Per Gaetano

di potterfanlalla17
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Era una notte buia e tempestosa... ***
Capitolo 2: *** Risvegli ***
Capitolo 3: *** Faccia a faccia ***
Capitolo 4: *** Il primo passo ***
Capitolo 5: *** Le parole che non ti ho detto ***
Capitolo 6: *** Goodbye my lover, goodbye my friend ***
Capitolo 7: *** Controproposte ***
Capitolo 8: *** La paura che ho di te ***
Capitolo 9: *** Quando meno te lo aspetti ***



Capitolo 1
*** Era una notte buia e tempestosa... ***


ERA UNA NOTTE BUIA E TEMPESTOSA…

 

Si alzò sulle punte e posò l’occhio destro sullo spioncino, sfiorando con la punta delle dita il legno bianco della porta di casa sua; cercò di cogliere ogni più piccolo movimento proveniente dal pianerottolo, dalla rampa di scale e persino dall’ascensore, ma niente. Tutto era fermo, immobile. Come al tentativo precedente. E a quello prima ancora. E a quello prima ancora.

A dire il vero tutto era piuttosto fermo da giorni. Ogni tanto, molto tardi la sera ad onor del vero, sentiva dei rumori provenire dall’appartamento che stava dall’altra parte del pianerottolo; quando succedeva correva alla porta e si ripeteva meccanicamente la solita scena, quasi una sorta di rito, un balletto ben studiato: sollevamento sulle punte, occhio fisso nello spioncino, denti affondati nel labbro inferiore in una atroce tortura.

All’improvviso di nuovo un rumore, una porta che si chiudeva al di là del pianerottolo, e l’istinto di rimettersi di vedetta ruggì nel suo petto, ma dovette frenarlo perché aveva appena preso tra le braccia la sua nipotina nata poche settimane prima. Guardò quel visetto roseo e paffuto che riusciva sempre a strapparle un sorriso, anche e soprattutto in quei giorni in cui stranamente sentiva di non meritare di essere felice. Ed in effetti non lo era. Felice. Era tutto l’opposto: aveva voluto e preteso i suoi spazi, la sua libertà e la sua indipendenza e se ne era pentita dopo neanche un paio di giorni. Era una sensazione sgradevole, fastidiosa, seccante, rendersi conto di avere sbagliato. Non le sembrava di aver preteso troppo, in fin dei conti: aveva appena chiuso una relazione che durava da anni, aveva pur diritto ad un pausa di  riflessione! Oddio…in realtà, non aveva chiuso proprio niente, visto che era arrivata in ritardo a quella maledetta udienza! E Renzo ora era troppo impegnato per anche solo pensare di chiamare l’avvocato per fissare una nuova udienza: doveva fare il padre, oltre che il nonno! Di nuovo una colata di acido le attraversò l’esofago arrivando allo stomaco come un fiume di lava incandescente: il pensiero della seconda paternità di Renzo sarebbe stata una ferita sempre aperta, doveva solo imparare a conviverci. Certo, c’era stato un momento in cui il pensiero di quel tradimento non la turbava così…un periodo in cui le era sembrato di poter tornare ad essere felice, di poter avere una vita nuova. Ma era di nuovo cambiato tutto, non per colpa sua. Ovviamente.

Il viso di Gaetano sorridente che la accoglieva in commissariato la mattina dopo la loro prima notte insieme si affacciò prepotentemente nella sua mente. Una fitta all’altezza del petto, che decise di ignorare, mentre un sussulto della piccola Camilla richiamò la sua attenzione.

-Non corri alla porta questa volta, mamma?

La voce di Livietta arrivò improvvisa alle sue spalle.

-Livietta, pensavo stessi dormendo.

La ragazza scosse il capo senza distogliere quei due grandi occhi azzurri da quelli color cioccolato della madre.

-Non gli hai ancora parlato?- chiese poi ignorando i silenzi di Camilla.

-Parlato a chi?

Per tutta risposta Livietta alzò il sopracciglio sinistro con l’aria di una a cui non la si fa.

-Vuoi davvero giocartela così?

-Livietta…

-Livia.

-Come, scusa?- chiese Camilla sorpresa da tanta fermezza nel tono di voce di sua figlia.

-Livia. Sono Livia. Sono adulta, sono una mamma, ora. Mi sembra arrivato il momento di chiamarmi Livia, non ti pare?

-Certo…certo- balbettò in risposta Camilla. Faticava ancora a credere che la sua bambina fosse cresciuta tanto e fosse ora una madre; smettere addirittura di chiamarla con il suo nomignolo affettuoso le sembrava impossibile.

-E visto che sono adulta, vorrei mi trattassi come tale. Quanto ancora devo aspettare per sapere cosa è successo tra te e Gaetano?

Camilla posò lo sguardo sulla piccola che ancora teneva in braccio. Non aveva ancora raccontato a nessuno della chiacchierata (se così si poteva chiamare) avuta con Renzo e Gaetano davanti alla macchinetta del caffè in ospedale il giorno in cui erano nati Lorenzo e la piccola Camilla. La ragione? Beh, la versione ufficiale comprendeva scarsità di tempo, lontananza della sua amica Francesca per un convegno ed altre scuse patetiche dello stesso tipo. La verità era che sapeva di aver fatto una cosa quantomeno discutibile: non tanto nella sostanza, quanto piuttosto nella forma.

-Allora?- incalzò Livia decisa ad andare fino in fondo. Erano giorni che Gaetano non si faceva vedere: prima del parto, passava di tanto in tanto, la mattina prima di andare in ufficio o la sera al rientro. Ma da quando erano tornate dall’ospedale, del commissario si erano perse le tracce. E meno Gaetano si faceva sentire, più sua madre sembrava diventare inquieta, benché si facesse in quattro per non darlo a vedere.  Era chiaro come il sole che in ospedale doveva essere successo qualcosa: e quando lui si era definito un “amico adottato” le era stato evidente che sua madre doveva aver in qualche modo ridimensionato il ruolo di Gaetano nella sua vita. Il perché però le era sconosciuto e francamente incomprensibile: erano mesi che non vedeva sua madre felice come nei giorni in cui si incontrava di nascosto con il vicino di casa e poi, di punto in bianco, lui era tornato ad essere solo un amico. Doveva essersi persa dei pezzi di quella storia per strada. Non che avesse mai voluto indagare in proposito: all’inizio perché in qualche modo sperava che i suoi avrebbero ricucito di nuovo lo strappo, in seguito perché non era pronta ad essere la confidente sentimentale di sua madre.

Ma ora era diverso: chiaramente qualcosa di grosso era capitato e non era sicura che sua madre fosse nelle condizioni mentali per prendere una decisione ponderata…perlomeno non mentre il suo ex marito diventava padre per la seconda volta da un’altra donna. E c’era anche il non tanto remoto rischio che la nuova condizione di nonna potesse averla convinta di dover stare ancora di più accanto a sua figlia, sacrificando se stessa.

Per questo si trovava ora ad insistere come mai aveva fatto prima e avrebbe lasciato quella stanza solo quando sua madre si fosse decisa a sputare il proverbiale rospo.

***

Tende tirate, finestre chiuse, porte ben sigillate ovunque e cuffie ad alto volume nelle orecchie. Voleva essere certo di non sentire nulla, non il benché minimo rumore provenire dall’appartamento di fianco al suo. Lo infastidivano persino i vagiti della nuova arrivata: non che ce l’avesse con lei, ma qualsiasi cosa lo portasse a ricordare quanto accaduto in quel maledetto ospedale era cosa assai sgradita.

A dire la verità, erano alquanto sgraditi anche tutti i ricordi della sua vita precedente, al momento….per la precisione tutti i ricordi relativi agli ultimi dieci anni della sua esistenza. Persino la sua stessa immagine riflessa allo specchio gli dava la nausea: forse perché in tutto questo tempo, tutto il lavoro che aveva fatto su di sé era stato fatto in un certo senso per lei.

Quella stessa lei, che dopo averlo usato come e quando gli era servito, lo aveva mollato sull’orlo del baratro. Era così che Gaetano si sentiva: in bilico sull’abisso e con una gran voglia di buttarcisi dentro.

E dire che lui per lavoro aveva imparato a conoscere la persone, a valutare e a giudicarle con una certa precisione sin dal primo momento, dalla prima parola pronunciata, ma con la professoressa Baudino si era sbagliato di grosso. Anzi, aveva preso proprio la proverbiale tranvata. Ora che a mente fredda (beh, quasi fredda) ripensava a quegli ultimi dieci anni, doveva ammettere a se stesso che di segnali negativi ne aveva avuti a bizzeffe: vengo da te, mi faccio fare la dichiarazione d’amore e poi ti mollo; torno da te, ti giro attorno come e quanto voglio per soddisfare la mia curiosità investigativa, ti bacio e poi ti mollo; ci rivediamo, ti convinco a sposare Roberta, te la faccio mollare all’altare e poi scappo in Spagna; ti ritrovo a Torino, ricominciamo con i Vermouth e le indagini, ti ospito a casa mia mentre mio marito non c’è, poi ti invito ad una festa a casa mia e mi faccio mio marito con te che mi guardi. Per finire con il botto: vengo a letto con te, ma non siamo una coppia…forse in futuro, chissà. E lui sempre a rincorrerla, sempre ad aspettarla, sempre ad amarla.

Per non parlare del nuovo arrivato: Michele Carpi. Scalzato per anni da Renzo, da Livietta, persino da Potty ed ora…da Michele Carpi. Per lui Camilla gli aveva mentito guardandolo dritto negli occhi, aveva rischiato la galera per lui. E non gli erano sfuggiti nemmeno i cambiamenti di lei: più solare, più felice, più luminosa…tutto da quando era riapparso Michele Carpi. Anche Renzo l’aveva capito.

Dio, come aveva fatto ad essere così ingenuo? Lui non era mai stato niente per Camilla, se non la tentazione, forse la sua iniezione di autostima, ultimamente il toy-boy, ma poi che altro? Nulla. Era bastato il primo ostacolo e lei aveva mollato. LO aveva mollato, per la precisione. La verità, anche se gli costava ammetterlo, era solo una: lui la amava, lei no. Si era crogiolato per anni nella convinzione che lei lo amasse, ma fosse troppo leale e onesta per mandare all’aria un matrimonio, per distruggere la felicità della famiglia e tutto solo per stare con lui. In realtà, non lo amava affatto: amava forse l’idea di essere inseguita, cercata, voluta, desiderata…ma non certo lui.

Il vicequestore dovette ricacciare indietro a fatica il groppo in gola che minacciava di esplodere in un pianto a dirotto, ma era stanco di mostrarsi debole e vulnerabile: era accaduto poco tempo prima con Torre, al quale aveva confidato con voce tremante che senza Camilla lui non poteva stare. A ripensarci si sentiva un totale e completo idiota. Per la rabbia scagliò un cuscino del divano contro la libreria. Quella libreria che avevano comprato e montato insieme. Odiava quella libreria, odiava quella casa. Odiava pure l’intero palazzo dove due anni prima l’aveva per caso rincontrata. Odiava Torino e se avesse potuto avrebbe mollato tutto su due piedi e se ne sarebbe andato. Anche se scappare in qualche modo l’avrebbe data vita a Camilla: come aveva fatto con Praga lui e Barcellona lei. E poi a Torino c’era ormai la sua vita: Tommy lì si sentiva a casa e non voleva costringerlo ad un nuovo trasloco, anche se con lui viveva solo pochi giorni al mese. E c’era pure Torre: lasciarlo solo a Torino dopo averlo “deportato” dalla capitale solo per seguirlo non gli sembrava affatto corretto.

Però doveva fare qualcosa; non poteva restare lì, a due passi da lei, vivendo come un eremita chiuso in casa per la paura di incontrarla e di dare sfogo a tutta la sua frustrazione. Doveva dare una svolta alla sua vita, chiudere il capitolo Baudino ed andare avanti.

Si alzò dal divano, prese il primo borsone che trovò nell’armadio e vi infilò un paio di vestiti e la foto di lui e Tommy che teneva in salotto. Poi si guardò attorno, prese le chiavi di casa e uscì senza voltarsi indietro.

Tutta la sua determinazione andò a scontrarsi con la vista della porta di casa di Camilla, chiusa davanti ai suoi occhi. L’istinto di bussare con tutta la forza che aveva in corpo, di dirle quanto la odiava per quello che gli aveva fatto, per come lo aveva ridotto, era così forte che dovette fare uno sforzo sovraumano per fermare la mano che combatteva per entrare in azione. Gli bastò tornare con la mente a quell’ospedale e a quella macchinetta del caffè per cacciare indietro il desiderio di ritrovarsela davanti: in quel momento il pensiero del suo viso riusciva solo a farlo infuriare più di quanto credeva umanamente possibile. Persino più di quando litigava con Eva per Tommy.

Inforcò le scale, felice che fosse il cuore della notte e che nessuno potesse vederlo in quello stato; ma ovviamente il destino doveva avercela con lui per una ragione che ancora non riusciva a comprendere.

-Vai da qualche parte?- domandò una voce che riconobbe subito come quella di Renzo. L’uomo stava spingendo nel cortile il passeggino di suo figlio nel tentativo di farlo addormentare.

Gaetano non rispose nemmeno, non ce n’era bisogno.

-Senti, se è per quello che è successo in ospedale o negli ultimi mesi…io…- tentò di giustificarsi l’uomo evidentemente stravolto dalla paternità, dall’essere diventato contemporaneamente nonno e persino dai mesi di lotte senza esclusione di colpi con il poliziottosuperpiù.

-Non è per quello- fu il laconico commento del commissario.

-Quindi non stai scappando nel cuore della notte come un ladro?

-Adesso sei tu il poliziotto?

-Per carità, me ne guardo bene. In famiglia Camilla basta e avanza.

Fu sufficiente sentire pronunciare quel nome perché tutti i muscoli di Gaetano si contraessero in uno spasmo involontario di dolore e rabbia mal celati.

-E così non stai scappando- continuò Renzo avendo notato la reazione dell’ex rivale in amore. Già, ex. Perché se quegli ultimi giorni gli avevano insegnato una cosa era proprio quella che nella vita di Camilla non c’era posto per Renzo, non almeno come marito. E, nonostante lo smarrimento inziale, Renzo aveva realizzato che gli andava bene, che Camilla a modo suo lo aveva perdonato e aveva trovato il modo di far funzionare civilmente i rapporti tra loro come una buona famiglia allargata. Quello che invece non gli era affatto chiaro era il comportamento che aveva tenuto nei confronti di Gaetano: lo aveva amato per anni, desiderato con ogni fibra del suo corpo per un decennio ed ora…lo aveva mollato. Non poteva credere si trattasse di Michele Carpi…apparteneva al passato come e più di Renzo! Eppure se Gaetano stava ora davanti a lui in mezzo al cortile con un borsone in mano le cose tra lui e Camilla non dovevano essere migliorate più di tanto. E in un certo senso lo capiva pure, anzi parteggiava per lui: dopo dieci anni di onorata fedeltà e dedizione il poliziotto si meritava più di qualche settimana di sesso e di una pidocchiosa pausa di riflessione annunciata davanti ad una macchinetta del caffè.

-Non sto scappando, anche se non credo che la cosa ti dispiacerebbe- rispose Gaetano.

-Invece ti stupirà sapere che un po’ mi dispiace, sai?

-Perché non potrai più avermi sotto controllo? Tranquillo. È tutta tua. Non voglio più averci niente a che fare- non riusciva a sentir pronunciare quel nome, figuriamoci dirlo lui stesso ad alta voce.

-E ti arrendi quindi?

La resa non era proprio nelle corde del commissario, non lo era mai stata, ma dovette ammettere che in quel caso non poteva fare diversamente.

-Mettiamola in questo modo: non vedo il motivo di continuare a lottare per qualcosa che solo io ho desiderato sin dall’inizio.

Renzo avrebbe voluto dire molte cose. Troppe. Non gli sarebbe bastata la notte intera per confutare l’affermazione del commissario, ma lesse negli occhi di Gaetano quella stessa disperazione che aveva visto nei suoi nel momento in cui si era reso conto che aveva perso Camilla per sempre. Si limitò ad annuire.

-Allora, buona fortuna, vicequestore Berardi- Renzo allungò la mano e strinse energicamente quella di Gaetano.

-Anche a te, Renzo.

Il silenzio della notte avvolse il commissario che senza nemmeno voltarsi a dare un’ultima occhiata alla finestra di Camilla si allontanò stanco ed improvvisamente solo come non lo era mai stato in tutta la sua vita.

 

 

 

Angolo dell’autrice:

premetto che non so come andrà a finire questa storia, nel senso che già mentre scrivevo questo capitolo avevo delle idee che man mano si sono modificate con lo scorrere delle dita sulla tastiera. Quello che vi deve essere chiaro è che in questo momento non sono una fan di Camilla, perciò non posso assicurare il lieto fine. Ho deciso che mi lascerò trasportare dalle emozioni del momento mentre scrivo senza programmare troppo…del resto a noi le cose vengono meglio quando non le programmiamo giusto? (cit. non del tutto voluta). Per tale ragione ogni vostro commento sarà gradito e utile anche per indirizzare il corso degli eventi.

A presto. L.

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Capitolo 2
*** Risvegli ***


RISVEGLI

Quella notte non aveva praticamente chiuso occhio.

Per essere completamente sinceri, non aveva nemmeno passato molto tempo a letto. La chiacchierata con Livia era andata per le lunghe, perché Camilla si era trovata a narrare di fatto quanto accaduto negli ultimi dieci anni della sua vita: sua figlia aveva ascoltato in silenzio, interrompendola di quando in quando con  alcune domande su passaggi, momenti, parole e gesti che non le erano completamente chiari. Al termine di quello che in pratica era stato un lunghissimo monologo, Livia si era alzata dal divano, aveva abbracciato la madre e, presa la piccola di casa, si era ritirata nella propria camera.

Per qualche istante Camilla era rimasta senza parole, perfino leggermente seccata dal mutismo della figlia, ma, tornata a sua volta in camera, comprese quello che era appena accaduto. Il solo fatto di aver finalmente tirato fuori tutto quello che aveva vissuto e provato in quegli anni l’aveva fatta sentire infinitamente più leggera. Si era infilata sotto le lenzuola con un piccolo sorriso che le increspava le labbra, forte di una speranza, una sensazione di benessere, che la chiacchierata con Livia le aveva regalato.

Poi, erano cominciati gli incubi: ad occhi chiusi, i ricordi degli ultimi dieci anni si erano trasformati in un incubo senza fine, ma quando si era svegliata di soprassalto, sudata e con il battito decisamente accelerato, il senso di quegli incubi le era sfuggito. Non ricordava esattamente cosa avesse sognato, ma una strana sensazione opprimente di ansia e di angoscia aveva preso il posto della leggerezza con cui era andata a dormire. Ed in quelle condizioni il sonno l’aveva lasciata.

Il pianto della piccola Camilla le offrì la scusa per abbandonare definitivamente il letto ed occupare la mente con pensieri che non fossero velati da una certa dose di inquietudine.

-Ehi, piccolina! Nemmeno tu riesci a dormire?- disse entrando in quella che un tempo era la stanza degli ospiti, ora riadattata a nursery per la neonata. Sollevò la piccola che continuava a manifestare la propria disapprovazione per essere stata lasciata sola in quella grande camera, cominciando a cullarla come era solita fare con la sua Livietta diciotto anni prima.

-Mamma!- mormorò proprio Livia entrando in camera della figlia con ancora gli occhi chiusi. –Che ci fai qui?

-Camilla piangeva…

-E sono io quella che dovrebbe alzarsi. O al massimo George. Torna a dormire, che fra qualche ora devi essere a scuola.

-Adesso mi dai anche ordini, mammina?- ribatté divertita Camilla, mentre con delicatezza lasciava quel fagottino rosa tra le braccia di Livia.

-Se servisse a qualcosa, lo farei- commentò la ragazza, ma il tono di voce lasciava intuire che dietro a quella affermazione si nascondeva molto altro.

Camilla avrebbe volentieri risposto a tono se solo ne avesse avuto il tempo; un leggero bussare alla porta la costrinse ad affacciarsi in corridoio per sincerarsi di non essere preda di allucinazioni uditive derivanti dal poco sonno…o dall’avanzare dell’età.

Di nuovo delicati colpi sulla porta di casa.

Camilla e Livia si guardarono incuriosite, prima di dirigersi verso la porta. Una rapida occhiata dallo spioncino (tanto per Camilla ormai quella era una abitudine consolidata) e la porta si aprì lasciando entrare Renzo.

-Papà!- mormorò Livia.

-Renzo! Che…che ci fate voi qui?- il plurale divenne d’obbligo quando Camilla notò il passeggino sul pianerottolo accanto all’uomo. Non erano state molte le occasioni in cui le era capitato di avere a che fare con il secondogenito di Renzo e francamente non le era del tutto chiaro come questa cosa la facesse sentire: l’istinto materno le faceva adorare anche quel bambino, che, per uno strano scherzo del destino, assomigliava così tanto a Livietta da piccola, mentre la ragione le urlava che quei cinquanta centimetri di tenerezza erano il simbolo del fallimento del suo matrimonio.

Alla fine prevalse l’istinto e lasciò che Renzo spingesse all’interno dell’appartamento il passeggino di Lorenzo.

-Scusa, Camilla, per l’ora. E me ne sarei anche andato se nessuno mi avesse aperto, solo che…ho dimenticato le chiavi dell’appartamento a casa di Carmen e lei sta dormendo, quindi…

-Tu e Lorenzo siete rimasti chiusi fuori casa.

-In pratica…

Camilla si ritrovò suo malgrado a sorridere: era capitato anche a loro nei primi giorni con Livietta. A quell’epoca Renzo aveva cercato rifugio dalla suocera al piano di sotto, anche se in quel caso l’idea di svegliare la donna alle sei del mattino lo aveva messo stranamente di buon umore.

-Vieni, dai. Ti preparo un caffè.

Livia salutò il padre e si richiuse in camera con la piccola Camilla cercando di farla riaddormentare e soprattutto per evitare che una nuova crisi di pianto della piccola Turner potesse svegliare lo…zio…Dio, suonava tutto ancora così strano ed inquietante!

Camilla e Renzo, invece, si diressero verso la cucina con Lorenzo che dormiva tranquillo incurante di quello che stava accadendo nel mondo degli adulti.

Il silenzio tra i due era piuttosto pesante, complice anche il fatto che Renzo sembrava fissare Camilla con un’espressione indecifrabile.

-Che c’è? Ho qualcosa in faccia?- chiese la donna ad un certo punto.

-No! No, stai benissimo. Come sempre, del resto

-Uhm…ok.

Quella battuta le riportò alla mente le parole che un tempo le aveva detto Gaetano, quando ancora si conoscevano da poco e lui, fin troppo cavaliere e gentiluomo, si limitava a ricoprirla di complimenti velati e gentili ma che la turbavano come non avrebbero dovuto. Ed all’improvviso l’idea di essere lì con Renzo, a quell’ora del mattino, a parlarsi civilmente, la fece sentire terribilmente in difetto, come se quella tregua (e forse persino pace) ritrovata con Renzo altro non fosse che un espresso tradimento nei confronti di Gaetano. Del resto, aveva allontanato entrambi gli uomini, ma mentre con Renzo continuava ad esserci una inevitabile frequentazione, con Gaetano i rapporti si erano praticamente troncati.

Davanti agli occhi le balenò l’immagine cristallina di un Gaetano deluso tanto quando gli aveva mentito sulla notte passata con Michele. E quel senso di disagio alla bocca dello stomaco tornò a coglierla all’improvviso, facendole desiderare di ricacciare Renzo fuori dalla porta. Aveva criticato aspramente il commissario per la sua immotivata gelosia fino a poche settimane prima, arrivando a definirlo infantile ed immaturo nel bel mezzo del centro di Torino, ed ora si ritrovava a pensare che probabilmente il suo comportamento non era stato poi così esente da critiche e recriminazioni. Tutto sommato Gaetano aveva avuto le sue buone ragioni per dire quello che aveva detto, più e più volte, su lei, su Renzo, e in ultimo anche su Michele. Ma perché solo ora riusciva a vedere lucidamente che le parole di Gaetano avevano un fondamento più che solido? Che diamine era cambiato in pochi giorni? Perché prima sentiva di dover attaccare Gaetano e ora le sembrava di essere dalla parte del torto? Sprazzi della conversazione notturna con Livietta tornarono a galla prepotenti, portando alla luce occasioni e circostanze nelle quali avrebbe potuto, e anzi dovuto, comportarsi diversamente…per lei stessa, per Gaetano e anche per Renzo stesso. E di nuovo quella sensazione viscida e strisciante di angoscia si fece sentire, ancora più forte.

-Ho…chiamato l’avvocato- esordì Renzo, al quale scappò un sorriso divertito vedendo l’espressione stupita di quella che ormai doveva cominciare a considerare la sua ex moglie. –Che c’è? Pensavi me ne fossi dimenticato?

-No…no…beh, in effetti mi sorprende che sia stato tu a fare il primo passo, e così in fretta. Con tutto quello che è successo negli ultimi mesi credevo che tu…

-…che io volessi approfittare di Camilla e Lorenzo per prendere altro tempo?

La donna alzò le spalle confermando così le parole del marito.

-No- continuò Renzo -diciamo che ho recepito il messaggio, alla fine. Mi ci è voluto un po’ di tempo per capirlo e assimilarlo, per…accettarlo, ma ora sono qui, depongo le armi. Desidero solo vivere in pace con te, Livia, nostra nipote e anche con Carmen e Lorenzo.  

Camilla puntò i suoi occhi in quelli di Renzo: non c’era rabbia, delusione, frustrazione. Era sincero, o almeno lo sembrava.

-Come mai questo atteggiamento conciliante tutto ad un tratto?

-Beh, abbiamo quasi rovinato il matrimonio di nostra figlia a causa dei nostri litigi. Non voglio rischiare di rovinare anche l’infanzia di Lorenzo. Io ho fatto il casino e io ne devo pagare le conseguenze, non lui. E poi come hai tenuto a precisare anche in ospedale, tu mi vuoi bene, mentre io ti amo. E non penso che questa sia una cosa che il tempo possa più sistemare ormai.

Il contenitore del caffè scivolò dalle mani di Camilla, ma lei quasi non se ne accorse: quelle parole, le parole che aveva detto a Renzo e Gaetano in quel dannatissimo ospedale! Quelle stesse parole avevano aperto gli occhi a Renzo sul fatto che il loro matrimonio era davvero finito; che effetto avevano potuto avere allora su Gaetano, con cui la relazione, ancora agli inizi, era così debole e fragile? LUI era debole e fragile: aveva cercato di dirglielo in tutti i modi ma solo ora se ne rendeva conto…e il suo discorso, il suo volersi sentire libera e indipendente, quel “vi voglio bene”…aveva probabilmente distrutto anche la più piccola speranza di Gaetano. Cosa aveva detto quando erano in macchina con Tommy? Che non era stanco di aspettare lei, ma le sue decisioni? Oddio, lei aveva preso una decisione e adesso era possibile che lui…che lui…ma non era questo che intendeva! Non era “quella” decisione…

-Camilla, ti senti bene?

La donna annuì ma decise comunque che per precauzione era meglio lasciar terminare a Renzo la preparazione di quel caffè. L’uomo tornò a fissarla: la conosceva da una vita e poteva facilmente intuire cosa stesse passando per la mente di Camilla.

-A proposito di…di quella conversazione in ospedale…

-Preferirei non parlarne, se non ti dispiace.

-Invece credo che dovremmo. Ho…ho visto Gaetano ieri sera. O meglio, stanotte- Renzo fece una pausa di silenzio per lasciare a Camilla assimilasse l’informazione, cosa che avvenne pochi secondi dopo. –Non preoccuparti, non sono volati pugni, né ci siamo sfidati a duello all’alba.

Nonostante tutto, Renzo riuscì a strappare un accenno di sorriso alla donna seduta sullo sgabello proprio di fronte a lui.

-Ti ha detto qualcosa? Di me?- Camilla temeva quella risposta tanto quanto la bramava. Un contatto seppur indiretto con Gaetano, la possibilità di sapere se dopo tutto lui ancora la stesse ancora aspettando. Anche se non credeva di avere il diritto di sperare…

-Non esattamente…ecco, credo che lui…sì, insomma…credo se ne sia andato, ecco.

Questa volta Renzo dovette attendere qualche secondo di più perché Camilla cogliesse il senso profondo della sua affermazione. Ci aveva pensato tutta la notte: doveva raccontare a Camilla di quell’incontro notturno? Di certo, il vicequestore non aveva posto condizioni quando si erano saluti, non gli aveva detto di lasciare Camilla fuori da tutta questa faccenda. Del resto, se se n’era andato nel cuore della notte, forse voleva proprio evitare che la donna venisse a conoscenza di questa novità. Ad ogni modo Camilla lo avrebbe scoperto prima o poi (e conoscendo le sue dote investigative più “prima” che “poi”) e poco sarebbe cambiato se lo avesse saputo da Renzo o lo avesse scoperto da sola.

 -Cosa vuoi dire con “se n’è andato”?- Camilla schizzò in piedi con un’agilità che non credeva più di possedere almeno dai tempi del liceo, e forse nemmeno allora, ma le parole di Renzo avevano scatenato quel mostro interiore che da qualche ora gironzolava liberamente tra lo stomaco e il petto.

-Andato. Andato. Aveva una borsa. Andato- continuò a ripetere Renzo gesticolando e cercando di evitare di rivelare i dettagli della conversazione. Giunto a questo punto, forse comprendeva perché aveva esitato tanto prima di decidersi a parlarne a Camilla.

-Sii più preciso, per favore! Aveva un borsone? Che borsone? Era grande, piccolo? Che ti ha detto?- il tono concitato tradiva l’avvenuto superamento di qualsiasi soglia di controllo: l’ansia era ormai degenerata in panico totale. Era come divisa in due: da un lato il suo cervello voleva sapere il più possibile da Renzo (ed era disposta anche alla tortura se si fosse resa assolutamente necessaria), dall’altro il suo corpo le gridava di prendere la via della porta e di andare a controllare di persona cosa stava succedendo nell’appartamento di fronte.

Alla fine fu il corpo a prevalere sulla mente e senza nemmeno rendersene conto si trovò davanti alla porta di casa di Gaetano. Suonò il campanello più volte, bussò alla porta con crescente impazienza. “Adesso apre. Adesso viene ad aprire” continuava a ripetere dentro di sé in una sorta di mantra.

-Camilla…- Renzo l’aveva seguita più per paura che potesse mettersi a tentare di sfondare la porta a spallate che per reale interesse.

-Adesso arriva, vedrai. È sotto la doccia o ancora a letto, ma vedrai che viene.

Fu quello il preciso istante in cui per la prima volta in tutta la sua vita Renzo si rese conto di quanto Camilla amasse Gaetano Berardi: quegli occhi così spaventati all’idea di averlo perso per sempre, la voce tremante, quel suo volersi convincere che a breve Gaetano avrebbe aperto la porta e tutto sarebbe tornato alla normalità. Avrebbe voluto che il suo ultimo gesto da marito fosse quello di poter alleviare il dolore che le sarebbe derivato dalla consapevolezza che lui, Gaetano, non era più lì, dove lei lo aveva sempre cercato e trovato. Accanto a lei.

-Camilla- tornò a ripetere questa volta passandole un braccio attorno alle spalle per costringerla con tutta la dolcezza di cui era capace in una simile circostanza ad allontanarsi da lì. Lei sollevò gli occhi ormai pieni di lacrime e si aggrappò con la poca forza che le era rimasta alla giacca di Renzo.

Livia lì trovò così, stretti in quello strano abbraccio, intuendo perfettamente cosa doveva essere appena successo. E senza bisogno di aggiungere altro, si avvicinò ai genitori stringendoli entrambi a sua volta.

 

Angolo dell’autrice:

dunque, che dire? Il percorso che riportrà Camilla tra le braccia di Gaetano (forse?) è appena cominciato.  Lei aveva bisogno di tempo per capire…e quindi il riavvicinamento tra i due sarà graduale. Entrambi hanno molto da dire e da spiegare a questo punto e forse dovranno trovarsi a metà strada se vogliono avere la seranza di rimettere insieme i pezzi di questo rapporto. Insomma…bisogna continuare a leggere er scoprire come andrà =)

A presto.

L.

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Capitolo 3
*** Faccia a faccia ***


FACCIA A FACCIA

Il suono della campanella, già molesto di per sé soprattutto per la popolazione studentesca, era insopportabile anche per le orecchie di Camilla quella mattina.

La professoressa Baudino presentava tutti i classici sintomi del post-sbronza: mal di testa, occhi gonfi e arrossati, difficoltà di concentrazione, agitazione. Le sarebbe piaciuto poter affermare di aver almeno goduto dei benefici di quella sbronza! Invece, se si ritrovava in quelle condizioni pietose, non doveva ringraziare una buona dose di alcool (preferibilmente vermouth), ma la lunga (anzi, oserebbe dire la più lunga della sua vita) sessione di pianto mattutina, sdraiata nel suo letto cullata dal silenzio di quelle quattro mura che già altre volte l’avevano trovata in lacrime.

Quando era rientrata in casa quella mattina, sorretta a forza da Renzo e da Livia, era corsa a rifugiarsi in camera, con la non tanta velata idea di chiudercisi dentro per sempre ed isolarsi dal mondo: aveva appena perso l’amore della sua vita, la sola persona che le era sempre stata accanto “nella buona e nella cattiva sorte” (ironico, a pensarci), l’uomo che (e di questo ne era assolutamente certa) non l’avrebbe mai tradita o fatta soffrire…che altro poteva contare di più? Di fatto, Camilla sapeva che c’erano ancora alcune persone che, inspiegabilmente, dipendevano da lei: Livia, sua nipote Camilla, i suoi studenti…

Aveva trovato la forza di rialzarsi, rendersi presentabile quanto le circostanze lo permettevano: in bagno si fermò a guardare lo specchio che le rimandò l’immagine di una donna che proprio non riusciva a riconoscere. E le parole dette all’amica Francesca qualche mese prima proprio in quel bagno la colpirono con un’intensità indescrivibile: “mi sa che l’ostacolo sono io”. Dio, quanto aveva avuto ragione! Lei aveva fatto e disfatto la sua relazione con Gaetano, lei lo aveva illuso e poi abbandonato senza spiegazioni…o meglio con quel terrificante discorso davanti alla macchinetta del caffè. Poteva forse biasimarlo se ora lui se n’era andato senza nemmeno un saluto, una parola? No, chiaro. Non poteva pretendere più nulla da lui. Eppure, sentiva una vuoto talmente grande dentro di lei…addirittura più grande di quello lasciato dal tradimento di Renzo: forse perché una parte di lei (anche se piccola e tenuta ben nascosta) aveva sempre saputo o temuto che Renzo potesse tradirla nuovamente, come era già capitato in precedenza, ma con Gaetano…si aspettava che Gaetano ci sarebbe sempre stato per lei. Aveva tirato la corda una volta di troppo e ora la corda si era spezzata.

Il leggero bussare di Livia alla porta l’aveva costretta ad uscire e a mostrarsi per quello che era: una donna distrutta e senza più energie. Con Gaetano se n’era andata anche una parte di lei.

-Mamma, se vuoi chiamo a scuola e chiedo ai tuoi colleghi di sostituirti per oggi.

Camilla aveva scosso il capo e abbozzato un sorriso che le era costato un’immensa fatica.

-No, tesoro. Lavorare un po’ mi farà bene. E comunque entro alla terza ora, oggi. Ho ancora tempo per rendermi presentabile.

-Mamma…

-Davvero, Livietta, sto bene. Starò bene.

Livia era rimasta ancora qualche secondo davanti alla porta, l’espressione di chi vorrebbe dire ancora milioni di cose, ma non ne ha il coraggio.

Ripensandoci ora, chiusa nel bagno del Nelson Mandela nel vano tentativo di asciugare le lacrime che a tradimento continuavano a scendere, avrebbe fatto bene a seguire il consiglio della figlia e restarsene a casa, sepolta sotto le coperte e nascosta agli occhi del mondo che sembravano giudicarla ad ogni passo.

La campanella arrivò puntuale ad annunciare implacabile la fine dell’intervallo.

Camilla raccolse la sua borsa e rassegnata si indirizzò verso la sua 5B, l’ultima classe che avrebbe voluto avere quel giorno: Sara, Ambra e Niccolò le avrebbero sin da subito ricordato lui, Gaetano. E non era certa di riuscire a sopportare i ricordi che quei tre volti avrebbero portato con sé.

Cercò di tenere gli occhi bassi, puntati sulla cattedra e sul registro.

-Prof., non sta bene?

Ma perché tra tutti proprio Ambra doveva aprire bocca per prima? Era una ragazza dolce e simpatica, ma in quel momento l’avrebbe strozzata volentieri…con affetto parlando. Ambra tra tutti comportava una serie di ricordi particolarmente dolorosi: alcuni dei momenti più belli trascorsi con Gaetano erano legati alle indagini per l’omicidio della sua amica Nancy. “Dovunque tu vada, io vengo con te”…ormai non era più così. Lui era andato e lei non poteva più seguirlo. Una nuova ondata di pianto si affacciò prepotentemente nei suoi occhi, ma con una forza che non sapeva nemmeno di avere Camilla ricacciò tutto indietro.

-No, Ambra, oggi non sto molto bene, in effetti.

-Vuole che vada di sotto ad avvertire il suo amico commissario? Così la accompagna a casa, se vuole.

Camilla sentì la stanza girare vorticosamente attorno a lei. Doveva aver capito male: pure le allucinazioni uditive, adesso!

-Prof.?

Ambra, sempre più preoccupata, lanciò un’occhiata verso i compagni.

-Vado io a chiamare il commissario- intervenne Niccolò.

-No!- allora non aveva sognato, non era preda di allucinazioni. Gaetano era lì! Era talmente sconvolta da non riuscire a comprendere cosa provava in quel momento: gioia, sollievo, paura, ansia, inquietudine…e altre mille emozioni tutte insieme, unite in un mix esplosivo che le stava togliendo il respiro.

Riuscì ad alzarsi dalla sedia e a mantenere una parvenza di autocontrollo.

-Ragazzi, voi ora state tranquilli qui, mentre io raggiungo il commissario Berardi- poter pronunciare quel nome…non le era mai suonato così bene con in quel momento.

I primi passi furono lenti e titubanti, poi dovette controllarsi per evitare di correre. In altre circostanze, il primo pensiero sarebbe stato quello di domandarsi perché un vicequestore era appena entrato nella sua scuola, ma in quel momento la sua mente era rivolta solo ed esclusivamente solo a Gaetano, al fatto che era a pochi metri da lei, proprio nel giorno in cui credeva di averlo perso per sempre. Potevano chiamarlo destino, fato, caso, coincidenza…non gliene importava nulla! Il suo Gaetano era lì e lei aveva la possibilità di chiarire quell’assurda situazione.

Giunta a pian terreno, Camilla si rese subito conto che il suo compito sarebbe stato più difficile del previsto. A guardia della sala professori erano stati lasciati la Lucianona e Torre, ma mentre la prima le rivolgeva un timido sorriso (senza farsi scorgere più di tanto dal marito, a quanto sembrava) l’espressione del secondo era dura e severa. Evidentemente era stato messo al corrente da Gaetano di quanto accaduto qualche settimana prima e come il migliore degli amici si era schierato dalla parte del commissario.

-Professoressa- la salutò la Lucianona, ignorando l’ultima eloquente occhiata di disappunto da parte del marito.

-Buongiorno- rispose con una timidezza che non le era mai appartenuta; non riusciva nemmeno a sostenere lo sguardo di rimprovero di Torre: sapeva di meritarlo, questa era la verità, ma questa consapevolezza non la faceva sentire meglio. –Come mai qui?

-C’è stato un omicidio- si affrettò a precisare l’agente Balocco.

-Omicidio? A scuola?

-No, ma è la vittima è…

-Ehm, ehm…- si intromise Torre riportando la moglie al silenzio.

La Lucianona alzò gli occhi verso Camilla cercando di farle capire che se fosse stato per lei avrebbe già spiattellato tutto, ma non era aria in confidenze. Perlomeno non con lei.

Camilla comprese, ma arrivata a quel punto non poteva andarsene di lì senza sapere se lui era a pochi metri da lei, separato solo da una insignificante porta in legno, peraltro malandata.

-Il dottore è dentro?- non sapeva dove aveva trovato il coraggio per fare quella domanda, soprattutto alla presenza di un Torre deciso più che mai a proteggere il suo superiore da altre batoste.

Fortunatamente non fu necessaria una risposta da parte di Torre: la porta alle sue spalle si aprì pochi istanti dopo e davanti a lei si materializzò la figura alta, snella e perfetta di Gaetano.

Al commissario sembrò mancare la terra sotto i piedi. Incrociava quegli occhi per la prima volta da settimane e nonostante tutto il dolore che la donna davanti a lui gli aveva causato non riusciva a smettere di sentire quel suo stupido cuore galoppare come un cavallo impazzito. Poteva comandare alla sua testa ed al suo corpo di allontanarsi da lei, ma non poteva fare nulla per quell’organo che continuava a battere per lei. Lei gli sorrise timidamente, un accenno all’angolo della bocca. Gaetano la guardò con attenzione e non poté fare a meno di notare gli occhi gonfi e l’espressione stanca: la nipotina doveva tenerla sveglia la notte…o forse era qualcun altro a tenerla sveglia e in modi che gli stavano facendo desiderare di strapparsi mente e cuore.

Fu quel pensiero, che lo attraversò come un fulmine, a ridestarlo e a dargli la forza di mantenere il distacco da lei.

-Torre, Balocco. Accompagnate la professoressa Ronco in commissariato. Io devo passare dal medico legale e poi vi raggiungo.

-Comandi, dottò!

Torre sembrò felice di avere una scusa per allontanarsi dalla linea di fuoco; indicò con gentilezza alla collega di Camilla di precederlo verso l’uscita dell’istituto, seguito poi a ruota dalla Lucianona, che, invece, sembrava voler restare per sapere come sarebbe andata a finire tra i due.

-Gaetano- il tono di voce usato era talmente basso che Camilla stessa non fu sicura di aver davvero pronunciato il nome dell’uomo.

Sentire il suo nome pronunciato da Camilla, fece perdere un altro battito al cuore già malconcio del commissario Berardi: non poteva evitare di restare lì in mezzo al corridoio a fissarla, le mani infilate in tasca per precauzione, onde evitare che una parte di lui arrivasse a comandar loro di sfiorarle il viso. Quegli occhi continuavano nonostante tutto ad ipnotizzarlo, quelle labbra ad attirarlo a lei. Sarebbe mai arrivato il giorno in cui il suo corpo non avrebbe più reagito agli stimoli che la vista di Camilla gli provocavano? Probabilmente no, questa era la verità. Forse quella doveva essere la sua punizione per aver osato innamorarsi di una donna sposata, madre di una bambina piccola, ora però nonna…single ed indipendente.

-Gaetano, ti prego, possiamo parlare?- nel pronunciare quelle parole, Camilla appoggiò una mano con delicatezza sul braccio del commissario, che si ritrasse come scottato.

L’uomo fissò il punto in cui Camilla lo aveva sfiorato incapace di comprendere come anche solo quel lieve tocco potesse ferirlo e farlo sprofondare ancora di più nel baratro da cui stava disperatamente tentando di uscire.

-Devo andare- fu l’unica cosa che riuscì a dirle, senza nemmeno più guardarla negli occhi, senza voltarsi indietro nonostante lei lo stesse chiamando, questa volta a gran voce.

Mentre usciva dall’istituto Mandela una leggera folata di vento primaverile gli accarezzò il viso e sentì freddo; estrasse la mano destra dalla tasca e si toccò la guancia: era umida. Stava piangendo.

***

-Mi scusi, commissario, non sarebbe possibile fare entrare anche Camilla?

Non era per niente facile dire di no a quella richiesta avanzata da Anna Ronco. Innanzitutto, era leggermente da ipocrita invocare proprio ora quelle regole che impedirebbero l’interferenza dei non addetti ai lavori durante un atto di polizia giudiziaria: il commissario aveva infranto talmente tante volte (e soprattutto con enorme piacere) quelle regole che era un miracolo non l’avessero ancora sbattuto a dirigere il traffico o peggio cacciato dalla Polizia di Stato. Inoltre, Anna Ronco gli piaceva: sembrava una donna gentile, seriamente afflitta per la morte del marito e bisognosa di un conforto, di una spalla cui appoggiarsi in quello che poteva essere il momento peggiore della sua vita.

Certo, Gaetano avrebbe preferito che la professoressa scegliesse una spalla diversa da quella di Camilla, ma nel momento esatto in cui gli era stato comunicato che la vittima era il marito di una professoressa del Nelson Mandela, aveva subito capito che non ci sarebbe stato modo di tagliarla fuori dalle indagini. E benché una parte di lui fosse felice di questa coincidenza, si stava sforzando in ogni modo di mettere dei confini, di tenere Camilla lontana da lui il più possibile. Del resto, tutto era cominciato così, no? Un cadavere, un vermouth e lui era capitolato prima che potesse rendersi conto del casino in cui si stava andando ad infilare. Perciò, quando Torre gli aveva timidamente suggerito che forse quello era destino, Gaetano l’aveva guardato torvo e aveva replicato che se proprio bisognava dare un nome a quella circostanza, il più appropriato sarebbe stato “sfiga”!

Ad ogni modo, lui restava un uomo perbene e davanti a una simile richiesta non poté fare altro che acconsentire e con un cenno del capo diede a Torre l’ordine di fare entrare la prof.. Prima ancora che Camilla entrasse nel suo ufficio, lui ne percepì il profumo; Dio, stava diventando completamente pazzo, questo era certo. Inspirò profondamente, alla ricerca delle energie necessarie per tenere sotto controllo da un lato la rabbia ed il dolore, dall’altro la forte attrazione che provava ancora per quella donna.

Alzò gli occhi quanto bastava per indicarle con la mano la sedia libera accanto a quella della professoressa Ronco; poi, tornò ad ignorarla, cercando di autoconvincersi che lei non fosse affatto lì.

-Come le dicevo, sig.ra Ronco, vorrei solo farle qualche domanda su suo marito per cercare di ricostruire i suoi ultimi movimenti.

La donna annuì dopo aver lanciato un’occhiata a Camilla.

-Ho mandato alcuni dei miei uomini a perquisire il vostro appartamento e mi hanno riferito di aver rinvenuto delle borse da viaggio, piene di effetti personali di suo marito, sig.ra Ronco.

-Sì, sì. È così. In effetti, io e mio marito ci siamo lasciati qualche settimana fa. Ieri mi ha telefonato per informarmi che sarebbe passato per ritirare alcune delle sue cose. Io ho preferito restare fuori…sa, non era una situazione facile.  

-Quindi lei e suo marito non eravate in buoni rapporti a causa del divorzio?

-Beh…

-Divorziare non comporta necessariamente non essere in buoni rapporti con il proprio ex- intervenne Camilla, incapace di resistere alla tentazione di commentare ogni affermazione o domanda del commissario, come suo solito, come se nulla tra loro fosse cambiato.

L’occhiata gelida che le restituì Gaetano le ricordò che, invece, le cose erano totalmente differenti, ora.

-Lo so benissimo anche da me, mi creda, professoressa Baudino.

Camilla non seppe dire cosa le fece più male: se il tono assente usato da Gaetano, il significato sottointeso delle sue parole o il fatto che l’avesse chiamata per cognome, tornando addirittura a darle del “lei”. “Adesso per ripassare dal tu al lei ci vuole una buona ragione”: alla fine, a quanto pare gli aveva dato un buon motivo per rimangiarsi quel “tu” venuto tanto spontaneo molti anni prima.

Camilla incassò il colpo cercando di dissimulare la sua delusione per quanto avvenuto e per la calma che ostentava Gaetano mentre la torturava con ogni singola parola che usciva dalla sua bocca. Ma era tutta apparenza: il vicequestore era tutto fuorché calmo. Dentro di lui il cuore pulsava così forte che, ne era certo, prima o poi sarebbe schizzato fuori dal petto…almeno avrebbe messo fine alla sua agonia, si ritrovò a pensare!

-Quello che volevo dire…

-Non importa- la interruppe Gaetano. -Può rispondere tranquillamente la sig.ra Ronco, o sbaglio?

-Certo! certo! Io…non posso dire che Marco avesse preso bene la mia decisione- continuò Anna - ma del resto ci eravamo già lasciati nove mesi fa…quindi in un certo senso ci era già passato.

-Mi scusi, non credo di aver capito. Quando ha lasciato suo marito? Nove mesi fa o poche settimane fa?

Anna Ronco sorrise: -Ha ragione, commissario, mi scusi. Forse è il caso che cominci dall’inizio.

Gaetano annuì preparandosi a prendere appunti con la sua fidata Montblac che anni prima gli aveva regalato sua madre, quando era stato nominato per il suo primo incarico importante nella capitale. In sostanza pochi giorni prima di incontrare Camilla.

-Circa dieci mesi fa ho scoperto che mio marito mi tradiva con la sua ex…

-Pure lui- commentò Gaetano mentre segnava la circostanza sul suo taccuino; il silenzio che ne seguì lo informò che il suo pensiero si era effettivamente espresso ad alta voce, così da essere udito sia dalla professoressa Ronco che da Camilla. Avvampò all’istante e incapace di aggiungere altro invitò la donna a proseguire il suo racconto con un gesto della mano.

 -Sì, insomma, ho provato per qualche tempo a passarci sopra, ma alla fine non ce l’ho fatta e l’ho lasciato. Qualche mese dopo ho intrapreso una relazione con un mio collega, il vicepreside Maffei, e andava tutto bene, fino a quando mio marito non è tornato a farsi avanti.

-Davvero?- questa volta Gaetano sapeva perfettamente di aver dato voce ai propri pensieri e non nascose nemmeno il suo tono sarcastico, che Camilla colse al volo.

-Già. Mi chiese scusa, disse che si era pentito, che eravamo una famiglia e che gli dovevo una seconda possibilità, se non per lui almeno per nostro figlio.

-E lei che ha fatto?

-Quello che credevo giusto al momento. Ho lasciato Maffei e mi sono ripresa mio marito. Ma è stato uno sbaglio: ero ormai innamorata di un altro e ho deciso di buttarmi, come mi ha consigliato Camilla. Così qualche settimana fa ho lasciato mio marito…questa volta definitivamente.

Gaetano quasi si strozzò con la sua stessa saliva.

-Mi scusi…Camilla, voglio dire la professoressa Baudino le avrebbe suggerito di buttarsi?- gli occhi del commissario si voltarono di scatto verso Camilla fissandola con espressione indecifrabile.

-Già. Lei mi ha davvero aperto gli occhi: stavo per commettere un grandissimo errore tornando con mio marito. Non so come avrei fatto senza il suo aiuto.

-Immagino- il sarcasmo era ormai alle stelle e francamente al commissario importava ben poco di celarlo. Vide Camilla muoversi a disagio sulla sedie che le era stata assegnata e provò una buona dose di soddisfazione nel vederla abbassare gli occhi in imbarazzo. 

Il resto del colloquio fu un buco nero per Camilla, che non riuscì più ad ascoltare una sola parola di quel dialogo. La sua mente si era cristallizzata su quanto detto da Anna e sul consiglio di buttarsi il passato alle spalle e di viversi la sua storia con Maffeis: in effetti, non aveva proprio usato quelle parole, ma il sunto era nella sostanza piuttosto corretto. E tutto sommato lo pensava ancora: Anna aveva fatto bene a chiudere con il marito per dedicarsi a Matteo. Ma quello che proprio non riusciva a comprendere era il motivo per cui le era risultato tanto facile ed ovvio dare quel consiglio ad Anna, mentre quando si era trattato di seguire le sue stesse parole non ce l’aveva fatta. Non solo aveva in qualche modo permesso a Renzo di rifarsi avanti (anche se lei non l’aveva mai vista in quel modo), ma aveva anche dato l’impressione a Michele che potessero riprendere da dove avevano interrotto più di vent’anni prima. Invece di andare avanti, lei aveva continuato ad andare indietro, sempre più indietro. Poteva correre verso Gaetano, verso un futuro nuovo e sereno, invece…

-Camilla?- la voce di Anna la richiamò dai suoi pensieri.

-Sì?

L’amica era già in piedi, mentre Gaetano la guardava perplesso, con un sopracciglio ad altezza preoccupante.

-Il commissario ha detto che possiamo andare.

-Ah, sì. Sì!- Camilla raccolse la sua borsa che giaceva accasciata sul pavimento. Mosse i primi passi verso la porta seguendo Anna, ma a pochi centimetri dall’uscita si voltò verso Gaetano, un’espressione sul volto che era un misto di sollievo e delusione, e tornò verso la scrivania, piazzandosi proprio davanti al commissario, che ora, abbandonata ogni traccia di delusione, la guardava torvo. –Tu vai pure, Anna; io devo dire ancora un paio di cose al commissario.

Lo sguardo di sfida negli occhi di Camilla convinse Gaetano a cedere prima di dare vita ad una lotta che lo avrebbe visto soccombere alla prof. davanti non solo ad alcuni dei suoi sottoposti, ma anche a quella che per lui era a tutti gli effetti un’estranea.

Camilla attese che Torre chiudesse le porte dell’ufficio di Gaetano alle sue spalle, garantendole una certa dose di privacy; poi tornò a puntare le sue iridi nocciola in quelle azzurre del commissario, notando solo in quel momento quanto quel colore di solito brillante e luminoso era stato rimpiazzato da una sfumatura più cupa e fredda.

-Ho visto Renzo stamattina- esordì, ma si pentì immediatamente della scelta delle parole quando vide Gaetano irrigidirsi ed incupirsi ancora di più.

-Mi fa piacere per voi- ribatté piccato. Era già abbastanza spiacevole essere stato costretto a “subire” nuovamente la sua intrusione proprio ora che aveva deciso di mantenere le distanze da lei; dover pure assistere al ritrovato idillio tra Camilla e Renzo gli pareva francamente troppo.

-No! Non intendevo…

-Non mi importa cosa intendevi, Camilla. Avrei da lavorare, se non ti dispiace- disse con tutta la calma che riusciva ad ostentare indicando con fermezza la porta.

-Invece adesso mi devi ascoltare, Gaetano!

La determinazione di Camilla non riuscì a scalfire almeno in apparenza la normale compostezza del commissario: per la prima volta la professoressa si ritrovò a rimpiangere gli scatti d’ira di Gaetano di qualche giorno prima. Almeno quelle esplosioni erano la prova evidente che lui provava qualcosa per lei. Ora sembrava essergli totalmente indifferente. Era possibile che Gaetano fosse andato avanti così rapidamente?

-Devo, Camilla? Sul serio?

-Beh, almeno sei tornato a darmi del tu- commentò acida la donna. –E comunque sì, mi devi ascoltare.

-Come hai sempre fatto tu con me, vero?

- D’accordo, sei arrabbiato, lo capisco.

-Lo capisci? TU LO CAPISCI?- sbottò il vicequestore ormai incapace di trattenersi oltre. Per troppo tempo aveva ascoltato e subito tutto, o quasi, dalla prof. nella convinzione che sarebbe arrivato anche il suo momento, prima o poi. E proprio quando aveva creduto che finalmente fosse giunto il suo turno, lei aveva di nuovo scombinato tutte le carte lasciandolo con niente in mano, ma con un gran senso di vuoto dentro di sé. Non era in grado di fingere ancora che tutto andasse bene. –No, Camilla, tu non capisci, perché se davvero tu capissi sapresti che mi hai distrutto, in tutti i modi in cui un uomo può essere distrutto, e non avresti mai avuto il coraggio di presentarti qui a pretendere che io ti ascoltassi!

Gaetano si rese conto di aver pronunciato quelle parole praticamente in apnea; inspirò a fondo nella speranza di recuperare un minimo di controllo, ma il contatto visivo con Camilla non gli rendeva la cosa piuttosto semplice, al contrario. Lei lo fissava con quei due occhi cioccolato sbarrati, evidentemente sorpresa dalla reazione irruenta del commissario.

-Mi dispiace- riuscì a mormorare sottovoce la donna ancora colpita e confusa da quelle parole, il tono decisamente più mite rispetto a qualche istante prima. Avrebbe voluto continuare, dire molto altro oltre a il solito e banale “mi dispiace”, ma il commissario fu più veloce di lei.

-Per cosa ti dispiace?- era come se in Gaetano si fosse aperta una diga: per la prima volta da tempo riusciva davvero a dare voce ad ogni suo pensiero ed era difficile ora arginare quel fiume in piena, anche se razionalmente sapeva che continuando per quella via avrebbe finito col dire qualcosa di irreparabile, qualcosa che non avrebbe mai potuto ritrattare. Ma, del resto, giunto a quel punto non vedeva comunque un futuro con Camilla. – Per cosa esattamente ti dispiace? Per aver lasciato tuo marito? Per essere venuta a letto con me? Perché ti amo e ho continuato a ripetertelo e dimostrartelo in ogni modo, nonostante tu continuassi a tenermi lontano? Per aver lasciato che Renzo si mettesse tra noi con mezzi subdoli che tu hai assecondato? Per il “vi amo anche io” in ospedale? Per avermi mentito guardandomi negli occhi dando un alibi a Michele? Per avermi detto di aver passato la notte con lui, sapendo che mi avresti spezzato il cuore come uomo, prima che come tutore della legge? Per aver goduto nel vedermi geloso e fragile? O, infine, per avermi mollato come un idiota davanti ad una macchinetta del caffè senza nessuna spiegazione? Dimmi, Camilla, per cosa esattamente ti dispiace?

Camilla puntò gli occhi sul pavimento, ripassando nella sua mente tutti i momenti della loro breve relazione che Gaetano aveva appena elencato con rabbia e frustrazione. Quanto era stata stupida a pensare di poter parlare semplicemente con l’uomo davanti a lei e sistemare la situazione! L’aveva ferito tante di quelle volte e in tanti di quei modi che stentava a riconoscersi lei stessa…dopo quello che aveva passato con Renzo, dopo quanto aveva sofferto per amore, aveva inflitto lo stesso dolore alla persona più importante della sua vita, dopo Livietta.

-Io…io…mi rendo conto di aver fatto cose di cui nemmeno io stessa vado fiera, ma…vorrei che tu…tu capissi che per me non era una situazione semplice.

La risata di Gaetano risultò fin troppo sarcastica alle orecchie di Camilla.

-Io devo capire? Di nuovo?

-Non voglio trovare giustificazioni, Gaetano, te lo assicuro- ribatté la donna, la cui vista era sempre più annebbiata: se per le lacrime che minacciavano di esplodere o per l’arrivo dell’ennesimo attacco di panico, ancora non le era chiaro. Quello di cui era assolutamente certa era che se non fosse riuscita a spiegarsi con Gaetano avrebbe finito col perderlo definitivamente. Era una sorta di ultima possibilità e non poteva permettersi che delle stupide debolezze le impedissero di ritrovare il suo Gaetano. Cercò di mettere ordine nelle sue idee, peraltro ancora molto confuse, perché se da un lato sapeva di volere Gaetano nella sua vita, dall’altro non riusciva ancora a rendersi conto delle ragioni che l’avevano davvero portata ad essere così scostante con lui negli ultimi mesi. -È solo che dopo il tradimento di Renzo io non mi sono sentita in grado di fidarmi più di nessuno. Nemmeno di te, anche se so che tu sei sempre stato l’unico di cui avrei mai potuto fidarmi ad occhi chiusi. E non potevo rischiare, capisci? Se avessi sbagliato e ti avessi perso…per me sarebbe stato…orribile. Avevo solo bisogno di tempo. HO solo bisogno di tempo.

Gaetano scosse il capo incredulo: quante volte aveva già sentito quel discorso?

-E te lo avrei dato se solo tu mi avessi dato qualche certezza in più. Ma tu pretendevi i tuoi tempi e i tuoi spazi, mentre io dovevo restarmene buono in un angolo ad aspettare che tu mi cercassi, che tu fossi pronta. Non volevo che tu mi sposassi, ma che almeno mi facessi capire che contavo qualcosa per te, che non era solo una questione di sesso, che vedevi un futuro. Se ti chiedevo di chiudere con Renzo, di firmare quella maledetta separazione, non era per gelosia. Non solo, almeno. Per me significava mettere in chiaro come stavano le cose con me, con Renzo, con tutti: avere dei punti di riferimento. Invece ti ha fatto piacere essere corteggiata da Renzo, ora persino da Michele. È la tua rivincita, in un certo senso. Ma io? Cosa dovrei fare io? Restare a guardare, ad aspettare, mentre tu decidi chi di noi avrà la meglio? No! Io non sono quel tipo di uomo: ho sopportato per dieci anni e l’ho fatto unicamente perché eri sposata e rispettavo la tua scelta di mettere sempre e comunque al centro la tua famiglia. Ma questo teatrino no, non chiedermi di sopportarlo. Se dopo dieci anni hai ancora bisogno di capire se sono l’uomo giusto, se devo ancora essere messo sotto esame e passare il test contro Renzo e adesso pure contro Michele, no. Lascio la partita. Io mi tiro fuori da questa equazione.

Il tono si fece improvvisamente più tranquillo e questo spaventò Camilla molto più delle urla di poco prima. Gaetano circumnavigò la scrivania finendo col trovarsi davanti alla professoressa e guardandola negli occhi.

-La verità, Camilla, è che non saresti mai dovuta venire da me quella notte- disse, anche se far uscire quelle parole dalla bocca gli costò uno sforzo immenso.

-Cosa?- la voce stridula di Camilla tradì la sua delusione, il suo cuore che si spezzava.

-Non saresti mai dovuta venire da me quella notte: non eri sicura di me, di te, di noi. Ma sapevi quanto io tenessi a te, quanto per me fosse importante quel momento: ho aspettato dieci anni…ti ho amata per tutto questo tempo accontentandomi del poco che potevi darmi e mi andava bene così. Poi hai bussato alla mia porta e, nonostante non fossi affatto sicura di noi, hai deciso comunque di illudermi, di farmi credere che finalmente eri pronta per accettare quello che c’era tra noi. Ancora una volta era tutto solo nella mia testa: per tutti questi anni ho sempre creduto che tu fossi innamorata di me, ma…ero solo una tentazione, tutto qui.

-No! No! Non è così!- la battaglia con le lacrime era ormai persa: Camilla riusciva a malapena a scorgere i contorni del viso di Gaetano. -Io…io volevo stare con te. Voglio stare con te.

-Ma non siamo una coppia, giusto? Quindi, come funzionerebbe questo rapporto? Verresti a letto con me ogni tanto, magari quando non sei troppo impegnata a fare la mamma o la nonna, scivoleresti via nel cuore della notte per non farti scorgere da Livia, ti intrufoleresti nelle mie indagini, ma poi ognuno a casa sua? Questo è quello che vorresti?

Camilla era perfettamente a conoscenza che non esisteva una risposta corretta a quella domanda.

-Vedi? Non lo sai nemmeno ora. Sei qui a cercare di convincermi di cosa, esattamente? Che vuoi stare con me senza stare con me? Io voglio tutto, Camilla: non voglio qualche ora di sesso o una serata di coccole sul divano. Te l’ho già detto una volta: io non ho intenzione di ricoprire il ruolo dell’amante…e nemmeno dell’amico da portarsi a letto senza impegno. Non so cosa tu pensi di me, ma non sono quel genere di uomo.

Gaetano fece appena in tempo a terminare la frase, quando la mano di Camilla colpì il suo viso costringendolo ad arretrare di qualche passo. Con la mano ancora a mezz’aria la donna cominciò a tremare: -Scusami, scusami…io non…io non…

-Professoressa!- la voce di Torre la raggiunse alle spalle. Camilla si voltò e vide l’espressione stupita e delusa di Torre che evidentemente doveva aver assistito alla scena, probabilmente richiamato dalle urla di poco prima.

Guardò di nuovo Gaetano, forse per accertarsi che quello schiaffo fosse davvero avvenuto, e poi Torre. Senza aggiungere una parola, raccolse di nuovo la sua borsa da terra, dove era caduta nel bel mezzo della conversazione, si diresse verso la porta passando oltre l’ispettore Torre e la richiuse alle sue spalle. Aveva solo peggiorato la situazione.

 

 

Angolo dell’autrice:

Mi rendo conto che il capitolo è stato un pochino lungo, ma non potevo spezzarlo a metà. Volevo che ci fosse un primo scontro tra i due. Chiaramente è stato il turno di Gaetano che ha espresso tutti i suoi dubbi su questa strana relazione che si porta dietro da dieci anni: nella serie secondo me non si sono visti granchè i pensieri di Gaetano se non la sua gelosia per Renzo, cosa che secondo me è un po’ riduttiva e sbrigativa. Perciò da qui nasce questo scontro…come ho già detto nel gruppo fb il problema è che per lui la relazione va avanti da dieci anni in un certo senso e il suo risentimento oggi va letto alla luce di tutto questo lungo periodo di attesa.

Spero che la lettura non vi abbia annoiato…e ci vediamo al prossimo capitolo.

A presto.

L.

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Capitolo 4
*** Il primo passo ***


IL PRIMO PASSO

Livia posò sul vassoio un piatto di pasta fumante fatta da lei; non era mai stata una grande cuoca, né aveva mai avuto il desiderio di diventarlo (o quantomeno di provarci), ma da quando si era sposata si era sforzata di apprendere quel minimo di nozioni di base per riuscire ad essere una buona madre ed una moglie decente. Per sua fortuna, la piccola Camilla si nutriva unicamente di latte materno che non necessitava di particolari preparazioni, ma George non era stato altrettanto fortunato: lui aveva dovuto subire i primi tentativi da casalinga disperata di Livia, ma non aveva mai avuto il coraggio di rimandare indietro uno dei piatti cucinati dalla sua neosposa, benché molti di questi fossero davvero immangiabili.

Esattamente come il piatto di pasta che Livia aveva appena posato sul vassoio: sapeva di aver esagerato con il sale e che il sugo che aveva sperimentato non aveva raggiunto il risultato sperato, ma non poteva permettere a sua madre di saltare un altro pasto. Quando era rientrata per pranzo, l’aveva vista correre come un lampo verso la sua camera da letto e chiudercisi dentro, lasciando fuori persino Potty, che ormai stazionava da ore davanti alla porta della stanza in attesa che la padrona venisse ad aprirgli. Ma Camilla non era mai uscita da lì, né per bere, né per mangiare, né per vedere la piccola di casa. Niente.

Verso le quattro del pomeriggio, Livia comprese il perché di quel comportamento. Anna Ronco, la collega di sua madre, aveva telefonato per parlare con Camilla e per sapere da lei se il commissario Berardi avesse qualche ipotesi su cosa potesse essere successo a suo marito. Eccolo il problema: Gaetano. A quanto pare il destino aveva una predilezione per sua madre: rimettere Gaetano sulla sua strada proprio nel giorno in cui aveva creduto di averlo perso per sempre. Se non era fortuna questa! Qualcosa, però, non doveva essere andato per il verso giusto, vista la situazione attuale di sua madre, che viveva praticamente da reclusa nella sua stessa casa.

Livia lasciò passare ancora qualche ora, giusto per vedere se Camilla sarebbe riemersa dalla stanza di sua spontanea volontà, ma quando sua madre non comparve nemmeno per la cena, comprese che il primo passo sarebbe spettato a lei.

Così, lasciata la piccola tra le braccia del padre, Livia afferrò il vassoio carico del suo piatto di pasta immangiabile e si decise a bussare alla porta della camera di sua madre.

Dall’interno non giunse alcun rumore, ma Livia era assolutamente certa che la donna non stesse affatto dormendo: era solo un tentativo per tenerla lontana. Sua madre doveva conoscerla davvero poco se credeva che si sarebbe arresa al primo ostacolo!

Bussò di nuovo e attese ancora qualche secondo per una risposta che tardava ad arrivare.

-Mamma, lo so che sei sveglia. Adesso entro- avvisò spazientita, prima di aprire la porta.

Quello che trovò dietro quel pezzo di legnò le spezzò il cuore: aveva già visto sua madre in lacrime, a Barcellona, quando Renzo le aveva comunicato l’intenzione di andarsene per stare con Carmen, ma allora era piccola, praticamente ancora una bambina, e non aveva compreso appieno la portata di quella scena (anche perché a dire il vero Camilla cercava di nascondere il più possibile le crisi di pianto). Ora era tutto diverso: adesso era una donna adulta, che poteva capire tutto quello che si agitava nel cuore di sua madre. Amore, delusione, paura di soffrire, dolore, insicurezza: aveva sperimentato lei stessa questi sentimenti negli ultimi anni e per esperienza sapeva che non era facile rialzare la testa in certe occasioni.

-Ti ho portato la cena- disse appoggiando il vassoio sul comodino che un tempo era appartenuto al padre; ora era stato ricoperto di foto sue, di George, e della piccola Camilla, come a voler cancellare il passato lasciando posto unicamente al futuro.

La donna si mosse controvoglia sotto le coperte e la chioma riccioluta spuntò da sotto il cuscino.

-Grazie, ma non ho molto appetito- la voce nasale ed impastata di chi non ha fatto altro che piangere nelle ultime ore.

-Devi mangiare qualcosa, mamma! È da ieri sera che praticamente non tocchi cibo solido.

-Sto bene così.

-No! Non stai bene!- sbottò infine Livia: ma era stata anche lei così sfibrante dopo le delusioni subite con Ricky, Bobo, Greg? Cominciava a chiedersi come avesse fatto sua madre all’epoca a non mandarla a quel paese. –Scusa, non volevo urlare. È solo che è…

-…sfiancante?

Livia annuì sorridendo, visto che anche la madre sembrava aver preso a ridere il suo piccolo attacco d’ira di poco prima.

-Adesso so come vi siete sentiti tu e papà quando dovevate avere a che fare con me dopo Ricky e Bobo. Vale se chiedo scusa con un paio d’anni di ritardo?- abbozzò con quell’aria ingenua che a Camilla ricordava la Livietta di una decina d’anni prima.

Camilla riemerse definitivamente dall’involucro di lenzuola in cui si era rifugiata, mettendosi a sedere; indicò con la mano il vassoio che prontamente sua figlia le allungò e, esaminato il piatto di pasta, si decise ad assaggiarlo anche se l’odore che emanava non era dei migliori. Apprezzava comunque lo sforzo della figlia che pian piano stava migliorando anche ai fornelli; e se padelle alla mano Livia era ancora un piccolo disastro, come mamma si era rivelata migliore e più preparata di quanto avesse mai potuto immaginare. Lo stava dimostrando anche in quell’occasione, prendendosi cura di Camilla, come lei un tempo aveva fatto con Livietta.

La ragazza si sedette accanto alla madre, osservandola mentre cercava di ingoiare la prima forchettata di pasta.

-Troppo sale, vero?- chiese notando gli occhi di Camilla spalancarsi sempre più mentre il boccone scendeva.

-Un po’- ammise la donna. –Ma stai migliorando.

-Continua a ripeterlo anche George, ma credo sia solo per farmi piacere.

-Anche io all’inizio ero pessima. Di fatto cucinava tutto tua nonna e me lo portava di sopra prima che tuo padre arrivasse per cena. È andata avanti così per un paio d’anni. Poi mi sono decisa ad imparare.

-Quindi ho ancora un paio d’anni per mettermi in pari, in sostanza.

Camilla sorrise: le sembrava di aver finalmente ritrovato sua figlia. Non che con Livia non andasse d’accordo prima di Londra, George e della gravidanza, ma avere a che fare con la Livia adolescente era stato davvero più complicato del previsto, e le chiacchierate mamma e figlia cuore a cuore, come erano solite fare molti anni prima, erano solo uno sbiadito ricordo. Ora sembrava tornata la Livia di un tempo, anche se con qualche anno in più e con problemi più seri del modello di bambola da comprare per Natale: non era solo sua figlia, era anche un’amica, una confidente, qualcuno su cui poter contare nei momenti più difficili…come quello che stava passando.

Il ricordo di quanto accaduto poche ore prima in commissariato, accantonato per un istante grazie alla presenza di Livia, tornò prepotente come un’ondata di mare grosso: lo stomaco le si chiuse nuovamente, il nodo in gola sembrava non volerla far respirare e le lacrime minacciavano di esplodere. Livia se ne rese conto e sfilò dalle mani della madre il piatto prima che fosse troppo tardi.

-Mamma- sussurrò sdraiandosi accanto a lei e appoggiando la testa sulla sua spalla. Percepì i tremori del corpo di sua madre che aveva cominciato a singhiozzare in silenzio, tentando di non farsi scorgere da lei, ma era impossibile. –Perché non mi racconti quanto successo oggi con Gaetano?

Livietta non dovette nemmeno alzare la testa per immaginare l’espressione stupita sul volto della madre.

-E tu come…

-…lo so? Ha chiamato oggi pomeriggio la tua collega di inglese.

-Ah.

-Quindi?

-Non c’è molto da dire.

-Io invece credo di sì.

-Livietta…

-Mamma…- la rimbeccò la figlia.

Camilla si rese conto che sarebbe stato inutile cercare di convincerla che non avrebbe parlato, così alla fine seppur a malincuore vuotò il sacco.

***

-Volete che vi porti dell’altro ghiaccio per la guancia, dotto’?

La premura di Torre era l’unica cosa che il vicequestore Berardi avrebbe salvato di quella giornata infernale. La discussione con Camilla lo aveva stremato, ma d’altra parte era quasi felice di essere riuscito finalmente a tirare fuori tutto quello che sentiva e pensava ormai da settimane. Forse questo era ciò che gli serviva per mettere un punto a quella storia che si portava dietro da dieci interminabili anni; forse era pronto per andare avanti davvero e lasciarsi Camilla alle spalle.

Forse.

In realtà, si sentiva uno schifo. Non era mai stato tanto diretto con una donna in vita sua, tantomeno con Camilla. Nemmeno nei suoi peggiori momenti con Eva, durante i loro furiosi litigi degli ultimi mesi prima della separazione, era stato in grado di essere così brutalmente sincero. E mentre si massaggiava la guancia con il sacchetto di ghiaccio che Torre gli aveva prontamente portato, non poteva fare a meno di chiedersi se avesse esagerato. Sperava e temeva allo stesso tempo e con la medesima intensità di aver allontanato definitivamente Camilla dalla sua vita.

-Dotto’?

-Cosa, Torre?

-No, chiedevo…volete che vi porti dell’altro ghiaccio?

-No, grazie, Torre. Va bene così.

Il sottoposto fece una sorta di piccolo inchino e fece per allontanarsi dalla stanza, ma Gaetano lo bloccò.

-Torre, potresti farmi un favore?

-Tutto quello che volete, dotto’!

Gaetano frugò nel cassetto della scrivania fino a trovare ciò che cercava: un mazzo di chiavi che lanciò a Torre attraverso la stanza. L’ispettore le afferrò con aria perplessa.

-Sono le chiavi del mio appartamento…il mio vecchio appartamento- si affrettò a precisare il vicequestore. Non aveva ancora avuto modo di comunicare al collega l’avvenuto cambio di domicilio, perciò l’espressione stupita e corrucciata di Torre non lo colse di sorpresa. –Prima che tu possa dire qualunque cosa, Torre, la risposta è sì…mi sono momentaneamente trasferito altrove. Sto al residence La Mole e avrei bisogno che tu passassi da casa e prendessi alcune delle mie cose: camice, cravatte, giacche…insomma dei cambi per i prossimi giorni.

Torre lo fissò esitante per alcuni istanti prima di annuire timidamente; Gaetano sapeva per esperienza che i tentennamenti del suo collega erano di solito segno di un disaccordo tra loro.

-Avanti, Torre, che c’è?- chiese l’uomo invitando Torre a sedersi davanti a lui, per poi mettersi in ascolto dell’amico appoggiandosi con i gomiti alla scrivania.

-Niente, dotto’. Però, non mi avevate detto del trasferimento.

-Che c’è, Torre? Fai l’offeso, adesso?- scherzò Gaetano, ben sapendo quanto l’amico fosse suscettibile sull’argomento. –Mi sono deciso solo ieri sera. Un’idea dell’ultimo minuto. Non prendertela, te lo avrei detto questa mattina, ma siamo stati presi in contropiede da questo nuovo caso. Te lo sto dicendo ora, però.

Il tono accomodante e sincero di Gaetano ebbe l’effetto sperato su Torre che accennò ad un sorriso all’angolo della bocca e fece spallucce.

-E’ solo che se me lo aveste chiesto, vi avrei dato le chiavi del mio vecchio appartamento, quello dove abitavo prima del matrimonio con la Lucianona. Non è molto grande, ma sempre meglio di un residence.

Fu il turno di Gaetano di sorridere: -Hai ragione. La verità è che non ho pensato granché su “come” trasferirmi o “dove”. Ho solo pensato che dovevo andarmene da lì il più in fretta possibile.

-Sempre per la prof.?

Gaetano non dovette nemmeno rispondere; si limitò a guardare fisso Torre che comprese lo stato d’animo del suo superiore senza che fossero necessarie altre parole.

-Per questo volete che torni io nel vostro appartamento. Avete paura di incontrarla di nuovo…e dopo oggi, anche io ne avrei- scherzò Torre rammentando lo schiaffo di qualche ora prima.

Il ricordo di quanto accaduto solo poche ore prima cancellò il già debole sorriso che era comparso sul viso del vicequestore; istintivamente, la sua mano andò a sfiorare la porzione di pelle che Camilla aveva colpito e il dolore che ne scaturì fu immenso, anche se Gaetano non avrebbe saputo dire se fosse più fisico o morale.

-Non vi preoccupate, dotto’! Ci penso io. Magari mi porto la Lucianona con me…sapete, in fatto di abbigliamento le donne c’hanno più occhio, vero, dotto’?

Gaetano annuì, ma quando vide che Torre non accennava ad alzarsi dalla sedia davanti a lui fu costretto a continuare: -C’è altro che mi devi dire?

-In effetti…posso parlare liberamente, dotto’?

-Cambierebbe qualcosa se dicessi di no?- chiese scherzosamente il commissario.

-Per carità, dotto’, se non volete, io…

Torre scattò in piedi come una molla, gli occhi bassi e l’espressione triste.

-Dai, Torre, lo sai che scherzo! Puoi dirmi tutto quello che vuoi!

L’ispettore sembrò doverci riflettere per qualche secondo ancora prima di dare voce ai suoi pensieri.

-Voi sapete che io vi stimo molto, però…

-Però…? Avanti, Torre, che mi devi dire?

-Però non è che state un poco esagerando con la prof.?

Per quanto Gaetano si aspettasse che l’argomento di conversazione con Torre sarebbe stato in un certo senso il suo rapporto con la professoressa Baudino, non avrebbe mai pensato che il suo amico più caro potesse in qualche modo non comprendere il suo punto di vista sull’intera faccenda. Aggrottò la fronte, più seccato che pensieroso, sentendosi improvvisamente solo a dover reggere il peso della fine di quello pseudo-rapporto durato dieci anni.

-No, dotto’, non fraintendetemi. Voi c’avete ragione: la professoressa si è comportata male con voi e fate bene a pretendere i vostri spazi…

-…però?- ribattè asciutto Gaetano.

-Però…- il tono sempre più intimidito di Torre fece ammorbidire l’espressione dura che era dipinta sul volto del commissario. –Però lei vi ama molto, dotto’. Dico davvero. Io l’ho vista stamattina a scuola e poco fa nel vostro ufficio e credetemi se vi dico che è innamorata di voi tanto quanto voi lo siete di lei.

Il vuoto nello stomaco nel sentire pronunciare quelle parole: quanto avrebbe voluto poter credere che Torre stesse dicendo la verità! Gli tornarono alla mente gli occhi scuri e lucidi di Camilla: sembrava sincera mentre gli stava chiedendo scusa, poco prima. Sembrava davvero aver capito di aver commesso un errore imperdonabile, ma credeva anche che lui avrebbe trovato il modo di superare anche questo nuovo dolore, questa nuova batosta. Invece cosa aveva fatto? L’aveva respinta. Duramente e senza possibilità di appello. Del resto, era già successo troppe volte: lei lo feriva a morte, chiedeva scusa a modo suo, e tutto tornava come sempre. Ma ogni volta che lui decideva di chiudere un occhio sui colpi che Camilla gli infliggeva, Gaetano sentiva di perdere una parte di sé, di lasciare indietro un pezzo del suo spirito. E gli era sempre andato bene, tutto sommato, perché la vicinanza di Camilla riempiva quei vuoti che lui contribuiva a creare con la sua debolezza. Ma ora? Forse aveva perso troppi pezzi di sé per strada e sembrava che nulla riuscisse più a tenere unito ciò che restava di lui, del suo cuore, della sua anima. Nemmeno quegli occhi scuri e caldi che tanto amava. Anche ora, nonostante tutto.

-Vedi, Torre, io posso anche credere a quello che mi dici…e Dio solo sa quanto vorrei crederti. Ma il problema non è questo- gli sembrava di rivivere la discussione avuta con Tommy l’ultima volta che era stato in quell’ufficio con lui. Anche allora gli era parso impossibile spiegare cosa lo stesse allontanando da Camilla, per quanto la amasse e la desiderasse più di ogni altra cosa al mondo. –Il punto è che lei non è in grado di dimostrarlo. Tutto quello che ha fatto nelle ultime settimane, forse anche mesi, mi ha semmai convinto che nella sua vita non c’è posto per me. Che sono e sarò sempre l’ultima ruota del carro, o peggio la ruota di scorta. L’uomo da cui andare se e quando non ha nulla di meglio o di più importante da fare. E, credimi, capisco che voglia mettere al primo posto Livia e la piccola, ma Renzo? Michele? Potty? Carmen e Lorenzo? Gli studenti? Tutti i casi di omicidio da qui a Timbuktu? Io questo non posso tollerarlo. Lei per me è tutto insieme a Tommy, ma io per lei…

Le parole gli morirono in gola, incapaci di trovare luce. Si era già mostrato debole una volta davanti a Torre e non avrebbe mai permesso che la cosa si ripetesse.

Anche Torre aveva gli occhi lucidi in quel momento e faticava ad articolare una frase che potesse dare un minimo di sollievo alle pene del suo più caro amico.

-Io vi capisco, dotto’, davvero. È solo che voi siete un uomo di altri tempi, come non ce ne sono più, mentre la prof...

-…è una donna moderna?

-No! Cioè, sì. Ma quello che sto cercando di dirvi è che non siamo tutti coraggiosi come voi, dotto’!- disse infine Torre con un filo di voce e distogliendo lo sguardo dal commissario.

A Gaetano non sfuggì quello strano plurale, che sembrava voler accumunare Torre e Camilla in un modo che ancora non gli era riuscito di comprendere.

-Coraggioso? Semmai vorrai dire ingenuo!

-No, voi non siete ingenuo. Vi siete innamorato di una donna e avete sempre lottato per lei, per dieci anni, senza mai arrendervi anche quando sembrava che non sarebbe mai stato possibile nulla tra di voi. Ma non tutti hanno la fortuna che avete voi, dotto’! Ci sono persone, come….me e anche come la prof., che quando incontrano persone come voi si sentono….piccole e inadeguate, ecco.

-Ma che stai dicendo, Torre? Io ti faccio sentire piccolo e inadeguato?

Torre spalancò gli occhi terrorizzato per il tono stupito e anche ferito del suo superiore: -No! Che avete capito! Intendevo dire che voi sapete sempre quello che volete: siete deciso e non avete mai paura di niente. Invece guardate me…per decidermi con il matrimonio ho dovuto perdere prima la Lucianona. Perché ho avuto paura. Non credete che magari anche la prof. possa avere avuto paura?

-Di me?

Torre alzò le spalle senza però riuscire a guardare in faccia il suo superiore.

-Dici che l’ho spaventata con i discorsi sul matrimonio?- continuò Gaetano, in preda ad un nuovo stato di agitazione: fino a pochi istanti prima aveva solo desiderato che Camilla uscisse per sempre dalla sua vita; ora quasi si ritrovava a sperare che il discorso di Torre avesse un senso, che in qualche modo ci fosse ancora una possibilità di rimettere insieme i pezzi della sua vita, che in sostanza non avesse buttato via gli ultimi dieci anni della sua esistenza per niente. La sua mente ed il suo cuore erano in tumulto: voleva, anzi doveva restare lucido, ma il pensiero che non tutto poteva essere perduto faceva battere il suo cuore così velocemente che quasi non riusciva a respirare.

-Dico che voi siete in questa relazione da dieci anni. La prof. da dieci minuti.

-Ma Renzo…Michele…mi ha sempre allontanato- balbettò Gaetano. La sua ragione continuava ad elencargli tutte i motivi per cui era una pessima idea fare tanto affidamento sulle parole di Torre, ma il suo cuore…per lui era tutta un’altra storia. Gaetano chiuse gli occhi e cercò di controllare quell’organo impazzito dentro di lui: non poteva permettersi di illudersi di nuovo, non dopo quello che aveva già passato. –E’ vero, forse ho corso troppo, Torre, ma ciò non toglie che io abbia comunque bisogno di qualche certezza da parte sua per poter continuare su questa strada. Non pretendo le nozze domani, ma vorrei che chiunque mi incontrasse per strada sapesse senza ombra di dubbio che IO sono il compagno di Camilla Baudino. Invece, agli occhi della gente io sono solo uno dei tanti…se mi va bene l’amante. E io non voglio essere questo.

Torre annuì, ben capendo che l’argomento doveva ritenersi chiuso: era convinto che quei due si appartenessero, che prima o poi avrebbero ritrovato la strada per riunirsi, ma non stava certo a lui forzare la mano. Aveva detto quello che voleva e doveva, ma il resto dovevano farlo da soli. Si alzò a prese congedo dal suo superiore, stringendo tra le mani quelle chiavi che gli pesavano come un macigno. Avrebbe di certo incontrato la prof. sul quel pianerottolo mentre portava via le cose del commissario dall’appartamento: che le avrebbe detto allora? Avrebbe continuato ad indossare la maschera del duro che difende a spada tratta il suo capo (oltre che amico) o avrebbe provato a convincere anche lei dell’errore che stavano commettendo continuando a negare quello che c’era tra di loro?

Torre non dovette mai scoprirlo. Gaetano lo bloccò prima che potesse uscire dall’ufficio.

-Torre?

-Comandi, dotto’.

-Dammi quelle chiavi. Ci vado io a casa mia- disse con un sorriso.

Forse dopotutto non aveva parlato al vento.

 

Angolo dell’autrice:

dunque, che dire? Il mitico Torre non delude mai. Forse ha appena risolto il caso più importante della sua carriera? Chissà…anche se i due sono piuttosto testoni. Intanto ha almeno ottenuto che sia Gaetano a tornare nell’appartamento e chissà che lì non sia costretto ad incontrare di nuovo la sua prof.

A presto.

L.

 

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Capitolo 5
*** Le parole che non ti ho detto ***


LE PAROLE CHE NON TI HO DETTO

-Aspetta, fammi capire…gli hai dato uno schiaffo?

L’espressione di Livia strappò un sorriso a Camilla che, riflessa negli occhi della figlia, riuscì a vedere con un pizzico di leggerezza in più la sua attuale situazione: non che ora potesse definirsi serena o quantomeno lucida, ma almeno non provava più l’impellente desiderio di andare a buttarsi sotto un treno in stazione. Considerate le ultime ore, questo per lei era già un enorme traguardo.

-Un piccolo schiaffo- precisò Camilla dovendo suo malgrado sorridere a quel ricordo imbarazzante.

Livia alzò un sopracciglio scettica, ricordando benissimo uno schiaffo dato anni prima da sua madre al padre in occasione della prima separazione, che non poteva certo definirsi “piccolo”; anzi, a ripensarci ora, in qualche modo quel gesto le aveva fatto rivalutare la madre, non tanto perché capace di un sano (e del tutto giustificabile) atto di violenza quanto per la forza che aveva saputo esprimere.

Forse proprio perché sapeva di quanta forza era capace sua madre, ora era ancora più spiazzata nel vederla così spaurita e vulnerabile. E quello che la faceva sentire ancora peggio era la consapevolezza di non poter fare nulla per lei; a dire il vero, non era nemmeno certa di quello che avrebbe dovuto fare: aiutare la madre a lasciarsi alle spalle Gaetano o a riprenderselo? Non era neppure tanto sicura che sua madre stessa sapesse cosa volesse fare in proposito. Anzi, a dirla tutta non le era chiaro nemmeno cosa sua madre provasse per Gaetano.

Oddio, era assolutamente evidente che lei lo amasse, ma d’altro canto lo aveva anche mollato come un idiota solo qualche settimana prima, quando tutto sembrava andare bene. E alla scomparsa di Gaetano si era associata una sempre maggiore presenza di quel Michele: chiamate, messaggi, visite a sorpresa. Camilla sembrava gradirle, o forse tollerarle. Le era persino capitato di trovare sua madre seduta sul divano intenta a frugare in una scatola che non aveva mai visto prima; così, incuriosita, una mattina in cui sua madre era a scuola per gli scrutini di fine anno scolastico, Livia aveva preso quella scatola (contro il parere del marito, grande fan della privacy di chiunque) e aveva dato un’occhiata. In sostanza era un viaggio nel tempo nella vita di sua madre, dall’adolescenza ad oggi: aveva trovato foto sue e di quello che intuiva essere Michele (senza barba e capellone), passando per le immagini di una Livia ancora in fasce, fino ad arrivare alla piccola Camilla Junior. C’era tutta la vita di Camilla Baudino in quella scatola, tranne un pezzo, quello che Livia credeva essere forse il più importante degli ultimi dieci anni. Mancava Gaetano. Se non fosse stato per un disegno di Tommy, una grande stella da sceriffo che racchiudeva due figure piuttosto stilizzate che potevano benissimo essere Camilla e Gaetano, dell’uomo non c’era la minima traccia.

Questa cosa proprio non le tornava. Come era possibile che l’uomo che l’aveva più volte portata al punto di dover scegliere tra lui e la sua famiglia (e non senza un immenso sacrificio) non avesse trovato un posto in quella scatola?

-Posso chiederti una cosa?- domandò Livia dando voce ai suoi pensieri prima ancora di rendersene conto. -Non sei obbligata a rispondermi se non vuoi…

Camilla si fece di nuovo seria, gli occhi azzurri di Livia puntati nei suoi, così fermi, così preoccupati.

-Ok- si limitò a dire, con la consapevolezza che la domanda di sua figlia non avrebbe richiesto una risposta semplice.

-Tu ami Gaetano?

A Camilla mancò il respiro. Tra tutte le domande possibili, proprio quella. Quella. La sola domanda a cui tentava invano di darsi una risposta da mesi, anzi forse da anni, da quando aveva incontrato Gaetano su quel ballatoio davanti alla casa di Nicola Esposito. Perché era così difficile identificare quello che provava per Gaetano? Non erano amici, non lo erano mai stati…ma nemmeno era riuscita ad ammettere con lui che erano una coppia. Perché aveva reagito così? Perché lo aveva respinto?

Eppure, in quel momento per la prima volta da quando ne aveva memoria, Camilla sentì di avere un coraggio che le era sempre mancato; sentì che dare una risposta a quella domanda non solo le risultava estremamente facile e naturale, ma addirittura le sembrava di non poter più contenere quello che provava.

-Sì- disse semplicemente, mentre sentiva che delle calde lacrime cominciavano a rigarle il volto. –Sì, io lo amo. Moltissimo.

-Mamma, scusami, io…

-No- la interruppe Camilla. –Non devi scusarti. Non sto piangendo…voglio dire, sto piangendo, ma è un pianto liberatorio.

Livia aggrottò la fronte perplessa davanti alla bizzarra reazione di sua madre. Sembrava contenta di riuscire a piangere. Il che era parecchio strano, in effetti, dato che Camilla aveva pianto praticamente in modo costante negli ultimi due giorni…avrebbe ormai dovuto avere i condotti lacrimali prosciugati! Invece, ora era in lacrime, scossa dai singhiozzi…ma sorridente, come non lo era da settimane.

-Mamma, sei sicura di stare bene?

-Sì. Sì. Sto benissimo. Io sto benissimo- ripeteva come un disco rotto. Ed era la verità: stava davvero bene. Riuscire ad ammettere ad alta voce i suoi sentimenti, dare un nome a ciò che provava, era immensamente appagante. Sentiva il suo cuore battere più forte che mai, una corsa forsennata ora che lo aveva liberato di quelle catene che lo avevano reso insensibile ai gesti, alle parole dell’uomo che amava da dieci anni.

Il problema è che lui, l’uomo che amava, ancora non lo sapeva. E forse non lo avrebbe mai saputo, visto che con ogni probabilità non voleva più avere a che fare con lei. Glielo aveva detto molto chiaramente proprio quella mattina. Il cuore continuava a corre, ma ora lo sentiva mancare qualche battito: ora che aveva la certezza dei suoi sentimenti, che aveva trovato il coraggio per guardare Gaetano negli occhi e dargli finalmente la gioia più grande, era forse troppo tardi.

-Devo parlare con lui- disse con voce ferma, decisa come non era da anni. –Devo dirglielo prima che lui…devo dirglielo.

Livia la fissò confusa.

-Aspetta, vuoi dirmi che in tutto questo tempo tu non gli hai mai confessato di amarlo? Sei andata a letto con lui senza dirgli che lo amavi?- Livia si rese conto del tono leggermente accusatorio con cui aveva appena formulato le ultime domande quando vide Camilla abbassare gli occhi, vergognandosi per quella sua mancanza.

-Io…no. Non ancora. Volevo essere sicura di quello che provavo. Non volevo commettere errori, illuderlo.

-E non pensi che questo tuo silenzio dopo dieci anni di attesa da parte sua possa aver contribuito a far aumentare la sua insicurezza e gelosia al punto da farlo allontanare?

Perché sua figlia continuava a mettere nero su bianco le sue debolezze e i suoi sbagli con quella lucidità disarmante? Visto attraverso gli occhi di Livia il suo comportamento le risultava con tutta evidenza non solo (e non tanto) sbagliato, quanto piuttosto devastante per Gaetano e per il rapporto così nuovo e fragile.

Camilla sospirò mentre si alzava finalmente da quel letto che l’aveva accolta ormai molte ore prima.

-Credo tu abbia ragione, ma purtroppo la paura è stata più forte di tutto, persino dell’amore che provo per Gaetano. Non è giusto, non è razionale, e probabilmente questo fa di me una donna orribile e capirei se…se Gaetano non volesse più starmi ad ascoltare. Ma il fatto è che non riuscivo a dirglielo: ogni volta che lo lasciavo la sera per tornare qui da voi, una parte di me sentiva di dover dire qualcosa, di dover fare qualcosa…ma non riuscivo ad afferrare cosa. Era come se tutte le volte io stessi leggendo un libro di Agatha Christie fermandomi prima di scoprire chi è l’assassino: sentivo che c’era ancora una parte, che non avevo finito, ma per quanto volessi continuare qualcosa mi bloccava.

-La delusione con papà?

Camilla sembrò rifletterci per un momento: in effetti, aveva sempre usato il tradimento di Renzo come schermo, come scusa per rimandare e prendere tempo, ma non era affatto certa che le cose stessero davvero in questo modo. O meglio, una parte di lei era davvero ancora scottata per quello che aveva dovuto passare (di nuovo), ma c’era qualcosa di più.

-Non solo, sai? Credo di aver avuto paura di Gaetano, in un certo senso. In tutti questi anni lui non si è mai arreso e probabilmente si è sempre costruito un’immagine di me che…beh, non mi rispecchia totalmente. Ho sempre pensato che un giorno si sarebbe svegliato e avrebbe trovato “solo” me ad attenderlo. Una “me” molto normale, non la perfezione che lui immaginava.

-Io non credo che Gaetano ti abbia mai considerata “perfetta”.

“Perché tu non conosci il significato del fiore dell’ananas” pensò Camilla non potendo evitare di sentire una morsa afferrarle lo stomaco al ricordo di quei momenti meravigliosi che avevano preceduto la loro prima notte insieme.

-Forse no, ma devi ammettere anche tu che paragonata alle sue ex, io non faccio esattamente una grande figura.

Livia roteò gli occhi in un modo che a Camilla ricordò (in modo preoccupante a dire il vero) sua madre, Andreina.

-Davvero, mamma? A parte il fatto che devi essere proprio cieca per non accorgerti di come Gaetano ti guarda e di come non abbia mai guardato così nessuna delle sue ex, come le chiami tu…e poi, quale ragazza si sente all’altezza del proprio compagno? Anche io penso che George avrebbe potuto avere di meglio rispetto a me, ma credo che sia un pensiero comune, no?  Per noi loro sono sempre il meglio su piazza: è chiaro che ci sentiamo inadeguate e che abbiamo paura che qualcuno ce lo possa portare via.

-Posso sapere quando sei diventata così saggia?- scherzò Camilla, ma sapeva che Livia aveva ragione da vendere su tutta la linea. Tutte le paure che aveva coltivato su Gaetano e sulla loro relazione ora le apparivano in tutta la loro inconsistenza. La verità era molto semplice: era terrorizzata dall’enormità del sentimento che la legava a lui. Non aveva mai provato niente di così intenso, né per Renzo, né per Michele; sentiva di dipendere da lui più di quanto fosse possibile, o forse accettabile.

Livia si affiancò alla madre in evidente difficoltà e la abbracciò.

-Adesso, ti vai a fare un bel bagno caldo e rilassante mentre io ti preparo la cena. Tranquilla, ordino qualcosa in rosticceria visto che la mia pasta è un disastro!- aggiunse Livia davanti all’occhiataccia terrorizzata di Camilla. –Poi una bella camomilla e a letto…per dormire questa volta, non per compiangersi.

Camilla si ritrovò suo malgrado a sospirare: era destino che tutto la riportasse a lui, anche le cose più semplici e quotidiane. –Vada per il bagno e la rosticceria, tesoro, ma niente camomilla, grazie. 

***

La suoneria del cellulare lo costrinse ad aprire gli occhi. Guardò lo schermo e vide l’immagine di Torre che lampeggiava ritmicamente accompagnata da quel trillo fastidioso. Ricordava con esattezza il momento in cui aveva deciso di assegnare al collega quella particolare melodia, tutt’altro che piacevole: era stata un’idea di Camilla, che una sera, sdraiata sul divano tra le sue braccia, gli aveva suggerito di identificare le chiamate del suo sottoposto con la colonna sonora di “profondo rosso”.

“Del resto, quando Torre chiama non può che essere successo qualcosa di terribile” aveva affermato Camilla divertita. Da allora ogni volta che Torre lo contattava, il primo pensiero nel sentire le note dei Goblin era per Camilla.

Anche in quel momento. Nonostante tutto.

Si beò di ascoltare quella melodia e di indugiare nei ricordi ancora per qualche istante prima di rispondere.

-Torre, che c’è? Capisco. Arrivo subito.

La sua giornata si prospettava tutt’altro che facile.

Si alzò dal suo giaciglio e solo in quel momento realizzò che aveva dormito in camera di Tommy. Nel suo appartamento.

Riorganizzò le idee ed i ricordi della sera precedente: dopo la chiacchierata con Torre aveva deciso di tornare a casa sua, affrontando il rischio di incontrare Camilla. Non era successo, e una parte di lui ne fu estremamente delusa, ma d’altro canto forse dopo tutto quello che si erano detti nel suo ufficio c’era bisogno di tempo per entrambi, per meditare e lasciare che le parole facessero il loro effetto.

Aveva aperto la porta del suo appartamento con un nodo in gola, che crebbe non appena mise piede all’interno di quelle mura: tutti i ricordi, i momenti con Camilla, riaffiorarono prepotenti nella sua mente, tanto da non riuscire nemmeno ad arrivare in camera propria. A malapena aveva sopportato la vista del divano, figuriamoci rivedere il letto che li aveva accolti tante volte nei momenti che Gaetano riteneva i più belli della sua vita. Alla fine aveva optato per la stanza di Tommy, dove Camilla non aveva mai dormito. Inaspettatamente il sonno non aveva tardato ad arrivare, come sempre però popolato da incubi in cui Michele e Renzo a turno si portavano via la sua donna mentre a lui non restava che rimanere lì impalato senza poter fare nulla per impedirlo.

Si diresse verso il bagno per sciacquarsi la faccia, come se quel gesto potesse cancellare o almeno allontanare i segni peggiori che quegli incubi lasciavano sul suo volto. In realtà, non appena si fissò nello specchio vide solo profonde occhiaie e un’espressione così dura che stentava a riconoscersi. Sospirò maledicendo se stesso per la sua debolezza e anche per aver dato retta a Torre: doveva fare a modo suo e non mettere più piede in quella dannata casa!

In fretta e furia si preparò per uscire, come se le pareti di quell’appartamento si stringessero attorno a lui ad ogni secondo che passava lì dentro. Pochi minuti dopo, senza essersi fatto né barba né caffè, varcò di nuovo le porte di casa, prendendo di corsa la via delle scale.

Sembrava di nuovo stesse scappando, come la notte precedente. Ed esattamente come in quell’occasione, una volta arrivato al cortile, il destino ci mise del suo.

-Ehi!

La voce di lei, già per lui inconfondibile, venne accompagnata dal guaito di un cane.

Gli sembrò di vivere al rallentatore, proprio come gli era capitato qualche anno prima, il pomeriggio in cui l’aveva incrociata per la prima volta a Torino fuori dal commissariato per il caso Lalami.

Come allora si voltò lentamente, tenendo gli occhi bassi con la speranza o forse il terrore di incrociare quelli di lei color cioccolato.

-Ehi- riuscì a dire in risposta, la voce tremante.

-Sei…sei tornato allora?- chiese Camilla, persino più titubante di lui, mentre gli si avvicinava poiché Potty, non appena aveva visto Gaetano, gli era corso incontro scodinzolando.

-Non lo so, ancora.

-Capisco.

Tra i due calò un silenzio irreale, per loro assolutamente nuovo, perché mai nei dieci anni trascorsi si erano trovati in una situazione simile. Del resto, come poteva essere diversamente? Quello che era successo tra loro aveva cambiato tutto per sempre e non era possibile tornare ad essere solo amici, vicini, dirimpettai. Non c’era un modo per tornare a prima di quella notte, riavvolgere il nastro e ripartire come se nulla fosse. Gaetano lo aveva sempre saputo, mentre Camilla si rendeva conto della reale portata delle sue azioni solo in quel momento. Non aveva solo perso l’amore della sua vita, ma anche il suo migliore amico e non avrebbe potuto fare nulla per rimediare al danno che lei stessa aveva causato, se non sperando che lui la perdonasse e la riprendesse con sé.

-Mi dispiace per ieri- dissero all’unisono come nella più classica delle commedie romantiche.

Gaetano sorrise e gli sembrò di farlo per la prima volta da secoli: i muscoli protestavano mentre si distendevano in quella che per lui era sempre stata un’espressione naturale quando aveva al suo fianco Camilla, ma il suo cervello registrò quella sensazione piacevole come del tutto logica e assurdamente familiare.

Dal canto suo, Camilla, ammirando quel sorriso così sincero e allo stesso tempo timoroso, si sentì a casa: come aveva anche solo potuto pensare di restare lontano da lui per più di due minuti?

Con un cenno della mano Gaetano invitò Camilla a parlare per prima.

-Ok…beh, stavo dicendo…mi dispiace per ieri, per lo schiaffo, intendo. Non volevo…

-Non volevi darmelo e basta o non volevi darmelo così forte?- chiese l’uomo con sincera ironia.

-Era davvero così forte?

-Non è bastato tutto il ghiaccio del commissariato per evitare il gonfiore- rispose indicando la leggera protuberanza all’altezza dello zigomo sinistro.

Camilla istintivamente sfiorò con la punta delle dita il punto che Gaetano aveva indicato; entrambi furono attraversati da una scossa con cui avevano da anni imparato a convivere, rimanendo incatenati uno all’altra con lo sguardo. Attimi interminabili, cui Gaetano dovette porre fine prima di rischiare di avventarsi sulle labbra della donna e perdere il controllo.

-Non è stata solo colpa tua. Voglio dire, anche io non sono stato granché gentile. Ho detto delle cose che…beh…ero…ero…

-Arrabbiato. Lo capisco, Gaetano. Davvero. E a questo proposito- Camilla inspirò profondamente alla ricerca del coraggio per continuare per quella strada. –io avrei delle cose da dirti. Insomma, vorrei parlarti. Ho bisogno di parlarti di quello che ci è successo. Di noi.

Quel plurale riaccese speranze che Gaetano credeva ormai morte. Quel “noi” rimbombava nella sua mente scandendo i suoi pensieri ed impedendogli di accorgersi che Camilla in piedi davanti a lui attendeva una risposta, come un condannato davanti al boia.

-Gaetano?- gli occhi preoccupati di Camilla erano puntati dritti nei suoi e lo imploravano di non respingerla di nuovo.

-Scusami…sì, io…sì, va bene. Vuoi parlarne qui? Adesso?

-No. Io pensavo a cena- continuò la donna cui la risposta di Gaetano aveva ridato un po’ di coraggio. Forse tra loro non era ancora tutto perduto. Lui era arrabbiato, aveva urlato, l’aveva allontanata e si era allontanato, ma forse erano solo tutte fasi necessarie ad entrambi per elaborare quanto significassero l’uno per l’altra.

-Però niente giapponese questa volta, professoressa- ribatté pronto il commissario stupendosi nel sentirsi pronunciare quel “professoressa” con la naturalezza e la dolcezza che da sempre lui ricollegava a quell’appellativo. Era inevitabile: per quanto lui potesse pensare di allontanarsi da Camilla, quello che lo legava a lei era resistente a tutto. Non poteva sciogliersi da lei. Ma forse non era più costretto nemmeno a provarci…

Camilla sorrise e a fatica dovette trattenersi dal lasciare che alcune lacrime di gioia scappassero al suo controllo.

-Niente giapponese, d’accordo. Anche se la serata non era poi finita così male- non le sembrava vero di poter usare ancora quel tono malizioso con Gaetano. Se era un sogno, pregava di non svegliarsi mai. –Allora…ti andrebbe stasera?

Camilla attese una risposta che tardava ad arrivare e mentre aspettava vide l’espressione sul volto di Gaetano mutare radicalmente: il sorriso caldo e gentile era stato sostituito da quell’espressione dura che aveva tristemente imparato a conoscere negli ultimi giorni.

-Gaetano?

Ma la ragione di quel mutamento le fu fin troppo chiara pochi istanti dopo. Le bastò una voce che proveniva alle sue spalle per capire.

-Camilla!- si sentì chiamare.

Si voltò, gli occhi chiusi sperando che fosse solo un’allucinazione. Quando li riaprì l’allucinazione era ormai a pochi passi da lei. Michele.

 

Angolo dell’autrice:

non odiatemi, dai…ci vuole un bel “finale aperto”. Come dite? Non vi piacciono i finali aperti? (come sono perfida, lo so).

Scherzi a parte, mi ha divertito molto scrivere questo capitolo a dire il vero: tra Livietta che cerca di capirci qualcosa della psiche contorta di sua madre (che manco Freud riuscirebbe a venirne a capo) e il primo incontro in campo neutro dei due (disturbato dall’arrivo di ‘sto barbone ciabattaro), ho riso un bel po’.

Ovviamente Camilla ha un bel po’ di cose da chiarire e non solo con Gaetano….ha praticamente dato speranze a tutti! Ora deve rimettere tutto a posto se vuole riprendersi Gaetanuccio mio.

Ho già per la testa un bel po’ di idee e tanto ho come l’impressione che di tempo per metterle per iscritto la rai me ne darà un bel po’….perciò, preparatevi!

A presto!

L.

 

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Capitolo 6
*** Goodbye my lover, goodbye my friend ***


GOODBYE MY LOVER, GOODBYE MY FRIEND.

-Camilla!

La voce di Michele Carpi gelò il cuore di Gaetano. Quel piccolo passo avanti che aveva fatto con Camilla era appena stato spazzato via dalla visione dell’uomo, la cui comparsa qualche settimana prima aveva sconvolto la sua esistenza. Scrutò Camilla, ma la sua mente annebbiata non riuscì a percepire alcunché sul volto della donna, che continuava semplicemente ad alternare il suo sguardo da Michele a Gaetano. Cercò di rimanere impassibile, i muscoli tesi ma sotto controllo per trattenersi dall’afferrare quel tipo per la maglia (fin troppo da hippie per un uomo di cinquant’anni suonati) e sbatterlo contro la prima parete disponibile ed ammazzarlo di botte. In momenti come quello Gaetano malediceva la sua integrità e rettitudine che gli impedivano di dare libero sfogo ai suoi sentimenti più bassi. Dio, non era mai stato geloso di una donna in tutta la sua vita, nemmeno di Roberta e di sua moglie! Perché doveva esserlo dell’unica donna che non voleva proprio avere nulla a che fare con lui?

-Commissario Berardi. Che piacere rivederla in circostanze meno formali- disse Michele una volta che si fu avvicinato a Camilla quanto bastava per passarle un braccio intorno alle spalle. Braccio che, Gaetano non poté fare a meno di notare, Camilla non accennava a voler spostare.

-Il seguace di Latouche- commentò laconico il commissario, guardandosi bene dallo stringere la mano libera che Michele gli stava porgendo.

-Vedo che ha buona memoria, commissario.

Gaetano, accecato dalla rabbia e dalla gelosia, era incapace di decidere se il tono usato da Michele era di una gentilezza genuina o se lo stava solo prendendo per i fondelli con una maestria mai vista prima.

-Che ci fai da queste parti, Michele?- si intromise Camilla, prima che la situazione tra i due potesse prendere la piega sbagliata, e sciogliendosi dal contatto con Michele. Per tutto il tempo non aveva smesso di fissare Gaetano e non le era passata inosservata l’espressione infastidita dell’uomo quando Michele si era stretto a lei.

-Ho pensato che potevamo cominciare stamattina la ricerca del mio nuovo appartamento.

-Nuovo appartamento? Niente più roulotte, libertà, decrescita felice? Attenzione, sig. Carpi, o potrebbe diventare un uomo come tutti noi- disse Gaetano senza nemmeno tentare di celare il sarcasmo che trasudava da ogni singola parola.

-Già, è vero. Ma sa com’è, commissario. A volte nella vita le cose cambiano- rispose Michele lanciando uno sguardo a Camilla, per cui Gaetano avrebbe anche potuto estrarre la pistola e sparagli un colpo in mezzo alla fronte. Anzi, no. A pensarci meglio, sarebbe stato meglio se avesse sparato a se stesso, pur di non dover assistere a quella scena. -Camilla mi ha aiutato a trovare un nuovo lavoro. Non sono un manager di successo, ma…è un per sempre un inizio.

Gaetano si sforzò di incrociare gli occhi di Camilla: -Camilla si farebbe in quattro per chiunque. O quasi- aggiunse poi con tono più acido che sarcastico e dall’espressione afflitta della donna comprese che aveva recepito il messaggio sottointeso. A quanto pare in quelle settimane lei c’era stata per tutti tranne che per lui.

-Gaetano- tentò invano di dire Camilla, ma l’uomo fu più veloce di lei.

-Beh, visto che voi siete occupati, io andrei in commissariato. Molti omicidi da risolvere- poi, quando fu abbastanza vicino a Camilla, le si avvicinò all’orecchio in modo che solo lei potesse sentire: -Non vorrei commetterne io un altro paio…

Salutò con tutta la cordialità di cui era capace il seguace di Latouche e si incamminò rapido verso la macchina, posteggiata lungo la strada oltre il cancello del condominio, ma prima di andarsene sentì il bisogno di lanciare un’ultima frecciatina a Camilla. Si era trasformato in un uomo perfido e vendicativo, cosa che non era mai stato, ma lei lo aveva portato su quella strada e ora lei era la prima a doverne pagare le conseguenze. Si voltò, sorrise (nella maniera più finta che gli fosse mai capitata) e aggiunse: -Ah, sig. Carpi. La sua ricerca di un appartamento potrebbe essere più rapida del previsto. Se ne sta giusto liberando uno in questo palazzo. Proprio davanti a quello di Camilla.

E lo sguardo perso di Camilla a quelle parole gli fece assaporare il gusto di una amara vittoria.

***

-Gaetano! Gaetano, aspetta! Aspettami, ti prego!

Camilla ci aveva messo un paio di istanti prima di decidersi a rincorrerlo, giusto il tempo di metabolizzare le ultime parole del commissario.

-Gaetano, aspetta! Non è come pensi!

Gaetano non poté fare a meno di fermarsi a quelle parole e di voltarsi con un ghigno infastidito verso la donna che avanzava ormai senza fiato.

-Ma davvero? Non ti viene in mente niente di più originale da dirmi, Camilla?

-Io non…Michele ed io non…

-“Non” cosa? Non state insieme? Non uscite insieme? Non avevate un appuntamento? Non vi siete mai sentiti in queste settimane? Non volevate essere scoperti?- la rabbia di Gaetano era ormai incontenibile e nemmeno si sforzava più di celarla, né a Camilla né ai passanti che stavano assistendo alla scena.

-No! Niente di tutto questo!- disse Camilla in affanno. -Senti, possiamo parlarne con calma a cena stasera, eh?

-A cena? Stasera?- Gaetano non riuscì a trattenere una risata sarcastica. -Mi prendi in giro? No, niente più cene o chiacchierate. Quello che mi dovevi dire, l’hai già detto poco fa, lasciando che Michele ti abbracciasse davanti a me e che mi raccontasse di quanto tu abbia fatto per lui in questi giorni. So tutto quello che mi serve!

-Tu non sai niente, invece!- protestò la donna, indecisa tra il sentirsi arrabbiata per come Gaetano la stava trattando e la paura di aver peggiorato ancora di più il loro già precario rapporto. -Michele per me è solo un amico.

-Un amico, eh? Adesso sì che sono più tranquillo. Del resto sono stato anche io un amico per dieci anni, quindi so benissimo cosa intendi tu per “amico”.

Camilla si maledisse di nuovo per aver scelto la parola peggiore dal vocabolario: per essere una professoressa di lettere in quanto a capacità comunicativa era davvero pessima!

-Non intendevo…ti prego, lasciami spiegare.

Gli occhi di Gaetano si incupirono ancora di più: nonostante la giornata soleggiata e calda di inizio estate, sul volto dell’uomo era calato il gelo più totale.

-Sono stanco di spiegazioni, di scuse, di cercare di capirti. A me sembra tutto piuttosto evidente, Camilla. Hai detto di aver bisogno di tempo per te, per sentirti libera e indipendente, ma in realtà volevi solo allontanare me. Renzo ti gira intorno da mattina a sera per via di Livia e della nipotina, e questo lo posso anche capire. Ma Michele Carpi? Per lui hai trovato il tempo per una chiamata, per un messaggio, per un incontro. Per me no. Per me tu sei letteralmente sparita. Potevo essere morto o essere stato trasferito dall’altra parte del mondo e tu non lo avresti mai saputo perché non ti sei mai degnata di farti sentire, nemmeno una volta. Io mi sono fatto da parte, perché era quello che avevi chiesto, ma non avevo capito che era solo da me che volevi essere lasciata in pace. Non certo da Michele a quanto vedo. Per me la questione è molto chiara. Pensavo tu ti fossi rifiutata di scegliere di nuovo, come hai sempre fatto in questi anni. Invece una scelta l’hai fatta eccome: hai scelto di non scegliere me, ma un altro.

Camilla scosse il capo, la battaglia contro le lacrime ormai persa da un pezzo.

-Ti sbagli, non è così! Ho commesso un errore in quell’ospedale, adesso me ne rendo conto, ma non ti ho allontanato per stare con un altro. Credevo davvero di fare la scelta migliore per tutti.

-Per tutti? Per te! Tu non eri pronta a lasciare andare Renzo e nemmeno Michele che non vedevi da trent’anni; non eri pronta ad impegnarti in qualcosa di serio e chi ne ha fatto le spese alla fine sono io. L’unico che davvero ha perso tutto quello che aveva in quel maledettissimo ospedale quel giorno sono io! - urlò Gaetano, con tanta forza che gli sembrò che tutta l’aria fosse uscita dai suoi polmoni in un colpo solo. Con gli occhi sgranati fissava Camilla, incapace di frenare tutto il dolore che chiedeva di trovare una valvola di sfogo. -Tu hai ancora la tua bella famiglia da cui tornare la sera, hai un ex marito che ancora ti ama e a quanto pare un nuovo spasimante da cui farti corteggiare. Io avevo solo te, solo noi. Un tempo avevo almeno la nostra complicità e la nostra amicizia, ma mi hai portato via anche quella. Sono io quello che è rimasto fregato, ancora una volta, Camilla. Non tu. Per cui perdonami, ma non me ne faccio niente delle tue scuse e giustificazioni!

Gaetano non riuscì a sopportare la vista di Camilla un istante di più; si infilò nell’auto e sfrecciò via il più velocemente possibile. Doveva mettere spazio tra lui e Camilla, tutto lo spazio di cui era capace.

***

Uno stronzo! Ecco cos’era Gaetano: uno stronzo!

L’aveva aggredita senza lasciarla parlare, spiegare. Quella tirata su lei e Michele, poi, non aveva il minimo senso!

Ma a chi voleva darla a bere? Gaetano aveva ragione su tutto…o perlomeno sulla parte in cui l’aveva accusata di non averlo mai cercato a differenza di Renzo e Michele. E doveva ammettere almeno con se stessa ora che era sola in mezzo alla strada, dopo aver visto l’auto del commissario allontanarsi a tutta velocità, che ogni volta che si trovava con Michele o con Renzo provava un forte senso di colpa nei confronti di Gaetano, l’unico uomo che effettivamente aveva rispettato le sue richieste senza più intromettersi nella sua vita. Sentirlo dire da lui, o meglio sentirglielo urlare nel bel mezzo di Torino era anche peggio.

Non c’era la minima possibilità di sistemare le cose con Gaetano, ora ne era perfettamente consapevole. Niente di quello che avrebbe potuto dire o fare, avrebbe ricucito lo strappo che lei aveva provocato nel cuore del suo commissario.

Tornò a testa bassa verso il cortile del suo palazzo, dove ad attenderla c’era ancora Michele, che si avvicinò a lei con quel suo solito sorriso sornione. A Camilla sembrò di vederlo davvero per la prima volta: quel sorriso non scatenava in lei nessuna reazione a differenza di quello di Gaetano, che riusciva a scuoterla, farla sentire in paradiso e all’inferno al tempo stesso. Ma allora perché settimane prima si era lasciata andare con nostalgia al ricordo dei suoi vent’anni mettendo in dubbio quello che c’era tra lei e Gaetano? Perché aveva messo al centro della sua attenzione quell’uomo dal comportamento quanto meno ambiguo che si era infilato nella sua vita distruggendo ciò che di buono era riuscita a costruire dopo il tradimento di Renzo?

-Camilla! Tutto bene?- le chiese poggiandole una mano sulla spalla.

La donna si scansò a quel contatto, maledicendosi mentalmente per non aver fatto lo stesso sin dall’inizio. Aveva mentito a Gaetano per quell’uomo! Quell’uomo che di fatto nemmeno conosceva! Si erano lasciati più di trent’anni prima…lei era una persona completamente diversa adesso e di certo anche lui. Perché gli aveva permesso di sconvolgerle la vita? Stupida! Stupida paura di lasciarsi andare e di credere in quello che sentiva per Gaetano!

-Michele, scusami, ma non posso.

L’uomo annuì: -D’accordo. Non preoccuparti. Possiamo fare domani o…

-No! No…non hai capito. Non posso avere a che fare con te. Non voglio avere a che fare con te.

-Per Gaetano?- il tono di Michele tradiva la sua irritazione. -Quel poliziotto non fa per te, Camilla. È un damerino tutto inamidato, pieno di muscoli e ligio alle regole. Tu non sei così, non ti sono mai piaciuti i tipi come lui.

-Tu non mi conosci, Michele!- ribatté piccata la donna, offesa più per come Michele aveva dipinto Gaetano che per la sua insistenza inopportuna.

-Io ti conosco da molto prima di lui.

-E’ esattamente questo il punto- disse Camilla. -Mi conoscevi trent’anni fa. Non sai nulla della donna che sono oggi. Di quello che ho passato per arrivare qui, di quello che ho costruito e di quello che ho perso. E lo stesso vale per te: non sei più il ragazzo di cui mi sono innamorata e non puoi tornare ad esserlo, né vorrei che tu lo fossi.

Michele scosse il capo spazientito: -E Gaetano? È lui il tipo di uomo di cui potrebbe innamorarsi la Camilla di oggi?

-Sì- ammise senza nemmeno doverci pensare. -Sì, lui è l’uomo che voglio amare oggi. E se solo avessi avuto il coraggio di confessarglielo mesi fa oggi non sarei a questo punto. È l’uomo più onesto, gentile e rispettoso che io abbia mai conosciuto. Mi ha amata per dieci anni aspettando che io fossi pronta per lui, per noi, senza mai pretendere nulla in cambio, solo la mia sincerità. Io invece l’ho illuso, l’ho ferito. Gli ho mentito, l’ho tenuto lontano, ho lasciato che tu e Renzo mi offuscaste la mente con le vostre lusinghe. Sono stata una stupida: era l’uomo perfetto e io l’ho perso.

-Invece vedo che ferire me non ti crea nessun problema- commentò sarcastico Michele.

In effetti Camilla dovette ammettere a se stessa che con le sue decisioni delle ultime settimane e le sue azioni aveva di fatto ferito tutte le persone che la circondavano. Aveva in qualche modo alimentato le speranze di Renzo arrivando in ritardo all’udienza per la separazione e accettando le sue attenzioni ben sapendo quanto fossero inopportune; per non parlare di quello che aveva fatto a Gaetano: le parole che le aveva rivolto solo pochi minuti prima rimbombavano ancora nella sua testa e per quanto si sforzasse di dimenticare l’espressione delusa e rassegnata dipinta sul volto dell’uomo non riusciva a togliersi dalla mente quegli occhi azzurri spenti e pieni di rancore. Persino con Michele non poteva dire di esente da critica: di fatto gli aveva lasciato intendere che in qualche modo anche tra loro il discorso interrotto trent’anni prima poteva essere ripreso.

A distanza di giorni e a mente fredda non si capacitava proprio di come tutto questo potesse essere colpa sua. Proprio lei che aveva fatto dell’onestà e del dialogo la sua bandiera! Aveva smesso di seguire i suoi principi nel momento sbagliato e con la persona sbagliata.

-Hai ragione, Michele, e mi dispiace. Ho detto e fatto cose di cui non vado fiera in questi giorni e so che forse ti ho dato l’impressione che tra noi…- Camilla non riuscì nemmeno a terminare la frase tanto le appariva ora nella sua assurdità l’ipotesi di permettere a Michele di farsi avanti.

-Forse? Camilla, perdonami, ma sei stata tu sin dal primo giorno a venire a cercarmi. Cosa avrei dovuto pensare?

-Lo so. E ti assicuro che nemmeno io mi capisco, perciò non posso pretendere che gli altri lo facciano.

-Quindi adesso che dovrei fare? Sparire? Non farmi più vedere?

-Sì- ammise Camilla, pur sentendo il morso della colpa attanagliarle lo stomaco. Era stata un’egoista, aveva fatto del male a chiunque e solo ora se ne rendeva davvero conto, ma non per questo poteva continuare a mentire a se stessa e agli altri. Con Michele non c’era nulla, solo dei ricordi chiusi in una scatola e appartenenti ad un passato che doveva restare tale. -Non volevo essere così brutale, ma non posso darti quello che cerchi.

-Tu non sai quello che cerco. Magari ho solo bisogno di una vecchia amica- tentò di nuovo l’uomo che evidentemente non si capacitava di come Camilla potesse essere cambiata tanto negli anni.

-Non posso essere nemmeno quello, allora.

-Perché il tuo commissario te lo proibisce? Non sei mai stata una a cui si può dire quello che deve fare.

Camilla sorrise sconsolata: -No, non è per Gaetano. Anzi, con ogni probabilità non credo si farà più vedere o sentire, non dopo quello che gli ho fatto e che ci siamo detti- ammise con una punta di amarezza. -Se lo faccio è per me. Tu sei una parte importante del mio passato ma quello è il tuo posto. Il passato. Se ho imparato una cosa nell’ultimo anno dal tradimento di Renzo è che non si può resuscitare un morto: non è come nei film, quando decidi di mettere una pietra sopra quello che è successo e pretendi di ricominciare da capo come se nulla fosse accaduto. Non è così che funziona nella vita. Non si torna mai indietro e quando lo si fa, si sbaglia inevitabilmente. E poi a dirla tutta non è che il nostro rapporto fosse poi così idilliaco: se sei arrivato al punto di volertene andare per inseguire il tuo sogno era perché io non ti bastavo.

-O forse ero io a non essere abbastanza per te. Esattamente come ora.

-Forse- concordò Camilla con un’alzata di spalle che decretò la fine della conversazione. Michele comprese che non c’era altro che potesse dire o fare per convincere Camilla a dargli una seconda occasione, trent’anni dopo. E anche se non condivideva ogni parola del discorso della donna, ne aveva colto perfettamente il succo: non c’era posto per lui nella sua vita. Lei amava Gaetano e avrebbe fatto qualunque cosa per riprenderselo.

Con grande sorpresa di Camilla, Michele l’abbracciò e le diede un bacio sulla fronte.

-Penso che ti sbagli su di me, su di noi: penso che se ne avessi avuto l’occasione avrei potuto dimostrarti che quello che avevamo trent’anni fa è ancora qui. Ma tu ami un altro e io devo accettarlo. E se posso dirti come la penso, quella di poco prima non era la reazione di un uomo che non è più interessato a te. Se avesse potuto spararmi, lo avrebbe fatto- scherzò Michele non sapendo quanto era andato vicino alla verità.

-E’ possibile, ma non credo che Gaetano sia disposto a perdonarmi ancora una volta.

-Ti sorprenderebbe sapere quanto siamo disposti a fare per la donna che amiamo, Camilla. Se ne vale la pena…e credo che per te chiunque sarebbe disposto a tutto.

Suo malgrado Camilla non poté evitare di arrossire fino alla punta dei capelli; non era abituata a ricevere complimenti, o meglio, quando questo succedeva, era di solito Gaetano l’autore.

-Ti ringrazio, Michele.

L’uomo si limitò ad annuire con un lento movimento del capo. Aveva provato a riprendersi Camilla, ma in effetti trent’anni erano una pausa un po’ troppo lunga da superare, soprattutto se nel frattempo lei aveva incontrato il vero amore, quel commissario dai profondi occhi azzurri e con un sorriso che avrebbe steso chiunque nel raggio di chilometri.

-Ti auguro di essere felice con Gaetano. E sì…sono assolutamente certo che lui tornerà da te. Troverai il modo di farlo accadere.

“Lo spero” fu l’unico pensiero di Camilla mentre guardava Michele uscire per sempre dalla sua vita.

***

Stupido! Stupido! Stupido!

Come gli era potuto passare per la testa di riprovare a riavvicinarsi a Camilla? Come? Ah, lo sapeva…Torre! Ecco di chi era la colpa: sua e di tutti i suoi discorsi su quanto Camilla lo amasse e su come fosse difficile a volte lasciarsi andare ai sentimenti. Sì…peccato che lui continuava a seguirli quei maledetti sentimenti e loro, da bravi stronzi quali erano, non facevano altro che portarlo verso l’orlo del baratro.

Ma adesso tutto sarebbe cambiato. Ora che aveva visto Michele abbracciare la sua donna…no, abbracciare QUELLA donna (doveva restare distaccato dai suoi sentimenti anche durante i monologhi interiori) gli era tutto perfettamente chiaro. A Camilla non era mai importato nulla di lui. Era stato un passatempo divertente, un gioco, una bella iniezione di autostima e stop. Doveva mettere a tacere quella parte del suo cuore che continuava ad urlare a gran voce di dare un’ultima occasione a Camilla, perché, lo sapeva bene, quella donna non avrebbe fatto altro che prendere il suo cuore già a brandelli e ridurlo in cenere. Con ogni probabilità aveva ormai perso totalmente la capacità di amare grazie a lei, ma se l’amore, quello vero, comportava tutta quella sofferenza il commissario preferiva di gran lunga l’apatia.

Sbatté la porta del suo ufficio, una volta arrivato in commissariato, e buttò la giacca sul divano con tanta di quella rabbia che non si accorse della presenza di Torre proprio a pochi passi da lui.

-Dotto’!- esclamò preoccupato.

Gaetano sobbalzò per lo spavento ma quando si riprese fissò il suo sottoposto con la stessa durezza che aveva riservato a Camilla pochi minuti prima.

-Che c’è, Torre?

Più che parlare, il commissario aveva ringhiato. Non era da lui, lo sapeva Torre e lo sapeva anche Gaetano stesso, ma non poteva evitare a tutta quella frustrazione di trovare sfogo ancora per qualche minuto. Poi l’avrebbe messa a tacere, come sempre, l’avrebbe compressa in un angolo della sua anima e l’avrebbe lasciata lì sperando di dimenticarsi della sua esistenza.

-Vi ho portato i risultati dell’autopsia- disse mesto Torre. Aveva capito sin troppo bene a cosa poteva essere dovuto il pessimo umore del suo superiore e di certo non aveva intenzione di fare domande. A dire il vero, un poco in colpa si sentiva visto che il consiglio di tentare di appianare le cose con la prof. era venuto da lui e non doveva aver dato grandi risultati, ma anzi solo peggiorato le cose. Per cui consegnata la cartella e sinceratosi che il commissario non avesse bisogno d’altro, se l’era data a gambe rifugiandosi dalla Lucianona.

Una volta rimasto solo, Gaetano cominciò a percorrere il suo ufficio per tentare di calmarsi. Levarsi dalla mente il braccio di Michele Carpi che si avvolgeva attorno alle spalle di Camilla era praticamente impossibile. Sarebbe mai arrivato il giorno in cui sarebbe stato insensibile a quelle immagini, a quelle provocazioni? Dio, sperava proprio di sì. Non era possibile continuare a vivere con quell’angoscia che lo accompagnava non solo da sveglio ma anche nelle ore notturne. Camilla era ovunque: nella sua testa, nei suoi sogni, nei suoi incubi…riusciva a vederla persino ora, appoggiata al pilastro del suo ufficio, in attesa dell’ingresso del prossimo testimone nel caso che aveva riguardato la sua amica Baby.

Scosse la testa come se questo potesse cancellare l’immagine che si era creata davanti ai suoi occhi, così irreale e allo stesso tempo così vivida, come se fossero passati solo pochi giorni da quel momento. In realtà era passata una vita. Niente gli sembrava così lontano come il ricordo di quegli attimi felici con Camilla, che entrava nel suo ufficio e si fiondava sulle sue labbra.

Si passò una mano tra i capelli scompigliando quel ciuffo con cui Camilla amava giocare dopo aver fatto l’amore. Dio, qualunque gesto, anche il più quotidiano gli ricordava lei. Non poteva andare avanti così, avrebbe perso la ragione.

Infilò la mano nella tasca dei jeans alla ricerca del cellulare: aveva bisogno di sentire una voce che lo facesse sentire meglio, aveva bisogno di sentire suo figlio, l’unica cosa bella che gli era rimasta nella vita. Invece le sue dita si scontrarono con il freddo metallo delle chiavi di casa. Le estrasse come se scottassero e le fissò: con molta probabilità, entro poche settimane Michele avrebbe occupato il suo appartamento e avrebbe avuto via libera con Camilla.

Al solo pensiero il cervello sembrò esplodergli. Anche se ora era furioso con lei non poteva comunque sopportare che quell’hippie mancato si prendesse la sua Camilla.

Guardò con crescente attenzione quelle chiavi. No, decisamente non avrebbe reso facili le cose a Michele Carpi. E aveva già un’idea su come evitare quel maledetto trasloco.

 

Angolo dell’autrice:

Lo so, adesso mi odiate perché non c’è stata la cena tra i due, ma diciamoci la verità…Camilla ha illuso tutti non solo Gaetano, quindi deve sistemare un bel po’ di cose. E qui dice addio a Michele. Meno uno, quindi.

Inoltre, Gaetano aveva ancora delle cosette da dire, dei sassolini da togliersi dalla scarpa. Mettiamola in questo modo: più in basso di così non si poteva andare…adesso possono ricostruire il rapporto su basi un po’ più sincere.

Già dal prossimo episodio si comincia con la riappacificazione, promesso.

Intanto grazie di cuore a chi ha letto e a chi lascerà un pensiero.

A presto.

L.

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Capitolo 7
*** Controproposte ***


CONTROPROPOSTE

Era piuttosto insolito che il commissariato si riempisse dei vagiti di un neonato.

Forse per questo non appena Livia varcò la soglia di quel luogo spingendo la carrozzina con dentro la sua piccola Camilla, fu attorniata da un capannello di poliziotti, perlopiù in divisa, che smaniavano per dare un’occhiata a quel fagottino rosa che, incurante delle attenzioni, dormiva beatamente. Del resto, si era aspettata una accoglienza simile: la maggior parte di quegli uomini sapeva esattamente chi lei fosse e quali rapporti avesse con il loro superiore. Era una di famiglia, per loro: non che lei avesse mai messo piede con grande frequenza in commissariato, ma era capitato di vederla spuntare ogni tanto a fianco della madre, anche se molto di rado negli ultimi tempi.

-Allora? Cos’è questo caos?- la voce del commissario Berardi sorprese molti degli uomini presenti, che sobbalzarono quando il loro superiore spuntò alle loro spalle. Erano giorni, anzi settimane, che Berardi era assolutamente intrattabile e questo dettaglio non era sfuggito a nessuno di loro, ma tutti tenevano la bocca più che chiusa, ben sapendo a cosa era dovuto il pessimo umore dell’uomo.

Un’occhiataccia da parte di Torre convinse tutti che era meglio girare al largo: un Berardi e due “Baudino” nella stessa stanza (per di più una si chiamava pure Camilla) erano un mix più che esplosivo. Persino la Lucianona, che normalmente aveva il coraggio (o la faccia tosta, questo non era ancora chiaro) di ficcare il naso nella vita privata del commissario, ritenette opportuno allontanarsi dal luogo alla velocità della luce.

Invece, tutti restarono di sasso quando alla vista di Livia e della piccola Camilla il viso del vicequestore si aprì in un sorriso luminoso, come non vedevano da tempo.

-Livia! Ben arrivata! Anzi, dovrei dire ben arrivate!- disse Gaetano stringendo la ragazza in un abbraccio affettuoso.

-Quando un vicequestore chiama, non credo si possa ignorare- ribatté Livia non appena l’uomo sciolse il contatto. Gaetano dovette ammettere che Livia assomigliava sempre di più a sua madre, non certo fisicamente quanto più nel carattere: la sua capacità di tenergli testa e di rispondergli a tono erano pari solo a quelli di Camilla.

-Ti dispiace se ci accomodiamo nel mio ufficio?- disse facendo notare gli sguardi curiosi dei presenti puntati su di loro.

Per tutta risposta la ragazza spinse la carrozzina di Camilla nella direzione indicata da Gaetano, che la seguì, lo sguardo rapito dagli occhioni scuri della piccolina ora sveglia.

Non riusciva a smettere di guardare quella copia di Camilla in miniatura: uno scherzo del destino. Gli stessi occhi scuri, gli stessi ricci, la stessa espressione ingenua e allo stesso tempo intelligente. Bellissima, proprio come la nonna.

-Vuoi prenderla in braccio?- chiese Livia avendo notato con quale adorazione Gaetano stesse osservando sua figlia.

Gaetano scosse il capo con decisione: -No, ti ringrazio. Non sono mai stato molto bravo con i bambini piccoli.

-Con Tommy vai benissimo, mi pare.

-Tommy è cresciuto- puntualizzò Gaetano, restando poi ancora in silenzio mentre, allungando un dito verso la piccola, le sfiorò la guancia suscitando un sorriso sdentato.

-Assomiglia alla nonna, vero?

Non era una domanda innocente né casuale e Gaetano lo comprese non appena vide l’espressione divertita e anche provocatoria dipinta sul volto di Livia.

-Cominciamo subito con le ostilità, ragazzina?- ribatté Gaetano nell’accurato tentativo di sviare ogni discorso che potesse condurlo a parlare di Camilla. Quella adulta (almeno anagraficamente).

-Ragazzina?

-Per me resterai sempre la ragazzina che ha atterrato mio nipote al corso di karate.

-Era judo. E ancora mi spiace di aver ferito l’orgoglio di Nino.

Gaetano alzò le mani in segno di resa: discutere con Livia era una battaglia persa in partenza.

-Allora…vogliamo parlare del motivo per cui mi hai convocata qui?- era sempre Livia a rompere i silenzi che calavano tra loro, con una leggerezza e semplicità che il commissario le invidiava. Adorava Livia sin da quando era una bambina, ma nel tempo i loro rapporti erano stati un po’ oscillanti: alti e bassi dovuti all’adolescenza e, a dirla tutta, anche alla strana relazione che lui aveva sempre intrecciato con sua madre. Insomma, tra Gaetano e Livia si era sempre trattato di odio e amore: si piacevano, si tolleravano ma entrambi erano di fatto un ostacolo per la piena felicità reciproca. Con la differenza che Gaetano non era mai riuscito ad avercela con la piccola di casa Ferrero, mentre Livietta aveva più volte dimostrato la sua insofferenza per la presenza costante di quell’uomo nella sua vita (e in quella di sua madre soprattutto).

-Non posso semplicemente avere voglia di rivedere te e questa piccolina?- chiese con aria da finto innocente il commissario, sempre più stregato dagli occhi della bimba.

Per tutta risposta Livia inarcò il sopracciglio ad una altezza francamente allarmante, mentre un’espressione, che definire scettica sarebbe stato riduttivo, si faceva strada sul suo volto.

-Ok, va bene. In realtà ci sarebbe una cosa che vorrei darti- confessò l’uomo, che nel frattempo era riuscito (con non poca difficoltà) a distogliere gli occhi dalla piccola Camilla per dedicarsi alla ricerca di qualcosa nel primo cassetto della sua scrivania. Dopo qualche istante allungò sulla scrivania un mazzo di chiavi.

-Che significa?- chiese Livia afferrando l’oggetto ed esaminandolo da vicino.

-Sono delle chiavi.

-Fin qui ci ero arrivata, grazie- rispose sarcastica la ragazza provocando il sorriso divertito del commissario.

-Sono per te. E anche per George e la piccola, ovviamente. È il mio vecchio appartamento- precisò Gaetano quando gli occhi azzurri di Livia si piantarono dritti nei suoi.

-Mi stai dando casa tua?- il tono ora era genuinamente sorpreso. Quell’uomo che per lei era, tutto sommato, un estraneo (anche se presente nella sua vita da dieci anni) le stava regalando una casa?

L’uomo annuì cercando di intuire dall’espressione del viso di Livia la sua risposta.

-Io…mi dispiace ma…è troppo. Non posso accettare- disse infine la ragazza tornando a posare le chiavi sulla scrivania. -Sei molto gentile, Gaetano, ma non posso, davvero.

Livia tutto si aspettava tranne che la risata allegra del commissario.

-Sapevo che avresti rifiutato.

-E allora perché me lo hai chiesto, scusa?- domandò imbarazzata e anche seccata per essere stata presa in giro.

-Per passare alla controproposta- ammise l’uomo.

-Quella non dovrei farla io, semmai?

-Giusto. Vuoi farne una tu, allora?

Livia cominciava a capire cosa attraesse tanto sua madre. Gaetano non era solo obiettivamente un bell’uomo (e del resto come già aveva detto a sua madre tempo prima Gaetano era sì invecchiato, ma nel minore dei modi; cosa che non poteva certo dire di suo padre che, certo, restava ancora un uomo affascinante, ma il fisico aveva un po’ ceduto ed erano comparsi anche alcuni tic nervosi), ma era anche intelligente, acuto, simpatico, divertente…insomma un uomo affascinante, nel senso più generale e completo del termine. Sì, ma allora perché se lo era lasciata scappare?

-Va bene, mi arrendo. Quale è la tua controproposta?- chiese Livia.

Gaetano riafferrò le chiavi e le fece penzolare davanti al volto della ragazza: -Allora, diciamo che non ti regalo l’appartamento, ma te lo lascio in affitto compreso di tutti i mobili, a condizione che mi paghiate solo quando avrete un’occupazione stabile. E non prima di almeno tre anni a partire da oggi.

-Due- propose Livia entrando nello spirito della contrattazione.

-Due e mezzo- ribatté il commissario divertito da quel botta e risposta, ben sapendo che alla fine non avrebbe accettato un euro prima di almeno cinque o sei anni. E forse nemmeno allora.

Livia sembrò doverci riflettere.

-Mia madre mi ucciderà- disse infine afferrando le chiavi che Gaetano ancora teneva tra le mani.

-Penso potrà sopportare che la sua bimba se ne vada di casa. E poi vai a stare davanti a lei, non dall’altra parte della città.

-Non è per quello che mi ucciderà. Se accetto, vorrà dire che tu ti trasferirai definitivamente. E non penso me lo perdonerà mai.

Gaetano sorrise, ma Livia notò un velo di tristezza farsi strada in quelle iridi azzurre.

-Se è questo che ti impedisce di accettare, puoi stare tranquilla. Mi trasferirei altrove comunque, a prescindere dal fatto che tu accetterai o meno.

-Ne sei proprio sicuro, Gaetano? Perché guarda che mia madre…

Gaetano la fermò con un cenno gentile della mano: non voleva offendere Livia, che, ne era certo, avrebbe preso con grande vigore le difese della madre, ma non poteva sopportare di sentir parlare ancora di quella donna che aveva giocato con i suoi sentimenti senza il minimo riguardo.

-Ho bisogno di allontanarmi da quel posto, Livia. Credo che tu possa anche capirmi. E comunque devo ancora farti un regalo per le tue nozze, se non sbaglio- continuò il commissario con un tono più leggero.

-Un regalo? Hai fatto in modo che Holly potesse venire al mio matrimonio! Quello per me è stato davvero importante, Gaetano!

-Quello era lavoro- disse Gaetano. Poi indicando le chiavi proseguì: -Questo è un regalo.

Livia sentì un nodo stringerle le gola: quell’uomo, che non le doveva niente e che anzi con tutta probabilità avrebbe dovuto detestarla perché senza di lei sua madre non avrebbe mai continuato a tenere in piedi un matrimonio finito anni prima, la stava trattando esattamente come se fosse almeno in parte figlia anche sua.

-Io…davvero, Gaetano, non so cosa dire- riuscì infine ad articolare, quando riprese il controllo dei suoi pensieri.

-Dì che accetti la mia proposta.

Livia fissò il suo interlocutore mentre la sua espressione mutava da sorpresa a maliziosa: istintivamente Gaetano comprese che questo non poteva essere un buon segno.

-Controproposta- proclamò la ragazza, provocando la risata sincera di Gaetano.

-Avanti, sentiamo.

-Accetto la tua proposta ad una condizione. Non negoziabile.

L’uomo sospirò: decisamente Livia aveva ereditato l’abilità della madre nelle trattative.

-Quale condizione?

-Organizzerò una festa per inaugurare casa. Voglio che tu ci sia.

La smorfia soddisfatta di Livia non scalfì il sorriso che campeggiava sul volto di Gaetano: aveva previsto un minimo di resistenza e persino un tentativo di convincerlo a riappacificarsi con la madre. Ma non aveva preventivato una sorta di ricatto. Obbligarlo a stare nella stessa stanza con Camilla. Non era una buona idea. Tutto il contrario. Magari pure con Renzo e persino con Michele. No, decisamente una pessima idea!

-Livia…

-Ho detto che non è negoziabile- sentenziò Livia irremovibile.

-Non pensi sia rischioso avere me e tua madre nella stessa stanza?

Livia scrollò le spalle come se la prospettiva non la preoccupasse minimamente.

-Ci saranno anche altre persone, non sarai costretto a parlare con lei. E poi sarai lì per me e per la piccola, giusto?

-Tu non ti arrendi mai, vero?

-Mai- ammise la ragazza con un’espressione di trionfo dipinta sul viso. -Lo prendo come un sì, allora?

Gaetano dovette arrendersi a quegli occhi azzurri che nonostante tutto lo facevano sentire a casa, in famiglia.

-D’accordo. Ci sarò.

Quasi come se fosse stata partecipe della conversazione, la piccola Camilla decise di manifestare la propria approvazione con un gridolino che attirò l’attenzione dei due adulti su di sé.

-Vedi? Anche lei ti vuole alla festa- commentò Livia mentre con delicatezza afferrava la bimba e la sollevava dalla carrozzina prendendola in braccio. La fece quasi sedere sulle sue gambe, per quanto possibile a soli pochi mesi di vita. Ora quei due fari cioccolato erano puntati dritti verso il commissario e lo fissavano incuriositi. Gaetano ne fu attratto come una calamita e, circumnavigata la scrivania, si sedette accanto a Livia prendendo tra le sue mani quella piccola e paffuta di Camilla.

-Non è questa la Camilla di cui ho paura- disse l’uomo sovrappensiero, dando voce ad un’idea che nelle sue intenzioni doveva restare ben chiusa nella sua mente. –Scusa, io non…

-Non devi scusarti, Gaetano. Senti, so tutto, ok? Mia madre mi ha raccontato tutto e per quello che vale penso che tu abbia tutte le ragioni per fare quello che hai fatto. Dico davvero. Anzi, io probabilmente avrei fatto di peggio. Però Gaetano…

-Livia, ti prego…

-No! Lasciami parlare, Gaetano- disse Livia, il tono imperioso di chi non vuole essere interrotto, tantomeno contraddetto. -Mia madre ha sbagliato, lo so, ma ti ama, moltissimo. Io lo vedo quanto sta soffrendo. Se potesse tornare indietro, farebbe tutto in modo diverso. E non mi riferisco solo alle ultime settimane. Se potesse cambiare gli ultimi dieci anni della sua vita, lo farebbe. Sei l’uomo più importante della sua vita e non vuole perderti.

-Ha uno strano modo di dimostrarlo, Livia- Gaetano si era irrigidito ma non riuscì ad evitare che la voce gli si incrinasse per il dolore sentendo le parole della ragazza: erano allo stesso tempo inferno e paradiso. Ogni volta che pensava di andare oltre, qualcuno o qualcosa lo ancorava ancora saldamente a lei.

-Lo so. È assurdo, se ci penso! È capace di dimostrare empatia per chiunque tranne quando si tratta di te.

-Grazie- esclamò sarcastico l’uomo, senza però prendersela sul serio.

-Quello che voglio dire è che lei ci tiene tantissimo a te e so che non lo riesce a dimostrare ma se tu le concedessi un’altra occasione…

-Ho già buttato via dieci anni di vita e due matrimoni per lei, Livia. Mi sembra di averle concesso più di un’occasione- replicò con un tono più duro di quanto avrebbe voluto.

-Lo capisco…davvero. È solo che mia madre non ha mai amato nessuno come ama te. E fidati, non mi è facile ammetterlo, perché non ha mai provato nulla del genere nemmeno per mio padre. Non te ne faccio una colpa, Gaetano. Né a te, né a lei, perché non si sceglie chi si ama. Adesso lo so, questo. Vorrei solo che tu sapessi…qualunque sia la tua decisione su di lei, sulla vostra relazione…vorrei solo che tu sapessi cosa sei davvero per lei, anche se lei non riesce a dirtelo.

Nella concitazione della strenua difesa della madre, Livia aveva inavvertitamente scosso la piccola Camilla, che dopo un paio di singhiozzi iniziali si era lasciata andare ad un pianto disperato. Senza nemmeno rendersene conto e senza chiedere il permesso a Livia, Gaetano d’istinto prese tra le braccia la piccola Camilla portandosela al petto, mentre girovagando per la stanza la cullava passando la sua grande mano sulla schiena della piccola. Al suo tocco Camilla cominciò a calmarsi e pian piano, terminate le lacrime, anche i singhiozzi si acquietarono.

-Tranquilla, non è successo niente- mormorava il commissario in modo che solo la diretta interessata potesse sentirlo. Poggiò un bacio delicato sulla testa della piccola, inspirando quel tipico profumo di bambino che era una delle poche cose che ricordava dell’infanzia di Tommy.

Quante volte aveva sognato e sperato di poter coccolare nuovamente un figlio tutto suo? Un figlio che fosse anche della sua Camilla? E aveva creduto che questo potesse in qualche modo diventare realtà nelle ultime settimane, anche se sapeva che l’età della professoressa rendeva difficile ma non impossibile questo suo progetto. Il pensiero lo richiamò alla realtà: quella non era la sua bambina e di certo il suo era stato un gesto del tutto inappropriato data la situazione.

-Ti prego, Livia, perdonami- disse in imbarazzo porgendo la piccola alla ragazza.

-E di cosa? Sei riuscito a consolarla in meno tempo di quanto ci avrei impiegato io! Vedi che sei portato a stare con i bambini?- rispose Livia cercando di stemperare quel tumulto di emozioni che leggeva negli occhi del commissario.

Torre bussò giusto in tempo per evitare a Gaetano di abbozzare una risposta, che effettivamente gli mancava.

-Dotto’, mi scusi, ma c’è il pm per il caso Ronco.

Gaetano annuì e ringraziò il collega congedandolo.

-Sarà meglio che vada, allora- disse Livia riponendo con cura la sua bambina nella carrozzina. Poi afferrò le chiavi che aveva lasciato sulla scrivania di Gaetano: -Io le prendo, ma tu ricordati la promessa.

-Ci sarò- si limitò a dire il commissario. Non era convinto che fosse una buona idea rivedere Camilla, tanto più se in compagnia di Renzo o Michele, ma del resto, rifletté, sarebbero passate settimane prima che Livia e George terminassero il trascolo: settimane in cui lui avrebbe tentato di riprendere il controllo della sua vita e delle sue emozioni. Non era affatto facile, ma da qualche parte doveva pur cominciare per rimettersi in piedi.

***

-Tommy, sbrigati! Siamo in ritardo!

Il piccolo Berardi sbuffò mentre con un gesto di stizza spense il televisore proprio quando la storia si stava facendo interessante.

A passo militare raggiunse il padre nella sua nuova stanza, che proprio non riusciva a farsi piacere. Cosa c’era che non andava nella vecchia cameretta? E soprattutto cosa c’era che non andava nella vecchia casa?

-Ancora così stai?- disse Gaetano quando lo vide spuntare dietro la porta, con ancora i vestiti sgualciti della giornata indosso.

Per tutta risposta Tommy alzò le spalle, ricordando a Gaetano i tempi in cui aveva appena ripreso i rapporti con il figlio e quest’ultimo parlava a stento e comunicava il suo disappunto per la nuova convivenza con una scrollata di spalle.

Il commissario sollevò il figlio da terra e lo fece sedere sul letto in modo da poterlo guardare dritto negli occhi.

-Mi vuoi dire che ti succede? È da quando sei arrivato dalla Svezia che sei arrabbiato!- in realtà Gaetano aveva un’idea di cosa poteva nascondersi dietro al cattivo umore del figlio, ma sapeva, anche per esperienza personale, che era meglio per il bambino dare voce ai suoi pensieri.

-Non mi va di andare alla festa- ammise Tommy.

-Non ti va di vedere Livia e la piccola Camilla?

-Sì, loro sì!- disse Tommy con uno slancio che fece sorridere il padre. In effetti, quando avevano ricevuto l’invito di Livia per la festa di inaugurazione della nuova casa, Tommy aveva subito manifestato una sincera gioia al pensiero di poter passare del tempo con Livia e con la piccola Camilla, presto sostituita da una smorfia di preoccupazione e di sofferenza. Gaetano non aveva dovuto faticare poi molto per capire a cosa fosse dovuto quel cambiamento: come per lui, anche per il figlio il problema non era la Camilla bambina, ma quella adulta. Della serie, talis pater, talis filius.

-E allora perché non vuoi andare? È per Camilla?- chiese con dolcezza il commissario.

Il bambino si limitò ad annuire tenendo gli occhi bassi mentre si tormentava le mani. Gaetano le prese tra le sue, costringendo il figlio ad alzare lo sguardo verso di lui.

-Tommy, Camilla ti vuole bene e sono sicuro che non vede l’ora di vederti!

Gli occhi di Tommy si fecero lucidi nel tentativo di trovare le parole adatte per rispondere al padre.

-Se mi vuole bene, perché non vuole più stare con noi?

Una stretta al cuore colpì Gaetano nel vedere il figlio soffrire così tanto per quello che stava accadendo tra lui e Camilla. Era già abbastanza difficile affrontare questa situazione per se stesso, se poi doveva andarci di mezzo anche suo figlio…

-Tesoro, Camilla vuole stare con te. Il fatto che lei ed io non stiamo più insieme non significa che lei non voglia più passare del tempo in tua compagnia. Noi siamo comunque rimasti amici- Gaetano avrebbe voluto mangiarsi la lingua piuttosto che definirsi “amico” di Camilla, ma non poteva fare diversamente. I suoi sentimenti, i suoi rancori, le sue delusioni nei confronti di Camilla non dovevano condizionare anche l’esistenza di Tommy.

-Ma io lo so che tu sei triste perché lei non c’è più.

Mentire o dire la verità? Quanto poteva comprendere un bambino così piccolo dell’amore? Gaetano fu tentato di ricorrere alla frase di sicurezza che tutti i genitori sfoderano nei casi estremi: “sono cose da grandi. Non puoi ancora capire”, ma Tommy meritava qualcosa di meglio di frasi fatte e risposte vaghe.

-Senti, Tommy, è vero che sono triste, ma se tu vuoi passare del tempo con lei per me va bene! Davvero.

-Quindi non devo essere arrabbiato con lei?

Gaetano lo fissò con un sorriso: -Sei arrabbiato con Camilla?

-Un po’. Però le voglio bene lo stesso.

-E allora penso che dovresti andare alla festa e fare la pace con lei.

-Anche tu farai pace con lei?- chiese Tommy, gli occhi pieni di speranza.

-Tommy- Gaetano si sedette accanto al figlio passandogli un braccio attorno alle spalle. –io voglio molto bene a Camilla e gliene vorrò sempre…

-…e anche lei ne vuole a te- intervenne il piccolo con convinzione, enunciando quella che per lui era una verità assoluta.

-Certo, anche lei ne vuole a me, ma in modo diverso.

-Che vuoi dire?

Il commissario non sapeva proprio come poter spiegare al figlio la differenza tra amicizia e amore, per lui evidentemente troppo complessa da comprendere.

-Vedi, io vorrei sposare Camilla, ma lei non se la sente. Per il momento preferisce restare da sola- “a fare la nonna single e indipendente” avrebbe voluto aggiungere con una tonnellata di sarcasmo nella voce.

-Non vuole vivere con noi? Perché?

“Bella domanda” si chiese Gaetano.

-E’ perché sono disordinato e mangio sul divano?- continuò il piccolo facendo mente locale sui rimproveri più frequenti che riceveva dalla madre e anche a volte dal padre.

Il commissario sorrise: -No, no, Tommy. Tu vai benissimo. Credo che il problema sono io, ma questo discorso lo affronteremo un’altra volta, d’accordo? Altrimenti non arriviamo più da Livia! E zio Renzo si finisce tutta la torta!- concluse afferrando Tommy per la vita e sorprendendolo con un attacco di solletico.

Tommy aveva altre mille domande, ma comprese che per il padre il discorso doveva ritenersi chiuso. Saltò giù dal letto come un fulmine, non prima però di aver stretto il padre in un forte abbraccio, il più forte di cui era capace.

Gaetano lo guardò allontanarsi: di fatto, si ritrovava a dover gestire i postumi di una separazione e di un divorzio, senza nemmeno aver goduto dei benefici e dei piaceri di un matrimonio! Afferrò la prima cosa che trovò, il dinosauro di Tommy, e lo scagliò attraverso la stanza. Non avrebbe mai maledetto abbastanza il giorno in cui aveva incontrato Camilla Baudino.

 

 

Angolo dell’autrice:

che dire? Prima di tutto ho deciso di riportare alla sanità mentale Livietta: se è abbastanza matura per sposarsi e figliare, deve esserlo anche per affrontare il rapporto allucinante tra la madre ed il commissario. E a parte questo credo che lei e Tommy siano gli unici che possano fare da intermediari per i due tontoloni.

Quanto a Tommy…lo adoro, è stato sfruttato poco e malissimo a mio avviso nella sesta stagione, quindi adesso bisogna recuperare.

Insomma, non vi ho dato la cena romantica a due, ma una festa di inaugurazione per la nuova casa di Livia. Ed è solo l’inizio.

Spero che vi sia piaciuto e grazie a tutti coloro che leggono e che trovano il tempo di lasciare un pensiero.

A presto.

L.

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Capitolo 8
*** La paura che ho di te ***


LA PAURA CHE HO DI TE

Non era riuscita a togliergli gli occhi di dosso nemmeno per una frazione di secondo da quando era entrato in quello che ora era l’appartamento di sua figlia Livia. E come avrebbe potuto? Lui, bellissimo come sempre, con quella camicia azzurra dalle maniche sapientemente risvoltate per il caldo di inizio settembre, quell’ombra di barba che rendeva il suo viso leggermente abbronzato così attraente e quegli occhi azzurri che potevano illuminare da soli l’intera stanza e nei quali era riuscita a specchiarsi tante volte. Lui, perfetto proprio come se lo ricordava. Lui, intento a parlare con Holly (che pendeva dalle sue labbra come la sua allieva Debbie di tanti anni prima al Fibonacci) vicino a quel divano che li aveva visti tante volte accoccolati, abbracciati, felici. Era davvero troppo da sopportare per Camilla.

Averlo a due passi da lei e non potercisi nemmeno avvicinare.

Non che lui avesse detto o fatto qualcosa di particolare per tenerla a debita distanza, chiaro. Non era da Gaetano dare spettacolo in pubblico. Si era semplicemente ma implacabilmente limitato ad ignorarla. Mai una volta era riuscita a cogliere uno sguardo verso di lei, un cenno di dolore nei suoi occhi mentre si aggirava in quella che un tempo era stata la sua casa….la “loro” casa. Niente. Sembrava che nulla fosse mai accaduto tra loro. Nessuno avrebbe detto che pochi mesi prima erano stati una coppia. Una coppia felice, innamorata. Una coppia vera, nonostante le stronzate che lei si era raccontata per mesi.

-Se continui a fissarlo in questo modo, qualcuno comincerà a pensare che sei pazza- aveva osato dire ad un certo punto Renzo, passandole accanto ed offrendole un bicchiere di spumante. Intenta come era a non perdersi nemmeno un movimento di Gaetano, non si era accorta che Livia aveva dato ufficialmente il via ai festeggiamenti, stappando una bottiglia di vino e tagliando la prima fetta di torta. Rigorosamente al cioccolato. Rigorosamente di Boffi.

Boffi … torte al cioccolato … camice macchiate … Gaetano a petto nudo … Gaetano … Gaetano … Gaetano …

-Camilla?- la richiamò Renzo.

-Come?

-Vai a parlarci! Se ha accettato di venire, significa che le cose vanno meglio, no? Che è disposto ad una tregua!- aveva suggerito Renzo.

Il problema era che Camilla non se la sentiva: moriva al solo pensiero che Gaetano fosse così vicino e allo stesso tempo così distante, ma l’idea di rivolgergli la parola e rivedere quello sguardo gelido e sprezzante nei suoi occhi rivolto a lei la spaventava ancora di più.

-Non posso. È qui solo per cortesia nei confronti di Livia. E poi questa è ancora tecnicamente casa sua- aveva risposto Camilla, decisa a trovare ogni scusa possibile per evitare di avvicinarsi a lui.

Renzo si era limitato ad una scrollata di spalle e si era allontanato in direzione del suo secondogenito che, tra le braccia di Carmen, aveva appena ripreso a piangere.

Dentro di sé, Camilla sapeva benissimo che quella era una di quelle situazioni da “ora o mai più”, una di quelle circostanze in cui bisognava buttarsi e basta e sperare che tutto andasse per il meglio. Lo sapeva, lo sentiva; ma il ricordo di quegli occhi delusi pesava come un macigno sul suo cuore e soprattutto sulle sue gambe.

Si arrese alla sua vigliaccheria e decise di tornare da sua nipote: quel visino paffuto avrebbe attenuato, anche se per poco, il dolore per il caos che aveva (quasi) involontariamente portato nella sua vita e in quella del commissario.

Girò su se stessa, ad occhi chiusi, ma non fece due passi prima di trovarsi davanti Tommy, in posizione quasi militare, in mano un piatto che portava gli evidenti resti di una abbondante fetta di torta e lo sguardo di chi non aveva ancora deciso se era contento o meno di quell’incontro.

-Tommy- esordì Camilla con tutta la dolcezza possibile nella voce. Se farsi perdonare da Gaetano era un’impresa, di certo anche con Tommy le cose non sarebbero state facili. –Sono felice che tu sia venuto alla festa di Livia.

Il bambino alzò le spalle ma non distolse mai lo sguardo da quello di Camilla.

-Hai visto la piccola Camilla? Ti piace?

Tommy annuì, senza di nuovo aprire bocca. Decisamente un osso duro quanto il padre, pensò.

-Vuoi che ti porti un’altra fetta di torta?- tentò di prenderlo per la gola. Patetica. Doveva solo chiedere scusa al bambino, come stava cercando di fare da mesi con il padre. Ma se non gli era riuscito con Gaetano che conosceva da dieci anni, figuriamoci con quel bambino che conosceva da molto meno tempo. È che proprio scusarsi per principio le riusciva difficile, a volte.

Ed infatti per tutta risposta Tommy scosse la testa indicando di no.

-D’accordo- Camilla si avvicinò di più al bambino e si chinò alla sua altezza sostenendo il suo sguardo. Gli occhi non erano dello stesso colore di quelli di Gaetano, ma la severità era la stessa in quel momento. –Sei arrabbiato con me, vero?

Ancora una volta Tommy annuì senza proferire parola.

-Lo capisco. E vorrei chiederti scusa e fare pace con te, se me lo permetti.

Tommy sembrò doverci riflettere per un po’. –Papà dice che se anche a lui non gli vuoi più bene a me ne vuoi ancora tanto. È vero?

Camilla sentì un nodo formarsi all’altezza della gola, un po’ per via dell’espressione triste del bimbo, un po’ per le parole che aveva usato, la maggior parte per via della consapevolezza (una volta di più) di quanto Gaetano fosse infinitamente migliore di lei. Nonostante tutto, lui si era preoccupato di mantenere un buon rapporto tra suo figlio e Camilla, la donna che gli aveva spezzato il cuore. Lei sarebbe riuscita a fare lo stesso a parti invertite? Davvero non sapeva che rispondersi.

-Certo che è vero. Io ti voglio bene, Tommy, e te ne vorrò sempre. E voglio bene anche al tuo papà, solo che al momento abbiamo qualche problema- Camilla non poté resistere dal fare questa precisazione. Non aveva smesso un solo istante di “voler bene” a Gaetano, questo doveva essere chiaro a tutti, anche a Tommy.

-E tu non vuoi fare la pace con lui?

-Ma certo che voglio. È che a volte tra i grandi è difficile. E poi io ho fatto delle cose molto brutte e cattive e il tuo papà ci è rimasto molto male.

Ancora una volta Tommy sembrò dover riflettere con attenzione sulle parole di Camilla.

-Non puoi chiedergli scusa e dirgli che non le farai più? Con la mamma io faccio così.

Camilla avrebbe tanto voluto risolvere in quel modo tutti i suoi problemi attuali, proprio come quando era bambina con sua madre e soprattutto con suo padre: delle scuse sincere (quasi sempre) e la promessa di rigare dritto per il futuro (puntualmente disattesa).

-Vorrei fosse così semplice, Tommy- disse Camilla accompagnando le parole con un lungo sospiro. -Il fatto è che quando si diventa grandi chiedere scusa a volte non basta.

-Io non so se voglio diventare grande, allora- concluse saggiamente il piccolo. Ed in effetti, come dargli torto? Gaetano e Camilla, gli adulti, non facevano che ripetergli quanto diventare grandi fosse di fatto “uno schifo”. Perché prendersi la briga di crescere e di complicarsi l’esistenza? Molto meglio restare bambini, passare il tempo tra giochi, scuola, amici e stop. Sì, a volte qualche noia la scuola la poteva anche dare, con i compiti, gli insegnanti severi, i test in classe…ma paragonati ai problemi del mondo dei grandi? Una sciocchezza.

Questa conclusione filosofica strappò un sorriso, il primo sorriso della giornata, a Camilla: -Hai ragione, Tommy. A pensarci bene diventare grandi non è sempre una bella cosa- rispose mentre con una mano gli scompigliò i capelli come era solita fare sin da quando lo aveva conosciuto anni prima.

Ci era voluto un po’ di tempo per ottenere la sua fiducia ed il suo affetto, ma alla fine (complice l’aiuto inestimabile di Potty) ce l’aveva fatta. Ora, probabilmente aveva sprecato tutto il lavoro fatto negli anni; probabilmente Tommy non avrebbe nemmeno più voluto vederla in fotografia; probabilmente se Livia non avesse insistito per quella festa e per inviare Gaetano, Camilla non avrebbe più rivisto Tommy. La professoressa realizzò in quell’istante quanto fosse legata a quel bambino che non era, nemmeno per una minima parte, suo e la prospettiva di perderlo la devastava esattamente come se al posto di Tommy ci fosse stata Livia, la sua Livia.

-Senti, Tommy, facciamo così- continuò la donna ricacciando indietro il nodo che le si era formato in gola al pensiero che quel piccolino le venisse portato via per sempre. -Io ti prometto che mi impegnerò al massimo per farmi perdonare dal tuo papà, ok? Voglio tornare a quando eravamo felici tutti insieme, davvero. Però tu devi tenere bene a mente una cosa: qualsiasi cosa succeda tra me ed il tuo papà io ti voglio bene, tu fai parte della mia famiglia tanto quanto Livia, George e la piccola Camilla, e se avrai bisogno di me o vorrai passare del tempo con noi tu sarai sempre il benvenuto. D’accordo?

Il bimbo annuì, gli occhi lucidi come quelli di Camilla, e, incurante del piatto sporco che ancora teneva tra le mani, si gettò tra le braccia della donna, che lo accolsero e lo strinsero con una forza pari alla dolcezza che trasmettevano.

***

Lo sforzo che dovette compiere per evitare di correre da lei o anche solo guardarla fu davvero disumano. Gli sembrava che privare il suo corpo, qualunque parte del suo corpo, di lei fosse la peggiore delle torture, anche se questo suo tenersi alla larga era l’unico modo che conosceva per proteggersi da altre batoste.

Quando era arrivato un’oretta prima, era rimasto fermo immobile davanti alla porta di quella che un tempo era casa sua per qualche secondo, prima che Tommy prendendolo per mano lo costringesse a suonare al “suo” campanello. Tutta la situazione era surreale: stava portando dei fiori a casa “sua” per una festa di inaugurazione fatta da altri. Se qualcuno, mentre firmava il contratto di compravendita immobiliare, gli avesse raccontato quello che sarebbe accaduto di lì a pochi mesi non solo non ci avrebbe mai creduto, ma con tutta probabilità avrebbe richiesto un t.s.o. per il messaggero. Lui e Camilla insieme? Impossibile, benchè lo desiderasse e sperasse da tempo. Lui e Camilla in lite per colpa della sua gelosia e delle incertezze di lei? Ancora più assurdo. Lui e Camilla che nemmeno riuscivano più a stare nella stessa stanza senza urlarsi contro? Da manicomio. No, non avrebbe mai potuto prevedere che quel cambio casa avrebbe condotto a questi nefasti risultati, altrimenti si sarebbe tenuto stretto il buon vecchio trilocale e avrebbe continuato a spiare la sua vicina dall’altra parte del cortile. La distanza di sicurezza ideale per loro due; un pianerottolo soltanto si era rivelato del tutto inadeguato.

Senza volerlo, scandagliò con lo sguardo l’intera stanza, mai stata così affollata quando ad abitarci era il solitario commissario Berardi: Renzo era comprensibilmente vicino al piccolo Lorenzo, Camilla se ne stava quasi rintanata in un angolo, come a volersi nascondere da tutti e soprattutto da lui, mentre Michele…beh, di Michele non c’era traccia. Ovvio, pensò Gaetano: se Livia lo aveva voluto lì, di certo non avrebbe mai esteso l’invito al nuovo compagno hippie di sua madre. Sarebbe stata una polveriera.

Gaetano andò subito a posizionarsi il più lontano possibile dall’area dove gravitava Camilla: se un pianerottolo non era stato sufficiente, figuriamoci cosa poteva accadere ora che erano a pochi passi l’uno dall’altra!

Lasciò Tommy libero di andare a conoscere la piccola Camilla e di giocare con Potty, che subito era accorso dal bimbo scodinzolando felice. Lui, invece, fu quasi subito raggiunto da Holly, l’amica/stilista/testimone di Livia: con sua enorme sorpresa, la ragazza si era avvicinata per ringraziarlo del suo aiuto nel caso che l’aveva vista coinvolta in prima persona. Ma non lo aveva definito prevenuto e pure misogino? Il pensiero fece scaturire ricordi dolorosi di lui e Camilla che si rotolavano sul quel pavimento dopo un’attenta ricostruzione della dinamica del delitto. Chiuse gli occhi, anzi li strizzò così forte da fargli addirittura male, e quando li riaprì si era già voltato in modo da non essere costretto a fissare il punto esatto del pavimento in cui erano finiti a fare l’amore come due ragazzini dagli ormoni incontrollabili.

Il problema era che ovunque posasse gli occhi non poteva evitare di pensare a lei, a loro, a cosa erano stati. O forse a quello che non erano stati, visto che per Camilla non si era mai trattato di un rapporto di coppia. Un forte attacco di nausea colpì Gaetano in pieno stomaco al ricordo di quella conversazione, se così si poteva chiamare, e proprio mentre Tommy si era rifatto vivo con un mano un piatto e una fetta gigante di torta al cioccolato. Torta al cioccolato. Boffi. Quel maledetto ananas e il suo fiore.

Lo sapeva. Sapeva che non avrebbe dovuto accettare quell’invito. Era come essere colpito da una serie continua di schiaffi in pieno a viso ad ogni passo, ad ogni pensiero. Si era lasciato convincere per Livia e forse anche per Tommy, al quale non voleva negare di mantenere un rapporto sereno con Camilla e la sua famiglia. Aveva già combinato abbastanza disastri in passato con la sua ex moglie: non voleva certo infliggergli altre dolorose separazioni.

Ma ora eccolo lì, nel mezzo del suo ex salotto con in mano una torta di Boffi che era impossibile da digerire sotto ogni punto di vista, per tutte le implicazioni che quella torta comportava.

Fu particolarmente grato a Potty che si riportò via Tommy, dandogli la possibilità di abbandonare quel piatto e rifugiarsi verso la finestra. Una boccata d’aria era quello che gli serviva. Si appoggiò al balcone lanciando lo sguardo oltre il cortile, verso quello che un tempo era il suo appartamento, quello che lo aveva accolto appena arrivato a Torino. Era stato felice lì, tutto sommato, almeno fino a quando non era arrivata Camilla a sconvolgere di nuovo la sua esistenza una mattina di settembre di oramai due anni prima.

Due anni.

Sembrava ieri, eppure erano passati già due anni. Di quella mattina ricordava il tuffo al cuore nel vedere quei due occhi marroni guardarlo dall’altra parte del cortile condominiale, il peso caricato sulle spalle che quasi cadeva ai suoi piedi e quella voglia matta di andare da lei, dirle che rivederla lo aveva riportato alla vita e baciarla. Sì, l’avrebbe baciata e senza chiederle il permesso questa volta, senza darle la possibilità di scivolargli via. Invece, si era trattenuto, come aveva sempre fatto, perché lui era così: la amava e proprio per questo non avrebbe mai accettato di averla se anche lei non ne fosse stata convinta. E così aveva aspettato, fino a quando un anno dopo aveva scoperto del tradimento di Renzo; e da lì a pochi mesi era accaduto quello che aveva sempre sperato: Camilla si era presentata da lui nel cuore della notte pronta ad accettare quel meraviglioso sentimento che era nato tra loro molti anni prima. O almeno questo era quello che aveva creduto allora. Oggi, solo come non si era mai sentito in quella casa sovraffollata, non poteva che constatare come era stato tutto solo un suo sogno, una sua fantasia.

Un sospiro, una lacrima che furtiva aveva lasciato il suo occhio e presto raccolta e nascosta con un rapido gesto della mano e, infine, il suo telefono che squillava. Torre.

Si guardò attorno rendendosi conto che non era possibile rispondere in quella baraonda; così, si diresse verso quella che mesi prima era stata la sua camera da letto attraversando l’intera stanza. Alle sue spalle Camilla stava abbracciando con tenerezza suo figlio.

***

Le passò accanto e lei ne avvertì il profumo.

Aveva ancora tra le braccia il piccolo Tommy, quando Gaetano attraversò la stanza passando a pochi centimetri da lei. Cosa avrebbe dato per poter allungare la mano e fermarlo? Stringere e farsi stringere da lui in un abbraccio? Anche davanti a tutti, non era un problema. Non più.

Lasciò la presa sul bambino per continuare a seguire con lo sguardo la figura di Gaetano che si allontanava in direzione del corridoio; conosceva a memoria quella casa e non perché ora ci abitava Livia. Quante volte lei aveva percorso quel corridoio abbracciata, anzi -meglio- avvinghiata a lui in un bacio così intenso da farle dimenticare tutto ciò che non era Gaetano ed il suo corpo stretto a sé? Non abbastanza! Adesso lo sapeva: non sarebbe mai stato abbastanza! Non le bastavano momenti con Gaetano, momenti come quello che stava vivendo ora guardandolo da lontano. No, lei desiderava tutto adesso. Voleva il pacchetto completo: una vita accanto a lui, con gli alti e i bassi che ne sarebbero derivati, con le gioie ed anche le incomprensioni, con i momenti di festa e quelli di rabbia. Voleva tutto ora e sapeva che non lo avrebbe avuto mai più. Quanta magia poteva esserci nel sedersi a tavola insieme per cena o sul divano per guardare un film? Non l’aveva mai capito. Non fino a quando quella magia le era stata portata via. Oddio, portata via…nessuno le aveva portato via nulla, aveva fatto tutto da sola. Questo era quello che le faceva più male: non avere nessuno da incolpare se non se stessa. Cosa che, peraltro, faceva regolarmente ogni mattina quando si specchiava e i segni della solitudine e della rassegnazione si mostravano evidenti sul suo volto.

Senza rendersene conto lo aveva seguito fino a quando la porta della camera da letto socchiusa davanti a lei non le bloccò la strada. Con la mano tremante afferrò la maniglia, indecisa fino all’ultimo se aprire o no, non sapendo con quale coraggio avrebbe potuto rimanere con lui in quella stanza che li aveva visti innamorati e felici.

Si infilò nella stanza senza fare rumore, restando vicina alla porta mentre Gaetano, di spalle, concludeva la telefonata.

-Va bene, Torre. Mandami l’indirizzo sul cellulare e vi raggiungo appena mi libero. No, tranquillo, va tutto bene. Se ti ho detto che va bene, vuol dire che va bene, no? Ok. Ok. Ci vediamo dopo. Ciao.

Terminata la conversazione, Gaetano si infilò il cellulare nella tasca dei pantaloni e tornò verso la porta, ma dopo un paio di passi dovette bloccarsi.

-Camilla!

La donna non rispose ma si limitò a sorridere abbassando lo sguardo. Sul volto di Gaetano si formò un ghigno divertito al pensiero che per una volta era riuscito a lasciare la professoressa Baudino senza parole.

-Scusami, ma devo andare- disse, infine, dopo averla fissata con la sua solita intensità, al punto che Camilla dovette di nuovo distogliere lo sguardo da quegli occhi azzurri che sapevano leggerle dentro meglio di chiunque altro al mondo

-Lavoro?

-Purtroppo sì.

Vedendo che Camilla non accennava a farsi da parte, Gaetano le indicò con la mano la porta nella speranza che cogliesse il senso del suo gesto senza dover aggiungere altre parole. Ma Camilla rimase immobile, anche se non gli era del tutto chiaro se fosse per caparbietà o solo perché in realtà la donna aveva lo sguardo perso nel vuoto.

-Camilla?- ogni volta che pronunciava quel nome sentiva una fitta lancinante al petto. Lo stesso valeva per la professoressa: nessuno riusciva a mettere tanta dolcezza e amore in quelle tre sillabe come il suo commissario.

-Scusa- disse lei prima di voltarsi ed andare a chiudere la porta a chiave alle sue spalle.

Gaetano la fissò indeciso se ridere o arrabbiarsi per quel sequestro di persona improvvisato.

-Lo sai che il sequestro di persona è un reato?- chiese il vicequestore optando per mantenere un tono leggero. Del resto, con lei aveva già urlato talmente tante volte che si sentiva sfinito, svuotato. E il pensiero di ricominciare con le discussioni, proprio alla festa di Livia con tutti quegli ospiti a pochi metri, lo convinse a tenere dei toni più amichevoli.

-Correrò il rischio- ribatté la donna che sembrava aver ripreso un po’ del cipiglio dei tempi migliori. -Ho bisogno di parlarti e, devi ammetterlo, in altre circostanze non saresti tanto disponibile nei miei confronti.

Camilla interpretò il silenzio di Gaetano come un incentivo a continuare.

-Ho riflettuto molto su tutto quello che ci siamo detti. Beh, più che altro su quello che TU hai detto- rimarcò la donna senza però alcun accenno di rimprovero nella voce. -E alla fine sai cosa ho concluso?

L’uomo scosse il capo: voleva sapere e non voleva sapere. Ogni volta che negli ultimi dieci anni Camilla si era fatta un esame di coscienza era sempre stato lui a farne le spese, visto che puntualmente lei tornava dal marito lasciandolo solo e con il cuore a pezzi.

-Hai ragione. Hai completamente e assolutamente ragione. Mi sono comportata malissimo e se ci fossero parole più incisive e forti per definire il mio comportamento degli ultimi mesi le userei, stanne certo. Ho sbagliato con Renzo: sapevo che i suoi erano patetici tentativi di separarci e di metterci i bastoni tra le ruote e io gliel’ho permesso. Il perché? Non lo so. Forse mi faceva pena, forse non volevo vedere la realtà, forse era solo per Livietta. Non ne ho idea. E anche se adesso probabilmente non conta nulla ti chiedo scusa, per tutte le interruzioni, provocazioni e accuse che hai dovuto sopportare. Era compito mio mettergli un freno, non tuo, e io non l’ho fatto.

-Camilla…non importa. Ormai le cose sono andate così- la interruppe Gaetano. Sentire quelle parole…erano pace e tormento insieme! Quante volte avrebbe voluto sentirle! Ma ora…ora erano inutili! Con tutto quello che era capitato, erano solo una goccia in mezzo all’oceano.

-Importa, invece! Può darsi che tu non…che per noi sia troppo tardi- disse Camilla, un nodo in gola che quasi la soffocava, ma non poteva certo demordere proprio ora. -Ma io ho bisogno che tu sappia. E forse sarà un atteggiamento egoistico da parte mia, ma…ne ho bisogno, capisci?

Gaetano si limitò ad annuire: non se la sentiva di negargli quello sfogo, quando anche lui nelle settimane precedenti ne aveva approfittato per lasciare esplodere la sua rabbia proprio verso di lei.

-Poi è arrivato Michele. Un errore enorme. E l’ho capito subito, sai? Che non dovevo farmi coinvolgere, che non sarebbe finita bene. L’ho capito quando mi ha baciata a tradimento…

-Lui cosa?- non poté evitare di sibilare Gaetano avvicinandosi a lei e afferrandola per le spalle. Poi accortosi di quel contatto, si staccò con una rapidità sorprendente che ferì Camilla più della delusione e della amarezza che riusciva a intravedere in quegli occhi azzurri.

-Non l’ho voluto io- si affrettò a precisare, ma dall’espressione corrucciata di Gaetano comprese di aver sbagliato la scelta di parole. -Non è una giustificazione. Ho sbagliato, avrei dovuto dirgli che ero impegnata con un altro. Con te.

-Beh, stando a quello che mi hai detto, tu non ti sei mai considerata impegnata con me- il rancore ancora affiorava dal tono di voce del commissario.

-E’ vero. E credimi, se qualcuno mi raccontasse tutto quello che ho fatto e detto nelle ultime settimane, non ci crederei, non mi riconoscerei.

-Però queste cose le hai dette e le hai fatte- puntualizzò Gaetano.

-Giusto…ma sto cercando di sistemare i danni che ho fatto. Ho chiuso con Michele.

Quella che ebbe Gaetano non era esattamente la reazione che Camilla si era aspettata.

-Quindi, è vero. Stavate insieme. Mi hai mollato per metterti con lui- disse Gaetano passandosi una mano tra i capelli con rabbia.

-NO! NO! Io non…io volevo solo dire che gli ho detto di non cercarmi più perché non potevo dargli quello che lui voleva da me. Non ho mai pensato di stare con altri se non che con te, devi credermi.

-Ma noi stavamo insieme, Camilla. O comunque tu voglia definire il nostro rapporto. C’era qualcosa, ma tu l’hai buttata via.

-Avevo solo bisogno…

-…di tempo, me lo hai ripetuto un sacco di volte- esclamò il vicequestore esasperato. Quella conversazione non stava portando a nulla se non a rivangare i momenti più bui della sua vita. Doveva andarsene da lì.

-Ed è qui che ho sbagliato. Voglio dire, avevo bisogno di tempo ma non sono mai riuscita a spiegarti il perché. Tu hai sempre pensato che io avessi bisogno di tempo per lasciarmi alle spalle Renzo, il mio passato, il mio matrimonio, ma non è così. Non solo almeno. Avevo bisogno di tempo per lasciarmi alle spalle noi- disse indicando prima se stessa e poi il commissario.

-Che diavolo stai dicendo, Camilla? Ti rendi conto che non ha senso?

-Invece ce l’ha e se solo io te ne avessi parlato prima, adesso non… E’ che io avevo paura di tutto quello che eravamo stati per dieci anni, delle tue aspettative, dell’idea che ti eri fatto di me, di noi. Avevo paura di quello che desideravi, della tua visione del futuro. E sì, tu correvi. Hai corso da morire. E io invece volevo fare un passo alla volta.

Gaetano esplose in una risata sarcastica: -Quindi mi hai lasciato per colpa mia? Perché ti ho amato per troppo tempo? Perché ti ho aspettata?

-No! Io non ho mai voluto lasciarti…

-…non era quello che intendevi fare in ospedale?

-No!- urlò Camilla sull’orlo della disperazione. Doveva chiarire le cose con Gaetano ma sembrava solo averle peggiorate.

-Senti, Camilla, non importa, d’accordo? Oramai non conta più quello che volevi o che non volevi. E a dirla tutta le cose tra noi non andavano già da prima di Michele e a prescindere da Renzo.

-Che intendi dire?- chiese preoccupata.

-Il problema è un altro, Camilla. Il fatto è che io ti amavo mentre tu no. E questo non sarebbe cambiato con il tempo: se non ti sono bastati dieci anni di corteggiamento, non credo che qualche settimana o qualche mese avrebbe cambiato le cose, non credi? Tutto sommato è meglio che sia andata così: era inutile andare oltre, ci saremmo solo fatti ancora più male.

Il tono disilluso ed arrendevole di Gaetano spaventò Camilla più delle urla delle ultime settimane. Si era davvero buttato tutto alle spalle? Credeva davvero che tra loro non c’era alcun futuro? Si sbagliava. Se era così, si sbagliava di grosso. Per loro c’era un futuro, c’era sempre stato, se non fosse stato per la sua stupidità e codardia.

-Ti sbagli- disse improvvisamente seria e dura.

-Mi sbaglio?

-Sì. Ti sbagli.

-Su cosa mi sbaglio?- chiese Gaetano, il tono più basso e quasi roco, le iridi dilatate e il respiro affannato. Tutti segnali che Camilla riconduceva a momenti molto particolari, intimi e meravigliosi.

I suoi occhi scuri rimasero fissi in quelli limpidi di Gaetano, altrettanto impassibili ed allo stesso tempo inquieti.

-Io ti amo, Gaetano.

Lo aveva detto. Ancora non riusciva a crederci. Glielo aveva detto. Quattro parole così semplici, eppure così grandi. E le erano uscite naturali e spontanee, come aveva sempre desiderato. Lo amava da sempre e ora anche lui lo sapeva: e se ora se ne fosse andato ancora una volta, almeno lo avrebbe fatto nella consapevolezza di quelli che erano i suoi veri sentimenti. Del resto, quale era stata la loro terza regola? Nessun rimpianto? Ora non ne avrebbe avuto nessuno.

-Io ti amo. Moltissimo, in realtà. Troppo, forse. Da farmi paura, di sicuro. Ed è così da dieci anni a questa parte. E non lo sto dicendo perché ho paura di perderti, ma perché è la verità. Mi sono sempre comportata da ipocrita e da codarda con te…oddio, ti devo anche essere sembrata pazza o afflitta da personalità multipla più di una volta. Ti volevo, ti attiravo a me e poi scappavo. E so di averlo fatto spesso, ma quando arrivavo al punto di lasciare tutto per te, venivo colta dal panico. C’era Livia a cui pensare e non potevo essere egoista. Non potevo ferirla o deluderla. Invece, deludere te mi sembrava…accettabile, direi. Anche se questa parola non mi piace.

Camilla era ormai un fiume in piena: tutto quello che si era tenuta dentro per anni aveva trovato finalmente il modo di uscire e nemmeno volendo avrebbe potuto fermare lo scorrere dei suoi sentimenti. Gaetano doveva sapere che tutto quello che lui aveva provato, era anche quello che aveva sentito lei nel profondo. Non si era immaginato tutto, non lo aveva sognato. Lei era parte di quel rapporto da molto tempo, tanto quanto lui, ma si era sempre tirata indietro.

-Quando sono venuta da te quella notte era perché lo volevo, sul serio. Ed è stato il momento più bello della mia vita, come quando è nata Livia. Le prime settimane sono state un sogno, come non pensavo più di poter vivere. E poi…

-Poi?- Gaetano riuscì finalmente ad aprire bocca. Durante la confessione di Camilla, non aveva mai smesso di osservarla, deciso a sapere tutto, a conoscere tutto quello che si agitava nel cuore della donna.

-Poi il panico. Il blackout. La paura di non poter reggere il confronto con dieci anni di aspettative, il terrore che ti saresti stancato di me e che non sarei mai stata all’altezza dell’idea che ti eri fatto di me, di noi. E c’era Livia: il matrimonio, la gravidanza. Aveva bisogno di me più che mai e io invece mi sentivo così assorbita da te, così presa da noi. Mi sembrava ingiusto non dedicarle tutto il tempo di cui aveva necessità.

-E così, ancora una volta dovevo rimetterci io?

Camilla distolse per un secondo lo sguardo con aria colpevole.

-Lo so, ho sbagliato. Ancora.

-Già. Beh…poi però Livia è partita e tu hai continuato a darmi buca. Per Renzo. Mi hai urlato contro in mezzo a Torino dicendo che ero un bambino e che era tutto frutto della mia fantasia…e poi…poi Michele, come la ciliegina sulla torta. Eri tutta contenta di averlo incontrato di nuovo. I tuoi vent’anni…e io…di nuovo messo da parte, di nuovo in secondo piano.

Camilla si sentiva schiacciata dal peso dei suoi errori: sapeva di averli commessi e sapeva che Gaetano aveva le sue buone ragioni per avercela con lei, ma in fondo sperava che dopo quella dichiarazione d’amore lo avrebbe trovato più disponibile, malleabile. Invece, sembrava ancora più arrabbiato o deluso.

-Gaetano, so di aver fatto tantissimi errori, ma vorrei che tu capissi che se potessi darei qualunque cosa per tornare indietro e cambiare le cose.

-Lo so, Camilla. Ti credo. Credo a tutto quello che hai detto e se da una parte ne sono felice, dall’altro non fa altro che confermare i miei dubbi e le mie paure- affermò Gaetano, lo sguardo triste e rassegnato all’inevitabile epilogo di quella conversazione. -Il problema è che…che adesso…io non riesco più a fidarmi di te. Per un motivo o per un altro, anche se mi ami, anche se dici che per te sono importante, c’è sempre qualcosa o qualcuno che conta più di me.

La donna ascoltò le ultime parole come una condanna a morte: si era aperta completamente con lui, gli aveva confessato tutto quello che aveva provato sin dall’inizio della loro storia, eppure sentiva che lo stava perdendo.

-Non…non è così, te lo assicuro- le lacrime ormai le impedivano di scorgere nettamente i contorni del volto di Gaetano, ma poteva immaginare la sua espressione dura e malinconica.

-Camilla, per favore…non continuiamo a mentirci. Forse ci amiamo, ma non siamo destinati a stare insieme. È meglio così, per entrambi.

Camilla avrebbe voluto urlare che no, non era meglio così, non per lei almeno. Lei doveva stare con lui. Ne aveva un assoluto e disperato bisogno, ma lui sembrava rassegnato e pronto per un addio.

Gaetano le sfiorò una guancia con la punta delle dita portandosi via alcune di quelle lacrime che ormai scendevano senza più controllo.

-Devo andare, adesso. Torre…- disse, infine, il commissario con tutta la dolcezza di cui era capace. Era la fine, lo sapeva, ma non voleva essere duro con lei; del resto, lo aveva capito, non era tutta colpa di Camilla: era più forte di lei sacrificare se stessa e la sua felicità per il bene degli altri. Il punto era che a lei questo poteva andare anche bene, ma a lui no. Non più.

Non ottenendo alcuna risposta, Gaetano girò attorno a Camilla dirigendosi verso la porta, ma prima di poter ruotare la chiave nella serratura, si sentì afferrare per il gomito. Si voltò e incrociò lo sguardo fiero e disperato della sua professoressa, prima di essere attirato a lei in un bacio inaspettato. Un mano tra i suoi capelli e l’altra saldamente ancorata al suo gomito, Camilla lo teneva stretto a sé. Quelle labbra morbide e calde si schiusero non appena lei glielo chiese con gentilezza; aveva dimenticato la sensazione della barba dell’uomo sulla sua pelle, mentre lo assaporava con una dolcezza che si stava trasformando fin troppo rapidamente in passione. Quella assoluta e devastante che li aveva colti più di una volta proprio in quella stanza. Il corpo di Gaetano reagì d’istinto agli impulsi che riceveva da quello di Camilla: le afferrò il volto con entrambe le mani, approfondendo quel contatto sempre più famelico fino a restare senza fiato. La sentì gemere quando le sue mani percorsero la schiena della donna dirigendosi con lentezza studiata verso territori pericolosi per entrambi; la risposta di Camilla fu inequivocabile, andando a stringersi ancora più contro il corpo possente ed accogliente di Gaetano finendo con il far aderire ogni centimetro del suo corpo a quello dell’uomo. Le mani vagavano liberamente tra quei capelli mentre le labbra di Gaetano si spostavano dalle sue verso il collo percorrendolo con venerazione. Camilla sospirò così vicino all’orecchio di Gaetano da provocare in lui una raffica di brividi che lo attraversarono come una scarica elettrica: tutto il suo corpo era rapito da lei, dai suoi sospiri e dalle sue mani.

-Gaetano- mormorò la donna quando con la lingua del commissario raggiunse un punto particolarmente sensibile nell’incavo del collo.

Fu questo a risvegliare Gaetano dalla nebbia in cui era piombato dal momento in cui le labbra di Camilla si erano posate sulle sue.

-Non…non posso- disse a fatica, allontanandosi da Camilla.

-Gaetano…

-Camilla- disse accarezzandole una guancia -non è così che risolveremmo i nostri problemi. Torneremmo ancora al solito punto e io non posso attraversare ancora tutto questo di nuovo. Non ce la farei.

Riaccompagnò una ciocca ribelle dietro l’orecchio di Camilla; poi, dopo un casto bacio in fronte, senza aggiungere altro, uscì dalla stanza lasciando dietro di sé Camilla che, senza più un sostegno, si lasciò crollare a terra in lacrime.

 

 

Angolo dell’autrice:

dunque…non so se era quello che vi aspettavate però non me la sono sentita di chiuderla qui. Sarebbe stato troppo riduttivo per Gaetano. Camilla ha fatto il grande passo di ammettere i suoi sentimenti, e fidatevi Gaetano ne terrà conto. Ma ci sono ancora degli step che devono essere affrontati e superati. E poi io in effetti credo che Camilla debba innanzitutto capire che le esigenze del suo compagno (prima Renzo e ora Gaetano) sono importanti tanto quanto tutto il resto; in questo l’ex marito ed il commissario sono uguali: entrambi messi da parte per esigenze superiori e questo non va bene in un rapporto, tanto da aver prima compromesso il matrimonio e ora la storia con il commissario.

Spero comunque vi sia piaciuto anche se non c’è ancora stata una riconciliazione totale.

A presto.

 

 

 

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Capitolo 9
*** Quando meno te lo aspetti ***


QUANDO MENO TE LO ASPETTI

Erano passate un paio di settimane dalla festa a casa di Livia.

Nella testa di Camilla ancora rimbombavano come un disco rotto le ultime parole di Gaetano: “non posso più fidarmi di te”. E come dargli torto? Visti attraverso gli occhi del commissario, i suoi errori apparivano ora in tutta la loro gravità ed enormità. Lo aveva sempre messo in secondo piano, a detta di Gaetano. In realtà, lei non la vedeva nello stesso modo: sì, era vero, a volte aveva dato la precedenza a Livia, ai suoi studenti, a Renzo e sì…anche a Michele, ma lo aveva sempre fatto per una buona causa. La famiglia o la giustizia. Questo Gaetano sembrava non comprenderlo.

Ma a chi voleva darla a bere? Il fatto era che Camilla era sempre stata sicura che qualunque cosa fosse accaduta Gaetano ci sarebbe sempre stato. Questa era la verità. Sapeva di averlo trascurato in alcune occasioni, perfino di averlo ferito (e come dimenticare lo sguardo deluso e carico di rancore che lui le aveva lanciato quando aveva fornito quell’alibi fasullo a Michele), ma mai per un solo istante aveva pensato che lui avrebbe potuto allontanarsi. Fino a lasciarla. Fino a smettere di amarla. Non aveva mai preso in considerazione questa possibilità, nemmeno una volta.

Invece, era esattamente ciò che era appena accaduto. Oddio, Gaetano non aveva mai detto di aver smesso di amarla, anzi. Quel bacio le aveva dimostrato semmai il contrario: lui la desiderava come e più di prima, ma non era più disposto a scendere a compromessi, a dover rinunciare a una parte di lui pur di stare con lei. Era un uomo orgoglioso, lo era sempre stato, ma quando si trattava di lei in qualche modo riusciva ad abbassare le sue difese e a dimenticarsi del proprio ego; lo faceva per amore, solo per amore, e lei aveva preso quel gesto di amore puro e lo aveva buttato al vento. Come aveva fatto a non vedere i segnali della sua frustrazione? Come aveva potuto sottovalutarli così a lungo? Era stata cieca, o forse semplicemente aveva preferito non vedere, per non doversi interrogare sui suoi sentimenti ed essere costretta a trovare una risposta.

Sospirò e si rese conto che il tram sul quale era salita una manciata di minuti prima l’aveva portata a destinazione. Prenotò la fermata e discese pochi istanti dopo. Le temperature miti di fine settembre invogliavano ad una passeggiata, cosicché Camilla decise di allungare il proprio percorso pedonale attraverso il grande parco che si trovava nelle vicinanze del tribunale. Del resto, camminare l’aveva sempre aiutata a pensare. Non che poi i risultati fossero sempre dei migliori, in effetti: proprio al termine di una passeggiata in centro Torino aveva deciso di fare la nonna “single ed indipendente”. Che stupida!

Il cellulare suonò nella sua tasca. Quando lo estrasse, per un secondo sperò di veder comparire sullo schermo il nome di Gaetano, come le accadeva spesso di fantasticare negli ultimi giorni. Cosa che ovviamente non si era mai verificata. Lui si era ripreso i suoi spazi, la sua vita; lei aveva perso tutto.

-Pronto, Renzo. Dimmi. Come anticipata? Ma quando? Adesso? No. No. Sto arrivando.

Camilla chiuse la conversazione in fretta e furia, mettendosi poi a correre verso il tribunale. L’ultima cosa che voleva era arrivare di nuovo in ritardo all’udienza per la separazione! Ricordò con amarezza quando a causa di Michele aveva perso completamente la cognizione del tempo: in un solo istante aveva dato speranze a Renzo e Michele, togliendole di nuovo all’unico uomo che era alla disperata ricerca di qualche certezza da parte sua.

A quel pensiero le gambe si mossero più velocemente: non era mai stata una sportiva e l’età non aveva fatto altro che peggiorare la sua condizione atletica, ma la rabbia verso se stessa le infondeva quelle energie che mancavano al suo corpo da cinquantenne.

Arrivò all’ingresso del Palazzo di Giustizia trafelata, tanto che le guardie poste a sicurezza dell’edificio ritennero opportuno un doppio controllo.

-Vi prego, sono in ritardo. Ho l’udienza per la separazione- riuscì a dire tra un respiro e l’altro. I polmoni le bruciavano, ma nulla l’avrebbe mai fatta arrivare in ritardo questa volta.

I due energumeni all’ingresso si scambiarono un cenno d’intesa e non avendo notato nulla di strano lasciarono passare la donna. Camilla si lanciò verso il corridoio alla sua destra salendo le scale due a due, fino a quando inevitabilmente le forze le vennero a mancare così come il fiato, finendo con l’inciampare proprio all’ultimo gradino; cadde carponi battendo il ginocchio sinistro contro il duro rivestimento della pavimentazione del tribunale.

-Ahi- ululò afferrandosi l’arto e controllando che almeno i pantaloni fossero usciti integri da quello scontro frontale.

-Tutto bene, signora?- le chiese una voce assurdamente familiare. Le sembrò di essere in uno di quei sogni che popolavano le sue notti ormai da tempo, uno di quelli in cui Gaetano compariva all’improvviso quasi come il principe azzurro delle favole per soccorrerla in un momento di pericolo. Di solito nei suoi sogni si trovava sempre invischiata in un rischiosissimo caso di omicidio e il suo commissario arrivava ogni volta giusto in tempo per salvarla dal malintenzionato di turno che voleva colpirla a morte; e ovviamente, come nel più classico degli scenari romantici, davanti alla prospettiva di perderla per sempre, Gaetano non poteva che rendersi conto di amarla ancora alla follia e di non poter vivere senza di lei.

Sogni, appunto.

Nella realtà lei si trovava quasi spalmata sul pavimento gelido del tribunale di Torino con un ginocchio sicuramente in procinto di gonfiarsi quanto una palla da calcio e con la sua dignità finita sotto i piedi.

-Camilla!- esclamò Gaetano, quando si rese conto che sotto quella cascata informe di riccioli c’era la sua professoressa. Dopo il primo istante di stupore, l’uomo si accovacciò accanto a lei, per controllare cosa fosse successo e l’entità del danno. -Tutto bene?

Camilla faticò a trovare il coraggio per incrociare quegli occhi azzurri, che le sembravano così sereni anche dopo settimane di assoluta e totale lontananza. Evidentemente lui stava bene nella sua nuova situazione di single, libero ed indipendente.

-Sì, sono solo caduta.

-Eh…l’ho sentito- rispose Gaetano con quel suo solito sorriso sornione dipinto in viso.

-L’hai sentito?

-Già. Il tuo ginocchio ha fatto un bel rumore su questo marmo- confermò l’uomo che per sincerarsi delle condizioni di Camilla esaminò il ginocchio controllando se vi fossero danni rilevanti.

Una sensazione di déjà vu per entrambi: anni prima a Roma, sul letto di una certa professoressa che aveva avuto la folle idea di buttarsi quasi sotto un’auto in corsa per salvare un suo alunno. Solo guardandosi negli occhi seppero che stavano pensando esattamente alla stessa cosa; ma se a Camilla sfuggì un sorriso, per Gaetano la reazione fu diametralmente opposta: quell’espressione rilassata che aveva caratterizzato le prime battute di quel loro incontro lasciò il viso del commissario, presto sostituita da una maschera di imbarazzo e di disagio mal celato.

-Ti aiuto ad alzarti- tagliò corto l’uomo afferrando la mano di Camilla nella propria e non potendo evitare, suo malgrado, di sentire un brivido corrergli lungo la schiena. Raccolse la borsa lasciata a terra dalla donna e gliela porse senza mai tornare a guardarla negli occhi.

-Sei sempre il solito cavaliere, Berardi.

Una voce da donna, che suonò alle orecchie di Camilla come fastidiosamente affascinante e complice nei confronti di Gaetano, spezzò il silenzio che era calato tra il commissario e la professoressa. Quando Camilla alzò lo sguardo dovette ammettere che, per quanto la voce le fosse sembrata intrigante, l’aspetto della proprietaria era anche meglio: alta, non classicamente magra né perfetta, ma con le forme al posto giusto, grandi occhi azzurri (ma non come quelli di Gaetano o di Livia, bensì di un azzurro quasi finto, come colorato con i pastelli dei bambini nei loro semplici ritratti) e lunghi capelli mossi di una tonalità indefinibile ma naturale ed armoniosa tra il castano ed il biondo. Insomma, una di quelle donne che non possono essere definite una “barbie” in carne e ossa, ma che compensano alcuni piccoli difetti con una personalità ed una eleganza che traspare nelle piccole cose, anche senza parlare; in altre parole, la fidanzata perfetta per qualsiasi uomo con un briciolo di cervello e la nemica peggiore per ogni donna come Camilla.

-Sono pronta per il nostro caffè, Gaetano- riprese la nuova arrivata, giungendo al fianco del commissario e sfiorandogli con un gesto del tutto spontaneo il braccio. Poi, notata l’espressione perplessa dell’uomo e anche della donna sconosciuta, continuò: -Tutto bene, signora? Si è fatta male?

-No! no!- si affrettò a precisare Camilla, quasi seccata dall’essere stata colta con quella smorfia di confusione ed imbarazzo che di certo aveva fatto capolino sul suo volto. –Sono inciampata nell’ultimo gradino. Andavo di corsa. Ma Gaetano mi ha aiutata.

-Gaetano?- chiese la donna con un tono sorpreso in quella voce armoniosa. –Voi vi conoscete?

Il commissario sembrò sospirare a quella domanda, mentre Camilla si affrettò a trovare una risposta che non mettesse in difficoltà nessuno dei presenti: non voleva fare la parte della ex gelosa (perché, anche se gelosa lo era eccome, non era sicura che potesse permettersi di definirsi propriamente una ex) ma nemmeno fingere che tra lei e Gaetano non ci fosse mai stato nulla.

-Sì. Sì. Noi siamo…ecco, noi siamo…- per la prima volta Camilla si rese conto quanto scomodi fossero stati i panni di Gaetano negli ultimi mesi. Quante volte gli era capitato di dover rispondere alla domanda su quali fossero i suoi rapporti con Camilla? Lui non aveva mai saputo cosa rispondere, in effetti, e probabilmente aveva sempre sperato che lei, la professoressa di lettere abile con le parole, intervenisse e sbrogliasse quella matassa al posto suo. Ma lei era sempre stata in silenzio. Anche quando lui si era definito un amico adottato. E pensare che lui glielo aveva pure chiesto espressamente: cosa siamo noi due? La risposta? Non due amici, ma nemmeno una coppia.

Adesso toccava a lei rispondere a quella domanda, trovare una definizione per il loro rapporto e ancora non sapeva cosa dire. Incrociò lo sguardo di Gaetano e capì che quell’ulteriore indecisione lo stava ferendo esattamente come era capitato mesi prima in ospedale; si sentì sprofondare una volta di più in quelle sabbie mobili in cui lei stessa da sola si era andata ad infilare.

-Camilla ed io siamo vicini di casa. O meglio, siamo stati vicini di casa. Mi sono trasferito poco tempo fa; te ne ho parlato, ricordi?- precisò Gaetano, un tono di voce indefinibile, quasi come se la questione non lo interessasse minimamente. Camilla non seppe decidere se le fece più male quel tono o le parole che aveva usato. Vicini di casa, nemmeno amici. Sapeva di meritare quella freddezza, quel distacco, ma non poteva comunque impedirsi di soffrire.

-Oh, capisco. Quando si dice che il mondo è piccolo- commentò la donna, ma senza traccia di malizia o di cattiveria. Poi, notando che nessuno si decideva a muovere un passo, riprese: -Io sono la dottoressa Giorgia Colucci, sostituto procuratore del Tribunale di Torino.

Allungò la mano ed intercettò quella gelida di Camilla.

-Professoressa Camilla Baudino. Piacere di conoscerla.

-Professoressa? Non la invidio. Un lavoro difficilissimo di questi tempi.

-Beh, credo che il suo sia anche peggio- si schernì Camilla, da sempre geneticamente incapace di incassare un complimento senza dover opporre una strenua resistenza.

-Sì, forse, ma al giorno d’oggi non saprei dire se sia più facile avere a che fare con i delinquenti o con degli adolescenti in fase ormonale. Lei dove insegna?

-Al Nelson Mandela.

Lo sguardo della Colucci non ebbe bisogno di interpretazioni; al contrario, Camilla ormai riconosceva quell’espressione tra il sorpreso e il dispiaciuto che vedeva sui volti dei suoi interlocutori quando comunicava il nome dell’istituto presso cui lavorava.

-Lo so, la peggior scuola di Torino, probabilmente.

-No, non è questo- intervenne la donna, per nulla presa in contropiede. –In realtà, adesso che ci penso il suo nome non mi suona nuovo. Professoressa Baudino, Mandela…non c’è stato un caso il settembre scorso che riguardava uno studente del Mandela?

-Sì, esatto. Denis. Era un mio allievo.

-Denis! Sì, mi ricordo! Povero ragazzo! Succube della personalità dominante e deviata del fratello Mirko. Una brutta situazione: ho fatto il possibile per fargli avere tutte le attenuanti del caso e il minimo della pena. In casi come questo bisogna fare di tutto per evitare che questi ragazzi finiscano nella rete della giustizia, altrimenti invece che recuperarli li perdiamo del tutto.

Camilla la odiava. O meglio, avrebbe voluto odiarla, ma proprio non ci riusciva: era in una parola perfetta e non solo fisicamente, ma più di tutto professionalmente. Gentile, coscienziosa, scrupolosa ed intelligente. Praticamente imbattibile.

-Beh, grazie. Non sta a me dirlo, lo so, ma grazie anche da parte mia. Denis è un bravo ragazzo; è stato solo sfortunato con il fratello. Sono felice che sulla sua strada abbia incontrato, nonostante tutto, qualcuno di così comprensivo.

-Si figuri. Comunque non deve ringraziare me, ma Gaetano. È stato particolarmente convincente nel difendere quel ragazzo. Anzi, a pensarci bene credo che abbia fatto più lui per Denis che l’avvocato; non ho ancora capito se tu, Berardi, rappresentavi l’accusa o la difesa!- rispose con il sorriso sulle labbra ed uno sguardo di ammirazione verso l’uomo che fece vacillare Camilla.

Doveva essere lo stesso sguardo che anche lei per prima gli aveva rivolto tante, troppe volte. E adesso vedere quell’espressione sul volto di un’altra donna, una donna migliore di lei sotto tanti di quei punti di vista che non riusciva a tenerne il conto, la faceva impazzire. E se Gaetano si fosse accorto di lei? Se avesse deciso che era ora di andare avanti e di dimenticarla rifacendosi una vita con un’altra? Magari proprio quella Colucci?

-Beh…io…io dovrei andare. Scusate- biascicò Camilla nel vano tentativo di allontanarsi da lì prima di dire o fare qualcosa di irreparabilmente stupido.

-Giusto. Era di fretta, mi scusi lei, professoressa, per averla trattenuta. Senta, se mi dice chi deve incontrare, l’accompagno io…e chiederò scusa per averla fatta arrivare in ritardo.

Il sorriso gentile della donna fu la causa di un’ulteriore stretta al cuore per Camilla. Le sembrava di essere all’inferno, quello dantesco, dove tutti i peccatori si ritrovano a dover espiare a vita le proprie colpe seguendo la legge del contrappasso: incontrare la donna perfetta per Gaetano doveva essere la sua legge del contrappasso. E proprio nel giorno in cui si separava da suo marito, proprio nel giorno in cui finalmente stava facendo quel passo che Gaetano le aveva richiesto per tanto tempo. Chiunque ci fosse dietro quella macchinazione era davvero diabolico.

-Non voglio disturbarla, davvero. E poi credo di essere arrivata. Se non sbaglio l’ufficio del giudice Ippolito è quello in fondo al corridoio- rispose Camilla, pregando che la voce le rimanesse ferma e non rivelasse quanto in quel momento si sentisse debole e fragile.

-Ippolito? E’ sicura?

-Io…sì…l’ultima volta ricordo di essere stata qui per la separazione.

A quella frase Gaetano sembrò riprendere vita improvvisamente. Separazione? Si era forse decisa alla fine? Certo, pessimo tempismo, almeno per lui! Se tutto questo fosse accaduto anche solo qualche mese prima ora le cose potevano essere molto diverse tra loro. Preferì non pensarci e fingere che la notizia della separazione oramai imminente non lo colpisse affatto.

-Oh, mi…mi dispiace. Comunque il dottor Ippolito non è su questo piano. Non è nemmeno in questa ala del palazzo a dire la verità. Questa è la sezione penale. Ippolito è in quella civile.

-Oddio, no! Non posso arrivare tardi di nuovo. Mi ammazzerà- mugugnò Camilla alla ricerca del cellulare per avvertire Renzo del disguido.

-Chi? Ippolito? Probabile…- sorrise la donna. Poi tornata seria riprese: -Senta, la mia offerta è ancora valida. Se vuole l’accompagno io. Anche se non frequento la sezione civile, so dove trovare i miei colleghi. E conosco qualche scorciatoia.

La Colucci rimase in attesa di una risposta di Camilla, divisa tra due fuochi: il desiderio di allontanarsi da miss perfezione all’istante e la necessità di un aiuto per non perdere anche questa udienza per la separazione.

-Ok…va bene. Non so come ringraziarla, in effetti.

-Si immagini, per così poco!

Fecero i primi tre scalini, Gaetano accanto alla pm e Camilla alle loro spalle, che li osservava nella speranza di cogliere qualche indizio sul tipo di relazione esistente tra i due, quando un uomo basso ma corpulento si avvicinò alla Colucci sussurrandole qualcosa all’orecchio.

La donna annuì prima di voltarsi verso Camilla: -Mi scusi ma sono stata chiamata per una sostituzione urgente da un collega. Non posso proprio rifiutare o rimandare.

-Certo, la capisco! Grazie comunque per la cortesia.

-Ci mancherebbe- rispose allungando di nuovo una mano verso Camilla per poi stringerla con gentilezza. In seguito riprese: -Per il nostro caffè, dobbiamo rimandare, Berardi. Ma guarda che non me lo dimentico.

-Ci conto- replicò il commissario, il suo solito sorriso cortese dipinto in viso. Camilla avrebbe voluto sprofondare: va bene tutto, ma anche assistere al corteggiamento tra quei due era troppo!

-Ah, Gaetano, visto che sei tanto cavaliere, perché non accompagni tu la professoressa da Ippolito. Sono sicura che ti ricordi la strada!- disse infine la Colucci prima di allontanarsi in direzione del suo ufficio.

Gaetano sembrò dover ingoiare un boccone molto amaro. Si voltò verso Camilla, sorrise, ma di un sorriso molto diverso dal precedente, forzato e malinconico.

-Certo, con piacere. Andiamo?- chiese poi rivolto a Camilla e facendole segno con la mano di proseguire con la discesa delle scale.

Rimasero in silenzio per tutta la rampa fino ad arrivare di nuovo nell’atrio; qui Gaetano la prese con delicatezza per un gomito e la costrinse a seguirlo lungo un corridoio affollato.

Fu quella confusione a ridonarle in coraggio di aprire bocca, ora che erano soli, ora che lei poteva dire tutto quello che le passava per la testa senza dover sottostare al giudizio di quella donna ai suoi occhi perfetta.

-E come mai tu conosci Ippolito?- il tono non era dei più amichevoli e Gaetano lo notò subito.

-Mi ha dato qualche dritta quando ho deciso di rivedere i termini dell’affidamento di Tommy. Insomma, mi ha detto cosa potevo e dovevo aspettarmi. È stato molto gentile con me.

-Capisco.

Giunsero infondo al corridoio e svoltarono a destra. Nuova rampa di scale, ma questa volta molto meno affollata.

-E la Colucci? Quella da quando la conosci?- ora il tono era sull’ostile andante, anzi sul geloso marcio per la precisione, e di nuovo Gaetano se ne rese conto, ma questa volta a Camilla sembrò di vederlo sogghignare all’angolo della bocca.

-Che c’è da ridere?

-Non sto ridendo- replicò l’uomo tornando a farsi serio.

-Stavi ridendo.

-Ti dico di no.

-Sarà, ma ancora non mi hai detto come fai a conoscere così bene questa Colucci.

-E’ un pm del Tribunale di Torino. Secondo te, Agatha Christie, come mai la conosco?

Il riferimento alla scrittrice di gialli fece avvampare Camilla che tenne lo sguardo ben puntato verso i suoi piedi (con il vantaggio, tra l’altro, di evitare una nuova caduta). Però di una cosa era certa: adesso Gaetano stava davvero sorridendo. Questo le fece piacere: almeno un po’ della loro innata complicità era rimasta, dopotutto.

-Ok, domanda stupida. Ma mi è sembrato di capire che non vi siete limitati ad un rapporto professionale, visto come ti parlava e ti…guardava- le costava una fatica tremenda ammetterlo, ma del resto neanche uno stupido avrebbe potuto negare l’evidenza.

-Mi stai forse chiedendo se ci sono andato a letto?

La domanda diretta di Gaetano la spiazzò, tanto più che lui la bloccò per poterla guardare negli occhi mentre la poneva. Camilla deglutì vistosamente in imbarazzo: cavolo, non era sicura di voler conoscere la risposta, eppure aveva di fatto provocato quella domanda con la sua osservazione di poco prima.

-Io…non…non…mi interessa…- balbettò, ma quando Gaetano riprese a salire le scale lei rimase immobile sullo stesso gradino. Lo raggiunse di corsa: -Ho mentito, mi interessa. Ci sei andato a letto?- chiese con lo sguardo del condannato a morte davanti al boia.

-Non credo siano affari tuoi, o sbaglio? Tu mi hai lasciato, ricordi?

-E abbiamo già assodato che non era quello che avevo intenzione di fare- ribatté esasperata. Alla fine si tornava sempre allo stesso punto: era un circolo vizioso e non sapeva come uscirne.

-Capolinea- rispose Gaetano fermo in mezzo ad un nuovo corridoio dove diversi capannelli di persone stazionavano davanti ad altrettante porte.

-Vuoi dire che finisce così? Senza una spiegazione, una risposta? Devo pensare che mi hai già sostituita con un’altra?- il tono di Camilla si face più stridulo ad ogni domanda. Razionalmente sapeva di non avere diritto a nulla, a nessuna giustificazione e spiegazione, ma le pretendeva comunque. Dopotutto lui le aveva detto di amarla, di volerla sposare…e ora a qualche mese dalla “separazione” lui stava già con un’altra? –Per fortuna che avevi detto di amarmi- sibilò alla fine incapace di trattenersi, gli occhi cioccolato puntati in quelli di Gaetano, che a quelle parole si velarono nuovamente di tristezza.

-Capolinea…sei arrivata. Quello è l’ufficio di Ippolito- precisò Gaetano evidentemente deluso dall’atteggiamento della professoressa.

Camilla boccheggiò: aveva di nuovo fatto un errore enorme, lo leggeva sul viso dell’uomo.

-Gaetano, scusami, io…io credevo…

-So che cosa credevi, ma non sono certo io quello che cambia idea così in fretta sulle persone e sui sentimenti.

Il riferimento a lei e Michele era più che evidente.

-Non ne dico una giusta per te, vero?- il tono arrendevole di Camilla sorprese Gaetano. –Lo capisco, così come capisco che tu oggi preferisca lei a me. E’ bella, intelligente, gentile, simpatica…e soprattutto…

-….e soprattutto è sposata con un mio parigrado di un altro commissariato- concluse Gaetano, incapace di sostenere oltre quel tono e quello sguardo disperato e disilluso. Per quanto lui volesse mantenere le distanze e andare oltre, non poteva far soffrire Camilla, non fino in fondo, non per davvero. Alla fine doveva sempre lanciarle un’ancora di salvezza, un salvagente che la tenesse a galla proprio quando sembrava che stesse per andare a fondo. Era stato così sin dall’inizio. Per questo non poté evitare di sorridere quando vide il volto di Camilla riprendere il suo solito colorito.

-Sposata?

-Sposata- confermò il vicequestore. -Ma adesso devi andare; Renzo ti sta cercando.

Camilla si voltò seguendo il cenno fatto da Gaetano, arrivando ad incrociare lo sguardo di Renzo che con una mano alzata la stava chiamando.

-Giusto, la separazione. Anche se adesso pare non mi serva a più di tanto. Non mi devo più risposare, in fin dei conti- il sarcasmo era fin troppo accentuato e Camilla se ne rese conto, ma non le importava: che altro poteva perdere? Quello che contava, l’amore ed il rispetto di Gaetano, l’aveva già perso.

-Camilla…

-No, no! Lo so. E lo faccio per me questa volta. Come ti ho già detto, ho fatto un casino mesi fa. Anzi, più di uno a dire il vero. Sta a me rimettere le cose a posto, almeno dove possibile. E firmare questa separazione non servirà più a te, a noi…ma serve a me, a ricordarmi che a volte le cose finiscono e bisogna avere il coraggio di affrontarne le conseguenze.

Prima di andarsene Camilla si alzò sulle punte e posò un bacio delicato sulla guancia del commissario, trattenendosi qualche secondo in più vicino al suo viso per inspirare il suo profumo. Forse per l’ultima volta.

-Allora, ciao- disse semplicemente alla fine, un saluto come tanti, come se ci fosse ancora un domani per loro, come se nulla fosse mai cambiato.

-Ciao- rispose Gaetano, imbambolato come sempre gli capitava quando Camilla sfiorava più o meno volontariamente il suo corpo.

Ma non la lasciò allontanare di molto prima di seguirla e bloccarla di nuovo per il polso. Le aveva detto che era finita, che non ci sarebbe più stato un noi; le aveva detto che non si fidava più della sua parola, che aveva paura di lei, della sua indecisione, della sua incapacità di mettere se stessa e lui, il loro rapporto, al primo posto (o comunque non come fanalino di coda della sua esistenza). Le aveva detto tutto questo solo due settimane prima in quella che un tempo era stata la loro camera da letto, dopo uno di quei baci in grado di togliergli il respiro e di fargli perdere il controllo della ragione. Lo aveva fatto, eppure ora si ritrovava a guardarla negli occhi e a desiderare di crederle disperatamente quando le aveva confessato di amarlo, di avere compreso i propri errori, di voler porre rimedio. Ed in un certo senso lo stava facendo: aveva chiarito con Michele, stava firmando le carte della separazione con Renzo. Persino aver lasciato che Livia si trasferisse era un segno che forse era disposta a pensare un po’ più a se stessa che agli altri. Forse era arrivato davvero il momento giusto, per lui, per loro. E anche la gelosia nei confronti della pm, la sua rassegnazione quando aveva capito che l’altra poteva dargli molto più di quello che lei era in grado di offrirgli…tutto spingeva il suo cuore malridotto a restare lì, in quel corridoio, mano nella mano con lei.

Non sarebbe stato semplice, ma forse si era sbagliato quando l’aveva allontanata. Forse c’era ancora speranza per loro. C’era sempre stata, del resto, se dopo dieci anni turbolenti erano ancora lì a guardarsi in quel modo.

-Quando…quando avrai fatto, possiamo andare a prenderci un caffè. O un vermouth, se ti va. Sarò qui ad aspettarti- disse, infine, impacciato come poche volte gli era capitato nella vita, tutte riconducibili alla presenza accanto a lui di una certa professoressa.

Camilla sgranò gli occhi. Il tono di una dolcezza infinita, le parole che promettevano un futuro, quelle iridi azzurre che le sembravano di nuovo familiari. Possibile? Stava capitando davvero? Gaetano le stava offrendo una seconda occasione? O meglio….l’ennesima occasione?

-Sì. Sì, mi piacerebbe prendere un vermouth con te.

Camilla gli regalò il sorriso più bello e luminoso che Gaetano avesse mai visto prima di eclissarsi nella folla ed infilarsi nell’ufficio del giudice.

Alla fine c’era ancora speranza. Alla fine erano ancora Camilla e Gaetano.

 

 

Angolo dell’autrice:

ci ho messo un po’ a scriverlo, lo ammetto. Il capitolo è cambiato in corso d’opera tante di quelle volte che ho perso il conto, ma questa ultima versione mi piace. Alla fine credo che lei abbia dato prova di voler cambiare la sua vita e rimettere le cose a posto e Gaetano, che non è stupido e che è innamorato perso, lo sa. Certo, non vuol dire che sarà tutto rose e fiori, ma almeno un punto di incontro l’hanno trovato, un inizio.

E lo sappiamo che quando quei due si prendono un vermouth le cose in qualche modo si sistemano sempre.

Spero vi sia piaciuto. Grazie a chi legge e a chi lascia un pensiero, qui o su fb!

A presto.

L.

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