una fine non fine

di chichi_ago
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** un delitto perfetto d'amore ***
Capitolo 2: *** Amici mai ***
Capitolo 3: *** Una carezza in un pugno ***



Capitolo 1
*** un delitto perfetto d'amore ***


Non erano una coppia.
Si incontravano nelle indagini, sul pianerottolo, sulle stelle.
Si cercavano, cercavano passione, calore.
Non cercavano un futuro certo, un amore eterno.
Almeno lei non lo cercava.
Lei voleva essere libera come una nuvola, voleva essere portata in giro dal vento, voleva cambiare forma a seconda del momento, voleva vedere il mondo da lassù.
A volte però aveva bisogno di un suo abbraccio. Aveva bisogno di lui? O semplicemente di un abbraccio?
Lui invece aveva un altro modo di vedere la vita. Lui la vita la immaginava solo con lei.
Lui l’amore lo faceva solo con lei.
La sera si vedevano e passavano ore di passione, felicità, perfezione ma poi il sole riportava tutti i problemi, tutta l’insicurezza e la paura negli occhi di lei.
Lui non ne poteva più. Prendeva a pugni la porta dopo che lei se ne era andata da casa sua. Si tormentava, si accusava, si arrabbiava con se stesso. Non era in grado di non amarla.
Passavano i giorni. Le settimane. I mesi.
Lei continuava a essere circondata da Renzo, da Michele, e poi c’era lui, messo un po’ da parte.
Lei non voleva appartenere a nessuno e tutti la volevano. Lui voleva essere solo suo e non lo era.
Prima di quel giorno in ospedale lui aveva passato notti al suo fianco, a guardarla mentre Orfeo la cullava nelle sue braccia, la guardava e la amava, senza sapere perché.
Era convinto che in fondo lei lo volesse, lei lo bramasse quanto lui bramava lei.
Ma aveva capito ormai da troppo tempo che il loro rapporto era diventato malato e folle.
Come possono due persone dormire nello stesso letto dopo essersi divorati di passione quando ad amare è solo uno?
E così arrivo quel giorno.
Lei mise la parola fine. Anzi ancora peggio. Era una fine momentanea.
Lei gli sorrise, lui non capì. Non capì ciò che era diventato.
Quel sorriso era un arrivederci. Un addio temporaneo.
Ma abitavano uno di fronte all’altro. Come puoi dire addio a una persona che incroci ovunque?
Come puoi dire addio a una persona che il destino continua testardamente a metterti davanti ovunque tu vada?
Un pomeriggio lui stava uscendo per una commissione. Chiamò l’ascensore e quando le porte si aprirono vide lei. I loro occhi fissi si capirono. Gli occhi di lui si bagnarono. Si ritrovarono uno davanti all’altro sul pianerottolo.  In silenzio. Lui entrò in ascensore. Schiacciò il bottone del piano terra. Ennesimo addio. Lui dischiuse le labbra. Un sussurro uscì dalla gola di Gaetano.
“Ti amo”. Le porte di chiusero.
Passarono alcuni giorni. Lei provò inutilmente a chiamarlo. Lui non rispose.
Lei provò a bussargli alla porta. Lui non aprì.
Lei andò in commissariato. Lui non la ricevette.
Lei sapeva di avergli fatto molto male. Ma non poteva amarlo a forza.
Lui sapeva che lei non lo amava. E non aveva la forza di farsi vedere in lacrime davanti a lei.
Una sera lui era in casa a bersi in solito whisky mentre leggeva un libro. Aveva preso questa brutto vizio dell’alcol. Lui il perfetto commissario alcune sere si ritrovava a barcollare per casa senza ricordare quanti bicchieri era riuscito a buttare giù.
La mattina si risvegliava con il mal di testa, si prendeva una pastiglia, si faceva una doccia e come nuovo andava a lavorare. Solare e brillante fuori. Marcio dentro.
Quella sera il silenzio della sua casa gli permise di sentire dei rumori provenienti dall’alloggio di lei.
Delle risate. Grandi risate.
Di una donna. Lei naturalmente, era infondibile la sua risata.
Di un uomo. Non era Renzo. Renzo non rideva così sguaiatamente mai. Ormai un po’ lo conosceva anche lui dopo tutti questi anni.
Si scolò l’ultimo goccio e si avviò alla porta.
Cercava di reggersi alla maniglia mentre, barcollante, con un occhio appoggiato allo spioncino fissava quella porta che tante volte si era aperta per accoglierlo in una casa che profumava d’amore e di famiglia.
Rimase in quella posizione per interminabili minuti. Forse anche decine di minuti. Ogni tanto cambiava l’occhio perché la vista si faceva più debole e sfocata.
Finché la porta si aprì.
Lei. Lui. Camilla. Michele.
Occhi iniettati di sangue. Di lacrime. Di disgusto. Di rabbia.
“Aveva bisogno di essere libera e indipendente, ma che vada a quel paese”
Michele uscendo le diede un bacio sulla guancia. Uno di quei baci a rallentatore. Uno di quei baci che assapori fino in fondo per ricordarteli tutta la vita.
Lei sorrise e chiuse la porta.
Lui diede l’ennesimo pugno alla porta. Non era più lui. Era diventato la sua ombra. Di lui rimanevano solo i resti.
Avrebbe voluto urlarle ancora una volta:” Non possiamo, non possiamo buttare via tutto perché ora sei confusa, perché stai passando un momento difficile. Lascia che io ti aiuti, non mandarmi via”
Ma aveva trovato qualcun altro che la poteva aiutare, lui non serviva più.
Lui non serviva più come un porto sicuro. Non servivano più le sue braccia per avvolgerla.
Non servivano più le sue labbra per sfiorarle il collo. Le sue mani per accarezzarla. I suoi occhi per guardarla.
Il suo cuore per amarla.
Un delitto perfetto. Aveva compiuto un delitto perfetto. Lo aveva ucciso con un sorriso, con degli occhi scuri, con le parole non dette. Il suo non amare era stata l’arma più tagliente. Aveva lasciato tracce ovunque. Impronte. Dna. E l’arma era lì in bella vista. La porta chiusa. Un addio mai detto, un addio conficcato nel cuore.
Lui era un commissario. Aveva risolto moltissimi casi. Sapeva come ragionavano gli assassini. Lei era la prof, era astuta, infallibile, poteva aver compiuto il delitto perfetto ma era pur sempre un’assassina. E gli assassini tornano prima o poi sulla scena del delitto.
Lui lo sapeva, prima o poi sarebbe tornata. O forse no?
Lei intanto aveva cominciato in quel periodo a uscire regolarmente con Michele. Da amici.
Ricordavano i vecchi viaggi fatti insieme. Le gite della domenica. I progetti che avevano fatto per il futuro.
Si trovavano in giro per Torino a passeggiare, visitavano musei, avevano cominciato un corso di yoga insieme (su consiglio di George).
Ridevano molto. Lui era un uomo calmo, riflessivo, le trasmetteva la pace in quel periodo le era mancata.
Un giorno le chiese: “Sei felice?”
Lo guardò con gli occhi interrogativi.
“Perché me lo chiedi?”
“Perché nei tuoi occhi manca qualcosa.”
“Cosa manca secondo te?” chiese lei con un mezzo sorriso un po’ tirato.
“Manca l’amore. Quello vero.”
Quel giorno Camilla era tornata a casa con un senso di stranezza, di mancanza.
Si sentiva così libera da sentirsi persa. E ogni cosa persa è uno spreco, di tempo, di affetto, di vita.
Ma il tempo perso a correre dietro all’amore, alla felicità non è mai perso.
Tutti finiamo per cadere in un mondo di sconfitte, forse per errore, per mancanza di testardaggine, forse per destino.
Possiamo restare nell’errore per tutta la vita. Possiamo rimanere nel limbo, nell’intontimento, nella paura per tutta la vita. Lei aveva quella faccia, la faccia di una persona libera e intrappolata nella sua libertà. La libertà l’aveva portata a non vivere.
Forse era la verità che aveva affondato nel cuore che poteva portarla alla vera libertà?
Era sera. Le arrivò un messaggio.
Michele.
"Non lasciare che la tua libertà e la tua paura di permetta di perdere la cosa più bella che il destino ti ha regalato"
Michele l’aveva capita. L’aveva rispettata. Sapeva di non poter vincere. Aveva compreso che non l’avrebbe mai avuta tutta per se.
Esatto. Aveva paura. Le cose belle fanno una paura bestia, ovvio.
Perché quando stai bene, quando non desideri altro ti ritrovi ad avere paura che tutto finisca. Ma Lei aveva bisogno di rendersi conto che la felicità è fatta di attimi, di secondi vissuti. Sarebbe stato tutto più facile se avesse cominciato a vivere di attimi.
Si maledisse. Cominciava a vedere con altri occhi l’amore che lui le aveva donato.
Passarono alcuni giorni. Michele era sparito.
Lei mise da parte la paura. La libertà.
Bussò a quella porta che un anno fa si era aperta per trasportala in un mondo bellissimo.
La porta si aprì.
“Mi manchi troppo. Voglio vivere tutta la mia vita con te”
Lui impassibile la guardò negli occhi.
La porta si chiuse.

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Capitolo 2
*** Amici mai ***


Legno scuro.
Si ritrovò a fissare il legno della sua porta. Le braccia lungo i fianchi. Immobile con il vuoto nella mente e nel cuore.
Ora era il suo turno di soffrire per amore di lui. Lei era stata invasa da così tanto coraggio che non aveva nemmeno ipotizzato un suo silenzio, un suo rifiuto.
Si ritrovò a fissare il legno della sua porta. La mano sulla maniglia. Immobile con il cuore in gola e le gambe tremanti.
Ora era il suo turno di rifiutare l’amore. Il suo turno di scappare, senza neanche rendersene conto, era arrivato silenzioso e tagliente.
Erano occhi negli occhi. Una spessa porta li divideva.
Lei aspetto per infiniti secondi che quella porta si aprisse rivelando il cielo dei suoi occhi. Ma niente. Ora lui giocava seriamente. Niente più corse indietro.
 
­-Certi amori non finiscono fanno dei giri immensi e poi ritornano, amori indivisibili indissolubili inseparabili.-
 
Lei prese le sue gambe, le sue braccia, il suo cuore e cercò di riprendere coscienza del suo corpo che si era ormai disintegrato. Con le mani in tasca e gli occhi bassi si diresse verso il cortile. Si sedette sulla panchina dalla quale si vedeva la finestra di lui. La luce era accese. Nessuna ombra però appariva dietro alla finestre.
 
-Ma che disastro, io mi maledico! Ho scelto te, una donna, per amico ma il mio mestiere è vivere la vita che sia di tutti i giorni o sconosciuta. Ti amo forte e debole compagna che qualche volte impara e a volte insegna!-
 
Lui prese la sua mano. La sollevò dalla maniglia e la pose sul suo viso comprendo gli occhi. Cosa aveva fatto?
Era diventato anche lui come lei? Anche lui aveva scelto il silenzio alle parole? Lui che aveva sempre voluto sapere, chiarire non aveva resistito alla tentazione di alienarsi da se stesso e di annullare per un attimo ogni sua sensazione. Giusto il tempo per ascoltare le sue parole, rimanerne indifferente e chiudere la porta prima che tutto il peso di ciò che aveva fatto gli cadesse addosso.
Si scolò il suo solito bicchiere di whisky e con la testa calda e il cuore freddo spense la luce e si mise e letto.
Lei vide calare il buio dietro le tende blu, tende che avevano lasciato entrare la luce del sole illuminando il viso di lui che ancora addormentato sognava sorridendo dopo aver fatto con lei l’amore.
Stette fino a notte fonda seduta su quella panchina. Inutilmente. Senza nemmeno la forza di piangere.
- Non è possibile odiarsi mai per chi si ama come noi sarebbe inutile mai mai il tempo passerà  mai mai il tempo vincerà  il nostro non conoscersi per poi riprenderci è una tortura da vivere –
 
Passarono i giorni. Giorni senza alcun senso. Ogni giorno si dovrebbe aprire gli occhi per un motivo, per amare, per ridere, per essere felici. Ma più o giorni passavano più quei due perdevano il sorriso. Parlavano poco, non erano più loro.
Lui a lavoro era diventato ancora più freddo, puntiglioso e calibrato del passato.
Lei a scuola non era più la prof solita, era diventata spudoratamente severa, e paradossalmente meno disponibile con i suoi alunni.
 Tutto stava crollando, mattone dopo mattone. Loro non erano più loro. L’amicizia aveva lasciato il posto all’amore, l’amore all’indifferenza, l’indifferenza alla malinconia.
 
-La malinconia ha le onde come il mare ti fa andare e poi tornare ti culla dolcemente la malinconia si balla come un lento la puoi stringere in silenzio e sentire tutto dentro.-
 
La mente di lei continuava a combattere, tra il pensiero di averlo perso per sempre e la speranza che prima o poi lo avrebbe trovato sulla soglia della sua porta con le labbra desiderose di un bacio. Sentì il bisogno di partire per qualche giorno durante le vacanze di Pasqua. Fece le valigie e dando un ultimo sguardo alla porta del suo vicino si diresse verso la stazione ferroviaria.
 
Camilla passeggiava sulla spiaggia ligure senza scarpe. La sabbia le faceva il solletico. Il rumore delle onde accompagnava i suoi pensieri. All’orizzonte i pescherecci ritiravano le reti. Sembrava un giorno di pace. Ma ormai la pace nella mente di Camilla non c’era da molto tempo. Ora c’era solo senso di colpa e inarrestabile malinconia.
Tornò a Torino qualche giorno dopo senza sentir alcun giovamento dalla vacanza. Era tornata però con una piccola speranza in più.
 
-Ho visto la mia fine sul tuo viso, il nostro amor dissolversi nel vento, ricordo, sono morto in un momento. 
Mi ritorni in mente bella come sei, forse ancor di più
Mi ritorni in mente dolce come mai, come non sei tu.-
 
 
Gaetano era di fretta quel pomeriggio. Era tornato a casa solo per cambiarsi, per poi andare ad allenarsi sul Po. Si era iscritto a canottaggio, trovava che quello sport riusciva ad allontanarsi per qualche ora da tutto ciò che era il traffico, i rumori della città. Riusciva ad allontanarsi dal pensiero di lei.
Aprì la cassetta della posta. Tra le bollette c’era una cartolina con la fotografia di una spiaggia.
Voltò la cartolina, due parole. Nient’altro che due parole scritte a biro.
“Ti amo”

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Capitolo 3
*** Una carezza in un pugno ***


Le mani gli tremavano. I brividi di freddo attraversavano la sua schiena. Rimase alcuni secondi con la cartolina tra le mani, immobile.  Afferrò la carta con entrambe le mani e cominciò a strapparla a metà, poi ancora a metà. I pezzi diventavano sempre più piccoli. Quella cartolina stava facendo la stessa fine del suo cuore. Fatto a pezzi e buttato in un cestino.
Prese l’ascensore e ritornò nel suo alloggio. La voglia di andarsi ad allenare era scomparsa del tutto. Aveva solo voglia di sfondare la porta davanti alla sua, di piangere, urlare, capire, forse scappare.
Si sedette al tavolo della cucina. Fissò il vuoto per un tempo infinito. Poi si alzò e dalla credenza prese la bottiglia di whisky.
Aveva bisogno di un bicchiere solo, giusto per rilassarsi e allontanare quei pensieri dalla mente. Ma un bicchiere solo fu palesemente inutile. Ne seguì un altro e un altro. Il livello del liquore nella bottiglia stava calando in modo assurdo  e la sua mente non ne trovava alcun giovamento.
Gli girava la testa. Chiudeva gli occhi e vedeva lei. La vedeva nuda davanti a lui, i suoi occhi scuri lo fissavano. Lui allungava la mano verso il suo volto e lei scompariva nel nulla.
Era ossessionato dai ricordi. Le passeggiate per il centro di Torino, i risvegli al suo fianco, la loro prima volta, il loro primo bacio, il loro primo incontro.
Girava per la casa toccando le pareti su cui baciandolo si era appoggiata. In camera da letto si ritrovò ad accarezzare il cuscino su cui i suoi capelli da troppo tempo non si posavano.

-E stringerò il cuscino fra le braccia mentre cercherò il tuo viso che splendido nell'ombra apparirà.-

Aveva la nausea. A causa dell’alcol ma non solo. Era nauseato dalla situazione che si era venuta a creare. Lui desiderava solo farla felice ma questo non voleva dire inginocchiarsi ai suoi piedi senza dignità.
Si guardò allo specchio del bagno. Le mani appoggiate come supporto al bordo del lavandino. Gli occhi lividi per le lacrime. Il viso quasi bianco a causa della nausea. La bocca impastata. La mente completamente in confusione.
Riuscì solo a capire che si era ridotto molto male questa volta. Erano le 9 di sera e a stomaco vuoto si era scolato un’intera bottiglia di whisky.
La lucidità non durò molto. Seduto per terra a fianco alla porta di ingresso ricominciò a piangere prendendo a pugni il pavimento.

-Mi sento gia sperduto e la mia mano dove prima tu brillavi e' diventata un pugno chiuso, sai.-

Senza neanche rendersene conto poco dopo la vittima dei suoi pugni era la porta di casa di Camilla. In piedi davanti alla porta di lei, con la testa appoggiata al legno, tirava forti pugni uno dopo l’altro.
Camilla stava cenando sul divano davanti a uno dei suoi film preferiti, quando il rumore dei colpi richiamò la sua attenzione. Corse alla porta, guardò dallo spioncino ma era oscurato dalla testa appoggiata lui. Cominciò ad aver paura. I pugni continuavano.
“Chi sei?”
Un pugno.
“Smettila o chiamo la polizia”
Prese il cellulare. Cominciò a digitare il numero.
“Sto chiamando!!!Smettila!!!”
Altri due pugni.
Avviò la chiamata.
Una musichetta cominciò a suonare dietro la porta. Sullo schermo del cellulare di Camilla solo una scritta: Gaetano.
Camilla guardò il suo cellulare, la porta e di nuovo il suo cellulare. La musichetta continuava e lei la conosceva.
Quante volte tra un bacio e l’altro con Gaetano il suo cellulare aveva cominciato a suonare per avvisarli di un nuovo omicidio o di nuove notizie riguardo a un caso.
“Camilla apri questa dannata porta!!”, la sua voce.
“Cosa succede??? Gaetano smettila!Cosa vuoi??”
“Apri per favore.” I pugni si fermarono. Gaetano cominciò a singhiozzare.

-Cattivo come adesso non lo sono stato e quando mezzanotte viene se davvero mi vuoi bene pensami mezz'ora almeno e dal pugno chiuso una carezza nascerà.-

Camilla mise la mano sulla maniglia e lentamente aprì la porta.
Si ritrovò davanti un uomo che quasi non riconosceva. Un uomo distrutto.
Gaetano incapace di reggersi in piedi le crollò addosso ed entrambi caddero per terra nell’ingresso di Camilla.
A fatica Camilla riuscì a mettere seduto Gaetano che a causa dei giramenti di testa continuava a dondolare a destra e sinistra.
Gli appoggiò la schiena contro il muro e prendendogli con le mani il viso e cercando di rivolgere il suo sguardo verso di lei gli fece una domanda con ovvia risposta: “Quanto hai bevuto?”
Gaetano la guardò, non gli sembrava reale ma purtroppo lo era. Purtroppo perché non avrebbe mai voluto farsi vedere da lei così. Purtroppo perché non doveva essere lui a prendere il proprio orgoglio, buttarlo dal precipizio e a bussare alla porta di lei. Purtroppo perché lui non era in grado di ragionare, di calibrare ogni suo movimento, ogni sua parola a causa della sbronza colossale che si era preso.
Gaetano cominciò a parlare. Più che a parlare a sbiascicare parole una dopo l’altra.
“ Sei una stronza Camilla. Tu non mi ami, tu mi vuoi solo distruggere.”
Il volume della voce si alzava parola dopo parola e il tono con cui il suono usciva dalla sua bocca si faceva sempre più duro e sprezzante.
“Sei una capricciosa, pensi di poter trattare le persone come desideri, pensi che le persone non soffrano. Pensi che puoi soffrire solo tu per amore? Guardami. Mi faccio schifo e molto probabilmente faccio schifo anche a te. E’ solo colpa tua se mi sono ridotto a questo. Cosa vuoi ancora farmi? Dopo essermi scappata per dieci anni, esserti concessa a me, avermi trattato come un amico, un amico di letto, un non fidanzato, un amico adottato, dopo avermi detto che non era ancora tempo per noi, dopo avermi mentito per proteggere un tuo ex, dopo avermi mollato come l’ultimo degli stupidi, dopo avermi mandato una dannata cartolina cosa vuoi ancora farmi?”
Gaetano urlava. Camilla in lacrime gli teneva stretti i polsi.
“Ti rendi conto di cosa stai facendo Camilla? Cosa mi stai facendo? Pensi di poter dire ti amo così? Scritto su una cartolina?  Non hai neanche coraggio di dirmelo in faccia, guardandomi negli occhi? Camilla io amavo un altro tipo di donna. La persona che sei diventata ora non la riconosco più. Pensi di poterti far vedere con Renzo, con Michele senza farmi provare gelosia? Come posso non essere geloso quando sei così bella, sensuale, perfetta. Cosa vuoi da me ora? Perché mandarmi quella cartolina! Perchè devi continuare a perseguitarmi?”
“Gaetano …ti prego smettila”
Lei singhiozzava, lui continuava a urlarle tutto il dolore e l’umiliazione provati finchè l’alcol ebbe la meglio. Gaetano vomitò sul pavimento e svenne tra le braccia di Camilla.

-Mi sembrerà di cogliere una stella in mezzo al ciel così tu non sarai lontano quando brillerai nella mia mano.-

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