
pensarci), l’uomo che (e di questo ne era assolutamente certa) non l’avrebbe
mai tradita o fatta soffrire…che altro poteva contare di più? Di fatto, Camilla
sapeva che c’erano ancora alcune persone che, inspiegabilmente, dipendevano da
lei: Livia, sua nipote Camilla, i suoi studenti…
Aveva trovato la forza di
rialzarsi, rendersi presentabile quanto le circostanze lo permettevano: in
bagno si fermò a guardare lo specchio che le rimandò l’immagine di una donna
che proprio non riusciva a riconoscere. E le parole dette all’amica Francesca
qualche mese prima proprio in quel bagno la colpirono con un’intensità
indescrivibile: “mi sa che l’ostacolo sono io”. Dio, quanto aveva avuto
ragione! Lei aveva fatto e disfatto la sua relazione con Gaetano, lei lo aveva
illuso e poi abbandonato senza spiegazioni…o meglio con quel terrificante
discorso davanti alla macchinetta del caffè. Poteva forse biasimarlo se ora lui
se n’era andato senza nemmeno un saluto, una parola? No, chiaro. Non poteva
pretendere più nulla da lui. Eppure, sentiva una vuoto talmente grande dentro
di lei…addirittura più grande di quello lasciato dal tradimento di Renzo: forse
perché una parte di lei (anche se piccola e tenuta ben nascosta) aveva sempre
saputo o temuto che Renzo potesse tradirla nuovamente, come era già capitato in
precedenza, ma con Gaetano…si aspettava che Gaetano ci sarebbe sempre stato per
lei. Aveva tirato la corda una volta di troppo e ora la corda si era spezzata.
Il leggero bussare di Livia alla
porta l’aveva costretta ad uscire e a mostrarsi per quello che era: una donna
distrutta e senza più energie. Con Gaetano se n’era andata anche una parte di
lei.
-Mamma, se vuoi chiamo a scuola e
chiedo ai tuoi colleghi di sostituirti per oggi.
Camilla aveva scosso il capo e
abbozzato un sorriso che le era costato un’immensa fatica.
-No, tesoro. Lavorare un po’ mi
farà bene. E comunque entro alla terza ora, oggi. Ho ancora tempo per rendermi
presentabile.
-Mamma…
-Davvero, Livietta, sto bene. Starò
bene.
Livia era rimasta ancora qualche
secondo davanti alla porta, l’espressione di chi vorrebbe dire ancora milioni
di cose, ma non ne ha il coraggio.
Ripensandoci ora, chiusa nel bagno
del Nelson Mandela nel vano tentativo di asciugare le lacrime che a tradimento
continuavano a scendere, avrebbe fatto bene a seguire il consiglio della figlia
e restarsene a casa, sepolta sotto le coperte e nascosta agli occhi del mondo
che sembravano giudicarla ad ogni passo.
La campanella arrivò puntuale ad
annunciare implacabile la fine dell’intervallo.
Camilla raccolse la sua borsa e
rassegnata si indirizzò verso la sua 5B, l’ultima classe che avrebbe voluto
avere quel giorno: Sara, Ambra e Niccolò le avrebbero sin da subito ricordato
lui, Gaetano. E non era certa di riuscire a sopportare i ricordi che quei tre
volti avrebbero portato con sé.
Cercò di tenere gli occhi bassi,
puntati sulla cattedra e sul registro.
-Prof., non sta bene?
Ma perché tra tutti proprio Ambra
doveva aprire bocca per prima? Era una ragazza dolce e simpatica, ma in quel momento
l’avrebbe strozzata volentieri…con affetto parlando. Ambra tra tutti comportava
una serie di ricordi particolarmente dolorosi: alcuni dei momenti più belli
trascorsi con Gaetano erano legati alle indagini per l’omicidio della sua amica
Nancy. “Dovunque tu vada, io vengo con te”…ormai non era più così. Lui era
andato e lei non poteva più seguirlo. Una nuova ondata di pianto si affacciò
prepotentemente nei suoi occhi, ma con una forza che non sapeva nemmeno di
avere Camilla ricacciò tutto indietro.
-No, Ambra, oggi non sto molto
bene, in effetti.
-Vuole che vada di sotto ad
avvertire il suo amico commissario? Così la accompagna a casa, se vuole.
Camilla sentì la stanza girare
vorticosamente attorno a lei. Doveva aver capito male: pure le allucinazioni uditive,
adesso!
-Prof.?
Ambra, sempre più preoccupata,
lanciò un’occhiata verso i compagni.
-Vado io a chiamare il commissario-
intervenne Niccolò.
-No!- allora non aveva sognato, non
era preda di allucinazioni. Gaetano era lì! Era talmente sconvolta da non
riuscire a comprendere cosa provava in quel momento: gioia, sollievo, paura,
ansia, inquietudine…e altre mille emozioni tutte insieme, unite in un mix
esplosivo che le stava togliendo il respiro.
Riuscì ad alzarsi dalla sedia e a
mantenere una parvenza di autocontrollo.
-Ragazzi, voi ora state tranquilli
qui, mentre io raggiungo il commissario Berardi- poter pronunciare quel
nome…non le era mai suonato così bene con in quel momento.
I primi passi furono lenti e
titubanti, poi dovette controllarsi per evitare di correre. In altre
circostanze, il primo pensiero sarebbe stato quello di domandarsi perché un
vicequestore era appena entrato nella sua scuola, ma in quel momento la sua
mente era rivolta solo ed esclusivamente solo a Gaetano, al fatto che era a
pochi metri da lei, proprio nel giorno in cui credeva di averlo perso per
sempre. Potevano chiamarlo destino, fato, caso, coincidenza…non gliene
importava nulla! Il suo Gaetano era lì e lei aveva la possibilità di chiarire
quell’assurda situazione.
Giunta a pian terreno, Camilla si
rese subito conto che il suo compito sarebbe stato più difficile del previsto.
A guardia della sala professori erano stati lasciati la Lucianona
e Torre, ma mentre la prima le rivolgeva un timido sorriso (senza farsi
scorgere più di tanto dal marito, a quanto sembrava) l’espressione del secondo
era dura e severa. Evidentemente era stato messo al corrente da Gaetano di
quanto accaduto qualche settimana prima e come il migliore degli amici si era
schierato dalla parte del commissario.
-Professoressa- la salutò la Lucianona, ignorando l’ultima eloquente occhiata di
disappunto da parte del marito.
-Buongiorno- rispose con una
timidezza che non le era mai appartenuta; non riusciva nemmeno a sostenere lo
sguardo di rimprovero di Torre: sapeva di meritarlo, questa era la verità, ma
questa consapevolezza non la faceva sentire meglio. –Come mai qui?
-C’è stato un omicidio- si affrettò
a precisare l’agente Balocco.
-Omicidio? A scuola?
-No, ma è la vittima è…
-Ehm, ehm…- si intromise Torre riportando
la moglie al silenzio.
La Lucianona
alzò gli occhi verso Camilla cercando di farle capire che se fosse stato per
lei avrebbe già spiattellato tutto, ma non era aria in confidenze. Perlomeno
non con lei.
Camilla comprese, ma arrivata a
quel punto non poteva andarsene di lì senza sapere se lui era a pochi metri da
lei, separato solo da una insignificante porta in legno, peraltro malandata.
-Il dottore è dentro?- non sapeva
dove aveva trovato il coraggio per fare quella domanda, soprattutto alla presenza
di un Torre deciso più che mai a proteggere il suo superiore da altre batoste.
Fortunatamente non fu necessaria
una risposta da parte di Torre: la porta alle sue spalle si aprì pochi istanti
dopo e davanti a lei si materializzò la figura alta, snella e perfetta di
Gaetano.
Al commissario sembrò mancare la
terra sotto i piedi. Incrociava quegli occhi per la prima volta da settimane e
nonostante tutto il dolore che la donna davanti a lui gli aveva causato non
riusciva a smettere di sentire quel suo stupido cuore galoppare come un cavallo
impazzito. Poteva comandare alla sua testa ed al suo corpo di allontanarsi da
lei, ma non poteva fare nulla per quell’organo che continuava a battere per
lei. Lei gli sorrise timidamente, un accenno all’angolo della bocca. Gaetano la
guardò con attenzione e non poté fare a meno di notare gli occhi gonfi e
l’espressione stanca: la nipotina doveva tenerla sveglia la notte…o forse era
qualcun altro a tenerla sveglia e in modi che gli stavano facendo desiderare di
strapparsi mente e cuore.
Fu quel pensiero, che lo attraversò
come un fulmine, a ridestarlo e a dargli la forza di mantenere il distacco da
lei.
-Torre, Balocco. Accompagnate la
professoressa Ronco in commissariato. Io devo passare dal medico legale e poi
vi raggiungo.
-Comandi, dottò!
Torre sembrò felice di avere una
scusa per allontanarsi dalla linea di fuoco; indicò con gentilezza alla collega
di Camilla di precederlo verso l’uscita dell’istituto, seguito poi a ruota
dalla Lucianona, che, invece, sembrava voler restare
per sapere come sarebbe andata a finire tra i due.
-Gaetano- il tono di voce usato era
talmente basso che Camilla stessa non fu sicura di aver davvero pronunciato il
nome dell’uomo.
Sentire il suo nome pronunciato da
Camilla, fece perdere un altro battito al cuore già malconcio del commissario
Berardi: non poteva evitare di restare lì in mezzo al corridoio a fissarla, le
mani infilate in tasca per precauzione, onde evitare che una parte di lui
arrivasse a comandar loro di sfiorarle il viso. Quegli occhi continuavano
nonostante tutto ad ipnotizzarlo, quelle labbra ad attirarlo a lei. Sarebbe mai
arrivato il giorno in cui il suo corpo non avrebbe più reagito agli stimoli che
la vista di Camilla gli provocavano? Probabilmente no, questa era la verità. Forse
quella doveva essere la sua punizione per aver osato innamorarsi di una donna
sposata, madre di una bambina piccola, ora però nonna…single ed indipendente.
-Gaetano, ti prego, possiamo
parlare?- nel pronunciare quelle parole, Camilla appoggiò una mano con
delicatezza sul braccio del commissario, che si ritrasse come scottato.
L’uomo fissò il punto in cui
Camilla lo aveva sfiorato incapace di comprendere come anche solo quel lieve
tocco potesse ferirlo e farlo sprofondare ancora di più nel baratro da cui
stava disperatamente tentando di uscire.
-Devo andare- fu l’unica cosa che
riuscì a dirle, senza nemmeno più guardarla negli occhi, senza voltarsi
indietro nonostante lei lo stesse chiamando, questa volta a gran voce.
Mentre usciva dall’istituto Mandela
una leggera folata di vento primaverile gli accarezzò il viso e sentì freddo;
estrasse la mano destra dalla tasca e si toccò la guancia: era umida. Stava
piangendo.
***
-Mi scusi, commissario, non sarebbe
possibile fare entrare anche Camilla?
Non era per niente facile dire di
no a quella richiesta avanzata da Anna Ronco. Innanzitutto, era leggermente da
ipocrita invocare proprio ora quelle regole che impedirebbero l’interferenza
dei non addetti ai lavori durante un atto di polizia giudiziaria: il commissario
aveva infranto talmente tante volte (e soprattutto con enorme piacere) quelle
regole che era un miracolo non l’avessero ancora sbattuto a dirigere il
traffico o peggio cacciato dalla Polizia di Stato. Inoltre, Anna Ronco gli
piaceva: sembrava una donna gentile, seriamente afflitta per la morte del
marito e bisognosa di un conforto, di una spalla cui appoggiarsi in quello che
poteva essere il momento peggiore della sua vita.
Certo, Gaetano avrebbe preferito
che la professoressa scegliesse una spalla diversa da quella di Camilla, ma nel
momento esatto in cui gli era stato comunicato che la vittima era il marito di
una professoressa del Nelson Mandela, aveva subito capito che non ci sarebbe
stato modo di tagliarla fuori dalle indagini. E benché una parte di lui fosse
felice di questa coincidenza, si stava sforzando in ogni modo di mettere dei
confini, di tenere Camilla lontana da lui il più possibile. Del resto, tutto
era cominciato così, no? Un cadavere, un vermouth e lui era capitolato prima
che potesse rendersi conto del casino in cui si stava andando ad infilare.
Perciò, quando Torre gli aveva timidamente suggerito che forse quello era
destino, Gaetano l’aveva guardato torvo e aveva replicato che se proprio
bisognava dare un nome a quella circostanza, il più appropriato sarebbe stato
“sfiga”!
Ad ogni modo, lui restava un uomo
perbene e davanti a una simile richiesta non poté fare altro che acconsentire e
con un cenno del capo diede a Torre l’ordine di fare entrare la prof.. Prima
ancora che Camilla entrasse nel suo ufficio, lui ne percepì il profumo; Dio,
stava diventando completamente pazzo, questo era certo. Inspirò profondamente,
alla ricerca delle energie necessarie per tenere sotto controllo da un lato la
rabbia ed il dolore, dall’altro la forte attrazione che provava ancora per
quella donna.
Alzò gli occhi quanto bastava per
indicarle con la mano la sedia libera accanto a quella della professoressa
Ronco; poi, tornò ad ignorarla, cercando di autoconvincersi che lei non fosse
affatto lì.
-Come le dicevo, sig.ra Ronco,
vorrei solo farle qualche domanda su suo marito per cercare di ricostruire i
suoi ultimi movimenti.
La donna annuì dopo aver lanciato
un’occhiata a Camilla.
-Ho mandato alcuni dei miei uomini
a perquisire il vostro appartamento e mi hanno riferito di aver rinvenuto delle
borse da viaggio, piene di effetti personali di suo marito, sig.ra Ronco.
-Sì, sì. È così. In effetti, io e
mio marito ci siamo lasciati qualche settimana fa. Ieri mi ha telefonato per
informarmi che sarebbe passato per ritirare alcune delle sue cose. Io ho
preferito restare fuori…sa, non era una situazione facile.
-Quindi lei e suo marito non
eravate in buoni rapporti a causa del divorzio?
-Beh…
-Divorziare non comporta
necessariamente non essere in buoni rapporti con il proprio ex- intervenne
Camilla, incapace di resistere alla tentazione di commentare ogni affermazione
o domanda del commissario, come suo solito, come se nulla tra loro fosse cambiato.
L’occhiata gelida che le restituì
Gaetano le ricordò che, invece, le cose erano totalmente differenti, ora.
-Lo so benissimo anche da me, mi
creda, professoressa Baudino.
Camilla non seppe dire cosa le fece
più male: se il tono assente usato da Gaetano, il significato sottointeso delle
sue parole o il fatto che l’avesse chiamata per cognome, tornando addirittura a
darle del “lei”. “Adesso per ripassare dal tu al lei ci vuole una buona ragione”:
alla fine, a quanto pare gli aveva dato un buon motivo per rimangiarsi quel
“tu” venuto tanto spontaneo molti anni prima.
Camilla incassò il colpo cercando
di dissimulare la sua delusione per quanto avvenuto e per la calma che
ostentava Gaetano mentre la torturava con ogni singola parola che usciva dalla
sua bocca. Ma era tutta apparenza: il vicequestore era tutto fuorché calmo.
Dentro di lui il cuore pulsava così forte che, ne era certo, prima o poi
sarebbe schizzato fuori dal petto…almeno avrebbe messo fine alla sua agonia, si
ritrovò a pensare!
-Quello che volevo dire…
-Non importa- la interruppe
Gaetano. -Può rispondere tranquillamente la sig.ra Ronco, o sbaglio?
-Certo! certo! Io…non posso dire
che Marco avesse preso bene la mia decisione- continuò Anna - ma del resto ci
eravamo già lasciati nove mesi fa…quindi in un certo senso ci era già passato.
-Mi scusi, non credo di aver
capito. Quando ha lasciato suo marito? Nove mesi fa o poche settimane fa?
Anna Ronco sorrise: -Ha ragione,
commissario, mi scusi. Forse è il caso che cominci dall’inizio.
Gaetano annuì preparandosi a
prendere appunti con la sua fidata Montblac che anni
prima gli aveva regalato sua madre, quando era stato nominato per il suo primo
incarico importante nella capitale. In sostanza pochi giorni prima di
incontrare Camilla.
-Circa dieci mesi fa ho scoperto
che mio marito mi tradiva con la sua ex…
-Pure lui- commentò Gaetano mentre
segnava la circostanza sul suo taccuino; il silenzio che ne seguì lo informò
che il suo pensiero si era effettivamente espresso ad alta voce, così da essere
udito sia dalla professoressa Ronco che da Camilla. Avvampò all’istante e
incapace di aggiungere altro invitò la donna a proseguire il suo racconto con
un gesto della mano.
-Sì, insomma, ho provato per qualche tempo a
passarci sopra, ma alla fine non ce l’ho fatta e l’ho lasciato. Qualche mese
dopo ho intrapreso una relazione con un mio collega, il vicepreside Maffei, e
andava tutto bene, fino a quando mio marito non è tornato a farsi avanti.
-Davvero?- questa volta Gaetano
sapeva perfettamente di aver dato voce ai propri pensieri e non nascose nemmeno
il suo tono sarcastico, che Camilla colse al volo.
-Già. Mi chiese scusa, disse che si
era pentito, che eravamo una famiglia e che gli dovevo una seconda possibilità,
se non per lui almeno per nostro figlio.
-E lei che ha fatto?
-Quello che credevo giusto al
momento. Ho lasciato Maffei e mi sono ripresa mio marito. Ma è stato uno
sbaglio: ero ormai innamorata di un altro e ho deciso di buttarmi, come mi ha
consigliato Camilla. Così qualche settimana fa ho lasciato mio marito…questa
volta definitivamente.
Gaetano quasi si strozzò con la sua
stessa saliva.
-Mi scusi…Camilla, voglio dire la
professoressa Baudino le avrebbe suggerito di
buttarsi?- gli occhi del commissario si voltarono di scatto verso Camilla
fissandola con espressione indecifrabile.
-Già. Lei mi ha davvero aperto gli
occhi: stavo per commettere un grandissimo errore tornando con mio marito. Non
so come avrei fatto senza il suo aiuto.
-Immagino- il sarcasmo era ormai
alle stelle e francamente al commissario importava ben poco di celarlo. Vide
Camilla muoversi a disagio sulla sedie che le era stata assegnata e provò una
buona dose di soddisfazione nel vederla abbassare gli occhi in imbarazzo.
Il resto del colloquio fu un buco
nero per Camilla, che non riuscì più ad ascoltare una sola parola di quel
dialogo. La sua mente si era cristallizzata su quanto detto da Anna e sul
consiglio di buttarsi il passato alle spalle e di viversi la sua storia con
Maffeis: in effetti, non aveva proprio usato quelle parole, ma il sunto era
nella sostanza piuttosto corretto. E tutto sommato lo pensava ancora: Anna
aveva fatto bene a chiudere con il marito per dedicarsi a Matteo. Ma quello che
proprio non riusciva a comprendere era il motivo per cui le era risultato tanto
facile ed ovvio dare quel consiglio ad Anna, mentre quando si era trattato di
seguire le sue stesse parole non ce l’aveva fatta. Non solo aveva in qualche
modo permesso a Renzo di rifarsi avanti (anche se lei non l’aveva mai vista in
quel modo), ma aveva anche dato l’impressione a Michele che potessero
riprendere da dove avevano interrotto più di vent’anni prima. Invece di andare
avanti, lei aveva continuato ad andare indietro, sempre più indietro. Poteva
correre verso Gaetano, verso un futuro nuovo e sereno, invece…
-Camilla?- la voce di Anna la
richiamò dai suoi pensieri.
-Sì?
L’amica era già in piedi, mentre
Gaetano la guardava perplesso, con un sopracciglio ad altezza preoccupante.
-Il commissario ha detto che
possiamo andare.
-Ah, sì. Sì!- Camilla raccolse la
sua borsa che giaceva accasciata sul pavimento. Mosse i primi passi verso la
porta seguendo Anna, ma a pochi centimetri dall’uscita si voltò verso Gaetano,
un’espressione sul volto che era un misto di sollievo e delusione, e tornò
verso la scrivania, piazzandosi proprio davanti al commissario, che ora, abbandonata
ogni traccia di delusione, la guardava torvo. –Tu vai pure, Anna; io devo dire
ancora un paio di cose al commissario.
Lo sguardo di sfida negli occhi di
Camilla convinse Gaetano a cedere prima di dare vita ad una lotta che lo
avrebbe visto soccombere alla prof. davanti non solo ad alcuni dei suoi
sottoposti, ma anche a quella che per lui era a tutti gli effetti un’estranea.
Camilla attese che Torre chiudesse
le porte dell’ufficio di Gaetano alle sue spalle, garantendole una certa dose
di privacy; poi tornò a puntare le sue iridi nocciola in quelle azzurre del
commissario, notando solo in quel momento quanto quel colore di solito
brillante e luminoso era stato rimpiazzato da una sfumatura più cupa e fredda.
-Ho visto Renzo stamattina- esordì,
ma si pentì immediatamente della scelta delle parole quando vide Gaetano
irrigidirsi ed incupirsi ancora di più.
-Mi fa piacere per voi- ribatté
piccato. Era già abbastanza spiacevole essere stato costretto a “subire”
nuovamente la sua intrusione proprio ora che aveva deciso di mantenere le
distanze da lei; dover pure assistere al ritrovato idillio tra Camilla e Renzo
gli pareva francamente troppo.
-No! Non intendevo…
-Non mi importa cosa intendevi,
Camilla. Avrei da lavorare, se non ti dispiace- disse con tutta la calma che
riusciva ad ostentare indicando con fermezza la porta.
-Invece adesso mi devi ascoltare,
Gaetano!
La determinazione di Camilla non
riuscì a scalfire almeno in apparenza la normale compostezza del commissario:
per la prima volta la professoressa si ritrovò a rimpiangere gli scatti d’ira
di Gaetano di qualche giorno prima. Almeno quelle esplosioni erano la prova
evidente che lui provava qualcosa per lei. Ora sembrava essergli totalmente
indifferente. Era possibile che Gaetano fosse andato avanti così rapidamente?
-Devo, Camilla? Sul serio?
-Beh, almeno sei tornato a darmi
del tu- commentò acida la donna. –E comunque sì, mi devi ascoltare.
-Come hai sempre fatto tu con me,
vero?
- D’accordo, sei arrabbiato, lo
capisco.
-Lo capisci? TU LO CAPISCI?- sbottò
il vicequestore ormai incapace di trattenersi oltre. Per troppo tempo aveva
ascoltato e subito tutto, o quasi, dalla prof. nella convinzione che sarebbe
arrivato anche il suo momento, prima o poi. E proprio quando aveva creduto che
finalmente fosse giunto il suo turno, lei aveva di nuovo scombinato tutte le
carte lasciandolo con niente in mano, ma con un gran senso di vuoto dentro di
sé. Non era in grado di fingere ancora che tutto andasse bene. –No, Camilla, tu
non capisci, perché se davvero tu capissi sapresti che mi hai distrutto, in
tutti i modi in cui un uomo può essere distrutto, e non avresti mai avuto il
coraggio di presentarti qui a pretendere che io ti ascoltassi!
Gaetano si rese conto di aver
pronunciato quelle parole praticamente in apnea; inspirò a fondo nella speranza
di recuperare un minimo di controllo, ma il contatto visivo con Camilla non gli
rendeva la cosa piuttosto semplice, al contrario. Lei lo fissava con quei due
occhi cioccolato sbarrati, evidentemente sorpresa dalla reazione irruenta del
commissario.
-Mi dispiace- riuscì a mormorare
sottovoce la donna ancora colpita e confusa da quelle parole, il tono
decisamente più mite rispetto a qualche istante prima. Avrebbe voluto
continuare, dire molto altro oltre a il solito e banale “mi dispiace”, ma il
commissario fu più veloce di lei.
-Per cosa ti dispiace?- era come se
in Gaetano si fosse aperta una diga: per la prima volta da tempo riusciva
davvero a dare voce ad ogni suo pensiero ed era difficile ora arginare quel
fiume in piena, anche se razionalmente sapeva che continuando per quella via
avrebbe finito col dire qualcosa di irreparabile, qualcosa che non avrebbe mai
potuto ritrattare. Ma, del resto, giunto a quel punto non vedeva comunque un
futuro con Camilla. – Per cosa esattamente ti dispiace? Per aver lasciato tuo
marito? Per essere venuta a letto con me? Perché ti amo e ho continuato a
ripetertelo e dimostrartelo in ogni modo, nonostante tu continuassi a tenermi
lontano? Per aver lasciato che Renzo si mettesse tra noi con mezzi subdoli che
tu hai assecondato? Per il “vi amo anche io” in ospedale? Per avermi mentito
guardandomi negli occhi dando un alibi a Michele? Per avermi detto di aver
passato la notte con lui, sapendo che mi avresti spezzato il cuore come uomo,
prima che come tutore della legge? Per aver goduto nel vedermi geloso e
fragile? O, infine, per avermi mollato come un idiota davanti ad una
macchinetta del caffè senza nessuna spiegazione? Dimmi, Camilla, per cosa
esattamente ti dispiace?
Camilla puntò gli occhi sul
pavimento, ripassando nella sua mente tutti i momenti della loro breve
relazione che Gaetano aveva appena elencato con rabbia e frustrazione. Quanto
era stata stupida a pensare di poter parlare semplicemente con l’uomo davanti a
lei e sistemare la situazione! L’aveva ferito tante di quelle volte e in tanti
di quei modi che stentava a riconoscersi lei stessa…dopo quello che aveva
passato con Renzo, dopo quanto aveva sofferto per amore, aveva inflitto lo
stesso dolore alla persona più importante della sua vita, dopo Livietta.
-Io…io…mi rendo conto di aver fatto
cose di cui nemmeno io stessa vado fiera, ma…vorrei che tu…tu capissi che per
me non era una situazione semplice.
La risata di Gaetano risultò fin
troppo sarcastica alle orecchie di Camilla.
-Io devo capire? Di nuovo?
-Non voglio trovare
giustificazioni, Gaetano, te lo assicuro- ribatté la donna, la cui vista era
sempre più annebbiata: se per le lacrime che minacciavano di esplodere o per l’arrivo
dell’ennesimo attacco di panico, ancora non le era chiaro. Quello di cui era
assolutamente certa era che se non fosse riuscita a spiegarsi con Gaetano
avrebbe finito col perderlo definitivamente. Era una sorta di ultima
possibilità e non poteva permettersi che delle stupide debolezze le impedissero
di ritrovare il suo Gaetano. Cercò di mettere ordine nelle sue idee, peraltro
ancora molto confuse, perché se da un lato sapeva di volere Gaetano nella sua
vita, dall’altro non riusciva ancora a rendersi conto delle ragioni che l’avevano
davvero portata ad essere così scostante con lui negli ultimi mesi. -È solo che
dopo il tradimento di Renzo io non mi sono sentita in grado di fidarmi più di
nessuno. Nemmeno di te, anche se so che tu sei sempre stato l’unico di cui
avrei mai potuto fidarmi ad occhi chiusi. E non potevo rischiare, capisci? Se avessi
sbagliato e ti avessi perso…per me sarebbe stato…orribile. Avevo solo bisogno
di tempo. HO solo bisogno di tempo.
Gaetano scosse il capo incredulo:
quante volte aveva già sentito quel discorso?
-E te lo avrei dato se solo tu mi
avessi dato qualche certezza in più. Ma tu pretendevi i tuoi tempi e i tuoi
spazi, mentre io dovevo restarmene buono in un angolo ad aspettare che tu mi
cercassi, che tu fossi pronta. Non volevo che tu mi sposassi, ma che almeno mi
facessi capire che contavo qualcosa per te, che non era solo una questione di
sesso, che vedevi un futuro. Se ti chiedevo di chiudere con Renzo, di firmare
quella maledetta separazione, non era per gelosia. Non solo, almeno. Per me
significava mettere in chiaro come stavano le cose con me, con Renzo, con
tutti: avere dei punti di riferimento. Invece ti ha fatto piacere essere
corteggiata da Renzo, ora persino da Michele. È la tua rivincita, in un certo
senso. Ma io? Cosa dovrei fare io? Restare a guardare, ad aspettare, mentre tu
decidi chi di noi avrà la meglio? No! Io non sono quel tipo di uomo: ho
sopportato per dieci anni e l’ho fatto unicamente perché eri sposata e
rispettavo la tua scelta di mettere sempre e comunque al centro la tua
famiglia. Ma questo teatrino no, non chiedermi di sopportarlo. Se dopo dieci
anni hai ancora bisogno di capire se sono l’uomo giusto, se devo ancora essere
messo sotto esame e passare il test contro Renzo e adesso pure contro Michele,
no. Lascio la partita. Io mi tiro fuori da questa equazione.
Il tono si fece improvvisamente più
tranquillo e questo spaventò Camilla molto più delle urla di poco prima.
Gaetano circumnavigò la scrivania finendo col trovarsi davanti alla
professoressa e guardandola negli occhi.
-La verità, Camilla, è che non
saresti mai dovuta venire da me quella notte- disse, anche se far uscire quelle
parole dalla bocca gli costò uno sforzo immenso.
-Cosa?- la voce stridula di Camilla
tradì la sua delusione, il suo cuore che si spezzava.
-Non saresti mai dovuta venire da
me quella notte: non eri sicura di me, di te, di noi. Ma sapevi quanto io
tenessi a te, quanto per me fosse importante quel momento: ho aspettato dieci
anni…ti ho amata per tutto questo tempo accontentandomi del poco che potevi
darmi e mi andava bene così. Poi hai bussato alla mia porta e, nonostante non
fossi affatto sicura di noi, hai deciso comunque di illudermi, di farmi credere
che finalmente eri pronta per accettare quello che c’era tra noi. Ancora una
volta era tutto solo nella mia testa: per tutti questi anni ho sempre creduto
che tu fossi innamorata di me, ma…ero solo una tentazione, tutto qui.
-No! No! Non è così!- la battaglia
con le lacrime era ormai persa: Camilla riusciva a malapena a scorgere i
contorni del viso di Gaetano. -Io…io volevo stare con te. Voglio stare con te.
-Ma non siamo una coppia, giusto?
Quindi, come funzionerebbe questo rapporto? Verresti a letto con me ogni tanto,
magari quando non sei troppo impegnata a fare la mamma o la nonna, scivoleresti
via nel cuore della notte per non farti scorgere da Livia, ti intrufoleresti
nelle mie indagini, ma poi ognuno a casa sua? Questo è quello che vorresti?
Camilla era perfettamente a
conoscenza che non esisteva una risposta corretta a quella domanda.
-Vedi? Non lo sai nemmeno ora. Sei
qui a cercare di convincermi di cosa, esattamente? Che vuoi stare con me senza
stare con me? Io voglio tutto, Camilla: non voglio qualche ora di sesso o una
serata di coccole sul divano. Te l’ho già detto una volta: io non ho intenzione
di ricoprire il ruolo dell’amante…e nemmeno dell’amico da portarsi a letto
senza impegno. Non so cosa tu pensi di me, ma non sono quel genere di uomo.
Gaetano fece appena in tempo a
terminare la frase, quando la mano di Camilla colpì il suo viso costringendolo
ad arretrare di qualche passo. Con la mano ancora a mezz’aria la donna cominciò
a tremare: -Scusami, scusami…io non…io non…
-Professoressa!- la voce di Torre
la raggiunse alle spalle. Camilla si voltò e vide l’espressione stupita e
delusa di Torre che evidentemente doveva aver assistito alla scena,
probabilmente richiamato dalle urla di poco prima.
Guardò di nuovo Gaetano, forse per
accertarsi che quello schiaffo fosse davvero avvenuto, e poi Torre. Senza
aggiungere una parola, raccolse di nuovo la sua borsa da terra, dove era caduta
nel bel mezzo della conversazione, si diresse verso la porta passando oltre
l’ispettore Torre e la richiuse alle sue spalle. Aveva solo peggiorato la
situazione.
Angolo dell’autrice:
Mi rendo conto che il capitolo è
stato un pochino lungo, ma non potevo spezzarlo a metà. Volevo che ci fosse un
primo scontro tra i due. Chiaramente è stato il turno di Gaetano che ha
espresso tutti i suoi dubbi su questa strana relazione che si porta dietro da
dieci anni: nella serie secondo me non si sono visti granchè
i pensieri di Gaetano se non la sua gelosia per Renzo, cosa che secondo me è un
po’ riduttiva e sbrigativa. Perciò da qui nasce questo scontro…come ho già
detto nel gruppo fb il problema è che per lui la
relazione va avanti da dieci anni in un certo senso e il suo risentimento oggi
va letto alla luce di tutto questo lungo periodo di attesa.
Spero che la lettura non vi abbia
annoiato…e ci vediamo al prossimo capitolo.
Livia posò sul vassoio un piatto di
pasta fumante fatta da lei; non era mai stata una grande cuoca, né aveva mai
avuto il desiderio di diventarlo (o quantomeno di
provarci), ma da quando si era sposata si era sforzata di apprendere quel
minimo di nozioni di base per riuscire ad essere una buona madre ed una moglie
decente. Per sua fortuna, la piccola Camilla si nutriva unicamente di latte
materno che non necessitava di particolari preparazioni, ma George non era
stato altrettanto fortunato: lui aveva dovuto subire i primi tentativi da
casalinga disperata di Livia, ma non aveva mai avuto il coraggio di rimandare
indietro uno dei piatti cucinati dalla sua neosposa,
benché molti di questi fossero davvero immangiabili.
Esattamente come il piatto di pasta
che Livia aveva appena posato sul vassoio: sapeva di aver esagerato con il sale
e che il sugo che aveva sperimentato non aveva raggiunto il risultato sperato,
ma non poteva permettere a sua madre di saltare un altro pasto. Quando era
rientrata per pranzo, l’aveva vista correre come un lampo verso la sua camera
da letto e chiudercisi dentro, lasciando fuori persino Potty,
che ormai stazionava da ore davanti alla porta della stanza in attesa che la
padrona venisse ad aprirgli. Ma Camilla non era mai uscita da lì, né per bere,
né per mangiare, né per vedere la piccola di casa. Niente.
Verso le quattro del pomeriggio,
Livia comprese il perché di quel comportamento. Anna Ronco, la collega di sua
madre, aveva telefonato per parlare con Camilla e per sapere da lei se il
commissario Berardi avesse qualche ipotesi su cosa potesse essere successo a
suo marito. Eccolo il problema: Gaetano. A quanto pare il destino aveva una
predilezione per sua madre: rimettere Gaetano sulla sua strada proprio nel
giorno in cui aveva creduto di averlo perso per sempre. Se non era fortuna
questa! Qualcosa, però, non doveva essere andato per il verso giusto, vista la
situazione attuale di sua madre, che viveva praticamente da reclusa nella sua
stessa casa.
Livia lasciò passare ancora qualche
ora, giusto per vedere se Camilla sarebbe riemersa dalla stanza di sua
spontanea volontà, ma quando sua madre non comparve nemmeno per la cena,
comprese che il primo passo sarebbe spettato a lei.
Così, lasciata la piccola tra le
braccia del padre, Livia afferrò il vassoio carico del suo piatto di pasta
immangiabile e si decise a bussare alla porta della camera di sua madre.
Dall’interno non giunse alcun rumore,
ma Livia era assolutamente certa che la donna non stesse affatto dormendo: era
solo un tentativo per tenerla lontana. Sua madre doveva conoscerla davvero poco
se credeva che si sarebbe arresa al primo ostacolo!
Bussò di nuovo e attese ancora
qualche secondo per una risposta che tardava ad arrivare.
-Mamma, lo so che sei sveglia.
Adesso entro- avvisò spazientita, prima di aprire la porta.
Quello che trovò dietro quel pezzo
di legnò le spezzò il cuore: aveva già visto sua madre in lacrime, a
Barcellona, quando Renzo le aveva comunicato l’intenzione di andarsene per
stare con Carmen, ma allora era piccola, praticamente ancora una bambina, e non
aveva compreso appieno la portata di quella scena (anche perché a dire il vero
Camilla cercava di nascondere il più possibile le crisi di pianto). Ora era
tutto diverso: adesso era una donna adulta, che poteva capire tutto quello che
si agitava nel cuore di sua madre. Amore, delusione, paura di soffrire, dolore,
insicurezza: aveva sperimentato lei stessa questi sentimenti negli ultimi anni
e per esperienza sapeva che non era facile rialzare la testa in certe
occasioni.
-Ti ho portato la cena- disse
appoggiando il vassoio sul comodino che un tempo era appartenuto al padre; ora
era stato ricoperto di foto sue, di George, e della piccola Camilla, come a
voler cancellare il passato lasciando posto unicamente al futuro.
La donna si mosse controvoglia
sotto le coperte e la chioma riccioluta spuntò da sotto il cuscino.
-Grazie, ma non ho molto appetito-
la voce nasale ed impastata di chi non ha fatto altro che piangere nelle ultime
ore.
-Devi mangiare qualcosa, mamma! È
da ieri sera che praticamente non tocchi cibo solido.
-Sto bene così.
-No! Non stai bene!- sbottò infine
Livia: ma era stata anche lei così sfibrante dopo le delusioni subite con
Ricky, Bobo, Greg? Cominciava a chiedersi come avesse fatto sua madre all’epoca
a non mandarla a quel paese. –Scusa, non volevo urlare. È solo che è…
-…sfiancante?
Livia annuì sorridendo, visto che
anche la madre sembrava aver preso a ridere il suo piccolo attacco d’ira di
poco prima.
-Adesso so come vi siete sentiti tu
e papà quando dovevate avere a che fare con me dopo Ricky e Bobo. Vale se
chiedo scusa con un paio d’anni di ritardo?- abbozzò con quell’aria ingenua che
a Camilla ricordava la Livietta di una decina d’anni prima.
Camilla riemerse definitivamente
dall’involucro di lenzuola in cui si era rifugiata, mettendosi a sedere; indicò
con la mano il vassoio che prontamente sua figlia le allungò e, esaminato il
piatto di pasta, si decise ad assaggiarlo anche se l’odore che emanava non era
dei migliori. Apprezzava comunque lo sforzo della figlia che pian piano stava
migliorando anche ai fornelli; e se padelle alla mano Livia era ancora un
piccolo disastro, come mamma si era rivelata migliore e più preparata di quanto
avesse mai potuto immaginare. Lo stava dimostrando anche in quell’occasione,
prendendosi cura di Camilla, come lei un tempo aveva fatto con Livietta.
La ragazza si sedette accanto alla
madre, osservandola mentre cercava di ingoiare la prima forchettata di pasta.
-Troppo sale, vero?- chiese notando
gli occhi di Camilla spalancarsi sempre più mentre il boccone scendeva.
-Un po’- ammise la donna. –Ma stai
migliorando.
-Continua a ripeterlo anche George,
ma credo sia solo per farmi piacere.
-Anche io all’inizio ero pessima.
Di fatto cucinava tutto tua nonna e me lo portava di sopra prima che tuo padre
arrivasse per cena. È andata avanti così per un paio d’anni. Poi mi sono decisa
ad imparare.
-Quindi ho ancora un paio d’anni per
mettermi in pari, in sostanza.
Camilla sorrise: le sembrava di
aver finalmente ritrovato sua figlia. Non che con Livia non andasse d’accordo
prima di Londra, George e della gravidanza, ma avere a che fare con la Livia
adolescente era stato davvero più complicato del previsto, e le chiacchierate
mamma e figlia cuore a cuore, come erano solite fare molti anni prima, erano
solo uno sbiadito ricordo. Ora sembrava tornata la Livia di un tempo, anche se
con qualche anno in più e con problemi più seri del modello di bambola da
comprare per Natale: non era solo sua figlia, era anche un’amica, una
confidente, qualcuno su cui poter contare nei momenti più difficili…come quello
che stava passando.
Il ricordo di quanto accaduto poche
ore prima in commissariato, accantonato per un istante grazie alla presenza di
Livia, tornò prepotente come un’ondata di mare grosso: lo stomaco le si chiuse
nuovamente, il nodo in gola sembrava non volerla far respirare e le lacrime
minacciavano di esplodere. Livia se ne rese conto e sfilò dalle mani della
madre il piatto prima che fosse troppo tardi.
-Mamma- sussurrò sdraiandosi
accanto a lei e appoggiando la testa sulla sua spalla. Percepì i tremori del
corpo di sua madre che aveva cominciato a singhiozzare in silenzio, tentando di
non farsi scorgere da lei, ma era impossibile. –Perché non mi racconti quanto
successo oggi con Gaetano?
Livietta non dovette nemmeno alzare
la testa per immaginare l’espressione stupita sul volto della madre.
-E tu come…
-…lo so? Ha chiamato oggi
pomeriggio la tua collega di inglese.
-Ah.
-Quindi?
-Non c’è molto da dire.
-Io invece credo di sì.
-Livietta…
-Mamma…- la rimbeccò la figlia.
Camilla si rese conto che sarebbe
stato inutile cercare di convincerla che non avrebbe parlato, così alla fine
seppur a malincuore vuotò il sacco.
***
-Volete che vi porti dell’altro
ghiaccio per la guancia, dotto’?
La premura di Torre era l’unica
cosa che il vicequestore Berardi avrebbe salvato di quella giornata infernale. La
discussione con Camilla lo aveva stremato, ma d’altra parte era quasi felice di
essere riuscito finalmente a tirare fuori tutto quello che sentiva e pensava
ormai da settimane. Forse questo era ciò che gli serviva per mettere un punto a
quella storia che si portava dietro da dieci interminabili anni; forse era
pronto per andare avanti davvero e lasciarsi Camilla alle spalle.
Forse.
In realtà, si sentiva uno schifo.
Non era mai stato tanto diretto con una donna in vita sua, tantomeno con
Camilla. Nemmeno nei suoi peggiori momenti con Eva, durante i loro furiosi
litigi degli ultimi mesi prima della separazione, era stato in grado di essere
così brutalmente sincero. E mentre si massaggiava la guancia con il sacchetto
di ghiaccio che Torre gli aveva prontamente portato, non poteva fare a meno di
chiedersi se avesse esagerato. Sperava e temeva allo stesso tempo e con la
medesima intensità di aver allontanato definitivamente Camilla dalla sua vita.
-Dotto’?
-Cosa, Torre?
-No, chiedevo…volete che vi porti
dell’altro ghiaccio?
-No, grazie, Torre. Va bene così.
Il sottoposto fece una sorta di
piccolo inchino e fece per allontanarsi dalla stanza, ma Gaetano lo bloccò.
-Torre, potresti farmi un favore?
-Tutto quello che volete, dotto’!
Gaetano frugò nel cassetto della
scrivania fino a trovare ciò che cercava: un mazzo di chiavi che lanciò a Torre
attraverso la stanza. L’ispettore le afferrò con aria perplessa.
-Sono le chiavi del mio
appartamento…il mio vecchio appartamento- si affrettò a precisare il
vicequestore. Non aveva ancora avuto modo di comunicare al collega l’avvenuto
cambio di domicilio, perciò l’espressione stupita e corrucciata di Torre non lo
colse di sorpresa. –Prima che tu possa dire qualunque cosa, Torre, la risposta
è sì…mi sono momentaneamente trasferito altrove. Sto al residence La Mole e
avrei bisogno che tu passassi da casa e prendessi alcune delle mie cose:
camice, cravatte, giacche…insomma dei cambi per i prossimi giorni.
Torre lo fissò esitante per alcuni
istanti prima di annuire timidamente; Gaetano sapeva per esperienza che i
tentennamenti del suo collega erano di solito segno di un disaccordo tra loro.
-Avanti, Torre, che c’è?- chiese
l’uomo invitando Torre a sedersi davanti a lui, per poi mettersi in ascolto
dell’amico appoggiandosi con i gomiti alla scrivania.
-Niente, dotto’.
Però, non mi avevate detto del trasferimento.
-Che c’è, Torre? Fai l’offeso,
adesso?- scherzò Gaetano, ben sapendo quanto l’amico fosse suscettibile
sull’argomento. –Mi sono deciso solo ieri sera. Un’idea dell’ultimo minuto. Non
prendertela, te lo avrei detto questa mattina, ma siamo stati presi in
contropiede da questo nuovo caso. Te lo sto dicendo ora, però.
Il tono accomodante e sincero di
Gaetano ebbe l’effetto sperato su Torre che accennò ad un sorriso all’angolo
della bocca e fece spallucce.
-E’ solo che se me lo aveste
chiesto, vi avrei dato le chiavi del mio vecchio appartamento, quello dove
abitavo prima del matrimonio con la Lucianona. Non è
molto grande, ma sempre meglio di un residence.
Fu il turno di Gaetano di
sorridere: -Hai ragione. La verità è che non ho pensato granché su “come”
trasferirmi o “dove”. Ho solo pensato che dovevo andarmene da lì il più in
fretta possibile.
-Sempre per la prof.?
Gaetano non dovette nemmeno
rispondere; si limitò a guardare fisso Torre che comprese lo stato d’animo del
suo superiore senza che fossero necessarie altre parole.
-Per questo volete che torni io nel
vostro appartamento. Avete paura di incontrarla di nuovo…e dopo oggi, anche io
ne avrei- scherzò Torre rammentando lo schiaffo di qualche ora prima.
Il ricordo di quanto accaduto solo
poche ore prima cancellò il già debole sorriso che era comparso sul viso del
vicequestore; istintivamente, la sua mano andò a sfiorare la porzione di pelle
che Camilla aveva colpito e il dolore che ne scaturì fu immenso, anche se
Gaetano non avrebbe saputo dire se fosse più fisico o morale.
-Non vi preoccupate, dotto’! Ci penso io. Magari mi porto la Lucianona
con me…sapete, in fatto di abbigliamento le donne c’hanno più occhio, vero, dotto’?
Gaetano annuì, ma quando vide che
Torre non accennava ad alzarsi dalla sedia davanti a lui fu costretto a
continuare: -C’è altro che mi devi dire?
-In effetti…posso parlare
liberamente, dotto’?
-Cambierebbe qualcosa se dicessi di
no?- chiese scherzosamente il commissario.
-Per carità, dotto’,
se non volete, io…
Torre scattò in piedi come una
molla, gli occhi bassi e l’espressione triste.
-Dai, Torre, lo sai che scherzo!
Puoi dirmi tutto quello che vuoi!
L’ispettore sembrò doverci
riflettere per qualche secondo ancora prima di dare voce ai suoi pensieri.
-Voi sapete che io vi stimo molto,
però…
-Però…? Avanti, Torre, che mi devi
dire?
-Però non è che state un poco
esagerando con la prof.?
Per quanto Gaetano si aspettasse
che l’argomento di conversazione con Torre sarebbe stato in un certo senso il
suo rapporto con la professoressa Baudino, non
avrebbe mai pensato che il suo amico più caro potesse in qualche modo non
comprendere il suo punto di vista sull’intera faccenda. Aggrottò la fronte, più
seccato che pensieroso, sentendosi improvvisamente solo a dover reggere il peso
della fine di quello pseudo-rapporto durato dieci anni.
-No, dotto’,
non fraintendetemi. Voi c’avete ragione: la professoressa si è comportata male
con voi e fate bene a pretendere i vostri spazi…
-…però?- ribattè
asciutto Gaetano.
-Però…- il tono sempre più
intimidito di Torre fece ammorbidire l’espressione dura che era dipinta sul
volto del commissario. –Però lei vi ama molto, dotto’.
Dico davvero. Io l’ho vista stamattina a scuola e poco fa nel vostro ufficio e
credetemi se vi dico che è innamorata di voi tanto quanto voi lo siete di lei.
Il vuoto nello stomaco nel sentire
pronunciare quelle parole: quanto avrebbe voluto poter credere che Torre stesse
dicendo la verità! Gli tornarono alla mente gli occhi scuri e lucidi di
Camilla: sembrava sincera mentre gli stava chiedendo scusa, poco prima.
Sembrava davvero aver capito di aver commesso un errore imperdonabile, ma
credeva anche che lui avrebbe trovato il modo di superare anche questo nuovo
dolore, questa nuova batosta. Invece cosa aveva fatto? L’aveva respinta.
Duramente e senza possibilità di appello. Del resto, era già successo troppe
volte: lei lo feriva a morte, chiedeva scusa a modo suo, e tutto tornava come
sempre. Ma ogni volta che lui decideva di chiudere un occhio sui colpi che
Camilla gli infliggeva, Gaetano sentiva di perdere una parte di sé, di lasciare
indietro un pezzo del suo spirito. E gli era sempre andato bene, tutto sommato,
perché la vicinanza di Camilla riempiva quei vuoti che lui contribuiva a creare
con la sua debolezza. Ma ora? Forse aveva perso troppi pezzi di sé per strada e
sembrava che nulla riuscisse più a tenere unito ciò che restava di lui, del suo
cuore, della sua anima. Nemmeno quegli occhi scuri e caldi che tanto amava.
Anche ora, nonostante tutto.
-Vedi, Torre, io posso anche
credere a quello che mi dici…e Dio solo sa quanto vorrei crederti. Ma il
problema non è questo- gli sembrava di rivivere la discussione avuta con Tommy
l’ultima volta che era stato in quell’ufficio con lui. Anche allora gli era
parso impossibile spiegare cosa lo stesse allontanando da Camilla, per quanto
la amasse e la desiderasse più di ogni altra cosa al mondo. –Il punto è che lei
non è in grado di dimostrarlo. Tutto quello che ha fatto nelle ultime
settimane, forse anche mesi, mi ha semmai convinto che nella sua vita non c’è
posto per me. Che sono e sarò sempre l’ultima ruota del carro, o peggio la
ruota di scorta. L’uomo da cui andare se e quando non ha nulla di meglio o di
più importante da fare. E, credimi, capisco che voglia mettere al primo posto
Livia e la piccola, ma Renzo? Michele? Potty? Carmen
e Lorenzo? Gli studenti? Tutti i casi di omicidio da qui a Timbuktu?
Io questo non posso tollerarlo. Lei per me è tutto insieme a Tommy, ma io per
lei…
Le parole gli morirono in gola,
incapaci di trovare luce. Si era già mostrato debole una volta davanti a Torre
e non avrebbe mai permesso che la cosa si ripetesse.
Anche Torre aveva gli occhi lucidi
in quel momento e faticava ad articolare una frase che potesse dare un minimo
di sollievo alle pene del suo più caro amico.
-Io vi capisco, dotto’,
davvero. È solo che voi siete un uomo di altri tempi, come non ce ne sono più,
mentre la prof...
-…è una donna moderna?
-No! Cioè, sì. Ma quello che sto
cercando di dirvi è che non siamo tutti coraggiosi come voi, dotto’!- disse infine Torre con un filo di voce e
distogliendo lo sguardo dal commissario.
A Gaetano non sfuggì quello strano
plurale, che sembrava voler accumunare Torre e Camilla in un modo che ancora
non gli era riuscito di comprendere.
-Coraggioso? Semmai vorrai dire
ingenuo!
-No, voi non siete ingenuo. Vi
siete innamorato di una donna e avete sempre lottato per lei, per dieci anni,
senza mai arrendervi anche quando sembrava che non sarebbe mai stato possibile
nulla tra di voi. Ma non tutti hanno la fortuna che avete voi, dotto’! Ci sono persone, come….me e anche come la prof.,
che quando incontrano persone come voi si sentono….piccole e inadeguate, ecco.
-Ma che stai dicendo, Torre? Io ti
faccio sentire piccolo e inadeguato?
Torre spalancò gli occhi
terrorizzato per il tono stupito e anche ferito del suo superiore: -No! Che
avete capito! Intendevo dire che voi sapete sempre quello che volete: siete
deciso e non avete mai paura di niente. Invece guardate me…per decidermi con il
matrimonio ho dovuto perdere prima la Lucianona.
Perché ho avuto paura. Non credete che magari anche la prof. possa avere avuto
paura?
-Di me?
Torre alzò le spalle senza però
riuscire a guardare in faccia il suo superiore.
-Dici che l’ho spaventata con i
discorsi sul matrimonio?- continuò Gaetano, in preda ad un nuovo stato di
agitazione: fino a pochi istanti prima aveva solo desiderato che Camilla
uscisse per sempre dalla sua vita; ora quasi si ritrovava a sperare che il
discorso di Torre avesse un senso, che in qualche modo ci fosse ancora una
possibilità di rimettere insieme i pezzi della sua vita, che in sostanza non
avesse buttato via gli ultimi dieci anni della sua esistenza per niente. La sua
mente ed il suo cuore erano in tumulto: voleva, anzi doveva restare lucido, ma
il pensiero che non tutto poteva essere perduto faceva battere il suo cuore
così velocemente che quasi non riusciva a respirare.
-Dico che voi siete in questa
relazione da dieci anni. La prof. da dieci minuti.
-Ma Renzo…Michele…mi ha sempre
allontanato- balbettò Gaetano. La sua ragione continuava ad elencargli tutte i
motivi per cui era una pessima idea fare tanto affidamento sulle parole di
Torre, ma il suo cuore…per lui era tutta un’altra storia. Gaetano chiuse gli
occhi e cercò di controllare quell’organo impazzito dentro di lui: non poteva
permettersi di illudersi di nuovo, non dopo quello che aveva già passato. –E’
vero, forse ho corso troppo, Torre, ma ciò non toglie che io abbia comunque
bisogno di qualche certezza da parte sua per poter continuare su questa strada.
Non pretendo le nozze domani, ma vorrei che chiunque mi incontrasse per strada
sapesse senza ombra di dubbio che IO sono il compagno di Camilla Baudino. Invece, agli occhi della gente io sono solo uno
dei tanti…se mi va bene l’amante. E io non voglio essere questo.
Torre annuì, ben capendo che
l’argomento doveva ritenersi chiuso: era convinto che quei due si
appartenessero, che prima o poi avrebbero ritrovato la strada per riunirsi, ma
non stava certo a lui forzare la mano. Aveva detto quello che voleva e doveva,
ma il resto dovevano farlo da soli. Si alzò a prese congedo dal suo superiore,
stringendo tra le mani quelle chiavi che gli pesavano come un macigno. Avrebbe
di certo incontrato la prof. sul quel pianerottolo mentre portava via le cose
del commissario dall’appartamento: che le avrebbe detto allora? Avrebbe
continuato ad indossare la maschera del duro che difende a spada tratta il suo
capo (oltre che amico) o avrebbe provato a convincere anche lei dell’errore che
stavano commettendo continuando a negare quello che c’era tra di loro?
Torre non dovette mai scoprirlo.
Gaetano lo bloccò prima che potesse uscire dall’ufficio.
-Torre?
-Comandi, dotto’.
-Dammi quelle chiavi. Ci vado io a
casa mia- disse con un sorriso.
Forse dopotutto non aveva parlato
al vento.
Angolo dell’autrice:
dunque, che dire? Il mitico Torre
non delude mai. Forse ha appena risolto il caso più importante della sua
carriera? Chissà…anche se i due sono piuttosto testoni. Intanto ha almeno
ottenuto che sia Gaetano a tornare nell’appartamento e chissà che lì non sia
costretto ad incontrare di nuovo la sua prof.
L’espressione di Livia strappò un
sorriso a Camilla che, riflessa negli occhi della figlia, riuscì a vedere con
un pizzico di leggerezza in più la sua attuale situazione: non che ora potesse
definirsi serena o quantomeno lucida, ma almeno non provava più l’impellente
desiderio di andare a buttarsi sotto un treno in stazione. Considerate le
ultime ore, questo per lei era già un enorme traguardo.
-Un piccolo schiaffo- precisò
Camilla dovendo suo malgrado sorridere a quel ricordo imbarazzante.
Livia alzò un sopracciglio
scettica, ricordando benissimo uno schiaffo dato anni prima da sua madre al
padre in occasione della prima separazione, che non poteva certo definirsi
“piccolo”; anzi, a ripensarci ora, in qualche modo quel gesto le aveva fatto
rivalutare la madre, non tanto perché capace di un sano (e del tutto
giustificabile) atto di violenza quanto per la forza che aveva saputo
esprimere.
Forse proprio perché sapeva di
quanta forza era capace sua madre, ora era ancora più spiazzata nel vederla
così spaurita e vulnerabile. E quello che la faceva sentire ancora peggio era
la consapevolezza di non poter fare nulla per lei; a dire il vero, non era
nemmeno certa di quello che avrebbe dovuto fare: aiutare la madre a lasciarsi
alle spalle Gaetano o a riprenderselo? Non era neppure tanto sicura che sua
madre stessa sapesse cosa volesse fare in proposito. Anzi, a dirla tutta non le
era chiaro nemmeno cosa sua madre provasse per Gaetano.
Oddio, era assolutamente evidente
che lei lo amasse, ma d’altro canto lo aveva anche mollato come un idiota solo
qualche settimana prima, quando tutto sembrava andare bene. E alla scomparsa di
Gaetano si era associata una sempre maggiore presenza di quel Michele:
chiamate, messaggi, visite a sorpresa. Camilla sembrava gradirle, o forse
tollerarle. Le era persino capitato di trovare sua madre seduta sul divano
intenta a frugare in una scatola che non aveva mai visto prima; così,
incuriosita, una mattina in cui sua madre era a scuola per gli scrutini di fine
anno scolastico, Livia aveva preso quella scatola (contro il parere del marito,
grande fan della privacy di chiunque) e aveva dato un’occhiata. In sostanza era
un viaggio nel tempo nella vita di sua madre, dall’adolescenza ad oggi: aveva
trovato foto sue e di quello che intuiva essere Michele (senza barba e
capellone), passando per le immagini di una Livia ancora in fasce, fino ad
arrivare alla piccola Camilla Junior. C’era tutta la vita di Camilla Baudino in quella scatola, tranne un pezzo, quello che
Livia credeva essere forse il più importante degli ultimi dieci anni. Mancava
Gaetano. Se non fosse stato per un disegno di Tommy, una grande stella da
sceriffo che racchiudeva due figure piuttosto stilizzate che potevano benissimo
essere Camilla e Gaetano, dell’uomo non c’era la minima traccia.
Questa cosa proprio non le tornava.
Come era possibile che l’uomo che l’aveva più volte portata al punto di dover
scegliere tra lui e la sua famiglia (e non senza un immenso sacrificio) non
avesse trovato un posto in quella scatola?
-Posso chiederti una cosa?- domandò
Livia dando voce ai suoi pensieri prima ancora di rendersene conto. -Non sei
obbligata a rispondermi se non vuoi…
Camilla si fece di nuovo seria, gli
occhi azzurri di Livia puntati nei suoi, così fermi, così preoccupati.
-Ok- si limitò a dire, con la
consapevolezza che la domanda di sua figlia non avrebbe richiesto una risposta
semplice.
-Tu ami Gaetano?
A Camilla mancò il respiro. Tra
tutte le domande possibili, proprio quella. Quella. La sola domanda a cui
tentava invano di darsi una risposta da mesi, anzi forse da anni, da quando
aveva incontrato Gaetano su quel ballatoio davanti alla casa di Nicola
Esposito. Perché era così difficile identificare quello che provava per
Gaetano? Non erano amici, non lo erano mai stati…ma nemmeno era riuscita ad
ammettere con lui che erano una coppia. Perché aveva reagito così? Perché lo
aveva respinto?
Eppure, in quel momento per la
prima volta da quando ne aveva memoria, Camilla sentì di avere un coraggio che
le era sempre mancato; sentì che dare una risposta a quella domanda non solo le
risultava estremamente facile e naturale, ma addirittura le sembrava di non
poter più contenere quello che provava.
-Sì- disse semplicemente, mentre
sentiva che delle calde lacrime cominciavano a rigarle il volto. –Sì, io lo
amo. Moltissimo.
-Mamma, scusami, io…
-No- la interruppe Camilla. –Non
devi scusarti. Non sto piangendo…voglio dire, sto piangendo, ma è un pianto
liberatorio.
Livia aggrottò la fronte perplessa
davanti alla bizzarra reazione di sua madre. Sembrava contenta di riuscire a
piangere. Il che era parecchio strano, in effetti, dato che Camilla aveva
pianto praticamente in modo costante negli ultimi due giorni…avrebbe ormai
dovuto avere i condotti lacrimali prosciugati! Invece, ora era in lacrime,
scossa dai singhiozzi…ma sorridente, come non lo era da settimane.
-Mamma, sei sicura di stare bene?
-Sì. Sì. Sto benissimo. Io sto
benissimo- ripeteva come un disco rotto. Ed era la verità: stava davvero bene.
Riuscire ad ammettere ad alta voce i suoi sentimenti, dare un nome a ciò che
provava, era immensamente appagante. Sentiva il suo cuore battere più forte che
mai, una corsa forsennata ora che lo aveva liberato di quelle catene che lo
avevano reso insensibile ai gesti, alle parole dell’uomo che amava da dieci
anni.
Il problema è che lui, l’uomo che
amava, ancora non lo sapeva. E forse non lo avrebbe mai saputo, visto che con
ogni probabilità non voleva più avere a che fare con lei. Glielo aveva detto
molto chiaramente proprio quella mattina. Il cuore continuava a corre, ma ora
lo sentiva mancare qualche battito: ora che aveva la certezza dei suoi
sentimenti, che aveva trovato il coraggio per guardare Gaetano negli occhi e
dargli finalmente la gioia più grande, era forse troppo tardi.
-Devo parlare con lui- disse con
voce ferma, decisa come non era da anni. –Devo dirglielo prima che lui…devo dirglielo.
Livia la fissò confusa.
-Aspetta, vuoi dirmi che in tutto
questo tempo tu non gli hai mai confessato di amarlo? Sei andata a letto con
lui senza dirgli che lo amavi?- Livia si rese conto del tono leggermente
accusatorio con cui aveva appena formulato le ultime domande quando vide
Camilla abbassare gli occhi, vergognandosi per quella sua mancanza.
-Io…no. Non ancora. Volevo essere
sicura di quello che provavo. Non volevo commettere errori, illuderlo.
-E non pensi che questo tuo
silenzio dopo dieci anni di attesa da parte sua possa aver contribuito a far
aumentare la sua insicurezza e gelosia al punto da farlo allontanare?
Perché sua figlia continuava a
mettere nero su bianco le sue debolezze e i suoi sbagli con quella lucidità
disarmante? Visto attraverso gli occhi di Livia il suo comportamento le
risultava con tutta evidenza non solo (e non tanto) sbagliato, quanto piuttosto
devastante per Gaetano e per il rapporto così nuovo e fragile.
Camilla sospirò mentre si alzava
finalmente da quel letto che l’aveva accolta ormai molte ore prima.
-Credo tu abbia ragione, ma
purtroppo la paura è stata più forte di tutto, persino dell’amore che provo per
Gaetano. Non è giusto, non è razionale, e probabilmente questo fa di me una
donna orribile e capirei se…se Gaetano non volesse più starmi ad ascoltare. Ma
il fatto è che non riuscivo a dirglielo: ogni volta che lo lasciavo la sera per
tornare qui da voi, una parte di me sentiva di dover dire qualcosa, di dover
fare qualcosa…ma non riuscivo ad afferrare cosa. Era come se tutte le volte io
stessi leggendo un libro di Agatha Christie
fermandomi prima di scoprire chi è l’assassino: sentivo che c’era ancora una
parte, che non avevo finito, ma per quanto volessi continuare qualcosa mi
bloccava.
-La delusione con papà?
Camilla sembrò rifletterci per un
momento: in effetti, aveva sempre usato il tradimento di Renzo come schermo,
come scusa per rimandare e prendere tempo, ma non era affatto certa che le cose
stessero davvero in questo modo. O meglio, una parte di lei era davvero ancora
scottata per quello che aveva dovuto passare (di nuovo), ma c’era qualcosa di
più.
-Non solo, sai? Credo di aver avuto
paura di Gaetano, in un certo senso. In tutti questi anni lui non si è mai
arreso e probabilmente si è sempre costruito un’immagine di me che…beh, non mi
rispecchia totalmente. Ho sempre pensato che un giorno si sarebbe svegliato e
avrebbe trovato “solo” me ad attenderlo. Una “me” molto normale, non la
perfezione che lui immaginava.
-Io non credo che Gaetano ti abbia
mai considerata “perfetta”.
“Perché tu non conosci il
significato del fiore dell’ananas” pensò Camilla non potendo evitare di sentire
una morsa afferrarle lo stomaco al ricordo di quei momenti meravigliosi che
avevano preceduto la loro prima notte insieme.
-Forse no, ma devi ammettere anche
tu che paragonata alle sue ex, io non faccio esattamente una grande figura.
Livia roteò gli occhi in un modo
che a Camilla ricordò (in modo preoccupante a dire il vero) sua madre,
Andreina.
-Davvero, mamma? A parte il fatto
che devi essere proprio cieca per non accorgerti di come Gaetano ti guarda e di
come non abbia mai guardato così nessuna delle sue ex, come le chiami tu…e poi,
quale ragazza si sente all’altezza del proprio compagno? Anche io penso che
George avrebbe potuto avere di meglio rispetto a me, ma credo che sia un
pensiero comune, no? Per noi loro sono
sempre il meglio su piazza: è chiaro che ci sentiamo inadeguate e che abbiamo
paura che qualcuno ce lo possa portare via.
-Posso sapere quando sei diventata
così saggia?- scherzò Camilla, ma sapeva che Livia aveva ragione da vendere su
tutta la linea. Tutte le paure che aveva coltivato su Gaetano e sulla loro
relazione ora le apparivano in tutta la loro inconsistenza. La verità era molto
semplice: era terrorizzata dall’enormità del sentimento che la legava a lui.
Non aveva mai provato niente di così intenso, né per Renzo, né per Michele;
sentiva di dipendere da lui più di quanto fosse possibile, o forse accettabile.
Livia si affiancò alla madre in
evidente difficoltà e la abbracciò.
-Adesso, ti vai a fare un bel bagno
caldo e rilassante mentre io ti preparo la cena. Tranquilla, ordino qualcosa in
rosticceria visto che la mia pasta è un disastro!- aggiunse Livia davanti
all’occhiataccia terrorizzata di Camilla. –Poi una bella camomilla e a
letto…per dormire questa volta, non per compiangersi.
Camilla si ritrovò suo malgrado a
sospirare: era destino che tutto la riportasse a lui, anche le cose più
semplici e quotidiane. –Vada per il bagno e la rosticceria, tesoro, ma niente
camomilla, grazie.
***
La suoneria del cellulare lo costrinse
ad aprire gli occhi. Guardò lo schermo e vide l’immagine di Torre che
lampeggiava ritmicamente accompagnata da quel trillo fastidioso. Ricordava con
esattezza il momento in cui aveva deciso di assegnare al collega quella
particolare melodia, tutt’altro che piacevole: era stata un’idea di Camilla,
che una sera, sdraiata sul divano tra le sue braccia, gli aveva suggerito di
identificare le chiamate del suo sottoposto con la colonna sonora di “profondo
rosso”.
“Del resto, quando Torre chiama non
può che essere successo qualcosa di terribile” aveva affermato Camilla
divertita. Da allora ogni volta che Torre lo contattava, il primo pensiero nel
sentire le note dei Goblin era per Camilla.
Anche in quel momento. Nonostante
tutto.
Si beò di ascoltare quella melodia e
di indugiare nei ricordi ancora per qualche istante prima di rispondere.
-Torre, che c’è? Capisco. Arrivo
subito.
La sua giornata si prospettava
tutt’altro che facile.
Si alzò dal suo giaciglio e solo in
quel momento realizzò che aveva dormito in camera di Tommy. Nel suo appartamento.
Riorganizzò le idee ed i ricordi
della sera precedente: dopo la chiacchierata con Torre aveva deciso di tornare
a casa sua, affrontando il rischio di incontrare Camilla. Non era successo, e
una parte di lui ne fu estremamente delusa, ma d’altro canto forse dopo tutto
quello che si erano detti nel suo ufficio c’era bisogno di tempo per entrambi,
per meditare e lasciare che le parole facessero il loro effetto.
Aveva aperto la porta del suo
appartamento con un nodo in gola, che crebbe non appena mise piede all’interno
di quelle mura: tutti i ricordi, i momenti con Camilla, riaffiorarono
prepotenti nella sua mente, tanto da non riuscire nemmeno ad arrivare in camera
propria. A malapena aveva sopportato la vista del divano, figuriamoci rivedere il
letto che li aveva accolti tante volte nei momenti che Gaetano riteneva i più
belli della sua vita. Alla fine aveva optato per la stanza di Tommy, dove
Camilla non aveva mai dormito. Inaspettatamente il sonno non aveva tardato ad
arrivare, come sempre però popolato da incubi in cui Michele e Renzo a turno si
portavano via la sua donna mentre a lui non restava che rimanere lì impalato
senza poter fare nulla per impedirlo.
Si diresse verso il bagno per sciacquarsi
la faccia, come se quel gesto potesse cancellare o almeno allontanare i segni
peggiori che quegli incubi lasciavano sul suo volto. In realtà, non appena si
fissò nello specchio vide solo profonde occhiaie e un’espressione così dura che
stentava a riconoscersi. Sospirò maledicendo se stesso per la sua debolezza e
anche per aver dato retta a Torre: doveva fare a modo suo e non mettere più
piede in quella dannata casa!
In fretta e furia si preparò per
uscire, come se le pareti di quell’appartamento si stringessero attorno a lui
ad ogni secondo che passava lì dentro. Pochi minuti dopo, senza essersi fatto
né barba né caffè, varcò di nuovo le porte di casa, prendendo di corsa la via
delle scale.
Sembrava di nuovo stesse scappando,
come la notte precedente. Ed esattamente come in quell’occasione, una volta arrivato
al cortile, il destino ci mise del suo.
-Ehi!
La voce di lei, già per lui
inconfondibile, venne accompagnata dal guaito di un cane.
Gli sembrò di vivere al
rallentatore, proprio come gli era capitato qualche anno prima, il pomeriggio
in cui l’aveva incrociata per la prima volta a Torino fuori dal commissariato
per il caso Lalami.
Come allora si voltò lentamente,
tenendo gli occhi bassi con la speranza o forse il terrore di incrociare quelli
di lei color cioccolato.
-Ehi- riuscì a dire in risposta, la
voce tremante.
-Sei…sei tornato allora?- chiese
Camilla, persino più titubante di lui, mentre gli si avvicinava poiché Potty, non appena aveva visto Gaetano, gli era corso
incontro scodinzolando.
-Non lo so, ancora.
-Capisco.
Tra i due calò un silenzio irreale,
per loro assolutamente nuovo, perché mai nei dieci anni trascorsi si erano
trovati in una situazione simile. Del resto, come poteva essere diversamente?
Quello che era successo tra loro aveva cambiato tutto per sempre e non era
possibile tornare ad essere solo amici, vicini, dirimpettai. Non c’era un modo
per tornare a prima di quella notte, riavvolgere il nastro e ripartire come se
nulla fosse. Gaetano lo aveva sempre saputo, mentre Camilla si rendeva conto
della reale portata delle sue azioni solo in quel momento. Non aveva solo perso
l’amore della sua vita, ma anche il suo migliore amico e non avrebbe potuto
fare nulla per rimediare al danno che lei stessa aveva causato, se non sperando
che lui la perdonasse e la riprendesse con sé.
-Mi dispiace per ieri- dissero
all’unisono come nella più classica delle commedie romantiche.
Gaetano sorrise e gli sembrò di
farlo per la prima volta da secoli: i muscoli protestavano mentre si
distendevano in quella che per lui era sempre stata un’espressione naturale
quando aveva al suo fianco Camilla, ma il suo cervello registrò quella
sensazione piacevole come del tutto logica e assurdamente familiare.
Dal canto suo, Camilla, ammirando
quel sorriso così sincero e allo stesso tempo timoroso, si sentì a casa: come
aveva anche solo potuto pensare di restare lontano da lui per più di due
minuti?
Con un cenno della mano Gaetano
invitò Camilla a parlare per prima.
-Ok…beh, stavo dicendo…mi dispiace
per ieri, per lo schiaffo, intendo. Non volevo…
-Non volevi darmelo e basta o non
volevi darmelo così forte?- chiese l’uomo con sincera ironia.
-Era davvero così forte?
-Non è bastato tutto il ghiaccio
del commissariato per evitare il gonfiore- rispose indicando la leggera
protuberanza all’altezza dello zigomo sinistro.
Camilla istintivamente sfiorò con
la punta delle dita il punto che Gaetano aveva indicato; entrambi furono
attraversati da una scossa con cui avevano da anni imparato a convivere,
rimanendo incatenati uno all’altra con lo sguardo. Attimi interminabili, cui
Gaetano dovette porre fine prima di rischiare di avventarsi sulle labbra della
donna e perdere il controllo.
-Non è stata solo colpa tua. Voglio
dire, anche io non sono stato granché gentile. Ho detto delle cose
che…beh…ero…ero…
-Arrabbiato. Lo capisco, Gaetano.
Davvero. E a questo proposito- Camilla inspirò profondamente alla ricerca del
coraggio per continuare per quella strada. –io avrei delle cose da dirti.
Insomma, vorrei parlarti. Ho bisogno di parlarti di quello che ci è successo.
Di noi.
Quel plurale riaccese speranze che
Gaetano credeva ormai morte. Quel “noi” rimbombava nella sua mente scandendo i
suoi pensieri ed impedendogli di accorgersi che Camilla in piedi davanti a lui
attendeva una risposta, come un condannato davanti al boia.
-Gaetano?- gli occhi preoccupati di
Camilla erano puntati dritti nei suoi e lo imploravano di non respingerla di
nuovo.
-Scusami…sì, io…sì, va bene. Vuoi
parlarne qui? Adesso?
-No. Io pensavo a cena- continuò la
donna cui la risposta di Gaetano aveva ridato un po’ di coraggio. Forse tra
loro non era ancora tutto perduto. Lui era arrabbiato, aveva urlato, l’aveva
allontanata e si era allontanato, ma forse erano solo tutte fasi necessarie ad
entrambi per elaborare quanto significassero l’uno per l’altra.
-Però niente giapponese questa
volta, professoressa- ribatté pronto il commissario stupendosi nel sentirsi
pronunciare quel “professoressa” con la naturalezza e la dolcezza che da sempre
lui ricollegava a quell’appellativo. Era inevitabile: per quanto lui potesse
pensare di allontanarsi da Camilla, quello che lo legava a lei era resistente a
tutto. Non poteva sciogliersi da lei. Ma forse non era più costretto nemmeno a
provarci…
Camilla sorrise e a fatica dovette
trattenersi dal lasciare che alcune lacrime di gioia scappassero al suo
controllo.
-Niente giapponese, d’accordo.
Anche se la serata non era poi finita così male- non le sembrava vero di poter
usare ancora quel tono malizioso con Gaetano. Se era un sogno, pregava di non
svegliarsi mai. –Allora…ti andrebbe stasera?
Camilla attese una risposta che
tardava ad arrivare e mentre aspettava vide l’espressione sul volto di Gaetano
mutare radicalmente: il sorriso caldo e gentile era stato sostituito da
quell’espressione dura che aveva tristemente imparato a conoscere negli ultimi
giorni.
-Gaetano?
Ma la ragione di quel mutamento le
fu fin troppo chiara pochi istanti dopo. Le bastò una voce che proveniva alle
sue spalle per capire.
-Camilla!- si sentì chiamare.
Si voltò, gli occhi chiusi sperando
che fosse solo un’allucinazione. Quando li riaprì l’allucinazione era ormai a pochi
passi da lei. Michele.
Angolo dell’autrice:
non odiatemi, dai…ci vuole un bel
“finale aperto”. Come dite? Non vi piacciono i finali aperti? (come sono
perfida, lo so).
Scherzi a parte, mi ha divertito molto
scrivere questo capitolo a dire il vero: tra Livietta che cerca di capirci
qualcosa della psiche contorta di sua madre (che manco Freud riuscirebbe a
venirne a capo) e il primo incontro in campo neutro dei due (disturbato dall’arrivo
di ‘sto barbone ciabattaro), ho riso un bel po’.
Ovviamente Camilla ha un bel po’
di cose da chiarire e non solo con Gaetano….ha praticamente dato speranze a
tutti! Ora deve rimettere tutto a posto se vuole riprendersi Gaetanuccio mio.
Ho già per la testa un bel po’ di
idee e tanto ho come l’impressione che di tempo per metterle per iscritto la
rai me ne darà un bel po’….perciò, preparatevi!
Capitolo 6 *** Goodbye my lover, goodbye my friend ***
GOODBYE MY LOVER, GOODBYE MY FRIEND.
-Camilla!
La voce di Michele Carpi gelò il
cuore di Gaetano. Quel piccolo passo avanti che aveva fatto con Camilla era
appena stato spazzato via dalla visione dell’uomo, la cui comparsa qualche
settimana prima aveva sconvolto la sua esistenza. Scrutò Camilla, ma la sua
mente annebbiata non riuscì a percepire alcunché sul volto della donna, che
continuava semplicemente ad alternare il suo sguardo da Michele a Gaetano.
Cercò di rimanere impassibile, i muscoli tesi ma sotto controllo per trattenersi
dall’afferrare quel tipo per la maglia (fin troppo da hippie per un uomo di
cinquant’anni suonati) e sbatterlo contro la prima parete disponibile ed
ammazzarlo di botte. In momenti come quello Gaetano malediceva la sua integrità
e rettitudine che gli impedivano di dare libero sfogo ai suoi sentimenti più
bassi. Dio, non era mai stato geloso di una donna in tutta la sua vita, nemmeno
di Roberta e di sua moglie! Perché doveva esserlo dell’unica donna che non
voleva proprio avere nulla a che fare con lui?
-Commissario Berardi. Che piacere
rivederla in circostanze meno formali- disse Michele una volta che si fu
avvicinato a Camilla quanto bastava per passarle un braccio intorno alle
spalle. Braccio che, Gaetano non poté fare a meno di notare, Camilla non
accennava a voler spostare.
-Il seguace di Latouche-
commentò laconico il commissario, guardandosi bene dallo stringere la mano
libera che Michele gli stava porgendo.
-Vedo che ha buona memoria,
commissario.
Gaetano, accecato dalla rabbia e
dalla gelosia, era incapace di decidere se il tono usato da Michele era di una
gentilezza genuina o se lo stava solo prendendo per i fondelli con una maestria
mai vista prima.
-Che ci fai da queste parti,
Michele?- si intromise Camilla, prima che la situazione tra i due potesse
prendere la piega sbagliata, e sciogliendosi dal contatto con Michele. Per
tutto il tempo non aveva smesso di fissare Gaetano e non le era passata
inosservata l’espressione infastidita dell’uomo quando Michele si era stretto a
lei.
-Ho pensato che potevamo cominciare
stamattina la ricerca del mio nuovo appartamento.
-Nuovo appartamento? Niente più
roulotte, libertà, decrescita felice? Attenzione, sig. Carpi, o potrebbe
diventare un uomo come tutti noi- disse Gaetano senza nemmeno tentare di celare
il sarcasmo che trasudava da ogni singola parola.
-Già, è vero. Ma sa com’è,
commissario. A volte nella vita le cose cambiano- rispose Michele lanciando uno
sguardo a Camilla, per cui Gaetano avrebbe anche potuto estrarre la pistola e
sparagli un colpo in mezzo alla fronte. Anzi, no. A pensarci meglio, sarebbe
stato meglio se avesse sparato a se stesso, pur di non dover assistere a quella
scena. -Camilla mi ha aiutato a trovare un nuovo lavoro. Non sono un manager di
successo, ma…è un per sempre un inizio.
Gaetano si sforzò di incrociare gli
occhi di Camilla: -Camilla si farebbe in quattro per chiunque. O quasi-
aggiunse poi con tono più acido che sarcastico e dall’espressione afflitta
della donna comprese che aveva recepito il messaggio sottointeso. A quanto pare
in quelle settimane lei c’era stata per tutti tranne che per lui.
-Gaetano- tentò invano di dire
Camilla, ma l’uomo fu più veloce di lei.
-Beh, visto che voi siete occupati,
io andrei in commissariato. Molti omicidi da risolvere- poi, quando fu
abbastanza vicino a Camilla, le si avvicinò all’orecchio in modo che solo lei
potesse sentire: -Non vorrei commetterne io un altro paio…
Salutò con tutta la cordialità di
cui era capace il seguace di Latouche e si incamminò
rapido verso la macchina, posteggiata lungo la strada oltre il cancello del
condominio, ma prima di andarsene sentì il bisogno di lanciare un’ultima
frecciatina a Camilla. Si era trasformato in un uomo perfido e vendicativo,
cosa che non era mai stato, ma lei lo aveva portato su quella strada e ora lei
era la prima a doverne pagare le conseguenze. Si voltò, sorrise (nella maniera
più finta che gli fosse mai capitata) e aggiunse: -Ah, sig. Carpi. La sua
ricerca di un appartamento potrebbe essere più rapida del previsto. Se ne sta
giusto liberando uno in questo palazzo. Proprio davanti a quello di Camilla.
E lo sguardo perso di Camilla a
quelle parole gli fece assaporare il gusto di una amara vittoria.
***
-Gaetano! Gaetano, aspetta!
Aspettami, ti prego!
Camilla ci aveva messo un paio di
istanti prima di decidersi a rincorrerlo, giusto il tempo di metabolizzare le
ultime parole del commissario.
-Gaetano, aspetta! Non è come
pensi!
Gaetano non poté fare a meno di
fermarsi a quelle parole e di voltarsi con un ghigno infastidito verso la donna
che avanzava ormai senza fiato.
-Ma davvero? Non ti viene in mente
niente di più originale da dirmi, Camilla?
-Io non…Michele ed io non…
-“Non” cosa? Non state insieme? Non
uscite insieme? Non avevate un appuntamento? Non vi siete mai sentiti in queste
settimane? Non volevate essere scoperti?- la rabbia di Gaetano era ormai
incontenibile e nemmeno si sforzava più di celarla, né a Camilla né ai passanti
che stavano assistendo alla scena.
-No! Niente di tutto questo!- disse
Camilla in affanno. -Senti, possiamo parlarne con calma a cena stasera, eh?
-A cena? Stasera?- Gaetano non
riuscì a trattenere una risata sarcastica. -Mi prendi in giro? No, niente più
cene o chiacchierate. Quello che mi dovevi dire, l’hai già detto poco fa,
lasciando che Michele ti abbracciasse davanti a me e che mi raccontasse di
quanto tu abbia fatto per lui in questi giorni. So tutto quello che mi serve!
-Tu non sai niente, invece!-
protestò la donna, indecisa tra il sentirsi arrabbiata per come Gaetano la
stava trattando e la paura di aver peggiorato ancora di più il loro già
precario rapporto. -Michele per me è solo un amico.
-Un amico, eh? Adesso sì che sono
più tranquillo. Del resto sono stato anche io un amico per dieci anni, quindi
so benissimo cosa intendi tu per “amico”.
Camilla si maledisse di nuovo per
aver scelto la parola peggiore dal vocabolario: per essere una professoressa di
lettere in quanto a capacità comunicativa era davvero pessima!
-Non intendevo…ti prego, lasciami
spiegare.
Gli occhi di Gaetano si incupirono
ancora di più: nonostante la giornata soleggiata e calda di inizio estate, sul
volto dell’uomo era calato il gelo più totale.
-Sono stanco di spiegazioni, di
scuse, di cercare di capirti. A me sembra tutto piuttosto evidente, Camilla.
Hai detto di aver bisogno di tempo per te, per sentirti libera e indipendente,
ma in realtà volevi solo allontanare me. Renzo ti gira intorno da mattina a
sera per via di Livia e della nipotina, e questo lo posso anche capire. Ma
Michele Carpi? Per lui hai trovato il tempo per una chiamata, per un messaggio,
per un incontro. Per me no. Per me tu sei letteralmente sparita. Potevo essere
morto o essere stato trasferito dall’altra parte del mondo e tu non lo avresti
mai saputo perché non ti sei mai degnata di farti sentire, nemmeno una volta.
Io mi sono fatto da parte, perché era quello che avevi chiesto, ma non avevo
capito che era solo da me che volevi essere lasciata in pace. Non certo da
Michele a quanto vedo. Per me la questione è molto chiara. Pensavo tu ti fossi
rifiutata di scegliere di nuovo, come hai sempre fatto in questi anni. Invece una
scelta l’hai fatta eccome: hai scelto di non scegliere me, ma un altro.
Camilla scosse il capo, la
battaglia contro le lacrime ormai persa da un pezzo.
-Ti sbagli, non è così! Ho commesso
un errore in quell’ospedale, adesso me ne rendo conto, ma non ti ho allontanato
per stare con un altro. Credevo davvero di fare la scelta migliore per tutti.
-Per tutti? Per te! Tu non eri
pronta a lasciare andare Renzo e nemmeno Michele che non vedevi da trent’anni;
non eri pronta ad impegnarti in qualcosa di serio e chi ne ha fatto le spese
alla fine sono io. L’unico che davvero ha perso tutto quello che aveva in quel
maledettissimo ospedale quel giorno sono io! - urlò Gaetano, con tanta forza
che gli sembrò che tutta l’aria fosse uscita dai suoi polmoni in un colpo solo.
Con gli occhi sgranati fissava Camilla, incapace di frenare tutto il dolore che
chiedeva di trovare una valvola di sfogo. -Tu hai ancora la tua bella famiglia
da cui tornare la sera, hai un ex marito che ancora ti ama e a quanto pare un
nuovo spasimante da cui farti corteggiare. Io avevo solo te, solo noi. Un tempo
avevo almeno la nostra complicità e la nostra amicizia, ma mi hai portato via
anche quella. Sono io quello che è rimasto fregato, ancora una volta, Camilla.
Non tu. Per cui perdonami, ma non me ne faccio niente delle tue scuse e
giustificazioni!
Gaetano non riuscì a sopportare la
vista di Camilla un istante di più; si infilò nell’auto e sfrecciò via il più
velocemente possibile. Doveva mettere spazio tra lui e Camilla, tutto lo spazio
di cui era capace.
***
Uno stronzo! Ecco cos’era Gaetano:
uno stronzo!
L’aveva aggredita senza
lasciarla parlare, spiegare. Quella tirata su lei e Michele, poi, non aveva il
minimo senso!
Ma a chi voleva darla a
bere? Gaetano aveva ragione su tutto…o perlomeno sulla parte in cui l’aveva
accusata di non averlo mai cercato a differenza di Renzo e Michele. E doveva
ammettere almeno con se stessa ora che era sola in mezzo alla strada, dopo aver
visto l’auto del commissario allontanarsi a tutta velocità, che ogni volta che
si trovava con Michele o con Renzo provava un forte senso di colpa nei
confronti di Gaetano, l’unico uomo che effettivamente aveva rispettato le sue
richieste senza più intromettersi nella sua vita. Sentirlo dire da lui, o
meglio sentirglielo urlare nel bel mezzo di Torino era anche peggio.
Non c’era la minima
possibilità di sistemare le cose con Gaetano, ora ne era perfettamente
consapevole. Niente di quello che avrebbe potuto dire o fare, avrebbe ricucito
lo strappo che lei aveva provocato nel cuore del suo commissario.
Tornò a testa bassa verso il
cortile del suo palazzo, dove ad attenderla c’era ancora Michele, che si
avvicinò a lei con quel suo solito sorriso sornione. A Camilla sembrò di
vederlo davvero per la prima volta: quel sorriso non scatenava in lei nessuna
reazione a differenza di quello di Gaetano, che riusciva a scuoterla, farla
sentire in paradiso e all’inferno al tempo stesso. Ma allora perché settimane
prima si era lasciata andare con nostalgia al ricordo dei suoi vent’anni
mettendo in dubbio quello che c’era tra lei e Gaetano? Perché aveva messo al
centro della sua attenzione quell’uomo dal comportamento quanto meno ambiguo
che si era infilato nella sua vita distruggendo ciò che di buono era riuscita a
costruire dopo il tradimento di Renzo?
-Camilla! Tutto bene?- le
chiese poggiandole una mano sulla spalla.
La donna si scansò a quel
contatto, maledicendosi mentalmente per non aver fatto lo stesso sin
dall’inizio. Aveva mentito a Gaetano per quell’uomo! Quell’uomo che di fatto
nemmeno conosceva! Si erano lasciati più di trent’anni prima…lei era una
persona completamente diversa adesso e di certo anche lui. Perché gli aveva
permesso di sconvolgerle la vita? Stupida! Stupida paura di lasciarsi andare e
di credere in quello che sentiva per Gaetano!
-Michele, scusami, ma non
posso.
L’uomo annuì: -D’accordo.
Non preoccuparti. Possiamo fare domani o…
-No! No…non hai capito. Non
posso avere a che fare con te. Non voglio avere a che fare con te.
-Per Gaetano?- il tono di
Michele tradiva la sua irritazione. -Quel poliziotto non fa per te, Camilla. È
un damerino tutto inamidato, pieno di muscoli e ligio alle regole. Tu non sei
così, non ti sono mai piaciuti i tipi come lui.
-Tu non mi conosci,
Michele!- ribatté piccata la donna, offesa più per come Michele aveva dipinto
Gaetano che per la sua insistenza inopportuna.
-Io ti conosco da molto
prima di lui.
-E’ esattamente questo il
punto- disse Camilla. -Mi conoscevi trent’anni fa. Non sai nulla della donna
che sono oggi. Di quello che ho passato per arrivare qui, di quello che ho
costruito e di quello che ho perso. E lo stesso vale per te: non sei più il
ragazzo di cui mi sono innamorata e non puoi tornare ad esserlo, né vorrei che
tu lo fossi.
Michele scosse il capo
spazientito: -E Gaetano? È lui il tipo di uomo di cui potrebbe innamorarsi la
Camilla di oggi?
-Sì- ammise senza nemmeno
doverci pensare. -Sì, lui è l’uomo che voglio amare oggi. E se solo avessi
avuto il coraggio di confessarglielo mesi fa oggi non sarei a questo punto. È
l’uomo più onesto, gentile e rispettoso che io abbia mai conosciuto. Mi ha
amata per dieci anni aspettando che io fossi pronta per lui, per noi, senza mai
pretendere nulla in cambio, solo la mia sincerità. Io invece l’ho illuso, l’ho
ferito. Gli ho mentito, l’ho tenuto lontano, ho lasciato che tu e Renzo mi
offuscaste la mente con le vostre lusinghe. Sono stata una stupida: era l’uomo
perfetto e io l’ho perso.
-Invece vedo che ferire me
non ti crea nessun problema- commentò sarcastico Michele.
In effetti Camilla dovette
ammettere a se stessa che con le sue decisioni delle ultime settimane e le sue
azioni aveva di fatto ferito tutte le persone che la circondavano. Aveva in
qualche modo alimentato le speranze di Renzo arrivando in ritardo all’udienza
per la separazione e accettando le sue attenzioni ben sapendo quanto fossero
inopportune; per non parlare di quello che aveva fatto a Gaetano: le parole che
le aveva rivolto solo pochi minuti prima rimbombavano ancora nella sua testa e
per quanto si sforzasse di dimenticare l’espressione delusa e rassegnata
dipinta sul volto dell’uomo non riusciva a togliersi dalla mente quegli occhi
azzurri spenti e pieni di rancore. Persino con Michele non poteva dire di
esente da critica: di fatto gli aveva lasciato intendere che in qualche modo
anche tra loro il discorso interrotto trent’anni prima poteva essere ripreso.
A distanza di giorni e a
mente fredda non si capacitava proprio di come tutto questo potesse essere
colpa sua. Proprio lei che aveva fatto dell’onestà e del dialogo la sua
bandiera! Aveva smesso di seguire i suoi principi nel momento sbagliato e con
la persona sbagliata.
-Hai ragione, Michele, e mi
dispiace. Ho detto e fatto cose di cui non vado fiera in questi giorni e so che
forse ti ho dato l’impressione che tra noi…- Camilla non riuscì nemmeno a
terminare la frase tanto le appariva ora nella sua assurdità l’ipotesi di
permettere a Michele di farsi avanti.
-Forse? Camilla, perdonami,
ma sei stata tu sin dal primo giorno a venire a cercarmi. Cosa avrei dovuto
pensare?
-Lo so. E ti assicuro che
nemmeno io mi capisco, perciò non posso pretendere che gli altri lo facciano.
-Quindi adesso che dovrei
fare? Sparire? Non farmi più vedere?
-Sì- ammise Camilla, pur
sentendo il morso della colpa attanagliarle lo stomaco. Era stata un’egoista,
aveva fatto del male a chiunque e solo ora se ne rendeva davvero conto, ma non
per questo poteva continuare a mentire a se stessa e agli altri. Con Michele
non c’era nulla, solo dei ricordi chiusi in una scatola e appartenenti ad un
passato che doveva restare tale. -Non volevo essere così brutale, ma non posso
darti quello che cerchi.
-Tu non sai quello che
cerco. Magari ho solo bisogno di una vecchia amica- tentò di nuovo l’uomo che
evidentemente non si capacitava di come Camilla potesse essere cambiata tanto
negli anni.
-Non posso essere nemmeno
quello, allora.
-Perché il tuo commissario
te lo proibisce? Non sei mai stata una a cui si può dire quello che deve fare.
Camilla sorrise sconsolata:
-No, non è per Gaetano. Anzi, con ogni probabilità non credo si farà più vedere
o sentire, non dopo quello che gli ho fatto e che ci siamo detti- ammise con
una punta di amarezza. -Se lo faccio è per me. Tu sei una parte importante del
mio passato ma quello è il tuo posto. Il passato. Se ho imparato una cosa
nell’ultimo anno dal tradimento di Renzo è che non si può resuscitare un morto:
non è come nei film, quando decidi di mettere una pietra sopra quello che è
successo e pretendi di ricominciare da capo come se nulla fosse accaduto. Non è
così che funziona nella vita. Non si torna mai indietro e quando lo si fa, si
sbaglia inevitabilmente. E poi a dirla tutta non è che il nostro rapporto fosse
poi così idilliaco: se sei arrivato al punto di volertene andare per inseguire
il tuo sogno era perché io non ti bastavo.
-O forse ero io a non essere
abbastanza per te. Esattamente come ora.
-Forse- concordò Camilla con
un’alzata di spalle che decretò la fine della conversazione. Michele comprese
che non c’era altro che potesse dire o fare per convincere Camilla a dargli una
seconda occasione, trent’anni dopo. E anche se non condivideva ogni parola del
discorso della donna, ne aveva colto perfettamente il succo: non c’era posto
per lui nella sua vita. Lei amava Gaetano e avrebbe fatto qualunque cosa per
riprenderselo.
Con grande sorpresa di
Camilla, Michele l’abbracciò e le diede un bacio sulla fronte.
-Penso che ti sbagli su di
me, su di noi: penso che se ne avessi avuto l’occasione avrei potuto
dimostrarti che quello che avevamo trent’anni fa è ancora qui. Ma tu ami un
altro e io devo accettarlo. E se posso dirti come la penso, quella di poco
prima non era la reazione di un uomo che non è più interessato a te. Se avesse
potuto spararmi, lo avrebbe fatto- scherzò Michele non sapendo quanto era
andato vicino alla verità.
-E’ possibile, ma non credo
che Gaetano sia disposto a perdonarmi ancora una volta.
-Ti sorprenderebbe sapere
quanto siamo disposti a fare per la donna che amiamo, Camilla. Se ne vale la
pena…e credo che per te chiunque sarebbe disposto a tutto.
Suo malgrado Camilla non
poté evitare di arrossire fino alla punta dei capelli; non era abituata a
ricevere complimenti, o meglio, quando questo succedeva, era di solito Gaetano
l’autore.
-Ti ringrazio, Michele.
L’uomo si limitò ad annuire
con un lento movimento del capo. Aveva provato a riprendersi Camilla, ma in
effetti trent’anni erano una pausa un po’ troppo lunga da superare, soprattutto
se nel frattempo lei aveva incontrato il vero amore, quel commissario dai
profondi occhi azzurri e con un sorriso che avrebbe steso chiunque nel raggio
di chilometri.
-Ti auguro di essere felice
con Gaetano. E sì…sono assolutamente certo che lui tornerà da te. Troverai il
modo di farlo accadere.
“Lo spero” fu l’unico
pensiero di Camilla mentre guardava Michele uscire per sempre dalla sua vita.
***
Stupido! Stupido! Stupido!
Come gli era potuto passare
per la testa di riprovare a riavvicinarsi a Camilla? Come? Ah, lo sapeva…Torre!
Ecco di chi era la colpa: sua e di tutti i suoi discorsi su quanto Camilla lo
amasse e su come fosse difficile a volte lasciarsi andare ai sentimenti. Sì…peccato
che lui continuava a seguirli quei maledetti sentimenti e loro, da bravi
stronzi quali erano, non facevano altro che portarlo verso l’orlo del baratro.
Ma adesso tutto sarebbe
cambiato. Ora che aveva visto Michele abbracciare la sua donna…no, abbracciare
QUELLA donna (doveva restare distaccato dai suoi sentimenti anche durante i
monologhi interiori) gli era tutto perfettamente chiaro. A Camilla non era mai
importato nulla di lui. Era stato un passatempo divertente, un gioco, una bella
iniezione di autostima e stop. Doveva mettere a tacere quella parte del suo
cuore che continuava ad urlare a gran voce di dare un’ultima occasione a
Camilla, perché, lo sapeva bene, quella donna non avrebbe fatto altro che prendere
il suo cuore già a brandelli e ridurlo in cenere. Con ogni probabilità aveva
ormai perso totalmente la capacità di amare grazie a lei, ma se l’amore, quello
vero, comportava tutta quella sofferenza il commissario preferiva di gran lunga
l’apatia.
Sbatté la porta del suo
ufficio, una volta arrivato in commissariato, e buttò la giacca sul divano con
tanta di quella rabbia che non si accorse della presenza di Torre proprio a
pochi passi da lui.
-Dotto’!- esclamò
preoccupato.
Gaetano sobbalzò per lo
spavento ma quando si riprese fissò il suo sottoposto con la stessa durezza che
aveva riservato a Camilla pochi minuti prima.
-Che c’è, Torre?
Più che parlare, il
commissario aveva ringhiato. Non era da lui, lo sapeva Torre e lo sapeva anche
Gaetano stesso, ma non poteva evitare a tutta quella frustrazione di trovare
sfogo ancora per qualche minuto. Poi l’avrebbe messa a tacere, come sempre, l’avrebbe
compressa in un angolo della sua anima e l’avrebbe lasciata lì sperando di dimenticarsi
della sua esistenza.
-Vi ho portato i risultati
dell’autopsia- disse mesto Torre. Aveva capito sin troppo bene a cosa poteva
essere dovuto il pessimo umore del suo superiore e di certo non aveva
intenzione di fare domande. A dire il vero, un poco in colpa si sentiva visto
che il consiglio di tentare di appianare le cose con la prof. era venuto da lui
e non doveva aver dato grandi risultati, ma anzi solo peggiorato le cose. Per cui
consegnata la cartella e sinceratosi che il commissario non avesse bisogno d’altro,
se l’era data a gambe rifugiandosi dalla Lucianona.
Una volta rimasto solo,
Gaetano cominciò a percorrere il suo ufficio per tentare di calmarsi. Levarsi dalla
mente il braccio di Michele Carpi che si avvolgeva attorno alle spalle di
Camilla era praticamente impossibile. Sarebbe mai arrivato il giorno in cui
sarebbe stato insensibile a quelle immagini, a quelle provocazioni? Dio,
sperava proprio di sì. Non era possibile continuare a vivere con quell’angoscia
che lo accompagnava non solo da sveglio ma anche nelle ore notturne. Camilla era
ovunque: nella sua testa, nei suoi sogni, nei suoi incubi…riusciva a vederla
persino ora, appoggiata al pilastro del suo ufficio, in attesa dell’ingresso
del prossimo testimone nel caso che aveva riguardato la sua amica Baby.
Scosse la testa come se
questo potesse cancellare l’immagine che si era creata davanti ai suoi occhi,
così irreale e allo stesso tempo così vivida, come se fossero passati solo
pochi giorni da quel momento. In realtà era passata una vita. Niente gli
sembrava così lontano come il ricordo di quegli attimi felici con Camilla, che
entrava nel suo ufficio e si fiondava sulle sue labbra.
Si passò una mano tra i
capelli scompigliando quel ciuffo con cui Camilla amava giocare dopo aver fatto
l’amore. Dio, qualunque gesto, anche il più quotidiano gli ricordava lei. Non poteva
andare avanti così, avrebbe perso la ragione.
Infilò la mano nella tasca
dei jeans alla ricerca del cellulare: aveva bisogno di sentire una voce che lo
facesse sentire meglio, aveva bisogno di sentire suo figlio, l’unica cosa bella
che gli era rimasta nella vita. Invece le sue dita si scontrarono con il freddo
metallo delle chiavi di casa. Le estrasse come se scottassero e le fissò: con
molta probabilità, entro poche settimane Michele avrebbe occupato il suo
appartamento e avrebbe avuto via libera con Camilla.
Al solo pensiero il cervello
sembrò esplodergli. Anche se ora era furioso con lei non poteva comunque
sopportare che quell’hippie mancato si prendesse la sua Camilla.
Guardò con crescente
attenzione quelle chiavi. No, decisamente non avrebbe reso facili le cose a
Michele Carpi. E aveva già un’idea su come evitare quel maledetto trasloco.
Angolo dell’autrice:
Lo so, adesso mi odiate perché non
c’è stata la cena tra i due, ma diciamoci la verità…Camilla ha illuso tutti non
solo Gaetano, quindi deve sistemare un bel po’ di cose. E qui dice addio a
Michele. Meno uno, quindi.
Inoltre, Gaetano aveva ancora
delle cosette da dire, dei sassolini da togliersi dalla scarpa. Mettiamola in
questo modo: più in basso di così non si poteva andare…adesso possono
ricostruire il rapporto su basi un po’ più sincere.
Già dal prossimo episodio si
comincia con la riappacificazione, promesso.
Intanto grazie di cuore a chi ha
letto e a chi lascerà un pensiero.
Era piuttosto insolito che
il commissariato si riempisse dei vagiti di un neonato.
Forse per questo non appena
Livia varcò la soglia di quel luogo spingendo la carrozzina con dentro la sua piccola
Camilla, fu attorniata da un capannello di poliziotti, perlopiù in divisa, che
smaniavano per dare un’occhiata a quel fagottino rosa che, incurante delle
attenzioni, dormiva beatamente. Del resto, si era aspettata una accoglienza
simile: la maggior parte di quegli uomini sapeva esattamente chi lei fosse e
quali rapporti avesse con il loro superiore. Era una di famiglia, per loro: non
che lei avesse mai messo piede con grande frequenza in commissariato, ma era
capitato di vederla spuntare ogni tanto a fianco della madre, anche se molto di
rado negli ultimi tempi.
-Allora? Cos’è questo caos?-
la voce del commissario Berardi sorprese molti degli uomini presenti, che
sobbalzarono quando il loro superiore spuntò alle loro spalle. Erano giorni,
anzi settimane, che Berardi era assolutamente intrattabile e questo dettaglio
non era sfuggito a nessuno di loro, ma tutti tenevano la bocca più che chiusa,
ben sapendo a cosa era dovuto il pessimo umore dell’uomo.
Un’occhiataccia da parte di
Torre convinse tutti che era meglio girare al largo: un Berardi e due “Baudino” nella stessa stanza (per di più una si chiamava
pure Camilla) erano un mix più che esplosivo. Persino la Lucianona,
che normalmente aveva il coraggio (o la faccia tosta, questo non era ancora
chiaro) di ficcare il naso nella vita privata del commissario, ritenette
opportuno allontanarsi dal luogo alla velocità della luce.
Invece, tutti restarono di
sasso quando alla vista di Livia e della piccola Camilla il viso del
vicequestore si aprì in un sorriso luminoso, come non vedevano da tempo.
-Livia! Ben arrivata! Anzi,
dovrei dire ben arrivate!- disse Gaetano stringendo la ragazza in un abbraccio
affettuoso.
-Quando un vicequestore
chiama, non credo si possa ignorare- ribatté Livia non appena l’uomo sciolse il
contatto. Gaetano dovette ammettere che Livia assomigliava sempre di più a sua
madre, non certo fisicamente quanto più nel carattere: la sua capacità di
tenergli testa e di rispondergli a tono erano pari solo a quelli di Camilla.
-Ti dispiace se ci accomodiamo
nel mio ufficio?- disse facendo notare gli sguardi curiosi dei presenti puntati
su di loro.
Per tutta risposta la
ragazza spinse la carrozzina di Camilla nella direzione indicata da Gaetano,
che la seguì, lo sguardo rapito dagli occhioni scuri della piccolina ora
sveglia.
Non riusciva a smettere di
guardare quella copia di Camilla in miniatura: uno scherzo del destino. Gli
stessi occhi scuri, gli stessi ricci, la stessa espressione ingenua e allo
stesso tempo intelligente. Bellissima, proprio come la nonna.
-Vuoi prenderla in braccio?-
chiese Livia avendo notato con quale adorazione Gaetano stesse osservando sua
figlia.
Gaetano scosse il capo con
decisione: -No, ti ringrazio. Non sono mai stato molto bravo con i bambini
piccoli.
-Con Tommy vai benissimo, mi
pare.
-Tommy è cresciuto-
puntualizzò Gaetano, restando poi ancora in silenzio mentre, allungando un dito
verso la piccola, le sfiorò la guancia suscitando un sorriso sdentato.
-Assomiglia alla nonna,
vero?
Non era una domanda
innocente né casuale e Gaetano lo comprese non appena vide l’espressione
divertita e anche provocatoria dipinta sul volto di Livia.
-Cominciamo subito con le
ostilità, ragazzina?- ribatté Gaetano nell’accurato tentativo di sviare ogni
discorso che potesse condurlo a parlare di Camilla. Quella adulta (almeno
anagraficamente).
-Ragazzina?
-Per me resterai sempre la
ragazzina che ha atterrato mio nipote al corso di karate.
-Era judo. E ancora mi
spiace di aver ferito l’orgoglio di Nino.
Gaetano alzò le mani in
segno di resa: discutere con Livia era una battaglia persa in partenza.
-Allora…vogliamo parlare del
motivo per cui mi hai convocata qui?- era sempre Livia a rompere i silenzi che
calavano tra loro, con una leggerezza e semplicità che il commissario le
invidiava. Adorava Livia sin da quando era una bambina, ma nel tempo i loro
rapporti erano stati un po’ oscillanti: alti e bassi dovuti all’adolescenza e,
a dirla tutta, anche alla strana relazione che lui aveva sempre intrecciato con
sua madre. Insomma, tra Gaetano e Livia si era sempre trattato di odio e amore:
si piacevano, si tolleravano ma entrambi erano di fatto un ostacolo per la
piena felicità reciproca. Con la differenza che Gaetano non era mai riuscito ad
avercela con la piccola di casa Ferrero, mentre Livietta aveva più volte
dimostrato la sua insofferenza per la presenza costante di quell’uomo nella sua
vita (e in quella di sua madre soprattutto).
-Non posso semplicemente
avere voglia di rivedere te e questa piccolina?- chiese con aria da finto
innocente il commissario, sempre più stregato dagli occhi della bimba.
Per tutta risposta Livia
inarcò il sopracciglio ad una altezza francamente allarmante, mentre
un’espressione, che definire scettica sarebbe stato riduttivo, si faceva strada
sul suo volto.
-Ok, va bene. In realtà ci
sarebbe una cosa che vorrei darti- confessò l’uomo, che nel frattempo era
riuscito (con non poca difficoltà) a distogliere gli occhi dalla piccola
Camilla per dedicarsi alla ricerca di qualcosa nel primo cassetto della sua
scrivania. Dopo qualche istante allungò sulla scrivania un mazzo di chiavi.
-Che significa?- chiese
Livia afferrando l’oggetto ed esaminandolo da vicino.
-Sono delle chiavi.
-Fin qui ci ero arrivata,
grazie- rispose sarcastica la ragazza provocando il sorriso divertito del commissario.
-Sono per te. E anche per
George e la piccola, ovviamente. È il mio vecchio appartamento- precisò Gaetano
quando gli occhi azzurri di Livia si piantarono dritti nei suoi.
-Mi stai dando casa tua?- il
tono ora era genuinamente sorpreso. Quell’uomo che per lei era, tutto sommato,
un estraneo (anche se presente nella sua vita da dieci anni) le stava regalando
una casa?
L’uomo annuì cercando di
intuire dall’espressione del viso di Livia la sua risposta.
-Io…mi dispiace ma…è troppo.
Non posso accettare- disse infine la ragazza tornando a posare le chiavi sulla
scrivania. -Sei molto gentile, Gaetano, ma non posso, davvero.
Livia tutto si aspettava
tranne che la risata allegra del commissario.
-Sapevo che avresti
rifiutato.
-E allora perché me lo hai
chiesto, scusa?- domandò imbarazzata e anche seccata per essere stata presa in
giro.
-Per passare alla
controproposta- ammise l’uomo.
-Quella non dovrei farla io,
semmai?
-Giusto. Vuoi farne una tu,
allora?
Livia cominciava a capire
cosa attraesse tanto sua madre. Gaetano non era solo obiettivamente un
bell’uomo (e del resto come già aveva detto a sua madre tempo prima Gaetano era
sì invecchiato, ma nel minore dei modi; cosa che non poteva certo dire di suo
padre che, certo, restava ancora un uomo affascinante, ma il fisico aveva un
po’ ceduto ed erano comparsi anche alcuni tic nervosi), ma era anche
intelligente, acuto, simpatico, divertente…insomma un uomo affascinante, nel
senso più generale e completo del termine. Sì, ma allora perché se lo era
lasciata scappare?
-Va bene, mi arrendo. Quale
è la tua controproposta?- chiese Livia.
Gaetano riafferrò le chiavi
e le fece penzolare davanti al volto della ragazza: -Allora, diciamo che non ti
regalo l’appartamento, ma te lo lascio in affitto compreso di tutti i mobili, a
condizione che mi paghiate solo quando avrete un’occupazione stabile. E non
prima di almeno tre anni a partire da oggi.
-Due- propose Livia entrando
nello spirito della contrattazione.
-Due e mezzo- ribatté il
commissario divertito da quel botta e risposta, ben sapendo che alla fine non
avrebbe accettato un euro prima di almeno cinque o sei anni. E forse nemmeno
allora.
Livia sembrò doverci
riflettere.
-Mia madre mi ucciderà-
disse infine afferrando le chiavi che Gaetano ancora teneva tra le mani.
-Penso potrà sopportare che
la sua bimba se ne vada di casa. E poi vai a stare davanti a lei, non
dall’altra parte della città.
-Non è per quello che mi
ucciderà. Se accetto, vorrà dire che tu ti trasferirai definitivamente. E non
penso me lo perdonerà mai.
Gaetano sorrise, ma Livia
notò un velo di tristezza farsi strada in quelle iridi azzurre.
-Se è questo che ti
impedisce di accettare, puoi stare tranquilla. Mi trasferirei altrove comunque,
a prescindere dal fatto che tu accetterai o meno.
-Ne sei proprio sicuro,
Gaetano? Perché guarda che mia madre…
Gaetano la fermò con un
cenno gentile della mano: non voleva offendere Livia, che, ne era certo,
avrebbe preso con grande vigore le difese della madre, ma non poteva sopportare
di sentir parlare ancora di quella donna che aveva giocato con i suoi
sentimenti senza il minimo riguardo.
-Ho bisogno di allontanarmi
da quel posto, Livia. Credo che tu possa anche capirmi. E comunque devo ancora
farti un regalo per le tue nozze, se non sbaglio- continuò il commissario con
un tono più leggero.
-Un regalo? Hai fatto in
modo che Holly potesse venire al mio matrimonio! Quello per me è stato davvero
importante, Gaetano!
-Quello era lavoro- disse
Gaetano. Poi indicando le chiavi proseguì: -Questo è un regalo.
Livia sentì un nodo
stringerle le gola: quell’uomo, che non le doveva niente e che anzi con tutta
probabilità avrebbe dovuto detestarla perché senza di lei sua madre non avrebbe
mai continuato a tenere in piedi un matrimonio finito anni prima, la stava
trattando esattamente come se fosse almeno in parte figlia anche sua.
-Io…davvero, Gaetano, non so
cosa dire- riuscì infine ad articolare, quando riprese il controllo dei suoi
pensieri.
-Dì che accetti la mia
proposta.
Livia fissò il suo
interlocutore mentre la sua espressione mutava da sorpresa a maliziosa:
istintivamente Gaetano comprese che questo non poteva essere un buon segno.
-Controproposta- proclamò la
ragazza, provocando la risata sincera di Gaetano.
-Avanti, sentiamo.
-Accetto la tua proposta ad
una condizione. Non negoziabile.
L’uomo sospirò: decisamente
Livia aveva ereditato l’abilità della madre nelle trattative.
-Quale condizione?
-Organizzerò una festa per
inaugurare casa. Voglio che tu ci sia.
La smorfia soddisfatta di
Livia non scalfì il sorriso che campeggiava sul volto di Gaetano: aveva
previsto un minimo di resistenza e persino un tentativo di convincerlo a
riappacificarsi con la madre. Ma non aveva preventivato una sorta di ricatto.
Obbligarlo a stare nella stessa stanza con Camilla. Non era una buona idea.
Tutto il contrario. Magari pure con Renzo e persino con Michele. No,
decisamente una pessima idea!
-Livia…
-Ho detto che non è
negoziabile- sentenziò Livia irremovibile.
-Non pensi sia rischioso avere
me e tua madre nella stessa stanza?
Livia scrollò le spalle come
se la prospettiva non la preoccupasse minimamente.
-Ci saranno anche altre
persone, non sarai costretto a parlare con lei. E poi sarai lì per me e per la
piccola, giusto?
-Tu non ti arrendi mai,
vero?
-Mai- ammise la ragazza con
un’espressione di trionfo dipinta sul viso. -Lo prendo come un sì, allora?
Gaetano dovette arrendersi a
quegli occhi azzurri che nonostante tutto lo facevano sentire a casa, in
famiglia.
-D’accordo. Ci sarò.
Quasi come se fosse stata
partecipe della conversazione, la piccola Camilla decise di manifestare la
propria approvazione con un gridolino che attirò l’attenzione dei due adulti su
di sé.
-Vedi? Anche lei ti vuole
alla festa- commentò Livia mentre con delicatezza afferrava la bimba e la
sollevava dalla carrozzina prendendola in braccio. La fece quasi sedere sulle
sue gambe, per quanto possibile a soli pochi mesi di vita. Ora quei due fari
cioccolato erano puntati dritti verso il commissario e lo fissavano incuriositi.
Gaetano ne fu attratto come una calamita e, circumnavigata la scrivania, si
sedette accanto a Livia prendendo tra le sue mani quella piccola e paffuta di
Camilla.
-Non è questa la Camilla di
cui ho paura- disse l’uomo sovrappensiero, dando voce ad un’idea che nelle sue
intenzioni doveva restare ben chiusa nella sua mente. –Scusa, io non…
-Non devi scusarti, Gaetano.
Senti, so tutto, ok? Mia madre mi ha raccontato tutto e per quello che vale
penso che tu abbia tutte le ragioni per fare quello che hai fatto. Dico
davvero. Anzi, io probabilmente avrei fatto di peggio. Però Gaetano…
-Livia, ti prego…
-No! Lasciami parlare,
Gaetano- disse Livia, il tono imperioso di chi non vuole essere interrotto,
tantomeno contraddetto. -Mia madre ha sbagliato, lo so, ma ti ama, moltissimo.
Io lo vedo quanto sta soffrendo. Se potesse tornare indietro, farebbe tutto in
modo diverso. E non mi riferisco solo alle ultime settimane. Se potesse
cambiare gli ultimi dieci anni della sua vita, lo farebbe. Sei l’uomo più
importante della sua vita e non vuole perderti.
-Ha uno strano modo di
dimostrarlo, Livia- Gaetano si era irrigidito ma non riuscì ad evitare che la
voce gli si incrinasse per il dolore sentendo le parole della ragazza: erano
allo stesso tempo inferno e paradiso. Ogni volta che pensava di andare oltre,
qualcuno o qualcosa lo ancorava ancora saldamente a lei.
-Lo so. È assurdo, se ci
penso! È capace di dimostrare empatia per chiunque tranne quando si tratta di
te.
-Grazie- esclamò sarcastico
l’uomo, senza però prendersela sul serio.
-Quello che voglio dire è
che lei ci tiene tantissimo a te e so che non lo riesce a dimostrare ma se tu
le concedessi un’altra occasione…
-Ho già buttato via dieci anni
di vita e due matrimoni per lei, Livia. Mi sembra di averle concesso più di
un’occasione- replicò con un tono più duro di quanto avrebbe voluto.
-Lo capisco…davvero. È solo
che mia madre non ha mai amato nessuno come ama te. E fidati, non mi è facile ammetterlo,
perché non ha mai provato nulla del genere nemmeno per mio padre. Non te ne
faccio una colpa, Gaetano. Né a te, né a lei, perché non si sceglie chi si ama.
Adesso lo so, questo. Vorrei solo che tu sapessi…qualunque sia la tua decisione
su di lei, sulla vostra relazione…vorrei solo che tu sapessi cosa sei davvero
per lei, anche se lei non riesce a dirtelo.
Nella concitazione della
strenua difesa della madre, Livia aveva inavvertitamente scosso la piccola
Camilla, che dopo un paio di singhiozzi iniziali si era lasciata andare ad un
pianto disperato. Senza nemmeno rendersene conto e senza chiedere il permesso a
Livia, Gaetano d’istinto prese tra le braccia la piccola Camilla portandosela
al petto, mentre girovagando per la stanza la cullava passando la sua grande
mano sulla schiena della piccola. Al suo tocco Camilla cominciò a calmarsi e
pian piano, terminate le lacrime, anche i singhiozzi si acquietarono.
-Tranquilla, non è successo
niente- mormorava il commissario in modo che solo la diretta interessata
potesse sentirlo. Poggiò un bacio delicato sulla testa della piccola,
inspirando quel tipico profumo di bambino che era una delle poche cose che
ricordava dell’infanzia di Tommy.
Quante volte aveva sognato e
sperato di poter coccolare nuovamente un figlio tutto suo? Un figlio che fosse
anche della sua Camilla? E aveva creduto che questo potesse in qualche modo
diventare realtà nelle ultime settimane, anche se sapeva che l’età della
professoressa rendeva difficile ma non impossibile questo suo progetto. Il
pensiero lo richiamò alla realtà: quella non era la sua bambina e di certo il
suo era stato un gesto del tutto inappropriato data la situazione.
-Ti prego, Livia, perdonami-
disse in imbarazzo porgendo la piccola alla ragazza.
-E di cosa? Sei riuscito a
consolarla in meno tempo di quanto ci avrei impiegato io! Vedi che sei portato
a stare con i bambini?- rispose Livia cercando di stemperare quel tumulto di
emozioni che leggeva negli occhi del commissario.
Torre bussò giusto in tempo
per evitare a Gaetano di abbozzare una risposta, che effettivamente gli
mancava.
-Dotto’, mi scusi, ma c’è il
pm per il caso Ronco.
Gaetano annuì e ringraziò il
collega congedandolo.
-Sarà meglio che vada,
allora- disse Livia riponendo con cura la sua bambina nella carrozzina. Poi
afferrò le chiavi che aveva lasciato sulla scrivania di Gaetano: -Io le prendo,
ma tu ricordati la promessa.
-Ci sarò- si limitò a dire
il commissario. Non era convinto che fosse una buona idea rivedere Camilla,
tanto più se in compagnia di Renzo o Michele, ma del resto, rifletté, sarebbero
passate settimane prima che Livia e George terminassero il trascolo: settimane
in cui lui avrebbe tentato di riprendere il controllo della sua vita e delle
sue emozioni. Non era affatto facile, ma da qualche parte doveva pur cominciare
per rimettersi in piedi.
***
-Tommy, sbrigati! Siamo in
ritardo!
Il piccolo Berardi sbuffò
mentre con un gesto di stizza spense il televisore proprio quando la storia si
stava facendo interessante.
A passo militare raggiunse
il padre nella sua nuova stanza, che proprio non riusciva a farsi piacere. Cosa
c’era che non andava nella vecchia cameretta? E soprattutto cosa c’era che non
andava nella vecchia casa?
-Ancora così stai?- disse
Gaetano quando lo vide spuntare dietro la porta, con ancora i vestiti sgualciti
della giornata indosso.
Per tutta risposta Tommy
alzò le spalle, ricordando a Gaetano i tempi in cui aveva appena ripreso i
rapporti con il figlio e quest’ultimo parlava a stento e comunicava il suo
disappunto per la nuova convivenza con una scrollata di spalle.
Il commissario sollevò il
figlio da terra e lo fece sedere sul letto in modo da poterlo guardare dritto
negli occhi.
-Mi vuoi dire che ti
succede? È da quando sei arrivato dalla Svezia che sei arrabbiato!- in realtà Gaetano
aveva un’idea di cosa poteva nascondersi dietro al cattivo umore del figlio, ma
sapeva, anche per esperienza personale, che era meglio per il bambino dare voce
ai suoi pensieri.
-Non mi va di andare alla
festa- ammise Tommy.
-Non ti va di vedere Livia e
la piccola Camilla?
-Sì, loro sì!- disse Tommy
con uno slancio che fece sorridere il padre. In effetti, quando avevano
ricevuto l’invito di Livia per la festa di inaugurazione della nuova casa,
Tommy aveva subito manifestato una sincera gioia al pensiero di poter passare
del tempo con Livia e con la piccola Camilla, presto sostituita da una smorfia
di preoccupazione e di sofferenza. Gaetano non aveva dovuto faticare poi molto
per capire a cosa fosse dovuto quel cambiamento: come per lui, anche per il
figlio il problema non era la Camilla bambina, ma quella adulta. Della serie, talis pater, talisfilius.
-E allora perché non vuoi
andare? È per Camilla?- chiese con dolcezza il commissario.
Il bambino si limitò ad
annuire tenendo gli occhi bassi mentre si tormentava le mani. Gaetano le prese
tra le sue, costringendo il figlio ad alzare lo sguardo verso di lui.
-Tommy, Camilla ti vuole
bene e sono sicuro che non vede l’ora di vederti!
Gli occhi di Tommy si fecero
lucidi nel tentativo di trovare le parole adatte per rispondere al padre.
-Se mi vuole bene, perché
non vuole più stare con noi?
Una stretta al cuore colpì
Gaetano nel vedere il figlio soffrire così tanto per quello che stava accadendo
tra lui e Camilla. Era già abbastanza difficile affrontare questa situazione
per se stesso, se poi doveva andarci di mezzo anche suo figlio…
-Tesoro, Camilla vuole stare
con te. Il fatto che lei ed io non stiamo più insieme non significa che lei non
voglia più passare del tempo in tua compagnia. Noi siamo comunque rimasti
amici- Gaetano avrebbe voluto mangiarsi la lingua piuttosto che definirsi
“amico” di Camilla, ma non poteva fare diversamente. I suoi sentimenti, i suoi
rancori, le sue delusioni nei confronti di Camilla non dovevano condizionare
anche l’esistenza di Tommy.
-Ma io lo so che tu sei
triste perché lei non c’è più.
Mentire o dire la verità?
Quanto poteva comprendere un bambino così piccolo dell’amore? Gaetano fu
tentato di ricorrere alla frase di sicurezza che tutti i genitori sfoderano nei
casi estremi: “sono cose da grandi. Non puoi ancora capire”, ma Tommy meritava
qualcosa di meglio di frasi fatte e risposte vaghe.
-Senti, Tommy, è vero che
sono triste, ma se tu vuoi passare del tempo con lei per me va bene! Davvero.
-Quindi non devo essere
arrabbiato con lei?
Gaetano lo fissò con un
sorriso: -Sei arrabbiato con Camilla?
-Un po’. Però le voglio bene
lo stesso.
-E allora penso che dovresti
andare alla festa e fare la pace con lei.
-Anche tu farai pace con
lei?- chiese Tommy, gli occhi pieni di speranza.
-Tommy- Gaetano si sedette
accanto al figlio passandogli un braccio attorno alle spalle. –io voglio molto
bene a Camilla e gliene vorrò sempre…
-…e anche lei ne vuole a te-
intervenne il piccolo con convinzione, enunciando quella che per lui era una
verità assoluta.
-Certo, anche lei ne vuole a
me, ma in modo diverso.
-Che vuoi dire?
Il commissario non sapeva
proprio come poter spiegare al figlio la differenza tra amicizia e amore, per
lui evidentemente troppo complessa da comprendere.
-Vedi, io vorrei sposare
Camilla, ma lei non se la sente. Per il momento preferisce restare da sola- “a
fare la nonna single e indipendente” avrebbe voluto aggiungere con una
tonnellata di sarcasmo nella voce.
-Non vuole vivere con noi?
Perché?
“Bella domanda” si chiese
Gaetano.
-E’ perché sono disordinato
e mangio sul divano?- continuò il piccolo facendo mente locale sui rimproveri
più frequenti che riceveva dalla madre e anche a volte dal padre.
Il commissario sorrise: -No,
no, Tommy. Tu vai benissimo. Credo che il problema sono io, ma questo discorso
lo affronteremo un’altra volta, d’accordo? Altrimenti non arriviamo più da
Livia! E zio Renzo si finisce tutta la torta!- concluse afferrando Tommy per la
vita e sorprendendolo con un attacco di solletico.
Tommy aveva altre mille
domande, ma comprese che per il padre il discorso doveva ritenersi chiuso.
Saltò giù dal letto come un fulmine, non prima però di aver stretto il padre in
un forte abbraccio, il più forte di cui era capace.
Gaetano lo guardò
allontanarsi: di fatto, si ritrovava a dover gestire i postumi di una
separazione e di un divorzio, senza nemmeno aver goduto dei benefici e dei
piaceri di un matrimonio! Afferrò la prima cosa che trovò, il dinosauro di Tommy,
e lo scagliò attraverso la stanza. Non avrebbe mai maledetto abbastanza il
giorno in cui aveva incontrato Camilla Baudino.
Angolo dell’autrice:
che dire? Prima di tutto ho
deciso di riportare alla sanità mentale Livietta: se è abbastanza matura per
sposarsi e figliare, deve esserlo anche per affrontare il rapporto allucinante
tra la madre ed il commissario. E a parte questo credo che lei e Tommy siano
gli unici che possano fare da intermediari per i due tontoloni.
Quanto a Tommy…lo adoro, è
stato sfruttato poco e malissimo a mio avviso nella sesta stagione, quindi
adesso bisogna recuperare.
Insomma, non vi ho dato la
cena romantica a due, ma una festa di inaugurazione per la nuova casa di Livia.
Ed è solo l’inizio.
Spero che vi sia piaciuto e
grazie a tutti coloro che leggono e che trovano il tempo di lasciare un pensiero.
Non era riuscita a
togliergli gli occhi di dosso nemmeno per una frazione di secondo da quando era
entrato in quello che ora era l’appartamento di sua figlia Livia. E come
avrebbe potuto? Lui, bellissimo come sempre, con quella camicia azzurra dalle
maniche sapientemente risvoltate per il caldo di inizio settembre, quell’ombra
di barba che rendeva il suo viso leggermente abbronzato così attraente e quegli
occhi azzurri che potevano illuminare da soli l’intera stanza e nei quali era
riuscita a specchiarsi tante volte. Lui, perfetto proprio come se lo ricordava.
Lui, intento a parlare con Holly (che pendeva dalle sue labbra come la sua
allieva Debbie di tanti anni prima al Fibonacci)
vicino a quel divano che li aveva visti tante volte accoccolati, abbracciati,
felici. Era davvero troppo da sopportare per Camilla.
Averlo a due passi da lei e
non potercisi nemmeno avvicinare.
Non che lui avesse detto o
fatto qualcosa di particolare per tenerla a debita distanza, chiaro. Non era da
Gaetano dare spettacolo in pubblico. Si era semplicemente ma implacabilmente
limitato ad ignorarla. Mai una volta era riuscita a cogliere uno sguardo verso
di lei, un cenno di dolore nei suoi occhi mentre si aggirava in quella che un
tempo era stata la sua casa….la “loro” casa. Niente. Sembrava che nulla fosse
mai accaduto tra loro. Nessuno avrebbe detto che pochi mesi prima erano stati
una coppia. Una coppia felice, innamorata. Una coppia vera, nonostante le
stronzate che lei si era raccontata per mesi.
-Se continui a fissarlo in
questo modo, qualcuno comincerà a pensare che sei pazza- aveva osato dire ad un
certo punto Renzo, passandole accanto ed offrendole un bicchiere di spumante.
Intenta come era a non perdersi nemmeno un movimento di Gaetano, non si era
accorta che Livia aveva dato ufficialmente il via ai festeggiamenti, stappando
una bottiglia di vino e tagliando la prima fetta di torta. Rigorosamente al
cioccolato. Rigorosamente di Boffi.
Boffi … torte al cioccolato …
camice macchiate … Gaetano a petto nudo … Gaetano … Gaetano … Gaetano …
-Camilla?- la richiamò
Renzo.
-Come?
-Vai a parlarci! Se ha
accettato di venire, significa che le cose vanno meglio, no? Che è disposto ad
una tregua!- aveva suggerito Renzo.
Il problema era che Camilla
non se la sentiva: moriva al solo pensiero che Gaetano fosse così vicino e allo
stesso tempo così distante, ma l’idea di rivolgergli la parola e rivedere
quello sguardo gelido e sprezzante nei suoi occhi rivolto a lei la spaventava
ancora di più.
-Non posso. È qui solo per
cortesia nei confronti di Livia. E poi questa è ancora tecnicamente casa sua-
aveva risposto Camilla, decisa a trovare ogni scusa possibile per evitare di
avvicinarsi a lui.
Renzo si era limitato ad una
scrollata di spalle e si era allontanato in direzione del suo secondogenito che,
tra le braccia di Carmen, aveva appena ripreso a piangere.
Dentro di sé, Camilla sapeva
benissimo che quella era una di quelle situazioni da “ora o mai più”, una di
quelle circostanze in cui bisognava buttarsi e basta e sperare che tutto
andasse per il meglio. Lo sapeva, lo sentiva; ma il ricordo di quegli occhi
delusi pesava come un macigno sul suo cuore e soprattutto sulle sue gambe.
Si arrese alla sua
vigliaccheria e decise di tornare da sua nipote: quel visino paffuto avrebbe
attenuato, anche se per poco, il dolore per il caos che aveva (quasi)
involontariamente portato nella sua vita e in quella del commissario.
Girò su se stessa, ad occhi
chiusi, ma non fece due passi prima di trovarsi davanti Tommy, in posizione
quasi militare, in mano un piatto che portava gli evidenti resti di una
abbondante fetta di torta e lo sguardo di chi non aveva ancora deciso se era
contento o meno di quell’incontro.
-Tommy- esordì Camilla con
tutta la dolcezza possibile nella voce. Se farsi perdonare da Gaetano era
un’impresa, di certo anche con Tommy le cose non sarebbero state facili. –Sono
felice che tu sia venuto alla festa di Livia.
Il bambino alzò le spalle ma
non distolse mai lo sguardo da quello di Camilla.
-Hai visto la piccola
Camilla? Ti piace?
Tommy annuì, senza di nuovo
aprire bocca. Decisamente un osso duro quanto il padre, pensò.
-Vuoi che ti porti un’altra
fetta di torta?- tentò di prenderlo per la gola. Patetica. Doveva solo chiedere
scusa al bambino, come stava cercando di fare da mesi con il padre. Ma se non
gli era riuscito con Gaetano che conosceva da dieci anni, figuriamoci con quel
bambino che conosceva da molto meno tempo. È che proprio scusarsi per principio
le riusciva difficile, a volte.
Ed infatti per tutta
risposta Tommy scosse la testa indicando di no.
-D’accordo- Camilla si
avvicinò di più al bambino e si chinò alla sua altezza sostenendo il suo
sguardo. Gli occhi non erano dello stesso colore di quelli di Gaetano, ma la
severità era la stessa in quel momento. –Sei arrabbiato con me, vero?
Ancora una volta Tommy annuì
senza proferire parola.
-Lo capisco. E vorrei
chiederti scusa e fare pace con te, se me lo permetti.
Tommy sembrò doverci riflettere
per un po’. –Papà dice che se anche a lui non gli vuoi più bene a me ne vuoi
ancora tanto. È vero?
Camilla sentì un nodo
formarsi all’altezza della gola, un po’ per via dell’espressione triste del
bimbo, un po’ per le parole che aveva usato, la maggior parte per via della
consapevolezza (una volta di più) di quanto Gaetano fosse infinitamente
migliore di lei. Nonostante tutto, lui si era preoccupato di mantenere un buon
rapporto tra suo figlio e Camilla, la donna che gli aveva spezzato il cuore. Lei
sarebbe riuscita a fare lo stesso a parti invertite? Davvero non sapeva che
rispondersi.
-Certo che è vero. Io ti
voglio bene, Tommy, e te ne vorrò sempre. E voglio bene anche al tuo papà, solo
che al momento abbiamo qualche problema- Camilla non poté resistere dal fare
questa precisazione. Non aveva smesso un solo istante di “voler bene” a
Gaetano, questo doveva essere chiaro a tutti, anche a Tommy.
-E tu non vuoi fare la pace
con lui?
-Ma certo che voglio. È che
a volte tra i grandi è difficile. E poi io ho fatto delle cose molto brutte e
cattive e il tuo papà ci è rimasto molto male.
Ancora una volta Tommy
sembrò dover riflettere con attenzione sulle parole di Camilla.
-Non puoi chiedergli scusa e
dirgli che non le farai più? Con la mamma io faccio così.
Camilla avrebbe tanto voluto
risolvere in quel modo tutti i suoi problemi attuali, proprio come quando era
bambina con sua madre e soprattutto con suo padre: delle scuse sincere (quasi
sempre) e la promessa di rigare dritto per il futuro (puntualmente disattesa).
-Vorrei fosse così semplice,
Tommy- disse Camilla accompagnando le parole con un lungo sospiro. -Il fatto è
che quando si diventa grandi chiedere scusa a volte non basta.
-Io non so se voglio
diventare grande, allora- concluse saggiamente il piccolo. Ed in effetti, come
dargli torto? Gaetano e Camilla, gli adulti, non facevano che ripetergli quanto
diventare grandi fosse di fatto “uno schifo”. Perché prendersi la briga di
crescere e di complicarsi l’esistenza? Molto meglio restare bambini, passare il
tempo tra giochi, scuola, amici e stop. Sì, a volte qualche noia la scuola la
poteva anche dare, con i compiti, gli insegnanti severi, i test in classe…ma
paragonati ai problemi del mondo dei grandi? Una sciocchezza.
Questa conclusione
filosofica strappò un sorriso, il primo sorriso della giornata, a Camilla: -Hai
ragione, Tommy. A pensarci bene diventare grandi non è sempre una bella cosa-
rispose mentre con una mano gli scompigliò i capelli come era solita fare sin
da quando lo aveva conosciuto anni prima.
Ci era voluto un po’ di
tempo per ottenere la sua fiducia ed il suo affetto, ma alla fine (complice
l’aiuto inestimabile di Potty) ce l’aveva fatta. Ora,
probabilmente aveva sprecato tutto il lavoro fatto negli anni; probabilmente
Tommy non avrebbe nemmeno più voluto vederla in fotografia; probabilmente se
Livia non avesse insistito per quella festa e per inviare Gaetano, Camilla non
avrebbe più rivisto Tommy. La professoressa realizzò in quell’istante quanto
fosse legata a quel bambino che non era, nemmeno per una minima parte, suo e la
prospettiva di perderlo la devastava esattamente come se al posto di Tommy ci
fosse stata Livia, la sua Livia.
-Senti, Tommy, facciamo
così- continuò la donna ricacciando indietro il nodo che le si era formato in
gola al pensiero che quel piccolino le venisse portato via per sempre. -Io ti
prometto che mi impegnerò al massimo per farmi perdonare dal tuo papà, ok?
Voglio tornare a quando eravamo felici tutti insieme, davvero. Però tu devi
tenere bene a mente una cosa: qualsiasi cosa succeda tra me ed il tuo papà io
ti voglio bene, tu fai parte della mia famiglia tanto quanto Livia, George e la
piccola Camilla, e se avrai bisogno di me o vorrai passare del tempo con noi tu
sarai sempre il benvenuto. D’accordo?
Il bimbo annuì, gli occhi
lucidi come quelli di Camilla, e, incurante del piatto sporco che ancora teneva
tra le mani, si gettò tra le braccia della donna, che lo accolsero e lo
strinsero con una forza pari alla dolcezza che trasmettevano.
***
Lo sforzo che dovette
compiere per evitare di correre da lei o anche solo guardarla fu davvero
disumano. Gli sembrava che privare il suo corpo, qualunque parte del suo corpo,
di lei fosse la peggiore delle torture, anche se questo suo tenersi alla larga
era l’unico modo che conosceva per proteggersi da altre batoste.
Quando era arrivato
un’oretta prima, era rimasto fermo immobile davanti alla porta di quella che un
tempo era casa sua per qualche secondo, prima che Tommy prendendolo per mano lo
costringesse a suonare al “suo” campanello. Tutta la situazione era surreale:
stava portando dei fiori a casa “sua” per una festa di inaugurazione fatta da
altri. Se qualcuno, mentre firmava il contratto di compravendita immobiliare,
gli avesse raccontato quello che sarebbe accaduto di lì a pochi mesi non solo
non ci avrebbe mai creduto, ma con tutta probabilità avrebbe richiesto un t.s.o. per il messaggero. Lui e Camilla insieme?
Impossibile, benchè lo desiderasse e sperasse da
tempo. Lui e Camilla in lite per colpa della sua gelosia e delle incertezze di
lei? Ancora più assurdo. Lui e Camilla che nemmeno riuscivano più a stare nella
stessa stanza senza urlarsi contro? Da manicomio. No, non avrebbe mai potuto
prevedere che quel cambio casa avrebbe condotto a questi nefasti risultati, altrimenti
si sarebbe tenuto stretto il buon vecchio trilocale e avrebbe continuato a
spiare la sua vicina dall’altra parte del cortile. La distanza di sicurezza
ideale per loro due; un pianerottolo soltanto si era rivelato del tutto
inadeguato.
Senza volerlo, scandagliò
con lo sguardo l’intera stanza, mai stata così affollata quando ad abitarci era
il solitario commissario Berardi: Renzo era comprensibilmente vicino al piccolo
Lorenzo, Camilla se ne stava quasi rintanata in un angolo, come a volersi
nascondere da tutti e soprattutto da lui, mentre Michele…beh, di Michele non
c’era traccia. Ovvio, pensò Gaetano: se Livia lo aveva voluto lì, di certo non
avrebbe mai esteso l’invito al nuovo compagno hippie di sua madre. Sarebbe
stata una polveriera.
Gaetano andò subito a
posizionarsi il più lontano possibile dall’area dove gravitava Camilla: se un
pianerottolo non era stato sufficiente, figuriamoci cosa poteva accadere ora
che erano a pochi passi l’uno dall’altra!
Lasciò Tommy libero di
andare a conoscere la piccola Camilla e di giocare con Potty,
che subito era accorso dal bimbo scodinzolando felice. Lui, invece, fu quasi
subito raggiunto da Holly, l’amica/stilista/testimone di Livia: con sua enorme
sorpresa, la ragazza si era avvicinata per ringraziarlo del suo aiuto nel caso
che l’aveva vista coinvolta in prima persona. Ma non lo aveva definito
prevenuto e pure misogino? Il pensiero fece scaturire ricordi dolorosi di lui e
Camilla che si rotolavano sul quel pavimento dopo un’attenta ricostruzione della
dinamica del delitto. Chiuse gli occhi, anzi li strizzò così forte da fargli
addirittura male, e quando li riaprì si era già voltato in modo da non essere
costretto a fissare il punto esatto del pavimento in cui erano finiti a fare
l’amore come due ragazzini dagli ormoni incontrollabili.
Il problema era che ovunque
posasse gli occhi non poteva evitare di pensare a lei, a loro, a cosa erano
stati. O forse a quello che non erano stati, visto che per Camilla non si era
mai trattato di un rapporto di coppia. Un forte attacco di nausea colpì Gaetano
in pieno stomaco al ricordo di quella conversazione, se così si poteva
chiamare, e proprio mentre Tommy si era rifatto vivo con un mano un piatto e
una fetta gigante di torta al cioccolato. Torta al cioccolato. Boffi. Quel maledetto ananas e il suo fiore.
Lo sapeva. Sapeva che non
avrebbe dovuto accettare quell’invito. Era come essere colpito da una serie
continua di schiaffi in pieno a viso ad ogni passo, ad ogni pensiero. Si era
lasciato convincere per Livia e forse anche per Tommy, al quale non voleva
negare di mantenere un rapporto sereno con Camilla e la sua famiglia. Aveva già
combinato abbastanza disastri in passato con la sua ex moglie: non voleva certo
infliggergli altre dolorose separazioni.
Ma ora eccolo lì, nel mezzo
del suo ex salotto con in mano una torta di Boffi che
era impossibile da digerire sotto ogni punto di vista, per tutte le
implicazioni che quella torta comportava.
Fu particolarmente grato a Potty che si riportò via Tommy, dandogli la possibilità di
abbandonare quel piatto e rifugiarsi verso la finestra. Una boccata d’aria era
quello che gli serviva. Si appoggiò al balcone lanciando lo sguardo oltre il
cortile, verso quello che un tempo era il suo appartamento, quello che lo aveva
accolto appena arrivato a Torino. Era stato felice lì, tutto sommato, almeno
fino a quando non era arrivata Camilla a sconvolgere di nuovo la sua esistenza
una mattina di settembre di oramai due anni prima.
Due anni.
Sembrava ieri, eppure erano
passati già due anni. Di quella mattina ricordava il tuffo al cuore nel vedere
quei due occhi marroni guardarlo dall’altra parte del cortile condominiale, il
peso caricato sulle spalle che quasi cadeva ai suoi piedi e quella voglia matta
di andare da lei, dirle che rivederla lo aveva riportato alla vita e baciarla.
Sì, l’avrebbe baciata e senza chiederle il permesso questa volta, senza darle
la possibilità di scivolargli via. Invece, si era trattenuto, come aveva sempre
fatto, perché lui era così: la amava e proprio per questo non avrebbe mai
accettato di averla se anche lei non ne fosse stata convinta. E così aveva
aspettato, fino a quando un anno dopo aveva scoperto del tradimento di Renzo; e
da lì a pochi mesi era accaduto quello che aveva sempre sperato: Camilla si era
presentata da lui nel cuore della notte pronta ad accettare quel meraviglioso
sentimento che era nato tra loro molti anni prima. O almeno questo era quello
che aveva creduto allora. Oggi, solo come non si era mai sentito in quella casa
sovraffollata, non poteva che constatare come era stato tutto solo un suo
sogno, una sua fantasia.
Un sospiro, una lacrima che
furtiva aveva lasciato il suo occhio e presto raccolta e nascosta con un rapido
gesto della mano e, infine, il suo telefono che squillava. Torre.
Si guardò attorno rendendosi
conto che non era possibile rispondere in quella baraonda; così, si diresse
verso quella che mesi prima era stata la sua camera da letto attraversando
l’intera stanza. Alle sue spalle Camilla stava abbracciando con tenerezza suo
figlio.
***
Le passò accanto e lei ne
avvertì il profumo.
Aveva ancora tra le braccia
il piccolo Tommy, quando Gaetano attraversò la stanza passando a pochi
centimetri da lei. Cosa avrebbe dato per poter allungare la mano e fermarlo?
Stringere e farsi stringere da lui in un abbraccio? Anche davanti a tutti, non
era un problema. Non più.
Lasciò la presa sul bambino
per continuare a seguire con lo sguardo la figura di Gaetano che si allontanava
in direzione del corridoio; conosceva a memoria quella casa e non perché ora ci
abitava Livia. Quante volte lei aveva percorso quel corridoio abbracciata, anzi
-meglio- avvinghiata a lui in un bacio così intenso da farle dimenticare tutto
ciò che non era Gaetano ed il suo corpo stretto a sé? Non abbastanza! Adesso lo
sapeva: non sarebbe mai stato abbastanza! Non le bastavano momenti con Gaetano,
momenti come quello che stava vivendo ora guardandolo da lontano. No, lei
desiderava tutto adesso. Voleva il pacchetto completo: una vita accanto a lui,
con gli alti e i bassi che ne sarebbero derivati, con le gioie ed anche le
incomprensioni, con i momenti di festa e quelli di rabbia. Voleva tutto ora e
sapeva che non lo avrebbe avuto mai più. Quanta magia poteva esserci nel
sedersi a tavola insieme per cena o sul divano per guardare un film? Non
l’aveva mai capito. Non fino a quando quella magia le era stata portata via.
Oddio, portata via…nessuno le aveva portato via nulla, aveva fatto tutto da
sola. Questo era quello che le faceva più male: non avere nessuno da incolpare
se non se stessa. Cosa che, peraltro, faceva regolarmente ogni mattina quando
si specchiava e i segni della solitudine e della rassegnazione si mostravano
evidenti sul suo volto.
Senza rendersene conto lo
aveva seguito fino a quando la porta della camera da letto socchiusa davanti a
lei non le bloccò la strada. Con la mano tremante afferrò la maniglia, indecisa
fino all’ultimo se aprire o no, non sapendo con quale coraggio avrebbe potuto
rimanere con lui in quella stanza che li aveva visti innamorati e felici.
Si infilò nella stanza senza
fare rumore, restando vicina alla porta mentre Gaetano, di spalle, concludeva
la telefonata.
-Va bene, Torre. Mandami
l’indirizzo sul cellulare e vi raggiungo appena mi libero. No, tranquillo, va
tutto bene. Se ti ho detto che va bene, vuol dire che va bene, no? Ok. Ok. Ci
vediamo dopo. Ciao.
Terminata la conversazione,
Gaetano si infilò il cellulare nella tasca dei pantaloni e tornò verso la
porta, ma dopo un paio di passi dovette bloccarsi.
-Camilla!
La donna non rispose ma si
limitò a sorridere abbassando lo sguardo. Sul volto di Gaetano si formò un
ghigno divertito al pensiero che per una volta era riuscito a lasciare la
professoressa Baudino senza parole.
-Scusami, ma devo andare-
disse, infine, dopo averla fissata con la sua solita intensità, al punto che
Camilla dovette di nuovo distogliere lo sguardo da quegli occhi azzurri che
sapevano leggerle dentro meglio di chiunque altro al mondo
-Lavoro?
-Purtroppo sì.
Vedendo che Camilla non accennava
a farsi da parte, Gaetano le indicò con la mano la porta nella speranza che
cogliesse il senso del suo gesto senza dover aggiungere altre parole. Ma
Camilla rimase immobile, anche se non gli era del tutto chiaro se fosse per
caparbietà o solo perché in realtà la donna aveva lo sguardo perso nel vuoto.
-Camilla?- ogni volta che
pronunciava quel nome sentiva una fitta lancinante al petto. Lo stesso valeva
per la professoressa: nessuno riusciva a mettere tanta dolcezza e amore in
quelle tre sillabe come il suo commissario.
-Scusa- disse lei prima di
voltarsi ed andare a chiudere la porta a chiave alle sue spalle.
Gaetano la fissò indeciso se
ridere o arrabbiarsi per quel sequestro di persona improvvisato.
-Lo sai che il sequestro di
persona è un reato?- chiese il vicequestore optando per mantenere un tono
leggero. Del resto, con lei aveva già urlato talmente tante volte che si
sentiva sfinito, svuotato. E il pensiero di ricominciare con le discussioni,
proprio alla festa di Livia con tutti quegli ospiti a pochi metri, lo convinse
a tenere dei toni più amichevoli.
-Correrò il rischio- ribatté
la donna che sembrava aver ripreso un po’ del cipiglio dei tempi migliori. -Ho
bisogno di parlarti e, devi ammetterlo, in altre circostanze non saresti tanto
disponibile nei miei confronti.
Camilla interpretò il
silenzio di Gaetano come un incentivo a continuare.
-Ho riflettuto molto su
tutto quello che ci siamo detti. Beh, più che altro su quello che TU hai detto-
rimarcò la donna senza però alcun accenno di rimprovero nella voce. -E alla
fine sai cosa ho concluso?
L’uomo scosse il capo:
voleva sapere e non voleva sapere. Ogni volta che negli ultimi dieci anni
Camilla si era fatta un esame di coscienza era sempre stato lui a farne le
spese, visto che puntualmente lei tornava dal marito lasciandolo solo e con il
cuore a pezzi.
-Hai ragione. Hai
completamente e assolutamente ragione. Mi sono comportata malissimo e se ci
fossero parole più incisive e forti per definire il mio comportamento degli
ultimi mesi le userei, stanne certo. Ho sbagliato con Renzo: sapevo che i suoi
erano patetici tentativi di separarci e di metterci i bastoni tra le ruote e io
gliel’ho permesso. Il perché? Non lo so. Forse mi faceva pena, forse non volevo
vedere la realtà, forse era solo per Livietta. Non ne ho idea. E anche se
adesso probabilmente non conta nulla ti chiedo scusa, per tutte le
interruzioni, provocazioni e accuse che hai dovuto sopportare. Era compito mio
mettergli un freno, non tuo, e io non l’ho fatto.
-Camilla…non importa. Ormai
le cose sono andate così- la interruppe Gaetano. Sentire quelle parole…erano
pace e tormento insieme! Quante volte avrebbe voluto sentirle! Ma ora…ora erano
inutili! Con tutto quello che era capitato, erano solo una goccia in mezzo
all’oceano.
-Importa, invece! Può darsi
che tu non…che per noi sia troppo tardi- disse Camilla, un nodo in gola che
quasi la soffocava, ma non poteva certo demordere proprio ora. -Ma io ho
bisogno che tu sappia. E forse sarà un atteggiamento egoistico da parte mia,
ma…ne ho bisogno, capisci?
Gaetano si limitò ad
annuire: non se la sentiva di negargli quello sfogo, quando anche lui nelle
settimane precedenti ne aveva approfittato per lasciare esplodere la sua rabbia
proprio verso di lei.
-Poi è arrivato Michele. Un
errore enorme. E l’ho capito subito, sai? Che non dovevo farmi coinvolgere, che
non sarebbe finita bene. L’ho capito quando mi ha baciata a tradimento…
-Lui cosa?- non poté evitare
di sibilare Gaetano avvicinandosi a lei e afferrandola per le spalle. Poi
accortosi di quel contatto, si staccò con una rapidità sorprendente che ferì
Camilla più della delusione e della amarezza che riusciva a intravedere in
quegli occhi azzurri.
-Non l’ho voluto io- si
affrettò a precisare, ma dall’espressione corrucciata di Gaetano comprese di
aver sbagliato la scelta di parole. -Non è una giustificazione. Ho sbagliato,
avrei dovuto dirgli che ero impegnata con un altro. Con te.
-Beh, stando a quello che mi
hai detto, tu non ti sei mai considerata impegnata con me- il rancore ancora
affiorava dal tono di voce del commissario.
-E’ vero. E credimi, se
qualcuno mi raccontasse tutto quello che ho fatto e detto nelle ultime
settimane, non ci crederei, non mi riconoscerei.
-Però queste cose le hai
dette e le hai fatte- puntualizzò Gaetano.
-Giusto…ma sto cercando di
sistemare i danni che ho fatto. Ho chiuso con Michele.
Quella che ebbe Gaetano non
era esattamente la reazione che Camilla si era aspettata.
-Quindi, è vero. Stavate
insieme. Mi hai mollato per metterti con lui- disse Gaetano passandosi una mano
tra i capelli con rabbia.
-NO! NO! Io non…io volevo
solo dire che gli ho detto di non cercarmi più perché non potevo dargli quello
che lui voleva da me. Non ho mai pensato di stare con altri se non che con te,
devi credermi.
-Ma noi stavamo insieme,
Camilla. O comunque tu voglia definire il nostro rapporto. C’era qualcosa, ma
tu l’hai buttata via.
-Avevo solo bisogno…
-…di tempo, me lo hai
ripetuto un sacco di volte- esclamò il vicequestore esasperato. Quella
conversazione non stava portando a nulla se non a rivangare i momenti più bui
della sua vita. Doveva andarsene da lì.
-Ed è qui che ho sbagliato.
Voglio dire, avevo bisogno di tempo ma non sono mai riuscita a spiegarti il
perché. Tu hai sempre pensato che io avessi bisogno di tempo per lasciarmi alle
spalle Renzo, il mio passato, il mio matrimonio, ma non è così. Non solo
almeno. Avevo bisogno di tempo per lasciarmi alle spalle noi- disse indicando
prima se stessa e poi il commissario.
-Che diavolo stai dicendo,
Camilla? Ti rendi conto che non ha senso?
-Invece ce l’ha e se solo io
te ne avessi parlato prima, adesso non… E’ che io avevo paura di tutto quello
che eravamo stati per dieci anni, delle tue aspettative, dell’idea che ti eri
fatto di me, di noi. Avevo paura di quello che desideravi, della tua visione
del futuro. E sì, tu correvi. Hai corso da morire. E io invece volevo fare un
passo alla volta.
Gaetano esplose in una
risata sarcastica: -Quindi mi hai lasciato per colpa mia? Perché ti ho amato
per troppo tempo? Perché ti ho aspettata?
-No! Io non ho mai voluto
lasciarti…
-…non era quello che
intendevi fare in ospedale?
-No!- urlò Camilla sull’orlo
della disperazione. Doveva chiarire le cose con Gaetano ma sembrava solo averle
peggiorate.
-Senti, Camilla, non
importa, d’accordo? Oramai non conta più quello che volevi o che non volevi. E
a dirla tutta le cose tra noi non andavano già da prima di Michele e a
prescindere da Renzo.
-Che intendi dire?- chiese
preoccupata.
-Il problema è un altro,
Camilla. Il fatto è che io ti amavo mentre tu no. E questo non sarebbe cambiato
con il tempo: se non ti sono bastati dieci anni di corteggiamento, non credo
che qualche settimana o qualche mese avrebbe cambiato le cose, non credi? Tutto
sommato è meglio che sia andata così: era inutile andare oltre, ci saremmo solo
fatti ancora più male.
Il tono disilluso ed
arrendevole di Gaetano spaventò Camilla più delle urla delle ultime settimane.
Si era davvero buttato tutto alle spalle? Credeva davvero che tra loro non
c’era alcun futuro? Si sbagliava. Se era così, si sbagliava di grosso. Per loro
c’era un futuro, c’era sempre stato, se non fosse stato per la sua stupidità e
codardia.
-Ti sbagli- disse
improvvisamente seria e dura.
-Mi sbaglio?
-Sì. Ti sbagli.
-Su cosa mi sbaglio?- chiese
Gaetano, il tono più basso e quasi roco, le iridi dilatate e il respiro
affannato. Tutti segnali che Camilla riconduceva a momenti molto particolari,
intimi e meravigliosi.
I suoi occhi scuri rimasero
fissi in quelli limpidi di Gaetano, altrettanto impassibili ed allo stesso
tempo inquieti.
-Io ti amo, Gaetano.
Lo aveva detto. Ancora non
riusciva a crederci. Glielo aveva detto. Quattro parole così semplici, eppure
così grandi. E le erano uscite naturali e spontanee, come aveva sempre
desiderato. Lo amava da sempre e ora anche lui lo sapeva: e se ora se ne fosse
andato ancora una volta, almeno lo avrebbe fatto nella consapevolezza di quelli
che erano i suoi veri sentimenti. Del resto, quale era stata la loro terza
regola? Nessun rimpianto? Ora non ne avrebbe avuto nessuno.
-Io ti amo. Moltissimo, in
realtà. Troppo, forse. Da farmi paura, di sicuro. Ed è così da dieci anni a
questa parte. E non lo sto dicendo perché ho paura di perderti, ma perché è la
verità. Mi sono sempre comportata da ipocrita e da codarda con te…oddio, ti
devo anche essere sembrata pazza o afflitta da personalità multipla più di una
volta. Ti volevo, ti attiravo a me e poi scappavo. E so di averlo fatto spesso,
ma quando arrivavo al punto di lasciare tutto per te, venivo colta dal panico.
C’era Livia a cui pensare e non potevo essere egoista. Non potevo ferirla o
deluderla. Invece, deludere te mi sembrava…accettabile, direi. Anche se questa
parola non mi piace.
Camilla era ormai un fiume
in piena: tutto quello che si era tenuta dentro per anni aveva trovato
finalmente il modo di uscire e nemmeno volendo avrebbe potuto fermare lo
scorrere dei suoi sentimenti. Gaetano doveva sapere che tutto quello che lui
aveva provato, era anche quello che aveva sentito lei nel profondo. Non si era
immaginato tutto, non lo aveva sognato. Lei era parte di quel rapporto da molto
tempo, tanto quanto lui, ma si era sempre tirata indietro.
-Quando sono venuta da te
quella notte era perché lo volevo, sul serio. Ed è stato il momento più bello
della mia vita, come quando è nata Livia. Le prime settimane sono state un
sogno, come non pensavo più di poter vivere. E poi…
-Poi?- Gaetano riuscì
finalmente ad aprire bocca. Durante la confessione di Camilla, non aveva mai
smesso di osservarla, deciso a sapere tutto, a conoscere tutto quello che si
agitava nel cuore della donna.
-Poi il panico. Il blackout.
La paura di non poter reggere il confronto con dieci anni di aspettative, il
terrore che ti saresti stancato di me e che non sarei mai stata all’altezza
dell’idea che ti eri fatto di me, di noi. E c’era Livia: il matrimonio, la
gravidanza. Aveva bisogno di me più che mai e io invece mi sentivo così
assorbita da te, così presa da noi. Mi sembrava ingiusto non dedicarle tutto il
tempo di cui aveva necessità.
-E così, ancora una volta
dovevo rimetterci io?
Camilla distolse per un
secondo lo sguardo con aria colpevole.
-Lo so, ho sbagliato.
Ancora.
-Già. Beh…poi però Livia è
partita e tu hai continuato a darmi buca. Per Renzo. Mi hai urlato contro in mezzo
a Torino dicendo che ero un bambino e che era tutto frutto della mia fantasia…e
poi…poi Michele, come la ciliegina sulla torta. Eri tutta contenta di averlo
incontrato di nuovo. I tuoi vent’anni…e io…di nuovo messo da parte, di nuovo in
secondo piano.
Camilla si sentiva
schiacciata dal peso dei suoi errori: sapeva di averli commessi e sapeva che
Gaetano aveva le sue buone ragioni per avercela con lei, ma in fondo sperava
che dopo quella dichiarazione d’amore lo avrebbe trovato più disponibile,
malleabile. Invece, sembrava ancora più arrabbiato o deluso.
-Gaetano, so di aver fatto
tantissimi errori, ma vorrei che tu capissi che se potessi darei qualunque cosa
per tornare indietro e cambiare le cose.
-Lo so, Camilla. Ti credo.
Credo a tutto quello che hai detto e se da una parte ne sono felice, dall’altro
non fa altro che confermare i miei dubbi e le mie paure- affermò Gaetano, lo
sguardo triste e rassegnato all’inevitabile epilogo di quella conversazione.
-Il problema è che…che adesso…io non riesco più a fidarmi di te. Per un motivo
o per un altro, anche se mi ami, anche se dici che per te sono importante, c’è
sempre qualcosa o qualcuno che conta più di me.
La donna ascoltò le ultime
parole come una condanna a morte: si era aperta completamente con lui, gli
aveva confessato tutto quello che aveva provato sin dall’inizio della loro
storia, eppure sentiva che lo stava perdendo.
-Non…non è così, te lo
assicuro- le lacrime ormai le impedivano di scorgere nettamente i contorni del
volto di Gaetano, ma poteva immaginare la sua espressione dura e malinconica.
-Camilla, per favore…non
continuiamo a mentirci. Forse ci amiamo, ma non siamo destinati a stare
insieme. È meglio così, per entrambi.
Camilla avrebbe voluto
urlare che no, non era meglio così, non per lei almeno. Lei doveva stare con
lui. Ne aveva un assoluto e disperato bisogno, ma lui sembrava rassegnato e
pronto per un addio.
Gaetano le sfiorò una
guancia con la punta delle dita portandosi via alcune di quelle lacrime che
ormai scendevano senza più controllo.
-Devo andare, adesso.
Torre…- disse, infine, il commissario con tutta la dolcezza di cui era capace.
Era la fine, lo sapeva, ma non voleva essere duro con lei; del resto, lo aveva
capito, non era tutta colpa di Camilla: era più forte di lei sacrificare se
stessa e la sua felicità per il bene degli altri. Il punto era che a lei questo
poteva andare anche bene, ma a lui no. Non più.
Non ottenendo alcuna
risposta, Gaetano girò attorno a Camilla dirigendosi verso la porta, ma prima
di poter ruotare la chiave nella serratura, si sentì afferrare per il gomito.
Si voltò e incrociò lo sguardo fiero e disperato della sua professoressa, prima
di essere attirato a lei in un bacio inaspettato. Un mano tra i suoi capelli e
l’altra saldamente ancorata al suo gomito, Camilla lo teneva stretto a sé.
Quelle labbra morbide e calde si schiusero non appena lei glielo chiese con
gentilezza; aveva dimenticato la sensazione della barba dell’uomo sulla sua
pelle, mentre lo assaporava con una dolcezza che si stava trasformando fin
troppo rapidamente in passione. Quella assoluta e devastante che li aveva colti
più di una volta proprio in quella stanza. Il corpo di Gaetano reagì d’istinto
agli impulsi che riceveva da quello di Camilla: le afferrò il volto con
entrambe le mani, approfondendo quel contatto sempre più famelico fino a
restare senza fiato. La sentì gemere quando le sue mani percorsero la schiena della
donna dirigendosi con lentezza studiata verso territori pericolosi per
entrambi; la risposta di Camilla fu inequivocabile, andando a stringersi ancora
più contro il corpo possente ed accogliente di Gaetano finendo con il far
aderire ogni centimetro del suo corpo a quello dell’uomo. Le mani vagavano
liberamente tra quei capelli mentre le labbra di Gaetano si spostavano dalle
sue verso il collo percorrendolo con venerazione. Camilla sospirò così vicino
all’orecchio di Gaetano da provocare in lui una raffica di brividi che lo
attraversarono come una scarica elettrica: tutto il suo corpo era rapito da
lei, dai suoi sospiri e dalle sue mani.
-Gaetano- mormorò la donna
quando con la lingua del commissario raggiunse un punto particolarmente
sensibile nell’incavo del collo.
Fu questo a risvegliare
Gaetano dalla nebbia in cui era piombato dal momento in cui le labbra di
Camilla si erano posate sulle sue.
-Non…non posso- disse a
fatica, allontanandosi da Camilla.
-Gaetano…
-Camilla- disse
accarezzandole una guancia -non è così che risolveremmo i nostri problemi.
Torneremmo ancora al solito punto e io non posso attraversare ancora tutto
questo di nuovo. Non ce la farei.
Riaccompagnò una ciocca
ribelle dietro l’orecchio di Camilla; poi, dopo un casto bacio in fronte, senza
aggiungere altro, uscì dalla stanza lasciando dietro di sé Camilla che, senza
più un sostegno, si lasciò crollare a terra in lacrime.
Angolo dell’autrice:
dunque…non so se era quello
che vi aspettavate però non me la sono sentita di chiuderla qui. Sarebbe stato
troppo riduttivo per Gaetano. Camilla ha fatto il grande passo di ammettere i
suoi sentimenti, e fidatevi Gaetano ne terrà conto. Ma ci sono ancora degli step che devono essere affrontati e superati. E poi io in
effetti credo che Camilla debba innanzitutto capire che le esigenze del suo
compagno (prima Renzo e ora Gaetano) sono importanti tanto quanto tutto il
resto; in questo l’ex marito ed il commissario sono uguali: entrambi messi da
parte per esigenze superiori e questo non va bene in un rapporto, tanto da aver
prima compromesso il matrimonio e ora la storia con il commissario.
Spero comunque vi sia
piaciuto anche se non c’è ancora stata una riconciliazione totale.
Erano passate un paio di settimane dalla festa a casa
di Livia.
Nella testa di Camilla ancora rimbombavano come un
disco rotto le ultime parole di Gaetano: “non posso più fidarmi di te”. E come
dargli torto? Visti attraverso gli occhi del commissario, i suoi errori
apparivano ora in tutta la loro gravità ed enormità. Lo aveva sempre messo in
secondo piano, a detta di Gaetano. In realtà, lei non la vedeva nello stesso
modo: sì, era vero, a volte aveva dato la precedenza a Livia, ai suoi studenti,
a Renzo e sì…anche a Michele, ma lo aveva sempre fatto per una buona causa. La
famiglia o la giustizia. Questo Gaetano sembrava non comprenderlo.
Ma a chi voleva darla a bere? Il fatto era che Camilla
era sempre stata sicura che qualunque cosa fosse accaduta Gaetano ci sarebbe
sempre stato. Questa era la verità. Sapeva di averlo trascurato in alcune
occasioni, perfino di averlo ferito (e come dimenticare lo sguardo deluso e
carico di rancore che lui le aveva lanciato quando aveva fornito quell’alibi
fasullo a Michele), ma mai per un solo istante aveva pensato che lui avrebbe
potuto allontanarsi. Fino a lasciarla. Fino a smettere di amarla. Non aveva mai
preso in considerazione questa possibilità, nemmeno una volta.
Invece, era esattamente ciò che era appena accaduto.
Oddio, Gaetano non aveva mai detto di aver smesso di amarla, anzi. Quel bacio
le aveva dimostrato semmai il contrario: lui la desiderava come e più di prima,
ma non era più disposto a scendere a compromessi, a dover rinunciare a una
parte di lui pur di stare con lei. Era un uomo orgoglioso, lo era sempre stato,
ma quando si trattava di lei in qualche modo riusciva ad abbassare le sue difese
e a dimenticarsi del proprio ego; lo faceva per amore, solo per amore, e lei
aveva preso quel gesto di amore puro e lo aveva buttato al vento. Come aveva
fatto a non vedere i segnali della sua frustrazione? Come aveva potuto
sottovalutarli così a lungo? Era stata cieca, o forse semplicemente aveva
preferito non vedere, per non doversi interrogare sui suoi sentimenti ed essere
costretta a trovare una risposta.
Sospirò e si rese conto che il tram sul quale era
salita una manciata di minuti prima l’aveva portata a destinazione. Prenotò la
fermata e discese pochi istanti dopo. Le temperature miti di fine settembre
invogliavano ad una passeggiata, cosicché Camilla decise di allungare il
proprio percorso pedonale attraverso il grande parco che si trovava nelle
vicinanze del tribunale. Del resto, camminare l’aveva sempre aiutata a pensare.
Non che poi i risultati fossero sempre dei migliori, in effetti: proprio al
termine di una passeggiata in centro Torino aveva deciso di fare la nonna
“single ed indipendente”. Che stupida!
Il cellulare suonò nella sua tasca. Quando lo
estrasse, per un secondo sperò di veder comparire sullo schermo il nome di
Gaetano, come le accadeva spesso di fantasticare negli ultimi giorni. Cosa che
ovviamente non si era mai verificata. Lui si era ripreso i suoi spazi, la sua
vita; lei aveva perso tutto.
-Pronto, Renzo. Dimmi. Come anticipata? Ma quando?
Adesso? No. No. Sto arrivando.
Camilla chiuse la conversazione in fretta e furia,
mettendosi poi a correre verso il tribunale. L’ultima cosa che voleva era
arrivare di nuovo in ritardo all’udienza per la separazione! Ricordò con
amarezza quando a causa di Michele aveva perso completamente la cognizione del
tempo: in un solo istante aveva dato speranze a Renzo e Michele, togliendole di
nuovo all’unico uomo che era alla disperata ricerca di qualche certezza da
parte sua.
A quel pensiero le gambe si mossero più velocemente:
non era mai stata una sportiva e l’età non aveva fatto altro che peggiorare la
sua condizione atletica, ma la rabbia verso se stessa le infondeva quelle
energie che mancavano al suo corpo da cinquantenne.
Arrivò all’ingresso del Palazzo di Giustizia
trafelata, tanto che le guardie poste a sicurezza dell’edificio ritennero
opportuno un doppio controllo.
-Vi prego, sono in ritardo. Ho l’udienza per la
separazione- riuscì a dire tra un respiro e l’altro. I polmoni le bruciavano,
ma nulla l’avrebbe mai fatta arrivare in ritardo questa volta.
I due energumeni all’ingresso si scambiarono un cenno
d’intesa e non avendo notato nulla di strano lasciarono passare la donna.
Camilla si lanciò verso il corridoio alla sua destra salendo le scale due a
due, fino a quando inevitabilmente le forze le vennero a mancare così come il
fiato, finendo con l’inciampare proprio all’ultimo gradino; cadde carponi
battendo il ginocchio sinistro contro il duro rivestimento della pavimentazione
del tribunale.
-Ahi- ululò afferrandosi l’arto e controllando che
almeno i pantaloni fossero usciti integri da quello scontro frontale.
-Tutto bene, signora?- le chiese una voce assurdamente
familiare. Le sembrò di essere in uno di quei sogni che popolavano le sue notti
ormai da tempo, uno di quelli in cui Gaetano compariva all’improvviso quasi
come il principe azzurro delle favole per soccorrerla in un momento di pericolo.
Di solito nei suoi sogni si trovava sempre invischiata in un rischiosissimo
caso di omicidio e il suo commissario arrivava ogni volta giusto in tempo per
salvarla dal malintenzionato di turno che voleva colpirla a morte; e
ovviamente, come nel più classico degli scenari romantici, davanti alla
prospettiva di perderla per sempre, Gaetano non poteva che rendersi conto di
amarla ancora alla follia e di non poter vivere senza di lei.
Sogni, appunto.
Nella realtà lei si trovava quasi spalmata sul pavimento
gelido del tribunale di Torino con un ginocchio sicuramente in procinto di
gonfiarsi quanto una palla da calcio e con la sua dignità finita sotto i piedi.
-Camilla!- esclamò Gaetano, quando si rese conto che
sotto quella cascata informe di riccioli c’era la sua professoressa. Dopo il
primo istante di stupore, l’uomo si accovacciò accanto a lei, per controllare
cosa fosse successo e l’entità del danno. -Tutto bene?
Camilla faticò a trovare il coraggio per incrociare
quegli occhi azzurri, che le sembravano così sereni anche dopo settimane di
assoluta e totale lontananza. Evidentemente lui stava bene nella sua nuova
situazione di single, libero ed indipendente.
-Sì, sono solo caduta.
-Eh…l’ho sentito- rispose Gaetano con quel suo solito
sorriso sornione dipinto in viso.
-L’hai sentito?
-Già. Il tuo ginocchio ha fatto un bel rumore su
questo marmo- confermò l’uomo che per sincerarsi delle condizioni di Camilla
esaminò il ginocchio controllando se vi fossero danni rilevanti.
Una sensazione di déjà vu
per entrambi: anni prima a Roma, sul letto di una certa professoressa che aveva
avuto la folle idea di buttarsi quasi sotto un’auto in corsa per salvare un suo
alunno. Solo guardandosi negli occhi seppero che stavano pensando esattamente
alla stessa cosa; ma se a Camilla sfuggì un sorriso, per Gaetano la reazione fu
diametralmente opposta: quell’espressione rilassata che aveva caratterizzato le
prime battute di quel loro incontro lasciò il viso del commissario, presto
sostituita da una maschera di imbarazzo e di disagio mal celato.
-Ti aiuto ad alzarti- tagliò corto l’uomo afferrando
la mano di Camilla nella propria e non potendo evitare, suo malgrado, di
sentire un brivido corrergli lungo la schiena. Raccolse la borsa lasciata a
terra dalla donna e gliela porse senza mai tornare a guardarla negli occhi.
-Sei sempre il solito cavaliere, Berardi.
Una voce da donna, che suonò alle orecchie di Camilla
come fastidiosamente affascinante e complice nei confronti di Gaetano, spezzò
il silenzio che era calato tra il commissario e la professoressa. Quando
Camilla alzò lo sguardo dovette ammettere che, per quanto la voce le fosse
sembrata intrigante, l’aspetto della proprietaria era anche meglio: alta, non
classicamente magra né perfetta, ma con le forme al posto giusto, grandi occhi
azzurri (ma non come quelli di Gaetano o di Livia, bensì di un azzurro quasi
finto, come colorato con i pastelli dei bambini nei loro semplici ritratti) e
lunghi capelli mossi di una tonalità indefinibile ma naturale ed armoniosa tra
il castano ed il biondo. Insomma, una di quelle donne che non possono essere
definite una “barbie” in carne e ossa, ma che compensano alcuni piccoli difetti
con una personalità ed una eleganza che traspare nelle piccole cose, anche
senza parlare; in altre parole, la fidanzata perfetta per qualsiasi uomo con un
briciolo di cervello e la nemica peggiore per ogni donna come Camilla.
-Sono pronta per il nostro caffè, Gaetano- riprese la
nuova arrivata, giungendo al fianco del commissario e sfiorandogli con un gesto
del tutto spontaneo il braccio. Poi, notata l’espressione perplessa dell’uomo e
anche della donna sconosciuta, continuò: -Tutto bene, signora? Si è fatta male?
-No! no!- si affrettò a precisare Camilla, quasi
seccata dall’essere stata colta con quella smorfia di confusione ed imbarazzo
che di certo aveva fatto capolino sul suo volto. –Sono inciampata nell’ultimo
gradino. Andavo di corsa. Ma Gaetano mi ha aiutata.
-Gaetano?- chiese la donna con un tono sorpreso in
quella voce armoniosa. –Voi vi conoscete?
Il commissario sembrò sospirare a quella domanda,
mentre Camilla si affrettò a trovare una risposta che non mettesse in
difficoltà nessuno dei presenti: non voleva fare la parte della ex gelosa
(perché, anche se gelosa lo era eccome, non era sicura che potesse permettersi
di definirsi propriamente una ex) ma nemmeno fingere che tra lei e Gaetano non
ci fosse mai stato nulla.
-Sì. Sì. Noi siamo…ecco, noi siamo…- per la prima
volta Camilla si rese conto quanto scomodi fossero stati i panni di Gaetano
negli ultimi mesi. Quante volte gli era capitato di dover rispondere alla
domanda su quali fossero i suoi rapporti con Camilla? Lui non aveva mai saputo
cosa rispondere, in effetti, e probabilmente aveva sempre sperato che lei, la
professoressa di lettere abile con le parole, intervenisse e sbrogliasse quella
matassa al posto suo. Ma lei era sempre stata in silenzio. Anche quando lui si
era definito un amico adottato. E pensare che lui glielo aveva pure chiesto
espressamente: cosa siamo noi due? La risposta? Non due amici, ma nemmeno una
coppia.
Adesso toccava a lei rispondere a quella domanda,
trovare una definizione per il loro rapporto e ancora non sapeva cosa dire.
Incrociò lo sguardo di Gaetano e capì che quell’ulteriore indecisione lo stava
ferendo esattamente come era capitato mesi prima in ospedale; si sentì
sprofondare una volta di più in quelle sabbie mobili in cui lei stessa da sola
si era andata ad infilare.
-Camilla ed io siamo vicini di casa. O meglio, siamo
stati vicini di casa. Mi sono trasferito poco tempo fa; te ne ho parlato,
ricordi?- precisò Gaetano, un tono di voce indefinibile, quasi come se la
questione non lo interessasse minimamente. Camilla non seppe decidere se le
fece più male quel tono o le parole che aveva usato. Vicini di casa, nemmeno
amici. Sapeva di meritare quella freddezza, quel distacco, ma non poteva
comunque impedirsi di soffrire.
-Oh, capisco. Quando si dice che il mondo è piccolo-
commentò la donna, ma senza traccia di malizia o di cattiveria. Poi, notando
che nessuno si decideva a muovere un passo, riprese: -Io sono la dottoressa Giorgia
Colucci, sostituto procuratore del Tribunale di Torino.
Allungò la mano ed intercettò quella gelida di
Camilla.
-Professoressa Camilla Baudino.
Piacere di conoscerla.
-Professoressa? Non la invidio. Un lavoro
difficilissimo di questi tempi.
-Beh, credo che il suo sia anche peggio- si schernì
Camilla, da sempre geneticamente incapace di incassare un complimento senza
dover opporre una strenua resistenza.
-Sì, forse, ma al giorno d’oggi non saprei dire se sia
più facile avere a che fare con i delinquenti o con degli adolescenti in fase
ormonale. Lei dove insegna?
-Al Nelson Mandela.
Lo sguardo della Colucci non ebbe bisogno di
interpretazioni; al contrario, Camilla ormai riconosceva quell’espressione tra
il sorpreso e il dispiaciuto che vedeva sui volti dei suoi interlocutori quando
comunicava il nome dell’istituto presso cui lavorava.
-Lo so, la peggior scuola di Torino, probabilmente.
-No, non è questo- intervenne la donna, per nulla
presa in contropiede. –In realtà, adesso che ci penso il suo nome non mi suona
nuovo. Professoressa Baudino, Mandela…non c’è stato
un caso il settembre scorso che riguardava uno studente del Mandela?
-Sì, esatto. Denis. Era un mio allievo.
-Denis! Sì, mi ricordo! Povero ragazzo! Succube della
personalità dominante e deviata del fratello Mirko. Una brutta situazione: ho
fatto il possibile per fargli avere tutte le attenuanti del caso e il minimo
della pena. In casi come questo bisogna fare di tutto per evitare che questi
ragazzi finiscano nella rete della giustizia, altrimenti invece che recuperarli
li perdiamo del tutto.
Camilla la odiava. O meglio, avrebbe voluto odiarla,
ma proprio non ci riusciva: era in una parola perfetta e non solo fisicamente,
ma più di tutto professionalmente. Gentile, coscienziosa, scrupolosa ed
intelligente. Praticamente imbattibile.
-Beh, grazie. Non sta a me dirlo, lo so, ma grazie
anche da parte mia. Denis è un bravo ragazzo; è stato solo sfortunato con il
fratello. Sono felice che sulla sua strada abbia incontrato, nonostante tutto,
qualcuno di così comprensivo.
-Si figuri. Comunque non deve ringraziare me, ma
Gaetano. È stato particolarmente convincente nel difendere quel ragazzo. Anzi,
a pensarci bene credo che abbia fatto più lui per Denis che l’avvocato; non ho
ancora capito se tu, Berardi, rappresentavi l’accusa o la difesa!- rispose con il
sorriso sulle labbra ed uno sguardo di ammirazione verso l’uomo che fece
vacillare Camilla.
Doveva essere lo stesso sguardo che anche lei per
prima gli aveva rivolto tante, troppe volte. E adesso vedere quell’espressione
sul volto di un’altra donna, una donna migliore di lei sotto tanti di quei
punti di vista che non riusciva a tenerne il conto, la faceva impazzire. E se
Gaetano si fosse accorto di lei? Se avesse deciso che era ora di andare avanti
e di dimenticarla rifacendosi una vita con un’altra? Magari proprio quella
Colucci?
-Beh…io…io dovrei andare. Scusate- biascicò Camilla
nel vano tentativo di allontanarsi da lì prima di dire o fare qualcosa di
irreparabilmente stupido.
-Giusto. Era di fretta, mi scusi lei, professoressa,
per averla trattenuta. Senta, se mi dice chi deve incontrare, l’accompagno io…e
chiederò scusa per averla fatta arrivare in ritardo.
Il sorriso gentile della donna fu la causa di un’ulteriore
stretta al cuore per Camilla. Le sembrava di essere all’inferno, quello
dantesco, dove tutti i peccatori si ritrovano a dover espiare a vita le proprie
colpe seguendo la legge del contrappasso: incontrare la donna perfetta per
Gaetano doveva essere la sua legge del contrappasso. E proprio nel giorno in
cui si separava da suo marito, proprio nel giorno in cui finalmente stava
facendo quel passo che Gaetano le aveva richiesto per tanto tempo. Chiunque ci
fosse dietro quella macchinazione era davvero diabolico.
-Non voglio disturbarla, davvero. E poi credo di
essere arrivata. Se non sbaglio l’ufficio del giudice Ippolito è quello in
fondo al corridoio- rispose Camilla, pregando che la voce le rimanesse ferma e
non rivelasse quanto in quel momento si sentisse debole e fragile.
-Ippolito? E’ sicura?
-Io…sì…l’ultima volta ricordo di essere stata qui per
la separazione.
A quella frase Gaetano sembrò riprendere vita
improvvisamente. Separazione? Si era forse decisa alla fine? Certo, pessimo
tempismo, almeno per lui! Se tutto questo fosse accaduto anche solo qualche
mese prima ora le cose potevano essere molto diverse tra loro. Preferì non
pensarci e fingere che la notizia della separazione oramai imminente non lo
colpisse affatto.
-Oh, mi…mi dispiace. Comunque il dottor Ippolito non è
su questo piano. Non è nemmeno in questa ala del palazzo a dire la verità.
Questa è la sezione penale. Ippolito è in quella civile.
-Oddio, no! Non posso arrivare tardi di nuovo. Mi
ammazzerà- mugugnò Camilla alla ricerca del cellulare per avvertire Renzo del
disguido.
-Chi? Ippolito? Probabile…- sorrise la donna. Poi tornata
seria riprese: -Senta, la mia offerta è ancora valida. Se vuole l’accompagno
io. Anche se non frequento la sezione civile, so dove trovare i miei colleghi.
E conosco qualche scorciatoia.
La Colucci rimase in attesa di una risposta di
Camilla, divisa tra due fuochi: il desiderio di allontanarsi da miss perfezione
all’istante e la necessità di un aiuto per non perdere anche questa udienza per
la separazione.
-Ok…va bene. Non so come ringraziarla, in effetti.
-Si immagini, per così poco!
Fecero i primi tre scalini, Gaetano accanto alla pm e Camilla alle loro spalle, che li osservava nella
speranza di cogliere qualche indizio sul tipo di relazione esistente tra i due,
quando un uomo basso ma corpulento si avvicinò alla Colucci sussurrandole
qualcosa all’orecchio.
La donna annuì prima di voltarsi verso Camilla: -Mi
scusi ma sono stata chiamata per una sostituzione urgente da un collega. Non
posso proprio rifiutare o rimandare.
-Certo, la capisco! Grazie comunque per la cortesia.
-Ci mancherebbe- rispose allungando di nuovo una mano
verso Camilla per poi stringerla con gentilezza. In seguito riprese: -Per il
nostro caffè, dobbiamo rimandare, Berardi. Ma guarda che non me lo dimentico.
-Ci conto- replicò il commissario, il suo solito
sorriso cortese dipinto in viso. Camilla avrebbe voluto sprofondare: va bene
tutto, ma anche assistere al corteggiamento tra quei due era troppo!
-Ah, Gaetano, visto che sei tanto cavaliere, perché
non accompagni tu la professoressa da Ippolito. Sono sicura che ti ricordi la
strada!- disse infine la Colucci prima di allontanarsi in direzione del suo
ufficio.
Gaetano sembrò dover ingoiare un boccone molto amaro.
Si voltò verso Camilla, sorrise, ma di un sorriso molto diverso dal precedente,
forzato e malinconico.
-Certo, con piacere. Andiamo?- chiese poi rivolto a
Camilla e facendole segno con la mano di proseguire con la discesa delle scale.
Rimasero in silenzio per tutta la rampa fino ad arrivare
di nuovo nell’atrio; qui Gaetano la prese con delicatezza per un gomito e la
costrinse a seguirlo lungo un corridoio affollato.
Fu quella confusione a ridonarle in coraggio di aprire
bocca, ora che erano soli, ora che lei poteva dire tutto quello che le passava
per la testa senza dover sottostare al giudizio di quella donna ai suoi occhi
perfetta.
-E come mai tu conosci Ippolito?- il tono non era dei
più amichevoli e Gaetano lo notò subito.
-Mi ha dato qualche dritta quando ho deciso di
rivedere i termini dell’affidamento di Tommy. Insomma, mi ha detto cosa potevo
e dovevo aspettarmi. È stato molto gentile con me.
-Capisco.
Giunsero infondo al corridoio e svoltarono a destra.
Nuova rampa di scale, ma questa volta molto meno affollata.
-E la Colucci? Quella da quando la conosci?- ora il
tono era sull’ostile andante, anzi sul geloso marcio per la precisione, e di
nuovo Gaetano se ne rese conto, ma questa volta a Camilla sembrò di vederlo
sogghignare all’angolo della bocca.
-Che c’è da ridere?
-Non sto ridendo- replicò l’uomo tornando a farsi
serio.
-Stavi ridendo.
-Ti dico di no.
-Sarà, ma ancora non mi hai detto come fai a conoscere
così bene questa Colucci.
-E’ un pm del Tribunale di
Torino. Secondo te, Agatha Christie, come mai la
conosco?
Il riferimento alla scrittrice di gialli fece
avvampare Camilla che tenne lo sguardo ben puntato verso i suoi piedi (con il
vantaggio, tra l’altro, di evitare una nuova caduta). Però di una cosa era
certa: adesso Gaetano stava davvero sorridendo. Questo le fece piacere: almeno
un po’ della loro innata complicità era rimasta, dopotutto.
-Ok, domanda stupida. Ma mi è sembrato di capire che
non vi siete limitati ad un rapporto professionale, visto come ti parlava e
ti…guardava- le costava una fatica tremenda ammetterlo, ma del resto neanche
uno stupido avrebbe potuto negare l’evidenza.
-Mi stai forse chiedendo se ci sono andato a letto?
La domanda diretta di Gaetano la spiazzò, tanto più
che lui la bloccò per poterla guardare negli occhi mentre la poneva. Camilla
deglutì vistosamente in imbarazzo: cavolo, non era sicura di voler conoscere la
risposta, eppure aveva di fatto provocato quella domanda con la sua
osservazione di poco prima.
-Io…non…non…mi interessa…- balbettò, ma quando Gaetano
riprese a salire le scale lei rimase immobile sullo stesso gradino. Lo
raggiunse di corsa: -Ho mentito, mi interessa. Ci sei andato a letto?- chiese
con lo sguardo del condannato a morte davanti al boia.
-Non credo siano affari tuoi, o sbaglio? Tu mi hai
lasciato, ricordi?
-E abbiamo già assodato che non era quello che avevo
intenzione di fare- ribatté esasperata. Alla fine si tornava sempre allo stesso
punto: era un circolo vizioso e non sapeva come uscirne.
-Capolinea- rispose Gaetano fermo in mezzo ad un nuovo
corridoio dove diversi capannelli di persone stazionavano davanti ad
altrettante porte.
-Vuoi dire che finisce così? Senza una spiegazione,
una risposta? Devo pensare che mi hai già sostituita con un’altra?- il tono di
Camilla si face più stridulo ad ogni domanda. Razionalmente sapeva di non avere
diritto a nulla, a nessuna giustificazione e spiegazione, ma le pretendeva
comunque. Dopotutto lui le aveva detto di amarla, di volerla sposare…e ora a
qualche mese dalla “separazione” lui stava già con un’altra? –Per fortuna che
avevi detto di amarmi- sibilò alla fine incapace di trattenersi, gli occhi
cioccolato puntati in quelli di Gaetano, che a quelle parole si velarono
nuovamente di tristezza.
-Capolinea…sei arrivata. Quello è l’ufficio di
Ippolito- precisò Gaetano evidentemente deluso dall’atteggiamento della
professoressa.
Camilla boccheggiò: aveva di nuovo fatto un errore
enorme, lo leggeva sul viso dell’uomo.
-Gaetano, scusami, io…io credevo…
-So che cosa credevi, ma non sono certo io quello che
cambia idea così in fretta sulle persone e sui sentimenti.
Il riferimento a lei e Michele era più che evidente.
-Non ne dico una giusta per te, vero?- il tono
arrendevole di Camilla sorprese Gaetano. –Lo capisco, così come capisco che tu
oggi preferisca lei a me. E’ bella, intelligente, gentile, simpatica…e
soprattutto…
-….e soprattutto è sposata con un mio parigrado di un
altro commissariato- concluse Gaetano, incapace di sostenere oltre quel tono e
quello sguardo disperato e disilluso. Per quanto lui volesse mantenere le
distanze e andare oltre, non poteva far soffrire Camilla, non fino in fondo,
non per davvero. Alla fine doveva sempre lanciarle un’ancora di salvezza, un
salvagente che la tenesse a galla proprio quando sembrava che stesse per andare
a fondo. Era stato così sin dall’inizio. Per questo non poté evitare di sorridere
quando vide il volto di Camilla riprendere il suo solito colorito.
-Sposata?
-Sposata- confermò il vicequestore. -Ma adesso devi
andare; Renzo ti sta cercando.
Camilla si voltò seguendo il cenno fatto da Gaetano,
arrivando ad incrociare lo sguardo di Renzo che con una mano alzata la stava
chiamando.
-Giusto, la separazione. Anche se adesso pare non mi
serva a più di tanto. Non mi devo più risposare, in fin dei conti- il sarcasmo
era fin troppo accentuato e Camilla se ne rese conto, ma non le importava: che
altro poteva perdere? Quello che contava, l’amore ed il rispetto di Gaetano,
l’aveva già perso.
-Camilla…
-No, no! Lo so. E lo faccio per me questa volta. Come
ti ho già detto, ho fatto un casino mesi fa. Anzi, più di uno a dire il vero.
Sta a me rimettere le cose a posto, almeno dove possibile. E firmare questa
separazione non servirà più a te, a noi…ma serve a me, a ricordarmi che a volte
le cose finiscono e bisogna avere il coraggio di affrontarne le conseguenze.
Prima di andarsene Camilla si alzò sulle punte e posò
un bacio delicato sulla guancia del commissario, trattenendosi qualche secondo
in più vicino al suo viso per inspirare il suo profumo. Forse per l’ultima
volta.
-Allora, ciao- disse semplicemente alla fine, un
saluto come tanti, come se ci fosse ancora un domani per loro, come se nulla
fosse mai cambiato.
-Ciao- rispose Gaetano, imbambolato come sempre gli
capitava quando Camilla sfiorava più o meno volontariamente il suo corpo.
Ma non la lasciò allontanare di molto prima di
seguirla e bloccarla di nuovo per il polso. Le aveva detto che era finita, che
non ci sarebbe più stato un noi; le aveva detto che non si fidava più della sua
parola, che aveva paura di lei, della sua indecisione, della sua incapacità di
mettere se stessa e lui, il loro rapporto, al primo posto (o comunque non come
fanalino di coda della sua esistenza). Le aveva detto tutto questo solo due
settimane prima in quella che un tempo era stata la loro camera da letto, dopo
uno di quei baci in grado di togliergli il respiro e di fargli perdere il
controllo della ragione. Lo aveva fatto, eppure ora si ritrovava a guardarla
negli occhi e a desiderare di crederle disperatamente quando le aveva
confessato di amarlo, di avere compreso i propri errori, di voler porre
rimedio. Ed in un certo senso lo stava facendo: aveva chiarito con Michele,
stava firmando le carte della separazione con Renzo. Persino aver lasciato che
Livia si trasferisse era un segno che forse era disposta a pensare un po’ più a
se stessa che agli altri. Forse era arrivato davvero il momento giusto, per
lui, per loro. E anche la gelosia nei confronti della pm,
la sua rassegnazione quando aveva capito che l’altra poteva dargli molto più di
quello che lei era in grado di offrirgli…tutto spingeva il suo cuore malridotto
a restare lì, in quel corridoio, mano nella mano con lei.
Non sarebbe stato semplice, ma forse si era sbagliato
quando l’aveva allontanata. Forse c’era ancora speranza per loro. C’era sempre
stata, del resto, se dopo dieci anni turbolenti erano ancora lì a guardarsi in
quel modo.
-Quando…quando avrai fatto, possiamo andare a
prenderci un caffè. O un vermouth, se ti va. Sarò qui ad aspettarti- disse,
infine, impacciato come poche volte gli era capitato nella vita, tutte
riconducibili alla presenza accanto a lui di una certa professoressa.
Camilla sgranò gli occhi. Il tono di una dolcezza
infinita, le parole che promettevano un futuro, quelle iridi azzurre che le
sembravano di nuovo familiari. Possibile? Stava capitando davvero? Gaetano le
stava offrendo una seconda occasione? O meglio….l’ennesima occasione?
-Sì. Sì, mi piacerebbe prendere un vermouth con te.
Camilla gli regalò il sorriso più bello e luminoso che
Gaetano avesse mai visto prima di eclissarsi nella folla ed infilarsi nell’ufficio
del giudice.
Alla fine c’era ancora speranza. Alla fine erano
ancora Camilla e Gaetano.
Angolo dell’autrice:
ci ho messo un po’ a scriverlo, lo ammetto. Il capitolo
è cambiato in corso d’opera tante di quelle volte che ho perso il conto, ma
questa ultima versione mi piace. Alla fine credo che lei abbia dato prova di
voler cambiare la sua vita e rimettere le cose a posto e Gaetano, che non è
stupido e che è innamorato perso, lo sa. Certo, non vuol dire che sarà tutto
rose e fiori, ma almeno un punto di incontro l’hanno trovato, un inizio.
E lo sappiamo che quando quei due si prendono un
vermouth le cose in qualche modo si sistemano sempre.
Spero vi sia piaciuto. Grazie a chi legge e a chi
lascia un pensiero, qui o su fb!