I Custodi della Verità di Piperilla (/viewuser.php?uid=167897)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una guarigione inaspettata ***
Capitolo 2: *** Il viaggio ***
Capitolo 3: *** Akasha ***
Capitolo 4: *** La storia di Ogascoon e Isadora ***
Capitolo 5: *** Altàis ***
Capitolo 6: *** Il brivido del rischio ***
Capitolo 7: *** Molte domande e poche risposte ***
Capitolo 8: *** Nuove rivalità ***
Capitolo 9: *** Il gatto e il topo ***
Capitolo 1 *** Una guarigione inaspettata ***
Sofia uscì dalla stanza, i capelli in disordine e gli occhi
cerchiati di viola.
«Come sta?» chiese
immediatamente la piccola folla riunita di fronte alla porta.
«Meglio. La febbre è passata
e finalmente può riposare tranquillo».
Un sospiro di sollievo generale si levò
nell’aria.
«Quindi non gli sembra più di
annegare» disse Gloria. Sofia scosse la testa.
Blaze esitò prima di parlare.
«Lui... lui si è reso conto di aver perso la
mano?»
«Credo di no. Immagino che lo shock e lo
stordimento gli abbiano impedito di capirlo, durante la battaglia, e...
e quando è iniziata la febbre, non c’era modo che
alcunché si facesse strada nella sua mente, se non il
desiderio di ossigeno» rispose la ragazza in tono mesto.
«E così, André
è finito. Non potrà più essere un
Portatore con una mano sola... di certo non parteciperà ad
altri scontri o a esercizi particolarmente complessi» riprese
Blaze.
Tutti abbassarono lo sguardo a terra. Sapevano che
ciò che il giovane americano aveva appena detto era la pura
verità, ma sentirlo dire ad alta voce rendeva tutto
spaventosamente reale.
«Non c’è niente che
si possa fare? In fin dei conti voi due siete dei Testimoni e sapete
guarire» disse Claudio, rivolgendosi a Gregory e a Sofia. Il
primo fece un cenno di diniego.
«Curare una ferita molto grave
è già piuttosto difficile... non si riesce a
guarirla se non in minima parte, e qui stiamo parlando di un arto
completamente staccato dal corpo. Insistere troppo con gli Elementi e
l’Energia su di un fisico già debilitato
può creargli più danni di quanti non ne risolva.
Non possiamo fare nulla» disse categorico.
I presenti caddero nuovamente in un silenzio
meditabondo. Dopo una settimana di paura e angoscia, in cui avevano
aspettato che André si riprendesse, nessuno aveva pensato a
cosa avrebbe fatto una volta guarito. Ora che quel momento era
arrivato, non riuscivano a rassegnarsi alla mancanza di una soluzione
positiva.
«Non possiamo fare niente».
Sofia fece eco a Gregory, pur non apparendo completamente convinta.
Laurence decise di cambiare argomento.
«Secondo voi, possiamo fidarci della tregua che Giovanni ha
voluto stabilire?».
«Assolutamente sì».
Fu Sofia a rispondere. «Se non ne fosse stato convinto,
avrebbe continuato a combattere. E con lui, tutti gli altri».
«Io non capisco perché di
punto in bianco ha deciso di ritirarsi» disse Viola. Costa la
guardò sardonico.
«Ma non è ovvio? È
stato sopraffatto da quello che prova per Sofia!».
Rapida come il lampo, l’oggetto del suo
scherno lo colpì. Dopo averlo immobilizzato contro la parere
con uno spesso ceppo di Fuoco intorno al collo, che quasi gli impediva
di respirare, Sofia si avvicinò al greco che annaspava e,
mettendosi in punta di piedi, lo afferrò per la maglia e
portò il naso a un centimetro da quello di lui.
«Ascoltami bene, Costa,
perché non te lo ripeterò una seconda volta.
Ironizza ancora su me e Giovanni, e ti faccio pentire di essere
nato» ringhiò.
Sempre annaspando, l’uomo fece un debole
cenno di assenso. Soddisfatta dalla sua resa, la ragazza lo
liberò.
«Ora che abbiamo sistemato questa
piccola questione...per rispondere alla tua domanda, Viola, il motivo
per cui Giovanni si è ritirato di punto in bianco
è che ha bisogno di tempo» riprese Sofia in tono
leggero, attirandosi gli sguardi perplessi dei suoi amici.
«Tempo? E per fare cosa?»
domandò Gloria, traducendo in parole la domanda inespressa
della sua gemella.
«Per fare ricerche e trovare
informazioni».
Gregory si spazientì. «Non
potresti dirci tutto, senza bisogno di essere incalzata con tutte
queste domande?».
Sofia lo guardò torva e poi, a
sorpresa, gli fece la linguaccia.
«Certo che sei proprio noioso. Comunque,
penso che ora vorrete sapere che tipo di informazioni cerca Giovanni...
o meglio, su cosa le cerca». Esitò per un istante,
prima di cogliere lo sguardo irritato di Greg. Dopo avergli rivolto un
sorrisetto divertito, si accinse a spiegare agli altri quello che lei
aveva intuito una settimana prima. «Immagino avrete visto
tutti cos’è successo, la scorsa settimana, quando
io e Giovanni ci siamo... ehm... avvicinati troppo»
iniziò la ragazza, diventando scarlatta. Sapeva bene che
tutti avevano assistito a quella scena. Proseguì in fretta,
cercando di superare l’imbarazzo. «Come me, voi
siete stati per molto tempo al Centro e avete avuto, come fidanzati e
fidanzate, dei Portatori, quindi sapete che non capita mai che in
situazioni simili si sprigioni dell’Energia, o comunque non
in quella quantità».
«In effetti ci chiedevamo da cosa fosse
dipeso. Nessuno si aspettava una cosa del genere» ammise
Cornelia.
Il volto di Sofia si aprì in un largo
sorriso.
«Non ho la minima idea di quello da cui
è dipeso» disse, scoppiando in una fragorosa
risata. «Me l’aspettavo meno di chiunque
altro!».
«Non ci trovo niente di
divertente» disse Fernando, aggrottando la fronte e facendo
una smorfia di dolore mentre il braccio ferito pulsava in modo
sgradevole.
«Io
sì. Dopo tutti i testi che ho studiato, dopo
tutti i viaggi che ho intrapreso per conoscere alla perfezione i
Portatori, scopro che c’è ancora qualcosa che non
so. Mi piacciono i segreti... e soprattutto mi piace fare ricerche per
svelarli. Sento che ciò che è accaduto durante la
battaglia di una settimana fa non è che l’inizio
di una nuova, incredibile ricerca» esclamò Sofia
con gli occhi brillanti.
«Quando fa così mi preoccupo
sempre» piagnucolò Blaze. Nonostante tra i due
fosse senza dubbio lui, il più impulsivo, le iniziative
più difficili e rischiose venivano sempre dalla mente di
Sofia.
Notando che il suo entusiasmo non era condiviso,
la ragazza sospirò. Per un fugace istante provò
nostalgia di Giovanni: era l’unico che capisse la sua
passione per gli enigmi.
«Visto che sembrate non trovare questo
mistero interessante, magari posso proporvi una ricerca di diverso
tipo» li stuzzicò.
«Non potremmo riposare e basta per
qualche giorno?» si lamentarono in coro. La giovane fece
spallucce.
«Visto che abbiamo siglato una tregua e
possiamo uscire liberamente dalla Valle, volevo proporvi di cercare le
nostre famiglie e tentare di contattarle, ma se preferite
riposare...» disse con noncuranza, ben sapendo quale sarebbe
stata la loro reazione.
Dopo un silenzio attonito tutti, a eccezione di
Claudio, Cornelia e Gregory, esplosero.
«Parli sul serio? Possiamo tornare dalle
nostre famiglie?» strillarono eccitati.
«Shhht, fate piano... o André
si sveglierà!» bisbigliò Sofia
disperata.
Esaudendo la sua preghiera gli altri abbassarono
di colpo il tono di voce, continuando però ad agitarsi.
Sofia si mise le mani nei capelli.
«Credete che anche gli altri reagiranno
in questo modo?» chiese sconfortata ai tre che, come lei,
conservavano ancora la calma.
«Anche peggio» rispose
Gregory, divertito dalla reazione della ragazza. Senza dubbio avrebbero
avuto il loro bel daffare per mantenere la calma tra i Portatori dopo
aver dato una notizia del genere. Sospirando, lei si mise di nuovo le
mani nei capelli, riflettendo.
«D’accordo ragazzi, ora basta
agitarsi... andate a riposare un po’. Specialmente
tu» disse, rivolgendo un’occhiataccia a Fernando.
«Emma tu no, vieni con me»
esclamò, bloccando la ragazzina che stava andando via
insieme agli altri e che tornò indietro, perplessa.
Sofia le fece cenno di seguirla, precedendola di
mezzo passo. In quel momento a Emma tornò in mente la prima
e unica notte che aveva trascorso al Centro, quando Sofia
l’aveva condotta lungo corridoi molto simili a quelli che
percorrevano in quell’istante. Ricordando il timore che aveva
provato incontrando per la prima volta quella giovane donna
dall’apparenza di ghiaccio, sorrise.
«Pensi a qualcosa di
piacevole?» le domandò Sofia notando il sorriso
della ragazzina, entrando in un salottino e chiudendo la porta.
«Di divertente» la corresse
Emma. «Mi è tornata in mente la prima volta che ti
ho vista, quando mi hai accompagnata ai dormitori».
Sofia scoppiò a ridere. «Me
lo ricordo. Avrai pensato che fossi una bastarda senza cuore»
notò. «Lo pensavano tutti».
«In realtà ho pensato solo
che facevi paura» fu la risposta.
«Perché ti mostravi tanto diversa da quella che
sei davvero?».
«Ciò che hai visto quel
giorno, al Centro, non era una finzione ma solo una parte di quello che
sono» precisò Sofia, guardandola attentamente.
«Tutti noi siamo fatti di luci e ombre. Le persone non
nascono cattive: lo diventano quando decidono di permettere alle loro
ombre di soffocare la luce».
«Vorresti dirmi che anche in Giovanni
c’è del buono?» chiese Emma, scettica.
«In ogni persona ce
n’è. Sono le scelte che facciamo a renderci buoni
o cattivi» insisté Sofia, fissando
l’altra negli occhi. «Escludere a prescindere che
ci sia qualcosa di positivo in una persona è un primo passo
verso le tenebre, Emma. Attenta a non cadere in una simile
trappola» l’ammonì.
«E tu cos’hai scelto di
essere?» domandò pungente Emma. Sofia
sembrò seriamente confusa.
«Credo di non aver mai scelto. In tutti
questi anni, mi sono limitata a mantenere in equilibrio luce e ombra
che sono dentro di me» rispose con onestà.
«Ora però parliamo di quello che puoi scegliere tu»
riprese, puntando il proprio sguardo negli occhi castani
dell’altra con la stessa espressione dura che aveva portato
sul volto per anni.
«Cosa dovrei scegliere? Non penso certo
di essere una specie di santa, ma non potrei mai commettere atti come
quelli di Giovanni o Prudencia» ribatté Emma
arrabbiata. Sofia scosse la testa.
«No, non parlavo di questa scelta.
Quello a cui pensavo è molto più
importante...».
«Più importante di decidere
da che parte stare?» la interruppe Emma.
«Molto più importante. Devi
decidere se controllare l’Energia che porti in te o lasciarti
dominare da essa» disse Sofia con aria seria.
«Non mi sembra ci sia qualcosa da
decidere. È ovvio che se io sono la Portatrice,
l’Energia deve sottomettersi a me» rispose Emma con
una scrollata di spalle. L’altra la guardò, molto
preoccupata.
«Emma, è fondamentale che tu
capisca che non funziona in questo modo. L’Energia, come del
resto i quattro Elementi che la compongono, sono parte stessa della
Natura: non è affatto automatico che tra Portatore ed
Elemento sia il primo, ad avere il predominio».
«Ma qual è il problema? Se
anche perdessi il controllo che accadrebbe di tanto disastroso? Forse
qualche albero sradicato e un po’ di danni qua e
là?».
«Emma santo cielo, tu proprio non
capisci». Il bisogno di far comprendere alla ragazzina il
complesso meccanismo che regolava i rapporti tra Portatori ed Elementi
la rendeva nervosa. «Tu devi
far tua l’idea che l’Energia non ti
obbedirà se non la terrai a bada con mano ferma e molta
forza di volontà. È qualcosa di difficile e
pericoloso comprendere, per un Portatore, quale sia il proprio limite,
e ti sto parlando di Portatori di Elementi. Per te, che possiedi
l’Energia, sarà infinitamente più
rischioso...».
Emma la interruppe di nuovo.
«Tu parli di rischi, ma io non ne vedo
nessuno! Per mesi ho osservato gli altri imparare a controllare il
proprio Elemento e non mi è mai sembrato che qualcuno fosse
in pericolo!».
«Perché non hanno ancora
raggiunto il loro limite! E poi loro non padroneggiano
l’Energia... Emma, io sono una Testimone e come hai visto
riesco a manipolare, anche se solo in parte, l’Energia Pura e
ti posso assicurare che non è facile come sembra! Ma tu ne
puoi utilizzare una quantità molto, molto maggiore e devi
stare attenta a non superare il limite, a non perdere il controllo del
tuo potere, altrimenti sarà il potere a prendere il
sopravvento e a consumarti!» gridò Sofia, balzando
in piedi. Non riusciva più a contenere
l’agitazione: la ragazzina acuta e riflessiva che conosceva
sembrava essere sparita.
«Quando dici che il potere mi
consumerà... cosa intendi dire di preciso?»
indagò Emma, cercando di capire cosa volesse dirle la
giovane donna che aveva di fronte.
«Niente di più di quello che
ho già detto. Non puoi controllare che una data
quantità di potere, e se superi quel limite, se il potere
diventa predominante, non potrai più sottometterlo.
L’Energia cercherà uno sfogo e il tuo corpo non
potrebbe sopportarlo. Sarebbe una morte lenta e dolorosa»
spiegò Sofia, crollando di nuovo a sedere con il volto
nascosto tra le mani. Pur senza rendersene conto, Emma era giunta a un
passo da quel limite la settimana precedente, la prima volta che il suo
potere si era manifestato, e il ricordo faceva ancora rabbrividire la
giovane Portatrice del Fuoco.
Interpretando correttamente
l’espressione stravolta di Sofia, il volto di Emma si
contorse in una smorfia di orrore.
«Per questo... è per questo che quel
giorno mi hai bloccata!» rantolò,
intuendo solo in quel momento il significato dei gesti di Sofia il
giorno della battaglia, il modo in cui l’aveva scossa e
stimolata per farle riprendere il controllo. L’altra
annuì.
«Cosa devo fare per
controllarmi?» le chiese immediatamente Emma.
«Il trucco è semplice, ma ci
vogliono molta forza e decisione. Quando liberi il tuo potere, senti
con che intensità ti preme dentro; se ti rendi conto che sta
diventando troppo forte, se inizi a provare difficoltà nel
controllarlo, allora devi concentrarti e reprimere l’Energia
in eccesso dentro di te: devi agire con fermezza, come faresti con un
sottoposto» fu la risposta.
La ragazzina la guardò perplessa.
«Non ho mai dato ordini a nessuno. Credi
che riuscirò a controllare l’Energia?».
«Imparerai, sta’ tranquilla. E
poi ci saremo sempre io o Gregory, ad allenarti e aiutarti: ti
insegneremo noi come si fa» la rassicurò Sofia.
Le due ragazze si fissarono per qualche minuto,
poi la voce di Sofia ruppe il silenzio.
«Emma ti andrebbe... te la sentiresti,
di aiutarmi a fare una cosa?» iniziò titubante.
«Che genere di cosa?» chiese
Emma, guardandola di sottecchi. Era abituata a vedere Sofia sempre
decisa e padrona della situazione; quel tono esitante la insospettiva
un po’.
«Una cosa che Gregory non vuole aiutarmi
a fare. Gliel’ho chiesto molte volte, ma ha sempre rifiutato
categoricamente» rispose l’altra con una smorfia di
disappunto, evitando di rispondere alla domanda.
«Immagino che me lo dirai solamente se
deciderò di aiutarti» notò Emma.
«Sì. Sai, potrei tentare da
sola, ma non me la sento. Ho bisogno di qualcun altro che manipoli
l’Energia, e tolto Gregory non posso rivolgermi che a
te»
La ragazzina sbuffò. «Grazie
della fiducia!»
«Non si tratta di fiducia. Tu non sai
ancora controllare l’Energia: questo renderà tutto
molto più complicato» disse Sofia. Poi
guardò l’orologio: erano le tre del pomeriggio.
«Sto morendo di fame» disse, guardando Emma.
«Hai mangiato a pranzo?»
«No».
«Bene, allora andiamo a procurarci
qualcosa da mettere sotto i denti» disse Sofia, uscendo con
Emma dalla stanza.
*
«Allora André, come ti senti?».
«Infinitamente meglio».
Con un sorriso, il giovane biondo chiuse gli occhi
e porse di nuovo il volto al tepore del sole, mentre le donne del
piccolo gruppo che gli faceva compagnia gli si affaccendavano intorno.
«Forse dovrebbe rientrare»
bisbigliò Gloria a Sofia.
«È vero. Questa è
la prima volta che esce dopo due settimane, non dovrebbe stancarsi
troppo» rincarò la dose Viola.
«E poi guardate
com’è pallido!» aggiunse Ailie sempre a
mezza voce.
Sofia alzò gli occhi al cielo,
esasperata.
«Certo che è pallido...
è stato chiuso in camera per due settimane! In ogni caso sta
bene già da una settimana, e stare seduto al sole non lo
stancherà poi molto» le rimbrottò.
«Ti andrebbe di mangiare qualcosa,
caro?» chiese Cornelia ad André in tono materno.
Da quando il ragazzo era stato ferito, la donna gli aveva fatto da
infermiera con la stessa sollecitudine con cui l’avrebbe
fatto se fosse stato figlio suo.
André sorrise di nuovo, divertito da
tutta la premura che dimostravano nei suoi confronti.
«No Cornelia, sto bene così,
ma grazie comunque» ripose in tono gentile.
«Be’, io ti porto qualcosa lo
stesso» replicò lei, allontanandosi con aria
affaccendata.
«Sei sicuro di non essere
stanco?» gli domandò Emma, seduta a gambe
incrociate sull’erba, mentre Cornelia si allontanava.
«E dai Emma, non ti ci mettere anche
tu» disse André, metà divertito e
metà esasperato. «Ormai sto bene»
aggiunse, lanciando suo malgrado un’occhiata al moncherino
ancora fasciato. Sofia, che si era avvicinata silenziosamente,
seguì il suo sguardo con aria dispiaciuta.
«Mi dispiace così tanto,
amico mio. Vorrei poter fare qualcosa» disse, rivolgendo
un’occhiataccia a Gregory che però la
ignorò.
«Non dispiacerti, non è stata
colpa tua... mia, semmai» rispose in tono amaro il giovane.
«Colpa tua? E perché
mai?» chiese Sofia, oltremodo sbalordita.
«Mi avevi avvertito, ma io non ti ho
ascoltato. Mi avevi detto di stare attento, di non permettere
all’amore di offuscare il buonsenso, ma non ho dato peso alle
tue parole. Mi avevano dato anche un po’ fastidio, per il
modo in cui palesemente non ti fidavi di Elizabeth... a conti fatti,
però, si vede come avevi ragione» disse
André in tono ancora più amaro.
Sofia sedette sull’erba, sempre
perplessa. Non riusciva a capire come il suo amico potesse
rimproverarsi di essere stato troppo innamorato.
«Non decidiamo noi chi amare,
André» disse lentamente, ripetendo le parole che
le aveva rivolto Cornelia solo un mese prima «né quanto amare. Non
puoi fartene una colpa».
Il ragazzo sospirò. Sapeva che quello
che Sofia gli stava dicendo era vero, ma non riusciva a convincersene.
Si guardò di nuovo il moncherino. Nella settimana appena
trascorsa aveva riflettuto a lungo su come sarebbe cambiata la sua vita
e aveva preso alcune decisioni. Ormai non aveva più senso
rimandare, e così si accinse a rivelare a Sofia quali erano
i suoi piani.
«Senti Sofi, senza una mano per me
sarà impossibile continuare ad addestrare gli altri
Portatori. Anche solo esercitarmi sarà un’impresa.
Quindi... me ne vado».
«Come scusa?».
Sofia era senza parole.
«Non guardarmi in quel modo, Sofi. Sarei
solamente un peso per voi».
«Quindi è per questo che te
ne vai? Perché credi che saresti un peso?»
domandò Sofia con voce gelida. «Nel caso te ne
fossi dimenticato, qui hai prima di tutto degli amici. Poi, solo poi,
dei doveri verso gli altri».
«Ormai ho deciso».
André sembrava irremovibile.
«E quando avresti intenzione di
andartene? Ora, in questo istante?» lo incalzò
Sofia, sempre glaciale.
«Domani. A questo punto un giorno vale
l’altro, ma prima voglio dirlo agli atri e
salutarli» rispose André, lasciando vagare lo
sguardo sul panorama circostante. I suoi occhi caddero su un gruppetto
di lapidi che spuntavano dal terreno, sotto una piccola macchia
d’alberi poco distante, più in basso rispetto al
punto in cui si trovava.
«Un bel posto dove riposare»
disse il giovane, mentre Sofia seguiva il suo sguardo. «Non
fosse stato per te, ora sarei là
anch’io».
«Sciocchezze, André. Ce
l’avresti fatta in ogni caso» minimizzò
l’altra. «Cosa farai quando lascerai la
Valle?».
«Tornerò in Francia. Mi
piacerebbe ritrovare la mia famiglia».
«Sai bene che potrebbe essere
più complicato di quanto credi» disse Sofia.
«Potrebbero essersi trasferiti...».
«Separati, morti... lo so. Ma al posto
mio, tu cosa faresti?» concluse André.
La ragazza chinò il capo. Poi si
alzò di scatto.
«Be’, se domani vuoi andartene
ora devi rientrare e riposare» disse decisa.
Per un attimo il ragazzo sembrò voler
controbattere, ma capendo che era inutile si alzò e la
seguì nella fresca penombra dell’ingresso.
*
Mentre erano riuniti nel salottino, poco dopo cena, André si
decise a fare il suo annuncio. Si alzò in piedi e le
chiacchiere e le risate si affievolirono fino a scomparire del tutto.
Guardò i tredici volti che lo
fissavano, in attesa.
«Bene ragazzi, ho una cosa da dirvi. Non
volevo farlo davanti a tutti, ma ora che siamo soli il momento
è arrivato» iniziò, un po’ in
difficoltà.
In silenzio, tutti aspettavano di sapere cosa
André voleva dir loro.
«E così... be’, ho
deciso di andarmene» disse secco il ragazzo, pensando che
così sarebbe stato tutto più semplice. Si
sbagliava.
«Te ne vai? Ma non puoi!»
strillò Gloria saltando in piedi.
Rumoreggiando anche gli altri si unirono alle
proteste della giovane. Solo Sofia, rimasta comodamente seduta, non
parlò. Si limitò a lanciare un’occhiata
di disapprovazione ad André, che finse di non accorgersene.
Dopo qualche minuto di caos, Sofia decise di trarre
d’impaccio l’amico.
«Ora basta! Se vuole andarsene,
è libero di farlo. Non possiamo trattenerlo contro la sua
volontà» disse con fermezza. Borbottando, gli
altri tornarono a sedersi.
«E quando hai intenzione di
andartene?» domandò Blaze al ragazzo.
«Domani» rispose
André, alzando immediatamente le braccia per bloccare le
proteste che già stavano per sollevarsi nuovamente.
«Partirò prima dell’alba... non
c’è bisogno che vi alziate per
salutarmi».
«Quindi ci salutiamo adesso»
disse Laurence, palesemente commosso. Abbracciò il ragazzo e
gli diede alcune pacche sulle spalle. A turno, anche gli altri lo
salutarono. Sofia fu l’ultima.
«Buona fortuna, amico mio» gli
sussurrò, stringendolo delicatamente. «Ricorda che
puoi tornare quando vuoi».
Annuendo, lui si sciolse dall’abbraccio.
Uscì dalla stanza, rivolgendo un ultimo sguardo ai suoi
amici. Poi, senza voltarsi indietro, si chiuse la porta alle spalle e
tornò nella sua stanza.
*
Plop, plop, plop.
L’acqua gocciava dolcemente dalla roccia
nel piccolo specchio d’acqua. Un paio di mani si tesero verso
la superficie liscia e trasparente, sollevando una colonna di liquido
cristallino che s’impennò orgogliosa verso il
cielo prima di ricadere con uno schianto.
Plop,
plop, plop.
Con un grugnito di disappunto, André si
svegliò. Aggrottando la fronte, ascoltò il suono
che aveva scandito i tempi del suo sogno.
Toc
toc toc.
Qualcuno bussava alla porta della sua stanza, e
nelle nebbie del sonno il ragazzo l’aveva scambiato per un
gocciare d’acqua.
«Avanti» disse rauco.
La porta venne socchiusa e due piccole figure
sgusciarono dentro.
«Accidenti André, certo che
quando dormi non senti proprio nulla!» disse una bassa voce
allegra dal buio.
«Sofia?».
«Proprio io, e in buona
compagnia» rispose l’ombra, accennando alla persona
che l’aveva seguita.
Ancora confuso, André accese una
piccola lampada. La luce soffusa ricacciò indietro una parte
delle tenebre che avevano avvolto la stanza.
«Emma?».
«Parla piano André, o ci
sentiranno» lo ammonì la ragazzina.
Le due giovani avanzarono e sedettero sul bordo
del letto, una da un lato e una dall’altro. André
si tirò su le lenzuola fino al mento.
«Ma che ci fate qui a
quest’ora? A proposito... che ore sono?».
«Quasi le tre. Abbiamo un regalino
d’addio per te» disse Sofia sollevando una piccola
sacca di spesso, robusto tessuto nero. La aprì e
infilò una mano all’interno, traendone una sfera
pulsante di Energia.
«È bellissima»
sussurrò André, incantato dal globo argenteo.
«Ma... cosa c’è lì
dentro?» chiese, notando un’ombra scura
all’interno della sfera.
«Qualcosa che ti appartiene»
rispose Sofia, afferrando la sfera con entrambe le mani e spezzandola a
metà.
Alla vista del contenuto del globo, il ragazzo fu
scosso da un conato di vomito.
«Perché lo fai? Vuoi
torturarmi?» chiese con rabbia a Sofia, che sedeva accanto a
lui senza battere ciglio.
«Speravo di fare il contrario, in
verità. L’ho conservata per te» rispose
lei, stringendo la mano mozzata di André, perfettamente
integra.
«Vorresti dirmi... la mia mano
è rimasta lì dentro per due settimane?»
chiese sbalordito. La ragazza annuì.
«Ma... perché?»
domandò ancora lui. «So che non potete fare nulla
per far tornare le cose come prima...»
«No» lo interruppe Sofia.
«Gregory
dice che non possiamo fare nulla. Io vorrei tentare ugualmente... se tu
sei d’accordo, è ovvio»
«Credi di poterci riuscire?»
indagò André speranzoso. Lei esitò.
«Non posso garantirti nulla
André... il mio è solo un tentativo. Potrei non
riuscirci... o potrei dovermi fermare, se lo sforzo per il tuo corpo
fosse eccessivo. Inoltre sarà un’operazione lunga
e molto dolorosa... te la senti di provare?» gli chiese Sofia.
«Certo che me la sento!»
rispose lui, stupito dalla domanda.
«D’accordo, allora
prepariamoci. Emma, chiudi a chiave la porta»
ordinò.
«Perché?» chiesero
Emma e André in coro.
«Così non potranno
interromperci. Ora, Emma, siediti dall’altro lato del letto,
come prima» disse Sofia, mandando una parete di Energia a
coprire la porta e la finestra per evitare intrusioni. André
ed Emma la guardarono, tesissimi.
«E ora... cosa succede?»
chiese il ragazzo.
«Lo vedrai» disse la sua
amica, dopo aver tolto la fasciatura al moncherino. «Questo
ti farà un po’ male. Emma, tieniti pronta a
evocare l’Energia... ma senza esagerare».
L’altra annuì.
«Bene». Dopo aver preso un
profondo respiro, Sofia evocò una piccola lama di Energia e
con quella riaprì la ferita sul braccio di André.
Il giovane sussultò e si morse le labbra nel tentativo di
non gridare, mentre il volto perdeva colore.
Il sangue iniziò a sgorgare, caldo e
abbondante.
«Avanti Emma, adesso!»
ordinò Sofia, posizionando la mano mozzata sulla ferita
sanguinante e tenendo saldamente unite le due parti con la mano
sinistra, da cui iniziò a fluire l’Energia. Con la
mano destra, diresse il flusso di Energia di Emma verso la mano del
ragazzo.
Un velo argenteo ricoprì il braccio di
André, formando uno strato denso e vibrante.
L’intensità dell’Energia evocata rese il
tutto incandescente; piccole volute di vapore si alzarono dal polso di
André, che non resistette al dolore e iniziò a
gridare.
«Lo so André, lo so, lo so...
cerca di resistere...» lo incitò Sofia, la fronte
imperlata di sudore nello sforzo di concentrare i due flussi
scintillanti nei punti giusti per assicurare un perfetto
ricongiungimento dell’arto reciso.
Lui non la sentì. Poco dopo perse il
controllo e iniziò a dibattersi nel letto.
«Emma, tienilo fermo!»
urlò Sofia disperata, tentando di mantenere la mano di lui
nella posizione corretta; se si fosse spostata anche solo di poco, si
sarebbe riattaccata al braccio in modo sbagliato. La ragazzina,
lasciando una mano libera da cui far scaturire l’Energia, si
gettò di peso su André immobilizzandolo solo in
parte.
Una pioggia di colpi si abbatté sulla
porta.
«André, che succede
lì dentro?» gridarono alcune voci, ma il ragazzo
non era in grado di rispondere. Continuarono a bussare alla porta per
altri dieci minuti, quando un’altra voce si fece strada tra
le urla del ragazzo e il sonoro sfrigolare dell’Energia.
«Sofia, so che sei
lì!» ruggì Gregory dall’altra
parte della porta. «So cosa stai facendo. È troppo
pericoloso, devi fermarti!».
Troppo concentrata per rispondere, la ragazza
rimase in silenzio, ascoltando André gridare e gridare come
se stesse bruciando vivo.
«Dai André resisti, ci siamo
quasi... sta andando benissimo, stai
andando benissimo...» disse Sofia, osservando il flusso
d’Energia che veniva assorbito senza sosta dalla ferita. Con
la guarigione era partita dalla zona più interna del polso,
avanzando verso l’esterno; ormai poteva vedere la carne
riformarsi e i primi strati di pelle ricrescere e chiudere la ferita.
«Emma, dammi un altro po’
d’Energia!» gridò; Emma
intensificò il flusso che sgorgava dalla sua mano, sempre
tentando di tenere fermo André. Anche Sofia evocò
una maggiore quantità d’Energia, continuando a
tenere il braccio e la mano di lui stretti in una morsa: un minuto
dopo, affondando nella pelle ormai completamente richiusa, il flusso
svanì.
Il muro d’Energia che Sofia aveva messo
a protezione della porta iniziò a crepitare, mentre Gregory
provava a distruggerlo dall’esterno: troppo stanchi per
preoccuparsene, André ed Emma si accasciarono sul letto,
privi di forze. Sofia, con la testa che girava paurosamente, corse in
bagno, colta da un attacco di nausea; vomitò e rimase
distesa a terra, coperta di sudore freddo, incapace di rialzarsi.
Mentre lo scudo si dissolveva e una folla
irrompeva nella stanza, André alzò il braccio
destro e lo osservò con attenzione. Intorno al polso
spiccava una grossa cicatrice scarlatta, alta mezzo centimetro; con
cautela, il ragazzo fletté appena le dita.
«Sofia, sei un genio»
mormorò, lasciandosi cadere sul cuscino e scoppiando in una
risata liberatoria, incurante degli sguardi attoniti che si erano
fissati su di lui e sulla sua mano.
Claudio si slanciò su di lui, eseguendo
un rapido controllo medico; Fernando afferrò Emma, la
tirò su e la costrinse a bere un po’
d’acqua. Sbuffando, Gregory entrò nel bagno; si
avvicinò con passo rigido alla ragazza accasciata sul
pavimento e la prese in braccio.
«Sei una maledetta pazza. Potevi far
peggiorare le condizioni di André e, a giudicare dal tuo
aspetto, ti sei quasi uccisa» le disse con rabbia.
«Smettila di fare il
guastafeste» borbottò lei in risposta.
Aprì cautamente un occhio, ma lo richiuse quando si accorse
che la stanza continuava a girare.
Senza troppi complimenti, Gregory la mise su una
sedia accanto al letto di André. Sforzandosi di trattenere
la nausea, Sofia riaprì gli occhi.
«Fammi vedere» disse ad
André, indicando il braccio.
Il ragazzo tese la mano verso di lei con un
sorriso allegro. Sofia afferrò la mano e iniziò a
flettere e distendere le dita.
«Ehi, fa’ piano!» si
lamentò André. Lei sbuffò.
«Dopo quello che hai appena sopportato,
ti lagni per così poco?» disse, continuando a
esaminare la mano. «Prova a muovere il polso».
Con una smorfia di dolore, André
piegò leggermente il polso. «Fa male» si
lamentò di nuovo.
«È normale. Ci
vorrà un po’ di tempo perché la mano
torni a essere perfettamente funzionante e perché tu riesca
a padroneggiare di nuovo alla perfezione l’Acqua,
però credo di poter dire di aver fatto un ottimo
lavoro» disse allegramente.
Emma la guardò.
«Sei stata incredibile» disse
con sincera ammirazione.
«Siamo
state incredibili. Se non mi avessi aiutata, non sarebbe andata
così bene... probabilmente non sarei riuscita a guarirlo e
l’avrei solo fatto peggiorare» precisò
Sofia.
Sempre chiusi in un silenzio sbalordito, Claudio e
gli altri fissavano i tre giovani, stremati ma felici, che avevano di
fronte.
André decise di alleggerire
l’atmosfera.
«Sapete una cosa?» disse
allegro, rivolgendosi al gruppetto ammutolito. «Credo proprio
che non partirò».
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Capitolo 2 *** Il viaggio ***
«Allora, siete tutti pronti?» chiese Sofia alle
prese, come due mesi prima, con una distribuzione di buste.
Un “sì” collettivo
fece tremare le pareti.
«Bene. Dentro quelle buste ognuno di voi
troverà un telefono cellulare, soldi, documenti –
carta d’identità e passaporto – e
informazioni recenti sulle persone che state cercando, compresi gli
indirizzi» snocciolò la ragazza, fornendo ai
Portatori gli ultimi dettagli prima del viaggio.
André prese la parola.
«Ricordate che potrebbero non credervi,
quando spiegherete loro la situazione. Se ne avete bisogno, troverete
il mio numero e quelli degli altri Maestri memorizzati nei vostri
telefoni. Chiamateci e verremo ad aiutarvi. E seguite le indicazioni
che troverete nelle buste».
La folla assentì nuovamente.
«Perfetto. Se è tutto chiaro,
proporrei di avviarci» disse Sofia, facendo strada agli altri
e conducendoli sul prato dove l’intera colonia di Fenici era
in attesa. A gruppetti di cinque i Portatori svanirono in vampe di
Fuoco, diretti in vari aeroporti.
«Tu non vai, Gregory?» chiese
Claudio.
«No. Qualcuno dovrà pur
restare qui, a tenere d’occhio la situazione»
rispose l’altro.
Cornelia guardò prima suo fratello e
poi Sofia.
«Allora noi andiamo. Sei sicura di non
voler venire?» domandò alla ragazza, che scosse la
testa.
«No zia, io ho un viaggio diverso da
intraprendere» replicò, abbracciando rapidamente
la donna e il suo padrino prima che svanissero in un lampo.
«Dov’è che
vai?» le chiese Gregory, una volta rimasti soli.
«Da Giovanni» disse con
noncuranza Sofia prima che l’uomo l’afferrasse e la
costringesse a voltarsi con uno strattone.
«Comincia a darmi fastidio, questo
vostro modo di attirare la mia attenzione» notò la
ragazza, massaggiandosi il braccio.
«È l’unico metodo
che funzioni, con te» replicò lui. «Si
può sapere il perché di questa
decisione?»
«Smetti di preoccuparti, Greg. Ci devo
solo parlare» lo blandì.
«E di cosa?»
«Te lo dirò al mio
ritorno» esclamò Sofia, afferrando la coda di
Nabeela e sparendo in una fiamma.
*
Ricomparsa nella pianura ai margini della Valle, a pochi metri dal suo
ippocastano, Sofia sorrise.
«Brava, Nabeela»
sussurrò, accarezzandola con affetto sul collo dorato. La
Fenice emise un dolce verso tremulo e andò a posarsi su un
ramo dell’albero.
Sofia la seguì e, dopo aver espanso la
propria Aura, si appoggiò al tronco, con i palmi delle mani
aperti a sfiorare la corteccia e una guancia premuta contro la
superficie ruvida. Non percepiva nulla. Così chiuse gli
occhi, e aspettò.
*
In piedi tra la folla, André aspettava impaziente il suo
turno. Era arrivato all’aeroporto più di
un’ora prima, ma come sempre il Roissy-Charles de Gaulle era
totalmente congestionato e prendere un taxi era quasi impossibile.
Dopo aver atteso per altri quindici minuti,
finalmente giunse in testa alla fila. Notando un taxi libero
afferrò la piccola valigia e fece per scattare ma la mano,
che ancora non era tornata alla sua piena funzionalità, non
si strinse attorno ai manici e la borsa cadde a terra con un tonfo.
Una coppia lo superò rapida e prese il
suo taxi, mentre il ragazzo si chinava per raccogliere la sacca. Una
mano color cioccolato lo precedette.
«Ecco, tieni» gli disse una
donna in inglese, porgendogli la valigia. A occhio e croce aveva una
decina di anni più di lui; di media altezza, esile e dai
lineamenti delicati sembrava, a un primo sguardo, incredibilmente
fragile. Un esame più attento convinse André che
la donna che aveva di fronte possedeva una forza insospettabile, che
traspariva solo dallo sguardo, fermo e deciso.
«Grazie» rispose
André, stando bene attento ad afferrare saldamente i manici,
con la strana sensazione di averla già incontrata. Si
guardarono ancora per un attimo, poi il ragazzo si infilò in
un taxi e si diresse verso la stazione ferroviaria, sperando di essere
ancora in tempo per prendere il treno per Rouen.
*
La donna che aveva aiutato André guardò il
giovane biondo sparire. Dopo anni di attesa il suo istinto si era
risvegliato e lei aveva capito di dover andare in Francia. Ora che
aveva incontrato quel ragazzo, però, sentiva di non avere
più un motivo per restare lì. Così si
voltò e rientrò nell’aeroporto, verso
un altro aereo e un’altra destinazione.
*
Dopo oltre tre ore di attesa, Sofia saltò su. Finalmente
l’aveva percepito.
«Ci siamo Nabeela!»
gridò alla Fenice, che volò immediatamente verso
di lei. Un istante dopo, erano svanite.
*
«Sofia!».
«Ciao Giovanni» rispose
allegramente la ragazza.
L’uomo scrutò
tutt’intorno, guardingo, aspettandosi di veder comparire
qualcun altro.
«Sta’ tranquillo, sono sola e
non sono venuta per combattere. Abbiamo siglato una tregua,
no?» continuò Sofia sullo stesso tono,
interpretando correttamente l’atteggiamento del suo vecchio
insegnante.
«Come facevi a sapere che ero
qui?» chiese Giovanni, ancora poco convinto.
«Intuito» rispose lei ironica.
«Be’, siediti» la
invitò lui, accomodandosi sull’erba sotto
l’ippocastano che si trovava al Centro. Sofia non se lo fece
ripetere due volte.
«Sono venuta qui»
esordì, anticipando le domande dell’uomo
«per parlare con te».
Lui annuì. «Me
l’aspettavo. Vuoi sapere se ho scoperto
cos’è capitato quel giorno, durante la battaglia,
quando il nostro potere è esploso».
La ragazza rimase in attesa, aspettando che
l’altro le dicesse se e quali informazioni aveva trovato.
«Purtroppo non ho scoperto
nulla» disse Giovanni. «Ho ricontrollato in
biblioteca ma non ho trovato nessun cenno a fenomeni come quello
capitato a noi».
Contrariata e delusa, Sofia poggiò la
fronte sulle ginocchia e si afferrò i capelli, borbottando
parole incomprensibili.
«Sofia, mugugnare non ci
aiuterà» disse l’italiano, paziente.
«Dobbiamo trovare un altro modo per scoprire
cos’è accaduto»
«Io ce l’ho già, un
altro modo» disse lei imbronciata. «È
per questo che mugugno»
rispose, facendogli il verso.
«Avanti, sentiamo» la
esortò Giovanni.
«Ho pensato parecchio
all’eventualità che non riuscissimo a trovare una
spiegazione nelle biblioteche. Evidentemente, quello che ci
è capitato è un fenomeno assolutamente unico nel
suo genere, perciò non c’è modo di
saperne di più cercando dei precedenti»
esordì Sofia.
«E allora non ci resta che rassegnarci
al fatto che non riusciremo mai a risolvere il mistero» disse
Giovanni con una scrollata di spalle.
«Non ho finito». Gli occhi di
Sofia brillavano di impazienza. «Quando cercavamo
informazioni sui Portatori d’Energia, in due o tre villaggi
che ho visitato – e in un’occasione c’eri
anche tu – alcuni anziani hanno accennato a fenomeni unici,
privi di spiegazione. Hanno detto anche che c’è un
solo modo per scoprire la verità su questi fatti».
«Io non ricordo assolutamente nulla al
riguardo» disse l’uomo, aggrottando le sopracciglia
nello sforzo di far riemergere le memorie di quei lunghi e difficili
viaggi.
«Allora penserò io a
rinfrescarti la memoria. Hanno detto che quasi sempre
l’accadimento di queste vicende è scritto nel
destino delle persone e che non si può fare nulla per
evitarle. L’unica possibilità di scoprire come
stanno le cose è rivolgersi a un Custode della
Verità» esclamò Sofia, immaginando
quale sarebbe stata la reazione dell’uomo.
Dopo un lungo silenzio meditabondo, infatti,
Giovanni alzò lo sguardo sulla ragazza e scoppiò
in una violenta risata, tanto da cadere disteso a terra.
«Ho capito... mi stai prendendo in giro!
Sì, è sicuramente così»
disse infine, rialzandosi e asciugandosi gli occhi mentre tentava di
riprendere fiato.
Sofia scosse la testa. «Sono
terribilmente seria, Giovanni. Vedi un altro modo?».
«Quello che vedo è che hai
sviluppato un istinto suicida. Sai che voci circolano sui Custodi della
Verità?».
Lei annuì. «Rarissimi,
incredibilmente difficili da rintracciare, sono i depositari delle
Profezie sui Portatori degli Elementi. Potentissimi e poco
socievoli» sintetizzò la ragazza, glissando sulle
innumerevoli storie che parlavano di Portatori uccisi dai Custodi della
Verità solo per aver chiesto una spiegazione su fenomeni
misteriosi. I più fortunati erano stati ridotti in cenere e
di fatto, a memoria d’uomo, non c’era mai stato
nessuno che fosse riuscito a farsi consegnare una Profezia da un
Custode.
«Allora è inutile dirti che
cercare un Custode della Verità è una pazzia.
Meglio restare nell’ignoranza» disse
l’uomo.
«Oh, non m’interessa quello
che possono farmi i Custodi. Voglio sapere a ogni costo
cos’è successo quel giorno»
insisté Sofia. Giovanni la guardò di sbieco.
«Perché devi essere sempre
così ostinata?» le domandò.
«Perché qualcuno mi ha
insegnato a non farmi spaventare dalle difficoltà e a fare
tutto il possibile per conoscere gli Elementi e i Portatori»
rispose la ragazza, guardandolo con aria di sfida.
«E va bene, ci andremo»
sbuffò l’uomo, cedendo. «Hai almeno una
vaga idea di dove potremmo iniziare a cercare?»
«Ovviamente sì»
rispose lei. Chiamò Nabeela e, afferrando l’uomo
che aveva di fronte, si aggrappò alla coda della Fenice,
trascinandolo con sé nella solita lingua di Fuoco.
*
In piedi di fronte al portone d’ingresso, Laurence bussava
inutilmente. La persona che cercava abitava ancora là
– la targhetta sul citofono glielo aveva confermato
– ma evidentemente in casa non c’era nessuno.
Si calò la visiera del cappellino sugli
occhi, prese un mazzo di fiori da un venditore ambulante e
tornò indietro.
Salì le scale della casa accanto e
suonò il campanello.
«Chi è?»
gracchiò una voce femminile dall’altoparlante.
«Devo consegnare dei fiori alla signora
Seamons» disse Laurence con disinvoltura.
«Ha sbagliato, la signora Seamons abita
nella casa accanto. Ma in ogni caso è partita»
gracchiò di nuovo la voce.
«Partita? E dov’è
andata?» domandò l’uomo preoccupato.
«Non ne ho idea. E comunque, a lei cosa
importa?» chiese la voce, divenuta improvvisamente
sospettosa, prima di chiudere la comunicazione.
Perplesso, Laurence attraversò la
strada e se ne andò, abbandonando i fiori su un muretto.
*
Passeggiando per Staten Island Blaze osservava con attenzione le
villette in stile coloniale che si succedevano una dopo
l’altra. Il caldo era soffocante; si fermò a
riposare su una panchina, all’ombra degli alberi, ascoltando
un gruppetto di ragazzi schiamazzare allegramente.
«Allora ci vediamo stasera!».
Una ragazza di circa sedici anni passò
accanto a Blaze senza notarlo; al grido di saluto dei suoi amici si
voltò per rispondere. Sotto una zazzera di corti capelli
neri e scompigliati, il ragazzo scorse un volto familiare.
Mentre la giovane gli dava nuovamente le spalle e
si allontanava, lui scattò in piedi.
«Kaitlin!»
gridò con tutto il fiato che aveva in gola.
La ragazza si voltò, con gli occhi
sbarrati.
«Blaze?» disse sconvolta,
prima di corrergli incontro e saltargli in braccio. «Non ci
credo, non ci posso credere, sei tornato!» esclamò
scoppiando in lacrime.
«Sorellina, sorellina mia...»
disse Blaze, accarezzandole i capelli e singhiozzando più
forte di lei.
«Ma dove sei stato in tutti questi
anni... perché, perché te ne sei
andato?» gli domandò Kaitlin, staccandosi
dall’abbraccio per guardarlo negli occhi.
«Non ho deciso io di andarmene...
è una storia lunga e complicata. Prometto che ti
racconterò tutto» rispose lui con un sorriso.
«Ma... mamma e papà! Ancora
non sanno che sei tornato, vero?» disse la ragazza,
battendosi una mano sulla fronte.
«No, non sono ancora andato da
loro».
«E allora muoviamoci!».
Così dicendo, Kaitlin afferrò suo fratello per un
braccio e correndo lo trascinò verso la casa in cui erano
cresciuti.
*
Sbuffando, André imboccò Rue Grand Pont. Il caldo
a Rouen era insopportabile.
«Ma dove accidenti era...»
borbottò tra sé e sé, cercando la
Cattedrale di Notre-Dame. Alla fine intravide l’imponente
edificio alla sua sinistra. Superò la piazzetta che si
apriva davanti alla facciata della Cattedrale e si fermò
pochi metri più avanti, di fronte a un portone.
Frugò un po’ goffamente nella borsa con la mano
sinistra, cercando il mazzo di chiavi che sapeva d’aver messo
lì dentro.
«Oh, non è
possibile...» si lamentò ad alta voce. Un uomo gli
passò davanti e aprì il portone del palazzo.
«Deve salire?» chiese
gentilmente ad André, che sussultò e non
osò alzare gli occhi.
«Io... no, grazie» rispose con
voce flebile.
L’uomo alzò le spalle,
entrò e il portone si richiuse.
André tirò fuori la mano
dalla sacca stringendo nel pugno il mazzo di chiavi e si
lasciò andare contro il muro, mentre con gli occhi chiusi
prendeva dei respiri profondi. Mezz’ora dopo si decise a
entrare.
Salì le scale fino all’ultimo
piano, cercando la porta giusta. Alla fine la individuò, ma
non ebbe il coraggio di aprirla. Così si limitò a
bussare.
L’uomo che poco prima gli aveva rivolto
la parola aprì la porta.
«Sì?»
domandò perplesso, osservando la testa bionda del giovane,
che tentennò prima di alzare gli occhi.
L’uomo rimase ammutolito per qualche
istante e il suo volto perse ogni colore, come se avesse visto un
fantasma. Poi scattò in avanti e abbracciò il
ragazzo, che si strinse alla sua camicia come a un’ancora di
salvezza.
«Liliane!» gridò
l’uomo, chiamando sua moglie. Lei arrivò di corsa.
«Maurice ma cosa...»
iniziò, notando solo di sfuggita la figura che suo marito
stringeva tra le braccia. Un momento dopo, il suo istinto di madre ebbe
il sopravvento. «André!»
singhiozzò, facendosi avanti e abbracciando a sua volta il
figlio che aveva perso nove anni prima. Maurice afferrò
entrambi e li trascinò in casa, chiudendosi la porta alle
spalle.
*
Con gli occhi chiusi, Giovanni prese un respiro profondo.
«Riconoscerei l’aria di casa
ovunque» disse sorridendo.
«Ma come siamo sentimentali! Andiamo che
è meglio» disse Sofia, prendendolo per un braccio
e tirandoselo dietro.
Roma li accolse, splendida sotto il sole
d’agosto.
«Perché mi hai portato
qui?» chiese Giovanni, procedendo a passo lento e godendosi
il panorama – pur conoscendolo a memoria –
incurante dell’impazienza di Sofia.
«Dobbiamo vederci con alcune
persone» rispose lei, afferrando il cellulare e digitando
rapidamente un numero di telefono. Dopo un paio di squilli, la persona
all’altro capo rispose.
«Sono a Roma. Riusciamo a vederci tra
mezz’ora a Piazza Venezia?» disse Sofia
immediatamente. La risposta che ricevette la fece sorridere
soddisfatta. «Ovvio che devono esserci anche loro!»
aggiunse in tono incredulo, prima di riagganciare.
«Chi era?» domandò
Giovanni, incuriosito.
«Un’amica» rispose
vaga la ragazza, conducendolo di fronte all’Altare della
Patria.
Esattamente mezz’ora dopo, un gruppetto
di tre ragazze li raggiunse.
«Sofi!» gridarono in coro,
abbracciandola. Lei rispose con pari entusiasmo.
«Martina... Aleja...
Claire...» disse, nominandole a mano a mano che le
abbracciava.
«Sì può sapere
dov’eri sparita? Ti sei persa il mio compleanno!»
disse Aleja, osservandola con aria di rimprovero attraverso la
frangetta bionda.
«E anche gli ultimi
cambiamenti dei tuoi capelli. Ormai sono quasi bianchi... quando
smetterai di decolorarli?» chiese Sofia, indicandole la testa.
Gli occhi azzurri dell’altra
scintillarono divertiti. «Mai, è ovvio!».
Martina si rivolse a Sofia. «Aleja ha
ragione... dove accidenti eri finita? Sono mesi che non ti fai vedere
né sentire!»
«Oh... be’, ho avuto qualche
problemino. Grazie a lui» rispose, indicando Giovanni.
Le occhiate che le tre ragazze gli avevano rivolto
di nascosto divennero esplicite.
«Finalmente! Volevo proprio chiederti
chi fosse questo tuo amico...»
disse Claire, osservandoli con aria maliziosa.
«Aha! Ecco perché eri
sparita... eri con lui! Brava, brava» rincarò la
dose Martina.
L’oggetto delle loro insinuazioni
divenne scarlatta, pur essendo abituata a quegli scherzi: se li
facevano l’un l’altra da quando si erano conosciute.
«Volete smetterla? Avete capito male,
non ero con lui...» iniziò. Aleja la interruppe.
«Be’, Michele sarà
felice di saperlo!» sghignazzò.
Sofia le rivolse uno sguardo assassino e
l’altra tacque immediatamente.
Giovanni si girò verso di lei.
«E questo Michele chi
sarebbe?» chiese con aria minacciosa. Sofia non si scompose.
«Nessuno, e in ogni caso non ti
riguarda» rispose, simulando indifferenza.
«Nessuno?»
le fece eco Aleja, incredula. Sofia decise di distogliere
l’attenzione generale.
«Lasciate che proceda alle
presentazioni... Giovanni, loro, come avrai già capito, sono
tre mie carissime amiche: Aleja, Claire e Martina. Ragazze, lui
è Giovanni».
«Quel
Giovanni?» chiesero in coro, mentre il sorriso spariva dai
loro volti. Le loro Aure esplosero, investendo in pieno Sofia e
Giovanni: la prima, che se lo aspettava, si protesse quel tanto che
bastava per non esserne colpita; il secondo, invece, fu sospinto
indietro di alcuni passi.
«Ma... sono delle Portatrici!»
disse incredulo.
«E sono arrabbiate. Ti consiglio di
stare attento» precisò Sofia, divertita.
Le tre ragazze continuarono a scrutarlo con aria
torva. Lo misuravano con lo sguardo, come se stessero decidendo in
quale punto fosse meglio colpirlo.
«Lasciatelo stare, abbiamo cose
più importanti di cui occuparci... a questo proposito, mi
servirebbe un’informazione» disse Sofia, osservando
le altre tre ragazze. «Claire, come va il corso di
fotografia?» domandò in tono leggero.
«Benissimo,
perché?» ribatté l’altra,
perplessa. Sapeva che la sua amica voleva chiederle
qualcos’altro.
«Mi domandavo... ricordi quegli strani
cerchi di luce che hai fotografato un anno e mezzo fa?»
«Certo che me li ricordo... sto ancora
cercando di scoprire cosa fossero».
Giovanni s’intromise nella
conversazione.
«Oh, sicuramente erano degli
UFO» disse in tono di scherno e guadagnando immediatamente
quattro occhiatacce.
«Sei un idiota» disse Sofia,
calmissima. «I cerchi di luce di cui parliamo non si
trovavano in cielo. Comparivano a mezz’aria e poi si
schiantavano a terra, allargandosi per una ventina di metri, prima di
svanire».
Ignorandolo, le quattro ragazze si immersero di
nuovo nella conversazione.
«Perché ti interessano tanto
quei cerchi?» chiese Martina.
«Forse ho capito da cosa sono
prodotti» replicò Sofia.
«Però per averne la certezza voglio recarmi
lì e controllare... c’erano insediamenti, nei
paraggi?» disse, rivolgendosi di nuovo a Claire.
«Sì, c’era un
villaggio a qualche chilometro, verso Sud-Est... Akasha» la
informò.
«Hai intenzione di andare
là?» le domandò Aleja in tono
preoccupato.
Sofia annuì.
«Be’, sta’ attenta.
Non vedono di buon occhio gli stranieri, laggiù»
si raccomandò Claire.
«Sarò prudente»
promise l’altra, sorridendo. «Ah, quando
tornerò dovete assolutamente venire a trovarmi... voglio
presentarvi un po’ di persone».
Le altre tre assentirono entusiaste.
«Allora ci sentiamo tra qualche
giorno» disse Sofia mentre si salutavano.
«Vedi di tornare in tempo per il mio
compleanno, sai bene che è tra due settimane!» le
gridò dietro Martina.
Sofia le fece cenno di averla sentita e
sghignazzò. Mentre cercava un posto abbastanza riparato per
chiamare Nabeela, Giovanni la bombardò di domande sulle tre
ragazze che avevano appena incontrato.
«Si può sapere quando le hai
conosciute?» le stava appunto chiedendo. La ragazza
sbuffò.
«Pensavi davvero che durante i miei
viaggi non parlassi con nessuno?» disse sarcastica,
controllando l’angolo in cui si trovavano, riflettendo. Non
era il massimo, ma poteva andare... o almeno era quello che aveva
pensato fino a quando un gruppo di turisti chiassosi passò
loro davanti. «Qui non va bene»
annunciò, riprendendo a camminare.
«E come vi siete incontrate?»
«Ascoltando una radio sul web...
c’era una chat annessa e quando potevo mi collegavo. Abbiamo
iniziato a chiacchierare e abbiamo fatto amicizia» rispose
distrattamente.
«Ma non sono italiane, almeno a
giudicare dai nomi di Aleja e Claire» notò
Giovanni.
«No infatti, la prima è
spagnola e la seconda francese. Martina invece, a dispetto del nome,
è irlandese, ma tutte e tre hanno ascendenze italiane...
ecco perché si sono trasferite a Roma»
«E sono delle Portatrici.
Interessante» disse l’uomo tra sé e
sé. Sofia lo guardò male.
«Non pensarci neanche. Loro restano
qui» lo avvertì. Poi si guardò intorno,
aggrottando la fronte. «Non senti qualcosa di
strano?» chiese, voltandosi verso Giovanni.
«Veramente no, ma sto trattenendo
l’Aura» replicò lui. Poi assunse
un’aria perplessa. «Hai ragione,
c’è qualcosa di strano. Percepisco qualcosa di
simile a un’Aura Sensibile»
«Hai detto bene. Qualcosa simile a
un’Aura Sensibile... ma è inconsistente. Troppo.
Non credo che chi emani questa... cosa...
riesca a percepirci» replicò la ragazza.
Ruotò su se stessa, osservando il vicolo in cui si erano
infilati e controllando le mura verso l’alto. Poi Giovanni le
diede una bottarella sulla schiena.
«Guarda lì» le
bisbigliò, accennando con la testa all’imboccatura
del vicolo.
Sofia seguì il suo sguardo. Alcuni
metri più avanti, un occhio scuro e lucente li osservava nel
piccolo spazio tra il muro e il palo di un lampione.
«Ti abbiamo visto. Che cosa
vuoi?» disse con calma, pur tenendosi pronta a combattere.
Sentì Giovanni, accanto a sé, tendersi, pronto a
scattare. Come lei, era preoccupato dall’improvvisa comparsa
di quell’entità che non riuscivano a identificare,
anche se a Sofia comunicava uno strano senso di familiarità.
Contrariamente a quanto si erano aspettati,
l’occhio si affacciò nel vicolo, seguito da un
volto e da un corpo.
«Non lo so. Sapevo solo di doverti
seguire» disse a una Sofia più che mai sbalordita.
Giovanni la fissò preoccupato.
«Sofi cos’hai? La conosci?».
«No, ma credo proprio di conoscere suo
marito» rispose con voce strozzata. Poi fissò
intensamente la donna che aveva di fronte.
«Ambrosine?»
Il sorriso che l’altra le rivolse fu una
conferma sufficiente.
Facendosi avanti, Sofia chiamò Nabeela.
«Dobbiamo andare, e di corsa» disse, afferrando la
donna e aggrappandosi con Giovanni alla coda della Fenice.
*
Mentre camminava distrattamente per le strade di Londra, Laurence
sentì qualcosa di strano. Si guardò intorno,
scosse la testa e mosse qualche altro passo. Poi lo sentì di
nuovo.
Pochi metri più avanti, un vicolo si
apriva alla sua destra. Vi si infilò velocemente e subito
qualcosa di setoso lo sfiorò.
«Nabeela, sei proprio tu
allora!» disse stupefatto. Poi la preoccupazione ebbe il
sopravvento; sapeva che la Fenice poteva essere stata mandata a lui
solo da Sofia. Chiedendosi cosa potesse essere successo di tanto grave,
sparì insieme a Nabeela.
*
Senza fiato, Laurence riapparve sul prato che ormai conosceva bene.
Mentre Nabeela volava via, scorse Gregory e Giovanni comodamente seduti
sull’erba che parlavano.
«Razza di...!»
esclamò, fissando il primo. I due non si scomposero.
«Sofi, è arrivato!»
gridò Gregory voltandosi verso la porta.
Sofia uscì come una furia.
«Sofi, cos’è
successo?» chiese Laurence, avvicinandosi alla ragazza.
«E cosa ci fa lui
qui?» aggiunse, indicando Giovanni.
«Oh, non ti preoccupare di lui.
L’ho chiamato io, dobbiamo cercare una cosa... infatti
eravamo a Roma quando abbiamo trovato qualcosa che ti
appartiene» rispose lei con un sorriso. Si sporse oltre
l’angolo e fece un cenno.
«Cos’è che avreste
trov...» iniziò Laurence. La comparsa della donna
che aveva seguito prima André e poi Sofia lo interruppe.
Senza dire una parola, i due si avvicinarono e si
strinsero. In silenzio, Gregory, Giovanni e Sofia se ne andarono,
lasciandoli soli. Molto tempo dopo, Laurence lasciò andare
Ambrosine e le afferrò le mani.
«Mi dispiace così tanto,
Ambrosine» disse in tono stanco, tenendo lo sguardo fisso a
terra. Lei sembrò non capire.
«Non capisco di cosa ti stai
scusando» disse dolcemente, accarezzandogli una guancia.
«Di essere sparito, quasi dieci anni fa.
Non fui io a deciderlo, ma non posso comunque perdonarmi di non essere
riuscito a tornare da te molto prima. Le cose sarebbero andate
diversamente... saremmo rimasti insieme, avremmo vissuto la vita che
avevamo sempre desiderato... mi avrai odiato, per tutto
questo» disse; la sua voce si spezzò.
Ambrosine lo guardò, sorpresa dalle sue
parole.
«Ma, Laurence»
iniziò «come potrei odiarti? Ti ho amato dalla
prima volta che ti ho visto, e poi sapevo che non te ne eri andato di
tua volontà, così come sapevo che non eri
morto!»
«Morto? Che significa?»
domandò lui, non capendo a cosa sua moglie si riferisse. Non
aveva mai saputo in che modo i Maestri del Centro avevano coperto la
sua sparizione.
«Sì... dissero che eri caduto
fuoribordo, durante la tempesta, e che nessuno se n’era
accorto fino all’arrivo della nave» lo
informò Ambrosine. «Tutti la considerarono una
terribile disgrazia, ma io non ci ho mai creduto» aggiunse.
«Ma che razza di...»
ruggì lui, prima di interrompersi. «Aspetta un
momento...perché tu non ci hai creduto?»
«Non lo so. La spiegazione dei fatti era
logica, e convincente, ma sapevo che non era la verità.
Sapevo anche che eri vivo e stavi bene... in alcuni momenti potevo
quasi sentirti come se fossi stato fisicamente accanto a me, spesso
intuivo i tuoi stati d’animo... specialmente quando soffiava
il vento» rispose la donna, come se nulla fosse.
Laurence la guardò con gli occhi fuori
dalle orbite. Ambrosine sembrò perplessa.
«Perché mi guardi in questo
modo?» gli domandò.
Rapidamente, Laurence le spiegò il
motivo per cui era stato rapito e cosa era in grado di fare,
dandogliene una dimostrazione pratica.
«Per questo sono rimasto tanto stupito
quando hai detto che mi sentivi, in particolar modo durante le giornate
ventose» concluse. Poi la guardò preoccupato.
«Temo che tu abbia delle particolari capacità,
differenti rispetto a quelle di noi Portatori...»
«Ed è un male?»
chiese lei.
«No, certo che no... ho solo paura che
qualcuno possa tentare di portarti via per sfruttare questa tua dote.
Finché sei qui non dovresti correre rischi... in ogni caso,
guardati da Giovanni» la ammonì.
«Giovanni? L’uomo che era con
quella ragazza bassa a Roma?»
«Proprio lui. È a causa sua
se sono sparito per tutti questi anni»
«Oh, non devi preoccuparti di
quell’uomo. Non è una minaccia... sta cercando di
scoprire la verità riguardo alla strana manifestazione di un
potere e ora la sua mente è totalmente concentrata su
questo. Inoltre è troppo preso dalla curiosità...
vuole cercare una persona» replicò Ambrosine.
«E tu come lo sai? Te lo ha detto
lui?» chiese Laurence, incredulo. Era certo che Ambrosine non
sapesse nulla su quanto era accaduto tra Sofia e Giovanni durante la
battaglia di un mese prima, e ancor meno su chi o cosa Giovanni
progettasse di trovare.
La donna aggrottò la fronte,
riflettendo.
«No, non mi ha rivolto neanche una
parola. Ma nel momento in cui mi sono avvicinata a lui... queste cose,
e molte altre, mi sono saltate alla mente. Come se le avessi sempre
sapute, ma mi fossero sfuggite dalla memoria» rispose,
tentando di spiegarsi.
A ogni parola, Laurence assumeva un’aria
sempre più terrorizzata. Il potere che stava sgorgando da
Ambrosine era di un tipo a lui totalmente sconosciuto, e temeva le
conseguenze che avrebbe potuto produrre – direttamente o
indirettamente – sulla sua amata moglie.
«E ti è capitato anche con
gli altri?» le domandò.
Lei annuì.
«Sì... con te, con la
ragazza... Sofia, giusto? E anche con l’altro uomo...
l’americano, con gli occhi azzurri. Ah, ed è stato
lo stesso con il ragazzo biondo» disse, ricordando i
Portatori che aveva incrociato quel giorno.
«Ragazzo biondo? Chi, dove?»
chiese ancora Laurence. Invece di chiarirsi, la situazione si
complicava sempre più.
«Oh, quello che ho seguito a Parigi,
all’aeroporto...» rispose vaga Ambrosine.
«Alto, con una grande cicatrice intorno
al polso destro?» indagò lui.
«Sì, proprio così.
Non riusciva ad afferrare la valigia» confermò la
donna. «Avevo capito di dover andare al Roissy-Charles de
Gaulle, ma dopo aver incontrato quel ragazzo ho avuto una strana
sensazione... come se non avesse più senso stare
lì. Ero indecisa tra andare a New York o a Roma ma alla fine
ho optato per la seconda, visto che era più
vicina» aggiunse.
«New York...da Blaze» disse
tra sé e sé Laurence, guardando oltre la testa di
Ambrosine con gli occhi vitrei. Dopo aver riflettuto per un minuto, si
scosse.
«Andiamo da Sofia. Dobbiamo
assolutamente scoprire la natura di questo tuo potere, e se
c’è qualcuno che può avere qualche
informazione, è di certo lei» decise, prendendola
per mano e conducendola all’interno dell’edificio. |
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Capitolo 3 *** Akasha ***
«Sei sicura di non sapere nulla?»
«Mi dispiace, ma non ne ho la minima
idea».
Dispiaciuta, Sofia fissò il suo amico.
Da quando Ambrosine aveva ripetuto a lei, Gregory e Giovanni quello che
aveva detto a Laurence riguardo alle proprie percezioni, i cinque
avevano rivoltato la biblioteca per ben due giorni, purtroppo senza
risultati. I poteri di Ambrosine restavano privi di spiegazione.
Giovanni si passò una mano sugli occhi,
massaggiandosi le occhiaie.
«Non dormiamo da due giorni. Come
possiamo partire in queste condizioni?» chiese a Sofia, che
lo guardò alzando un sopracciglio.
«Come mai tanta fretta? Dal tuo
atteggiamento mi era sembrato che non ti importasse granché
di scoprire cosa ci è successo» replicò.
L’uomo le rivolse una smorfia.
«Non credevo ci fosse un modo. Non avrei mai pensato di
cercare un Custode».
«State cercando un Custode della
Verità?» indagò Gregory con gli occhi
fuori dalle orbite. I due annuirono. «Be’, allora
siete pazzi» decretò lui.
«Custodi della Verità? Ma
cosa sono?» domandò Laurence.
Rapidamente, gli altri tre dissero a lui e ad
Ambrosine il poco che sapevano al riguardo. Quando tacquero, il volto
di Laurence s’illuminò.
«È così che
faremo. Porteremo Ambrosine da un Custode della Verità e lui
ci dirà da dove viene il suo potere e di che natura
è» decretò.
Guardandolo in modo strano, Sofia gli
lasciò a stento terminare la frase.
«Non hai sentito quello che abbiamo
detto? Da secoli nessuno riesce a ottenere risposte da un Custode. Nel
migliore dei casi, degli interroganti resta a stento un mucchietto di
cenere. Tu faresti correre un rischio simile ad Ambrosine? Senza
contare che non sappiamo cosa sia, ma di certo non è una
Portatrice, e si dice che i Custodi posseggano la Verità
solo riguardo ai Portatori. C’è la
possibilità che neanche loro sappiano che tipo di potere sia
quello di Ambrosine. No, Laurence, dovremo trovare un altro modo per
scoprirlo».
«Non puoi decidere tu, Sofia».
Laurence s’inalberò di fronte al suo rifiuto.
«No, ma posso consigliarti. Inoltre, se
vogliamo essere precisi fino in fondo, la decisione dovrebbe essere di
Ambrosine, mentre a me sembra che questa scelta sia stata solo tua. Lei
non ha detto una parola al riguardo».
Tutti si voltarono verso la donna che, in
silenzio, rifletteva.
«Non so, Laurence» disse
infine «a me è sufficiente averti ritrovato. Non
m’interessa scoprire perché so tutte queste
cose».
Sentendosi isolato, l’uomo si rivolse di
nuovo a Sofia.
«Secondo me non dovresti andare neanche
tu. Stando a quello che hai detto, è un suicidio!»
«Te l’avevo detto, che era un
proposito folle» bofonchiò Giovanni alla ragazza.
Lei li ignorò entrambi.
«Questo pone un altro problema. Se
troveremo un Custode e subiremo lo stesso destino dei Portatori che ci
hanno preceduti, al Centro non ci sarà un Maestro del Fuoco
che possa continuare ad addestrare gli allievi» disse a
Giovanni, che abbassò lo sguardo.
«Non ci avevo pensato» ammise
«ma sono certo che Jackson e Tsukiko troveranno un rimpiazzo,
come stanno facendo per Prudencia».
Al nome della donna che aveva ucciso, lo stomaco
di Sofia si strinse, ma non durò che un istante; Laurence,
infatti, reclamò di nuovo la sua attenzione.
«Hai parlato del Centro... ma noi come
faremmo, se un Custode dovesse ucciderti?» le chiese.
«Voi avete Costa... non ci sarebbero
problemi» rispose la ragazza.
«Costa è potente e ben
addestrato, ma non è te» precisò
Gregory. «Inoltre sei una degli unici tre Testimoni
viventi... se tu e Giovanni doveste morire, il vostro immenso potere
andrebbe sprecato».
«Questa è una decisione che
non riguarda nessuno se non noi» s’intromise
Giovanni, facendo fronte comune con Sofia.
«In ogni caso» disse la
ragazza, afferrando il cellulare «c’è un
Maestro del Fuoco che potreste chiamare, se dovesse capitarmi qualcosa.
Vi basterà dirgli che vi ho detto io di contattarlo. Questo
è il suo numero» aggiunse, scribacchiando
rapidamente un numero di cellulare su un pezzo di carta. Poi ci
ripensò e aggiunse altri tre numeri, scrivendo accanto a
ognuno un nome. «Questi sono i numeri di tre mie carissime
amiche... se dovesse capitarmi qualcosa, chiamale e
avvertile» concluse, rivolgendosi a Laurence e consegnandogli
il foglio.
«Allora sei proprio sicura?»
insisté Gregory, guardandola con aria quasi implorante. La
ragazza annuì.
Giovanni, intanto, scriveva frenetico. Dopo aver
riempito due fogli, li ripiegò accuratamente.
«Allora, vogliamo andare?» gli
chiese Sofia, alzandosi in piedi.
«Perché tutta questa fretta?
Pensavo che prima ci saremmo riposati» si lagnò
lui.
«Smettila di lamentarti... non ti si
addice» replicò la ragazza, dandogli una
spintarella. Giovanni si alzò.
«Prima di andare ad Akasha, dobbiamo
passare un attimo al Centro» disse, mentre a un cenno di
Sofia Nabeela entrava dalla finestra.
«Va bene» rispose lei con
un’alzata di spalle. Si aggrapparono alla Fenice e svanirono.
*
«Come mai scegli sempre questo posto?» chiese
Giovanni a Sofia, alzando lo sguardo sui folti rami
dell’ippocastano.
«Perché è
l’unica cosa del Centro che ricordo con piacere»
replicò lei. «Avanti, sbrigati. Io ti aspetto
qui».
Superati gli alberi che lo separavano dal prato
Giovanni iniziò a correre, risalendo il pendio. Arrivato
sotto le finestre dell’Ala Sud, sfruttando l’ultima
aria che aveva nei polmoni, iniziò a chiamare Jackson a gran
voce. L’uomo uscì meno di due minuti dopo.
«Giovanni! Ma dove accidenti eri
finito?» esplose.
Piegato a metà nel tentativo di
riprendere fiato rapidamente, l’italiano gli fece cenno con
la mano di aspettare. Un minuto più tardi, riuscì
a parlare.
«Sono partito, devo fare una cosa.
C’è la possibilità che io non
ritorni...»
«Che significa, che
c’è la possibilità che non
torni?» ruggì Jackson.
«Non ho tempo di parlare adesso, devo
andare... mi stanno aspettando. Prendi questi» disse
Giovanni, mettendogli in mano i fogli piegati «leggili, ti
spiegheranno tutto»
«Giovanni, non puoi fare
così!» gli gridò dietro Jackson, mentre
l’altro si allontanava correndo come un pazzo.
«A quanto pare l’ho
già fatto!» gli urlò in risposta
l’italiano, un attimo prima di sparire.
*
L’aria bollente si richiuse sulle figure appena apparse come
se fosse stata solida.
Boccheggiando, Giovanni si allargò il
collo della maglia con due dita.
«Si può sapere dove
siamo?» chiese, osservando il nulla che lo circondava.
«Deserto della Nubia» rispose
Sofia, girando su se stessa. «Guarda, a tre chilometri in
quella direzione c’è il Nilo... dovremo
attraversarlo, per raggiungere Akasha» disse, puntando un
dito verso Est.
«Se Akasha è di
là, perché hai detto a Nabeela di portarci
qui?» indagò Giovanni, osservando la giovane che
aveva accanto come se fosse pazza.
«Per due motivi» fu la
risposta. «Innanzitutto non possiamo apparire dal nulla, con
una Fenice, in prossimità di un centro abitato. Si
scatenerebbe il finimondo»
«Giusto. E il secondo motivo?»
«Prima di andare, volevo farti vedere quelli»
disse Sofia, facendolo voltare verso ovest: in lontananza, una strana
luce si diffondeva nell’aria rarefatta dal calore. Si
incamminarono in quella direzione e dopo pochi minuti si bloccarono. A
duecento metri da loro, dei cerchi di luce azzurrina del diametro di
venti metri comparivano a intervalli regolari dal nulla a circa venti
metri d’altezza, ricadendo verso terra come se fossero dotati
di una massa solida e allargandosi in ogni direzione per venti metri,
prima di sparire. Dopo averli osservati per un paio di minuti, Giovanni
parlò.
«Interessante. Compaiono a venti metri
d’altezza, hanno un diametro di venti metri e si allargano
tutt’intorno per venti metri prima di sparire»
notò.
«Già. Sembra un modulo fin
troppo preciso» aggiunse Sofia. «Inoltre, non
riesco a capire di cosa siano fatti quei cerchi. Non credo sia semplice
luce, devono avere una precisa utilità»
«Credi che costituiscano una
difesa?» le domandò l’uomo, distogliendo
finalmente lo sguardo dai cerchi di luce per posarlo sulla ragazza.
«Non vedo a cos’altro possano
servire» rispose lei.
Al centro dei cerchi si levava una grotta in
pietra giallina, sbiadita dal sole.
«Non è strano che ci sia una
caverna così, in mezzo al deserto?» chiese Sofia,
affascinata.
«Decisamente insolito»
convenne l’altro. «Credi sia il rifugio di un
Custode della Verità?»
«Ne sono quasi certa. Ma ora andiamo ad
Akasha... il sole tramonterà presto» disse lei,
voltando le spalle alla grotta e incamminandosi verso il Nilo.
Arrivarono ad Akasha quasi due ore dopo. Trovare
il punto migliore per attraversare il fiume si era rivelato
più difficile di quanto immaginassero. Giunti nella piazza
della cittadina, avvicinarono un gruppetto di uomini che li osservava
di sottecchi.
«Buonasera» disse vivacemente
Sofia in inglese, sfoderando un’aria ingenua e il suo sorriso
migliore. Nessuno rispose; continuarono a osservarla con sospetto. Un
paio di uomini indietreggiarono di qualche passo, stranamente a disagio.
Per nulla intimorita dal loro silenzio, la ragazza
proseguì. «Abbiamo sentito parlare degli strani
cerchi di luce nel Deserto della Nubia, e ci chiedevamo se qui
c’è qualcuno che possa parlarci di
quell’interessante fenomeno».
Di nuovo, non ottenne risposta; ora gli uomini la
guardavano con aperta ostilità.
«Ecco un altro paio di stupidi turisti
ficcanaso che vogliono farsi ammazzare» disse sarcastico un
uomo al suo vicino, in arabo; rapida come il fulmine, Sofia lo
arpionò al collo con una corda incandescente e lo
attirò a sé.
«Sono certa di non aver capito
bene» disse soavemente all’uomo, in arabo
«ma ho avuto l’impressione che tu mi abbia chiamata
stupida ficcanaso».
Gli altri uomini, impietriti, fissavano la scena;
un paio di loro scattarono in avanti, espandendo le Aure, ma Giovanni
si frappose tra loro e la ragazza, espandendo a sua volta la propria
Aura fino a sospingerli indietro.
«Non pensateci neanche» li
ammonì.
«Allora» insisté
Sofia, fissando con sguardo duro l’uomo che aveva di fronte e
costringendolo in ginocchio «mi dici a chi posso chiedere di
quei cerchi di luce, o devo incenerirti?».
Sentendo il calore intorno al proprio collo
aumentare sensibilmente, l’uomo si decise a parlare.
«A Sud... a Sud della città,
poco fuori gli ultimi insediamenti, c‘è una
casetta isolata. Ci vive una vecchia... dicono sia una fattucchiera o
roba simile, è strana, tutti hanno paura di
avvicinarsi» guaì.
«A Sud, hai detto»
ripeté la ragazza; la sua vittima annuì
freneticamente, mentre il Fuoco che lo cingeva seguiva i suoi movimenti.
Sofia fece svanire il Fuoco; il malcapitato non
ebbe il tempo di tirare il fiato che la ragazza lo agguantò
per il colletto della camicia e lo lanciò verso i suoi amici
con forza insospettabile.
Giovanni, intanto, fremeva. Moriva dalla voglia di
attaccare i due Portatori che aveva di fronte. Sofia
affiancò l’italiano e guardò il
gruppetto con aria seria. Poi socchiuse gli occhi e si sporse
leggermente in avanti.
«Bu!» disse. Incespicando, il
gruppo si serrò e corse via a gambe levate.
«Patetici» commentò la ragazza,
afferrando Giovanni per un braccio. «Dai, andiamo».
Quando arrivarono alla casa che cercavano era
ormai buio pesto; dietro le finestre brillava, solitaria, una piccola
luce ovattata. Dopo essersi guardati per un attimo, i due bussarono. La
porta si aprì quasi immediatamente.
«Ahhh» disse una donna. Era
molto vecchia; aveva il volto bruciato dal sole e gli occhi neri
sprofondati tra le pieghe della pelle. Non c’era un solo
angolo del viso che non fosse coperto di rughe, così come le
mani, che erano secche e nodose.
Non sapendo come interpretare
quell’esclamazione, i due rimasero immobili.
«Giovanni, Sofia... vi stavo aspettando.
Sapevo che sareste arrivati» proseguì la vecchina,
fissando il suo sguardo lucente da uno all’altra e
spostandosi. «Entrate».
Accogliendo l’invito, seguirono la donna
in casa; si accomodarono su due sedie, fianco a fianco, mentre la donna
chiudeva la porta e si sistemava di fronte a loro.
«Io sono Samaah» si
presentò la vecchia, togliendo un bollitore dal fornello e
riempiendo tre tazze. Il profumo del the alla menta si diffuse
nell’aria.
«Come sapeva chi siamo e che saremmo
venuti da lei?» chiese Sofia dopo aver bevuto un sorso di
the. La vecchia scoppiò in una risata un po’
affannosa.
«Bambina mia, io sono una Sibilla...
come potevo non saperlo?» disse infine.
«Lei è una
Sibilla?» ripeterono in coro Giovanni e Sofia. In tutti i
viaggi che avevano intrapreso, non ne avevano mai incontrata una.
«Proprio così. Tuttavia non
credo di potervi aiutare. Noi Sibille possiamo predire il futuro solo
alle persone normali... i Portatori sfuggono in gran parte alla nostra
Vista. Dovete rivolgervi altrove...ma questo lo sapete
già» disse Samaah.
«Però lei sa
perché siamo qui. Sa cosa vogliamo sapere»
insisté Giovanni.
«Lo so benissimo, ma voi non comprendete
i misteri della Vista e della Verità. Ci sono segreti che
possono essere rivelati solo se si domanda, e misteri che possono
essere svelati solo se a domandare sono i giusti»
cantilenò la vecchia.
«Allora ci dica... dei cerchi di luce.
Quelli nel Deserto della Nubia, a pochi chilometri da qui»
disse Sofia.
«Bambina, quelli non sono gli unici
cerchi. Ce ne sono altri, sparsi per il mondo, più potenti e
meno potenti» rispose la donna.
«Sono la protezione dei Custodi della
Verità?» chiese Giovanni. Samaah annuì,
prendendo un altro sorso di the.
«Non tutti i Custodi sono uguali. La
Verità non si può apprendere e custodire tutta
insieme: deve essere posseduta per gradi» spiegò
lei.
«Come si può interrogarli
senza correre il rischio di essere uccisi?»
domandò Sofia.
«Questo nessuno lo sa. Io posso solo
consigliarvi di conoscere meglio la storia dei Custodi della
Verità, prima di tentare un contatto»
«Abbiamo cercato informazioni»
disse Sofia sconsolata «ma non abbiamo trovato
nulla».
La vecchia si alzò e iniziò
a frugare dentro un baule.
«Forse ho qualcosa per voi»
disse, continuando a cercare. Alla fine trasse dal baule due rotoli di
spessa pergamena. Si rialzò faticosamente e tornò
al tavolo. «Qui c’è qualcosa che
potrà esservi utile. In questo manoscritto troverete una
serie di informazioni sui Custodi della Verità e
l’elenco dei segni rivelatori della loro presenza»
disse indicando il primo rotolo, tenuto insieme da un largo nastro
azzurro. «Qui, invece, è riportata
un’antichissima leggenda su un Custode della
Verità» proseguì, indicando il secondo
rotolo: aveva l’aria vecchia e consunta e i due nastri che lo
legavano – che un tempo dovevano essere stati uno nero e uno
rosso scuro – erano sbiaditi. «Nessuno ha mai dato
importanza a questa vecchia storia, ma io vi consiglio di leggerla
ugualmente. Abbandonate i pregiudizi, quando studierete queste
pergamene e vi recherete dai Custodi: perché il pregiudizio
è l’unico, vero, insormontabile ostacolo tra
l’uomo e la Verità» concluse Samaah.
Calò il silenzio; comprendendo che la
donna non avrebbe detto loro altro, Giovanni si alzò.
«È stata molto gentile,
Samaah. Ci scusi per il disturbo» disse l’uomo,
insolitamente cortese.
La vecchia scoppiò di nuovo a ridere.
«È inutile reprimere la
propria natura; riemerge sempre, qualunque cosa si faccia per
cambiarla» gli disse con un ghigno. Poi fece loro strada
verso una porta. «In casa mia non c’è
posto, per voi» disse, conducendoli all’esterno
«ma in quel vecchio fienile potrete dormire.
C’è della paglia, così starete
più comodi» aggiunse, indicando una piccola
capanna che sembrava dovesse crollare al primo soffio di vento.
«Veramente noi...»
esordì Giovanni, ma Sofia lo bloccò.
«È molto gentile da parte
sua, Samaah. Grazie» rispose con energia.
Mentre Giovanni le guardava stupefatto, Samaah
fissò attentamente la ragazza.
«Passare la notte sotto le stelle del
deserto può essere illuminante» le disse,
strizzando un occhio.
Il tonfo della porta che si chiudeva scosse le due
figure immobili dai propri pensieri.
«Andiamo va’» disse
Giovanni, entrando nella capanna con aria scontenta. Sedette sulla
paglia, cercando di sistemarsi il più comodamente possibile.
Si sdraiò ed emise uno sbuffo irritato. «Il tetto
è pieno di buchi» annunciò.
Sofia entrò nella capanna, chiuse la
porta e si sdraiò sulla paglia senza fare troppe scene.
Aveva affrontato di peggio di una notte di sonno su un giaciglio
improvvisato.
«Non hai sentito Samaah? Passare una
notte nel deserto, sotto le stelle, può essere
illuminante» disse divertita, sistemando le due pergamene
dietro la propria testa.
«Proprio non capisco perché
siamo ancora qui. Chiamiamo Nabeela e torniamo in Irlanda!»
sbottò l’uomo. La ragazza lo guardò,
esasperata.
«Di’ un po’,
Giovanni, da quando sei così tardo? Samaah è una
Sibilla, sapeva che saremmo venuti da lei e di certo sa anche come siamo
arrivati. Ci sta facendo dormire qui perché questo ci
aiuterà a capire molte cose».
«Senti un po’, Sofi»
replicò Giovanni, offeso dall’insulto della
ragazza «Samaah sarà anche una Sibilla, ma secondo
me in fondo non è che una vecchia.
L’età l’ha resa un po’
svitata. Cos’è che dovremmo capire, dormendo
qui?»
«Sei più stupido di quanto
pensassi. Ti dico la prima cosa che dovresti capire: stando qui abbiamo
iniziato questa conversazione e abbiamo appurato che tu hai una mente
chiusa dai pregiudizi, e Samaah ci ha detto che il pregiudizio
è l’unico ostacolo verso la Verità.
Ragionando e comportandoti in questo modo, sta’ sicuro che il
primo Custode che incontreremo ti ridurrà in polvere senza
neanche permetterti di aprire bocca» replicò Sofia.
Sempre più arrabbiato, Giovanni si mise
a sedere, scrutandola con aria torva.
«Non osare mai più parlarmi
così» disse in un ringhio. Sofia
sghignazzò.
«Ecco un’altra cosa che
potresti capire, stanotte: Samaah aveva ragione, quando diceva che la
propria natura non può essere repressa. In questi giorni hai
cercato di essere gentile, diplomatico e accondiscendente, ma
è bastato contraddirti e non fare quello che volevi tu
perché tornassi a essere il solito iracondo, violento
bastardo di sempre» disse con aria di sfida.
Perdendo il controllo, Giovanni le
saltò addosso; lei rotolò via un attimo prima che
lui la bloccasse e si alzò in piedi. Anche l’uomo
si alzò, scagliandosi di nuovo contro Sofia. Non gli era
neanche venuto in mente di evocare del Fuoco o dell’Energia
per colpirla: era tanto furioso da aver dimenticato di possedere altre
armi oltre al proprio corpo.
Con un grugnito le afferrò un braccio,
torcendoglielo dietro la schiena; lei gli assestò una
gomitata nello stomaco col braccio libero e si divincolò.
Fece appena in tempo a girarsi che Giovanni le fu di nuovo addosso,
schiaffeggiandola; Sofia lo colpì con cattiveria alla gola,
spezzandogli il fiato e facendolo cadere a terra. Fulmineo,
l’uomo l’afferrò per una caviglia e la
trascinò al suolo, inchiodandola col peso del proprio corpo;
dimenandosi, lei cercò di scappare. Lui le ghignò
in faccia.
«Cosa vorresti fare, Sofi? Sono
più forte di te, non puoi liberarti!».
Proprio in quel momento la ragazza
riuscì a ripiegare una gamba, portandosi un ginocchio al
petto; aiutandosi con le mani allontanò Giovanni da
sé e gli diede un violento colpo di tacco al diaframma,
lanciandolo indietro. Boccheggiando, con una mano sullo stomaco,
l’uomo si tirò su, mettendosi in ginocchio; Sofia
arrivò come una furia e gli sferrò un calcio
ancor più violento sotto la mandibola, rispedendolo a terra
a sputare sangue. Si mise a cavalcioni sopra di lui, lo
afferrò per la maglietta e portò il naso a un
centimetro dalla sua faccia.
«E adesso, Giovanni, dimmi
cos’hai intenzione di fare: vuoi continuare ad attaccarmi e
costringermi a ucciderti, oppure cerchi di trattenere questa tua brutta
abitudine di assalire gli altri e ti comporti da persona
civile?» ringhiò. Lui la spostò.
«Non mi sembra che tu ti sia comportata
più civilmente di me...» iniziò,
alzandosi in piedi, ma lei lo interruppe, alzandosi a sua volta.
«Io mi stavo difendendo. Allora,
cos’hai deciso?» gli chiese di nuovo, gelida.
«Se la smetti di insultarmi, magari mi
sarà più facile trattenermi» rispose
Giovanni, sputando altro sangue sulla paglia. Sofia continuò
a scrutarlo con rabbia; cercando di calmarsi, decise di lasciar stare.
«Siediti che ti sistemo la
faccia» gli disse, posandogli una mano sulla spalla e
cercando di spingerlo giù. Lui fece resistenza, poco
convinto. «Oh andiamo, voglio solo guarirti»
sbuffò lei.
Un minuto dopo, Giovanni si tastava cautamente il
volto. Non gli faceva più male e la bocca aveva smesso di
sanguinare.
«Quando hai imparato le tecniche di
guarigione?» le domandò.
«Dopo aver conosciuto Gregory. Me le ha
insegnate lui» rispose Sofia con una scrollata di spalle.
«Come ha potuto insegnartele? Quando sei
stata con lui eri troppo debilitata per imparare
alcunché»
«Veramente mi sono ripresa in meno di
tre mesi. Il resto del tempo l’abbiamo trascorso allenandoci:
volevo che mi addestrasse». Il tono noncurante con cui aveva
risposto alla prima domanda non l’aveva abbandonata.
Controllando la rabbia che sentiva nuovamente
montare dentro di sé, Giovanni mosse un’altra
obiezione alla versione della ragazza.
«Anche così, cinque mesi sono
troppo pochi per imparare quelle tecniche. È
impossibile»
«Hai ragione» convenne lei
«ma dato che io e Gregory abbiamo continuato a vederci di
nascosto, dopo il mio ritorno al Centro, e anche piuttosto di
frequente, ho avuto tutto il tempo per impararle»
«Che
cosa hai fatto?» gridò
l’uomo, scattando in piedi. Sofia gli puntò un
dito contro.
«No, Giovanni. Non
ricominciare!» lo ammonì.
Con uno sforzo, Giovanni tornò a
sedersi. Dopo essere rimasto in silenzio per molto tempo,
sembrò ricordarsi di qualcosa.
«Sei stata tu a guarirmi, la notte dopo
essere fuggita dal Centro, vero?» le domandò piano.
Ci fu un attimo di esitazione; poi la ragazza
rispose. «Sì»
«Perché l’hai
fatto?».
Era la stessa domanda che Sofia si era rivolta
ogni giorno dal momento in cui era sgattaiolata fuori dalla sua stanza
dopo averlo guarito.
«Non lo so» disse con
sincerità. «Di certo non meritavi il mio
aiuto».
«Grazie, sei davvero gentile»
sbuffò lui. Rifletté per qualche istante.
«Come mai alla Valle non c’era nessuno?»
indagò.
«Li ho rimandati a casa»
rispose distrattamente lei, guardando le stelle attraverso uno dei
tanti buchi del tetto.
«Li... li hai rimandati a casa? Quindi
non torneranno più?» esclamò incredulo
Giovanni.
«Non lo so, se torneranno. Immagino che
faranno quello che ritengono più giusto. Sanno perfettamente
che se vogliono tornare e continuare l’addestramento noi
saremo là ad aspettarli, e potranno vedere le loro famiglie
quando vorranno. Se sceglieranno di riprendere la loro vecchia vita,
nessuno dirà loro nulla».
Esitante, Giovanni decise di porle una domanda a
cui non sapeva come avrebbe reagito.
«E tu... perché non sei
tornata da Tamara e Thobias?»
«Ci sono troppe cose da spiegare.
Sicuramente si romperebbero degli equilibri, dicendo loro la
verità sulla mia sparizione, e non so se sia giusto. Inoltre
la ricerca dei Custodi della Verità potrebbe portarmi alla
morte in breve tempo, quindi sarebbe inutile tornare dai miei genitori
e restituire loro una figlia solo per vederla morire di nuovo. Non ha
senso farli soffrire una seconda volta» spiegò
Sofia con voce piatta.
«Ne sarebbero felici, Sofi. Non passa
giorno senza che pensino a te» disse Giovanni in un sussurro.
«Hanno una vita diversa. Se distruggessi
l’immagine che hanno di te, perderebbero la fiducia negli
altri, la capacità di legare con le persone... e uno dei
loro migliori amici. Non voglio far loro questo»
«Ma... forse, se spiegassimo loro come
sono andate le cose... potrebbero capire» tentò
lui.
«E perdonarti?» aggiunse
Sofia. «Se credi che potrebbero perdonarti, perché
non mi hai permesso di tornare da loro, cinque anni fa?»
«Credevo che non saresti più
tornata indietro. Che ti avrei persa» rispose Giovanni,
sdraiandosi accanto a lei e facendo scorrere lo sguardo sulle travi del
soffitto.
«Sapevi bene che non l’avrei
mai fatto» replicò la ragazza «eppure ti
sei infuriato lo stesso, e mi hai fatto quello che hai fatto»
disse con amarezza.
«No, Sofi. Non era rabbia; era
terrore» la corresse.
«Terrore? E di cosa?». Il tono
di lei esprimeva chiaramente il suo scetticismo.
«Te l’ho detto: che tu non
tornassi da me» ripeté Giovanni, riflettendo.
«Ma tu questo ovviamente non puoi saperlo, perché
non ti ho mai raccontato cosa mi ha spinto a cercarti con tanta
insistenza tredici anni fa»
«Allora dimmelo adesso» lo
incitò Sofia; e il resto della notte trascorse parlando.
Il cielo iniziava appena a tingersi di rosa quando
dei colpi leggeri alla porta li fecero sobbalzare. Samaah li aspettava
con un sorriso.
«Sarà meglio che ve ne
andiate ora, prima che qualcuno si svegli e vi veda».
Seguendo il suo consiglio, i due si alzarono e
uscirono all’aperto. Nabeela apparve dal nulla e si
appollaiò sulla spalla di Samaah; lei le carezzò
il collo, sorridendo.
«Una Fenice, e anche molto
bella» disse. «Da tempo non ne vedevo
una».
«Grazie di tutto, Samaah»
disse Sofia, mentre Nabeela si librava sopra di lei.
«Di nulla, bambina. E ricordate che solo
i giusti possono interrogare i Custodi della
Verità!» esclamò nell’istante
stesso in cui Giovanni e Sofia sparivano in una vampa di Fuoco. |
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Capitolo 4 *** La storia di Ogascoon e Isadora ***
Quando entrarono nella biblioteca, Sofia e Giovanni trovarono una
piccola folla ad attenderli.
«Che ci fate qui? Credevo foste tornati
a casa!» disse la prima, osservando i volti di Blaze,
André, Emma, Ailie e Fernando.
«Be’ Sofi, non potevo non
avvertire Blaze e André» disse Laurence.
«Poi ovviamente Blaze ha chiamato Ailie, che ha chiamato
Emma, che ha chiamato Fernando... c’è stato un
po’ di effetto domino».
«Allora, avete scoperto
qualcosa?» li interrogò Gregory con impazienza. I
due annuirono, sedendosi all’ampio tavolo insieme agli altri.
In quel momento, la porta si spalancò
con violenza.
«Cos’è
successo?» chiese Claudio affannato, tirandosi dietro
Cornelia e spostando lo sguardo da Gregory a Sofia.
«Come mai siete già
tornati?» chiese la ragazza al suo padrino, che storse la
bocca.
«Gregory ci ha chiamati e ci ha detto di
tornare immediatamente» spiegò. «Allora,
cosa c‘è di tanto urgente da farci correre
qui?»
«Sofia e Giovanni stanno cercando un
Custode della Verità» spiegò Greg. Lo
stupore fu tale da far dimenticare a Claudio di guardare male Giovanni.
«Oh, no. Dimmi che sta
scherzando» disse senza enfasi alla sua figlioccia.
«No, non sta scherzando. Su, Claudio,
non fare così» lo rincuorò lei
«non siamo pazzi, stiamo raccogliendo informazioni prima di
tentare un contatto»
«Tutte le informazioni che potrete
trovare non saranno sufficienti a prepararvi all’incontro con
un Custode. Sono entità totalmente diverse da noi; un
ragionamento che a una persona normale appare perfettamente logico, per
loro non ha alcun significato. Nessuno ha mai scoperto in base a quali
criteri scelgano a chi rispondere» replicò Claudio.
«Non è possibile. Qualcuno
deve pur saperlo» disse Giovanni meditabondo.
«In ogni caso, siamo stati da una
Sibilla che vive in Sudan, vicino a dove riteniamo si trovi un Custode
della Verità» raccontò Sofia.
«Ci ha detto che i Custodi rispondono solo ai giusti»
«Allora a voi non risponderà
di certo» sbuffò Blaze. Sofia lo guardò
male.
«Chi ti dice che abbiano il nostro
stesso concetto di giusto e sbagliato?» lo
rimbeccò.
Blaze aprì la bocca per replicare, ma
prima che riuscisse a farlo Gregory s’intromise.
«Che cosa vi ha detto la
Sibilla?» domandò.
Fu Giovanni a rispondere. «Non molto. Ci
ha dato due pergamene: dice che contengono informazioni utili... almeno
una, cioè. L’altra riporta solo una sciocca
leggenda»
«Sei davvero ottuso. Tutto quello che
è accaduto ieri notte non ti ha insegnato nulla?»
sbuffò Sofia. Giovanni le rivolse uno sguardo per
metà d’avvertimento e per metà irritato.
«Non eravamo d’accordo che
avresti smesso d’insultarmi?» disse.
«Non ho mai fatto una promessa
simile» replicò lei. «Samaah si
è raccomandata di leggere quella storia, e io propongo di
partire proprio da lì»
«Ma chi è Samaah?»
chiesero Emma e Ailie, confuse.
«La Sibilla» sbuffò
Giovanni. «Se ci tieni tanto, comincia pure da
questa» disse a Sofia, afferrando la pergamena consunta e
lanciandogliela. La ragazza l’afferrò al volo,
soddisfatta d’aver vinto – anche se solo in minima
parte – i pregiudizi dell’italiano.
Tornò a sedersi, insieme a tutti gli
altri. Sciolse con cura i nastri sbiaditi e rovinati e
srotolò con estrema delicatezza la pergamena. Sebbene la
sentisse crepitare, sembrava molto più robusta di quanto
lasciasse sospettare a una prima occhiata.
Sofia percorse con lo sguardo il rotolo
ingiallito, ammirando il lungo racconto redatto con una calligrafia
minuta e sinuosa in inchiostro nero. Poi osservò il titolo
– questo, scritto in inchiostro rosso scuro – e si
schiarì la voce.
«’La storia di Ogascoon e Isadora’»
declamò.
«Ogascoon? Ma che razza di nome
è?» dissero in coro André, Blaze e
Fernando. Sofia rivolse loro un’occhiataccia, riducendoli al
silenzio, prima di continuare.
«’Più di mille anni fa,
in una terra ormai perduta, viveva un potente Maestro
dell’Energia. Ogascoon, così si chiamava, era
stimato e rispettato da tutti poiché utilizzava il proprio
dono per proteggere e rendere accoglienti quelle lande un tempo
desolate e pericolose. Grazie a lui l’erba soffice aveva
ricoperto la pietra, la terra arida era divenuta fertile e gli alberi
vi avevano affondato le loro radici. Il profumo dei fiori era
più dolce e intenso che in qualunque altro luogo e gli
animali accorrevano spontaneamente, per vivere in armonia con le
persone. Quei luoghi, con la loro pace e la loro bellezza, furono
cantati in ogni dove, col nome di Terre del Sole. Così
trascorsero gli anni; e nonostante l’affetto e il calore
degli abitanti delle Terre del Sole, Ogascoon era sempre solo’».
«Bah, secondo me sono tutte
sciocchezze... non ho mai neanche sentito nominare le Terre del
Sole» disse Blaze, approfittando di una pausa di Sofia.
«Io invece ne ho sentito parlare... ti
ricordi, Claudio?» disse Gregory all’uomo con la
chioma candida, che annuì.
«È vero, anche noi abbiamo
sentito qualcosa in proposito» rincarò la dose
Claudio, accennando a sé stesso e a Cornelia. «Me
lo ricordo bene, è stato quando ci siamo conosciuti, Greg.
Per qualche anno, quando eravamo più giovani, io e Cornelia
avevamo deciso di trovare il posto in cui un tempo si stendevano le
Terre del Sole, ma non ci siamo riusciti... come dice il racconto,
è una terra perduta»
«Quindi credete che questa storia sia
vera?» domandò André.
«Se sia vera o no non so
dirtelo» precisò Claudio «ma le Terre
del Sole pare siano esistite davvero»
«Avanti Sofi, continua» disse
Cornelia a Sofia, che ubbidì.
«’L’uomo solo raggiunse
lo zenit della sua esistenza e cominciò, inesorabile, il
declino. Le ombre che aveva scacciato dalle Terre del Sole gli
offuscavano il cuore; così, una notte, implorò il
cielo di divorare quell’oscurità priva di speranza
e restituirgli la luce. Pregò le stelle notte dopo notte: e
che su di lui si stendesse il cielo terso dell’estate, che lo
investissero i venti taglienti dell’autunno o le tempeste
invernali, nulla gli impediva di rivolgere la propria invocazione agli
astri lontani che lo osservavano, indifferenti. E quando
l’astro d’oro ebbe compiuto un’intera
orbita, le tenebre si chiusero definitivamente intorno a lui’».
«”Lo zenit della sua
esistenza”?» ripeté Emma.
«Lo zenit è un punto
astronomico. Si ha quando il Sole si trova esattamente al di sopra di
un luogo, quando ha raggiunto il punto più alto
dell’arco che descrive nel suo corso quotidiano»
spiegò Cornelia.
«E in questo caso, sta a significare che
Ogascoon aveva raggiunto la piena maturità e cominciava a
invecchiare» concluse Claudio.
«E invece, l’astro
d’oro che ha compiuto un’intera orbita?»
chiese Ailie.
«Be’, l’astro
d’oro è ovviamente il Sole. E da quello che dice
il testo, possiamo dedurre che il compimento di una sua intera orbita
significa che trascorse un anno, dalla prima invocazione di
Ogascoon» disse Sofia.
«Queste ombre di cui parla il
testo...» iniziò Giovanni.
«Immagino descrivano uno stato
d’animo. Il testo insiste molto sulla solitudine di
Ogascoon... probabilmente le ombre sono un riferimento a
questo» intervenne Laurence. Giovanni lo guardò
scettico.
«Credo che Laurence abbia ragione...
l’oscurità che gli offusca il cuore è
senza dubbio una metafora della sua solitudine»
rimarcò André.
«E la luce?». Stavolta fu
Fernando a parlare.
«Probabilmente è la
felicità» rispose Greg, meditabondo.
«’Era un giorno di festa, nelle
Terre del Sole; e la gioia che in quell’occasione pervadeva
ogni cosa attirava anche gli abitanti delle terre confinanti. Cercando
un rifugio dalle ombre che assediavano la sua anima, Ogascoon
lasciò la sua casa solitaria, nascondendosi sotto un
mantello nero come i suoi pensieri. Per tutto il giorno vagò
tra la folla, indifferente alle luci che lo circondavano e che non
poteva possedere; per tutto il giorno l’oscurità
lo tormentò. Scese la notte, e il conforto del Sole
abbandonò l’uomo solo. Vennero accesi fuochi,
iniziarono le danze; e cercando un luogo in cui abbandonarsi alle
proprie ombre, Ogascoon si imbatté in uno di questi fuochi.
«’L’uomo solo si era
ormai arreso alle ombre e passò oltre, quando un guizzo
scuro attirò la sua attenzione. Non si aspettava che
l’oscurità che lo attanagliava potesse retrocedere
dinanzi al nero più profondo, e tornò sui propri
passi, cercando con gli occhi la sua luce.
«’Intorno al fuoco danzava,
ridendo, un manipolo di fanciulle; e quando una di loro, volteggiando
di fronte a lui, scosse i lunghi capelli scuri, Ogascoon
percepì di nuovo le ombre ritrarsi e capì che
quella ragazza era la sua luce.
«’Lei si chiamava Isadora; era la
più bella fanciulla delle Terre del Sole. I suoi capelli
lucenti erano più neri delle ali del corvo, e le scendevano
lungo la schiena come un velo di seta; la sua pelle aveva il colore
dorato del miele e nei suoi occhi, scuri come la notte, erano
disseminate schegge di argentea luce lunare, che li faceva risplendere
più del Sole.
«’Il giorno seguente, Ogascoon
andò in cerca della fanciulla; e quando la trovò,
chiese a suo padre di averla in sposa.
«’L’uomo, un Maestro
dell’Aria, fu felice e onorato della proposta; ma la madre di
Isadora si oppose a quell’unione. Ella possedeva la Vista, e
aveva scorto il terribile destino che sarebbe spettato a sua figlia, se
si fosse unita a Ogascoon’».
«La madre di Isadora possedeva la Vista?
Quindi era una Sibilla!» sbottò Giovanni.
«Così pare». Anche
Sofia appariva confusa.
«’La discussione andò
avanti per giorni; né Ogascoon né la madre della
fanciulla volevano cedere. Infine, fu Isadora a decidere: la sua anima
le aveva sussurrato che tutto, nella sua esistenza, si era svolto in
modo da condurla dall’uomo solo. Ella non aveva poteri: era
l’unica dei suoi fratelli in cui né il dono di suo
padre, né la Vista di sua madre si erano radicati. Tuttavia,
Ogascoon la condusse via con sé.
«’La luce li accompagnò
per anni; ma col progredire del tempo, la fibra delicata di Isadora fu
messa a dura prova. All’inizio, ogni contatto con gli
appartenenti alla gente di Ogascoon lasciava in lei la conoscenza di
qualcosa del loro passato; poteva vedere con precisione ogni singolo
istante della loro vita passata, senza scambiare una parola con essi: e
col passare dei mesi, questa conoscenza divenne più profonda
e dettagliata, imprimendosi nella sua memoria. La mente di Isadora era
forte; ma non altrettanto il suo corpo. E quando iniziò a
possedere la Verità sul futuro dei Portatori degli Elementi,
la Profezia di sua madre si compì, e il suo corpo la
abbandonò’».
Sofia riprese fiato, mentre tutti erano
concentrati nel tentativo di interpretare le parole che avevano appena
ascoltato.
«Quindi
Isadora…morì?» chiese Cornelia.
«Non lo so... forse stiamo interpretando
il testo in modo sbagliato. Forse dovremmo finire di leggere, prima di
avventurarci in simili congetture» rispose Sofia scuotendo la
testa. Giovanni sbuffò per l’ennesima volta.
«L’avevo detto o no, che era
solo una sciocca leggenda?» disse saccente.
«Possibile che tu proprio non riesca ad
ascoltare e basta, prima di dire che non ci credi?»
sbottò Sofia.
«Andiamo Sofi, questa storiella non ci
è di alcuna utilità. Non è che il
lacrimevole racconto di una fantomatica storia d’amore. Non
ci aiuta, nella ricerca dei Custodi della Verità»
borbottò l’uomo, alzando gli occhi al cielo mentre
Emma lo guardava con particolare ostilità.
«Il racconto non è ancora
terminato» lo rimbeccò la ragazzina, prima che
Sofia riprendesse a leggere.
«’Il corpo di Isadora non era
più in grado di sopportare il tocco umano; la carezza
impalpabile di un filo di seta sulla pelle le procurava i
più atroci tormenti. Il suo aspetto divenne confuso, etereo;
e l’affievolirsi della sua luce seminò i primi
grani di follia nelle mente di Ogascoon. Egli tentò ogni
cosa; ma non riuscì a bloccare l’inarrestabile
declino di Isadora.
«’Trascorse un altro anno: e nel
momento in cui Isadora entrò in possesso della
Verità, pura e completa, il suo corpo divenne pura luce
evanescente. Il suo aspetto non era mutato; ma al più lieve
tocco di un essere umano, si sarebbe disfatta in una miriade di
scintille di luce. Isadora conosceva bene la Profezia che la
riguardava; e, incapace di osservare impotente le ombre che si
richiudevano sul suo amato sposo, fuggì, e si nascose nel
folto delle Terre del Sole, in un luogo inaccessibile a chiunque
possedesse un corpo.
«’Quando scoprì che
Isadora era fuggita, la mente di Ogascoon lo abbandonò. Egli
lasciò la casa in cui aveva conosciuto la gioia e intraprese
un lungo viaggio attraverso le Terre del Sole, alla ricerca della sua
amata. Pur senza averne consapevolezza, la parte della sua anima che
traeva linfa vitale dall’esistenza di Isadora lo
guidò verso il luogo in cui la sua sposa si era rifugiata,
ma nulla poté contro le barriere che la Natura aveva posto a
protezione della fanciulla. Pur sapendo quale sarebbe stato il suo
destino, Ogascoon evocò il proprio potere fino a superare il
limite invalicabile che separava la sua capacità di dominare
l’Energia dal predominio dell’Energia stessa. Gli
Spiriti degli Elementi, impietositi dal sacrificio dell’uomo,
lo lasciarono passare; e così, Ogascoon ritrovò
Isadora.
«‘Ma il tempo dell’uomo
stava rapidamente terminando; e mentre il potere ormai incontrollabile
consumava il suo corpo, dissolvendolo in pura Energia, Ogascoon si
offrì alla sua sposa, per donarle l’ultima
protezione che le poteva fornire. Quando il suo corpo fu semplice
Energia e non più altro, evocò dei cerchi di
Energia, e al riparo di essi strinse la sua sposa nell’ultimo
abbraccio, diventando parte di lei. I cerchi argentei brillarono di
tutti i colori dell’arcobaleno, e la fanciulla ne
acquisì il potere. Così Ogascoon e Isadora furono
di nuovo uniti, in quell’istante e per
l’eternità’».
Un lungo silenzio calò nella stanza.
«Quindi Isadora fu il primo Custode
della Verità» disse Gregory.
«Già. D’altra
parte, il racconto coincide con ciò che ci ha detto Samaah:
la Verità viene posseduta per gradi, mai tutta
insieme» rispose Sofia.
«Quello che non capisco è:
perché fu proprio lei la prima?» chiese
André. «La storia non lo dice»
«Be’, il racconto parla di una
profezia sul destino che sarebbe toccato a Isadora se si fosse unita a
Ogascoon... quindi non so, che sia stata l’influenza di lui a
renderla una Custode?» disse Emma.
«Non credo... l’Energia e gli
Elementi non sono qualcosa che si possa trasferire da un corpo
all’altro» replicò Gregory.
«Ma nel testo deve pur esserci un cenno
al riguardo» insisté Blaze.
Sofia srotolò di nuovo la pergamena,
scorrendola con gli occhi nel tentativo di cogliere qualcosa che fosse
sfuggito loro. Poi, nell’ondeggiare del bordo inferiore del
rotolo, ancora avvolto su se stesso, scorse qualcosa di nero.
«Guardate qua! C’è
un poscritto» disse eccitata. «’Benché capiti di rado
che la Profezia di una Sibilla sia inesatta, questo è quanto
accadde con la Profezia su Isadora. Il suo destino non fu determinato
dall’incontro con Ogascoon, ma dalla sua stessa nascita’».
Lasciata la pergamena Sofia batté un
pugno sul tavolo, alzandosi in piedi.
«Ecco com’è andata.
Isadora è stata la prima Custode della Verità per
un fatto di sangue: quello di un Portatore degli Elementi e quello di
una Sibilla, uniti nella loro discendenza. Non è vero che
non avesse ereditato né il potere del padre, né
la Vista della madre: in realtà li aveva entrambi»
esclamò.
Uno strano silenzio li avvolse tutti, ancora una
volta. Poi anche Giovanni scattò in piedi.
«Accidenti, hai ragione! I Custodi
posseggono la Verità solo sui Portatori... perché
gli sono in parte affini! Le normali Sibille non riescono a vedere
qualcosa che non possono in alcun modo comprendere!» disse,
mettendosi le mani nei capelli.
Claudio osservò attentamente entrambi.
Per quanto odiasse Giovanni, in quel momento iniziava a scorgere una
minima parte dell’affinità che legava
quell’uomo alla sua figlioccia.
«Mi dispiace dirvelo, ma per quanto
questa storia possa averci fornito delle informazioni sui Custodi della
Verità, questo non vi rende più vicini a poterli
contattare sperando nella riuscita della vostra impresa»
esclamò.
«È vero»
confermò Giovanni «ma noi abbiamo ancora qualcosa
da leggere» aggiunse, afferrando il secondo rotolo e
lanciandolo a Sofia. La ragazza sedette e iniziò a scorrere
la pergamena.
«Non è propriamente un testo
organico» notò dopo appena un minuto di lettura.
«Sembrano più una serie di informazioni e
definizioni raccolte nel corso del tempo... guardate qui»
aggiunse, porgendo la pergamena agli altri «in alcuni punti
l’inchiostro è sbiadito, in altri punti
è conservato perfettamente».
«Vediamo un po’... ’I Custodi della
Verità rispondono solo ai giusti’,
questo lo sapevamo già... se solo spiegassero cosa intendono
con ‘giusti’...» borbottò
Giovanni.
«’I Custodi della
Verità possono essere percepiti mediante l’Aura’...
è un’ottima cosa, no? Almeno saprete quando ne
troverete uno!» disse André.
«Se solo sapessimo cosa dovremmo
percepire...» precisò Sofia con disappunto.
«Be’... Isadora e Ogascoon si
sono uniti, e Ogascoon era un Maestro dell’Energia, no?
È possibile che l’Aura... o quello che sia... di
un Custode, possa avere dei tratti affini all’Aura di un
Portatore dell’Energia?» rifletté Emma
ad alta voce. Gregory le diede una sonora pacca sulla spalla.
«Ha ragione! Probabilmente
avrà anche altre caratteristiche... sua madre era pur sempre
una Sibilla, quindi magari ciò che un Custode emana
avrà qualche sfumatura a noi sconosciuta» aggiunse
l’uomo.
«Ma siamo certi che sia così
per tutti? Cioè, che tutti i Custodi siano nati
dall’unione tra un Portatore degli Elementi e una
Sibilla» domandò Laurence.
«È di certo così.
Il poscritto alla storia di Isadora dice chiaramente che il suo destino
– cioè divenire una Custode della
Verità – era segnato fin dalla sua nascita. Mi
sembra un’indicazione piuttosto chiara» rispose
Sofia.
«Che altro c’è di
utile... ’I
Cerchi di Ogascoon sono il maggior strumento di difesa dei Custodi
della Verità’... grazie tante, questo
l’avevamo capito già da soli»
proseguì Giovanni.
«Guardate un po’ qui...
’Il colore dei
Cerchi di Ogascoon di un Custode della Verità cambia a
seconda dello stato d’animo di quest’ultimo’.
Questa è un’informazione molto utile»
lesse Greg.
«Ahhh, fermi tutti! Sentite cosa dice in
quest’altro spezzone... ’La Verità
può essere posseduta e appresa solo procedendo per gradi,
perciò i Custodi si dividono in una rigida gerarchia:
Novizi, Ministri, Decani e Oracoli. Il tempo necessario al passaggio da
un gradino all’altro della gerarchia aumenta al salire di
grado. Per arrivare a diventare Oracoli, occorrono circa mille anni’»
declamò Sofia ad alta voce, in modo che tutti sentissero
chiaramente.
«Mille
anni?». Le espressioni sconcertate degli altri
erano piuttosto eloquenti.
«Be’, non è detto
che sia un problema... in fondo non c’è bisogno di
andare necessariamente da un Oracolo, per avere una risposta alle
proprie domande» tentò Fernando.
«Mi piacerebbe davvero tanto poter
essere d’accordo con te» s’intromise
Gregory «ma qui, più avanti, dice: ‘Anche gli interroganti devono
apprendere la Verità per gradi, per dimostrarsene degni e
non esserne sopraffatti: dunque, coloro che desiderano risposte,
dovranno recarsi prima da un Novizio, poi da un Ministro, da un Decano
e infine da un Oracolo’».
Le facce degli altri si allungarono un
po’ di più.
«Accidenti, sembra non ci sia via
d’uscita... quanti Oracoli ci saranno in giro?» si
chiese Sofia, preoccupata.
«Se ce ne sono» intervenne
Giovanni. «Senti qui: ‘Non tutti i Custodi della
Verità sopravvivono fino a raggiungere il massimo grado
della gerarchia: che le loro difese vengano eluse da un interrogante
scontento o che decidano autonomamente di porre fine alla loro
esistenza, più si sale nella gerarchia e più rari
sono i Custodi appartenenti ai vari ordini’».
L’uomo sospirò. «Rischiamo di
intraprendere un viaggio inutile» disse, sconfortato.
«Dobbiamo almeno tentare»
replicò Sofia.
«Allora sarà meglio che vi
mettiate d’impegno, nello studiare questi testi»
disse loro Cornelia.
*
«Sofi, ti ho portato uno spuntino».
Entrando con cautela nella biblioteca, Cornelia
depose un vassoio ricolmo di cibo sul tavolo, di fronte alla ragazza.
«Zia, non riuscirò mai a
mangiare tutta questa roba!» si lamentò Sofia. Con
quello che Cornelia aveva preparato, ci si sarebbe potuto sfamare un
esercito.
«E per me niente?»
s’intromise Giovanni. L’occhiataccia che ricevette
in risposta fu più eloquente di qualunque discorso. Anche
Claudio entrò nella biblioteca, e anche lui rivolse
un’occhiata torva al suo connazionale.
«Allora, hai trovato
qualcos’altro di utile in quei testi?»
s’informò con la sua figlioccia, sedendosi.
«Sì, qualcosa
c’è... a quanto pare, i Custodi della
Verità prediligono i posti impervi e isolati. Immagino sia
per difendersi» disse.
Il suo padrino annuì.
«Ho chiesto un po’ in giro, ad
alcune persone fidate... è proprio così. Cercano
di nascondersi, specialmente dopo quello che è successo nel
1607».
Sofia aggrottò la fronte.
«Perché, cosa accadde
quell’anno?».
Claudio si accinse a spiegarle quello che aveva
scoperto.
«Un Maestro dell’Energia
particolarmente crudele, non si sa bene per quale motivo, decise di
procedere allo sterminio dei Custodi della Verità.
Probabilmente c’era qualcosa che lo riguardava e che temeva
potesse essere rivelato»
«Quindi è a questo che si
riferisce, il secondo testo» disse Sofia, afferrando la
pergamena legata col nastro azzurro.
«Già. A quanto pare, chi
manipola l’Energia può superare i Cerchi di
Ogascoon»
Giovanni decise di porre una domanda tutta sua.
«Qualche Custode della Verità
si salvò?».
Dopo averlo guardato male, Claudio parve non
ritenere la domanda abbastanza offensiva da poter essere ignorata.
«Sì, alcuni di loro si
salvarono. Dovettero unirsi, per distruggere quel Maestro
dell’Energia» rispose riluttante.
«Distruggere... lo ridussero in
cenere?» s’informò Sofia con interesse.
«Non restò neanche
quella» precisò Claudio.
«Interessante»
mormorò Sofia tra sé e sé, puntando i
gomiti sul tavolo e poggiando il mento sui pugni chiusi.
«Io direi preoccupante,
semmai» la corresse Giovanni. Sebbene a malincuore, Claudio
fu costretto a dichiararsi d’accordo con lui.
«Purtroppo non abbiamo trovato nulla
riguardo a cosa si intende quando si dice che i Custodi rispondono solo
ai ‘giusti’... o meglio, a quale sia il concetto di
giusto dei
Custodi della Verità» riprese l’uomo,
passandosi per l’ennesima volta le mani tra i capelli neri.
Ormai l’aveva fatto così tante volte da averli
dritti in testa.
«Be’, questo è un
problema» notò Cornelia. «Se non sapete
in base a quali criteri i Custodi decidono a chi rispondere e a chi no,
rischiate moltissimo a intraprendere questo viaggio»
«In realtà la mia
preoccupazione maggiore è: come faremo a trovare un Custode
della Verità e a scoprirne il grado prima di provare a
rivolgergli delle domande?» disse Sofia, abbandonando la
testa sul tavolo.
«Dovete assolutamente trovare qualcuno
che sappia dirvi dove si trova un Novizio» rispose Claudio.
«È l’unico modo. Non potete fare nulla,
senza avere un punto di partenza».
Sofia si passò più volte le
mani nei capelli prima di lasciarle ricadere con le palme aperte sul
tavolo, ai lati della testa.
«Parli facile, tu» si
lagnò. «Tutti quelli che conosco non sapevano
neanche dell’esistenza, dei Custodi». Poi
rialzò la testa. «E tu, Giovanni?»
chiese speranzosa.
L’uomo scosse la testa in segno di
diniego. Lasciando ricadere la testa sul tavolo, la ragazza
sbuffò.
«Così non risolverai nulla,
Sofi... ti farai solo venire un gran bernoccolo sulla fronte»
tentò di spronarla Cornelia.
«Lo so, lo so, ma non vedo via
d’uscita da questo problema... è tutto
così terribilmente intricato! È come girare in un
labirinto, imbocchi una stradina, credi che ti porterà
all’uscita...e invece ti conduce da tutt’altra
parte, o ti condanna a girare a vuoto!» sbottò
Sofia. Poi alzò di nuovo la testa. Guardò per un
attimo di fronte a sé con sguardo assorto prima di scattare
in piedi e saltare sul tavolo. Gli altri tre ebbero un moto di stupore.
«Sofi ma che fai?»
gridò Giovanni, mentre la ragazza scendeva dal lato opposto
del tavolo con un balzo e si slanciava verso la finestra.
«Forse so chi può dirmi dove
si trova un Custode della Verità!»
gridò, scavalcando il davanzale.
Giovanni la seguì di corsa e si sporse
fuori.
«Aspettami, vengo con te!» le
gridò dietro.
«Meglio di no!» rispose Sofia,
raggiungendo a metà strada Nabeela e sparendo con lei.
*
«Avanti, dimmelo!»
«Non ci penso nemmeno!».
Sbuffando, la ragazza strappò gli
occhiali da sole dal volto della persona che aveva di fronte.
«Guardami negli occhi, quando ti parlo.
Guardami negli occhi e ripetimi che non sai dove posso
trovare un Custode della Verità, un Novizio»
insisté Sofia.
Socchiudendo gli occhi nocciola, l’uomo
la scrutò attentamente.
«Sofi, ti ho mai detto che sei
terribile?» le domandò, tentando di sviare il
discorso.
«Me lo ripeti ogni volta che ci
sentiamo» replicò lei. «E adesso
rispondimi».
Alzando gli occhi al cielo, l’uomo
allargò per un istante le braccia prima di lasciarle
ricadere lungo i fianchi in un gesto di esasperazione.
«Sofi, non lo so»
«Michele, sei davvero un pessimo
bugiardo».
Lui la fissò sollevando un sopracciglio.
«Perché mai dovrei sapere
dove puoi trovare un Novizio? Perché proprio io?»
le chiese.
Sbuffando di nuovo, Sofia lo inchiodò
con lo sguardo.
«Vediamo un po’... magari
perché lavori per un Maestro della Terra che ricopre un
incarico di grandissimo prestigio e ha sicuramente accesso a questo
tipo di informazioni?» disse in tono ironico.
«Anche se lo sapessi, non potrei
dirtelo» replicò Michele.
«Oh, andiamo, di cos’hai
paura? Non voglio scoprire i torbidi segreti dei tuoi superiori per
rovesciarli e prendere il potere... devo scoprire la verità
su una questione che riguarda soltanto me e un’altra
persona!» sbottò lei.
L’uomo l’afferrò
per le spalle.
«Sofia, tu non sai a cosa vai incontro,
tentando di parlare con un Custode della Verità»
le disse, costringendola a guardarlo negli occhi. La ragazza si
divincolò.
«Non fanno che ripetermelo. Se la cosa
non preoccupa me, non vedo perché dobbiate essere voi altri
a prendervela tanto a cuore!»
«Se non lo capisci da sola, allora
va’ pure incontro alla morte senza voltarti
indietro» disse Michele, gelido. «Ho
l’impressione che tu abbia pagato a caro prezzo il potere che
hai acquisito. Sei arida dentro»
l’apostrofò.
Impassibile, con l’antico orgoglio
dipinto sul volto, Sofia gettò indietro la testa per
guardarlo bene negli occhi.
«Se io sono arida dentro, tu cosa sei?
Pensaci, visto che non hai nulla da fare per riempire le
giornate» sibilò, andando via.
Esasperato, Michele la guardò
allontanarsi. Quando aveva conosciuto Sofia, anni prima, lei gli aveva
detto chiaramente di avere un pessimo carattere, ma mai come in quel
momento si rendeva conto di quanta verità ci fosse in
quell’affermazione. Passandosi la mano sui capelli grigi in
un gesto di stizza, l’uomo entrò con passo deciso
nell’imponente edificio alle sue spalle.
*
Lo sbattere della porta fece trasalire tutti.
«Com’è
andata?».
Sofia guardò André con aria
interrogativa.
«Giovanni ci ha detto che sei partita
come una furia e perché» aggiunse il giovane
biondo con una scrollata di spalle.
«Be’, allora? Ci dici
com’è andata o no?» chiese Giovanni con
impazienza.
Lei si lasciò cadere su una poltrona e
vi si raggomitolò. Le osservazioni di Michele le avevano
dato molto fastidio.
«È andata male»
rispose con voce sepolcrale.
«Almeno hai tentato» disse
Giovanni, anche se era chiaramente deluso. «Immaginavamo
già che fosse difficile rintracciare chi ha informazioni
simili».
Sofia lo guardò torva.
«Non ho detto che non lo sa. La
verità è che non ha voluto dirmelo»
precisò con astio.
In quel momento, un cellulare suonò.
«È il tuo, Sofi»
disse Blaze, prendendo un telefono nero e lanciandoglielo.
La ragazza lo afferrò con furia. Era
tanto arrabbiata da non voler sentire nessuno.
«Messaggio testo»
bofonchiò. Quando vide il mittente, aggrottò la
fronte. Poi lesse il testo tra sé. «’Siberia, duecento chilometri a
Sud-Est di Noril’sk. Se torni indietro tutta intera, fatti
sentire. Michele’».
Gli occhi brillanti d’emozione a stento
repressa, Sofia alzò la testa.
«Be’, Giovanni»
disse «si parte!». |
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Capitolo 5 *** Altàis ***
Quando bussarono alla porta, Sofia alzò gli occhi al cielo
in un gesto di esasperazione. Mentre borbottava senza freni,
André entrò nella stanza e si accomodò
sul letto.
La ragazza si girò a guardarlo con aria
per metà rassegnata e per metà insofferente.
«Avanti, dillo. So che vuoi farlo,
è da due giorni che non mi lasciate in pace, con questa
storia» disse.
Lui la guardò sorridendo.
«Non ho alcuna intenzione di provare a
convincerti ad abbandonare questo proposito folle di andare da un
Custode» rispose. «So bene quanto sei cocciuta,
sarebbe solo una perdita di tempo».
Con un sospiro di sollievo, l’altra
sedette sul letto accanto al ragazzo.
«Allora come mai sei qui?».
André arrossì lievemente.
«Volevo soltanto sapere se sei sempre
intenzionata a partire domani».
«Sì. Aspettare è
inutile… non credo ne sapremo mai più di
così, sui Custodi» rispose Sofia distrattamente,
alzandosi e tornando a riempire un grande zaino.
«E con Giovanni come farai, dato che
è tornato al Centro?»
«Passerò a prenderlo e poi
andremo in Siberia». La ragazza alzò lo sguardo
dallo zaino pronto solo per metà.
«André, perché tergiversi? Proprio non
ci riesci, a chiedermi se ho visto Elizabeth?».
Lui abbassò lo sguardo, sconfitto.
«So che mi biasimi perché
penso ancora a lei nonostante quello che ha fatto. Per questo non mi
decidevo a chiedertelo». Poi la fissò.
«Allora… l’hai vista?»
domandò speranzoso.
Sofia scosse la testa in segno di diniego.
André abbassò di nuovo lo sguardo, deluso, e
Sofia tornò a sedersi accanto a lui.
«Come hai potuto pensare che ti avrei
disprezzato per questo? Giovanni ha fatto di molto peggio ma non sono
mai riuscita a odiarlo, lo sai. Ci sono cose che non si possono
controllare né reprimere» disse, giocherellando
col copriletto.
«Sai, Sofi» riprese
André dopo un breve silenzio «da quando ci
conosciamo non sono mai riuscito a capire per quale motivo ti ostinavi
tanto a restare aggrappata a Giovanni. Saresti potuta fuggire anni fa,
eppure non ci hai mai provato. Ecco, io… da quando ho
conosciuto Elizabeth, credo d’aver iniziato a capire
perché sei sempre rimasta accanto a Giovanni».
Perplessa, Sofia mise le gambe sul letto.
Unì le piante dei piedi e si afferrò le caviglie
con le mani, fissandole e cercando le parole giuste.
«André»
esordì «tu stai confondendo due cose completamente
diverse tra loro. Tu sei innamorato di Liz: lo sei stato, credo, dal
primo momento che l’hai vista. Quello che
c’è tra voi due è qualcosa di
meraviglioso, coinvolgente… e può finire.
È puro sentimento: e ti assicuro che al mondo non
c’è niente di più diverso dal tipo di
affinità che esiste tra me e Giovanni».
Il ragazzo la guardò, aggrottando la
fronte.
«Sofi, non capisco che differenza ci sia
tra le due cose»
«Non puoi perché ne hai
sperimentata una soltanto. E mi auguro per te che le cose restino
così»
«Cosa c’è di tanto
sbagliato in quello che lega te e Giovanni?» le
domandò André.
Con aria pensierosa Sofia si curvò un
po’ in avanti, chiudendo le spalle.
«C’è di sbagliato,
André, che nel mio caso non ho potuto scegliere. Non so da
cosa dipenda, non l’ho mai scoperto, ma quello che posso
dirti è che quando Giovanni è arrivato vicino a
me… e non parlo di metri, parlo di trovarsi nello stesso
Paese… ho iniziato a bruciare: senza averlo neanche mai
visto, senza sapere chi fosse. Lui per me è… come
avere sete e volere dell’acqua, come essere chiusa in una
stanza e desiderare una boccata d’aria fresca… non
lo decidi, non lo scegli. Magari detesti l’acqua fresca o
l’aria aperta, ma ne hai comunque bisogno per sopravvivere.
Ed è qualcosa che durerà fino
all’ultimo battito del tuo cuore. Più duraturo
della maggior parte degli amori, ma con molte meno gratificazioni.
Stargli lontana mi fa male, non come faccia male a te la lontananza di
Liz: tu soffri a livello emozionale, io a livello fisico».
André sembrava più confuso
di prima.
«Quando parli di sofferenza
fisica…» iniziò. Sofia lo interruppe.
«Come ti sentivi, quando ti sei ripreso
dalla febbre e ti sei accorto di aver perso la mano?» gli
domandò a bruciapelo.
Sorpreso, il ragazzo rifletté.
«Provavo dolore… la ferita mi
faceva male, pulsava … a volte era come se degli aghi mi
trafiggessero. E poi mi sentivo… incompleto. Incapace di
fare bene, come un ingranaggio rotto»
«Per me, stare lontana da Giovanni
è questo. Il Fuoco mi spinge verso di lui, in parte si
ribella a questa lontananza, e fa male. Ho imparato a sopportarlo
perché non ho intenzione di tornare indietro. E questa
è un’altra differenza fondamentale, tra il tuo
amore per Elizabeth e il mio bisogno di Giovanni. Tu continui a provare
un sentimento forte verso di lei, e per questo la vuoi accanto; io non
amo Giovanni, il nostro rapporto è troppo violento e
conflittuale. Psicologicamente sto benissimo, lontana da lui; non lo
vorrei mai più accanto a me ogni giorno della mia vita, come
è stato quasi sempre negli ultimi dodici anni, ma il mio
corpo, al contrario della mente, rifiorisce quando Giovanni
è vicino».
Sofia tacque, stanca e un po’ confusa.
Non era certa di essere riuscita a spiegarsi come voleva.
André, al contrario, sembrava più che soddisfatto
dalle sue parole.
«C’è solo una cosa,
che ancora non capisco… se non sei innamorata di Giovanni,
se non provi niente per lui… perché
l’hai guarito, mesi fa? Perché accetti la sua
vicinanza, ora?» le domandò.
«L’ho voluto accanto in questa
ricerca perché la spiegazione che cerco si riferisce a un
fatto che riguarda anche lui e perché Giovanni, come me,
è sempre stato affascinato dalle sfide, per quanto
pericolose possano rivelarsi» rispose Sofia. «E
poi… be’, l’ho guarito perché
non potevo non farlo. Ho passato con lui metà della mia vita
e in qualche modo mi ha dato anche dell’affetto. Non riesco a
far sì che mi sia del tutto indifferente. Sentivo di doverlo
fare… percepivo il suo dolore, anche a distanza».
Mentre André apriva la bocca per farle
un’altra domanda, la porta si spalancò.
«Sofia!» disse Emma in tono
severo. «Non avrai ancora intenzione di partire,
vero?».
Una smorfia di pura disperazione
attraversò il volto della giovane Portatrice del Fuoco.
André scoppiò a ridere e passò molto
tempo prima che riuscisse a smettere.
*
Una gelida oscurità li accolse.
«Come mai il sole non è
ancora sorto?» disse Giovanni, aprendo lo zaino e tirandone
fuori una felpa.
«Siamo parecchio più a Nord
di Cork, non te lo dimenticare» rispose Sofia, sfregandosi le
mani nel tentativo di riscaldarle.
«Per nostra fortuna è agosto.
Pensa se fosse stato pieno inverno» sbuffò
l’uomo.
«Se fosse stato inverno, saremmo
affondati in almeno mezzo metro di neve» fu la replica.
I due si guardarono intorno. Piccole alture si
ergevano nella distesa piatta e vuota, e qua e là si
scorgeva già qualche spruzzo di neve.
«Da che parte dobbiamo andare, secondo
te?» domandò Sofia, sentendosi insignificante in
quella desolazione che si stendeva fino all’orizzonte e
probabilmente anche oltre.
«Non ne ho idea. Dovrebbe essere qui
vicino, no? Proviamo a espandere le Aure, magari percepiamo
qualcosa» propose Giovanni.
Spingendo le proprie Aure il più
lontano possibile, si misero in cammino. Vagarono per molte ore,
inerpicandosi su per le colline e attraversando piccole distese
pianeggianti, quando Giovanni si bloccò e alzò
una mano. Sofia, che camminava mezzo passo dietro di lui,
s’immobilizzò a sua volta. Sapeva
perché l’uomo si era fermato… come lei,
aveva percepito qualcosa di insolito.
«Hai sentito?» le chiese
infatti, rivolgendole una mezza occhiata. La ragazza annuì.
«Direi che somiglia un po’
all’Aura di Emma, ma sono troppo lontana per esserne
sicura» disse Sofia, rispondendo alla domanda
dell’italiano. «Proseguiamo in questa
direzione… ma tratteniamo un po’ le Aure, non
voglio che il Custode pensi che gli siamo ostili».
Giovanni annuì e ripresero il cammino
con una marcia serrata, reprimendo l’Aura a mano a mano che
si avvicinavano in modo da percepire – ed essere percepiti
– al minimo. Quando i Cerchi di Ogascoon comparvero
all’orizzonte era ormai pomeriggio inoltrato. Giunti a
cinquecento metri di distanza, videro che i Cerchi di quel Custode
della Verità – che si intravedevano a stento,
attraverso gli alberi – erano più piccoli di
quelli che avevano osservato nel Deserto della Nubia.
Lasciando cadere gli zaini a terra, Giovanni si
accinse a montare le tende. Sofia, invece, si allontanò di
corsa.
«Si può sapere dove stai
andando?» le gridò dietro l’uomo. Lei
fece finta di non sentirlo e sparì.
Scuotendo la testa, Giovanni montò le
tende e sedette a terra, osservando i Cerchi che si formavano e
dissolvevano nel loro moto perpetuo. Un’ora dopo, Sofia
tornò.
«Allora, cos’avevi di tanto
importante da fare, per correre via in quel modo invece di restare ad
aiutarmi?» chiese Giovanni.
«La cena» replicò
la ragazza, sventolando il gallo cedrone che teneva per le zampe e
tirandoglielo. «Puliscilo» ordinò.
Con una smorfia disgustata, l’uomo prese
il volatile e afferrò un coltello. Sofia scosse la testa.
«Sei davvero privo di
fantasia» disse, evocando una sfera d’Energia e
spedendola contro il gallo morto. In pochi istanti era perfettamente
spennato e pulito.
«Ammetto che non ci avevo
pensato» esclamò Giovanni ammirato, evocando una
sfera di Fuoco intorno al gallo. Pochi minuti dopo, seduti di fronte a
una massa di Fuoco che spargeva guizzi e scintille ovunque, i due
mangiavano di gusto, fissando i Cerchi azzurrini in lontananza.
«Qualche idea su come
avvicinarlo?» chiese l’italiano, spezzando un lungo
silenzio.
Sofia scrollò le spalle.
«Neanche una. Forse dovremmo
semplicemente avvicinarci ai Cerchi e chiedergli se può
darci le risposte che cerchiamo»
«Questa non è
un’idea… è un tentativo
disperato» replicò Giovanni.
«Io direi piuttosto che è
l’unica opzione»
«Allora… lo faremo
davvero?» chiese ancora lui.
«Credo proprio di sì. Io
però suggerisco di aspettare» disse Sofia.
Giovanni la guardò perplesso.
«Cosa dovremmo aspettare?»
«Che il Custode ci permetta di
avvicinarci» fu la risposta, chiara e sibillina a un tempo.
Strozzandosi con un boccone di carne,
l’italiano la guardò incredulo.
«E come capiremo quando potremo
avvicinarci?» le chiese con aria scettica.
Sofia, ignorandolo, s’infilò
nella propria tenda. Poi mise fuori la testa.
«Lo vedrai» disse con un
sorrisetto prima di tornare dentro.
Con un grugnito d’irritazione Giovanni
fece svanire il Fuoco che avevano evocato ed entrò a sua
volta nella propria tenda.
*
Giovanni uscì dalla tenda e vide Sofia seduta tre metri
più avanti, perfettamente immobile. Si sistemò
accanto a lei e le rivolse un’occhiata di traverso.
«Sofi, ormai siamo qui da
cinque…»
«…sei» lo corresse
distrattamente la ragazza.
«…sei giorni»
proseguì Giovanni «e non siamo venuti a capo di
nulla. È ora di prendere una decisione: o proviamo ad
avvicinarci al Custode, oppure rinunciamo e torniamo a casa».
Con un sorrisetto enigmatico, Sofia si
voltò a guardarlo.
«Devo ammetterlo: non avrei mai pensato
che saresti stato tanto paziente. Ero certa che avresti iniziato a
lamentarti almeno tre giorni fa».
Perplesso, l’uomo si limitò a
fissarla.
«Voglio però dimostrarti che
non abbiamo perso tempo. Guarda là» aggiunse la
ragazza, indicando davanti a sé. Col passare dei minuti la
notte sbiadì, lasciando il posto a un’esitante
alba. Insieme all’oscurità anche i Cerchi di
Ogascoon in lontananza scolorivano, fino a quando non svanirono del
tutto.
Con gli occhi fuori dalle orbite, Giovanni
continuò a fissare il punto in cui fino a un istante prima
si alternavano i Cerchi. Dopo alcuni minuti si voltò verso
Sofia.
«Sono spariti!»
rantolò. Lei sorrise di nuovo, estremamente soddisfatta.
«Era esattamente quello che speravo
accadesse» disse.
«Come sapevi che sarebbe
successo?» la interrogò Giovanni con impazienza.
«Non lo sapevo. Era chiaro che per
parlare con il Custode avremmo dovuto forzare la sua protezione:
potevamo riuscirci facilmente, visto che entrambi manipoliamo
l’Energia, ma così non ci saremmo certo
conquistati la sua fiducia» esordì.
«No, decisamente no» convenne
l’altro. «Va’ avanti»
«Così mi sono chiesta: in che
modo possiamo dimostrare di essere degni di conoscere la
Verità?»
«E hai trovato una quantità
pressoché infinita di risposte»
puntualizzò Giovanni. Anche lui aveva svolto le medesime
riflessioni, prima d’intraprendere quel viaggio.
«Vero. Era altrettanto chiaro,
però, che se non avessimo forzato i Cerchi, il solo modo per
arrivare al Custode era far sì che fosse lui stesso a
permetterci di avvicinarci. Non potendo avere nessun tipo di contatto
con lui, fargli percepire la nostra presenza e convincerlo attraverso
le Aure che non gli siamo ostili era la nostra unica
possibilità»
«Riesci ancora stupirmi. Io non ci avrei
mai pensato» ammise francamente l’uomo.
«Ma sì che ci avresti
pensato… il tuo unico problema è
l’impulsività. Ti basterebbe fermarti a
riflettere» lo blandì Sofia. Prese un respiro
profondo, gli rivolse un’ultima occhiata e gli
afferrò la mano, trascinandolo verso gli alberi e nel folto
del bosco.
«Vedi qualcosa?» chiese Sofia,
sbirciando cautamente tra gli arbusti.
«Credo di sì…
guarda là» rispose Giovanni, poggiandole una mano
sulla spalla mentre cercava di indirizzarla nella giusta direzione,
senza fermarsi. «Ora la vedi?»
«Sì… una grotta,
eccola lì» sussurrò lei, tesissima.
Quando giunsero di fronte
all’imboccatura della caverna esitarono, incerti.
«Come ci si rivolge a un Custode della
Verità?» si domandarono l’un
l’altra in coro.
Proprio in quell’istante i Cerchi
ricomparvero intorno alla grotta, intrappolandoli e impedendo loro di
tornare indietro. I due sobbalzarono, a disagio.
«A quanto pare non ci resta che
entrare» disse Giovanni a bassa voce. Si scambiarono
un’altra rapida occhiata, poi Sofia si buttò a
capofitto nella grotta buia, lasciandosi guidare da una pallina di
flebile luce argentea che era apparsa di fronte a loro e galleggiava a
mezz’aria. Dei passi leggeri alle sue spalle
l’avvertirono che Giovanni l’aveva raggiunta.
Meno di due minuti dopo la pallina si dissolse nel
nulla con un sonoro sfrigolio: Giovanni fece per evocare del Fuoco, ma
nel buio più totale la mano di Sofia trovò il suo
braccio e lo bloccò.
Restarono fermi, in attesa, immersi in
un’oscurità tanto densa da essere quasi palpabile,
finché un chiarore variopinto iniziò a ricacciare
indietro le ombre, illuminando a giorno il luogo in cui si trovavano.
In quel punto la caverna assumeva una forma circolare, di circa
quindici metri di diametro e il soffitto era tanto alto da perdersi nel
buio. La superficie delle pareti era irregolare: colonnine di pietra si
levavano dal pavimento e accoglievano, sulle loro sommità,
piccole fiamme cangianti, che racchiudevano in sé tutti i
colori dell’arcobaleno e molti altri ancora. I continui
cambiamenti di luce davano a ogni momento un aspetto diverso al luogo:
rassicurante, mistico, inquietante. Sofia si avvicinò alle
pareti: la roccia era coperta di strane incisioni, simili ad appunti,
che rilucevano argentee. Come ipnotizzata, protese le dita verso i
simboli.
«Non toccarli».
Una voce tanto bassa da confondersi con lo
scoppiettio delle torce la bloccò.
Sofia si voltò e vide un giovane uomo a
due metri da lei e Giovanni che, immobile, fissava il nuovo arrivato
con gli occhi socchiusi.
«Non toccarli»
ripeté il ragazzo. Sofia ritrasse la mano e lentamente si
portò di nuovo al fianco di Giovanni.
La persona che avevano davanti sembrava un ragazzo
qualunque. Era poco più alto di Giovanni: la pelle del volto
era tanto bianca da sembrare quasi trasparente, e i corti capelli
castano dorato che gli ricadevano sulla fronte e sugli occhi spiccavano
nettamente su quello sfondo niveo. Osservandolo con maggiore
attenzione, Sofia si accorse che i contorni della sua figura erano
sfocati in modo impercettibile e brillavano fiocamente di luce argentea.
«Tu sei un Custode della
Verità?» chiese la ragazza a bassa voce, facendo
trasalire Giovanni. Il giovane annuì.
«Io sono Altàis» si
presentò. La sua voce era piacevolmente musicale.
I due Portatori del Fuoco restarono in attesa, ma
il Custode non parlò. Poi ricordarono le parole di
Samaah: “Ci
sono segreti che possono essere rivelati solo se si domanda, e misteri
che possono essere svelati solo se a domandare sono i giusti”.
«Altàis, tu sei un Custode
della Verità e sai cosa ci è accaduto, poche
settimane fa, durante un combattimento» esordì
Sofia. «Vogliamo sapere perché è
successo a noi, da cosa è dipeso».
Il giovane Custode li guardò con aria
grave.
«Io sono ancora un Novizio; sono un
Custode solo da centododici anni, e non possiedo la Verità
sul vostro presente e sul vostro futuro. Però conosco la
Verità sul vostro passato, ed è questa la
Verità che dovete apprendere da me».
«Perdonami Altàis,
ma… quale Verità possiamo apprendere da qualcosa
che abbiamo già vissuto? Non dovremmo conoscerla
già?» domandò Sofia mentre il ragazzo
volteggiava qua e là, scrutando le pareti con aria assorta.
«Voi conoscete i fatti» la
corresse il Custode senza fermarsi «non ciò che ha
realmente
mosso voi e il mondo perché quei fatti
accadessero». Con una leggerezza estranea a chi possedeva un
corpo completamente solido si alzò da terra di alcuni
centimetri, continuando a contemplare le incisioni sulla roccia.
«Ah… sapevo che era
qui» bisbigliò tra sé, portando le dita
quasi a contatto con una serie di incisioni indistinguibili dalle
altre. Una piccola sfera simile a quella che aveva guidato Giovanni e
Sofia nella grotta si staccò dalla parete, lasciando le
incisioni nere e vuote.
Sempre bisbigliando tra sé, con la
piccola sfera sospesa sopra la mano aperta, il Custode riprese a
vagare, tornando a terra. Solo in quel momento i due Portatori si
accorsero che i suoi piedi restavano sempre a un soffio dal suolo.
Indifferente alle loro silenziose considerazioni,
Altàis si fermò di nuovo vicino a delle incisioni
che si trovavano a pochi centimetri dal pavimento. Come poco prima, ne
trasse una piccola sfera argentea. Si portò di fronte ai due
interroganti, porgendo loro le due sfere. Giovanni afferrò
quella posta nella mano destra del Custode, e Sofia quella nella mano
sinistra. Al contatto con i rispettivi destinatari, nelle sfere
iniziarono a vorticare dei guizzi colorati, al pari delle fiamme che
illuminavano la caverna.
«In queste sfere
c’è la Verità sul vostro passato, dal
momento in cui avete emesso il primo vagito al momento in cui
è iniziato il vostro presente.
«Poiché voi cercate una
Verità comune, solo quella vi verrà svelata. Le
altre resteranno celate nel silenzio e nell’oblio».
«In che modo queste palline possono
svelarci la Verità?» disse Giovanni.
Altàis fece loro cenno di affiancare le
sfere.
I due eseguirono il comando portando a contatto i
pollici delle mani destre, aperte, su cui si libravano le due sfere.
Reagendo immediatamente a quella vicinanza la
sfera di Giovanni sbocciò come un fiore, allargandosi
parallelamente al palmo della mano dell’uomo; poi la massa
variopinta si restrinse e si sviluppò verso l’alto
per alcuni centimetri, vorticando e danzando su se stessa.
«Perché la mia sfera non
reagisce?» domandò Sofia. Altàis le
fece cenno di avere pazienza.
«Il suo passato è molto
più esteso del tuo» le spiegò
sorridendo.
Ma Sofia non poté fermarsi a riflettere
su quell’affermazione perché proprio in quel
momento anche la sua sfera si aprì, scoppiettando, e
imitò quella di Giovanni. Troppo presi da quello che stava
accadendo, nessuno dei due si accorse della piccola ruga che apparve
sulla fronte di Altàis quando i due flussi colorati
iniziarono a vorticare sempre più veloci.
Senza alcun preavviso i due fasci si unirono in un
abbraccio, avvolgendosi l’uno all’altro in una
stretta spirale: i guizzi colorati al loro interno si susseguivano
sempre più frenetici, scoppiettando. Gradualmente il rumore
scemò, trasformandosi in un suono molto più
delicato e al tempo stesso più potente. Vibrava nelle casse
toraciche dei due Portatori, come un immenso sonaglio; con un brivido,
Sofia si rese conto che le ricordava il canto delle Fenici. Mentre le
voci indistinte di quel canto aumentavano di volume, di pari passo con
l’euforia e il terrore che pervadevano tanto Giovanni quanto
Sofia, i due iniziarono a distinguerne alcune parole. Non erano che
pezzi di frasi sconnessi e privi di significato, slegati
com’erano dal resto del canto, ma non un dubbio si
avvicinò mai alle loro anime: perché nel momento
stesso in cui la udivano, la voce della Verità si radicava
in loro, donando alle loro menti la conoscenza totale di ciò
che le loro orecchie udivano solo in parte.
Mentre anni di vita insieme si rivelavano nella
loro pienezza davanti ai loro occhi, non si accorsero dei segni che la
Verità lasciava sul loro corpo. Segni impercettibili; ma pur
sempre presenti.
Col passare dei minuti, nei due Portatori cresceva
l’affanno. Gocce di sudore imperlarono le loro fronti, il
respiro divenne breve e spezzato; anche solo tenere sollevata la mano
su cui si librava la propria sfera era uno sforzo superiore alle loro
forze. La vecchia ferita di Sofia riprese a pulsare e bruciare; la loro
vista si annebbiò; e i due fasci luminosi, con un ultimo
guizzo verso l’alto, furono risucchiati indietro e ripresero
il consueto aspetto sferico.
Stremato, Giovanni cadde in ginocchio, sforzandosi
di mantenere aperta la mano in cui teneva la piccola pallina che
racchiudeva il suo passato e poggiando l’altra mano a terra
per non cadere. Sofia fu meno fortunata; finì a terra con
uno schianto, perdendo i sensi per qualche istante mentre nonostante
tutto, ostinatamente, la sua mente l’obbligava a tenere la
sfera tra le mani chiuse a coppa. Dopo un minuto si riprese e
rotolò sulla schiena, respirando con forza, mentre Giovanni
le si accostava per chiederle come stava.
Altàis li osservò in
silenzio; l’aria seria e preoccupata non l’aveva
abbandonato. Conoscere la Verità era uno sforzo notevole per
chiunque, ma Giovanni e Sofia avevano reagito in modo spropositato. Pur
non avendo mai risposto ad altri interroganti, Altàis
intuiva che nelle due vite che aveva di fronte c’era qualcosa
in più, rispetto a tutte le altre: e se questo fosse
positivo o negativo, neanche lui riusciva a stabilirlo.
Quando Sofia si fu ripresa abbastanza da reggersi
sulle gambe, Altàis tornò da lei e Giovanni,
portando due cofanetti di legno di abete rosso. Con un gesto della
mano, il Custode fece ruotare i due coperchi sulle cerniere.
All’interno, nel legno erano state ricavate quattro nicchie
circolari.
«In questi cofanetti»
esordì «riporrete le vostre Verità.
Queste nicchie» proseguì, indicando i tre spazi
più piccoli, posti ai vertici di un triangolo
«accoglieranno il vostro passato, il vostro presente e il
vostro futuro. Nella quarta nicchia, invece» disse, indicando
lo spazio più grande, posto al centro del triangolo
«troverà posto la risposta alle vostre
domande». Altàis s’interruppe, facendo
cenno ai due Portatori di riporre le sfere nei rispettivi cofanetti.
Quando entrambi ebbero lasciato le sfere, con un altro gesto
Altàis chiuse i cofanetti e li consegnò a
Giovanni e a Sofia, insieme alle chiavi per aprirli. Poi, in silenzio,
se ne andò.
Giovanni e Sofia si fissarono, un po’
sconcertati.
«Credi che dovremmo
andarcene?» domandò lei.
«Immagino di sì…
proviamo a uscire da qui e vediamo se i Cerchi ci sono
ancora» propose l’uomo.
In silenzio, sempre stringendo tra le mani i
cofanetti, ripercorsero la strada che avevano intrapreso
un’ora prima e uscirono dalla grotta: i Cerchi di Ogascoon
non c’erano. I due rabbrividirono, mentre tornavano
velocemente verso le tende e un vento gelido li investiva.
«Credevo avrebbe fatto meno freddo, una
volta che il sole si fosse alzato, e invece è peggio di
prima» sbuffò Giovanni. Sofia annuì.
«Andiamocene alla svelta da
qui» replicò.
Proseguendo il più velocemente
possibile nonostante la stanchezza, uscirono dal bosco e si bloccarono,
increduli. Di fronte a loro, il manto verde che ricopriva il terreno si
era ingiallito, mentre un sottile strato di neve fresca ricopriva qua e
là il paesaggio.
«Com’è possibile
che ci sia stato un cambiamento del genere in
un’ora?» disse Sofia, innervosita.
Giovanni, a sua volta a disagio, ci
pensò su per un minuto.
«Forse è stato
Altàis… magari svelare la Verità ha
ripercussioni sull’ambiente circostante»
tentò.
Sofia, non molto convinta, annuì
lentamente.
«Forse è
così… dovremo cercare altre
informazioni»
«Per ora, la cosa più
importante è andar via di qui».
Raccolsero le loro cose in pochi minuti e, con un
sospiro di sollievo, si aggrapparono alla coda di Nabeela. |
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Capitolo 6 *** Il brivido del rischio ***
Confusa, Sofia si guardò intorno mentre grida di stupore e
di saluto si alzavano.
La mensa era strapiena.
«Sofi!». Sollevato,
André le corse incontro. «Finalmente sei
tornata!».
Tirandosi indietro prima che qualcuno potesse
abbracciarla, la ragazza si guardò di nuovo intorno.
«Che ci fanno tutti qui?»
«Anche noi stiamo bene, grazie per
avercelo chiesto. A proposito, hai un aspetto orrendo» disse
Blaze.
Lei non lo ascoltò; continuava a
osservare le decine di Portatori che, seduti ai propri posti,
continuavano a mangiare e ridere come se nulla fosse.
«Che ci fanno tutti qui?»
ripeté.
Claudio e Cornelia si scambiarono uno sguardo
preoccupato.
«Sono tornati tre giorni fa per
riprendere gli addestramenti, come era stato stabilito» disse
l’uomo cautamente. Sofia scosse la testa.
«Credevo sarebbero rimasti per un
po’ con le loro famiglie».
Laurence lasciò Ambrosine e si
avvicinò alla sua giovane amica.
«Ma l’hanno fatto. Sono stati
via per cinque settimane, Sofi, dal giorno in cui hai trovato
Ambrosine».
La ragazza scosse di nuovo la testa, prima di
afferrarsi i capelli.
«Io e Giovanni siamo partiti sei giorni
fa, era il diciannove di Agosto… i ragazzi erano partiti da
nove giorni, come puoi dire che sono stati via cinque
settimane?» si lamentò. Non riusciva a pensare;
sentiva una morsa stringerle la testa mentre teneva gli occhi
socchiusi, infastidita dalla luce.
Calò un pesante silenzio, che si
sarebbe protratto a lungo se lo sbattere della porta non avesse fatto
trasalire tutti.
Gregory entrò trafelato nella stanza.
Claudio lo prese immediatamente da parte e iniziò a
bisbigliargli qualcosa, ma l’altro lo bloccò con
un secco: «Lo so!» prima di superarlo e dirigersi
deciso verso Sofia.
«Sofia» disse, afferrandole i
polsi e costringendola ad aprire gli occhi doloranti «oggi
è il diciannove di Settembre. Tu e Giovanni siete stati via
per un mese intero»
«Questo non è possibile, e lo
sai» replicò la ragazza. Lui
l’afferrò per un braccio e la trascinò
di fronte alla finestra.
«Guarda» disse rudemente,
costringendola a osservare l’esterno. «Guarda la
Valle. Osserva i prati, gli alberi e le colline che conosci tanto bene,
e dimmi chi ha ragione».
Con uno sforzo, la ragazza ubbidì. I
suoi occhi si posarono su una vegetazione che non era più
viva e brillante, ma che iniziava a scolorire: le prime foglie si
staccavano dagli alberi cadendo dolcemente a terra. I fiori estivi
erano appassiti e uno sbuffo d’aria quasi fredda
s’insinuava nelle finestre socchiuse.
«Siamo in autunno»
notò Sofia con voce piatta. Posò la fronte sul
vetro freddo. «Tutto questo non è possibile.
Stamattina siamo riusciti ad avvicinarci al Custode, ci ha parlato, ma
non siamo rimasti con lui più di un’ora».
Gli altri Maestri la fissavano con aria
preoccupata; Ailie bisbigliò qualcosa a Emma, che
annuì.
«Forse dovresti riposare»
suggerì Emma incerta. «Hai davvero una pessima
cera».
«Già, forse»
rispose l’altra. Si sentiva svuotata e incapace di formulare
un solo pensiero razionale. «Ci vediamo più
tardi» disse, trascinandosi faticosamente fuori dalla stanza
mentre i suoi amici le rivolgevano un’ultima occhiata piena
di dubbi.
*
L’autunno era arrivato, e con esso le prime piogge.
Gli addestramenti erano stati spostati nelle
grandi stanze al pianterreno, e in una di queste Sofia trovò
Emma e Gregory intenti ad allenarsi.
«Allora, come va qui?» chiese
la ragazza sedendo accanto a Ailie e Fernando, che si erano sistemati
in un angolo della stanza.
«Bene, ma bisogna stare
attenti… ogni tanto qualche schizzo d’Energia
arriva da queste parti» rispose Fernando con un sorriso,
senza staccare gli occhi da Emma.
Ailie scosse la testa.
«Non fa altro che guardarla.
Pensa che l’ha anche portata con sé in Spagna per
qualche giorno!».
Sofia sorrise.
«È innamorato. Che
sia l’aria della Valle a fare questo effetto? Dovunque
guardi, vedo coppiette che spuntano come funghi!» disse,
facendo scoppiare a ridere Ailie che dichiarò che a lei non
sarebbe mai successo.
«Chi vivrà
vedrà» rispose con un ghigno la giovane,
raccogliendo i lunghi capelli castani con un elastico. Poi si rivolse a
Gregory. «Da dove arrivavi così di corsa, la
mattina in cui sono tornata?».
Distratto dalla domanda, l’uomo fu
colpito da Emma.
«Accidenti Sofi, per colpa tua mi ha
preso!» si lagnò lui prima di risponderle.
«In ogni caso, ero al Centro. Non avevano ancora trovato un
nuovo Maestro dell’Acqua e ho accettato di aiutarli fino a
quando non fosse tornato almeno Giovanni»
«Come ha reagito, quando ha scoperto che
siamo stati via per un mese intero e non per una sola settimana come
credevamo?»
«Come te. Non poteva crederci, ma per
fortuna si è convinto piuttosto rapidamente della
verità delle mie affermazioni. A proposito, hai qualche idea
su come sia potuta accadere una cosa simile?» le
domandò.
«Neanche una» ammise Sofia.
«Dovrò fare qualche ricerca in
biblioteca»
«Abbiamo già controllato. Non
c’è niente al riguardo» la
informò Fernando. Il ghigno che ricevette in risposta fu
sufficiente a farlo preoccupare.
«Non ho detto di dover controllare in questa
biblioteca» precisò la ragazza. Gli altri quattro
si misero le mani nei capelli.
«Perché quando dice
così mi preoccupo sempre?» chiese Ailie.
«Cos’hai intenzione di fare,
Sofi?» domandò invece Emma.
L’altra si alzò.
«Non fatemi domande e non vi
dirò bugie» rispose con un sorrisetto, prima di
uscire dalla stanza e scontrarsi con Blaze.
«Scusa Sofi, non ti avevo
vista» disse, afferrandola prima che rovinasse a terra.
«Non ti scusare Blaze, stavo cercando
proprio te».
Il ragazzo assunse un’aria sospettosa.
«Me? E perché mai?»
indagò.
Sofia si esibì in un sorriso
rassicurante che però non ingannò il suo amico.
«Devo fare una cosa, e ho bisogno
d’aiuto».
«Se chiedi aiuto a me, deve essere
qualcosa di tanto rischioso da suscitare la disapprovazione
generale» notò lui.
«Hai ragione» ammise Sofia.
«È tanto rischioso, che tentare è
un’impresa da pazzi».
Blaze sollevò un sopracciglio.
«Allora ci sto!».
*
«Brava Nabeela, ora va’».
Con un buffetto sul collo Sofia congedò
rapidamente la Fenice, guardandosi attorno preoccupata. Fortunatamente,
nel vicolo in cui erano comparsi non c’era nessuno. Uscendo
cauto dall’ombra, Blaze si guardò intorno.
«Dove accidenti siamo?» chiese
sottovoce.
«Vicino al Parlamento» rispose
Sofia, afferrandolo per un braccio e trascinandolo velocemente fuori
dal lungo vicolo.
«Accidenti se fa caldo, qui»
notò il ragazzo, sfilandosi la felpa. Anche se erano i primi
giorni di Ottobre, la temperatura era ancora mite.
«Certo non è
l’Irlanda, Blaze. Roma è molto più a
Sud di Cork… di qua» rispose lei, afferrandolo per
la manica per farlo girare a sinistra. «Guardati bene
intorno… credi di riuscire a ritrovare la strada?»
gli domandò preoccupata. Blaze sbuffò.
«Sofi, non sono un novellino!».
Camminarono per qualche altro minuto, durante i
quali Sofia indicò a Blaze dei punti di riferimento per
essere certa che in caso di necessità riuscisse a ritrovare
la strada. Alla fine, il ragazzo sbottò.
«Sofia, basta! Sono in grado di
orientarmi, abbiamo svoltato una sola volta e stiamo passando davanti a
questo coso enorme…».
Stizzita, la ragazza si voltò a
guardarlo.
«Prima di tutto questo coso, come lo
chiami tu, si chiama Pantheon ed è uno degli edifici storici
più famosi al mondo. In secondo luogo, credo tu non abbia
ben capito quello che stiamo per fare e a danno di chi, altrimenti
comprenderesti perfettamente per quale motivo voglio essere
assolutamente certa che riuscirai a tornare indietro!».
Fingendo di non sentirla, l’altro
continuò a camminare. All’improvviso Sofia lo
afferrò e lo trascinò dietro a
un’edicola, ignorando gli sguardi stupefatti
dell’edicolante e di un paio di uomini in giacca e cravatta.
«Ora, Blaze» disse Sofia,
cingendogli il collo con le braccia e ostentando un’aria
tenera, in modo da ingannare eventuali osservatori «ricorda
bene tutto quello che abbiamo provato questa settimana. Soprattutto,
non emanare l’Aura a meno che non sia assolutamente
necessario, e controllati».
«Avanti Sofi, mi hai ripetuto tutto per
giorni e giorni, so cosa devo fare» replicò lui,
abbracciandola e dandole un bacio su una tempia. «A
proposito, come si chiama il tizio?» le domandò,
scoppiando a ridere di fronte all’aria sgomenta che la
ragazza aveva assunto. Si separarono e, dopo essersi guardati per un
attimo, Blaze la lasciò dietro all’edicola e
tornò a percorrere i pochi metri di salita che lo separavano
dalla sua meta. Un istante più tardi, Sofia tornò
indietro e corse nella direzione opposta.
*
Dopo una rapida occhiata all’orologio, Blaze
accelerò il passo. Girò l’angolo e vide
l’uomo che cercava scendere da una berlina nera. Tutto come
previsto.
Il ragazzo si fece avanti, gridando in italiano
con voce isterica: «Non ci posso credere, il signor
Limardi!».
Le guardie del corpo dell’uomo si
interposero tra i due prima che Blaze potesse raggiungerlo. Uno di loro
lo afferrò rudemente per un braccio.
«Cosa credi di fare,
ragazzino?» ringhiò, sospingendolo indietro.
«Ma io…»
piagnucolò Blaze, seguendo alla lettera le istruzioni di
Sofia.
Ci
sono sempre almeno sei guardie scelte con lui, lo aveva
avvertito, ma se lo
avvicini in pubblico, non potranno usare gli Elementi per fermarti.
Comportati in modo isterico, come farebbe una ragazzina di fronte a una
rockstar, e sarà lui stesso a intervenire in tuo favore.
Un attimo dopo, infatti, l’uomo si fece
avanti e fece cenno alle guardie di spostarsi.
Blaze lo osservò attentamente. Dopo
tutto quello che Sofia gli aveva detto su Prospero Limardi, non si
aspettava di trovarsi di fronte un uomo dall’apparenza tanto
anonima. Di media altezza – non superava il metro e settanta
– e con un fisico che mostrava chiaramente i segni del tempo,
non aveva nessun tratto che lo distinguesse in modo particolare dagli
altri uomini della sua età.
«Allora ragazzo» disse
Prospero Limardi con voce morbida, «cosa posso fare per
te?».
Ostentando confusione, Blaze iniziò a
balbettare.
«Signor Limardi, è un tale
onore incontrarla! Lo desideravo da tempo!».
Sorridendo soddisfatto e sistemandosi i capelli
neri in un gesto che tradiva tutta la sua vanità,
l’uomo osservò Blaze con fare paterno.
«Via, via, ragazzo, non
esagerare» disse, schermendosi.
«No, no, signor Limardi, dico
davvero… un Portatore, un Maestro della sua levatura,
conoscerla è, per me, un sogno che si avvera!»
replicò l’altro con voce strozzata dalla presunta
emozione.
Quella frase risvegliò
l’attenzione di tutti.
«Sei un Portatore, dunque?»
indagò infatti Prospero, osservandolo con appena una punta
di sospetto.
«Oh, sì. Sono
anch’io un Portatore, della Terra per la precisione,
signore» ansimò Blaze. Sofia si era molto
raccomandata su quel punto: doveva lusingare la vanità di
quell’uomo, che si riteneva un Maestro di grande talento.
«E hai sentito parlare di me?»
insisté l’uomo. Il ragazzo annuì.
«Abbiamo bisogno di qualche informazione
su di te. Ed espandi l’Aura, per favore»
ordinò una delle guardie di Prospero, estraendo un taccuino
per prendere nota.
«Mi chiamo Mattia Liverano, abito a
Milano» snocciolò obbediente Blaze, utilizzando
l’identità che lui e Sofia avevano rubato per
l’occasione ed espandendo una minima parte della propria Aura
in modo da non lasciar capire quanto fosse potente. Agli occhi di
Prospero Limardi non doveva passare che per un banale Apprendista di
livello intermedio.
«Milano, eh? Come mai ti trovi a
Roma?» indagò un’altra guardia.
«Volevo visitare la
città» rispose prontamente il ragazzo.
Prospero intervenne per bloccare le domande.
«Non c’è bisogno di
tutte queste formalità con un ragazzo così
simpatico» disse. Blaze sorrise riconoscente.
«Allora Mattia, ti piacerebbe vedere di cosa è
capace un Maestro degli Elementi?» riprese l’uomo,
abbandonando ogni pretesa di modestia. Ottenuto in risposta un
frenetico cenno d’assenso, gli fece cenno di seguirlo e il
gruppetto entrò nel palazzo alle loro spalle.
*
Dall’angolo della strada parallela a quella da cui era
sbucato Blaze, Sofia osservava con attenzione la scena. Sorridendo
compiaciuta, guardò Prospero Limardi condurre il suo seguito
all’interno dell’antico palazzo. Tutto era andato
come previsto: Blaze aveva recitato la sua parte in modo magistrale.
Sperando che non si lasciasse spazientire dalle sciocche dimostrazioni
di Prospero, anche lei si accinse a fare la propria parte.
Alzò gli occhi sulla facciata laterale
dell’edificio. Le finestre del pianterreno erano a un paio di
metri da terra e coperte da solide inferriate… ma non era a
quelle che puntava.
Si guardò attorno con molta attenzione.
Era quasi ora di pranzo, e dei grossi nuvoloni neri stavano oscurando
il sole. I turisti che di solito passavano per quella viuzza, diretti a
Piazza Navona, si dileguarono con impressionante velocità.
Dopo aver atteso per un paio di minuti, approfittando della momentanea
solitudine, Sofia si preparò a entrare.
Contò le finestre individuando quella
che, secondo i suoi calcoli, doveva affacciarsi su una stanza vuota.
Indietreggiò fino a toccare con la schiena il muro
dell’edificio dall’altro lato della strada,
respirò profondamente e prese la rincorsa, spiccando un alto
salto e aggrappandosi alle inferriate di una finestra del piano terra.
Rapidamente si arrampicò fino a issarsi sullo stretto
cornicione della finestra e, pregando perché nessuno la
vedesse, con un altro piccolo salto si appese alla soglia della
finestra del primo piano. Portando gli occhi al livello delle dita
sbirciò all’interno. Quello che vide fu
sufficiente a rassicurarla e, silenziosamente, sgusciò
dentro.
Soffocando l’agitazione degli ultimi due
minuti, si addossò alla parete e si concesse un istante per
tirare un sospiro di sollievo. Eccola lì, nella biblioteca
privata di Prospero Limardi, a cui lui solo aveva accesso.
Con passo leggero Sofia andò alla porta
e vi poggiò un orecchio, in ascolto. Sapeva che
c’era solo un vecchio custode, a guardia di quella porta
– una sorveglianza considerata superflua dai più,
ma a cui Prospero teneva particolarmente. Sentì dei fruscii
e qualche colpo di tosse: probabilmente l’uomo stava leggendo
il giornale.
La ragazza tornò indietro e
iniziò a girare tra gli scaffali di legno, cercando. Sapeva
che i Portatori lasciavano una traccia della propria Aura, nei
manoscritti che redigevano – una specie di firma –
e che espandendo anche al minimo la propria Aura, avrebbe trovato
immediatamente quello che cercava: ciò che non sapeva era se
il custode, al di là della porta, fosse un Portatore oppure
no.
Ormai
sono arrivata fin qui, pensò Sofia. Un rischio in più o
in meno che sarà mai.
Lasciò libera una minima,
infinitesimale parte della propria Aura, e li sentì.
Reprimendo nuovamente l’Aura
andò quasi di corsa in fondo alla biblioteca, cercando la
vetrina giusta. Quando la trovò, la sfiorò
leggermente con le dita e provò ad aprirne le ante. Come
prevedeva erano chiuse a chiave.
Sogghignando, decise di ricorrere a un trucchetto
che aveva imparato anni prima.
Posò una mano sulla piccola serratura
della vetrina e lasciò che un sottilissimo fascio
d’Energia fluisse all’interno. Un istante dopo la
serratura scattò e Sofia spalancò le ante.
Fremendo estrasse un libro dietro
l’altro, divorandoli con gli occhi: c’era
così tanto sui Portatori e sugli Elementi, in quei volumi,
che avrebbe desiderato portarli via tutti. Recuperando la
concentrazione la ragazza prese a sfogliare i volumi, cercando quello
di cui aveva bisogno. In pochi minuti selezionò alcuni libri
e li infilò rapidamente in uno zainetto.
*
«Signor Limardi, è davvero
stupefacente!» guaì Blaze con aria adorante.
Con un vacuo sorriso impregnato di arroganza,
l’uomo continuò a esibirsi in piccole
dimostrazioni. Pensando che non si era mai annoiato tanto, Blaze
continuò a fingere di essere stupito dalla bravura di
Prospero.
Devo
ricordarmi di chiedere a Sofi perché lo considera tanto
pericoloso, annotò mentalmente. Quello che
aveva visto fino a quel momento lo aveva lasciato senza
parole…in negativo: Sofia gli aveva detto che
quell’uomo si considerava molto più abile di
quanto non fosse in realtà, ma Blaze non si aspettava fosse
a un livello tanto basso.
Riscuotendosi dai suoi pensieri rivolse
un’occhiata alla mezza dozzina di guardie che, dietro di lui,
osservava attentamente ogni suo movimento. All’improvviso
vide uno di loro bisbigliare qualcosa all’orecchio del suo
vicino e, ricevuto un cenno di assenso, allontanarsi rapidamente.
Avanti
Sofi, sbrigati, pensò Blaze, tentando di
soffocare un brutto presentimento.
*
Uscito dalla sala di rappresentanza in cui Prospero stava tenendo il
suo spettacolino, l’uomo si guardò intorno,
rassettandosi meccanicamente la giacca. Qualche minuto prima aveva
percepito, debolissimo, qualcosa di insolito. Nessun altro se
n’era accorto; erano tutti concentrati su Prospero e sulla
sua Aura, che copriva ogni altra cosa; ma lui, che stava controllando
le Aure al di fuori di quella stanza, l’aveva sentito.
Salì le scale senza fretta, scuotendo
impercettibilmente la testa e trattenendo la propria Aura. Arrivato in
cima alla rampa andò a sinistra, dirigendosi verso la
biblioteca.
«Aldo, buongiorno. Come va la
tosse?» chiese gentilmente al vecchio custode.
«Come sempre, come sempre»
rispose l’altro burbero. «Che ci fai da queste
parti?»
«Sono venuto a fare un giro di
controllo» spiegò il primo.
«Nella biblioteca di
Prospero?» indagò sospettosamente il custode.
«Su tutto il piano»
ribatté l’altro.
Il vecchio si alzò.
«Visto che ci sei tu, vado a fare una
pausa» disse, posando il giornale. Si diresse verso la porta
della biblioteca e la chiuse a chiave.
«Via, Aldo, non ti fidi di
me?» lo punzecchiò il più giovane.
«È il mio lavoro. Non mi fido
di nessuno, io, quando si tratta di questa biblioteca»
replicò l’altro, andando lentamente verso le scale.
Non appena il vecchio sparì dalla vista
la guardia, rimasta sola, andò alla porta e, estratta una
copia della chiave in possesso del custode, fece scattare la serratura.
Entrò silenzioso nella biblioteca e si richiuse la porta
alle spalle.
«A noi due»
bisbigliò.
*
Lavorando febbrilmente, Sofia stava mettendo in atto un altro dei suoi
trucchi: utilizzando l’Energia, stava replicando i volumi che
aveva appena sottratto. Era una lavoro delicato: doveva eliminare ogni
traccia della propria Aura dall’Energia che stava plasmando.
Se non ci fosse riuscita, per Prospero e i suoi uomini sarebbe stato
fin troppo facile rintracciarla, quando si fossero accorti del furto.
Non le restava da replicare che un libro. Mentre
iniziava il lavoro, sentì dei passi avvicinarsi e una voce.
Troppo giovane per essere quella del custode, che un attimo dopo,
infatti, rispose. Manipolando rapidamente l’Energia,
ascoltò il breve scambio di battute tra le due voci.
Tirò un secondo sospiro di sollievo sentendo il custode
chiudere a chiave la porta dall’esterno e si accinse a dare
gli ultimi ritocchi alla sua opera. Un minuto dopo, però,
sentì la serratura scattare di nuovo.
Concludendo frettolosamente il lavoro,
sistemò le copie nei posti prima occupati dai manoscritti
originali, chiuse di nuovo a chiave la vetrina e si nascose dietro lo
scaffale più vicino.
Con il cuore che le rimbombava nelle orecchie,
ascoltò dei passi leggeri avvicinarsi. Non aveva idea di chi
fosse; non poteva percepirlo con l’Aura per paura di essere
scoperta, così si affidò al solo udito.
«Sofia, so che sei
qui» disse la voce di Michele sommessamente.
La ragazza uscì cautamente allo
scoperto, controllando che l’uomo fosse solo.
«Come hai fatto a scoprirmi?»
domandò.
«Ti ho percepita»
replicò lui. «Adesso sono io a doverti fare una
domanda. Che cosa ci
fai qui?»
«Era una bella sfida. Mi piace il
brivido del rischio, lo sai» rispose Sofia sorridendo.
Michele la guardò con
serietà. «Sofia, sii seria e rispondimi»
la esortò.
«Oh, d’accordo… mi
servivano delle informazioni»
«Riguardo a cosa?».
Sofia gli sventolò un dito contro.
«Ora vuoi sapere troppo, mio
caro» lo redarguì.
«Sofi, ti rendi conto di quello che hai
fatto? Ti sei introdotta di nascosto nella biblioteca privata di
Prospero. Hai idea di quello che farebbe, se lo scoprisse?»
«Non ci crederai, Michele, ma in effetti
un’idea ce l’ho. Inoltre non ci tengo affatto a
incontrare il tuo capo… quindi, se potessi evitare di dirgli
che sono stata qui, mi faresti veramente un gran favore»
disse la ragazza, ostentando un’aria tenera e implorante.
Michele la guardò alzando un sopracciglio.
«È inutile fare quella
faccia, Sofi, non sei credibile» la informò.
«Lo so, ma dovevo tentare».
Tornando all’abituale atteggiamento, Sofia lo
fissò attentamente. «Allora, hai intenzione di
dire a Prospero che sono stata qui?».
Dopo un attimo di esitazione, Michele scosse la
testa.
«Tu sarai la causa della mia morte,
Sofia, lo so» si lamentò. «Comunque
sta’ tranquilla, non glielo dirò… in
teoria non sono neanche mai stato qui»
«Grazie». Alzandosi in punta
di piedi, la giovane lo attirò a sé e gli
stampò un grosso bacio su una guancia. «Ti devo
una cena»
«Solo una?» disse Michele
incredulo.
«Non esagerare!»
ribatté Sofia, andando verso la finestra. Si stava
già calando con cautela sul cornicione della finestra
sottostante, quando la voce di Michele la richiamò.
«Sofi?»
«Cosa
c’è?»
«Sei qui perché sei riuscita
a parlare col Novizio, vero?»
«Sì»
«Prima che tu faccia un altro viaggio a
Roma per chiedermelo… tu sai già,
dov’è un Ministro. Ci sei già
stata» le disse con un’occhiata significativa.
«Akasha…» disse
Sofia, pensierosa. Poi si riscosse. «Come sai che ci sono
già stata?»
«Lo so e basta» rispose
l’uomo, uscendo dalla biblioteca e richiudendo a chiave la
porta. Sofia tornò velocemente a terra e si
preparò a dare il segnale di fuga a Blaze.
*
Michele sgusciò silenziosamente nella sala e si
affiancò ai suoi colleghi proprio mentre Prospero
interrompeva la sua dimostrazione e si rivolgeva a Blaze.
«Mattia, ti piacerebbe provare a
eseguire qualcuno degli esercizi che ti ho fatto vedere?» lo
invitò. Qualcosa in quel ragazzo non lo convinceva: lo aveva
osservato attentamente e un paio di volte aveva scorto, fugace,
l’ombra della noia sul suo volto. Una cosa improbabile, se
fosse stato davvero solo un Apprendista.
Capendo al volo di essere caduto
nell’errore contro cui Sofia lo aveva messo in guardia, Blaze
tentò di recuperare.
«Mi piacerebbe provare
l’ultimo, signore, ma non sono certo di aver ben capito come
si fa» mentì spudoratamente.
Guardandosi con sospetto – seppur ben
celato – reciproco, il più anziano si accinse a
ripetere la sua ultima dimostrazione.
Proprio in quel momento, sotto le finestre
risuonò una serie di forti scoppi. Immediatamente quattro
delle sei guardie accerchiarono Prospero e lo condussero via quasi di
corsa, mentre gli altri due uomini andavano all’esterno a
controllare la situazione.
Rimasto solo, anche Blaze corse via.
Uscì dal palazzo e ripercorse al contrario la strada su cui
si era incamminato con Sofia poco più di un’ora
prima, facendosi largo con violenza tra turisti e passanti e
controllando che nessuno lo seguisse.
Rallentando appena, alzò gli occhi
sulla targa che indicava il nome della strada su cui stava per
lanciarsi: Via del Seminario. Stava andando nella direzione giusta.
A ogni passo vedeva, più chiaro, il
punto in cui avrebbe dovuto girare. Era così concentrato che
non si accorse della persona che, sbucando da una via alla sua
sinistra, stava per tagliargli la strada.
I due si scontrarono violentemente e finirono
contro il muro, attirando gli sguardi allarmati di un paio di passanti.
Blaze fece per attaccare il suo aggressore, ma quello lo
fermò.
«Sono io Blaze, sta’
calmo» lo bloccò Sofia, prendendolo per il polso e
ricominciando a correre.
«Dovresti stare più attenta
Sofi, stavo per attaccarti!». Non ottenendo risposta, Blaze
proseguì. «Ci sei riuscita?»
«Sì» rispose
sbrigativamente la ragazza, trascinandolo nella prima via a destra che
incontrarono sul loro cammino.
«Devi spiegarmi perché era
tanto importante, per te, entrare lì dentro senza essere
vista»
«Non mi sembra il momento,
Blaze!» si lamentò Sofia.
Preoccupato, il ragazzo sbirciò alle
proprie spalle.
«Credi ci stiano seguendo?» le
domandò.
«Me, no di certo. Quanto a
te… forse la tua sparizione improvvisa potrebbe far sorgere
qualche dubbio!».
Senza troppi complimenti Blaze la tirò
verso destra, nel vicolo in cui erano arrivati con Nabeela. Una donna
affacciata alla finestra li guardò con curiosità
fino a quando non si nascosero in un angolo, sparendo nel nulla.
*
Quando arrivarono, la Valle era spazzata da una pioggia torrenziale.
Nabeela li lasciò in una piccola
depressione del terreno, facendoli sprofondare nell’acqua e
nel fango fino alle caviglie, e volò al riparo.
Blaze e Sofia rimasero immobili a guardarsi,
increduli, mentre la pioggia li inzuppava fino alle ossa. Poi, un
minuto dopo, scoppiarono a ridere, finendo lunghi distesi nel fango,
incapaci di smettere.
*
«Voi due! Si può sapere dove vi eravate
cacciati?».
La voce sonora di Claudio li accolse in questo
modo, mentre tutti gli altri li fissavano allibiti.
«Be’? Che avete da
guardare?» domandò Blaze.
«Allora ci siete proprio voi due, sotto
tutta quella melma!» li prese in giro André.
Sofia gli fece la linguaccia mentre Laurence si
faceva avanti e le puliva il volto con un fazzoletto.
«Già, sono proprio
loro» disse sorridendo. Gregory e Claudio, invece, sbuffarono.
«Sembrate proprio due
bambini…» esordirono; senza lasciar loro il tempo
di continuare, i due giovani gli si scagliarono contro e li
abbracciarono, inzaccherandoli, sordi alle loro proteste.
«Così imparate a essere
sempre tanto noiosi» li rimproverò Blaze.
«Allora Blaze, dov’eravate
finiti, per conciarvi in questo modo?» chiese Laurence.
«Non l’abbiamo certo fatto
apposta. Non sapevamo stesse piovendo» rispose
l’altro, tentando di staccarsi un po’ di fango di
dosso.
Gregory drizzò le orecchie.
«Non lo sapevate? Dove accidenti siete stati?»
ruggì, immaginando solo vagamente quel che potevano aver
combinato.
«A prendere questi» rispose
Sofia, aprendo lo zaino impermeabile e rovesciandone il contenuto sul
tavolo.
«Libri?».
L’esclamazione indignata di Blaze la
fece sorridere.
«Tu mi hai fatto sopportare quel vecchio
borioso per prendere alcuni libri?» insisté il
ragazzo.
Sofia accarezzò i volumi con affetto.
«Questi non sono libri qualunque, Blaze.
E poi, è possibile che la noia sia l’unica cosa di
cui ti sia preoccupato?»
«A cos’altro avrei dovuto
pensare? Mi avevi messo tanto in guardia contro quel Prospero Limardi,
su quanto fosse pericoloso, e invece non è che un banale,
mediocre Portatore di medio livello!».
«Che
cosa c’entra Prospero Limardi?».
Questa volta fu Claudio a ruggire, impedendo a Sofia di ribattere.
La ragazza lanciò
un’occhiataccia al giovane americano. Nonostante il silenzio,
il suo padrino fece due più due in un attimo.
«Libri antichi… Prospero
Limardi… ti
sei introdotta nella sua biblioteca!»
strillò.
«Sì, zio Claudio,
l’ho fatto» ammise Sofia, rassegnata. Sapeva che
negare l’evidenza sarebbe stato inutile. L’uomo si
coprì il volto con le mani.
«Non ci posso credere… sei
sempre stata così attenta, prudente,
responsabile… che ti sarà mai accaduto in questi
anni, per farti cambiare tanto, io proprio non lo
so…» bofonchiò tra sé.
Blaze, ritenendo eccessiva la reazione di Claudio,
intervenne.
«Su, Claudio, non è successo
nulla… che cosa potrebbe mai fare, poi,
quest’uomo, se anche scoprisse che è stata Sofi a
rubare i libri? Non è poi così
potente!» lo blandì.
Sconcertato, Claudio lo fissò.
«Sofia, come hai potuto farti aiutare da
lui senza spiegargli che rischio correvate?» la
rimproverò.
«Ehi, un momento»
ribatté lei offesa. «Io gliel’ho
spiegato benissimo, è lui che non mi ha voluto
credere!»
«D’accordo, sentite. Ci ho
parlato, mi ha dato delle dimostrazioni del suo potere… non
è così pericoloso come me l’ha
descritto Sofi!» spiegò Blaze, con
l’aria di stare parlando a due stupidi.
«Ci hai parlato? E sei riuscito a
tornare qui?» domandò Claudio, sempre
più incredulo, mentre gli altri non perdevano una sola
parola. Sofia spiegò rapidamente in che modo avevano
distratto Prospero e le sue guardie e si erano introdotti nel palazzo.
«In effetti il piano era ottimo e ha
funzionato» fu costretto ad ammettere Claudio,
«tuttavia, Blaze, non lasciarti ingannare da quello che hai
visto. In quel momento era troppo occupato a compiacere la propria
vanità, ma la verità è che Prospero
Limardi è esattamente il tipo di persona a cui bisogna stare
attenti. Ha nelle sue mani molto potere, sia a livello sociale che come
Portatore, e in caso di uno scontro è un avversario
temibile. Non si fa scrupoli a utilizzare sotterfugi e inganni, e in
generale non mostra mai pietà per il nemico».
«Da come lo dipingete, sembrerebbe
persino peggio di Giovanni» notò il ragazzo.
«Prospero Limardi è peggio di
Giovanni, Blaze, molto peggio. Per questo spero che sfidarlo in questo
modo fosse assolutamente necessario» concluse Claudio,
rivolgendo un’occhiataccia alla sua figlioccia, che
però non si scompose.
«Lo era» disse infatti Sofia
con un sorriso «e con questi libri ve lo
dimostrerò». |
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Capitolo 7 *** Molte domande e poche risposte ***
Passeggiando nel parco, Giovanni continuava ad arrovellarsi
sull’incontro con Altàis, riflettendo su quanto
aveva appreso.
Nel dispiegarsi della Verità, infatti,
alcune parole l’avevano colpito in modo particolare: le
parole che, sospettava, erano la chiave per comprendere finalmente il
misterioso legame che lo univa a Sofia.
«Il Canto del
Fuoco…» mormorò tra sé.
Un istante dopo, Jackson interruppe il corso dei
suoi pensieri. «Abbiamo trovato un nuovo Maestro
dell’Acqua» annunciò.
Giovanni non si scompose.
«Dovresti darci il tuo parere»
aggiunse l’americano. L’altro uomo si riscosse
dalle proprie riflessioni.
«Lo avete già
valutato?» domandò.
«Sì» fu la replica,
«e dal punto di vista tecnico non c’è
nulla da dire. Il problema è un altro».
Giovanni iniziò a spazientirsi.
«Jackson, hai intenzione di continuare a
giocare agli indovinelli ancora per molto oppure mi dici subito quale
sarebbe, questo problema?»
«È meglio che tu lo veda con
i tuoi occhi» disse Jackson, invitandolo con un gesto a
seguirlo. Tornati all’interno del Centro furono subito
raggiunti da Elizabeth.
«Giovanni!» esordì
con rabbia la ragazza. I due uomini la ignorarono e continuarono a
camminare. Per nulla scoraggiata, lei li seguì.
«Mi avevi promesso che sarei stata addestrata da un Maestro
dell’Acqua. Che avrei ricoperto io stessa quel ruolo, non
appena pronta. Era questo, il patto» gli rammentò
con astio.
«Nel patto, la morte di Prudencia non
era prevista. Trovare un Maestro degli Elementi capace e disposto ad
abbandonare tutto per stabilirsi qui, fuori dal mondo, non è
semplice» replicò Giovanni distrattamente.
«Non mi interessa quello che
è successo. Io ho fatto la mia parte, e ora voglio avere
ciò che mi spetta» lo rimbeccò lei.
Jackson, in silenzio, ascoltava.
Finalmente, l’italiano si
voltò a fronteggiare la giovane che lo tallonava da vicino.
«Elizabeth, mi stai stancando. Te lo
dirò solo stavolta, perciò ascoltami con
attenzione: non sei
nella posizione di poter dettare legge»
esclamò con voce dura.
«Io ti ho portato alla
Valle…» esordì Elizabeth, indignata.
«Già, ci hai portati fin
lì. Ora, non appena avremo un nuovo Maestro
dell’Acqua, sarai addestrata come tutti gli altri. Fino a
quel momento, però, farai meglio a tacere» la
interruppe.
«Trova in fretta un nuovo Maestro
dell’Acqua, o me ne andrò»
minacciò la ragazza.
Giovanni non riuscì a trattenere una
risata priva di allegria.
«Va’ pure, io non ti
tratterrò. Ma dimmi, dov’è, che andrai?
Non conosci altri Portatori, all’infuori di quelli che hai
incontrato qui, e non credo che alla Valle sarebbero felici di
rivederti» sottolineò, sardonico. Poi si
voltò e si avviò di nuovo con Jackson lungo il
corridoio, lasciando Elizabeth furiosa e ammutolita.
«Vale la pena di aver trovato un nuovo
Maestro dell’Acqua anche solo per non dover sentire le
continue rimostranze di quella ragazzina» confidò
Giovanni.
Jackson lo bloccò di fronte a una porta.
«Siamo arrivati. Il candidato
è qui dentro» annunciò con una punta di
incertezza.
Senza esitazioni, Giovanni entrò nella
stanza e richiuse. Quando si voltò, rimase senza parole. Ma
solo per un attimo.
«Xavier» salutò
cautamente.
«Giovanni. Che piacere
rivederti» rispose il fratello di Prudencia, alzandosi e
porgendogli la mano. Invitandolo a sedersi nuovamente,
l’italiano si accomodò su una poltrona.
«Ammetto di essere stupito. Come mai sei
qui?» si decise a chiedere.
Xavier lo guardò con serietà.
«Tsukiko mi ha rintracciato per
informarmi della morte di Prudencia» iniziò. Non
sapendo cosa dire, Giovanni rimase in silenzio. «Non siamo
mai andati molto d’accordo» proseguì
l’argentino. «Prudencia, così come il
suo gemello, aveva ereditato tutta l’arroganza e
l’irruenza di nostro padre. Io non ho mai avuto la loro
indole. Per quanto mi dispiaccia, ho sempre saputo che avrebbe finito
per farsi uccidere in uno scontro».
«Sei qui per vendicare la morte di tua
sorella?» indagò Giovanni.
«Sorellastra»
precisò l’altro. «E no, non è
questo il mio intento. Tsukiko mi ha detto delle vostre
difficoltà nel trovare un Maestro dell’Acqua
disposto a prendere il posto di Prudencia. Io non ho legami di nessun
tipo a vincolarmi, ed essendo appunto un Maestro dell’Acqua,
ho pensato di propormi».
Non molto convinto, Giovanni lo
osservò. Aveva la sensazione che Xavier gli stesse
nascondendo qualcosa.
«Sei certo di poter svolgere questo
compito con la dovuta serenità?» gli
domandò.
Lo sguardo fermo e impassibile che ricevette in
risposta fu sufficiente a ridurlo al silenzio.
«Sì» disse Xavier.
«Ne sono sicuro».
*
«Allora Sofia, mostraci perché era tanto
importante impadronirsi di quei libri» la esortò
Claudio.
Mentre la ragazza sceglieva un pesante volume tra
quelli che aveva rubato, Gregory parve rendersi conto di qualcosa.
«Non vai a prendere Giovanni?»
le domandò. Mentre gli sguardi dei pochi presenti si
appuntavano su di lei, Sofia rifletté sulla risposta da
dare. Alla fine, optò per la verità.
«Preferisco non fargli sapere in che
modo mi sono procurata le informazioni. Inoltre non so se e quanto
sarà opportuno dirgli, di quello che
scoprirò»
«Hai paura che possa usare eventuali
informazioni contro di te?» indagò Gregory. Il
silenzio della ragazza fu una risposta sufficiente.
Sofia iniziò a sfogliare le pagine
sottili, cercando il brano che aveva attirato la sua attenzione.
«Ecco qui» disse infine, con
una punta di trepidazione nella voce. «”Il Canto degli Elementi”».
«”Il Canto degli Elementi
è un fenomeno rarissimo, legato agli Elementali o Spiriti
degli Elementi. Circa ogni cinquecento anni, uno Spirito di ognuno dei
quattro Elementi conclude la propria esistenza. L’Elementale
morente si scinde in tre parti: la prima dà vita al nuovo
Elementale, che cambierà natura ed essenza rispetto al
genitore. Le altre due parti, invece, vengono assorbite ciascuna da un
Portatore scelto dall’Elementale stesso e a esso affini,
mantenendo la propria essenza e fondendosi solo parzialmente con
l’Aura dei due Portatori prescelti, detti Depositari
dell’Elementale. Così gli Spiriti degli Elementi,
pur morendo, lasciano dietro di sé una traccia della propria
esistenza, assopita.
«”Le due parti
dell’Elementale così diviso cercano di
ricongiungersi per riacquistare l’originaria potenza. Se e
quando i due Portatori Depositari si trovano a una ragionevole
distanza, i frammenti dell’Elementale si risvegliano,
spingendo i Depositari l’uno verso l’altro. I
criteri in base ai quali l’Elementale sceglie i propri
Depositari sono sconosciuti”».
Sofia tacque, mentre i suoi occhi scorrevano
veloci sulle ultime righe del brano.
«Oddio» balbettò.
«Cosa
c’è?» chiesero Blaze e Ailie, subito in
allarme.
«Nulla, nulla»
replicò Sofia, chiudendo il libro con un gesto secco e
posandolo sul tavolo.
Gregory si sporse in avanti, cercando di afferrare
il volume, ma la ragazza fu più rapida: lo ripose nello
zaino insieme agli altri testi, rivolgendo un’occhiata
irritata all’uomo.
La voce di Cornelia spezzò il corso dei
suoi pensieri.
«Hai intenzione di dirglielo?»
domandò.
Confusa, Sofia alzò gli occhi.
«Scusa?»
«A Giovanni. Hai intenzione di
raccontargli quello che hai scoperto?» precisò
l’altra donna.
«Sì, immagino di
sì. Però» disse la ragazza, alzando gli
occhi sui suoi amici più cari, «non voglio dirgli
dove e come l’ho scoperto»
«Tranquilla Sofi, non gli diremo del
furto a Prospero» la rassicurò André,
stringendole una spalla. Emma si alzò in punta di piedi,
cercando di sbirciare dentro lo zaino che Sofia aveva accanto.
«Che altro c’è in
quei volumi?» chiese, incuriosita.
«Un sacco di cose» rispose
Sofia sorridendo. «Alcune riguardano anche te. Un
po’ alla volta le scopriremo tutte».
Qualcuno bussò alla porta e la testa di
Friedrich fece capolino.
«Si sta facendo piuttosto tardi.
Dovremmo riprendere gli allenamenti» annunciò.
Tutti annuirono e uscirono dalla stanza.
All’improvviso, Sofia sentì una mano trattenerla.
«Ambrosine, cosa
c’è?» domandò gentilmente
alla donna. Laurence si fermò e le guardò con
aria preoccupata, ma Ambrosine gli fece segno che andava tutto bene.
Quando gli altri furono spariti, rivolse a Sofia uno sguardo perplesso.
«Stai preparando Ailie, Emma e Fernando
a prendere il vostro posto».
La ragazza non seppe cosa rispondere a
quell’affermazione.
«E non hai detto niente né a
loro né agli altri Maestri».
«Ambrosine» replicò
Sofia, guardandola con attenzione, «come lo sai?».
L’altra alzò le spalle.
«Non credi che dovresti
dirglielo?» suggerì.
«No, non credo». La risposta
della ragazza fu secca, ma Ambrosine rifiutò di cogliere la
nota definitiva nella voce di Sofia. Alzò di nuovo le spalle.
«Prima o poi dovrai farlo»
concluse, allontanandosi.
*
«Brava Emma, avanti così!».
In una delle rare lezioni che tenevano insieme,
Gregory e Sofia stavano aiutando Emma a potenziare il proprio controllo
sull’Energia.
«Crea una bolla protettiva di media
intensità ed espandila più che puoi»
ordinò l’uomo.
La ragazzina eseguì. Sfuggita per un
istante dal controllo di Emma, l’Energia evocata esplose.
Gregory si affrettò a proteggere Emma
mentre Sofia, distratta, fu investita in pieno e scagliata a terra.
«Sofi!» esclamò
Emma preoccupata, correndole incontro. «Mi dispiace, ho perso
il controllo!».
Alzandosi a fatica, l’altra le fece
cenno di stare calma.
«Colpa mia, Emma. Dovevo stare
più attenta» disse, tastandosi con cautela le
costole e trattenendo una smorfia di dolore.
«Facciamo una pausa» decise
Gregory, percependo Fernando avvicinarsi. Anche Emma lo
sentì, e corse via.
«Cosa c’è che non
va?» chiese a Sofia. «Non ti ho mai vista distrarti
durante un allenamento»
«Non lo so, Greg» rispose lei.
«Andare da un Novizio mi ha già svelato
più cose di quanto non credessi. Alcune di queste scoperte
possono rivelarsi molto pericolose… non sono certa che
proseguire in questa ricerca sia la scelta migliore».
«Cosa vi ha detto il Custode?»
indagò Greg. Sofia scosse la testa.
«No Gregory, non posso dirtelo. Sono
così tante informazioni… alcune piccole,
insignificanti, altre potenzialmente disastrose… e non si
tratta che di Verità del passato. Inoltre quello che ci
è stato svelato è solo una parte di qualcosa di
molto più ampio. È una Verità
incompleta: non può essere interpretata in modo
corretto… per questo una parte di me desidera ancora andare
dal Ministro, ad Akasha».
Gregory sembrava perplesso.
«Quindi cos’hai intenzione di
fare?» le domandò. La ragazza appariva ancor
più confusa di lui.
Dopo un minuto di silenziosa riflessione, scattò
con rinnovate energie.
«Ho deciso. Ci vado!»
esclamò, correndo via.
«Ma… adesso?»
le gridò dietro l’uomo, senza ottenere risposta.
*
L’attacco arrivò più veloce di quanto
avesse immaginato.
«Sta’ calmo Jackson, sono
io!» gridò Sofia dopo aver parato il colpo
dell’americano.
L’uomo aggrottò la fronte.
«Proprio perché sei tu credo
non ci sia da fidarsi. Che cosa vuoi?» replicò.
«Mi serve Giovanni».
«Hai intenzione di farlo sparire di
nuovo?». Jackson s’infuriò.
«Senti un po’, non dipende da
me, la durata dei viaggi» obiettò Sofia,
arrabbiandosi quanto lui. «Adesso va’ a chiamarlo.
Digli che torniamo dove abbiamo iniziato».
«Da dove avete iniziato cosa?»
domandò Jackson. La ragazza lo guardò con
indifferenza.
«Non sono affari tuoi»
rispose. «E adesso vai, per favore. Ho fretta».
L’uomo si allontanò.
Tornò meno di un quarto d’ora più
tardi, seguito dall’italiano.
«Come mai questa decisione
improvvisa?» indagò Giovanni. Per tutta risposta
Sofia lo tirò nel folto del bosco, raccontandogli del Canto
degli Elementi, prima di chiamare Nabeela.
*
«Che ci facciamo di nuovo ad Akasha?» chiese
l’italiano.
«Facile. Andiamo da un
Ministro» rispose la ragazza, indicando i Cerchi di Ogascoon
davanti a sé. Nell’istante in cui posarono gli
zaini a terra, i Cerchi sparirono.
Dopo essersi guardati per un attimo, i due si
incamminarono verso la grotta giallina che sorgeva isolata nel deserto.
Appena varcata la soglia,
l’oscurità li avvolse: si vedeva a stento dove
mettere i piedi.
Precedendo Giovanni, la ragazza si
incamminò verso l’interno della grotta. Mossi
appena pochi passi un rombo terribile spezzò il silenzio e
Sofia scomparve.
«Sofi dove sei?»
urlò l’uomo, facendosi avanti.
«Togliti Giovanni, sta franando
tutto!» gridò lei disperata, cercando di
sovrastare il frastuono.
Giovanni saltò indietro un attimo prima
che il terreno gli si sbriciolasse sotto i piedi. Tossendo, mentre una
nuvola di polvere oscurava ancora di più la vista,
l’uomo si sdraiò a terra e sbirciò
all’interno della voragine di cui non riusciva neanche a
vedere il fondo.
Prese un sassolino e lo lanciò;
passarono parecchi secondi prima che un tonfo sordo risuonasse nel
silenzio che aveva di nuovo avvolto la grotta.
«Sofia!» gridò di
nuovo; stavolta non ottenne risposta. «D’accordo,
Custode dei miei stivali» ringhiò Giovanni.
«Adesso vado a riprendermi Sofia. Fermami, se ne hai il
coraggio».
Ebbe appena il tempo di pronunciare queste parole
che un ampio arco di luce multicolore lo colpì in pieno
petto, scagliandolo a terra.
«Come osi» disse una voce
femminile «rivolgerti a me
in questo modo?».
Furente, Giovanni abbandonò ogni
cautela.
«Ci hai attaccati!»
gridò con rabbia dopo essersi rialzato. «Senza
alcun motivo!».
Un rumore soffocato lo interruppe; Sofia si era
ripresa e si stava liberando dai detriti.
L’uomo fece per sporgersi sul buco che
si era aperto nel pavimento per aiutare la ragazza, ma la Custode lo
bloccò con un muro di luce.
Mentre Giovanni si voltava con maggiore ferocia
verso la Custode, la voce di Sofia lo raggiunse.
«Giovanni sta’
calmo» gli ordinò in tono pacato.
Un intenso calore iniziò a propagarsi
ovunque; la ragazza stava fondendo le rocce nel tentativo di realizzare
una rudimentale scala. Dopo parecchi minuti, la sua testa emerse dal
nulla.
Prima ancora di riprendere fiato, fissò
l’italiano e gli raccomandò nuovamente di
mantenere la calma. Poi si issò sul pavimento e si distese a
terra, tastandosi cautamente il tronco mentre una ferita sulla sua
fronte sanguinava copiosamente.
Dopo aver lanciato un’occhiata alla
Custode, Giovanni si inginocchiò accanto alla ragazza.
«Vediamo un
po’…» disse, strappandole una parte
della maglietta. Due protuberanze spiccavano sul lato destro del corpo
e una macchia scura si andava allargando sulla pelle chiara.
«Hai almeno due costole rotte, Sofi, e
forse un’emorragia interna. Senza contare la botta in testa.
Devo portarti via di qui» decise Giovanni, prendendola
delicatamente tra le braccia e avviandosi verso l’esterno.
In meno di un secondo la Custode della
Verità gli fu davanti.
«Non potete andar via»
annunciò, frapponendosi tra loro e l’uscita.
Giovanni la guardò senza battere ciglio.
«Spostati o ti disintegro» le
intimò.
«Non provocarla, Giovanni»
ansimò Sofia, tentando di mettersi in piedi.
L’uomo la lasciò andare, limitandosi a sorreggerla.
«Mira, perché ci fai
questo?» domandò la ragazza dolcemente. La Custode
sembrò interdetta.
«Come conosci il mio nome?».
Un po’ a fatica, la ragazza si
raddrizzò.
«Mentre cadevo, ho visto ciò
che eri un tempo».
Dopo un istante di silenzio, Mira si
avvicinò ai due. Istintivamente Giovanni fece scudo a Sofia,
guardando con odio la figura circondata da un sottile alone argenteo.
«Giovanni, Giovanni» lo
rimproverò Sofia con un sorriso, «dopo tanti anni,
ancora non hai imparato a mantenere la calma».
«Spostati» gli
ordinò la Custode. Dopo un attimo di sospettosa esitazione,
l’uomo obbedì.
Mira protese le palme delle mani verso di loro: ne
scaturì un velo di luce che andò a immergersi
nella giovane, guarendone le ferite.
«Grazie» disse Sofia,
lasciando il braccio di Giovanni.
La Custode continuava a guardarli con sguardo
penetrante.
«In voi c’è davvero
il Canto del Fuoco» disse infine. L’espressione di
Giovanni era perplessa.
«Non sembri considerarla una buona
cosa» notò: aveva sentito, chiara e nitida, una
nota di ostilità nella voce della Custode.
Con un gesto noncurante e quasi impercettibile
verso il pavimento, Mira fece apparire una scala a chiocciola di pietra
che scendeva in stretti giri e s’immerse nelle viscere del
deserto, seguita dai due Testimoni. Poi si decise a rispondere.
«Il Fuoco che emanate quando siete
vicini è tanto intenso da essere quasi palpabile. Non sapete
controllare l’Elementale che portate dentro; questo è
male» disse brusca, arrivando in una cavità molto
simile a quella in cui Altàis aveva ricevuto i due Portatori
e iniziando a cercare le Verità che si erano appena
risvegliate in lei.
«Impareremo a farlo, come è
stato col Fuoco» ribatté Sofia, guadagnandosi
un’occhiata in parte divertita e in parte rabbiosa da Mira.
«No, non imparerete. Non voi»
rispose sardonica.
«Perché no? Abbiamo dominato
il Fuoco, abbiamo dominato l’Energia pura. Perché
con l’Elementale dovrebbe essere diverso?»
domandò Giovanni.
Trovata la Verità di Sofia, la Custode
si voltò nuovamente a guardarli.
«Io possiedo solo la Verità
di parte del vostro presente: più di preciso, dal momento in
cui questo presente è iniziato fino all’istante in
cui siete giunti da me. Però posso percepire ugualmente che
in voi ci sono elementi di unione e di conflitto che impediscono
all’Elementale di ricongiungersi come invece dovrebbe
accadere. Fate di tutto per tenere separate le due parti di cui siete i
Depositari e se non permettete a questo Spirito del Fuoco di tornare a
essere una cosa unica, se continuate a contrastarlo, non potrete mai
controllarlo appieno» spiegò, allontanandosi per
prendere la Verità di Giovanni. Né Giovanni
né Sofia risposero; sapevano già – o
almeno così credevano – di conoscere quegli
ostacoli. Il primo li riteneva facilmente superabili; la seconda
sperava vivamente che non lo fossero.
Dopo aver aperto i cofanetti e averli deposti a
terra, i due si prepararono a ricevere quelle nuove Verità.
Mira esitò per un istante.
«Siete certi di poter sopportare la
conoscenza di un altro pezzo di Verità?»
domandò loro. Entrambi annuirono.
«Siete anche certi di poter gestire
ciò che scaturirà da questa
conoscenza?» chiese ancora.
Di nuovo, Giovanni annuì; Sofia invece
sembrava titubante. L’uomo si voltò a guardarla.
«Sofi cosa
c’è?» le domandò in un
soffio. Lei si riscosse dai propri pensieri.
«Nulla, nulla» rispose con
voce flebile; prese un bel respiro e guardò Mira con
decisione.
«Sono pronta»
annunciò.
Senza attendere un solo attimo in più,
la Custode consegnò loro le Verità. Questa volta
le due sfere sbocciarono simultaneamente, avvolgendoli con un canto
molto più alto e forte della prima volta.
Mira si allontanò. I due fasci
multicolore danzavano come impazziti, piccole scintille svolazzavano
intorno ai due Portatori e si immergevano in loro. Un’ombra
scura passò sul volto di Giovanni, e l’uomo
alzò uno sguardo carico di rabbia contro la donna che aveva
di fronte. Provò a ritrarre la mano; immediatamente le due
Verità esplosero, dando vita a innumerevoli lacci che
strinsero insieme la mano di Giovanni e quella di Sofia, sempre
danzando, sempre rivelando loro ciò che avevano chiesto di
conoscere.
Senza scomporsi, Mira continuò a
osservare l’uomo che tentava di spezzare quei legami e
sottrarsi alla Verità. Aveva previsto che sarebbe accaduto
qualcosa del genere; oltre a parte del loro presente conosceva il loro
passato, e aveva visto che a legarli non era soltanto il Canto del
Fuoco. Aveva visto anche che, tra i due, era Sofia quella che era
riuscita a svincolarsi – almeno in parte – dal
legame quasi parassitico che li teneva insieme, e che ci era riuscita
per un motivo ben preciso; e proprio la scoperta di quel particolare
aveva reso Giovanni furioso.
Dopo un minuto – o forse
un’ora – le Verità si ritrassero,
liberando Giovanni e tornando alla consueta forma sferica. Nonostante
fossero più stanchi e debilitati rispetto
all’incontro con il Novizio, entrambi rimasero in piedi.
L’uomo sembrava star su solo grazie alla rabbia che lo
infiammava; senza essere notata, Mira sostenne Sofia con il proprio
potere mentre Giovanni si allontanava debole ma deciso.
Riposta la propria Verità nel
cofanetto, la ragazza risalì la scala con gambe incerte,
chiedendosi quanto tempo avessero trascorso nella caverna. Prima di
uscirne, si voltò verso la Custode per ringraziarla.
Mira la guardò andar via con
preoccupazione. Sapeva che oltre il limite estremo dei Cerchi di
Ogascoon il suo potere non avrebbe più potuto sostenere
Sofia, ed era chiaro che Giovanni non le avrebbe certo offerto il suo
aiuto, come aveva invece fatto al loro arrivo lì.
*
Percorsi ormai qualche centinaio di metri, Giovanni recuperò
il proprio zaino e si avviò verso Akasha senza guardarsi
indietro. Così non vide Sofia uscire dalla grotta, tre
giorni dopo; non la vide superare i Cerchi di Ogascoon e cadere a
terra, senza più forze.
*
Il telefono ricominciò a squillare e le note di Aerials riempirono
la stanza. Serj, canticchiando, afferrò il cellulare e lo
porse a Blaze.
«Sono due ore che squilla. Magari
qualcuno di voi dovrebbe rispondere» disse.
«Sai bene che Sofia ci
ammazzerebbe» replicò l’americano.
Laurence si avvicinò e decise di
sbirciare lo schermo.
«”Claire”»
lesse. Aggrottò la fronte, trasse il portafogli dalla tasca
dei pantaloni e iniziò a frugarci dentro. Mentre il
cellulare di Sofia smetteva di squillare per ricominciare pochi istanti
dopo, Laurence trovò quello che cercava. Dopo aver
controllato con attenzione il foglietto che aveva in mano, si rivolse
ad André. «Secondo te Sofi quante amiche di nome
“Claire” può avere?»
«Considerata la scarsa
quantità di amici che ha fuori di qui, direi non
più di una» rispose il francese.
Laurence afferrò il telefono di Sofia e
rispose.
«Allô, qui est à
l’appareil?» disse con voce squillante. Ascoltate
poche parole, passò dal francese all’italiano.
«Sofia è partita… sì, con
Giovanni, come fa a saperlo?» domandò. Pochi
attimi dopo coprì il microfono con una mano e si
guardò intorno, sgomento. «Vi prego,
ditemi che qualcuno di voi sa dove diavolo è andata
Sofia».
Fu Gregory a rispondere.
«Ad Akasha, dal Custode della
Verità. Ma è successo qualcosa?».
Laurence non gli rispose; concitato
iniziò a spiegare a Claire cosa cercare, ma dopo poche
parole si interruppe.
«Sai già cosa cercare? Meglio
così… siete a Roma? Dimmi dove, di preciso,
così vi mando una Fenice» disse.
Ascoltò con attenzione, annuendo tra sé, poi
chiuse la chiamata e corse alla finestra. La spalancò; un
soffio di aria gelida invase la stanza, portando con sé uno
sciame di piccoli fiocchi di neve.
«Akram!» gridò; la
Fenice apparve all’orizzonte, cantando sonoramente. Laurence
protese un braccio all’esterno e quando la Fenice vi si
appollaiò, l’uomo le bisbigliò
qualcosa. Un attimo dopo, l’animale sparì.
«Laurence, cos’è
successo?» chiesero tutti in coro, allarmati.
«Claire è una cara amica di
Sofi. Da quanto ho capito un’altra loro amica, Aleja, credo,
ha percepito l’Aura di Giovanni a Roma. Dice che fosse molto
instabile, e questo le ha insospettite» rispose Laurence.
«Ma se Giovanni è a
Roma» domandò André costernato,
«Sofia dov’è?».
*
«E tu sei venuta a fare delle foto qui?».
Il tono di Martina fece scuotere la testa a Claire.
«È un posto affascinante: il
vuoto, i colori… sono unici» replicò.
Aleja abbassò lo sguardo verso i propri
piedi, prima di interromperle.
«Che ci fa uno zaino abbandonato
qui?» disse.
Martina si inginocchiò sulla sabbia ed
esaminò lo zaino.
«Questo è di Sofi»
decretò.
Le altre due la guardarono perplesse.
«Come fai a saperlo?» chiese
Claire. Per tutta risposta, Martina indicò un pupazzetto
attaccato a un gancio.
«Questo gliel’ho regalato
io» disse, accarezzando il piccolo pelouche.
Claire afferrò lo zaino e se lo mise in
spalla mentre Martina si rialzava e insieme ad Aleja iniziava a
guardarsi intorno. Senza proferire parola, Claire iniziò a
correre.
«Ma dove va?» chiese Martina
ad Aleja.
«Laggiù» rispose
l’altra con voce tremante, indicando un punto molto
più avanti.
Anche le altre due ragazze iniziarono a correre;
quando raggiunsero Claire, la trovarono inginocchiata accanto a Sofia.
«Sofi svegliati!» disse,
rivoltandola senza troppi complimenti. Con un sonoro brontolio, la
ragazza aprì a fatica gli occhi e le guardò una a
una.
«Che ci fate qui?» chiese con
voce impastata.
«Siamo venute a fare una
scampagnata» sbuffò Martina, strappandole un
sorriso stiracchiato.
«Datemi una mano a tirarla su»
ordinò Claire; stringendo Sofia tra di loro si aggrapparono
alla coda di Akram e la portarono via dal deserto. |
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Capitolo 8 *** Nuove rivalità ***
Distesa nel letto d’ospedale che occupava ormai da una
settimana, Sofia osservava i suoi amici rumoreggiare con un pallido
sorriso dipinto sul volto.
Da quando Claire, Aleja e Martina
l’avevano portata a Roma, Laurence, André e Blaze
andavano a turno a trovarla. Di solito le raccontavano degli
addestramenti e di tutte le piccole banalità quotidiane, ben
sapendo quanto ne sentisse la mancanza. Quel giorno, invece, erano
tutti e tre lì.
«Ieri sera Marcos ha sciolto il palazzo
di ghiaccio che alcuni miei Apprendisti avevano realizzato in ore di
duro lavoro» la informò André. Sofia
scoppiò a ridere.
«E ne è uscito
vivo?» chiese divertita.
«Per un pelo» disse Blaze.
«È scappato veloce come il vento e si è
nascosto».
Laurence sedette su un angolo del letto.
«Quando pensi di tornare a casa,
Sofi?»
«Tra un paio di giorni, credo. Ormai sto
meglio» rispose lei con un sorriso. Qualcuno bussò
alla porta e la testa di Gregory fece capolino.
«Generi di conforto in
arrivo!» annunciò, estraendo un paio di tavolette
di cioccolata dalla tasca della giacca. Gli occhi di Sofia brillarono.
«Fantastico, stavo morendo di
fame!».
Gli altri scossero la testa. Mentre la ragazza
iniziava a scartare la prima tavoletta, Gregory scambiò
un’occhiata con gli altri tre uomini. La cosa non
sfuggì a Sofia.
«Greg, conosco quello sguardo. Cosa devi
dirmi?» lo incalzò.
L’uomo si accomodò su di una
sedia e si fissò la punta delle scarpe.
«Sai, poco fa Giovanni è
venuto alla Valle…».
Un ringhio sordo lo interruppe; Aleja soffiava
come una gatta infuriata, manifestando così tutta la sua
rabbia. Martina e Claire non sembravano meno arrabbiate. Sofia, al
contrario, era estremamente divertita.
«Sono curiosa di sentire cosa
voleva» esclamò; una volta tanto, non aveva idea
del motivo che aveva spinto Giovanni ad agire in un certo modo.
«Voleva sapere se ti avevamo
rimpiazzata». A rispondere non fu Gregory ma
André. Una smorfia d’irritazione stravolse il viso
della giovane.
«Quello che voleva sapere davvero era se
mi ero salvata o no. Immagino abbia manifestato un certo disappunto,
quando lo avete informato del fatto che sto bene»
replicò.
«In effetti sembrava piuttosto
deluso» ammise Gregory. «È stato
difficile fermare Blaze: credevamo l’avrebbe murato vivo in
un blocco d’acciaio, quando l’ha visto
arrivare».
Chiamato in causa, il ragazzo si limitò
a sbuffare.
Appollaiata sul davanzale della finestra, Martina
fece dondolare i piedi con aria assorta prima di parlare.
«Perché era tanto arrabbiato
con te da lasciarti da sola nel deserto, a morire?»
domandò a Sofia. L’altra la guardò con
indifferenza.
«Credo faccia parte della sua natura,
cercare di uccidermi. Forse spera che così il richiamo del
Canto del Fuoco cesserà» rispose.
Prima che qualcuno potesse farle qualche altra
domanda, un’infermiera si affacciò alla porta.
«Ma quanti siete? Non potete stare tutti
qui!» strillò.
«È meglio che non la facciate
arrabbiare… andate, ci vediamo a casa tra un paio di
giorni» li congedò Sofia.
I suoi amici la salutarono rumorosamente ignorando
le occhiatacce dell’infermiera, che si richiuse la porta alle
spalle lasciando sola Sofia.
Nella penombra lei si voltò verso la
finestra, fissando lo sguardo nel cielo buio e freddo di Dicembre. Si
addormentò così, sognando le vie di Roma
illuminate a festa che si trovavano appena oltre quel vetro.
*
Un grido altissimo, acuto e disumano fece vibrare tutti i vetri.
I Portatori del Centro, confusi e allarmati, si
sparpagliarono all’esterno tentando di capire da dove
provenisse il suono e soprattutto da chi o cosa fosse scaturito. Alcuni
secondi e l’urlo si ripeté, più alto,
intenso e prolungato.
Sgomitando tra la folla Jackson, Tsukiko e Xavier
arrivarono a poche decine di metri dal bosco.
Mentre l’urlo stridulo si ripeteva per
la terza volta, costringendo molti Portatori a proteggersi le orecchie
con le mani, Tsukiko si guardò attorno.
«L’urlo viene da
laggiù» disse, indicando il bosco. Sembrava
spaventata.
«Ma chi può emettere un suono
del genere?» domandò Jackson. Aveva i peli della
nuca dritti come aghi.
«Questo è il grido di un
Elementale» li informò Xavier con voce piatta. Gli
altri due si voltarono a guardarlo, accigliati.
«E perché mai un Elementale
dovrebbe gridare così?» gli chiese Jackson.
«Per lo stesso motivo per cui lo farebbe
un essere umano: perché qualcuno gli sta facendo del male o
lo ha fatto infuriare» fu la risposta.
«Non so perché ma ho la
brutta sensazione che c’entri Giovanni»
borbottò l’americano, dirigendosi verso gli
alberi. Non si sbagliava: arrivato al grande ippocastano vide che
Giovanni era là, furioso come non mai. Un paio di accette
erano state abbandonate a terra, ai piedi dell’uomo: le lame
erano smussate e, in molti punti, scheggiate. Impugnando una scure di
argentea Energia, l’italiano stava vibrando dei colpi potenti
e decisi al tronco dell’albero; a ogni colpo, il grido che
aveva allarmato tutti saliva al cielo, irato e dolente: proveniva
dall’albero stesso.
Jackson si scagliò in avanti e
afferrò Giovanni per le braccia, tirandolo indietro.
«Giovanni, che stai facendo?
Fermati!» gli intimò; senza degnarlo della minima
attenzione l’altro si divincolò e
sferrò un altro violento colpo contro l’albero.
Assieme al grido, stavolta
dall’ippocastano scaturì anche una figura: una
fanciulla bellissima, dai lunghi capelli biondo scuro e aggrovigliati e
coperta da quelle che sembravano foglie e scaglie di corteccia si
librava nello spazio tra l’albero e i due uomini. Furiosa,
spalancò la bocca ed emise un grido ancor più
penetrante dei precedenti: allargò le braccia e
un’onda invisibile si propagò nell’aria,
scagliando indietro i due uomini.
«Una Driade!»
esclamò Jackson atterrito. Non aveva mai visto uno Spirito
degli Elementi; raramente si manifestavano ai Portatori, preferendo la
calma e l’isolamento.
Giovanni si rimise in piedi, inciampando nelle
radici degli alberi. La comparsa dell’Elementale che viveva
nell’ippocastano che aveva cercato di abbattere con tanta
decisione sembrava averlo riportato alla ragione. Mentre pensava a cosa
fare, la Driade urlò ancora.
«Come possiamo placarla?»
gridò l’italiano tappandosi le orecchie.
«Non potete. L’unico modo
è tentare di riparare all’offesa, al danno che gli
è stato arrecato» disse Xavier alle sue spalle non
appena la Driade smise di gridare. Gli occhi dei tre uomini furono
catturati dalla profonda ferita che si apriva sul tronco massiccio
dell’albero. Xavier riscosse gli altri due dalle loro
riflessioni.
«Non urlerà ancora a lungo:
tra poco si vendicherà» disse a Giovanni in tono
impaziente. L’italiano lo guardò corrucciato.
«Come lo sai?»
«Non è importante»
lo liquidò l’altro con un gesto sbrigativo della
mano. «Risana quell’albero, e in fretta».
Giovanni obbedì immediatamente. Lo
sguardo indecifrabile di Xavier lo metteva stranamente a disagio;
continuava ad avere l’impressione che nascondesse qualcosa.
Mentre si inginocchiava lentamente, vide con la coda
dell’occhio Xavier che trascinava via Jackson. Intuendo solo
in quell’istante la furia che aveva scatenato e il pericolo
che correva, l’uomo sedé sui propri calcagni e
poggiò i palmi delle mani a terra. Inizialmente
lasciò fluire solamente un piccolissimo flusso di Fuoco per
non mettere in allarme la Driade; quando il tronco
dell’albero iniziò a ricomporsi, dato che
l’Elementale sembrava essersi calmato almeno in parte,
Giovanni aumentò la densità del Fuoco che stava
evocando. Dopo parecchi minuti di duro lavoro, a ricordo della furia
devastatrice che aveva scatenato sull’incolpevole albero non
restava che una seconda cicatrice.
Sempre in ginocchio, l’uomo
alzò cautamente lo sguardo sulla Driade che, dopo averlo
osservato intensamente per alcuni istanti, si tuffò
nell’ippocastano sparendo alla vista.
Tirando un profondo sospiro di sollievo Giovanni
si alzò, raccolse le accette rovinate e spezzate che aveva
abbandonato al suolo e uscì rapidamente dal bosco. Ad
attenderlo trovò i Portatori del Centro – tutti,
fino all’ultimo – schierati in una massa compatta.
Con un gesto di stizza si fece largo tra la folla che al suo passaggio
si aprì, quasi avessero paura della sua vicinanza.
Mentre Tsukiko congedava gli allievi, sospendendo
le lezioni per quel giorno, Xavier si apprestò a seguire
l’italiano. Fatti solo pochi passi, però, fu
bloccato da Elizabeth.
«Perché state sospendendo gli
addestramenti?» gli domandò furiosa.
«Perché nessuno riuscirebbe a
concentrarsi, dopo quello che è successo. Neanche
tu» rispose tranquillamente Xavier. La sua risposta ebbe
l’effetto di benzina gettata sul fuoco: strepitando,
Elizabeth iniziò a protestare. Lo sguardo che
l’uomo le rivolse non era quello di un normale trentenne; ero
lo sguardo di un uomo di almeno cent’anni. Lo sguardo di chi
ha visto troppo.
«Sei sempre così arrabbiata,
così smaniosa di controllare il tuo potere. Non provi alcun
piacere nell’apprendere. Cos’è che ti
manca, per essere felice?» le chiese. Senza attendere la
risposta, se ne andò.
Pensierosa, Elizabeth si fermò a
riflettere. Le parole di Xavier l’avevano colpita: cosa le mancava, per essere
felice?
La sua mente le diede la risposta prima che la
ragione vi si potesse opporre: e il volto di André
affiorò dai ricordi. Elizabeth scosse la testa. Sentiva
nostalgia di André. Si era chiesta più volte se
fosse sopravvissuto alla gravissima ferita che aveva subìto
il giorno della battaglia, ma la parte della sua mente che la spingeva
a voler acquisire un potere sempre maggiore le aveva impedito di
soffermarsi sul pensiero di lui. Scosse di nuovo la testa, chiedendosi
cosa dovesse fare. Poi, incapace di prendere una decisione, si
allontanò per andare a esercitarsi.
*
Xavier osservò Elizabeth perdere l’ennesima
battaglia con se stessa e soccombere una volta di più
all’ossessiva smania di potere che la divorava. Scuotendo la
testa si voltò, chiedendosi se fosse l’aria
dell’Irlanda a rendere quei Portatori così
maledettamente ostinati e incapaci di prendersi ciò che
realmente desideravano.
*
Dei colpi leggeri alla porta prepararono Sofia all’ingresso
del dottore. Nel buio, non scorse che il camice bianco.
L’uomo si accostò al letto e
dopo un istante la sua voce spezzò il silenzio.
«Allora signorina, come va questa
sera?» domandò con voce bassa e allegra. Sofia si
tirò a sedere mentre un sorriso pieno di gioia le danzava
sul volto.
«Michele!»
«Sì, mia cara, sono proprio
io» rispose lui accomodandosi sul bordo del letto. Le
passò una mano sui capelli. «Come ti
senti?»
«Oh, io sto molto meglio»
disse Sofia, stiracchiandosi come una gatta. «Non ti
chiederò come hai scoperto che ero qui: non so come tu ci
riesca, ma quando sono a Roma conosci ogni mio spostamento».
Michele sorrise.
«Stavolta è stato
più facile di quanto pensi: ho incontrato Aleja, questa
mattina, e mi ha detto che eri qui. Così ho pensato di
passare a trovarti».
L’unica risposta che ricevette fu un
sorriso ancora più ampio. Le batté un dito sul
naso.
«Dato che stai meglio, cosa ne dici di
una passeggiata?» la tentò.
«A quest’ora? Ma fuori fa
freddo!» si lagnò Sofia.
«È vero ma Roma, di notte,
è ancora più bella… illuminata a festa
poi!» insisté Michele.
Sofia sbuffò, lanciandogli
un’occhiata di traverso mentre si alzava, recuperava i propri
vestiti e andava a cambiarsi. Dieci minuti dopo si allontanavano
indisturbati nell’oscurità.
*
La luna scintillava sulla neve compatta, dando un aspetto irreale a
chiunque si fosse avventurato all’esterno. Facendo strada a
fatica, Gregory giunse a uno dei varchi che portavano alla Valle degli
Elementi.
«Questo è uno dei tanti
passaggi che ci collegano all’esterno»
spiegò alle persone che lo seguivano. «Non li
usiamo spesso; le rare volte in cui ci avventuriamo
all’esterno dobbiamo farlo in modo rapido, e così
utilizziamo le Fenici. Per voi che venite alla Valle per la prima
volta, però, è utile capire
dov’è situata. Per questo abbiamo preso la strada
più lunga» proseguì.
Martina, Claire e Aleja annuirono mentre Gregory
apriva il passaggio e faceva loro cenno di precederlo.
«C’è ancora molta
strada da fare?» chiese Martina, il respiro ansante, mentre
s’inerpicavano su una collinetta; Sofia la prendeva
continuamente in giro per la sua pigrizia.
«Siamo quasi arrivati» la
rincuorò Gregory.
«L’avevi detto anche
mezz’ora fa!».
Claire soffocò una risatina. Un attimo
dopo André sbucò da nulla, andando loro incontro.
«Ce ne avete messo di tempo!»
esclamò. «Andiamo dentro, così potrete
scaldarvi» aggiunse, conducendole nel salottino in cui mesi
prima aveva salutato i suoi amici, pronto a partire.
Le tre ragazze, tremanti, sedettero di fronte a un
bel fuoco scoppiettante mentre Gregory procedeva alle presentazioni.
«André, Blaze e Laurence li
conoscete già» disse, guardandosi attorno.
«Gli altri quattro Maestri: Costa, Gloria, Viola e
Friedrich» proseguì, indicandoli a mano a mano che
li nominava. «Claudio e Cornelia, il padrino e la zia di
Sofi», i due le salutarono con un sorriso e un cenno del capo
«e alcuni dei nostri allievi: Ailie, Fernando,
Emma… oh, ci sono anche Serj e Pietro» concluse,
indicando il gruppetto che, riunito attorno a un tavolo, chiacchierava
animatamente.
«Loro sono Claire, Aleja e Martina.
Amiche di Sofi» disse Gregory a mo’ di spiegazione.
«A proposito di Sofia»
intervenne Pietro «sappiamo quando
tornerà?».
«Tra un paio di giorni»
rispose Cornelia prima di intavolare una conversazione con le nuove
arrivate. Intanto Serj fissava Aleja come ipnotizzato. Blaze gli
assestò una violenta gomitata nelle costole.
«Se ti piace, va’ a
parlarle» gli bisbigliò. Senza farselo ripetere,
il ventisettenne si avvicinò ad Aleja con aria spavalda e
sedette accanto a lei. Le bisbigliò qualcosa
all’orecchio con aria sicura; la risposta della ragazza fu
tale da far scivolare via dalla faccia di Serj l’espressione
baldanzosa e sostituirla con una confusa e mortificata. Blaze
ridacchiò.
«Non so cosa Aleja gli abbia
detto» confidò ad André e Laurence
«ma se è riuscita a farlo stare zitto, ha tutta la
mia stima».
Proprio in quel momento qualcuno aprì
la porta con violenza, mandandola a sbattere contro il muro.
«Giovanni!» esclamò
Greg, un po’ spaventato e un po’ sorpreso mentre
nella stanza l’atmosfera si raggelava. «Che ci fai
qui?».
Blaze e Claudio si alzarono minacciosi.
«Come
è arrivato qui, semmai» lo corresse il
più anziano in un ringhio.
Giovanni rivolse loro un’occhiata
altrettanto gelida.
«So bene come si arriva. Ho insegnato a
Sofia quasi tutto quello che sa: riconosco il suo stile»
disse astioso. «E non crediate che mi faccia piacere essere
qui. Ci sono venuto solo perché non sapevo come
contattarvi».
«Be’, cosa vuoi?» lo
incalzò Serj. Giovanni lo guardò minaccioso, ma
il ragazzo non si fece intimorire.
«Visto che una zelante amministratrice
di un ospedale di Roma ha ritenuto opportuno svegliarmi alle cinque del
mattino per dirmi che mia figlia era sparita – cosa che non
suscita in me il minimo interesse – ho pensato di dirlo a
voi. Non ho intenzione di ricevere altre chiamate di questo
genere» spiegò sprezzante l’uomo.
«E perché la cosa dovrebbe
riguardare noi?» domandò Blaze.
«Da quando in qua tu hai una
figlia?» chiese invece André.
Giovanni sbuffò.
«Quando l’ho rapita, ho creato
documenti e un passato a Sofia. Le ho dato il mio cognome: risulta
essere mia figlia a tutti gli effetti» rivelò
controvoglia.
Le espressioni di chi aveva di fronte variavano
dallo sgomento alla rabbia. Claudio, che vedeva la cosa come
l’ennesimo affronto a Tamara e Thobias, era senza parole per
l’indignazione; Aleja, al contrario, sembrava tranquillissima.
«Probabilmente era solo stanca di stare
rinchiusa. E poi non è la prima volta che
sparisce… di sicuro sarà di ritorno tra
poco» disse.
Gregory la guardò, convinto solo in
parte.
«Eppure non riesco a scrollarmi di dosso
questa brutta sensazione. Se solo non avesse rubato quei libri, se non
l’avesse fatto… forse sarei più
tranquillo. Prospero se ne accorgerà, è solo
questione di tempo» replicò sconsolato.
«Prospero? Prospero Limardi?»
chiese Martina. «Ma che c’entra lui con
Sofi?».
«Sofi ha rubato dei libri dalla sua
biblioteca privata, quasi tre mesi fa» spiegò Greg.
Un flebile «Oh» si
levò dalle tre ragazze. Giovanni spalancò gli
occhi per lo stupore.
«Che significa, che ha rubato dei libri
dalla biblioteca di Limardi? È una follia!»
esplose l’italiano, perdendo la propria freddezza.
«Non è la prima volta che
Sofia fa qualcosa di stupido e pericoloso» disse Blaze.
«Si vede che ha preso da te, paparino»
lo schernì subito dopo.
Giovanni, troppo preso dai propri pensieri,
neanche lo guardò.
«Questo è diverso!»
gridò, camminando agitato davanti al fuoco. «Voi
non capite… Prospero Limardi è pericoloso, e per
Sofia lo è più che per chiunque altro! Deve
stargli lontana!».
Gregory e Laurence assottigliarono lo sguardo.
«Giovanni, se sai qualcosa che noi non sappiamo, questo
è il momento giusto per parlare» disse il secondo,
freddo come raramente lo si era visto.
Giovanni lo guardò arcigno, recuperando
di botto tutto il proprio autocontrollo, e non rispose.
«E se Prospero avesse scoperto del
furto? Potrebbe aver mandato qualcuno a rapirla!»
esclamò Claudio, terrorizzato.
«Impossibile. Non l’avrebbero
mai presa alla sprovvista, soprattutto adesso che sta bene»
decretò André.
«Non possiamo esserne sicuri»
ribatté Cornelia. «E se mandassimo Nabeela a
cercarla?» propose.
Gli altri accolsero favorevolmente il
suggerimento. André si mosse per chiamare la Fenice, mentre
Laurence scriveva frettolosamente su un foglietto di carta. Quando il
giovane francese tornò con la Fenice appollaiata sulla
spalla, Laurence legò il cartiglio a una zampa del
bell’animale.
«Va’ a cercare Sofi»
le disse piano, accarezzandole la testa. Nabeela lo guardò
per un istante con i suoi piccoli occhi lucenti e poi svanì.
*
Profondamente addormentata, Sofia contrasse i muscoli del volto.
Agitò una mano e si girò, tentando di scacciare
qualcosa che la pungeva. Senza darsi per vinta, Nabeela le
beccò il lobo dell’orecchio con un po’
più d’energia.
«Ma che
accidenti…?» bofonchiò la ragazza,
stropicciandosi gli occhi e tirandosi a sedere.
Nabeela le diede il buongiorno scuotendo
gioiosamente la coda.
«Ciao bellezza!»
bisbigliò Sofia, accarezzando le piume morbide come la seta.
La Fenice protese una zampa verso di lei.
«Che cos’hai qui?»
chiese la giovane, slegando il biglietto e leggendolo. Lo
accartocciò, gettandolo sul letto. «Accidenti
bellezza, è meglio sbrigarsi» disse Sofia,
schizzando fuori dal letto e iniziando a correre in giro cercando i
propri vestiti. Nabeela le svolazzò dietro, un calzino
stretto nel becco.
«Grazie» ansimò la
ragazza, saltellando su un piede solo mentre s’infilava il
calzino, alla disperata ricerca dei pantaloni. Nabeela le
lasciò cadere il maglione sulla testa.
«Trovami anche l’altro
calzino, per favore» la pregò Sofia, riemergendo
dal maglione con i capelli irrimediabilmente arruffati. «Ah,
eccovi!» sbottò, trovando i pantaloni
appallottolati sotto il tavolo. Se li infilò e
agguantò le scarpe mentre la Fenice tornava con il bottino
stretto nel becco.
«Direi che siamo pronte ad
andare» esclamò Sofia dopo essersi infilata il
calzino mancante e le scarpe, il giaccone sottobraccio e la sacca
stretta in pugno. Lei e Nabeela erano appena sparite quando una
serratura scattò e Michele emerse dal bagno, pettinato,
sbarbato e avvolto in un accappatoio.
«Sofi?» chiamò,
guardandosi intorno e controllando ogni stanza. Quando
arrivò in camera da letto trovò il letto vuoto e
il foglietto spiegazzato sulle lenzuola. Lo lesse e scosse la testa,
chiedendosi cosa impedisse a Sofia, ogni volta, di salutarlo prima di
sparire.
*
Sofia e Nabeela si materializzarono nella grande biblioteca buia e
deserta.
«Andiamo» disse la ragazza.
Nabeela le si appollaiò sulla spalla mentre uscivano dalla
biblioteca.
Appena messo piede nel corridoio, Sofia
sentì delle voci provenire da una stanza poco lontana.
«Cos’è tutto questo
caos?» chiese, infilando la testa nella stanza. Alla sua
apparizione tutti le corsero incontro, sollevati.
«Si può sapere dove accidenti
ti eri cacciata?» le domandò Blaze, furioso.
«Davvero hai rubato dei libri nella
biblioteca di Prospero Limardi?» chiese invece Martina.
«Come hai potuto accettare di spacciarti
per la figlia di Giovanni?» sbottò Claudio.
Sofia alzò una mano, ignorando tutte le
loro domande concitate.
«Cosa ci fa lui qui?»
domandò con voce gelida; aveva infatti scorto Giovanni
mollemente abbandonato in una poltrona.
«Prenditela con i dirigenti
dell’ospedale in cui ti trovavi: sono stati loro a chiamarmi
per informarmi che eri sparita» rispose annoiato. Lei strinse
i pugni.
«Be’, ora puoi
andartene» sibilò tra i denti.
«Sono dovuto arrivare fin qui a piedi, a
causa della neve. Non vorrai farmi tornare indietro allo stesso
modo!». Il sorrisetto che le rivolse era ironico: era certo
che la ragazza gli avrebbe offerto di farsi ricondurre al Centro da una
Fenice. Ma la risposta di Sofia lo spiazzò.
«È esattamente quello che
desidero» rispose lei. «Ah, e spero tanto che lungo
la strada tu cada in un crepaccio o che una frana si abbatta su di te,
seppellendoti» aggiunse con aria cattiva.
«Sofi!» la riprese Cornelia,
scioccata.
«Un tempo avresti fatto qualunque cosa
per me» ricordò amaro Giovanni.
«Un tempo non mi avresti picchiata,
né avresti provato a uccidermi» replicò
Sofia. «Sono cambiate parecchie cose, da quando avevo
diciannove anni»
«Me ne sono accorto. Io so
dov’eri, ma non credere che durerà; tornerai sui
tuoi passi, prima o poi» disse inacidito, muovendosi verso la
porta ancora aperta.
«FUORI!» gridò
Sofia.
Giovanni se ne andò, il naso per aria e
l’espressione orgogliosa.
«Pensavi davvero quello che hai
detto?» le chiese Laurence rivolgendole un’occhiata
significativa.
«Se desidero vederlo ridotto in pezzi?
Sì, lo penso davvero» rispose lei con una smorfia.
Dopo alcuni istanti di doloroso silenzio si rivolse a Emma.
«Oggi lavori con me» annunciò, facendo
strada verso la porta. Poi si voltò. «Ehi, mi
servite anche voi!» disse a Pietro, Ailie, Serj e Fernando.
«Noi?». Pietro sembrava
confuso quanto gli altri. Sofia annuì.
«Sono curioso di sapere cosa ci
insegnerà» disse Serj a Ailie mentre seguivano
Sofia fuori dalla stanza.
*
«Michele, finalmente sei arrivato!».
Leggermente perplesso, l’uomo
guardò il suo collega: sembrava fuori di sé. In
lontananza si sentivano passi frettolosi risuonare sui pavimenti e voci
concitate.
«Cosa c’è, Luigi?
Perché tutto questo trambusto?».
Controllò l’orologio. «Non sono neanche
le otto!»
«È successa una cosa
tremenda, inspiegabile… Prospero è fuori di
sé…». Come se l’uomo
l’avesse sentito, un terribile urlo carico di rabbia si fece
strada fino a loro insieme a dei passi, sempre più vicini:
un istante dopo un altro loro collega voltò
l’angolo, trafelato.
«Michele, per fortuna sei
qui!» ansimò.
Sempre più perplesso, l’uomo
puntò i grandi occhi nocciola sul nuovo arrivato.
«Non siete mai stati così
felici di vedermi, prima d’ora. Si può sapere cosa
vi è preso?»
«Prospero ti vuole vedere. Subito»
annunciò il terzo uomo.
Un brutto presentimento si fece strada in Michele.
Mascherando l’agitazione si allontanò a grandi
passi, lasciando gli altri due uomini imbambolati lì dove si
trovavano.
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Capitolo 9 *** Il gatto e il topo ***
Michele bussò leggermente alla porta socchiusa, prima di
entrare nello lo studio di Prospero.
«Buongiorno signor Limardi. Mi stava
cercando?» domandò con voce attenta e controllata.
L’uomo scattò in piedi,
picchiando con forza un pugno sulla scrivania.
«Toreggiani!»
ululò. Michele non si scompose.
«Sì, signore?»
«Qualcuno si è introdotto
nella mia biblioteca» lo informò Prospero con aria
minacciosa. L’altro ostentò
un’espressione stupita, confusa, incredula.
«Non è possibile!»
esclamò. «Chi è stato, che tracce ci
sono?»
«Nessuna» ringhiò
Prospero in risposta, «tranne un dettaglio».
Sbatté sul tavolo alcuni libri; avevano
l’aria antica. Ne prese uno e lo lanciò
all’uomo al di là della scrivania. «Le
sembra normale quel libro, Toreggiani?» domandò.
Michele ne osservò attentamente la
copertina, prima di sfogliare rapidamente le pagine.
«Direi di sì,
signore» rispose infine.
«È un libro scritto da un
Portatore degli Elementi» sottolineò Prospero.
Michele aggrottò la fronte.
«Ma non ci sono tracce di
Aura» disse pensieroso.
«Appunto: è una
copia». Il tono di Prospero si era inacidito. «E
poi c’è questo» aggiunse, lanciandogli
un altro libro. Michele lo agguantò, e il suo stomaco si
contrasse in modo spiacevole: in quel libro c’era un
frammento dell’Aura di Sofia. Minuscolo, ma comunque
riconoscibile.
«Chiunque si sia introdotto nella mia
biblioteca, rubando i libri originali e lasciando queste copie al loro
posto, ha eseguito un lavoro magistrale. Avrei pensato a un uomo, ma
l’Aura in quel libro è chiaramente
femminile» ammise Prospero di malavoglia.
«Davvero degno di nota»
convenne Michele in tono piatto, «non fosse che per questa
piccola sbavatura».
«Quello che non mi spiego è:
perché prendersi la briga di rubare gli originali, pur
essendo già in possesso delle copie?»
rifletté Prospero alta voce.
Michele non rispose: sapeva bene che quelle copie
erano state create al momento del furto, ma parlare non avrebbe giovato
né a lui né a Sofia. Perciò rimase in
silenzio.
«Di certo, però»
riprese Prospero, «sappiamo quando sono stati
rubati»
«Il giorno in cui quel ragazzo
l’ha avvicinata qui fuori, più di due mesi
fa» annuì Michele. Era l’unica cosa
insolita accaduta negli ultimi mesi.
«Già. Mattia Liverano.
Abbiamo fatto dei controlli, su di lui» la voce
dell’uomo era poco più di un sussurro,
«e il ragazzo che quel giorno era qui di certo non
è chi aveva detto di essere»
«Sicuramente è lui, il
ladro» disse immediatamente Michele; percepiva vagamente dove
volesse arrivare Prospero, ma non aveva alcuna intenzione di aiutarlo
ad arrivarci.
Il sorriso di Prospero era molto più
simile a un ghigno feroce che a un sorriso vero e proprio.
«Oh, no. Io credo che quel ragazzo fosse
soltanto un’esca, un diversivo» lo corresse,
passeggiando avanti e indietro dietro la scrivania. «Il vero
ladro è qualcun altro… e lei lo sa benissimo,
visto che proprio quel giorno si trovava nella mia
biblioteca».
Michele non si diede la pena di negare; i suoi
colleghi sapevano che quel giorno si era allontanato, durante la
dimostrazione di Prospero, e ad Aldo aveva detto di stare facendo un
giro di controllo proprio sul piano su cui si trovava la biblioteca.
Attese in silenzio che Prospero proseguisse.
«Non parla, Toreggiani?» lo
dileggiò. Si aspettava qualche segno di agitazione, di
panico, ma il volto di Michele era inespressivo. «Negli
ultimi mesi, qualcuno ha consultato l’elenco dei Custodi
della Verità. Quell’elenco è riservato,
e nessuno ha richiesto la mia autorizzazione per prenderne visione:
inoltre nessuno può incontrare un Custode e uscirne vivo.
Quindi perché non la facciamo finita e non mi dice
cos’ha in mente?».
Non si aspettava davvero che l’altro
rispondesse; ma la reazione di Michele lo spiazzò.
«Io gliel’ho detto, di non
farlo» sbottò; «è troppo
pericoloso, e poi si sta consumando, non può reggere
all’incontro con un Decano, o peggio, con un Oracolo!
È già un miracolo che sia sopravvissuta
all’incontro con gli altri Custodi!».
Non credendo alle proprie orecchie, Prospero
strabuzzò gli occhi.
«Mi sta dicendo che il ladro, questa
donna, è già stata da ben due Custodi della
Verità? Ed è sopravvissuta? E soprattutto, lei ne
conosce l’identità?».
Rendendosi conto troppo tardi
dell’errore che aveva commesso, Michele tenne la bocca chiusa.
«Allora? Come ha fatto?» lo
incalzò Prospero. Non ottenne risposta.
«Toreggiani, lei ha permesso a
un’estranea di penetrare nella mia biblioteca privata e di
rubare dei libri di inestimabile valore. Inoltre ha consultato dei
documenti riservati senza autorizzazione. Se mi dice tutto quello che
sa su questa donna, non subirà le conseguenze delle sue
azioni» gli fece presente. Per qualche minuto un silenzio
carico di attesa si dilatò tra i due uomini; lo sguardo di
Prospero s’indurì.
«Non m’interessa come,
né quanto ci vorrà» decretò,
evocando dal nulla un bastone nodoso e portandosi di fronte a Michele
«ma lei mi dirà quello che voglio
sapere». Con un movimento fulmineo fece roteare il bastone,
colpendo l’altro sulle costole dal basso verso
l’alto; alcune ossa scricchiolarono sinistre. Michele si
piegò su se stesso, boccheggiando.
«Come si chiama la ladra?»
domandò; Michele scosse la testa, in silenzio. Senza esitare
Prospero gli assestò un colpo violento in mezzo alla schiena
con il pomo del bastone, facendo crollare a terra l’uomo.
«Dove posso trovare
quest’audace ladruncola di libri?»
insisté. Infilò un piede sotto il corpo steso sul
pavimento e lo rivoltò. Stordito, Michele scosse di nuovo la
testa, rifiutandosi di parlare. Prospero lo colpì allo
stomaco, poi si accovacciò accanto a lui.
«Perché si dà
tanta pena per proteggere questa donna?» gli
domandò. Sollevandosi a fatica su un gomito, Michele mise a
fuoco la figura che gli stava vicino.
«Non ho mai saputo dove vive. Ma se
anche le dessi quello che vuole – un nome, un numero di
telefono, qualunque cosa – non le servirebbe a
nulla» disse a fatica.
L’altro lo guardò, sollevando
un sopracciglio. Michele proseguì.
«Non riuscirà a prenderla. Mai. È
stata addestrata in maniera eccellente, molto meglio di me e dei miei
colleghi».
Prospero lo prese per i capelli, costringendolo a
reclinare la testa all’indietro.
«E io che credevo foste il meglio sulla
piazza, quanto ad addestramento» disse con voce mielata.
«È così»
replicò Michele, dolorante. «Ma lei
è… diversa. Troppo abile, e in grado di fare
qualunque cosa, pur di raggiungere un obiettivo»
«Non importa. La intrappolerò
come fa un gatto col topo non appena lei, Toreggiani, si
deciderà a collaborare» replicò
Prospero, sferrandogli un pugno in pieno volto prima di uscire dalla
stanza, lasciandolo abbandonato sul pavimento.
*
Seduto al proprio tavolo, Michele scrutava impaziente la folla di
avventori che ciarlava allegra nel ristorante.
«Ehi, eccoti qui!». Una mano
si posò con forza sulla sua spalla, facendolo trasalire
mentre una scarica dolorosa gli si propagava lungo tutto il braccio.
«Finalmente sei arrivato!»
disse in tono di rimprovero, scrutando con la fronte aggrottata suo
fratello.
«Per qualche minuto di ritardo non
c’è bisogno di fare tante storie!»
replicò Luca.
«Fai tardi tutte le volte»
sottolineò Michele con una smorfia. Pranzavano insieme una
volta a settimana da anni, ormai, e non c’era stata una sola
occasione in cui suo fratello fosse stato puntuale. «Ti ho
portato un regalo» annunciò poi, porgendogli un
pacchetto rettangolare.
«Cos’è?»
domandò Luca incuriosito, mentre si accingeva a strappare la
carta. Suo fratello lo fermò.
«Non aprirlo qui. Aspetta di essere a
casa» gli mormorò.
«Va bene… certo che hai un
aspetto orrendo! Ma che ti è successo?» chiese
Luca, guardando attentamente suo fratello per la prima volta. Aveva un
occhio nero e un taglio sul naso, era pallido e, da come si muoveva,
sembrava avesse qualche costola rotta. Quando alzò appena il
braccio destro per richiamare l’attenzione di un cameriere
fece una brutta smorfia di dolore.
«Non è niente…
è stata una settimana complicata»
tagliò corto. «Sto benissimo».
«Non si direbbe
affatto…» cominciò Luca, ma fu subito
interrotto dal telefono. Rispose brevemente e poi chiuse la
comunicazione. «Scusa Michele, ma Linda è rimasta
a piedi e non sa come andare al lavoro, devo scappare».
Suo fratello abbozzò un sorriso.
«Sta’ tranquillo, ci vediamo
la prossima settimana» disse, mentre Luca si alzava e correva
via.
*
«Ti passo a prendere alle otto».
Quando Linda scese dall’auto Luca spense
il motore e afferrò il pacchetto che gli aveva dato Michele.
Strappò la carta che l’avvolgeva e
scoprì un libro: Dona
Flor e i suoi due mariti.
«Un libro?». Perplesso, Luca
sfogliò distrattamente le pagine: sparse, trovò
tre lettere chiuse e complete di destinatario e indirizzo e un
biglietto per lui stesso.
«’Spedisci queste lettere e brucia
il biglietto. Non parlarne con nessuno. Non chiedermi niente. Michele’».
«Ma che accidenti…»
mormorò tra sé. Poi chiuse di scatto il libro,
mise in moto la macchina e fece ciò che suo fratello gli
aveva chiesto.
*
«Bene. Ora concentratevi… Marcos, se fai di nuovo
una cosa del genere ti retrocedo ad Apprendista di primo
livello… ed evocate un muro di Fuoco»
«Sofi!».
Martina stava correndo – cosa
già di per sé insolita – verso di lei,
per di più tallonata da Aleja e Claire.
«Va bene ragazzi, quindici minuti di
pausa». Mentre gli Apprendisti di secondo livello si
dividevano in gruppuscoli, le tre ragazze la raggiunsero.
«Martina, ma tu non avevi del lavoro da sbrigare a
Roma?»
«Sono tornata» rispose
sbrigativa l’altra. «Ho ricevuto una lettera. Anche
Claire e Aleja ne hanno ricevuta una uguale».
Sofia non capiva. «E allora?»
«E allora, riguarda te».
Martina si schiarì la voce. «’So che questa lettera
suonerà strana, ma per favore, leggila fino in fondo.
Di’ a Sofia che non possiamo più vederci e che non
deve cercarmi, né venire a Roma o dovunque io mi trovi.
Michele’».
«Più che una lettera, sembra
un telegramma» sottolineò Claire.
«Sono arrivate una settimana fa, ma tra
il Natale e tutto il resto non ce ne siamo accorte fino a
oggi» aggiunse Aleja a mo’ di scusa.
Sofia allungò una mano e
afferrò il foglio che Martina stringeva tra le dita. Rilesse
il breve messaggio mentre le altre la osservavano in silenzio: poi,
sempre senza parlare, restituì la lettera a Martina e
uscì dalla sala a grandi passi. Arrivata nell’Ala
Est, aprì una porta e mise la testa in una delle sale
più ampie.
«Laurence, ce l’hai un
minuto?».
Lui le lanciò un’occhiata di
sbieco.
«D’accordo ragazzi, per oggi
abbiamo finito. Potete andare» disse rivolto agli Apprendisti
di terzo livello. Mentre i ragazzi sciamavano verso la porta,
chiacchierando e confrontandosi, Sofia scivolò dentro,
chiudendo la porta non appena tutti furono usciti.
Perplesso Laurence la guardò,
aspettando in silenzio che parlasse. Non ricordava che Sofia avesse mai
interrotto una lezione prima di allora, e da quando erano alla Valle
aveva vietato a tutti di farlo; ora non riusciva immaginare quale
motivo l’avesse spinta a violare una regola che lei stessa
aveva posto.
«Mi serve un favore. Vieni con
me» gli disse a bassa voce andando verso le stanze dei
Maestri, al piano superiore; la sua camera da letto e quella di
Laurence erano divise da quella di Blaze.
«Entra» lo esortò,
aprendo la porta della propria e andando alla scrivania. Laurence la
seguì, sedendosi su un angolo del letto: anche
così era alto almeno quanto lei. Sofia frugò in
un cassetto, spostando quaderni e pile di fogli; quando ebbe trovato
quello che cercava, andò a sedersi accanto a Laurence e in
silenzio gli mise in mano una foto.
L’uomo osservò attentamente
il viso allegro ritratto accanto a quello della sua amica. Poi
alzò lo sguardo su Sofia e si schiarì la voce.
«E così, questa
è…» iniziò, esitante.
«La persona di cui abbiamo parlato,
sì» concluse la ragazza al suo posto,
tormentandosi le mani.
«Perché mi fai vedere questa
foto proprio adesso?» le chiese Laurence dolcemente. Lei
sospirò.
«Ho bisogno che tu vada in un posto per
me» rispose Sofia. Laurence annuì.
«Cosa vuoi che gli dica?».
Lei lo guardò sorpresa.
«Oh, non devi dirgli nulla!
Solo… controlla che stia bene» mormorò.
Lui annuì di nuovo mentre Sofia gli spiegava dove andare.
Poi l’abbracciò fugacemente.
«Ci vado subito» le disse
sorridendo. Non pensò neanche per un istante di chiederle il
perché di quella strana richiesta: non conosceva gli
avvenimenti che l’avevano portata a chiederle un aiuto tanto
singolare, ma sapeva perché Sofia aveva scelto proprio lui,
per essere aiutata, e cosa la spingesse a preoccuparsi tanto di una
persona che vedeva solo di rado. Così uscì,
mentre il vento gelido gli frustava il volto e gli faceva turbinare
davanti agli occhi una miriade di fiocchi candidi, e si
incamminò oltre le prime colline.
*
Nascosto dietro a un giornale, Laurence spiava tra il via vai di
turisti cercando di farsi notare il meno possibile, per un uomo alto
due metri. Dopo un paio d’ore vide avvicinarsi due uomini in
completo scuro: uno parlava con aria severa e, a tratti, supplichevole;
l’altro si muoveva lentamente, a fatica, e nonostante
sembrasse piuttosto malridotto, aveva in volto un’espressione
risoluta. Quando entrarono in un bar lì vicino, Laurence
ripiegò il giornale e li seguì velocemente.
Ordinò un caffè, parlando in
inglese; il posto era pieno di turisti ed era facile mimetizzarsi.
Fingendo di non capire una parola si avvicinò al bancone,
tendendo le orecchie per ascoltare il discorso dei due che avevano
attirato la sua attenzione.
«…e se ti ostini a non
parlare potrebbe finire veramente male» stava dicendo uno dei
due. «Si può sapere perché non dici a
Prospero quello che vuole sapere?».
L’altro lo ignorò.
«Che qualcuno si sia introdotto nel
palazzo di Prospero sotto il nostro naso e abbia persino rubato dei
libri antichi è un fatto gravissimo, ma che tu sappia chi
è il ladro e non ti decida a parlare è, se
possibile, ancora più grave!» insisté
il primo uomo.
«Luigi, basta!»
sbottò Michele, infastidito. «Non
cambierò idea, va bene? Quindi è inutile che tu
insista a farmi la predica!».
Risentito, Luigi gli rivolse un’occhiata
offesa.
«D’accordo, fai come vuoi, ma
sono tre settimane che la cosa va avanti e non so per quanto tempo
ancora potrai resistere. Di questo passo, Prospero ti
romperà tutte le ossa» sottolineò.
«Se anche gli dicessi quello che vuole
sapere, non cambierebbe nulla. Non lo prenderà mai, quel
ladro, perché è molto, molto più abile
di tutti noi» ribatté Michele in tono definitivo,
ed entrambi tacquero.
Decidendo di aver sentito abbastanza Laurence
andò via, desideroso di tornare alla Valle il prima
possibile.
*
«…e così lo sta mettendo sotto torchio
per sapere chi si è introdotto nella sua
biblioteca».
Appena tornato alla Valle, Laurence si era
precipitato da Sofia per raccontarle la conversazione che aveva
origliato.
«Che razza d’idiota»
commentò la ragazza, camminando su e giù per la
stanza con le mani nei capelli. «Perché non gli
dice il mio nome e non la fa finita con questa storia
assurda?»
«Credo tu lo conosca, il
perché» disse Laurence, rivolgendole
un’occhiata penetrante.
«Certo che lo conosco, ma è
da pazzi che debba rimetterci lui!»
«E allora cosa vuoi fare? Andare a
bussare alla porta di Prospero Limardi e dirgli: “Ehilà, salve, sono io
la ladra che cerca con tanta insistenza!”?»
domandò Laurence con la voce intrisa di sarcasmo.
«Ed entrare nella tana del lupo? Mi ci
vorrebbe un miracolo per uscirne… anche
se…». Sofia tacque, soprappensiero.
«Anche se, cosa?»
indagò l’altro, sospettoso.
«Mi hai dato un’idea.
Un’ottima idea, e la metterò in pratica il prima
possibile» rispose la ragazza, spingendolo fuori dalla
stanza. Poi sedette alla scrivania, accese il portatile e
iniziò a delineare con maggior precisione il proprio piano.
*
Dopo due notti passate a studiare informazioni, controllare itinerari e
verificare date, Sofia era pronta. Erano le dieci e trenta: gli allievi
si erano ritirati da un bel pezzo e lei si era chiusa nella propria
stanza, apparentemente a causa di un forte mal di testa. Nabeela,
appollaiata sullo schienale della sedia, osservava la ragazza darsi
un’ultima controllata allo specchio e indossare un soprabito
nero sopra il vestito.
«Che ne dici, Nabeela?»
esclamò Sofia ruotando su se stessa. La Fenice agito la coda
ed emise un versetto tremulo. «Perfetto. E adesso
andiamo» ordinò la ragazza.
*
Di pessimo umore, Prospero stava scolando un drink dietro
l’altro mentre, mollemente abbandonato su una comoda
poltroncina, osservava gli avventori del locale ciarlare a vuoto.
Diverse donne lo guardavano con interesse; un gruppetto di persone
– suoi conoscenti – passando, lo salutò.
«È incredibile il modo in cui
sprecano il loro tempo» notò a bassa voce.
«E quanto siano superficiali».
«Fanno ciò che ci si aspetta
dalle persone ricche o di potere: si mettono in mostra»
replicò una delle sue guardie, anche lui a bassa voce.
«Così pare». In un
solo sorso Prospero vuotò il bicchiere e attirò
l’attenzione di un cameriere con un gesto. «Me ne
porti un altro» ordinò; il cameriere
annuì ossequioso e sparì. Ricomparve un minuto
più tardi, con un bicchiere pieno e una busta da lettere
bianca sul vassoio.
«Per lei, dalla signorina al
bar» mormorò. Senza degnare la lettera di uno
sguardo, Prospero la lanciò sul tavolino e
afferrò il bicchiere.
«Una donna che abborda uomini in un bar?
Audace» ridacchiò una delle guardie. Quello al suo
fianco fece una battuta volgare, scatenando le risate degli altri
cinque.
«Sarà una delle solite
sciocche» commentò Prospero, indifferente.
«Pare che le clienti abituali di questo posto, pur essendo
ricche, manchino completamente di classe e
dignità».
«Non è una nostra cliente.
Nessuno l’ha mai vista prima d’ora» disse
il cameriere.
«Ah no?». La risposta non
richiesta del cameriere aveva suscitato la curiosità di
Prospero. «Qual è la signorina in
questione?» domandò, sporgendosi in avanti e
riprendendo la lettera.
«Quella seduta da sola al bar, signore,
laggiù» rispose l’altro, indicando con
discrezione davanti a sé.
Seguendo la direzione del dito del cameriere,
Prospero allungò il collo tentando di vedere oltre la folla.
Intorno all’elegante bancone del bar si affollavano coppie e
gruppetti di persone che bevevano, chiacchierando allegramente; e
proprio in mezzo a quel bailamme sedeva una donna vestita di nero,
sola. Gli dava le spalle: non se ne vedeva altro che la schiena,
lasciata completamente nuda dalla profonda scollatura
dell’abito che indossava, e una gran massa di capelli
raccolti in cima alla testa. Come se avesse sentito lo sguardo
dell’uomo, la ragazza si voltò e gli rivolse
un’occhiata che lo colpì: sembrava studiarlo con
lo stesso interesse con cui un predatore studi una preda che ancora non
sa di essere caduta in trappola. Era uno sguardo di sfida.
Ipnotizzato da quegli occhi color ambra che gli
sembravano stranamente familiari, Prospero guardò la donna
alzare il bicchiere al suo indirizzo in un tacito brindisi. Dopo averlo
vuotato, scivolò giù dalla sedia:
l’abito aderente e accollato la fasciava come un guanto. Con
la gonna che le arrivava appena sopra il ginocchio e le maniche lunghe,
senza alcun gioiello addosso, contrastava in modo quasi bizzarro con le
altre donne presenti: era come un’ombra sfuggita a ogni
controllo.
Con un’ultima occhiata ironica, la
ragazza afferrò il soprabito e si diresse con passo altero
verso il bagno. Scuotendo la testa, Prospero aprì la busta.
«Sembrava una ragazzina»
commentò una delle guardie.
«È
una ragazzina» replicò Prospero, spiegando il
foglio che aveva in mano e scacciando la strana sensazione di aver
già visto quegli occhi. «Non avrà avuto
più di venticinque anni».
Tutti tacquero mentre l’uomo leggeva la
lettera – che era lunga non più di mezza pagina
– scritta con una grafia minuta. Quando ebbe terminato
scattò in piedi, il volto impallidito dalla collera.
«Andate a prendere quella ragazza. Subito!»
sibilò, stringendo convulsamente il foglio nel pugno.
Obbedendo all’ordine tre delle guardie scattarono verso la
toilette, ma tornarono a mani vuote. Prospero li guardò,
impaziente. «Allora? Dov’è?».
I tre si guardarono l’un
l’altro, a disagio.
«Ecco, lei è…
sparita» ammisero a testa bassa.
«Nessuno sparisce
così!» replicò l’uomo,
furioso.
«A quanto pare, lei
sì» disse uno dei tre uomini.
«C’erano alcune donne, lì. Hanno detto
di averla vista entrare in uno dei bagni e accostare la porta; un
attimo dopo la porta si è aperta e lei…
be’, non c’era più».
Prospero si prese la testa tra le mani.
«Cosa vi pago a fare, mi chiedo? E voi
sareste stati addestrati? Sarà uscita dalla finestra!
Possibile che debba dirvelo io?» li rimbrottò,
incollerito.
«Il bagno non ha finestre» si
giustificò un’altra delle guardie.
«Va bene, ora basta»
sbottò Prospero, dirigendosi a lunghi passi verso
l’uscita. «Stasera voglio chiarire questa faccenda
una volta per tutte» ringhiò.
*
Il trillo del campanello fece sobbalzare i due uomini.
«Ci penso io» disse Luca,
andando alla porta. Non fece in tempo ad aprirla che un drappello di
uomini lo spinse da parte e si fece strada nell’ingresso,
Prospero in testa.
«Signor Limardi»
salutò Michele, alzandosi a fatica dal divano. «A
cosa devo il piacere?»
«Lo sa benissimo». Tremante di
rabbia, Prospero gli lanciò la lettera che tanto
l’aveva turbato. Dopo averla letta, Michele non
riuscì a trattenere un sorriso.
«Lo trova divertente,
Toreggiani?» ruggì Prospero.
«Molto, in effetti.
Gliel’avevo detto, che non sarebbe riuscito a
prenderla» replicò l’altro con aria
compiaciuta, restituendogli la lettera.
«La sta aiutando, Toreggiani»
sibilò l’altro. «Altrimenti come avrebbe
potuto sapere dove trovarmi?»
«Sofia è piena di risorse.
Non ha bisogno del mio aiuto, e in ogni caso non l’ho vista
né sentita» replicò Michele. Prospero
sbuffò, incredulo.
«Non si aspetterà che io ci
creda!» disse.
Luca s’intromise. «Signor
Limardi, sono rimasto con mio fratello dalle cinque di questo
pomeriggio e le posso garantire che da quel momento non ha visto
né sentito nessuno» disse con sguardo duro.
«Potrebbe aver telefonato»
insisté Prospero, guardando torvo Michele.
«Non l’ho fatto»
«Non ci credo»
«Allora controlli»
ribatté sfrontato Michele.
«Lo farò» rispose
Prospero in tono definitivo. Con un cenno richiamò i suoi
uomini e uscì spedito dall’appartamento. La porta
sbatté dietro di loro e nel salotto rimasero solo i due
fratelli, uno divertito, l’altro confuso.
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