I Custodi della Verità

di Piperilla
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una guarigione inaspettata ***
Capitolo 2: *** Il viaggio ***
Capitolo 3: *** Akasha ***
Capitolo 4: *** La storia di Ogascoon e Isadora ***
Capitolo 5: *** Altàis ***
Capitolo 6: *** Il brivido del rischio ***
Capitolo 7: *** Molte domande e poche risposte ***
Capitolo 8: *** Nuove rivalità ***
Capitolo 9: *** Il gatto e il topo ***



Capitolo 1
*** Una guarigione inaspettata ***


Sofia uscì dalla stanza, i capelli in disordine e gli occhi cerchiati di viola.
   «Come sta?» chiese immediatamente la piccola folla riunita di fronte alla porta.
   «Meglio. La febbre è passata e finalmente può riposare tranquillo».
   Un sospiro di sollievo generale si levò nell’aria.
   «Quindi non gli sembra più di annegare» disse Gloria. Sofia scosse la testa.
   Blaze esitò prima di parlare. «Lui... lui si è reso conto di aver perso la mano?»
   «Credo di no. Immagino che lo shock e lo stordimento gli abbiano impedito di capirlo, durante la battaglia, e... e quando è iniziata la febbre, non c’era modo che alcunché si facesse strada nella sua mente, se non il desiderio di ossigeno» rispose la ragazza in tono mesto.
   «E così, André è finito. Non potrà più essere un Portatore con una mano sola... di certo non parteciperà ad altri scontri o a esercizi particolarmente complessi» riprese Blaze.
   Tutti abbassarono lo sguardo a terra. Sapevano che ciò che il giovane americano aveva appena detto era la pura verità, ma sentirlo dire ad alta voce rendeva tutto spaventosamente reale.
   «Non c’è niente che si possa fare? In fin dei conti voi due siete dei Testimoni e sapete guarire» disse Claudio, rivolgendosi a Gregory e a Sofia. Il primo fece un cenno di diniego.
   «Curare una ferita molto grave è già piuttosto difficile... non si riesce a guarirla se non in minima parte, e qui stiamo parlando di un arto completamente staccato dal corpo. Insistere troppo con gli Elementi e l’Energia su di un fisico già debilitato può creargli più danni di quanti non ne risolva. Non possiamo fare nulla» disse categorico.
   I presenti caddero nuovamente in un silenzio meditabondo. Dopo una settimana di paura e angoscia, in cui avevano aspettato che André si riprendesse, nessuno aveva pensato a cosa avrebbe fatto una volta guarito. Ora che quel momento era arrivato, non riuscivano a rassegnarsi alla mancanza di una soluzione positiva.
   «Non possiamo fare niente». Sofia fece eco a Gregory, pur non apparendo completamente convinta.
   Laurence decise di cambiare argomento. «Secondo voi, possiamo fidarci della tregua che Giovanni ha voluto stabilire?».
   «Assolutamente sì». Fu Sofia a rispondere. «Se non ne fosse stato convinto, avrebbe continuato a combattere. E con lui, tutti gli altri».
   «Io non capisco perché di punto in bianco ha deciso di ritirarsi» disse Viola. Costa la guardò sardonico.
   «Ma non è ovvio? È stato sopraffatto da quello che prova per Sofia!».
   Rapida come il lampo, l’oggetto del suo scherno lo colpì. Dopo averlo immobilizzato contro la parere con uno spesso ceppo di Fuoco intorno al collo, che quasi gli impediva di respirare, Sofia si avvicinò al greco che annaspava e, mettendosi in punta di piedi, lo afferrò per la maglia e portò il naso a un centimetro da quello di lui.
   «Ascoltami bene, Costa, perché non te lo ripeterò una seconda volta. Ironizza ancora su me e Giovanni, e ti faccio pentire di essere nato» ringhiò.
   Sempre annaspando, l’uomo fece un debole cenno di assenso. Soddisfatta dalla sua resa, la ragazza lo liberò.
   «Ora che abbiamo sistemato questa piccola questione...per rispondere alla tua domanda, Viola, il motivo per cui Giovanni si è ritirato di punto in bianco è che ha bisogno di tempo» riprese Sofia in tono leggero, attirandosi gli sguardi perplessi dei suoi amici.
   «Tempo? E per fare cosa?» domandò Gloria, traducendo in parole la domanda inespressa della sua gemella.
   «Per fare ricerche e trovare informazioni».
   Gregory si spazientì. «Non potresti dirci tutto, senza bisogno di essere incalzata con tutte queste domande?».
   Sofia lo guardò torva e poi, a sorpresa, gli fece la linguaccia.
   «Certo che sei proprio noioso. Comunque, penso che ora vorrete sapere che tipo di informazioni cerca Giovanni... o meglio, su cosa le cerca». Esitò per un istante, prima di cogliere lo sguardo irritato di Greg. Dopo avergli rivolto un sorrisetto divertito, si accinse a spiegare agli altri quello che lei aveva intuito una settimana prima. «Immagino avrete visto tutti cos’è successo, la scorsa settimana, quando io e Giovanni ci siamo... ehm... avvicinati troppo» iniziò la ragazza, diventando scarlatta. Sapeva bene che tutti avevano assistito a quella scena. Proseguì in fretta, cercando di superare l’imbarazzo. «Come me, voi siete stati per molto tempo al Centro e avete avuto, come fidanzati e fidanzate, dei Portatori, quindi sapete che non capita mai che in situazioni simili si sprigioni dell’Energia, o comunque non in quella quantità».
   «In effetti ci chiedevamo da cosa fosse dipeso. Nessuno si aspettava una cosa del genere» ammise Cornelia.
   Il volto di Sofia si aprì in un largo sorriso.
   «Non ho la minima idea di quello da cui è dipeso» disse, scoppiando in una fragorosa risata. «Me l’aspettavo meno di chiunque altro!».
   «Non ci trovo niente di divertente» disse Fernando, aggrottando la fronte e facendo una smorfia di dolore mentre il braccio ferito pulsava in modo sgradevole.
   «Io sì. Dopo tutti i testi che ho studiato, dopo tutti i viaggi che ho intrapreso per conoscere alla perfezione i Portatori, scopro che c’è ancora qualcosa che non so. Mi piacciono i segreti... e soprattutto mi piace fare ricerche per svelarli. Sento che ciò che è accaduto durante la battaglia di una settimana fa non è che l’inizio di una nuova, incredibile ricerca» esclamò Sofia con gli occhi brillanti.
   «Quando fa così mi preoccupo sempre» piagnucolò Blaze. Nonostante tra i due fosse senza dubbio lui, il più impulsivo, le iniziative più difficili e rischiose venivano sempre dalla mente di Sofia.
   Notando che il suo entusiasmo non era condiviso, la ragazza sospirò. Per un fugace istante provò nostalgia di Giovanni: era l’unico che capisse la sua passione per gli enigmi.
   «Visto che sembrate non trovare questo mistero interessante, magari posso proporvi una ricerca di diverso tipo» li stuzzicò.
   «Non potremmo riposare e basta per qualche giorno?» si lamentarono in coro. La giovane fece spallucce.
   «Visto che abbiamo siglato una tregua e possiamo uscire liberamente dalla Valle, volevo proporvi di cercare le nostre famiglie e tentare di contattarle, ma se preferite riposare...» disse con noncuranza, ben sapendo quale sarebbe stata la loro reazione.
   Dopo un silenzio attonito tutti, a eccezione di Claudio, Cornelia e Gregory, esplosero.
   «Parli sul serio? Possiamo tornare dalle nostre famiglie?» strillarono eccitati.
   «Shhht, fate piano... o André si sveglierà!» bisbigliò Sofia disperata.
   Esaudendo la sua preghiera gli altri abbassarono di colpo il tono di voce, continuando però ad agitarsi. Sofia si mise le mani nei capelli.
   «Credete che anche gli altri reagiranno in questo modo?» chiese sconfortata ai tre che, come lei, conservavano ancora la calma.
   «Anche peggio» rispose Gregory, divertito dalla reazione della ragazza. Senza dubbio avrebbero avuto il loro bel daffare per mantenere la calma tra i Portatori dopo aver dato una notizia del genere. Sospirando, lei si mise di nuovo le mani nei capelli, riflettendo.
   «D’accordo ragazzi, ora basta agitarsi... andate a riposare un po’. Specialmente tu» disse, rivolgendo un’occhiataccia a Fernando.
   «Emma tu no, vieni con me» esclamò, bloccando la ragazzina che stava andando via insieme agli altri e che tornò indietro, perplessa.
   Sofia le fece cenno di seguirla, precedendola di mezzo passo. In quel momento a Emma tornò in mente la prima e unica notte che aveva trascorso al Centro, quando Sofia l’aveva condotta lungo corridoi molto simili a quelli che percorrevano in quell’istante. Ricordando il timore che aveva provato incontrando per la prima volta quella giovane donna dall’apparenza di ghiaccio, sorrise.
   «Pensi a qualcosa di piacevole?» le domandò Sofia notando il sorriso della ragazzina, entrando in un salottino e chiudendo la porta.
   «Di divertente» la corresse Emma. «Mi è tornata in mente la prima volta che ti ho vista, quando mi hai accompagnata ai dormitori».
   Sofia scoppiò a ridere. «Me lo ricordo. Avrai pensato che fossi una bastarda senza cuore» notò. «Lo pensavano tutti».
   «In realtà ho pensato solo che facevi paura» fu la risposta. «Perché ti mostravi tanto diversa da quella che sei davvero?».
   «Ciò che hai visto quel giorno, al Centro, non era una finzione ma solo una parte di quello che sono» precisò Sofia, guardandola attentamente. «Tutti noi siamo fatti di luci e ombre. Le persone non nascono cattive: lo diventano quando decidono di permettere alle loro ombre di soffocare la luce».
   «Vorresti dirmi che anche in Giovanni c’è del buono?» chiese Emma, scettica.
   «In ogni persona ce n’è. Sono le scelte che facciamo a renderci buoni o cattivi» insisté Sofia, fissando l’altra negli occhi. «Escludere a prescindere che ci sia qualcosa di positivo in una persona è un primo passo verso le tenebre, Emma. Attenta a non cadere in una simile trappola» l’ammonì.
   «E tu cos’hai scelto di essere?» domandò pungente Emma. Sofia sembrò seriamente confusa.
   «Credo di non aver mai scelto. In tutti questi anni, mi sono limitata a mantenere in equilibrio luce e ombra che sono dentro di me» rispose con onestà. «Ora però parliamo di quello che puoi scegliere tu» riprese, puntando il proprio sguardo negli occhi castani dell’altra con la stessa espressione dura che aveva portato sul volto per anni.
   «Cosa dovrei scegliere? Non penso certo di essere una specie di santa, ma non potrei mai commettere atti come quelli di Giovanni o Prudencia» ribatté Emma arrabbiata. Sofia scosse la testa.
   «No, non parlavo di questa scelta. Quello a cui pensavo è molto più importante...».
   «Più importante di decidere da che parte stare?» la interruppe Emma.
   «Molto più importante. Devi decidere se controllare l’Energia che porti in te o lasciarti dominare da essa» disse Sofia con aria seria.
   «Non mi sembra ci sia qualcosa da decidere. È ovvio che se io sono la Portatrice, l’Energia deve sottomettersi a me» rispose Emma con una scrollata di spalle. L’altra la guardò, molto preoccupata.
   «Emma, è fondamentale che tu capisca che non funziona in questo modo. L’Energia, come del resto i quattro Elementi che la compongono, sono parte stessa della Natura: non è affatto automatico che tra Portatore ed Elemento sia il primo, ad avere il predominio».
   «Ma qual è il problema? Se anche perdessi il controllo che accadrebbe di tanto disastroso? Forse qualche albero sradicato e un po’ di danni qua e là?».
   «Emma santo cielo, tu proprio non capisci». Il bisogno di far comprendere alla ragazzina il complesso meccanismo che regolava i rapporti tra Portatori ed Elementi la rendeva nervosa. «Tu devi far tua l’idea che l’Energia non ti obbedirà se non la terrai a bada con mano ferma e molta forza di volontà. È qualcosa di difficile e pericoloso comprendere, per un Portatore, quale sia il proprio limite, e ti sto parlando di Portatori di Elementi. Per te, che possiedi l’Energia, sarà infinitamente più rischioso...».
   Emma la interruppe di nuovo.
   «Tu parli di rischi, ma io non ne vedo nessuno! Per mesi ho osservato gli altri imparare a controllare il proprio Elemento e non mi è mai sembrato che qualcuno fosse in pericolo!».
   «Perché non hanno ancora raggiunto il loro limite! E poi loro non padroneggiano l’Energia... Emma, io sono una Testimone e come hai visto riesco a manipolare, anche se solo in parte, l’Energia Pura e ti posso assicurare che non è facile come sembra! Ma tu ne puoi utilizzare una quantità molto, molto maggiore e devi stare attenta a non superare il limite, a non perdere il controllo del tuo potere, altrimenti sarà il potere a prendere il sopravvento e a consumarti!» gridò Sofia, balzando in piedi. Non riusciva più a contenere l’agitazione: la ragazzina acuta e riflessiva che conosceva sembrava essere sparita.
   «Quando dici che il potere mi consumerà... cosa intendi dire di preciso?» indagò Emma, cercando di capire cosa volesse dirle la giovane donna che aveva di fronte.
   «Niente di più di quello che ho già detto. Non puoi controllare che una data quantità di potere, e se superi quel limite, se il potere diventa predominante, non potrai più sottometterlo. L’Energia cercherà uno sfogo e il tuo corpo non potrebbe sopportarlo. Sarebbe una morte lenta e dolorosa» spiegò Sofia, crollando di nuovo a sedere con il volto nascosto tra le mani. Pur senza rendersene conto, Emma era giunta a un passo da quel limite la settimana precedente, la prima volta che il suo potere si era manifestato, e il ricordo faceva ancora rabbrividire la giovane Portatrice del Fuoco.
   Interpretando correttamente l’espressione stravolta di Sofia, il volto di Emma si contorse in una smorfia di orrore.
   «Per questo... è per questo che quel giorno mi hai bloccata!» rantolò, intuendo solo in quel momento il significato dei gesti di Sofia il giorno della battaglia, il modo in cui l’aveva scossa e stimolata per farle riprendere il controllo. L’altra annuì.
   «Cosa devo fare per controllarmi?» le chiese immediatamente Emma.
   «Il trucco è semplice, ma ci vogliono molta forza e decisione. Quando liberi il tuo potere, senti con che intensità ti preme dentro; se ti rendi conto che sta diventando troppo forte, se inizi a provare difficoltà nel controllarlo, allora devi concentrarti e reprimere l’Energia in eccesso dentro di te: devi agire con fermezza, come faresti con un sottoposto» fu la risposta.
   La ragazzina la guardò perplessa.
   «Non ho mai dato ordini a nessuno. Credi che riuscirò a controllare l’Energia?».
   «Imparerai, sta’ tranquilla. E poi ci saremo sempre io o Gregory, ad allenarti e aiutarti: ti insegneremo noi come si fa» la rassicurò Sofia.
   Le due ragazze si fissarono per qualche minuto, poi la voce di Sofia ruppe il silenzio.
   «Emma ti andrebbe... te la sentiresti, di aiutarmi a fare una cosa?» iniziò titubante.
   «Che genere di cosa?» chiese Emma, guardandola di sottecchi. Era abituata a vedere Sofia sempre decisa e padrona della situazione; quel tono esitante la insospettiva un po’.
   «Una cosa che Gregory non vuole aiutarmi a fare. Gliel’ho chiesto molte volte, ma ha sempre rifiutato categoricamente» rispose l’altra con una smorfia di disappunto, evitando di rispondere alla domanda.
   «Immagino che me lo dirai solamente se deciderò di aiutarti» notò Emma.
   «Sì. Sai, potrei tentare da sola, ma non me la sento. Ho bisogno di qualcun altro che manipoli l’Energia, e tolto Gregory non posso rivolgermi che a te»
   La ragazzina sbuffò. «Grazie della fiducia!»
   «Non si tratta di fiducia. Tu non sai ancora controllare l’Energia: questo renderà tutto molto più complicato» disse Sofia. Poi guardò l’orologio: erano le tre del pomeriggio. «Sto morendo di fame» disse, guardando Emma. «Hai mangiato a pranzo?»
   «No».
   «Bene, allora andiamo a procurarci qualcosa da mettere sotto i denti» disse Sofia, uscendo con Emma dalla stanza.

*

«Allora André, come ti senti?».
   «Infinitamente meglio».
   Con un sorriso, il giovane biondo chiuse gli occhi e porse di nuovo il volto al tepore del sole, mentre le donne del piccolo gruppo che gli faceva compagnia gli si affaccendavano intorno.
   «Forse dovrebbe rientrare» bisbigliò Gloria a Sofia.
   «È vero. Questa è la prima volta che esce dopo due settimane, non dovrebbe stancarsi troppo» rincarò la dose Viola.
   «E poi guardate com’è pallido!» aggiunse Ailie sempre a mezza voce.
   Sofia alzò gli occhi al cielo, esasperata.
   «Certo che è pallido... è stato chiuso in camera per due settimane! In ogni caso sta bene già da una settimana, e stare seduto al sole non lo stancherà poi molto» le rimbrottò.
   «Ti andrebbe di mangiare qualcosa, caro?» chiese Cornelia ad André in tono materno. Da quando il ragazzo era stato ferito, la donna gli aveva fatto da infermiera con la stessa sollecitudine con cui l’avrebbe fatto se fosse stato figlio suo.
   André sorrise di nuovo, divertito da tutta la premura che dimostravano nei suoi confronti.
   «No Cornelia, sto bene così, ma grazie comunque» ripose in tono gentile.
   «Be’, io ti porto qualcosa lo stesso» replicò lei, allontanandosi con aria affaccendata.
   «Sei sicuro di non essere stanco?» gli domandò Emma, seduta a gambe incrociate sull’erba, mentre Cornelia si allontanava.
   «E dai Emma, non ti ci mettere anche tu» disse André, metà divertito e metà esasperato. «Ormai sto bene» aggiunse, lanciando suo malgrado un’occhiata al moncherino ancora fasciato. Sofia, che si era avvicinata silenziosamente, seguì il suo sguardo con aria dispiaciuta.
   «Mi dispiace così tanto, amico mio. Vorrei poter fare qualcosa» disse, rivolgendo un’occhiataccia a Gregory che però la ignorò.
   «Non dispiacerti, non è stata colpa tua... mia, semmai» rispose in tono amaro il giovane.
   «Colpa tua? E perché mai?» chiese Sofia, oltremodo sbalordita.
   «Mi avevi avvertito, ma io non ti ho ascoltato. Mi avevi detto di stare attento, di non permettere all’amore di offuscare il buonsenso, ma non ho dato peso alle tue parole. Mi avevano dato anche un po’ fastidio, per il modo in cui palesemente non ti fidavi di Elizabeth... a conti fatti, però, si vede come avevi ragione» disse André in tono ancora più amaro.
   Sofia sedette sull’erba, sempre perplessa. Non riusciva a capire come il suo amico potesse rimproverarsi di essere stato troppo innamorato.
   «Non decidiamo noi chi amare, André» disse lentamente, ripetendo le parole che le aveva rivolto Cornelia solo un mese prima «né quanto amare. Non puoi fartene una colpa».
   Il ragazzo sospirò. Sapeva che quello che Sofia gli stava dicendo era vero, ma non riusciva a convincersene. Si guardò di nuovo il moncherino. Nella settimana appena trascorsa aveva riflettuto a lungo su come sarebbe cambiata la sua vita e aveva preso alcune decisioni. Ormai non aveva più senso rimandare, e così si accinse a rivelare a Sofia quali erano i suoi piani.
   «Senti Sofi, senza una mano per me sarà impossibile continuare ad addestrare gli altri Portatori. Anche solo esercitarmi sarà un’impresa. Quindi... me ne vado».
   «Come scusa?».
   Sofia era senza parole.
   «Non guardarmi in quel modo, Sofi. Sarei solamente un peso per voi».
   «Quindi è per questo che te ne vai? Perché credi che saresti un peso?» domandò Sofia con voce gelida. «Nel caso te ne fossi dimenticato, qui hai prima di tutto degli amici. Poi, solo poi, dei doveri verso gli altri».
   «Ormai ho deciso». André sembrava irremovibile.
   «E quando avresti intenzione di andartene? Ora, in questo istante?» lo incalzò Sofia, sempre glaciale.
   «Domani. A questo punto un giorno vale l’altro, ma prima voglio dirlo agli atri e salutarli» rispose André, lasciando vagare lo sguardo sul panorama circostante. I suoi occhi caddero su un gruppetto di lapidi che spuntavano dal terreno, sotto una piccola macchia d’alberi poco distante, più in basso rispetto al punto in cui si trovava.
   «Un bel posto dove riposare» disse il giovane, mentre Sofia seguiva il suo sguardo. «Non fosse stato per te, ora sarei là anch’io».
   «Sciocchezze, André. Ce l’avresti fatta in ogni caso» minimizzò l’altra. «Cosa farai quando lascerai la Valle?».
   «Tornerò in Francia. Mi piacerebbe ritrovare la mia famiglia».
   «Sai bene che potrebbe essere più complicato di quanto credi» disse Sofia. «Potrebbero essersi trasferiti...».
   «Separati, morti... lo so. Ma al posto mio, tu cosa faresti?» concluse André.
   La ragazza chinò il capo. Poi si alzò di scatto.
   «Be’, se domani vuoi andartene ora devi rientrare e riposare» disse decisa.
   Per un attimo il ragazzo sembrò voler controbattere, ma capendo che era inutile si alzò e la seguì nella fresca penombra dell’ingresso.

*

Mentre erano riuniti nel salottino, poco dopo cena, André si decise a fare il suo annuncio. Si alzò in piedi e le chiacchiere e le risate si affievolirono fino a scomparire del tutto.
   Guardò i tredici volti che lo fissavano, in attesa.
   «Bene ragazzi, ho una cosa da dirvi. Non volevo farlo davanti a tutti, ma ora che siamo soli il momento è arrivato» iniziò, un po’ in difficoltà.
   In silenzio, tutti aspettavano di sapere cosa André voleva dir loro.
   «E così... be’, ho deciso di andarmene» disse secco il ragazzo, pensando che così sarebbe stato tutto più semplice. Si sbagliava.
   «Te ne vai? Ma non puoi!» strillò Gloria saltando in piedi.
   Rumoreggiando anche gli altri si unirono alle proteste della giovane. Solo Sofia, rimasta comodamente seduta, non parlò. Si limitò a lanciare un’occhiata di disapprovazione ad André, che finse di non accorgersene. Dopo qualche minuto di caos, Sofia decise di trarre d’impaccio l’amico.
   «Ora basta! Se vuole andarsene, è libero di farlo. Non possiamo trattenerlo contro la sua volontà» disse con fermezza. Borbottando, gli altri tornarono a sedersi.
   «E quando hai intenzione di andartene?» domandò Blaze al ragazzo.
   «Domani» rispose André, alzando immediatamente le braccia per bloccare le proteste che già stavano per sollevarsi nuovamente. «Partirò prima dell’alba... non c’è bisogno che vi alziate per salutarmi».
   «Quindi ci salutiamo adesso» disse Laurence, palesemente commosso. Abbracciò il ragazzo e gli diede alcune pacche sulle spalle. A turno, anche gli altri lo salutarono. Sofia fu l’ultima.
   «Buona fortuna, amico mio» gli sussurrò, stringendolo delicatamente. «Ricorda che puoi tornare quando vuoi».
   Annuendo, lui si sciolse dall’abbraccio. Uscì dalla stanza, rivolgendo un ultimo sguardo ai suoi amici. Poi, senza voltarsi indietro, si chiuse la porta alle spalle e tornò nella sua stanza.

*

Plop, plop, plop.
   L’acqua gocciava dolcemente dalla roccia nel piccolo specchio d’acqua. Un paio di mani si tesero verso la superficie liscia e trasparente, sollevando una colonna di liquido cristallino che s’impennò orgogliosa verso il cielo prima di ricadere con uno schianto.
   Plop, plop, plop.
   Con un grugnito di disappunto, André si svegliò. Aggrottando la fronte, ascoltò il suono che aveva scandito i tempi del suo sogno.
   Toc toc toc.
   Qualcuno bussava alla porta della sua stanza, e nelle nebbie del sonno il ragazzo l’aveva scambiato per un gocciare d’acqua.
   «Avanti» disse rauco.
   La porta venne socchiusa e due piccole figure sgusciarono dentro.
   «Accidenti André, certo che quando dormi non senti proprio nulla!» disse una bassa voce allegra dal buio.
   «Sofia?».
   «Proprio io, e in buona compagnia» rispose l’ombra, accennando alla persona che l’aveva seguita.
   Ancora confuso, André accese una piccola lampada. La luce soffusa ricacciò indietro una parte delle tenebre che avevano avvolto la stanza.
   «Emma?».
   «Parla piano André, o ci sentiranno» lo ammonì la ragazzina.
   Le due giovani avanzarono e sedettero sul bordo del letto, una da un lato e una dall’altro. André si tirò su le lenzuola fino al mento.
   «Ma che ci fate qui a quest’ora? A proposito... che ore sono?».
   «Quasi le tre. Abbiamo un regalino d’addio per te» disse Sofia sollevando una piccola sacca di spesso, robusto tessuto nero. La aprì e infilò una mano all’interno, traendone una sfera pulsante di Energia.
   «È bellissima» sussurrò André, incantato dal globo argenteo. «Ma... cosa c’è lì dentro?» chiese, notando un’ombra scura all’interno della sfera.
   «Qualcosa che ti appartiene» rispose Sofia, afferrando la sfera con entrambe le mani e spezzandola a metà.
   Alla vista del contenuto del globo, il ragazzo fu scosso da un conato di vomito.
   «Perché lo fai? Vuoi torturarmi?» chiese con rabbia a Sofia, che sedeva accanto a lui senza battere ciglio.
   «Speravo di fare il contrario, in verità. L’ho conservata per te» rispose lei, stringendo la mano mozzata di André, perfettamente integra.
   «Vorresti dirmi... la mia mano è rimasta lì dentro per due settimane?» chiese sbalordito. La ragazza annuì.
   «Ma... perché?» domandò ancora lui. «So che non potete fare nulla per far tornare le cose come prima...»
   «No» lo interruppe Sofia. «Gregory dice che non possiamo fare nulla. Io vorrei tentare ugualmente... se tu sei d’accordo, è ovvio»
   «Credi di poterci riuscire?» indagò André speranzoso. Lei esitò.
   «Non posso garantirti nulla André... il mio è solo un tentativo. Potrei non riuscirci... o potrei dovermi fermare, se lo sforzo per il tuo corpo fosse eccessivo. Inoltre sarà un’operazione lunga e molto dolorosa... te la senti di provare?» gli chiese Sofia.
   «Certo che me la sento!» rispose lui, stupito dalla domanda.
   «D’accordo, allora prepariamoci. Emma, chiudi a chiave la porta» ordinò.
   «Perché?» chiesero Emma e André in coro.
   «Così non potranno interromperci. Ora, Emma, siediti dall’altro lato del letto, come prima» disse Sofia, mandando una parete di Energia a coprire la porta e la finestra per evitare intrusioni. André ed Emma la guardarono, tesissimi.
   «E ora... cosa succede?» chiese il ragazzo.
   «Lo vedrai» disse la sua amica, dopo aver tolto la fasciatura al moncherino. «Questo ti farà un po’ male. Emma, tieniti pronta a evocare l’Energia... ma senza esagerare».
   L’altra annuì.
   «Bene». Dopo aver preso un profondo respiro, Sofia evocò una piccola lama di Energia e con quella riaprì la ferita sul braccio di André. Il giovane sussultò e si morse le labbra nel tentativo di non gridare, mentre il volto perdeva colore.
   Il sangue iniziò a sgorgare, caldo e abbondante.
   «Avanti Emma, adesso!» ordinò Sofia, posizionando la mano mozzata sulla ferita sanguinante e tenendo saldamente unite le due parti con la mano sinistra, da cui iniziò a fluire l’Energia. Con la mano destra, diresse il flusso di Energia di Emma verso la mano del ragazzo.
   Un velo argenteo ricoprì il braccio di André, formando uno strato denso e vibrante. L’intensità dell’Energia evocata rese il tutto incandescente; piccole volute di vapore si alzarono dal polso di André, che non resistette al dolore e iniziò a gridare.
   «Lo so André, lo so, lo so... cerca di resistere...» lo incitò Sofia, la fronte imperlata di sudore nello sforzo di concentrare i due flussi scintillanti nei punti giusti per assicurare un perfetto ricongiungimento dell’arto reciso.
   Lui non la sentì. Poco dopo perse il controllo e iniziò a dibattersi nel letto.
   «Emma, tienilo fermo!» urlò Sofia disperata, tentando di mantenere la mano di lui nella posizione corretta; se si fosse spostata anche solo di poco, si sarebbe riattaccata al braccio in modo sbagliato. La ragazzina, lasciando una mano libera da cui far scaturire l’Energia, si gettò di peso su André immobilizzandolo solo in parte.
   Una pioggia di colpi si abbatté sulla porta.
   «André, che succede lì dentro?» gridarono alcune voci, ma il ragazzo non era in grado di rispondere. Continuarono a bussare alla porta per altri dieci minuti, quando un’altra voce si fece strada tra le urla del ragazzo e il sonoro sfrigolare dell’Energia.
   «Sofia, so che sei lì!» ruggì Gregory dall’altra parte della porta. «So cosa stai facendo. È troppo pericoloso, devi fermarti!».
   Troppo concentrata per rispondere, la ragazza rimase in silenzio, ascoltando André gridare e gridare come se stesse bruciando vivo.
   «Dai André resisti, ci siamo quasi... sta andando benissimo, stai andando benissimo...» disse Sofia, osservando il flusso d’Energia che veniva assorbito senza sosta dalla ferita. Con la guarigione era partita dalla zona più interna del polso, avanzando verso l’esterno; ormai poteva vedere la carne riformarsi e i primi strati di pelle ricrescere e chiudere la ferita.
   «Emma, dammi un altro po’ d’Energia!» gridò; Emma intensificò il flusso che sgorgava dalla sua mano, sempre tentando di tenere fermo André. Anche Sofia evocò una maggiore quantità d’Energia, continuando a tenere il braccio e la mano di lui stretti in una morsa: un minuto dopo, affondando nella pelle ormai completamente richiusa, il flusso svanì.
   Il muro d’Energia che Sofia aveva messo a protezione della porta iniziò a crepitare, mentre Gregory provava a distruggerlo dall’esterno: troppo stanchi per preoccuparsene, André ed Emma si accasciarono sul letto, privi di forze. Sofia, con la testa che girava paurosamente, corse in bagno, colta da un attacco di nausea; vomitò e rimase distesa a terra, coperta di sudore freddo, incapace di rialzarsi.
   Mentre lo scudo si dissolveva e una folla irrompeva nella stanza, André alzò il braccio destro e lo osservò con attenzione. Intorno al polso spiccava una grossa cicatrice scarlatta, alta mezzo centimetro; con cautela, il ragazzo fletté appena le dita.
   «Sofia, sei un genio» mormorò, lasciandosi cadere sul cuscino e scoppiando in una risata liberatoria, incurante degli sguardi attoniti che si erano fissati su di lui e sulla sua mano.
   Claudio si slanciò su di lui, eseguendo un rapido controllo medico; Fernando afferrò Emma, la tirò su e la costrinse a bere un po’ d’acqua. Sbuffando, Gregory entrò nel bagno; si avvicinò con passo rigido alla ragazza accasciata sul pavimento e la prese in braccio.
   «Sei una maledetta pazza. Potevi far peggiorare le condizioni di André e, a giudicare dal tuo aspetto, ti sei quasi uccisa» le disse con rabbia.
   «Smettila di fare il guastafeste» borbottò lei in risposta. Aprì cautamente un occhio, ma lo richiuse quando si accorse che la stanza continuava a girare.
   Senza troppi complimenti, Gregory la mise su una sedia accanto al letto di André. Sforzandosi di trattenere la nausea, Sofia riaprì gli occhi.
   «Fammi vedere» disse ad André, indicando il braccio.
   Il ragazzo tese la mano verso di lei con un sorriso allegro. Sofia afferrò la mano e iniziò a flettere e distendere le dita.
   «Ehi, fa’ piano!» si lamentò André. Lei sbuffò.
   «Dopo quello che hai appena sopportato, ti lagni per così poco?» disse, continuando a esaminare la mano. «Prova a muovere il polso».
   Con una smorfia di dolore, André piegò leggermente il polso. «Fa male» si lamentò di nuovo.
   «È normale. Ci vorrà un po’ di tempo perché la mano torni a essere perfettamente funzionante e perché tu riesca a padroneggiare di nuovo alla perfezione l’Acqua, però credo di poter dire di aver fatto un ottimo lavoro» disse allegramente.
   Emma la guardò.
   «Sei stata incredibile» disse con sincera ammirazione.
   «Siamo state incredibili. Se non mi avessi aiutata, non sarebbe andata così bene... probabilmente non sarei riuscita a guarirlo e l’avrei solo fatto peggiorare» precisò Sofia.
   Sempre chiusi in un silenzio sbalordito, Claudio e gli altri fissavano i tre giovani, stremati ma felici, che avevano di fronte.
   André decise di alleggerire l’atmosfera.
   «Sapete una cosa?» disse allegro, rivolgendosi al gruppetto ammutolito. «Credo proprio che non partirò».

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Capitolo 2
*** Il viaggio ***


«Allora, siete tutti pronti?» chiese Sofia alle prese, come due mesi prima, con una distribuzione di buste.
   Un “sì” collettivo fece tremare le pareti.
   «Bene. Dentro quelle buste ognuno di voi troverà un telefono cellulare, soldi, documenti – carta d’identità e passaporto – e informazioni recenti sulle persone che state cercando, compresi gli indirizzi» snocciolò la ragazza, fornendo ai Portatori gli ultimi dettagli prima del viaggio.
   André prese la parola.
   «Ricordate che potrebbero non credervi, quando spiegherete loro la situazione. Se ne avete bisogno, troverete il mio numero e quelli degli altri Maestri memorizzati nei vostri telefoni. Chiamateci e verremo ad aiutarvi. E seguite le indicazioni che troverete nelle buste».
   La folla assentì nuovamente.
   «Perfetto. Se è tutto chiaro, proporrei di avviarci» disse Sofia, facendo strada agli altri e conducendoli sul prato dove l’intera colonia di Fenici era in attesa. A gruppetti di cinque i Portatori svanirono in vampe di Fuoco, diretti in vari aeroporti.
   «Tu non vai, Gregory?» chiese Claudio.
   «No. Qualcuno dovrà pur restare qui, a tenere d’occhio la situazione» rispose l’altro.
   Cornelia guardò prima suo fratello e poi Sofia.
   «Allora noi andiamo. Sei sicura di non voler venire?» domandò alla ragazza, che scosse la testa.
   «No zia, io ho un viaggio diverso da intraprendere» replicò, abbracciando rapidamente la donna e il suo padrino prima che svanissero in un lampo.
   «Dov’è che vai?» le chiese Gregory, una volta rimasti soli.
   «Da Giovanni» disse con noncuranza Sofia prima che l’uomo l’afferrasse e la costringesse a voltarsi con uno strattone.
   «Comincia a darmi fastidio, questo vostro modo di attirare la mia attenzione» notò la ragazza, massaggiandosi il braccio.
   «È l’unico metodo che funzioni, con te» replicò lui. «Si può sapere il perché di questa decisione?»
   «Smetti di preoccuparti, Greg. Ci devo solo parlare» lo blandì.
   «E di cosa?»
   «Te lo dirò al mio ritorno» esclamò Sofia, afferrando la coda di Nabeela e sparendo in una fiamma.

*

Ricomparsa nella pianura ai margini della Valle, a pochi metri dal suo ippocastano, Sofia sorrise.
   «Brava, Nabeela» sussurrò, accarezzandola con affetto sul collo dorato. La Fenice emise un dolce verso tremulo e andò a posarsi su un ramo dell’albero.
   Sofia la seguì e, dopo aver espanso la propria Aura, si appoggiò al tronco, con i palmi delle mani aperti a sfiorare la corteccia e una guancia premuta contro la superficie ruvida. Non percepiva nulla. Così chiuse gli occhi, e aspettò.

*

In piedi tra la folla, André aspettava impaziente il suo turno. Era arrivato all’aeroporto più di un’ora prima, ma come sempre il Roissy-Charles de Gaulle era totalmente congestionato e prendere un taxi era quasi impossibile.
   Dopo aver atteso per altri quindici minuti, finalmente giunse in testa alla fila. Notando un taxi libero afferrò la piccola valigia e fece per scattare ma la mano, che ancora non era tornata alla sua piena funzionalità, non si strinse attorno ai manici e la borsa cadde a terra con un tonfo.
   Una coppia lo superò rapida e prese il suo taxi, mentre il ragazzo si chinava per raccogliere la sacca. Una mano color cioccolato lo precedette.
   «Ecco, tieni» gli disse una donna in inglese, porgendogli la valigia. A occhio e croce aveva una decina di anni più di lui; di media altezza, esile e dai lineamenti delicati sembrava, a un primo sguardo, incredibilmente fragile. Un esame più attento convinse André che la donna che aveva di fronte possedeva una forza insospettabile, che traspariva solo dallo sguardo, fermo e deciso.
   «Grazie» rispose André, stando bene attento ad afferrare saldamente i manici, con la strana sensazione di averla già incontrata. Si guardarono ancora per un attimo, poi il ragazzo si infilò in un taxi e si diresse verso la stazione ferroviaria, sperando di essere ancora in tempo per prendere il treno per Rouen.

*

La donna che aveva aiutato André guardò il giovane biondo sparire. Dopo anni di attesa il suo istinto si era risvegliato e lei aveva capito di dover andare in Francia. Ora che aveva incontrato quel ragazzo, però, sentiva di non avere più un motivo per restare lì. Così si voltò e rientrò nell’aeroporto, verso un altro aereo e un’altra destinazione.

*

Dopo oltre tre ore di attesa, Sofia saltò su. Finalmente l’aveva percepito.
   «Ci siamo Nabeela!» gridò alla Fenice, che volò immediatamente verso di lei. Un istante dopo, erano svanite.

*

«Sofia!».
   «Ciao Giovanni» rispose allegramente la ragazza.
   L’uomo scrutò tutt’intorno, guardingo, aspettandosi di veder comparire qualcun altro.
   «Sta’ tranquillo, sono sola e non sono venuta per combattere. Abbiamo siglato una tregua, no?» continuò Sofia sullo stesso tono, interpretando correttamente l’atteggiamento del suo vecchio insegnante.
   «Come facevi a sapere che ero qui?» chiese Giovanni, ancora poco convinto.
   «Intuito» rispose lei ironica.
   «Be’, siediti» la invitò lui, accomodandosi sull’erba sotto l’ippocastano che si trovava al Centro. Sofia non se lo fece ripetere due volte.
   «Sono venuta qui» esordì, anticipando le domande dell’uomo «per parlare con te».
   Lui annuì. «Me l’aspettavo. Vuoi sapere se ho scoperto cos’è capitato quel giorno, durante la battaglia, quando il nostro potere è esploso».
   La ragazza rimase in attesa, aspettando che l’altro le dicesse se e quali informazioni aveva trovato.
   «Purtroppo non ho scoperto nulla» disse Giovanni. «Ho ricontrollato in biblioteca ma non ho trovato nessun cenno a fenomeni come quello capitato a noi».
   Contrariata e delusa, Sofia poggiò la fronte sulle ginocchia e si afferrò i capelli, borbottando parole incomprensibili.
   «Sofia, mugugnare non ci aiuterà» disse l’italiano, paziente. «Dobbiamo trovare un altro modo per scoprire cos’è accaduto»
   «Io ce l’ho già, un altro modo» disse lei imbronciata. «È per questo che mugugno» rispose, facendogli il verso.
   «Avanti, sentiamo» la esortò Giovanni.
   «Ho pensato parecchio all’eventualità che non riuscissimo a trovare una spiegazione nelle biblioteche. Evidentemente, quello che ci è capitato è un fenomeno assolutamente unico nel suo genere, perciò non c’è modo di saperne di più cercando dei precedenti» esordì Sofia.
   «E allora non ci resta che rassegnarci al fatto che non riusciremo mai a risolvere il mistero» disse Giovanni con una scrollata di spalle.
   «Non ho finito». Gli occhi di Sofia brillavano di impazienza. «Quando cercavamo informazioni sui Portatori d’Energia, in due o tre villaggi che ho visitato – e in un’occasione c’eri anche tu – alcuni anziani hanno accennato a fenomeni unici, privi di spiegazione. Hanno detto anche che c’è un solo modo per scoprire la verità su questi fatti».
   «Io non ricordo assolutamente nulla al riguardo» disse l’uomo, aggrottando le sopracciglia nello sforzo di far riemergere le memorie di quei lunghi e difficili viaggi.
   «Allora penserò io a rinfrescarti la memoria. Hanno detto che quasi sempre l’accadimento di queste vicende è scritto nel destino delle persone e che non si può fare nulla per evitarle. L’unica possibilità di scoprire come stanno le cose è rivolgersi a un Custode della Verità» esclamò Sofia, immaginando quale sarebbe stata la reazione dell’uomo.
   Dopo un lungo silenzio meditabondo, infatti, Giovanni alzò lo sguardo sulla ragazza e scoppiò in una violenta risata, tanto da cadere disteso a terra.
   «Ho capito... mi stai prendendo in giro! Sì, è sicuramente così» disse infine, rialzandosi e asciugandosi gli occhi mentre tentava di riprendere fiato.
   Sofia scosse la testa. «Sono terribilmente seria, Giovanni. Vedi un altro modo?».
   «Quello che vedo è che hai sviluppato un istinto suicida. Sai che voci circolano sui Custodi della Verità?».
   Lei annuì. «Rarissimi, incredibilmente difficili da rintracciare, sono i depositari delle Profezie sui Portatori degli Elementi. Potentissimi e poco socievoli» sintetizzò la ragazza, glissando sulle innumerevoli storie che parlavano di Portatori uccisi dai Custodi della Verità solo per aver chiesto una spiegazione su fenomeni misteriosi. I più fortunati erano stati ridotti in cenere e di fatto, a memoria d’uomo, non c’era mai stato nessuno che fosse riuscito a farsi consegnare una Profezia da un Custode.
   «Allora è inutile dirti che cercare un Custode della Verità è una pazzia. Meglio restare nell’ignoranza» disse l’uomo.
   «Oh, non m’interessa quello che possono farmi i Custodi. Voglio sapere a ogni costo cos’è successo quel giorno» insisté Sofia. Giovanni la guardò di sbieco.
   «Perché devi essere sempre così ostinata?» le domandò.
   «Perché qualcuno mi ha insegnato a non farmi spaventare dalle difficoltà e a fare tutto il possibile per conoscere gli Elementi e i Portatori» rispose la ragazza, guardandolo con aria di sfida.
   «E va bene, ci andremo» sbuffò l’uomo, cedendo. «Hai almeno una vaga idea di dove potremmo iniziare a cercare?»
   «Ovviamente sì» rispose lei. Chiamò Nabeela e, afferrando l’uomo che aveva di fronte, si aggrappò alla coda della Fenice, trascinandolo con sé nella solita lingua di Fuoco.

*

In piedi di fronte al portone d’ingresso, Laurence bussava inutilmente. La persona che cercava abitava ancora là – la targhetta sul citofono glielo aveva confermato – ma evidentemente in casa non c’era nessuno.
   Si calò la visiera del cappellino sugli occhi, prese un mazzo di fiori da un venditore ambulante e tornò indietro.
   Salì le scale della casa accanto e suonò il campanello.
   «Chi è?» gracchiò una voce femminile dall’altoparlante.
   «Devo consegnare dei fiori alla signora Seamons» disse Laurence con disinvoltura.
   «Ha sbagliato, la signora Seamons abita nella casa accanto. Ma in ogni caso è partita» gracchiò di nuovo la voce.
   «Partita? E dov’è andata?» domandò l’uomo preoccupato.
   «Non ne ho idea. E comunque, a lei cosa importa?» chiese la voce, divenuta improvvisamente sospettosa, prima di chiudere la comunicazione.
   Perplesso, Laurence attraversò la strada e se ne andò, abbandonando i fiori su un muretto.

*

Passeggiando per Staten Island Blaze osservava con attenzione le villette in stile coloniale che si succedevano una dopo l’altra. Il caldo era soffocante; si fermò a riposare su una panchina, all’ombra degli alberi, ascoltando un gruppetto di ragazzi schiamazzare allegramente.
   «Allora ci vediamo stasera!».
   Una ragazza di circa sedici anni passò accanto a Blaze senza notarlo; al grido di saluto dei suoi amici si voltò per rispondere. Sotto una zazzera di corti capelli neri e scompigliati, il ragazzo scorse un volto familiare.
   Mentre la giovane gli dava nuovamente le spalle e si allontanava, lui scattò in piedi.
   «Kaitlin!» gridò con tutto il fiato che aveva in gola.
   La ragazza si voltò, con gli occhi sbarrati.
   «Blaze?» disse sconvolta, prima di corrergli incontro e saltargli in braccio. «Non ci credo, non ci posso credere, sei tornato!» esclamò scoppiando in lacrime.
   «Sorellina, sorellina mia...» disse Blaze, accarezzandole i capelli e singhiozzando più forte di lei.
   «Ma dove sei stato in tutti questi anni... perché, perché te ne sei andato?» gli domandò Kaitlin, staccandosi dall’abbraccio per guardarlo negli occhi.
   «Non ho deciso io di andarmene... è una storia lunga e complicata. Prometto che ti racconterò tutto» rispose lui con un sorriso.
   «Ma... mamma e papà! Ancora non sanno che sei tornato, vero?» disse la ragazza, battendosi una mano sulla fronte.
   «No, non sono ancora andato da loro».
   «E allora muoviamoci!». Così dicendo, Kaitlin afferrò suo fratello per un braccio e correndo lo trascinò verso la casa in cui erano cresciuti.

*

Sbuffando, André imboccò Rue Grand Pont. Il caldo a Rouen era insopportabile.  
   «Ma dove accidenti era...» borbottò tra sé e sé, cercando la Cattedrale di Notre-Dame. Alla fine intravide l’imponente edificio alla sua sinistra. Superò la piazzetta che si apriva davanti alla facciata della Cattedrale e si fermò pochi metri più avanti, di fronte a un portone. Frugò un po’ goffamente nella borsa con la mano sinistra, cercando il mazzo di chiavi che sapeva d’aver messo lì dentro.
   «Oh, non è possibile...» si lamentò ad alta voce. Un uomo gli passò davanti e aprì il portone del palazzo.
   «Deve salire?» chiese gentilmente ad André, che sussultò e non osò alzare gli occhi.
   «Io... no, grazie» rispose con voce flebile.
   L’uomo alzò le spalle, entrò e il portone si richiuse.
   André tirò fuori la mano dalla sacca stringendo nel pugno il mazzo di chiavi e si lasciò andare contro il muro, mentre con gli occhi chiusi prendeva dei respiri profondi. Mezz’ora dopo si decise a entrare.
   Salì le scale fino all’ultimo piano, cercando la porta giusta. Alla fine la individuò, ma non ebbe il coraggio di aprirla. Così si limitò a bussare.
   L’uomo che poco prima gli aveva rivolto la parola aprì la porta.
   «Sì?» domandò perplesso, osservando la testa bionda del giovane, che tentennò prima di alzare gli occhi.
   L’uomo rimase ammutolito per qualche istante e il suo volto perse ogni colore, come se avesse visto un fantasma. Poi scattò in avanti e abbracciò il ragazzo, che si strinse alla sua camicia come a un’ancora di salvezza.
   «Liliane!» gridò l’uomo, chiamando sua moglie. Lei arrivò di corsa.
   «Maurice ma cosa...» iniziò, notando solo di sfuggita la figura che suo marito stringeva tra le braccia. Un momento dopo, il suo istinto di madre ebbe il sopravvento. «André!» singhiozzò, facendosi avanti e abbracciando a sua volta il figlio che aveva perso nove anni prima. Maurice afferrò entrambi e li trascinò in casa, chiudendosi la porta alle spalle.

*

Con gli occhi chiusi, Giovanni prese un respiro profondo.
   «Riconoscerei l’aria di casa ovunque» disse sorridendo.
   «Ma come siamo sentimentali! Andiamo che è meglio» disse Sofia, prendendolo per un braccio e tirandoselo dietro.
   Roma li accolse, splendida sotto il sole d’agosto.
   «Perché mi hai portato qui?» chiese Giovanni, procedendo a passo lento e godendosi il panorama – pur conoscendolo a memoria – incurante dell’impazienza di Sofia.
   «Dobbiamo vederci con alcune persone» rispose lei, afferrando il cellulare e digitando rapidamente un numero di telefono. Dopo un paio di squilli, la persona all’altro capo rispose.
   «Sono a Roma. Riusciamo a vederci tra mezz’ora a Piazza Venezia?» disse Sofia immediatamente. La risposta che ricevette la fece sorridere soddisfatta. «Ovvio che devono esserci anche loro!» aggiunse in tono incredulo, prima di riagganciare.
   «Chi era?» domandò Giovanni, incuriosito.
   «Un’amica» rispose vaga la ragazza, conducendolo di fronte all’Altare della Patria.
   Esattamente mezz’ora dopo, un gruppetto di tre ragazze li raggiunse.
   «Sofi!» gridarono in coro, abbracciandola. Lei rispose con pari entusiasmo.
   «Martina... Aleja... Claire...» disse, nominandole a mano a mano che le abbracciava.
   «Sì può sapere dov’eri sparita? Ti sei persa il mio compleanno!» disse Aleja, osservandola con aria di rimprovero attraverso la frangetta bionda.
    «E anche gli ultimi cambiamenti dei tuoi capelli. Ormai sono quasi bianchi... quando smetterai di decolorarli?» chiese Sofia, indicandole la testa.
   Gli occhi azzurri dell’altra scintillarono divertiti. «Mai, è ovvio!».
   Martina si rivolse a Sofia. «Aleja ha ragione... dove accidenti eri finita? Sono mesi che non ti fai vedere né sentire!»
   «Oh... be’, ho avuto qualche problemino. Grazie a lui» rispose, indicando Giovanni.
   Le occhiate che le tre ragazze gli avevano rivolto di nascosto divennero esplicite.
   «Finalmente! Volevo proprio chiederti chi fosse questo tuo amico...» disse Claire, osservandoli con aria maliziosa.
   «Aha! Ecco perché eri sparita... eri con lui! Brava, brava» rincarò la dose Martina.
   L’oggetto delle loro insinuazioni divenne scarlatta, pur essendo abituata a quegli scherzi: se li facevano l’un l’altra da quando si erano conosciute.
   «Volete smetterla? Avete capito male, non ero con lui...» iniziò. Aleja la interruppe.
   «Be’, Michele sarà felice di saperlo!» sghignazzò.
   Sofia le rivolse uno sguardo assassino e l’altra tacque immediatamente.
   Giovanni si girò verso di lei.
   «E questo Michele chi sarebbe?» chiese con aria minacciosa. Sofia non si scompose.
   «Nessuno, e in ogni caso non ti riguarda» rispose, simulando indifferenza.
   «Nessuno?» le fece eco Aleja, incredula. Sofia decise di distogliere l’attenzione generale.
   «Lasciate che proceda alle presentazioni... Giovanni, loro, come avrai già capito, sono tre mie carissime amiche: Aleja, Claire e Martina. Ragazze, lui è Giovanni».
   «Quel Giovanni?» chiesero in coro, mentre il sorriso spariva dai loro volti. Le loro Aure esplosero, investendo in pieno Sofia e Giovanni: la prima, che se lo aspettava, si protesse quel tanto che bastava per non esserne colpita; il secondo, invece, fu sospinto indietro di alcuni passi.
   «Ma... sono delle Portatrici!» disse incredulo.
   «E sono arrabbiate. Ti consiglio di stare attento» precisò Sofia, divertita.
   Le tre ragazze continuarono a scrutarlo con aria torva. Lo misuravano con lo sguardo, come se stessero decidendo in quale punto fosse meglio colpirlo.
   «Lasciatelo stare, abbiamo cose più importanti di cui occuparci... a questo proposito, mi servirebbe un’informazione» disse Sofia, osservando le altre tre ragazze. «Claire, come va il corso di fotografia?» domandò in tono leggero.
   «Benissimo, perché?» ribatté l’altra, perplessa. Sapeva che la sua amica voleva chiederle qualcos’altro.
   «Mi domandavo... ricordi quegli strani cerchi di luce che hai fotografato un anno e mezzo fa?»
   «Certo che me li ricordo... sto ancora cercando di scoprire cosa fossero».
   Giovanni s’intromise nella conversazione.
   «Oh, sicuramente erano degli UFO» disse in tono di scherno e guadagnando immediatamente quattro occhiatacce.
   «Sei un idiota» disse Sofia, calmissima. «I cerchi di luce di cui parliamo non si trovavano in cielo. Comparivano a mezz’aria e poi si schiantavano a terra, allargandosi per una ventina di metri, prima di svanire».
   Ignorandolo, le quattro ragazze si immersero di nuovo nella conversazione.
   «Perché ti interessano tanto quei cerchi?» chiese Martina.
   «Forse ho capito da cosa sono prodotti» replicò Sofia. «Però per averne la certezza voglio recarmi lì e controllare... c’erano insediamenti, nei paraggi?» disse, rivolgendosi di nuovo a Claire.
   «Sì, c’era un villaggio a qualche chilometro, verso Sud-Est... Akasha» la informò.
   «Hai intenzione di andare là?» le domandò Aleja in tono preoccupato.
   Sofia annuì.
   «Be’, sta’ attenta. Non vedono di buon occhio gli stranieri, laggiù» si raccomandò Claire.
   «Sarò prudente» promise l’altra, sorridendo. «Ah, quando tornerò dovete assolutamente venire a trovarmi... voglio presentarvi un po’ di persone».
   Le altre tre assentirono entusiaste.
   «Allora ci sentiamo tra qualche giorno» disse Sofia mentre si salutavano.
   «Vedi di tornare in tempo per il mio compleanno, sai bene che è tra due settimane!» le gridò dietro Martina.
   Sofia le fece cenno di averla sentita e sghignazzò. Mentre cercava un posto abbastanza riparato per chiamare Nabeela, Giovanni la bombardò di domande sulle tre ragazze che avevano appena incontrato.
   «Si può sapere quando le hai conosciute?» le stava appunto chiedendo. La ragazza sbuffò.
   «Pensavi davvero che durante i miei viaggi non parlassi con nessuno?» disse sarcastica, controllando l’angolo in cui si trovavano, riflettendo. Non era il massimo, ma poteva andare... o almeno era quello che aveva pensato fino a quando un gruppo di turisti chiassosi passò loro davanti. «Qui non va bene» annunciò, riprendendo a camminare.
   «E come vi siete incontrate?»
   «Ascoltando una radio sul web... c’era una chat annessa e quando potevo mi collegavo. Abbiamo iniziato a chiacchierare e abbiamo fatto amicizia» rispose distrattamente.
   «Ma non sono italiane, almeno a giudicare dai nomi di Aleja e Claire» notò Giovanni.
   «No infatti, la prima è spagnola e la seconda francese. Martina invece, a dispetto del nome, è irlandese, ma tutte e tre hanno ascendenze italiane... ecco perché si sono trasferite a Roma»
   «E sono delle Portatrici. Interessante» disse l’uomo tra sé e sé. Sofia lo guardò male.
   «Non pensarci neanche. Loro restano qui» lo avvertì. Poi si guardò intorno, aggrottando la fronte. «Non senti qualcosa di strano?» chiese, voltandosi verso Giovanni.
   «Veramente no, ma sto trattenendo l’Aura» replicò lui. Poi assunse un’aria perplessa. «Hai ragione, c’è qualcosa di strano. Percepisco qualcosa di simile a un’Aura Sensibile»
   «Hai detto bene. Qualcosa simile a un’Aura Sensibile... ma è inconsistente. Troppo. Non credo che chi emani questa... cosa... riesca a percepirci» replicò la ragazza. Ruotò su se stessa, osservando il vicolo in cui si erano infilati e controllando le mura verso l’alto. Poi Giovanni le diede una bottarella sulla schiena.
   «Guarda lì» le bisbigliò, accennando con la testa all’imboccatura del vicolo.
   Sofia seguì il suo sguardo. Alcuni metri più avanti, un occhio scuro e lucente li osservava nel piccolo spazio tra il muro e il palo di un lampione.
   «Ti abbiamo visto. Che cosa vuoi?» disse con calma, pur tenendosi pronta a combattere. Sentì Giovanni, accanto a sé, tendersi, pronto a scattare. Come lei, era preoccupato dall’improvvisa comparsa di quell’entità che non riuscivano a identificare, anche se a Sofia comunicava uno strano senso di familiarità.
   Contrariamente a quanto si erano aspettati, l’occhio si affacciò nel vicolo, seguito da un volto e da un corpo.
   «Non lo so. Sapevo solo di doverti seguire» disse a una Sofia più che mai sbalordita.
   Giovanni la fissò preoccupato. «Sofi cos’hai? La conosci?».
   «No, ma credo proprio di conoscere suo marito» rispose con voce strozzata. Poi fissò intensamente la donna che aveva di fronte. «Ambrosine?»
   Il sorriso che l’altra le rivolse fu una conferma sufficiente.
   Facendosi avanti, Sofia chiamò Nabeela. «Dobbiamo andare, e di corsa» disse, afferrando la donna e aggrappandosi con Giovanni alla coda della Fenice.

*

Mentre camminava distrattamente per le strade di Londra, Laurence sentì qualcosa di strano. Si guardò intorno, scosse la testa e mosse qualche altro passo. Poi lo sentì di nuovo.
   Pochi metri più avanti, un vicolo si apriva alla sua destra. Vi si infilò velocemente e subito qualcosa di setoso lo sfiorò.
   «Nabeela, sei proprio tu allora!» disse stupefatto. Poi la preoccupazione ebbe il sopravvento; sapeva che la Fenice poteva essere stata mandata a lui solo da Sofia. Chiedendosi cosa potesse essere successo di tanto grave, sparì insieme a Nabeela.

*

Senza fiato, Laurence riapparve sul prato che ormai conosceva bene. Mentre Nabeela volava via, scorse Gregory e Giovanni comodamente seduti sull’erba che parlavano.
   «Razza di...!» esclamò, fissando il primo. I due non si scomposero.
   «Sofi, è arrivato!» gridò Gregory voltandosi verso la porta.
   Sofia uscì come una furia.
   «Sofi, cos’è successo?» chiese Laurence, avvicinandosi alla ragazza. «E cosa ci fa lui qui?» aggiunse, indicando Giovanni.
   «Oh, non ti preoccupare di lui. L’ho chiamato io, dobbiamo cercare una cosa... infatti eravamo a Roma quando abbiamo trovato qualcosa che ti appartiene» rispose lei con un sorriso. Si sporse oltre l’angolo e fece un cenno.
   «Cos’è che avreste trov...» iniziò Laurence. La comparsa della donna che aveva seguito prima André e poi Sofia lo interruppe.
   Senza dire una parola, i due si avvicinarono e si strinsero. In silenzio, Gregory, Giovanni e Sofia se ne andarono, lasciandoli soli. Molto tempo dopo, Laurence lasciò andare Ambrosine e le afferrò le mani.
   «Mi dispiace così tanto, Ambrosine» disse in tono stanco, tenendo lo sguardo fisso a terra. Lei sembrò non capire.
   «Non capisco di cosa ti stai scusando» disse dolcemente, accarezzandogli una guancia.
   «Di essere sparito, quasi dieci anni fa. Non fui io a deciderlo, ma non posso comunque perdonarmi di non essere riuscito a tornare da te molto prima. Le cose sarebbero andate diversamente... saremmo rimasti insieme, avremmo vissuto la vita che avevamo sempre desiderato... mi avrai odiato, per tutto questo» disse; la sua voce si spezzò.
   Ambrosine lo guardò, sorpresa dalle sue parole.
   «Ma, Laurence» iniziò «come potrei odiarti? Ti ho amato dalla prima volta che ti ho visto, e poi sapevo che non te ne eri andato di tua volontà, così come sapevo che non eri morto!»
   «Morto? Che significa?» domandò lui, non capendo a cosa sua moglie si riferisse. Non aveva mai saputo in che modo i Maestri del Centro avevano coperto la sua sparizione.
   «Sì... dissero che eri caduto fuoribordo, durante la tempesta, e che nessuno se n’era accorto fino all’arrivo della nave» lo informò Ambrosine. «Tutti la considerarono una terribile disgrazia, ma io non ci ho mai creduto» aggiunse.
   «Ma che razza di...» ruggì lui, prima di interrompersi. «Aspetta un momento...perché tu non ci hai creduto?»
   «Non lo so. La spiegazione dei fatti era logica, e convincente, ma sapevo che non era la verità. Sapevo anche che eri vivo e stavi bene... in alcuni momenti potevo quasi sentirti come se fossi stato fisicamente accanto a me, spesso intuivo i tuoi stati d’animo... specialmente quando soffiava il vento» rispose la donna, come se nulla fosse.
   Laurence la guardò con gli occhi fuori dalle orbite. Ambrosine sembrò perplessa.
   «Perché mi guardi in questo modo?» gli domandò.
   Rapidamente, Laurence le spiegò il motivo per cui era stato rapito e cosa era in grado di fare, dandogliene una dimostrazione pratica.
   «Per questo sono rimasto tanto stupito quando hai detto che mi sentivi, in particolar modo durante le giornate ventose» concluse. Poi la guardò preoccupato. «Temo che tu abbia delle particolari capacità, differenti rispetto a quelle di noi Portatori...»
   «Ed è un male?» chiese lei.
   «No, certo che no... ho solo paura che qualcuno possa tentare di portarti via per sfruttare questa tua dote. Finché sei qui non dovresti correre rischi... in ogni caso, guardati da Giovanni» la ammonì.
   «Giovanni? L’uomo che era con quella ragazza bassa a Roma?»
   «Proprio lui. È a causa sua se sono sparito per tutti questi anni»
   «Oh, non devi preoccuparti di quell’uomo. Non è una minaccia... sta cercando di scoprire la verità riguardo alla strana manifestazione di un potere e ora la sua mente è totalmente concentrata su questo. Inoltre è troppo preso dalla curiosità... vuole cercare una persona» replicò Ambrosine.
   «E tu come lo sai? Te lo ha detto lui?» chiese Laurence, incredulo. Era certo che Ambrosine non sapesse nulla su quanto era accaduto tra Sofia e Giovanni durante la battaglia di un mese prima, e ancor meno su chi o cosa Giovanni progettasse di trovare.
   La donna aggrottò la fronte, riflettendo.
   «No, non mi ha rivolto neanche una parola. Ma nel momento in cui mi sono avvicinata a lui... queste cose, e molte altre, mi sono saltate alla mente. Come se le avessi sempre sapute, ma mi fossero sfuggite dalla memoria» rispose, tentando di spiegarsi.
   A ogni parola, Laurence assumeva un’aria sempre più terrorizzata. Il potere che stava sgorgando da Ambrosine era di un tipo a lui totalmente sconosciuto, e temeva le conseguenze che avrebbe potuto produrre – direttamente o indirettamente – sulla sua amata moglie.
   «E ti è capitato anche con gli altri?» le domandò.
   Lei annuì.
   «Sì... con te, con la ragazza... Sofia, giusto? E anche con l’altro uomo... l’americano, con gli occhi azzurri. Ah, ed è stato lo stesso con il ragazzo biondo» disse, ricordando i Portatori che aveva incrociato quel giorno.
   «Ragazzo biondo? Chi, dove?» chiese ancora Laurence. Invece di chiarirsi, la situazione si complicava sempre più.
   «Oh, quello che ho seguito a Parigi, all’aeroporto...» rispose vaga Ambrosine.
   «Alto, con una grande cicatrice intorno al polso destro?» indagò lui.
   «Sì, proprio così. Non riusciva ad afferrare la valigia» confermò la donna. «Avevo capito di dover andare al Roissy-Charles de Gaulle, ma dopo aver incontrato quel ragazzo ho avuto una strana sensazione... come se non avesse più senso stare lì. Ero indecisa tra andare a New York o a Roma ma alla fine ho optato per la seconda, visto che era più vicina» aggiunse.
   «New York...da Blaze» disse tra sé e sé Laurence, guardando oltre la testa di Ambrosine con gli occhi vitrei. Dopo aver riflettuto per un minuto, si scosse.
   «Andiamo da Sofia. Dobbiamo assolutamente scoprire la natura di questo tuo potere, e se c’è qualcuno che può avere qualche informazione, è di certo lei» decise, prendendola per mano e conducendola all’interno dell’edificio.

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Capitolo 3
*** Akasha ***


«Sei sicura di non sapere nulla?»
   «Mi dispiace, ma non ne ho la minima idea».
   Dispiaciuta, Sofia fissò il suo amico. Da quando Ambrosine aveva ripetuto a lei, Gregory e Giovanni quello che aveva detto a Laurence riguardo alle proprie percezioni, i cinque avevano rivoltato la biblioteca per ben due giorni, purtroppo senza risultati. I poteri di Ambrosine restavano privi di spiegazione.
   Giovanni si passò una mano sugli occhi, massaggiandosi le occhiaie.
   «Non dormiamo da due giorni. Come possiamo partire in queste condizioni?» chiese a Sofia, che lo guardò alzando un sopracciglio.
   «Come mai tanta fretta? Dal tuo atteggiamento mi era sembrato che non ti importasse granché di scoprire cosa ci è successo» replicò.
   L’uomo le rivolse una smorfia. «Non credevo ci fosse un modo. Non avrei mai pensato di cercare un Custode».
   «State cercando un Custode della Verità?» indagò Gregory con gli occhi fuori dalle orbite. I due annuirono. «Be’, allora siete pazzi» decretò lui.
   «Custodi della Verità? Ma cosa sono?» domandò Laurence.
   Rapidamente, gli altri tre dissero a lui e ad Ambrosine il poco che sapevano al riguardo. Quando tacquero, il volto di Laurence s’illuminò.
   «È così che faremo. Porteremo Ambrosine da un Custode della Verità e lui ci dirà da dove viene il suo potere e di che natura è» decretò.
   Guardandolo in modo strano, Sofia gli lasciò a stento terminare la frase.
   «Non hai sentito quello che abbiamo detto? Da secoli nessuno riesce a ottenere risposte da un Custode. Nel migliore dei casi, degli interroganti resta a stento un mucchietto di cenere. Tu faresti correre un rischio simile ad Ambrosine? Senza contare che non sappiamo cosa sia, ma di certo non è una Portatrice, e si dice che i Custodi posseggano la Verità solo riguardo ai Portatori. C’è la possibilità che neanche loro sappiano che tipo di potere sia quello di Ambrosine. No, Laurence, dovremo trovare un altro modo per scoprirlo».
   «Non puoi decidere tu, Sofia». Laurence s’inalberò di fronte al suo rifiuto.
   «No, ma posso consigliarti. Inoltre, se vogliamo essere precisi fino in fondo, la decisione dovrebbe essere di Ambrosine, mentre a me sembra che questa scelta sia stata solo tua. Lei non ha detto una parola al riguardo».
   Tutti si voltarono verso la donna che, in silenzio, rifletteva.
   «Non so, Laurence» disse infine «a me è sufficiente averti ritrovato. Non m’interessa scoprire perché so tutte queste cose».
   Sentendosi isolato, l’uomo si rivolse di nuovo a Sofia.
   «Secondo me non dovresti andare neanche tu. Stando a quello che hai detto, è un suicidio!»
   «Te l’avevo detto, che era un proposito folle» bofonchiò Giovanni alla ragazza. Lei li ignorò entrambi.
   «Questo pone un altro problema. Se troveremo un Custode e subiremo lo stesso destino dei Portatori che ci hanno preceduti, al Centro non ci sarà un Maestro del Fuoco che possa continuare ad addestrare gli allievi» disse a Giovanni, che abbassò lo sguardo.
   «Non ci avevo pensato» ammise «ma sono certo che Jackson e Tsukiko troveranno un rimpiazzo, come stanno facendo per Prudencia».
   Al nome della donna che aveva ucciso, lo stomaco di Sofia si strinse, ma non durò che un istante; Laurence, infatti, reclamò di nuovo la sua attenzione.
   «Hai parlato del Centro... ma noi come faremmo, se un Custode dovesse ucciderti?» le chiese.
   «Voi avete Costa... non ci sarebbero problemi» rispose la ragazza.
   «Costa è potente e ben addestrato, ma non è te» precisò Gregory. «Inoltre sei una degli unici tre Testimoni viventi... se tu e Giovanni doveste morire, il vostro immenso potere andrebbe sprecato».
   «Questa è una decisione che non riguarda nessuno se non noi» s’intromise Giovanni, facendo fronte comune con Sofia.
   «In ogni caso» disse la ragazza, afferrando il cellulare «c’è un Maestro del Fuoco che potreste chiamare, se dovesse capitarmi qualcosa. Vi basterà dirgli che vi ho detto io di contattarlo. Questo è il suo numero» aggiunse, scribacchiando rapidamente un numero di cellulare su un pezzo di carta. Poi ci ripensò e aggiunse altri tre numeri, scrivendo accanto a ognuno un nome. «Questi sono i numeri di tre mie carissime amiche... se dovesse capitarmi qualcosa, chiamale e avvertile» concluse, rivolgendosi a Laurence e consegnandogli il foglio.
   «Allora sei proprio sicura?» insisté Gregory, guardandola con aria quasi implorante. La ragazza annuì.
   Giovanni, intanto, scriveva frenetico. Dopo aver riempito due fogli, li ripiegò accuratamente.
   «Allora, vogliamo andare?» gli chiese Sofia, alzandosi in piedi.
   «Perché tutta questa fretta? Pensavo che prima ci saremmo riposati» si lagnò lui.
   «Smettila di lamentarti... non ti si addice» replicò la ragazza, dandogli una spintarella. Giovanni si alzò.
   «Prima di andare ad Akasha, dobbiamo passare un attimo al Centro» disse, mentre a un cenno di Sofia Nabeela entrava dalla finestra.
   «Va bene» rispose lei con un’alzata di spalle. Si aggrapparono alla Fenice e svanirono.

*

«Come mai scegli sempre questo posto?» chiese Giovanni a Sofia, alzando lo sguardo sui folti rami dell’ippocastano.
   «Perché è l’unica cosa del Centro che ricordo con piacere» replicò lei. «Avanti, sbrigati. Io ti aspetto qui».
   Superati gli alberi che lo separavano dal prato Giovanni iniziò a correre, risalendo il pendio. Arrivato sotto le finestre dell’Ala Sud, sfruttando l’ultima aria che aveva nei polmoni, iniziò a chiamare Jackson a gran voce. L’uomo uscì meno di due minuti dopo.
   «Giovanni! Ma dove accidenti eri finito?» esplose.
   Piegato a metà nel tentativo di riprendere fiato rapidamente, l’italiano gli fece cenno con la mano di aspettare. Un minuto più tardi, riuscì a parlare.
   «Sono partito, devo fare una cosa. C’è la possibilità che io non ritorni...»
   «Che significa, che c’è la possibilità che non torni?» ruggì Jackson.
   «Non ho tempo di parlare adesso, devo andare... mi stanno aspettando. Prendi questi» disse Giovanni, mettendogli in mano i fogli piegati «leggili, ti spiegheranno tutto»
   «Giovanni, non puoi fare così!» gli gridò dietro Jackson, mentre l’altro si allontanava correndo come un pazzo.
   «A quanto pare l’ho già fatto!» gli urlò in risposta l’italiano, un attimo prima di sparire.

*

L’aria bollente si richiuse sulle figure appena apparse come se fosse stata solida.
   Boccheggiando, Giovanni si allargò il collo della maglia con due dita.
   «Si può sapere dove siamo?» chiese, osservando il nulla che lo circondava.
   «Deserto della Nubia» rispose Sofia, girando su se stessa. «Guarda, a tre chilometri in quella direzione c’è il Nilo... dovremo attraversarlo, per raggiungere Akasha» disse, puntando un dito verso Est.
   «Se Akasha è di là, perché hai detto a Nabeela di portarci qui?» indagò Giovanni, osservando la giovane che aveva accanto come se fosse pazza.
   «Per due motivi» fu la risposta. «Innanzitutto non possiamo apparire dal nulla, con una Fenice, in prossimità di un centro abitato. Si scatenerebbe il finimondo»
   «Giusto. E il secondo motivo?»
   «Prima di andare, volevo farti vedere quelli» disse Sofia, facendolo voltare verso ovest: in lontananza, una strana luce si diffondeva nell’aria rarefatta dal calore. Si incamminarono in quella direzione e dopo pochi minuti si bloccarono. A duecento metri da loro, dei cerchi di luce azzurrina del diametro di venti metri comparivano a intervalli regolari dal nulla a circa venti metri d’altezza, ricadendo verso terra come se fossero dotati di una massa solida e allargandosi in ogni direzione per venti metri, prima di sparire. Dopo averli osservati per un paio di minuti, Giovanni parlò.
   «Interessante. Compaiono a venti metri d’altezza, hanno un diametro di venti metri e si allargano tutt’intorno per venti metri prima di sparire» notò.
   «Già. Sembra un modulo fin troppo preciso» aggiunse Sofia. «Inoltre, non riesco a capire di cosa siano fatti quei cerchi. Non credo sia semplice luce, devono avere una precisa utilità»
   «Credi che costituiscano una difesa?» le domandò l’uomo, distogliendo finalmente lo sguardo dai cerchi di luce per posarlo sulla ragazza.
   «Non vedo a cos’altro possano servire» rispose lei.
   Al centro dei cerchi si levava una grotta in pietra giallina, sbiadita dal sole.
   «Non è strano che ci sia una caverna così, in mezzo al deserto?» chiese Sofia, affascinata.
   «Decisamente insolito» convenne l’altro. «Credi sia il rifugio di un Custode della Verità?»
   «Ne sono quasi certa. Ma ora andiamo ad Akasha... il sole tramonterà presto» disse lei, voltando le spalle alla grotta e incamminandosi verso il Nilo.
   Arrivarono ad Akasha quasi due ore dopo. Trovare il punto migliore per attraversare il fiume si era rivelato più difficile di quanto immaginassero. Giunti nella piazza della cittadina, avvicinarono un gruppetto di uomini che li osservava di sottecchi.
   «Buonasera» disse vivacemente Sofia in inglese, sfoderando un’aria ingenua e il suo sorriso migliore. Nessuno rispose; continuarono a osservarla con sospetto. Un paio di uomini indietreggiarono di qualche passo, stranamente a disagio.
   Per nulla intimorita dal loro silenzio, la ragazza proseguì. «Abbiamo sentito parlare degli strani cerchi di luce nel Deserto della Nubia, e ci chiedevamo se qui c’è qualcuno che possa parlarci di quell’interessante fenomeno».
   Di nuovo, non ottenne risposta; ora gli uomini la guardavano con aperta ostilità.
   «Ecco un altro paio di stupidi turisti ficcanaso che vogliono farsi ammazzare» disse sarcastico un uomo al suo vicino, in arabo; rapida come il fulmine, Sofia lo arpionò al collo con una corda incandescente e lo attirò a sé.
   «Sono certa di non aver capito bene» disse soavemente all’uomo, in arabo «ma ho avuto l’impressione che tu mi abbia chiamata stupida ficcanaso».
   Gli altri uomini, impietriti, fissavano la scena; un paio di loro scattarono in avanti, espandendo le Aure, ma Giovanni si frappose tra loro e la ragazza, espandendo a sua volta la propria Aura fino a sospingerli indietro.
   «Non pensateci neanche» li ammonì.
   «Allora» insisté Sofia, fissando con sguardo duro l’uomo che aveva di fronte e costringendolo in ginocchio «mi dici a chi posso chiedere di quei cerchi di luce, o devo incenerirti?».
   Sentendo il calore intorno al proprio collo aumentare sensibilmente, l’uomo si decise a parlare.
   «A Sud... a Sud della città, poco fuori gli ultimi insediamenti, c‘è una casetta isolata. Ci vive una vecchia... dicono sia una fattucchiera o roba simile, è strana, tutti hanno paura di avvicinarsi» guaì.
   «A Sud, hai detto» ripeté la ragazza; la sua vittima annuì freneticamente, mentre il Fuoco che lo cingeva seguiva i suoi movimenti.
   Sofia fece svanire il Fuoco; il malcapitato non ebbe il tempo di tirare il fiato che la ragazza lo agguantò per il colletto della camicia e lo lanciò verso i suoi amici con forza insospettabile.
   Giovanni, intanto, fremeva. Moriva dalla voglia di attaccare i due Portatori che aveva di fronte. Sofia affiancò l’italiano e guardò il gruppetto con aria seria. Poi socchiuse gli occhi e si sporse leggermente in avanti.
   «Bu!» disse. Incespicando, il gruppo si serrò e corse via a gambe levate. «Patetici» commentò la ragazza, afferrando Giovanni per un braccio. «Dai, andiamo».
   Quando arrivarono alla casa che cercavano era ormai buio pesto; dietro le finestre brillava, solitaria, una piccola luce ovattata. Dopo essersi guardati per un attimo, i due bussarono. La porta si aprì quasi immediatamente.
   «Ahhh» disse una donna. Era molto vecchia; aveva il volto bruciato dal sole e gli occhi neri sprofondati tra le pieghe della pelle. Non c’era un solo angolo del viso che non fosse coperto di rughe, così come le mani, che erano secche e nodose.
   Non sapendo come interpretare quell’esclamazione, i due rimasero immobili.
   «Giovanni, Sofia... vi stavo aspettando. Sapevo che sareste arrivati» proseguì la vecchina, fissando il suo sguardo lucente da uno all’altra e spostandosi. «Entrate».
   Accogliendo l’invito, seguirono la donna in casa; si accomodarono su due sedie, fianco a fianco, mentre la donna chiudeva la porta e si sistemava di fronte a loro.
   «Io sono Samaah» si presentò la vecchia, togliendo un bollitore dal fornello e riempiendo tre tazze. Il profumo del the alla menta si diffuse nell’aria.
   «Come sapeva chi siamo e che saremmo venuti da lei?» chiese Sofia dopo aver bevuto un sorso di the. La vecchia scoppiò in una risata un po’ affannosa.
   «Bambina mia, io sono una Sibilla... come potevo non saperlo?» disse infine.
   «Lei è una Sibilla?» ripeterono in coro Giovanni e Sofia. In tutti i viaggi che avevano intrapreso, non ne avevano mai incontrata una.
   «Proprio così. Tuttavia non credo di potervi aiutare. Noi Sibille possiamo predire il futuro solo alle persone normali... i Portatori sfuggono in gran parte alla nostra Vista. Dovete rivolgervi altrove...ma questo lo sapete già» disse Samaah.
   «Però lei sa perché siamo qui. Sa cosa vogliamo sapere» insisté Giovanni.
   «Lo so benissimo, ma voi non comprendete i misteri della Vista e della Verità. Ci sono segreti che possono essere rivelati solo se si domanda, e misteri che possono essere svelati solo se a domandare sono i giusti» cantilenò la vecchia.
   «Allora ci dica... dei cerchi di luce. Quelli nel Deserto della Nubia, a pochi chilometri da qui» disse Sofia.
   «Bambina, quelli non sono gli unici cerchi. Ce ne sono altri, sparsi per il mondo, più potenti e meno potenti» rispose la donna.
   «Sono la protezione dei Custodi della Verità?» chiese Giovanni. Samaah annuì, prendendo un altro sorso di the.
   «Non tutti i Custodi sono uguali. La Verità non si può apprendere e custodire tutta insieme: deve essere posseduta per gradi» spiegò lei.
   «Come si può interrogarli senza correre il rischio di essere uccisi?» domandò Sofia.
   «Questo nessuno lo sa. Io posso solo consigliarvi di conoscere meglio la storia dei Custodi della Verità, prima di tentare un contatto»
   «Abbiamo cercato informazioni» disse Sofia sconsolata «ma non abbiamo trovato nulla».
   La vecchia si alzò e iniziò a frugare dentro un baule.
   «Forse ho qualcosa per voi» disse, continuando a cercare. Alla fine trasse dal baule due rotoli di spessa pergamena. Si rialzò faticosamente e tornò al tavolo. «Qui c’è qualcosa che potrà esservi utile. In questo manoscritto troverete una serie di informazioni sui Custodi della Verità e l’elenco dei segni rivelatori della loro presenza» disse indicando il primo rotolo, tenuto insieme da un largo nastro azzurro. «Qui, invece, è riportata un’antichissima leggenda su un Custode della Verità» proseguì, indicando il secondo rotolo: aveva l’aria vecchia e consunta e i due nastri che lo legavano – che un tempo dovevano essere stati uno nero e uno rosso scuro – erano sbiaditi. «Nessuno ha mai dato importanza a questa vecchia storia, ma io vi consiglio di leggerla ugualmente. Abbandonate i pregiudizi, quando studierete queste pergamene e vi recherete dai Custodi: perché il pregiudizio è l’unico, vero, insormontabile ostacolo tra l’uomo e la Verità» concluse Samaah.
   Calò il silenzio; comprendendo che la donna non avrebbe detto loro altro, Giovanni si alzò.
   «È stata molto gentile, Samaah. Ci scusi per il disturbo» disse l’uomo, insolitamente cortese.
   La vecchia scoppiò di nuovo a ridere.
   «È inutile reprimere la propria natura; riemerge sempre, qualunque cosa si faccia per cambiarla» gli disse con un ghigno. Poi fece loro strada verso una porta. «In casa mia non c’è posto, per voi» disse, conducendoli all’esterno «ma in quel vecchio fienile potrete dormire. C’è della paglia, così starete più comodi» aggiunse, indicando una piccola capanna che sembrava dovesse crollare al primo soffio di vento.
   «Veramente noi...» esordì Giovanni, ma Sofia lo bloccò.
   «È molto gentile da parte sua, Samaah. Grazie» rispose con energia.
   Mentre Giovanni le guardava stupefatto, Samaah fissò attentamente la ragazza.
   «Passare la notte sotto le stelle del deserto può essere illuminante» le disse, strizzando un occhio.
   Il tonfo della porta che si chiudeva scosse le due figure immobili dai propri pensieri.
   «Andiamo va’» disse Giovanni, entrando nella capanna con aria scontenta. Sedette sulla paglia, cercando di sistemarsi il più comodamente possibile. Si sdraiò ed emise uno sbuffo irritato. «Il tetto è pieno di buchi» annunciò.
   Sofia entrò nella capanna, chiuse la porta e si sdraiò sulla paglia senza fare troppe scene. Aveva affrontato di peggio di una notte di sonno su un giaciglio improvvisato.
   «Non hai sentito Samaah? Passare una notte nel deserto, sotto le stelle, può essere illuminante» disse divertita, sistemando le due pergamene dietro la propria testa.
   «Proprio non capisco perché siamo ancora qui. Chiamiamo Nabeela e torniamo in Irlanda!» sbottò l’uomo. La ragazza lo guardò, esasperata.
   «Di’ un po’, Giovanni, da quando sei così tardo? Samaah è una Sibilla, sapeva che saremmo venuti da lei e di certo sa anche come siamo arrivati. Ci sta facendo dormire qui perché questo ci aiuterà a capire molte cose».
   «Senti un po’, Sofi» replicò Giovanni, offeso dall’insulto della ragazza «Samaah sarà anche una Sibilla, ma secondo me in fondo non è che una vecchia. L’età l’ha resa un po’ svitata. Cos’è che dovremmo capire, dormendo qui?»
   «Sei più stupido di quanto pensassi. Ti dico la prima cosa che dovresti capire: stando qui abbiamo iniziato questa conversazione e abbiamo appurato che tu hai una mente chiusa dai pregiudizi, e Samaah ci ha detto che il pregiudizio è l’unico ostacolo verso la Verità. Ragionando e comportandoti in questo modo, sta’ sicuro che il primo Custode che incontreremo ti ridurrà in polvere senza neanche permetterti di aprire bocca» replicò Sofia.
   Sempre più arrabbiato, Giovanni si mise a sedere, scrutandola con aria torva.
   «Non osare mai più parlarmi così» disse in un ringhio. Sofia sghignazzò.
   «Ecco un’altra cosa che potresti capire, stanotte: Samaah aveva ragione, quando diceva che la propria natura non può essere repressa. In questi giorni hai cercato di essere gentile, diplomatico e accondiscendente, ma è bastato contraddirti e non fare quello che volevi tu perché tornassi a essere il solito iracondo, violento bastardo di sempre» disse con aria di sfida.
   Perdendo il controllo, Giovanni le saltò addosso; lei rotolò via un attimo prima che lui la bloccasse e si alzò in piedi. Anche l’uomo si alzò, scagliandosi di nuovo contro Sofia. Non gli era neanche venuto in mente di evocare del Fuoco o dell’Energia per colpirla: era tanto furioso da aver dimenticato di possedere altre armi oltre al proprio corpo.
   Con un grugnito le afferrò un braccio, torcendoglielo dietro la schiena; lei gli assestò una gomitata nello stomaco col braccio libero e si divincolò. Fece appena in tempo a girarsi che Giovanni le fu di nuovo addosso, schiaffeggiandola; Sofia lo colpì con cattiveria alla gola, spezzandogli il fiato e facendolo cadere a terra. Fulmineo, l’uomo l’afferrò per una caviglia e la trascinò al suolo, inchiodandola col peso del proprio corpo; dimenandosi, lei cercò di scappare. Lui le ghignò in faccia.
   «Cosa vorresti fare, Sofi? Sono più forte di te, non puoi liberarti!».
   Proprio in quel momento la ragazza riuscì a ripiegare una gamba, portandosi un ginocchio al petto; aiutandosi con le mani allontanò Giovanni da sé e gli diede un violento colpo di tacco al diaframma, lanciandolo indietro. Boccheggiando, con una mano sullo stomaco, l’uomo si tirò su, mettendosi in ginocchio; Sofia arrivò come una furia e gli sferrò un calcio ancor più violento sotto la mandibola, rispedendolo a terra a sputare sangue. Si mise a cavalcioni sopra di lui, lo afferrò per la maglietta e portò il naso a un centimetro dalla sua faccia.
   «E adesso, Giovanni, dimmi cos’hai intenzione di fare: vuoi continuare ad attaccarmi e costringermi a ucciderti, oppure cerchi di trattenere questa tua brutta abitudine di assalire gli altri e ti comporti da persona civile?» ringhiò. Lui la spostò.
   «Non mi sembra che tu ti sia comportata più civilmente di me...» iniziò, alzandosi in piedi, ma lei lo interruppe, alzandosi a sua volta.
   «Io mi stavo difendendo. Allora, cos’hai deciso?» gli chiese di nuovo, gelida.
   «Se la smetti di insultarmi, magari mi sarà più facile trattenermi» rispose Giovanni, sputando altro sangue sulla paglia. Sofia continuò a scrutarlo con rabbia; cercando di calmarsi, decise di lasciar stare.
   «Siediti che ti sistemo la faccia» gli disse, posandogli una mano sulla spalla e cercando di spingerlo giù. Lui fece resistenza, poco convinto. «Oh andiamo, voglio solo guarirti» sbuffò lei.
   Un minuto dopo, Giovanni si tastava cautamente il volto. Non gli faceva più male e la bocca aveva smesso di sanguinare.
   «Quando hai imparato le tecniche di guarigione?» le domandò.
   «Dopo aver conosciuto Gregory. Me le ha insegnate lui» rispose Sofia con una scrollata di spalle.
   «Come ha potuto insegnartele? Quando sei stata con lui eri troppo debilitata per imparare alcunché»
   «Veramente mi sono ripresa in meno di tre mesi. Il resto del tempo l’abbiamo trascorso allenandoci: volevo che mi addestrasse». Il tono noncurante con cui aveva risposto alla prima domanda non l’aveva abbandonata.
   Controllando la rabbia che sentiva nuovamente montare dentro di sé, Giovanni mosse un’altra obiezione alla versione della ragazza.
   «Anche così, cinque mesi sono troppo pochi per imparare quelle tecniche. È impossibile»
   «Hai ragione» convenne lei «ma dato che io e Gregory abbiamo continuato a vederci di nascosto, dopo il mio ritorno al Centro, e anche piuttosto di frequente, ho avuto tutto il tempo per impararle»
   «Che cosa hai fatto?» gridò l’uomo, scattando in piedi. Sofia gli puntò un dito contro.
   «No, Giovanni. Non ricominciare!» lo ammonì.
   Con uno sforzo, Giovanni tornò a sedersi. Dopo essere rimasto in silenzio per molto tempo, sembrò ricordarsi di qualcosa.
   «Sei stata tu a guarirmi, la notte dopo essere fuggita dal Centro, vero?» le domandò piano.
   Ci fu un attimo di esitazione; poi la ragazza rispose. «Sì»
   «Perché l’hai fatto?».
   Era la stessa domanda che Sofia si era rivolta ogni giorno dal momento in cui era sgattaiolata fuori dalla sua stanza dopo averlo guarito.
   «Non lo so» disse con sincerità. «Di certo non meritavi il mio aiuto».
   «Grazie, sei davvero gentile» sbuffò lui. Rifletté per qualche istante. «Come mai alla Valle non c’era nessuno?» indagò.
   «Li ho rimandati a casa» rispose distrattamente lei, guardando le stelle attraverso uno dei tanti buchi del tetto.
   «Li... li hai rimandati a casa? Quindi non torneranno più?» esclamò incredulo Giovanni.
   «Non lo so, se torneranno. Immagino che faranno quello che ritengono più giusto. Sanno perfettamente che se vogliono tornare e continuare l’addestramento noi saremo là ad aspettarli, e potranno vedere le loro famiglie quando vorranno. Se sceglieranno di riprendere la loro vecchia vita, nessuno dirà loro nulla».
   Esitante, Giovanni decise di porle una domanda a cui non sapeva come avrebbe reagito.
   «E tu... perché non sei tornata da Tamara e Thobias?»
   «Ci sono troppe cose da spiegare. Sicuramente si romperebbero degli equilibri, dicendo loro la verità sulla mia sparizione, e non so se sia giusto. Inoltre la ricerca dei Custodi della Verità potrebbe portarmi alla morte in breve tempo, quindi sarebbe inutile tornare dai miei genitori e restituire loro una figlia solo per vederla morire di nuovo. Non ha senso farli soffrire una seconda volta» spiegò Sofia con voce piatta.
   «Ne sarebbero felici, Sofi. Non passa giorno senza che pensino a te» disse Giovanni in un sussurro.
   «Hanno una vita diversa. Se distruggessi l’immagine che hanno di te, perderebbero la fiducia negli altri, la capacità di legare con le persone... e uno dei loro migliori amici. Non voglio far loro questo»
   «Ma... forse, se spiegassimo loro come sono andate le cose... potrebbero capire» tentò lui.
   «E perdonarti?» aggiunse Sofia. «Se credi che potrebbero perdonarti, perché non mi hai permesso di tornare da loro, cinque anni fa?»
   «Credevo che non saresti più tornata indietro. Che ti avrei persa» rispose Giovanni, sdraiandosi accanto a lei e facendo scorrere lo sguardo sulle travi del soffitto.
   «Sapevi bene che non l’avrei mai fatto» replicò la ragazza «eppure ti sei infuriato lo stesso, e mi hai fatto quello che hai fatto» disse con amarezza.
   «No, Sofi. Non era rabbia; era terrore» la corresse.
   «Terrore? E di cosa?». Il tono di lei esprimeva chiaramente il suo scetticismo.
   «Te l’ho detto: che tu non tornassi da me» ripeté Giovanni, riflettendo. «Ma tu questo ovviamente non puoi saperlo, perché non ti ho mai raccontato cosa mi ha spinto a cercarti con tanta insistenza tredici anni fa»
   «Allora dimmelo adesso» lo incitò Sofia; e il resto della notte trascorse parlando.
   Il cielo iniziava appena a tingersi di rosa quando dei colpi leggeri alla porta li fecero sobbalzare. Samaah li aspettava con un sorriso.
   «Sarà meglio che ve ne andiate ora, prima che qualcuno si svegli e vi veda».
   Seguendo il suo consiglio, i due si alzarono e uscirono all’aperto. Nabeela apparve dal nulla e si appollaiò sulla spalla di Samaah; lei le carezzò il collo, sorridendo.
   «Una Fenice, e anche molto bella» disse. «Da tempo non ne vedevo una».
   «Grazie di tutto, Samaah» disse Sofia, mentre Nabeela si librava sopra di lei.
   «Di nulla, bambina. E ricordate che solo i giusti possono interrogare i Custodi della Verità!» esclamò nell’istante stesso in cui Giovanni e Sofia sparivano in una vampa di Fuoco.

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Capitolo 4
*** La storia di Ogascoon e Isadora ***


Quando entrarono nella biblioteca, Sofia e Giovanni trovarono una piccola folla ad attenderli.
   «Che ci fate qui? Credevo foste tornati a casa!» disse la prima, osservando i volti di Blaze, André, Emma, Ailie e Fernando.
   «Be’ Sofi, non potevo non avvertire Blaze e André» disse Laurence. «Poi ovviamente Blaze ha chiamato Ailie, che ha chiamato Emma, che ha chiamato Fernando... c’è stato un po’ di effetto domino».
   «Allora, avete scoperto qualcosa?» li interrogò Gregory con impazienza. I due annuirono, sedendosi all’ampio tavolo insieme agli altri.
   In quel momento, la porta si spalancò con violenza.
   «Cos’è successo?» chiese Claudio affannato, tirandosi dietro Cornelia e spostando lo sguardo da Gregory a Sofia.
   «Come mai siete già tornati?» chiese la ragazza al suo padrino, che storse la bocca.
   «Gregory ci ha chiamati e ci ha detto di tornare immediatamente» spiegò. «Allora, cosa c‘è di tanto urgente da farci correre qui?»
   «Sofia e Giovanni stanno cercando un Custode della Verità» spiegò Greg. Lo stupore fu tale da far dimenticare a Claudio di guardare male Giovanni.
   «Oh, no. Dimmi che sta scherzando» disse senza enfasi alla sua figlioccia.
   «No, non sta scherzando. Su, Claudio, non fare così» lo rincuorò lei «non siamo pazzi, stiamo raccogliendo informazioni prima di tentare un contatto»
   «Tutte le informazioni che potrete trovare non saranno sufficienti a prepararvi all’incontro con un Custode. Sono entità totalmente diverse da noi; un ragionamento che a una persona normale appare perfettamente logico, per loro non ha alcun significato. Nessuno ha mai scoperto in base a quali criteri scelgano a chi rispondere» replicò Claudio.
   «Non è possibile. Qualcuno deve pur saperlo» disse Giovanni meditabondo.
   «In ogni caso, siamo stati da una Sibilla che vive in Sudan, vicino a dove riteniamo si trovi un Custode della Verità» raccontò Sofia. «Ci ha detto che i Custodi rispondono solo ai giusti»
   «Allora a voi non risponderà di certo» sbuffò Blaze. Sofia lo guardò male.
   «Chi ti dice che abbiano il nostro stesso concetto di giusto e sbagliato?» lo rimbeccò.
   Blaze aprì la bocca per replicare, ma prima che riuscisse a farlo Gregory s’intromise.
   «Che cosa vi ha detto la Sibilla?» domandò.
   Fu Giovanni a rispondere. «Non molto. Ci ha dato due pergamene: dice che contengono informazioni utili... almeno una, cioè. L’altra riporta solo una sciocca leggenda»
   «Sei davvero ottuso. Tutto quello che è accaduto ieri notte non ti ha insegnato nulla?» sbuffò Sofia. Giovanni le rivolse uno sguardo per metà d’avvertimento e per metà irritato.
   «Non eravamo d’accordo che avresti smesso d’insultarmi?» disse.
   «Non ho mai fatto una promessa simile» replicò lei. «Samaah si è raccomandata di leggere quella storia, e io propongo di partire proprio da lì»
   «Ma chi è Samaah?» chiesero Emma e Ailie, confuse.
   «La Sibilla» sbuffò Giovanni. «Se ci tieni tanto, comincia pure da questa» disse a Sofia, afferrando la pergamena consunta e lanciandogliela. La ragazza l’afferrò al volo, soddisfatta d’aver vinto – anche se solo in minima parte – i pregiudizi dell’italiano.
   Tornò a sedersi, insieme a tutti gli altri. Sciolse con cura i nastri sbiaditi e rovinati e srotolò con estrema delicatezza la pergamena. Sebbene la sentisse crepitare, sembrava molto più robusta di quanto lasciasse sospettare a una prima occhiata.
   Sofia percorse con lo sguardo il rotolo ingiallito, ammirando il lungo racconto redatto con una calligrafia minuta e sinuosa in inchiostro nero. Poi osservò il titolo – questo, scritto in inchiostro rosso scuro – e si schiarì la voce.
   «’La storia di Ogascoon e Isadora’» declamò.
   «Ogascoon? Ma che razza di nome è?» dissero in coro André, Blaze e Fernando. Sofia rivolse loro un’occhiataccia, riducendoli al silenzio, prima di continuare.
   «’Più di mille anni fa, in una terra ormai perduta, viveva un potente Maestro dell’Energia. Ogascoon, così si chiamava, era stimato e rispettato da tutti poiché utilizzava il proprio dono per proteggere e rendere accoglienti quelle lande un tempo desolate e pericolose. Grazie a lui l’erba soffice aveva ricoperto la pietra, la terra arida era divenuta fertile e gli alberi vi avevano affondato le loro radici. Il profumo dei fiori era più dolce e intenso che in qualunque altro luogo e gli animali accorrevano spontaneamente, per vivere in armonia con le persone. Quei luoghi, con la loro pace e la loro bellezza, furono cantati in ogni dove, col nome di Terre del Sole. Così trascorsero gli anni; e nonostante l’affetto e il calore degli abitanti delle Terre del Sole, Ogascoon era sempre solo’».
   «Bah, secondo me sono tutte sciocchezze... non ho mai neanche sentito nominare le Terre del Sole» disse Blaze, approfittando di una pausa di Sofia.
   «Io invece ne ho sentito parlare... ti ricordi, Claudio?» disse Gregory all’uomo con la chioma candida, che annuì.
   «È vero, anche noi abbiamo sentito qualcosa in proposito» rincarò la dose Claudio, accennando a sé stesso e a Cornelia. «Me lo ricordo bene, è stato quando ci siamo conosciuti, Greg. Per qualche anno, quando eravamo più giovani, io e Cornelia avevamo deciso di trovare il posto in cui un tempo si stendevano le Terre del Sole, ma non ci siamo riusciti... come dice il racconto, è una terra perduta»
   «Quindi credete che questa storia sia vera?» domandò André.
   «Se sia vera o no non so dirtelo» precisò Claudio «ma le Terre del Sole pare siano esistite davvero»
   «Avanti Sofi, continua» disse Cornelia a Sofia, che ubbidì.
   «’L’uomo solo raggiunse lo zenit della sua esistenza e cominciò, inesorabile, il declino. Le ombre che aveva scacciato dalle Terre del Sole gli offuscavano il cuore; così, una notte, implorò il cielo di divorare quell’oscurità priva di speranza e restituirgli la luce. Pregò le stelle notte dopo notte: e che su di lui si stendesse il cielo terso dell’estate, che lo investissero i venti taglienti dell’autunno o le tempeste invernali, nulla gli impediva di rivolgere la propria invocazione agli astri lontani che lo osservavano, indifferenti. E quando l’astro d’oro ebbe compiuto un’intera orbita, le tenebre si chiusero definitivamente intorno a lui’».
   «”Lo zenit della sua esistenza”?» ripeté Emma.
   «Lo zenit è un punto astronomico. Si ha quando il Sole si trova esattamente al di sopra di un luogo, quando ha raggiunto il punto più alto dell’arco che descrive nel suo corso quotidiano» spiegò Cornelia.
   «E in questo caso, sta a significare che Ogascoon aveva raggiunto la piena maturità e cominciava a invecchiare» concluse Claudio.
   «E invece, l’astro d’oro che ha compiuto un’intera orbita?» chiese Ailie.
   «Be’, l’astro d’oro è ovviamente il Sole. E da quello che dice il testo, possiamo dedurre che il compimento di una sua intera orbita significa che trascorse un anno, dalla prima invocazione di Ogascoon» disse Sofia.
   «Queste ombre di cui parla il testo...» iniziò Giovanni.
   «Immagino descrivano uno stato d’animo. Il testo insiste molto sulla solitudine di Ogascoon... probabilmente le ombre sono un riferimento a questo» intervenne Laurence. Giovanni lo guardò scettico.
   «Credo che Laurence abbia ragione... l’oscurità che gli offusca il cuore è senza dubbio una metafora della sua solitudine» rimarcò André.
   «E la luce?». Stavolta fu Fernando a parlare.
   «Probabilmente è la felicità» rispose Greg, meditabondo.
   «’Era un giorno di festa, nelle Terre del Sole; e la gioia che in quell’occasione pervadeva ogni cosa attirava anche gli abitanti delle terre confinanti. Cercando un rifugio dalle ombre che assediavano la sua anima, Ogascoon lasciò la sua casa solitaria, nascondendosi sotto un mantello nero come i suoi pensieri. Per tutto il giorno vagò tra la folla, indifferente alle luci che lo circondavano e che non poteva possedere; per tutto il giorno l’oscurità lo tormentò. Scese la notte, e il conforto del Sole abbandonò l’uomo solo. Vennero accesi fuochi, iniziarono le danze; e cercando un luogo in cui abbandonarsi alle proprie ombre, Ogascoon si imbatté in uno di questi fuochi.
   «’L’uomo solo si era ormai arreso alle ombre e passò oltre, quando un guizzo scuro attirò la sua attenzione. Non si aspettava che l’oscurità che lo attanagliava potesse retrocedere dinanzi al nero più profondo, e tornò sui propri passi, cercando con gli occhi la sua luce.
   «’Intorno al fuoco danzava, ridendo, un manipolo di fanciulle; e quando una di loro, volteggiando di fronte a lui, scosse i lunghi capelli scuri, Ogascoon percepì di nuovo le ombre ritrarsi e capì che quella ragazza era la sua luce.
   «’Lei si chiamava Isadora; era la più bella fanciulla delle Terre del Sole. I suoi capelli lucenti erano più neri delle ali del corvo, e le scendevano lungo la schiena come un velo di seta; la sua pelle aveva il colore dorato del miele e nei suoi occhi, scuri come la notte, erano disseminate schegge di argentea luce lunare, che li faceva risplendere più del Sole.
   «’Il giorno seguente, Ogascoon andò in cerca della fanciulla; e quando la trovò, chiese a suo padre di averla in sposa.
   «’L’uomo, un Maestro dell’Aria, fu felice e onorato della proposta; ma la madre di Isadora si oppose a quell’unione. Ella possedeva la Vista, e aveva scorto il terribile destino che sarebbe spettato a sua figlia, se si fosse unita a Ogascoon’».
   «La madre di Isadora possedeva la Vista? Quindi era una Sibilla!» sbottò Giovanni.
   «Così pare». Anche Sofia appariva confusa.
   «’La discussione andò avanti per giorni; né Ogascoon né la madre della fanciulla volevano cedere. Infine, fu Isadora a decidere: la sua anima le aveva sussurrato che tutto, nella sua esistenza, si era svolto in modo da condurla dall’uomo solo. Ella non aveva poteri: era l’unica dei suoi fratelli in cui né il dono di suo padre, né la Vista di sua madre si erano radicati. Tuttavia, Ogascoon la condusse via con sé.
   «’La luce li accompagnò per anni; ma col progredire del tempo, la fibra delicata di Isadora fu messa a dura prova. All’inizio, ogni contatto con gli appartenenti alla gente di Ogascoon lasciava in lei la conoscenza di qualcosa del loro passato; poteva vedere con precisione ogni singolo istante della loro vita passata, senza scambiare una parola con essi: e col passare dei mesi, questa conoscenza divenne più profonda e dettagliata, imprimendosi nella sua memoria. La mente di Isadora era forte; ma non altrettanto il suo corpo. E quando iniziò a possedere la Verità sul futuro dei Portatori degli Elementi, la Profezia di sua madre si compì, e il suo corpo la abbandonò’».
   Sofia riprese fiato, mentre tutti erano concentrati nel tentativo di interpretare le parole che avevano appena ascoltato.
   «Quindi Isadora…morì?» chiese Cornelia.
   «Non lo so... forse stiamo interpretando il testo in modo sbagliato. Forse dovremmo finire di leggere, prima di avventurarci in simili congetture» rispose Sofia scuotendo la testa. Giovanni sbuffò per l’ennesima volta.
   «L’avevo detto o no, che era solo una sciocca leggenda?» disse saccente.
   «Possibile che tu proprio non riesca ad ascoltare e basta, prima di dire che non ci credi?» sbottò Sofia.
   «Andiamo Sofi, questa storiella non ci è di alcuna utilità. Non è che il lacrimevole racconto di una fantomatica storia d’amore. Non ci aiuta, nella ricerca dei Custodi della Verità» borbottò l’uomo, alzando gli occhi al cielo mentre Emma lo guardava con particolare ostilità.
   «Il racconto non è ancora terminato» lo rimbeccò la ragazzina, prima che Sofia riprendesse a leggere.
   «’Il corpo di Isadora non era più in grado di sopportare il tocco umano; la carezza impalpabile di un filo di seta sulla pelle le procurava i più atroci tormenti. Il suo aspetto divenne confuso, etereo; e l’affievolirsi della sua luce seminò i primi grani di follia nelle mente di Ogascoon. Egli tentò ogni cosa; ma non riuscì a bloccare l’inarrestabile declino di Isadora.
   «’Trascorse un altro anno: e nel momento in cui Isadora entrò in possesso della Verità, pura e completa, il suo corpo divenne pura luce evanescente. Il suo aspetto non era mutato; ma al più lieve tocco di un essere umano, si sarebbe disfatta in una miriade di scintille di luce. Isadora conosceva bene la Profezia che la riguardava; e, incapace di osservare impotente le ombre che si richiudevano sul suo amato sposo, fuggì, e si nascose nel folto delle Terre del Sole, in un luogo inaccessibile a chiunque possedesse un corpo.
   «’Quando scoprì che Isadora era fuggita, la mente di Ogascoon lo abbandonò. Egli lasciò la casa in cui aveva conosciuto la gioia e intraprese un lungo viaggio attraverso le Terre del Sole, alla ricerca della sua amata. Pur senza averne consapevolezza, la parte della sua anima che traeva linfa vitale dall’esistenza di Isadora lo guidò verso il luogo in cui la sua sposa si era rifugiata, ma nulla poté contro le barriere che la Natura aveva posto a protezione della fanciulla. Pur sapendo quale sarebbe stato il suo destino, Ogascoon evocò il proprio potere fino a superare il limite invalicabile che separava la sua capacità di dominare l’Energia dal predominio dell’Energia stessa. Gli Spiriti degli Elementi, impietositi dal sacrificio dell’uomo, lo lasciarono passare; e così, Ogascoon ritrovò Isadora.
   «‘Ma il tempo dell’uomo stava rapidamente terminando; e mentre il potere ormai incontrollabile consumava il suo corpo, dissolvendolo in pura Energia, Ogascoon si offrì alla sua sposa, per donarle l’ultima protezione che le poteva fornire. Quando il suo corpo fu semplice Energia e non più altro, evocò dei cerchi di Energia, e al riparo di essi strinse la sua sposa nell’ultimo abbraccio, diventando parte di lei. I cerchi argentei brillarono di tutti i colori dell’arcobaleno, e la fanciulla ne acquisì il potere. Così Ogascoon e Isadora furono di nuovo uniti, in quell’istante e per l’eternità’».
   Un lungo silenzio calò nella stanza.
   «Quindi Isadora fu il primo Custode della Verità» disse Gregory.
   «Già. D’altra parte, il racconto coincide con ciò che ci ha detto Samaah: la Verità viene posseduta per gradi, mai tutta insieme» rispose Sofia.
   «Quello che non capisco è: perché fu proprio lei la prima?» chiese André. «La storia non lo dice»
   «Be’, il racconto parla di una profezia sul destino che sarebbe toccato a Isadora se si fosse unita a Ogascoon... quindi non so, che sia stata l’influenza di lui a renderla una Custode?» disse Emma.
   «Non credo... l’Energia e gli Elementi non sono qualcosa che si possa trasferire da un corpo all’altro» replicò Gregory.
   «Ma nel testo deve pur esserci un cenno al riguardo» insisté Blaze.
   Sofia srotolò di nuovo la pergamena, scorrendola con gli occhi nel tentativo di cogliere qualcosa che fosse sfuggito loro. Poi, nell’ondeggiare del bordo inferiore del rotolo, ancora avvolto su se stesso, scorse qualcosa di nero.
   «Guardate qua! C’è un poscritto» disse eccitata. «’Benché capiti di rado che la Profezia di una Sibilla sia inesatta, questo è quanto accadde con la Profezia su Isadora. Il suo destino non fu determinato dall’incontro con Ogascoon, ma dalla sua stessa nascita’».
   Lasciata la pergamena Sofia batté un pugno sul tavolo, alzandosi in piedi.
   «Ecco com’è andata. Isadora è stata la prima Custode della Verità per un fatto di sangue: quello di un Portatore degli Elementi e quello di una Sibilla, uniti nella loro discendenza. Non è vero che non avesse ereditato né il potere del padre, né la Vista della madre: in realtà li aveva entrambi» esclamò.
   Uno strano silenzio li avvolse tutti, ancora una volta. Poi anche Giovanni scattò in piedi.
   «Accidenti, hai ragione! I Custodi posseggono la Verità solo sui Portatori... perché gli sono in parte affini! Le normali Sibille non riescono a vedere qualcosa che non possono in alcun modo comprendere!» disse, mettendosi le mani nei capelli.
   Claudio osservò attentamente entrambi. Per quanto odiasse Giovanni, in quel momento iniziava a scorgere una minima parte dell’affinità che legava quell’uomo alla sua figlioccia.
   «Mi dispiace dirvelo, ma per quanto questa storia possa averci fornito delle informazioni sui Custodi della Verità, questo non vi rende più vicini a poterli contattare sperando nella riuscita della vostra impresa» esclamò.
   «È vero» confermò Giovanni «ma noi abbiamo ancora qualcosa da leggere» aggiunse, afferrando il secondo rotolo e lanciandolo a Sofia. La ragazza sedette e iniziò a scorrere la pergamena.
   «Non è propriamente un testo organico» notò dopo appena un minuto di lettura. «Sembrano più una serie di informazioni e definizioni raccolte nel corso del tempo... guardate qui» aggiunse, porgendo la pergamena agli altri «in alcuni punti l’inchiostro è sbiadito, in altri punti è conservato perfettamente».
   «Vediamo un po’... ’I Custodi della Verità rispondono solo ai giusti’, questo lo sapevamo già... se solo spiegassero cosa intendono con ‘giusti’...» borbottò Giovanni.
   «’I Custodi della Verità possono essere percepiti mediante l’Aura’... è un’ottima cosa, no? Almeno saprete quando ne troverete uno!» disse André.
   «Se solo sapessimo cosa dovremmo percepire...» precisò Sofia con disappunto.
   «Be’... Isadora e Ogascoon si sono uniti, e Ogascoon era un Maestro dell’Energia, no? È possibile che l’Aura... o quello che sia... di un Custode, possa avere dei tratti affini all’Aura di un Portatore dell’Energia?» rifletté Emma ad alta voce. Gregory le diede una sonora pacca sulla spalla.
   «Ha ragione! Probabilmente avrà anche altre caratteristiche... sua madre era pur sempre una Sibilla, quindi magari ciò che un Custode emana avrà qualche sfumatura a noi sconosciuta» aggiunse l’uomo.
   «Ma siamo certi che sia così per tutti? Cioè, che tutti i Custodi siano nati dall’unione tra un Portatore degli Elementi e una Sibilla» domandò Laurence.
   «È di certo così. Il poscritto alla storia di Isadora dice chiaramente che il suo destino – cioè divenire una Custode della Verità – era segnato fin dalla sua nascita. Mi sembra un’indicazione piuttosto chiara» rispose Sofia.
   «Che altro c’è di utile... ’I Cerchi di Ogascoon sono il maggior strumento di difesa dei Custodi della Verità’... grazie tante, questo l’avevamo capito già da soli» proseguì Giovanni.
   «Guardate un po’ qui... ’Il colore dei Cerchi di Ogascoon di un Custode della Verità cambia a seconda dello stato d’animo di quest’ultimo’. Questa è un’informazione molto utile» lesse Greg.
   «Ahhh, fermi tutti! Sentite cosa dice in quest’altro spezzone... ’La Verità può essere posseduta e appresa solo procedendo per gradi, perciò i Custodi si dividono in una rigida gerarchia: Novizi, Ministri, Decani e Oracoli. Il tempo necessario al passaggio da un gradino all’altro della gerarchia aumenta al salire di grado. Per arrivare a diventare Oracoli, occorrono circa mille anni’» declamò Sofia ad alta voce, in modo che tutti sentissero chiaramente.
   «Mille anni?». Le espressioni sconcertate degli altri erano piuttosto eloquenti.
   «Be’, non è detto che sia un problema... in fondo non c’è bisogno di andare necessariamente da un Oracolo, per avere una risposta alle proprie domande» tentò Fernando.
   «Mi piacerebbe davvero tanto poter essere d’accordo con te» s’intromise Gregory «ma qui, più avanti, dice: ‘Anche gli interroganti devono apprendere la Verità per gradi, per dimostrarsene degni e non esserne sopraffatti: dunque, coloro che desiderano risposte, dovranno recarsi prima da un Novizio, poi da un Ministro, da un Decano e infine da un Oracolo’».
   Le facce degli altri si allungarono un po’ di più.
   «Accidenti, sembra non ci sia via d’uscita... quanti Oracoli ci saranno in giro?» si chiese Sofia, preoccupata.
   «Se ce ne sono» intervenne Giovanni. «Senti qui: ‘Non tutti i Custodi della Verità sopravvivono fino a raggiungere il massimo grado della gerarchia: che le loro difese vengano eluse da un interrogante scontento o che decidano autonomamente di porre fine alla loro esistenza, più si sale nella gerarchia e più rari sono i Custodi appartenenti ai vari ordini’». L’uomo sospirò. «Rischiamo di intraprendere un viaggio inutile» disse, sconfortato.
   «Dobbiamo almeno tentare» replicò Sofia.
   «Allora sarà meglio che vi mettiate d’impegno, nello studiare questi testi» disse loro Cornelia.

*

«Sofi, ti ho portato uno spuntino».
   Entrando con cautela nella biblioteca, Cornelia depose un vassoio ricolmo di cibo sul tavolo, di fronte alla ragazza.
   «Zia, non riuscirò mai a mangiare tutta questa roba!» si lamentò Sofia. Con quello che Cornelia aveva preparato, ci si sarebbe potuto sfamare un esercito.
   «E per me niente?» s’intromise Giovanni. L’occhiataccia che ricevette in risposta fu più eloquente di qualunque discorso. Anche Claudio entrò nella biblioteca, e anche lui rivolse un’occhiata torva al suo connazionale.
   «Allora, hai trovato qualcos’altro di utile in quei testi?» s’informò con la sua figlioccia, sedendosi.
   «Sì, qualcosa c’è... a quanto pare, i Custodi della Verità prediligono i posti impervi e isolati. Immagino sia per difendersi» disse.
   Il suo padrino annuì.
   «Ho chiesto un po’ in giro, ad alcune persone fidate... è proprio così. Cercano di nascondersi, specialmente dopo quello che è successo nel 1607».
   Sofia aggrottò la fronte. «Perché, cosa accadde quell’anno?».
   Claudio si accinse a spiegarle quello che aveva scoperto.
   «Un Maestro dell’Energia particolarmente crudele, non si sa bene per quale motivo, decise di procedere allo sterminio dei Custodi della Verità. Probabilmente c’era qualcosa che lo riguardava e che temeva potesse essere rivelato»
   «Quindi è a questo che si riferisce, il secondo testo» disse Sofia, afferrando la pergamena legata col nastro azzurro.
   «Già. A quanto pare, chi manipola l’Energia può superare i Cerchi di Ogascoon»
   Giovanni decise di porre una domanda tutta sua.
   «Qualche Custode della Verità si salvò?».
   Dopo averlo guardato male, Claudio parve non ritenere la domanda abbastanza offensiva da poter essere ignorata.
   «Sì, alcuni di loro si salvarono. Dovettero unirsi, per distruggere quel Maestro dell’Energia» rispose riluttante.
   «Distruggere... lo ridussero in cenere?» s’informò Sofia con interesse.
   «Non restò neanche quella» precisò Claudio.
   «Interessante» mormorò Sofia tra sé e sé, puntando i gomiti sul tavolo e poggiando il mento sui pugni chiusi.
   «Io direi preoccupante, semmai» la corresse Giovanni. Sebbene a malincuore, Claudio fu costretto a dichiararsi d’accordo con lui.
   «Purtroppo non abbiamo trovato nulla riguardo a cosa si intende quando si dice che i Custodi rispondono solo ai ‘giusti’... o meglio, a quale sia il concetto di giusto dei Custodi della Verità» riprese l’uomo, passandosi per l’ennesima volta le mani tra i capelli neri. Ormai l’aveva fatto così tante volte da averli dritti in testa.
   «Be’, questo è un problema» notò Cornelia. «Se non sapete in base a quali criteri i Custodi decidono a chi rispondere e a chi no, rischiate moltissimo a intraprendere questo viaggio»
   «In realtà la mia preoccupazione maggiore è: come faremo a trovare un Custode della Verità e a scoprirne il grado prima di provare a rivolgergli delle domande?» disse Sofia, abbandonando la testa sul tavolo.
   «Dovete assolutamente trovare qualcuno che sappia dirvi dove si trova un Novizio» rispose Claudio. «È l’unico modo. Non potete fare nulla, senza avere un punto di partenza».
   Sofia si passò più volte le mani nei capelli prima di lasciarle ricadere con le palme aperte sul tavolo, ai lati della testa.
   «Parli facile, tu» si lagnò. «Tutti quelli che conosco non sapevano neanche dell’esistenza, dei Custodi». Poi rialzò la testa. «E tu, Giovanni?» chiese speranzosa.
   L’uomo scosse la testa in segno di diniego. Lasciando ricadere la testa sul tavolo, la ragazza sbuffò.
   «Così non risolverai nulla, Sofi... ti farai solo venire un gran bernoccolo sulla fronte» tentò di spronarla Cornelia.
   «Lo so, lo so, ma non vedo via d’uscita da questo problema... è tutto così terribilmente intricato! È come girare in un labirinto, imbocchi una stradina, credi che ti porterà all’uscita...e invece ti conduce da tutt’altra parte, o ti condanna a girare a vuoto!» sbottò Sofia. Poi alzò di nuovo la testa. Guardò per un attimo di fronte a sé con sguardo assorto prima di scattare in piedi e saltare sul tavolo. Gli altri tre ebbero un moto di stupore.
   «Sofi ma che fai?» gridò Giovanni, mentre la ragazza scendeva dal lato opposto del tavolo con un balzo e si slanciava verso la finestra.
   «Forse so chi può dirmi dove si trova un Custode della Verità!» gridò, scavalcando il davanzale.
   Giovanni la seguì di corsa e si sporse fuori.
   «Aspettami, vengo con te!» le gridò dietro.
   «Meglio di no!» rispose Sofia, raggiungendo a metà strada Nabeela e sparendo con lei.

*

«Avanti, dimmelo!»
   «Non ci penso nemmeno!».
   Sbuffando, la ragazza strappò gli occhiali da sole dal volto della persona che aveva di fronte.
   «Guardami negli occhi, quando ti parlo. Guardami negli occhi e ripetimi che non sai dove posso trovare un Custode della Verità, un Novizio» insisté Sofia.
   Socchiudendo gli occhi nocciola, l’uomo la scrutò attentamente.
   «Sofi, ti ho mai detto che sei terribile?» le domandò, tentando di sviare il discorso.
   «Me lo ripeti ogni volta che ci sentiamo» replicò lei. «E adesso rispondimi».
   Alzando gli occhi al cielo, l’uomo allargò per un istante le braccia prima di lasciarle ricadere lungo i fianchi in un gesto di esasperazione.
   «Sofi, non lo so»
   «Michele, sei davvero un pessimo bugiardo».
   Lui la fissò sollevando un sopracciglio.
   «Perché mai dovrei sapere dove puoi trovare un Novizio? Perché proprio io?» le chiese.
   Sbuffando di nuovo, Sofia lo inchiodò con lo sguardo.
   «Vediamo un po’... magari perché lavori per un Maestro della Terra che ricopre un incarico di grandissimo prestigio e ha sicuramente accesso a questo tipo di informazioni?» disse in tono ironico.
   «Anche se lo sapessi, non potrei dirtelo» replicò Michele.
   «Oh, andiamo, di cos’hai paura? Non voglio scoprire i torbidi segreti dei tuoi superiori per rovesciarli e prendere il potere... devo scoprire la verità su una questione che riguarda soltanto me e un’altra persona!» sbottò lei.
   L’uomo l’afferrò per le spalle.
   «Sofia, tu non sai a cosa vai incontro, tentando di parlare con un Custode della Verità» le disse, costringendola a guardarlo negli occhi. La ragazza si divincolò.
   «Non fanno che ripetermelo. Se la cosa non preoccupa me, non vedo perché dobbiate essere voi altri a prendervela tanto a cuore!»
   «Se non lo capisci da sola, allora va’ pure incontro alla morte senza voltarti indietro» disse Michele, gelido. «Ho l’impressione che tu abbia pagato a caro prezzo il potere che hai acquisito. Sei arida dentro» l’apostrofò.
   Impassibile, con l’antico orgoglio dipinto sul volto, Sofia gettò indietro la testa per guardarlo bene negli occhi.
   «Se io sono arida dentro, tu cosa sei? Pensaci, visto che non hai nulla da fare per riempire le giornate» sibilò, andando via.
   Esasperato, Michele la guardò allontanarsi. Quando aveva conosciuto Sofia, anni prima, lei gli aveva detto chiaramente di avere un pessimo carattere, ma mai come in quel momento si rendeva conto di quanta verità ci fosse in quell’affermazione. Passandosi la mano sui capelli grigi in un gesto di stizza, l’uomo entrò con passo deciso nell’imponente edificio alle sue spalle.

*

Lo sbattere della porta fece trasalire tutti.
   «Com’è andata?».
   Sofia guardò André con aria interrogativa.
   «Giovanni ci ha detto che sei partita come una furia e perché» aggiunse il giovane biondo con una scrollata di spalle.
   «Be’, allora? Ci dici com’è andata o no?» chiese Giovanni con impazienza.
   Lei si lasciò cadere su una poltrona e vi si raggomitolò. Le osservazioni di Michele le avevano dato molto fastidio.
   «È andata male» rispose con voce sepolcrale.
   «Almeno hai tentato» disse Giovanni, anche se era chiaramente deluso. «Immaginavamo già che fosse difficile rintracciare chi ha informazioni simili».
   Sofia lo guardò torva.
   «Non ho detto che non lo sa. La verità è che non ha voluto dirmelo» precisò con astio.
   In quel momento, un cellulare suonò.
   «È il tuo, Sofi» disse Blaze, prendendo un telefono nero e lanciandoglielo.
   La ragazza lo afferrò con furia. Era tanto arrabbiata da non voler sentire nessuno.
   «Messaggio testo» bofonchiò. Quando vide il mittente, aggrottò la fronte. Poi lesse il testo tra sé. «’Siberia, duecento chilometri a Sud-Est di Noril’sk. Se torni indietro tutta intera, fatti sentire. Michele’».
   Gli occhi brillanti d’emozione a stento repressa, Sofia alzò la testa.
   «Be’, Giovanni» disse «si parte!».

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Capitolo 5
*** Altàis ***


Quando bussarono alla porta, Sofia alzò gli occhi al cielo in un gesto di esasperazione. Mentre borbottava senza freni, André entrò nella stanza e si accomodò sul letto.
   La ragazza si girò a guardarlo con aria per metà rassegnata e per metà insofferente.
   «Avanti, dillo. So che vuoi farlo, è da due giorni che non mi lasciate in pace, con questa storia» disse.
   Lui la guardò sorridendo.
   «Non ho alcuna intenzione di provare a convincerti ad abbandonare questo proposito folle di andare da un Custode» rispose. «So bene quanto sei cocciuta, sarebbe solo una perdita di tempo».
   Con un sospiro di sollievo, l’altra sedette sul letto accanto al ragazzo.
   «Allora come mai sei qui?».
   André arrossì lievemente.
   «Volevo soltanto sapere se sei sempre intenzionata a partire domani».
   «Sì. Aspettare è inutile… non credo ne sapremo mai più di così, sui Custodi» rispose Sofia distrattamente, alzandosi e tornando a riempire un grande zaino.
   «E con Giovanni come farai, dato che è tornato al Centro?»
   «Passerò a prenderlo e poi andremo in Siberia». La ragazza alzò lo sguardo dallo zaino pronto solo per metà. «André, perché tergiversi? Proprio non ci riesci, a chiedermi se ho visto Elizabeth?».
   Lui abbassò lo sguardo, sconfitto.
   «So che mi biasimi perché penso ancora a lei nonostante quello che ha fatto. Per questo non mi decidevo a chiedertelo». Poi la fissò. «Allora… l’hai vista?» domandò speranzoso.
   Sofia scosse la testa in segno di diniego. André abbassò di nuovo lo sguardo, deluso, e Sofia tornò a sedersi accanto a lui.
   «Come hai potuto pensare che ti avrei disprezzato per questo? Giovanni ha fatto di molto peggio ma non sono mai riuscita a odiarlo, lo sai. Ci sono cose che non si possono controllare né reprimere» disse, giocherellando col copriletto.
   «Sai, Sofi» riprese André dopo un breve silenzio «da quando ci conosciamo non sono mai riuscito a capire per quale motivo ti ostinavi tanto a restare aggrappata a Giovanni. Saresti potuta fuggire anni fa, eppure non ci hai mai provato. Ecco, io… da quando ho conosciuto Elizabeth, credo d’aver iniziato a capire perché sei sempre rimasta accanto a Giovanni».
   Perplessa, Sofia mise le gambe sul letto. Unì le piante dei piedi e si afferrò le caviglie con le mani, fissandole e cercando le parole giuste.
   «André» esordì «tu stai confondendo due cose completamente diverse tra loro. Tu sei innamorato di Liz: lo sei stato, credo, dal primo momento che l’hai vista. Quello che c’è tra voi due è qualcosa di meraviglioso, coinvolgente… e può finire. È puro sentimento: e ti assicuro che al mondo non c’è niente di più diverso dal tipo di affinità che esiste tra me e Giovanni».
   Il ragazzo la guardò, aggrottando la fronte.
   «Sofi, non capisco che differenza ci sia tra le due cose»
   «Non puoi perché ne hai sperimentata una soltanto. E mi auguro per te che le cose restino così»
   «Cosa c’è di tanto sbagliato in quello che lega te e Giovanni?» le domandò André.
   Con aria pensierosa Sofia si curvò un po’ in avanti, chiudendo le spalle.
   «C’è di sbagliato, André, che nel mio caso non ho potuto scegliere. Non so da cosa dipenda, non l’ho mai scoperto, ma quello che posso dirti è che quando Giovanni è arrivato vicino a me… e non parlo di metri, parlo di trovarsi nello stesso Paese… ho iniziato a bruciare: senza averlo neanche mai visto, senza sapere chi fosse. Lui per me è… come avere sete e volere dell’acqua, come essere chiusa in una stanza e desiderare una boccata d’aria fresca… non lo decidi, non lo scegli. Magari detesti l’acqua fresca o l’aria aperta, ma ne hai comunque bisogno per sopravvivere. Ed è qualcosa che durerà fino all’ultimo battito del tuo cuore. Più duraturo della maggior parte degli amori, ma con molte meno gratificazioni. Stargli lontana mi fa male, non come faccia male a te la lontananza di Liz: tu soffri a livello emozionale, io a livello fisico».
   André sembrava più confuso di prima.
   «Quando parli di sofferenza fisica…» iniziò. Sofia lo interruppe.
   «Come ti sentivi, quando ti sei ripreso dalla febbre e ti sei accorto di aver perso la mano?» gli domandò a bruciapelo.
   Sorpreso, il ragazzo rifletté.
   «Provavo dolore… la ferita mi faceva male, pulsava … a volte era come se degli aghi mi trafiggessero. E poi mi sentivo… incompleto. Incapace di fare bene, come un ingranaggio rotto»
   «Per me, stare lontana da Giovanni è questo. Il Fuoco mi spinge verso di lui, in parte si ribella a questa lontananza, e fa male. Ho imparato a sopportarlo perché non ho intenzione di tornare indietro. E questa è un’altra differenza fondamentale, tra il tuo amore per Elizabeth e il mio bisogno di Giovanni. Tu continui a provare un sentimento forte verso di lei, e per questo la vuoi accanto; io non amo Giovanni, il nostro rapporto è troppo violento e conflittuale. Psicologicamente sto benissimo, lontana da lui; non lo vorrei mai più accanto a me ogni giorno della mia vita, come è stato quasi sempre negli ultimi dodici anni, ma il mio corpo, al contrario della mente, rifiorisce quando Giovanni è vicino».
   Sofia tacque, stanca e un po’ confusa. Non era certa di essere riuscita a spiegarsi come voleva. André, al contrario, sembrava più che soddisfatto dalle sue parole.
   «C’è solo una cosa, che ancora non capisco… se non sei innamorata di Giovanni, se non provi niente per lui… perché l’hai guarito, mesi fa? Perché accetti la sua vicinanza, ora?» le domandò.
   «L’ho voluto accanto in questa ricerca perché la spiegazione che cerco si riferisce a un fatto che riguarda anche lui e perché Giovanni, come me, è sempre stato affascinato dalle sfide, per quanto pericolose possano rivelarsi» rispose Sofia. «E poi… be’, l’ho guarito perché non potevo non farlo. Ho passato con lui metà della mia vita e in qualche modo mi ha dato anche dell’affetto. Non riesco a far sì che mi sia del tutto indifferente. Sentivo di doverlo fare… percepivo il suo dolore, anche a distanza».
   Mentre André apriva la bocca per farle un’altra domanda, la porta si spalancò.
   «Sofia!» disse Emma in tono severo. «Non avrai ancora intenzione di partire, vero?».
   Una smorfia di pura disperazione attraversò il volto della giovane Portatrice del Fuoco. André scoppiò a ridere e passò molto tempo prima che riuscisse a smettere.

*

Una gelida oscurità li accolse.
   «Come mai il sole non è ancora sorto?» disse Giovanni, aprendo lo zaino e tirandone fuori una felpa.
   «Siamo parecchio più a Nord di Cork, non te lo dimenticare» rispose Sofia, sfregandosi le mani nel tentativo di riscaldarle.
   «Per nostra fortuna è agosto. Pensa se fosse stato pieno inverno» sbuffò l’uomo.
   «Se fosse stato inverno, saremmo affondati in almeno mezzo metro di neve» fu la replica.
   I due si guardarono intorno. Piccole alture si ergevano nella distesa piatta e vuota, e qua e là si scorgeva già qualche spruzzo di neve.
   «Da che parte dobbiamo andare, secondo te?» domandò Sofia, sentendosi insignificante in quella desolazione che si stendeva fino all’orizzonte e probabilmente anche oltre.
   «Non ne ho idea. Dovrebbe essere qui vicino, no? Proviamo a espandere le Aure, magari percepiamo qualcosa» propose Giovanni.
   Spingendo le proprie Aure il più lontano possibile, si misero in cammino. Vagarono per molte ore, inerpicandosi su per le colline e attraversando piccole distese pianeggianti, quando Giovanni si bloccò e alzò una mano. Sofia, che camminava mezzo passo dietro di lui, s’immobilizzò a sua volta. Sapeva perché l’uomo si era fermato… come lei, aveva percepito qualcosa di insolito.
   «Hai sentito?» le chiese infatti, rivolgendole una mezza occhiata. La ragazza annuì.
   «Direi che somiglia un po’ all’Aura di Emma, ma sono troppo lontana per esserne sicura» disse Sofia, rispondendo alla domanda dell’italiano. «Proseguiamo in questa direzione… ma tratteniamo un po’ le Aure, non voglio che il Custode pensi che gli siamo ostili».
   Giovanni annuì e ripresero il cammino con una marcia serrata, reprimendo l’Aura a mano a mano che si avvicinavano in modo da percepire – ed essere percepiti – al minimo. Quando i Cerchi di Ogascoon comparvero all’orizzonte era ormai pomeriggio inoltrato. Giunti a cinquecento metri di distanza, videro che i Cerchi di quel Custode della Verità – che si intravedevano a stento, attraverso gli alberi – erano più piccoli di quelli che avevano osservato nel Deserto della Nubia.
   Lasciando cadere gli zaini a terra, Giovanni si accinse a montare le tende. Sofia, invece, si allontanò di corsa.
   «Si può sapere dove stai andando?» le gridò dietro l’uomo. Lei fece finta di non sentirlo e sparì.
   Scuotendo la testa, Giovanni montò le tende e sedette a terra, osservando i Cerchi che si formavano e dissolvevano nel loro moto perpetuo. Un’ora dopo, Sofia tornò.
   «Allora, cos’avevi di tanto importante da fare, per correre via in quel modo invece di restare ad aiutarmi?» chiese Giovanni.
   «La cena» replicò la ragazza, sventolando il gallo cedrone che teneva per le zampe e tirandoglielo. «Puliscilo» ordinò.
   Con una smorfia disgustata, l’uomo prese il volatile e afferrò un coltello. Sofia scosse la testa.
   «Sei davvero privo di fantasia» disse, evocando una sfera d’Energia e spedendola contro il gallo morto. In pochi istanti era perfettamente spennato e pulito.
   «Ammetto che non ci avevo pensato» esclamò Giovanni ammirato, evocando una sfera di Fuoco intorno al gallo. Pochi minuti dopo, seduti di fronte a una massa di Fuoco che spargeva guizzi e scintille ovunque, i due mangiavano di gusto, fissando i Cerchi azzurrini in lontananza.
   «Qualche idea su come avvicinarlo?» chiese l’italiano, spezzando un lungo silenzio.
   Sofia scrollò le spalle.
   «Neanche una. Forse dovremmo semplicemente avvicinarci ai Cerchi e chiedergli se può darci le risposte che cerchiamo»
   «Questa non è un’idea… è un tentativo disperato» replicò Giovanni.
   «Io direi piuttosto che è l’unica opzione»
   «Allora… lo faremo davvero?» chiese ancora lui.
   «Credo proprio di sì. Io però suggerisco di aspettare» disse Sofia. Giovanni la guardò perplesso.
   «Cosa dovremmo aspettare?»
   «Che il Custode ci permetta di avvicinarci» fu la risposta, chiara e sibillina a un tempo.
   Strozzandosi con un boccone di carne, l’italiano la guardò incredulo.
   «E come capiremo quando potremo avvicinarci?» le chiese con aria scettica.
   Sofia, ignorandolo, s’infilò nella propria tenda. Poi mise fuori la testa.
   «Lo vedrai» disse con un sorrisetto prima di tornare dentro.
   Con un grugnito d’irritazione Giovanni fece svanire il Fuoco che avevano evocato ed entrò a sua volta nella propria tenda.

*

Giovanni uscì dalla tenda e vide Sofia seduta tre metri più avanti, perfettamente immobile. Si sistemò accanto a lei e le rivolse un’occhiata di traverso.
   «Sofi, ormai siamo qui da cinque…»
   «…sei» lo corresse distrattamente la ragazza.
   «…sei giorni» proseguì Giovanni «e non siamo venuti a capo di nulla. È ora di prendere una decisione: o proviamo ad avvicinarci al Custode, oppure rinunciamo e torniamo a casa».
   Con un sorrisetto enigmatico, Sofia si voltò a guardarlo.
   «Devo ammetterlo: non avrei mai pensato che saresti stato tanto paziente. Ero certa che avresti iniziato a lamentarti almeno tre giorni fa».
   Perplesso, l’uomo si limitò a fissarla.
   «Voglio però dimostrarti che non abbiamo perso tempo. Guarda là» aggiunse la ragazza, indicando davanti a sé. Col passare dei minuti la notte sbiadì, lasciando il posto a un’esitante alba. Insieme all’oscurità anche i Cerchi di Ogascoon in lontananza scolorivano, fino a quando non svanirono del tutto.
   Con gli occhi fuori dalle orbite, Giovanni continuò a fissare il punto in cui fino a un istante prima si alternavano i Cerchi. Dopo alcuni minuti si voltò verso Sofia.
   «Sono spariti!» rantolò. Lei sorrise di nuovo, estremamente soddisfatta.
   «Era esattamente quello che speravo accadesse» disse.
   «Come sapevi che sarebbe successo?» la interrogò Giovanni con impazienza.
   «Non lo sapevo. Era chiaro che per parlare con il Custode avremmo dovuto forzare la sua protezione: potevamo riuscirci facilmente, visto che entrambi manipoliamo l’Energia, ma così non ci saremmo certo conquistati la sua fiducia» esordì.
   «No, decisamente no» convenne l’altro. «Va’ avanti»
   «Così mi sono chiesta: in che modo possiamo dimostrare di essere degni di conoscere la Verità?»
   «E hai trovato una quantità pressoché infinita di risposte» puntualizzò Giovanni. Anche lui aveva svolto le medesime riflessioni, prima d’intraprendere quel viaggio.
   «Vero. Era altrettanto chiaro, però, che se non avessimo forzato i Cerchi, il solo modo per arrivare al Custode era far sì che fosse lui stesso a permetterci di avvicinarci. Non potendo avere nessun tipo di contatto con lui, fargli percepire la nostra presenza e convincerlo attraverso le Aure che non gli siamo ostili era la nostra unica possibilità»
   «Riesci ancora stupirmi. Io non ci avrei mai pensato» ammise francamente l’uomo.
   «Ma sì che ci avresti pensato… il tuo unico problema è l’impulsività. Ti basterebbe fermarti a riflettere» lo blandì Sofia. Prese un respiro profondo, gli rivolse un’ultima occhiata e gli afferrò la mano, trascinandolo verso gli alberi e nel folto del bosco.
   «Vedi qualcosa?» chiese Sofia, sbirciando cautamente tra gli arbusti.
   «Credo di sì… guarda là» rispose Giovanni, poggiandole una mano sulla spalla mentre cercava di indirizzarla nella giusta direzione, senza fermarsi. «Ora la vedi?»
   «Sì… una grotta, eccola lì» sussurrò lei, tesissima.
   Quando giunsero di fronte all’imboccatura della caverna esitarono, incerti.
   «Come ci si rivolge a un Custode della Verità?» si domandarono l’un l’altra in coro.
   Proprio in quell’istante i Cerchi ricomparvero intorno alla grotta, intrappolandoli e impedendo loro di tornare indietro. I due sobbalzarono, a disagio.
   «A quanto pare non ci resta che entrare» disse Giovanni a bassa voce. Si scambiarono un’altra rapida occhiata, poi Sofia si buttò a capofitto nella grotta buia, lasciandosi guidare da una pallina di flebile luce argentea che era apparsa di fronte a loro e galleggiava a mezz’aria. Dei passi leggeri alle sue spalle l’avvertirono che Giovanni l’aveva raggiunta.
   Meno di due minuti dopo la pallina si dissolse nel nulla con un sonoro sfrigolio: Giovanni fece per evocare del Fuoco, ma nel buio più totale la mano di Sofia trovò il suo braccio e lo bloccò.
   Restarono fermi, in attesa, immersi in un’oscurità tanto densa da essere quasi palpabile, finché un chiarore variopinto iniziò a ricacciare indietro le ombre, illuminando a giorno il luogo in cui si trovavano. In quel punto la caverna assumeva una forma circolare, di circa quindici metri di diametro e il soffitto era tanto alto da perdersi nel buio. La superficie delle pareti era irregolare: colonnine di pietra si levavano dal pavimento e accoglievano, sulle loro sommità, piccole fiamme cangianti, che racchiudevano in sé tutti i colori dell’arcobaleno e molti altri ancora. I continui cambiamenti di luce davano a ogni momento un aspetto diverso al luogo: rassicurante, mistico, inquietante. Sofia si avvicinò alle pareti: la roccia era coperta di strane incisioni, simili ad appunti, che rilucevano argentee. Come ipnotizzata, protese le dita verso i simboli.
   «Non toccarli».
   Una voce tanto bassa da confondersi con lo scoppiettio delle torce la bloccò.
   Sofia si voltò e vide un giovane uomo a due metri da lei e Giovanni che, immobile, fissava il nuovo arrivato con gli occhi socchiusi.
   «Non toccarli» ripeté il ragazzo. Sofia ritrasse la mano e lentamente si portò di nuovo al fianco di Giovanni.
   La persona che avevano davanti sembrava un ragazzo qualunque. Era poco più alto di Giovanni: la pelle del volto era tanto bianca da sembrare quasi trasparente, e i corti capelli castano dorato che gli ricadevano sulla fronte e sugli occhi spiccavano nettamente su quello sfondo niveo. Osservandolo con maggiore attenzione, Sofia si accorse che i contorni della sua figura erano sfocati in modo impercettibile e brillavano fiocamente di luce argentea.
   «Tu sei un Custode della Verità?» chiese la ragazza a bassa voce, facendo trasalire Giovanni. Il giovane annuì.
   «Io sono Altàis» si presentò. La sua voce era piacevolmente musicale.
   I due Portatori del Fuoco restarono in attesa, ma il Custode non parlò. Poi ricordarono le parole di Samaah: “Ci sono segreti che possono essere rivelati solo se si domanda, e misteri che possono essere svelati solo se a domandare sono i giusti”.
   «Altàis, tu sei un Custode della Verità e sai cosa ci è accaduto, poche settimane fa, durante un combattimento» esordì Sofia. «Vogliamo sapere perché è successo a noi, da cosa è dipeso».
   Il giovane Custode li guardò con aria grave.
   «Io sono ancora un Novizio; sono un Custode solo da centododici anni, e non possiedo la Verità sul vostro presente e sul vostro futuro. Però conosco la Verità sul vostro passato, ed è questa la Verità che dovete apprendere da me».
   «Perdonami Altàis, ma… quale Verità possiamo apprendere da qualcosa che abbiamo già vissuto? Non dovremmo conoscerla già?» domandò Sofia mentre il ragazzo volteggiava qua e là, scrutando le pareti con aria assorta.
   «Voi conoscete i fatti» la corresse il Custode senza fermarsi «non ciò che ha realmente mosso voi e il mondo perché quei fatti accadessero». Con una leggerezza estranea a chi possedeva un corpo completamente solido si alzò da terra di alcuni centimetri, continuando a contemplare le incisioni sulla roccia.
   «Ah… sapevo che era qui» bisbigliò tra sé, portando le dita quasi a contatto con una serie di incisioni indistinguibili dalle altre. Una piccola sfera simile a quella che aveva guidato Giovanni e Sofia nella grotta si staccò dalla parete, lasciando le incisioni nere e vuote.
   Sempre bisbigliando tra sé, con la piccola sfera sospesa sopra la mano aperta, il Custode riprese a vagare, tornando a terra. Solo in quel momento i due Portatori si accorsero che i suoi piedi restavano sempre a un soffio dal suolo.
   Indifferente alle loro silenziose considerazioni, Altàis si fermò di nuovo vicino a delle incisioni che si trovavano a pochi centimetri dal pavimento. Come poco prima, ne trasse una piccola sfera argentea. Si portò di fronte ai due interroganti, porgendo loro le due sfere. Giovanni afferrò quella posta nella mano destra del Custode, e Sofia quella nella mano sinistra. Al contatto con i rispettivi destinatari, nelle sfere iniziarono a vorticare dei guizzi colorati, al pari delle fiamme che illuminavano la caverna.
   «In queste sfere c’è la Verità sul vostro passato, dal momento in cui avete emesso il primo vagito al momento in cui è iniziato il vostro presente.
   «Poiché voi cercate una Verità comune, solo quella vi verrà svelata. Le altre resteranno celate nel silenzio e nell’oblio».
   «In che modo queste palline possono svelarci la Verità?» disse Giovanni.
   Altàis fece loro cenno di affiancare le sfere.
   I due eseguirono il comando portando a contatto i pollici delle mani destre, aperte, su cui si libravano le due sfere.
   Reagendo immediatamente a quella vicinanza la sfera di Giovanni sbocciò come un fiore, allargandosi parallelamente al palmo della mano dell’uomo; poi la massa variopinta si restrinse e si sviluppò verso l’alto per alcuni centimetri, vorticando e danzando su se stessa.
   «Perché la mia sfera non reagisce?» domandò Sofia. Altàis le fece cenno di avere pazienza.
   «Il suo passato è molto più esteso del tuo» le spiegò sorridendo.
   Ma Sofia non poté fermarsi a riflettere su quell’affermazione perché proprio in quel momento anche la sua sfera si aprì, scoppiettando, e imitò quella di Giovanni. Troppo presi da quello che stava accadendo, nessuno dei due si accorse della piccola ruga che apparve sulla fronte di Altàis quando i due flussi colorati iniziarono a vorticare sempre più veloci.
   Senza alcun preavviso i due fasci si unirono in un abbraccio, avvolgendosi l’uno all’altro in una stretta spirale: i guizzi colorati al loro interno si susseguivano sempre più frenetici, scoppiettando. Gradualmente il rumore scemò, trasformandosi in un suono molto più delicato e al tempo stesso più potente. Vibrava nelle casse toraciche dei due Portatori, come un immenso sonaglio; con un brivido, Sofia si rese conto che le ricordava il canto delle Fenici. Mentre le voci indistinte di quel canto aumentavano di volume, di pari passo con l’euforia e il terrore che pervadevano tanto Giovanni quanto Sofia, i due iniziarono a distinguerne alcune parole. Non erano che pezzi di frasi sconnessi e privi di significato, slegati com’erano dal resto del canto, ma non un dubbio si avvicinò mai alle loro anime: perché nel momento stesso in cui la udivano, la voce della Verità si radicava in loro, donando alle loro menti la conoscenza totale di ciò che le loro orecchie udivano solo in parte.
   Mentre anni di vita insieme si rivelavano nella loro pienezza davanti ai loro occhi, non si accorsero dei segni che la Verità lasciava sul loro corpo. Segni impercettibili; ma pur sempre presenti.
   Col passare dei minuti, nei due Portatori cresceva l’affanno. Gocce di sudore imperlarono le loro fronti, il respiro divenne breve e spezzato; anche solo tenere sollevata la mano su cui si librava la propria sfera era uno sforzo superiore alle loro forze. La vecchia ferita di Sofia riprese a pulsare e bruciare; la loro vista si annebbiò; e i due fasci luminosi, con un ultimo guizzo verso l’alto, furono risucchiati indietro e ripresero il consueto aspetto sferico.
   Stremato, Giovanni cadde in ginocchio, sforzandosi di mantenere aperta la mano in cui teneva la piccola pallina che racchiudeva il suo passato e poggiando l’altra mano a terra per non cadere. Sofia fu meno fortunata; finì a terra con uno schianto, perdendo i sensi per qualche istante mentre nonostante tutto, ostinatamente, la sua mente l’obbligava a tenere la sfera tra le mani chiuse a coppa. Dopo un minuto si riprese e rotolò sulla schiena, respirando con forza, mentre Giovanni le si accostava per chiederle come stava.
   Altàis li osservò in silenzio; l’aria seria e preoccupata non l’aveva abbandonato. Conoscere la Verità era uno sforzo notevole per chiunque, ma Giovanni e Sofia avevano reagito in modo spropositato. Pur non avendo mai risposto ad altri interroganti, Altàis intuiva che nelle due vite che aveva di fronte c’era qualcosa in più, rispetto a tutte le altre: e se questo fosse positivo o negativo, neanche lui riusciva a stabilirlo.
   Quando Sofia si fu ripresa abbastanza da reggersi sulle gambe, Altàis tornò da lei e Giovanni, portando due cofanetti di legno di abete rosso. Con un gesto della mano, il Custode fece ruotare i due coperchi sulle cerniere. All’interno, nel legno erano state ricavate quattro nicchie circolari.
   «In questi cofanetti» esordì «riporrete le vostre Verità. Queste nicchie» proseguì, indicando i tre spazi più piccoli, posti ai vertici di un triangolo «accoglieranno il vostro passato, il vostro presente e il vostro futuro. Nella quarta nicchia, invece» disse, indicando lo spazio più grande, posto al centro del triangolo «troverà posto la risposta alle vostre domande». Altàis s’interruppe, facendo cenno ai due Portatori di riporre le sfere nei rispettivi cofanetti. Quando entrambi ebbero lasciato le sfere, con un altro gesto Altàis chiuse i cofanetti e li consegnò a Giovanni e a Sofia, insieme alle chiavi per aprirli. Poi, in silenzio, se ne andò.
   Giovanni e Sofia si fissarono, un po’ sconcertati.
   «Credi che dovremmo andarcene?» domandò lei.
   «Immagino di sì… proviamo a uscire da qui e vediamo se i Cerchi ci sono ancora» propose l’uomo.
   In silenzio, sempre stringendo tra le mani i cofanetti, ripercorsero la strada che avevano intrapreso un’ora prima e uscirono dalla grotta: i Cerchi di Ogascoon non c’erano. I due rabbrividirono, mentre tornavano velocemente verso le tende e un vento gelido li investiva.
   «Credevo avrebbe fatto meno freddo, una volta che il sole si fosse alzato, e invece è peggio di prima» sbuffò Giovanni. Sofia annuì.
   «Andiamocene alla svelta da qui» replicò.
   Proseguendo il più velocemente possibile nonostante la stanchezza, uscirono dal bosco e si bloccarono, increduli. Di fronte a loro, il manto verde che ricopriva il terreno si era ingiallito, mentre un sottile strato di neve fresca ricopriva qua e là il paesaggio.
   «Com’è possibile che ci sia stato un cambiamento del genere in un’ora?» disse Sofia, innervosita.
   Giovanni, a sua volta a disagio, ci pensò su per un minuto.
   «Forse è stato Altàis… magari svelare la Verità ha ripercussioni sull’ambiente circostante» tentò.
   Sofia, non molto convinta, annuì lentamente.
   «Forse è così… dovremo cercare altre informazioni»
   «Per ora, la cosa più importante è andar via di qui».
   Raccolsero le loro cose in pochi minuti e, con un sospiro di sollievo, si aggrapparono alla coda di Nabeela.

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Capitolo 6
*** Il brivido del rischio ***


Confusa, Sofia si guardò intorno mentre grida di stupore e di saluto si alzavano.
   La mensa era strapiena.
   «Sofi!». Sollevato, André le corse incontro. «Finalmente sei tornata!».
   Tirandosi indietro prima che qualcuno potesse abbracciarla, la ragazza si guardò di nuovo intorno.
   «Che ci fanno tutti qui?»
   «Anche noi stiamo bene, grazie per avercelo chiesto. A proposito, hai un aspetto orrendo» disse Blaze.
   Lei non lo ascoltò; continuava a osservare le decine di Portatori che, seduti ai propri posti, continuavano a mangiare e ridere come se nulla fosse.
   «Che ci fanno tutti qui?» ripeté.
   Claudio e Cornelia si scambiarono uno sguardo preoccupato.
   «Sono tornati tre giorni fa per riprendere gli addestramenti, come era stato stabilito» disse l’uomo cautamente. Sofia scosse la testa.
   «Credevo sarebbero rimasti per un po’ con le loro famiglie».
   Laurence lasciò Ambrosine e si avvicinò alla sua giovane amica.
   «Ma l’hanno fatto. Sono stati via per cinque settimane, Sofi, dal giorno in cui hai trovato Ambrosine».
   La ragazza scosse di nuovo la testa, prima di afferrarsi i capelli.
   «Io e Giovanni siamo partiti sei giorni fa, era il diciannove di Agosto… i ragazzi erano partiti da nove giorni, come puoi dire che sono stati via cinque settimane?» si lamentò. Non riusciva a pensare; sentiva una morsa stringerle la testa mentre teneva gli occhi socchiusi, infastidita dalla luce.
   Calò un pesante silenzio, che si sarebbe protratto a lungo se lo sbattere della porta non avesse fatto trasalire tutti.
   Gregory entrò trafelato nella stanza. Claudio lo prese immediatamente da parte e iniziò a bisbigliargli qualcosa, ma l’altro lo bloccò con un secco: «Lo so!» prima di superarlo e dirigersi deciso verso Sofia.
   «Sofia» disse, afferrandole i polsi e costringendola ad aprire gli occhi doloranti «oggi è il diciannove di Settembre. Tu e Giovanni siete stati via per un mese intero»
   «Questo non è possibile, e lo sai» replicò la ragazza. Lui l’afferrò per un braccio e la trascinò di fronte alla finestra.
   «Guarda» disse rudemente, costringendola a osservare l’esterno. «Guarda la Valle. Osserva i prati, gli alberi e le colline che conosci tanto bene, e dimmi chi ha ragione».
   Con uno sforzo, la ragazza ubbidì. I suoi occhi si posarono su una vegetazione che non era più viva e brillante, ma che iniziava a scolorire: le prime foglie si staccavano dagli alberi cadendo dolcemente a terra. I fiori estivi erano appassiti e uno sbuffo d’aria quasi fredda s’insinuava nelle finestre socchiuse.
   «Siamo in autunno» notò Sofia con voce piatta. Posò la fronte sul vetro freddo. «Tutto questo non è possibile. Stamattina siamo riusciti ad avvicinarci al Custode, ci ha parlato, ma non siamo rimasti con lui più di un’ora».
   Gli altri Maestri la fissavano con aria preoccupata; Ailie bisbigliò qualcosa a Emma, che annuì.
   «Forse dovresti riposare» suggerì Emma incerta. «Hai davvero una pessima cera».
   «Già, forse» rispose l’altra. Si sentiva svuotata e incapace di formulare un solo pensiero razionale. «Ci vediamo più tardi» disse, trascinandosi faticosamente fuori dalla stanza mentre i suoi amici le rivolgevano un’ultima occhiata piena di dubbi.

*

L’autunno era arrivato, e con esso le prime piogge.
   Gli addestramenti erano stati spostati nelle grandi stanze al pianterreno, e in una di queste Sofia trovò Emma e Gregory intenti ad allenarsi.
   «Allora, come va qui?» chiese la ragazza sedendo accanto a Ailie e Fernando, che si erano sistemati in un angolo della stanza.
   «Bene, ma bisogna stare attenti… ogni tanto qualche schizzo d’Energia arriva da queste parti» rispose Fernando con un sorriso, senza staccare gli occhi da Emma.
    Ailie scosse la testa.
    «Non fa altro che guardarla. Pensa che l’ha anche portata con sé in Spagna per qualche giorno!».
    Sofia sorrise.
    «È innamorato. Che sia l’aria della Valle a fare questo effetto? Dovunque guardi, vedo coppiette che spuntano come funghi!» disse, facendo scoppiare a ridere Ailie che dichiarò che a lei non sarebbe mai successo.
   «Chi vivrà vedrà» rispose con un ghigno la giovane, raccogliendo i lunghi capelli castani con un elastico. Poi si rivolse a Gregory. «Da dove arrivavi così di corsa, la mattina in cui sono tornata?».
   Distratto dalla domanda, l’uomo fu colpito da Emma.
   «Accidenti Sofi, per colpa tua mi ha preso!» si lagnò lui prima di risponderle. «In ogni caso, ero al Centro. Non avevano ancora trovato un nuovo Maestro dell’Acqua e ho accettato di aiutarli fino a quando non fosse tornato almeno Giovanni»
   «Come ha reagito, quando ha scoperto che siamo stati via per un mese intero e non per una sola settimana come credevamo?»
   «Come te. Non poteva crederci, ma per fortuna si è convinto piuttosto rapidamente della verità delle mie affermazioni. A proposito, hai qualche idea su come sia potuta accadere una cosa simile?»  le domandò.
   «Neanche una» ammise Sofia. «Dovrò fare qualche ricerca in biblioteca»
   «Abbiamo già controllato. Non c’è niente al riguardo» la informò Fernando. Il ghigno che ricevette in risposta fu sufficiente a farlo preoccupare.
   «Non ho detto di dover controllare in questa biblioteca» precisò la ragazza. Gli altri quattro si misero le mani nei capelli.
   «Perché quando dice così mi preoccupo sempre?» chiese Ailie.
   «Cos’hai intenzione di fare, Sofi?» domandò invece Emma.
   L’altra si alzò.
   «Non fatemi domande e non vi dirò bugie» rispose con un sorrisetto, prima di uscire dalla stanza e scontrarsi con Blaze.
   «Scusa Sofi, non ti avevo vista» disse, afferrandola prima che rovinasse a terra.
   «Non ti scusare Blaze, stavo cercando proprio te».
   Il ragazzo assunse un’aria sospettosa.
   «Me? E perché mai?» indagò.
   Sofia si esibì in un sorriso rassicurante che però non ingannò il suo amico.
   «Devo fare una cosa, e ho bisogno d’aiuto».
   «Se chiedi aiuto a me, deve essere qualcosa di tanto rischioso da suscitare la disapprovazione generale» notò lui.
   «Hai ragione» ammise Sofia. «È tanto rischioso, che tentare è un’impresa da pazzi».
   Blaze sollevò un sopracciglio.
   «Allora ci sto!».

*

«Brava Nabeela, ora va’».
   Con un buffetto sul collo Sofia congedò rapidamente la Fenice, guardandosi attorno preoccupata. Fortunatamente, nel vicolo in cui erano comparsi non c’era nessuno. Uscendo cauto dall’ombra, Blaze si guardò intorno.
   «Dove accidenti siamo?» chiese sottovoce.
   «Vicino al Parlamento» rispose Sofia, afferrandolo per un braccio e trascinandolo velocemente fuori dal lungo vicolo.
   «Accidenti se fa caldo, qui» notò il ragazzo, sfilandosi la felpa. Anche se erano i primi giorni di Ottobre, la temperatura era ancora mite.
   «Certo non è l’Irlanda, Blaze. Roma è molto più a Sud di Cork… di qua» rispose lei, afferrandolo per la manica per farlo girare a sinistra. «Guardati bene intorno… credi di riuscire a ritrovare la strada?» gli domandò preoccupata. Blaze sbuffò.
   «Sofi, non sono un novellino!».
   Camminarono per qualche altro minuto, durante i quali Sofia indicò a Blaze dei punti di riferimento per essere certa che in caso di necessità riuscisse a ritrovare la strada. Alla fine, il ragazzo sbottò.
   «Sofia, basta! Sono in grado di orientarmi, abbiamo svoltato una sola volta e stiamo passando davanti a questo coso enorme…».
   Stizzita, la ragazza si voltò a guardarlo.
   «Prima di tutto questo coso, come lo chiami tu, si chiama Pantheon ed è uno degli edifici storici più famosi al mondo. In secondo luogo, credo tu non abbia ben capito quello che stiamo per fare e a danno di chi, altrimenti comprenderesti perfettamente per quale motivo voglio essere assolutamente certa che riuscirai a tornare indietro!».
   Fingendo di non sentirla, l’altro continuò a camminare. All’improvviso Sofia lo afferrò e lo trascinò dietro a un’edicola, ignorando gli sguardi stupefatti dell’edicolante e di un paio di uomini in giacca e cravatta.
   «Ora, Blaze» disse Sofia, cingendogli il collo con le braccia e ostentando un’aria tenera, in modo da ingannare eventuali osservatori «ricorda bene tutto quello che abbiamo provato questa settimana. Soprattutto, non emanare l’Aura a meno che non sia assolutamente necessario, e controllati».
   «Avanti Sofi, mi hai ripetuto tutto per giorni e giorni, so cosa devo fare» replicò lui, abbracciandola e dandole un bacio su una tempia. «A proposito, come si chiama il tizio?» le domandò, scoppiando a ridere di fronte all’aria sgomenta che la ragazza aveva assunto. Si separarono e, dopo essersi guardati per un attimo, Blaze la lasciò dietro all’edicola e tornò a percorrere i pochi metri di salita che lo separavano dalla sua meta. Un istante più tardi, Sofia tornò indietro e corse nella direzione opposta.

*

Dopo una rapida occhiata all’orologio, Blaze accelerò il passo. Girò l’angolo e vide l’uomo che cercava scendere da una berlina nera. Tutto come previsto.
   Il ragazzo si fece avanti, gridando in italiano con voce isterica: «Non ci posso credere, il signor Limardi!».
   Le guardie del corpo dell’uomo si interposero tra i due prima che Blaze potesse raggiungerlo. Uno di loro lo afferrò rudemente per un braccio.
   «Cosa credi di fare, ragazzino?» ringhiò, sospingendolo indietro.
   «Ma io…» piagnucolò Blaze, seguendo alla lettera le istruzioni di Sofia.
   Ci sono sempre almeno sei guardie scelte con lui, lo aveva avvertito, ma se lo avvicini in pubblico, non potranno usare gli Elementi per fermarti. Comportati in modo isterico, come farebbe una ragazzina di fronte a una rockstar, e sarà lui stesso a intervenire in tuo favore.
   Un attimo dopo, infatti, l’uomo si fece avanti e fece cenno alle guardie di spostarsi.
   Blaze lo osservò attentamente. Dopo tutto quello che Sofia gli aveva detto su Prospero Limardi, non si aspettava di trovarsi di fronte un uomo dall’apparenza tanto anonima. Di media altezza – non superava il metro e settanta – e con un fisico che mostrava chiaramente i segni del tempo, non aveva nessun tratto che lo distinguesse in modo particolare dagli altri uomini della sua età.
   «Allora ragazzo» disse Prospero Limardi con voce morbida, «cosa posso fare per te?».
   Ostentando confusione, Blaze iniziò a balbettare.
   «Signor Limardi, è un tale onore incontrarla! Lo desideravo da tempo!».
   Sorridendo soddisfatto e sistemandosi i capelli neri in un gesto che tradiva tutta la sua vanità, l’uomo osservò Blaze con fare paterno.
   «Via, via, ragazzo, non esagerare» disse, schermendosi.
   «No, no, signor Limardi, dico davvero… un Portatore, un Maestro della sua levatura, conoscerla è, per me, un sogno che si avvera!» replicò l’altro con voce strozzata dalla presunta emozione.
   Quella frase risvegliò l’attenzione di tutti.
   «Sei un Portatore, dunque?» indagò infatti Prospero, osservandolo con appena una punta di sospetto.
   «Oh, sì. Sono anch’io un Portatore, della Terra per la precisione, signore» ansimò Blaze. Sofia si era molto raccomandata su quel punto: doveva lusingare la vanità di quell’uomo, che si riteneva un Maestro di grande talento.
   «E hai sentito parlare di me?» insisté l’uomo. Il ragazzo annuì.
   «Abbiamo bisogno di qualche informazione su di te. Ed espandi l’Aura, per favore» ordinò una delle guardie di Prospero, estraendo un taccuino per prendere nota.
   «Mi chiamo Mattia Liverano, abito a Milano» snocciolò obbediente Blaze, utilizzando l’identità che lui e Sofia avevano rubato per l’occasione ed espandendo una minima parte della propria Aura in modo da non lasciar capire quanto fosse potente. Agli occhi di Prospero Limardi non doveva passare che per un banale Apprendista di livello intermedio.
   «Milano, eh? Come mai ti trovi a Roma?» indagò un’altra guardia.
   «Volevo visitare la città» rispose prontamente il ragazzo.
   Prospero intervenne per bloccare le domande.
   «Non c’è bisogno di tutte queste formalità con un ragazzo così simpatico» disse. Blaze sorrise riconoscente. «Allora Mattia, ti piacerebbe vedere di cosa è capace un Maestro degli Elementi?» riprese l’uomo, abbandonando ogni pretesa di modestia. Ottenuto in risposta un frenetico cenno d’assenso, gli fece cenno di seguirlo e il gruppetto entrò nel palazzo alle loro spalle.

*

Dall’angolo della strada parallela a quella da cui era sbucato Blaze, Sofia osservava con attenzione la scena. Sorridendo compiaciuta, guardò Prospero Limardi condurre il suo seguito all’interno dell’antico palazzo. Tutto era andato come previsto: Blaze aveva recitato la sua parte in modo magistrale. Sperando che non si lasciasse spazientire dalle sciocche dimostrazioni di Prospero, anche lei si accinse a fare la propria parte.
   Alzò gli occhi sulla facciata laterale dell’edificio. Le finestre del pianterreno erano a un paio di metri da terra e coperte da solide inferriate… ma non era a quelle che puntava.
   Si guardò attorno con molta attenzione. Era quasi ora di pranzo, e dei grossi nuvoloni neri stavano oscurando il sole. I turisti che di solito passavano per quella viuzza, diretti a Piazza Navona, si dileguarono con impressionante velocità. Dopo aver atteso per un paio di minuti, approfittando della momentanea solitudine, Sofia si preparò a entrare.
   Contò le finestre individuando quella che, secondo i suoi calcoli, doveva affacciarsi su una stanza vuota. Indietreggiò fino a toccare con la schiena il muro dell’edificio dall’altro lato della strada, respirò profondamente e prese la rincorsa, spiccando un alto salto e aggrappandosi alle inferriate di una finestra del piano terra. Rapidamente si arrampicò fino a issarsi sullo stretto cornicione della finestra e, pregando perché nessuno la vedesse, con un altro piccolo salto si appese alla soglia della finestra del primo piano. Portando gli occhi al livello delle dita sbirciò all’interno. Quello che vide fu sufficiente a rassicurarla e, silenziosamente, sgusciò dentro.
   Soffocando l’agitazione degli ultimi due minuti, si addossò alla parete e si concesse un istante per tirare un sospiro di sollievo. Eccola lì, nella biblioteca privata di Prospero Limardi, a cui lui solo aveva accesso.
   Con passo leggero Sofia andò alla porta e vi poggiò un orecchio, in ascolto. Sapeva che c’era solo un vecchio custode, a guardia di quella porta – una sorveglianza considerata superflua dai più, ma a cui Prospero teneva particolarmente. Sentì dei fruscii e qualche colpo di tosse: probabilmente l’uomo stava leggendo il giornale.
   La ragazza tornò indietro e iniziò a girare tra gli scaffali di legno, cercando. Sapeva che i Portatori lasciavano una traccia della propria Aura, nei manoscritti che redigevano – una specie di firma – e che espandendo anche al minimo la propria Aura, avrebbe trovato immediatamente quello che cercava: ciò che non sapeva era se il custode, al di là della porta, fosse un Portatore oppure no.
   Ormai sono arrivata fin qui, pensò Sofia. Un rischio in più o in meno che sarà mai.
   Lasciò libera una minima, infinitesimale parte della propria Aura, e li sentì.
   Reprimendo nuovamente l’Aura andò quasi di corsa in fondo alla biblioteca, cercando la vetrina giusta. Quando la trovò, la sfiorò leggermente con le dita e provò ad aprirne le ante. Come prevedeva erano chiuse a chiave.
   Sogghignando, decise di ricorrere a un trucchetto che aveva imparato anni prima.
   Posò una mano sulla piccola serratura della vetrina e lasciò che un sottilissimo fascio d’Energia fluisse all’interno. Un istante dopo la serratura scattò e Sofia spalancò le ante.
   Fremendo estrasse un libro dietro l’altro, divorandoli con gli occhi: c’era così tanto sui Portatori e sugli Elementi, in quei volumi, che avrebbe desiderato portarli via tutti. Recuperando la concentrazione la ragazza prese a sfogliare i volumi, cercando quello di cui aveva bisogno. In pochi minuti selezionò alcuni libri e li infilò rapidamente in uno zainetto.

*

«Signor Limardi, è davvero stupefacente!» guaì Blaze con aria adorante.
   Con un vacuo sorriso impregnato di arroganza, l’uomo continuò a esibirsi in piccole dimostrazioni. Pensando che non si era mai annoiato tanto, Blaze continuò a fingere di essere stupito dalla bravura di Prospero.
   Devo ricordarmi di chiedere a Sofi perché lo considera tanto pericoloso, annotò mentalmente. Quello che aveva visto fino a quel momento lo aveva lasciato senza parole…in negativo: Sofia gli aveva detto che quell’uomo si considerava molto più abile di quanto non fosse in realtà, ma Blaze non si aspettava fosse a un livello tanto basso.
   Riscuotendosi dai suoi pensieri rivolse un’occhiata alla mezza dozzina di guardie che, dietro di lui, osservava attentamente ogni suo movimento. All’improvviso vide uno di loro bisbigliare qualcosa all’orecchio del suo vicino e, ricevuto un cenno di assenso, allontanarsi rapidamente.
   Avanti Sofi, sbrigati, pensò Blaze, tentando di soffocare un brutto presentimento.

*

Uscito dalla sala di rappresentanza in cui Prospero stava tenendo il suo spettacolino, l’uomo si guardò intorno, rassettandosi meccanicamente la giacca. Qualche minuto prima aveva percepito, debolissimo, qualcosa di insolito. Nessun altro se n’era accorto; erano tutti concentrati su Prospero e sulla sua Aura, che copriva ogni altra cosa; ma lui, che stava controllando le Aure al di fuori di quella stanza, l’aveva sentito.
   Salì le scale senza fretta, scuotendo impercettibilmente la testa e trattenendo la propria Aura. Arrivato in cima alla rampa andò a sinistra, dirigendosi verso la biblioteca.
   «Aldo, buongiorno. Come va la tosse?» chiese gentilmente al vecchio custode.
   «Come sempre, come sempre» rispose l’altro burbero. «Che ci fai da queste parti?»
   «Sono venuto a fare un giro di controllo» spiegò il primo.
   «Nella biblioteca di Prospero?» indagò sospettosamente il custode.
   «Su tutto il piano» ribatté l’altro.
   Il vecchio si alzò.
   «Visto che ci sei tu, vado a fare una pausa» disse, posando il giornale. Si diresse verso la porta della biblioteca e la chiuse a chiave.
   «Via, Aldo, non ti fidi di me?» lo punzecchiò il più giovane.
   «È il mio lavoro. Non mi fido di nessuno, io, quando si tratta di questa biblioteca» replicò l’altro, andando lentamente verso le scale.
   Non appena il vecchio sparì dalla vista la guardia, rimasta sola, andò alla porta e, estratta una copia della chiave in possesso del custode, fece scattare la serratura. Entrò silenzioso nella biblioteca e si richiuse la porta alle spalle.
   «A noi due» bisbigliò.

*

Lavorando febbrilmente, Sofia stava mettendo in atto un altro dei suoi trucchi: utilizzando l’Energia, stava replicando i volumi che aveva appena sottratto. Era una lavoro delicato: doveva eliminare ogni traccia della propria Aura dall’Energia che stava plasmando. Se non ci fosse riuscita, per Prospero e i suoi uomini sarebbe stato fin troppo facile rintracciarla, quando si fossero accorti del furto.
   Non le restava da replicare che un libro. Mentre iniziava il lavoro, sentì dei passi avvicinarsi e una voce. Troppo giovane per essere quella del custode, che un attimo dopo, infatti, rispose. Manipolando rapidamente l’Energia, ascoltò il breve scambio di battute tra le due voci. Tirò un secondo sospiro di sollievo sentendo il custode chiudere a chiave la porta dall’esterno e si accinse a dare gli ultimi ritocchi alla sua opera. Un minuto dopo, però, sentì la serratura scattare di nuovo.
   Concludendo frettolosamente il lavoro, sistemò le copie nei posti prima occupati dai manoscritti originali, chiuse di nuovo a chiave la vetrina e si nascose dietro lo scaffale più vicino.
   Con il cuore che le rimbombava nelle orecchie, ascoltò dei passi leggeri avvicinarsi. Non aveva idea di chi fosse; non poteva percepirlo con l’Aura per paura di essere scoperta, così si affidò al solo udito.
    «Sofia, so che sei qui» disse la voce di Michele sommessamente.
   La ragazza uscì cautamente allo scoperto, controllando che l’uomo fosse solo.
   «Come hai fatto a scoprirmi?» domandò.
   «Ti ho percepita» replicò lui. «Adesso sono io a doverti fare una domanda. Che cosa ci fai qui?»
   «Era una bella sfida. Mi piace il brivido del rischio, lo sai» rispose Sofia sorridendo.
   Michele la guardò con serietà. «Sofia, sii seria e rispondimi» la esortò.
   «Oh, d’accordo… mi servivano delle informazioni»
   «Riguardo a cosa?».
   Sofia gli sventolò un dito contro.
   «Ora vuoi sapere troppo, mio caro» lo redarguì.
   «Sofi, ti rendi conto di quello che hai fatto? Ti sei introdotta di nascosto nella biblioteca privata di Prospero. Hai idea di quello che farebbe, se lo scoprisse?»
   «Non ci crederai, Michele, ma in effetti un’idea ce l’ho. Inoltre non ci tengo affatto a incontrare il tuo capo… quindi, se potessi evitare di dirgli che sono stata qui, mi faresti veramente un gran favore» disse la ragazza, ostentando un’aria tenera e implorante. Michele la guardò alzando un sopracciglio.
   «È inutile fare quella faccia, Sofi, non sei credibile» la informò.
   «Lo so, ma dovevo tentare». Tornando all’abituale atteggiamento, Sofia lo fissò attentamente. «Allora, hai intenzione di dire a Prospero che sono stata qui?».
   Dopo un attimo di esitazione, Michele scosse la testa.
   «Tu sarai la causa della mia morte, Sofia, lo so» si lamentò. «Comunque sta’ tranquilla, non glielo dirò… in teoria non sono neanche mai stato qui»
   «Grazie». Alzandosi in punta di piedi, la giovane lo attirò a sé e gli stampò un grosso bacio su una guancia. «Ti devo una cena»
   «Solo una?» disse Michele incredulo.
   «Non esagerare!» ribatté Sofia, andando verso la finestra. Si stava già calando con cautela sul cornicione della finestra sottostante, quando la voce di Michele la richiamò.
   «Sofi?»
   «Cosa c’è?»
   «Sei qui perché sei riuscita a parlare col Novizio, vero?»
   «Sì»
   «Prima che tu faccia un altro viaggio a Roma per chiedermelo… tu sai già, dov’è un Ministro. Ci sei già stata» le disse con un’occhiata significativa.
   «Akasha…» disse Sofia, pensierosa. Poi si riscosse. «Come sai che ci sono già stata?»
   «Lo so e basta» rispose l’uomo, uscendo dalla biblioteca e richiudendo a chiave la porta. Sofia tornò velocemente a terra e si preparò a dare il segnale di fuga a Blaze.

*

Michele sgusciò silenziosamente nella sala e si affiancò ai suoi colleghi proprio mentre Prospero interrompeva la sua dimostrazione e si rivolgeva a Blaze.
   «Mattia, ti piacerebbe provare a eseguire qualcuno degli esercizi che ti ho fatto vedere?» lo invitò. Qualcosa in quel ragazzo non lo convinceva: lo aveva osservato attentamente e un paio di volte aveva scorto, fugace, l’ombra della noia sul suo volto. Una cosa improbabile, se fosse stato davvero solo un Apprendista.
   Capendo al volo di essere caduto nell’errore contro cui Sofia lo aveva messo in guardia, Blaze tentò di recuperare.
   «Mi piacerebbe provare l’ultimo, signore, ma non sono certo di aver ben capito come si fa» mentì spudoratamente.
   Guardandosi con sospetto – seppur ben celato – reciproco, il più anziano si accinse a ripetere la sua ultima dimostrazione.
   Proprio in quel momento, sotto le finestre risuonò una serie di forti scoppi. Immediatamente quattro delle sei guardie accerchiarono Prospero e lo condussero via quasi di corsa, mentre gli altri due uomini andavano all’esterno a controllare la situazione.
   Rimasto solo, anche Blaze corse via. Uscì dal palazzo e ripercorse al contrario la strada su cui si era incamminato con Sofia poco più di un’ora prima, facendosi largo con violenza tra turisti e passanti e controllando che nessuno lo seguisse.
   Rallentando appena, alzò gli occhi sulla targa che indicava il nome della strada su cui stava per lanciarsi: Via del Seminario. Stava andando nella direzione giusta.
   A ogni passo vedeva, più chiaro, il punto in cui avrebbe dovuto girare. Era così concentrato che non si accorse della persona che, sbucando da una via alla sua sinistra, stava per tagliargli la strada.
   I due si scontrarono violentemente e finirono contro il muro, attirando gli sguardi allarmati di un paio di passanti. Blaze fece per attaccare il suo aggressore, ma quello lo fermò.
   «Sono io Blaze, sta’ calmo» lo bloccò Sofia, prendendolo per il polso e ricominciando a correre.
   «Dovresti stare più attenta Sofi, stavo per attaccarti!». Non ottenendo risposta, Blaze proseguì. «Ci sei riuscita?»
   «Sì» rispose sbrigativamente la ragazza, trascinandolo nella prima via a destra che incontrarono sul loro cammino.
   «Devi spiegarmi perché era tanto importante, per te, entrare lì dentro senza essere vista»
   «Non mi sembra il momento, Blaze!» si lamentò Sofia.
   Preoccupato, il ragazzo sbirciò alle proprie spalle.
   «Credi ci stiano seguendo?» le domandò.
   «Me, no di certo. Quanto a te… forse la tua sparizione improvvisa potrebbe far sorgere qualche dubbio!».
   Senza troppi complimenti Blaze la tirò verso destra, nel vicolo in cui erano arrivati con Nabeela. Una donna affacciata alla finestra li guardò con curiosità fino a quando non si nascosero in un angolo, sparendo nel nulla.

*

Quando arrivarono, la Valle era spazzata da una pioggia torrenziale.
   Nabeela li lasciò in una piccola depressione del terreno, facendoli sprofondare nell’acqua e nel fango fino alle caviglie, e volò al riparo.
   Blaze e Sofia rimasero immobili a guardarsi, increduli, mentre la pioggia li inzuppava fino alle ossa. Poi, un minuto dopo, scoppiarono a ridere, finendo lunghi distesi nel fango, incapaci di smettere.

*

«Voi due! Si può sapere dove vi eravate cacciati?».
   La voce sonora di Claudio li accolse in questo modo, mentre tutti gli altri li fissavano allibiti.
   «Be’? Che avete da guardare?» domandò Blaze.
   «Allora ci siete proprio voi due, sotto tutta quella melma!» li prese in giro André.
   Sofia gli fece la linguaccia mentre Laurence si faceva avanti e le puliva il volto con un fazzoletto.
   «Già, sono proprio loro» disse sorridendo. Gregory e Claudio, invece, sbuffarono.
   «Sembrate proprio due bambini…» esordirono; senza lasciar loro il tempo di continuare, i due giovani gli si scagliarono contro e li abbracciarono, inzaccherandoli, sordi alle loro proteste.
   «Così imparate a essere sempre tanto noiosi» li rimproverò Blaze.
   «Allora Blaze, dov’eravate finiti, per conciarvi in questo modo?» chiese Laurence.
   «Non l’abbiamo certo fatto apposta. Non sapevamo stesse piovendo» rispose l’altro, tentando di staccarsi un po’ di fango di dosso.
   Gregory drizzò le orecchie.
   «Non lo sapevate? Dove accidenti siete stati?» ruggì, immaginando solo vagamente quel che potevano aver combinato.
   «A prendere questi» rispose Sofia, aprendo lo zaino impermeabile e rovesciandone il contenuto sul tavolo.
   «Libri?».
   L’esclamazione indignata di Blaze la fece sorridere.
   «Tu mi hai fatto sopportare quel vecchio borioso per prendere alcuni libri?» insisté il ragazzo.
   Sofia accarezzò i volumi con affetto.
   «Questi non sono libri qualunque, Blaze. E poi, è possibile che la noia sia l’unica cosa di cui ti sia preoccupato?»
   «A cos’altro avrei dovuto pensare? Mi avevi messo tanto in guardia contro quel Prospero Limardi, su quanto fosse pericoloso, e invece non è che un banale, mediocre Portatore di medio livello!».
   «Che cosa c’entra Prospero Limardi?». Questa volta fu Claudio a ruggire, impedendo a Sofia di ribattere.
   La ragazza lanciò un’occhiataccia al giovane americano. Nonostante il silenzio, il suo padrino fece due più due in un attimo.
   «Libri antichi… Prospero Limardi… ti sei introdotta nella sua biblioteca!» strillò.
   «Sì, zio Claudio, l’ho fatto» ammise Sofia, rassegnata. Sapeva che negare l’evidenza sarebbe stato inutile. L’uomo si coprì il volto con le mani.
   «Non ci posso credere… sei sempre stata così attenta, prudente, responsabile… che ti sarà mai accaduto in questi anni, per farti cambiare tanto, io proprio non lo so…» bofonchiò tra sé.
   Blaze, ritenendo eccessiva la reazione di Claudio, intervenne.
   «Su, Claudio, non è successo nulla… che cosa potrebbe mai fare, poi, quest’uomo, se anche scoprisse che è stata Sofi a rubare i libri? Non è poi così potente!» lo blandì.
   Sconcertato, Claudio lo fissò.
   «Sofia, come hai potuto farti aiutare da lui senza spiegargli che rischio correvate?» la rimproverò.
   «Ehi, un momento» ribatté lei offesa. «Io gliel’ho spiegato benissimo, è lui che non mi ha voluto credere!»
   «D’accordo, sentite. Ci ho parlato, mi ha dato delle dimostrazioni del suo potere… non è così pericoloso come me l’ha descritto Sofi!» spiegò Blaze, con l’aria di stare parlando a due stupidi.
   «Ci hai parlato? E sei riuscito a tornare qui?» domandò Claudio, sempre più incredulo, mentre gli altri non perdevano una sola parola. Sofia spiegò rapidamente in che modo avevano distratto Prospero e le sue guardie e si erano introdotti nel palazzo.
   «In effetti il piano era ottimo e ha funzionato» fu costretto ad ammettere Claudio, «tuttavia, Blaze, non lasciarti ingannare da quello che hai visto. In quel momento era troppo occupato a compiacere la propria vanità, ma la verità è che Prospero Limardi è esattamente il tipo di persona a cui bisogna stare attenti. Ha nelle sue mani molto potere, sia a livello sociale che come Portatore, e in caso di uno scontro è un avversario temibile. Non si fa scrupoli a utilizzare sotterfugi e inganni, e in generale non mostra mai pietà per il nemico».
   «Da come lo dipingete, sembrerebbe persino peggio di Giovanni» notò il ragazzo.
   «Prospero Limardi è peggio di Giovanni, Blaze, molto peggio. Per questo spero che sfidarlo in questo modo fosse assolutamente necessario» concluse Claudio, rivolgendo un’occhiataccia alla sua figlioccia, che però non si scompose.
   «Lo era» disse infatti Sofia con un sorriso «e con questi libri ve lo dimostrerò».

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Capitolo 7
*** Molte domande e poche risposte ***


Passeggiando nel parco, Giovanni continuava ad arrovellarsi sull’incontro con Altàis, riflettendo su quanto aveva appreso.
   Nel dispiegarsi della Verità, infatti, alcune parole l’avevano colpito in modo particolare: le parole che, sospettava, erano la chiave per comprendere finalmente il misterioso legame che lo univa a Sofia.
   «Il Canto del Fuoco…» mormorò tra sé.
   Un istante dopo, Jackson interruppe il corso dei suoi pensieri. «Abbiamo trovato un nuovo Maestro dell’Acqua» annunciò.
   Giovanni non si scompose.
   «Dovresti darci il tuo parere» aggiunse l’americano. L’altro uomo si riscosse dalle proprie riflessioni.
   «Lo avete già valutato?» domandò.
   «Sì» fu la replica, «e dal punto di vista tecnico non c’è nulla da dire. Il problema è un altro».
   Giovanni iniziò a spazientirsi.
   «Jackson, hai intenzione di continuare a giocare agli indovinelli ancora per molto oppure mi dici subito quale sarebbe, questo problema?»
   «È meglio che tu lo veda con i tuoi occhi» disse Jackson, invitandolo con un gesto a seguirlo. Tornati all’interno del Centro furono subito raggiunti da Elizabeth.
   «Giovanni!» esordì con rabbia la ragazza. I due uomini la ignorarono e continuarono a camminare. Per nulla scoraggiata, lei li seguì. «Mi avevi promesso che sarei stata addestrata da un Maestro dell’Acqua. Che avrei ricoperto io stessa quel ruolo, non appena pronta. Era questo, il patto» gli rammentò con astio.
   «Nel patto, la morte di Prudencia non era prevista. Trovare un Maestro degli Elementi capace e disposto ad abbandonare tutto per stabilirsi qui, fuori dal mondo, non è semplice» replicò Giovanni distrattamente.
   «Non mi interessa quello che è successo. Io ho fatto la mia parte, e ora voglio avere ciò che mi spetta» lo rimbeccò lei. Jackson, in silenzio, ascoltava.
   Finalmente, l’italiano si voltò a fronteggiare la giovane che lo tallonava da vicino.
   «Elizabeth, mi stai stancando. Te lo dirò solo stavolta, perciò ascoltami con attenzione: non sei nella posizione di poter dettare legge» esclamò con voce dura.
   «Io ti ho portato alla Valle…» esordì Elizabeth, indignata.
   «Già, ci hai portati fin lì. Ora, non appena avremo un nuovo Maestro dell’Acqua, sarai addestrata come tutti gli altri. Fino a quel momento, però, farai meglio a tacere» la interruppe.
   «Trova in fretta un nuovo Maestro dell’Acqua, o me ne andrò» minacciò la ragazza.
   Giovanni non riuscì a trattenere una risata priva di allegria.
   «Va’ pure, io non ti tratterrò. Ma dimmi, dov’è, che andrai? Non conosci altri Portatori, all’infuori di quelli che hai incontrato qui, e non credo che alla Valle sarebbero felici di rivederti» sottolineò, sardonico. Poi si voltò e si avviò di nuovo con Jackson lungo il corridoio, lasciando Elizabeth furiosa e ammutolita.
   «Vale la pena di aver trovato un nuovo Maestro dell’Acqua anche solo per non dover sentire le continue rimostranze di quella ragazzina» confidò Giovanni.
   Jackson lo bloccò di fronte a una porta.
   «Siamo arrivati. Il candidato è qui dentro» annunciò con una punta di incertezza.
   Senza esitazioni, Giovanni entrò nella stanza e richiuse. Quando si voltò, rimase senza parole. Ma solo per un attimo.
   «Xavier» salutò cautamente.
   «Giovanni. Che piacere rivederti» rispose il fratello di Prudencia, alzandosi e porgendogli la mano. Invitandolo a sedersi nuovamente, l’italiano si accomodò su una poltrona.
   «Ammetto di essere stupito. Come mai sei qui?» si decise a chiedere.
   Xavier lo guardò con serietà.
   «Tsukiko mi ha rintracciato per informarmi della morte di Prudencia» iniziò. Non sapendo cosa dire, Giovanni rimase in silenzio. «Non siamo mai andati molto d’accordo» proseguì l’argentino. «Prudencia, così come il suo gemello, aveva ereditato tutta l’arroganza e l’irruenza di nostro padre. Io non ho mai avuto la loro indole. Per quanto mi dispiaccia, ho sempre saputo che avrebbe finito per farsi uccidere in uno scontro».
   «Sei qui per vendicare la morte di tua sorella?» indagò Giovanni.
   «Sorellastra» precisò l’altro. «E no, non è questo il mio intento. Tsukiko mi ha detto delle vostre difficoltà nel trovare un Maestro dell’Acqua disposto a prendere il posto di Prudencia. Io non ho legami di nessun tipo a vincolarmi, ed essendo appunto un Maestro dell’Acqua, ho pensato di propormi».
   Non molto convinto, Giovanni lo osservò. Aveva la sensazione che Xavier gli stesse nascondendo qualcosa.
   «Sei certo di poter svolgere questo compito con la dovuta serenità?» gli domandò.
   Lo sguardo fermo e impassibile che ricevette in risposta fu sufficiente a ridurlo al silenzio.
   «Sì» disse Xavier. «Ne sono sicuro».

*

«Allora Sofia, mostraci perché era tanto importante impadronirsi di quei libri» la esortò Claudio.
   Mentre la ragazza sceglieva un pesante volume tra quelli che aveva rubato, Gregory parve rendersi conto di qualcosa.
   «Non vai a prendere Giovanni?» le domandò. Mentre gli sguardi dei pochi presenti si appuntavano su di lei, Sofia rifletté sulla risposta da dare. Alla fine, optò per la verità.
   «Preferisco non fargli sapere in che modo mi sono procurata le informazioni. Inoltre non so se e quanto sarà opportuno dirgli, di quello che scoprirò»
   «Hai paura che possa usare eventuali informazioni contro di te?» indagò Gregory. Il silenzio della ragazza fu una risposta sufficiente.
   Sofia iniziò a sfogliare le pagine sottili, cercando il brano che aveva attirato la sua attenzione.
   «Ecco qui» disse infine, con una punta di trepidazione nella voce. «”Il Canto degli Elementi”».
   «”Il Canto degli Elementi è un fenomeno rarissimo, legato agli Elementali o Spiriti degli Elementi. Circa ogni cinquecento anni, uno Spirito di ognuno dei quattro Elementi conclude la propria esistenza. L’Elementale morente si scinde in tre parti: la prima dà vita al nuovo Elementale, che cambierà natura ed essenza rispetto al genitore. Le altre due parti, invece, vengono assorbite ciascuna da un Portatore scelto dall’Elementale stesso e a esso affini, mantenendo la propria essenza e fondendosi solo parzialmente con l’Aura dei due Portatori prescelti, detti Depositari dell’Elementale. Così gli Spiriti degli Elementi, pur morendo, lasciano dietro di sé una traccia della propria esistenza, assopita.
   «”Le due parti dell’Elementale così diviso cercano di ricongiungersi per riacquistare l’originaria potenza. Se e quando i due Portatori Depositari si trovano a una ragionevole distanza, i frammenti dell’Elementale si risvegliano, spingendo i Depositari l’uno verso l’altro. I criteri in base ai quali l’Elementale sceglie i propri Depositari sono sconosciuti”».
   Sofia tacque, mentre i suoi occhi scorrevano veloci sulle ultime righe del brano.
   «Oddio» balbettò.
   «Cosa c’è?» chiesero Blaze e Ailie, subito in allarme.
   «Nulla, nulla» replicò Sofia, chiudendo il libro con un gesto secco e posandolo sul tavolo.
   Gregory si sporse in avanti, cercando di afferrare il volume, ma la ragazza fu più rapida: lo ripose nello zaino insieme agli altri testi, rivolgendo un’occhiata irritata all’uomo.
   La voce di Cornelia spezzò il corso dei suoi pensieri.
   «Hai intenzione di dirglielo?» domandò.
   Confusa, Sofia alzò gli occhi. «Scusa?»
   «A Giovanni. Hai intenzione di raccontargli quello che hai scoperto?» precisò l’altra donna.
   «Sì, immagino di sì. Però» disse la ragazza, alzando gli occhi sui suoi amici più cari, «non voglio dirgli dove e come l’ho scoperto»
   «Tranquilla Sofi, non gli diremo del furto a Prospero» la rassicurò André, stringendole una spalla. Emma si alzò in punta di piedi, cercando di sbirciare dentro lo zaino che Sofia aveva accanto.
   «Che altro c’è in quei volumi?» chiese, incuriosita.
   «Un sacco di cose» rispose Sofia sorridendo. «Alcune riguardano anche te. Un po’ alla volta le scopriremo tutte».
   Qualcuno bussò alla porta e la testa di Friedrich fece capolino.
   «Si sta facendo piuttosto tardi. Dovremmo riprendere gli allenamenti» annunciò.
   Tutti annuirono e uscirono dalla stanza. All’improvviso, Sofia sentì una mano trattenerla.
   «Ambrosine, cosa c’è?» domandò gentilmente alla donna. Laurence si fermò e le guardò con aria preoccupata, ma Ambrosine gli fece segno che andava tutto bene. Quando gli altri furono spariti, rivolse a Sofia uno sguardo perplesso.
   «Stai preparando Ailie, Emma e Fernando a prendere il vostro posto».
   La ragazza non seppe cosa rispondere a quell’affermazione.
   «E non hai detto niente né a loro né agli altri Maestri».
   «Ambrosine» replicò Sofia, guardandola con attenzione, «come lo sai?».
   L’altra alzò le spalle.
   «Non credi che dovresti dirglielo?» suggerì.
   «No, non credo». La risposta della ragazza fu secca, ma Ambrosine rifiutò di cogliere la nota definitiva nella voce di Sofia. Alzò di nuovo le spalle.
   «Prima o poi dovrai farlo» concluse, allontanandosi.

*

«Brava Emma, avanti così!».
   In una delle rare lezioni che tenevano insieme, Gregory e Sofia stavano aiutando Emma a potenziare il proprio controllo sull’Energia.
   «Crea una bolla protettiva di media intensità ed espandila più che puoi» ordinò l’uomo.
   La ragazzina eseguì. Sfuggita per un istante dal controllo di Emma, l’Energia evocata esplose.
   Gregory si affrettò a proteggere Emma mentre Sofia, distratta, fu investita in pieno e scagliata a terra.
   «Sofi!» esclamò Emma preoccupata, correndole incontro. «Mi dispiace, ho perso il controllo!».
   Alzandosi a fatica, l’altra le fece cenno di stare calma.
   «Colpa mia, Emma. Dovevo stare più attenta» disse, tastandosi con cautela le costole e trattenendo una smorfia di dolore.
   «Facciamo una pausa» decise Gregory, percependo Fernando avvicinarsi. Anche Emma lo sentì, e corse via.
   «Cosa c’è che non va?» chiese a Sofia. «Non ti ho mai vista distrarti durante un allenamento»
   «Non lo so, Greg» rispose lei. «Andare da un Novizio mi ha già svelato più cose di quanto non credessi. Alcune di queste scoperte possono rivelarsi molto pericolose… non sono certa che proseguire in questa ricerca sia la scelta migliore».
   «Cosa vi ha detto il Custode?» indagò Greg. Sofia scosse la testa.
   «No Gregory, non posso dirtelo. Sono così tante informazioni… alcune piccole, insignificanti, altre potenzialmente disastrose… e non si tratta che di Verità del passato. Inoltre quello che ci è stato svelato è solo una parte di qualcosa di molto più ampio. È una Verità incompleta: non può essere interpretata in modo corretto… per questo una parte di me desidera ancora andare dal Ministro, ad Akasha».
   Gregory sembrava perplesso.
   «Quindi cos’hai intenzione di fare?» le domandò. La ragazza appariva ancor più confusa di lui.
  Dopo un minuto di silenziosa riflessione, scattò con rinnovate energie.
   «Ho deciso. Ci vado!» esclamò, correndo via.
   «Ma… adesso?» le gridò dietro l’uomo, senza ottenere risposta.

*

L’attacco arrivò più veloce di quanto avesse immaginato.
   «Sta’ calmo Jackson, sono io!» gridò Sofia dopo aver parato il colpo dell’americano.
   L’uomo aggrottò la fronte.
   «Proprio perché sei tu credo non ci sia da fidarsi. Che cosa vuoi?» replicò.
   «Mi serve Giovanni».
   «Hai intenzione di farlo sparire di nuovo?». Jackson s’infuriò.
   «Senti un po’, non dipende da me, la durata dei viaggi» obiettò Sofia, arrabbiandosi quanto lui. «Adesso va’ a chiamarlo. Digli che torniamo dove abbiamo iniziato».
   «Da dove avete iniziato cosa?» domandò Jackson. La ragazza lo guardò con indifferenza.
   «Non sono affari tuoi» rispose. «E adesso vai, per favore. Ho fretta».
   L’uomo si allontanò. Tornò meno di un quarto d’ora più tardi, seguito dall’italiano.
   «Come mai questa decisione improvvisa?» indagò Giovanni. Per tutta risposta Sofia lo tirò nel folto del bosco, raccontandogli del Canto degli Elementi, prima di chiamare Nabeela.

*

«Che ci facciamo di nuovo ad Akasha?» chiese l’italiano.
   «Facile. Andiamo da un Ministro» rispose la ragazza, indicando i Cerchi di Ogascoon davanti a sé. Nell’istante in cui posarono gli zaini a terra, i Cerchi sparirono.
   Dopo essersi guardati per un attimo, i due si incamminarono verso la grotta giallina che sorgeva isolata nel deserto.
   Appena varcata la soglia, l’oscurità li avvolse: si vedeva a stento dove mettere i piedi.
   Precedendo Giovanni, la ragazza si incamminò verso l’interno della grotta. Mossi appena pochi passi un rombo terribile spezzò il silenzio e Sofia scomparve.
   «Sofi dove sei?» urlò l’uomo, facendosi avanti.
   «Togliti Giovanni, sta franando tutto!» gridò lei disperata, cercando di sovrastare il frastuono.
   Giovanni saltò indietro un attimo prima che il terreno gli si sbriciolasse sotto i piedi. Tossendo, mentre una nuvola di polvere oscurava ancora di più la vista, l’uomo si sdraiò a terra e sbirciò all’interno della voragine di cui non riusciva neanche a vedere il fondo.
   Prese un sassolino e lo lanciò; passarono parecchi secondi prima che un tonfo sordo risuonasse nel silenzio che aveva di nuovo avvolto la grotta.
   «Sofia!» gridò di nuovo; stavolta non ottenne risposta. «D’accordo, Custode dei miei stivali» ringhiò Giovanni. «Adesso vado a riprendermi Sofia. Fermami, se ne hai il coraggio».
   Ebbe appena il tempo di pronunciare queste parole che un ampio arco di luce multicolore lo colpì in pieno petto, scagliandolo a terra.
   «Come osi» disse una voce femminile «rivolgerti a me in questo modo?».
   Furente, Giovanni abbandonò ogni cautela.
   «Ci hai attaccati!» gridò con rabbia dopo essersi rialzato. «Senza alcun motivo!».
   Un rumore soffocato lo interruppe; Sofia si era ripresa e si stava liberando dai detriti.
   L’uomo fece per sporgersi sul buco che si era aperto nel pavimento per aiutare la ragazza, ma la Custode lo bloccò con un muro di luce.
   Mentre Giovanni si voltava con maggiore ferocia verso la Custode, la voce di Sofia lo raggiunse.
   «Giovanni sta’ calmo» gli ordinò in tono pacato.
   Un intenso calore iniziò a propagarsi ovunque; la ragazza stava fondendo le rocce nel tentativo di realizzare una rudimentale scala. Dopo parecchi minuti, la sua testa emerse dal nulla.
   Prima ancora di riprendere fiato, fissò l’italiano e gli raccomandò nuovamente di mantenere la calma. Poi si issò sul pavimento e si distese a terra, tastandosi cautamente il tronco mentre una ferita sulla sua fronte sanguinava copiosamente.
   Dopo aver lanciato un’occhiata alla Custode, Giovanni si inginocchiò accanto alla ragazza.
   «Vediamo un po’…» disse, strappandole una parte della maglietta. Due protuberanze spiccavano sul lato destro del corpo e una macchia scura si andava allargando sulla pelle chiara.
   «Hai almeno due costole rotte, Sofi, e forse un’emorragia interna. Senza contare la botta in testa. Devo portarti via di qui» decise Giovanni, prendendola delicatamente tra le braccia e avviandosi verso l’esterno.
   In meno di un secondo la Custode della Verità gli fu davanti.
   «Non potete andar via» annunciò, frapponendosi tra loro e l’uscita. Giovanni la guardò senza battere ciglio.
   «Spostati o ti disintegro» le intimò.
   «Non provocarla, Giovanni» ansimò Sofia, tentando di mettersi in piedi. L’uomo la lasciò andare, limitandosi a sorreggerla.
   «Mira, perché ci fai questo?» domandò la ragazza dolcemente. La Custode sembrò interdetta.
   «Come conosci il mio nome?».
   Un po’ a fatica, la ragazza si raddrizzò.
   «Mentre cadevo, ho visto ciò che eri un tempo».
   Dopo un istante di silenzio, Mira si avvicinò ai due. Istintivamente Giovanni fece scudo a Sofia, guardando con odio la figura circondata da un sottile alone argenteo.
   «Giovanni, Giovanni» lo rimproverò Sofia con un sorriso, «dopo tanti anni, ancora non hai imparato a mantenere la calma».
   «Spostati» gli ordinò la Custode. Dopo un attimo di sospettosa esitazione, l’uomo obbedì.
   Mira protese le palme delle mani verso di loro: ne scaturì un velo di luce che andò a immergersi nella giovane, guarendone le ferite.
   «Grazie» disse Sofia, lasciando il braccio di Giovanni.
   La Custode continuava a guardarli con sguardo penetrante.
   «In voi c’è davvero il Canto del Fuoco» disse infine. L’espressione di Giovanni era perplessa.
   «Non sembri considerarla una buona cosa» notò: aveva sentito, chiara e nitida, una nota di ostilità nella voce della Custode.
   Con un gesto noncurante e quasi impercettibile verso il pavimento, Mira fece apparire una scala a chiocciola di pietra che scendeva in stretti giri e s’immerse nelle viscere del deserto, seguita dai due Testimoni. Poi si decise a rispondere.
   «Il Fuoco che emanate quando siete vicini è tanto intenso da essere quasi palpabile. Non sapete controllare l’Elementale che portate dentro; questo è male» disse brusca, arrivando in una cavità molto simile a quella in cui Altàis aveva ricevuto i due Portatori e iniziando a cercare le Verità che si erano appena risvegliate in lei.
   «Impareremo a farlo, come è stato col Fuoco» ribatté Sofia, guadagnandosi un’occhiata in parte divertita e in parte rabbiosa da Mira.
   «No, non imparerete. Non voi» rispose sardonica.
   «Perché no? Abbiamo dominato il Fuoco, abbiamo dominato l’Energia pura. Perché con l’Elementale dovrebbe essere diverso?» domandò Giovanni.
   Trovata la Verità di Sofia, la Custode si voltò nuovamente a guardarli.
   «Io possiedo solo la Verità di parte del vostro presente: più di preciso, dal momento in cui questo presente è iniziato fino all’istante in cui siete giunti da me. Però posso percepire ugualmente che in voi ci sono elementi di unione e di conflitto che impediscono all’Elementale di ricongiungersi come invece dovrebbe accadere. Fate di tutto per tenere separate le due parti di cui siete i Depositari e se non permettete a questo Spirito del Fuoco di tornare a essere una cosa unica, se continuate a contrastarlo, non potrete mai controllarlo appieno» spiegò, allontanandosi per prendere la Verità di Giovanni. Né Giovanni né Sofia risposero; sapevano già – o almeno così credevano – di conoscere quegli ostacoli. Il primo li riteneva facilmente superabili; la seconda sperava vivamente che non lo fossero.
   Dopo aver aperto i cofanetti e averli deposti a terra, i due si prepararono a ricevere quelle nuove Verità. Mira esitò per un istante.
   «Siete certi di poter sopportare la conoscenza di un altro pezzo di Verità?» domandò loro. Entrambi annuirono.
   «Siete anche certi di poter gestire ciò che scaturirà da questa conoscenza?» chiese ancora.
   Di nuovo, Giovanni annuì; Sofia invece sembrava titubante. L’uomo si voltò a guardarla.
   «Sofi cosa c’è?» le domandò in un soffio. Lei si riscosse dai propri pensieri.
   «Nulla, nulla» rispose con voce flebile; prese un bel respiro e guardò Mira con decisione.
   «Sono pronta» annunciò.
   Senza attendere un solo attimo in più, la Custode consegnò loro le Verità. Questa volta le due sfere sbocciarono simultaneamente, avvolgendoli con un canto molto più alto e forte della prima volta.
   Mira si allontanò. I due fasci multicolore danzavano come impazziti, piccole scintille svolazzavano intorno ai due Portatori e si immergevano in loro. Un’ombra scura passò sul volto di Giovanni, e l’uomo alzò uno sguardo carico di rabbia contro la donna che aveva di fronte. Provò a ritrarre la mano; immediatamente le due Verità esplosero, dando vita a innumerevoli lacci che strinsero insieme la mano di Giovanni e quella di Sofia, sempre danzando, sempre rivelando loro ciò che avevano chiesto di conoscere.
   Senza scomporsi, Mira continuò a osservare l’uomo che tentava di spezzare quei legami e sottrarsi alla Verità. Aveva previsto che sarebbe accaduto qualcosa del genere; oltre a parte del loro presente conosceva il loro passato, e aveva visto che a legarli non era soltanto il Canto del Fuoco. Aveva visto anche che, tra i due, era Sofia quella che era riuscita a svincolarsi – almeno in parte – dal legame quasi parassitico che li teneva insieme, e che ci era riuscita per un motivo ben preciso; e proprio la scoperta di quel particolare aveva reso Giovanni furioso.
   Dopo un minuto – o forse un’ora – le Verità si ritrassero, liberando Giovanni e tornando alla consueta forma sferica. Nonostante fossero più stanchi e debilitati rispetto all’incontro con il Novizio, entrambi rimasero in piedi. L’uomo sembrava star su solo grazie alla rabbia che lo infiammava; senza essere notata, Mira sostenne Sofia con il proprio potere mentre Giovanni si allontanava debole ma deciso.
   Riposta la propria Verità nel cofanetto, la ragazza risalì la scala con gambe incerte, chiedendosi quanto tempo avessero trascorso nella caverna. Prima di uscirne, si voltò verso la Custode per ringraziarla.
   Mira la guardò andar via con preoccupazione. Sapeva che oltre il limite estremo dei Cerchi di Ogascoon il suo potere non avrebbe più potuto sostenere Sofia, ed era chiaro che Giovanni non le avrebbe certo offerto il suo aiuto, come aveva invece fatto al loro arrivo lì.

*

Percorsi ormai qualche centinaio di metri, Giovanni recuperò il proprio zaino e si avviò verso Akasha senza guardarsi indietro. Così non vide Sofia uscire dalla grotta, tre giorni dopo; non la vide superare i Cerchi di Ogascoon e cadere a terra, senza più forze.

*

Il telefono ricominciò a squillare e le note di Aerials riempirono la stanza. Serj, canticchiando, afferrò il cellulare e lo porse a Blaze.
   «Sono due ore che squilla. Magari qualcuno di voi dovrebbe rispondere» disse.
   «Sai bene che Sofia ci ammazzerebbe» replicò l’americano.
   Laurence si avvicinò e decise di sbirciare lo schermo.
   «”Claire”» lesse. Aggrottò la fronte, trasse il portafogli dalla tasca dei pantaloni e iniziò a frugarci dentro. Mentre il cellulare di Sofia smetteva di squillare per ricominciare pochi istanti dopo, Laurence trovò quello che cercava. Dopo aver controllato con attenzione il foglietto che aveva in mano, si rivolse ad André. «Secondo te Sofi quante amiche di nome “Claire” può avere?»
   «Considerata la scarsa quantità di amici che ha fuori di qui, direi non più di una» rispose il francese.
   Laurence afferrò il telefono di Sofia e rispose.
   «Allô, qui est à l’appareil?» disse con voce squillante. Ascoltate poche parole, passò dal francese all’italiano. «Sofia è partita… sì, con Giovanni, come fa a saperlo?» domandò. Pochi attimi dopo coprì il microfono con una mano e si guardò intorno, sgomento. «Vi prego, ditemi che qualcuno di voi sa dove diavolo è andata Sofia».
   Fu Gregory a rispondere.
   «Ad Akasha, dal Custode della Verità. Ma è successo qualcosa?».
   Laurence non gli rispose; concitato iniziò a spiegare a Claire cosa cercare, ma dopo poche parole si interruppe.
   «Sai già cosa cercare? Meglio così… siete a Roma? Dimmi dove, di preciso, così vi mando una Fenice» disse. Ascoltò con attenzione, annuendo tra sé, poi chiuse la chiamata e corse alla finestra. La spalancò; un soffio di aria gelida invase la stanza, portando con sé uno sciame di piccoli fiocchi di neve.
   «Akram!» gridò; la Fenice apparve all’orizzonte, cantando sonoramente. Laurence protese un braccio all’esterno e quando la Fenice vi si appollaiò, l’uomo le bisbigliò qualcosa. Un attimo dopo, l’animale sparì.
   «Laurence, cos’è successo?» chiesero tutti in coro, allarmati.
   «Claire è una cara amica di Sofi. Da quanto ho capito un’altra loro amica, Aleja, credo, ha percepito l’Aura di Giovanni a Roma. Dice che fosse molto instabile, e questo le ha insospettite» rispose Laurence.
   «Ma se Giovanni è a Roma» domandò André costernato, «Sofia dov’è?».

*

«E tu sei venuta a fare delle foto qui?».
   Il tono di Martina fece scuotere la testa a Claire.
   «È un posto affascinante: il vuoto, i colori… sono unici» replicò.
   Aleja abbassò lo sguardo verso i propri piedi, prima di interromperle.
   «Che ci fa uno zaino abbandonato qui?» disse.
   Martina si inginocchiò sulla sabbia ed esaminò lo zaino.
   «Questo è di Sofi» decretò.
   Le altre due la guardarono perplesse.
   «Come fai a saperlo?» chiese Claire. Per tutta risposta, Martina indicò un pupazzetto attaccato a un gancio.
   «Questo gliel’ho regalato io» disse, accarezzando il piccolo pelouche.
   Claire afferrò lo zaino e se lo mise in spalla mentre Martina si rialzava e insieme ad Aleja iniziava a guardarsi intorno. Senza proferire parola, Claire iniziò a correre.
   «Ma dove va?» chiese Martina ad Aleja.
   «Laggiù» rispose l’altra con voce tremante, indicando un punto molto più avanti.
   Anche le altre due ragazze iniziarono a correre; quando raggiunsero Claire, la trovarono inginocchiata accanto a Sofia.
   «Sofi svegliati!» disse, rivoltandola senza troppi complimenti. Con un sonoro brontolio, la ragazza aprì a fatica gli occhi e le guardò una a una.
   «Che ci fate qui?» chiese con voce impastata.
   «Siamo venute a fare una scampagnata» sbuffò Martina, strappandole un sorriso stiracchiato.
   «Datemi una mano a tirarla su» ordinò Claire; stringendo Sofia tra di loro si aggrapparono alla coda di Akram e la portarono via dal deserto.

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Capitolo 8
*** Nuove rivalità ***


Distesa nel letto d’ospedale che occupava ormai da una settimana, Sofia osservava i suoi amici rumoreggiare con un pallido sorriso dipinto sul volto.
   Da quando Claire, Aleja e Martina l’avevano portata a Roma, Laurence, André e Blaze andavano a turno a trovarla. Di solito le raccontavano degli addestramenti e di tutte le piccole banalità quotidiane, ben sapendo quanto ne sentisse la mancanza. Quel giorno, invece, erano tutti e tre lì.
   «Ieri sera Marcos ha sciolto il palazzo di ghiaccio che alcuni miei Apprendisti avevano realizzato in ore di duro lavoro» la informò André. Sofia scoppiò a ridere.
   «E ne è uscito vivo?» chiese divertita.
   «Per un pelo» disse Blaze. «È scappato veloce come il vento e si è nascosto».
   Laurence sedette su un angolo del letto.
   «Quando pensi di tornare a casa, Sofi?»
   «Tra un paio di giorni, credo. Ormai sto meglio» rispose lei con un sorriso. Qualcuno bussò alla porta e la testa di Gregory fece capolino.
   «Generi di conforto in arrivo!» annunciò, estraendo un paio di tavolette di cioccolata dalla tasca della giacca. Gli occhi di Sofia brillarono.
   «Fantastico, stavo morendo di fame!».
   Gli altri scossero la testa. Mentre la ragazza iniziava a scartare la prima tavoletta, Gregory scambiò un’occhiata con gli altri tre uomini. La cosa non sfuggì a Sofia.
   «Greg, conosco quello sguardo. Cosa devi dirmi?» lo incalzò.
   L’uomo si accomodò su di una sedia e si fissò la punta delle scarpe.
   «Sai, poco fa Giovanni è venuto alla Valle…».
   Un ringhio sordo lo interruppe; Aleja soffiava come una gatta infuriata, manifestando così tutta la sua rabbia. Martina e Claire non sembravano meno arrabbiate. Sofia, al contrario, era estremamente divertita.
   «Sono curiosa di sentire cosa voleva» esclamò; una volta tanto, non aveva idea del motivo che aveva spinto Giovanni ad agire in un certo modo.
   «Voleva sapere se ti avevamo rimpiazzata». A rispondere non fu Gregory ma André. Una smorfia d’irritazione stravolse il viso della giovane.
   «Quello che voleva sapere davvero era se mi ero salvata o no. Immagino abbia manifestato un certo disappunto, quando lo avete informato del fatto che sto bene» replicò.
   «In effetti sembrava piuttosto deluso» ammise Gregory. «È stato difficile fermare Blaze: credevamo l’avrebbe murato vivo in un blocco d’acciaio, quando l’ha visto arrivare».
   Chiamato in causa, il ragazzo si limitò a sbuffare.
   Appollaiata sul davanzale della finestra, Martina fece dondolare i piedi con aria assorta prima di parlare.
   «Perché era tanto arrabbiato con te da lasciarti da sola nel deserto, a morire?» domandò a Sofia. L’altra la guardò con indifferenza.
   «Credo faccia parte della sua natura, cercare di uccidermi. Forse spera che così il richiamo del Canto del Fuoco cesserà» rispose.
   Prima che qualcuno potesse farle qualche altra domanda, un’infermiera si affacciò alla porta.
   «Ma quanti siete? Non potete stare tutti qui!» strillò.
   «È meglio che non la facciate arrabbiare… andate, ci vediamo a casa tra un paio di giorni» li congedò Sofia.
   I suoi amici la salutarono rumorosamente ignorando le occhiatacce dell’infermiera, che si richiuse la porta alle spalle lasciando sola Sofia.
   Nella penombra lei si voltò verso la finestra, fissando lo sguardo nel cielo buio e freddo di Dicembre. Si addormentò così, sognando le vie di Roma illuminate a festa che si trovavano appena oltre quel vetro.

*

Un grido altissimo, acuto e disumano fece vibrare tutti i vetri.
   I Portatori del Centro, confusi e allarmati, si sparpagliarono all’esterno tentando di capire da dove provenisse il suono e soprattutto da chi o cosa fosse scaturito. Alcuni secondi e l’urlo si ripeté, più alto, intenso e prolungato.
   Sgomitando tra la folla Jackson, Tsukiko e Xavier arrivarono a poche decine di metri dal bosco.
   Mentre l’urlo stridulo si ripeteva per la terza volta, costringendo molti Portatori a proteggersi le orecchie con le mani, Tsukiko si guardò attorno.
   «L’urlo viene da laggiù» disse, indicando il bosco. Sembrava spaventata.
   «Ma chi può emettere un suono del genere?» domandò Jackson. Aveva i peli della nuca dritti come aghi.
   «Questo è il grido di un Elementale» li informò Xavier con voce piatta. Gli altri due si voltarono a guardarlo, accigliati.
   «E perché mai un Elementale dovrebbe gridare così?» gli chiese Jackson.
   «Per lo stesso motivo per cui lo farebbe un essere umano: perché qualcuno gli sta facendo del male o lo ha fatto infuriare» fu la risposta.
   «Non so perché ma ho la brutta sensazione che c’entri Giovanni» borbottò l’americano, dirigendosi verso gli alberi. Non si sbagliava: arrivato al grande ippocastano vide che Giovanni era là, furioso come non mai. Un paio di accette erano state abbandonate a terra, ai piedi dell’uomo: le lame erano smussate e, in molti punti, scheggiate. Impugnando una scure di argentea Energia, l’italiano stava vibrando dei colpi potenti e decisi al tronco dell’albero; a ogni colpo, il grido che aveva allarmato tutti saliva al cielo, irato e dolente: proveniva dall’albero stesso.
   Jackson si scagliò in avanti e afferrò Giovanni per le braccia, tirandolo indietro.
   «Giovanni, che stai facendo? Fermati!» gli intimò; senza degnarlo della minima attenzione l’altro si divincolò e sferrò un altro violento colpo contro l’albero.
   Assieme al grido, stavolta dall’ippocastano scaturì anche una figura: una fanciulla bellissima, dai lunghi capelli biondo scuro e aggrovigliati e coperta da quelle che sembravano foglie e scaglie di corteccia si librava nello spazio tra l’albero e i due uomini. Furiosa, spalancò la bocca ed emise un grido ancor più penetrante dei precedenti: allargò le braccia e un’onda invisibile si propagò nell’aria, scagliando indietro i due uomini.
   «Una Driade!» esclamò Jackson atterrito. Non aveva mai visto uno Spirito degli Elementi; raramente si manifestavano ai Portatori, preferendo la calma e l’isolamento.
   Giovanni si rimise in piedi, inciampando nelle radici degli alberi. La comparsa dell’Elementale che viveva nell’ippocastano che aveva cercato di abbattere con tanta decisione sembrava averlo riportato alla ragione. Mentre pensava a cosa fare, la Driade urlò ancora.
   «Come possiamo placarla?» gridò l’italiano tappandosi le orecchie.
   «Non potete. L’unico modo è tentare di riparare all’offesa, al danno che gli è stato arrecato» disse Xavier alle sue spalle non appena la Driade smise di gridare. Gli occhi dei tre uomini furono catturati dalla profonda ferita che si apriva sul tronco massiccio dell’albero. Xavier riscosse gli altri due dalle loro riflessioni.
   «Non urlerà ancora a lungo: tra poco si vendicherà» disse a Giovanni in tono impaziente. L’italiano lo guardò corrucciato.
   «Come lo sai?»
   «Non è importante» lo liquidò l’altro con un gesto sbrigativo della mano. «Risana quell’albero, e in fretta».
   Giovanni obbedì immediatamente. Lo sguardo indecifrabile di Xavier lo metteva stranamente a disagio; continuava ad avere l’impressione che nascondesse qualcosa. Mentre si inginocchiava lentamente, vide con la coda dell’occhio Xavier che trascinava via Jackson. Intuendo solo in quell’istante la furia che aveva scatenato e il pericolo che correva, l’uomo sedé sui propri calcagni e poggiò i palmi delle mani a terra. Inizialmente lasciò fluire solamente un piccolissimo flusso di Fuoco per non mettere in allarme la Driade; quando il tronco dell’albero iniziò a ricomporsi, dato che l’Elementale sembrava essersi calmato almeno in parte, Giovanni aumentò la densità del Fuoco che stava evocando. Dopo parecchi minuti di duro lavoro, a ricordo della furia devastatrice che aveva scatenato sull’incolpevole albero non restava che una seconda cicatrice.
   Sempre in ginocchio, l’uomo alzò cautamente lo sguardo sulla Driade che, dopo averlo osservato intensamente per alcuni istanti, si tuffò nell’ippocastano sparendo alla vista.
   Tirando un profondo sospiro di sollievo Giovanni si alzò, raccolse le accette rovinate e spezzate che aveva abbandonato al suolo e uscì rapidamente dal bosco. Ad attenderlo trovò i Portatori del Centro – tutti, fino all’ultimo – schierati in una massa compatta. Con un gesto di stizza si fece largo tra la folla che al suo passaggio si aprì, quasi avessero paura della sua vicinanza.
   Mentre Tsukiko congedava gli allievi, sospendendo le lezioni per quel giorno, Xavier si apprestò a seguire l’italiano. Fatti solo pochi passi, però, fu bloccato da Elizabeth.
   «Perché state sospendendo gli addestramenti?» gli domandò furiosa.
   «Perché nessuno riuscirebbe a concentrarsi, dopo quello che è successo. Neanche tu» rispose tranquillamente Xavier. La sua risposta ebbe l’effetto di benzina gettata sul fuoco: strepitando, Elizabeth iniziò a protestare. Lo sguardo che l’uomo le rivolse non era quello di un normale trentenne; ero lo sguardo di un uomo di almeno cent’anni. Lo sguardo di chi ha visto troppo.
   «Sei sempre così arrabbiata, così smaniosa di controllare il tuo potere. Non provi alcun piacere nell’apprendere. Cos’è che ti manca, per essere felice?» le chiese. Senza attendere la risposta, se ne andò.
   Pensierosa, Elizabeth si fermò a riflettere. Le parole di Xavier l’avevano colpita: cosa le mancava, per essere felice?
   La sua mente le diede la risposta prima che la ragione vi si potesse opporre: e il volto di André affiorò dai ricordi. Elizabeth scosse la testa. Sentiva nostalgia di André. Si era chiesta più volte se fosse sopravvissuto alla gravissima ferita che aveva subìto il giorno della battaglia, ma la parte della sua mente che la spingeva a voler acquisire un potere sempre maggiore le aveva impedito di soffermarsi sul pensiero di lui. Scosse di nuovo la testa, chiedendosi cosa dovesse fare. Poi, incapace di prendere una decisione, si allontanò per andare a esercitarsi.

*

Xavier osservò Elizabeth perdere l’ennesima battaglia con se stessa e soccombere una volta di più all’ossessiva smania di potere che la divorava. Scuotendo la testa si voltò, chiedendosi se fosse l’aria dell’Irlanda a rendere quei Portatori così maledettamente ostinati e incapaci di prendersi ciò che realmente desideravano.

*

Dei colpi leggeri alla porta prepararono Sofia all’ingresso del dottore. Nel buio, non scorse che il camice bianco.
   L’uomo si accostò al letto e dopo un istante la sua voce spezzò il silenzio.
   «Allora signorina, come va questa sera?» domandò con voce bassa e allegra. Sofia si tirò a sedere mentre un sorriso pieno di gioia le danzava sul volto.
   «Michele!»
   «Sì, mia cara, sono proprio io» rispose lui accomodandosi sul bordo del letto. Le passò una mano sui capelli. «Come ti senti?»
   «Oh, io sto molto meglio» disse Sofia, stiracchiandosi come una gatta. «Non ti chiederò come hai scoperto che ero qui: non so come tu ci riesca, ma quando sono a Roma conosci ogni mio spostamento».
   Michele sorrise.
   «Stavolta è stato più facile di quanto pensi: ho incontrato Aleja, questa mattina, e mi ha detto che eri qui. Così ho pensato di passare a trovarti».
   L’unica risposta che ricevette fu un sorriso ancora più ampio. Le batté un dito sul naso.
   «Dato che stai meglio, cosa ne dici di una passeggiata?» la tentò.
   «A quest’ora? Ma fuori fa freddo!» si lagnò Sofia.
   «È vero ma Roma, di notte, è ancora più bella… illuminata a festa poi!» insisté Michele.
   Sofia sbuffò, lanciandogli un’occhiata di traverso mentre si alzava, recuperava i propri vestiti e andava a cambiarsi. Dieci minuti dopo si allontanavano indisturbati nell’oscurità.

*

La luna scintillava sulla neve compatta, dando un aspetto irreale a chiunque si fosse avventurato all’esterno. Facendo strada a fatica, Gregory giunse a uno dei varchi che portavano alla Valle degli Elementi.
   «Questo è uno dei tanti passaggi che ci collegano all’esterno» spiegò alle persone che lo seguivano. «Non li usiamo spesso; le rare volte in cui ci avventuriamo all’esterno dobbiamo farlo in modo rapido, e così utilizziamo le Fenici. Per voi che venite alla Valle per la prima volta, però, è utile capire dov’è situata. Per questo abbiamo preso la strada più lunga» proseguì.
   Martina, Claire e Aleja annuirono mentre Gregory apriva il passaggio e faceva loro cenno di precederlo.
   «C’è ancora molta strada da fare?» chiese Martina, il respiro ansante, mentre s’inerpicavano su una collinetta; Sofia la prendeva continuamente in giro per la sua pigrizia.
   «Siamo quasi arrivati» la rincuorò Gregory.
   «L’avevi detto anche mezz’ora fa!».
   Claire soffocò una risatina. Un attimo dopo André sbucò da nulla, andando loro incontro.
   «Ce ne avete messo di tempo!» esclamò. «Andiamo dentro, così potrete scaldarvi» aggiunse, conducendole nel salottino in cui mesi prima aveva salutato i suoi amici, pronto a partire.
   Le tre ragazze, tremanti, sedettero di fronte a un bel fuoco scoppiettante mentre Gregory procedeva alle presentazioni.
   «André, Blaze e Laurence li conoscete già» disse, guardandosi attorno. «Gli altri quattro Maestri: Costa, Gloria, Viola e Friedrich» proseguì, indicandoli a mano a mano che li nominava. «Claudio e Cornelia, il padrino e la zia di Sofi», i due le salutarono con un sorriso e un cenno del capo «e alcuni dei nostri allievi: Ailie, Fernando, Emma… oh, ci sono anche Serj e Pietro» concluse, indicando il gruppetto che, riunito attorno a un tavolo, chiacchierava animatamente.
   «Loro sono Claire, Aleja e Martina. Amiche di Sofi» disse Gregory a mo’ di spiegazione.
   «A proposito di Sofia» intervenne Pietro «sappiamo quando tornerà?».
   «Tra un paio di giorni» rispose Cornelia prima di intavolare una conversazione con le nuove arrivate. Intanto Serj fissava Aleja come ipnotizzato. Blaze gli assestò una violenta gomitata nelle costole.
   «Se ti piace, va’ a parlarle» gli bisbigliò. Senza farselo ripetere, il ventisettenne si avvicinò ad Aleja con aria spavalda e sedette accanto a lei. Le bisbigliò qualcosa all’orecchio con aria sicura; la risposta della ragazza fu tale da far scivolare via dalla faccia di Serj l’espressione baldanzosa e sostituirla con una confusa e mortificata. Blaze ridacchiò.
   «Non so cosa Aleja gli abbia detto» confidò ad André e Laurence «ma se è riuscita a farlo stare zitto, ha tutta la mia stima».
   Proprio in quel momento qualcuno aprì la porta con violenza, mandandola a sbattere contro il muro.
   «Giovanni!» esclamò Greg, un po’ spaventato e un po’ sorpreso mentre nella stanza l’atmosfera si raggelava. «Che ci fai qui?».
   Blaze e Claudio si alzarono minacciosi.
   «Come è arrivato qui, semmai» lo corresse il più anziano in un ringhio.
   Giovanni rivolse loro un’occhiata altrettanto gelida.
   «So bene come si arriva. Ho insegnato a Sofia quasi tutto quello che sa: riconosco il suo stile» disse astioso. «E non crediate che mi faccia piacere essere qui. Ci sono venuto solo perché non sapevo come contattarvi».
   «Be’, cosa vuoi?» lo incalzò Serj. Giovanni lo guardò minaccioso, ma il ragazzo non si fece intimorire.
   «Visto che una zelante amministratrice di un ospedale di Roma ha ritenuto opportuno svegliarmi alle cinque del mattino per dirmi che mia figlia era sparita – cosa che non suscita in me il minimo interesse – ho pensato di dirlo a voi. Non ho intenzione di ricevere altre chiamate di questo genere» spiegò sprezzante l’uomo.
   «E perché la cosa dovrebbe riguardare noi?» domandò Blaze.
   «Da quando in qua tu hai una figlia?» chiese invece André.
   Giovanni sbuffò.
   «Quando l’ho rapita, ho creato documenti e un passato a Sofia. Le ho dato il mio cognome: risulta essere mia figlia a tutti gli effetti» rivelò controvoglia.
   Le espressioni di chi aveva di fronte variavano dallo sgomento alla rabbia. Claudio, che vedeva la cosa come l’ennesimo affronto a Tamara e Thobias, era senza parole per l’indignazione; Aleja, al contrario, sembrava tranquillissima.
   «Probabilmente era solo stanca di stare rinchiusa. E poi non è la prima volta che sparisce… di sicuro sarà di ritorno tra poco» disse.
   Gregory la guardò, convinto solo in parte.
   «Eppure non riesco a scrollarmi di dosso questa brutta sensazione. Se solo non avesse rubato quei libri, se non l’avesse fatto… forse sarei più tranquillo. Prospero se ne accorgerà, è solo questione di tempo» replicò sconsolato.
   «Prospero? Prospero Limardi?» chiese Martina. «Ma che c’entra lui con Sofi?».
   «Sofi ha rubato dei libri dalla sua biblioteca privata, quasi tre mesi fa» spiegò Greg.
   Un flebile «Oh» si levò dalle tre ragazze. Giovanni spalancò gli occhi per lo stupore.
   «Che significa, che ha rubato dei libri dalla biblioteca di Limardi? È una follia!» esplose l’italiano, perdendo la propria freddezza.
   «Non è la prima volta che Sofia fa qualcosa di stupido e pericoloso» disse Blaze. «Si vede che ha preso da te, paparino» lo schernì subito dopo.
   Giovanni, troppo preso dai propri pensieri, neanche lo guardò.
   «Questo è diverso!» gridò, camminando agitato davanti al fuoco. «Voi non capite… Prospero Limardi è pericoloso, e per Sofia lo è più che per chiunque altro! Deve stargli lontana!».
   Gregory e Laurence assottigliarono lo sguardo. «Giovanni, se sai qualcosa che noi non sappiamo, questo è il momento giusto per parlare» disse il secondo, freddo come raramente lo si era visto.
   Giovanni lo guardò arcigno, recuperando di botto tutto il proprio autocontrollo, e non rispose.
   «E se Prospero avesse scoperto del furto? Potrebbe aver mandato qualcuno a rapirla!» esclamò Claudio, terrorizzato.
   «Impossibile. Non l’avrebbero mai presa alla sprovvista, soprattutto adesso che sta bene» decretò André.
   «Non possiamo esserne sicuri» ribatté Cornelia. «E se mandassimo Nabeela a cercarla?» propose.
   Gli altri accolsero favorevolmente il suggerimento. André si mosse per chiamare la Fenice, mentre Laurence scriveva frettolosamente su un foglietto di carta. Quando il giovane francese tornò con la Fenice appollaiata sulla spalla, Laurence legò il cartiglio a una zampa del bell’animale.
   «Va’ a cercare Sofi» le disse piano, accarezzandole la testa. Nabeela lo guardò per un istante con i suoi piccoli occhi lucenti e poi svanì.
 
*

Profondamente addormentata, Sofia contrasse i muscoli del volto. Agitò una mano e si girò, tentando di scacciare qualcosa che la pungeva. Senza darsi per vinta, Nabeela le beccò il lobo dell’orecchio con un po’ più d’energia.
   «Ma che accidenti…?» bofonchiò la ragazza, stropicciandosi gli occhi e tirandosi a sedere.
   Nabeela le diede il buongiorno scuotendo gioiosamente la coda.
   «Ciao bellezza!» bisbigliò Sofia, accarezzando le piume morbide come la seta. La Fenice protese una zampa verso di lei.
   «Che cos’hai qui?» chiese la giovane, slegando il biglietto e leggendolo. Lo accartocciò, gettandolo sul letto. «Accidenti bellezza, è meglio sbrigarsi» disse Sofia, schizzando fuori dal letto e iniziando a correre in giro cercando i propri vestiti. Nabeela le svolazzò dietro, un calzino stretto nel becco.
   «Grazie» ansimò la ragazza, saltellando su un piede solo mentre s’infilava il calzino, alla disperata ricerca dei pantaloni. Nabeela le lasciò cadere il maglione sulla testa.
   «Trovami anche l’altro calzino, per favore» la pregò Sofia, riemergendo dal maglione con i capelli irrimediabilmente arruffati. «Ah, eccovi!» sbottò, trovando i pantaloni appallottolati sotto il tavolo. Se li infilò e agguantò le scarpe mentre la Fenice tornava con il bottino stretto nel becco.
   «Direi che siamo pronte ad andare» esclamò Sofia dopo essersi infilata il calzino mancante e le scarpe, il giaccone sottobraccio e la sacca stretta in pugno. Lei e Nabeela erano appena sparite quando una serratura scattò e Michele emerse dal bagno, pettinato, sbarbato e avvolto in un accappatoio.
   «Sofi?» chiamò, guardandosi intorno e controllando ogni stanza. Quando arrivò in camera da letto trovò il letto vuoto e il foglietto spiegazzato sulle lenzuola. Lo lesse e scosse la testa, chiedendosi cosa impedisse a Sofia, ogni volta, di salutarlo prima di sparire.

*

Sofia e Nabeela si materializzarono nella grande biblioteca buia e deserta.
   «Andiamo» disse la ragazza. Nabeela le si appollaiò sulla spalla mentre uscivano dalla biblioteca.
   Appena messo piede nel corridoio, Sofia sentì delle voci provenire da una stanza poco lontana.
   «Cos’è tutto questo caos?» chiese, infilando la testa nella stanza. Alla sua apparizione tutti le corsero incontro, sollevati.
   «Si può sapere dove accidenti ti eri cacciata?» le domandò Blaze, furioso.
   «Davvero hai rubato dei libri nella biblioteca di Prospero Limardi?» chiese invece Martina.
   «Come hai potuto accettare di spacciarti per la figlia di Giovanni?» sbottò Claudio.
   Sofia alzò una mano, ignorando tutte le loro domande concitate.
   «Cosa ci fa lui qui?» domandò con voce gelida; aveva infatti scorto Giovanni mollemente abbandonato in una poltrona.
   «Prenditela con i dirigenti dell’ospedale in cui ti trovavi: sono stati loro a chiamarmi per informarmi che eri sparita» rispose annoiato. Lei strinse i pugni.
   «Be’, ora puoi andartene» sibilò tra i denti.
   «Sono dovuto arrivare fin qui a piedi, a causa della neve. Non vorrai farmi tornare indietro allo stesso modo!». Il sorrisetto che le rivolse era ironico: era certo che la ragazza gli avrebbe offerto di farsi ricondurre al Centro da una Fenice. Ma la risposta di Sofia lo spiazzò.
   «È esattamente quello che desidero» rispose lei. «Ah, e spero tanto che lungo la strada tu cada in un crepaccio o che una frana si abbatta su di te, seppellendoti» aggiunse con aria cattiva.
   «Sofi!» la riprese Cornelia, scioccata.
   «Un tempo avresti fatto qualunque cosa per me» ricordò amaro Giovanni.
   «Un tempo non mi avresti picchiata, né avresti provato a uccidermi» replicò Sofia. «Sono cambiate parecchie cose, da quando avevo diciannove anni»
   «Me ne sono accorto. Io so dov’eri, ma non credere che durerà; tornerai sui tuoi passi, prima o poi» disse inacidito, muovendosi verso la porta ancora aperta.
   «FUORI!» gridò Sofia.
   Giovanni se ne andò, il naso per aria e l’espressione orgogliosa.
   «Pensavi davvero quello che hai detto?» le chiese Laurence rivolgendole un’occhiata significativa.
   «Se desidero vederlo ridotto in pezzi? Sì, lo penso davvero» rispose lei con una smorfia. Dopo alcuni istanti di doloroso silenzio si rivolse a Emma. «Oggi lavori con me» annunciò, facendo strada verso la porta. Poi si voltò. «Ehi, mi servite anche voi!» disse a Pietro, Ailie, Serj e Fernando.
   «Noi?». Pietro sembrava confuso quanto gli altri. Sofia annuì.
   «Sono curioso di sapere cosa ci insegnerà» disse Serj a Ailie mentre seguivano Sofia fuori dalla stanza.

*

«Michele, finalmente sei arrivato!».
   Leggermente perplesso, l’uomo guardò il suo collega: sembrava fuori di sé. In lontananza si sentivano passi frettolosi risuonare sui pavimenti e voci concitate.
   «Cosa c’è, Luigi? Perché tutto questo trambusto?». Controllò l’orologio. «Non sono neanche le otto!»
   «È successa una cosa tremenda, inspiegabile… Prospero è fuori di sé…». Come se l’uomo l’avesse sentito, un terribile urlo carico di rabbia si fece strada fino a loro insieme a dei passi, sempre più vicini: un istante dopo un altro loro collega voltò l’angolo, trafelato.
   «Michele, per fortuna sei qui!» ansimò.
   Sempre più perplesso, l’uomo puntò i grandi occhi nocciola sul nuovo arrivato.
   «Non siete mai stati così felici di vedermi, prima d’ora. Si può sapere cosa vi è preso?»
   «Prospero ti vuole vedere. Subito» annunciò il terzo uomo.
   Un brutto presentimento si fece strada in Michele. Mascherando l’agitazione si allontanò a grandi passi, lasciando gli altri due uomini imbambolati lì dove si trovavano.

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Capitolo 9
*** Il gatto e il topo ***


Michele bussò leggermente alla porta socchiusa, prima di entrare nello lo studio di Prospero.
   «Buongiorno signor Limardi. Mi stava cercando?» domandò con voce attenta e controllata.
   L’uomo scattò in piedi, picchiando con forza un pugno sulla scrivania.
   «Toreggiani!» ululò. Michele non si scompose.
   «Sì, signore?»
   «Qualcuno si è introdotto nella mia biblioteca» lo informò Prospero con aria minacciosa. L’altro ostentò un’espressione stupita, confusa, incredula.
   «Non è possibile!» esclamò. «Chi è stato, che tracce ci sono?»
   «Nessuna» ringhiò Prospero in risposta, «tranne un dettaglio».
   Sbatté sul tavolo alcuni libri; avevano l’aria antica. Ne prese uno e lo lanciò all’uomo al di là della scrivania. «Le sembra normale quel libro, Toreggiani?» domandò.
   Michele ne osservò attentamente la copertina, prima di sfogliare rapidamente le pagine.
   «Direi di sì, signore» rispose infine.
   «È un libro scritto da un Portatore degli Elementi» sottolineò Prospero. Michele aggrottò la fronte.
   «Ma non ci sono tracce di Aura» disse pensieroso.
   «Appunto: è una copia». Il tono di Prospero si era inacidito. «E poi c’è questo» aggiunse, lanciandogli un altro libro. Michele lo agguantò, e il suo stomaco si contrasse in modo spiacevole: in quel libro c’era un frammento dell’Aura di Sofia. Minuscolo, ma comunque riconoscibile.
   «Chiunque si sia introdotto nella mia biblioteca, rubando i libri originali e lasciando queste copie al loro posto, ha eseguito un lavoro magistrale. Avrei pensato a un uomo, ma l’Aura in quel libro è chiaramente femminile» ammise Prospero di malavoglia.
   «Davvero degno di nota» convenne Michele in tono piatto, «non fosse che per questa piccola sbavatura».
   «Quello che non mi spiego è: perché prendersi la briga di rubare gli originali, pur essendo già in possesso delle copie?» rifletté Prospero alta voce.
   Michele non rispose: sapeva bene che quelle copie erano state create al momento del furto, ma parlare non avrebbe giovato né a lui né a Sofia. Perciò rimase in silenzio.
   «Di certo, però» riprese Prospero, «sappiamo quando sono stati rubati»
   «Il giorno in cui quel ragazzo l’ha avvicinata qui fuori, più di due mesi fa» annuì Michele. Era l’unica cosa insolita accaduta negli ultimi mesi.
   «Già. Mattia Liverano. Abbiamo fatto dei controlli, su di lui» la voce dell’uomo era poco più di un sussurro, «e il ragazzo che quel giorno era qui di certo non è chi aveva detto di essere»
   «Sicuramente è lui, il ladro» disse immediatamente Michele; percepiva vagamente dove volesse arrivare Prospero, ma non aveva alcuna intenzione di aiutarlo ad arrivarci.
   Il sorriso di Prospero era molto più simile a un ghigno feroce che a un sorriso vero e proprio.
   «Oh, no. Io credo che quel ragazzo fosse soltanto un’esca, un diversivo» lo corresse, passeggiando avanti e indietro dietro la scrivania. «Il vero ladro è qualcun altro… e lei lo sa benissimo, visto che proprio quel giorno si trovava nella mia biblioteca».
   Michele non si diede la pena di negare; i suoi colleghi sapevano che quel giorno si era allontanato, durante la dimostrazione di Prospero, e ad Aldo aveva detto di stare facendo un giro di controllo proprio sul piano su cui si trovava la biblioteca. Attese in silenzio che Prospero proseguisse.
   «Non parla, Toreggiani?» lo dileggiò. Si aspettava qualche segno di agitazione, di panico, ma il volto di Michele era inespressivo. «Negli ultimi mesi, qualcuno ha consultato l’elenco dei Custodi della Verità. Quell’elenco è riservato, e nessuno ha richiesto la mia autorizzazione per prenderne visione: inoltre nessuno può incontrare un Custode e uscirne vivo. Quindi perché non la facciamo finita e non mi dice cos’ha in mente?».
   Non si aspettava davvero che l’altro rispondesse; ma la reazione di Michele lo spiazzò.
   «Io gliel’ho detto, di non farlo» sbottò; «è troppo pericoloso, e poi si sta consumando, non può reggere all’incontro con un Decano, o peggio, con un Oracolo! È già un miracolo che sia sopravvissuta all’incontro con gli altri Custodi!».
   Non credendo alle proprie orecchie, Prospero strabuzzò gli occhi.
   «Mi sta dicendo che il ladro, questa donna, è già stata da ben due Custodi della Verità? Ed è sopravvissuta? E soprattutto, lei ne conosce l’identità?».
   Rendendosi conto troppo tardi dell’errore che aveva commesso, Michele tenne la bocca chiusa.
   «Allora? Come ha fatto?» lo incalzò Prospero. Non ottenne risposta.
   «Toreggiani, lei ha permesso a un’estranea di penetrare nella mia biblioteca privata e di rubare dei libri di inestimabile valore. Inoltre ha consultato dei documenti riservati senza autorizzazione. Se mi dice tutto quello che sa su questa donna, non subirà le conseguenze delle sue azioni» gli fece presente. Per qualche minuto un silenzio carico di attesa si dilatò tra i due uomini; lo sguardo di Prospero s’indurì.
   «Non m’interessa come, né quanto ci vorrà» decretò, evocando dal nulla un bastone nodoso e portandosi di fronte a Michele «ma lei mi dirà quello che voglio sapere». Con un movimento fulmineo fece roteare il bastone, colpendo l’altro sulle costole dal basso verso l’alto; alcune ossa scricchiolarono sinistre. Michele si piegò su se stesso, boccheggiando.
   «Come si chiama la ladra?» domandò; Michele scosse la testa, in silenzio. Senza esitare Prospero gli assestò un colpo violento in mezzo alla schiena con il pomo del bastone, facendo crollare a terra l’uomo.
   «Dove posso trovare quest’audace ladruncola di libri?» insisté. Infilò un piede sotto il corpo steso sul pavimento e lo rivoltò. Stordito, Michele scosse di nuovo la testa, rifiutandosi di parlare. Prospero lo colpì allo stomaco, poi si accovacciò accanto a lui.
   «Perché si dà tanta pena per proteggere questa donna?» gli domandò. Sollevandosi a fatica su un gomito, Michele mise a fuoco la figura che gli stava vicino.
   «Non ho mai saputo dove vive. Ma se anche le dessi quello che vuole – un nome, un numero di telefono, qualunque cosa – non le servirebbe a nulla» disse a fatica.
   L’altro lo guardò, sollevando un sopracciglio. Michele proseguì.
   «Non riuscirà a prenderla. Mai. È stata addestrata in maniera eccellente, molto meglio di me e dei miei colleghi».
   Prospero lo prese per i capelli, costringendolo a reclinare la testa all’indietro.
   «E io che credevo foste il meglio sulla piazza, quanto ad addestramento» disse con voce mielata.
   «È così» replicò Michele, dolorante. «Ma lei è… diversa. Troppo abile, e in grado di fare qualunque cosa, pur di raggiungere un obiettivo»
   «Non importa. La intrappolerò come fa un gatto col topo non appena lei, Toreggiani, si deciderà a collaborare» replicò Prospero, sferrandogli un pugno in pieno volto prima di uscire dalla stanza, lasciandolo abbandonato sul pavimento.

*

Seduto al proprio tavolo, Michele scrutava impaziente la folla di avventori che ciarlava allegra nel ristorante.
   «Ehi, eccoti qui!». Una mano si posò con forza sulla sua spalla, facendolo trasalire mentre una scarica dolorosa gli si propagava lungo tutto il braccio.
   «Finalmente sei arrivato!» disse in tono di rimprovero, scrutando con la fronte aggrottata suo fratello.
   «Per qualche minuto di ritardo non c’è bisogno di fare tante storie!» replicò Luca.
   «Fai tardi tutte le volte» sottolineò Michele con una smorfia. Pranzavano insieme una volta a settimana da anni, ormai, e non c’era stata una sola occasione in cui suo fratello fosse stato puntuale. «Ti ho portato un regalo» annunciò poi, porgendogli un pacchetto rettangolare.
   «Cos’è?» domandò Luca incuriosito, mentre si accingeva a strappare la carta. Suo fratello lo fermò.
   «Non aprirlo qui. Aspetta di essere a casa» gli mormorò.
   «Va bene… certo che hai un aspetto orrendo! Ma che ti è successo?» chiese Luca, guardando attentamente suo fratello per la prima volta. Aveva un occhio nero e un taglio sul naso, era pallido e, da come si muoveva, sembrava avesse qualche costola rotta. Quando alzò appena il braccio destro per richiamare l’attenzione di un cameriere fece una brutta smorfia di dolore.
   «Non è niente… è stata una settimana complicata» tagliò corto. «Sto benissimo».
   «Non si direbbe affatto…» cominciò Luca, ma fu subito interrotto dal telefono. Rispose brevemente e poi chiuse la comunicazione. «Scusa Michele, ma Linda è rimasta a piedi e non sa come andare al lavoro, devo scappare».
   Suo fratello abbozzò un sorriso.
   «Sta’ tranquillo, ci vediamo la prossima settimana» disse, mentre Luca si alzava e correva via.

*

«Ti passo a prendere alle otto».
   Quando Linda scese dall’auto Luca spense il motore e afferrò il pacchetto che gli aveva dato Michele. Strappò la carta che l’avvolgeva e scoprì un libro: Dona Flor e i suoi due mariti.
   «Un libro?». Perplesso, Luca sfogliò distrattamente le pagine: sparse, trovò tre lettere chiuse e complete di destinatario e indirizzo e un biglietto per lui stesso.
   «’Spedisci queste lettere e brucia il biglietto. Non parlarne con nessuno. Non chiedermi niente. Michele’».
   «Ma che accidenti…» mormorò tra sé. Poi chiuse di scatto il libro, mise in moto la macchina e fece ciò che suo fratello gli aveva chiesto.

*

«Bene. Ora concentratevi… Marcos, se fai di nuovo una cosa del genere ti retrocedo ad Apprendista di primo livello… ed evocate un muro di Fuoco»
   «Sofi!».
   Martina stava correndo – cosa già di per sé insolita – verso di lei, per di più tallonata da Aleja e Claire.
   «Va bene ragazzi, quindici minuti di pausa». Mentre gli Apprendisti di secondo livello si dividevano in gruppuscoli, le tre ragazze la raggiunsero. «Martina, ma tu non avevi del lavoro da sbrigare a Roma?»
   «Sono tornata» rispose sbrigativa l’altra. «Ho ricevuto una lettera. Anche Claire e Aleja ne hanno ricevuta una uguale».
   Sofia non capiva. «E allora?»
   «E allora, riguarda te». Martina si schiarì la voce. «’So che questa lettera suonerà strana, ma per favore, leggila fino in fondo. Di’ a Sofia che non possiamo più vederci e che non deve cercarmi, né venire a Roma o dovunque io mi trovi. Michele’».
   «Più che una lettera, sembra un telegramma» sottolineò Claire.
   «Sono arrivate una settimana fa, ma tra il Natale e tutto il resto non ce ne siamo accorte fino a oggi» aggiunse Aleja a mo’ di scusa.
   Sofia allungò una mano e afferrò il foglio che Martina stringeva tra le dita. Rilesse il breve messaggio mentre le altre la osservavano in silenzio: poi, sempre senza parlare, restituì la lettera a Martina e uscì dalla sala a grandi passi. Arrivata nell’Ala Est, aprì una porta e mise la testa in una delle sale più ampie.
   «Laurence, ce l’hai un minuto?».
   Lui le lanciò un’occhiata di sbieco.
   «D’accordo ragazzi, per oggi abbiamo finito. Potete andare» disse rivolto agli Apprendisti di terzo livello. Mentre i ragazzi sciamavano verso la porta, chiacchierando e confrontandosi, Sofia scivolò dentro, chiudendo la porta non appena tutti furono usciti.
   Perplesso Laurence la guardò, aspettando in silenzio che parlasse. Non ricordava che Sofia avesse mai interrotto una lezione prima di allora, e da quando erano alla Valle aveva vietato a tutti di farlo; ora non riusciva immaginare quale motivo l’avesse spinta a violare una regola che lei stessa aveva posto.
   «Mi serve un favore. Vieni con me» gli disse a bassa voce andando verso le stanze dei Maestri, al piano superiore; la sua camera da letto e quella di Laurence erano divise da quella di Blaze.
   «Entra» lo esortò, aprendo la porta della propria e andando alla scrivania. Laurence la seguì, sedendosi su un angolo del letto: anche così era alto almeno quanto lei. Sofia frugò in un cassetto, spostando quaderni e pile di fogli; quando ebbe trovato quello che cercava, andò a sedersi accanto a Laurence e in silenzio gli mise in mano una foto.
   L’uomo osservò attentamente il viso allegro ritratto accanto a quello della sua amica. Poi alzò lo sguardo su Sofia e si schiarì la voce.
   «E così, questa è…» iniziò, esitante.
   «La persona di cui abbiamo parlato, sì» concluse la ragazza al suo posto, tormentandosi le mani.
   «Perché mi fai vedere questa foto proprio adesso?» le chiese Laurence dolcemente. Lei sospirò.
   «Ho bisogno che tu vada in un posto per me» rispose Sofia. Laurence annuì.
   «Cosa vuoi che gli dica?».
   Lei lo guardò sorpresa.
   «Oh, non devi dirgli nulla! Solo… controlla che stia bene» mormorò. Lui annuì di nuovo mentre Sofia gli spiegava dove andare. Poi l’abbracciò fugacemente.
   «Ci vado subito» le disse sorridendo. Non pensò neanche per un istante di chiederle il perché di quella strana richiesta: non conosceva gli avvenimenti che l’avevano portata a chiederle un aiuto tanto singolare, ma sapeva perché Sofia aveva scelto proprio lui, per essere aiutata, e cosa la spingesse a preoccuparsi tanto di una persona che vedeva solo di rado. Così uscì, mentre il vento gelido gli frustava il volto e gli faceva turbinare davanti agli occhi una miriade di fiocchi candidi, e si incamminò oltre le prime colline.

*

Nascosto dietro a un giornale, Laurence spiava tra il via vai di turisti cercando di farsi notare il meno possibile, per un uomo alto due metri. Dopo un paio d’ore vide avvicinarsi due uomini in completo scuro: uno parlava con aria severa e, a tratti, supplichevole; l’altro si muoveva lentamente, a fatica, e nonostante sembrasse piuttosto malridotto, aveva in volto un’espressione risoluta. Quando entrarono in un bar lì vicino, Laurence ripiegò il giornale e li seguì velocemente.
   Ordinò un caffè, parlando in inglese; il posto era pieno di turisti ed era facile mimetizzarsi. Fingendo di non capire una parola si avvicinò al bancone, tendendo le orecchie per ascoltare il discorso dei due che avevano attirato la sua attenzione.
   «…e se ti ostini a non parlare potrebbe finire veramente male» stava dicendo uno dei due. «Si può sapere perché non dici a Prospero quello che vuole sapere?».
   L’altro lo ignorò.
   «Che qualcuno si sia introdotto nel palazzo di Prospero sotto il nostro naso e abbia persino rubato dei libri antichi è un fatto gravissimo, ma che tu sappia chi è il ladro e non ti decida a parlare è, se possibile, ancora più grave!» insisté il primo uomo.
   «Luigi, basta!» sbottò Michele, infastidito. «Non cambierò idea, va bene? Quindi è inutile che tu insista a farmi la predica!».
   Risentito, Luigi gli rivolse un’occhiata offesa.
   «D’accordo, fai come vuoi, ma sono tre settimane che la cosa va avanti e non so per quanto tempo ancora potrai resistere. Di questo passo, Prospero ti romperà tutte le ossa» sottolineò.
   «Se anche gli dicessi quello che vuole sapere, non cambierebbe nulla. Non lo prenderà mai, quel ladro, perché è molto, molto più abile di tutti noi» ribatté Michele in tono definitivo, ed entrambi tacquero.
   Decidendo di aver sentito abbastanza Laurence andò via, desideroso di tornare alla Valle il prima possibile.

*

«…e così lo sta mettendo sotto torchio per sapere chi si è introdotto nella sua biblioteca».
   Appena tornato alla Valle, Laurence si era precipitato da Sofia per raccontarle la conversazione che aveva origliato.
   «Che razza d’idiota» commentò la ragazza, camminando su e giù per la stanza con le mani nei capelli. «Perché non gli dice il mio nome e non la fa finita con questa storia assurda?»
   «Credo tu lo conosca, il perché» disse Laurence, rivolgendole un’occhiata penetrante.
   «Certo che lo conosco, ma è da pazzi che debba rimetterci lui!»
   «E allora cosa vuoi fare? Andare a bussare alla porta di Prospero Limardi e dirgli: “Ehilà, salve, sono io la ladra che cerca con tanta insistenza!”?» domandò Laurence con la voce intrisa di sarcasmo.
   «Ed entrare nella tana del lupo? Mi ci vorrebbe un miracolo per uscirne… anche se…». Sofia tacque, soprappensiero.
   «Anche se, cosa?» indagò l’altro, sospettoso.
   «Mi hai dato un’idea. Un’ottima idea, e la metterò in pratica il prima possibile» rispose la ragazza, spingendolo fuori dalla stanza. Poi sedette alla scrivania, accese il portatile e iniziò a delineare con maggior precisione il proprio piano.

*

Dopo due notti passate a studiare informazioni, controllare itinerari e verificare date, Sofia era pronta. Erano le dieci e trenta: gli allievi si erano ritirati da un bel pezzo e lei si era chiusa nella propria stanza, apparentemente a causa di un forte mal di testa. Nabeela, appollaiata sullo schienale della sedia, osservava la ragazza darsi un’ultima controllata allo specchio e indossare un soprabito nero sopra il vestito.
   «Che ne dici, Nabeela?» esclamò Sofia ruotando su se stessa. La Fenice agito la coda ed emise un versetto tremulo. «Perfetto. E adesso andiamo» ordinò la ragazza.

*

Di pessimo umore, Prospero stava scolando un drink dietro l’altro mentre, mollemente abbandonato su una comoda poltroncina, osservava gli avventori del locale ciarlare a vuoto. Diverse donne lo guardavano con interesse; un gruppetto di persone – suoi conoscenti – passando, lo salutò.
   «È incredibile il modo in cui sprecano il loro tempo» notò a bassa voce. «E quanto siano superficiali».
   «Fanno ciò che ci si aspetta dalle persone ricche o di potere: si mettono in mostra» replicò una delle sue guardie, anche lui a bassa voce.
   «Così pare». In un solo sorso Prospero vuotò il bicchiere e attirò l’attenzione di un cameriere con un gesto. «Me ne porti un altro» ordinò; il cameriere annuì ossequioso e sparì. Ricomparve un minuto più tardi, con un bicchiere pieno e una busta da lettere bianca sul vassoio.
   «Per lei, dalla signorina al bar» mormorò. Senza degnare la lettera di uno sguardo, Prospero la lanciò sul tavolino e afferrò il bicchiere.
   «Una donna che abborda uomini in un bar? Audace» ridacchiò una delle guardie. Quello al suo fianco fece una battuta volgare, scatenando le risate degli altri cinque.
   «Sarà una delle solite sciocche» commentò Prospero, indifferente. «Pare che le clienti abituali di questo posto, pur essendo ricche, manchino completamente di classe e dignità».
   «Non è una nostra cliente. Nessuno l’ha mai vista prima d’ora» disse il cameriere.
   «Ah no?». La risposta non richiesta del cameriere aveva suscitato la curiosità di Prospero. «Qual è la signorina in questione?» domandò, sporgendosi in avanti e riprendendo la lettera.
   «Quella seduta da sola al bar, signore, laggiù» rispose l’altro, indicando con discrezione davanti a sé.
   Seguendo la direzione del dito del cameriere, Prospero allungò il collo tentando di vedere oltre la folla. Intorno all’elegante bancone del bar si affollavano coppie e gruppetti di persone che bevevano, chiacchierando allegramente; e proprio in mezzo a quel bailamme sedeva una donna vestita di nero, sola. Gli dava le spalle: non se ne vedeva altro che la schiena, lasciata completamente nuda dalla profonda scollatura dell’abito che indossava, e una gran massa di capelli raccolti in cima alla testa. Come se avesse sentito lo sguardo dell’uomo, la ragazza si voltò e gli rivolse un’occhiata che lo colpì: sembrava studiarlo con lo stesso interesse con cui un predatore studi una preda che ancora non sa di essere caduta in trappola. Era uno sguardo di sfida.
   Ipnotizzato da quegli occhi color ambra che gli sembravano stranamente familiari, Prospero guardò la donna alzare il bicchiere al suo indirizzo in un tacito brindisi. Dopo averlo vuotato, scivolò giù dalla sedia: l’abito aderente e accollato la fasciava come un guanto. Con la gonna che le arrivava appena sopra il ginocchio e le maniche lunghe, senza alcun gioiello addosso, contrastava in modo quasi bizzarro con le altre donne presenti: era come un’ombra sfuggita a ogni controllo.
   Con un’ultima occhiata ironica, la ragazza afferrò il soprabito e si diresse con passo altero verso il bagno. Scuotendo la testa, Prospero aprì la busta.
   «Sembrava una ragazzina» commentò una delle guardie.
   «È una ragazzina» replicò Prospero, spiegando il foglio che aveva in mano e scacciando la strana sensazione di aver già visto quegli occhi. «Non avrà avuto più di venticinque anni».
   Tutti tacquero mentre l’uomo leggeva la lettera – che era lunga non più di mezza pagina – scritta con una grafia minuta. Quando ebbe terminato scattò in piedi, il volto impallidito dalla collera.
   «Andate a prendere quella ragazza. Subito!» sibilò, stringendo convulsamente il foglio nel pugno. Obbedendo all’ordine tre delle guardie scattarono verso la toilette, ma tornarono a mani vuote. Prospero li guardò, impaziente. «Allora? Dov’è?».
   I tre si guardarono l’un l’altro, a disagio.
   «Ecco, lei è… sparita» ammisero a testa bassa.
   «Nessuno sparisce così!» replicò l’uomo, furioso.
   «A quanto pare, lei sì» disse uno dei tre uomini. «C’erano alcune donne, lì. Hanno detto di averla vista entrare in uno dei bagni e accostare la porta; un attimo dopo la porta si è aperta e lei… be’, non c’era più».
   Prospero si prese la testa tra le mani.
   «Cosa vi pago a fare, mi chiedo? E voi sareste stati addestrati? Sarà uscita dalla finestra! Possibile che debba dirvelo io?» li rimbrottò, incollerito.
   «Il bagno non ha finestre» si giustificò un’altra delle guardie.
   «Va bene, ora basta» sbottò Prospero, dirigendosi a lunghi passi verso l’uscita. «Stasera voglio chiarire questa faccenda una volta per tutte» ringhiò.

*

Il trillo del campanello fece sobbalzare i due uomini.
   «Ci penso io» disse Luca, andando alla porta. Non fece in tempo ad aprirla che un drappello di uomini lo spinse da parte e si fece strada nell’ingresso, Prospero in testa.
   «Signor Limardi» salutò Michele, alzandosi a fatica dal divano. «A cosa devo il piacere?»
   «Lo sa benissimo». Tremante di rabbia, Prospero gli lanciò la lettera che tanto l’aveva turbato. Dopo averla letta, Michele non riuscì a trattenere un sorriso.
   «Lo trova divertente, Toreggiani?» ruggì Prospero.
   «Molto, in effetti. Gliel’avevo detto, che non sarebbe riuscito a prenderla» replicò l’altro con aria compiaciuta, restituendogli la lettera.
   «La sta aiutando, Toreggiani» sibilò l’altro. «Altrimenti come avrebbe potuto sapere dove trovarmi?»
   «Sofia è piena di risorse. Non ha bisogno del mio aiuto, e in ogni caso non l’ho vista né sentita» replicò Michele. Prospero sbuffò, incredulo.
   «Non si aspetterà che io ci creda!» disse.
   Luca s’intromise. «Signor Limardi, sono rimasto con mio fratello dalle cinque di questo pomeriggio e le posso garantire che da quel momento non ha visto né sentito nessuno» disse con sguardo duro.
   «Potrebbe aver telefonato» insisté Prospero, guardando torvo Michele.
   «Non l’ho fatto»
   «Non ci credo»
   «Allora controlli» ribatté sfrontato Michele.
   «Lo farò» rispose Prospero in tono definitivo. Con un cenno richiamò i suoi uomini e uscì spedito dall’appartamento. La porta sbatté dietro di loro e nel salotto rimasero solo i due fratelli, uno divertito, l’altro confuso.

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