Asteria -il pianeta dei dieci elementi-

di SagaFrirry
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** II- prescelti ***
Capitolo 3: *** III- il viaggio comincia! ***
Capitolo 4: *** IV- Oscurità ***
Capitolo 5: *** V- Acqua ***
Capitolo 6: *** VI- ghiaccio ***
Capitolo 7: *** VII- Aria ***
Capitolo 8: *** VIII- Elettricità ***
Capitolo 9: *** IX- Luce ***
Capitolo 10: *** X- Fuoco ***
Capitolo 11: *** XI- Metallo ***
Capitolo 12: *** XII- Terra ***
Capitolo 13: *** XIII- Roccia ***
Capitolo 14: *** XIV- Evocazione ***
Capitolo 15: *** XV- finale-personaggi-extra ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Asteria: il pianeta dei dieci elementi

 

PROLOGO

 

Asteria. Io sono nato nel Regno della Luce del pianeta Asteria. I suoi dieci territori, che precisamente e perfettamente dividono l’intera superficie del Mondo in dieci spicchi uguali, facendolo rassomigliare ad una grossa arancia, per me sono un impeccabile esempio di come natura, magia ed umanità possano convivere.

Luce, Fuoco, Metallo, Terra, Roccia, Oscurità, Acqua, Ghiaccio, Aria ed Elettricità possiedono ugual misura di territorio e potere sul pianeta, con un regno proprio, una capitale ed un re. L’Oscurità si estende su un lato che raramente, quasi mai, è illuminato da Sirona, la nostra stella. Al contrario, il regno della Luce non è mai abbandonato dai suoi raggi.

Il dominio del Fuoco si estende lungo uno spicchio ricco di vulcani attivi e calore vivo. Metallo e Fuoco sono due territori alleati, dando il primo la materia prima ed il secondo la temperatura necessaria per forgiare armi e moltissime altre cose che poi vengono rivendute lungo tutto il Pianeta. La Terra è la zona più fertile di Asteria, l’Acqua il suo oceano…ogni regno è importante quanto pericoloso, se dovesse dominare sugli altri. Per questo, laddove questi spicchi si incrociano, su due punti lungo l’asse dell’Equatore, sono stati eretti tempo fa due edifici identici, custoditi da creature gemelle e potenti, figlie della magia stessa di Asteria. Leggende narrano che la loro nascita risale al giorno della creazione. Sono magia ed energia pura, e per questo al di sopra d'ogni re, principe, o abitante del Mondo. Il loro compito è mantenere l’equilibrio fra le diverse forze e fare in modo che nessuno prevalga sull’altro. Ruolo infelice e complicato, a mio avviso, essendoci odio e fastidio più che evidente fra diversi reami. Solo grazie alla loro grande forza ed autorità riescono a prevalere. Sono potenti. Potenti ma vincolate all’edificio che le ospita per volontà della divinità creatrice del Pianeta. La loro libertà, infatti, creerebbe uno scompenso nel perfetto gioco di forze di Asteria che diverrebbe difficile da gestire. Non hanno un nome, o perlomeno io non ne sono a conoscenza. Gli abitanti di questo Mondo si limitano a chiamarli il “Signore dell’Est” ed il “Signore dell’Ovest” e anche questa definizione immagino sia relativa, non essendoci cartine ufficiali di Asteria ma solo piantine singole per ogni regno e quindi soggette a diversi punti di vista. In effetti, potrei lavorarci io su un progetto del genere…

Mi chiamo Efrehem e, come detto prima, sono un abitante del regno della Luce.

Ho avuto la fortuna di nascere in uno dei territori più pacifici del pianeta, essendo i suoi abitanti illuminati non solo dalla luce di Sirona ma anche dalla forte luce della conoscenza e passiamo più tempo sui libri a studiare piuttosto che a pensare ad altro, tipo dominare il Mondo. Questo non è un aspetto sempre positivo, come potete pensare…ho avuto modo di provare sulla mia pelle che solo con la lettura e lo studio non si arriva lontano come precedentemente credevo.

Stiamo un po’ per conto nostro, non partecipiamo attivamente alla maggior parte di ciò che accade per Asteria. Possiamo definirci “neutrali”…anche se credo che “menefreghisti” sia il termine giusto. Altri, come gli abitanti del Fuoco, ci definirebbero “codardi”.

Immagino che il nostro temperamento dipenda molto anche dalla divinità che regna sul nostro spicchio di pianeta. Ogni elemento ne ha uno, anch’esso motivo di guerra e bisticci di varia natura fra abitanti di credo diverso, e molti tendono ad ignorare che a dominare su tutto c’è la Creatrice, colei che ha dato vita fisicamente ad Asteria, per poi darla in “affidamento” a diversi suoi colleghi. Di certo gli elementi e le divinità influiscono sul nostro carattere e, ovviamente, sul nostro aspetto fisico. Pur avendo una “base” comune, ogni regno ha una tipologia specifica di abitante che si differenzia dagli altri. Alcuni per un’inerzia, come il Ghiaccio dove le differenze sono per lo più interne per permettere di sopravvivere alle basse temperature, altri sono difficilmente classificabili come esseri con un corpo specifico, come gli abitanti del mondo dell’Oscurità, che son poco più che ombre con gli occhi.

Di certo queste differenze non aiutano a creare una convivenza pacifica, ma alimentano la paura e la diffidenza. Per questo, nella maggior parte dei casi, i regni non hanno contatti fra loro ed ognuno provvede per sé, senza correre il rischio di incappare in “incidenti diplomatici” con conseguente rissa fra regnanti e richiamo finale dei Signori dell’Est e dell’Ovest. Solo la loro presenza ha evitato ad alcuni elementi di non autodistruggersi dopo l’ennesima guerra. Ce ne sono state ma, come detto, per fortuna non hanno mai toccato il regno della Luce, protetto più che mai dai due Signori perché custode di moltissimi libri e conoscenze preziose. Siamo, diciamocelo, un po’ privilegiati…chi penso io del regno del Metallo userebbe un termine molto meno elegante, che ha a che fare con la parola “raccomandati”, ma leggermente più volgare.

Questa è la storia di un viaggio, un viaggio che ha cambiato tutti coloro che lo hanno intrapreso ed il Pianeta stesso. Ogni cosa ha preso una via differente da quel giorno non molto lontano, che sia verso il positivo o il negativo ancora non lo so. So solo che la mia vita, come quella di molto altri, è mutata radicalmente e ancora mi batte forte il cuore al solo ricordo di tutto ciò che io ed i miei compagni abbiamo vissuto.

Tutto è iniziato in uno dei palazzi sopraccitati, uno di quelli costruiti sul punto di incontro dei dieci regni, precisamente nella dimora di colui che noi abitanti della Luce definiamo il Signore dell’Est.

 

I

 

Il palazzo del Signore dell’Est era di forma circolare e di color grigio chiaro, illuminato da fievoli candele lungo le zone prive di finestre. Ozymandias, re dell’Oscurità, risiedeva nell’unico punto in cui non vi era nessuna apertura né luce e restava immobile, in attesa di un qualche evento che spezzasse il silenzio. I dieci regnanti dei dieci diversi spicchi di Asteria erano stati convocati in quell’edificio neutrale, suddiviso anch’esso in dieci parti uguali. I loggioni in cui erano accomodati erano rialzati, permettendo una visuale completa degli altri reali presenti, e sufficientemente distanziati in modo da evitare ogni contatto fisico fra i partecipanti di quella riunione straordinaria. Ognuno di loro poteva accedere all’unica sala tramite una stretta scala in pietra che si presentava davanti a loro dopo una porta ad arco, di cui solo il regnante aveva la chiave. Le dieci porte avevano dieci colori diversi, più per dare un tocco artistico alla cosa che per una reale ragione, così anche le chiavi avevano forme, consistenza e colorazione differente. I presenti le portavano al collo, legate ad una pesante ed elegante catena in tinta. Zameknenit, il giovane re del regno dell’Aria, era il più nervoso. Si guardava attorno con i suoi occhi blu scuro, come spaventato per ciò che poteva accadere. Quella era la sua prima convocazione presso uno dei Signori e non sapeva cosa aspettarsi. Inoltre non amava molto restare a lungo in luoghi troppo chiusi e quell’edificio, a suo avviso, non aveva sufficienti finestre. Notò lo sguardo d’odio e fastidio che gli stava rivolgendo Vehuya, il re del Fuoco, e la cosa lo innervosì ancora di più. Si passò le mani fra i capelli rossi, che gli si rizzavano sulla testa in ciuffi appuntiti, e si accorse che l’unico rumore che si poteva udire erano le piume che aveva sulle braccia, di colore verde, che sfregavano sulla pietra della semisfera che lo ospitava. Si impose di non muoversi più ed incrociò le mani fra loro.

“Non volare via, pulcino” lo schernì Vehuya, con un largo sorriso.

Zameknenit non rispose, si limitò a lanciargli a sua volta un’occhiataccia. Anche perché aveva davvero il desiderio di volare via dalla finestra che aveva alle spalle…poteva farlo, le sue braccia alate glielo permettevano, ma continuò a ripetersi nella testa di non farlo e rimase seduto.

La risatina di Vehuya lo irritò ancora per un po’ e riecheggiò nell’edificio. Gli occhi rossi di quell’uomo erano inquietanti e spiccavano sul suo viso, pieno di cicatrici ed incorniciato da una massa di capelli scuri, tenuti assieme in una treccia. Non dimostrava l’età che aveva, almeno una settantina d’anni, quasi il doppio di Zameknenit che ne aveva poco più di trenta.

“Suvvia, Vehuya! Non prendere in giro il povero Zameky…è solo un ragazzo!” parlò Jovihann, la regina del Metallo.

“Zameky??!!” si indispettì il re dell’Aria a quelle parole.

“Hai ragione, mia alleata…” convenne Vehuya, ignorando il fastidio del giovane, lanciando un’occhiata alla regina che lasciava trasparire di che tipo di alleanza ci fosse fra di loro “…non ne vale la pena. Stuzzicarlo non dà soddisfazione”.

“Non avere paura, Zameknenit. Non accadrà nulla di pericoloso…” tentò di tranquillizzarlo Midir, regina della Terra, ma il signore dell’Aria si mostrò offeso dal suo atteggiamento iperprotettivo ed incrociò le braccia, borbottando un “io non ho paura” poco convinto.

La regina non parve apprezzare quel gesto e si rabbuiò, infilando parte della testa nella sciarpa che portava attorno collo per il freddo. Socchiuse gli occhi viola ed iniziò una serie di esercizi di respirazione per ritornare alla sua solita calma.

“Io mi sto annoiando…” protestò Taranis, il re del regno dell’Elettricità, famoso per non riuscire a stare fermo per troppo tempo.

“Come sempre…” ribatté Nerektan, regina dell’Acqua.

“Non serve stuzzicare!” le fece notare Rocana, signora del Ghiaccio.

Eranoranhan, il re della Roccia, spaparanzato sul suo seggio di pietra, evitava di guardare verso il basso per non pensare al fatto di essere sospeso per aria dentro un semiuovo grigio. Si limitava ad osservare gli altri senza dire una parola, attento a non innervosirsi troppo o perlomeno di non farlo notare agli altri.

“Ma è vero…non ha capacità di controllo!” sbottò Nerektan, riferendosi al re dell’Elettricità.

“Non sono affari tuoi!” sibilò Taranis, facendo scintillare qualche piccola scossa fra i suoi capelli zigzagati e fluttuanti, di colore quasi bianco.

“Non serve che fai pesare a tutti che ti annoi, come fai ad ogni riunione!” rimbeccò l’Acqua.

“Fai a meno di venire, madama pesce!” si limitò a dire Taranis, incrociando le braccia e riferendosi alla pelle squamata della regina Nerektan.

“Ma come ti permetti di commentare l’aspetto degli altri tu, che sembra ti sia infilato le dita nella presa della corrente?!” commentò Rocana.

“Parla quella che va in giro come una puttana in saldo” borbottò Jovihann, tintinnando con tutti i braccialetti e le catene di metallo che portava alle braccia.

“Io sono vestita poco, carina, perché sono abituata a temperature ben più basse di quella che c’è qua dentro! E comunque pensa per te…sembri un fantasma con tutte quelle catene…dove tieni la palla al piede? E quand’è che te ne vai passando attraverso il muro?” le urlò la signora del Ghiaccio.

Ozymandias scoppiò a ridere. E scese il silenzio. La risata del re dell’Oscurità era inquietante, profonda e vibrante. Nascosto nell’ombra della sua postazione, si poteva vedere solo la luce argentea dei suoi grandi occhi leggermente sporgenti.

Friedrik, re della Luce, sospirò. Si reggeva gli occhiali con la mano destra e guardava fisso verso l’alto, in cerca di un qualche aiuto nascosto chissà dove.

“Problemi, Friedrik?” parlò Ozymandias.

“Certo, mio caro. Non è possibile che riusciate sempre a trovare una qualsiasi stupidaggine per poter litigare. Mai una riunione in cui non saltano fuori beghe o risse…è possibile che ciò accada almeno per una volta? Una convocazione in cui possa regnare la pace?”.

“Certo che no, Friedrik! Siamo elementi opposti, contrastanti, nemici! È normale che litighiamo! Per non contare tutto ciò che è successo nel passato…” commentò Vehuya, lanciando uno sguardo infuocato a Zameknenit, che si accucciò inconsciamente, fra le risatine di Ozymandias.

“Siete dei bambini” scandì bene Midir.

“Non so come non darVi ragione, regina della Terra” fu la risposta di Friedrik.

“Lecchino. Cosa speri di ottenere alleandoti con la Terra?” insultò Jovihann.

“Di certo non quello che ottieni tu con il Fuoco…e poi dai a me della puttana!” ribatté Rocana.

“Quanto casino inutile…” parlottò Eranoranhan.

“Hai detto qualcosa, re dei sassi?!” si sentì dire dall’angolino in cui si era rannicchiato il re dell’Aria, che meglio di chiunque altro riusciva ad ascoltare le voci ed i suoni che si propagavano nel suo elemento.

Il re della Roccia rimase immobile, consapevole delle conseguenze che poteva provocare un suo attacco d’ira, con la sua grossa corporatura e con i muscoli dello stesso materiale del suo elemento sovrano, con un colore quasi uguale alla semisfera che lo conteneva.

“Basta!” tuonò qualcuno.

Tutti si guardarono, pronti a controbattere, ma pareva che nessuno di loro avesse aperto bocca.

“Sono stato io a parlare” continuò la voce.

Proveniva dal basso e tutti, tranne Eranoranhan, che soffriva di vertigini, si sporsero per vedere da dove provenisse. Dal punto d’incontro di tutti gli spicchi dei dieci regni, ben tracciati sul pavimento, stava emergendo una figura.

“Il Signore dell’Est?” azzardò Zameknenit.

“Esatto, re dell’Aria. Non ho mai avuto il piacere di incontrarVi precedentemente, dato che questa è la Vostra prima riunione. Condoglianze per Vostro padre, era un grande re. Io sono il Signore dell’Est. Benvenuti, tutti quanti, nella mia dimora, nella mia prigione, nel mio territorio… Come sempre vi trovo a litigare fra di voi…”.

“Se no che divertimento c’è…?” commentò, sarcastico, Ozymandias.

Il padrone di casa scosse la testa, con un mezzo sorriso. Era tutt’uno con il pavimento sottostante e si muoveva come se fosse una massa informe. Vagamente si intuiva quale fosse la sua testa, anche se si distinguevano chiaramente gli occhi, che mutavano continuamente di colore. La bocca la si poteva intravedere solo quando l’apriva per parlare. Guardò tutti i presenti, in modo da zittirli del tutto, incutendo in loro il rispetto ed il timore che voleva e meritava. Quando finì di emergere, pur rimanendo senza stacchi dal suolo, era ben visibile da tutti i reali anche se questi restavano seduti, come preferiva fare il re del regno della Roccia. Nessuno parlò per alcuni minuti, forse una tecnica del padrone di casa per valutare se erano in grado di non litigare e fare silenzio.

“Come in ogni altra occasione in cui vi ho convocato, non è per giocare o per fare quattro chiacchiere. Sapete bene che queste riunioni non sono piacevoli, né per me né per voi. Oserei dire che vi detesto sotto certi aspetti…sempre a litigare per delle quisquilie e non notate le questioni e i problemi molto più importanti che vi circondano”.

I presenti si guardarono fra loro con aria interrogativa, riuscendo a non parlare. Di solito venivano chiamati per sedare guerre e situazioni delicate che, però, al momento, non c’erano. Era una cosa piuttosto rara ma, da una decina di anni, non vi erano guerre su Asteria.

“A cosa Vi riferite?” ebbe il coraggio di chiedere Friedrik.

Il re del regno della Luce si trovava nel punto più luminoso della stanza, anche perché emetteva luce lui stesso, ed era il più anziano dei presenti. Per questo, probabilmente, aveva avuto la forza di azzardare una domanda. Fissava, con i suoi grandi occhi arcobaleno, il Signore dell’Est in attesa di risposta. Il Signore rispose al suo sguardo e gli sorrise. Il re si sistemò la barba bianca e contraccambio il sorriso.

“Friedrik, caro mio…come va in famiglia? Ti trovo…invecchiato”.

“Perché siamo stati convocati?” insistette il re della Luce.

“Ricordi la prima riunione a cui tu fosti presente?”.

Friedrik annuì, nonostante fossero passati più di cinquant’anni. All’epoca era un ragazzo che sfiorava i vent’anni di vita e di certo l’agitazione di quel giorno non l’aveva scordata.

“Quel giorno vi avevo convocato per stabilizzare la situazione fra Ghiaccio e Roccia…” quella frase provocò uno sguardo d’odio fra i due rappresentanti di quegli elementi “…e feci una cosa che calmò gli animi. Te la ricordi?”.

“Sì…con le loro magie, creaste una cosa meravigliosa. Una pietra trasparente, pura, grande, luminosa e bellissima, a dimostrazione che con l’uso della magia avrebbero potuto plasmare qualcosa di stupendo insieme, invece di tentare di distruggersi a vicenda”.

“Bravo. Hai buona memoria…ebbene, una cosa del genere non mi è più possibile farla”.

“Ma…come…”.

Il Signore dell’Est si allungò in modo da sembrare provvisto di braccia e le puntò verso il rappresentante della Roccia e la regina del Ghiaccio. I due urlarono, avvertendo chiaramente che il Signore ne stava risucchiando la magia, e non riuscirono ad opporre resistenza. Fra le due escrescenze simili a braccia si iniziò a formare una forte luce, che fece ringhiare di fastidio il re dell’Oscurità, e si formò una pietra bellissima ma molto piccola.

“Che significa? Perché una pietra così? L’altra volta era parecchio più grossa” volle sapere Friedrik.

“Lo so bene. Non è colpa dei due regnanti e nemmeno mia. È il pianeta stesso che ha qualcosa che non và”.

La risposta e la reazione dei presenti si espresse in un mormorio vago, parlottando fra loro o con il vicino più prossimo, in cerca di risposte, pronunciando delle domande che non avevano il coraggio di rivolgere al Signore dell’Est, nessuno alzò la voce.

“Come vi dicevo prima…” riprese il padrone di casa, dopo aver riassorbito le braccia ed adagiato in terra la piccola pietra “…se non foste così impegnati a bisticciare fra di voi, vi sareste accorti di queste discrepanze nella magia. All’inizio erano piccole ed ignorabili, ma ora sono davvero fastidiose per l’equilibrio di Asteria. Ho atteso e sperato che la cosa si sistemasse da sola ma, vedendo che la situazione peggiorava invece di migliorare, vi ho convocati tutti quanti”.

“E noi…che cosa possiamo fare?” azzardò Zameknenit, mostrandosi preoccupato.

La magia era una componente fondamentale nella vita di ogni singolo abitante del Mondo e creava non poco disagio l’idea che potesse non essere più disponibile oppure che mutasse, creando qualcosa di distorto rispetto al passato.

“Giusto…che possiamo fare? E a cosa sono dovute queste discrepanze?” aggiunse Taranis, mandando brevi scintille elettriche tutt’attorno alla sua postazione.

“Sì, e quali conseguenze porteranno?” domandò Nerektan, stringendo fra loro le mani palmate, mostrando la sua evidente agitazione.

Il Signore dell’Est non rispose subito. Questo aumentò la tensione fra i regnanti, che iniziarono a guardarsi fra loro con sospetto, pronti ad accusarsi a vicenda di ogni cosa.

“Se la situazione dovesse restare l’attuale…” si decise, infine, a parlare la creatura dell’Est “…cioè se la magia continuasse a degenerare e diminuire a questo ritmo, perché è questo sostanzialmente ciò che sta accadendo, giungeremo ad un punto di non ritorno. Questa forza così importante per noi tutti, finirebbe col compromettersi e danneggiarsi irreparabilmente, portando pessime conseguenze ad Asteria ed a tutti i suoi abitanti. Vi ricordo che tutto questo…” parlò ruotando gli occhi, riferendosi all’intero pianeta “…si basa su delicati equilibri magici”.

Fece una pausa, più lunga delle precedenti.

“Sì ma…noi che dovremmo fare?” sbottò Ozymandias, spazientito da tutti quei silenzi, tamburellando le dita d’ombra sulla roccia.

“Dobbiamo intervenire subito, prima che sia troppo tardi”.

“Come?” incalzò il re dell’Oscurità, essendosi il padrone di casa di nuovo fermato.

“Io ed il mio gemello, il Signore dell’Ovest, siamo giunti alla stessa soluzione. È pericolosa, e non sappiamo a quali reali conseguenze porterà, ma abbiamo vagliato ogni possibile soluzione e questa è l’unica via che abbiamo per uscirne”.

“Spiegati. E si sa quali siano le cause?”.

A parlare era stato Eranoranhan, re della Roccia, che sapeva di non essere in grado di restare calmo ancora a lungo.

“Le cause sono i mezzosangue” affermò l’Est, quasi con solennità.

“Mezzo cosa??!!” quasi urlò Zameknenit, per la prima volta convinto di non aver sentito bene.

“Mezzosangue. Creature figlie di due diversi elementi”.

“Possibile?! Possono nascere ed esistere creature simili?” si stupì Midir.

“Madama della Terra, possono esistere e ne esistono. Da quanto ne so e mi è dato sapere, non sono nemmeno tanto poche. Altrimenti l’equilibrio magico non sarebbe così pesantemente compromesso. O sono tante, o sono molto potenti. In entrambi i casi è meglio intervenire”.

“Le uccidiamo tutte?” propose Taranis, sempre piuttosto sbrigativo.

“Ma no, stupido!” lo contraddisse Ozymandias “E se poi ce ne sono altre nascoste? Meglio catturarne un gruppetto e torturarle, in modo da essere sicuri di averle sterminate tutte!”.

“Nessuna di queste è la soluzione!” li fermò il padrone di casa, con uno sguardo di vivo rimprovero.

“Ma…come possono esistere simili creature? Chi le ha generate?” si informò Friedrik, il più curioso e desideroso di ampliare le proprie conoscenze fra i presenti, com’era tipico degli abitanti del regno della Luce.

“Evidentemente le avete generate fra di voi!” sbottò il Signore dell’Est, ma si corresse subito notando come tutti si stessero per accusare “Non fra di voi in senso stretto! Intendo dire che, fra la popolazione dei vostri regni, ci devono essere stati dei contatti. Alcuni elementi si combinano particolarmente bene assieme, come Roccia e Terra o Ghiaccio e Acqua, e devo dire che le loro unioni non sono motivo di grosse preoccupazioni”.

“Allora dove sta il problema?” disse Vehuya, impetuoso come il suo elemento di fiamma.

“Il problema sta nelle unioni non compatibili. Finché parliamo di Acqua e Ghiaccio non si hanno grossi scompensi perché entrambi si basano sugli stessi principi magici. Ma se ad unirsi e generare sono, ad esempio, Roccia ed Aria, la cosa si fa più complicata perché si viene a creare la coesione di due magie opposte che si devono fondere per poter convivere in quella creatura, provocando gli scompensi di cui prima parlavo”.

Zameknenit, re dell’Aria, ed Eranoranhan, re della Roccia, si guardarono quasi con disgusto.

“Come può una leggiadra creatura dell’Aria unirsi con un sasso ambulante com’è un qualsiasi abitante di Roccia?” si domandò Zameknenit.

“Sì, infatti. Una cosetta insignificante nata nell’Aria non può di certo sopravvivere ad un rapporto con una Roccia. Si spezzerebbe subito” convenne Eranoranhan.

“Sentite…non mi riguarda come la cosa avvenga fisicamente…ma in qualche modo è successo e fra elementi molto distanti fra loro, se non opposti, che hanno provocato queste correnti avverse al normale flusso di energia, indebolendo tutta la magia del pianeta” concluse il Signore dell’Est, abbassandosi leggermente, come ad indicare che era stanco di discutere.

Gli opposti nella sala si fissarono, in silenzio, lasciando spazio a mille domande. Poteva il calore e l’irruenza del Fuoco unirsi al freddo ed alla staticità del Ghiaccio? O la luminosa Elettricità avere qualcosa a che fare con la profonda Oscurità? Nessuno poteva realmente crederci ma, se era il padrone dell’Est a dirlo, dovevano crederci e fidarsi.

“Forse è colpa dell’Oscurità…quelli sono famosi per essere degli incantatori” azzardò Jovihann, rompendo il silenzio e dicendo ciò che in molti pensavano.

“Ma…come osi?!” ringhiò Ozymandias, mostrando tutta la sua ira alla regina del Metallo, aumentando il volume dell’ombra che lo componeva.

“Suvvia, Ozymandias…lo sai meglio di me che sei in grado di mutare il tuo aspetto a tuo piacimento. Puoi ricreare perfettamente chiunque di noi con il corpo. Inoltre siete fra i più abili nella manipolazione delle arti magiche. Riuscireste facilmente a convincere chiunque che siete una creatura diversa da quello che siete”.

“Perché dovrei mutare per andare ad infilarmi nel letto di uno qualsiasi di un’altra razza? La mia mi sta benissimo! Tu, piuttosto, sei famosa per i tuoi rapporti diciamo amichevoli con Vehuya…”.

“Dove vuoi andare a parare?” si insospettì Vehuya.

Ozymandias fece per ribattere ma non sapeva come. Era consapevole che quelli della sua specie, volendo, avrebbero potuto effettivamente mutare ed era inutile pensarla diversamente. Riguardandosi si resero conto che nessuno poteva chiaramente dichiararsi esente da colpe per tutta la sua gente. Era un problema comune che richiedeva una soluzione comune.

“Qual è la soluzione?” mormorò Friedrik, alzatosi in piedi e tenendo le braccia incrociate.

La sua corona bianco latte brillava, illuminata dalla luce che entrava dalle sue spalle e che creava lui stesso, spiccando sui capelli una volta biondi, ora quasi del tutto dello stesso colore della corona. Aveva un’aria solenne e preoccupata. Vehuya imitò il suo gesto, alzandosi a sua volta, e giocherellando con la lunga barba scura ed intrecciata, incalzando il padrone di casa a fornirgli una soluzione al problema. Quasi tutti si alzarono, tranne il re della Roccia che restava ben ancorato al suo trono, in attesa delle parole dell’Est, che però tardavano ad arrivare.

“Tutto questo necessita un’alleanza” furono le parole del Signore, seguite da un altro, interminabile silenzio, che irritò tutti i reali, compresi quelli famosi per la loro pazienza come Midir e Nerektan.

Iniziarono guardarsi fra loro, perfino la Roccia ora era in piedi. Come potevano creature così diverse anche solo pensare di allearsi? Erano nemici fin dalla nascita di Asteria, come potevano andare d’accordo? E qual’era il piano dei due Signori, di cui il padrone di casa stesso aveva paura di parlare? Si fissavano. Occhi infuocati, profondi, sporgenti, enormi, coloratissimi, vuoti, argento…solamente notando le differenze nei loro sguardi capivano che un’alleanza era impossibile. Erano troppo diversi. Appartenevano a razze troppo distanti fra loro per cooperare. Gli Alati dell’Aria, con le loro piume che spuntavano sulle braccia riccamente tatuate, potevano davvero avere buoni rapporti con la pelle che pareva di pietra degli abitanti della Roccia? E tutti gli spuntoni metallici che si presentavano sul corpo della popolazione del regno di quell’elemento come potevano sintonizzarsi con la guizzante elettricità che sempre circondava quelli come Taranis? Le squame, il colore bluastro e tutte le creste, membrane e pinne dell’Acqua, cosa avevano a che fare con le piante, i fiori ed i germogli che presentava la Terra sulla pelle? No, giunsero alla conclusione che erano troppo diversi per pretendere di collaborare pacificamente. Il Signore dell’Est parve intuire quei pensieri perché parlò come se le loro menti avessero pronunciato apertamente quel concetto.

“Che vi piaccia oppure no, mi spiace, ma dovete allearvi. È l’unico modo”.

“Ed il piano qual è?” parlò Rocana.

“Non spetta a voi portarlo a termine. Voi siete i regnanti di questo Mondo ed il vostro compito è fare ciò che avete fatto fin ora: i re e le regine. Siete stati scelti per governare perché i più forti, dal punto di vista magico e fisico, chi più da un lato e chi più dall’altro, fra la vostra gente e questa forza si trasmette, generazione dopo generazione, tramite il vostro sangue. Intraprendendo il viaggio che sto per proporvi, vi allontanereste per troppo tempo e si creerebbe il panico”.

Si fermò un attimo per riprendere fiato, apparentemente, in realtà voleva verificare le varie reazioni fra il suo “pubblico”. Si decise a riaprir bocca quando noto gli sguardi d’odio che gli stavano lanciando i convocati.

“Ciò che dovete fare e scegliere, fra la vostra discendenza o fra chi vi è più vicino, guardie del corpo o potenti soldati ad esempio, una persona adatta ad intraprendere un difficile viaggio attorno al pianeta, assieme ai nove rappresentanti degli altri regni, per portare a termine la missione che, forse, ci permetterà di rimettere in ordine Asteria”.

“Di che missione si tratta?” domandò Taranis.

“Anche se voi non ne venite a conoscenza non ha importanza. Sappiate che dovranno raggiungere i luoghi proibiti e se falliranno non avremo altre possibilità”.

Gli sguardi allarmati dei regnanti fecero sorridere il Signore dell’Est, quasi sadicamente. Sapeva quanto terrore provocava in ognuno di loro le parole “luoghi proibiti”.

“Avete un mese di tempo a partire da oggi” riprese a parlare “Scegliete colui, o colei, che riterrete più idoneo a questo delicato compito. Fra un mese esatto li attende mio fratello, il Signore dell’Ovest, per mostrar loro la missione nei dettagli”.

“Che caratteristiche deve avere il prescelto?” domandò la regina della Terra.

“Forza, coraggio, determinazione, magia, rapidità, destrezza, intelligenza…dev essere ciò che meglio personifica il vostro elemento. Ricordate che faranno parte di una squadra e quindi, di conseguenza, non crucciatevi troppo se presentano anche le lacune tipiche della gente che rappresenta. Si aiuteranno a vicenda”.

I re e le regine presero tutti, contemporaneamente, un’espressione dubbiosa.

“Ad esempio, Friedrik, so bene che i rappresentanti della Luce non sono bravi a combattere. Ma sono molto intelligenti e la presenza di una creatura, con la conoscenza che so che alcuni di voi possiedono, sarà molto importante ai fini della missione. Perciò trova il più intelligente e preparato fra di voi e mandalo dal Signore dell’Ovest. So che in quel gruppo ci sarà l’aggressivo, il paziente, il freddoloso, il coraggioso, l’impetuoso…ogni caratteristica è importante. Scegliete bene. Magari fra i membri della vostra famiglia, che possiedono la forza magica più grande fra la popolazione”.

“Ma…non tutti hanno familiari da poter scegliere…” parlò Zameknenit.

“Scegliete chi vi pare. Basta che corrisponda alle caratteristiche della vostra gente. E Voi, re dell’Aria, non avete Vostro fratello?”.

“Non so se è il caso che…” iniziò il re ma fu interrotto.

“Basta, sono stanco” sbottò il padrone di casa “Andate, scegliete, fate un po’ come vi pare. Che mandiate vostro figlio, vostra figlia, il vostro amante, il migliore amico o il bastardello di qualche serva non mi riguarda. Fra un mese esatto, però, tutti e dieci devono essere presenti al cospetto del Signore dell’Ovest. Adesso sparite dalla mia vista e smettetela di avere istinti omicidi nei confronti dei mezzosangue…alla Creatrice non piacciono!”.

Detto questo scomparve lentamente, ridivenendo tutt’uno col pavimento e con il resto del Mondo. Scese il silenzio, i re e le regine, dopo un sospiro ed un ultimo sguardo verso il punto dove un tempo c’era il Signore dell’Est, se ne andarono. Lentamente, e con migliaia di domande senza risposta nella mente, scesero le scale e chiusero la porta di quell’edificio grigio, senza notare i confinanti che facevano lo stesso, e si apprestarono a tornare alla loro capitale, ognuno con i propri mezzi, rimuginando su chi scegliere per salvare Asteria ed i suoi abitanti.

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Capitolo 2
*** II- prescelti ***


 II

Il primo a giungere a casa, a Bahram, la propria capitale, fu Zameknenit. Gli era mancato il suo bel regno, il suo palazzo, la sua popolazione. Volando, grazie alle sue braccia alate, atterrò agilmente, lasciando dietro di sé qualche piuma verde. Gli edifici delle creature dell’Aria non presentavano mai enormi coperture ma prevalevano gli archi, le grandi finestre ed i tetti quasi del tutto inesistenti. Personalmente, il re dell’Aria preferiva le grandi volte in vetro spesso, per proteggersi dalla pioggia e dagli eventuali attacchi ma, con un complesso sistema ad incastri, riusciva ad avere solo il cielo sopra la testa perché il tetto in vetro si apriva. In quella bella giornata luminosa, i tetti di tutto il palazzo reale erano aperti ed il re atterrò nella grande sala del trono, fra i suoi archi, le sue volte e le vetrate colorate, circondato dalle sue guardie del corpo. Lo avevano scortato lungo tutto il viaggio, di andata e ritorno, ma se ne andarono subito, appena atterrati, in seguito ad un gesto del re.

Si stiracchiò, sedendosi sul trono, seguendo con gli occhi blu i disegni arancio che portava tatuati lungo tutto il corpo. Vestiva con una canotta nera, aderente, con evidenti cuciture di colore diverso, che lasciava libere le braccia piumate, e pantaloni rosso acceso, come i capelli del re. Chiuse gli occhi, riposandosi dal lungo viaggio. Tolse la corona e la appoggiò su un piccolo sgabello apposito con un bel cuscino imbottito. Dopo qualche minuto si udì un lieve tocco alla porta. Zameknenit rizzò le piccole orecchie a punta e, tenendo gli occhi chiusi, concesse il permesso di entrare a chi bussava, con un “Sì” convinto ed un borbottio di protesta sottovoce.

“Siete tornato, mio signore” si sentì dire.

“Nèxus! Mio consigliere…sono lieto di vederti. Stavo per mandarti a chiamare”.

“Va tutto bene?” si preoccupò il consigliere.

Era una persona anziana, con i capelli grigi, le folte sopracciglia e due baffi con pizzetto. Era vestito elegante, di scuro, con un alto colletto chiaro. Le ali le aveva rosse, sgargianti, intonate con gli occhi verdi. Serviva la famiglia reale fin da giovane, era alle dipendenze del padre e ora stava accanto al figlio. Lo aveva visto nascere e lo accudiva con affetto, soprattutto ora che non aveva più i genitori. Lo guardò con apprensione, quasi paterna.

“Tutto bene, non serve che ti preoccupi tanto per me. Non sono più un bambino! Ho passato i trent’anni!” ridacchiò Zameknenit, osservando il suo consigliere con un sorriso.

“Allora perché stavate per chiamarmi?”.

“Piantala di darmi del Voi! Te l’ho detto un milione di volte!” la voce del re ora era seccata.

Nèxus non rispose subito. Rimase in piedi accanto al suo sovrano seduto sul trono.

“Cosa posso fare per Voi, Signore?”.

Zameknenit sospirò. Un po’ per la cocciutaggine del suo consigliere ed un po’ per il ricordo delle parole del Signore dell’Est. Attese un attimo, cercando le frasi migliori per spiegare l’accaduto e nel frattempo guardava le colonne attorcigliate del suo palazzo. Raccontò i tratti principali di quella riunione, sorvolando su alcuni dettagli ma rimarcando sugli aspetti fondamentali del discorso.

“Quindi dovete scegliere la persona adatta per una missione delicata…”.

“Sì, infatti. Mi è stato suggerito di mandarci mio fratello ma…non credo sia il caso”.

“Forse dovreste chiederglielo. Il Vostro gemello ritengo possa scegliere da solo cosa fare. Di certo ha la prestanza fisica e le capacità necessarie per una cosa del genere”.

“È pericoloso, Nèxus. E lui si è risvegliato da troppo poco”.

“Ciò che è successo è gravissimo ma è un adulto, non potete tenerlo al guinzaglio. Dovreste proporgli la cosa. Se poi non se la sente, sceglierete con un diverso criterio. Non avete altri parenti in vita…”.

“Lo so bene! È per questo che non voglio se ne vada! Lui è tutto quello che ho…ho già rischiato di perderlo una volta e non gli permetterò di infilarsi in altri guai”.

“E come credi di impedirmelo? Rinchiudendomi in gabbia come un canarino?” si sentì da un punto imprecisato dell’immenso salone.

“Aherektess, fratello mio, sei tu?”.

“In persona, gemellino…”.

Il gemello del re era appollaiato su una delle aperture a bifora, evidentemente dopo essere sceso dall’arco in pietra che copriva un tratto della sala, dove era contenuto il vetro per chiuderla. Era rimasto nascosto, ascoltando tutta la conversazione, ed ora si era sentito pronto ad intervenire.

“Lasciaci soli, Nèxus” ordinò Zameknenit e il consigliere uscì con un inchino.

“Lo sai, Areky, che non è educazione origliare” parlò il re, quando fu solo con il gemello.

“E tu lo sai che non è educazione prendere le decisioni per gli altri?”.

“Sono un re…è il mio compito!”.

“Non per tutti. Non ti permettere di scegliere ancora per me”.

La determinazione del fratello stupì Zameknenit, che non rispose ed attese che il gemello si avvicinasse alla sua postazione, rimanendo seduto sul suo trono dorato. Aherektess scese, con gli stivali neri che ticchettarono sul pavimento azzurro a decori geometrici bianchi lucidi. Avanzò fra le colonne e raggiunse il fratello, dopo essere salito lungo i pochi scalini che rialzavano il trono dal suolo, fino a fermarvisi di fronte, con le mani sui fianchi e le gambe leggermente divaricate.

I due gemelli avevano colori speculari, come speculare era l’orecchino d’oro che portavano. Aherektess, con l’anello sull’orecchio sinistro, aveva gli occhi rossi, come i capelli del fratello, e la capigliatura blu scuro come le iridi del gemello. Le sue piume erano arancio e i tatuaggi, identici a quelli di Zameknenit, spiccavano sulla pelle chiara con il loro colore verde scuro.

Camminando, i lunghi capelli blu non si mossero. A differenza di quelli del re, presentavano un ciuffo che gli copriva parte del viso e non erano sparati in aria, bensì ricadevano fino a circa la fine della schiena, terminando con punte regolari.

I capelli degli abitanti del regno dell’Aria non si scompigliavano mai.

Era vestito di scuro, con la canottiera identica a quella del fratello, per lasciare libere le braccia, ma con dei decori argento. I pantaloni grigi coprivano la parte alta degli stivali neri ed erano sorretti da una grossa cintura da cui si poteva intravedere il fodero di un pugnale, da cui Aherektess non si separava mai. I due gemelli portavano lo stesso segno sulla fronte, una specie di V, dello stesso colore dei tatuaggi. Erano entrambi piuttosto magri, con degli zigomi alti ed un naso aquilino piuttosto particolare. Impossibile non capire che erano gemelli.

Aherektess incrociò le braccia ed attese spiegazioni dal fratello, che si limitò a guardarlo dal basso restando seduto.

“Tutto ciò che ho fatto fin ora è stato proteggerti, Areky” parlò, calmo, il re.

“Non mi serve la tua protezione” sibilò, di risposta, il principe.

“Ti sei svegliato solo di recente da un lungo coma, non hai idea di come sia fatto il Mondo. Non potrei mai permettere che ti accadesse altro…”.

“Per quanto tempo intendi stressarmi con questa storia del coma?! Mi sono svegliato, ok? E questo è successo più di un anno fa. Questa faccenda del viaggio mi piace. Avrei l’occasione di misurare me stesso, allontanarmi un po’ da qui, riprendere per davvero il contatto con la realtà. E poi non troverai nessuno più adatto di me ad una missione del genere”.

“Come puoi credere di esserne in grado? Fino a qualche mese fa facevi fatica perfino a correre!”.

“Ora sto bene. E voglio essere io il prescelto per il nostro regno. Ho bisogno di andarmene da qui, passare del tempo altrove…”.

“È per via di Miya?”.

“Per lei e per altro. Lasciami andare”.

“No. Non ne sei in grado e questa è la mia decisione definitiva”.

Aherektess indietreggiò di qualche passo, scendendo dai gradini, senza parlare.

“Cerca di capirmi, fratello…lo faccio per il tuo bene! Vedrai che…” iniziò a dire Zameknenit ma fu costretto a fermarsi, perché il gemello gli stava puntando il pugnale alla gola, dopo un agile salto.

“Che intendi fare?” mormorò il re, tentando di ostentare calma e sicurezza “Lo sai che mi basta urlare e subito sarai circondato dalle guardie”.

“E cosa credi di ottenere con un gesto del genere? Io ti avrò accoltellato prima del loro arrivo e non potranno più farmi niente perché sarò io il nuovo re. Ti ricordo che siamo rimasti solo noi di sangue reale…non farmelo versare inutilmente”.

“Vuoi uccidermi? Arriveresti a tanto?”.

“No. Voglio sfidarti. Ti voglio dimostrare che sono più forte e preparato di quanto tu possa credere. Accetti la mia sfida?”.

Il re annuì ed il gemello ripose il pugnale nel fodero, prima di sganciarlo e gettarlo a terra, ad indicare al fratello che voleva uno scontro ad armi pari. Zameknenit si alzò e raggiunse il gemello giù dagli scalini, scendendoli lentamente. Non apprezzava l’idea di combattere contro il fratello ma quello era testardo, lo era sempre stato, e doveva accontentarlo per fargli capire come stavano le cose. Si preparò a combattere, concentrandosi per richiamare l’energia magica di cui voleva far uso. Aherektess fece lo stesso, avvolgendosi in una corrente di luce magica di colore blu elettrico, esattamente come i suoi capelli. Cominciarono ad affrontarsi, dopo un grido che allarmò parecchio le guardie, che entrarono nel salone. Controvoglia non intervennero, dovettero lasciare la stanza per ordine del re. Aherektess scattò in avanti, cogliendo di sorpresa il fratello che si aspettava un combattimento a distanza con il solo uso della magia. Si ritrovò a terra dopo un poderoso calcio del gemello. Gemette, per la sorpresa e per la brutta sensazione che gli dava scivolare sul marmo con la pelle nuda, e si rialzò subito, accigliandosi. Se Aherektess voleva il gioco duro, sarebbe stato accontentato! Avrebbe avuto pane per i suoi denti. Si avventò sul fratello e lo colpì alla spalla con un pugno. Tentò di afferrargli il braccio ma non ci riuscì perché questi lo schivò facilmente e lo fece sbilanciare. Il re non cadde, girò su se stesso e parò un altro colpo che altrimenti lo avrebbe ributtato a terra. Stese il braccio e una scintilla di magia andò quasi a segno, Aherektess però fu più veloce e non si fece neppure sfiorare. Con un balzo all’indietro, Zameknenit si allontanò dalla traiettoria delle sfere magiche del gemello. Questi prese il volo, con un poderoso battito delle braccia, e si fiondò su di lui urlando. Il sovrano saltò e riuscì ad afferrare il suo avversario, buttandolo a terra. La reazione fu immediata: Aherektess si rialzò e ricominciarono a lottare velocissimi, in una lunga sequela di calci, pugni e colpi magici. Nessuno dei due sembrava prevalere sull’altro, e questo stupì parecchio Zameknenit ma, dopo quasi un’ora di lotta, il re commise un errore. Il fratello lo colpì più forte, forse richiamando a sé le ultime scintille di energia, e lo mandò a tappeto.

“Mi arrendo…” ansimò Zameknenit, notando che il gemello aveva impugnato un’altra volta il pugnale e lo teneva nuovamente vicinissimo alla giugulare del parente.

“Bravo…” rispose Aherektess, ansimando dalla fatica pure lui e sogghignando dalla soddisfazione “…anche perché se no ero costretto a dire a tutti che, anche se siamo gemelli, sono nato qualche minuto prima di te e quindi il trono è mio”.

Zameknenit rimase sconcertato da quelle parole e rimase a bocca aperta.

“Tranquillo…” aggiunse il fratello dai capelli blu “…non ci tengo a diventare re. Ora ricomponiti…e dai ordine di preparare la mia partenza!”.

Il vincitore aiutò lo sconfitto a rialzarsi, porgendogli la mano. Rimasero seri qualche istante ma poi si sorrisero. Era da quando erano bambini che non si affrontavano!

“Anche quando eravamo piccoli vincevo sempre io…” disse Aherektess, cercando di minimizzare l’ansimare delle sue parole “…comunque sei diventato bravo!”.

“Anche tu. Non me l’aspettavo…complimenti” rispose il re, piegato con le mani sulle ginocchia per riprendere fiato.

Dopo essersi ripreso, il sovrano lasciò la sala, mentre il fratello volava via, diretto verso le sue stanze. Subito dietro la porta trovò Nèxus ad attenderlo, preoccupatissimo.

“State bene? Cosa è successo?” domandò il consigliere, allarmato.

Zameknenit non fermò il suo passo, col dorso della mano pulì distrattamente un rivolo di sangue che usciva dal lato delle sue labbra, e nemmeno voltò lo sguardo.

“Prepara le cose necessarie per far partire Aherektess…” si limitò a dire “…sarà lui il rappresentante del regno dell’Aria al cospetto del Signore dell’Ovest”.

“Sì…sì, signore!” rispose Nèxus, dopo un attimo di smarrimento.

“E rimuovi il sigillo che gli impedisce di lasciare il palazzo…ora lasciatemi in pace. Ho bisogno di riposare” sbottò ancora il re e si rinchiuse nelle sue stanze, senza aggiungere altro.

 

†††

 

Ozymandias sbadigliò. Le riunioni del Signore dell’Est lo annoiavano, solitamente, ma quella aveva lasciato un’impronta non indifferente sul suo animo. Iniziò a vagliare ogni diversa possibilità…chi mandare dal Signore dell’Ovest? Doveva essere una persona di cui fidarsi ciecamente, altrimenti non avrebbe mai potuto affidargli l’unica chiave d’accesso al palazzo dell’Ovest, e doveva avere determinati requisiti. Per una creatura d’ombra non era di certo difficile attaccare e difendersi, era praticamente impossibile colpirle o ferirle, ma la maggior parte di loro stava benissimo dove stava. Amava restare nel buio del regno, senza uscirne per nessuna regione. Di certo, però, lui era il re e quindi avrebbe costretto il candidato ideale, se fosse stato necessario!

Camminava fluttuando per il suo palazzo nero, senza finestre né luci, orientandosi e vedendo benissimo con i suoi grandi occhi d’argento. Brillavano come piccole stelle nel buio totale, girando a destra e a sinistra in cerca di un qualche tipo di ispirazione. Scartò subito un paio di possibili campioni perché con moglie e figli, non avrebbero mai lasciato il regno a lungo. Di altri non poteva effettivamente credere alla loro reale fedeltà e li saltò. Si concentrò sui suoi consanguinei. Sua sorella, con i nipotini, non si sarebbe mai mossa. I figli di lei, con i bambini piccoli, tanto meno.

Ad un tratto, lungo il corridoio, avvertì chiaramente una presenza e la riconobbe subito. Sorrise, per quanto un’ombra possa sorridere, ed aprì le braccia. Sua figlia, l’unica che aveva, era venuta a dargli il “bentornato”. Si abbracciarono, divenendo per qualche istante un corpo solo, nero e quasi incorporeo. Sembrava di buon umore ma il padre notò subito una punta di malessere negli occhi argentati della sua bambina, simile a quello che aveva quando era partito. Si accigliò.

“Cosa ti turba, piccola mia?” domandò, preoccupato.

“Niente, papà. E non sono una bambina già da un po’…piuttosto, com’è andato il viaggio? E la riunione? Perché siete stati convocati?”.

Ozymandias la guardò. In effetti non era più una bambina, non più. Anche se era piuttosto minuta e bassa di statura, ormai era praticamente una donna ed era tempo che iniziasse ad accettarlo.

Si assomigliavano molto. Oltre agli occhi, identici, si potevano distinguere lunghi capelli mossi e fluttuanti fino quasi ai piedi di entrambi. Solo che il sovrano dell’Oscurità era piuttosto grosso mentre la principessa sembrava poter essere portata via dal vento da un momento all’altro.

“Sei andata via, sei uscita da palazzo, mentre io non ero presente?” parlò il re, con voce profonda e vibrante, rimbombante.

“No. Sono rimasta qui, ad occuparmi delle faccende di cui potevo occuparmi, come mi avevi detto”.

“Però…ti sarebbe piaciuto andartene?”.

La figlia attese prima di rispondere ma poi annuì.

“Perché, Lehelin, non ti piace stare qui?”.

“Non è che non mi piaccia stare qui…è che ho il desiderio di cambiare ogni tanto…di allontanarmi. So che il mio compito sarà divenire regina dell’Oscurità, ma sento che qualcosa mi manca e non è qui. Forse mi sto sbagliando…forse sono tutta matta!”.

“Non sei matta. Se senti che ti manca qualcosa…ma cosa credi che sia?”.

“Non lo so! È per questo che mi sento una povera pazza. Perché giro in cerca di qualcosa che forse nemmeno esiste…”.

“Farei qualsiasi cosa per renderti felice. Dimmi cosa posso fare…”.

“Non so nemmeno questo…”.

Il sovrano non parlò. Ad un tratto un’idea, fulminea ed inattesa, gli balenò in mente e la sua lingua parlò, senza nemmeno dare tempo al cervello di elaborare il tutto.

“Ti piacerebbe fare un viaggio?” disse.

Nel momento stesso in cui pronunciava quelle parole già se ne pentiva e si chiedeva cosa diavolo gli era passato per la testa.

“Un viaggio? Sì! Dove, papà?” rispose, piena d’entusiasmo, Lehelin.

“Attorno ad Asteria. Per ordine dei Signori dell’Est e dell’Ovest” spiegò il padre, sempre pentendosi di averne parlato.

“Da sola?”.

“Con altri nove. Rappresentanti ognuno di un regno diverso dal nostro”.

“Quindi niente gente dell’Ombra, niente guardie del corpo scelte da te, solo persone nuove e sconosciute verso terre che non ho mai visto né immaginato?”.

“Più o meno…se non te la senti posso capirlo. È rischioso e nessuno sa dirti cosa esattamente incontrerai lungo il cammino. Dicono che sarete una squadra, un’alleanza…ma per me, alla fine, vi ritroverete a dover pensare ognuno per sé”.

“Meglio, no?”.

“Sì, meglio ma…l’idea di saperti là fuori da sola…senza nemmeno la consapevolezza di cosa ci vai a fare perché la missione non mi è stata spiegata del tutto…mi mette ansia!”.

“Papà! Non ti devi preoccupare. Sono la migliore incantatrice del regno, dopo di te ovviamente, sangue del tuo sangue, vedrai che andrà tutto bene!”.

“Vuoi partire, dunque?” mormorò Ozymandias, avendo un tuffo al cuore al solo pensiero di separarsi dalla sua unica creatura per un periodo lungo come un viaggio attorno ad Asteria. Solamente con lei mostrava quel lato quasi tenero, e raramente, ma in quel caso non poteva fare a meno di lanciare uno sguardo di supplica alla figlia affinché cambiasse idea. Ovviamente la principessa ignorò del tutto quello sguardo e confermò le sue intenzioni: partire e rischiare!

“Lascia almeno che ti spieghi tutto ciò che mi è stato detto…”.

“Parla pure, papà. Ma tanto ormai ho già deciso!” sogghignò, entusiasta, Lehelin.

Ozymandias sospirò ed iniziò a raccontare, suscitando sempre più convinzione nella figlia, nonostante il suo intento fosse opposto. Si parlarono camminando per il corridoio, lungo il quale erano esposti i quadri dei ritratti di famiglia, fra gli inchini di guardie e servitori che incrociarono.

Il sovrano, con la corona nera piena di spuntoni che veniva sorretta dalla massa d’ombra fluttuante dei suoi capelli, capì che nulla avrebbe potuto far cambiare idea a quella cocciuta signorina dell’Oscurità ed iniziò a riempirla di raccomandazioni, ignorando gli sbuffi della figlia.

“Non sono più una ragazzina…ho passato i venti! E anche da anni!”.

“Voglio solo che tu sia al sicuro. Ed il mio compito è quello di darti consigli, da bravo padre…”.

“E va bene…spara pure tutti i tuoi consigli, ma rilassati!”.

“Innanzitutto preparati all’idea che viaggerai con nove individui molto strani. Hanno le ali, le squame, strane luci sulla pelle…sono tutti particolari!” iniziò Ozymandias.

“Immagino che per loro noi siamo altrettanto strani…”.

“Sì, sicuramente! Basta vedere gli sguardi terrorizzati che mi lanciava quel pivellino del re dell’Aria! Sembrava un marmocchio abbandonato, un pulcino implume!”.

“Zameknenit?”.

“Sì. Proprio lui! Chissà chi manderà come rappresentante del suo regno…vedrai! Alcuni di loro sono davvero pittoreschi. E pericolosi. Ricordati che è difficile ferirci ma la vicinanza della luce può essere dannosa, molto dannosa! Perciò, anche se non so chi verrà scelto come rappresentante del regno della Luce e del Fuoco, ti consiglio di stare molto attenta perché potresti subire delle conseguenze poco piacevoli”.

“Starò attenta, papà. E vedrai che, quando tornerò, sarò pronta a restare qui come futura regina”.

Ozymandias annuì, poco convinto. Accompagnò la figlia fino alle sue stanze.

“Fra un mese sarai al cospetto del Signore dell’Ovest. Preparati come meglio credi…”.

Lehelin fece un cenno con la testa ed entrò nella sua stanza, tutta nera e lucida. Allungò la mano ed il suo adorato corvo dagli occhi blu vi si appollaiò sopra. Per quell’uccello era stata aperta una finestra ad arco da dove si poteva vedere il cielo sempre buio, tranne che per i satelliti e le stelle che brillavano su Varuna, la capitale del regno dell’Oscurità, e la principessa dei corvi guardò quel cielo e sorrise.

 

†††

 

La regina del mondo del Ghiaccio, Rocana, aveva già deciso chi scegliere per la missione dei due Signori, Est e Ovest, ed arrivò a casa di buon umore. Si sentiva rassicurata da quest’idea ed entrò nella sua dimora di cristallo piuttosto tranquilla. Salutò le sue dame di corte ed andò di corsa a rinfrescarsi, dopo il lungo viaggio lontana dalle temperature a cui era abituata. Dopo aver fatto un bel bagno, si rivestì con una lunga tunica bianca ed un mantello azzurro pallido con il bordo di pelo. Infilò i guanti ed uscì in giardino, dove aveva sentito delle voci a lei familiari.

Camminò sulla neve, con gli stivaletti imbottiti e sorrise. I suoi tre figli erano lì e si stavano esercitando. Aveva due maschi ed una femmina. Subito mise gli occhi sul primogenito che aveva da poco compiuto i trent’anni. Era muscoloso, biondo, con i capelli raccolti in un piccolo codino ed il pizzetto. La regina aveva stabilito che era lui il prescelto per il viaggio. Era forte, coraggioso ed avvezzo a situazioni particolari avendo passato quasi una decina d’anni nell’esercito.

La madre gli sorrise e fece un cenno ai tre di riporre le armi e venirla a salutare. Il secondogenito fu il primo a raggiungere Rocana. Aveva i capelli più scuri del primo nato ma molto più corti ed era senza barba. La ragazza, la figlia più giovane, fece una corsa ed abbracciò forte la madre, con la lunga treccia bionda che saltò dietro di lei. Aveva quattro anni in meno del primogenito e due anni di differenza dal secondo, ovviamente era per tutti la piccola di casa.

Anche il padre lasciò i suoi affari e venne a salutare la moglie. Era Rocana la discendente della famiglia reale e quindi spettava a lei presentarsi alle riunioni dei Signori di Est e Ovest, mentre il marito svolgeva i soliti compiti burocratici tipici dei reali. Re e regina si baciarono dolcemente e poi la sovrana iniziò a spiegare ciò che era stato stabilito alla riunione.

Nevicava molto ma per gli abitanti del regno del Ghiaccio non era un problema. Con il freddo si rafforzavano e vivevano meglio. La loro pelle, bianco latte con qualche innesto simile al vetro, incorniciata sempre da capelli biondi, di tonalità diverse, assieme agli occhi azzurri o verde chiaro, li rendevano inconfondibili fra le creature di Asteria. Eran tutti alti, la corporatura degli uomini era robusta, con larghe spalle ed ampio torace, mentre le donne presentavano sempre forme generose ed agilità nei movimenti. La famiglia reale rispettava pienamente quei canoni: c’erano solo iridi azzurre, bellissime e luminose, ed i loro fisici presentavano tutti i tratti tipici di quel reame.

I fiocchi non si scioglievano se non dopo tanto tempo sui capelli dritti e biondi della regina mentre raccontava. Su quelli del re si notavano di più perché aveva la capigliatura leggermente più scura, come il secondogenito. Sui tre figli questo fenomeno non avveniva perché continuavano ad agitarsi, impazienti di sentirsi spiegare ogni cosa.

Terminato il racconto, Rocana guardò il suo primo figlio ed affermò che sarebbe stato lui ad affrontare quel viaggio, con un tono che non ammetteva repliche. Sul viso del maggiore si formò una smorfia di fastidio, era evidente che non gradiva molto quella prospettiva. Tentò di aprir bocca per protestare ma la madre non accennava a fare silenzio.

“Partirai fra breve…” stava dicendo la regina “…perché fra meno di un mese dovrai presentarti al cospetto del Signore dell’Ovest. Ti consegnerò la chiave ed ogni tipo di informazione utile al riguardo. Come futuro re, mi aspetto che tu renda onore alla nostra meravigliosa razza e sono certa che non mi deluderai. Puoi iniziare a prepararti già da ora, come meglio credi”.

Il principe approfittò della pausa per esprimere il suo parere: lui non voleva partire.

“Come mai? Qualcosa ti spaventa?” si allarmò Rocana.

Subito lui scosse la testa.

“Non ho paura del viaggio, madre…è solo che non voglio allontanarmi troppo a lungo da qui”.

“Spiegami come mai, allora!”.

Non ci fu risposta ma il padre sorrise.

“Quello sguardo…” spiegò alla moglie “…può voler dire solo una cosa: una donna. Nostro figlio non vuole allontanarsi da una bella fanciulla per troppo tempo”.

“È vero?” si stupì Rocana ed il figlio non disse nulla, nemmeno annuì, ma arrossì leggermente e questo alla regina bastò.

“Se è così…partirà tuo fratello!” affermò, sorridendo, ed indicando il secondo nato.

“Sempre che anche tu non abbia niente in contrario…” aggiunse il re.

Il secondogenito alzò le spalle come a voler dire “per me è uguale, non ho niente da obiettare”.

“Allora è deciso! Sarai tu a partire, Igorhay” ordinò il re, soddisfatto quanto la regina.

I sovrani fecero per andarsene, prendendosi a braccetto fra la tormenta, quando una voce che fin ora non si era fatta sentire pronunciò un seccato “E io?!” stupendo gli altri membri della famiglia.

A parlare era stata Hanjuly, la terzogenita, che se ne stava imbronciata e con le braccia incrociate, lanciando sguardi d’accusa ai parenti.

“Tu cosa, mia cara?” si informò la madre.

“Perché non avete preso in considerazione anche me? Io so combattere, probabilmente meglio di questi due…” indicò i fratelli “…e potrei farcela”.

“Ma tu sei una principessa e ad una principessa non si addicono certe cose” si giustificò il padre.

“Stronzate!” sbottò lei, offesa.

“Come non si addicono ad una principessa parole del genere!” la rimproverò la regina, sconvolta dal comportamento della figlia.

“Non sono una delicata e mite fanciulla, e lo sapete tutti quanti molto bene! Avanti, Igorhay, diglielo anche tu che ti sconfiggo sempre quando ci alleniamo fra di noi!”.

“Molto sconveniente che una principessa combatta…”.

“Ma dai, mamma! Anche tu combattevi quand’avevi la mia età! Non lo ricordi più?”.

“Io ero la futura regina. Ho dovuto farlo. Ma avrei tanto voluto farne a meno”.

“Beh, io voglio l’opposto! E sono brava, perciò non vedo dove sia il problema!”.

“Non importa se non vedi il problema, signorina…” alzò la voce il re “…tu non andrai da nessuna parte. A partire sarà tuo fratello Igorhay, e con questo considero conclusa la faccenda!”.

Detto questo, ignorando le proteste della figlia, i genitori se ne andarono, rientrando nel castello di cristallo. Hanjuly, frustrata, cominciò ad inveire al vento, usando parole che decisamente poco si addicono ad una fanciulla, sicura che tutti potessero sentirla. Pestò i piedi nella neve, mentre anche i fratelli si allontanavano, ridacchiando.

Protestò per giorni interi, fuori e dentro il palazzo ad Enrivai, la capitale, con tutti coloro che gli capitavano a tiro, sempre usando toni e termini poco principeschi. Per quasi due settimane tentò con questa “politica del terrore” ad ottenere ciò che voleva ma non ottenne nulla, se non aspri rimproveri che nemmeno da ragazzina si era sentita rivolgere. Afflitta, abbandonò quella tecnica e cambiò tattica: provò con le suppliche e con i lamenti. Inseguì i genitori ed i fratelli tentando di convincerli. Voleva ad ogni costo ricevere una possibilità per poter dimostrare il proprio valore e non essere considerata una semplice principessina stile bambola di porcellana. Rabbrividì. Con un vestito adatto, che non avrebbe mai indossato, ed il tipico tipo di pelle del regno del Ghiaccio, bianco e liscio come il vetro, poteva divenire davvero una specie di bambola di porcellana ambulante! Non desiderava di certo un’immagine simile su di sé ed ora le si presentava l’occasione adatta per sfatare ogni dubbio dai sudditi e dai familiari. Nonostante la sua convinzione e determinazione, però, i genitori non cedettero di un passo sulle loro posizioni. Non le accordarono il permesso di partire. E neppure Igorhay sembrò volerla accontentare, nemmeno quando lei mostrò tristi occhi da cerbiatta o lo minacciò con uno stivale. Nemmeno sotto tortura, solletico o pizzicotti, o promesse di vendetta. Ormai il giorno della partenza era prossima, ed Hanjuly dovette arrendersi all’evidenza che non si sarebbe allontanata da quelle pareti di cristallo, non sta volta. Sospirò, avrebbe dovuto aspettare la prossima occasione.

 

†††

 

“Kassihell!” tuonò Vehuya, piombando senza preavviso nell’edificio dove il figlio si allenava sempre, spalancando le porte scorrevoli quasi con rabbia.

Non aveva fatto notare a nessuno il suo ritorno il re del Fuoco, ma si era subito presentato in presenza del principe ereditario, in un modo tale che allarmò tutte le guardie ed i presenti nell’edificio. Tutti tranne Kassihell, che rimase immobile, scalzo sul pavimento nero, probabilmente di lava levigata. Accanto a lui i suoi avversari restavano seduti, sconfitti e stanchi, ma sobbalzarono all’arrivo del re, sorpresi e spaventati. L’edificio, molto simile ad un tempio, situato nel cortile interno del palazzo reale, tremò all’ingresso di Vehuya, così impetuoso ed energico. Le fiamme delle lanterne circolari, appese al soffitto, si protesero verso di lui, riconoscendolo come il maggiore rappresentante del proprio elemento. Kassihell non si scompose e continuò i suoi esercizi con la spada, molto simile ad una Katana, senza sbagliare nemmeno un movimento.

“Kassihell!” tuonò di nuovo il sovrano del regno del Fuoco.

“Non serve mica gridare…sono qui! Cosa vuoi?” sbottò il principe, senza interrompere l’allenamento e senza rivolgere gli occhi verso il genitore, dandogli le spalle.

I due si assomigliavano molto. Stesso sguardo, con quegli occhi leggermente a mandorla, stessi tatuaggi di fiamme e simboli su braccia, busto e resto del corpo, stessi capelli mossi e fisionomia. Kassihell, però, non aveva la barba lunga a treccia come quella del padre. La teneva sempre di qualche giorno, assumendo un aspetto piuttosto trasandato, unito ai capelli lunghi fino alle spalle che non vedevano un pettine da tempo imprecisato. E non aveva gli occhi rossi, come Vehuya, ma nocciola. Entrambi non erano né alti né massicci, con spalle strette e piedi piccoli. Non li si poteva definire minuti, la loro muscolatura era evidente, ma non eccessiva. Sapevano, tuttavia, di essere fra gli abitanti più temibili del pianeta. Il padre restò a guardare il figlio mentre, indossando solamente degli ampissimi pantaloni scuri sorretti da una cintura, riusciva a combinare i movimenti della sua spada con il controllo del fuoco, manovrandolo a suo piacimento. Di certo l’uso di quell’elemento non lasciava impuniti: ogni creatura del Fuoco presentava almeno una cicatrice o bruciatura. Ovviamente Kassihell ed il padre non erano da meno, ed ognuno di quei segni era motivo d’orgoglio perché indicava il coraggio di aver domato le fiamme. Vehuya impartì l’ordine che tutti, tranne il principe, abbandonassero l’edificio, lasciandoli soli. Solo in quel momento il figlio si fermò. Si girò verso il padre, sempre con la Katana in pugno. Lo fissò con aria interrogativa ed accigliata. Sperava davvero che il suo vecchio non gli chiedesse di sfidarlo di nuovo, perché sapeva benissimo di aver ormai superato il genitore e lo aveva dimostrato più volte. Non amava essere interrotto nei suoi esercizi e quindi puntò la spada verso il padre, ripetendo con più convinzione il “Cosa vuoi?” che gli aveva rivolto prima, con un tono piuttosto minaccioso.

“Preparati. Fra meno di un mese dovrai essere al cospetto del Signore dell’Ovest” ordinò Vehuya.

“Come scusa?” si stupì Kassihell, abbassando il braccio armato.

“Non mi hai sentito? Ti ho dato un ordine”.

“Ma io non ho alcuna intenzione di muovermi da qui!”.

“Ed io ti dico che lo devi fare per forza perché sono l’imperatore e mi devi obbedire. È tuo dovere darmi ascolto e fare ciò che ti dico!” ghignò con rabbia Vehuya.

“È da quasi trentasei anni che non ti do ascolto e non faccio ciò che dici…cioè, praticamente, da quanto sono nato!”.

“Non sarebbe ora che iniziassi?”.

“Assolutamente no. E poi, scusa, mia moglie ed i bambini dove li mettiamo? Come faccio a lasciarli da soli per fare non so bene che cosa?”.

“A loro penserò io per tutto il tempo che sarà necessario”.

“Non ti affiderei nemmeno le mie pantofole, figuriamoci la mia famiglia!”.

Vehuya stava per rispondere, con un guizzo di fiamma negli occhi rossi, quando una voce squillante e femminile risuonò dietro di lui. Una giovane, sulla ventina, gli saltò sulla schiena chiamandolo papà. Era Assahaleya, la principessa dai capelli neri. Kassihell le sorrise. Guardandola si capiva che non era figlia del re del Fuoco, bensì di una “scappatella” della regina, ma nessuno nel regno aveva il coraggio di dirlo, nemmeno il sovrano stesso. Dietro di lei arrivò Corihin, la regina, parecchio più giovane del marito e con gli stessi capelli neri e dritti della figlia, lunghi fino alle spalle. Gli occhi nocciola erano l’eredità che aveva trasmesso al primogenito che aveva, nel frattempo, riposto la spada con cura.

“Bentornato, caro” salutò il consorte.

Era vestita con un elegante abito da sera, aderente, come la figlia, stretto in vita da un’ampia cintura. Camminava a piccoli passi sui sandali alti, infradito, e si copriva dagli sbuffi di cenere del vicino vulcano con un ombrellino a fiori di colore delicato.

“Lieto di vederti, mia Geisha” le rispose il marito.

“Non chiamarmi così” lo rimproverò lei e lui sorrise, chinando la testa leggermente, sempre con la principessa ben ancorata alla schiena, con le braccia attorno al collo.

“Sei tornato senza nemmeno avvertire. Tutto il viaggio da solo…ma vedo con piacere che stavi parlando con Kassihell…” riprese Corihin.

“Sì, cara…stavamo per…prendere il the!” mentì Vehuya.

“Già, il the!” confermò il principe, non volendo rendere noti gli screzi che aveva spesso con il padre, accingendosi a preparare un tavolino per rendere la cosa credibile.

“Ah, bene…per una volta non litigate” sorrise la madre, falsamente, comunicando che non potevano prenderla in giro.

“Stavo dicendo al nostro adorato figlio che spetta a lui fare ciò che gli ho ordinato, se non vuole che a rischiare la vita sia la sua amata sorellina, ma a quanto pare non ha voglia di obbedirmi…” spiegò Vehuya, con il tono più falso e distorto che potesse avere.

“Che dici? Kassihell! Di che si tratta? Metteresti davvero in pericolo tua sorella?” si allarmò Corihin, mentre Assahaleya si staccava dalla schiena del sovrano.

“In pericolo in che modo?” squittì poi, sorridendo.

“Non ti metterei mai in pericolo, sorellina!” si affrettò a dire il principe.

“Allora devi obbedirmi!”.

“Riguarda qualcosa che ha detto il Signore dell’Est?” si informò la regina.

“Precisamente” riprese Vehuya “Sareste così gentili da lasciarci da soli? Sono argomenti non adatti alle orecchie femminili. E ad ogni modo sappiamo risolvere fra noi, non vi dovete preoccupare”.

L’imperatrice rimase un po’ titubante ma poi, notando lo sguardo minaccioso del marito, prese la figlia sottobraccio e la invitò a venire con lei.

L’imperatore del Fuoco chiuse la porta scorrevole dietro di sé, una volta fatte uscire moglie e figlia, e ghignò trionfante al figlio.

“Che bastardo, meschino e figlio di puttana che sei!” sibilò Kassihell.

“Sono affari, mio caro” rispose il padre.

Si inginocchiarono accanto al basso tavolino che era stato estratto per il the, che ovviamente non arrivò, e si fissarono negli occhi.

“Di che si tratta? Spiegati meglio” parlò il principe, sforzandosi di restare calmo.

“Il Signore dell’Est vuole affidare una speciale missione ad un rappresentante di ogni regno e…”.

“E non puoi scegliere qualcun altro?!” interruppe Kassihell “Il capo delle guardie, ad esempio…”.

“No, non posso. Lui, il Signore dell’Est, vuole espressamente che sia un membro della famiglia reale, imperiale nel nostro caso, e questo vale per tutti” mentì Vehuya.

“E perché non ci vai tu, allora?”.

“Non vuole capi di stato. Creerebbe troppo scompiglio fra la gente. Suvvia, Kassy…non vorrai mica che ci mandi tua sorella, vero? O uno dei tuoi figli? Quale dei tre…quello di sei mesi?”.

“Sei proprio un bastardo…”.

“Sono cose che capitano, ragazzo mio e, comunque, obbedirai al mio ordine?”.

“Sì, certo. Credo di non avere altra scelta. Quanto tempo durerà questa missione di cui parli?”.

“Non tantissimo. Sarà il Signore dell’Ovest a spiegarti tutto, ma in un paio di mesi al massimo sarai già di ritorno, te lo assicuro”.

“Non mi fido di te”.

“Mi spiace ma non hai scelta!”.

“Potrei ucciderti. Così facendo diverrei re e i Signori non mi vorrebbero”.

“E chi manderesti per la loro missione? Li ignoreresti?”.

“Esatto! Me ne sbatto dei Signori di Est e Ovest. E me ne sbatterei anche dei Signori di Sud e Nord, se esistessero!”.

Il padre si alzò di botto a quelle affermazioni, ribaltando il tavolino e quasi ringhiando contro il figlio.

“Come osi?!” tuonò “Mancare di rispetto in questo modo non solo alla tua famiglia, insultando me, ma perfino alla magia stessa del pianeta, parlando così dei Signori di Est e Ovest?!”.

“E allora? Cosa ti importa?”.

“Parli in questo modo anche del grande Dio delle Fiamme, dei Vulcani, Signore della stella Sirona che ci illumina? Sei così sfacciato?!”.

Kassihell girò gli occhi verso l’immagine della divinità che decorava una delle pareti. Era imponente, ricoperto di fuoco, con lo sguardo malvagio.

“Dubito che al Dio Daram importi se lo venero o meno” sbottò il principe “Ci sono tanti altri in giro che stan a pregarlo e supplicarlo per ogni cosa. Credo, piuttosto, sia felice che almeno uno in questo impero non gli piagnucoli dietro. E mi pare che, anche se non sono un credente devoto, il fuoco, i vulcani, Sirona eccetera lavorino lo stesso. Ed io riesco pure a gestire la magia delle fiamme…”.

“Basta! Questi discorsi mi fanno davvero imbestialire!”.

“E cosa credi di fare?! Che Daram mi mostri la sua ira se è sbagliato ciò che faccio!”.

“Sei una bestia!”.

“Ho preso tutto da te!”.

Vehuya saltò e tentò di afferrare il figlio, mosso da un attacco incontrollato d’ira, ma Kassihell reagì subito e riuscì facilmente ad atterrare il padre, ribaltandolo a pancia all’aria. Lo tenne fermo con un piede e lo guardò duramente.

“Vecchio, tu ancora non hai capito con chi hai a che fare. Non potresti mai battermi, non ora, perlomeno, con l’età che hai!”.

L’imperatore del Fuoco socchiuse gli occhi, immaginando che il figlio volesse portare a termine il proposito che aveva espresso prima: quello di ucciderlo. Il principe effettivamente fu tentato, guardò la gola del genitore con sadismo, ma si controllò e lo lasciò rialzare.

“Partirò per la tua stupida missione” mormorò Kassihell con un fil di voce irata “Ma devi ricordarti che se vengo a sapere che hai anche solo pensato di fare qualche stupidata con mia moglie, i miei figli, con mamma o la mia sorellina…giuro che ti massacro. Ti taglio a fette, un arto alla volta, e ti appendo pezzo per pezzo lungo le vie di Gibil, la capitale!”.

Vehuya non parlò, limitandosi ad annuire come prova della sua buona volontà. Kassihell non sapeva quanto credergli, era compito suo mediare fra gli attacchi irragionevoli del padre, pur essendo irragionevole lui stesso, e non si sentiva molto al sicuro. Purtroppo non aveva alternative, se non voleva che il padre mandasse via la sorella. Sapeva che l’imperatore era a conoscenza di non essere il vero padre di quella ragazza e non voleva rischiare che cadesse in qualche trappola meschina, piuttosto l’avrebbe affrontata lui stesso per lei. Di certo era molto più preparato alla cosa dell’ingenua ragazzina che era ancora la sua sorella minore. Sospirò, mentre il padre iniziò a spiegargli nei dettagli tutto ciò che sapeva sulla missione.

 

†††

 

Aveva moltissimi figli Taranis, re dell’Elettricità, ed in quel momento li stava osservando con orgoglio. Era famoso per non essere un uomo a cui piacesse legarsi in modo definitivo ad una donna, ma preferiva cambiare. Questo era un comportamento tipico degli abitanti di quel regno. Non potevano mai stare fermi per troppo tempo, cambiavano dimora, occupazione, compagno ed ogni altra cosa alla velocità della luce. Non si sposavano, salvo rarissime eccezioni, e vivevano la loro vita con impulsività ed incoscienza. Molti di loro non raggiungevano la vecchiaia.

I figli del re erano quasi tutti di madri diverse, incontri occasionali o brevi storie, che Taranis accoglieva volentieri nel suo palazzo globulare, in un edificio apposito. Era tornato da poco dalla convocazione ed aveva già esposto la questione agli eredi. Tutti parlavano allo stesso momento, questionando su chi fosse il più adatto a partire. Il padre non dava nessun parere al riguardo e si limitava ad osservarli, mentre ognuno di loro tentava di mettersi in mostra per essere scelto. Perfino i piccoli, di età prescolare, mettevano il broncio quando qualcuno dei più grandi gli faceva notare che non avrebbero mai potuto affrontare un viaggio attorno ad Asteria. Il re non poteva fare a meno di sorridere, fiero dei suoi figli. Non li fermò neppure quando iniziarono a combattere fra loro per decidere chi era il più forte. Rimase in piedi, con la lunga coda terminante con un piccolo globo di luce che si agitava leggermente. Sulle pareti della dimora a Fornjotr, la capitale, una delle tante che possedeva, passavano piccole scosse che illuminavano le stanze a lampi. Come in un temporale, la luce appariva e spariva all’improvviso. Sulla pelle e sul corpo degli abitanti accadeva lo stesso, portando come unica conseguenza la capigliatura irrazionale ed ondulatissima sulla testa degli elettrificati. Le loro vesti riprendevano quel disegno, a fulmine, e non erano mai troppo lunghe per non interferire con il flusso d’energia che producevano. Taranis, scalzo per assorbire le cariche del terreno, camminava scintillando, intento ad osservare i figli che gli si esibivano davanti. Al cospetto del padre, si sentivano un po’ tutti in soggezione e tentavano di dare il massimo. Non li fermò fino a quando un lampo fortissimo attirò la sua attenzione. Si aspettava provenisse dalla figlia maggiore o da uno dei ragazzi più grandi e si stupì tantissimo quando notò che tutta quell’energia era stata sprigionata da Reishefy, una ragazzina non ancora maggiorenne. Il genitore, con gli occhi quasi del tutto bianchi, la fissò immobile. Era così minuta, minuscola, con le forme ancora acerbe, da non sapere dove potesse contenere tutta quella forza. La figlia lo guardò, imbarazzata, quasi a volersi scusare di aver prodotto un lampo così potente. I loro capelli bianchi, con ciuffi quasi dorati, ondeggiarono in quell’attimo di silenzio.

“Reishefy…” mormorò Taranis, mentre anche gli altri fratelli si fermarono.

Non erano stupiti da quel lampo, conoscevano molto meglio del padre le potenzialità della sorella, ma notarono che il sovrano non aveva occhi che per lei.

“Scusa…” balbettò la ragazza “…non so ancora controllarmi molto bene…”.

“Che la controlli o meno, la tua energia è fortissima. Figlia mia, le tue capacità vanno coltivate nel modo corretto! Potresti divenire la più potente del regno e della famiglia!”.

Reishefy si stupì di quelle parole ed arrossì, scurendo leggermente le guance quasi nere, come un cielo nuvoloso. Perfino il colore della pelle mutava continuamente in quelle creature, come se fossero attraversati da nuvole nere, ma perennemente illuminati dall’elettricità che creava e lasciava scintille dorate su tutto il loro corpo.

“L’ho sempre pensato…” confermò la figlia maggiore, avvicinandosi alla sorellina “…ma lei si è sempre vergognata. Era ora che la notassi…”.

Taranis non rispose. Agitò la coda, sempre più luminosa perché in grado di catturare l’elettricità dell’aria, e fece segno a tutti i suoi figli di avvicinarsi. Non riuscivano a stare fermi ma si sforzavano di non agitarsi troppo mentre circondavano il genitore sorridendo.

“Usiamo un po’ di logica…” iniziò a parlare il sovrano “…cosa che odio fare, ma credo che in questo caso sia d’obbligo. Sono fiero di avere dei figli così, degni portatori del mio sangue, tuttavia per questa missione posso scegliere solo uno di voi. Ho ricevuto ordini precisi al riguardo. Potendo escludere i più piccini, non per cattiveria ma perché gli altri che viaggeranno con voi saranno grandi e cafoni, mi basta pensare al Fuoco, e vi lascerebbero di certo indietro. Escluderei anche quelli che son prossimi alla conclusione degli studi e che non possono permettersi di saltare ore di lezione per un capriccio del Signore dell’Est. Sono pronto a ricevere ogni suggerimento possibile su chi mandare fra i non esclusi…”.

“Perché non Reishefy?” sbottò la maggiore.

“È un po’ giovane, non trovi?” rispose uno dei ragazzi, sulla ventina.

“Ma è la più capace fra di noi. Quella con più energia. Ed inoltre presenta tutte le caratteristiche della nostra razza, cosa che i Signori han chiesto espressamente. Io voto per Reishefy. Chi è con me?” parlò la sorella, di rimando, alzando la mano per esprimere il proprio parere.

Molti altri imitarono il suo gesto, dando il proprio voto per Reishefy. Taranis non si aspettava una cosa del genere. Poteva contare almeno una trentina di mani alzate a favore della ragazzina.

“Ma…” azzardò “…è perché non ci volete andare voi, e quindi ci spedite lei, oppure credete davvero che sia la più adatta a rappresentarci?”.

“Lei è la migliore” parlò un piccolino di pochi anni, senza abbassare la manina “Batte sempre tutti quando giochiamo, perfino Delling!” affermò, indicando il più grande dei figli maschi, che abbassò la testa guardando altrove.

“Poi non sta mai ferma, come le migliori rappresentanti del regno dell’Elettricità!” aggiunse una bambina, saltellando.

“Inoltre ha già cambiato tre ragazzi con cui…” iniziò una ragazzina ma si fermò, tappandosi la bocca, notando lo sguardo elettrico del padre.

“Sorvolando su questo…” borbottò Taranis, non aspettandosi una rivelazione del genere “…a quanto pare sei una degna rappresentante del nostro elemento, Reishefy…”.

Lei non sapeva cosa dire. E fu il re a continuare il discorso.

“Personalmente…” ammise “…credo tu sia troppo piccola per fare una cosa del genere. Ma, del resto, agli occhi dei genitori non siete mai abbastanza grandi e poi…chi sono io per rifiutare un voto popolare quasi unanime?” ridacchiò, mentre nessuno dei figli aveva ancora abbassato le braccia.

Ci fu un’ovazione e più di qualcuno iniziò a ripetere il nome della sorella ad alta voce.

“Tu, figlia mia, vuoi partire?” domandò poi il sovrano, non volendo obbligare nessuno.

“Io…” rispose lei, titubante “…io sarei onorata di poter rappresentare il nostro elemento. Se voi ritenete che io ne abbia le capacità…”.

“Allora è deciso. Non me lo sarei mai aspettato ma sarai tu a partire. Hai più o meno un mese per prepararti come meglio credi”.

Reishefy sorrise, davvero felice di ricevere un compito del genere, ed arricciò la coda. Padre e figlia si abbracciarono, elettrificandosi a vicenda, e poi lei corse via assieme ai suoi fratelli. Non riusciva davvero a stare ferma e ancora meno a contenere il suo entusiasmo. Agitava le mani, con le unghie bianche, energicamente. Taranis la vide allontanarsi, quasi saltellando lungo il corridoio. Sperava di aver fatto la scelta giusta. Sempre con un ghigno soddisfatto, notò un’elegante signora fra le vie della capitale, dall’alto della finestra dal quale guardava e pensò che, forse, aveva individuato la prossima madre dei suoi figli.

 

†††

 

“Thuwey!”.

Una voce nel buio.

“Signor Thuwey!”.

Thuwey sospirò. Si limitò a girare la testa nel letto, avvolgendola e poi nascondendola sotto il cuscino di seta nera. Grugnì. Era andato a dormire molto tardi e, da quanto riusciva ad intravedere dalla finestra, era ancora notte fonda. Qualunque fosse il motivo per cui lo stessero chiamando, non gli interessava! Evidentemente colui che stava fuori dalla sua porta non voleva capire che il suo “Vattene!” non ammetteva replica. Era, al contrario, sempre più insistente. Thuwey allungò un braccio, sempre tenendo la testa sotto il cuscino, in cerca di qualunque cosa, spada o pistola, che potesse porre fine a tutto quel casino. La pesante pendola d’acciaio lanciò un grido, un ruggito, e lo ripeté per cinque volte. Erano le cinque di mattina! Si era coricato meno di un’ora prima! Sentì uno schianto. Aveva urtato con la mano uno dei boccali vuoti che aveva lasciato accanto al letto, sul comodino lucido. Ovviamente li aveva svuotati lui ed ora la sua testa non accennava di certo a smettere di ricordarglielo. Grugnì di nuovo, capendo che la sua oretta di sonno doveva bastargli. Strisciò fuori dal matrimoniale in cui dormiva, non perché fosse sposato ma perché “voleva spazio”, ed andò ad aprire alla porta, vagamente coperto dal lenzuolo nero in cui si era avvolto.

“Che vuoi?” sbottò, consapevole di avere due occhiaie da far spavento e l’alito di birra.

“Perdoni l’ora, ma la regina Jovihann ha chiesto di vedervi” parlò l’intruso.

“Adesso??!! Alle cinque del mattino??!! Ma non può andare a farsi fottere da qualcuno a quest’ora, invece che rompermi i coglioni?!”.

L’altro non rispose. Si limitò a fissarlo, con le mani dietro la schiena e lo sguardo di rimprovero.

“Beh?!” riprese Thuwey “Puoi anche andartene, sai? Ci vengo dalla tua regina ma dubito voglia vedermi nudo. Perciò sparisci. Mi rendo presentabile e la raggiungo…”.

Sbatté la porta, sbuffando, e scosse la testa per svegliarsi. Crollava dal sonno. Sbadigliò, passandosi una mano nei lunghissimi capelli neri, gli arrivavano fino alle ginocchia, tentando di donargli un aspetto vagamente decente. Li pettinò distrattamente, domando la loro massa informe e facendoli ridivenire perfettamente lisci anche se voluminosi. Si guardò allo specchio. Effettivamente, sotto i suoi bellissimi occhi ramati, c’erano due occhiaie decisamente fastidiose che quasi lambivano le placche di metallo che gli segnavano gli zigomi e le guance. Una placca di metallo gli attraversava la fronte, assumendo una forma a rombo, con l’estremità più corta rivolta verso lo spazio fra le sopracciglia e quella più lunga che divideva perfettamente i due ciuffi che gli ricadevano sul viso. Lui era Thuwey, abitante del regno del Metallo. Come ogni creatura di quel regno, il suo corpo era ricoperto da spuntoni di quell’elemento, che era libero di ritrarre a suo piacimento ma non era una cosa che amava fare. Preferiva essere inavvicinabile. Ne aveva su braccia, spalle e petto, mentre sul resto del corpo si potevano trovare aree e placche di metallo lucido più o meno grandi, grigie lucide. La sua pelle era di un grigio più chiaro, sempre lucido. Le labbra, sottili e ghignanti, eran quasi nere e racchiudevano una fila di denti bianchi ed acuminati, in un sorriso vampiresco.

Iniziò a vestirsi, svogliato. Non era mai un buon segno quando la regina lo convocava così all’improvviso. Lui era il capo delle guardie del regno, il miglior combattente del Metallo, dicevano. Era piuttosto soddisfatto del fatto che non aveva dovuto scortare Jovihann fino al palazzo del Signore dell’Est, per poi annoiarsi a morte nell’attesa che ne uscisse. Ora che era tornata, però, esigeva già di vederlo…storse il naso. Sentiva puzza di incarico che non voleva. Sapeva che non aveva tempo di fare colazione, anche perché aveva lo stomaco addormentato del tutto e non avrebbe di certo apprezzato del lavoro straordinario. Indossò la divisa che la regina gli imponeva e ci agganciò il solito quantitativo eccessivo di catene. Amava sentire il loro tintinnio armonico. Si avvolse in un pesante mantello nero dato il freddo che avvertì sull’uscio. Modificò le placche sulle sue gambe in modo che formassero una sorta di armatura, così da non avere la seccatura di dover mettere le scarpe, ed uscì alla luce fioca dei lampioni di Gwydyon, la capitale. Attraversò le strette vie lastricate da vari metalli, consapevole di essere l’unico pirla in giro a quell’ora escludendo il sacerdote che si apprestava al sacrificio di sangue dell’alba. Giunse al cospetto delle due guardie che sorvegliavano il grande cancello d’ingresso al castello, insultandole senza motivo. Si misero sull’attenti, riconoscendolo, e fecero aprire i cancelli tramite un complicato insieme di carrucole ed ingranaggi. Il massiccio portale in ferro battuto si spalancò e Thuwey ci entrò bestemmiando. Avrebbe dato qualsiasi cosa per poter tornare a dormire. Il lungo abito scuro che portava quasi si confondeva nel buio. Continuò la sua marcia, borbottando, sbattendo pesantemente i piedi sulle scale mostrando tutto il suo fastidio. Conosceva bene i corridoi di quel palazzo goticheggiante, dove trascorreva le sue giornate lavorative da quanto era stato scelto per entrare nell’esercito reale. Quattro anni prima, a ventisei anni, si era dimostrato il più valido a sostituire l’ormai anziano capo delle guardie. All’inizio era orgoglioso della sua posizione ma ora si stava stancando. La regina non aveva un compagno ed era piuttosto capricciosa, lo chiamava continuamente per qualsiasi sua voglia. Di certo a Thuwey non sarebbe dispiaciuto soddisfare certe voglie ma fin ora il suo compito era stato principalmente quello di coprirla mentre scorrazzava con il suo amante Vehuya. Era entrato nell’esercito pronto a grandi battaglie ed onori ma fin ora aveva solo fatto da guardia del corpo e si stava davvero annoiando. Sperava di non essere convocato per soddisfare qualche capriccio infantile della regina ma per una motivazione seria. Sbadigliò di nuovo, prima di entrare nella stanza della sovrana. Aprì la porta, dimenticandosi di bussare. Jovihann si era cambiata, indossava una sottoveste nera con pizzo. Era bella la regina anche se non più tanto giovane, dimostrava al massimo quarant’anni anche se ne aveva venti in più. Thuwey la guardò senza capire. Lei gli sorrise e si coprì con la vestaglia.

“Pensavo che ormai venissi al mio cospetto domani mattina. Ero già pronta per dormire”.

“Se volete dormire, regina, torno dopo pranzo” rispose lui, già pregustando un lungo sonno fino a mezzogiorno ed oltre.

“No. Ormai che sei qui è meglio che ti parli. Ritengo sia piuttosto urgente ciò che ho da dirti”.

Thuwey annuì, pur mostrando il suo disappunto. Jovihann spiegò, rapidamente, i propositi del Signore dell’Est. Il capo delle guardie ascoltò, scuotendo la testa ogni tanto per non addormentarsi.

“Perciò…Voi volete, mia regina, che io parta alla volta del Signore dell’Ovest per rappresentare il nostro elemento?”.

“Precisamente” confermò lei, con un cenno del capo.

“E perché?”.

“Perché cosa?”.

“Perché dovrei farlo…non ne ho tanta voglia…”.

“Voglia?! Io sono la tua sovrana, non dipende di certo dalla tua voglia se devi obbedirmi o meno. Lo devi fare e basta! Mi fido di te e so quanto sei potente, non c’è nessun’altro più adatto di te in tutto il mio regno per un compito del genere!”.

“Ed io cosa ci guadagno?”.

“Cosa vorresti? Sei libero di chiedermi ciò che desideri”.

“Mmm…ci dovrei pensare. Sicura che posso chiedere quello che voglio?”.

“Quello che vuoi. Qualunque cosa…”.

“Bene, Vostra Altezza. Allora accetto la vostra offerta. Partirò e, al mio ritorno, verrò a richiedere ciò che mi spetta. Non deluderò le aspettative”.

“Anche se non avessi voluto andare ti avrei costretto, con le buone o con le cattive. Era già tutto stabilito, mio caro”.

“Grazie mille” ironizzò Thuwey e tornò verso la propria dimora, illuminato dalle prime luci dell’alba, sicuro di aver perso del tutto la capacità di potersi riaddormentare.

 

†††

 

Il profumo dei fiori l’accolse, più forte di qualsiasi altra fragranza, e lei sorrise. Le mancavano tutte quelle essenze e quei colori. Con il suo abito fatto di piume sgargianti, placche in oro e pietre preziose, la regina Midir rientrò nella sua bella casa, costruita e sviluppata fra le fronde di un immenso albero. La sovrana del regno della Terra sapeva che non c’era niente in quel mondo per il quale non valesse la pena di combattere, ma il Signore dell’Est era stato categorico: non poteva presentarsi lei stessa per quel viaggio. Vanadis, così era chiamato l’enorme complesso di alberi e piante su cui sorgeva la capitale, la accolse fiorendo. Cominciò a chiedersi a chi potesse affidare un compito così delicato ed importante, uno screzio con altri abitanti di regni diversi avrebbe potuto scatenare una guerra! Il popolo della Terra era sostanzialmente pacifico anche se aveva, con il tempo, affinato notevoli capacità in battaglia, principalmente a scopo difensivo. I loro archi erano di splendida fattura, come pure le frecce ed i bastoni magistralmente intagliati con simboli sacri al loro Dio. Ognuno di loro possedeva un’arma ma una legge vietava categoricamente l’uso di queste contro un altro esemplare della stessa specie.

Midir notò con gioia che si avvicinavano le celebrazioni di primavera. Gli alberi erano bardati a festa con nastri colorati e campanelle, le donne si stavano preparando per la realizzazione del dolce tipico ed alcuni si erano già dipinti il viso con i simboli antichi da cerimonia. Attraversò un arco, sfiorando con le mani i tronchi in cui si erano tramutati i suoi antenati. Quelle creature nascevano con la pelle verde, morbida, ma col tempo essa, a partire dai piedi, iniziava a mutare. Diveniva come la corteccia degli alberi, stessa consistenza e colore. Quando era giunta la fine della loro esistenza su Asteria, divenivano uno dei rami portanti dei grandi alberi che costituivano le città del regno. La regina era giovane, per ora aveva mutato solo le gambe, ed alcuni fiori spuntavano, a volte, fra i suoi capelli verde scuro. Con grandi occhi viola, decise che avrebbe chiesto suggerimento al marito su chi scegliere per la missione. Entrò nella sua stanza, il sovrano ancora dormiva data l’ora del mattino, e lo svegliò dolcemente, con un bacio sulla guancia. Il re aprì gli occhi e le sorrise.

“È bello riaverti a casa” disse.

Lui aveva mutate anche le spalle, che si erano allargate ed indurite facendolo sembrare sempre in armatura, ed il legno aveva iniziato ad espandersi lungo le braccia. Abbracciò la moglie con trasporto e si fece raccontare ogni cosa.

“Posso partire io” si offrì, alla fine “Sono un membro dalla famiglia reale, sono tuo marito, e direi che più fidato di me non hai nessuno!”.

“Io…veramente non vorrei che te ne andassi per tanto tempo. Ho altri progetti per te…” rispose la regina, appoggiando la testa sull’ampio petto del consorte.

“Come per esempio?” si incuriosì il re.

“Ad esempio…che ne dici di un erede per questo regno ancora senza principi?”.

“Ah beh…se la metti così…chi sono io per rifiutare un progetto del genere?”.

Risero, sempre stando abbracciati, e si unirono in un lungo bacio.

“Vuoi che inizi subito a lavorarci?” azzardò lui e lei annuì, lasciandosi avvolgere dal profumo e dall’amore del suo compagno.

 

“Dovresti parlare con Idisi, la maga della capitale…di lei ti fidi” le sussurrò il re, ancora svestito accanto alla moglie.

“Hai ragione. Lei sicuramente saprà darmi il giusto suggerimento. Cosa farei senza di te?”.

“Saresti una bravissima regina…”.

“Ma sola. A cosa mi servirebbe?”.

“Non sei sola. Perciò non te ne preoccupare…”.

“Vieni con me da Idisi?”.

Entrambi si vestirono, con l’ampio collare in oro e pietre adornato da piume dai colori accesi, rosso per lui e blu elettrico per lei, la fascia ed il cinturone dorati che sorreggevano la gonna, fino al ginocchio, anch’essa in parte coperta dalle piume, ed i sandali con lunghe stringhe incrociate. Allacciarono il mantello, con ricami in oro come la gonna, ed indossarono la corona, piuttosto vistosa essendo fatta pure lei in oro e piume sgargianti che restavano in piedi fra i capelli verdi dei due. Si presero per mano e si avviarono verso il punto, nascosto dietro un velo leggero di liane intrecciate, che Idisi aveva adottato come sua dimora. Era una rientranza piuttosto piccola ma sufficiente per lei e per buona parte dei suoi strumenti di lavoro. Gli altri erano appesi ai rami sovrastanti. Accolse i reali con un largo sorriso.

“Bentornata, Vostra Maestà, e saluti a Voi, mio re”.

Accompagnò la frase con un piccolo inchino ed invitò entrambi, con un gesto della mano, a sedersi. Si misero tutti e tre a gambe incrociate in terra. Idisi aveva circa l’età della regina, le sue gambe erano come tronchi d’albero e la mutazione aveva seguito la spina dorsale, creando un piccolo corridoio bruno, terminante alla base del collo di lei. Da quella venatura, nei punti non coperti dalle vesti piumate, si intrecciavano viticci e foglie d’edera. Un piccolo fiore rosso era fiorito subito sopra il suo piccolo orecchio a punta adornato da un grosso orecchino quadrato e spiccava sui capelli verde scuro, leggermente più sfumati verso il blu rispetto a quelli della regina.

La maga guardò entrambi, con profondi occhi color grano, quasi gialli, e volle sapere del viaggio intrapreso da Midir. Lei spiegò, senza lasciare nemmeno per un attimo la mano del marito, e la padrona di casa annuì.

“Volete il mio consiglio, mia sovrana, giusto?”.

“Sì. Non so chi possa essere in grado di rappresentare il nostro regno…”.

Idisi prese fra le mani le carte e guardò i due ancora negli occhi prima di distribuirne tre in terra.

“Tranquilla, mia signora, l’erede che tanto desiderate arriverà presto” parlò.

Midir, non aspettandosi una frase del genere, rimase senza fiato.

“Ma…perché…” balbettò.

“Perché ho chiesto prima questo alle carte? Semplice…mi sembrava questo ciò che i vostri occhi desideravano. Vedete…” spiegò, indicando la prima figura “…questo siete Voi, Vostra Altezza, e quella accanto siete Voi, regina”.

La sovrana sorrise, vedendo che nell’ultima carta c’era un piccolo abitante del regno della Terra, avvolto dalle foglie come in un baccello.

“Quando arriverà?” incalzò il re, non riuscendo a nascondere il suo entusiasmo.

“Questo non mi è dato saperlo. Ma presto. E sarà maschio”.

Marito e moglie si baciarono teneramente, sorridendosi.

“Ora…” riprese Idisi “…veniamo a noi”.

Rimase ferma per qualche istante, forse meditando su quale fosse il metodo di divinazione adatto per scoprire chi sarebbe diventato il rappresentante della Terra per Asteria. Lanciò dei piccoli sassolini in un quadrato di corda e rimase perplessa dal loro posizionamento. Li rimosse e passò ad altro, mentre re e regina ne osservavano ogni movimento sempre più esitanti. La maga sbuffò, quasi spazientita, e riprese in mano le carte.

“Almeno voi non fate i capricci…” mormorò, rivolta al mazzo, ed iniziò a mescolare.

“Alzate Voi, mia signora…” parlò, porgendo la pila a Midir che ne sollevò una parte.

Idisi prese le carte alzate dalla regina e le rimise in fondo al mazzo. Dopo un respiro profondo iniziò a distribuirle sul pavimento, iniziando a spiegarle.

“Da questa carta deduco che è una persona di cui il re si fida…” iniziò.

Scoprì un’altra carta e sorrise.

“Anche la regina si fida” esclamò e Midir ne fu soddisfatta.

Passò alla terza carta.

“È una creatura potente…” disse, indicando la carta della Forza “…e pronta a vedere le cose da diversi punti di vista…” additando l’Appeso “…cosa importante per un viaggio con molte altre persone così diverse da noi”.

Ne estrasse altre, descrivendone le caratteristiche, e disponendole a formare una sorta di piramide la cui punta arrivava ai suoi piedi scalzi. Respirò a fondo, accingendosi a svelare l’ultima carta, quella che avrebbe risposto al loro quesito.

“Oh Dio della Foresta…” mormorò, vedendola.

Era la carta del Mago, dello Stregone.

“Che significa?” volle sapere la regina.

“Che…sono io…” balbettò Idisi “La persona che deve partire per rappresentarci…sono io! Non è possibile…ci dev essere uno sbaglio…”.

“Perché? Noi di te ci fidiamo. Sei potente, intelligente e credo adatta…” iniziò il re.

“…sempre che ti vada di farlo!” concluse Midir.

“Voi mi affidereste davvero un incarico del genere?”.

“Siamo amiche. Certo che sì. Soprattutto se sono le divinità a volerlo” confermò la regnante.

La maga non sapeva cosa dire. Rimise le carte nella scatola, con cura, in silenzio.

“Anche gli altri metodi di divinazione avevano dato lo stesso risultato?” azzardò l’unico uomo nella stanza, guardandosi attorno curioso.

“Sì” confermò Idisi “Le pietre si erano concentrate ai miei piedi, il cristallo era attirato da me…”.

“Allora sei tu! Preparati a partire!” esclamò Midir, balzando in piedi.

Era davvero contenta di quella soluzione, forse la stessa che aveva pensato il marito, ed era davvero sollevata all’idea che a rappresentare il suo regno fosse una sua amica d’infanzia e preziosa consigliera ormai da anni. Le disse che aveva meno di un mese per prepararsi ed, inaspettatamente, la abbracciò con forza. Idisi non sapeva cosa dire. Vide i suoi signori uscire ed andarsene, felici, per mano, e guardò la sua. Verde, morbida e vellutata, la fissò chiedendosi se fosse davvero questo il suo destino. Ma oramai era già stato tutto stabilito. Toccava a lei partire, destino oppure no.

 

†††

 

L’immenso oceano sotto cui sorgeva Satis, la capitale di corallo e conchiglie in cui viveva Nerektan, regina dell’Acqua, diede subito sollievo alla sua pelle non abituata a starci per troppo tempo lontano. Si tuffò, congiunse i piedi che mutarono, quasi unendosi e ricoprendosi di una membrana verde acqua alle estremità, assumendo un aspetto molto simile ad una coda di pesce. Nuotò velocissima, ansiosa di tornare a casa. La sua pelle a squame blu, con sfumature verdi, brillò ristorata dall’acqua e sentì con sollievo i polmoni riempirsi di nuovo tramite le branchie che aveva sul collo. Attraversò l’arcata d’ingresso alla metropoli principale, accolta dalle guardie che se ne stavano sulla loro cima, e continuò a nuotare. Il palazzo reale era leggermente rialzato rispetto agli altri edifici e brillava, in modo quasi magico, con i mille colori del mare. Ci entrò, lasciando la corona di corallo rosso nelle sue stanze, ed andò a cercare le figlie. Sapeva che il marito non era presente perché perennemente occupato a controllare i movimenti privi di logica ed improvvisi di Ozymandias. Da lui aveva avuto due femmine, Egèria, la maggiore, ed Enki. Era consapevole che, in tutto il regno, non vi erano migliori rappresentanti delle creature dell’Acqua. Perciò sarebbe stata una di loro due a partire. Le chiamò al suo cospetto, nella sala del trono, e le attese, impaziente. Dietro di lei si apriva a ventaglio il possente seggio di conchiglia e madreperla, intagliata sapientemente, e al suo fianco lo scettro faceva bella mostra di sé. Le figlie arrivarono e si fermarono, appoggiando i piedi palmati, di fronte alla madre. La salutarono educatamente ed attesero le sue parole.

Egèria assomigliava più al padre, con lunghi capelli azzurro chiaro, gli occhi tondi quasi neri e la pelle sfumata verso il blu. Enki, invece, era come la madre. La pelle blu che sfumava verso il verde, gli occhi di un azzurro profondo, puro, ed i capelli che formavano una cresta verde acqua che si allungava fino a metà della schiena. L’avevano alzata entrambe le figlie quella cresta, per la curiosità e per la tensione. Nerektan spiegò loro brevemente qual’era la situazione e la soluzione che aveva in mente.

“Una di noi due?” si stupì Enki, da poco diventata maggiorenne ma dimostrando parecchi anni in meno nel viso e nel corpo.

“Sì, esatto. Una di voi due, bambine mie. Credo non possa esserci soluzione migliore” confermò la madre, non capendo la perplessità della sua creatura.

“Ma non c’è nessuno di più adatto? Intendo dire…noi siamo molto giovani…” iniziò Egèria.

“Giovani? Suvvia…tu hai passato i vent’anni. Sei una donna ormai, alla tua età già stavo seduta su questo trono e mi prendevo con gioia le mie responsabilità”.

“Sì…ma…” riprese Enki “…noi non siamo mai uscite da palazzo. Come possiamo affrontare un viaggio attorno ad Asteria? Nemmeno sappiamo da che parte sta il Signore dell’Est!”.

“A est…non mi sembra difficile!” sbottò Nerektan.

Enki fece per rispondere ma non trovò le parole.

“Sarebbe un’ottima occasione per una di voi due. Magari così imparate dov’è l’est!”.

“Ma mamma…sei stata tu ad impedirci di uscire da queste mura! Mica puoi pretendere grandi conoscenze da noi!” protestò la maggiore.

“Eppure mi pare che tu esca benissimo da qui, anche senza il mio permesso!”.

Egèria arrossì. Era vero. Lei usciva spesso ma di nascosto e credeva che la madre non lo sapesse.

“Sarebbe un’ottima occasione per te, futura regina, un viaggio assieme ad altri rappresentanti di Asteria. Saranno altri principi e principesse, futuri regnanti e possibili alleati. O nemici” consigliò la regina, guardando la maggiore quasi con rimprovero.

“Non sono mai stata particolarmente diplomatica. Non credo sia il caso” rispose lei.

“Sciocchezze! Chi meglio di te può esserci?” protestò Nerektan.

“Lei!” rispose Egèria, indicando la sorellina.

“Chi? Io? Ma scherzi? Io da qui non mi muovo!”.

“Una di voi due partirà” ordinò la regina “Oppure mi fornirà un motivo valido per non farlo!”.

Le due sorelle si guardarono negli occhi.

“Suvvia, Enki…” iniziò Egèria “…di certo sei tu la più adatta! Fin da bambina ti sei sempre chiesta cosa ci fosse al di fuori del palazzo…”.

“Sì, ma non ho mai avuto l’ardire di oltrepassare le sue finestre” controbatté la sorellina.

“E non saresti lieta di poterlo fare con la benedizione di mamma?” continuò la maggiore.

“No. Sto bene dove sto. Grazie per l’offerta ma credo che il viaggio e l’onore spettino a te, principessa ereditaria”.

“Non puoi trovare altri possibili pretendenti per una cosa del genere?” suggerì Egèria alla madre, che non prese nemmeno in considerazione quella frase, convinta com’era di mandarci una delle figlie, sangue del suo sangue, le uniche di cui si fidava.

“Ma insomma! Qual è il problema?!” volle sapere la sovrana “Tu, ad esempio, Enki, che problema hai? Perché non vuoi partire?”.

“Io…” balbettò la ragazza, chinando la testa “…io ho paura!” ammise.

“Paura di cosa?” si stupì Nerektan.

“Di tutto. Non so cosa mi aspetta al di fuori di qui e non voglio saperlo. Ho paura e non voglio lasciare casa mia!”.

“Beh…a quanto pare…” affermò allora la regina “…spetterà a te, Egèria, partire”.

“Non posso” tagliò corto lei.

“Perché?”.

“Perché no. Problemi miei”.

“Sono anche problemi miei! Parla!”.

Lei sospirò e guardò la sorellina, puntandogli contro uno sguardo ed un sibilo accusatore da “grazie tante, principessina, mi hai messo nei guai!”.

“Io…credo…ed è solo un’ipotesi…” iniziò Egèria, respirando a fondo e dosando le pause per trovare le parole “…credo di essere incinta”.

Nerektan affondò nel trono, colpita da quelle parole più di qualsiasi altra cosa, mentre Enki rimase immobile, ammutolita.

“Credi?” mormorò la regina, impallidendo.

“Sono…quasi sicura” confermò la figlia, tenendo la testa bassa e le mani dietro la schiena.

Scese il silenzio, imbarazzante, che durò non poco.

“E…chi sarebbe il padre?” domandò, dopo un po’, Nerektan.

“Lir” si limitò a dire Egèria.

“Mmm…è un ottimo partito!”.

“Cosa?! Davvero?!” si stupì la maggiore.

“Sì. Certo. È forte, elegante, educato e…tutto il resto. Sarà un ottimo re”.

“Dici sul serio?”.

La regina sorrise ed annuì.

“Quindi…non sei arrabbiata?” continuò Egèria.

“No. Stupita, ma non arrabbiata. Lir mi piace e spero voglia prendersi tutte le sue responsabilità. Preparati, figlia mia, perché da oggi sei ufficialmente promessa ed inizieranno i preparativi per il tuo matrimonio!”.

La maggiore lanciò un grido di gioia, la madre si alzò e le andò in contro. Si abbracciarono e la regina mormorò un “congratulazioni” felice, contraccambiato da un “grazie”.

“Enki…” parlò di nuovo la sovrana, rivolta alla minore, allontanandosi con la maggiore sottobraccio “…tu invece preparati a partire. È ovvio che tua sorella non può. Vedrai che andrà tutto bene, rilassati e non avere paura”.

“Ma io…” provò ad obbiettare lei, senza risultato perché Nerektan se n’era già andata.

La cresta della figlia minore si abbassò. Era afflitta. Ora tutti erano concentrati sul grande evento, il grande giorno di Egèria, e pareva che a nessuno importasse di lei, della partenza e del terrore che provava dentro di sé.

 

†††

 

Non poteva crederci. Il giorno era arrivato. Era nato in una famiglia povera, in un piccolo paese, ed aveva sempre dovuto combattere per ottenere qualsiasi cosa. Ora cambiava tutto! Era felice e soddisfatto della sua esistenza ma era rimasto stravolto quando aveva ricevuto quella lettera dal re. Una convocazione al suo cospetto, davanti al grande sovrano del reame della Roccia, in quel giorno preciso. Si era incamminato verso la capitale, Dusares, attraverso tutti i cunicoli sotterranei dopo i quali era costruita. Lui era uno degli abitanti delle alte montagne del reame ma il re risiedeva nella città principale che era interamente sotto la superficie rocciosa.

Con la lettera stretta fra le mani, procedette con la sacca sulle spalle lungo la via principale.

Non riusciva a capire le motivazioni che avevano spinto il suo re, Eranoranhan, a scegliere proprio lui. Non ne aveva parlato con nessuno, nemmeno con i suoi genitori, dato che la convocazione parlava chiaro: era strettamente personale. Era spiegata nei dettagli, la faccenda del Signore dell’Est e tutto quello di cui il sovrano di Roccia era a conoscenza, ed era giunto il giorno della partenza. Gli era stato detto di mostrarsi davanti al capo di stato per ricevere la chiave del palazzo del Signore dell’Ovest e, immaginava, sperava, qualche consiglio su come affrontare la convivenza con le strane creature degli altri regni.

L’intera architettura della capitale, in pietra, lo avvolse. I soffitti, altissimi e sorretti da massicce colonne squadrate, lasciavano ampio spazio a negozi, botteghe, case e spazi liberi in cui intravide alcuni bambini rincorrersi ridendo. Non dava nell’occhio, se non per l’abbigliamento tipico delle montagne che tendeva più verso il marrone rispetto al grigio dei sotterranei. Avrebbe voluto indossare il gonnellino in tartan tipico del suo clan, ma pensò non fosse il più adatto al viaggio e così si era rassegnato a portare semplici pantaloni con una larga cintura nera. Non aveva altro addosso per lasciare libero il suo elemento, che lo faceva mutare con estrema facilità con spuntoni e protuberanze grigio scuro o marrone lungo la pelle color pietra. Le uniche che rimanevano sempre ben visibili in ogni caso erano quelle che aveva sulla testa, simili a due corna rivolte all’indietro che partivano da dietro le orecchie di quella creatura dai capelli rasati ma con un piccolo codino, di un colore intermedio fra il rossiccio ed il marrone, lasciato crescere dietro alla nuca. Ormai era vicino alla meta, vedeva l’ingresso del castello. Preso dall’entusiasmo, corse fino all’ingresso. Le due statue all’ingresso del palazzo si mossero, lasciandolo passare solo perché in possesso della lettera del sovrano. Si ricompose, volendo dare un’ottima impressione ad Eranoranhan, ed entrò lentamente nell’ampia sala del trono.

Fu fatto entrare e lasciato solo al cospetto del re. Respirò a fondo. Non poteva negare di essere in totale soggezione. Il sovrano sedeva su un immenso seggio in pietra, che quasi lo racchiudeva ripiegandosi alle spalle del suo padrone. Era un uomo possente, ricoperto interamente di grossi spuntoni di roccia su tutto il corpo, che ne aumentava le dimensioni notevolmente.

Sorrise, vedendo entrare il suo ospite.

“Vieni avanti” parlò.

Il convocato avanzò, sicuro di aver sentito la voce del suo signore espandersi direttamente dal terreno, senza dire una sola parola.

“E così…tu sei il mio campione…” continuò Eranoranhan, quando lo ebbe abbastanza vicino “…sei molto giovane…quanti anni hai?”.

“Venti…tre…” rispose.

“Venti o tre?” ridacchiò il sovrano.

“Ventitré” esclamò l’altro, senza rispondere alla risatina.

“Suvvia…scherzo! Sei giovanissimo, specie per noi abitanti della Roccia che viviamo molto a lungo, e ai miei occhi anziani sei un bambino. Eppure…mi son giunte voci strabilianti su di te”.

“Su di me?” si stupì il giovane.

“Sì. Non sei tu che, all’inizio dell’anno, ti sei dimostrato il più valoroso al gran torneo che organizzo per scegliere i migliori guerrieri del regno?”.

“Sì, sono io…”.

“Benissimo. Allora sei tutto ciò che mi serve”.

Il giovane ricordò mentalmente quel torneo, come aveva affrontato tutti i suoi avversari con coraggio e determinazione, dimostrando che per sopravvivere aveva sempre dovuto combattere. Non aveva certo paura di inutili titoli nobiliari o importanti bardature!

“Come ti chiami?” domandò di nuovo il padrone di casa, l’unica creatura di cui sentiva dover aver paura perché potente della magia totale dell’elemento su cui regnava.

“Mattehedike”.

“Il dono degli Dèi vincitori, bellissimo significato”.

“Grazie, Vostra Maestà”.

“E sarai un dono per il tuo regno ed il tuo popolo. La missione che ti affido è di massima importanza. Dovrai rappresentarci degnamente!”.

“Farò il possibile…”.

“Lo so”.

Eranoranhan sbatté le mani, producendo un suono simile ad un tuono, e subito sull’uscio apparvero due donne, adornate con decisi disegni sulla pelle, portando uno scrigno molto pesante.

Il re lo aprì con il suo anello e sorrise. Dentro di esso era contenuta la chiave del palazzo del Signore dell’Ovest. Era marrone scuro, con una catena in pietra intagliata che pareva di certo non molto leggera. Il sovrano fece segno al suo campione di avvicinarsi. Un po’ titubante, il giovane si avvicinò. Alzandosi, il capo di stato lo superava di diverse spanne in altezza e gli mise la catena attorno al collo. La chiave era fredda ma Mattehedike non lo avvertì. La guardò, ammirato. Era bellissima, splendidamente lavorata e non molto pesante come pensava.

“Ricordati che è una copia unica, caro ragazzo. Se la perdi ne subirai tutte le conseguenze, pessime. Perciò vedi di fare attenzione!”.

“Non me ne staccherò mai, questo è certo. Morirò piuttosto che non riportargliela!”.

“Che esagerazione…ad ogni modo vedi di riportarmela. E di fare onore alla nostra specie!”.

“Qualche suggerimento per il viaggio?” ebbe il coraggio di dire il giovane, pur ancora in soggezione davanti all’anziano sovrano.

“Attento al ghiaccio, ti rovina da dentro se ne sei esposto troppo a lungo. E la pioggia è una gran scocciatura ma dubito tu possa prenderne così tanta da danneggiarti…”.

“Fuoco? Elettricità? Oscurità?”.

“Di quelli non preoccuparti più di tanto. Pensa al tuo e vai per la tua strada. Attento a non fidarti troppo, specie dell’Oscurità, che ha delle creature subdole ed incantatrici”.

Mattehedike fece un cenno con il capo, stringendo la chiave con una mano.

“Bene” affermò il re “Ora per te è giunto il tempo di partire. Hai una piantina del regno? Sai come arrivare al palazzo dell’Ovest?”.

“Sì. Mi sono procurato tutto”.

“Perfetto. Allora puoi andare. Il Signore ti attende. E che il grande Dio della Forza e del Coraggio ti guidi lungo tutto il cammino. Fai buon viaggio e ricorda: al tuo ritorno ti attende una degna ricompensa se tutto andrà come previsto!”.

Si congedò e fece segno al convocato di andare. Con un inchino, Mattehedike uscì dal castello tenendo sempre la chiave fra le mani, un po’ per essere sicuro di non perderla ed un po’ per tenerla celata ad occhi indiscreti. Si incamminò deciso, verso la superficie, con la sacca in spalla e gli occhi scuri puntati verso l’obiettivo. La luce di Sirona lo investì e si coprì gli occhi con la mano. Non era più abituato a tutta quella luce. Sapeva qual’era la direzione, era felice e sicuro di poter fare onore alla sua razza. Con quei propositi si incamminò verso il Signore dell’Ovest, dove sarebbe iniziata la più grande avventura della sua vita.

 

†††

 

Friedrik bussò, diverse volte, senza ricevere risposta. Entrò nella stanza lentamente e chiamò il nipote per nome. Lo chiamò ma questi non si girò. Assorto nella lettura di un grosso manuale, non si era reso nemmeno conto di non essere solo nella stanza. Il re del regno della Luce sospirò, ridacchiando divertito, e gli poggiò una mano sulla spalla.

“Efrehem!” lo chiamò, ed il giovane sobbalzò allarmato, scendendo dalle nuvole.

“Nonno! Sei tu…” sbottò, dopo essersi ripreso dallo spavento.

“Sì. Sono io. È ora di andare, nipote. Il tempo è giunto”.

Doveva partire alla volta del Signore dell’Ovest ma non era per niente d’accordo di esserne in grado. Era gracilino Efrehem, magro e di bassa statura, con grandi occhi arcobaleno. Non era mai uscito da quel palazzo luminoso ed era piuttosto spaventato all’idea di lasciarlo.

Più volte aveva chiesto il perché di quella scelta, perché lui era destinato a partire, ed il nonno lo aveva convinto spiegandogli che secondo lui non c’era persona più adatta per quel compito.

Era intelligente, colto e con una buona forza magica, dovevano essere queste le caratteristiche della Luce, non altre. Da quando il parente a capo di quel regno gli aveva parlato di quel viaggio, Efrehem aveva iniziato a studiare e leggere più libri possibile riguardanti Asteria, per poter essere preparato a ciò che lo aspettava. Rimase turbato da come le informazioni sui vari regni fossero frammentate e discordanti. Leggendo e rileggendo, aveva capito che molte cose avrebbe dovuto apprenderle sul posto perché da quelle pagine non se ne veniva a capo. Troppe domande! Troppe poche risposte! Credeva di essere in grado di prepararsi adeguatamente in tre settimane ma si sbagliava…era giunto il giorno della partenza e lui ne sapeva ben poco di più rispetto a prima. Rabbrividiva solo all’idea di dover affrontare una tale impresa senza le conoscenze che desiderava. Al buio. Al buio lui, che era il nipote del re della Luce!

Si passò una mano sui capelli corvini, corti e ben pettinati, sfiorando le antenne rosse che aveva sulla testa. Erano molto utili quando si volevano leggere più volumi assieme. Il cervello di quelle creature era in grado di seguire le due paia di occhi contemporaneamente, senza problemi, accorciando notevolmente i tempi di apprendimento. Gli occhi giallo-dorati su quelle antenne, però, si notava che erano stanchi per il troppo lavoro. Si socchiudevano assonnati.

“Credi davvero che io sia in grado di affrontare una cosa del genere?” domandò, per l’ennesima volta, Efrehem.

“Assolutamente!” ribatté, di nuovo, il re “Non c’è nessuno in tutto il mio regno più adatto di te a rappresentarci. Devi stare tranquillo e credere in te stesso, come hai sempre fatto”.

“Ma nonno…una cosa è imparare delle cose per poi ripeterle, un’altra è impararle e metterle in pratica! E poi qui non c’è nulla di utile, fra questi scaffali. Un’immensa biblioteca, e così poche informazioni sugli altri regni. È assurdo…”.

“Noi non possiamo andare nei loro mondi, dobbiamo attendere che siano loro a fornirci notizie. Non essendoci grandi contatti, com’è possibile avere più informazioni al riguardo?”.

Efrehem decise che, nello zaino per il viaggio, avrebbe anche portato un quadernetto bianco per potervi annotare ogni cosa. Voleva che i suoi successori avessero perlomeno la vaga idea di cosa ci fosse oltre i confini del regno della Luce.

Con il solito completo in giacca e cravatta di colore nero, si apprestò a partire. La luce della sua pelle era particolarmente forte, probabilmente per l’agitazione, ed avvertiva chiaramente il battito accelerato del suo cuore. Aveva preparato tutto da tempo, pensando accuratamente ad ogni cosa. Aveva pensato al freddo del regno del Ghiaccio, al buio dell’Oscurità, al caldo del Fuoco…per ognuno di essi sperava di essersi preparato a dovere. Ovviamente con sé portò un’accurata piantina del suo regno, l’unico di cui esisteva una mappa in tutto il territorio della Luce, ed alcuni libri che ritenne utili. Pesava sulla sua schiena quello zaino ma sapeva di non poter lasciare a casa nulla.

Suo nonno, sovrano di quel popolo, gli stava porgendo la chiave per il palazzo del Signore dell’Ovest. Era bella, dorata e luminescente. La appese al collo con la catenina chiara e la nascose sotto la cravatta, per non dare troppo nell’occhio.

“Nipote mio…” riprese a parlare il re “…non posso mentirti dicendoti che sarà un viaggio facile, breve o piacevole. Ti ritroverai circondato da creature sconosciute, di specie diverse, in luoghi in cui non sei mai stato e di cui non hai studiato. Ti stancherai, avrai fame, caldo, freddo, paura…ma ricorda che le divinità ti proteggono. Senti queste voci?”.

Nel silenzio, Efrehem sentì chiaramente i cori provenienti dal tempio interno al castello. Canzoni magnifiche, melodiose, venivano rivolte agli Dèi.

“Sì, le sento…” rispose Efrehem.

“Tienile dentro di te. Vedrai che ti daranno la forza di affrontare ogni cosa, anche la più inaspettata. Non avere paura…”.

“Non ho paura! È solo che non so cosa aspettarmi là fuori. E la cosa mi irrita perché vorrei essere preparato prima ad ogni imprevisto possibile, per poterlo fronteggiare con logica e buon senso”.

“Non tutto si può affrontare con il buon senso. L’amore, per esempio, è una sensazione che blocca ogni tua capacità logica…”.

“Non credo possa accadere che IO perda ogni capacità logica e, ad ogni modo, dubito fortemente che l’amore abbia a che fare con la missione!”.

“Era per farti un esempio, mio piccolo genio…”.

Efrehem sospirò. Con lo zaino in spalla e la cartina a portata, uscì dalla biblioteca. Friedrik lo seguiva, camminandogli a fianco, con la corona scintillante e luminosa ben calcata in testa.

“Sono sicuro che mi renderai orgoglioso!” esclamò il sovrano.

“Perché, fin ora non ti ho mai reso orgoglioso?”.

“Tantissime volte. E so che anche questa volta non mi deluderai”.

“E…se non dovessi tornare? Se incontrassi un pericolo più grande di quanto immagini e nessuno degli altri nove miei compagni mi aiutasse?”.

“Da quando sei pessimista? Andrà tutto bene! Ricorda che…”.

“Sì, sì…gli Dèi mi proteggono! Ho capito, nonno”.

Gli occhi sulle antenne del giovane si erano chiusi, addormentandosi, e non si riaprirono per un sacco di tempo.

Efrehem uscì da palazzo con una certa titubanza dentro di sé, ma mostrando estrema sicurezza all’esterno, ed incominciò ad attraversare le vie di Balder, la capitale. Qualcuno lo riconobbe, molti lo ignorarono. Non essendo mai uscito dal castello, in pochi sapevano come fosse fatto lui, principe erede al trono. Sua madre, discendente diretta di Friedrik, era morta non molti anni prima all’improvviso e di suo padre non si avevano più notizie da tempo. Sapeva che era vivo ma Efrehem non aveva nemmeno tentato di ricontattarlo, sentendosi tradito dal suo abbandono. In questo modo era lui destinato a prendere il posto del nonno, anche se al momento non ne aveva nessuna voglia. Si sentiva a disagio nei panni di sovrano. Friedrik era un uomo alto, con uno sguardo che incuteva rispetto e timore. Il principe invece, al contrario, era piccolino e con enormi occhi che suscitavano solamente tenerezza. Dimostrava di certo molti meno anni rispetto a quelli che aveva.

Intraprese il viaggio fino al palazzo del Signore dell’Ovest da solo. Voleva abituarsi all’idea di dover pensare a se stesso, senza aiuto, per non doversi ritrovare al cospetto degli altri rappresentanti dei regni senza aver mai provato la solitudine. Sirona brillava forte quella mattina ed Efrehem si concentrò per assorbirne i raggi il più possibile, sicuro che ne avrebbe avuto bisogno lungo il suo cammino. Non scendeva mai la notte in quel regno, c’era sempre luce anche se più o meno forte. Dopo non molto tempo, si pentì di aver portato con sé quei libri così pesanti. Si fermò, non riuscendo ad andare oltre. Si guardò indietro, sconfortato. La capitale era ancora a portata d’occhio. Sempre più convinto che non l’avrebbe più rivista, decise di lasciare i libri dietro di sé. A malincuore, li regalò a due simpatici signori che incrociò poco più avanti, raccomandandogli di averne cura. Non si separò, però, dal blocco di fogli bianchi in cui si era ripromesso di trascrivere per intero la sua avventura ed ogni informazione utile riguardante Asteria. Più si allontanava da Balder, inoltrandosi per le campagne, e più si sentiva fuori posto. Si pentì amaramente di non aver mai lasciato il castello per esplorare un po’ il mondo circostante, come al contrario aveva fatto sua sorella che ormai mancava di casa da anni e si faceva sentire solo per lettera.

Il viaggio durò dieci giorni, non sette come aveva previsto e sperato, data la sua andatura per nulla atletica. Giusto in tempo giunse al cospetto del palazzo del Signore dell’Ovest. Lo vide da lontano, dall’alto di una sporgenza erbosa, e sorrise. Si inquietò leggermente notando come il terreno cambiasse una volta oltrepassati i confini, che dall’alto si vedevano chiaramente. Il regno del Fuoco, sulla destra, lo spaventò con quel suolo rosso, forse di lava incandescente, e quello dell’elettricità non lo confortò di certo notando le scosse che lo attraversavano. Avrebbe davvero dovuto metterci piede? Fortunatamente il palazzo grigio e circolare dell’Ovest, identico all’esterno a quello dell’Est, gli impediva di scorgere gli altri regni, impedendogli di spaventarsi ulteriormente. Prese un profondo respiro e si accinse a scendere da quell’altura, raggiungendo la valle sottostante. Ovviamente, malfermo sui piedi com’era, scivolò per un tratto e ruzzolò fino a quando non riuscì ad aggrapparsi ad un albero, luminoso come la sua pelle. Si guardò, riflettendosi sull’acqua increspata di un piccolo fiume, e decise di darsi una sistemata prima di entrare. Sistemò i vestiti, che si asciugarono dopo il lavaggio in un attimo grazie alla forte luce, si pulì il viso dalla terra, ancora presente dopo il bagno, e si pettinò accuratamente i capelli.

La porta dal suo lato era color oro, come la chiave che portava al collo, e brillava riflettendo la luce. Gli occhi sulle antenne di Efrehem si spalancarono per ammirare quello spettacolo irripetibile. Il principe riusciva perfettamente a specchiarsi in quella superficie e pensò che gli occhi della divinità che lo proteggeva dovevano essere di quel colore. Guardò in alto, notando un’ampia finestra ad arco a tutto sesto, sormontato da una lunetta decorata con intarsi in oro. Voleva continuare a guardare quell’edificio ma sapeva che non avrebbe potuto restare lì a lungo. Era ormai giunto il giorno prestabilito. In lontananza, un satellite tondo e di colore rosso stava facendo capolino dal tetto dell’edificio, proprio sopra la sua testa. Prese coraggio, afferrò la chiave d’oro fra le mani e la infilò nella serratura, aprendo la porta ed entrando.

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Capitolo 3
*** III- il viaggio comincia! ***


 III

La prima ad arrivare nel palazzo, con la sua chiave gialla, fu Reishefy, la principessa del regno dell’Elettricità. Impaziente, era giunta fino a lì con largo anticipo. Illuminò il proprio lato con le scosse che passavano sulla sua pelle ed esplorò quella parte, segnata e delimitata chiaramente sul pavimento, dedicata all’Elettricità. Quel palazzo non aveva le logge rialzate come dal Signore dell’Est ma era totalmente vuoto. Subito dopo l’entrata vi era una piccola sporgenza, come una tettoia, di cui Reishefy non ne capì l’utilità. Era curiosa di sapere chi fosse entrato dalle altre porte e faceva supposizioni su chi fosse stato il prossimo. Dall’interno tutte le pareti erano identiche, fra finestre e forme. Solo i colori mutavano, in spicchi, sul pavimento colorato in corrispondenza dei diversi regni. Sotto la ragazza c’era il giallo e provava un timore quasi reverenziale all’idea di sfiorare una colorazione differente. Si avvicinò verso il centro, sorpassando la fascia con più luce grazie alla grande finestra, ed osservò tutte le altre zone. Saltellò sul posto, annoiandosi. Con i capelli bianchi a riflessi dorati che guizzavano, cominciò a canticchiare per ingannare il tempo sedendosi e tenendosi i piedi. Ridacchiò al rimbombo della sua voce.

Sentì chiaramente una porta aprirsi, dopo diverse ore di attesa. Subito scattò in piedi, sorridendo.

“Ciao!” urlò.

L’eco le rimbalzò all’orecchio per diverse volte.

“Ciao! Io sono Reishefy, principessa del regno dell’Elettricità!”.

Nessuno le rispose ma la ragazza vide muoversi una figura nella penombra non molti spicchi alla sua destra. Tornò, trotterellando, verso il centro e ricominciò a presentarsi. Finalmente la persona appena entrata si mosse verso la luce della finestra.

“Ciao!” ripeté Reishefy.

“Ho capito!” sbottò la figura “Ciao anche a te…”.

“Come ti chiami?”.

“Thuwey…”.

Il signore del Metallo era alquanto perplesso. Il comportamento della ragazza lo stupiva. Si avvicinò al centro, dove lei si era messa porgendogli la mano. Lui, con un rumore di ferro e catene che sbattono, la fissò lievemente accigliato. L’Elettricità non abbassò la mano ed attese, con un ampio sorriso, di farsela stringere.

“Non ti mordo mica!” sbottò la ragazza.

“Non ne dubito, ma…”.

“Ed allora la buona educazione vuole che ci si stringa la mano quando ci si conosce! Oppure per la tua razza è differente? Allora…piacere, io sono Reishefy!”.

“L’ho capito…sono Thuwey…”.

Si strinsero la mano e l’abitante del Metallo la ritrasse all’istante, bestemmiando. Gli aveva dato la scossa. Lei parve davvero mortificata.

“Non mi era mai successo…scusa!” mormorò, tenendosi la punta delle dita sulle labbra.

“Bah…non fa niente, và!” brontolò Thuwey, stringendosi la mano dolorante e sentendo ancora la scossa che gli attraversava ogni parte del corpo.

“Sembra divertente…” parlò una terza voce.

“Per niente…” sibilò Thuwey.

“Posso provare? Io sono Mattehedike”.

La Roccia non ebbe la stessa reazione quando gli fu stretta la mano, anzi ridacchiò per il solletico. Il Metallo fissò entrambi, ritornando alla sua solita espressione lievemente minacciosa. Aherektess, principe del regno dell’Aria, entrò dalla finestra ed atterrò dolcemente sul pavimento azzurro chiaro. Si sistemò le piume con cura, guardando solo di striscio le altre persone nella sala. Uno dietro l’altro, entrarono nel palazzo senza dare tempo a Reishefy di salutarli e farsi salutare come voleva. Arrivò Idisi per il regno della Terra, che si fermò a metà del suo spicchio, senza dare troppa confidenza. Enki, spaventata dalla situazione, non si mosse dal porticato che stava sull’ingresso. Kassihell, rappresentante del Fuoco, guardò tutti di sottecchi, senza parlare. Stessa cosa fece l’abitante del ghiaccio, avvolto in un pesante mantello con cappuccio ricoperto della neve del suo mondo. Efrehem, appena entrato, salutò educatamente e si mosse verso la luce della finestra, fermandosi in quel punto, con le mani dietro la schiena.

“Manca solo il rappresentante dell’Oscurità…” mormorò, rincuorato dall’idea di non essere l’ultimo arrivato, e per interrompere il silenzio.

“Veramente io sono già qui…” parlò una voce.

Lo spicchio dell’Oscurità non aveva luce, non potendo entrare nessun tipo d’illuminazione dalla finestra. Lehelin, essendo del tutto fatta di ombra, non si poteva vedere ma, avvicinandosi al centro, rifletté con gli occhi argento la poca luce che la colpì. Si fermò, per non riceverne altra.

“Allora ci siamo tutti…” disse la Luce.

“Tranne il padrone di casa” aggiunse Kassihell.

E proprio in quel momento, come se fosse stato chiamato, il centro della stanza si alzò ed iniziò ad apparire il Signore dell’Ovest, sempre tutt’uno con il pavimento come il gemello dell’Est.

“Che bello! Sembra una grossa gelatina!” esclamò Reishefy.

Tutti la fissarono più che sconcertati da quella frase, compreso il Signore dell’Ovest.

“Sei bellissimo…posso toccarti?” continuò la ragazza.

Il padrone di casa rimase per un attimo immobile, senza rispondere, ma poi annuì, quasi sorridendo.La principessa dell’Elettricità allungò le mani e si mise a ridere, soddisfatta.

“Sembra davvero una grossa gelatina! Un’enorme caramella gommosa! È una sensazione stupenda! Toccatelo anche voi!”.

Ritrasse le mani quando notò gli sguardi di rimprovero degli altri. Le incrociò dietro la schiena e sussurrò uno “scusatemi” imbarazzato. Il Signore dell’Ovest ridacchiò divertito e si guardò attorno.

“Venite tutti quanti vicino a me” ordinò, notando come Enki e l’Oscurità fossero rimaste piuttosto indietro rispetto al resto del gruppo.

Lehelin si mosse, stringendo leggermente gli enormi occhi per adattarsi alla luce. Enki ci mise un po’ di più, spaventata com’era, ma alla fine raggiunse la sua postazione.

“Sedetevi” continuò l’Ovest.

“Per terra?” domandò Efrehem, stupito da quel comando.

“Sì. Sedetevi” fu la risposta.

Tutti si sedettero, notando come le distanze fra loro fossero piuttosto ridotte.

Il Signore li fissò, ruotando solo la parte superiore del suo corpo informe. Era identico al suo gemello, l’Est, con gli occhi che variavano continuamente di colore e luminosità, tranne per il fatto che l’Ovest era a spicchi colorati come il pavimento da cui emergeva.

“Sono lieto di vedervi. Siete stati puntuali, questo è importante…” iniziò, con voce bassa e vibrante “…come importante è la missione che vi apprestate a compiere. Prima di spiegarvi ogni cosa, vorrei che ognuno di voi si presentasse. Dovrete passare diverso tempo assieme e credo che il modo migliore per iniziare sia proprio imparare a conoscersi. Chi vuole iniziare?”.

Kassihell stava per obiettare. Solo l’idea di perdere tempo con giochetti idioti ed infantili lo irritava.

“Io! Inizio io!” si propose Reishefy, alzando la mano.

“Non avevo dubbi al proposito…” borbottò Thuwey.

“Prego…” acconsentì il Signore dell’Ovest, con un lieve cenno del capo traballante.

“Beh…ciao a tutti, io sono Reishefy. Sono la…non so…credo la ventesima figlia di Taranis, il re dell’Elettricità…”.

A quelle parole più di qualcuno si guardò con strani sorrisetti ed ammiccate, come a dire “si dà da fare il caro Taranis…”.

Reishefy non notò quelle facce e continuò il suo racconto. Si era alzata in piedi, con le mani dietro la schiena e la coda arricciata, attenta ad incrociare lo sguardo di tutti per verificare se le prestavano ascolto ed attenzione.

“…ho sedici anni e sono stata scelta per questo viaggio perché sono la più forte”.

“La più forte in cosa?” ridacchiò Aherektess.

“Se vuoi ti tiro una scossa nel culo e poi me lo dici tu…” sibilò lei, di risposta.

La principessa, sicura delle sue capacità, non aveva portato con sé alcun’arma. Le bastava la sua energia. Appoggiò le mani lungo i fianchi e sorrise, mostrando a tutti l’elettricità che scorreva fra i capelli bianco-dorati e la pelle nera. L’abito che indossava, dello stesso colore di capelli e unghie, era composto da ritagli di stoffa zigzagati e cuciti assieme. Era in due pezzi, con la gonnellina che le arrivava al ginocchio, con guanti coordinati che però lei aveva tolto. La ragazzina era molto minuta, quasi del tutto priva di forme femminili, scalza ma, assicurò, con le scarpe nello zaino.

Il Signore dell’Ovest le fece segno di sedersi e guardò Aherektess, sullo spicchio a fianco. Seduto a gambe incrociate sul suo colore azzurro, si alzò di malavoglia. Lehelin lo osservava con una strana espressione che nessuno volle interpretare, diversa dall’odio totale che trasmetteva Kassihell.

Vestito quasi del tutto di blu scuro, in tinta con i suoi capelli, una canottiera aderente e decorata con piccole fasce argento abbinata alle scarpe con suole alte e brillanti, guardò tutti con gli occhi rossi piuttosto accigliati. Mise le mani nelle tasche dei pantaloni neri, che avevano una specie di strascico che partiva dalla cintura. Una sorta di coda artificiale, forse per volare più agevolmente.

“Io sono Aherektess, gemello del regnante dell’Aria e figlio del defunto Denerìs. Gli amici mi chiamo Arek, per facilitare le cose. Darò io l’eventuale permesso a voi di fare lo stesso. Ho trentun anni e sono qui per mia scelta. Mio fratello Zameknenit non ha potuto obbiettare”.

Nessuno volle approfondire quella frase, notando l’espressione non proprio amichevole sul suo viso dalle guance scavate.

“Mi avevano detto che eri in coma…” parlò Thuwey.

“È così. Lo ero. Ma ora sono sveglio, e non ne voglio parlare” accompagnò quella frase con un’occhiataccia malvagia verso Kassihell, che contraccambiò.

“Voli?” squittì Reishefy.

“Come, scusa?” si stupì il principe.

“Puoi volare con quelle braccia?”.

“Sì. Sono entrato volando…”.

“Scusa…non l’avevo notato. Sono molto belle le tue piume” sorrise lei e lui azzardò un “grazie” borbottato, tipico di chi non si aspetta di sentirsi dire una frase del genere.

“Interessanti le tue armi…” notò, invece, l’abitante del regno del Metallo.

Il principe dell’Aria portava due spade identiche, leggermente ricurve, fissate sulla schiena da due fasce in cuoio scuro, i cui pomoli brillavano di luce azzurrina. Aherektess apprezzò molto quel commento e sorrise sinceramente al suo futuro compagno di viaggio. L’alto rappresentante dell’Aria si sedette e subito si alzò l’abitante del Ghiaccio.

Tolse il cappuccio e tutti i maschi presenti rimasero piacevolmente stupiti. La slanciata figura incappucciata era una bellissima ragazza bionda, con grandi occhi azzurri e forme prosperose.

“Salve a tutti” disse, sorridendo “Io sono Hanjuly, potete chiamarmi Han, o July, principessa del regno del Ghiaccio. Ho venticinque anni e sono qui perché mio fratello, Igorhay, il prescelto per questa missione, al momento della partenza ha fatto cambio di nascosto con me. Volevo davvero partire e poco mi importa se i miei genitori disapprovano”.

Con le mani infilate in candidi guanti di velluto, stringeva il largo colletto di pelo del lungo mantello bianco, come bianco ero lo spicchio in cui stava e gli alti stivali, anch’essi con risvolto in pelo, che calzava. Non era molto vestita sotto quella coltre pelosa, che le ampliava le spalle con lunghi ciuffi candidi. Indossava pantaloni corti azzurro pastello, col pelo bianco ai bordi, e una canottierina semitrasparente che lasciava intravedere un top bianco con decori lucidi. I capelli biondi, raccolti in una lunga treccia, le ricadevano sulle spalle morbidi, lungo tutta la schiena. Sorrise, con le labbra dipinte di una tonalità pallida di azzurro, lasciando andare la collanina con la pietra scura che indossava, e mise le mani nello zaino chiaro, senza guardare. Ne estrasse un bastone non molto lungo, che lei strinse con entrambe le mani. Chiuse gli occhi e lo girò sopra la testa, come una majorette, e ne spuntarono due lame trasparenti, a formare una sorta di cerchio.

“Questa è la mia arma” spiegò lei, con orgoglio “Ha la lama simile al ghiaccio. Roteando fra le mie mani, ti taglia in due!”.

Lo mosse rapidamente, facendo sobbalzare dallo spavento la rappresentante dell’Acqua che stava sullo spicchio accanto al suo. Hanjuly, dopo quella piccola dimostrazione, richiuse la sua arma semplicemente schiacciando un bottone senza colore e la ripose nello zaino. Sbatté i tacchi degli stivali fra di loro, con fare militare, e lasciò la parola a colei che stava sullo spicchio blu confinante al suo, quello dell’Acqua. Enki, vedendo che tutti gli occhi erano su di lei, arrossì dalla testa ai piedi e si rannicchiò, chinando la testa.

“Non avere paura!” tentò di rassicurarla il Signore dell’Ovest “Presentati. Come ti chiami?”.

“Io…io sono Enki” balbettò.

Stringeva le mani palmate fra loro, con nervosismo. La pelle, che sfumava verso il blu, quasi si perdeva sullo spicchio. Non aveva il coraggio di reggersi in piedi, consapevole di essere piccina anche se ritta in tutta la sua altezza. Continuò a guardarsi i piedi scalzi, anch’essi palmati, con la cresta rivolta all’indietro. Era vestita di verde smeraldo, con un abito brillante lungo fino a terra, a scaglie lucenti come la pelle di chi lo indossava, allacciato sulla spalla sinistra. Sulla destra aveva una tracolla in tinta con il vestito. Respirava a fondo, tentando inutilmente di non agitarsi troppo.

“Sono Enki…” riprese, dopo qualche minuto di silenzio “…e sono la principessa del regno dell’Acqua. Ho diciotto anni e…non so perché sono qui. Non volevo. Ma i miei genitori non hanno voluto sentire ragioni e perciò…eccomi”.

“Qual è la tua arma?” domandò Reishefy.

“Io…io non ho un’arma. Non so assolutamente combattere. Ma sono brava ad usare la magia del mio elemento. Mi arrangerò con quella…”.

“Dobbiamo farti da guardie del corpo?” sbottò Kassihell, arricciando il naso.

Lei non rispose. Gli occhi azzurri, tondi, leggermente sporgenti, da pesce, fissarono l’abitante del mondo del Fuoco quasi con supplica. Nessuno disse più nulla e si voltarono verso la rappresentante dell’Oscurità. Questa, seduta con i piedi dai tratti incerti rivolti verso il punto di principio del suo spicchio nero, mosse solo leggermente i grandissimi occhi argento. Era pura ombra, piccola e minuta, senza contorni chiari, con lunghissimi capelli fumosi ed in continuo mutamento, come nebbia. Accanto a lei si intravedeva uno zaino monospalla di colore nero, piuttosto piccolo rispetto a tutti i bagagli degli altri. Con le braccia che la sorreggevano e la schiena leggermente rivolta all’indietro, non si alzò in piedi ma si rizzò, incrociando gambe e braccia.

“Io sono Lehelin” parlò “Ho ventitré anni e sono la figlia di Ozymandias. Direi che non mi serve aggiungere altro”.

“Perché sei stata scelta tu?” incitò a proseguire il padrone di casa.

“Lo devo ancora capire. Ma l’idea di partire mi piace”.

“Tu non hai armi. Immagino che le doti di incantatrice, di cui tanto si favoleggia sul tuo popolo, siano il tuo aiuto…” azzardò Thuwey.

“Direi di sì. Non solo quelle. Avrai modo di vedere come combatto, ad ogni modo. Mi diverte…”.

A parlare, poi, fu l’abitante del regno della Roccia. Si alzò, divaricando leggermente le gambe e tenendo le braccia muscolose incrociate. Non era molto alto ma piuttosto massiccio. La sua pelle era, a tratti, dello stesso marrone dello spicchio in cui si trovava. Questo perché si era ingrossato leggermente, forse per auto-incoraggiarsi, ed ora braccia e petto, coperto solo da un piccolo gilet con motivi scozzesi come i pantaloni, presentavano tratti con spuntoni ed aree di roccia di colore sfumato fra il grigio e il marrone. Anche lui scalzo, sorrideva orgoglioso, mentre Lehelin gli fissava, incuriosita, il codino moro e le corna rivolte all’indietro. Disse di avere la stessa età della principessa dell’Oscurità ma fu interrotto quando affermò di essere il “campione scelto dal re”.

“Un campione?” si stupì Kassihell “Intendi dire che non fai parte della famiglia reale?”.

“No. Sono un guerriero del mio regno, non un principe” confermò Mattehedike.

“Finalmente! Mi sentivo fuori posto circondato da soli principini viziati e principesse da proteggere!” esclamò Thuwey, sorridendo.

“Ma come sarebbe a dire?!” riprese il principe del Fuoco“A me è stato detto che solo un componente della famiglia reale poteva prendere parte a questa missione!”.

“Beh…evidentemente ti han preso per il culo!” lo sfotté Aherektess, gongolando.

“Maledetto bastardo traditore! Mi sentirà quando tornerò a casa!”.

“Sicuro di non essere stato tu a capire male? Si sa che voi di Fuoco brillate di fiamma ma non di intelligenza…” ghignò il principe dell’Aria.

“Senti un po’, piumino ambulante, vuoi che ti spiumi?”.

“Provaci, fiammifero spettinato!”.

Kassihell scattò verso il suo avversario, ed Aherektess era pronto a contrattaccare ma il Signore dell’Ovest aumentò di dimensioni e mostrò tutto il suo disappunto, facendoli tornare ai loro posti.

“Tornando a noi…” sbottò, poi, il padrone di casa “…dove eravamo? Credo tocchi a lei, gentildonna della Terra. Si presenti, e perdoni questa interruzione imprevista. Questo se Mattehedike non ha altro da aggiungere…”.

“Con cosa combatti?” parlò Hanjuly, senza aspettare la fine del discorso.

“Con questi” rispose il rappresentante della Roccia, stringendo i pugni.

“Interessante…” commentò la principessa del Ghiaccio, apprezzandone la muscolatura e fissandolo negli occhi scuri con aria maliziosa.

“Ora posso presentarmi?” sorrise la Terra, notando il silenzio.

“Prego, madama. Non ho altro da aggiungere” la Roccia le fece un lieve inchino e passò il turno.

Lei si alzò, staccandosi dal suo spicchio verde brillante. Era alta, anche se non come Hanjuly, e guardò tutti con grandi occhi giallo paglierino. L’Oscurità non la guardò, infastidita dal riverbero dell’abito dorato e piumato che portava. I lunghi capelli verde scuro li aveva decorati con una piccola coroncina di fiori, che non appassiva grazie alla vena di linfa che scorreva lungo la schiena della donna. L’abito in oro, con pietre e piume variopinte, era abbinato a polsini di uguale fattura ed un paio di sandali alti a lacci incrociati. Accentuava le sue forme già piuttosto evidenti.

“Io sono Idisi” si presentò “Ho trentaquattro anni, sono la maga di fiducia dei reali della Terra. Non sono qui per mia volontà ma perché il destino mi ha scelto. Vedremo cosa avrà in serbo per me…”.

Fra le mani verde chiaro stringeva una sorta di grosso remo in legno.

“Questa è la mia arma” spiegò, prima di sentirsi rivolgere qualsiasi domanda “E vi assicuro che fa molto male se sbattuto contro uno dei vostri testoni”.

Guardava soprattutto i maschi della compagnia, in particolare quelli che stavano per picchiarsi.

Tornò a sedersi senza aggiungere altro, sorridendo con le sue labbra dello stesso colore dei capelli. Aherektess non ebbe il coraggio di chiederle quale bestia avesse spiumato per farsi il vestito, temendo di sentirsi rispondere che provenivano dalle braccia del suo popolo alato.

“Bene, bene, bene…a quanto pare tocca a me!”.

Il rappresentante del Metallo stava seduto in modo decisamente scomposto e si rizzò in piedi lentamente, quasi controvoglia. I capelli neri, lunghi fino al ginocchio, frusciarono sullo spicchio argento mentre il loro padrone si alzava, accompagnato da un forte rumore di catene. Portava un cappotto lungo fino ai piedi, nero, che scopriva in parte petto e spalle, permettendo di vedere l’aderente maglia a collo alto che portava sotto, anch’essa di colore nero. Il cappotto, stretto in vita da un’ampia cintura e con larghe maniche, era pieno di catene ed anelli di metallo. Ovviamente aveva tutti gli spazi necessari per lasciare scoperti gli spuntoni metallici del corpo dell’uomo. Le gambe erano interamente protette da un’armatura argento, la stessa che ricopriva gli stretti e lunghi piedi del suo padrone, terminante a punta. Era il più alto del gruppo, probabilmente sfiorava i due metri d’altezza. Pareva quasi una statua, con quella pelle grigia.

“Io sono Thuwey” ghignò, alzando il colletto del cappotto ed agitando leggermente le lunghe orecchie a punta “Farò trent’anni fra non molto e sono il capitano delle guardie della regina del Metallo. Sono un orfano, a differenza della maggior parte di voi che è nato e cresciuto ben coccolato, e quindi sono pronto ad affrontare ogni situazione. Ho dovuto lottare per ottenere qualsiasi cosa nella mia vita e non avrò certo problemi a farmi un giretto per Asteria, anche se i miei compagni di viaggio sarete voi”.

Mattehedike non disse nulla, pur sentendosi leggermente offeso, avendo avuto anche lui un’infanzia per nulla semplice. Kassihell lo fissò con odio ma non parlò, ripetendosi che era suo alleato.

“Le tue armi?” si limitò a commentare Lehelin.

“Se avrò modo di usarle, ne rimarrete piacevolmente stupita, damigella d’Ombra”.

Si sorrisero, con cenni d’intesa, apprezzandosi gli stili a vicenda.

“Mio alleato…a te la favella!” concluse il Metallo, guardandolo con occhi ramati e tornando a sedersi in modo decisamente poco elegante e senza grazia, fra un forte rumore di catene e ferro.

“Io sono Kassihell. Non appioppatemi nomignoli scemi, tipo Kassy o Helly, perché mi fan andare in bestia” iniziò il Fuoco, rimanendo inginocchiato sul suo spicchio rosso.

Non era molto alto, alla pari della Roccia, e nemmeno grosso. Il suo sguardo, però, era sicuro, minaccioso ed incuteva rispetto, oltre che timore. Di certo era estremamente sicuro di sé e delle sue capacità, non a torto.

“Sono sposato” continuò “Ho tre bambini, due maschi ed una femmina. Sono un trentaseienne e sono qui perché mi ci hanno costretto. Non avrei mai voluto allontanarmi dalla mia famiglia”.

“Questa è una cosa interessante…” parlò Efrehem.

“Cosa? Cosa è interessante?” domandò il Fuoco, senza capire.

“Non collegavo, fino ad ora, l’elemento che rappresenti all’amore per la famiglia…”.

“Non so dove tu voglia arrivare, piccoletto, ma ti consiglio di dosare per bene le parole. Tipiche del mio elemento sono di certo l’aggressività, l’irascibilità e tutto il resto…”.

“Non siamo qui per litigare!” mise le mani avanti l’abitante della Luce e Kassihell si rilassò leggermente, pur rimanendo perennemente accigliato.

Era vestito in rosso, con una maglia semplice, grezza, a maniche larghe, aperta a V mostrando alcuni guizzi delle fiamme tatuate su tutto il corpo del suo proprietario. Un laccio della stessa tonalità, ma più scura, la chiudeva, incrociandosi. Lunga fino alle ginocchia, la maglia era stretta in vita da una cinta ampia, in stoffa, di colore nero al quale era agganciata una splendida Katana con elsa e fodero rosse e oro. Il Metallo guardava quella spada come un bambino ammira il giocattolo nuovo ma non disse una parola. Kassihell, però, notò quello sguardo e la sfoderò, permettendogli di venerarla. Thuwey gongolò, facendo apprezzamenti sulla fattura della lama.

“Belli i pantaloni” commentò Reishefy.

“Grazie. Li ha fatti mia moglie” rispose il Fuoco.

Erano neri, con ampie tasche, e dal ginocchio in giù portavano decori fiammeggianti che sfumavano dal giallo-oro al rosso cupo. Erano molto larghi e coprivano quasi tutti i piccoli piedi di Kassihell, infilati in sandali ad infradito di colore scuro.

“Certo che potevi anche pettinarti…” sibilò l’Aria.

“E tu potevi anche stare a casa. Tanto sei inutile…e fastidioso!”.

“Mai quanto te!”.

“Potete evitare di ricominciare?!” interruppe l’Ovest “Lasciate che l’ultimo di voi si presenti”.

L’ultimo rimasto era Efrehem, sul suo spazio dorato, che si alzò inchinandosi con profondo rispetto.

“Sono Efrehem. Ho da poco compiuto ventiquattro anni. Mio nonno è Friedrik, il re del regno della Luce. Come Enki, non sono un guerriero. Sono un principe, un principino. Sono stato scelto perché, oltre ad un ottimo uso delle arti magiche legate al mio elemento, rappresento ciò che di più importante è legato al mio mondo: la sapienza. Verune possono sembrare le mie parole, vacue. Ma vi posso assicurare che ho tentato di approfondire ogni aspetto possibile della Grande Madre Asteria. Ammetto e confesso di non aver mai messo piede fuori dal mio palazzo prima del giorno in cui incominciò il viaggio che mi ha condotto qui. Non saprei da che parte iniziare se qualcuno di voi mi ordinasse di impugnare una qualsiasi arma ed usarla ma vi posso assicurare che in tutto il reame della Luce non c’è maggior rappresentante di quell’elemento di me. La Luce non è solo quella della stella del giorno. La Luce che io possiedo è quella della conoscenza e…”.

“Abbiamo capito! Quanto parli!” lo interruppe Kassihell, ridacchiando.

“Sì, infatti. Abbiamo capito…” aggiunse Thuwey “…sei un topo di biblioteca! Sai a memoria libri su libri, cose su cose, ma non sapresti difenderti nemmeno da un animale insignificante ed innocuo come quello che fa le uova per la mia colazione!”.

“Bella questa!” rise Kassihell, ed i due uomini si sorrisero, prima di darsi il cinque reciprocamente.

Efrehem non rispose a quella provocazione. Strinse i pugni. Sapeva di non poter spaventare nessuno con la sua corporatura gracilina e la bassa statura. Per non parlare degli enormi occhi arcobaleno, di cui in quel momento prevaleva il verde.

“Certo che…se sapevo che mi toccava fare da babysitter, nemmeno mi muovevo da casa!” protestò il Fuoco, notando con fastidio di essere il più vecchio del gruppo.

“Se sei vecchio di certo non puoi farcene una colpa!” sbottò Aherektess.

“Tu oggi le prendi, sai?” gli ringhiò contro Kassihell.

“Sicuro di farcela? Magari i reumatismi…” rimbeccò l’Aria.

“Basta…” sospirò il Signore dell’Ovest.

Tutti fecero silenzio e poi il padrone di casa sorrise, soddisfatto.

“Ora che vi siete presentati, posso illustrarvi nei dettagli la vostra missione” disse, con impeto.

 

†††

 

Tutti seduti in cerchio, più o meno composti, i rappresentanti dei vari regni ascoltarono le parole del Signore dell’Ovest, alzando la testa verso l’alto perché questi si era notevolmente ingrandito, forse per darsi maggiore enfasi.

“Chi di voi usa regolarmente la magia, si sarà accorto che qualcosa è cambiato. Non è più come un tempo. Più debole, meno gestibile e con un prezzo sempre più alto da dare in cambio, la magia si sta contaminando, mutando, liberandosi dal nostro controllo” parlò l’Ovest.

Molti dei presenti annuirono.

“La magia è strettamente legata ad Asteria ed a tutti i suoi abitanti. È un pianeta delicato, equilibrato ma fragile. Malato dall’interno. Dato che è il mondo su cui viviamo, è di estrema importanza guarirlo al più presto”.

“Bene! Come si fa?” esclamò Kassihell, impaziente come sempre.

“Purtroppo né io né il mio fratello dell’Est abbiamo la risposta esatta a questa domanda. Ma sappiamo come farci guidare”.

“Faremo il necessario. Si era parlato di un viaggio per Asteria…” si intromise Reishefy.

“Le tue informazioni sono esatte, principessina elettrica. L’unico modo per farci dare il giusto suggerimento per salvare Asteria, è raggiungere tutti i luoghi proibiti del pianeta. Lì sono custoditi degli oggetti fondamentali per l’evocazione”.

“I luoghi proibiti?!” si allarmò Enki “Ma non sono pericolosi? Insomma…saranno proibiti per un motivo…oppure no?”.

“E, soprattutto…” sbottò il Fuoco“…non può ognuno andare nel proprio regno, prendersi l’oggetto proibito e venire qua? Staremmo molto di meno così…”.

“Fosse così semplice, figlio delle fiamme, avrei incaricato i vostri sovrani di farvi giungere qua già con gli oggetti fra le mani. Ma non è di certo così. Ogni luogo proibito necessita la presenza di creature di altri regni, estranee a quello in cui risiede. Non sono in grado di dirvi molto di più, sono proibiti anche per me ed il mio gemello”.

“Ed in base a cosa potremmo entrarci noi??!!” esclamò Thuwey.

“Una profezia” rispose l’Ovest, guardando Efrehem “Una profezia, scritta secoli e secoli fa, dice che i maggiori rappresentanti magici dei vari regni possono accedervi. È evidente che un gruppo come il vostro si viene a creare solo in casi d’emergenza”.

“Cosa otteniamo con questi oggetti? Evochiamo cosa?” si informò Idisi.

“Una volta raccolti tutti gli oggetti, potrete evocare la Grande Madre Creatrice, colei che ha generato Asteria Ere fa. Solo lei saprà dirci come aiutarci”.

“La mia regina mi ha spiegato che, forse, la colpa è delle creature di sanguemisto nate dall’unione di abitanti di regni diversi…” parlò di nuovo Idisi.

“Non possiamo esserne certi, ma con molta probabilità è così. Questi esseri usano l’energia di Asteria in modo diverso, impuro. E questo comporta notevoli sconvolgimenti nel delicato equilibrio del pianeta in cui viviamo”.

“E non basterebbe eliminarli?” sbottò Kassihell.

“Se non sbaglio, Taranis aveva proposto la stessa cosa e ti risponderò allo stesso modo: no! Innanzi tutto perché non sono sicuro che sia del tutto colpa loro. E poi alla Creatrice non piacerebbe di certo. Inoltre, se queste creature sono molto forti come temo, uccidendole creeremmo solo un ulteriore squilibrio. Meglio andare sul sicuro, se mi permettete il termine”.

“Cosa dobbiamo aspettarci all’interno delle zone proibite?” si informò Aherektess, ricordandosi tutte le storie spaventose che gli raccontavano da piccolo su quei luoghi.

“Non ve lo so dire. Di certo non sarà una passeggiata la vostra…siete stati scelti per questo! Siete i più forti, i più preparati, i migliori del pianeta. Se riuscirete a viaggiare assieme in modo produttivo, senza uccidervi a vicenda per intenderci…” e guardò Fuoco e Aria “…allora sono sicuro che tutto andrà per il meglio”.

“Sì ma se la Creatrice ci affida, poi, altro da fare? Tipo andare a sacrificare l’unicorno magico o il folletto dispettoso?” azzardò Kassihell.

“Noto una certa ironia nelle tue parole…” borbottò il Signore dell’Ovest, alzandosi ulteriormente e ripiegandosi sopra il rappresentante del Fuoco fino quasi a sfiorarlo.

“Certo che c’è dell’ironia” sbottò il Fuoco, con una smorfia “Io non ho mai usato la magia, ho sempre combattuto e vissuto con le mie forze e le armi. In quanto agli Dèi…non ho mai fatto particolare affidamento su di loro”.

“Quindi cosa proponi? Di stare lì fermo a guardare?” si stupì Efrehem, trovando inconcepibile l’idea di non usare la magia.

“Piuttosto che questo teatrino di santi e maghi…”.

“Io, secondo te, da cosa sono composto?” domandò il Signore dell’Ovest.

“Gelatina, forse, come disse Reishefy. Energia, aria colorata…non lo so…”.

“Magia! Io vivo grazie alla magia stessa del pianeta!”.

“E tu stai bene, quindi sta bene anche il resto del Mondo!”.

Erano quasi tutti sconcertati da quei discorsi.

“Dici, forse, che la magia non esiste?” continuò il padrone di casa.

“Dico che, forse, ne posso fare anche a meno!”.

“E come credi di sopravvivere al Fuoco del tuo regno?”.

“Non ha niente a che fare quello con la magia. Si chiama evoluzione…ed il sapiente nanerottolo della Luce dovrebbe saperlo meglio di me. Il mio corpo, e quello degli abitanti del mio regno, si è adattato per vivere nel suo elemento. Magia o non magia. Come quello dell’Aria ha sviluppato le ali, quello dell’Elettricità la capacità di sopportare le scosse che gli danno energia eccetera…”.

Efrehem non poté fare a meno di annuire, concordando con la tesi del Fuoco.

“Tuttavia…” volle aggiungere l’abitante della Luce “…non posso non sentire il forte legame che ho con Asteria e la forza che lei mi dà. Ed ho percepito l’indebolimento di questa forza. Se poi tu non la usi è un’altra faccenda. Questo pianeta vive grazie agli equilibri della magia e quindi, se questi venissero a mancare, lentamente morirebbe”.

“Io ho notato che il Ghiaccio è più debole, più fragile…non è che per caso hai notato che anche il Fuoco ha dei problemi?” suggerì Hanjuly.

Kassihell rimase in silenzio, per qualche istante, pensando alla più grande montagna del suo regno le cui eruzioni non erano da tempo quelle di una volta. Annuì, con scarso impegno.

“Quindi siamo d’accordo tutti quanti che dobbiamo fare qualche cosa. Tutto il pianeta è in pericolo e prima partite meglio è!” tuonò l’Ovest, gonfiandosi, stanco delle chiacchiere.

“Quindi, se ho capito bene, dobbiamo partire, raggiungere ogni singolo luogo proibito di Asteria, uno per regno, raccogliere l’oggetto in esso custodito e poi evocare la Creatrice?”.

“Esatto. Lei ci dirà cosa fare e, qualunque cosa sia, la faremo per salvare Asteria”.

“Wow…dobbiamo salvare il Mondo!” ironizzò Thuwey, tentando di far sorridere i presenti, preoccupati da ciò che avrebbero dovuto affrontare.

“Scusi ma…come possiamo tutti noi andare per i regni assieme? Io, ad esempio, abitante del Ghiaccio, come posso entrare nel mondo del Fuoco?”.

“Siete un gruppo. Vi aiuterete a vicenda. Ricordate che, alla fine, dovrete esserci tutti quanti, tutti e dieci, per portare a buon fine l’evocazione. Perciò vi conviene sopravvivere e far sopravvivere gli altri! Tentate di fare le persone adulte!”.

Il tono di voce dell’Ovest era decisamente infastidito, stufo e non abituato alla gente.

“Ma come? Saremo noi a fare l’evocazione? Pensavo ci pensaste voi fratelli…” si stupì Efrehem.

“No. Ci penserete voi. Qui c’è scritto tutto ciò che vi serve. Buona fortuna”.

Il padrone di casa tagliò corto. Sparì, rientrando nel terreno, ed al suo posto, al centro della stanza dove si incrociavano tutti gli spicchi, apparve un grosso libro dalla copertina sciupata.

 

†††

 

Gli sguardi dei presenti si rivolsero tutti verso Efrehem, rappresentante della Luce.

“Che c’è?” sbottò il ragazzo “Voi non sapete leggere?”.

“Hai detto tu di essere il saggio ed il sapiente. Fai il tuo lavoro!” rispose Aherektess.

Efrehem prese quel grosso libro fra le mani e lo aprì, cautamente. Aveva notato quanto fosse antico e temeva di rovinarlo. Sospirò. La lingua in cui era scritto era molto vecchia e complicata. Borbottò qualche parola nella lingua delle creature della Luce ed abbozzò una traduzione.

“Non mi sembra molto chiaro, come libro…”.

“Dice da quale elemento deve partire il viaggio?” domandò Idisi ed Efrehem scosse il capo.

“Parla per enigmi” spiegò “Ed è piuttosto complicato da tradurre…come potete vedere è scritto nel linguaggio antico, quello che ha dato vita alla lingua universale di Asteria che tutti noi parliamo”.

“Per fortuna! Altrimenti, se ognuno parlava solo la lingua del suo popolo, come ne uscivamo?” constatò Hanjuly, con il suo accento duro sulle occlusive.

“Concordo. Ma, ad ogni modo, se ci è stato dato quel libro sarà per una ragione, no? Oppure è solo decorativo?” disse Mattehedike, incrociando gli occhi davanti alla strana scrittura sui fogli.

La Luce lesse fra sé alcune pagine e tentò di riassumerne il contenuto.

“Illustra alcuni passaggi, come una specie di avvertimento su ciò che potremmo scatenare se rompiamo l’equilibrio. È piuttosto catastrofico…ma riguardo alla nostra missione non dice praticamente nulla se non che servono dieci elementi per evocare la Creatrice”.

“Fantastico! Un libro inutile! Se possiamo partire da dove ci pare, allora partiamo! Cosa stiamo aspettando?” sbottò Kassihell.

“Ci vuole un po’ di criterio, non trovi?” lo bloccò Idisi.

Il Fuoco sbuffò, Reishefy con lui, ed incitò tutti quanti a darsi una mossa.

“Per prima cosa direi che bisogna stabilire una rotta” iniziò Efrehem “Avete tutti una piantina del vostro regno?”.

Tutti annuirono e la estrassero.

“Molto bene” continuò Efrehem “Potremmo iniziare dal punto proibito più vicino e poi procedere per ordine…che ne dite?”.

“E chi stabilisce qual è il più vicino? Queste piantine son tutte in scale diverse” fece notare Thuwey.

“Io ho un’idea!” esclamò Idisi, sorridendo “Io sono una maga e porto sempre con me le carte. Ho un mazzo in cui ci sono tutti gli elementi qui presenti, rappresentati ciascuno da un colore diverso. Posso mescolarle, lanciarle in aria e vedere quale carta sarà quella in cima, quella non coperta da nessun’altra. Così facendo sarà il destino a decidere…”.

“Non è un metodo molto logico ma…può andare” acconsentì Efrehem e gli altri annuirono.

La Terra iniziò a mescolare le carte, dopo aver mostrato a tutti di averne una per elemento, e le lanciò in aria. Ricaddero dolcemente, quasi cullate da una forza sconosciuta. Alcune si sparsero lontane rispetto alle altre, la maggior parte rimase coperta, rivolgendo il lato neutro ai presenti. Non ci furono dubbi su quale fosse l’elemento prescelto. La carta più in alto, scoperta e predominante, era quella nera dell’Oscurità.

Lehelin non si mosse, infastidita dall’idea di tornare già da dove era scappata, mentre Idisi riponeva le carte con cura, legandole.

“E che Oscurità sia!” confermò Reishefy, felice nel vedere che le cose andavano avanti, ansiosa di partire e muoversi.

“Un momento!” fermò tutti quanti la Luce, notando che più di qualcuno già si alzava dal proprio spicchio “Non sarebbe il caso di nominare un leader? Un capo, insomma…l’apri fila!”.

“Giusto” concordò Kassihell “E dal momento che sono il più vecchio, direi che il capo sono io!”.

“Non se ne parla! Se comandi tu, io torno a casa!” protestò Aherektess.

“Infatti! Chi lo dice che devono sempre comandare i più vecchi? Io sono giovane, dinamica e piena di energia. Tutte qualità che deve avere un leader!” squittì Reishefy.

“Ma se sei nata ieri?!” la derise Mattehedike “Un capo dev essere paziente, calmo, forte e determinato. Tutte cose in cui io sono il campione, come rappresentante della Roccia!”.

“Mi permetto di dissentire” interruppe Idisi “In quanto a pazienza e calma, noi della Terra vi battiamo di sicuro, mi spiace”.

“Una donna non può fare il capo!” rise Aherektess.

“E questo chi l’ha stabilito, piccione dipinto?” si arrabbiò Hanjuly, alzandosi ed incrociando le braccia, offesa.

“Se volete il migliore a combattere, di sicuro quello sono io” affermò Thuwey, rimanendo seduto, apparentemente tranquillo.

“Non farmi ridere!” sibilò Mattehedike ed il Metallo si alzò, punto nell’orgoglio, quasi ringhiando. Enki notò, allarmata, che stava mutando d’aspetto, aumentando la superficie metallica su di sé.

Efrehem sospirò. Si pentì di aver pronunciato la frase che aveva scatenato tutto quel caos, ma era necessario avere un capo. Guardò Lehelin, rimasta seduta con l’espressione di chi ha la testa altrove, ed ebbe un’idea.

“E se ci dessimo i turni?” propose.

Tutti si fermarono, smettendo di urlarsi contro od insultarsi, e lo fissarono con aria interrogativa.

“Il primo regno in cui andremo sarà l’Oscurità, perciò sarà Lehelin a guidarci. Sarà lei il capo. Nel dominio successivo, sarà il rappresentante di quel regno a fare il leader. Che ne dite?”.

“Mi sembra un’idea sensata” annuì Idisi, dopo alcuni attimi di silenzio, senza aver perso la sua proverbiale calma nemmeno per un istante.

“Allora è deciso. Principessa Lehelin, a lei il comando. Il viaggio comincia!”.

Con un inchino, Efrehem parlò, dopo un profondo respiro per prepararsi all’assenza totale del suo elemento, ed i dieci si portarono sullo spicchio nero. Lehelin si alzò lentamente, controvoglia, e fece strada. Spalancò la porta del suo regno ed il buio avvolse il gruppo.

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Capitolo 4
*** IV- Oscurità ***


IV

 

L’Oscurità avvolse il gruppetto come una coltre impalpabile in cui si tuffarono, con più o meno timore. Nero, soltanto nero, era quello che riuscivano a vedere.

“Siamo in una foresta” avvertì Lehelin “Perciò state molto attenti a non perdervi. Ci vivono creature non molto raccomandabili…”.

“Come te?” ironizzò Aherektess “Siete famose, voi donne dell’Oscurità. Come silfidi sapete ingannare ed ottenere ciò che desiderate!”.

“Ma le silfidi possono anche essere molto gentili, con chi vogliono, ovviamente!” la difese Efrehem “Ho una domanda, però…” continuò “…come fanno gli alberi a sopravvivere? Senza la luce di Sirona intendo…”.

“Non solo la stella del giorno può dare loro i raggi che necessitano. Presto sorgeranno i consorti Nikkal e Jarih, gli Sposi che muovono i due satelliti di Asteria. È la loro luminescenza a dare nutrimento alla foresta”.

“Interessante…” mormorò Efrehem, annotandoselo mentalmente in testa con l’intento di riportarlo sul libro bianco che aveva portato con sé.

Lehelin fece per proseguire ma dovette subito fermarsi. Thuwey, dal fondo della fila, canticchiava allegramente “Non ci vedo un cazzo” per farle notare che non l’avrebbero mai potuta seguire.

“Direi che la lucciola…” iniziò Kassihell, riferendosi ad Efrehem “…deve stare in coda. È un ottimo punto di riferimento. Sapremo tutti che dobbiamo precederlo e, se ce lo vediamo davanti, fermiamo tutti e ci riuniamo al gruppo”.

“Avanti e dietro mi sembrano punti di vista relativi in queste situazioni” notò Idisi.

“Infatti. E poi perché proprio io in fondo alla fila?!” protestò la Luce “Non può andarci l’Elettricità? Anche lei si illumina con le scosse!”.

“Ma la tua luce è più forte e, se stai davanti, disturbi l’Oscurità che deve guidarci” sbottò Kassihell, avendo già perso la pazienza dopo la prima frase.

“Allora formiamo una fila” disse Reishefy “Io davanti, accanto all’Oscurità, e voi dietro. La Luce in coda. Potremmo tenerci per mano, così non ci perdiamo”.

“Io non prendo per mano nessuno. Specie se stai tu in testa e trasmetti le scosse a tutti!” sibilò Thuwey, ricordando ancora la stretta di mano nel palazzo dell’Ovest.

“Perché non usare le catene del Metallo?” propose Hanjuly.

“Spiegati…” si incuriosì quell’elemento, sentendosi chiamare in causa.

“Quanto sono lunghe le catene che hai sulle vesti, se le srotoliamo?”.

“Diversi metri, direi…”.

“Benissimo! Allora Lehelin, che ci vede col buio, può legarci con quelle. Così facendo saremo tutti incatenati e non ci perderemo!”.

“Idea geniale!” concordò Efrehem, sorridendo, quasi chiedendosi come mai non ci aveva pensato prima lui.

Thuwey non era molto d’accordo ma, prima che potesse ribattere, sentì il gelo dell’Oscurità che sganciava le catene e le srotolava, con una gran confusione.

“Tu, stai nel mezzo. Fermo qua!” gli ordinò, facendogli spalancare le braccia.

“Occhio a quello che tocchi…” ironizzò lui.

“Stupido!” lo zittì lei ed iniziò a legare gli altri.

Dietro al Metallo legò, nell’ordine, Aria, Roccia, Fuoco e Luce. Davanti Ghiaccio, Acqua, Terra ed Elettricità. Afferrò l’estremità e chiese se erano tutti pronti.

“Hai diviso maschi e femmine?” domandò Aherektess, per nulla contento di avere una catena al polso che lo tirava da tutte le parti poiché, ovviamente, avevano già iniziato a tentare di darsi fastidio in ogni modo.

“Ho messo la Terra dietro all’Elettricità perché così le scosse non passano oltre. Il Ghiaccio accanto al Metallo perché non gli crea problemi e…” iniziò a spiegare Lehelin.

“Hai la gnocca davanti, brutto raccomandato?!” protestò Mattehedike.

“Finitela! Partiamo!” gridò una voce dal fondo, molto probabilmente Kassihell.

“Dicevo…” riprese Lehelin “…il Fuoco accanto alla Luce, dato che non si danno fastidio, e gli altri di conseguenza. Se non ti sta bene, puoi anche sganciarti ed arrangiarti da solo”.

Aherektess tacque. Qualcuno tirò uno strattone ed il suo braccio scattò in avanti, andando a colpire Thuwey. Ovviamente il Metallo non gradì la cosa e ringhiò, pronto a mostrargli che era l’unico con entrambe le mani libere, avendo le catene agganciate in vita.

“Non cominciate là dietro!” li fermò subito Idisi.

“UNO!” gridò Lehelin.

Reishefy capì al volo e rispose, anch’essa urlando, con un potente “DUE”. Gli altri si unirono alla conta e l’Oscurità partì non appena ebbe udito il deciso “DIECI” di Efrehem.

“Che brutto il numero sei…” brontolò il Metallo.

“Finiscila di lamentarti o ti ghiaccio le palle…così almeno avresti un motivo per poterti lagnare!” lo minacciò Hanjuly, che lo precedeva.

L’inizio della marcia non fu affatto semplice. Non potendo vedere dove mettevano i piedi, molti inciampavano trascinando con sé gli altri. Reishefy pareva divertirsi un sacco. Molto meno Enki, che temeva di farsi male, Efrehem che cadeva sul Fuoco che aveva la pelle bollente e Aherektess che veniva minacciato di morte continuamente dal Metallo perché osava toccarlo.

“Quanto durerà questa cosa?” domandò Efrehem.

“In che senso?” gli rispose Lehelin, alzando la voce per farsi sentire.

“Intendo dire: fra quanto finirà la foresta ed avremo sotto i piedi un terreno più solido?”.

“Calcolando che il mio regno è quasi tutto così…direi che "questa cosa" durerà parecchio. Del resto non ne ho colpa se non ci vedete…”.

La Luce rabbrividì, ma si consolò lodandosi perché aveva immagazzinato un sacco di energia e poteva rimanere illuminato ancora a lungo. Riduceva al minimo, però, la sua luminescenza per non sprecare preziose risorse in quell’elemento opposto. Questo gli impediva di riuscire a vedere dove metteva i piedi e cosa aveva davanti al naso, oltre alla schiena di Kassihell, ovviamente.

“Cantiamo qualcosa per passare il tempo?” propose Reishefy, saltellando.

“Ti prego, no! E piantala di saltare!” grugnì Thuwey.

“Antipatico!” si imbronciò l’Elettricità.

“Però un modo per passare il tempo potremmo trovarlo…magari una filastrocca!” propose Hanjuly “…che ne dite di un gioco di memoria? Ognuno dice una parola e quelli dopo se la devono ricordare ed aggiungerne altre…che ne pensate?”.

“Sembra carino…” commentò Idisi.

“Ve lo sconsiglio” ammonì Lehelin.

“Perché?” miagolò Reishefy.

“Perché questa foresta è piena di creature che, a differenza di voi, ci vedono benissimo e, per capire dove sono, bisogna sentirle. Sentire i loro passi ed il loro respiro. Dubito che facendo baccano potremmo risolvere un granché…”.

“Ma facendo baccano non le spaventiamo?” domandò la Luce.

“Se un insetto fa baccano, tu scappi?” gli rispose l’Oscurità ed Efrehem deglutì, capendo ed immaginando le dimensioni delle creature di cui parlava la principessa.

“Sì, però che noia! In silenzio fino alla meta…” piagnucolò Reishefy.

“Imbavagliamola” sbottò il Metallo ed il Fuoco acclamò la proposta.

“Nessuno verrà imbavagliato! Ed adesso muovetevi!” ordinò Hanjuly, sicura che, se avessero imbavagliato l’Elettricità, lei sarebbe stata la prossima.

“E se una di queste creature…” spezzò i pochi attimi di silenzio il Fuoco “…così grosse e spaventose, ci portasse in fretta alla meta?”.

“Sarebbe un’idea…” si unì Mattehedike.

“Scusate la domanda…” fu la risposta dell’Oscurità “…ma la vostra ombra vi ha mai portato da qualche parte?”.

“Intendi dire che quelle bestie son fatte di ombra impalpabile?” si stupì Efrehem.

“Non proprio impalpabile…ma diciamo che il peso della Roccia non lo reggono di sicuro”.

Dopo aver capito che nessun’animale di quel regno li avrebbe potuti aiutare, i dieci ripresero la marcia, più o meno in silenzio. Le catene producevano un suono decisamente sinistro nel buio totale, Enki rabbrividì. Efrehem, non abituato a camminare a lungo, iniziava ad avere male ai piedi ma non disse nulla, per non adirare il suo già scocciato predecessore nella fila.

“Ditemi quando vi serve una pausa, perché io non ne faccio se non me lo fate notare” informò la capofila, senza voltarsi.

Nessuno disse una parola, desiderosi di proseguire ma, soprattutto, evitando in ogni modo di far nascere una nuova rissa.

Il primo ad accorgersi del cambiamento in atto, fu il Metallo.

“Ci vedo…” disse, stupito “…non benissimo ma qualche contorno, in argento, lo percepisco”.

“Ti sarai abituato al buio…” ipotizzò Efrehem.

“Hei! Anch’io ci vedo!” esclamò Hanjuly.

“Sì, vero…solo qualche contorno ma non più buio totale” si unì Aherektess.

“Salutate gli Sposi della notte” parlò Lehelin, indicando le due Lune del pianeta che sorgevano ed i cui raggi penetravano fra gli alberi neri.

“Nikkal, la Sposa, quella leggermente più piccola e luminosa, sorge da nord e si incontra con il suo Sposo, Jarih, a metà del cielo. La loro luce argento è l’unica che si può incontrare in questo regno. Dovreste conoscerle, però. Sono le Lune di Asteria!”.

“Io non le avevo mai viste. Nel mio mondo non è mai notte” commentò, ammirato, Efrehem.

“Ed io non ci avevo mai fatto particolarmente caso…” ammise Mattehedike.

“Oggi gli Sposi dovrebbero essere entrambi in plenilunio…” azzardò Thuwey e Lehelin confermò, lieta che almeno un altro del gruppo guardasse il cielo.

Aherektess parve reagire male a quelle parole. Come se “plenilunio” gli facesse venire in mente ricordi non graditi. Quelli della sua specie non volavano mai con il buio, perciò non ricordava quando si ripetevano i cicli lunari, e guardò verso Jarih, lo Sposo, con tristezza.

Lehelin lo notò ma non parlò, suggerendo al gruppo di rimanere incatenato. C’era foschia e, se una nuvola avesse coperto le Lune, si sarebbero ritrovati di nuovo al punto di partenza.

Enki lanciò un’esclamazione improvvisa di meraviglia. Gli alberi, colpiti dai raggi, avevano aperto i loro fiori argento, che brillavano come stelle. Solo il Metallo parve accorgersi che anche Lehelin brillava, anche se in modo decisamente più fievole dei fiori, come ricoperta da piccoli lustrini.

Proseguirono con più tranquillità, man mano che le Lune si alzavano nel cielo, potendo evitare gli ostacoli e gli impedimenti. Fortunatamente, per il momento, nessuna bestia sembrava interessata al loro passaggio. Ad un tratto, Roccia e Terra si fermarono. Avvertivano chiaramente delle vibrazioni che, però, non riuscivano ad interpretare.

“Musica!” esclamò Hanjuly, dopo un po’ “Sento della musica!”.

Lehelin si stupì di quanto tardi se ne fossero accorti ma non disse nulla.

“Da dove viene? È bellissima!” domandò il Ghiaccio.

“È sulla strada. Presto lo capirai” la rassicurò l’Ombra e proseguì fino ad uno spiazzo, dove delle donne danzavano in cerchio tenendosi per mano, circondate dagli uomini che suonavano.

Era impossibile poter scorgere l’intero cerchio perché solo parte di esso riusciva ad essere illuminato dalle Lune. La musica era molto ritmata, piuttosto semplice e ripetitiva, melodiosa. Gli uomini suonavano per lo più tamburi e flauti, mentre le donne avevano dei campanelli ai polsi.

Ad un tratto, tutti si fermarono ed iniziarono a cantare, con lo sguardo rivolto verso il cielo. Terminata la strofa, ripresero a danzare. Hanjuly, senza pensarci, si slegò dalle catene e corse verso il cerchio, desiderosa di unirsi alle danze. Invano gli altri membri della sua compagnia tentarono di convincerla a restare dov’era. Danzatrici e suonatori avevano gli occhi chiusi e quindi, in principio, non si accorsero della principessa del Ghiaccio che si unì. Credettero nell’arrivo di un’altra ragazza dell’Ombra e la accolsero nel cerchio. Non passò molto tempo, però, prima che il gelo dell’elemento di Hanjuly si facesse notare. Iniziarono a fermarsi e fissarla, con aria decisamente interrogativa e minacciosa.

“E tu chi sei, intrusa?” parlò una delle ballerine “Non è concesso agli stranieri conoscere questa danza. Solo la razza dell’Oscurità ha il privilegio di ballare per gli Sposi del cielo e della notte!”.

Hanjuly sorrise ed iniziò a spiegare, anche se si fermò quasi subito notando che gli uomini e le donne erano armati di un piccolo coltello e glielo stavano puntando contro. Indietreggiò, capendo che quella era l’unica cosa da fare, e colei che aveva parlato scattò in avanti, brandendo la sua arma. Il Ghiaccio urlò, sentendosi impreparata ad una cosa del genere, serrando gli occhi. Fortunatamente il Metallo aveva intuito il pericolo e, trascinandosi dietro tutti gli altri a grandi passi con le sue gambe lunghe, era riuscito a fermare la mano dell’assalitrice. Rabbrividì, avvertendo la strana sensazione che quel corpo nebuloso gli dava sulla pelle.

“E voi chi siete?” tuonò uno degli uomini, fra la confusione generale provocata dalle creature trascinate a forza, che stavano protestando a gran voce.

“Sono con me, Fratello” parlò Lehelin, nella lingua dell’Oscurità.

Era successo tutto talmente in fretta ed in modo inaspettato che non le aveva dato il tempo di poter intervenire nel suo regno.

“Principessa Lehelin…” la riconobbe qualcuno.

“Sorelle, Fratelli…questi stranieri sono legati a me…” spiegò, mostrando loro le catene “…ed insieme abbiamo un’importante missione da compiere. Chiedo perdono per l’interruzione”.

“Stavamo per sacrificarli allo Sposo…” ghignò qualcuno, dal gruppo dei suonatori.

“Lo so bene. Ma, purtroppo, mi servono tutti quanti vivi”.

“Che buon profumino…” si intromise Mattehedike, annusando l’aria.

“Stavamo per portare a termine la cerimonia con i cibi” spiegò la leader delle danzatrici.

“Possiamo unirci? Sto morendo di fame…” gemette Reishefy, stringendosi lo stomaco mugolante.

Lehelin le lanciò uno sguardo minaccioso ma l’Elettricità lo ignorò.

“Credo che questo sia un rito sacro…non abbiamo il permesso di parteciparvi…” ipotizzò Thuwey.

“Esatto, è un rito sacro…” iniziò l’uomo più alto, per poi riprendere dopo una pausa “…ma, tuttavia, il nostro regno è governato dal grande Dio del Disordine, Kaos. Perciò credo di poter affermare con assoluta certezza che, cambiando programma, non facciamo altro che seguire la sua volontà. Inoltre la principessa è con voi, perciò di certo sarei uno stupido se non vi dicessi di unirvi a noi nel nostro rituale”.

“Quindi possiamo mangiare?” gioì la ragazzina elettrica e, dopo una rapida occhiata reciproca, l’intero gruppo d’Ombra annuì.

“Incuti tanto timore?” mormorò il Metallo all’Oscurità.

“No. Mio padre è quello che incute timore”.

“Temono repressioni?”.

“Esatto. Ed è inutile che sussurri. Tutte le creature dell’Oscurità ti sentono benissimo comunque!”.

Riagganciarono Hanjuly, temendo un’altra fuga senza preavviso, e si sedettero in cerchio assieme a ballerine e musicisti. All’inizio nessuno parlò. I piatti, con frutti e cibi da consumare freddi non creando la luce del fuoco per scaldarli, venivano fatti passare di mano in mano in silenzio. Si scrutavano fra di loro di sottecchi, Aherektess fu certo di notare qualche risatina e commento poco gentili ma, non capendo la lingua dei nativi, preferì non intervenire, onde evitare figuracce.

Efrehem, fra una portata ed un’altra, annotava ogni cosa sul suo libricino con cura. Osservò i commensali con meticolosità, notando come i loro corpi fumosi non avessero una fine netta. La differenza fra uomini e donne stava nel fatto che le signore avevano forme più aggraziate, più curve. Tutti avevano i capelli lunghissimi che si agitavano ed il corpo terminante a campana, come se indossassero una veste, una gonna, ma non poteva essere così perché non aveva un inizio ed era tutt’uno con il resto del corpo. Solo in quel momento Efrehem constatò che non erano vestiti. Era il loro corpo ad essere così. Arrossì, lieto che non si notasse nel buio.

“Problemi, lampadina?” sbottò Kassihell e la Luce prese atto che la ragazza al suo fianco gli stava porgendo un piatto già da diverso tempo, e lui non se ne era accorto.

“No, no…va tutto bene!” si affrettò a dire, passando la pietanza direttamente al Fuoco.

Questi gli sorrise, con tenerezza.

Si abbassò leggermente e gli bisbigliò nell’orecchio, coprendo le labbra con la bocca sapendo che l’Oscurità poteva vederlo: “Smettila di chiederti dove questi simpatici signori abbiano gli attributi e mangia, non so fra quanto potremo di nuovo fare una pausa!”.

Efrehem protestò a quelle parole, tentando di dire che non erano quelli i suoi pensieri, ed addentò un frutto. Lo trovò delizioso e ne prese subito un altro.

Solo dopo diverso tempo, i nove stranieri notarono che erano solo loro a mangiare. Le creature d’Ombra si limitavano a passare i piatti, parlottando fra loro.

“Voi non mangiate?” si stupì Hanjuly.

“No. A noi non serve” spiegò una danzatrice, con il suo accento leggermente sibilato.

“E allora perché fate il banchetto?” domandò Kassihell.

“Ha un valore simbolico. Con i frutti ed i cibi che state mangiando, prepariamo unguenti, polveri ed oggetti magici, benedetti dagli Sposi”.

“Sono commestibili, vero?” si allarmò Aherektess.

“Ovvio!” si stizzì un suonatore di tamburo “Sono sacri e donano molta energia. Vi servirà, immagino. Se siete giunti fino a qui, devo dedurre che la vostra meta non sia molto vicina…”.

“No, non lo è…ma è top secret!” ridacchiò Thuwey e qualcuno notò che ne stava trangugiando troppo di quel succo alcolico che gli era stato offerto.

“Ma…come sopravvivete?” domandò Efrehem “Intendo dire…senza cibo, come si nutre il vostro corpo? Come va avanti?”.

“Noi siamo alimentati dal buio stesso e dai raggi degli Sposi”.

“Interessante…” parlottò la Luce, riportando anche quel dettaglio sul suo quadernetto.

“Presto gli Sposi tramonteranno…” parlò un uomo, dopo che quasi tutto il banchetto fu consumato “…e vi ritroverete di nuovo nel buio totale. Vi suggerisco di fermarvi qui, al sicuro, fino a quando la loro luce non riapparirà nel cielo”.

I dieci si guardarono. Erano stanchi ed appesantiti dal cibo. Senza pensarci troppo, estrassero dai loro zaini delle coperte o dei mantelli e si addormentarono in cerchio, appena le creature oscure se ne furono andate.

Al risveglio, in cui Thuwey rimproverò il gruppo di non aver organizzato dei turni di guardia, gli Sposi erano sorti e ripresero la marcia.

Camminarono così, per giorni interi, fra incontri fortuiti, luci soffuse e periodici litigi.

Si allarmarono quando, giorni dopo, notarono che gli Sposi si presentavano nel cielo come solo un piccolo spicchio la cui luminosità era decisamente scarsa, non vedendosi quasi mai le stelle in quel regno di foschia scura.

“Quando saranno nella fase di Lune Nuove, ci toccherà camminare nel buio totale come all’inizio?” volle sapere il Metallo, orgoglioso di poter sfoggiare le sue conoscenze astronomiche.

“Mi spiace per voi ma è così, a meno che non vogliate fermarvi per qualche giorno in attesa che si facciano vedere di nuovo” rispose Lehelin.

“Niente pause. O non arriveremo mai!” ordinò Kassihell.

“Tranquillo, Fuoco. Quelle statue ci rivelano che, ormai, siamo vicini alla meta” lo rassicurò l’Oscurità, indicando un gruppo roccioso imponente e minaccioso.

Rocce nere, scolpite, formavano un immenso cerchio completamente avvolto dall’Oscurità, come se all’interno i raggi delle Lune non potessero accedervi. Rappresentavano dei guerrieri e degli stregoni, i primi con in mano una specie di lunga lancia ed i secondi con le mani protese verso gli intrusi, palmi in fuori. La statua più grande rappresentava il re Ozymandias, si riconosceva dalla corona, con gli occhi incastonati di colore argento che brillavano accigliati e rivolti verso i nemici.

“Carini. Questo regno mi piace sempre di più…” commentò il Metallo, guardando verso l’alto.

“Dove dobbiamo passare, esattamente?” si informò Aherektess.

“Fra una statua ed un’altra c’è un sentiero” spiegò Lehelin e riprese il cammino con più enfasi.

Giunti in prossimità di uno dei sentieri, si stupirono di non notare sorveglianza.

“Ci sei mai entrata, lì dentro?” si informò Efrehem, non riuscendo a vedere cosa ci fosse oltre ai “piedoni di Ozymandias”, come li definì il Metallo.

“Certo che no. Quello è un luogo proibito, e questo vale per tutti…”.

“Ma ci dobbiamo andare perciò, hop-hop! Muovete i culetti, bambini, ed andiamo!” incitò il Fuoco, spingendo il gruppo.

“Io ho paura…” ammise Enki, nascondendosi dietro Idisi.

“Tu hai sempre paura!” sbottò Reishefy, facendo un passo deciso verso il sentiero ma poi fermandosi, spaventata anch’essa.

“Ci muoviamo o no? Se volete vado prima io…” si propose Kassihell, slegandosi dalle catene, ed Enki annuì in fretta.

“Prima tu o qualcun altro è uguale. Dobbiamo andarci tutti assieme, ricordate?” sbottò la Terra.

“Ma se lui si offre volontario…” lo tirò la Roccia, con convinzione.

Continuando a discutere, si avvicinarono sempre di più alle statue fino a quando Reishefy, involontariamente, ne colpì una. La reazione fu immediata. Si udì un boato assordante ed un gran caldo. Furono tutti accecati dall’improvviso cerchio di fuoco che si materializzò all’interno del cerchio roccioso. Iniziò a pulsare, come mosso da una mano invisibile.

“Fuoco?” si stupì Lehelin “Noi non andiamo mai troppo vicino al Fuoco perché la sua danza irregolare spezza i nostri contorni…”.

“Come facciamo a passare?” gemette Enki.

“Infatti. Io lì in mezzo non ci vado!” si unì a lei Hanjuly.

“Ma dobbiamo restare tutti uniti!” ricordò al gruppo, la Luce.

“Posso entrarvi io e vedere se riesco a controllarlo, così da farvi passare…” propose Kassihell.

“Non vedo altra soluzione…” ammise Idisi, la Terra, mentre Enki le stava appiccicata addosso.

Il Fuoco prese un profondo respiro, non ammettendo o non volendo mostrare di essere piuttosto spaventato, ed iniziò a camminare verso le fiamme. Gli altri si tennero a distanza di sicurezza. Lui entrò nel cerchio infuocato, a piccoli passi, con una mano sull’elsa della Katana. Ruotò gli occhi rapido, in tutte le direzioni, e poi si fermò. Aveva i piedi sulle fiamme e si concentrò, deciso a controllarle, mentre il resto del gruppo lo osservava da fuori, senza avvicinarsi troppo.

“Non sembra che ci sia pericolo, potete…” iniziò Kassihell ma non terminò la frase perché un’enorme mano nera lo afferrò saldamente, impedendogli ogni movimento, e lo trascinò verso il centro, nel buio totale.

 

†††

 

Rabbrividì, sentendo chiaramente il terreno freddo sotto di sé. Era roccia, forse pietra dura, liscia e quasi gelata. Sentì la mancanza delle protuberanze insensate della foresta. Si alzò a fatica, indolenzito, e si accorse di essere al chiuso.

“C’è nessuno?” chiese Kassihell, sentendo di risposta solamente l’eco della sua voce.

Era buio, non vedeva assolutamente nulla e la cosa lo infastidì. Mise le mani avanti, tese, ed avanzò lentamente. Chiamò gli altri membri della sua compagnia ma non ricevette risposta. Era da solo. Solo ed avvolto nel buio. Senza contare che c’èra qualcosa con un’enorme mano che lo aveva trascinato fin lì. Avvertì un rumore e sguainò la spada, pronto a difendersi. Si pentì di non aver fatto molti allenamenti bendato, come gli era stato suggerito quando era nell’esercito. Un altro rumore, come uno scricchiolio, alle sue spalle. Si voltò ed udì una voce, terrificante. Bassa, profonda, ferruginosa ed altalenante. Vibrò il terreno sotto i suoi piedi.

“Perché non usi la magia, ragazzo mio?” domandò la voce.

“Chi sei? Che cosa vuoi?” ringhiò Kassihell.

“Perché non usi la magia ed illumini questo posto?” insistette la voce misteriosa.

“Detesto usare la magia…”.

“Non sai come si fa?”.

“Come ti permetti?!” sbottò il Fuoco, facendo apparire una piccola fiamma fra le sue mani in pochi secondi e senza nemmeno pronunciare delle formule.

Questo provocò una strana reazione a catena e si illuminò tutta la stanza, andando il fuoco a posarsi su migliaia di candele sospese a mezz’aria.

“Bravo, molto bravo…” commentò la voce, che Kassihell vide appartenere ad un uomo dell’Oscurità, o almeno così sembrava.

Era grosso e fumoso, dai tratti indefiniti ed i capelli danzanti. Come nebbia, i suoi contorni erano mutevoli e variabili. Fissò il Fuoco con grandi occhi azzurri, senza pupille né spazi bianchi, e gli sorrise. Ghignò, storcendo il fumo sul suo viso.

“Ciao a te, mortaluccio” salutò la creatura, con la sua voce spaventosa.

Era seduta su un grande trono nero, a spuntoni irregolari, e si reggeva la testa con la mano ungulata.

“Chi sei?” parlò Kassihell, sempre con la Katana fra le mani.

“Riponi il tuo giocattolo. Non può nulla contro di me…”.

“Chi sei?!” continuò il Fuoco, quasi urlando, con maggiore convinzione.

La creatura di nebbia si protese in avanti, sempre ghignando.

“Io chi sono? Io sono Kaos”.

 

†††

 

“Che è successo? Dov’è andato?” gridò Hanjuly, spaventata come il resto del gruppo.

“È sparito all’improvviso. Qualcosa lo ha attirato verso il centro…” si aggiunse Idisi.

“Non può essersi smaterializzato! Andiamo a cercarlo!” propose Thuwey.

Alcuni annuirono con sicurezza a quella frase, altri con molta meno convinzione ma, incatenati, dovettero seguire gli altri. Lehelin, l’apri fila, proseguì lungo il sentiero. La compagnia si aspettava di veder emergere di nuovo le fiamme, che si erano spente di colpo dopo la sparizione di Kassihell, ma ciò non avvenne. Rimasero avvolti nel buio totale.

“Cosa vedi, principessa dell’Oscurità?” domandò Efrehem.

“Niente” rispose lei “Niente di niente. Non c’è nulla qui. Vuoto”.

“Intendi dire che all’interno del cerchio di statue non c’è niente?” si stupì il Ghiaccio.

“È quello che ho detto. C’è solo una sorta di piazza con il pavimento lastricato” confermò Lehelin.

“E allora il principe Kassihell dov’è?” si chiese la Luce.

“Di certo non può essere volato via…” commentò Aherektess, l’unico che pareva fregarsene altamente dell’accaduto.

“Forse è stato trascinato sottoterra…” ipotizzò Mattehedike.

“O forse è stato distrutto in pezzi talmente piccoli da non poter più essere visto” aggiunse Reishefy e si pentì subito di aver detto quella frase.

Peggiorò la situazione e gli animi si fecero molto agitati. Enki si aggrappò più forte al braccio di Idisi e scoppiò a piangere ripetendo le parole “è morto” e “moriremo tutti” senza sosta. Aherektess propose di uscire dal cerchio alla svelta, per evitare la stessa sorte. Thuwey si chiese se era quello lo scopo dei dieci: sacrificarsi uno dopo l’altro per richiamare l’attenzione delle divinità. Efrehem trovò la cosa alquanto priva di logica ma, del resto, non sapeva che spiegazione dare a ciò che stava accadendo e preferì non commentare.

“Kassihell! Ci senti?!” lo chiamò Hanjuly, a gran voce.

“Inutile che gridi…” protestò Aherektess, muovendo leggermente le piccole orecchie a punta “…non è qui! Non c’è più! Dobbiamo farcene una ragione e proseguire. Vedremo chi sarà il prossimo a cui spetterà questa…”.

“Questa cosa?!” lo interruppe Hanjuly “Lui non è morto, non avrebbe senso! Non è successo niente qui, non abbiamo ottenuto nulla e mi sembra che questo posto sia esattamente come quando siamo arrivati, tranne per quei brevi istanti in cui c’era il fuoco. Immagino che qualcosa di significativo debba cambiare, a prova che noi dieci prescelti lo abbiamo attraversato…”.

“Concordo con il Ghiaccio” parlò Efrehem “Se il nostro scopo è morire nei luoghi proibiti, almeno dovrebbe avvenire un qualche cosa a prova che, effettivamente, è ciò che abbiamo fatto. E poi…non si era parlato di oggetti? Non dovevamo trovare degli oggetti per l’evocazione? Mi pare che qui non ce ne siano. O sbaglio?”.

“Giusto! Il nostro scopo NON è morire nei luoghi proibiti…sarebbe una cosa molto triste…magari alcuni di voi no, ma io sono giovane ed ho ancora tutta la vita davanti” si lagnò Reishefy.

“Forse veniamo chiamati in ordine d’età…” mormorò Enki “…lui, il Fuoco, era il più anziano. Poi toccherà alla Terra, all’Aria e così via…”.

“Non diciamo sciocchezze! Cerchiamo di usare il cervello! Evidentemente dobbiamo fare qualcosa, in questo luogo, per ottenere ciò che ci serve…che non è morire, spero!” iniziò la Luce.

“Sul libro che ci ha dato il signore dell’Ovest non c’è scritto nulla a riguardo?” suggerì Thuwey.

“Come ho già detto, questo volume è piuttosto criptico. Ho tradotto un passaggio che parla della figlia della Luna, lacrima delle stelle e via dicendo…insomma…un’accozzaglia di parole senza senso! Parla del Fuoco, all’inizio…ma non è d’aiuto…”.

“Prova a leggere la frase. Magari tutti assieme possiamo venirne a capo” propose Mattehedike.

Era la prima volta che provavano a creare qualcosa tutti assieme. Fino a quel giorno, si erano rivolti la parola solo per litigare o darsi ordini. Efrehem si schiarì la voce. Estrasse il libro dallo zaino e lo illuminò con la luminescenza della sua pelle, iniziava a sentirsi piuttosto debole nell’elemento suo opposto, ed iniziò a leggere.

“…segui la lama del fuoco, attraverso i sogni spezzati e le fiamme dei dannati. Nel regno della Luna, lacrima di stelle, piange per il vento e per le sue Sorelle. Nel bianco trova la tua regina, limpida e ghiacciata, danza come la neve e dalla luce è ammirata. Parla a…”.

“Ok, ho capito. Davvero un’accozzaglia di parole senza senso. Proporrei di cavarcela da soli. Butta pure via quell’affare” tagliò corto il Metallo.

Efrehem lo richiuse e lo strinse a sé, come a voler comunicare che mai getterebbe via un libro.

“Sì ma…a questo punto cosa facciamo? Ce ne stiamo qui ad aspettare?” protestò l’Elettricità.

“Certo che no! Sarebbe inutile! Propongo di andare avanti. Forse nel prossimo luogo avremo più fortuna e potremmo tornare qui in seguito quando avremo capito che dobbiamo fare” parlò l’Aria.

“Il Signore dell’Ovest ha detto che dobbiamo essere un gruppo. Sempre in dieci, ricordate? Non possiamo accedere agli altri luoghi proibiti se siamo solo in nove!” fece notare Idisi.

“Ma se il Fuoco ce lo siamo giocato, che ci possiamo fare?” ribatté Aherektess.

“Non è morto. Dobbiamo solo capire come farlo riapparire” affermò, convinta, Hanjuly.

“Allora avanti, sapientona…cosa proponi?” fu la risposta dell’Aria.

“Io…non ne ho idea…” ammise il Ghiaccio.

“Beh ma insomma…fra noi non ci sono un’Incantatrice, una Maga ed un Veggente?” sbottò Thuwey “Possibile che nessuno di voi trovi la soluzione?”.

Si riferiva a Lehelin, Idisi ed Efrehem, che non sapevano che cosa dire.

“Se qualcuno mi sapesse spiegare questo passaggio del libro…” ipotizzò la Luce.

“Sei tu il Veggente…arrangiati! Mica possiamo fare tutto noi! Già ti pariamo il culo in caso di attacco nemico…se ci tocca pure usare il cervello al posto tuo, allora a te che resta da fare?” brontolò la Roccia, incrociando le braccia e tirando a sé, a causa della catena, Aria e Luce.

“Tanto tu il cervello non potresti usarlo nemmeno volendo…” sibilò Enki, fra lo stupore generale nel sentirla pronunciare una frase del genere “…come puoi essere così egoista?”.

“E tu come puoi essere così fifona? Non dovresti parlare, perché mi tocca fare la guardia anche a te, principessina indifesa!”.

“Fin ora la tua protezione non mi è servita e, sinceramente, non mi sento al sicuro!”.

“Ok, adesso basta” tentò di calmare gli animi la Terra, Idisi “Facciamo tutti un bel respiro e vediamo di trovare una soluzione. Certo è che non possiamo ripartire solo in nove ma…”.

“Usa le tue carte” la interruppe l’Elettricità “Magari ci dicono dov’è…”.

“È un’idea…piuttosto che star qui a far niente…” convenne Efrehem.

“Puoi venirmi più vicino, principe della Luce?” domandò Idisi “Altrimenti mi è impossibile vedere il responso nel buio totale…”.

La Luce si avvicinò e tentò di illuminare il più possibile le mani ed il mazzo della maga, che nel frattempo si era messa seduta costringendo gli altri a fare altrettanto.

“Sono molto stanco” ammise, notando la propria luminescenza flebile “Non sono abituato a tutta questa oscurità e non so per quanto tempo potrò ancora essere utile”.

“Tu ora illuminala. Poi, se non riuscirai a proseguire, troveremo una soluzione” lo rassicurò Hanjuly, sorridendogli.

La maga dai capelli verdi guardò con curiosità la carta che stringeva fra le mani.

“L’Appeso…” mormorò.

“Imparare a vedere le cose da una diversa prospettiva” commentò Lehelin.

“Che significa?” parlò piano il Metallo, condizionato dall’improvviso abbassamento di voce dell’intero gruppo.

“Ve l’avevo detto che è sotto terra!” disse Mattehedike, guardando in basso.

“Oppure in aria!” aggiunse Aherektess, alzando gli occhi.

“Nessuna delle due cose…” li fermò Idisi “…lui è qui, lo sento e le carte me lo dicono. È qui…ma noi non lo vediamo…”.

“Intendi dire che è diventato muto ed invisibile?!” esclamò Thuwey.

“Sia lode agli Dèi!” ridacchiò l’Aria.

“Ma no…intendo dire che è qui, come noi, ma non esattamente dove siamo noi” tentò di spiegare la Terra, non riuscendo nel suo intento perché si udì un “Cioè?!” interrogativo da quasi tutti i presenti.

“Intendi dire una sorta di dimensione parallela?” azzardò Efrehem, rizzando le antenne rosse che aveva sulla testa, incuriosito.

“Esatto. Tornerà, deve tornare…dobbiamo solo aspettare”.

“A me sembra un’infilata di cazzate pari alle frasi del libro di prima” sbottò la Roccia.

“Aspettare?! Aspettare cosa?! E per quanto tempo?!” protestò l’Aria.

In pochi istanti tutti si rialzarono e ripresero a discutere, animatamente, l’uno contro l’altro. C’era chi non si voleva fermare, chi aspettare, chi tornare indietro e chiedere al Signore dell’Ovest e chi restava in silenzio, sospirando. La Terra, assieme ad Efrehem, faceva parte dell’ultimo gruppo. Ripose le carte e sospirò, guardando la Luce, mentre tutt’attorno poteva solo immaginare ciò che accadeva, non vedendolo, ascoltando le parole poco gentili e venendo strattonata con le catene.

 

†††

 

“Kaos chi?” interrogò Kassihell.

“Come sarebbe a dire "Kaos chi?", sgorbio?” si accigliò l’essere fumoso.

“Non conosco nessun Kaos, mi spiace…”.

Sbattendo gli occhi per lo stupore, la creatura di nebbia attese un pochino prima di tornare a parlare.

“Strano che tu non sappia chi sono. Ad ogni modo…” si interruppe per tirare un calcetto ad una delle candele fluttuanti che gli era capitata a tiro “…io, al contrario, so molto bene chi sei tu”.

“Buon per te. Ora spiegami un po’ che posto è questo e come uscirne, altrimenti sparisci”.

“Mi piace il tuo modo di fare, ragazzo. Sei una creaturina interessante”.

Il Fuoco non abbassava la guardia, puntando sempre la spada contro lo sconosciuto, pur mostrando tutto il suo smarrimento in quella situazione inusuale. Spinse lontano con la punta delle dita alcune candele che gli bloccavano, in parte, la visuale.

“Non mi interessa se ti piaccio o meno, ho fretta. Se sei stato tu a portarmi qui, allora fammi uscire subito. Ho una missione da compiere…”.

“Oh, sì…giusto. La missione. Dimmi un po’…secondo te, gli oggetti che necessitate per la vostra preziosa evocazione, chi ve li fornisce?”.

“Perché dovrebbe fornirceli qualcuno, pallino nebbioso?”.

Il Kaos si rizzò sulla sedia, spalancando gli occhi.

“Pallino nebbioso?! Ma come ti permetti?!” farfugliò, sconcertato.

“In effetti, sei grosso…ti senti più rappresentato se ti chiamo "pallone nebbioso"?”.

“Senti un po’, non farmi perdere la pazienza. Ne ho molto poca già di natura…”.

“Anch’io!” lo interruppe Kassihell “Perciò vedi di smetterla di tergiversare ed andiamo avanti, perché se credi che abbia tutta la vita per stare qui a…”.

“Io sono un Dio!” tuonò il Kaos, alzandosi in piedi ed espandendo il suo corpo nero, gettando a terra il Fuoco, con rabbia.

Questi cadde e dovette lasciare andare la spada, venendo scaraventato lontano. Non parlò più, spalancando gli occhi. Kaos lo guardò…e scoppiò a ridere. Tornò a sedersi, con calma. Ghignava, reggendosi la testa.

“Voi mortali…” ridacchiò “…vi spaventate così facilmente!”.

“Sei un Dio?” ripeté il Fuoco, leggermente inquietato dall’incapacità di non potersi rialzare.

“Sì. Non stupirtene più di tanto. Che ti aspettavi in un luogo proibito? Un uccellino mi ha detto che non credi particolarmente alle creature come me…”.

“Non ho mai detto di non credere nelle creature come te…semplicemente non le venero” di difese Kassihell, riprendendosi in fretta dallo spavento.

Kaos allungò una mano verso di lui e lo sollevò da terra, facendolo rialzare.

“Dicevamo?” parlò, poi, la divinità.

“Dicevamo, cosa?” sbottò il Fuoco, guardandosi attorno in cerca della Katana perduta.

Il Dio lo intuì e gliela porse, sempre spostandola senza toccarla, pregandolo di rifoderarla perché inutile, dato il contesto. Kassihell ubbidì, controvoglia, e tornò a fissarlo minacciosamente.

“Dicevamo, cosa?” ripeté il mortale.

“Non ricordo a che punto del discorso eravamo…ma non importa!” ghignò il Dio, lanciando una candela verso un punto imprecisato, prima che questa fluttuasse altrove.

“Il tuo popolo venera Daram, giusto?” domandò poi, notando lo sguardo assurdo che il Fuoco gli rivolgeva, restando fermo sulla difensiva.

“Sì…” ammise Kassihell.

“Ma tu no…”.

Il mortale non rispose. Girò la testa altrove, aspettando la domanda di riserva.

“Bene!” gli disse, inaspettatamente, Kaos.

“Bene?!” spalancò gli occhi, nocciola, Kassihell.

“Sì, bene. Non comprendo, sinceramente, tutta questa devozione. È inutile. Specie venerare Daram, il cui scopo è star a fissare Sirona tutto il giorno. Cosa vuoi che accada alla stella del giorno?! Scappa?! In realtà Daram, per quanto stile possa avere, non ha bisogno di chissà che considerazione. Sirona gira comunque!”.

“Non ti sta molto simpatico, mi pare di capire…” commentò il Fuoco.

“Non ho detto questo. Suo figlio è un deficiente ma Daram mi è del tutto indifferente. Se è del tutto indifferente pure a te, allora mi stai simpatico, cosetto…”.

“Mi chiamo Kassihell!”.

“Lo so bene. Sei il figlio di Vehuya. Hai trentasei anni e sei nato il tredici del quarto incontro degli sposi nel cielo, hai tre figli ed una bella moglie eccetera, eccetera…posso dirti tutto ciò che vuoi. So tutto di te, come dicevo”.

“Non avete niente di meglio da fare, voi Dèi, che star a guardare che facciamo noi mortali?”.

“In effetti, salvo litigare fra noi, non è che conosciamo altri modi per far scorrere le Ere…”.

“Non avete qualche hobby?”.

“Ne ho molti di hobby…” ghignò Kaos, sadicamente “…ma questi non sono affari che ti riguardano, insignificante esserino”.

Al Fuoco parve di vederlo leccarsi le labbra. Il buio era aumentato di colpo, le candele roteavano molto più in fretta e sempre più vicine a Kassihell. Questi dapprima si spaventò ma poi reagì, ringhiando. Tentò di spegnere le candele ma non ci riuscì.

“Se io non lo voglio, tu non usi i tuoi poteri sull’elemento che ti domina, Kassy!” rise Kaos.

“Ma cosa vuoi?” sibilò il mortale, infastidito dal soprannome.

“Tu cosa vuoi! Sei entrato tu nella MIA zona proibita! Non il contrario…”.

“Già…beh…io non so bene cosa voglio. So che…”.

“La missione! Sì, sì…lo so!”.

“Ma lasciami finire una frase!”.

“Certo che no. Sono Kaos…perché dovrei renderti le cose facili?”.

“Allora…”.

“Ti darò ciò che ti devo dare…se non cambio idea. Sai, sono Kaos…faccio le cose un po’ a caso!”.

“L’avevo intuito…”.

“Bravo…sei intelligente…” ironizzò il Dio.

“Sono di fretta, però. Altrimenti continuerei volentieri questa piacevole conversazione”.

“Il sarcasmo e le bugie è meglio evitarle con me, tesoruccio. Posso diventare molto spiacevole, se stuzzicato nel modo sbagliato…”.

Kassihell decise di non aggravare ulteriormente la sua situazione, notando lo sguardo minaccioso di chi aveva di fronte. Era molto più grosso ora, probabilmente irritato dall’atteggiamento del Fuoco, e tutta l’aria era come ovattata ed appannata dalla nebbia nera del corpo divino.

“Mi hai portato tu qui, con la tua manona nera?” domandò il Fuoco, trovando la domanda sufficientemente rispettosa.

“Precisamente”.

“E come mai?”.

“Sei divertente. L’ateo, anarchico e rissoso del gruppo. Il caotico! Meglio di te…sentivo di poter entrare in sintonia con una creatura del tuo tipo”.

“Del mio tipo?! Guarda che, se cerchi moglie, io non faccio a caso tuo!”.

Kaos ringhiò, con rabbia, e graffiò entrambi i lati del suo trono con enormi unghie lucide e nere. Poi, però, in fretta, cambiò umore e sorrise: “Adoro il tuo sarcasmo…” commentò.

“Ma prima hai detto che…”.

“E tu mi stai pure a sentire?! Sono Kaos, personificazione del caos, appunto! Ogni cosa che dico è un grosso punto di domanda…se cerchi di dargli, e darmi, una logica, sei fottuto!”.

“Creeresti qualche problema ad uno dei membri della compagnia…” ridacchiò Kassihell.

“Lo so bene!” si unì alla risata Kaos “Ho chiamato qui te perché mi sembravi il più adatto. Non volevo grida di terrore, ovazioni pleonastiche o domande inutili. Mi sembravi la tipica creatura schietta, diretta e controcorrente che piace a me. Non mi pare di aver sbagliato”.

Il Fuoco sorrise, felice di poter aumentare il suo ego già notevole.

“Allora…cosa devo fare?”.

“Fare?!” si stupì Kaos.

“Sì, fare…per ottenere ciò che mi serve per proseguire la missione!”.

“Ah…sì, giusto! Incontrerete un sacco di gente e creature assurde, simpatiche o meno, per raggiungere lo scopo finale: l’evocazione. Sinceramente, non so quanto possa essere utile questa cosa ma…contenti voi, contenti tutti!”.

“Senti…a me poco importa se la cosa andrà a buon fine o meno. A me serve solo arrivare in fondo a tutto questo e tornare a casa”.

“Bene. Allora l’oggettino che sto per darti, forse, all’inizio non ti piacerà oppure lo troverai decisamente inutile…ma non c’è membro più adatto di te, fra i dieci, a portarlo. Non dovrà toccarlo nessun’altro, sarai esclusivamente tu il suo custode”.

“Mi stai incuriosendo…”.

“Prendi!”.

Kaos si sporse solo leggermente e gli lanciò una specie di moneta grande poco meno di un pugno, con un buco quadrato al centro.

“Sembra uno spicciolo del mio Paese…” commentò il Fuoco, prendendolo al volo.

“Stai attento a come lo maneggi, quello. Il medaglione che ti ho dato è padrone del tempo…”.

Kassihell lo guardava, rigirandoselo fra le mani.

“…quando sarà necessario, e quando tu lo vorrai, sarà al tuo servizio” spiegò la divinità.

“Il tempo?”.

“Sì. Il tempo sarà al tuo servizio”.

“Posso farlo avanzare velocemente a mio piacimento?”.

“Avanti, indietro, di lato…però ti avviso: la Dea del Destino tesse il futuro piuttosto lentamente, quella scansafatiche. Se lo fai avanzare troppo in fretta, ti ritroverai nel nulla più assoluto. Se la cosa ti diverte…fai pure!”.

“Come si usa? E non porta a delle conseguenze?”.

“Scoprilo da solo. Non sono certo qui per darti la pappa già pronta, mammifero! E, ovvio, certo che sì, porta a delle conseguenze. Questo è il motivo per cui do questo oggetto a te, principe del Fuoco. Poi, usalo come preferisci…sono affari tuoi”.

Il sorriso della divinità era inquietante, perfido. Kassihell prese il medaglione fra le mani, chiedendosi perché fosse stato usato il termine “mammifero”, facendo cenno di aver capito.

“Ricorda che, ogni volta che lo userai, questo richiederà qualcosa in cambio” continuò Kaos.

“Tipo?”.

“Non lo so. A me non chiede niente. Ma a te, mortale, non sarebbe concesso averlo e perciò, se vuoi testare il suo potere, dovrai dare qualcosa in cambio”.

“Sembra pericoloso…”.

“Non aver paura. Non ho interesse nell’ucciderti. Meglio saperti vivo e caotico per Asteria, e chissà se i tuoi figli seguiranno il tuo esempio…”.

“Quindi usarlo non mi ucciderà?”.

“Ho appena finito di dire che son contento quando non mi vengono fatte troppe domande…”.

“Ma, se permetti, io ci tengo alla mia vita!”.

“Fai bene. Anch’io tengo alla mia!”.

Il Fuoco capì che non avrebbe ottenuto altro e quindi non disse più nulla. Estrasse il nastro per i capelli che teneva nello zaino e legò l’oggetto al collo, nascondendolo sotto la maglia con cura.

“Non perderlo, giovanotto, o vedrai realizzati tutti i tuoi peggiori incubi!” lo minacciò il Dio.

Per alcuni istanti, i due si fissarono con odio da un lato e timore dall’altra, senza parlarsi ma sostenendo lo sguardo con convinzione. L’atmosfera però si distese subito, alla risata di Kaos. Era agghiacciante ma Kassihell non poté fare a meno di unirsi e ridere istericamente, scaricando la tensione almeno in parte.

“Devo riportartelo?” parlò il mortale.

“Cosa?”.

“Il medaglione!”.

“Stiamo ancora parlando di quello? Ad ogni modo no, non è necessario. Non ho bisogno di un gingillo del genere. Te lo regalo. È tuo”.

“Grazie…non devo darti nulla? Nessuna prova da superare, pegno da pagare?”.

“No. A patto che ne faccia uso nel modo che voglio…cioè come un’abitante del Fuoco. Con un po’ di irruenza…senza il misticismo dell’Oscurità! E senza stare troppo a spiegare in giro a cosa serve, perché lo usi ed altre quisquilie fastidiose”.

“Tanto meglio per me…”.

“Sono un Dio caotico e voltafaccia, so essere spaventosamente crudele ma anche incredibilmente magnanimo. Ed oggi mi sento buono…adesso mi sento buono…fra dieci secondi non so…”.

“Dove sta la fregatura?”.

“Scoprilo da solo, fuocherello pazzerello. Sii te stesso, nulla di più”.

“Ora ho capito perché servono i dieci di ogni elemento…immagino che, ad ogni luogo proibito, ci voglia una creatura diversa da quelle che abitano il regno in cui sta”.

“Tu, Fuoco, sei entrato qui, nel luogo proibito dell’Oscurità. È probabile che anche altrove funzioni così. Di certo qui nessun nativo di questo regno può entrarci”.

“I tuoi devoti…”.

“Le mie creature, fatte a mia immagine e somiglianza”.

“L’avevo notato…”.

“La rappresentante dell’Oscurità mi assomiglia?”.

“Molto. Ma dovresti saperlo…”.

“Ero polarizzato su di te…”.

“Polarizzato?!”.

L’attenzione del Dio non era più concentrata sul mortale ma sui propri capelli, così nebbiosi e fumosi, disordinati ed agitati, giocherellandoci con le dita ed ignorando il Fuoco. Il principe tentò di riportare la conversazione sui binari, ma non ci riusciva. Storse il naso, sospirando.

“Dunque!” tuonò, ad un tratto, la divinità, facendolo sobbalzare “Dove eravamo rimasti? Cosa ci fai ancora qui, mortaluccio? Sparisci!”.

“Non so come si fa…” ammise Kassihell.

“Ah, sì…giusto…”.

Il Fuoco attese, si aspettava che lo riportasse al punto di partenza, ma il Dio si rimise a ridere, senza motivo, alzandosi e spiaccicando le candele sul muro. Rimasero attaccate grazie alla cera sciolta ed al Dio piacque il nuovo arredamento. Così facendo, la luce dell’ambiente pian piano si spense, fino a tornare buio totale.

“Sì…ma io…” iniziò il Fuoco.

“Tranquillo, Kassy…” parlò Kaos, facendo vibrare di nuovo il pavimento sotto di sé “…non mi sono scordato di te”.

Il mortale riusciva a scorgerne solo gli occhi azzurri, sospesi nell’immenso nero. Rabbrividì, quando il fumo che componeva il corpo divino lo sfiorò, e si irrigidì con un leggero timore che gli entrò nelle ossa. Per quanto potesse essere coraggioso e sicuro di sé, non poteva dimenticare di trovarsi a pochissimi centimetri da un Dio. Un Dio potente, irascibile e dai repentini sbalzi d’umore. Notandone il silenzio, per un istante temette la sua ira improvvisa ma così non fu.

Ridendo sadicamente, Kaos lo afferrò fra le sue nebbie e lo riportò fuori dal piccolo angolo parallelo che si erano creati per poter stare tranquilli, collegamento diretto con l’universo delle divinità, raccomandandogli di fare un buon uso dell’oggetto che gli aveva donato.

 

†††

 

Kassihell riapparve nella dimensione in cui era sempre vissuto. Sedeva in terra, come gettato lontano distrattamente, con le braccia all’indietro, e non venne notato dalla compagnia. Troppo impegnati a litigare fra loro o a guardare il cielo sospirando, nessuno notò il suo ritorno. Il Fuoco, scuotendo la testa, cercò il medaglione con lo sguardo e poi, non vedendolo, tastando con il palmo della mano. Lo trovò e realizzò che non era stato tutto un sogno. Ridacchiò. Osservò l’oggetto attentamente, sfruttando la Luce di Efrehem che si era intensificata per la rabbia data dalla discussione in atto. Sembrava piuttosto vecchio, consumato, con incisioni e scalfitture ai lati. Il quadrato centrale, dove aveva fatto passare il nastro rosso, era incorniciato da un sottile bordo in rilievo e su quasi tutta la superficie spiccavano incisioni e sporgenze con motivi apparentemente senza senso. Forse era una lingua antica o, semplicemente, come penso Kassihell, ghirigori a casaccio. Era color bronzo, tendente al rossiccio, opaco. Con entusiasmo, il Fuoco vide che la parte centrale, un anello separato dal resto e piatto, senza decori, si muoveva. Poteva farlo girare in senso orario ed antiorario. Si chiese se era così che funzionasse. Preso dalla curiosità, lo mosse leggermente in senso orario e si lasciò sfuggire un’esclamazione di stupore. I nove compagni accelerarono davanti ai suoi occhi, continuando a discutere. Il Fuoco lasciò il medaglione, avvertendo una fitta sul viso. Ora tutto era tornato alla solita velocità. Il tempo era avanzato, si notava dagli argomenti mutati della conversazione che, nonostante tutto, continuava imperterrita. Solamente Lehelin si era fermata e fissava Kassihell con aria interrogativa. Notando questo, anche tutti gli altri si fermarono.

“Kassihell! Sei tornato!” esclamò Hanjuly.

“Già…e anche da un po’…” borbottò il Fuoco.

“Che hai fatto al viso?” domandò Reishefy.

Il Fuoco la fissò con aria interrogativa e si toccò la guancia, quella in cui prima aveva avvertito una fitta, e la sentì umida. Aveva un odore familiare. Sangue! Mandando avanti il tempo solo per qualche istante, aveva aperto quella ferita sul suo volto. Si spaventò all’idea di quali conseguenze poteva avere il suo uso prolungato. Idisi gli porse un fazzoletto, mentre si rialzava, e sorrise sollevata. Quasi tutti si sentirono molto meglio nel rivederlo lì, di nuovo.

“Non mi mancavano i tuoi modi scoccianti…” borbottò Aherektess.

“Neanche tu mi sei mancato, canarino dalle piume aranciastre”.

“Che cosa è successo?” si incuriosì Efrehem, pronto a prendere appunti.

“Non ci crederesti se te lo raccontassi. Ad ogni modo…abbiamo l’oggetto del primo luogo proibito, possiamo proseguire”.

Mostrò loro il medaglione e tutti si avvicinarono per vederlo meglio. Il Fuoco si ritrasse per non farlo toccare, informandoli che nessun’altro poteva metterci le mani tranne lui.

“A cosa serve?” continuò Efrehem, sempre più curioso, e Kassihell si stupì del fatto che nessuno si fosse accorto di nulla.

“Mi è stato detto di non perdermi in discorsi inutili e proseguire. Perciò andiamo…”.

“Ma chi? Chi ti ha detto di non perderti in discorsi inutili?” incalzò la Luce, per niente soddisfatto delle informazioni ricevute.

“Lo vedrai, piccoletto, quando verrà il tuo turno!” lo rassicurò il Fuoco.

“Il mio turno? Intendi dire che, per ogni luogo proibito, uno di noi dovrà trovare il suo oggetto in una dimensione parallela?”.

“Sei un genio. Adesso andiamo” tagliò corto Kassihell, non rispondendo più a nessuna domanda e tornando a legarsi alla catena, trascinando il gruppo fuori dal cerchio di pietra.

Camminarono ancora per poco, stanchi dalla discussione e dalla prova affrontata.

“Dove andiamo adesso? Quale regno sarà il prossimo?” parlò Idisi.

“Tecnicamente, da dove ci troviamo ora…” parlò l’Oscurità, guardando la cartina del suo regno “…è molto più vicino il regno dell’Acqua”.

“Bene. Allora proseguiremo il nostro viaggio in quella direzione” affermò Efrehem.

“Sento già il profumo dell’Oceano” si entusiasmò Enki, rassicurata leggermente dal fatto che poteva tornare su un terreno familiare e conosciuto.

Nutrendosi dei frutti degli alberi e riposando nella foresta, avanzarono con molto più entusiasmo una volta capito che i luoghi proibiti non erano mortali come tutti, palesemente o meno, credevano.

Si sentirono anche infinitamente più sicuri quando notarono che le bestie di quel regno si tenevano a distanza, da quando il Fuoco aveva ottenuto quel medaglione. Grazie a questo, il loro cammino fu molto più veloce e lieto, almeno per Reishefy ed Hanjuly che cantarono tutto il tempo. Molto meno lieto per chi non sopportava quelle canzoncine idiote. Nessuno, però, protestò, ansiosi com’erano di uscire dal buio. Non avrebbero rallentato per litigare! Dopo poco più di una settimana, quando gli Sposi mostrarono il loro primo quarto, l’oscurità iniziò a diradarsi e tutti, prima o dopo, iniziarono ad udire chiaramente lo sciabordio del mare ed il profumo del sale. Si sciolsero dalle catene, nessuno aiutò il Metallo a risistemarle, appena poterono tornare a vedere. Aherektess sbatté le braccia con forza, per riattivare la circolazione nelle sue preziose ali, finalmente libero. Hanjuly improvvisò una piccola danza, fra l’ammirazione dei maschi del gruppo. Reishefy saltellò in cerchio, canticchiando. Lehelin si sentì sollevata dal non avere più il comando. Efrehem iniziò a ricaricarsi con ogni singolo raggio di Sirona che sfiorava la sua pelle. Mattehedike si stiracchiò. Idisi si sistemò i polsini e l’abito piumato. Kassihell sbadigliò, facendo scricchiolare qualche osso di spalle e braccia. Thuwey bestemmiò mentre rimetteva a posto tutte le sue preziose catene, lavoro lungo che richiedeva pazienza e precisione, ed Enki urlò, entusiasta, quando davanti ai dieci si mostrò l’immensità blu intenso dell’Oceano.

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Capitolo 5
*** V- Acqua ***


V

 

Enki, stringendo fra le mani la sua chiave blu, immerse i piedi nell’acqua salmastra, felice di avvertire di nuovo la presenza del suo elemento. Kassihell sbuffò. Ci avevano messo quasi un mese a giungere fin lì, di certo quel viaggio non sarebbe durato poco come gli era stato comunicato. Hanjuly e Reishefy iniziarono a schizzarsi fra loro, correndo. Anche la Roccia immerse i piedi nell’oceano, non avendo mai provato quella sensazione, e ne rimase piacevolmente deliziato. La maggior parte di loro non aveva mia visto il mare. La Luce, ancora con gli occhi puntati su Sirona per ricaricarsi, si riempì i polmoni con quel nuovo profumo e sorrise. Aherektess, ghignando, schizzò il Fuoco, che gli sibilò contro. Tentava di stare solo lo stretto necessario in contatto con quell’elemento opposto ed umido. Idisi affondò fino alle caviglie nel bagnasciuga, scalza, e sorrise anch’essa. Il Ghiaccio provò a coinvolgere gli altri nei suoi giochi. Lehelin non protestò, anzi rispose alla provocazione sollevando la sabbia. Thuwey, invece, solo nel veder avvicinare la donna con i suoi intenti, fece diversi passi indietro, con le mani avanti.

“Che ti succede, Metallaro?” ironizzò Kassihell “Nel regno dell’Oscurità mi hai detto che non vai ruggine a contatto con l’acqua, e difatti ci siamo bagnati tutti quanti nei fiumi senza problemi. Come mai questa reazione?”.

“Quella è acqua salata” si limitò a dire, indicando la superficie del mare.

“E allora? Che differenza fa?” domandò l’Aria, gonfiando le piume umide per asciugarle.

“Con QUELLA vado ruggine” sbottò, facendo un balzo per schivare le gocce provenienti dalle ali scosse di Aherektess.

“Bel problema…” commentò Idisi.

“Bel problema un po’ per tutti noi. Il regno dell’Acqua è sottomarino e, salvo Enki, non mi risulta che nessun altro sia in grado di respirare con le branchie!” commentò Efrehem.

“Tranquilli” sorrise Enki “Il luogo proibito si trova sopra la superficie, non sommerso”.

“Sì ma come lo raggiungiamo? A nuoto è escluso…” domandò Mattehedike.

“Questo viaggio è una vera e propria agonia…saltan fuori solo casini!” borbottò Kassihell, indietreggiando per non essere colpito dalle onde della marea che si alzava.

“Potrei portarvi io…” suggerì Hanjuly.

“In braccio?” sghignazzò Thuwey e la principessa del Ghiaccio, di tutta risposta, lo sollevò da terra, fra le braccia, guardandolo con aria di sfida.

“Come vedi potrei farlo…” rispose, seria “…ma non è quella la mia idea”.

Il Metallo non parlò più, sconvolto da ciò che era appena successo, e rimase in attesa di udire la soluzione proposta, dopo essere stato lasciato di colpo dalla principessa ghiacciata.

“La mia idea è, dato che riesco a far gelare l’acqua, di seguire per prima Enki, che nuoterà, suppongo, creando un sentiero ghiacciato sopra il quale potrete camminare”.

“Idea geniale!” convenne Efrehem, ancora una volta stupito per non averci pensato lui per primo.

“Ed una barca invece? Potrebbe essere possibile?” suggerì Enki, spiegando il perché della sua scelta indicando le onde “Le correnti sono molto forti e con una barca potremmo arrivare decisamente prima. A piedi ci vorranno almeno due o tre settimane, ma in barca si dimezzerebbero i tempi”.

“Detesto andare in barca ma, se questo ci farà arrivare prima, barca sia!” parlò il Fuoco.

“Una barca di cosa?” si informò Thuwey, guardando preoccupato la marea che saliva.

“Di ghiaccio, naturalmente!” esclamò Hanjuly, entusiasta “Sono in grado di farla e, grazie alla guida ed al controllo delle correnti di Enki, arriveremo in un battibaleno!”.

“Scordatelo. Io non salgo su una barca che mi si scioglie addosso!” protestò il Metallo.

“In effetti…” iniziò Efrehem, tenendosi il mento e girando lo sguardo verso l’alto “…a contatto diretto con il ghiaccio, creato dall’acqua salata, potrebbe avere delle conseguenze solo leggermente inferiori ad un’immersione. Senza menzionare gli inevitabili schizzi…”.

“Per non parlare del fatto che l’Elettricità trasmetterebbe le sue scosse su tutta la superficie!” fece notare Mattehedike, non volendo rivelare di soffrire il mal di mare.

“Quello accadrebbe anche camminando sul sentiero ghiacciato” informò Idisi.

“Tecnicamente no” si intromise Efrehem “Scaricherebbe verso il basso, come la fisica insegna…perciò, in teoria, sul sentiero non dovrebbe avere problemi mentre, invece, sulla barca, non posso garantire che segua quel principio. Immagino dipenda dalla forma della barca”.

“Ma non possiamo dividerci in due gruppi. Non uno in barca ed uno a piedi, perlomeno. Quelli sul sentiero sarebbero troppo lenti e rimarrebbero indietro”.

“Hai ragione, Idisi…perciò, che facciamo?” si guardò attorno il Ghiaccio, in attesa di soluzioni.

Nel frattempo si perse a guardare le onde, meditando sul da farsi.

“Mai fatto surf?” le domandò Efrehem.

“Surf? Sì, certo…è divertente…”.

“E se i gruppi fossero due: la barca ed il surf? L’Elettricità, che molto probabilmente darebbe problemi sulla barca, verrebbe con te e…”.

“E anche il Metallo, che potrei proteggere da ogni schizzo, ghiacciandolo prima che lo raggiunga!” concluse Hanjuly, gioendo.

Thuwey fece per aprire bocca ma nessuno lo stava a sentire, preso com’era dall’idea di partire.

“E per il Fuoco, invece? Che si fa?” domandò Enki.

“Non è un problema, per me, viaggiare in barca. L’importante è che abbia la possibilità di muovermi per non raffreddarmi…” informò Kassihell.

“Benissimo…allora tu remerai!” esclamò Idisi, porgendogli la specie di grosso remo che aveva per arma e sorridendogli.

“Ed io controllerò che lo strato di ghiaccio a te vicino non si assottigli, dato il calore che emetti” concluse la principessa gelata.

“State tranquilli…” aggiunse Enki “…ci sono delle isole lungo il cammino, dove potremmo fermarci. Non sarà un’eterna traversata in mezzo al blu. Lì potrete rifornirvi di acqua potabile, fra le altre cose, che sull’oceano non avrete a disposizione”.

“Partiamo!” quasi urlò Hanjuly “Pronto, compagno di surf?” rise, andando accanto al Metallo che scosse il capo, specie quando l’Elettricità mostrò tutto il suo entusiasmo all’idea di viaggiargli accanto per tutto il tragitto.

 

†††

 

“Mai fatto surf?” gli domandò Hanjuly.

“Certo che no!” sbottò Thuwey “Perché avrei dovuto?”.

“Perché ho sempre amato gli uomini che fanno surf…sono così virili…”.

“Ti assicuro che la mia virilità non può essere messa in alcun modo in discussione e di certo non rischierò di cadere in quel miasma salmastro chiamato oceano solo per dimostrartelo!”.

“Beh mi spiace ma dovrai farlo! Ecco la tua tavola!” esclamò il Ghiaccio, battendo i piedi nell’acqua e creando ciò di cui aveva bisogno.

“Mettici i piedi sopra” ordinò al Metallo, che non fece un passo.

“Muoviti!!” gli urlò Reishefy e lo spinse, buttandosi contro l’uomo con tutta se stessa, dandogli la scossa e facendolo sobbalzare sulla tavola appena nata.

Subito Hanjuly gli bloccò i piedi con il suo elemento, impedendogli di fuggire.

“Tranquillo…” gli parlò “La tavola, e tutto il resto su cui poggi, l’ho creato usando l’acqua potabile, quella per te non dannosa. Non ne ho abbastanza per una barca, ma per te è più che sufficiente”.

Aherektess sghignazzò quando vide che Thuwey tentava di avanzare, con i piedi tutt’uno con la tavola, bestemmiando a gran voce. Nel frattempo, Hanjuly aveva creato, con l’acqua salata, il mezzo di trasporto per l’Elettricità, che ne fu entusiasta.

“Ho già fatto questo sport. Me la cavo, anche se non mi leghi i piedi” rassicurò.

“Benissimo. Tu, invece, caro Metallo, sarai sulla mia stessa tavola. Ci penserò io a tenerti in equilibrio ed a proteggerti dagli schizzi”.

“E…in base a cosa dovrei fidarmi di te? Se cado da questo coso, la mia vita è finita, lo sai vero, ghiacciolo ambulante? Nessuno di voi sarebbe in grado di riportarmi a galla e, anche se ciò avvenisse, la mia pelle ne uscirebbe irrimediabilmente rovinata”.

“Nessuno te lo dice, simpaticone! Non hai altra scelta. O così, o sulla barca…dove verresti a diretto contatto con l’elemento tuo nemico ed è certo che ne subiresti le conseguenze”.

Thuwey sospirò, arrendendosi all’evidenza. Maledisse, non certo in silenzio, ogni divinità che gli venne in mente ed attese, mentre il Ghiaccio creava la grossa barca per gli altri della compagnia.

L’imbarcazione, quasi trasparente, era molto semplice per ridurre al minimo lo sforzo della principessa del gelo nel crearla. Assomigliava, molto vagamente, ad un grosso baccello semiaperto, senza particolari comodità o posti a sedere. Quella, spiegò, era la forma e la struttura più semplice da mantenere per un periodo di tempo prolungato. Fu creata tutt’attorno al gruppo, così da evitare il marchingegno di entrata, e si ritrovò ben presto in mezzo al mare, grazie alle correnti mosse da Enki. Luce ed Oscurità si sistemarono sugli angoli opposti. Efrehem dove più battevano i raggi di Sirona e Lehelin all’ombra, ruotando e stringendo leggermente i grandi occhi argento per sopportare la luminosità esterna. La Roccia si sedette in silenzio, tenendosi le ginocchia, concentrato sullo spazio aperto che riusciva a vedere dal ghiaccio trasparente. Idisi osservò Kassihell mentre, con il remo allacciato dietro la schiena, si arrampicava lungo uno dei bordi, creando delle piccole rientranze con il suo calore. Il principe del Fuoco giunse in cima, la sua meta, e guardò giù, mostrandosi apparentemente calmo. Guardò l’arma della maga della Terra mentre questa si ingrandiva, fino a divenire abbastanza grande da raggiungere l’acqua. Ammirato da questo evento, si voltò verso Idisi con un sorriso compiaciuto. Vide Enki davanti all’imbarcazione ed iniziò a remare verso la direzione della principessa dell’Acqua. Aherektess, preferendo di gran lunga l’aria al gelido ghiaccio, spiccò il volo e seguì la barca senza problemi.

Reishefy, senza pensarci troppo, prese la rincorsa e, tavola fra le braccia, si tuffò. Si mise in piedi sulla sua bella tavola, facendosi guidare anch’essa dalle correnti governate da Enki.

“Tocca a noi, tesoruccio…” sorrise Hanjuly, spingendo Thuwey al largo e prendendo posto davanti a lui, ghignando.

Il Metallo sobbalzò, guardando in basso, e si aggrappò, d’istinto, alle spalle del Ghiaccio, felice per non provare freddo nel toccarla. Hanjuly ridacchiò, ordinandogli di tenersi stretto, ed accelerò per poter raggiungere il resto del gruppo. Attorno a sé, le gocce e gli schizzi creati dalla tavola si solidificavano prima di sfiorare l’altissimo Thuwey, che smise di bestemmiare ed iniziò a pregare.

 

†††

 

La prima isola sul loro tragitto la raggiunsero piuttosto in fretta, meno di sei ore. Tutti, tranne Enki ovviamente, furono piuttosto felici di poggiare i piedi di nuovo in terra. Reishefy era raggiante. Si stava divertendo un sacco e non riusciva a capire lo sguardo stravolto di Mattehedike, in preda al mal di mare, o la stanchezza di Idisi, che iniziò a starnutire in preda al raffreddore a causa della permanenza a contatto con il ghiaccio.

“Complimenti, Metallo. Sei rimasto in piedi!” ridacchiò l’Elettricità, dandogli una poderosa pacca sulla schiena…senza riuscire più a staccarsi!

“Che succede?!” protestò “Che mi hai fatto?!”.

“Staccati, piccola stupida! Mi stai mandando le scosse! Staccati!” urlò Thuwey.

“Non è colpa mia! Non ci riesco!” piagnucolò Reishefy.

La mano dell’Elettricità era rimasta attaccata alla schiena del Metallo e da lì non si muoveva. Per la paura, la ragazza intensificava le scariche elettriche sempre di più.

“State calmi!” li fermò Efrehem “Si tratta di una normale reazione al freddo dell’elemento metallico. Probabilmente l’umidità dell’aria si è ghiacciata su di lui ed ora tu ci sei rimasta attaccata. Non è nulla di grave…”.

“Come quando resti attaccato con la lingua al ghiaccio provando a leccarlo?” domandò Hanjuly.

“Non so perché dovresti leccare il ghiaccio ma sì…è lo stesso principio! Ed ha la stessa soluzione”.

“Mi spiace interrompere la vostra interessantissima conversazione ma…me la stacchereste di dosso?!” ringhiò Thuwey, interrompendo Efrehem e la sua spiegazione.

“Kassihell…ti dispiace venire qui?” domandò il Ghiaccio, conoscendo la soluzione.

Il Fuoco, sgranchendosi le braccia dopo tanto remare, si avvicinò ridendo per la scenetta.

“Ti dispiacerebbe scaldare un pochino il Metallo? Non molto…giusto finché non si stacca Reishefy” continuò Hanjuly, gentilmente.

“E fai attenzione. Se mi fai pure sciogliere, ti picchio!” ringhiò Thuwey.

“Ma sei proprio impossibile! Non ti va bene niente!” sghignazzò Kassihell e gli poggiò una mano sulla schiena, poco distante a dove era rimasta attaccata la ragazzina elettrica.

“Ora fa piano, Reishefy…” le consigliò la Luce “…prova a staccarti ma lentamente. L’ideale sarebbe usare l’acqua calda ma al momento nessuno di noi ha acqua potabile ed il Signor Metallo si rovina con l’oceano”.

L’Elettricità annuì e provò a togliere la mano, pian piano. Sorrise, vedendo che ci stava riuscendo. Quando fu libera, non poté fare a meno di abbracciare Fuoco e Luce, che sobbalzarono per le scosse. Thuwey tirò un sospiro di sollievo e, leggermente dolorante, si sedette sulla spiaggia. Lehelin lo guardò, con aria interrogativa.

“Scusa ma…è una mia impressione o sei diventato più grosso?” domandò.

“Non ti sbagli, principessa fumosa. Il mio corpo, composto quasi interamente di un metallo molto particolare, reagisce come tale in base alle condizioni esterne. Non muoio assiderato dal freddo e non soffro particolarmente il caldo, salvo casi estremi, ma mi limito a cambiare dimensioni e temperatura. Con il gelo mi stringo e mi raffreddo moltissimo, con il caldo divento più grande ed, a volte, incandescente. In pochi minuti tornerò normale”.

“Affascinante!” commentò Efrehem, appuntando anche quell’informazione sul suo libricino.

“Assurdo…” sbottò Kassihell “…ed a che temperatura fondi?”.

“Non verrò certo a dirtelo, piccolo fiammiferaio! Ad ogni modo…un incendio non mi provoca danni se non ci resto troppo a lungo nel mezzo”.

“Sei l’elemento più strano di Asteria…” commentò Mattehedike e Thuwey si guardò attorno, non concordando con quella tesi.

Idisi, notando che la Roccia ancora non si riprendeva dal viaggio in barca, si addentrò fra la vegetazione dell’isola in cerca di un rimedio, non volendo continuare la traversata con accanto l’ultimo pasto del compagno d’imbarcazione. Quasi tutti seguirono il suo esempio, alla ricerca di acqua potabile, cibo e ristoro. Aherektess, appollaiato su un albero, estrasse dal suo zaino dei frutti del regno dell’Oscurità, che aveva previdentemente portato con sé, e se li mangiò con gusto. Ovviamente non li condivise con nessuno.

“Ho bisogno di un bagno…” parlò piano il Fuoco, togliendosi la maglia.

“Concordo. Non è il caso che rientri nella barca puzzando…” lo derise Aherektess, sempre aggrappato ad un alto ramo.

“Immagino che, dopo aver tanto volato, non sia in condizioni migliori delle mie, passerotto” sbottò Kassihell, allontanandosi dal gruppo ed andando verso il fiume, di cui sentiva chiaramente lo sciabordio non molto distante.

L’Aria non rispose, fingendo di non aver sentito essendo impegnato a sistemarsi le penne.

I viaggiatori raccolsero l’acqua per il viaggio direttamente dalla fonte del fiume dell’isola, deliziati dal suo sapore puro e rinfrescante. Mangiarono alcuni frutti ed erbe fra la vegetazione, seguendo le indicazioni di Idisi su cosa fosse commestibile e cosa evitare, e tornarono verso la riva.

“Meglio riposare qui” suggerì Enki, quando tutta la compagnia fu riunita sulla spiaggia “Il tragitto fino alla prossima isola sarà ben più lungo ed è meglio che siate preparati e freschi”.

Alcuni di loro, come Reishefy ed Efrehem, erano già crollati dalla stanchezza e dormivano beati. Hanjuly, piuttosto provata dal controllo del suo elemento, si addormentò in fretta, sulla sabbia. Thuwey e Kassihell controllarono per bene le vicinanze, in cerca di eventuali pericoli, ma poi si rilassarono e presero sonno, appoggiati a degli alberi. Aherektess salì su un ramo robusto e chiuse gli occhi, avvolgendosi in parte nelle ali. Mattehedike, ancora un po’ sottosopra, dormì grazie alle erbe che gli porse Idisi, che si addormentò a sua volta fra la vegetazione, in piedi come i tronchi che aveva per gambe. Enki si immerse e dormì cullata dalle onde. Solamente Lehelin, non dormendo, bevendo o mangiando mai, rimase sveglia mentre Sirona tramontava. Avvolta dalle tenebre della notte, rimase seduta sulla spiaggia a guardare gli sposi del cielo e le onde piene dei loro riflessi argento.

 

†††

 

“Non dormi, scricciolino?” si sentì dire l’Oscurità, dopo diverse ore.

“Io non dormo mai…” rispose, sussurrando per non svegliare gli altri.

“E dopo dicono che sono io la creatura più strana del gruppo…” ironizzò Thuwey.

“E tu non dormi, Metallo?”.

“Non ho bisogno di grandi ore di sonno. Sono a posto…”.

“Parla più piano, o sveglierai gli altri!” sibilò Lehelin e Thuwey si alzò, lentamente, andandole vicino per non dare ulteriore fastidio ai compagni ancora nel mondo dei sogni.

Si sedette accanto alla principessa d’ombra, che girò solo leggermente la testa.

“È la prima volta che ti vedo senza armatura sulle gambe…” commentò.

“Di notte non ha molto senso che la mia pelle prenda quelle sembianze…” ridacchiò Thuwey, indossando solamente una specie di gonnellino nero.

“Spero di non crearti problemi, vestito così. Del resto…tu sei nuda…”.

“Vedi di non prenderti troppe confidenze, Metallo!” sbottò Lehelin.

“Chiamami Thuwey! Non mi offendo mica!”.

“Non chiamo mai la gente per nome”.

“Come vuoi, Linnina…” sorrise il Metallo, con le sue labbra nere, distendendosi sulla sabbia con le mani dietro la testa.

L’Oscurità lo guardò malissimo ma lui non ci fece caso, continuando a sorridere.

“Parlami un po’ delle tue doti d’incantatrice. È vero che voi creature dell’Oscurità riuscite ad assumere ogni forma che desiderate?”.

“Tu che dici?” rispose lei, con voce diversa.

Lui la guardò e sobbalzò dalla sorpresa. Davanti ai suoi occhi, la principessa oscura si era trasformata nell’abitante del regno del Metallo, riproducendone perfino la voce e lo scarso vestiario. Lehelin sorrise, mostrando i denti aguzzi di Thuwey.

“Come hai fatto?” domandò lui “Intendo dire…nei minimi dettagli…tu…”.

“Io uso la memoria della tua ombra…” spiegò lei, tornando al suo solito aspetto “…è sempre stata con te, fin dalla tua nascita, e quindi racchiude ogni tuo segreto ed aspetto. È una cosa che solo noi creature d’Oscurità sappiamo cogliere e decifrare”.

“Quindi potresti affrontare il viaggio per Asteria da sola, trasformandoti ogni volta nella creatura del regno che serve?”.

“No. Acquisisco l’aspetto ma non le capacità proprie della specie. Non respiro sott’acqua come Enki anche trasformandomi in lei. Non volerei come Aherektess, mancandomi le lezioni per farlo. Non brillerei come Efrehem…le tue punte non sarebbero d’acciaio all’interno ma d’ombra. Potrei farle scomparire ma non ritrarre ed il mio corpo all’interno resterebbe lo stesso. Cambia l’esterno, non la sostanza. Sono un’incantatrice, un’ingannatrice, non un clone…”.

“Questo lo spierò ad Efrehem…ma, con queste capacità, saresti quindi in grado di diventare ciò che vuoi? Anche una persona non presente o inventata?”.

“Certo. Ma, se mi vuoi chiedere di trasformarmi nella donna dei tuoi sogni, la mia risposta è no!” ghignò l’ombra “Anche perché, pur cambiando d’aspetto, manterrei il mio pessimo carattere”.

“Anche il mio è pessimo, credimi. Sono dell’idea che l’aspetto esteriore, in fondo, non conti poi così tanto. Muta, giusto? Intendo dire…io potrei tagliarmi e tingermi i capelli, potrei cambiare modo di vestire, potrei ritrarre ogni spuntone metallico, potrei divenire un uomo completamente diverso ma, dentro di me, sarei sempre io. Ed è questo che deve importare alla gente!”.

“Per questo state tutti a sbavare ogni volta che Hanjuly si muove?” ridacchiò Lehelin.

Il Metallo non rispose e ridacchiò a sua volta.

“Prima o poi gli anni passeranno anche per lei, giusto?” continuò l’ombra “Come passeranno per tutti. Chissà come sarete fra anni…”.

“Saremo!” la interruppe Thuwey.

“Ti correggo: sarete. Noi dell’Oscurità non invecchiamo. Cresciamo di dimensioni, un po’ alla volta, e poi ci dissolviamo come la nebbia. Al momento della morte sarò come sono adesso”.

“Perché stiamo parlando di morte?! Non siamo partiti discutendo sulla donna dei sogni?”.

“Già…la tua ti attende a casa?”.

“No…e questo viaggio mi ci sta facendo riflettere. Son entrato nell’esercito ancora minorenne, ho combattuto per il mio regno e per la mia regina ma non ho nessuna regina a casa ad attendermi. Tutti voi avete chi vi aspetta. Kassihell ed Idisi han figli e compagni, Enki ed Aherektess fratelli e sorelle, Efrehem il nonno, Mattehedike ed Hanjuly i genitori, Reishefy i mille fidanzati ed il padre, tu tuo padre…io, invece, sono un orfano spedito qui per ordine della regina e, anche se non tornassi, a nessuno importerebbe. Credo che, quando tutto questo sarà finito, se ne uscirò vivo, comincerò a pensare ad altro, oltre alla carriera militare, come ho sempre fatto fin ora. Per un motivo od un altro non ho mai voluto ed avuto tempo per l’amore, che si tratti di parenti od altro. Solo occasionali incontri con puttane di vario tipo, a puro scopo di sfogo. Ma il loro abbraccio non scalda il cuore come potrebbe farlo quello di una madre o di un’amata”.

“Per questo non ritrai le punte che hai sul petto nemmeno quando dormi? Una forma di allontanamento preventivo?”.

“Può darsi. So che mi sento meglio se sono lì, a creare automaticamente una distanza fra me e gli altri. Ovvio che, se mi rigiro sulla pancia, le ritiro!”.

“Chissà quanti cuscini e materassi hai bucato da piccolo…”.

“Non molti. Sono cresciuto per strada, non ho avuto modo di possedere un gran numero di materassi ed affini. E per strada era decisamente meglio avere le punte pronte per un eventuale attacco. Non era una vita un granché rilassante…”.

“Ma ora, fermandoti, non ti trovi meglio? Intendo dire…hai paura di un attacco da parte di uno di noi nove?”.

“No. È che ormai sono abituato. Meglio un contatto mancato che un contatto sbagliato, che può ferirti. Non so se puoi capirmi…”.

“Ti capisco. E credo che anche altri del gruppo abbiano i tuoi problemi. Dopotutto, siam tutti qui per una ragione. Quale sia non è di certo chiara ad ognuno ma lo capiremo”.

“Che pensieri profondi…ed il tuo uomo ideale, invece? Dove sta?”.

“E chi lo sa! Forse su un altro pianeta”.

“Che pessimismo…sei giovane ancora!”.

“Già…facciamo un giro? Cambiamo argomento! Ho bisogno di sgranchirmi un po’, prima di tornare in quella barca gelata”.

Thuwey annuì e si alzò, stiracchiandosi, notando che solamente lui proiettava un’ombra dietro di sé grazie agli sposi della notte.

“Se tu non dormi mai…allora nemmeno sogni, giusto?”.

“Come potrei? E, comunque, sogno abbastanza ad occhi aperti”.

I due camminarono lentamente, scalzi sulla sabbia, illuminati da Nikkal e Jarih. Il metallo lungo tutto il corpo di Thuwey risplendeva d’argento, così come la pelle di Lehelin.

“Non hai paura di me, Metallo? Gli altri ne hanno…”.

“Perché si fermano alle apparenze”.

“E tu no?”.

“Un po’ sì, lo ammetto. All’inizio ero piuttosto in soggezione, specie sapendo di chi sei figlia, ma ora mi sento tranquillo. Siamo nella stessa squadra, no?”.

“Immagino di sì”.

Alle prime luci dell’alba, i due tornarono verso il punto dove gli altri si erano coricati. Trovarono Kassihell già sveglio, che si esercitava con la Katana, e Aherektess come di vedetta, sulla cima di una palma. Lehelin fissò i suoi occhi tristi e sospirò.

“Dove siete stati voi due?” domandò il Fuoco.

“Non a fare quello che pensi…” sibilò Thuwey, con voce allegra, avvicinandosi alla sacca con la sua roba per vestirsi.

“Ti auguro di trovare chi ti aspetterà, Metallo” gli sussurrò Lehelin, per non svegliare gli altri.

“Grazie…”.

Il Fuoco non capì e si limitò ad alzare le spalle, lanciando un grido per svegliare il resto della compagnia ancora immersa nel mondo dei sogni.

 

†††

 

“Stavo facendo un sogno bellissimo quando mi hai svegliato…” brontolò Reishefy.

“Scusa” ironizzò Kassihell.

Erano di nuovo al largo, fra le onde. Tutti coloro che stavano sulla barca si lasciavano cullare dal suo dolce moto, tranne la Roccia che stette subito male. L’Elettricità faceva surf e riusciva chiaramente a vedere il Fuoco, intento a remare dietro ad Enki. La principessa dell’Acqua nuotava velocissima, saltando fuori dal mare per farsi seguire. Aherektess volava sopra di loro, osservando Hanjuly mentre rideva come una pazza, divertendosi, e notando lo sguardo lievemente turbato di Thuwey. Era evidente che temeva di cadere e non si fidava di quella donna. L’Acqua accelerò il ritmo ed il ghiaccio la seguì, con una piroetta fra le onde altissime che si stavano creando.

“Raggiungiamo l’isola prima che peggiori il tempo!” spiegò Enki, urlando per farsi sentire.

“Ma tu non puoi controllare le maree e le correnti?” protestò Mattehedike, quasi disteso sulla barca in preda al mal di mare.

“Sì ma non posso controllare un tratto così vasto d’oceano agitato. C’è brutto tempo ed io a questo non posso farci nulla” rispose l’Acqua.

Efrehem alzò le antenne all’insù, costatando come il cielo si stesse rapidamente rannuvolando.

Il vento si faceva sempre più forte e le onde sempre più alte. Reishefy trovò la cosa divertente, zigzagando sulla tavola con entusiasmo crescente.

“Tieniti forte” suggerì Hanjuly a Thuwey, che annuì girando la testa verso l’immensa onda che si avvicinava e che superava di parecchio l’altezza dei due surfisti.

Il Ghiaccio, abilmente, si lasciò avvolgere, sfiorandone la superficie creando un tunnel, ed iniziò a cavalcare l’onda successiva. Il Metallo, tentando di imitarne i movimenti, non riuscì a trattenere un lieve sussulto quando notò che stavano in cima ad un immenso ed altissimo cavallone che li teneva sollevati di parecchi metri.

“Che figata!” urlò l’Elettricità, riuscendo a raggiungere Hanjuly.

“Hai ragione! Mai viste onde così! Fantastico!” rispose il Ghiaccio.

“Cosa?!” esclamò Thuwey, non potendo credere di riuscire a stare ancora in piedi “Ma cosa vi siete fumate voi due?!”.

“Suvvia…da un uomo mi aspettavo più coraggio” lo derise Hanjuly.

“Pure io…codardo!” ridacchiò Reishefy.

“Non sono codardo! Siete voi due che mi mettete in agitazione. Siete completamente suonate! Non vedo l’ora di lasciare questo stupido regno!”.

“E se quello dopo sarà peggio di questo?” ghignò la gelida.

“Peggio di una pazza che tenta di uccidermi e di una scema elettrica dubito possa esserci…”.

“Ma senti questo…posso ucciderlo?” si arrabbiò Reishefy.

“Dopo…” la fermò Hanjuly “…quando arriveremo all’isola. Se no dan la colpa a me”.

Cavalcando un’onda dopo l’altra, udendo le grida di chi era nella barca che veniva scossa violentemente dalla forte corrente, tentavano di star dietro al ritmo di Enki, difficile da individuare fra la schiuma ed il vento. Un fortissimo tuono, preceduto per pochi secondi da un fulmine, fece sobbalzare l’intero gruppo.

“È vicinissimo!” gridò l’Elettricità “Kassihell! Lascia perdere il remo! Rischi di attirare i lampi”.

Ma il Fuoco non la sentiva e tentava invano di governare la barca, completamente fuori controllo.

“Avverto la terra. Non manca molto all’isola” disse Idisi.

All’interno della barca, sballottati da ogni lato, si erano tutti riuniti verso il centro, compreso Kassihell che era stato avvisato da Efrehem del pericolo che correva. Ora l’arma della Terra giaceva distesa e la barca si agitava, lasciata senza guida.

“Questa è la più bella notizia che mi potessi dare!” esclamò Mattehedike, ad occhi chiusi.

Concentrati in un unico punto, sentivano il ghiaccio indebolirsi sotto di loro. Quasi si ribaltarono e tutti, tranne il Fuoco che rimase in silenzio, iniziarono a pregare. Ognuno una divinità diversa ma per lo stesso scopo: sopravvivere. Se si fossero trovati in mezzo all’oceano in tempesta, non avrebbero avuto scampo.

Gli scossoni ed i tuoni erano violenti e sempre più frequenti ed il ghiaccio dell’imbarcazione cominciava ad incrinarsi. Il Fuoco portò la mano sul medaglione che aveva al collo, tentato ad usarlo, ma andarono a sbattere violentemente contro qualcosa che mandò la barca in mille pezzi, come vetro. Si ritrovarono fra gli scogli, per fortuna vicinissimi alla riva. Kassihell, per nulla felice di essere bagnato fradicio, si arrampicò in fretta su uno di essi e tentò di individuare il modo di raggiungere la terraferma senza rimettere i piedi in acqua. Hanjuly gli sfrecciò accanto e notò l’accaduto.

“Tranquilli!” urlò “Vi vengo a prendere io!”.

Portò il Metallo sull’isola, dove si stese sulla sabbia con un largo sorriso di sollievo, e tornò al largo, verso gli scogli, raccogliendo le ultime forze che gli erano rimaste. Reishefy portò la Roccia, non avendo questi problemi con le sue scosse, ed Enki trasportò il leggerissimo rappresentante della Luce. Lehelin raggiunse la riva seguendo i contorni neri che trovò fra le sporgenze che la circondavano ed il Ghiaccio portò in un solo viaggio Kassihell ed Idisi. Tutti distesi sulla spiaggia, ansimando e tentando di riprendersi, lasciarono che la pioggia li bagnasse per un po’.

“Un momento!” sobbalzò l’Oscurità “Dov’è Aherektess?!”.

 

†††

 

“Forse è arrivato prima di noi e si è messo al riparo dal temporale…” azzardò Reishefy, tentando di mantenere stabile il suo ottimismo.

“Può essere…” si aggiunse Efrehem, poco convinto ma desideroso di rassicurarsi in qualche modo.

“Non credo. L’ultima volta che l’ho visto è stato molto prima che scendessi dal bordo della barca, smettendo di remare, ed era dietro di noi” smontò ogni entusiasmo il Fuoco.

“Ma lui controlla il vento…avrà sfruttato qualche corrente” continuò l’Elettricità.

“No. Non può” disse Lehelin “Le creature dell’Aria non volano mai quando ci sono simili condizioni atmosferiche. Se si tratta di solo vento è una cosa, ma qui piove ed anche in modo piuttosto violento”.

“Beh ma poteva salire sulla barca, se aveva di quei problemi…” commentò la Roccia.

“Probabilmente ha tentato di sfruttare le correnti…” ipotizzò Efrehem “…salendo verso l’alto per evitare le condizioni peggiori…”.

“…e ci ha persi di vista, coperto dalle nubi e dalle onde” concluse l’Oscurità.

“Intendi dire che si è perso nella tempesta?!” si allarmò Enki, sapendo bene cosa accadeva in casi del genere: nulla di piacevole.

“Sempre a pensar male! Sarà come ha detto la lampadina…” sbottò Thuwey, rialzandosi lentamente “…sarà andato verso l’alto, evitando lo sballottamento, ed avrà trovato riparo altrove”.

“Forse su una delle isole vicine!” esclamò Reishefy.

“O forse proprio su questa. Non preoccupiamoci troppo…Aherektess mi sembra uno tosto, che sa il fatto suo. A voi no?” disse Hanjuly.

I nove annuirono, più o meno convinti.

“Forse, teneva come punto di riferimento il remo della barca e, non vedendolo più, si è trovato spiazzato. Se non scendevi dalla tua postazione…” iniziò Mattehedike, con tono d’accusa, rivolto al Fuoco che si difese, dicendo che ciò che aveva fatto era necessario.

“Con i Se e con i Ma non andiamo da nessuna parte. Non potevamo fare diversamente” tuonò il Metallo, irritato solo al pensiero di sentir ricominciare una lite.

“Lo sappiamo bene tutti quanti che Kassihell vuole il principe dell’Aria morto. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per raggiungere il suo scopo…” continuò la Roccia.

Lo sguardo di Kassihell non negava ciò che era stato appena detto.

“Ma, se avesse tenuto quel remo, avreste rischiato di essere colpiti da un fulmine. Fidati di me, io lo so bene come funzionano!” parlò l’Elettricità.

“Ma non siete stanchi? Dove trovate l’energia per discutere?” sospirò Idisi “Inutile, mi sembra, star a pensare a ciò che è stato fatto e cosa no. Meglio cercare riparo dalla pioggia e riposare. Vedrete che, non appena il tempo migliorerà, Aherektess farà ritorno”.

“Forse potremmo lasciargli un segnale, una luce, perché ci trovi prima…” propose Enki.

“Sarebbe bello ma come facciamo? Il fuoco non resta accesso nella tormenta e la Luce è troppo debole per restarsene impalato qui, tutto bello lucente” notò Thuwey.

“Ci inventeremo qualcosa…” tagliò corto Kassihell “…ora però ripariamoci dalla pioggia”.

Tutti si avviarono verso l’interno, con più o meno titubanza, stanchi ed abbattuti. Lehelin fu l’ultima a muoversi, rimanendo con gli occhi verso il cielo.

 

Piovve per tutta la notte, in cui il gruppo tornò rissoso e poco collaborativo come sempre.

“Spero smetta sto tempo di merda!” protestò il Fuoco “Sto germogliando! Senza offesa, Idisi…”.

“Nessuna offesa” parlò la Terra, con un tono piatto e neutro.

In pochi riuscivano a dormire, un po’ per i tuoni continui ed un po’ per la preoccupazione. Enki, riuscendo a stare bene sotto il temporale anche lontano dall’oceano, spiegò che era meglio aspettare qualche giorno, affinché il mare si calmasse del tutto, evitando altre sorprese.

“Questo regno mi fa sempre più schifo!” borbottò Thuwey “Senza offesa, Enki…”.

“Nessuna offesa” rispose l’Acqua, con un tono decisamente più scocciato rispetto a quello di Idisi.

Si guardarono fra loro. Reishefy dormiva placidamente, avvolta dalla sua coltre di incoscienza ed ottimismo insensato. Efrehem era crollato dalla stanchezza e, pur non volendo, si era addormentato di botto. Hanjuly, provata dallo sforzo di controllo del ghiaccio, riposava accanto alla Luce. Mattehedike aveva bevuto la pozione che gli era stata preparata dalla Terra ed ora era sedato, appoggiato contro un albero. Tutti gli altri erano svegli e si fissavano, sospirando e tentando di ripararsi sotto le ampie foglie degli alti alberi.

“Chissà cosa staranno facendo i miei piccoli adesso” sussurrò Kassihell.

“Ne hai tre, giusto?” si informò Idisi.

“Già…” confermò il Fuoco, non aspettandosi che qualcuno lo ascoltasse.

“Io ho due femmine”.

“Davvero? Quanti anni hanno?”.

“La più grande, Hater, ha sei anni. La più piccola, Disi, ne ha tre. I tuoi invece?”.

“Il più grande, Koji, ha otto anni. Poi c’è la bambina, Menji, che ha quasi quattro anni ed infine il piccolo Cerik, che quando sono partito aveva appena sei mesi. Quando tornerò non mi riconoscerà più, questo è certo”.

“Non dire così. Sono sicura che, quando tornerai, ti sorriderà e ti correrà incontro”.

“Spero di no perché, se così fosse, vorrebbe dire che il nostro viaggio avrebbe avuto una durata tale da far sì che cresca a sufficienza per poter correre”.

Idisi non disse altro e sospirò, di nuovo. Thuwey girò leggermente gli occhi, notando che l’Oscurità si stava allontanando e tornando verso la spiaggia. Enki le suggerì di non separarsi dagli altri ma lei la rassicurò, dicendole di stare tranquilla e che sarebbe tornata subito.

 

†††

 

Lehelin camminò verso la spiaggia ed il mare, non riuscendo a vederlo chiaramente da dove si erano coricati a causa della fortissima pioggia. Un lampo le fece serrare gli occhi, che si ridussero ad una fessura sottilissima per qualche istante. Riprese a camminare sulla sabbia umida, spostandola appena, mentre l’acqua scorreva in modo disordinato sul suo corpo fumoso. C’era qualcosa dentro di lei che le diceva di continuare lungo la costa. Si sentiva triste. Guardò verso il cielo ma non vi era un solo spazio libero in cui poteva scorgere il cielo stellato o le Lune di Asteria. Il mare, ingrossato ed agitatissimo, si schiantava sugli scogli con violenza e forza. Controvento, l’Oscurità si deformava, come indossando una lunga veste nera che, spinta assieme ai capelli, fluttuava ondeggiando. Tracciò sulla sabbia una spirale, simbolo di Kaos, il Dio che governava il suo regno, e lo pregò a mezza voce. Sapeva bene che lui avrebbe fatto come sempre di testa sua ma, forse, avrebbe potuto farle, per una volta, un regalo e far andare le cose come lei voleva, e non l’opposto. Sospirò, percependo il vento sempre più forte, e fece per tornare dagli altri ma, alzando gli occhi, vide che era stata ascoltata. Sulla spiaggia, mezzo immerso dall’acqua, stava disteso Aherektess, bocconi e ad occhi chiusi. Gli corse incontro, chiamandolo per nome. Lo portò, meglio che poté, sulla sabbia non lambita dalle onde e tentò di farlo svegliare, girandolo di schiena e sollevandogli la testa. Aumentò le sue dimensioni per avvolgerlo e coprirlo, almeno in parte, dalla pioggia battente. Subito si sentì stanca ma ignorò la cosa, continuando a scuoterlo per fargli riaprire gli occhi.

“Aherektess!” lo chiamava “Arek, svegliati! Sei salvo, adesso. Va tutto bene…torna fra noi”.

Vide che era molto pallido e che il respiro era lieve. Lo sentiva freddo e debole. Tremava. Chissà quanto tempo era rimasto nell’acqua gelida… Lehelin si concentrò per trasmettergli almeno un po’ di calore, raccogliendolo dalle profondità di sé stessa. Tentò di richiamare l’attenzione degli altri membri del gruppo, urlando i loro nomi, uno dietro l’altro ma, fra vento e temporale, non la potevano udire. Non se la sentiva di lasciarlo lì da solo ed attese, stringendogli la mano. Continuò a chiamarlo fino a quando, all’improvviso, il principe dell’Aria tossì, violentemente, respirando poi profondamente. Aprì gli occhi, pian piano, e tentò di mettere a fuoco il viso che lo stava guardando, pronunciando il suo nome.

“Miya…sei tu?” sussurrò, socchiudendo le iridi rosso vivo.

Poi, scuotendo la testa, riconobbe l’Oscurità: “Lehelin…sei tu! Eppure…il tuo viso…i tuoi occhi…” mormorò, toccandole il volto con la mano.

“Sei solo stanco, Aria. Sei ferito?”.

Lui fece un cenno negativo con la testa e continuò a fissarla con gli occhi rossi aperti e tondi, lucidi.

“Resta qui…” gli disse lei “…mentre vado a chiamare gli altri”.

“No…resta qui…” le rispose lui, afferrandole la mano “…vorrei evitare certi atteggiamenti e commenti. Resta qui…presto sarò in grado di alzarmi e ci andrò con le mie gambe dagli altri”.

“Come preferisci. Ma sei fradicio. Dovresti essere coperto con qualcosa di asciutto…”.

“Dubito che qualcuno di voi abbia qualcosa di asciutto dietro, dato il diluvio! E poi non ho affatto freddo, come dovrei…sento come se la tua ombra mi stesse avvolgendo e proteggendo…non lo avrei mai pensato possibile…”.

“Cosa? Che io trasmetta calore?”.

“No…che i tuoi occhi mi fossero così spaventosamente familiari. Non mi ci ero mai soffermato prima. È una sensazione così strana…”.

“Te lo ripeto: sei stanco. Vedrai che, dopo un po’ di riposo, non ci vedrai più niente di particolare nel mio sguardo argentato”.

“Ti sbagli! Lo collegherò per sempre agli occhi della mia salvatrice!”.

“Non ti ho salvato io…ti ho solo trovato!”.

“Nulla accade per caso…anche se il tuo Dio è Kaos! Qualcosa ti ha chiamato qui per aiutarmi e tu lo hai percepito. Ti ringrazio”.

Lei gli sorrise, senza aggiungere altro e lui fece per mettersi a sedere. Non ci riuscì e ricadde, sostenuto dall’Oscurità. Lui la guardò e si lasciò andare, sopraffatto dalla stanchezza. Si addormentò, appoggiato sulla spalla della principessa, tranquillo. Lei lo avvolse il più possibile con la sua ombra e chiuse gli occhi a sua volta, chinando la testa.

 

†††

 

La luce di Sirona colse di sorpresa gli addormentati fra gli alberi. Reishefy fu la prima a svegliarsi e si mise a gridare, informando tutti quanti che non pioveva più. Scosse Kassihell, che era riuscito a prendere sonno, urlandogli nelle orecchie. Lui la spinse via con due dita e si rigirò, ignorandola. Hanjuly si unì all’entusiasmo della compagna di viaggio ed, insieme, cantarono una canzoncina stupida ed infantile che le fece ridere a crepapelle. Efrehem, stropicciandosi gli occhi arcobaleno, fece notare che c’erano ancora delle nubi all’orizzonte e che c’era il rischio di altra pioggia.

“Beh…per ora c’è bel tempo. Accontentiamoci di quello” sorrise Idisi, stiracchiandosi.

Thuwey, avvolto in un grosso mantello ormai zuppo d’acqua, tirò un calcio a Kassihell, restando seduto, notando che i richiami dell’Elettricità non servivano a farlo alzare. Il Fuoco, appoggiato ad un albero come il Metallo, ringhiò e si preparò ad attaccarlo. Fra loro si mise Mattehedike, assonnatissimo ma deciso.

“Non di prima mattina, ragazzi…” gemette ed Enki annuì a quella frase, concordando.

“Dov’è l’Oscurità? Mica ci saremo persi anche lei?” sbottò Thuwey, strizzando il mantello.

“Quella non credo possa perdersi tanto facilmente. Sarà qui vicino, nascosta o in agguato” sbadigliò la Roccia, tentando di riprendersi dal sonnifero della sera prima.

“Il mare mi sembra più tranquillo…” commentò Enki, scorgendo la spiaggia in fondo al sentiero che si erano creati per trovare un posto adatto a dormire.

“Ho fame!” esclamò Reishefy, iniziando a guardare i maschi presenti, come a voler dire che era compito loro procurare il cibo per le donzelle.

Ovviamente nessuno dei maschi si mosse in proposito. Ognuno per conto proprio, il gruppo andò a procurarsi cibo ed acqua. Misero gli abiti fradici ad asciugare. Efrehem indossò un cambio, che si era portato dietro, un po’ più asciutto anche se decisamente umido. Altri del gruppo, invece, come Kassihell e Thuwey, rimasero con il meno possibile addosso e, dopo essersi lavati nel fiume, si stesero alla luce di Sirona, come tante piccole lucertole, asciugandosi e scaldandosi.

“Così vi ammalerete” gli fece notare Idisi, osservando anche Hanjuly e Reishefy che, praticamente in costume, si avviavano verso l’oceano per giocare.

Nessuno la calcolò. Le lucertole, ad occhi socchiusi, sobbalzarono quando udirono il grido fortissimo delle due ragazze che si erano appena allontanate. Tutto il gruppo si precipitò verso di loro e le videro sorridere.

“Hanjuly, Reishefy…che succede?” ansò Efrehem, colto alla sprovvista dalla corsa.

“Aherektess!!” esclamò l’Elettricità, saltando sul posto dall’entusiasmo.

“Pensavamo vi stessero ammazzando, porca puttana!” si stizzì Kassihell “Tentate di dosare i diversi modi di gridare, per favore!”

Si girarono tutti verso il punto indicato dalle due e videro il principe dell’Aria, seduto con la schiena contro una palma, che guardava il mare. Reishefy si mise a correre e gli altri la seguirono.

“Evviva! È tornato Aherektess!” gioì l’Elettricità, saltandogli al collo e dandogli la scossa.

Thuwey la scansò, notando la cosa e ricordando la spiacevole sensazione. Guardò l’Aria e ridacchiò, accorgendosi di come quella piccola scossa gli aveva rizzato i capelli.

“Bentornato fra noi!” gli disse Idisi.

“Buongiorno ragazzi” rispose Aherektess.

“Arek è tornato! Che bello! Arek è tornato!” continuava a ripetere Reishefy, mentre l’Aria tentava di farle notare che non voleva sentirsi chiamare così.

“Siamo tutti contenti di rivederti. Perfino Kassy lo è, vero Kassy?” continuò la ragazzina elettrica.

“Giuro che se non la smetti di chiamarmi Kassy ti lego ad una palma a testa in giù finché non ripartiamo!” la minacciò il Fuoco.

“Ora ci siamo tutti…manca solo Lehelin…” sorrise Enki.

“Torna subito” mormorò Aherektess, ancora piuttosto stanco “È andata a prendermi la colazione”.

Quasi tutti si stupirono nel sentire quella frase ma non commentarono.

“Cosa ti è successo? Te la senti di raccontarcelo?” domandò Idisi, inginocchiandosi accanto all’Aria con un’espressione d’apprensione sul volto.

“Sono salito, sentendo l’aumentare delle correnti d’aria e dell’umidità, tenendovi d’occhio. Poi c’è stato quel lampo, fortissimo, ed ho chiuso gli occhi. È stato un attimo ma non vi ho visti più. Allora mi sono preoccupato e sono sceso di quota. Così facendo mi sono ritrovato in mezzo alla tempesta. Non vedevo nulla e sentivo le mie piume sempre più pesanti per l’acqua. Ho tentato di governare il vento per aiutarmi ma era l’acqua il mio problema. Ho resistito finché ho potuto ma poi son caduto nell’oceano. Temevo che la barca fosse affondata, e voi con lei…fortunatamente ero relativamente vicino alla costa e son riuscito a mettermi in salvo”.

“Ma perché non sei salito sulla barca appena ti sei accorto che il tempo peggiorava?” domandò Efrehem, aggrappandosi inutilmente alla logica.

“Ho agito d’istinto. Nel mio regno non ci sono mai condizioni atmosferiche di quel tipo…i temporali sono temporali, non uragani impazziti con acqua a barili!” sbottò l’Aria.

“Vedo che l’oceano ti ha riportato le tue spade…” commentò il Fuoco, notandole accanto al loro proprietario, richiuse nel fodero.

“Sì ma, sinceramente, non ho il coraggio di guardarle. Saranno del tutto rovinate con l’acqua salata…” sospirò Aherektess, sfiorandole con la mano.

“A quello ci penso io!” ghignò, raggiante, il Metallo, prendendo una delle due armi fra le mani.

La sfoderò ed, effettivamente, la lama era piuttosto rovinata. L’Aria gemette nel vederla così ma Thuwey lo rassicurò, dicendogli che sarebbe tornata come nuova. Chiuse gli occhi ramati e, con la punta delle dita, di colpo divenute simili a lame, si fece un piccolo taglio sul palmo della mano. Da lì sgorgò non sangue ma metallo liquido, che ricoprì l’intera superficie della spada, solidificandosi. Fece la stessa cosa con l’altra arma e poi le restituì ad Aherektess, che le guardò raggiante.

“Sono meglio di prima!” esclamò “Grazie!”.

“Ora sono al sicuro da tutto…tranne che dall’acqua salata. Sono ricoperte dallo stesso materiale che scorre dentro di me”.

“Sono stupende. A cosa devo questo favore?”.

“Siamo della stessa squadra, no? Ci si aiuta a vicenda. Vedrai che saprò come farmi ripagare! Per quanto riguarda la tua di spada, invece…” proseguì Thuwey, guardano Kassihell “…sarò lieto di fare altrettanto, una volta usciti da questo regnaccio umido”

Il Fuoco sorrise, confortato. L’idea di dover temere danni per la sua Katana era un pensiero fisso, ormai, per il principe del mondo infuocato.

“Vi siete dati alla pazza gioia stanotte o mi sbaglio?” ridacchiò qualcuno ed apparve l’Oscurità, stringendo fra le mani alcuni frutti che porse all’Aria.

“Perché dici questo?” si stupì Kassihell.

“Perché siete tutti seminudi…” rispose Lehelin, e solo in quel momento la compagnia parve notare come quasi tutti fossero molto poco vestiti, avendo la maggior parte degli abiti ad asciugare.

Aherektess aveva indosso il minimo indispensabile e mostrava a tutti i tatuaggi verde scuro che gli decoravano il fisico, dalla testa ai piedi, con motivi quasi geometrici e regolari. Anche il Fuoco aveva disegni su tutto il corpo, a fiamma, e si vedevano chiaramente alla luce di Sirona. La Roccia aveva la pelle sempre di più tendente al marrone, forse perché stava aumentando la percentuale del suo elemento per resistere alle difficoltà, e mostrava i grossi muscoli coperti solo dal tipico gonnellino del suo clan d’origine e dalle sporgenze rocciose. Il Metallo manteneva gli spuntoni su petto e braccia ma aveva ritratto quelli sulle gambe, coperte da qualche tratto argento e lucido. Hanjuly e Reishefy, indossando esclusivamente la biancheria intima o, forse, un piccolo costume da bagno, erano diverse ma entrambe, a modo loro, attraenti. La Terra ed Enki avevano una fascia a coprire il seno ed una specie di asciugamano allacciato in vita, come un pareo. Solamente Efrehem presentava il suo solito aspetto ed indumento, stupendo tutti per la velocità con cui riusciva a vestirsi.

“Gnam gnam…” commentò Reishefy, notando i fisici dei maschi che aveva davanti.

“Ma…ora stai bene?” parlò Hanjuly, chinandosi su Aherektess ed ignorando la cosa.

“Benissimo. Soprattutto ora che vengo…sollevato da questo bel panorama” ironizzò l’Aria, facendo notare al Ghiaccio che il seno abbondante di lei stava a pochi centimetri dal viso del naufrago, ancora seduto ma leggermente più rigido di prima.

“Grazie, Lehelin” parlò ancora, per pensare ad altro, e l’Oscurità gli sorrise.

“Come mai gli porti la colazione?” domandò Reishefy, continuando a fissare i corpi altrui.

“Mi ha trovato lei stanotte” spiegò l’Aria.

“E perché non ci ha chiamati?”.

“Ci ha provato ma, fra la tormenta, non l’avete sentita” continuò il salvato.

“È un vero sollievo riaverti qui fra noi” mormorò Idisi.

“Ed è per me un sollievo essere ancora vivo. Non finirò mai di sdebitarmi con te, principessa dell’Oscurità…”.

“Non dovresti dire queste frasi, Aria…” commentò Lehelin “…ora sei sconvolto ma, appena sarai di nuovo in piena forma, sappiamo bene che ti dimenticherai in fretta questo sentimento di riconoscenza nei miei confronti”.

“Sei molto pessimista…”.

“Sono molto realista”.

Aherektess continuava a guardarla, tentando di decifrarne l’enigmatico viso, mentre il resto della compagnia, molto più tranquilla e sollevata dal suo ritorno, si godeva i raggi di Sirona.

Il naufrago tentò di alzarsi, barcollando. Subito Mattehedike, più basso ma decisamente più robusto, lo sorresse dicendogli che gli eroismi non erano necessari.

“Quanto dista il luogo proibito?” domandò l’Aria, guardando l’Acqua.

“Siamo stati allontanati dal tragitto che avevo in mente. Ci vorranno almeno altri sei giorni, se và tutto bene. Suggerirei di dedicare quest’oggi al riposo. Asciughiamoci e recuperiamo le forze! Il mare è ancora molto agitato e non vorrei correre altri rischi…”

Enki tentò di nascondere il nervosismo e la paura, ripetendosi nella testa che era la principessa dell’Acqua e, in quel momento, la leader del gruppo. Gli altri, con più o meno convinzione, concordarono con la sua idea.

 

Alla fine la pausa si protrasse più lungo del previsto. Il mare continuava ad essere piuttosto agitato e nessuno si fidava, tranne Reishefy che nessuno calcolò. Fortunatamente l’isola in cui erano capitati era ampia e forniva ai dieci tutto il necessario. Il cibo era abbondante e di buon sapore. La principessa d’Acqua portò del pesce, quando il mare glielo permise e, con l’aiuto di Kassihell, riuscirono ad organizzare diversi pasti a base di pesce cucinato e preparato in diversi modi. Enki ed Hanjuly conoscevano un sacco di ricette con quell’ingrediente e ci fu solo l’imbarazzo della scelta. In quei giorni, l’Aria si riprese completamente. Ricominciò a volare ed allenarsi con le spade, con movimenti leggeri simili ad una danza, senza emettere alcun rumore. Kassihell e Thuwey lottarono assieme, per mantenersi in esercizio. Il Fuoco trovava nel Metallo un ottimo avversario, essendo bravo nella lotta e non restando ferito dalla Katana. Thuwey, stando attendo a non colpirlo con gli spuntoni per non ferirlo, ne assorbiva il calore e diveniva sempre più grande. Reishefy concentrò il tempo libero per starsene spaparanzata sulla spiaggia o ad infastidire i paguri. Idisi si fece una collana di conchiglie, dopo essersi stancata di far esercizio con il suo bastone, e poi decise di farne altre per chi voleva. Mattehedike, rinvigorito dall’assenza di sballottamento da barca, si accaniva contro gli alberi e le palme, fra gli sguardi di leggero fastidio della Terra. Enki andò spesso verso il largo, per controllare come fosse la situazione e per conversare con altri della sua specie. Lehelin esplorò l’isola, lasciando ovunque scarabocchi e simboli su sabbia e pietre. Hanjuly, già dal primo pomeriggio di pausa, si avvicinò alla Luce, vedendolo seduto a guardare il resto del gruppo.

“Qualcosa non và?” gli domandò.

“Niente di particolare…è solo che io non so combattere come loro. Ho riordinato i miei appunti di viaggio ed ora non so come passare il tempo. Son stanco di tentare di interpretare il libro criptico del Signore dell’Ovest. Mi ricorda quanto io sia ancora ignorante in molti campi…”.

“Vuoi provare a combattere?” propose il Ghiaccio.

“Combattere?! Io?! Credo di essere totalmente impedito…”.

“Se non provi, come pensi di scoprirlo?”.

“E tu mi insegneresti?”.

“Perché no? Siamo in pausa forzata ed un po’ di movimento farà bene ad entrambi…”.

Efrehem la guardò, poco convinto e leggermente spaventato. Lui era magrolino, decisamente gracile, mentre lei era molto alta, quasi come Aherektess, ed atletica.

“Alzati, Luce, e togliti un po’ di roba di dosso. Con la cravatta non è il caso di lottare!”.

Il giovane tolse giacca e cravatta, rifiutò di levare la camicia, riponendo il tutto con cura sotto una palma. Seguì il Ghiaccio a piedi nudi sulla sabbia e tentò di rilassarsi. Lei lo rassicurò, spiegandogli che non lo avrebbe colpito. Iniziò ad insegnargli alcuni movimenti, per lo più di difesa, ma ben presto si stancarono di fare i seri e tutto si trasformò in un gioco fra l’acqua bassa del mare. Correrci in mezzo era già un allenamento per la Luce, non abituato a camminare per lunghe distanze e tanto meno ad avere un’andatura sostenuta per più di trenta secondi. Il Fuoco rise a quella scena, trovandola piuttosto divertente. Una bella ragazza bionda, che saltellava agilmente fra le onde, seguita da un nanerottolo dai capelli neri, decisamente impedito, che si agitava in modo goffo dietro di lei. La risata lo distrasse ed il Metallo lo colpì per poi sbilanciarsi, aspettandosi di essere respinto com’era accaduto fino a quel momento, e cadergli rovinosamente addosso. Riuscì appena in tempo a ritrarre gli spuntoni. Aherektess fermò i suoi esercizi e scoppiò in una risata fragorosa. Il Fuoco, punto nell’orgoglio, si scansò a fatica, ma piuttosto velocemente, il Metallo di dosso e si lanciò contro l’Aria, sferrandogli un sonoro pugno il faccia. Aherektess, colto alla sprovvista, fu preso in pieno ed indietreggiò, tenendosi con la mano la zona colpita. Ci mise pochissimo a reagire e fra i due scoppiò un’accesa lite a suon di calci e pugni, il tutto condito da coloriti insulti all’avversario ed alla famiglia. Il Metallo tentò di dividerli ma, dopo essere stato accusato da Kassihell di non saper combattere, si unì alla rissa senza problemi. Mattehedike non poté fare a meno di trovare un pretesto per unirsi al divertimento e ben presto lo seguirono Reishefy ed Hanjuly, al grido entusiasta di “Una rissa! Evviva!”. Efrehem guardò il gruppo, sconcertato e con i piedi in acqua. Notò che Lehelin li guardava a sua volta, ma con un sorrisetto compiaciuto. Girò gli occhi verso Idisi, cercando in lei una possibile portatrice di pace. Ma la Terra stava canticchiando una canzone, raccogliendo conchiglie, ignorando volutamente i suoi rissosi compagni. Fortunatamente Enki era in pieno oceano, o si sarebbe messa a piangere in preda all’isteria.

“Prima o poi smettono, Luce” disse la Terra ed Efrehem annuì, poco convinto.

In effetti, la rissa si sedò ma dopo diverse ore. Alla fine non si era risolto nulla e tutti erano rimasti lì, stesi sulla sabbia, malconci e stremati. Parevano soddisfatti e desiderosi di continuare, ma incapaci di farlo perché distrutti ed ansimanti. Idisi non commentò la cosa e suggerì ad Efrehem di fare lo stesso. La Luce seguì le parole della Terra e si dedicò alla lettura del libro del Signore dell’Ovest, fingendo indifferenza nei confronti dei sei attaccabrighe.

 

†††

 

Il giorno in cui i dieci giunsero al cospetto del luogo proibito arrivò più tardi del previsto. A causa del tempo incerto, dovettero fare numerose pause ma, alla fine, videro stagliarsi l’edificio che cercavano. Era immenso e complesso, con alte torre sottili ed arricciate, come lunghe conchiglie, e con un colore sfumato fra il verde ed il blu, come i capelli e la pelle di Enki. Con la luce di Sirona brillava, come madreperla, avvolgendosi di raggi lucenti. Si fermarono a guardare quel palazzo con ammirazione e leggero timore. Si guardarono. A chi toccava stavolta? Oppure dovevano entrarci tutti assieme? L’Acqua si stupì nel non vedere alcuna guardia a controllo di quel luogo ma poi si ricordò che, in quei giorni, cadeva il matrimonio della sorella e che, probabilmente, le forze militari erano state tutte concentrate su quell’evento. L’Aria atterrò delicatamente, dando una mano all’Acqua a salire sulla specie di barriera di scogli che circondava l’edificio, ed alzò gli occhi verso le torri. La barca attraccò subito dopo l’arrivo, sfrecciante e terminante con un alto balzo, di Hanjuly, Thuwey e Reishefy. Solo quando furono tutti e dieci l’uno accanto all’altro, si decisero ad avanzare. Ed immediatamente si bloccarono. Una sorta di barriera elettrica impediva il loro passaggio, come un muro invisibile. Solamente la principessa dell’Elettricità passò oltre, voltandosi e notando l’accaduto solo dopo diversi passi.

“Evidentemente tocca a te, adesso…” le disse Kassihell, stringendo il medaglione che portava al collo, quasi a volersi ricordare di aver già dato troppo per quella missione.

“Oh…ok!” si limitò a dire Reishefy, sorridendo.

“Buona fortuna!” le gridò Hanjuly.

“Grazie! A presto!”.

Il portone del grande palazzo si spalancò, da solo, e si richiuse al passaggio della minuta ragazzina elettrica con un cigolio ed un tonfo. Gli altri nove, capendo di non poter fare nulla per lei, si sedettero sugli scogli, organizzandosi per la notte.

 

†††

 

Reishefy avanzò decisa fino a quando la porta non si chiuse. Dopo di che, avvolta dal buio e dal silenzio, si rannicchiò leggermente impaurita. Poteva udire solo un continuo gocciolio, come all’interno di una grotta. Tentò di capirci qualcosa nel buio, fra i lampi di luce delle sue scosse, ma le risultò difficile. Molti degli oggetti che aveva di fronte erano riflettenti e la abbagliavano soltanto. L’umidità faceva muovere i suoi fulmini in modo confuso e la cosa la infastidiva. D’improvviso, come seguendo un ordine silenzioso, la stanza si illuminò uniformemente di luce azzurro scuro. La ragazza vide che, sotto i suoi piedi, c’era del vetro. Vetro trasparente che le permetteva di vedere il mare sottostante e che aveva riflesso, prima, le sue scosse. Ne rimase meravigliata e spalancò gli occhi, ammirandone i colori e le forme. Vide pesci e piante spettacolari sotto di sé. Le pareti di quel luogo parevano far proseguire il fondale marino, cariche di incrostazioni splendenti, coralli e conchiglie. Una sorta di grosso tubo trasparente, pieno anch’esso di acqua e creature marine, partiva verso l’alto e non se ne riusciva a capirne la fine. La ragazzina notò una specie di trono, vuoto, come incastonato alla parete. Poco distante da quel seggio zampillava una fontana, di colore blu, decorata ad onde e piccoli simboli. Reishefy ci andò vicino, dimenticando ogni sua paura, e ne toccò l’acqua. Era calda, cristallina e rilassante. Sorrise, anche quando la vide incresparsi sempre di più. Si limitò a togliere la mano quando la superficie si distorse, iniziando a prendere forma. Una massa d’acqua si spostò verso il trono ed iniziò ad acquisire un aspetto sempre più chiaro. Era una donna. L’Elettricità continuò a fissarla, senza dire una parola, fino a quanto questa non perse del tutto ogni traccia d’acqua sulla pelle.

“Benvenuta” le disse, poggiando le braccia sui braccioli.

Aveva grandi occhi scuri ed i capelli, dritti, raccolti in una coda. La sua pelle era simile a quella di Enki e non aveva gambe, bensì una lunga coda variopinta.

“Io sono Heronìka, Dea dell’Acqua e protettrice di questo regno. Tu come ti chiami?”.

“Reishefy. Ciao…” parlò l’Elettricità, non sapendo bene che cosa dire.

“Sono a conoscenza della vostra missione ma, a differenza del mio collega Kaos, non me la sento di donare l’oggetto proibito solo perché mi sembra una persona simpatica chi ho di fronte. Vorrei che mi dimostrassi di essere degna di possederlo. Te la senti?”.

“Ovvio. Non ho tempo da perdere. Dimmi che devo fare…”.

“Molto bene”.

La Dea si appoggiò al suo trono, congiungendo le mani palmate. Reishefy mostrò un leggero disappunto per quella pausa, battendo i piedi.

“Quello è l’oggetto proibito” spiegò la Dea, senza distogliere lo sguardo dalla mortale e indicando alla sua sinistra.

L’Elettricità si girò e vide una coppa d’argento, splendidamente decorata con pietre preziose e sbalzi intrecciati. Fluttuava a mezz’aria, avvolta da una specie di bolla. La Dea la muoveva a suo piacimento, semplicemente agitando la mano.

“Non dovrò mica fare caccia alla bolla, vero?” sbottò Reishefy.

Heronìka alzò solo leggermente la cresta sulla testa e ghignò, chiamando a sé l’oggetto.

“No. Dovrai fare caccia alla coppa. Se non ti sta bene, puoi tornare a casa”.

Detto questo, prese fra le mani la bolla e la fece esplodere, tenendo sospesa la coppa a mezz’aria con le mani. Poi si alzò, sorretta dall’acqua che fece fuoriuscire dalla fontana, ed andò accanto al grosso tubo trasparente.

“Qui dentro…” iniziò a spiegare la Dea, appoggiando la mano sul vetro verticale “…vivono creature di ogni tipo e ne risalgono continuamente, dall’oceano a cui è collegato questo corridoio. Io ora affiderò la coppa a una di queste creature e spetterà a te raggiungerla, prima che lei raggiunga me. Io risalirò velocemente questo tubo e vi aspetterò. Tu, ovviamente, non puoi restarci a lungo perché non respiri nell’acqua ma potrai scegliere una delle creature che ora ti mostrerò e farti portare. Fai molta attenzione. Se sbagli, da quel tubo non uscirai più”.

Leggermente turbata da quelle parole, la ragazza volle vedere gli animali che aveva a disposizione. Heronìka, sempre fluttuando, sorretta dall’acqua, la guidò in un’altra stanza, più piccola, dove il pavimento trasparente si apriva in cerchio. Le due si avvicinarono al bordo e la Dea mormorò delle parole all’oceano. Al suo cospetto, in fila, apparvero cinque creature marine.

“Scegli bene, ragazza mia. Fidati del tuo istinto e cerca di ragionare. So che non potrà che farti bene usare il cervello…”.

Reishefy si avvicinò, accovacciandosi, ed iniziò a guardare le bestie da vicino. La prima era molto grande e lei pensò fosse anche molto potente. D’istinto le piacque ma poi, avvicinandosi, vide che era anche piuttosto aggressiva. Non voleva rischiare di ritrovarsi in sella ad un mostro che non voleva andare dritto neanche sotto minaccia e rischiare di annegare perché ingovernabile! Passò alla seconda creatura. Era elegante, con larghe pinne simili ad ali. Le sorrise ma la scartò. Nuotava placidamente e la giudicò troppo lenta. La terza notò che era piuttosto piccola, probabilmente inadatta a trasportare lei o qualsiasi altra cosa. La quarta bestiola non la vide nemmeno, nascosta ed accucciata com’era sul fondo, e si concentrò sulla quinta. Stava per decretare l’animale vincitore, la quinta possibilità, di buone dimensioni e carattere, quando un guizzo attirò la sua attenzione. La numero quattro, velocissima, aveva afferrato un piccolo pescetto colorato e se lo era mangiato, alla velocità di un fulmine. Reishefy la fissò. Era simile ad un serpente, con pinne minuscole ed una piccolissima cresta lungo tutto il corpo, di colore scuro. Si guardarono negli occhi, entrambi con guizzi simili all’oro, e la mortale decise che quella sarebbe stata la sua creatura. La Dea sorrise e congedò le altre quattro, ringraziandole. Dopodiché chiamò a sé la bestia che aveva scelto. Era molto bella, con una lunga coda colorata e quattro pinne. L’Elettricità capì subito che sarebbe stata molto veloce e difficile da battere.

“Ti auguro buona fortuna. Io ora risalirò il tubo ed aspetterò il vincitore. A presto!”.

In effetti, tutto si svolse piuttosto in fretta. La Dea scomparve e lasciò la coppa alla sua creatura, che partì immediatamente. Reishefy, capendo che non c’era tempo da perdere, si tuffò ed afferrò la sua cavalcatura. Questa al principio non si mosse e l’Elettricità, scocciata, le diede la scossa. L’atto diede una notevole spinta ad avanzare alla bestia serpentina, che iniziò a correre dietro a quella che aveva la coppa, lasciando solo il tempo alla mortale di prendere un profondo respiro. Era viscida e Reishefy fece fatica a tenersi aggrappata. Passarono sotto il pavimento e rientrarono nella stanza della fontana. L’Elettricità vide chiaramente il suo avversario davanti a sé con la coppa stretta in una delle pinne e, sempre trattenendo il respiro, tentò di impossessarsene e sorpassare. Fra le bolle ed i vari animali marini, che la sua cavalcatura schivava agilmente, iniziarono a risalire il tubo. Una luce apparve sopra le loro teste. L’uscita! Da una parte un sollievo per i polmoni di Reishefy, che iniziavano a protestare, ma dall’altra l’indicazione che la corsa stava per finire e la coppa non era fra le sue mani! Accelerò, con un’altra piccola scossa ed allungò la mano. Era così vicina! Strinse i denti e si protese più che poté verso l’avversario. Inaspettatamente, la creatura su cui stava fece un guizzo, dandole una spinta con la coda. Questo le permise di afferrare l’oggetto saldamente, mentre la sua cavalcatura accelerò ulteriormente. Iniziava a non capire più niente. Aria! Aveva bisogno di aria! Il traguardo, che prima le era sembrato così vicino, ora pareva allontanarsi davanti a sé. Sentì le forze mancarle ma non si arrese e, finalmente, sentì infrangersi sul suo viso la superficie dell’acqua.

Respirò a fondo, mentre i capelli bianchi e oro tornavano ad alzarsi sulla sua testa, ed uscì dall’acqua. Fra le mani stringeva la coppa, raggiante e soddisfatta. Per qualche istante aveva temuto per la sua vita ma ora era lì, salva e vincitrice! Si girò verso la viscida cavalcatura e notò, sorridendo, che era rimasta elettrica.

“Grazie” le disse, accarezzandole la testa, e la bestia parve capire perché guizzò in una specie di segno d’assenso, come a voler rispondere “non c’è di che!”.

Alla mortale parve di vederla sorridere ma non ne fu sicura.

“Sei stata brava” si sentì dire.

Si girò e vide la Dea lì, sempre sospesa dall’acqua, che le sorrideva.

“Ho vinto io!” ansimò Reishefy, alzando la coppa al cielo.

“Hai ragione. Hai vinto e ne sono lieta”.

Heronìka andò a salutare le due creature, ringraziandole, e queste si congedarono.

“A quanto pare, una di loro sarà sempre segnata da questa gara. Bene…” commentò, avendo anche lei notato come la vincitrice fosse rimasta carica di elettricità.

“La coppa è mia. Posso andare, ora?” domandò la mortale.

“Hai capito perché ho chiamato te al mio cospetto?”.

“Veramente no…”.

“Solo l’Elettricità avrebbe potuto restare in sella a quella creatura, che era l’unica che ti avrebbe portato alla vittoria, per via della sua alta velocità”.

“Cosa sarebbe successo se avessi scelto un’altra bestia?”.

“La numero uno non ti avrebbe mai obbedito. Probabilmente avrebbe iniziato a girare per i fatti suoi e saresti morta annegata nel tubo. La due era piuttosto lenta. La terza era piccola e non ti saresti mossa dal punto di partenza. Infine la quinta era, sì, molto adatta ma non sufficientemente veloce”.

L’Elettricità annuì, continuando a guardare la coppa.

“Perciò…” iniziò, cautamente “…questa è una specie di lezione sul fatto che, se avessi agito d’impulso senza notare il guizzo della quattro, non sarei qui, giusto?”.

“Giusto. Ma anche una lezione sul fatto che è questa la tua natura e che è solo grazie ad essa che ora sei qui ed hai ottenuto l’oggetto proibito”.

“Credo di non capire…”.

“Capirai crescendo. Hai tutte le capacità per farlo…”.

L’Elettricità guardò giù dalla finestra e vide che stavano in cima ad una delle alte torri del palazzo.

“Puoi andare, Reishefy. Ci rivedremo…”.

“Davvero? Ci rivedremo?”.

“Credo di sì. Quell’oggetto ti sarà molto utile. Se lo stringerai fra le mani, concentrandoti, si riempirà di acqua pura, potabile e ristoratrice. Attenta a non agitarti perché se le darai la scossa non accadrà niente. Usala con giudizio e conservala con cura, anche quando il vostro viaggio sarà concluso. Vi auguro buona fortuna, anche da parte dei miei colleghi divini. Tutti noi stiamo seguendo la vostra missione con grande interesse. Purtroppo, senza un ordine esplicito della Creatrice, non possiamo intervenire”.

“Capisco…”.

Stavano scendendo gli scalini che portavano al salone d’ingresso, quello con la fontana, l’una accanto all’altra. Reishefy non poteva credere di essere così vicina ad una Dea e sorrise. Avrebbe avuto tantissime cose da raccontare ai suoi compagni! Giunte davanti all’ingresso, Heronìka lo aprì senza toccarlo e fece segno alla ragazza di uscire. Si congedarono, con un cenno del capo, e Reishefy lasciò il palazzo sicura di aver visto, con la coda nell’occhio, l’atmosfera cambiare e la Dea iniziare ed agitare la testa al ritmo di una canzone rock.

Corse verso il resto del gruppo. Era scesa la notte e solo Lehelin era sveglia. Le due si fissarono, in silenzio, e l’Elettricità spalancò la mano che non stringeva l’oggetto proibito. Dalle sue dita partì un turbinio di scosse che andò a colpire l’intera compagnia, svegliandola di colpo fra le bestemmie, più o meno forti, di tutti.

“Sveglia, gente!” esclamò, raggiante, Reishefy, agitando la coppa “Ho grandi cose da raccontarvi!”.

 

†††

 

Dopo aver appreso che ognuno avrebbe, probabilmente, parlato con un Dio, i membri del gruppo reagirono in modo diverso. C’era chi si preoccupava e chi non vedeva l’ora. Tutti riflettevano, più o meno, su questo mentre percorrevano la strada verso il regno successivo. Ormai Thuwey si era abituato alla tavola da surf e Mattehedike al dondolio della barca.

“Manca poco” rassicurò Enki, stanca di fare da capogruppo.

“Ah, bene! Ho giusto un po’ di fame!” commentò Aherektess.

“Potresti procurarci da mangiare tu, uccellino, invece di lamentarti!” commentò Kassihell, tentando di abbatterlo con il lungo remo della Terra.

L’Aria, però, si muoveva agilmente sospeso nel suo elemento e schivò ogni attacco. Di tutta risposta alla provocazione del Fuoco, scese leggermente di quota ed iniziò a fissare il mare. Scattò, di colpo, e sfiorò l’acqua con le mani, tirando all’indietro le piume per non bagnarle. Quando tornò a riprendere quota, fra le mani stringeva un grosso pesce. Rimase fluttuante a mezz’aria, controllando il suo elemento senza sbattere le ali, e lanciò l’animale nel centro della barca. Poi, senza aggiungere altro, riprese ad agitare le braccia, sorvolando il Fuoco che tentò di nuovo di colpirlo. Ridacchiando, Aherektess si appollaiò sul remo facendo sbilanciare Kassihell, che per poco non cadde in acqua.

“Hai deciso di uccidermi?” ringhiò il rematore.

“Perché, tu no?” gli rispose l’Aria, riprendendo quota.

 

Sempre litigando, un giorno al gruppo arrivò l’avviso di Enki: il regno del Ghiaccio era in vista e presto sarebbero attraccati e avrebbero lasciato il territorio dell’Acqua. Tutti piuttosto contenti di quella notizia, avendo passato quasi sei settimane in quella distesa di onde e turbolenze, si alzarono in piedi e guardarono attraverso il ghiaccio trasparente della barca. Il mondo bianco di Hanjuly si stagliava all’orizzonte e già iniziavano a far fatica ad avanzare. L’acqua si stava gelando, intrappolando la barca. Il Fuoco rabbrividì, pensando a ciò che lo aspettava. Iniziarono ad estrarre dai loro zaini e sacche il necessario per affrontare un viaggio con parecchi gradi sotto zero. Si avvolsero in pesanti mantelli, perfino Aherektess coprì le sue ali. Lunghi abiti, sciarpe, scarpe pesanti e guanti apparvero e vennero indossati da tutti. Tutti tranne l’Oscurità, che fu la prima a scendere sulla neve. Thuwey le fu accanto, sollevato dall’idea di non dover più avere a che fare con il surf e contento che, a causa del gelo, nessuno avrebbe potuto avvicinarsi più di tanto a lui per non rischiare di restare attaccato. Infreddolito, l’Aria li raggiunse, sbuffando piccole nuvolette di vapore. Kassihell era quasi, invece, interamente avvolto dal vapore, essendo la sua pelle molto calda e reagendo con neve, aria fredda e ghiaccio. Si chiese per quanto tempo avrebbe continuato a fare così. Mattehedike saltò sulla terraferma, apparentemente senza nessun problema, così come Reishefy ed Enki, che disse solo che sarebbe stata decisamente più lenta fra la neve. Idisi ed Efrehem si misero l’uno accanto all’altro, pronti a darsi coraggio. Hanjuly, spalancando il lungo mantello bianco con bordo di pelo, strinse fra le mani la chiave bianca che apriva il palazzo dell’Ovest e sorrise. Ora toccava a lei comandare e non vedeva l’ora!

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Capitolo 6
*** VI- ghiaccio ***


VI

 

L’aria gelida del regno di Hanjuly investì i dieci. Sapevano bene che avrebbero dovuto restare in quelle condizioni molto a lungo, non potendo farsi trasportare da alcuna creatura di quel mondo, essendo fatte in buona parte dall’elemento che li circondava. Ghiaccio e neve, bianco che si perdeva a vista d’occhio, brillavano alla luce del giorno, riflettenti come specchi. Lehelin adattò i suoi occhi, capovolgendoli in verticale e stringendoli, e sfruttò le ombre dei suoi compagni per trovare riparo da quella luce. Non gli fu difficile, essendo piuttosto piccina. Notò che Thuwey già iniziava a stringersi, sottomettendosi al gelo esterno. Kassihell saltellava per scaldarsi.

“Viaggeremo di giorno, quando la luce di Sirona in qualche modo vi scalderà…” iniziò Hanjuly, sentendosi a suo agio a parecchi gradi sottozero “…e di notte ci fermeremo presso dei villaggi che incroceremo lungo la strada. Noi non abbiamo grandi città e quindi se ne incontra piuttosto spesso”.

“Non è un problema per quelli della tua specie?” domandò Efrehem “Intendo dire: ospitare delle creature estranee, provenienti da altri regni nemici…”.

“Non sarà un problema. Magari all’inizio resteranno un po’ spiazzati ma poi, vedrete…andrà tutto bene! Siamo guerrieri ma non stronzi. Sappiamo anche essere accoglienti…”.

“Speriamo. Non vorrei essere sacrificato alla tua divinità” commentò il Metallo ed i Ghiaccio lo guardò in modo strano, come a volergli dire “Ma che stai dicendo?!”.

“Bene. In marcia. Approfittiamo del bel tempo per avanzare. Avete avuto la fortuna di capitare qui quando ancora non è giunto l’inverno” spronò il gruppo la nuova leader.

“Domanda: in inverno quanto freddo fa?” rabbrividì la Luce.

“Molto più di adesso. E le giornate sono molto più corte. Perciò muovetevi, se non volete ritrovarvici nel mezzo!” rispose Hanjuly ed iniziò a camminare.

Il ritmo della principessa del Ghiaccio era piuttosto sostenuto ed i più piccoli facevano fatica a starle dietro. Fortunatamente il cielo e l’aria erano limpidi e quindi non rischiavano di perdersi.

“Ci sono bestie feroci in questo mondo?” si preoccupò Enki.

“Sì, un paio. Ma so perfettamente come allontanarle. Tranquilli…ci sono nata qui! Ne conosco ogni angolo! I miei genitori mi ci han portato spesso fra le diverse regioni del regno”.

Durante la prima giornata di marcia, i dieci attraversarono diversi villaggi illuminati da Sirona e passarono oltre, fra lo stupore della popolazione. Notarono subito, però, che dopo la diffidenza iniziale sapevano essere molto loquaci ed ospitali. La compagnia rabbrividiva quando entrava in uno di questi insediamenti, notando gli sguardi di ghiaccio e fastidio che gli venivano puntati addosso. Nessuno si avvicinava, rimanendo silenzioso ed indifferente. La situazione cambiava dopo qualche ora, in cui Hanjuly chiedeva le venisse portato da mangiare, ed il popolo iniziava a fidarsi e ad aprirsi, divenendo chiacchierone e simpatico. L’atmosfera si scaldava, per quanto possibile, e ci si scambiavano racconti e battute. Arrivarono perfino ad accendere un fuoco, una sera, solamente per gli ospiti. Il disagio fu notevolmente smorzato quando i villaggi iniziarono ad avvisarsi fra loro del passaggio di quel colorito gruppo di visitatori. Così facendo, man mano che i giorni avanzavano, si creavano sempre meno problemi e sguardi minacciosi.

 

Arrivarono in prossimità di un grande lago ghiacciato quando Sirona già era molto bassa all’orizzonte, prossima al tramonto. Indecisi sul da farsi, non sapendo decidere se attraversare la distesa ed arrivare in tempo al riparo per la notte oppure percorrere le sponde e proseguire per un tratto al buio. Iniziò a nevicare e la compagnia optò per la camminata sul ghiaccio. Ben in pochi camminarono…la maggior parte ruzzolò in terra in poco tempo. Hanjuly riusciva a rimanere in piedi, come sui pattini, e diede spiegazioni al gruppo su come fare. Thuwey, ormai alto come Aherektess e la principessa gelata, cioè di quasi venti centimetri più piccolo rispetto al normale, modificò il metallo ai suoi piedi ed iniziò a scivolare, dolcemente, avanzando velocemente. Anche Aherektess riuscì a non avere troppi problemi, con il suo passo leggero. Reishefy trovò divertente cadere continuamente e proseguì il suo cammino così, fra un ruzzolone ed un altro, oppure attaccandosi a qualche malcapitato che si reggeva in piedi. Mattehedike, con i piedi piuttosto grandi, stava in equilibrio ma continuava ad osservare la superficie del ghiaccio, dubbioso.

“Potete stare tranquilli. Il ghiaccio non si romperà. Non lo ha mai fatto in secoli di traversate. Son passate ben più persone di noi più di una volta e non si è mai neppure incrinato!” rassicurò Hanjuly.

Idisi si aggrappò alla Roccia e proseguirono fianco a fianco. Lehelin, stando ben lontana da Efrehem che era circondato da una tale luce, riflessa dalla superficie lucida, da essere accecante, non ebbe grossi problemi. La Luce, in notevole difficoltà, fu guidato e sorretto da Hanjuly, che fu quasi tentata di prenderlo in braccio, piccolo com’era. Enki, invece, si fece portare dal Metallo. Thuwey se la caricò sulle spalle senza troppa delicatezza. Grazie ai lunghissimi capelli neri, evitò che la giovane restasse attaccata alla pelle grigia e metallica. Kassihell, l’ultimo a mettere piede su quella distesa bianca, sfruttò il suo buon equilibrio per non cadere e non rimase troppo indietro, anche se mezzo congelato. Pattinarono, scivolarono, caddero, risero ed imprecarono, scorgendo sempre più chiaramente la loro meta: il villaggio che sorgeva sul lato opposto. Nel frattempo la neve si era fatta più fitta ed i raggi di Sirona più radi e deboli. Erano prossimi al tramonto.

“Non manca molto” disse la principessa di quel regno, tirando Efrehem per la mano.

“Ce la fai?” domandò la Roccia, girandosi verso il Fuoco.

Kassihell non rispose. Camminava molto lentamente, battendo i denti, trascinando i piedi.

“Vuoi una mano?” aggiunse Idisi.

Il Fuoco riuscì a scuotere la testa ma la Roccia, spinta dalla Terra, indietreggiò, porgendogli la mano. Idisi e Mattehedike, a braccetto, erano ora a pochi passi da Kassihell, che si era fermato.

“Avanti, ci siamo quasi. Fra poco saremo tutti quanti al caldo” lo incoraggiò Idisi.

Il Fuoco, orgoglioso e con nessuna voglia di essere aiutato da nessuno, guardò i due con fastidio. La Roccia insisteva nel porgergli la mano e lui insisteva nel non volerla prendere. Cercò d’istinto vicino al collo, dove aveva il medaglione, nuovamente tentato ad usarlo, ma poi pensò che non avrebbe risolto nulla. Prima o poi quel regno avrebbe dovuto attraversarlo. Chiuse gli occhi, per proteggerli dalla neve sempre più fitta, e si sforzò per fare un altro passo. Si bloccò e rizzò le orecchie quando sentì un rumore, una sorta di lungo gemito.

“Hai detto qualcosa?” gli domandò Idisi ed il Fuoco scosse di nuovo la testa.

I tre si guardarono, con aria interrogativa, quando un altro gemito gli giunse all’orecchio. Aherektess, con il suo ottimo udito, lo percepì a sua volta e si bloccò, girando gli occhi ed il viso.

Al gemito si unì uno scricchiolio ed al trio Terra-Roccia-Fuoco fu chiaro cosa stesse succedendo. In coro lanciarono un grido, incitando i compagni a correre. Il ghiaccio si stava rompendo, probabilmente a causa del calore di Kassihell ed il peso di Mattehedike. Hanjuly non volle crederci ma poi giunsero anche al suo orecchio quei rumori ed incitò il gruppo a muoversi. Enki urlò nelle orecchie del Metallo, che sibilò per il fastidio. Tutti corsero verso la sponda, fortunatamente vicina. I primi ad arrivarci furono Aherektess e la coppia Acqua-Metallo. Thuwey depose Enki sulla neve, al sicuro, e si voltò per vedere a che punto fossero i suoi compagni. Reishefy arrivò di volata, schiantandosi addosso all’Aria e, ovviamente, dandogli la scossa. Hanjuly, sempre con Efrehem per mano, attese il trio rimasto indietro e lo incitò a muoversi più in fretta, mentre il ghiaccio si apriva sotto i loro piedi. Diede una poderosa spinta a Kassihell, facendolo atterrare sulla neve in malo modo. Aherektess, toltosi di dosso l’Elettricità, guardò il lago e scattò in piedi. L’Oscurità, non muovendosi molto velocemente, era rimasta bloccata, accecata dalla Luce di Efrehem. Senza esitare, l’Aria corse verso di lei e la afferrò, sollevandola da terra. Giunsero appena in tempo sulla sponda. Aherektess percepì chiaramente l’acqua gelida sulla punta delle dita, mentre si buttava disteso per mettersi al sicuro. Salvatore e salvato si guardarono negli occhi, stesi sulla neve e si sorrisero, con sollievo.

“Te lo avevo detto che non mi sarei scordato di quello che hai fatto per me” le disse l’Aria.

Anche gli altri si stavano ringraziando a vicenda, stupiti di essere stati davvero in grado di aiutarsi.

“Se questo fosse successo all’inizio del viaggio…” commentò Efrehem “…dubito che ci saremmo salvati tutti. Stiamo diventando sempre di più una compagnia unita!”.

Fuoco ed Aria si fissarono, poco convinti, togliendosi la neve dalle vesti.

Il villaggio era vicinissimo, pochi metri, e ci arrivarono correndo, per scaricare l’adrenalina e la tensione che ancora avvertivano nel sangue. La neve aveva ora un andamento regolare, quasi piacevole, mentre Sirona era ormai quasi del tutto scomparsa all’orizzonte. Il calore che li accolse, giunti fra quelle case, li riempì di gioia. Finalmente avrebbero messo qualcosa sotto i denti e avrebbero riposato, avvolti in stupende coperte di pelo. Gli abitanti fecero festa nel vederli, e la cosa stupì i dieci ma trovarono l’avvenimento piuttosto piacevole. Due bambini, biondi e gemelli, fecero un inchino alla principessa del regno, invitandola a seguirli. Hanjuly gli sorrise e camminò dietro di loro. Dopo qualche passo si fermò. Davanti ad una delle tende di pelli calde, di cui era composto il villaggio, stavano i suoi genitori ed Igorhay, il fratello di mezzo. Madre e padre la fissavano con rimprovero mentre il fratello le sorrideva.

“La regina Rocana…” mormorò il Metallo, spaventato dall’improvviso silenzio che si era creato.

“Sei sicuro?” gli domandò, sempre a bassa voce, Efrehem.

“Sì. L’ho vista diverse volte mentre accompagnavo la mia regina nei suoi incontri diplomatici”.

“È davvero una bella donna…” notò Idisi.

“Come la figlia” concluse la Luce, mentre la famiglia del Ghiaccio si abbracciava.

“Dovrei punirti severamente per ciò che hai fatto!” parlò la Regina, nella lingua degli abitanti di quel regno, incomprensibile alla compagnia straniera.

“Scambiarti di posto con Igorhay, il prescelto per questa missione, è stata la cosa più sconsiderata che potessi fare! Non sai quanto siamo stati in pensiero per te! Solo ad immaginarti tutta sola là fuori…in preda a chissà quali pericoli e paure…”.

“Non ero da sola, mamma. C’erano loro nove con me e, credimi, non sono come tu pensi”.

“Ad ogni modo, ora sarà Igorhay a proseguire” si intromise il re “Siamo stati informati sui tuoi spostamenti nel regno e ti abbiamo anticipato”.

“Cosa?! No!! Io non fermo qui il mio viaggio!”.

“Mi dispiace, sorellina. Ho tentato di convincerli ma non han voluto sentire ragioni!” sospirò Igorhay, avvicinandosi ad Hanjuly con la testa chinata.

“No! Non potete costringermi!” protestò la principessa.

“Sei capricciosa, come sempre. Tuo fratello sarà di certo più utile in questo cammino” continuò la regina, guardando sottecchi gli altri nove viaggiatori.

“Scusate…” interruppe Efrehem, inaspettatamente parlando nella lingua degli abitanti del Ghiaccio.

“Scusate se ho l’ardire di interrompere, regina, ma ritengo che Vostra figlia sia stata indispensabile fin ora e lo sarà ancora”.

“Come sai la lingua del nostro popolo?” si stupì Hanjuly.

“Imparo le lingue con molta facilità e mi è bastato passarci un breve periodo, fra un villaggio ed un altro, ascoltando le parole dei nativi” spiegò la Luce.

“Notevole…ma tu chi sei?” riprese la sovrana, usando la lingua del Ghiaccio e tentando di metterlo in difficoltà e disagio.

Non ci riuscì, perché Efrehem riprese subito a parlare, in modo fluente e chiaro.

“Io sono Efrehem, nipote di Friedrik, re della Luce. E penso di parlare a nome di tutto il gruppo quando dico che Hanjuly è molto importante per il buon esito della missione e che, senza di lei, non avremmo mai potuto superare certi ostacoli”.

Rocana si stupì molto a quelle parole e guardò l’intera compagnia.

“È vero?” domandò, questa volta nella lingua comune a tutti gli abitanti di Asteria.

“È vero che mia figlia è stata fin ora importantissima per la missione?”.

“Confermo” rispose il Metallo “Ha avuto delle idee che ci han aiutato molto e sono sicuro che anche in futuro avremo bisogno di lei”.

“Che genere di idee?” parlò Igorhay.

“Ha fatto una barca per attraversare il mio regno” spiegò Enki.

“Ci ha fatto legare nel regno dell’Oscurità per non perderci…” continuò Reishefy “…ed è mia amica, ormai. Ma perché lo chiede?”.

“Vuole portarla via. Vuole che il viaggio lo continui il figlio…” disse Efrehem.

“Cosa?! No!” urlò Reishefy, ignorando Idisi che le suggeriva di calmarsi.

Non ci fu verso di farla stare ferma e la principessa dell’Elettricità andò spedita al cospetto della regina. La guardò negli occhi, pur essendo di parecchi centimetri più piccola, con aria di sfida.

 “Lei, mia cara signora, non ha idea di cosa significhi per noi restare tutti uniti senza litigare o crearci problemi. Ogni piccola cosa è una sfida ma, pian piano, stiamo iniziando a formare una vera compagnia. Ci aiutiamo, ci preoccupiamo l’un l’altro ed affrontiamo ogni guaio assieme. Non immagina quanto sia difficile tutto questo e mi creda, se ora vuole scambiare i figli, creerà un vero casino. Sì, un casino! E la causa del casino sarò io! Non ho nulla contro suo figlio, ma Hanjuly è mia amica, nostra amica, ed ormai abbiamo iniziato un percorso con lei. Non ce la porterà via!”.

“Riprendi fiato…” le sorrise Thuwey, mentre ogni singolo membro del gruppo confermava alla sovrana che non avrebbe mai permesso ad Hanjuly di andarsene.

La regina si stupì davvero molto di quella situazione, sicura di trovarne di ben diverse. Invece, eccoli lì…nove sconosciuti, di razze diverse e nemiche, che le spiegavano di quanto fosse importante la sua bambina per loro. Senza dimenticare di sottolinearne il coraggio, la forza, l’intelligenza, la simpatia…

“Beh…ecco…” balbettò, indecisa “…io non so che fare!”.

“Lasci che Hanjuly prosegua il suo viaggio con noi!” suggerì Reishefy.

“Capisco la sua preoccupazione, regina…” parlò Idisi “…ma le posso assicurare che tornerà sana e salva. Inoltre, credo che l’inserimento di un nuovo elemento in una situazione già così complicata porterebbe solo ad ulteriori problemi”.

Rocana, quasi rassicurata dallo sguardo maturo della Terra, chinò il capo ed acconsentì al proseguimento della missione da parte della figlia, che l’abbracciò con entusiasmo. Dopodiché andò ringraziare i suoi nove compagni, per l’assistenza ed i complimenti, con baci ed altri abbracci.

“Non correte grossi rischi, vero?” volle sapere il re, quando il mattino seguente i dieci ripartirono.

“No…” mentì Reishefy “…tutto ok! Tranquilli!”.

Il resto del gruppo la guardò un po’ male, ripensando a tutto ciò che avevano passato fino a quel momento, ma non dissero nulla, accelerando il passo. Re e regina, assieme ad Igorhay, sospirarono vedendoli allontanare e tornarono verso palazzo non appena sparirono all’orizzonte, avvolti dalla nebbia e dalla neve bianca.

 

†††

 

“Carino tuo fratello…” commentò l’Elettricità, saltellando a fianco di Hanjuly.

Il Ghiaccio ridacchiò e diede una notizia inaspettata al gruppo: il luogo proibito era vicino.

Quasi si stupirono di quanto in fretta ci fossero arrivati. Kassihell tirò un sospiro di sollievo, felice solo all’idea di lasciare quel mondo. Thuwey era stanco di sentirsi così piccolo e sorrise soddisfatto. Aherektess, coprendo l’Oscurità dal vento gelido e dalla neve, fremeva all’idea di riaprire le ali e volare. Mattehedike era piuttosto in ansia, ricordando le parole del suo sovrano che gli raccomandava di non stare troppo a lungo nel gelo.

“Eccolo!” urlò Reishefy, indicando davanti a sé e risvegliando il gruppo dai suoi pensieri.

In lontananza, si iniziava a scorgere un edificio bianco latte, non molto alto e di forma semplice. Interamente a forme geometriche, pareva una piramide con annessi cubi e parallelepipedi contenenti piccole finestre, non presentava nemmeno una forma dolce, come un cerchio o un arco.

“Una piramide!” esclamò l’Elettricità, con insensato entusiasmo.

“Non è una piramide. Non ha la base quadrata” la corresse Efrehem “Quello è un tetraedro”.

“Quello che è, mister precisino…” si scocciò la ragazzina, imbronciandosi.

Più i dieci si avvicinavano e più la luce aumentava, riflessa dalle pareti lisce e lucide. A Lehelin la cosa non piacque e si nascose sempre di più alle spalle dell’Aria, che allargò le braccia. Attorno a quel luogo c’era un piacevole tepore, probabilmente dovuto ai raggi riflessi di Sirona. Il Fuoco, imbacuccato com’era, socchiuse gli occhi, l’unica parte visibile del suo corpo tutto avvolto da mantelli e coperte. Quel riflesso stava iniziando a dare fastidio a tutti. A tutti tranne alla Luce, che fissò l’edificio con le sue antenne rosse. Curioso, voleva avvicinarsi di più ma si fermò, notando che gli altri stavano restando indietro. I più alti tentavano di fare ombra ai più piccoli, coprendosi il viso, ma il riverbero era comunque irritante. Seguirono il consiglio di Efrehem, che suggerì di provare da un altro lato della figura, magari non illuminato da Sirona, ma si accorsero ben presto che non serviva a nulla. Dove non c’era la luce diretta di Sirona, c’erano altre luci a colpirla, grazie ad un gioco di cristalli e specchi.

“Credo tocchi a te, piccoletto…” disse Kassihell.

“A me?” esclamò la Luce, vedendo cadere all’improvviso ogni suo appiglio logico.

“Sì, a te. E và tranquillo…il mio Dio non è cattivo come sembra!” lo rassicurò Hanjuly, mentre una sezione rettangolare sul tetraedro compariva dal nulla, simile ad una porta, accogliendo la Luce.

Efrehem lanciò un’ultima occhiata alle sue spalle e poi entrò, sentendo subito la porta rinchiudersi alle sue spalle e sparire. Era in trappola. Nessuna via d’uscita. Sospirò e si decise ad aprire gli occhi.

 

†††

 

Mentre gli altri nove si scaldavano, ad occhi chiusi, seduti accanto alla piramide a tre lati, Efrehem fu avvolto da una fortissima luce. Dritto davanti a sé vide una creatura, seduta a gambe incrociate. Era come incastonata nell’incrocio di due dei lati del tetraedro. La Luce, invece, era immobile sull’apotema della figura, la linea retta che divideva la facciata a metà. Dallo spigolo, l’occupante di quel luogo non gli disse nulla. Si limitò a fissarlo, come infastidito.

“Buonasera…” salutò educatamente Efrehem.

“Non è sera” si affrettò a rispondere la figura, sempre accigliata.

“Già…avete ragione…”.

“Avete, chi? Ci sono solo io qui, sgorbio, oltre a te”.

La Luce non disse altro, per paura di infastidire ancora di più quell’essere avvolto dai riflessi dell’edificio e dallo sguardo di ghiaccio.

“Accomodati” sbottò l’abitante della figura a triangoli, creando con la mano una sorta di sgabello cubico su cui Efrehem si sedette, agitato.

“Lei è la divinità del Ghiaccio?” azzardò a dire.

“No. Non sono una donna. Io sono il Dio del Ghiaccio. E tu chi sei, lampadina?”.

La Luce sospirò, stanco di sentirsi chiamare “lampadina”.

“Io mi chiamo Efrehem e vengo dal regno della Luce. Sono qui per recuperare l’oggetto proibito”.

“Non lo avrai da me” tagliò corto il Dio.

“La mia missione è averlo. Già altri miei compagni lo hanno ottenuto”.

“Chi e da chi?”.

“Reishefy, principessa dell’Elettricità, ha ottenuto una coppa dalla Dea dell’Acqua. E Kassihell, rappresentante del Fuoco, ha al collo il medaglione datogli da Kaos”.

“Kaos?! Kaos ha dato qualcosa a qualcuno?!”.

“Esatto. Ed ora tocca a me. Mi dica cosa devo fare per ottenerlo…”.

“Mi dica, chi? Se vuoi te lo dico io, usa un’altra volta questi termini impersonali e ti butto fuori”.

“Sissignore…”.

Il Dio lo osservò, con aria minacciosa, ed Efrehem rabbrividì.

“Io sono Enrikiran” iniziò la divinità “E comando il Ghiaccio. Fra me ed Heronìka, Dea dell’Acqua, non può esserci rivalità perciò, se lei ha dato una possibilità ad uno di voi di ricevere l’oggetto, allora lo devo fare anch’io. Ti avverto…non sono buono come lei”.

La Luce deglutì, ripensando a quanto gli aveva raccontato l’Elettricità. Il Dio, con i capelli corti ritti in una cresta gelata, non sorrise, nemmeno per un attimo, e chiuse gli occhi. Fra le sue mani, che mosse leggermente, apparve una chitarra dalle forme dure e dalle linee rette. Efrehem lo fissò con curiosità, mentre si passava fra le dita un plettro bianco candido e lucente. Enrikiran fissò l’intruso con aria di sfida e, tornando ad appoggiarsi al trono, gli chiese di scegliere uno strumento.

“Fra quali?” domandò il mortale.

“Scegline uno. Quello che vuoi. Te lo faccio io con il ghiaccio”.

“Per farne cosa?”.

“Ha importanza?”.

“Logicamente parlando, credo che alcuni strumenti siano adatti a certe cose ed altri no”.

Enrikiran, rizzando le orecchie con un certo compiacimento alla parola “logicamente”, non rispose alla domanda ma si limitò a domandargli se sapesse suonare uno strumento.

“Più di uno” si affrettò a rispondere la Luce.

“Bene. Quali sai suonare meglio?”.

“Pianoforte e violino”.

“Scegline uno ed andiamo avanti”.

Efrehem rimase in silenzio, qualche istante, meditando sul da farsi. Poi, guardando ciò che il Dio reggeva fra le mani, capì che, forse, aveva bisogno di uno strumento adatto anche a muoversi.

“Se non sai deciderti, posso darti la possibilità di scegliere fra uno di questi due lungo la sfida, scambiandoli quando preferisci. Che buono che sono…”.

“Molto. Grazie!”.

“Ok, mortale. Preparati a dimostrarmi che sei degno dell’oggetto proibito”.                                                      

 

L’atmosfera mutò all’interno dell’edificio. Si fece buio ed Efrehem vide il suo riflesso alle pareti, che notò a scacchi bianchi e neri. Aumentò la luminescenza della pelle, leggermente a disagio, e guardò il Dio, senza capire.

“Vieni avanti” gli ordinò Enrikiran, tirandolo con un movimento della mano.

Dietro al mortale crebbe dal nulla un meraviglioso pianoforte in cristallo ed un violino dello stesso materiale, con un archetto particolarmente curato.

“Hai senso del ritmo, mortale?”.

“Certo”.

“Senza nemmeno un pizzico di modestia…bene, staremo a vedere! Suonami qualcosa, con lo strumento che vuoi”.

“Cosa devo suonare? Suono da vent’anni…le mie sonorità sono praticamente perfette”.

“Credi di suonare meglio di me? Moltiplica i tuoi miseri anni di esercizio con il numero più alto che ti viene in mente e, ti assicuro, non arriveresti alla cifra dei miei anni”.

“Non saprei. Sono piuttosto ferrato anche in matematica. Il numero più alto che mi viene in mente è piuttosto elevato…”.

“Non costringermi a sfidarti ad una gara di matematica! Suona! Quello che ti pare! Stupiscimi…”.

La Luce, sicuro delle proprie capacità, si accostò al piano ed iniziò a suonare, ad occhi chiusi. Esordì con un brano piuttosto semplice per poi proseguire in crescendo, con sempre maggior difficoltà nel pezzo. Lui lo suonava come se fosse semplicissimo, con un sorriso.

“Basta così!” lo interruppe il Dio, senza cambiare la sua espressione corrucciata “Ora passiamo alla seconda fase. Suonerò ciò che mi va di suonare e tu lo ripeterai, uguale, con lo strumento che troverai più appropriato. Parti appena mi fermo, mai esitare!”.

La Luce annuì e respirò a fondo, concentrandosi. Subito Enrikiran iniziò a suonare un brano piuttosto complesso con chitarra e plettro. Quello strumento emetteva una melodia molto particolare, quasi elettrica, molto piacevole. Efrehem dovette ammettere che chi aveva di fronte era parecchio dotato. Ma ciò che stava suonando non era particolarmente complesso da riprodurre. Appena la divinità ebbe finito, la Luce ripeté il brano al pianoforte. Non sbagliò neppure una nota e sorrise. Sicuro di aver vinto, rimase spiazzato quando Enrikiran riprese a suonare un altro pezzo, più complesso e veloce. Sempre al piano, Efrehem lo rifece. Andarono avanti così per un totale di sei brani, sempre più complessi. La Luce riuscì a ripeterli perfettamente. Enrikiran, sempre senza mutare espressione, attaccò con il settimo ed Efrehem rimase immobile davanti ad una tale velocità e difficoltà. Non sapeva assolutamente come poterlo riprodurre ed iniziò a sudare freddo quando il Dio si fermò e lo fissò. Dopo attimi di silenzio, Enrikiran fece un ghigno, non proprio un sorriso.

“Tranquillo, mortale” lo rassicurò “Questo può suonarlo solo un Dio. Ed un Dio molto bravo. Era giusto per toglierti un pizzico di spocchia. Prendi il violino…”.

La Luce obbedì, sentendolo freddo fra le mani. Era davvero bellissimo ed estremamente leggero.

“Accompagnami, mortale. Suona assieme a me. Vediamo che cosa sei in grado di fare…”.

La divinità si alzò in piedi e si avvicinò al piccolo Efrehem, che lo fissò solo per alcuni istanti negli occhi di ghiaccio. Enrikiran iniziò a suonare. Improvvisò qualcosa di semplice, per permettere al mortale di capirne il ritmo e seguirlo. Ci volle davvero poco perché il suonatore di violino si unisse, creando un duetto davvero singolare. Il Dio accelerò e la Luce incespicò, non riuscendo bene a stargli dietro così all’improvviso.

“Smettila di usare solo la testa” suggerì la divinità “Usare il cervello e la logica è lodevole e positivo ma non in questo caso. Quando suoni, ascolta anche l’istinto e ti sarà tutto più semplice”.

Efrehem chiuse gli occhi, tentando di “disattivare” per un attimo il continuo vociare del suo cervello e cercare un aiuto da altro. Era nel panico. Non aveva mai tentato di fare a meno della testa fin ora. Poi, all’improvviso, avvertì un suono dentro di sé: il battito regolare del suo cuore. Sorrise, percependone il ritmo, ed iniziò a suonare mosso da nuova ispirazione. Riaprì gli occhi e ricominciò a duettare con il Dio. Iniziarono a camminare per la stanza, girando uno di fronte all’altro, come in una strana danza, mentre la musica diveniva sempre più complicata e bella. Enrikiran lo lasciò perfino esibirsi in un assolo, per poi continuare ad incalzarlo con una difficoltà sempre maggiore. Ad un tratto, così come era iniziato, il brano giunse alla fine ed Efrehem ripose in terra il suo strumento, sfinito. Il Dio tornò a sedersi ed attese che il mortale rialzasse la testa, chinato sulle ginocchia per riprendere fiato. Quando la Luce rialzò gli occhi, vide che la divinità del Ghiaccio gli stava sorridendo, sinceramente.

“Bravo” gli disse “Questo è per te”.

Gli tirò il plettro bianco, che stranamente Efrehem afferrò al volo.

“Quello è l’oggetto proibito che cerchi, musicista. Ora puoi andare…saprai quando e come usarlo”.

“Grazie…” riuscì a balbettare la Luce, osservando l’oggetto con venerazione.

“Salutami il mio fratellino, il Dio dell’Aria…”.

“Riferirò a chi dovrà entrare nella sua zona proibita”.

“A presto…e cerca di ricordarti le sensazioni che hai provato qui. Il cervello e la logica sono un’arma potente ma, a volte, non bastano”.

Efrehem annuì, grato per i consigli. Si girò e fece per andarsene quando il Dio lo fermò.

“Puoi tenerlo, se vuoi…” disse.

“Il plettro?” domandò il mortale.

“Ed il violino, se lo desideri”.

“Mi piange il cuore, perché è davvero un ottimo strumento, ma non credo possa essere per me tanto semplice da portare lungo la via. La strada da percorrere sarà ancora lunga…”.

“Vorrà dire che te lo riporterò quando ci rivedremo”.

“Quando, cosa?!” si stupì Efrehem ma non ricevette risposta.

Enrikiran era scomparso, in una nube di neve e ghiaccio, lasciandolo da solo. La porta alle sue spalle si riaprì e la Luce uscì, raggiante e soddisfatto.

 

†††

 

“Com’è andata?” domandò Hanjuly “Hai visto Enrikiran, il Dio che governa il mio regno?”.

“Sì e…è stato fantastico! Lo rifarei subito, se potessi!” esclamò Efrehem, con un entusiasmo mai mostrato prima.

“E l’oggetto proibito?” si fece avanti Kassihell.

La Luce mostrò il plettro, schiudendo le sue mani come un piccolo fiore bianco, e si udirono vari commenti ed esclamazioni di stupore. Il portatore di quell’oggetto lo ripose con cura nel piccolo taschino della sua giacca, sicuro che da lì non sarebbe uscito. Raccontò agli altri la sua avventura, mentre riprendevano il cammino, soffermandosi sul fatto che il Dio gli avesse sorriso e di come avessero suonato cose straordinarie assieme.

“Chissà chi sarà il prossimo…” si domandò Reishefy.

“Chiunque entrerà nella sona proibita dell’Aria, dovrà portare i saluti del Ghiaccio al suo fratellino. Mi ha detto così…”.

“Che carini…amore fraterno!” cinguettò l’Elettricità, saltellando.

Il Fuoco non capì il motivo di tanto entusiasmo, essendo tornati tutti quanti al gelo e sotto la neve. Imbacuccato com’era, avanzava a piccoli passi, incoraggiato dagli altri quando restava troppo indietro. Le sue bestemmie si udirono per tutta la strada ed erano talmente forti che, probabilmente, anche buona parte del regno le sentì. Thuwey, improvvisamente tornato di buon umore non si sa per quale ragione, correva avanti ed indietro facendo guerra con l’Elettricità a palle di neve. Ovviamente, fra un tiro ed un altro, andò anche a colpire altri membri della compagnia poco propensi a quel divertimento, come Aherektess o Mattehedike. Solo la stanchezza impedì loro di rimettersi di nuovo a litigare.

“Mi fanno male i piedi…” mugolò Enki “…ci fermiamo?”.

Hanjuly si guardò attorno. Non c’era altro che ghiaccio e neve, in un’immensa pianura bianca. Dove avrebbero potuto fermarsi? Scosse il capo alla principessa dell’Acqua, rassicurandola che ormai mancava poco al prossimo villaggio. Kassihell sospirò, scacciando qualcosa di colorato da davanti. Lo fissò, poi, con aria interrogativa. Era una farfalla, e si era posata sulla neve. Cosa diavolo ci faceva una farfalla variopinta in mezzo al nulla a diversi gradi sottozero?! Alzò le spalle e la ignorò. Ma la bestia non voleva essere ignorata e riprese a volare, dandogli di nuovo fastidio. Il Fuoco la cacciò in malo modo e poi scosse il capo. Era convinto di vederla più grande di prima ma era impossibile…le farfalle non aumentano di volume! Ricominciò a camminare, lasciandosela alle spalle. Dopo qualche istante, la creatura lo sorpassò e lui ne fu sicuro: era più grande! Convinto di avere le visioni, non disse nulla e proseguì. La bestia svolazzò fra i dieci. Alcuni la notarono ed altri no. Molti sorrisero nel vederla, come rincuorati da quella punta di colore in mezzo all’immenso bianco. Solamente il Fuoco la fissava preoccupato. Solo lui notava il suo progressivo cambio di dimensioni? Era la stanchezza che gli faceva brutti scherzi?

“Sembra anche a te che quell’animale lieviti?” si sentì domandare da Thuwey.

“Meno male che lo noti anche tu! Ero convinto di essere pazzo!”.

“Pure io…ma cresce per davvero?”.

“Mi pare di sì…”.

Fuoco e Metallo accelerarono il passo, per lasciarsela alle spalle e sorrisero quando non la videro più. Purtroppo, girando lo sguardo, se la ritrovarono a fianco. Sussultarono.

“Peserà mezzo chilo, adesso!” commentò Thuwey, vedendo quanto era grossa.

“Pussa via, bestiaccia!” la minacciò Kassihell, pronto ad incenerirla.

“Contro chi stai inveendo?” si stupì Aherektess, girandosi assieme all’Oscurità.

“Contro questa cosa…” spiegò il Fuoco.

“Una farfalla…?” inclinò la testa l’Aria.

“Una farfalla che ingrassa a vista d’occhio!” aggiunse il Metallo.

“Si vede che mangia bene” si limitò a dire Aherektess, tornando a girarsi.

“Cosa vi siete fumati, voi due?” scosse il capo Idisi.

“Ma è vero!” protestarono, in coro, Fuoco e Metallo.

“Non dite fesserie! Se avete paura di una farfalla, fatevi curare!” sbottò Mattehedike.

Thuwey e Kassihell si offesero ma non dissero altro, notando con soddisfazione che l’animale non li seguiva più. Ci risero su. Dopotutto era vero…era solo una farfalla!

I già scarsi raggi di Sirona furono oscurati. Nessuno ci fece particolare caso, pensando ad una nuvola, quando uno stridio fastidiosissimo assordò la compagnia. Alzarono lo sguardo.

“È diventata da una tonnellata!” gridò il Metallo.

“Ora ha anche qualcun altro paura della nostra farfalla?” domandò il Fuoco, mentre tutti iniziavano a correre, in preda al panico.

La bestia era cresciuta a dismisura, arrivando ad un’apertura alare in grado di coprire tutti i dieci abitanti di Asteria ed oltre.

“Che farfalle ci sono nel tuo regno?!” domandò l’Aria ad Hanjuly.

“Non ho mai visto niente del genere!” rispose lei.

La farfallona spalancò la bocca, puntando le antenne pelose sui fuggitivi, mostrando lunghi ed inspiegabili denti aguzzi.

“Ma che razza di farfalla è?!” si allarmò Idisi, convinta fino a quel momento che fosse solo una povera creatura indifesa in cerca di compagnia.

L’animale scese in picchiata e sfiorò la testa del Metallo, che si scansò in tempo.

“Non possiamo scappare in eterno. Non ci sono posti in cui nascondersi nelle vicinanze. Dobbiamo combattere!” urlò Aherektess, bloccandosi di scivolata, alzando un bel mucchietto di neve.

L’Aria sfoderò le sue armi e si preparò ad attaccare la bestia, che continuava a crescere. Il Fuoco seguì il suo esempio, togliendo il mantello che lo impediva nei movimenti. Reishefy concentrò il suo potere, pronta all’attacco. Hanjuly estrasse la sua arma gelata ed andò accanto ad Efrehem, intimandogli di non fare pazzie. Se avesse usato la magia della Luce, il ghiaccio avrebbe mandato un tale riverbero da impedire a chiunque altro di fare qualcosa. Mattehedike strinse i pugni, aumentando la percentuale di roccia sulla pelle, pronto a prendere a cazzotti quella strana creatura. Idisi, sempre contraria al far male agli animali, dovette arrendersi all’evidenza ed impugnò il suo remo, rivolgendolo verso l’enorme farfalla. La Roccia guardò quell’arma e sorrise.

“Posso?” domandò, impugnandola.

“Prego…non me la rovinare, però…”.

“Al contrario, madama!”.

La Roccia si concentrò e lungo tutta la parte piatta in legno apparvero punte di ossidiana.

“Questo si chiama macuahuitl” spiegò, restituendolo alla Terra.

“Wow. Grazie!” sorrise lei e si apprestò a provarla sulla creatura.

Lehelin aumentò di dimensioni, espandendo la sua ombra, mentre Enki andava a rannicchiarsi sulla neve, impaurita, avvolgendosi in uno spesso mantello. Forse avrebbe potuto combattere sfruttando la magia dell’Acqua ma era troppo spaventata per farlo.

“Vieni qui, tesoruccio!” ringhiò il Metallo.

Aherektess si distrasse, solo un attimo, accorgendosi che le braccia di Thuwey si erano trasformate in due spade e che tutte le punte che portava sul corpo si erano ingrandite.

Efrehem notò il nascondiglio di Enki. Pure lui si era avvolto in un mantello chiaro, sperando di non dare nell’occhio, e ben presto la neve lo coprì in buona parte. Guardò la farfalla e rabbrividì. Mai avrebbe pensato di aver paura di una cosa del genere!

La bestia, quasi ghignando, scese in picchiata. Il gruppo armato la colpì. Kassihell, Aherektess e Thuwey affondarono le loro lame, Hanjuly roteò il cerchio in aria, colpendola. Reishefy, sollevata da terra, la frustò con la coda divenuta lunghissima, trasmettendole una fortissima scossa. Mattehedike sferrò un poderoso cazzotto sull’addome peloso ed Idisi si accanì sulla testa bulbosa. La farfalla, lanciando un grido acuto e fastidioso, tornò a sbattere le ali per riprendere quota. Non riuscì a sollevarsi di molto, però. Il gruppo si stupì. Nonostante tutti i colpi, non sembrava ferita. Allora perché non riprendeva quota per attaccarli di nuovo?

“Lehelin…” disse l’Aria, notando l’espressione concentrata di lei.

“Non andrà più in alto di così. È bloccata…”.

Thuwey sorrise. L’Oscurità teneva ferma, con i piedi, l’ombra di quella creatura e, di conseguenza, le impediva di sollevarsi ulteriormente.

“Grandioso!” ghignò Kassihell, ricominciando a colpire il mostro.

Fra gli urli, la farfalla si dimenò. Lehelin faceva difficoltà a controllare un’ombra di tali dimensioni ma rimase al suo posto, mentre gli altri combattevano.

“Non la feriscono…” notò Efrehem, con rammarico e preoccupazione “Non la stanno ferendo! Sembra quasi che la manchino ma non è così…”.

In effetti la bestia, nonostante urlasse come una pazza, non veniva ferita. I combattenti si stavano stancando, saltando per colpirla. Iniziarono ad usare la magia dei loro elementi. Kassihell le lanciò una fiammata, Aherektess tentò di abbatterla a grandi folate di vento, Hanjuly le lanciò punte di ghiaccio ruotando su se stessa. Nemmeno questo pareva scalfirla.

Ad un tratto, irritata come non mai, la creatura si mosse prepotentemente. L’Oscurità, non riuscendo a dominarne più l’ombra, cadde all’indietro.

“Lehelin!” la chiamò Aherektess ma ben presto finì anche lui in terra, a faccia in giù nella neve.

La farfalla, dopo l’ennesimo grido, sbatté talmente forte le ali da ribaltare all’indietro l’intera compagnia, allontanandola da sé di diversi metri. Enki, vedendo questo, lanciò uno strillo acutissimo di puro terrore. L’animale, che fino a quel momento non l’aveva notata, fu talmente infastidito da quel suono che si lanciò contro di lei. Gli altri, distanti ed ancora bocconi sulla neve, non poterono intervenire. Solamente Efrehem, abbastanza vicino da poter fare qualcosa, scattò in avanti e si contrappose fra l’Acqua e la farfalla. Enki continuò a gridare, non sapendo cos’altro fare, mentre la Luce veniva colpita, afferrata fra i denti aguzzi e lanciata lontano. Gli altri reagirono tentando di salvarlo e si misero a correre, sperando di raggiungere il nemico prima che fosse troppo tardi. L’Acqua, spalancando gli occhi, vide il suo compagno malridotto ed immobile, con la farfalla sopra di lui, pronta probabilmente a divorarlo.

“Una farfalla carnivora?!” si chiese Kassihell “Nemmeno mio padre avrebbe idee tanto malsane!”.

“No! Lascialo stare!” gridò Enki, fra le lacrime e, inaspettatamente, uscì dal suo nascondiglio.

Rivolse la testa verso il cielo e, stringendo i pugni, lanciò un urlo di rabbia e disperazione. Il terreno sotto di lei reagì e la neve mutò, divenendo acqua. La principessa, con occhi spalancati, rivolse le mani verso l’enorme bestia ed il suo elemento le obbedì. A contatto con la temperatura esterna, si ghiacciò all’istante, intrappolando l’animale.

Gli otto combattenti rimasero a bocca aperta davanti ad un tale, sorprendente, spettacolo.

“Non resterà bloccata a lungo!” riuscì a dire Hanjuly “Prendiamo Efrehem e scappiamo! Il villaggio non è lontano e la neve coprirà in fretta le nostre tracce!”.

Il gruppo annuì. Idisi prese fra le braccia il leggerissimo ferito, privo di sensi, e Mattehedike afferrò Enki, ancora sotto shock, obbligandola a seguirli. Corsero nella bufera di neve più che poterono, fino a quando la farfalla non fu lontana e non più visibile.

“Come sta, Idisi?” domandò Enki, chiedendo della Luce.

“Non lo so. Io…non sento più il battito del suo cuore!”.

“Cosa?!” si allarmò Hanjuly.

“Io…temo sia morto!” continuò la Terra.

“Quante volte abbiamo temuto che uno del gruppo fosse morto? Si riprenderà…” azzardò Reishefy.

“Lui ha già preso l’oggetto proibito…” iniziò il Fuoco, con il solito cinismo.

“E allora?! Per questo tu dici che può anche morire?” si arrabbiò il Ghiaccio.

“No, ma ai fini della missione…”.

“Chiudi la bocca!”.

La voce di Hanjuly era carica di odio e piangeva. Ed iniziò a piangere pure Enki, mentre la Terra tentava di rianimare il privo di sensi con l’aiuto dell’Elettricità.

“Oh, Dèi…” mormorò Aherektess, inginocchiandosi e toccandolo “…è morto per davvero!”.

Mattehedike e Thuwey chinarono il capo, in segno di rispetto.

“Morto per salvarmi…perdonami, Efrehem!” singhiozzò Enki, abbracciando Idisi, che l’avvolse fra le sue braccia con fare materno.

“Era coraggioso…” commentò il Metallo “…non esiste modo più nobile di morire”.

“NO!” scoppiò in lacrime anche Reishefy, cercando l’abbraccio con la Roccia, l’unico della compagnia a non crearsi problemi con le scosse oltre all’Oscurità, che aveva messo una mano sulla spalla dell’Aria, con lo sguardo perso nel vuoto. Hanjuly incitò la Terra a non arrendersi e tentare ancora ma lei scosse il capo, assicurandole che non c’era più niente che potessero fare.

Kassihell prese fra le mani il medaglione. Era piuttosto titubante. Usarlo per riavvolgere tutto, quanto gli sarebbe costato? E ne valeva la pena? Rifletteva su questo quando vide gli sguardi degli altri otto e capì. Chiuse gli occhi ed iniziò e girare il disco centrale in senso antiorario.

 

Riaprì gli occhi. Da uno, quello destro, non ci vedeva più ed un rivolo di sangue gli scorreva sul viso. Era ancora tramortito quando intravide, con l’unico occhio sano, la farfalla. Era piccola ed insignificante. Inaspettatamente riuscì ad afferrarla con la mano e la schiacciò, senza pensarci due volte, con rabbia. Strinse il pugno con odio.

“Assassino!” gli urlò la Terra, non preoccupandosi minimamente del sangue sul volto del Fuoco “Come hai potuto uccidere una creatura così meravigliosa e colorata?! Sei senza cuore!”.

Kassihell non disse nulla, ancora confuso e piuttosto stanco. Serrò di nuovo le palpebre e sentì una mano sfiorargli il viso. L’Oscurità era davanti a lui e gli sorrideva.

“So cosa hai fatto” gli disse, passandogli una mano sull’occhio ferito e dandogli un po’ di sollievo “Grazie da parte di tutti”.

“Tu hai visto tutto? Sai cosa ho fatto?” mormorò il Fuoco, a bassa voce.

“Sì. E so di essere l’unica del gruppo a poterlo fare. Immagino dipenda dal fatto che ciò che hai usato è un oggetto del Dio della mia gente, Kaos. Grazie”.

Kassihell sorrise, vedendo Efrehem vivo, anche se infreddolito, e tutto intero accanto ad Hanjuly. Capì da quello di aver fatto la cosa giusta.

“Vi muovete o vi lasciamo lì?” sbottò Mattehedike.

Fuoco ed Oscurità accelerarono, dopo aver dato una ripulita al viso di Kassihell. Non aveva perso l’occhio ma non era più in grado di vedere.

“Cosa ti è successo?” domandò Enki, spaventata.

“Niente…sarà il freddo” tagliò corto il Fuoco, imbacuccandosi più di prima, e dicendosi, fra sé e sé, che era un vero peccato che l’Acqua non ricordasse ciò che aveva fatto.

 

†††

 

“Questo regno sta iniziando ad irritarmi al pari di quello dell’Acqua!” sbottò Thuwey.

“Ti lamenti sempre!” sbuffò Enki “Guarda che non sei solo tu ad avere dei problemi!”.

“Evidentemente sono l’unico che ha le palle per protestare…”.

“O l’unico che ha energie da sprecare!” sbottò Efrehem, sperando di far smettere la discussione.

Camminavano da giorni nella tormenta. La neve, fitta e gelida, li colpiva in malo modo con il forte vento tagliente. Sirona, pallida e coperta dalle nubi, non li scaldava. Avanzavano lentamente, il più vicino possibile l’uno all’altro, tentando di scaldarsi e sostenersi.

“Come và, Kassy?” saltellò Reishefy, dando una poderosa pacca sulla spalla al Fuoco.

Questi non rispose. Continuò a camminare, ignorandola, ma all’Elettricità non piaceva essere ignorata e riprese il discorso.

“Sai…” quasi urlò per essere sicura che la ascoltasse “…tutto avvolto da mantelli e coperte, hai un’aria esotica molto affascinante. Sei proprio bello!”.

“Sono proprio sposato” si limitò a sibilare il Fuoco, accelerando il passo.

“Cosa c’entra?! Mica gli sposati diventano brutti!”.

Kassihell sospirò, cercando con sguardo supplichevole l’aiuto di qualcuno. Gli altri sorrisero, quasi lieti nel vedere che la ragazzina aveva trovato la sua vittima e si concentrava su quella.

“Ma come cammini, Kassy? Dai su…muoviti!” ridacchiò Reishefy.

Il Fuoco si bloccò e la guardò, minacciosamente. L’Elettricità indietreggiò solo leggermente.

“Fai paura…” commentò, prima di ricominciare a ridere in modo scemo.

Gli si attaccò al braccio e Kassihell tentò di togliersela di dosso, imprecando e minacciandola.

“Stai lontana da me, rompicoglioni!” le urlò, con i capelli tutti gonfi per le scosse.

“Come sei permaloso!” rise Reishefy, andandogli di nuovo vicino.

“Io so che fin ora non ti ho mai calcolato particolarmente…” mormorò il Fuoco, alzando gli occhi verso Sirona “…ma se in questo istante facessi apparire una motosega fra le mie mani, te ne sarei immensamente grato!”.

“Che cosa vuoi fare con una motosega, Kassy?!” si stupì l’Elettricità.

“Piantala di chiamarmi Kassy!”.

“Ma cosa vuoi fare con una motosega?”.

“Dimostrarti tutto il mio affetto…”.

“Con una motosega? Che creatura strana che sei. Abbracciami, se vuoi dimostrarmi il tuo affetto!”.

“Ti abbraccerei solamente se avessi gli spuntoni metallici di Thuwey”.

Il Metallo rise e la Roccia propose un forte abbraccio fra scosse e spuntoni.

“…però un bell’abbraccio potresti darglielo. Povera piccola…” ironizzò Mattehedike.

L’Elettricità, non capendo la falsità in quelle parole, sorrise tutta soddisfatta.

“Ma abbracciala tu! È insopportabile!” ringhiò il Fuoco.

Girò lo sguardo verso l’Oscurità, desideroso di nascondersi dall’unica che non sembrava avere dei problemi con lui, ma lei stava accanto all’Aria e preferì evitare.

“Ti sta bene” commentò Idisi “Brutto assassino di farfalle!”.

“Per quanto andrai avanti a menarmela con sta storia della farfalla?! Ormai son passati diversi giorni…era solo una fottuta farfalla, mica tua figlia!”.

“Hai la sensibilità di un cactus!” ridacchiò Hanjuly.

“Questo non è vero. Ma quella farfalla…”.

“Era una creatura vivente che meritava di stare a questo mondo, esattamente come te!”.

Il Fuoco, ripensando a quanto aveva rinunciato per riportare in vita Efrehem e salvarlo da quella farfalla, rimase ferito da quelle parole. Sapeva che nessuno gli avrebbe creduto anche se avesse raccontato ciò che era successo e, comunque, quel branco di ingrati non lo meritava! Guardò il medaglione e decise che mai più lo avrebbe usato per loro. Accelerò, staccandosi dagli altri, sentendo il calore del suo elemento dentro di sé alimentato dalla rabbia. Solo l’idea di dover passare altri mesi lontano dalla sua famiglia per…cosa? Per cosa? Si ritrovò a chiedersi. Una stupida evocazione per uno stupido pianeta. Degli stupidi oggetti da delle stupide divinità. Era tutto così stupido! Troppo stupido!! Tirò un poderoso calcio ad un sasso, mandandolo lontano. Vide di essersi distanziato dalla compagnia ma non gli importò. Voleva solo tornare a casa, dall’unica persona che finora era stata in grado di capirlo per davvero e gli aveva dato dei figli. Pensò a quanta strada doveva percorrere per poterla raggiungere…che gli altri si arrangiassero! Lui la sua parte l’aveva fatta!

“Cosa credi di fare?” sentì tuonare una voce.

“Me ne torno a casa!” sbottò Kassihell, senza voltarsi.

“Ti arrendi?”.

“NO! Torno dove sono utile e che crepino pure tutti quanti, uno dopo l’altro!”.

“Vuoi la morte di tutti loro? Davvero?” si unì una voce femminile.

Il Fuoco si girò e sobbalzò. Davanti a sé aveva Kaos, decisamente incazzato, Heronìka ed il silenzioso Enrikiran. I tre Dèi lo stavano fissando, con rimprovero.

“Ma che volete?!” sibilò Kassihell, dopo il primo momento di stupore.

“Non possiamo permetterti di gettare al vento tutta la missione per un tuo capriccio!” rispose la Dea, incrociando le braccia.

“Capriccio?!” ringhiò il Fuoco.

“Non è un capriccio…capisco perfettamente quello che provi!” iniziò Kaos, prendendo sottobraccio il mortale e fissandolo con i suoi grandi occhi azzurri “Capisco e, credimi, farei lo stesso. Ma…” si interruppe, allargando il suo sorriso maligno ed inquietante “…non rinuncerei mai alla possibilità di vendicarmi! E so per certo che l’hai a portata di mano…la vendetta intendo!”.

“Ti riferisci ad Aherektess?” domandò Kassihell, calmandosi solo leggermente.

“Precisamente. Aspetta che la missione finisca per…”.

“Kaos! Che dici! Siamo qui per convincerlo a proseguire, non fare una strage!” lo interruppe Heronìka, nella lingua degli Dèi.

“Ed io lo sto spingendo a proseguire, femmina! Hai forse un’idea migliore nella tua testolina per convincerlo?” rispose Kaos, sempre nello stesso linguaggio.

La Dea dell’Acqua rimase in silenzio, capendo che chi aveva di fronte non poteva essere di certo spinto ad andare avanti con i buoni sentimenti.

“Dentro di lui non c’è solo odio” disse, dopo un po’ “Ho visto come ha salvato la piccola creatura della Luce!”.

“Ma in questo momento è l’odio quello che prevale. Fidati di me…”.

La Dea era piuttosto inquietata all’idea che Kaos stesse dando dei consigli a quel mortale, che non pareva esserne spaventato. Sospirò. Aveva salvato la Luce e quindi qualcosa dentro di sé c’era di buono e quindi, sperava, non doveva temere. Se lo ripeté dentro di sé, anche quando notò il ghigno malefico che provocò sul viso del mortale il discorso di Kaos. La Dea guardò Enrikiran. Il Dio girò solo leggermente i suoi occhi di ghiaccio, mentre Kaos e Fuoco si allontanavano.

“I Signori di Est ed Ovest han detto che ci deve essere un degno rappresentante per ogni elemento. Lui rappresenta in pieno il suo elemento, il fuoco, perciò…dobbiamo solo sperare che rimandi la vendetta alla fine del viaggio” parlò lui.

“Ma…come puoi sperare che si vendichi?! Lui non si deve vendicare! Lui…”.

“Non sono affari nostri, Heronìka. Ed è inutile tentare di convincerlo del contrario. Rilassati. Lascia che Kaos ci parli. Dopotutto lui è la divinità più antica…”.

“Ma è Kaos!”.

“Può anche essere mia nonna! In questo momento è l’unico che riesce ad entrare in sintonia con quel mortale. Lascia che ci pensi lui e…speriamo bene”.

La Dea sospirò. Ghiaccio e Acqua scomparvero in una nube bianca.

“Dunque, dicevamo, ragazzo mio…” riprese Kaos, tenendo una mano sulla spalla di Kassihell.

“Ragazzo?!” si accigliò il Fuoco.

“Cosa vuoi che siano trentasei anni davanti all’eternità? Sei un ragazzino, con tutta la vita davanti! Dicevamo…hai una vendetta da compiere, giusto? Ed allora aspetta e vedrai. Torna da loro, porta a termine questo stupido ed inutile viaggio. Alla fine di tutto…avrai ciò che ti spetta!”.

“La testa di Aherektess”.

“Bravo. Ma perché non sei del mio regno? Ti vorrei come mio Primo Sacerdote!”.

“La vita religiosa non fa per me…ma perché non posso vendicarmi subito e tornare a casa?”.

“Avresti tutti contro. Compresi quelli del tuo regno per non aver portato a termine la missione. Aspettando, invece, il suo lieto esito, avrai gli altri otto fuori dai piedi e tornerai doppiamente vincitore al tuo impero, con il sangue ancora caldo del semi-piccione arancio fra le mani!”.

Il Fuoco ghignò, soddisfatto.

“L’ho sempre detto che sei un grande, Kaos”.

“Davvero?” lo fissò il Dio, sospettoso.

“No…ma ora lo penso davvero”.

“So quanto sia difficile viaggiare con quel tipo di compagnia. La ragazzina dell’Elettricità è…come dire…non trovo le parole per definirla…”.

“Una grandissima rompipalle!”.

“Mmm…può andare. Ma avrei usato termini meno eleganti”.

“Pure io. Però ora sono troppo stanco perfino per insultarla”.

“Ti avrei fornito più che volentieri la motosega…ma son stato trattenuto…”.

“Non importa. Sarei stato trattenuto pure io dagli altri otto rompini. Forse Thuwey mi avrebbe concesso la soddisfazione di amputarla…”.

Il Fuoco rabbrividiva, camminando a fianco del grosso e fumoso Kaos, che gli sorrise.

“Il regno successivo è vicino” gli disse “Vedi? In terra già si intravedono sprazzi d’erba. Certo…non sarà per te una passeggiata nemmeno questo ma sono certo che, covando in te la vendetta, proseguirai senza troppi problemi”.

“Perché? Che regno mi aspetta?”.

“L’Aria”.

Kassihell spalancò gli occhi, mentre Kaos scompariva, scomposto in centinaia di corvi neri dagli occhi azzurri ed il sorrisetto malvagio. Non sentiva più il freddo pungente ma capì che da solo non avrebbe potuto mettere piede del regno rivale. Sopra di sé intravide una coppia di volatili colorati che si diressero verso la vegetazione, che si faceva sempre più vicina. Ai piedi piccoli fiori, arbusti e fili d’erba sbucavano fra la neve.

“Siamo arrivati!” urlò una vocetta, fastidiosa e familiare, alle spalle del Fuoco.

L’Elettricità lo raggiunse, abbracciandolo.

“Lasciami!” sbottò lui e lei rimase aggrappata con più convinzione, dicendogli che non lo avrebbe fatto andar via di nuovo.

“Il regno dell’Aria” mormorò Efrehem, togliendosi il mantello.

Tutti seguirono il suo esempio, pronti a proseguire ad una temperatura più normale. Aherektess spalancò le braccia, sgranchendosele, e sfiorò la chiave azzurra del palazzo del Signore dell’Ovest. Era intrecciata e brillante, leggera.

“Ora vi guido io” disse, sorridendo soprattutto all’Oscurità “Ti consiglio, Fuoco, di non farti troppo notare. Sai quanto poco quelli come te vengano amati dalle mie parti”.

“Farò attenzione. Tanto, prima o poi, ci dovrai passare tu fra quelli come me! Ed allora staremo a vedere chi dovrà stare attento a cosa”.

Il gruppo si allarmò notando il ghigno malvagio sul viso di Kassihell, ma nessuno osò interferire. Dopo quasi due mesi di gelo e neve bianca, il bosco dell’Aria, con i suoi alberi altissimi e sottili, li stava attendendo.

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Capitolo 7
*** VII- Aria ***


VII

 

Il canto degli uccelli accolse il gruppo con entusiasmo. I colori di quel regno erano spettacolari. I fiori, i piumaggi, la vegetazione ed ogni elemento che li circondava aveva tinte sgargianti. Sopra le loro teste, una famiglia di creature d’Aria passò, volando. Aherektess sorrise. Si sentiva di nuovo a casa. Incamminandosi lungo un elegante sentiero lastricato, guardavano tutti verso l’alto. Gli alberi, sottilissimi, si perdevano verso il cielo, con vari attorcigliamenti e giravolte. Appollaiati su di loro stavano diversi uccelli, dalle lunghissime code piumate, e vari abitanti di quel regno. Kassihell cominciò a chiedersi se, effettivamente, era una buona idea per lui attraversare quel mondo. Aveva notato lo sguardo minaccioso che gli stavano puntando contro tutti i nativi.

“Calmi. Li sto portando a palazzo. Sono sotto la mia custodia” rassicurò Aherektess, nella lingua dell’Aria, senza riuscire a calmarli del tutto.

“Oh, ma come sono carini!” urlò Reishefy, salutando con la mano.

La popolazione si lanciò sguardi interrogativi e volò via, volendo informare il loro sovrano.

“Non puoi proprio fare a meno di provarci con tutti?” domandò Thuwey all’Elettricità.

“Non fare il bacchettone! Io seguo il mio elemento e mi faccio guidare dalle passioni”.

“Questo non significa fare ciò che si vuole…”.

“Finiscila!”.

“Non iniziate!” interruppe Idisi.

“Il luogo proibito del mio regno è vicinissimo alla capitale, Bahram. Sarete miei ospiti a palazzo” spiegò Aherektess, incitando la compagnia a proseguire.

“Bello! Sarà interessante visitare un altro castello!” esclamò Enki.

“Bello?! Ma sei sicuro che il tuo fratellino ci voglia?” domandò Kassihell, per niente d’accordo al pensiero di essere ospite della famiglia sua diretta rivale.

“Anche se a Zameknenit non andrà a genio, decido io ed è meglio per lui non interferire!”.

“Quanto amore…tutto ciò che circonda Aherektess è denso d’amore!” ironizzò la Roccia.

“Prima o dopo del luogo proibito passeremo per il palazzo?” domandò Efrehem.

“Dopo. Così ci riposeremo e saremo già più rilassati. Potrei far organizzare una bella festa…”.

“Una festa!!!! Sì!!!!” esultò l’Elettricità.

“Una festa per cosa?” domandò Lehelin.

“Una festa per me. Per noi. Ne abbiamo bisogno!” rispose l’Aria.

L’idea della festa probabilmente donò una buona dose d’entusiasmo alla compagnia, che partì a passo spedito lungo il sentiero. Aherektess li rassicurò, dicendo che poteva scorgere chiaramente soldati ed arcieri del suo regno sulle cime degli alberi.

“Ed in che modo dovrebbe questo farci stare meglio?” mormorò il Fuoco, temendo per la sua incolumità e guardando in alto, piuttosto agitato.

“Non corriamo rischi. Se ci dovesse attaccare qualche bestia feroce, loro sono pronti a difenderci. Sicuramente un’idea di quell’iperprotettivo di gemello che mi ritrovo. O del suo consigliere lagnoso e catastrofico. Quei due mi rinchiuderebbero in una campana di vetro…”.

“Ma mi sembra una buona idea avere la scorta. Ci possiamo rilassare e non stare sempre all’erta. Inoltre, lo vedo come un gesto pieno di affetto nei tuoi confronti” disse Idisi.

“Io lo vedo come una totale mancanza di fiducia…e desiderio smodato di controllo. Su di me non ne hanno e si vendicano così…”.

La Terra non continuò e sorrise. La Roccia avanzava sentendosi fortemente a disagio. Tutto quello spazio aperto lo inquietava, abituato com’era a grotte, anfratti e mondi sotterranei. Sopra la sua testa ora c’era solo il cielo e qualche pianta. Sirona stava tramontando ed il gruppo decise di riposare, sentendosi protetti da quei guardiani volanti. Ognuno a modo suo, tutti si addormentarono. Perfino Lehelin, probabilmente stancata dall’eccessiva luce fra la neve.

 

“Quale creatura cinguetta in questo modo così meraviglioso?” domandò Hanjuly, ad occhi chiusi ed ascoltando quella melodia regolare.

L’alba era trascorsa da poco e la compagnia fu svegliata da quel suono.

“Cinguetta?!” si stupì il principe di quel regno.

“Sì. Non senti questo trillo?”.

“Ovvio! Ma è un canto, non un cinguettio!”.

Pareva quasi offeso a quelle parole ma non disse altro. Sospirò e guardò verso l’alto. Erano le creature dell’Aria, come lui, ad intonare quello strano sottofondo.

“È bellissimo!” sorrise Enki.

“Sì, davvero meraviglioso” si aggiunse Idisi.

“Mai sentito nulla di più bello…” si unì Reishefy.

“A me sembra solo un grido di agonia…” sbottò Thuwey.

“…di un uccello in procinto di schiattare!” concluse Kassihell.

“In effetti…non la definirei proprio una melodia questa accozzaglia di suoni!” concordò Efrehem.

“Se la smettessero mi farebbero un grosso favore” protestò Mattehedike.

“Siete i soliti, voi maschi. Non apprezzate l’arte!” commentò Hanjuly.

“Mi stupisco davvero che non apprezzino tutto questo. È un così bel suono…” le disse Idisi.

“Ed io invece mi stupisco che questo canto piaccia anche a voi…” borbottò Aherektess.

Cinguettando, le creature dell’Aria non seguivano una sola melodia. Efrehem notò che erano tutti maschi quelli che cantavano, mentre le femmine stavano in ascolto, in disparte. L’Aria incitò il gruppo a proseguire, quasi trascinando Ghiaccio ed Elettricità che erano rimaste come imbambolate a guardare gli interpreti di quello spettacolo musicale.

“Uccellini canterini…” sibilò Kassihell, iniziando ad odiare quello sfondo pieno di trilli.

“Ma…cosa stanno facendo?” domandò la Luce ad Aherektess.

“Non potevamo scegliere momento peggiore per passare da queste parti…” rispose l’Aria, girando le orecchie a punta.

“Ordinagli di fare silenzio!” suggerì il Metallo.

“Quanto sei drastico…” commentò Lehelin, a fianco della creatura piumata del gruppo.

“Sì” concordò l’Aria, ma il suo “sì” fu una specie di sibilo melodico, un vago cinguettio.

Subito si tappò la bocca, accigliandosi, ed accelerando. Mattehedike sollevò di peso Reishefy, che non voleva muoversi. Thuwey spinse Hanjuly ed Enki, rimbambite da quei suoni. Idisi si era ripresa, anche se continuava a sorridere come vittima di un sortilegio, ipnotizzata.

“Pensavo fossero quelli dell’Oscurità gli incantatori…guarda che stanno combinando alle ragazze questi canarini fuori misura!” ringhiò Thuwey, trascinando il Ghiaccio.

“Credo sia una sorta di canto di corteggiamento. Per questo a noi maschi non fa alcun effetto…” azzardò Efrehem, non riuscendo a trovare altra spiegazione.

“Ci mancava solo questa! Tappatevi le orecchie e proseguite, avanti, ragazze!” sbottò Kassihell, minacciando Enki con la Katana.

“Non sarà mica tutto il regno così, vero Aherektess?” volle sapere Mattehedike, con Reishefy che si dimenava fra le sue braccia per venire liberata e potersi buttare addosso a qualche bel piumato.

“No. Queste cose vanno a zone e durano poco…chiedo scusa. È piuttosto imprevedibile…” iniziò l’Aria ma si fermò, rendendosi conto che stava trillando ad ogni parola.

“Mi serve una donna…” sospirò, avanzando a passo rapido ad occhi chiusi e con le mani sulle orecchie per non farsi coinvolgere dai duetti che si stavano creando.

Quando le donne iniziarono a cantare, quasi tutto il gruppo perse il controllo. La voce dolcissima delle femmine immobilizzò e distrusse le poche convinzioni dei maschi della compagnia. Mattehedike lasciò cadere in terra, in malo modo, l’Elettricità. Thuwey mollò il braccio del Ghiaccio e sul suo volto spuntò un sorriso idiota. Kassihell fu solo vagamente stuzzicato da quei suoni, tenendo la mente concentrata sulla moglie.

“Andiamo avanti!” ordinò, ma capì di non avere speranze quando vide la Luce zompare felice, canticchiando cretinate.

“Un cerbiatto rincoglionito…” commentò il Fuoco.

“Che bella la primavera!” gli rispose Efrehem.

“Non è primavera! Muovi il culo lungo il sentiero e smettila di fare il pirla!” ringhiò Kassihell, puntando il dito verso la direzione che avrebbe dovuto prendere il gruppo.

Subito lasciò cadere il braccio, notando che la lucidità aveva abbandonato tutti. Solo la Terra sembrava controllarsi, più o meno, e l’Aria si sforzava in ogni modo di proseguire lungo la via, Oscurità al fianco.

“Sei pirla e quattro sfigati…sarebbe un bel titolo per un romanzo” ironizzò il Fuoco, raggiungendo Idisi, Aherektess e Lehelin con un sospiro.

“Perché noi non veniamo coinvolti da tutto questo?” domandò alla Terra.

“Io e te siamo sposati” spiegò lei.

“Ed io non lo so…ma non mi interessa particolarmente…” aggiunse l’Oscurità, fissando con preoccupazione l’Aria.

Il principe di quel regno teneva le mani premute sulle orecchie, sforzandosi di camminare.

“Inutile che prosegui, piccion arancio. Quelli che mancano non ci stanno seguendo più!” gli fece notare Kassihell.

Gli altri della compagnia, infatti, si erano uniti ai canti e guardavano con interesse i rappresentanti dell’altro sesso che si esibivano. Così facendo, poterono mostrarsi come le creature più stonate che mai erano passate per quel regno.

“Cosa facciamo?” si preoccupò Idisi, udendo il terrificante assolo del Metallo.

“Non dura a lungo…aspettiamo!” rispose Lehelin, rabbrividendo alla voce della Roccia.

“Sempre aspettare…che rottura!” sbuffò il Fuoco.

Aherektess si era accovacciato, avvolgendosi nelle piume pur di non sentire. L’Oscurità, non capendone il comportamento, si insinuò fra quelle piume.

“Tutti gli altri sono fra loro, a cantare e saltellare. Vai con loro! Cosa risolvi e startene qui a soffrire? Unisciti al coro, sfogati, e poi proseguiremo…”.

Lei gli parlava, ma si accorse subito che lui non la stava ascoltando. Non aveva più le mani sulle orecchie a punta e la fissava, con grandi occhi tondi. Il loro rosso brillava come non mai, assieme alle pupille sferiche e sognanti.

“Che hai?!” si stupì Lehelin.

Aherektess non rispose ma iniziò a cantare, guardandola. L’Oscurità protestò per un po’ ma poi tacque, rapita da quella voce e da quella melodia.

“Mi sa che si son appena creati altri due pirla…” sbottò Kassihell, andando a sedersi sotto un albero ed invitando Idisi a fare altrettanto.

Hanjuly era circondata da volanti canterini, che la corteggiavano. Ma lei sorrideva senza farsi convincere, cantando rivolta al cielo. Efrehem la guardava, sospirando. Perché solo in quel momento si era accorto di quanto bella fosse? Non aveva, però, il coraggio di avvicinarsi. La vedeva, circondata da così bei ragazzi, e sapeva di non avere speranze con una donna del genere. Thuwey, rincorrendo e facendosi rincorrere da un piccolo gruppo di ragazze, era quello che si divertiva di più. Reishefy saltellava dietro a tutti quelli che gli passavano accanto, maschio o femmina non faceva differenza, come ubriaca e completamente priva di cervello. Mattehedike teneva sulle ginocchia una bella donna e le stava raccontando di sé, esaltandosi. Enki, arrossendo, aveva un giovane piumato di colore blu accanto. Le stava cantando una bella canzone, con un grande fiore fra le mani. Scoppiarono a ridere all’unisono e Kassihell ruotò gli occhi al cielo. Con le braccia incrociate, sbuffava in attesa di poter proseguire. Idisi, al contrario, era di buon umore.

“Siamo stati innamorati anche noi…” commentò.

“Quelli non sono innamorati. Son solo in calore, come le bestie!” ringhiò il Fuoco.

“A me quei due sembrano un po’ più che in calore…” continuò la Terra, guardando verso Aria ed Oscurità, rimasti dietro di loro.

“Mmm…” mugugnò Kassihell, girando la testa “…forse sì, quei due non sono solo in calore. Andiamo a mangiare, che è meglio…”.

Aherektess aveva continuato a cantare, senza mai staccare gli occhi da Lehelin. Lei trovò quella voce stupenda e non volle interromperlo, neppure quando la prese per mano, incitandola a far sentire la voce. Lei scosse la testa, fissandolo con aria sognante.

“Io…Aria, io…” balbettò.

“Aherektess. Io sono Aherektess…chiamami così! Chiamami Arek, ti prego”.

“Aherektess io…devo dirti una cosa…”.

“Non adesso…”.

Prese il volto dell’Oscurità fra le mani e si chinò per darle un bacio. Lei, però, si scansò.

“Cosa c’è?” le mormorò lui.

“È sbagliato. È tutto sbagliato! Scusa…”.

“Non c’è niente di sbagliato. Perché dici questo?”.

“Perché…io…”.

Un grido altissimo sovrastò ogni canto. Un’enorme creatura si stava avvicinando velocemente, in picchiata, verso il gruppo.

“Pericolo! Al riparo!” urlò qualcuno e fu il panico.

Tutti si sparpagliarono, cercando la salvezza fra i cespugli e le rientranze del terreno. La bestia, un uccello immenso, scese in picchiata fra la gente che correva e portò via una creatura alata fra gli artigli. Sparì all’orizzonte. L’Elettricità, ovviamente, fu la prima a fare capolino.

“Siamo salvi?” domandò Enki, spaventata.

“Per ora sì…ma è meglio proseguire” rispose Aherektess, notando che l’intera compagnia era tornata in sé ed era pronta a ripartire.

“Peccato…era da tanto che non mi divertivo così!” protestò Thuwey.

I dieci ripresero la marcia, ridendo. Kassihell fece notare quanto tempo avevano perso ma fu subito zittito, sentendosi dire che non sapeva divertirsi. Efrehem continuò a guardare Hanjuly, attento a non farsi scoprire, sospirando. L’Aria guardò l’Oscurità, che non ricambiò lo sguardo ma accelerò il passo, ripetendo a tutti che l’ora di pranzo era passata da un pezzo.

 

†††

 

Nei giorni successivi, non avvennero altri incontri spiacevoli o inconvenienti. Il tempo era bello e soffiava solo una lieve brezza. Questo rendeva il gruppo particolarmente di buon umore. Di certo l’entusiasmo non si smorzò quando si intravidero gli edifici che circondavano la capitale, segno che era vicino il luogo proibito e, soprattutto, la festa successiva! L’Elettricità era raggiante.

“Ci sarà qualche bel maschietto alla festa? Non so voi, ma io sto iniziando a sentirmi sola dopo tutto questo tempo!” domandò Reishefy.

“Quanti ne vuoi” si limitò a rispondere Aherektess, preoccupato dall’atteggiamento di Lehelin.

L’arco spezzato dell’antico ingresso della città li accolse, svettando verso Sirona. Lo attraversarono, sempre meravigliati dalla strana architettura di quel regno. La capitale, si poteva vedere in lontananza, sorgeva in verticale lungo scalinate, arcate, pietre sospese e cupole in vetro.

“Per di qua. Siamo vicini” disse l’Aria, guidandoli verso il luogo proibito.

Lo indicò e tutti rimasero piuttosto perplessi da ciò che videro. Un altissimo cilindro, di materiale incerto, era apparso. Di colore azzurro, quasi mimetizzato con il cielo, si materializzò dal nulla.

“Fa sempre così?” domandò il Fuoco “Appare quando gli pare?”.

“Da quel che mi risulta, sì…”.

“E…a chi tocca stavolta?” saltellò Reishefy.

“Non ha aperture…” iniziò Mattehedike.

“Confermo! Nemmeno dall’alto” aggiunse Aherektess.

“Allora o ci si passa attraverso o per sotto…mi sembra fatto di metallo…” parlò Thuwey.

“Ce la giochiamo a sasso-carta-forbici?” propose la Roccia.

“Ci sto!” ridacchiò il Metallo.

Il Fuoco scosse il capo, rimproverandoli per quanto poco seriamente prendessero la cosa.

“Ho vinto!” esclamò Mattehedike, mostrando il pugno a “sasso”.

“Sarà per la prossima volta!” sibilò l’avversario, mostrando le dita a “forbice”.

“Era scontato…” sbadigliò Hanjuly “…è dall’inizio del viaggio che tu, Roccia, fai sempre il sasso. Tu, Thuwey, scegli sempre le forbici ed infine Efrehem non è mai altro che carta…”.

“Davvero?!” si stupì il Metallo.

I tre presi in causa ripeterono il gioco ed, effettivamente, si accorsero che era come stava dicendo il Ghiaccio. Sorrisero, ancora di buon umore per i canti all’inizio del viaggio, e fecero segno alla Roccia di avanzare verso la sua meta.

“E ricordati di salutare il Dio dell’Aria da parte di suo fratello Enrikiran!” aggiunse la Luce.

Mattehedike ghignò, mentre si lasciava inghiottire dal terreno sottostante per poi ricomparire all’interno del cilindro turchino.

“Direi che ora è il caso che io e te ci facciamo una bella chiacchierata…non trovi?” iniziò l’Aria, rivolto all’Oscurità.

“Assolutamente” concordò lei, mentre il resto della compagnia si preparava a restare fuori dalla zona proibita fino al ritorno della Roccia.

 

†††

 

L’interno del cilindro era più stretto di quanto non si fosse aspettato. Si sentì subito meglio, quasi rincuorato da quell’esiguo spazio chiuso. Guardò in alto. Era chiuso, senza via d’uscita. Ma l’oggetto proibito dove stava? E la divinità ad esso collegata? Mattehedike si stupì della cosa ma non più di tanto, stupirlo era difficile. Si appoggiò sul cilindro, incrociando le braccia, ed attese.

“C’è nessuno?” disse, dopo un po’.

Forse il Dio dell’Aria non lo aveva notato…oppure lo stava volutamente ignorando! Già stufo e desideroso di cambiare le monotona vista dell’azzurro che lo circondava, il rappresentante della Roccia sbuffò, pronto ad andarsene e, forse, tornare più tardi. Stava già affondando i piedi nel terreno, quando vide il cilindro aprirsi sulla sommità ed una figuretta rimanervi appollaiata sulla cima.

“Sei tu il Dio dell’Aria?” lo apostrofò la Roccia, giudicandolo piuttosto giovane.

“Sì, sono io” rispose l’altro, senza scendere.

“Sei in ritardo” continuò il mortale, con voce calma.

“Lo sono sempre”.

Il Dio scese, lentamente, sorretto da correnti d’aria che lui stesso comandava. Con un gesto della mano, espanse la superficie del cilindro che scomparve agli occhi del resto della compagnia, rimasta al di fuori. Soddisfatto, si appoggiò sulla parete azzurra e fissò l’intruso. Mattehedike, pur non essendo molto alto, superava di mezza spanna la divinità che aveva davanti.

“Io sono Loreatehenzi” si presentò il Dio.

“Ti saluta tuo fratello…” si limitò a dire la Roccia.

“Enrikiran? Che gentile…”.

Loreatehenzi era molto magro, con una grossa testa piena di capelli. Li teneva raccolti in una lunga coda e fissava il mortale con grandi occhi scuri. Vestiva di nero e blu, con un mantello che rimaneva sospeso a mezz’aria.

“Immagino tu sia qui per l’oggetto proibito…” parlottò distrattamente.

“Esatto. Che devo fare per poterlo avere?”.

“Non lo so. Non ci ho pensato…”.

“Arrivi tardi e nemmeno sai cosa farmi fare?”.

“Con chi credi di avere a che fare, bello? Li conosco quelli come te…dovrò escogitare qualcosa. Anche perché non ho tempo da perdere per poterti apparire di nuovo!”.

“Chissà quante cosa avrai da fare…” ironizzò la Roccia.

“Nemmeno immagini…” sibilò il Dio.

“Beh, muoviti ad inventarti qualcosa! Il resto della compagnia è qua fuori e mi aspetta!”.

“Potrei anche consegnartelo così…ma non mi và! Mi voglio divertire…specie con un sassolino pesante come te”.

“Perché mi offendi?”.

“Perché non dovrei?”.

Rimasero in silenzio, osservandosi, a lungo. La divinità aveva sciolto i capelli e li lasciava fluttuare liberamente, accarezzandosi il pizzetto con fare meditabondo. Stava escogitando un sistema per divertirsi con quell’intruso. La Roccia sbuffava, a braccia incrociate, davanti a quello che considerava un ragazzino.

“Tu soffri di vertigini?” domandò, ad un tratto, Loreatehenzi.

“Un pochino…” ammise Mattehedike.

Il Dio ghignò, soddisfatto da quella risposta. Lasciò stare la barba e, sollevando la mano, staccò da terra il mortale. La Roccia si irrigidì ed aumentò la percentuale del suo elemento sul corpo, prevenendo un’eventuale caduta.

“Dato che sei stato piuttosto antipatico con me…” iniziò la divinità “…ora ti proporrò una sfida piuttosto antipatica, dal tuo punto di vista”.

Assieme, rimasero sospesi a diversi metri da terra. Mattehedike tentava di stare calmo.

“D’ora in poi, mortale, fino alla fine di questo gioco, potrai volare. La sfida sarà quella di prendermi e sconfiggermi. Costringermi ad atterrare. A te la scelta sul come fare ed altri dettagli. Fa come ti pare. Io non uscirò dal cilindro. Stupiscimi…”.

“Tutto qui? La sfida è che io ti prenda?” si stupì la Roccia.

“Provaci!” lo provocò Loreatehenzi, sfrecciando verso l’alto dopo una piroetta.

Mattehedike lo fissò e tentò di raggiungerlo, muovendo i piedi d’istinto. Subito si accorse che, sotto di sé, non c’era nulla. Si impose di non guardare in basso. Il Dio, divertito nel vederlo immobile ad occhi socchiusi, svolazzo sotto di lui, costringendolo a rendersi conto di quanto in alto fosse. Il mortale trattenne un grido. Non riusciva a muoversi.

“Senti…qualcosa devi fare, se vuoi uscire da qui” gli disse Loreatehenzi, notando l’immobilità dello sfidante “Perciò ti consiglio di non pensare troppo a dove sei, ma a come prendermi. Non cadi…se ti spiaccichi poi mi tocca pulire”.

“Se mi spiaccico?!”.

“NON ti spiaccichi! Avanti…muoviti! Sono qui! Che c’è? Hai tanta paura?”.

Il Dio tentava di provocarlo, volandogli molto vicino e deridendolo, ma il rappresentante della Roccia non si muoveva.

“Sei un vigliacco…non hai nemmeno il coraggio di affrontare un cosino piccino come me…”.

“Non sono un vigliacco…ma soffro di vertigini!”.

“Sei uno sfigato. Prima il mal di mare, adesso le vertigini…tutti noi Dèi ci stiamo facendo grosse risate guardandoti. Sei ridicolo. Ridicolo ed inutile. E pure esaltato!”.

Mattehedike si sentì punto nell’orgoglio e scattò in avanti con le braccia, sfiorando le grosse scarpe del Dio, che lo schivò agilmente fra le risate.

“Moscerino fastidioso…io ti schiaccio, se ti riesco a prendere!” ringhiò.

“Lo vedi? È proprio questo il tuo problema! Sei un esaltato. Sei convinto di essere il migliore fra tutti gli altri dieci, il più forte, il più coraggioso, quello che si è fatto da solo, l’invincibile!”.

“Correggimi se sbaglio…”.

“Ma è ovvio che ti correggo! Non credo certo di essere inferiore ad un ammasso di ghiaia!”.

“Ghiaia?!”.

Loreatehenzi rise e volò più in alto, mentre la Roccia inveiva contro il cielo.

“Lo sai che la divinità che rappresenta il tuo elemento ha le ali?” riprese il Dio “Come puoi tu soffrire di vertigini?”.

“Perché, come dici tu, io sono un sasso. Ed i sassi son fatti per stare in terra!”.

“No, se li lanci per aria!” ghignò Loreatehenzi e mosse la mano di scatto, sollevandola.

La Roccia si sentì catapultare verso l’alto, a velocità folle, per poi fermarsi di colpo e precipitare giù. Si fermò a pochi centimetri dal suolo, sudando freddo ed urlando.

“Ora sai cosa prova un sasso quando gli dai un calcetto…” commentò Loreatehenzi.

Il mortale iniziò a dimenarsi, come nuotando, per poter mettere i piedi a terra, ma il Dio lo ricacciò per aria, con soddisfazione.

“Ma che cos’è che vuoi?” gemette la Roccia.

“Voglio che tu mi prenda!”.

“E come faccio?!”.

“Se non ce la farai, avrai perso e l’oggetto proibito rimarrà qui con me!”.

Mattehedike si pentì amaramente di aver vinto la sfida contro il Metallo e di essere entrato in quel luogo. Avrebbe dovuto lasciare a Thuwey il dannato cilindro dell’Aria! Ma aveva voluto imbrogliare, sapendo di vincere, ed ora era lì, lanciato come una biglia fra le mani di un bambino dai capelli al vento.

“Ti diverti?” urlò, all’ennesimo lancio di Loreatehenzi.

“Sì!” fu la risposta.

Quello strano gioco continuò e si ripeté parecchie volte, fino a quando il Dio lo rimise in terra.

“Mi sono stancato…” disse, rimanendo sospeso a pochi centimetri dalla Roccia.

Questi si alzò, lieto di avere di nuovo una base solida sotto di sé e grugnì. Aveva compreso tutte le difficoltà che il resto del gruppo aveva passato e stava passando. Aveva chiare davanti a sé tutte le sue debolezze e le sue paure. Aveva capito che chi aveva di fronte, pur sembrando più giovane di lui, era un Dio molto potente che avrebbe potuto ucciderlo in qualunque momento. Aveva sottovalutato quell’elemento ed ora era lì, in attesa di un verdetto finale che, presumeva, prevedeva la cacciata dal cilindro fra le risa. Aveva…torto! Loreatehenzi, in effetti, rise ma non lo caccio. Lo guardò con tenerezza, quasi paterna, che poco si addiceva a quel viso giovane.

“Hai capito ciò che volevo mostrarti?” domandò la divinità.

“Ma perché proprio a me? Perché non agli altri?”.

“Perché sei stato tu quello che è entrato nella mia zona proibita. Fosse stato qualcun altro, avrei tormentato qualcun altro! Vedrai…verrà anche il loro turno! Avete tutti una lezione da imparare in questo viaggio e, pian piano, ci arriverete tutti!”.

“Anche l’Elettricità?”.

“Beh…capisco che siamo Dèi e facciamo i miracoli ma…”.

“Capisco…e ora che faccio?”.

“Non perdiamo la speranza! E…in che senso "ora che faccio"?”.

“Non ho superato la prova e…”.

“Non l’avresti superata se avessi continuato ad inveire contro di me ed il mondo, invece che concentrarti un po’ su ciò che puoi migliorare di te stesso”.

“No…per me non ti divertivi più e mi lasci andare per quello…non hai l’aria di uno che ama questi giochetti psicologici!”.

“Hai ragione. Ed è tutta colpa di mio fratello!”.

“Enrikiran?”.

“No! L’altro mio fratello! Fortunatamente non lo incrocerete lungo il vostro cammino…non è un Dio completo come me ed il Ghiaccio. Non è passato al livello successivo ed il suo unico scopo è dare fastidio. Non preoccuparti…con voi non avrà niente a che fare!”.

“Anche perché di rompiballe ne abbiamo già troppi nel gruppo…”.

Loreatehenzi sorrise ed alzò le braccia al cielo. La Roccia serrò le palpebre, aspettandosi un ulteriore sollevamento da terra. Non accadde e, dall’alto, veloce come una scheggia, scese una sorta di piccolo pugnale. Il Dio lo afferrò fra le dita e lo porse al mortale, ancora agitato. Mattehedike, non abituato ad avere armi fra le mani, lo fissò incuriosito. Era di pregevole fattura, con intarsi ed incisioni intrecciate su tutta la lama e l’impugnatura. Era affilato anche se con la punta arrotondata.

“Questo è l’oggetto proibito” spiegò la divinità “Saprai quando sarà il momento di usarlo e come. Trattalo con cura e vedi di non perderlo. Vedo un grande futuro avanti a te e non vorrei che gettassi tutto alle ortiche per distrazione o attacchi d’esaltazione improvvisa”.

“Un grande futuro? Per un coltellino?”.

“Non è un coltellino! È un oggetto magico e lo dovrai trattare come si deve, altrimenti verrò da te e ti scaraventerò di nuovo per aria, intesi?”.

“Ma io non sono bravo nell’uso degli oggetti magici!”.

“Ti ho appena detto che saprai quando e come usarlo. Per ora tienilo bene e sempre con te”.

La Roccia annuì, trovandogli un posto nella sua sacca ed avvolgendolo nel mantello che aveva riposto uscendo dal regno del Ghiaccio.

“Molto bene” commentò il Dio “Ed ora puoi andare. Vedi di non raccontare troppe frottole agli altri della compagnia…mi offenderei!”.

Per la prima volta, la divinità poggiò i piedi in terra e, con un poderoso colpo “spalla a spalla”, buttò fuori il mortale dalla sua zona proibita, che riapparve dal nulla nel mondo di Asteria.

 

†††

 

“Mi stai evitando!” esclamò Aherektess.

“Non è vero!” rispose l’Oscurità.

“Sì che è vero! Da quando siamo entrati nel mio regno, non fai altro che evitarmi!”.

“Se tu facessi silenzio un attimo, potrei spiegarti che…”.

“Non c’è niente da spiegare! Tu dici che è sbagliato tutto questo, perché siamo creature di specie diverse e ti capisco, la paura può nascere all’inizio, ma va tutto bene! A me non importa che tu sia una creatura dell’Oscurità, come spero che a te non importi che io sia una creatura dell’Aria. Ti dà problemi che io lo sia?”.

“No, ma…”.

“Bene! Allora non c’è proprio nessun problema! Da quando mi hai salvato, su quella spiaggia…”.

“Non ti ho salvato! Ti ho semplicemente trovato, e comunque…”.

“…da quando mi hai trovato su quella spiaggia, ho capito che non potevo chiedere di meglio. Mi sono sentito protetto, accolto ed amato ma non come vogliono farmi sentire mio fratello ed i suoi seguaci! Non c’erano costrizioni in ciò che mi trasmettevi, non c’erano obblighi! E mi sono sentito così bene da non poter chiedere altro! L’ho capito quando ho iniziato a cantare…non vorrei mai cantare per nessun’altra se non per te!”.

“Questo è molto bello, però…”.

“C’è forse un altro uomo nella tua vita? È questo ciò che stai tentando di dirmi?”.

“No, ma…”.

“Hai, forse, problemi su come io sono? Non ti piaccio?”.

“Non è questo il problema…”.

“Allora ti piaccio?”.

“Sì, ma…”.

“Allora è tutto perfetto! Ah, che bella notizia che mi hai appena dato! Se non hai un altro uomo e se io ti vado bene, allora il problema non può essere così grosso!”.

“Se tu mi lasciassi spiegare…”.

“Stai tentando di dirmi che non vuoi stare con me? Perché accetterei la tua decisione, se fosse quella. Però cerca di dirmelo con un po’ di tatto, per favore…”.

“Non è quello che sto tentando di dirti e…”.

“Meno male! Lehelin, non sai quanto io sia stato spaventato, all’inizio, dai sentimenti che incominciavo a provare! Ho pensato al fatto che siamo così diversi, cosa penserà la gente, il popolo, i parenti…a come avremmo potuto essere capiti e se tu saresti stata in grado di capire…ma poi mi è stato tutto chiaro! Non mi è importato più dei pareri degli altri e, ora che mi hai detto che anche tu provi qualcosa per me, sono pronto a fare qualsiasi cosa per noi. Sempre che tu possa provare per davvero dei sentimenti nei miei confronti…”.

“Li provo ma, Arek, non è questo il punto! Ciò che sto cercando di dirti…e non so davvero come fare, credimi è…”.

“È una cosa tanto brutta?”.

“Abbastanza…devo trovare le parole giuste per…”.

L’Oscurità girò gli occhi in ogni direzione, desiderosa di potersi esprimere come desiderava. Prese un bel respiro e, tenendo le mani di Aherektess, lo guardò negli occhi, pronta a spiegargli ogni cosa. Lui rizzò le orecchie, spaventato ma anche piuttosto curioso. Cosa mai aveva di così spaventoso da dirgli? Non poteva essere niente di grave, dopotutto…

Lei aprì la bocca e l’Aria la tirò a sé, evitando che il rappresentante della Roccia le piombasse addosso una volta uscito dal luogo proibito.

 

†††

 

Rialzandosi in fretta, la Roccia domandò perdono per l’interruzione. Gli altri membri del gruppo, riconoscendo la sua voce, gli andarono incontro con un sorriso.

“Mattehedike! Com’è andata?” domandò il Ghiaccio.

“Bene. Possiamo proseguire!”.

“Devi raccontare tutti i dettagli!” incalzò Efrehem.

“Un po’ alla volta. Ora andiamo…sbaglio o il principino ci ha promesso una festa?”.

“L’ho promessa e l’avrete. Andiamo verso il palazzo. Dovremmo giusto arrivare per cena!” confermò Aherektess, senza lasciare la mano dell’Oscurità “Rimandiamo a più tardi, ok?” le disse, dolcemente “Quando saremo tranquilli a casa”.

Lei non poté far a meno di annuire, mentre la compagnia ripartiva il suo viaggio.

Iniziarono il cammino per la capitale, con occhi spalancati per la meraviglia. Le architetture di quel luogo erano complesse e la Luce non poteva fare a meno di chiedersi come fossero riusciti a costruire simili cupole in vetro ed archi sospesi, lasciando più spazio possibile al cielo. Le strade erano pulite e bardate a festa. Videro un paio di creature di quel regno che toglievano dei festoni rovinati per metterne altri, coloratissimi e nuovi.

“Che festeggiano?” si entusiasmò Reishefy.

“Festeggiano noi” spiegò Aherektess.

“E gli striscioni che c’erano prima? Per chi erano?”.

“Per me…per il mio matrimonio”.

“Ma tu non sei sposato!”.

L’Aria non disse nulla. Si vedeva che era di pessimo umore a parlare di quell’argomento e tentò di allontanarsi dall’Elettricità.

“Se non sei sposato, gli striscioni a che servivano?”.

“Ma possibile che sei davvero così stupida?!” sbottò Thuwey “Evidentemente è successo qualcosa che non lo ha fatto sposare! Chiudi la bocca!”.

“Ah! Sei scappato all’altare? Hai capito di non amarla?” continuò la ragazzina.

“Al contrario! Io amavo Miya più di me stesso…”.

“E allora cosa è successo? Ti va di raccontarcelo?” si aggiunse Enki.

“Dicono che parlare faccia bene…e per quando saremo giunti al palazzo dovrei aver finito la storia”.

Aherektess decise di raccontare tutto, dopo un sospiro, ignorando gli sguardi di supplica di Fuoco e Metallo.

“Era una bella giornata senza nuvole…” iniziò l’Aria.

 

†††

 

Come ogni anno, a Bahram erano arrivate le giostre, la fiera. Aherektess si era appena risvegliato dal coma, da pochi mesi, ed il fratello gli aveva impedito di poterci andare. Lo giudicava ancora troppo debole per poter affrontare il mondo esterno. Inoltre, Zameknenit temeva un attacco nemico in quei giorni e non poteva rischiare che il gemello si ritrovasse nel mezzo. Nessuno nel regno sapeva del suo risveglio, per permettergli di recuperare le forze. Il nuovo re di quel mondo sapeva bene che Ozymandias aveva messo gli occhi sul reame, essendo consapevole di quanto delicato fosse il passaggio di corona fra padre e figlio, specie dopo la morte improvvisa del sovrano. Il genitore di Aherektess e Zameknenit era morto in battaglia, in circostanze ancora poco chiare, contro l’Oscurità ed il Fuoco. La guerra era stata mossa dal Fuoco, l’Aria aveva risposto ed Ozymandias aveva fiutato l’opportunità di seminar zizzania e ricavarne qualche cosa. Alla morte del padre, Aherektess era ancora in coma e la corona era passata nelle mani del gemello. La prima cosa che fece il nuovo sovrano fu far cessare la guerra. Si arrese ma il suo regno era sufficientemente ricco per accontentare i vincitori almeno per un po’. Da parte del Fuoco sapeva ci sarebbero stati altri scontri ma erano più semplici da gestire, diretti e chiari. L’Oscurità, invece, allungava le sue propaggini verso ogni meta possibile ed agiva in modo subdolo. Era meglio stare sempre all’erta con quelle creature. Per questo aveva proibito al fratello di andare alla fiera. Aherektess non sapeva un granché dei conflitti di Asteria e non gli era possibile difendersi al meglio, appena ripresosi dal coma. Il principe, però, non aveva alcuna intenzione di restare rinchiuso a palazzo mentre a pochi passi tutti si divertivano. Da non molto riusciva a reggersi in piedi e si sentiva abbastanza in forze da poter fare almeno un giro. Davanti al divieto del gemello non trovò altre soluzioni se non scappare di casa e fare come sempre di testa sua.

Le luci ed i colori della fiera lo avvolsero gioiosi. Si era incappucciato per nascondersi ma era a conoscenza del fatto che non era necessario. Salvo suo fratello ed il consigliere di corte, assieme a qualche medico, nessuno, nemmeno le guardie di palazzo, sapevano del suo risveglio. Ed era stato in coma talmente tanti anni da rendere impossibile per il popolo il suo riconoscimento. Guardò la giostra su cui i bambini facevano a gara per salire. Comprò dei dolcetti, con i soldi sottratti al fratello, ovviamente. Sbocconcellando, sorrise fra le strade e le piazze illuminate e festanti. Fremeva all’idea di salire su quel trenino multicolore che faceva il giro della capitale. Vi salì. Era a due piani. Non trovò posto a sedere, ma non fu un problema. Vicino alla porta, guardò tutto il panorama sorridendo. Finalmente aveva la possibilità di ammirare la capitale così da vicino, con il popolo a pochi passi di distanza. Un bambino lo salutò con la mano, mostrandogli orgoglioso un enorme lecca-lecca. Il treno frenò di colpo e ad Aherektess andò addosso qualcuno. Bloccò chi stava per cadere, chiedendo se andasse tutto bene.

“Sì, grazie…” si sentì rispondere.

Era una donna, che il principe trovò meravigliosa. Era vestita di chiaro, senza spalline. Aveva grandi occhi verdi e capelli morbidi, mossi, candidi, come il latte. Le piume le aveva verde scuro ed i disegni sulla sua pelle erano rossi e dolci, arricciati. Lui la guardò con apprensione.

“Sto bene. Grazie…” ripeté lei.

Lui le porse la mano e l’aiutò a scendere dal mezzo, invitandola a fare un giro a piedi con lui. Fu una bella giornata, in cui risero assieme, scherzarono e mangiarono dolcetti. Aherektess si sentì finalmente rilassato, dopo tanto tempo, letteralmente fulminato dalla persona che aveva accanto. Sirona lentamente tramontava mentre i due ancora si divertivano fra giostre e luci.

“Devo andare…” dovette dire, però, ad un tratto la donna.

“Ci rivedremo?” domandò lui.

“Certo…”.

“Come ti chiami?”.

“Io…io sono Miya”.

“Io sono Aherektess, principe di questo regno. Dall’alto delle mie stanze ti vedrò quando girerai per la città e verrò da te, se me lo concederai…”.

Con un elegante baciamano, la salutò e lei si allontanò. Non volò via ma si incamminò rapida lungo le viuzze accanto al fiume. Lui la vide allontanarsi e poi rientrò a palazzo, avvertendo la stanchezza dopo quelle ore di svago. Ignorò la ramanzina che gli fece Zameknenit, felice come non era da tempo. Per giorni osservò dalle vetrate chi passava per le vie della capitale. Preoccupato, perché per giorni non la vide, già temeva di non rincontrarla mai più. Ma una sera i capelli color del latte di lei fecero capolino accanto ad una fontana. Guardava verso di lui, ne era sicuro. Volò fuori, disobbedendo per l’ennesima volta al gemello, e le andò incontro. Si videro, a partire da quel giorno, con sempre maggior frequenza. Lui non si stancava mai di vederla e baciarla. Ricordava chiaramente il giorno in cui la chiese in sposa.

Era una notte luminosa, gli sposi del cielo brillavano e lei lo stava aspettando fuori città. Si erano dati appuntamento lungo le sponde del fiume, lontani dalla folla e dal chiasso, poco distanti da delle grotte in cui potersi riparare in caso di maltempo improvviso o intrusi. Avevano cenato all’aria aperta e poi si erano seduti l’uno accanto all’altro.

“Ho una cosa per te” aveva mormorato lei, porgendo un bracciale nero al principe dell’Aria.

Lui ringraziò, non aspettandosi una cosa del genere. Iniziarono a baciarsi e, dopo quasi un’intera notte d’amore, lui fece la proposta. Alle prime luci dell’alba, le prese la mano e le diede l’anello, chiedendole di sposarlo. Lei sorrise ed il principe, al ritorno a palazzo, diede la notizia al fratello. Sulle prime il gemello lo sgridò, rimproverandolo per l’ennesima fuga, ma poi non poté fare a meno di rallegrarsi per il destino del consanguineo. L’intero regno iniziò a prepararsi all’evento. Al plenilunio successivo il principe, di cui risveglio ormai l’intero popolo era a conoscenza, si sarebbe unito in matrimonio con la bella Miya. Sembrava tutto perfetto…ma lei sparì. Senza una spiegazione, senza un motivo chiaro, lei non si fece più vedere. Aherektess, col cuore spezzato, la cercò a lungo, mettendosi spesso nei guai, finché il fratello non decise di mettere dei sigilli sul gemello, impedendogli con la magia di uscire da palazzo.

 

†††

 

“Ma come?! Non ti ha dato una spiegazione per il suo gesto? Non una lettera, non un perché?” piagnucolò l’Elettricità.

“Che vuoi farci? Sono donne…le donne sono strane…” si limitò a commentare Thuwey.

“Siamo arrivati” disse Aherektess, cambiando argomento e facendo notare a tutti il loro arrivo davanti all’immenso palazzo reale.

L’arco, su cui erano incisi i complessi disegni con cui si scriveva la lingua degli abitanti dell’Aria, li accolse ed aprì loro la strada lungo la scalinata che li portava all’ingresso. Le guardie salutarono il principe, mettendosi sull’attenti, mentre i dieci salivano. Sulla cima, davanti all’elegante portone d’ingresso, Zameknenit osservava il gruppo. Al suo fianco si notava il consigliere di corte ed alcuni soldati. Era vestito in rosso, con un lungo mantello e la corona ben evidente sul capo. Era tripartita, in oro, con un rombo colorato al centro. Spiccava sui capelli color del fuoco del sovrano.

“Fratello…” mormorò Aherektess, giungendo a pochi passi da lui mentre il resto del gruppo aspettava, qualche scalino più in basso.

“Sono lieto di vedere che stai bene…” iniziò il re, nella lingua del suo popolo “…ma mi chiedo con quale coraggio porti tali creature nel mio palazzo…”.

Guardava e si riferiva in particolare a Kassihell e l’Oscurità.

“Nel NOSTRO palazzo e tali creature sono miei compagni di viaggio. Mi auguro sia tutto pronto per loro: delle stanze appropriate, un banchetto e tutto il resto, come per i migliori dei nostri ospiti”.

“Anche per…lui?” continuò Zameknenit, girando gli occhi blu verso il Fuoco “E lei? La figlia di Ozymandias? Per tutti loro?”.

“La figlia di Ozymandias mi ha salvato la vita. Ed il Fuoco…sì, anche per lui. Per tutti loro. Siamo appena tornati dal luogo proibito del nostro Paese e siamo stanchi. Il viaggio è più impegnativo di quanto pensassimo. Abbiamo fame e…ci vogliamo divertire!”.

“Come vuoi. Sono sotto la tua responsabilità, però. Mi auguro non ti diano problemi”.

Aherektess annuì ed il gemello aprì le braccia, rivolto agli ospiti.

“Benvenuti, principi, principesse e rappresentanti dei mondi di Asteria. Spero che il soggiorno qui sia di vostro gradimento. Vi faccio accompagnare nelle vostre stanze e, fra un’ora, verrà servita la cena nel salone principale. A dopo”.

Con un inchino, il sovrano si allontanò. Era molto serio, teso, quasi preoccupato. Si vedeva che non gradiva molto quella compagnia, ma sottostava alle decisioni del gemello.

“Ci vediamo per la cena” parlò Aherektess “Ora potete riposarvi, rinfrescarvi e cambiarvi. Prego…i servi vi condurranno alle vostre stanze”.

Il principe sorrise, soprattutto a Lehelin, e si allontanò, desideroso di rimettere piede, dopo tanto tempo, fra mura ed affreschi conosciuti. Ogni membro della compagnia fu accompagnato in una camera diversa, arredata nel modo più adatto possibile a chi doveva ospitare. Hanjuly trovò l’arredo interamente bianco ed un gradito freddo, causato da un sistema di canali che provocavano vento in modo costante. Enki si buttò nell’enorme vasca colma d’acqua che l’attendeva e si rilassò felice. Kassihell si sedette sul letto, coperto da un baldacchino rosso, con titubanza. La stanza era piacevolmente riscaldata ma non poteva fare a meno di sentirsi a disagio in quel regno ostile. Reishefy iniziò a saltare fra i divani ed il letto, appendendosi al lampadario, sicura che le avessero lasciato solo oggetti resistenti e pronti ad affrontare la sua irruenza. Efrehem spalancò gli occhi subito dopo aver varcato la soglia della camera. Era piena di libri e la vista, dal terrazzino, era spettacolare. Vi uscì e notò che il Ghiaccio, poche stanze più in là, aveva fatto lo stesso e si sorrisero. Si trovavano parecchio in alto e da lì si vedeva tutta la città e la campagna circostante. Mattehedike non poté trovarsi meglio. Le finestre erano state sbarrate ed oscurate con pesanti tende, per non mostrargli l’altezza. Il letto era avvolto e chiuso, accogliendolo in un abbraccio che lo rilassò all’istante. Thuwey si sedette accanto al tavolino lucido, in quel luogo pieno di accessori del suo elemento, e si versò da bere. Idisi assaporò il profumo delle piante e dei fiori che la circondarono, inondando di verde il luogo in cui avrebbe riposato. Lehelin sorrise nel buio totale, chiudendo in fretta la porta dietro di sé. Nemmeno uno spiraglio di luce. Un grosso mazzo di rose nere l’attendeva sul tavolino circolare, dello stesso colore. Si sentì subito a suo agio ma, ora che calava la sera, scostò le pesanti tende scure e guardò tramontare Sirona, sospirando.

 

†††

 

Aherektess lasciò la sua camera, con la cupola di vetro, per primo, desideroso di scambiare qualche parola con il fratello in privato. Si era rinfrescato ed aveva indossato un abito elegante, lungo e riccamente decorato. Portava ancora il bracciale di Miya, intonato perfettamente con la cinta ed alcuni dettagli del vestito. Principalmente blu, si trascinava sul pavimento per un tratto ed avvolgeva, con le ampie maniche, le piume arancio del gemello del re. Sotto quella specie di tunica, portava pantaloni scuri ed una canotta a collo alto, decorata con i motivi che aveva tatuati su tutto il corpo in verde scuro. Sul capo, fra i capelli blu scuro, si intravedeva la corona argento del principe ed al collo, dello stesso colore, lo stemma reale tintinnava. Era un occhio verticale, racchiuso fra i colli intrecciati di due volatili simili a cigni. Camminò, lungo i corridoi che davano verso l’esterno, con le scarpe che leggermente ticchettavano ad ogni passo. Entrò nel salone, dove il fratello Zameknenit guardava fuori, con le mani rivolte dietro alla schiena. Erano vestiti uguali ma con colori diversi. Nel re prevaleva il rosso. I due si guardarono, senza parlare, per qualche minuto.

“Come procede il tuo viaggio, fratello?” parlò il sovrano.

“Benissimo. Sto lontano da te”.

“Perché sei tornato a palazzo, se non volevi vedermi?”.

“Perché io ed i miei compagni avevamo bisogno di tirarci su il morale e riposare in un bel posto sicuro, rilassandoci”.

“Quanta strada vi manca ancora?”.

“Parecchia. Anche per questo abbiamo bisogno di fare festa”.

“Sappi che nutro ancora molti dubbi sulla presenza di Fuoco ed Oscurità al mio cospetto…”.

“Vattene, se non li vuoi vedere!”.

“Devi smetterla di essere così insolente. Che ti piaccia oppure no, io sono il tuo re!”.

“Tu sei solo mio fratello. E già da piccolo ero io a comandare…”.

Zameknenit, irritato da quelle parole, allungò d’istinto la mano verso il gemello, stringendo il pugno e fissandolo con sguardo minaccioso. Aherektess ridacchiò. Si aspettava di veder fare lo stesso a Zameknenit ma non fu così. Il re continuò a guardarlo con rimprovero e, senza abbassare gli occhi, gli puntò il dito indice contro, con fare ammonitore.

“Io sono il re del grande popolo dell’Aria e sono stanco delle tue continue provocazioni. Non immagini quanto sia difficile governare, specie dopo un grande sovrano com’era nostro padre, e non necessito ulteriori problemi. Avrei bisogno del tuo sostegno, del tuo aiuto, per regnare assieme, come i nostri genitori avrebbero voluto, ma da quando ti sei risvegliato non fai altro che darmi noie. Ti rendi conto di quanto sia delicato il nostro regno? Di quanti nemici, guerre e guai sto cercando di evitare ed ho evitato? Tutti non fanno altro che paragonarmi a nostro padre, dicendo quanto lui fosse grande ed io un suo misero successore…perché non lo capisci che io ho bisogno di sostegno e non di altro dolore? Cerco di proteggerti, come ho giurato anni fa poco prima di divenire un orfano. Ma tu sei peggio di un adolescente…”.

“Non so come sia essere adolescente. Ho passato in coma quegli anni. Non ho nulla contro di te, fratello, ma ho più di trent’anni e non puoi trattarmi come un bambino…”.

“Non ti tratterò più come un bambino. Ti leverò le guardie, se è questo ciò che desideri. Sei libero di fare ciò che vuoi…me ne lavo le mani. Più di così, non so davvero che fare. Però tu, ti prego, trattami come un sovrano, o perlomeno come un fratello tuo pari, almeno quando siamo in presenza di altri. Poi, in privato, sarà quel che sarà. Non riesco davvero a capire cosa vuoi…non vuoi essere re, ma non fai altro che ricordarmi che saresti più adatto tu a quel ruolo!”.

“Non sarei più adatto. Ho provato a guidare questo gruppo e mi toccherà farlo fino a quando non usciremo dal regno e, credimi, non vorrei governare un intero popolo. Sei tu il re, io il principe. Non il principino. Il principe! L’uomo! Rimaniamo nei ruoli…e credo possa andare tutto bene”.

Un lieve accenno di sorriso spuntò sul volto dei due.

“E fidati…il gruppo non darà problemi questa sera” concluse Aherektess.

“Non ne dubito…” mormorò Zameknenit.

Sulla porta del salone erano apparse Enki ed Hanjuly, entrambe indossando un meraviglioso abito che il sovrano aveva dato ordine di far trovare agli ospiti nelle loro stanze. Hanjuly era vestita in bianco, con un’ampia gonna lucente con piccole spalline. Grazie alla generosa scollatura, la collana della principessa spiccava e splendeva. Aveva raccolto i capelli in una crocchia. Fece un inchino, sollevando leggermente la gonna, mostrando solo la punta delle scarpe candide con tacco. Enki, arrossendo leggermente, si inchinò anche lei. Indossava un vestito molto simile a quello del Ghiaccio ma era di colore blu acceso. Era meno scollato e più stretto, con un piccolo spacco sul finale. L’Acqua aveva rizzato la cresta ed il sovrano di quel regno la salutò, con un signorile baciamano sulla mano squamata.

“Te le presento…” parlò Aherektess “…sono Hanjuly ed Enki”.

“Principesse di Ghiaccio ed Acqua, figlie della regina Rocana e della dolce Nerektan. È un piacere avervi ospiti nel mio palazzo. Nel caso non lo sapeste, io sono Zameknenit, re dell’Aria e…”.

“…e mio fratello gemello!” concluse il principe, facendo segno alle due giovani di prendere posto.

Non era stato adibito un tavolo per l’occasione ma un semicerchio di cuscini coloratissimi, che le ragazze gradirono molto. Reishefy entrò saltellando, con l’abito donato già in parte sbrindellato. Era giallo vivo, coordinato di guanti e scarpe basse.

“Che belle che siete, ragazze!” disse alle sue compagne di viaggio, dopo essersi presentata al re con tutta la sua esuberanza “E anche voi siete molto belli, non temete!” aggiunse, guardando i fratelli d’Aria con un largo sorriso.

Efrehem rimase incantato alla vista del Ghiaccio così meravigliosamente agghindata e lei rispose al suo sguardo, mentre la Luce entrava nel salone. Portava una tunica d’oro, con l’ampio colletto decorato a motivi arricciati ed allacciata in vita con una piccola fascia scura. Salutò il re con educazione ed andò a sedersi accanto ad Hanjuly, che gli aveva fatto cenno di venirle vicino. Mattehedike, Thuwey e Kassihell entrarono assieme, fianco a fianco. Strinsero la mano a Zameknenit ed ignorarono le grida di approvazione dell’Elettricità che li trovava bellissimi, abbigliati com’erano. Il Metallo aveva un lungo mantello nero, con alto colletto, con una tunica argento che lasciava spazio ad ogni punta del suo elemento. Aveva raccolto qualche lungo ciuffo dei lunghissimi capelli neri in piccole trecce con palline argento alla fine. Mattehedike aveva due grossi bracciali ai polsi, un lungo mantello imbottito ai lati allacciato sul davanti ed una canottiera senza maniche, marrone, con pantaloni grigio scuro. Aveva insistito per restare scalzo. Kassihell si era pettinato, stranamente, ed ora aveva i capelli all’indietro, leggermente gonfi. Anche lui con il mantello, lungo e rosso, con ampie spalle. L’abito che portava, con larghissime maniche arancio, era sgargiante, allacciato in vita con un nastro azzurro. Portava i propri sandali, ignorando gli stivali che volevano mettergli. Lehelin ed Idisi furono le ultime. La rappresentante della Terra, in abito verde, si inchinò e si andò a sedere. Con i capelli pettinati ed acconciati in una lunga treccia, si sistemò l’ampia gonna con motivi floreali e sedette, dopo aver ricevuto i saluti dal sovrano. Lehelin non era cambiata. Non poteva indossare abiti sfarzosi, gioielli o altri ninnoli. Aveva tentato di tenere i capelli al loro posto, in modo quasi elegante, ma non c’era stato un grande cambiamento. Subito erano tornati al loro solito aspetto, fumosi ed agitati. Si sentì a disagio in quel salone, dove tutti erano ben vestiti e praticamente bardati a festa. Fino all’ultimo aveva tentato di restare nelle sue stanze ma Idisi l’aveva costretta ad uscire, con complicati discorsi rassicuranti. Ora, però, davanti a quella porta e ad i suoi compagni, l’Oscurità si era pentita di essersi lasciata convincere. Aherektess, vedendola, le andò incontro e la prese per mano, invitandola a sedersi.

“Sei bellissima, non avere paura. Ti divertirai, stasera. Vedrai!” le disse.

“Io…devo dirti che…” iniziò lei.

“Più tardi. Ora mangiamo”.

Zameknenit, seduto di fronte al semicerchio dove stava il gruppo su un grande cuscino scarlatto, circondato da ancelle e guardie, batté le mani. Dalle porte laterali subito iniziarono ad entrare servitori e danzatrici, portanti vassoi e brocche con cibi e bevande. Al centro, su un tappeto colorato, danzatrici e suonatori iniziarono ad esibirsi, accompagnando il pasto degli ospiti. Erano abbigliati con veli e piccoli dischi metallici, che tintinnavano ad ogni loro mossa. Reishefy apprezzò moltissimo il fatto che, dopo poco, si unirono danzatori dai lunghi capelli al gruppo. La musica era piacevole ed il cibo squisito.

“Vorrei fare un brindisi!” esclamò Thuwey, alzandosi “A noi! Dieci viaggiatori uniti da un unico destino verso una meta ancora non ben chiara”.

“A noi!” risposero, in coro, gli ospiti.

“Inoltre, vorrei alzare i calici per questo bel regno, pieno di meravigliose ragazze e cibi deliziosi!” continuò il Metallo, sorridendo al re.

Il sovrano rispose al sorriso ed alzò a sua volta il bicchiere, brindando con un “salute!” entusiasta.

Aherektess, stanco di vedere suo fratello staccato dal gruppo, lo trascinò nel semicerchio assieme ai suoi compagni, invitandolo a bere un altro po’.

“Va bene…” ridacchiò il re “…allora faccio un brindisi anch’io! A te, rompiscatole che non sei altro che chiamo simpaticamente Areky. Sognatore com’era la mamma e testardo com’era papà! Ed a voi, ovviamente, stramba compagnia, che riuscite a sopportarlo!”.

“Salute!” gridarono i dieci, in risposta.

“Grazie Zameky…fratello mio!”.

Presi dagli effetti collaterali dell’alcol, i due gemelli si abbracciarono fra le risate. Il resto della compagnia, alticcia a sua volta, seguì l’esempio con entusiasmo.

“Tira via quella corona, pomposo reucolo!” gli ordinò Aherektess.

“Perché? Vuoi rubarmi il posto?”.

“Se volessi rubarti il posto, ti avrei già ucciso da tempo!”.

I due si fissarono con un po’ di sospetto e leggera inquietudine, prima di rimettersi a ridere.

“Da quando fumi?” si stupì il principe dai capelli blu, notando il gemello che si avvicinava all’alto narghilè che era stato messo accanto al gruppo.

“Da più di quindici anni, principino! Chi vuole favorire?”.

Thuwey non se lo fece ripetere due volte e nemmeno Reishefy, anche se qualcuno fece notare la sua giovane età.

“Balliamo?” domandò Hanjuly, rivolta a chiunque volesse partecipare.

“Dovresti dirglielo…” mormorò Kassihell alla Luce.

“Cosa? Cosa dovrei dirle?” si stupì Efrehem.

“Che ti piace. Lo si vede lontano un chilometro…dovresti prendere coraggio e dirglielo!”.

“Ma che dici?! L’hai vista bene? Figuriamoci se io, il nanerottolo di turno, posso avere qualche speranza con lei, la bella stangona bionda! No…lascia che ci provi Thuwey o Aherektess o chiunque altro…”.

“Come vuoi…ma se fossi in te non perderei l’occasione di ballarci assieme!”.

La Luce sospirò. In effetti, la tentazione era forte e quindi, dopo aver trovato un po’ di coraggio, si alzò a sua volta ed iniziò a seguire la dolce melodia di quella danza sensuale. Il Metallo sorrise ad una danzatrice, e decise di farsi insegnare quegli strani movimenti.

“Quelle con i braccialetti d’oro ai polsi sono le mie dilette, se mi concedete il termine…le altre, se riuscite a conquistarle, sono tutte vostre. Le ho fatte venire da ogni parte del regno. I danzatori e le danzatrici che vedete sono i migliori dell’Aria” informò Zameknenit, ghignando agli uomini della compagnia con soddisfazione.

Mattehedike riuscì ad individuare almeno sette donne con i bracciali.

“Voi dell’Aria avete più mogli?” domandò.

“No. Solo il re può averne. Ed il principe. È una vecchia legge, che sinceramente non mi va di cambiare…e che sarebbe ora che mio fratello seguisse!” rispose il sovrano.

“Ci sto lavorando…” assicurò il gemello “…ma io avrò una moglie soltanto. Voglio sceglierla accuratamente ed essere certo che sia la donna per me, non prenderla come mia sposa sapendo che tanto potrò averne altre oltre a lei”.

“Un pensiero nobile il tuo…vuoi innamorarti, e questo direi che è una buona cosa. Tanto tu non avrai problemi di successione o di altro…”.

“Nexus ha iniziato a romperti le palle, vero?” ridacchiò Aherektess.

“Non sai quanto! Da quando sei partito è il suo chiodo fisso: dare un principino alla nazione! Ma io sono dell’idea che ogni cosa debba avere il suo tempo…non sono più giovanissimo ma è inutile forzare gli eventi, giusto? E poi vorrei prima sistemare alcune questioni diplomatiche…”.

“Per me stasera dovresti lasciar perdere le questioni diplomatiche e divertirti un po’. Vedrai che poi ti sentirai meglio…”.

Il re sorrise, svuotando l’ennesimo bicchiere.

“Lodevole il fatto che avete riservato la stessa accoglienza a principi, principesse e gente al di fuori della vita nobiliare, come me, la Roccia ed il Metallo” notò Idisi.

“Signora…” iniziò Zameknenit, stupito da quella osservazione “…se ho accolto i figli dei nemici della mia nazione, il Fuoco e l’Oscurità, allora posso trattare in modo adeguato chiunque. Per me non conta tanto la nobiltà di sangue quanto la nobiltà di spirito. Se siete stati scelti e siete riusciti a giungere fino a qui, vuol dire che nelle vostre vene c’è qualcosa di speciale che va al di là dei semplici legami parentali illustri, se capite quello che intendo…”.

“Devo ammettere che fra vostro fratello ed il Fuoco c’è stato qualche problemino…”.

“Lo immagino. Sto cercando di lavorarci ma l’imperatore del Fuoco, Vehuya, è un osso duro. Per non parlare di Ozymandias…quello una ne dice e tutt’altra ne fa! Questo viaggio potrebbe risultare molto importante, dal punto di vista politico. Peccato che mio fratello pare ignorare la cosa…”.

“Non sottovalutatelo…anche Kassihell è un osso duro come il padre, ma hanno delle cose in comune quei due principi che, magari, per la fine del viaggio li avvicineranno”.

“Chiedo scusa…” interruppe Kassihell, avvicinandosi a Zameknenit lentamente “…ma le nazioni di Aria e Fuoco sono nemici da sempre, da quel che mi risulta. La nostra ostilità nasce da motivazioni ben radicate all’interno del nostro essere e dubito che una bella chiacchierata possa risolvere tutto”.

“Di questo ne sono perfettamente a conoscenza, principe Kassihell. Purtroppo è da quando sono nato che vedo guerre contro il mio popolo, da parte vostra”.

“Da parte nostra?! Guarda che gli attacchi sono reciproci, da quel che ne so!”.

“Può darsi…ad ogni modo, di chiunque sia la colpa, vorrei porre fine a tutto questo. Per ora non ci sono riuscito…ma confido nelle nuove generazioni…”.

Il Fuoco e l’Aria si fissarono, a lungo, mentre Idisi decise che era decisamente meglio rimanere in silenzio. Kassihell si stupì di quello sguardo. Se lo aspettava carico d’odio ma non lo era. Gli occhi blu di Zameknenit erano calmi, profondi e quasi comprensivi.

“Ora vi devo lasciare…” mormorò il re, alzandosi “…domani ho un incontro con i miei consiglieri per risolvere alcune questioni interne e non è il caso mi presenti davanti a loro con occhiaie da paura oppure sbronzo. Voi continuate pure a divertirvi fin quanto volete nella maniera che ritenete più appropriata. Buonanotte”.

“Buonanotte!” gli rispose Enki, salutandolo con la mano.

Il re salutò gli ospiti e si avviò verso le sue stanze, seguito dalle sue preferite.

“Bene, signori!” esclamò Aherektess “La notte è giovane…non ditemi che siete già stanchi!”.

“Stanchi?! Certo che no!” urlò l’Elettricità, completamente ubriaca.

Idisi la fissò e scosse il capo, con rimprovero. Lehelin, fin ora rimasta in disparte ed in silenzio, fece per alzarsi ed andarsene. Si sentiva sempre più a disagio e non riusciva a parlare con l’Aria, sfuggevole ed eccessivamente allegro. Il principe di quell’elemento, però, le impedì di raggiungere il suo scopo. La prese per mano e le sorrise.

“Balli con me?” le domandò lui.

“No, non è il caso, credimi”.

“Perché? Cosa c’è? Non ti piace la musica?”.

“La musica è molto bella è solo che…”.

“Mi spiace di non aver parlato di noi a Zameky ma non c’è stata l’occasione. Domattina, però, potremmo discuterne, no?”.

“Potremmo ma…vedi…”.

“Balla con me…solo una canzone!”.

“No. Lasciami, per favore. In tutti i sensi. Credo che tutto questo sia una pessima idea e che non dovresti perdere tempo con me. Guardati attorno…tutte queste belle donne non vogliono altro che essere scelte da te per farti compagnia…”.

“Ma io voglio la tua compagnia, non la loro”.

“Io non sono chi tu credi…”.

“Tu sei la donna che amo”.

“Ed io sono…la donna che ti ha imbrogliato”.

Detto questo, la principessa dell’Oscurità iniziò a mutare. Crebbe e cambiò. I suoi occhi divennero verdi, i capelli candidi ed ordinati, la pelle chiara ornata da tatuaggi rossi e un elegante abito scuro. Spalancò le braccia, mostrando al principe le piume verde scuro e chinò la testa, piangendo.

“Miya…” sussurrò Aherektess, impietrito ed incredulo.

Lei annuì, sempre a capo chino e lui rimase in silenzio, per qualche istante, prima di lanciare un grido disumano che fece voltare l’intera sala. Kassihell sobbalzò, risvegliandosi all’improvviso dal leggero torpore in cui era caduto. Enki urlò per lo spavento. Hanjuly ed Efrehem fissarono il principe dell’Aria, dubbiosi. Thuwey inclinò la testa, restando spaparanzato a terra fra i cuscini con il tubo del narghilè fra le dita. Mattehedike, con due ragazze fra le braccia, smise di agitarsi a vanvera e si voltò verso quel rumore molesto. Idisi, che era rimasta a guardare la coppia, non trovò parole per ciò che aveva visto. Reishefy non capì e piagnucolò perché era cessata la musica..

“Mi dispiace…ho cercato di dirtelo” mormorò la trasformata Oscurità e corse via, per rintanarsi nella sua stanza fra l’incredulità generale.

“Come hai potuto?!” le urlò contro Aherektess, pieno di rabbia e dolore.

“Non ci posso credere…non pensavo che le incantatrici giungessero a tanto…” sussurrò Kassihell, rivolto ad Idisi che le stava seduta accanto.

“Nemmeno io avrei mai immaginato…” riuscì a dire, in risposta, la Terra.

“Per tutto questo tempo…lei…” iniziò Enki.

“Già…pazzesco…” si unì Hanjuly.

“Spaventoso…” commentò Efrehem.

“Incredibile! Insomma…ormai siamo un gruppo…certi segreti non dovrebbero esserci…” aggiunse Thuwey, dopo aver capito che ciò che aveva visto non era dovuto al fumo ed all’alcol.

“Mi avevano avvertito che di quelle creature non c’era da fidarsi…” grugnì Mattehedike.

“Che è successo?” squittì Reishefy, dopo qualche minuto di silenzio.

Aherektess, nel frattempo, era rimasto immobile, senza fiato. Dopo essersi scosso se ne andò anche lui, volando via dal terrazzino semicircolare del salone, avvolto dalla notte.

“No, no…così non và!” scosse la testa il Ghiaccio “Come faremo a proseguire?”.

“Una notte di sonno guarisce molti dolori…vedrai che domani si risolverà tutto” le disse il Fuoco, poco convinto delle sue stesse parole.

“No, ti sbagli. Meglio si chiariscano subito…o finiranno per rimuginarci su tutta la notte ed odiarsi al sorgere di Sirona!” continuò Hanjuly.

“E se si mettono a litigare perché interferiamo? È peggio, non trovi? Lasciamo che se la sbrighino da soli, se hanno voglia. Possiamo sempre ripartire e tenerli separati…” propose Thuwey.

“Concordo. Dopotutto, siamo giunti fino a qui odiandoci a morte! Vi ricordate quando siamo partiti? Ed ancora adesso, mi sembra, fra Fuoco ed Aria di certo non vi è alcun accenno d’amicizia. Penso non siano affari nostri…lasciamoli nel loro brodo e che si arrangino!” concluse la Roccia.

“Voi uomini siete proprio egoisti, e sensibili come dei funghi! Lei era dispiaciuta e lui disperato…dobbiamo fare qualcosa! Siamo un gruppo!” sbraitò Enki, irritata, stringendo i pugni.

“E che cosa credi di poter fare, principessina?” brontolò Mattehedike.

“Dobbiamo trovare il modo di farli parlare fra loro. Lui sarà probabilmente furioso…avrà bisogno di sfogarsi ed è meglio lo faccia prima di rivederla. Io andrei a parlare con lei…”.

“Vengo con te” si unì Idisi.

“Anch’io posso darvi una mano. Le ho già parlato…” si propose Thuwey “…e credo di sapere quali tasti toccare. Sempre se a voi donne non dispiace…”.

“Va benissimo” esclamò Hanjuly, con le mani puntate sui fianchi “Io andrò a cercare Aherektess. Chi viene con me?”.

“Per me è una perdita di tempo…” sbottò la Roccia.

“Allora tu resta pure qui” gli rispose il Ghiaccio.

“Io verrei…ma sono un disastro con i rapporti interpersonali. Credo che peggiorerei solo le cose…” chinò la testa la Luce, consapevole per una volta dei suoi limiti.

“Ci vengo io con te, Han” sospirò il Fuoco, consapevole ormai dell’impossibilità di andare a dormire o ripartire senza che la questione almeno si tentasse di risolvere “Sono sicuro che, vedendomi, la sua rabbia e frustrazione si sposterà su ben altre fonti!”.

“Ma andare dove? Con chi? Perché?” sbiascicò Reishefy.

“Efrehem!” tuonò il Ghiaccio, con fare militare “Il tuo compito sarà fare in modo che l’Elettricità non peggiori le cose. In quanto alla Roccia…se per lui tutto questo è una perdita di tempo allora che occupi la notte come meglio crede”.

“Signorsì” sorrise Efrehem, andando a sedersi accanto a Reishefy, che nemmeno si reggeva in piedi da quanto aveva bevuto.

Con un cenno del capo, la compagnia si divise in due gruppi, con la serietà di chi ha una vitale missione da compiere.

 

†††

 

La ricerca di Aherektess si mostrò piuttosto difficoltosa. Il principe conosceva bene ogni anfratto di quel regno e si era ben nascosto. I due, Ghiaccio e Fuoco, che lo cercavano, non vollero avvisare le guardie o richiamare i servitori. Volevano evitare il panico o i pettegolezzi.

“Forse potremmo chiedere al re. Quei due sono gemelli…si dovrebbero capire al volo!” propose Hanjuly, dopo quasi mezz’ora.

“Non ci tengo ad oltrepassare quella sottile linea che fra il mio ed il suo popolo porta dall’ostilità alla guerra. Meglio evitare di infastidirlo…e soprattutto di dirgli che la figlia di Ozymandias ha distrutto psicologicamente il suo gemello” rispose Kassihell.

Gli sposi del cielo illuminavano la notte, ormai inoltrata, e le strade della capitale erano deserte. Attraversarono un piccolo ponte lastricato ed il Fuoco ebbe un’idea.

“Forse so dov’è andato…quando ci ha raccontato di Miya, aveva parlato di un fiume e di una specie di grotta…”.

“Ah ma allora lo ascoltavi, non stavi dormendo in piedi!” ridacchiò lei.

“Ovvio! Dicevo…ha parlato di una grotta vicino ad un fiume. Noi siamo entrati nella capitale e non abbiamo incontrato nessuna grotta perciò, devo dedurre, che si trovi nella direzione opposta rispetto a quella in cui siamo arrivati…secondo me è là che si nasconde!”.

“Sembra una buona idea. Intuizione geniale…andiamo! Al massimo torniamo indietro…”.

I due si avviarono seguendo la stradina lastricata che seguiva il fiume. Mormorava leggermente, riflettendo la luce di Nikkal e Jarih lungo le sponde. Kassihell ed Hanjuly si avviarono lungo il suo corso regolare senza problemi, accostandosi alla bianca balaustra adornata di fiori. Uscirono dalla capitale con un’andatura piuttosto sostenuta, non volendo veder sorgere Sirona prima del loro ritorno. Individuarono con facilità le grotte di cui aveva parlato il principe di quel regno e vi entrarono. Il Fuoco evocò il suo elemento e tenne una piccola fiamma fra le mani, illuminando l’anfratto. Una piuma arancio in terra diede conferma della presenza del rappresentante dell’Aria.

“Aherektess!” lo chiamò il Ghiaccio.

“Sparite!” si limitò a dire il fuggitivo.

Lo videro, appollaiato su una piccola sporgenza, tutto avvolto dalle piume. Fra le mani stringeva il bracciale che gli aveva donato Miya, nero e lucido. Lo guardava senza espressione, come perso in pensieri lontani, con occhi vacui e vuoti.

“Ti abbiamo trovato…dai, vieni giù!” gli sorrise Hanjuly.

“Andatevene. Ho bisogno di stare da solo”.

“Presto sarà l’alba e sarà tempo di ripartire…” lo informò Kassihell.

“Dovrete partire senza di me. Io non vengo”.

“Non dire stupidaggini, fringuello dal cuore spezzato! Non andiamo da nessuna parte senza di te!” sbottò il Fuoco, incrociando le braccia.

“E come pensi di fare per convincermi?”.

“Se sarà necessario ti trascinerò per tutta la strada!”.

“Così non risolviamo nulla…” sospirò il Ghiaccio “Aherektess…so che ora sei confuso, furioso, triste e quant’altro ma, ne sono sicura, a tutto c’è rimedio! Venendo qui ho riflettuto su una cosa: vi siete innamorati due volte! Significa che era destino…”.

“Balle! Erano solo bugie!”.

“Tutto quanto? Io non credo!”.

“Tu cosa ne sai? Andatavene. Io non mi muoverò da qui per un sacco di tempo. Portate con voi mio fratello o chiunque altro…”.

“Oh, insomma!” tuonò il Fuoco “Smettila di piagnucolare come un bambino appena sgridato dalla mamma! Fai l’uomo! Ne sei capace? È solo una donna…sai quante ce ne sono ad Asteria?”.

“Sono stato così stupido…da farmi fregare due volte!” ringhiò l’Aria.

“Sì, sei stato stupido…” ridacchiò Kassihell “…ma mica vorrai continuare a fare lo stupido, vero? Perché rinunciare alla missione per la figlia di Ozymandias è stupido…”.

“Non è solo la figlia di Ozymandias…io ero davvero innamorato di lei. E lei mi ha solo preso in giro. Chissà quante risate si starà facendo e si è fatta alle mie spalle!”.

“Non essere ridicolo! Se avesse voluto prenderti solo in giro, ti avrebbe deriso in mezzo a tutti, ridendoti in faccia mentre mostrava chi era per davvero. Invece ti ha chiesto scusa ed è corsa via piangendo. Non mi è sembrato l’atteggiamento di chi vuole solo prenderti in giro…”.

“Ti stai facendo ingannare anche tu, mio caro…ma con me non funziona più! Nossignore! Può tentarle tutte…non avrà il mio perdono!”.

“Va bene…sono affari vostri! Ma ora scendi…devi riposare per riprendere la missione!” ordinò il Fuoco, con fare autoritario.

“Cosa vuoi che me ne importi della missione?! Andatevene…”.

“Sei la creatura più egoista che conosca!” urlò Hanjuly “Come puoi dire che non ti importa più nulla della missione?! Stiamo parlando della salvezza di Asteria, non di una stupidaggine qualunque! Scendi subito!”.

“Lascia perdere…” le mormorò Kassihell, con un tono di voce abbastanza forte da farsi udire chiaramente dall’Aria “…non vedi che è ancora un bambino? Vent’anni di coma gli hanno bloccato la crescita e non è in grado di fare l’uomo. Lasciamolo pure lì. Incontreremo sicuramente qualcuno più adatto di lui…non ha nemmeno il coraggio di scendere e parlare a quattrocchi con una piccola femmina fatta d’ombra!”.

I due si girarono verso l’uscita, dopo essersi scambiati un breve sguardo. E dopo pochi secondi Aherektess scese dal suo nido, con un lievissimo rumore di pietre spostate.

“Com’è che mi hai chiamato, vecchio parassita nemico della mia nazione?” sibilò, mentre il Fuoco gli sorrideva, quasi sadicamente.

“Ti ho chiamato bambino. E se vuoi aggiungo vigliacco, codardo e piagnucolone…vuoi che continui? O vuoi trovare il modo di provarmi che sbaglio?”.

L’Aria scattò in avanti e tentò di colpirlo. Il Fuoco bloccò il suo pugno e lo guardò, sfidandolo.

“Scommetto che non ce la fai ad andare da lei e dirle ciò che pensi, a dirle che è una traditrice e che non vuoi più avere a che fare con lei” gli disse, sempre ghignando.

“Scommettiamo? Cosa fai se vinco io?”.

“Prima fallo…poi vediamo!”.

Aherektess, con l’orgoglio ferito da vari fronti, si rizzò in piedi e serrò i pugni.

“Ci vediamo a palazzo, vecchio!” ringhiò contro a Kassihell e si librò in volo.

A tutta velocità, uscì allo scoperto e si avviò verso il palazzo.

“Non era esattamente ciò che volevo ma…è uscito” commentò Hanjuly.

“E sta andando dalla sua bella…è uno spettacolo che non voglio perdermi! Andiamo!”.

Fuoco e Ghiaccio si misero a correre, seguendo il piumato che si intravedeva nel cielo notturno.

 

†††

 

“Dove sei?” gridò Aherektess, piombando nel salone principale, dove si era svolta la festa.

Reishefy dormiva sul pavimento, raggomitolata attorno al narghilè con un largo sorriso. Anche Efrehem dormiva, fra i cuscini colorati. L’Aria si girò e vide che sulla porta, nascosti in modo pessimo, sbirciavano la Terra, il Metallo e l’Acqua.

“Sono qui” sentì una vocina alle sue spalle.

L’Oscurità era nel terrazzino, avvolta dal suo elemento. Aherektess si stupì di non averla notata quando era arrivato. Guardandola negli occhi, faticò a mantenere solidi i suoi propositi.

Nel frattempo, al gruppo dei nascosti, si erano uniti Fuoco e Ghiaccio.

“Vediamo se gli dà della stronza e festa finita, così possiamo andare a dormire!” sbuffò Kassihell, sicuro che mai avrebbe trovato il coraggio per farlo.

Hanjuly gli tirò una poderosa gomitata sullo stomaco e gli fece segno di fare silenzio.

“Eccoti qui…ci sono delle cose che vorrei dirti, signorina” iniziò l’Aria, sforzandosi di mostrarsi arrabbiato e deciso.

“Prima vorrei, però, che mi ascoltassi…”.

“Non credo che sia il caso. Non credi di avermi già raccontato abbastanza cazzate?!”.

“Un sacco ma ora stammi a sentire, per una volta!”.

“Non so se mi va…”.

Lehelin si accigliò, esasperata dall’essere sempre interrotta, ma si sforzò di non esplodere. Si passò una mano fra i capelli fumosi e guardò fisso negli occhi chi aveva di fronte.

“Volevo dirti…che mi dispiace. Mi dispiace Aherektess. Davvero. Posso capire la tua rabbia ed immagino tu voglia sfogare tutto il tuo risentimento su di me, lo capisco. Ma prima…vorrei che ascoltassi ciò che ho da dirti, per favore”.

“Parla…” mormorò lui, incrociando le braccia.

“All’inizio, sì…ti ho imbrogliato! Mio padre voleva carpire qualche notizia in più sul nuovo regno e sulla nuova gestione dell’Aria. Io mi sono proposta di andarci a fare un giro, clandestinamente. Ho imparato la vostra lingua e, con le sembianze di Miya, ho passato diverso tempo per la capitale. La prima volta che ti ho visto non avevo davvero idea di chi tu fossi. Mi sono divertita davvero quella volta alla fiera e, quando mi hai detto chi eri, son rimasta davvero stupita. Mio padre, entusiasta della notizia del tuo risveglio, mi ha dato ordine di rivederti. Ed all’inizio, come dicevo, l’ho fatto solo per rispettare un suo ordine. Ma poi le cose sono cambiate. Ho iniziato a non riferire più a mio padre ciò che mi accadeva ed a venire nel tuo regno di nascosto. Non ero mai stata così felice, dico sul serio. Poi, però, mi hai chiesto di sposarti. All’inizio ero davvero entusiasta, ed è per questo che ti ho detto di sì. Tornando verso casa, tuttavia, ho visto il mio riflesso lungo il fiume ed ho capito: non eri innamorato di me. Non amavi ciò che ero, ma ciò che fingevo di essere. Tu non amavi Lehelin ma Miya, che non esisteva. Ho deciso che non avrei mai potuto mentirti per tutta la vita, come mi chiedevi, ma non avevo il coraggio di dirti la verità. Speravo di lasciare un ricordo e nulla di più…non pensavo di trasformarmi in un’ossessione per te!”.

Si fermò qualche istante, mentre Aherektess continuava a fissarla, duramente.

“Poi…” continuò l’Oscurità “…è iniziata questa missione. Quando ti ho visto entrare dalla finestra mi sono sentita davvero male. Ho tentato di restare distaccata ma, quando ti è successo quell’incidente nel regno dell’Acqua…”.

Non sapeva come altro proseguire e chinò la testa, aspettando la reazione dell’Aria. Lui non si mosse. Sospirò e continuò a fissarla con le sue iridi rosso sangue.

“Perché?” le disse infine, dopo il silenzio.

Lei si aspettava ben altre frasi e lo fissò, con aria interrogativa, senza rispondere.

“Perché mi hai fatto questo? Perché non mi hai detto da sempre la verità? All’inizio eri sotto copertura, se così si può dire, ma poi…poi potevi dirmi la verità…senza arrivare fino a questo punto! Non trovi?”.

“Ho tentato…”.

“Hai ragione quando dici che di Miya amavo ciò che mostrava. Mi sono innamorato del suo aspetto, a prima vista, e non ho notato altro. Per quanto riguarda il seguito…all’inizio avevo paura di te, come creatura d’Oscurità, e ci tenevo a tenerti ben lontano. Eppure, lentamente…ho imparato a conoscerti ed ora…”.

“Ora sei innamorato di ciò che è lei veramente!” si intromise l’Elettricità.

“Chiudi la bocca, non ti immischiare!” le sibilò Hanjuly.

“No…ha ragione” ammise l’Aria “Io sono giunto qui con l’idea di esprimere tutta la mia rabbia nei tuoi confronti e di non farmi imbrogliare più da te ma…”.

“Avresti ragione. Hai ragione…” mormorò Lehelin “…odiami pure. Ho sbagliato ed è giusto il tuo comportamento. Ci tenevo a farti sapere che mi dispiace ma non mi aspetto un tuo perdono”.

“Che sta succedendo?” sbiascicò la Roccia, giungendo solo ora fra gli spioni.

“Non l’ho capito del tutto…” ammise il Fuoco “…mi aspettavo una grande rissa ma questi due stanno solo lì a cianciare…”.

“Chiudete la bocca!” li ammonì Hanjuly.

“Come posso fidarmi di te ancora, Lehelin?” domandò Aherektess.

“Non puoi. E non te lo chiedo. Ho rovinato tutto…e sono giuste tutte le cattiverie che hai in mente nei miei confronti ed i dubbi”.

“Ma io non voglio dubbi…e, sinceramente, non ho cattiverie in mente. Mi sento davvero uno stupido ma…non avevo mai visto piangere una creatura d’Oscurità prima d’ora e quindi…immagino che il tuo dispiacere sia autentico”.

“Lo è, ma…”.

“Non tirarti indietro adesso, per favore…” le sussurrò, prendendole il viso fra le mani.

Lei non capì e non riuscì a reagire mentre lui la baciava. Chiuse gli occhi d’argento e non si allontanò. Sentì una lacrima scivolarle sulla guancia, mentre le piume di lui l’avvolgevano e la luce di Sirona iniziava ad illuminare il cielo.

 “Per il grande Loreatehenzi!” esclamò qualcuno, alle spalle della compagnia degli spioni, sorridenti e soddisfatti del risultato ottenuto.

Era Zameknenit, svegliato all’alba e stupito nel vedere il gruppetto di ospiti accalcato davanti alla porta socchiusa. Di certo lo spettacolo a cui aveva assistito era qualcosa che non si aspettava.

La compagnia sobbalzò udendo la voce del re e nel vederlo apparire, spettinato ed in vestaglia, con le piume verdi arruffate e gonfie.

“Carino il motivo a paperette…” ironizzò il Fuoco, commentando la vestaglia.

“Non sono paperette! Sono gli uccelli che si intrecciano sullo stemma della mia famiglia!” sbottò il sovrano, avvolgendosi nella veste in seta.

“Buongiorno, fratello…” gli disse Aherektess, sorridendo raggiante.

Il gemello lo guardò, mentre veniva incorniciato dalla luce dell’alba in modo decisamente artistico.

“Volevo parlartene, Zameky…” iniziò, ma il re lo zittì.

“Era da tanto di quel tempo che non ti vedevo sorridere in quel modo…sono pronto ad ignorare il fatto che sia la figlia di Ozymandias. Se va bene a te…va bene anche a me! Spero che lei non sia come suo padre…senza offesa…”.

Lehelin sorrise, non sapendo cosa dire.

“Volete la colazione?” domandò il sovrano, sbadigliando.

“Veramente…non so gli altri ma io vorrei dormire!” ammise Aherektess e la compagnia annuì, condividendo lo stesso desiderio.

“In questo caso…buon riposo. Avvisate i miei servi quando vorrete qualcosa da mangiare”.

I dieci ringraziarono e si ritirarono nelle loro stanze, addormentandosi quando ormai il giorno era iniziato da diverse ore.

 

†††

 

Rimasero a palazzo per diversi giorni, riposandosi, rilassandosi e “facendo conoscenza” con i danzatori e le danzatrici. Efrehem imparò in fretta a leggere e parlare la lingua dei nativi, fra un sospiro ed un altro per Hanjuly. Kassihell si trattenne a lungo con Zameknenit, discutendo su come riuscire a trovare degli accordi ma senza giungere ad una soluzione plausibile. Thuwey, dopo aver sfogato buona parte del suo entusiasmo su qualche bella donna, esplorò la capitale in cerca delle botteghe in cui si vendevano e si fabbricavano le armi, affascinato dalla loro fattura. Idisi studiò flora e fauna degli stupendi giardini del palazzo e del circondario. Enki fece compere assieme ad Hanjuly e pregò il sovrano di far recapitare un messaggio alla famiglia dell’Acqua. Reishefy e Mattehedike non uscirono quasi mai dalle loro stanze, impegnati com’erano in un continuo viavai di creature con cui sfogare ogni loro istinto. Aherektess e Lehelin passarono molto tempo assieme, chiarendo ogni dubbio perfino nella mente rigida di Zameknenit.

“Chissà che dirà tuo padre, quando lo saprà…” si chiese il re.

“Quando lo saprà, lo scopriremo…” rispose l’Oscurità, già immaginandosi la furia di Ozymandias davanti agli occhi in un attacco di follia omicida “Chissà cosa dirà il vostro popolo…”.

Al principe dell’Aria poco importava di cosa pensasse il popolo e portò la giovane Lehelin per le vie di Bahram senza problemi, alcune volte perfino in volo facendola gridare di meraviglia.

Fu Kassihell che ricordò alla compagnia i loro obbiettivi. Nonostante trovasse piacevole il soggiorno nella capitale, provava più piacevole l’idea di tornare a casa dalla moglie.

Ripartirono dopo più di una settimana di riposo, con la promessa da parte di Zameknenit di far recapitare un messaggio ad ogni reale di Asteria, comunicando la propria posizione e buono stato di salute. Pur non avendo più le guardie del corpo che li scortavano, il gruppo non incrociò particolari problemi. I grandi uccelli cacciatori, la cui preda principale erano le creature dell’Aria, non diedero fastidio, forse spaventati dalle grida d’entusiasmo dell’Elettricità.

“Questo mondo è fantastico!” urlava Reishefy “Le feste di questi giorni son state favolose! Per non parlare degli uomini…che meraviglia! Mi ci voleva proprio!”.

“Mi fa piacere che vi sia piaciuto il soggiorno a casa mia…” rise Aherektess.

“Piacere tutto nostro!” esclamò Mattehedike.

“In effetti…mi ci voleva proprio un po’ di relax” ammise Kassihell.

“Ed inoltre il re è stato davvero gentile…presto le nostre famiglie avranno nostre notizie!” disse Enki ed Hanjuly annuì a quelle parole.

“Mi sono sentito davvero accolto…non me lo sarei mai aspettato!” aggiunse Efrehem.

“Per non parlare degli artigiani. Ho fatto diversi giri per la capitale ed erano davvero bravi!” continuò Thuwey, mostrando la collana che aveva acquistato.

“Bella!” si complimentò Idisi, incrociando alcuni fiori che aveva raccolto, sempre continuando a camminare con entusiasmo.

“Questo sì che è il clima adatto! Restiamo sempre così, ragazzi!” cinguettò il Ghiaccio.

 

Ovviamente la serenità e l’entusiasmo non durarono in eterno e ben presto ripresero le solite discussioni, sopratutto fra Aria e Fuoco.

“Hai perso la scommessa, se ben ricordo…” stuzzicò Kassihell.

“Quanto sei noioso…” sbottò Aherektess.

“Quale scommessa?” chiese Reishefy, che come sempre non capiva niente.

“Taci!” la zittì Mattehedike.

“Fottiti!” ringhiò la ragazzina.

“Eccovi…ora vi riconosco!” ironizzò la Terra e in lontananza, fra i lampi, iniziò a vedersi il regno successivo: quello dell’Elettricità.

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Capitolo 8
*** VIII- Elettricità ***


VIII

 

Reishefy entrò nel suo regno con irruenza adolescenziale, sorridendo e saltellando. Il resto della compagnia, al contrario, guardò il confine con sospetto, notando come apparissero scosse improvvise in terra. Nessuno aveva particolare voglia di farsi del male.

“Tranquilli!” parlò Efrehem “L’elettricità non risale! Se scorre lungo il terreno, non ci sfiorerà”.

“E come la mettiamo con le scariche improvvise dal cielo?” domandò Kassihell, socchiudendo gli occhi all’ennesimo fulmine nel buio.

“Beh…quelle, in effetti, potrebbero creare qualche problema…” mormorò la Luce, girando le antenne quasi con imbarazzo.

“Dobbiamo passare, in qualche modo. Perciò…” esclamò il Metallo, rabbrividendo solo all’idea di entrare in un regno pieno di altre creature come Reishefy.

Thuwey fece un passo oltre il confine e subito balzò all’indietro, quasi colpito in pieno da una potente scarica.

“Questo regno già mi fa schifo…” sibilò.

“Non è colpa dei lampi elettrici o del mio regno. Sei un enorme parafulmini ambulante!” disse Reishefy, irritata nel sentir insultare il suo mondo.

“Adesso è colpa mia se sono nato così…”.

“Precisamente!”.

“Finitela voi due, mi fate venire il mal di testa” ringhiò il Fuoco, guardando Efrehem e sperando che potesse trovare una soluzione.

“Intanto potremmo raggiungere la zona proibita…” suggerì l’Elettricità.

“E come?!” quasi le urlò di rimando la Roccia.

“Si trova sul confine, più a nord. Basterà che il prescelto vi entri, dopo averla raggiunta camminando nel regno dell’Aria” spiegò Reishefy.

“Fantastico! Poi, se non si trova un modo per passare il regno, si può sempre fare il giro contrario, tornando sui nostri passi” propose Hanjuly.

“E perdere di nuovo tutto quel tempo?” si accigliò la Roccia.

“E ripassare per il gelo del Ghiaccio?” aggiunse Kassihell.

“Ed affrontare di nuovo l’immenso oceano dell’Acqua?” si unì il Metallo.

“Quanto siete noiosi…” sbuffò il Ghiaccio “…vedremo! Per ora raggiungiamo la zona proibita”.

L’Elettricità, sempre saltellando, precedette la compagnia. Fra le mani stringeva la piantina del suo regno, anche se non la consultò molto spesso.

“Dovremmo esserci” urlò, senza motivo, ad un tratto.

La compagnia guardò verso il regno di Reishefy, senza vedere nulla. Notò, però, che in una zona circolare piuttosto ristretta le scosse si fermavano.

“Quella zona è isolata, cosicché quelli del mio elemento non possono accedervi” piagnucolò la ragazzina, curiosa di sapere cosa ci fosse all’interno “Ed è abbastanza distante dal confine da impedire alle creature dell’Aria di tentare di entrarci”.

“Perciò, se ho ben capito, l’unico problema è quello di attraversare i metri che separano quel cerchio ed il confine su cui ci troviamo…” iniziò Aherektess, senza muovere un muscolo verso quel mondo ad alto voltaggio.

“Esatto. La Roccia era quello più adatto, non avendo problemi con l’elettricità…” disse la Luce, mentre Mattehedike aveva l’ulteriore conferma che non avrebbe dovuto imbrogliare per poter entrare nell’area vietata dell’Aria “…ma il libro dice che ogni viaggiatore deve possedere un solo oggetto proibito e non può fare a cambio. Perciò ognuno di noi deve entrare in un solo luogo proibito…”.

“E allora chi affronta quei metri? Io no di certo…” parlò Idisi, consapevole delle pessime conseguenze che poteva avere su di lei un fulmine.

“Io ho tanta paura dei temporali…” mormorò Enki, nascondendosi dietro ad Hanjuly.

“Usiamo la testa…io sono stato nel luogo proibito del Ghiaccio, Kassihell in quello dell’Oscurità, Mattehedike dell’Aria e Reishefy in quello dell’Elettricità perciò è inutile cercare fra noi il candidato. Fra quelli che restano…cerchiamo di capire chi può essere il più adatto!”.

“Dev essere veloce, per non rischiare di farsi prendere dai fulmini…”.

“Concordo con il Ghiaccio. Dev essere veloce. E agile…”.

“Giusto, Idisi…forse Aherektess…” propose Kassihell, pregustando la scena del suo rivale arrosto.

“Se volete, vado io” si propose l’Oscurità “Non so che conseguenze può portare un fulmine sul mio corpo d’ombra ma…uno di noi ci deve andare!”.

“Potrebbe essere una soluzione…” convenne la Luce, pur continuando a pensarci su.

“Han è sufficientemente abile per poter giungere illesa fin là…” parlò Thuwey.

“Ma se viene colpita non avrà scampo!” intervenne, subito, Efrehem.

“Perché, per chiunque altro qui presente spetterebbe un destino diverso, forse?”.

“Se l’Oscurità se la sente…”.

Aherektess la guardò, con allarmati occhi rossi, e lei ridacchiò, tentando di rassicurarlo.

“Bene…buona fo…” le disse il Ghiaccio, ma non terminò la frase perché, come molti altri del gruppo, rimase senza parole guardando ciò che stava accadendo.

Dall’area proibita, si stava alzando un grosso globo nero, adornato e percorso da scosse continue. Avanzava verso i dieci, rotolando in modo quasi comico.

“Che c’è?” si stupirono il Metallo, la Roccia e l’Elettricità, che davano le spalle a quell’evento.

Gli altri indicarono la sfera, sempre più perplessi da quello strano fenomeno. Thuwey non fece in tempo a girarsi che si ritrovò inglobato all’interno e sollevato da terra.

“Ora capisco cosa prova la boccia con la neve finta…” si disse, mentre la sfera girava e lo trascinava verso l’area delimitata e senza scosse.

“A quanto pare, è stato il luogo proibito a scegliere chi prendersi…” ridacchiò Reishefy, udendo le grida di protesta del Metallo.

Il globo raggiunse la zona circolare da cui era partito e scomparve, raggiungendo la dimensione in cui mortali e Dèi potevano incontrarsi.

 

†††

 

La sfera esplose, come una bolla, facendo cadere di sedere il Metallo, in modo decisamente brusco. Thuwey, ovviamente, tirò una bestemmia più che convinta, rialzandosi dolorante. Spalancò gli occhi, ammirato da ciò che vedeva. Si trovava ancora in una sfera, di dimensioni gigantesche, sulla cui parete esterna si vedevano fulmini e scosse scorrere. Decise che non era molto saggio toccarla e si allontanò ulteriormente. Quell’ambiente era tutto un turbinio di luci artificiali, lampeggianti, accompagnate da strani suoni. Si sentì all’interno di un videogioco e storse la bocca, dubbioso.

Ad un tratto, giunsero alle sue orecchie a punta delle velate minacce che lo fecero rabbrividire. C’era qualcuno, o qualcosa, in quella sfera che lo voleva morto! Ed era in trappola, senza via d’uscita! Cominciò a guardarsi attorno nervosamente, in cerca di una soluzione.

“Ti ucciderò, maledetto bastardo! Come osi comparirmi davanti?” si sentì dire.

Le frasi divenivano sempre più colorite ed inquietanti. Thuwey, allora, prese coraggio. Mutò le sue braccia, facendole divenire due lunghe spade, e si preparò ad attaccare.

“Perché non ti fai vedere, invece che insultami gratuitamente?” ringhiò.

Le luci attorno a lui mutarono, spegnendosi gradatamente e concentrandosi in un unico punto. Lassù, sospeso e sorretto da cavi e altri globi, il Metallo vide una figura seduta, di fronte ad un grande schermo luminosissimo. Notò che si stava alzando e, velocissima, scese fino a raggiungerlo. Non fece in tempo a difendersi e colpirla. Già pensava di essere stato ferito a morte ma, non sentendo dolore, fissò con aria piuttosto interrogativa chi aveva di fronte. La figura tolse il casco che gli copriva il volto e ghignò.

“Perché mi punta contro le spade, messere?” ridacchiò.

“Eravate Voi che mi minacciavate prima?” domandò il Metallo, sempre con aria dubbiosa.

“L’unico che stavo minacciando prima era quel nano che mi impedisce di passare di livello”.

“Stavate…giocando?”.

“Precisamente. Vi inviterei a provare ma mi son andati in corto un paio di circuiti nell’altro casco…sono spiacente”.

“Ma…com’è possibile?!”.

“Hei, sono il Dio dell’Elettricità, non un elettricista! E non ho voglia di metterci mani”.

Il Metallo inclinò la testa. Il Dio era leggermente più basso di lui, cosa piuttosto normale dato che Thuwey sfiorava i due metri, ed aveva la coda come Reishefy. Pulsava e mandava scosse, avvolta da un pallone di lampi e piccole luci. Aveva i capelli corti sparati in aria, con varie punte, ed il pizzetto scuro. Vestiva di nero e pareva quasi stupito di ritrovarsi quel mortale di fronte.

“Chi sei?” domandò.

“Thuwey. Vengo dal regno del Metallo”.

“E cosa ci fa uno del regno del Metallo nel territorio dell’Elettricità?”.

“Non sa nulla riguardo ad una missione?”.

“No. Ma non me ne stupisco. Sono stato molto impegnato ultimamente…posso rimediare subito”.

Il Dio prese fra le mani una delle sferette che continuavano a girare e la fissò, assorbendone l’elettricità in un istante.

“Ecco…ora ho ricevuto tutti i dati che mi servivano sull’argomento. Quindi sei qui per l’oggetto proibito, suppongo…”.

“Precisamente…”.

“Bene. Non c’è problema. Siediti, Thuwey. Prendi una palla…”.

Il Metallo si guardò attorno, sconcertato. Uno dei globi volanti gli andò incontro, ingrandendosi, e gli permise di sedersi, tenendolo leggermente sollevato da terra.

“Io sono Xoduzz, Dio dell’Elettricità, e questo è il mio luogo proibito. Mi ci diverto un sacco”.

“Come funziona? Il casco, intendo…”.

“Niente di difficile. Lo metti e lui segue i tuoi movimenti oculari e gli impulsi elettrici mandati dal tuo cervello”.

“Mi piacerebbe provare”.

“Forse dopo. Intanto…posso offrirti da bere?”.

Thuwey sorrise ed accettò volentieri. Dopo un brindisi, mortale e divinità bevvero con soddisfazione dalla bottiglia che i globi volanti sorreggevano.

“Che cos’è?” domandò il mortale, non riconoscendo cosa stava mandando giù.

“Non si chiede mai cos’è…si beve e basta!”.

“Ah…ok…”.

“Come sei arrivato qui?” domandò il Dio.

“Ma…non avevate assimilato tutte le informazioni necessarie?”.

“Il tuo arrivo non è una cosa necessaria…”.

“Beh…mi ci ha portato qui un pallone”.

“Ah! La mia piccola…”.

“In base a cosa si capisce che è una femmina?”.

“Non si capisce…ma non è meglio pensare di avere accanto una compagnia femminile?”.

“Non posso di certo negare!”.

Risero e bevvero un altro bicchiere, tutto d’un fiato. Thuwey si congratulò per la bontà di ciò che stava trangugiando e la divinità gli spiegò che il nettare degli Dèi era impareggiabile e raro. Era un privilegio poterlo bere. Il Metallo di certo sfruttò quel privilegio e si fece riempire di nuovo il bicchiere con entusiasmo. Subito l’atmosfera si distese ed i due iniziarono a ridere, senza motivo, inebriati dal liquido e dalle luci intermittenti della sfera in cui stavano.

“Volevi davvero attaccarmi con le tue braccia?” ridacchiò Xoduzz.

“Non sono tanto male come arma…”.

“Sono inutili contro un Dio!”.

“Avevo forse altre alternative, se mi attaccavate?”.

“No. Ma non avresti avuto nessuna speranza…”.

“Me ne farò una ragione…”.

“Perché non provi a battermi tramite il gioco? Indossiamo il casco e le nostre forze saranno pari, nel mondo virtuale creato dallo schermo”.

“Ma…avevate detto che il casco era rotto…”.

“Era una bugia. Non condivido questo giochetto molto facilmente…ma tu hai resistito a ben quattro bicchieri di ciò che ti ho offerto!! Normalmente un mortale si stende dopo il primo! Devi essere un discreto giocatore…”.

“Non so come le cose possano essere in connessione fra loro ma…mi piacerebbe davvero provare”.

Il Dio gli porse il casco, accendendolo e ricoprendolo di luci colorate in modo eccessivo. Thuwey rise, con troppo trasporto a causa dell’alcol, e lo indossò. Davanti a lui vide Xoduzz in versione virtuale, vestito in modo simile ad un pirata. Barcollando, iniziando ad avere qualche difficoltà d’equilibrio da sbronza, provò a muoversi per provare qualche mossa. Non era difficile. Bastava pensasse a ciò che faceva quando si allenava e combatteva.

“Io che aspetto ho? Non riesco a vedermi…” domandò al Dio, che rise.

“Sei bellissimo, fidati” gli rispose “Vuoi provare qualche giochetto? Di livello base…”.

Il Metallo annuì e la divinità scelse una semplice gara di corsa. Le due trasposizioni virtuali iniziarono a rincorrersi sulla sabbia, in principio senza ostacoli. Poi si intromisero strani bagnanti, tronchi, animali e massi. Thuwey si divertì un sacco a saltare, correre e rotolare. Si accorse che poteva infastidire l’avversario tirandogli gli oggetti che raccoglieva o la sabbia. Giunsero al traguardo assieme. Ormai il nettare divino circolava nel cervello del mortale, impedendogli del tutto di avere comportamenti sensati e quindi non si fece nessun problema quando vide, assieme al punteggio, apparire il suo personaggio virtuale. Era una donna ed era completamente nuda.

“Ti diverti così, Xoduzz?” ridacchiò.

“Non sai che effetto faccia, su certe parti femminili, una bella corsa…”.

“Guarda che ho visto donne nude nella mia vita…”.

“Bene, allora corri! Fammi felice!”.

Il Metallo ricominciò a ridere ed a bere, togliendo il casco.

“Le tue compagne di viaggio…sembrano interessanti…” iniziò il Dio, liberandosi anch’egli dello strano copricapo.

All’istante i capelli tornarono come prima, belli a punta, senza nessun aiuto.

“Saranno anche interessanti alcune di loro…” iniziò Thuwey “…ma è meglio lasciar perdere!”.

“In che senso?”.

“Idisi, la Terra, è sposata e…vecchia! Enki, l’Acqua, è una ragazzina viziata e vigliacca, che non fa altro che lamentarsi. Lehelin, l’Oscurità, è inquietante. Hanjuly, il Ghiaccio, è una bomba. È una gnocca da paura ma non la dà neanche con le suppliche. Reishefy poi…”.

“La rappresentante del mio elemento?”.

“Esatto. Lei. Lei la dà via come fosse una caramella ma solo l’idea di averla appiccicata con tutte le sue scosse continue mi fa desistere. E poi è insopportabile. La ucciderei! E non solo io…buona parte del gruppo la sacrificherebbe a qualche Dio!”.

“Con le ragazze proprio non vai d’accordo. Ed i ragazzi? Come sono i maschi della compagnia?”.

“Non fraintenda! Vado d’accordo con le donne, tranne con Reishefy, ma non me le porterei a letto. Con Hanjuly rischio perfino di rimanerci attaccato…sarebbe imbarazzante! I maschi…sono a posto. Efrehem è il piccolo genio, Mattehedike è leggermente esaltato mentre Aherektess e Kassihell non fan altro che litigare…sono uno spasso!”.

“Da quanto siete in viaggio?”.

“Questo è il 160esimo giorno, se non vado errato…”.

“Un bell’impegno”.

“Stare lontano dalla regina mi fa bene, ogni tanto”.

“Separarsi dalla madre, specie ad una certa età, fa bene…”.

“Jovihann, la regina del Metallo, non è mia madre! Io sono la sua guardia personale!”.

“Ah…ok…”.

“Come Vi è venuto in mente che possa essere mia madre?!”.

“Ma che domanda è? Beviti un altro bicchiere, và!”.

Thuwey non esitò e bevve, scuotendo la testa e ridendo a vuoto.

“Cos’è l’oggetto proibito, Dio sparaflesciato?” domandò il mortale, dopo un altro paio di sorsi.

“Dubito esista quella parola…ad ogni modo, sono questi due bracciali” rispose la divinità, mostrando i polsi.

“Carini…che devo fare per prendermeli?”.

“Niente. Io non me ne faccio nulla, sono scomodi e poi…mi piace il tuo stile”.

“Veramente è la Roccia a cui starebbero bene gingilli simili”.

“Ma chissenefrega! Prendili e taci!”.

La divinità li sganciò e li lanciò al mortale. Vedendo doppio, Thuwey non riuscì ad afferrarli e dovette andarli a cercare, carponi sul pavimento. Erano larghi, alti, ricoperti di simboli sacri e misteriosi. Il Metallo rifiutò di capirli, mentre gli oggetti gli si stringevano ai polsi per magia, impedendogli di toglierli. Mutarono e si riempirono di spuntoni lucidi, alti e minacciosi.

“Tranquillo. Quando dovrai combattere, si adatteranno alla forma del tuo braccio. Non li perderai e non puoi rovinarli” lo rassicurò Xoduzz.

Thuwey, decisamente stordito, li fissò stupito.

“Ora puoi andare. Evocate la creatrice…che non ho mai avuto l’onore di vedere e che, immagino, dev’essere davvero una bella donna. Faccio il tifo per voi…”.

“Per poterla vedere?”.

“Esattamente. Non mi riportare quei cosi, qualunque cosa accada. Buttali via, se non sai cosa fartene. Io fra i piedi non li voglio…ho già abbastanza trabiccoli qui!”.

Il Metallo fissò il Dio senza capire. In quella sfera c’erano solo loro due, uno schermo, un groviglio di cavi, i due caschi ed una marea di globi elettrificati che portavano da bere a rotazione.

Thuwey, rialzandosi a fatica, si fece offrire un ultimo bicchiere. Xoduzz glielo concesse e poi, ghignando, fece scomparire ogni cosa in una matassa di scosse. Il Metallo, sospeso a mezz’aria, cadde nella zona isolata. Il Dio era scomparso ed era solo, con un gran mal di testa. Si rialzò ondeggiando ed individuò i suoi compagni. Senza pensarci nemmeno per un momento, trascinò i piedi verso di loro. Gli altri gli fecero segno di correre, per evitare i fulmini, ma per Thuwey era già tanto riuscire a non cadere in terra. Ovviamente un lampo lo colpì. D’istinto alzò le mani al cielo, per proteggersi, ed in effetti rimase illeso. I due bracciali proibiti lo avevano assorbito. Rise a quella rivelazione e raggiunse i nove viaggiatori suoi compari che lo fissavano, senza capire.

“Ciao ragazzi…” sbiascicò, prima di cadere in terra, lungo disteso, abbattuto dal nettare divino.

 

†††

 

“Non è morto?” sussurrò Enki.

“Macché! Questo coglione è solo ubriaco…” sbottò Kassihell.

Reishefy stava pungolando il Metallo con un bastone, quando questi si svegliò. Naturalmente lo salutò urlando e Thuwey strinse i denti, appoggiando le mani sulle orecchie, in preda al mal di testa.

“Oh…il bello addormentato con l’alito da alcolista si è svegliato…” informò Mattehedike.

Lo avevano disteso all’ombra di uno degli alberi dell’Aria, in attesa che si riprendesse. Ci aveva messo parecchio a rinvenire. Non l’avevano lasciato lì in balia del nulla solo perché avevano visto cosa facevano i bracciali che portava. Quelli erano l’unico mezzo per proseguire tutti assieme lungo il regno dell’Elettricità. Kassihell aveva proposto di toglierglieli ma non c’era stato niente da fare. Respingevano qualsiasi altra mano al di fuori di quella di Thuwey.

“Ti sei sbronzato con un Dio?” si stupì Idisi, invitandolo ad alzarsi e bere una sua speciale pozione che avrebbe dovuto farlo star meglio.

“Sì. Mi sono divertito un sacco…”.

“Xoduzz, il nostro Dio, è il migliore di tutti!” urlò Reishefy, fra i gemiti di protesta del Metallo.

“Abbiamo perso già troppo tempo. È ora di ripartire. Alzati e muoviti…” ordinò il Fuoco, incrociando le braccia e fissando Thuwey, ancora disteso, con aria minacciosa.

“Va bene, sissignore…dammi solo un minuto…” sbiascicò l’ubriaco.

“Ti ho dato quasi due giorni! Ed ora, rincoglionito come sei, rallenterai pure la marcia di tutti gli altri! Ancora non sei grado di capire qual è il bicchiere della staffa che ti fa sbronzare? Alza il culo e cammina!” fu il ringhio di risposta.

“Hei! Ma con chi credi di parlare? Vedi un po’ di abbassare la cresta!” sibilò il Metallo, puntando le dita contro chi l’aveva insultato.

“Davanti a chi? Ad un misero soldato, io che sono il futuro imperatore del Fuoco?” continuò Kassihell, con le fiamme nelle iridi.

“Sempre se ti lascio tornare in vita al tuo regno…” disse, alzandosi, Thuwey.

“Oh, bene…ti sei alzato. Possiamo andare” concluse il Fuoco, tornando calmo come se nulla fosse successo, avvertendo il resto della compagnia che era ora di partire.

L’offeso rimase decisamente spiazzato da quel comportamento e ci mise un po’ prima di muoversi. Poi scoppio a ridere, con la testa dolorante e la mente annebbiata, capendo che, in effetti, avrebbe rallentato notevolmente anche gli altri. Non riusciva ad andare dritto e di certo nessuno della compagnia avrebbe potuto trasportarlo. Si ripromise di stare più attento ed evitare sbronze…almeno fino alla fine del viaggio!

 

I dieci formarono un cerchio attorno al Metallo, dando spazio sufficiente ai fulmini che attirava di scaricarsi ed allo stesso tempo stavano abbastanza vicini a lui da evitare di essere colpiti da altri lampi. Reishefy, ondeggiando al vento la sua chiave gialla piena di punte, saltellava con entusiasmo. Efrehem ed Hanjuly le stavano accanto, non avendo problemi con la luce improvvisa che squarciava il cielo ad intermittenza. Mattehedike avanzava con le mani in tasca, come se nulla fosse. Enki teneva per mano Idisi, sobbalzando ad ogni tuono. L’Oscurità era protetta dai lampi dalle ali di Aherektess e restava dietro al Metallo. Al suo fianco, dal lato opposto dell’Aria, borbottava Kassihell. L’elettricità che scorreva sul terreno mutava in piccole fiamme quando sfiorava i piedi del Fuoco. Questo non gli dava fastidio e non gli impediva di lanciare continue occhiate di minaccia ad Aherektess che, ovviamente, contraccambiava.

Gli abitanti di quel regno non ci misero molto ad uscire allo scoperto, curiosi ed incoscienti, ed iniziare a seguire quella strana compagnia con entusiasmo. La Roccia ne minacciò un gruppetto, stanco del loro continuo vociare. L’Elettricità, canticchiando, invitò il popolo a fare lo stesso e subito i dieci si trovarono circondati da filastrocche ed entusiasmo gratuito.

“Dannate lampadine canterine…” sibilò Kassihell.

“Se li uccidi ti copro io. Dico che è legittima difesa!” sbottò Thuwey, con i capelli di un volume esagerato a causa delle continue scosse.

Gli abitanti di quel regno guardavano quei bracciali a punte con ammirazione. Vedevano come attiravano i fulmini e li scaricavano a terra, senza portare conseguenze al loro portatore o a chi aveva accanto. Alcuni entrarono all’interno del cerchio dei viaggiatori per poterli ammirare da vicino. Il Metallo respirò a fondo, resistendo a fatica al loro urlare continuo ed alle scariche che gli trasmettevano toccandolo.

“Sono pronto a coprirti anch’io” gli disse il Fuoco.

Quasi tutti i viaggiatori tentarono di convincere Reishefy a portare un po’ di ordine ma lei non ne capì il motivo e continuò a canticchiare assieme al suo popolo. Hanjuly si unì al coro, seguendo la politica del “se non li puoi battere, unisciti a loro”.

“Non mi toccare!” minacciò il Fuoco, sentendo qualcuno sfiorargli la gamba.

Gli abitanti dell’Elettricità parvero retrocedere a quell’ordine e Kassihell si accorse che ciò che sentiva non era opera di uno di loro ma di una creatura strisciante. Gli si stava arrotolando attorno alla gamba, mandandogli piccole scosse fastidiose. Tentò di liberarsene e la bestia alzò la testa, fissandolo con minacciosi occhi densi d’elettricità. Spalancò le fauci e si rizzò, con l’intento di arrivare al volto del Fuoco. L’attaccato, però, fu sufficientemente veloce nel contrattaccare ed incenerì l’aggressore, con una fiamma del suo elemento. Lehelin e Mattehedike, i più vicini all’accaduto, furono i primi a fermarsi, seguiti poi da tutti gli altri. Erano circondati da quelle bestie che si avvicinavano, numerose e veloci.

“Restiamo a cerchio!” ordinò Thuwey, cercando di avere l’autorità da capo dell’esercito che gli spettava “E vada al centro chi non combatte. Gli altri restino vicini e si preparino a resistere!”.

Nessuno obbiettò ed il Metallo si spostò, andando a mettersi fra Fuoco ed Oscurità. Enki, spaventata e consapevole di non poter far nulla con l’acqua a quelle bestie, si mise al sicuro al centro. Efrehem fu tentato di fare lo stesso ma in lui prevalse il desiderio di mettersi in mostra davanti al Ghiaccio ed iniziò a concentrare la sua energia magica, ignorando il suo più sensato pensiero razionale.

“Enki, sei inutile!” urlò la Roccia e lei gli mostrò la lingua.

Kassihell ed Aherektess avevano sfoderato le proprie armi. Idisi stringeva fra le mani la specie di remo con cui era partita, ingrandendolo. La Roccia tornò a modificarlo, come aveva fatto nel regno del Ghiaccio. A causa del riavvolgere del tempo di Kassihell, egli non ricordava di averlo già compiuto quel gesto ed il remo non aveva mantenuto quelle caratteristiche, rimanendo come se non fosse mai stato usato per combattere.

“Questo si chiama macuahuitl” spiegò, restituendolo alla Terra, dopo averlo riempito di punte d’ossidiana e roccia nera.

“Wow. Grazie!” sorrise lei.

Hanjuly estrasse in pochi istanti il cerchio a lame che portava con sé. Mattehedike espanse la percentuale del suo elemento lungo tutto il corpo e lo stesso fece Thuwey, trasformando le sue braccia in spade.

“Caspita…” esclamò Aherektess, con ammirazione.

Lehelin rimase perplessa davanti agli apprezzamenti che ricevettero le braccia del Metallo ma poi ricordò che l’ultima battaglia era stata cancellata dalla memoria dei viaggiatori e che quindi non avevano mai visto il modo di combattere degli altri.

Le creature striscianti, dense di energia elettrica, erano pronti ad attaccarli.

“Dov’è il tuo popolo di straccia balle quando serve?” ringhiò Kassihell, avvolgendo la spada nel fuoco ed iniziando a colpire.

“Noi siamo più che sufficienti per battere questi serpentelli!” gli rispose Reishefy, assorbendo l’energia elettrica delle bestie, immagazzinandola nella coda ed impedendo alle creature di sopravvivere, come sottratte della linfa vitale.

“Sicura?” sbottò Aherektess, spazzando via e tagliando in due quegli esseri.

Thuwey, con le sue spade affilatissime, non aveva difficoltà a staccar loro la testa. Lehelin immobilizzava gli avversari, approfittando del fatto che fossero fatti d’ombra e scosse, e dava la possibilità a chi aveva a fianco di ucciderne di più. Mattehedike ne schiacciava e ne stritolava fra le mani, ignorandone l’elettricità. Efrehem illuminava, con un fascio bianco che gli partiva dalle mani, le creature che aveva dinnanzi, permettendo a Reishefy di assorbirne l’elettricità con maggior facilità. Idisi conficcava gli aggressori con le punte e li spiaccicava con il legno, sorridendo soddisfatta. Hanjuly ruotava il suo cerchio e gli strani serpenti volavano in aria, tagliati in vari pezzi. Enki, vedendo questo, provò a concentrarsi e lanciare acqua verso quelli che venivano solamente sollevati dal ruotare di quell’arma. Il Ghiaccio intuì ciò che aveva in mente ed immediatamente comandò il suo elemento, permettendo all’acqua di ghiacciarsi all’istante e mandare gli animali in mille pezzi, come un vetro rotto. Vedendo questo, l’Acqua prese coraggio ed uscì dal centro, andando accanto ad Hanjuly.

“Io e te siamo un’ottima squadra!” la incoraggiò il Ghiaccio.

Enki sorrise e continuò a colpire. Nonostante l’affiatamento del gruppo, quelle bestie erano sempre più numerose e difficili da respingere. Alcune riuscivano a raggiungere il loro scopo, mordendo ed ustionando la pelle dell’aggredito laddove si riuscivano ad arrotolare e scaricare tutta la loro energia elettrica. Stretti in un cerchio sempre più piccolo, l’uno accanto all’altro, si resero conto che non avrebbero resistito a lungo, continuando così. Ad un tratto la Roccia ebbe un’idea. Non avevano niente da perdere, tanto valeva provare! Estrasse rapidamente il suo oggetto proibito dalla sacca e lo guardò, tentando di capire se poteva aiutarlo in qualche modo.

“Oh, grande Loreatehenzi, siamo nei guai…se puoi essermi utile, te ne sarai grato…” borbottò, rigirando il pugnale dalla punta arrotondata fra le mani.

Subito, attorno alla lama, si iniziò a creare un turbine d’aria di colore azzurro vivo. Il resto della compagnia rimase immobile davanti a quello spettacolo inaspettato. La luce ed il vortice si espansero, avvolgendo col suo colore la compagnia e gli animali. Tutti furono costretti a chiudere gli occhi, tranne Efrehem che vide l’arma assorbire tutti i nemici e farli sparire. Quando la Roccia riaprì gli occhi, la lama dell’oggetto proibito era tutta decorata a serpenti neri.

“Che figata” fu l’unico commento, di Reishefy naturalmente. 

 

†††

 

Si sedettero tutti quanti in terra, per riprendersi dalla fatica, dallo stupore e dallo spavento. Si guardarono, iniziando a percepire il dolore delle varie ferite. La Terra cercò nella sua borsa qualcosa per lenire quella sensazione. Ne trovò ma non a sufficienza per l’intero gruppo.

“Dovrei andare nel vicino regno dell’Aria per cercare determinate piante” disse.

“E non puoi farle comparire dal terreno?” protestò Mattehedike, stringendosi il braccio ferito.

“Certo che no. Non si può sconvolgere l’equilibrio del pianeta facendo crescere piante dove non dovrebbero esserci e di regni diversi! Con quello che ho con me, posso dare sollievo a due di noi e, nel frattempo, tornare nel regno di Aherektess a prendere ciò che mi serve. Non è distante…”.

“Ti accompagno io!” si propose Enki.

L’intera compagnia la fissò con vivo stupore.

“Voi tutti mi avete protetta ed io non sono rimasta ferita. Inoltre ho combattuto meno di voi e non sono stanca. Idisi non può andare da sola!”.

“Hai ragione. Allora andate. La Terra si medicherà e poi partirà, sperando che non accada altro di spiacevole!” parlò Efrehem, con le antenne chinate sul capo per la fatica.

Idisi mangiò qualche bacca secca che aveva con sé, spiegando che le davano la forza necessaria per assolvere il suo compito. L’Acqua le assicurò che l’avrebbe aiutata in ogni modo possibile.

“Brava. Siamo tutti orgogliosi e felici della tua decisione” le disse Hanjuly ed Enki arrossì.

“Forse dovremmo cercare riparo” propose Efrehem.

“Qui ora siamo protetti dall’oggetto sacro dell’Aria. Meglio non uscire dalla sua influenza” parlò Mattehedike, vedendo chiaramente un cerchio azzurro tracciato attorno agli otto viaggiatori.

Thuwey guardò l’Oscurità e le sorrise, vedendo che si era rimpicciolita a causa della forte luce del pugnale di Loreatehenzi.

“Come siamo teneri, ancora più piccoli…” commentò e subito Aherektess la circondò con le braccia piumate, come a voler lanciare un chiaro segnale di quali limiti non doveva superare il rappresentante del Metallo.

Efrehem si era accoccolato su quel terreno nero e pieno di elettricità con l’intento di riposare. Trovò quel regno molto strano, quasi artificiale. Perfino gli alberi erano attraversati dalle scosse, così come i loro frutti ed i loro fiori. Kassihell zoppicava a causa del primo attacco, inaspettato, ma non riusciva a restare calmo e seduto. Aherektess aveva solo graffi, essendo stato protetto dall’Aria. Thuwey era quello che mostrava più segni sulle braccia, attraversate da tutta l’elettricità emessa dalle creature che uccideva. Hanjuly aveva le mani ferite e le guardava con una smorfia. Reishefy, notando i volti sofferenti degli altri e non presentando gravi segni su di sé, salvo la stanchezza, decise di usare anch’essa il suo oggetto proibito. Si concentrò e, stringendo fra le mani la coppa di Heronìka, permise ai presenti di bere acqua cristallina e lenire il dolore con il suo freddo scorrere sulle parti colpite.

“Sono sempre più stupito. Questo regno sta tirando fuori il lato migliore di noi!” disse Aherektess e nessuno trovò da obbiettare.

Terra, Acqua ed Elettricità partirono alla volta del regno dell’Aria. Reishefy andò con le due volontarie per incanalare le scosse del suo mondo e per non dover rimanere ferma troppo a lungo nello stesso posto, cosa che la infastidiva parecchio. Grazie alla sua presenza, i fulmini non diedero fastidio ed il loro cammino fu più facile.

 

†††

 

I sette rimasti a riposare stavano sonnecchiando tranquilli, ogni tanto sorseggiando l’acqua della coppa di Heronìka o sbocconcellando il cibo che avevano con sé nelle borse. Nessuno parlava, approfittando dell’assenza dell’Elettricità, e sembravano tutti persi nei loro pensieri. Efrehem stava riportando ciò che era successo sul suo libricino, dopo essersi ripreso stando disteso per qualche tempo. Hanjuly ripuliva la sua arma, lentamente e senza emettere un fiato. Aherektess aveva avvolto Lehelin nelle ali per un po’ ed ora restavano seduti, fianco a fianco, fissando l’orizzonte. Mattehedike si era medicato con le poche cose lasciate dalla Terra ed adesso brontolava sommessamente, sentendo la ferita al braccio bruciare. Thuwey aveva ignorato i segni sui suoi arti ed era immobile, a gambe e braccia incrociate, in una sorta di meditazione. Kassihell tentava di fare lo stesso ma non riusciva a concentrarsi, tormentato com’era da strani pensieri.

“Che ti succede?” gli domandò Lehelin.

“Niente” mormorò, di risposta, il Fuoco.

“Dovresti saltare di gioia per la mancanza di Reishefy ed il silenzio che ciò comporta…ed invece te ne stai lì con quella faccia triste e malinconica”.

“Mi sono ritrovato a riflettere su cosa potrebbe succedere se io non dovessi tornare a casa”.

“Perché non dovresti tornare?”.

“Questo viaggio è pieno di pericoli. Se io non riuscissi a superarli tutti e morissi…cosa accadrebbe alle persone a cui voglio bene?”.

“Intendi a tua moglie ed i tuoi figli?”.

“E mia madre…mia sorella… Sono tutte persone che ho sempre difeso da mio padre, in ogni momento, ed ora so che lui non sta facendo nulla di male perché consapevole del mio ritorno e di ciò che potrei fargli se venissi a sapere che ha fatto qualcosa di sbagliato. Se non dovessi tornare…”.

“Siamo un gruppo, una squadra. Non permetteremo mai ad uno di noi di morire!” lo rassicurò Hanjuly, riponendo la sua arma nello zaino.

“Ma potrebbe accadermi un imprevisto…come la tempesta in cui è sparito Aherektess!”.

“Quello potrebbe accaderti anche stando comodamente a casa…” commentò la Luce.

Kassihell non sembrava convinto. Il solo pensiero di non poter rivedere le poche persone che amava e che lo amavano lo faceva star male. E chissà cosa stavano facendo in quel momento…chissà com’erano cambiati i suoi bambini nel frattempo… Sospirò, tentando di spostare i suoi pensieri altrove. Ci riuscì quando percepì un rumore alle sue spalle. Notò che anche Aherektess lo aveva sentito, avendo un udito finissimo, ed aveva rizzato le piccole orecchie a punta. Si accorsero che un nutrito gruppo di creature di quel regno li stava raggiungendo. La compagnia di viaggiatori si alzò in piedi, stupita ed indecisa sul da farsi. Quando l’apparente capo dei nativi si fermò, i sette si fissarono con fare dubbioso. Il capo puntò il dito contro di loro e sibilò qualcosa nella lingua locale, che nessuno della compagnia capì.

“E questo che vuole? Avanti Efrehem…sei tu il diplomatico!” parlò il Fuoco.

“Ma io non conosco la loro lingua…” protestò la Luce.

“Provaci…qualche parola della lingua di Asteria la sapranno, no?!”.

Efrehem sospirò e, dopo essersi passato una mano sui capelli neri, fece qualche passo avanti.

“Salve…” parlò “…noi non comprendiamo la vostra lingua, mi spiace. Qualcuno di voi può tradurre, per cortesia?”.

Notò gli sguardi persi di chi aveva di fronte.

“Qualcuno di voi mi capisce, almeno un pochino?” disse.

Non ricevette risposte e la Luce si girò verso i suoi compagni, non sapendo cosa fare. Nel frattempo, i nativi si erano messi a parlottare fra loro nella loro lingua incomprensibile. Ricominciarono a rivolgersi ai sette, evidentemente con frasi poco carine, data la loro espressione, ma del tutto prive di senso per i viaggiatori.

“Non vi capiamo!” scandì per bene il Metallo.

Sperava di essersi fatto comprendere, quando vide i popolani fermi, ma subito cambiò idea perché si mossero tutti assieme verso gli stranieri con sguardi decisamente minacciosi.

“Siamo qui con Reishefy…sapete chi è? La principessa Reishefy…” ricominciò Efrehem.

“Inutile…questi non capiscono un cazzo!” lo zittì il Fuoco, sguainando la Katana e minacciando le creature dell’Elettricità di stargli lontano per evitare conseguenze.

Feriti, stanchi e malconci com’erano, la compagnia non poteva sperare di competere con quella folla inferocita che gli lanciava contro scosse elettriche e fulmini. Capirono di non avere altra scelta ed alzarono le mani, in segno di resa. Nel giro di qualche secondo, si ritrovarono tutti svenuti in seguito ad una potente scarica alle spalle.

 

†††

 

“Sono felice che tu stia acquisendo sempre più coraggio!” disse Idisi, rivolta ad Enki.

“Anch’io ne sono contenta. Dipendere sempre dagli altri e dal loro sostegno è terribile…spero di migliorare sempre di più!” fu la risposta.

“A proposito di altri…chissà come se la stanno passando!” canticchiò Reishefy, di ottimo umore e piena di energia donatagli dalle scariche del suo regno.

“Sono sicura che se la stanno cavando alla grande. Saran tutti spaparanzati che sonnecchiano…” azzardò la Terra.

Le tre erano ormai vicine al confine col regno dell’Aria.

“Noi ragazze siamo meglio dei ragazzi del gruppo, non trovate?” riprese l’Elettricità.

“In che senso?” domandò Enki.

“Nel senso che…guardateci! Noi facciamo lavoro di squadra, ci aiutiamo ed aiutiamo gli altri. Fra noi discutiamo molto poco. Invece i maschiacci non fan altro che trovare una scusa per urlarsi contro. I litigi partono sempre da loro!”.

“Sì…ma poi si aggiungono anche un paio di noi ragazze…” ridacchiò la Terra.

“Ovvio! Provocano quei bambinoni ed è mio e vostro dovere difenderci!” rimbeccò Reishefy.

“Pian piano stiamo tutti imparando a conoscerci e sopportarci. Andrà sempre meglio” rassicurò Idisi, iniziando a sentire la terra verde sotto i piedi.

Non passò molto tempo prima che si ritrovassero tutte e tre su un grande prato rigoglioso, in ginocchio, a cercare le erbe ed i fiori che la Terra descriveva.

“Una caccia al tesoro! Cosa vinco se ne trovo più io?” rise l’Elettricità.

“Tu cosa mi dai se, invece, vinco io?” rispose, sempre ridendo, l’Acqua.

Idisi sorrideva sentendo come le due ragazze andassero d’accordo. Erano a capo chino, quasi carponi, in cerca dell’ultimo fiore necessario, quando un’ombra coprì loro la visuale.

“Spostati! Non vedo bene così!” sbottò Reishefy.

“E che cosa dovreste vedere di preciso, di grazia?” si sentì rispondere.

Le tre alzarono lo sguardo e videro che c’erano numerose creature d’Aria che le fissavano.

“Cerchiamo un’erba per i nostri compagni di viaggio, che sono feriti” spiegò Idisi, con calma.

“E non potreste cercarla a casa vostra, signora, provenendo dal regno della Terra?” rispose l’alato, notando le gambe di legno della donna.

“Noi siamo in viaggio per Asteria ed il luogo più vicino in cui trovare piante del genere, dal punto del viaggio in cui siamo ora, è questo. Chiedo scusa se la cosa non è gradita, vedrò come ripagarvi, se è questo il punto…”.

“Acqua, Terra ed Elettricità che viaggiano assieme?”.

“Sì, bello. Problemi?!” sibilò Reishefy ed Idisi le fece segno di abbassare i toni.

“Il principe Aherektess viaggia con noi…” mormorò Enki, intimidita da tutti quegli sconosciuti.

“Aherektess? E dov’è?”.

“Con gli altri. Nel regno dell’Elettricità”.

“Se davvero viaggiaste con il principe Aherektess, vi avrebbe sicuramente informato che questo terreno è inviolabile. Qui è dove si è combattuta l’ultima, terribile, battaglia fra noi, il Fuoco e l’Oscurità, dove il grande re Denerìs ha perso la vita”.

“Il padre di Aherektess e Zameknenit è morto qui?” domandò Enki, con tristezza nella voce.

“Esatto. Ed il re Zameknenit ha dato ordine che nessuno osi in qualche modo disturbare il riposo dei guerrieri che sono caduti assieme a lui. Raccogliere fiorellini rientra in quelle violazioni!”.

“Chiediamo scusa…” si affrettò a dire Idisi “…non lo sapevamo!”.

“Il principe Aherektess vi avrebbe di certo informate!”.

“Non lo ha fatto. Chiediamo profondamente perdono per questa violazione…” parlò la Terra, chinando il capo in segno di rispetto.

“Siete tutte e tre in arresto”.

“Cosa?! Non potete arrestarci!” urlò Reishefy “Sapete chi sono io?! Io sono la principessa del regno dell’Elettricità! Saranno guai grossi per voi e per la vostra gente se osate…”.

“Reishefy! Finiscila!” la rimproverò Idisi.

Alle tre vennero legati i polsi.

“Conosciamo Zameknenit. Sono sicura che se chiedete a lui saprà spiegarvi ogni cosa” disse Enki.

“Vedremo. Intanto venite con noi, signore”.

 

†††

 

Con un mal di testa da record, il gruppetto di sette viaggiatori si risvegliò. Con i polsi legati dietro la schiena e le caviglie bloccate, capirono subito di non trovarsi in una bella situazione.

“Cos’è successo?” mormorò Hanjuly, confusa e disorientata.

“Ci hanno catturato, ecco cosa è successo…” ringhiò Mattehedike.

“Ma così, quando Enki, Reishefy ed Idisi torneranno, non ci troveranno!” si allarmò il Ghiaccio, iniziando a dimenarsi per potersi liberare.

“Ci sarà qualcuno con cui poter parlare…” borbottò Efrehem.

“Non credo che a questi piaccia parlare. I loro sguardi lasciano intendere la loro scarsa propensione all’amicizia” commentò Kassihell, a bassa voce, rimanendo apparentemente calmo.

“Un momento…dov’è Thuwey?” domandò Lehelin, tenuta ferma davanti alla finestra da dove i lampi continui la indebolivano e la bloccavano.

“Ho sentito la sua voce poco fa. Lo han portato in un’altra stanza” informò Aherektess.

Il gruppo si guardò attorno. Erano legati a dei pali verticali e seduti in terra. Il pavimento era gelido ma su di esso non scorreva l’elettricità. Al buio, ogni tanto venivano illuminati dai fulmini che squarciavano il cielo. Guardavano fuori dall’unica finestra, in cerca di una speranza di fuga.

“Dobbiamo trovare il modo di avvertire le ragazze” iniziò la Luce.

“Sì. Forse in questo momento sono già sulla strada del ritorno. Se non ci dovessimo rincontrare più…sarà un vero casino!” concordò il Ghiaccio.

“Cerchiamo di vedere il lato positivo…qui non corriamo il rischio di essere colpiti dai fulmini. Non vogliono ucciderci, a quanto sembra…” ipotizzò l’Aria.

“Se, però, ci dicessero che stracazzo vogliono…” iniziò il Fuoco, ma venne interrotto dall’ingresso di un paio di creature dell’Elettricità che passarono oltre, ignorando le proteste dei catturati, entrando in una stanza adiacente.

 

“NON VI CAPISCO, PORCA TROIA!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!” urlava Thuwey, per l’ennesima volta.

Lo avevano legato stretto e continuavano a fargli domande. Il Metallo, non capendo, non rispondeva in modo comprensibile per quelle creature e queste si stavano spazientendo. Da una mezz’ora, ad ogni risposta per loro non soddisfacente, sferravano un colpo al prigioniero, accompagnato da una scossa. I bracciali, gli oggetti proibiti, assorbivano l’elettricità ma non potevano impedire al Metallo di essere colpito.

Nuova domanda, stessa risposta. All’orecchio di Thuwey, un’accozzaglia di suoni senza senso a cui lui non poteva fare a meno di rispondere “Non vi capisco” e “Vaffanculo, stronzi”.

Altra domanda, ennesima risposta insoddisfacente. Un potente colpo sul viso con un bastone rigido. Questo dopo aver capito che si facevano più male loro a colpirlo, essendo fatto in buona parte di metallo, piuttosto che il torturato. Sputando sangue argento, il Metallo li guardò con odio. Era troppo debole per sperare di combattere e le sue braccia non si volevano trasformare, malridotte com’erano. Lo presero per i capelli e gli ribaltarono il volto all’indietro, ripetendo l’ennesima frase incomprensibile. Thuwey iniziò a dire parole a caso, tanto l’effetto era lo stesso.

La porta si aprì ed entrarono altre tre persone. Iniziarono a parlare fra loro. Una si avvicinò al Metallo e ne osservò per bene i bracciali, annuendo con il capo. L’unica parola che riusciva a comprendere il catturato era Reishefy, che veniva pronunciata ogni tanto, e Xoduzz.

“Avete dei problemi con i miei bracciali? Sono gli oggetti proibiti che mi ha affidato il Dio dell’Elettricità. Per favore…lasciatemi andare…non ho fatto niente di male!”.

Tentò l’uso di un tono di supplica, ma non funzionò. Il più alto degli ultimi tre entrati si avvicinò ad una parete, aprì un pannello lucido di difficile individuazione e premette un bottone. L’elettricità dell’atmosfera aumentò e tutto inizio a tremare. Le pareti si abbassarono, permettendo all’intero gruppo di viaggiatori di potersi rivedere, ed il tetto si aprì.

“Un momento…che avete in mente?! Che fate?!” si dimenò il Metallo, notando che sia lui che i suoi sei compagni erano legati a delle lunghe aste protese verso il cielo.

Hanjuly lanciò un grido, non appena realizzò che con il tetto scoperto erano facile bersaglio per i  fulmini di quel regno.

“Ecco smontata la tua teoria riguardante il fatto che non vogliono ucciderci…” sospirò Kassihell, rivolto ad Aherektess, ma senza guardarlo negli occhi.

“Per una volta ti devo dar ragione” concordò l’Aria.

“Ragazzi…è stato un onore viaggiare con voi” aggiunse il Fuoco.

I fulmini ed i tuoni erano tutt’attorno a loro. Era solo questione di attimi prima che succedesse l’irreversibile. Solo la Roccia restava calmo, sapendo che, anche se fosse stato fulminato, non si sarebbe fatto troppo male.

Il Ghiaccio gridò di nuovo, quando si aprì un cratere a pochissima distanza dal gruppo a causa di un fulmine. Era terrorizzata ed era stanca di nasconderlo.

“AIUTO!” urlò, agitandosi e quasi piangendo.

Gli uomini del gruppo tentavano di mantenere un certo autocontrollo, almeno apparente, ma erano perfettamente consapevoli che bastava un attimo e tutti se ne sarebbero andati per sempre.

 

†††

 

“Vi dico che è così!” ripeté, per l’ennesima volta, Idisi.

“Siamo in viaggio assieme al principe Aherektess e stiamo attraversando Asteria tutti assieme, un rappresentante per ogni regno” spiegò.

“E come mai ora, qui, davanti a me, vedo solo voi tre?” domandò l’abitante dell’Aria.

“Perché ci siamo separate dagli altri per cercare una medicina”.

“Siete un gruppo di sole donne, oltre al principe? Sempre che effettivamente il principe rientri nel vostro gruppo…”.

“No. Siamo cinque donne e cinque uomini”.

“E mi state dicendo che un gruppo con cinque uomini lascia andare da sole tre donne in luoghi pericolosi come se nulla fosse? Non è molto credibile, se lo scopo è farvi arrivare tutti assieme alla fine del viaggio, come mi avete riferito prima…”.

“Io sono una creatura della Terra e sono l’unica che conosce certe cose”.

“Allora perché non far andare lei con due uomini come scorta? Magari il principe per rendere la cosa più credibile e meno rischiosa…”.

“Mi serviva l’Elettricità per non farmi male nel regno pieno di scariche e scosse. L’Acqua era quella meno stanca della compagnia”.

“Perdonatemi signore ma questa storia non ha alcun senso…”.

“Chiedete a Zameknenit! Lui confermerà la nostra versione!” disse Enki.

Le tre donne erano sedute una vicina all’altra, sorvegliate a vista, di fronte ad un tavolo rosso acceso, liscio e spoglio. Sopra le loro teste, una grossa cupola in vetro proteggeva l’edificio dalla lieve e momentanea pioggia che cadeva.

“Abbiamo mandato una comunicazione a palazzo. Se tutto questo è una balla…passere dei brutti guai, signorine” sibilò l’abitante dell’Aria, alzandosi da dietro il tavolo e puntando contro alle interrogate un dito accusatore.

Dopodiché fece loro segno di guardarsi attorno e le sorvegliate si accorsero che la polizia di quel regno non doveva essere molto delicata con gli stranieri, date le armi che stringevano fra le mani.

 

†††

 

“Thuwey! Non riesci a trasformare le braccia e liberarti?” gridò Efrehem.

“Ci ho provato ma sono troppo rovinate e ferite…” gemette il Metallo.

“Tutti noi siamo feriti! Prova a fare uno sforzo!” protestò Mattehedike.

“Mi spiace, ma non ci riesco! Fai tu qualcosa, dato che sei tanto bravo!”.

“E cosa?!”.

“Che ne so! Usa la fantasia!”.

Kassihell chiuse gli occhi, cercando di richiamare le energie del suo elemento fra le mani ma non ci riusciva. Era troppo stanco e la sua magia era debole. Sospirò. Non poteva fare altro…ma poi l’ennesimo fulmine cadde in terra e al Fuoco venne un’idea.

“Thuwey!” gridò “Tu hai i bracciali dell’Elettricità, puoi controllarla. Riusciresti ad attirarla e mandarla da me? Falle colpire il bastone a cui sono legato, il più vicino possibile alla mia testa”.

“Posso farlo ma…a che scopo? Sei impazzito?! Morirai fulminato!”.

“Tu fallo. Fidati di me”.

Il Metallo annuì e si concentrò, tentando di dominare il potere degli oggetti proibiti. Il cielo parve rispondergli e l’elemento di quel regno sembrò quasi obbedirgli.

“Sei sicuro di ciò che fai?!” si preoccupò Hanjuly.

“Fidati” si limitò a rispondere il Fuoco.

“Per me ti sei bruciato tutti i neuroni” scosse il capo l’Aria.

“Sono affari miei. I tuoi son volati via da tempo, ma non te lo faccio pesare!”.

Un potente lampo partì e fu attirato dai bracciali di Thuwey. Il Metallo gridò e lo deviò verso Kassihell. Nel frattempo, un tuono assordante stordiva la compagnia. Il Fuoco spalancò gli occhi, mentre l’elettricità, colpendo l’asta a cui era legato, provocò una fiammata. Durò pochi istanti ma Kassihell riuscì ad interagire con il suo elemento e comandarlo. Trasformò l’elettricità in fuoco vivo e lo fece correre fino alle sue mani. Era libero. I lacci ai suoi polsi erano bruciati e l’energia delle fiamme lo stava alimentando, ristorandolo dalle fatiche e facendogli tornare la voglia di combattere. In un attimo fu in piedi, tagliando ciò che gli bloccava le caviglie con la Katana, incazzato e decisamente stufo di quella situazione spiacevole. Ignorando il fatto di essere ferito alla gamba, minacciò con convinzione le creature dell’Elettricità che si avvicinavano. Iniziò a liberare i suoi compagni, per prime le signore. Un’orda di abitanti di quel mondo accorse sul posto per impedirglielo, ma l’ira del Fuoco era una cosa difficile da controllare.

“Dannatissime bestiacce elettriche e microcefale, state lontane da me!” urlava, non provando rimorso nell’usare la Katana contro gli aggressori.

La sua energia diede nuova forza anche ad i suoi compagni che, nonostante le ferite, non erano più tanto stanchi come quando erano stati catturati ed erano desiderosi di difendersi.

Mattehedike, scalpitando impaziente non essendo ancora stato liberato, concentrò la sua carica magica cercando di percepire la roccia, suo elemento, sotto di sé. A fatica ci riuscì. Sorrise quando ciò avvenne e gridò, raccogliendo più energie possibile. Usò le parole della sua lingua, trovandole di certo più adatte del complicato e formale linguaggio di Asteria, e comandò il sottosuolo. Sussultando, la roccia gli permise di liberare il palo a cui era legato e Mattehedike si alzò in piedi, ruotando il busto ed usando la lunghissima asta come arma. Si stupì egli stesso di essere in grado di fare una cosa del genere. Avendo le braccia ferite, capì che non avrebbe avuto altro modo di combattere se non attraverso originali stratagemmi, usando la fantasia.

Efrehem, percependo anch’egli una grande ed improvvisa forza dentro di sé, parlò nella sua lingua ed attenuò la luce dei lampi, permettendo all’Oscurità di combattere ed apparentemente scomparire fra il nero del terreno e delle nubi.

Aherektess, liberato da Lehelin, sorrise quando si rese conto di poter governare il suo elemento senza sforzo. Si sollevò da terra ed iniziò a scaraventare lontano i sempre più numerosi avversari. Hanjuly, più energica che mai, sfruttò le correnti generate dall’Aria per trasmettere il gelo del suo regno a chi osava sfidarla e questi rimaneva bloccato, incapace di muoversi.

Oscurità e Metallo avevano optato per il gioco di squadra. Lei immobilizzava le creature elettriche, interferendo con la loro ombra, e lui le colpiva con le mani irte di spuntoni affilati.

Kassihell, dopo l’ennesima fiammata alla massa, propose al gruppo di allontanarsi. Sembrava che gli aggressori non finissero mai. Arrivavano a frotte, tutti armati e desiderosi di bloccarli. I sette si guardarono con cenni d’intesa e, senza parlare, non si spiegarono nemmeno loro come, diedero via ad un formidabile attacco combinato.

Efrehem modulò la luce in modo da creare ombre ben definite, che Lehelin riuscì facilmente a bloccare impedendo la fuga o l’eventuale arrivo di ulteriori creature ostili. Kassihell concentrò tutta la sua energia e creò un’onda di fuoco notevole, alimentata dalle correnti di Aherektess che la fecero crescere ulteriormente e correre veloce verso i loro avversari. Hanjuly fece mutare alcune di quelle fiamme e le trasformò in piccoli ma accuminatissimi ghiaccioli volanti. Mattehedike e Thuwey comandarono alla perfezione l’elemento che scorreva dentro di loro, modificando i loro corpi e riempiendoli di punte, spuntoni e ad altre protuberanze mortali in modo da colpire tutti coloro che si erano avvicinati troppo alla compagnia. L’effetto fu devastante. Come un’enorme onda d’urto, quella magia investì il popolo dell’Elettricità e non gli lasciò scampo. Rimase solo cenere e qualche corpo trafitto qua e là.

“E adesso direi che è meglio se spariamo il più in fretta possibile da qui…” suggerì il Metallo e nessuno obbiettò.

 

†††

 

“Come sarebbe a dire?!” sbraitò Zameknenit, quando seppe quanto era accaduto ai confini del suo regno.

Appena gli era stato comunicato l’arresto di creature estranee all’Aria, aveva avuto subito il sospetto che potessero essere i compagni di viaggio del fratello. Ricordava i loro nomi e, sentendoseli dire, li collegò immediatamente e non attese oltre: salì su un’enorme creatura piumata e decise di risolvere la cosa di persona. Sapeva che le lungaggini burocratiche avrebbero impedito un’immediata partenza delle tre prigioniere, cosa che avrebbe evitato pensandoci personalmente. Il volatile variopinto su cui volava era velocissimo, sventolando la lunga coda e la cresta al vento. Tutti nel regno sapevano che quella era la creatura ufficiale del re e ne rimasero affascinati quanto stupiti nel vederla nel cielo, soprattutto senza scorta al seguito. Nel giro di un paio d’ore era giunto alla meta ed era sceso dalla cavalcatura, con sul volto l’espressione più truce che potesse assumere.

“Chi comanda qui?” sbraitò, nella sua lingua, senza lasciare il tempo alle guardie presenti di mettersi sull’attenti e di assumere un atteggiamento decoroso.

“Vostra Maestà…” iniziò a parlare il capo di quella postazione di controllo dei confini.

“Risparmiami le sviolinature. Dammi solo un motivo valido per non spiumarti e condannarti ad un’eterna carriera da bestia da soma!” rimbeccò il re, irato come non ricordava di essere mai stato.

“Vostra Maestà…la loro storia era inverosimile e si trovavano in una zona in cui non è concesso a nessuno di accedere. Ho semplicemente fatto rispettare la legge…non potete punirmi per questo…”.

“La legge?! La legge sono io, chiaro? E se io decido una cosa, è così che dev essere, ok? Ed adesso portami dalle prigioniere, figlio dei bassifondi del mondo senziente!”.

Camminando verso la cella, Zameknenit si stupì delle sue stesse parole, chiedendosi da dove gli fossero uscite e se era stato davvero lui a pronunciarle.

“Eccole, Signore…” mormorò la guardia, a capo chino ed indicando Acqua, Terra ed Elettricità.

Erano accoccolate in un angolo, l’una vicina all’altra, spaventate dalle circostanze.

“Cosa aspettate?! Aprite questa cazzo di cella, muoversi!” urlò il re.

Venne subito accontentato. Le tre non si mossero subito e quindi fu il sovrano ad entrare.

“Spero vogliate perdonare questo increscioso incidente. Farò tutto il possibile per rimediare, ve lo posso garantire. Chiedete qualsiasi cosa…” si scusò Zameknenit, salutando le donne con un elegante baciamano ed un inchino.

“Noi eravamo qui per cercare delle erbe…” iniziò Idisi.

“Ditemi tutto ciò che vi serve e sarò lieto di farvelo avere nelle quantità che preferite”.

“E non fate male a quello che ci ha catturato. Ci ha fatto paura ma non ci ha ferito o maltrattato…” aggiunse Enki, arrossendo incrociando gli occhi blu del sovrano.

“Se desiderate questo…” mormorò, perplesso, il re.

“Fateci raggiungere al più presto il resto del gruppo! Siamo tremendamente in ritardo!” gridò Reishefy, odiando più di ogni altra cosa l’essere rinchiusa.

“Provvederò anche a questo. Nel frattempo, vi chiedo di uscire da questa cella e di darmi i nomi delle piante che vi servono”.

Le donne uscirono e la Terra pronunciò ad alta voce ciò che le serviva.

“Non avete sentito, per caso?” sbottò Zameknenit, rivolto alle guardie che erano rimaste immobili e sconcertate davanti all’improvvisa ira del loro Signore “Avanti! Muovete i vostri culi decisamente troppo pagati ed andate a prendere queste erbe, alla svelta!”.

L’ordine generò un’ondata inaspettata di panico e le guardie si sparpagliarono, tutte in cerca di ciò che gli era stato chiesto.

“Sedetevi, prego…” invitò il re, quando rimase da solo con le prigioniere “…prendete un po’ d’acqua. Cosa è successo? Perché vi siete separate dal gruppo?”.

Idisi spiegò l’accaduto, con calma, tranquillizzando il sovrano e spiegandogli che il suo gemello stava bene ed era ferito in modo molto lieve.

“Inammissibile ciò che è successo. Spero possiate davvero perdonare la mia gente” disse il Signore dell’Aria, passandosi una sigaretta fra le labbra senza accenderla.

“Siete stato fantastico con i vostri sottoposti. Così si fa!” ridacchiò Reishefy.

“Non è decisamente da me, però. Non so cosa mi sia preso…sono stato troppo severo”.

“No, affatto! Mio padre li avrebbe fatti giustiziare!” sibilò l’Elettricità “Nel mio regno non si sgarra! Seguiamo la politica dell’occhio per occhio”.

“Immaginavo che Taranis non andasse tanto per il sottile…” sorrise il re, ripensando al sovrano dell’Elettricità.

Non passò molto tempo prima che alcune guardie tornassero con le erbe richieste. Sommandole tutte assieme, la Terra si rese conto di averne fin troppe. Sorrise, avvolgendole in piccole stoffe per favorirne la conservazione. Ringraziò tutti, sorridendo. Rimase sconcertata quando vide le guardie arrossire e grattarsi la testa con imbarazzo.

“Prendete il mio destriero, se non è un problema per i vostri elementi…” iniziò il re, guardando soprattutto Idisi.

“Non mi è facile, ma è un’emergenza. Sopporterò l’altezza!” rassicurò lei.

“Bene. Allora salite, signore. Quando sarete arrivate potete scendere e la mia creatura tornerà da me per istinto, non preoccupatevene”.

“Grazie mille!” esclamò Reishefy, entusiasta all’idea di sfrecciare veloce nel cielo.

“Questo è il minimo che possa fare dopo questa inutile perdita di tempo…”.

“E voi, Signore…” s’intromise il capo dei guardiani “…come tornerete a palazzo?”.

“Tu non dovresti perdere tempo a parlare con me ma a ringraziare la tua buona stella…non prenderò provvedimenti nei tuoi confronti. Come tornerò io a palazzo sono affari puramente miei!”.

“Sissignore…grazie Signore…” chinò il capo l’alato.

“Fate buon viaggio…e ringraziate mio fratello Aherektess. Ditegli solo…che quando tornerà sarà un ottimo consigliere ed un perfetto zio”.

“Zio?” si stupì Enki.

“Diciamo che ho seguito i suoi consigli riguardanti le questioni diplomatiche eccetera…cose che spero ricordi…ed ho appreso da poco la notizia dell’allargamento della famiglia”.

“Congratulazioni. Sarete un buon padre” sorrise Idisi.

Zameknenit parve perplesso a quelle parole ma rispose al sorriso sinceramente.

“È un’anteprima…ancora non è stata data la notizia al regno” disse, mentre le tre si arrampicavano sulla creatura aiutandosi a vicenda.

“Sarà un onore per noi comunicarlo al principe Aherektess” gioì Idisi, mentre la bestia prendeva il volo di scatto e si allontanava velocemente verso il regno dell’Elettricità.

 

†††

 

“Ma da dove abbiamo ricevuto tutta quell’energia? Intendo dire…eravamo feriti eppure…avete visto come abbiamo combattuto?” si chiese Efrehem.

“Siamo stati grandi!” esclamò Thuwey, non percependo più il bruciare delle ferite.

“Indubbiamente. E lasciamo perdere il perché…” si limitò a dire il Fuoco.

“Ti do ragione. Sarà una di quelle cose che dicono nascano quando un individuo si ritrova alle strette e si deve difendere per forza. Trova energie inimmaginabili…” azzardò Hanjuly.

“Speriamo che le ragazze non si siano allarmate nel non vederci!” disse Aherektess.

“E speriamo non si siano messe a cercarci!” sbottò Mattehedike.

“Più che altro, speriamo che nessun’altro del regno dell’Elettricità ci voglia cercare! Abbiamo fatto una strage!” fece notare Aherektess, guardandosi alle spalle.

I sette si fissarono, rendendosi conto che era meglio per loro uscire alla svelta da quel regno. Si misero a correre verso il punto in cui il gruppo si era separato.

“Non dovremmo aver lasciato testimoni…” cercò di tranquillizzare la compagnia il Fuoco.

“Non ne sono sicuro. Alcuni si sono dati alla fuga e, se forniscono le nostre descrizioni a qualcuno, di certo saremo di facile individuazione!” precisò l’Aria.

“Speriamo li prendano tutti per pazzi questi testimoni…” ghignò la Roccia.

“In questo regno sono tutti pazzi, capirai…” sbottò il Metallo.

“Non ci pensiamo. Sono sicura che, quando ci saremo ricongiunti con la principessa di questo elemento, ci lasceranno in pace” parlò il Ghiaccio.

Il punto d’incontro era vicino ma ad attenderli non trovarono le loro tre compagne bensì una nutrita accozzaglia di autoctoni con un’aria decisamente poco rassicurante.

“Che facciamo?” si immobilizzò Aherektess.

“Direi che non possiamo sterminare tutto il regno…” rispose Efrehem.

“La cosa migliore è trovare Reishefy!” affermò Hanjuly.

“Benissimo. A me sta bene ma…nel frattempo che si fa?” ironizzò il Fuoco, sguainando la Katana e tenendola stretta con due mani.

“Dici che sia proprio necessario?” domandò la Luce.

“Hai un’idea migliore?” rimbeccò Kassihell.

“Salvo scappare…” iniziò Efrehem.

“…che non è possibile perché i nostri amichetti li abbiamo anche alle spalle…” lo interruppe Thuwey, iniziando a modificarsi le braccia.

“…direi che non c’è altra soluzione se non quella che propongo io!” concluse il Fuoco, ed andò all’attacco avvolgendo la sua arma di fiamme vive.

†††

 

“Non riesco a vederli!” piagnucolò Enki.

“Nemmeno io” confermò Reishefy.

“Forse hanno trovato riparo. Ho perso il conto di quanto tempo abbiamo passato nel regno dell’Aria…” cercò di calmarle la Terra.

“E se fosse successo qualcosa?” si allarmò l’Acqua.

“Un altro attacco da parte di quelle strane creature striscianti? Sarebbe terribile…” commentò l’Elettricità, guidando il grosso volatile più vicino al suolo.

La bestia però non le obbedì e prese una diversa direzione.

“Che cosa stai facendo?!” protestò lei “Fai quello che ti dico!”.

“Che cosa succede?” volle sapere Idisi, per nulla tranquilla così lontana dal suo elemento.

“Non vuole fare ciò che voglio!”.

“Mi stai dicendo che siamo in groppa ad un uccellaccio fuori controllo?!”.

“Cerchiamo di stare calme…mica stiamo precipitando!” tentò di sorridere Enki.

“Che succede laggiù?” domandò la Terra, indicando un punto non molto lontano.

Una folla di creature dell’Elettricità aveva circondato i loro compagni di viaggio per l’ennesima volta e li stavano sconfiggendo grazie alla notevole superiorità numerica. L’animale su cui volavano le tre ragazze scese, sibilando. Buona parte di quella folla si disperse nel vedere questo, allontanandosi alla velocità della luce.

“Salite, ragazzi!” ordinò la Terra.

“Non se ne parla! Preferisco morire qui!” fu la risposta della Roccia.

“Fermi tutti!” stava gridando Reishefy ai suoi popolani, sbraitando nella lingua del regno “Che cosa state facendo?! Sparite, questi sono amici miei!”.

Quelle parole dipinsero sui volti di quelle persone una tipica espressione smarrita. Com’era possibile? La principessa assieme a simili canaglie assassine?

“Se non ve ne andate subito, vi farò giustiziare da mio padre uno dopo l’altro!” continuò Reishefy e, volendo rincarare la dose, aggiunse, indicando l’Oscurità: “E suo padre, Ozymandias, di certo non vi tratterà meglio!”.

Solo sentendo la parola “Ozymandias” il popolo si disperse in preda al panico, urlando cose incomprensibili ed andando a cozzare l’uno contro l’altro.

“Cosa gli hai detto?” domandò Lehelin, avendo notato l’essere stata indicata.

“Oh, niente di che…gli ho detto chi è tuo padre!” spiegò l’Elettricità “Voi piuttosto…che avete combinato?! Sono scappati gridandovi contro che siete degli assassini e dei pazzi psicotici…”.

Fuoco e Metallo risero, riconoscendosi nella descrizione, e spiegarono a grandi linee l’accaduto, mentre Elettricità, Acqua e Terra scendevano dalla bestia di Zameknenit.

Aherektess la riconobbe e la salutò, facendole una carezza sull’enorme testa affusolata. L’animale gradì quelle attenzioni e socchiuse gli occhi. Quando fu soddisfatto, si scosse e riprese il volo per tornare dal suo amato padrone lontano.

“Come mai eravate in groppa a Bugi?” domandò l’Aria.

“Bugi?!” ridacchiò Thuwey.

“Eravamo piccoli, io e mio fratello, quando è nato dal suo uovo. Lo chiamavamo Bugirigiano, nella nostra lingua è un’evidente storpiatura della parola Burighian che vuol dire artiglio. Essendo lungo come nome…è rimasto Bugi” spiegò Aherektess, con un sorriso nostalgico.

“Che tenerezza…e, a proposito di tuo fratello…” iniziò la Terra, spiegandogli ciò che avevano passato e cosa il re dell’Aria aveva chiesto loro di riferire.

 

†††

 

“Idea geniale!”.

“Grazie, lo sapevo…”.

“E poi far arrabbiare il re in quel modo…mi devo congratulare pure con te, vecchio mio!”.

“È il mio lavoro” ghignò Kaos.

“Comunque siamo stati dei grandi!” continuò Loreatehenzi.

Avvolti in una specie di bolla sospesa, che li teneva separati dalla dimensione dei mortali, un gruppetto di divinità osservava i dieci viaggiatori da lontano.

“Certo che non è da noi interferire in questo modo…” commentò Heronìka.

“Io li ho aiutati perché mi hanno chiamato!” si giustificò Loreatehenzi.

“Un po’ grossolana come scusa, ma può andare…noi perché lo facciamo? Perché li aiutiamo?” si domandò Xoduzz.

Enrikiran alzò le spalle, senza dire niente.

“Come perché?! Perché siamo i migliori!” ridacchiò qualcuno saltellando.

“A chi tocca adesso? Chi è il prossimo a cui andranno a rompere le palle?” volle sapere Kaos.

“Io sono la prossima divinità…ed a questo proposito dovrei assentarmi da voi, ragazzi. Non posso certo lasciare il mio luogo proibito incustodito…”.

“Ci sentiamo dopo!” lo salutò Loreatehenzi.

“Comunque…prima l’intervento dell’Aria, poi l’idea di donare la nostra forza per farli liberare, la rabbia del re per accelerare le cose, la deviazione del volo della creatura di Zameknenit…geniali…” iniziò Xoduzz, Dio dell’Elettricità.

“E tu che hai dato la possibilità alla Luce di controllare i lampi! Da solo non avrebbe potuto far nulla!” continuò il Dio dell’Aria, svolazzando.

“Abbiamo fatto gioco di squadra, per la prima volta in millenni di vita…non è tanto male, in fondo! Manca solamente una divinità del regno…” sorrise la Dea Heronìka.

“Soprattutto tu, Kaos…mi hai stupito davvero! Non mi aspettavo da te molte cose!” commentò la divinità del regno del Fuoco.

“Senza la rabbia di Zameknenit, mia idea, quelle tre mortali sarebbero ancora avvolte dalla burocrazia pallosa che regolano i vostri noiosi regni…” s’inorgoglì il Dio dell’Oscurità.

“Perché? Nel regno che governi non ci sono regole?” si stupì la divinità della Terra.

“Certo che no! Io sono Kaos e, che Kaos, i miei sottoposti non possono avere regole!”.

“Che caso…” ironizzò Xoduzz.

“Non esiste il caso, solo il Kaos!” rise il Dio Oscuro, con viva soddisfazione.

“Non perdiamoci in queste disquisizioni morali, ragazzi. Non possiamo mica rimetterci a litigare!” cercò di intervenire Heronìka.

“Perché? È così divertente!” parlò la divinità saltellante di prima.

“Chi scommettete che sarà il prossimo? Chi sceglierà la divinità che presiede il luogo proibito successivo? O chi ci verrà buttato dentro con la forza?” iniziò la Terra.

Il Ghiaccio alzò di nuovo le spalle, fingendo distacco dalla cosa.

Il Metallo azzardò una risposta prima di tutti gli altri.

“Staremo a vedere. Qualcuno ha qualcosa da sgranocchiare?” si sentì dire, mentre sotto di loro la compagnia dei dieci aveva ripreso il cammino a grande velocità.

 

†††

 

“Fermati! Fatti abbracciare!” urlava Reishefy.

“Scordatelo! Abbracciati da sola!” urlava di risposta Kassihell, correndo.

“Thuwey!” insistette lei.

“Stai lontana da me!” rimbeccò il Metallo, correndo più veloce del Fuoco.

“Che bello…siamo di nuovo tutti assieme!” si commosse la Terra, felice anche del fatto che la compagnia si era ripresa dalle ferite e non necessitava dell’uso delle erbe.

Previdentemente, le conservò nella speranza di non doverle usare.

 

“Voglio vederci chiaro…” iniziò l’Elettricità, dopo aver ricevuto il tanto agognato abbraccio dai suoi compagni di viaggio “Perché vi hanno attaccato quelli della mia gente? Cosa volevano?”.

“Ci hanno urlato contro molte cose, ma noi non le capivamo” spiegò Hanjuly.

“Non ricordate qualche parola in particolare?” insistette Reishefy.

Il Metallo ne ricordava una e la ripeté. La principessa di quel regno gli spiegò che era un insulto. Thuwey confessò di non ricordare altro salvo quella parola, che precedeva le sprangate che gli tiravano per fargli dire chissà che cosa.

“Forse io posso aiutarvi…” parlò Efrehem.

Avendo una forte dimestichezza con le lingue, ricordava molte delle parole che erano state pronunciate, pur non capendole, e le riferì. L’Elettricità ascoltò in silenzio, annuendo e poi spiegò.

“Dalle parole che mi hai detto avevano di certo un vocabolario piuttosto scarso e, se non sapevano la lingua di Asteria, vivevano in quei pochi villaggi in cui le leggi di mio padre, che prevedono l’obbligo di impararla, non sono molto seguite. Ai loro occhi siete stati visti come degli esseri misteriosi e minacciosi. Vedendo poi i bracciali proibiti ai polsi di Thuwey…”.

“Come sapevano dell’aspetto degli oggetti proibiti?” interruppe la Luce.

“Non lo sapevano, probabilmente. Ma circolano molte leggende a riguardo e, forse, notando come assorbono l’elettricità, avranno collegato. Volevano sapere da dove venissero quelle cose magiche e da dove veniste voi, strane creature. Non ricevendo risposta, hanno pensato che foste delle spie provenienti da regni avversi e che foste lì per fare chissà che cosa…”.

“Un branco di coglioni, insomma” tagliò corto il Fuoco.

“Sono certa che anche nel tuo regno c’è gente così!” protestò l’Elettricità.

Kassihell non rispose ed incitò il gruppo a proseguire la marcia.

“Chiedo scusa per ciò che vi è capitato. Quando tutto questo finirà, parlerò personalmente con mio padre e vedrò di risolvere ogni cosa”.

“Non pensiamoci più. Andiamo via da qui” concluse Thuwey, quasi sorridendo.

 

Il gruppo attraversò in fretta quel regno, soprattutto dopo aver visto dei volantini con le loro facce e la scritta “Ricercati” sotto. Quando davanti a loro apparve il muro luminoso del regno di Efrehem, tirarono tutti un sospiro di sollievo.

“A quanto pare, ora comando io” disse la Luce, sorridendo con calma e girando le antenne rosse all’indietro, quasi con orgoglio.

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Capitolo 9
*** IX- Luce ***


IX

“Dove sono?”.

“Nel regno dell’Aria”.

“Di già?”.

“Pare stiano entrando nella grande biblioteca della capitale”.

“A che scopo?”.

“Non me lo chiedere. Riesco a visualizzarli, non a leggere nelle loro menti!”.

Si guardarono, sospirando.

“Dobbiamo fermarli. Ne va della nostra stessa vita…”.

“Merda!” entrò, urlando, una piccola creatura incappucciata.

“Calmati, Anyram…”.

“Avete visto?! Io e Setiram eravamo così vicine alla vittoria…ma gli Dèi ci hanno messo le loro zampacce ed hanno rovinato tutto!”.

“Abbiamo visto…”.

“Bastava così poco…ancora qualche istante senza il loro intervento e quei dieci deficienti non avrebbero potuto più far nulla!”.

“Ci saranno altre occasioni…”.

“Mi stupisco della tua calma, Semar. Come mezza creatura di Fuoco, solitamente sei molto più irascibile. A cosa dobbiamo tutta questa calma?”.

“Calma?! Ma quale calma! Continua a tenerli d’occhio, Aseret. Voglio essere informato su ogni loro movimento. Dove sono quegli psicotici dei gemelli? E richiamate Ailil, Arual, Roary e tutti gli altri. Se quei dieci hanno imparato a giocare di squadra, allora è il momento di fare lo stesso!”.

Semar uscì dalla stanza sbattendo la porta. Il pavimento scricchiolò sotto i suoi piedi. Ignorò la cosa e decise che quella vecchia casa abbandonata avrebbe retto ancora a lungo la presenza di quel nutrito gruppo di mezzosangue. Lui era una creatura mista fra Fuoco e Roccia. Connubio interessante che lo portava a non pochi problemi di personalità fra la calma della Roccia e la rabbia del Fuoco. Ma sapeva che certi guai mentali erano molto comuni fra quelli come lui.

Incrociò Araik, l’insieme di aria ed acqua, Ocram che univa Terra ed Oscurità, Salokin ed Eneri, i fratelli di Luce e Ghiaccio…li salutò e diede loro ordine di ritrovarsi nel salone sotterraneo il più presto possibile.

“Neziar, amico mio, sai dove sono i gemelli?” domandò a quello che era considerato il più anziano dei sanguemisto.

Incrociato fra Metallo ed Elettricità, aveva capelli lunghissimi e bianchi. Fissò Semar e gli sorrise, con il tipico ghigno leggermente inquietante delle creature del Metallo.

“Kire è in giardino con Anyram…” parlò, con voce profonda “…immagino che anche l’altro psicofolle sia da quelle parti”.

“Grazie. Ci vediamo nel salone fra massimo venti minuti”.

Kire ed il suo gemello erano considerati i capi di quella specie di organizzazione clandestina. Un po’ perché erano stati loro a crearla, ed un po’ perché la loro follia era piuttosto produttiva. Riuscivano sempre ad escogitare nuove idee, riunendo in sé i lati migliori di Fuoco e Metallo.

“Semar…mi cercavi?” domandò Kire, non appena questi mise piede in giardino.

“Sì. Abbiamo dei problemi con quei dieci scocciatori che tentano di salvare il Mondo”.

“Che genere di problemi?”.

“A quanto pare, gli Dèi stessi li stanno aiutando”.

“Come sarebbe? Non fanno mai un cazzo e si mettono a lavorare quando non serve?! Ma se credono di spaventarci…convoca una riunione generale! Vi voglio tutti nel salone fra…”.

“Già fatto”.

“Perfetto. È stato avvisato mio fratello?”.

“Non ancora. Non sono riuscito a trovarlo”.

“So io dov’è. Ci penso io. Ci vediamo nel salone fra dieci minuti”.

Semar andò verso il salone e Kire si incamminò lungo il giardino, dove si ergeva un enorme albero, una volta rigoglioso e verde, ora malaticcio e quasi del tutto secco. Con occhi rosso fuoco ed il cappuccio scuro ben calcato in testa, Kire si stupì di non trovarci accanto il gemello. Stava per controllare l’unico lato di quella pianta che non riusciva a vedere, quando udì un ringhio sommesso alle sue spalle. Rizzò le orecchie a punta e mutò le sue braccia, facendole divenire due spade. Si apprestò a voltarsi e colpire quando l’enorme bestia lo atterrò, immobilizzandolo con solo l’uso di una delle sue grosse zampe. Ringhiando, con occhi color del sangue e zanne affilate, fissava Kire con un’aria decisamente poco rassicurante. Allungò il muso e l’atterrato chiuse gli occhi, rimproverandosi e ripetendosi che stava per morire in un modo davvero stupido. Sentiva il fiato caldo di quell’animale sul viso e già si aspettava di percepire il dolore di un morso, ma non avvenne nulla di tutto questo. La bestia, dal lungo pelo nero, lo leccò. Kire spalancò gli occhi dallo stupore e dalla rabbia, perché aveva udito chiaramente l’inconfondibile risata psicotica del fratello.

“Deficiente!” gli urlò contro.

“Coglione!” gli rispose l’altro.

Era a cavalcioni su quella creatura enorme e muscolosa, col cappuccio rosso che ne mostrava solo il largo sorriso sadico e decisamente soddisfatto.

“Dove lo hai trovato questo…coso?” domandò Kire.

“Non è un coso! È Orebrec, non te lo ricordi?”.

“Quel cucciolotto spelacchiato è diventato questo mostro omicida?!”.

“Sì. Non è bellissimo? Dai…alzati! Perché mi cercavi?”.

“Cosa gli hai dato da mangiare?”.

“Quanto sei noioso! Non sono stato io a farlo diventare così, ma è stato il pianeta stesso a volerlo. Asteria…questa grossa biglia appuntata nell’immenso universo che si sta sgretolando dall’interno, pezzo dopo pezzo. Riesco a percepirlo. Guarda questo albero…è come il nostro Mondo. Cerca di mandare un messaggio, ma non viene colto. È il cuore pulsante del Mondo a lanciare i suoi segnali a chi lo popola, ma quasi nessuno è disposto ad ascoltarlo. Io lo sento e batte sempre più piano. Fino a quando…BUM! Un mega infarto ed Asteria morirà! E noi tutti con lei!”.

“E la cosa ti mette di buon umore, Elehcim?”.

“E sai qual è la cosa buffa? Che la colpa è soltanto nostra”.

“Vuoi fare un brindisi alla fine del pianeta?”.

“BUM!”.

I due gemelli, identici salvo per il fatto che Kire aveva lasciato crescere i capelli, si sorrisero.

“Vieni ad illustrare le tue visioni catastrofiche davanti a tutti nel salone” disse Kire.

Elehcim scese da Orebrec, lasciandolo libero di correre per il prato, e seguì il fratello senza parlare.

 

Sotterraneo per rimanere celato ad occhi indiscreti, il salone era collegato ad altri punti di aggregazione tramite cunicoli e tunnel segreti. Così facendo, i sanguemisto di tutto il pianeta avevano modo di incontrarsi. Quella sala era stata costruita di recente con la collaborazione dell’intero gruppo. Aveva volte in pietra, complicati sistemi di aereazione, numerose vie di fuga, armi nascoste di vario genere e libri di ogni tipo, provenienti da tutti i regni.

Disposti in modo da formare un cerchio, i sanguemisto tolsero i cappucci, sicuri che in quel luogo fossero al sicuro e ben lontani da sguardi non voluti. Iniziarono a salutarsi con entusiasmo.

“Hei, Elehcim! Come va?” gridò Setiram, una buffa creatura dai capelli scuri e la risata facile.

“Non mi toccare” si limitò a ringhiare lui.

“Sei di cattivo umore oggi?”.

“No!”.

“Ah…sei così normalmente?”.

“E lo hai capito adesso?”.

Elehcim prese posto di fronte al gemello e non disse altro, incrociando le braccia.

“Benvenuti, fratelli…” iniziò a parlare Semar, che con la sua parlantina era spesso colui che esponeva le questioni ed i problemi.

“…immagino che la maggior parte di voi sia al corrente dell’attuale svolgimento di una certa missione attorno ad Asteria da parte di un piccolo gruppetto di "normali". Scopo di questa missione è portare a termine un’evocazione. Evocando la Creatrice, loro mirano a distruggerci, dando la colpa dei guai del Mondo esclusivamente a noi. Di certo non possiamo permetterlo e, fin ora, abbiamo tentato vari espedienti per far fallire tutti i loro intenti. Tuttavia questa cosa si è dimostrata più difficile del previsto e di recente abbiamo appreso che perfino le divinità stanno dalla loro parte. Urge un lavoro di squadra, un’idea che impedisca a quei dieci esseri di arrivare alla fine del loro viaggio salvifico”.

“Ma che possiamo fare noi, se gli Dèi stessi sono dalla loro parte?” domandò Aseret, una ragazza per metà creatura della Luce e per metà della Terra.

“In effetti…ci aspettavamo che almeno Kaos fosse dalla nostra parte…” commentò Kire.

“Dunque…cosa proponi?” parlò Semar, guardando Kire.

“Scaricabarile” gli sibilò contro lui, con un mezzo sorriso.

Dopodiché si alzò in piedi, accrescendo la sua voce quel che bastava per sormontare tutte le altre.

“Fratelli…” iniziò “…noi siamo sempre stati una grande famiglia. A differenza di quei dieci là fuori, noi, qua sotto, siamo uniti ed agiamo come un’unica, grande, forza. Io dico che poco importa se gli Dèi stessi non ci vogliono, se il pianeta ci rifiuta e se solo in questo gruppo ci sentiamo accettati e liberi. Molte delle creature come noi muoiono appena nate perché vengono uccise…avete mai pensato a quanti di più potremmo essere se ciò non avvenisse? Noi siamo fortunati ad essere qui. Siamo fortunati perché ci hanno lasciato restare in vita…”.

“Fortunati?!” interruppe Elehcim “Io non la definirei fortuna. La definirei debolezza da parte di chi ci ha messi al mondo, che vedendoci non ha avuto la forza di porre fine alla nostra esistenza. Non guardate con tenerezza questo gesto, però, perché vi ricordo che nessuno di noi è stato accolto da coloro che possiedono metà del nostro corredo genetico. Essi ci hanno generato, senza pensare, e poi ci hanno gettato via, ripudiandoci. La fortuna, semmai, è stata quella di trovare qualcuno che si è preso cura di noi quando eravamo piccoli. Nel nostro caso, fratello, è stato Neziar a prenderci con sé e siamo in vita grazie a lui. La fortuna, se fortuna la si può definire, è che esistono altre creature come noi disposte ad impedire che altre ne muoiano”.

Kire non riuscì a ribattere.

“Cosa pensi di fare, dunque?” domandò, dopo un po’.

“Hai detto tu stesso che il gruppo è la nostra forza. Sono certo che fra quel tale Kassihell ed il suo amichetto Aherektess ci sono ancora molte questioni irrisolte…”.

“Proponi di seminar zizzania, se mi concedi il termine?” sorrise Neziar.

“Direi che quello sarà il primo passo…”.

“Come?” domandò Kire “E poi? Che facciamo?”.

“Usa la fantasia!”.

“E non potremmo attaccarli direttamente?” propose Anyram.

“No. Non ancora, perlomeno” rispose Neziar “Loro hanno un potente attacco combinato e finché vanno d’amore e d’accordo non possiamo batterli. Inoltre non siamo ancora sufficientemente organizzati e voi siete a conoscenza del pericolo che corriamo nell’esporci fra gli abitanti di Asteria. Io propongo di attuare ancora qualche azione diversiva e, nel frattempo, prepararci all’attacco. Ma ritengo debba essere l’ultima spiaggia, per così dire. Meglio non correre rischi inutili, specie se loro hanno la benevolenza degli Dèi a proteggerli”.

“Dannati Dèi…” sibilò qualcuno.

“Se solo uno di loro fosse dalla parte nostra…” gemette qualcun altro.

“Ma di che vi stupite?!” sbottò Kire “Mai nessuno è stato dalla parte nostra, mortale o Dio che sia! Ci arrangeremo, come sempre, e vinceremo…”.

“Quanto ottimismo…” ghignò il gemello.

“Almeno uno dei due ne deve avere un po’, no?”.

“Non necessariamente…”.

“Che hai in mente, Elehcim?”.

“Ho bisogno dell’aiuto di Roary…” iniziò a spiegare.

“Cosa?!” protestò lei “Non se ne parla. Io non ci voglio stare vicino a te, piuttosto Semar!”.

“Abbiamo appena finito di dire che la nostra forza è il gruppo…” ridacchiò Arual.

Elehcim sospirò.

“Senti…Roary…” mormorò, fingendo calma “…io non piaccio a te e tu non piaci a me, ma…”.

“Non è vero che tu non mi piaci. È che non ti sopporto, tutto qua”.

“Guarda che solo a me è concesso tormentarla, sai?” specificò Semar, sorridendo.

“Allora arrangiatevi da soli, e che cazzo!” sbottò il gemello dai capelli corti e girò la sedia.

“Finitela di fare i bambini!” li rimproverò Aseret.

“Giusto! Roary, mi spiace ma ti tocca collaborare” confermò Kire.

“Che palle…” protestò la ragazza “Però non mi siedo vicino a te!”.

“Ma chi te lo ha chiesto?! Siediti dove ti pare…chissenefrega!” sbottò Elehcim, girando di nuovo sulla sedia con le ruote.

“La pianti di fare la trottola?” lo rimproverò Kire.

“E voi la piantate di rompermi tutti quanti le palle?! Mi lasciate spiegare quel che ho in mente o no? Altrimenti ditemelo e me ne vado, mica mi faccio problemi! Tanto Asteria sta morendo, siamo condannati comunque…evocazione o non evocazione!” ribatté il gemello, con le iridi ormai del tutto rosso sangue.

“Parla…” sospirò Roary, rassegnata.

“Tu sei una creatura per metà della Luce e per metà dell’Oscurità. Conosci bene il regno di quel piccoletto, Efrehem, e so che non avresti problemi ad intrufolarti nella biblioteca”.

“No, non avrei problemi…”.

“Perciò, se io ti dessi un libro da far trovare all’allegra compagnia, non dovresti incontrare difficoltà di alcun tipo, unendo il tuo aspetto di creatura della Luce con le doti d’incantatrice dell’Oscurità…”.

Roary mosse leggermente in avanti le antenne, cercando di capire quanto sarcastici fossero quei complimenti, ma le parvero abbastanza sinceri da accettarli.

“Quindi?” incalzò, dopo un po’.

“Quindi ciò che ho in mente è fare in modo che la guerra fra Fuoco ed Aria ritorni nella mente di quell’allegra combriccola. Il libro a cui sto pensando è stato scritto nel regno dell’Aria ed è spudoratamente di parte. Sono certo che Kassihell non resisterà nel sentire simili versioni della realtà che lui conosce in modo ben diverso”.

“Facendoli litigare, il gruppo avrà seri problemi, come all’inizio del viaggio. Rallenteranno la marcia e, se gli scontri si faranno più aspri…chissà fino a dove si spingeranno! Se li separiamo, saranno più deboli” sorrise Kire.

“Non è una soluzione definitiva. Ma credo che, ora come ora, dividere la forza della compagnia sia fondamentale. Abbiamo visto come sono stati in grado di fare gioco di squadra con la farfalla nel regno del Ghiaccio, con le creature dell’Elettricità, la tempesta in mare…tutti piani che abbiamo escogitato noi, ma che non hanno ottenuto il risultato sperato” precisò Elehcim.

“Ok. La storia del libro mi piace. Teniamoci pronte idee alternative” concluse Kire.

“Conta pure su di me, fratello, per quanto riguarda un’eventuale battaglia. E concedimi terreno libero nel regno del Fuoco e del Metallo. Lì sai che posso dare il meglio di me, ed ho già alcune cosette in mente per la separazione definitiva”.

“Hai carta bianca. Nel frattempo noi tutti ci prepareremo ad escogitare dell’altro. I dieci sono già nella biblioteca, sbrigatevi ad attuare il vostro piano”.

Roary ed Elehcim uscirono, lei sbuffando e lui ghignando soddisfatto, mentre gli altri rimasero seduti, in cerchio, ed iniziarono ad architettare altre interferenze alla missione.

 

†††

 

“Mi spiace, signori, ma con le armi non posso farvi entrare in biblioteca”.

“Stiamo scherzando?! Io la mia Katana non te la lascio!” protestò Kassihell, guardando in modo decisamente minaccioso quella creatura della Luce che gli impediva l’accesso.

“In questo caso, devo chiedervi di restare fuori. Tutti coloro che rifiutano di consegnare le loro armi non possono entrare”.

“È una follia! Cosa crede che ci facciamo con le armi in una biblioteca? Tagliamo libri?” si unì alla protesta Aherektess.

“Appunto, signori. Che ve ne fate delle armi nella biblioteca? Potete lasciarle qui”.

“E Thuwey allora? È un’arma vivente!” insistette il Fuoco.

“Oh, non c’è problema! Io me ne sto fuori più che volentieri!” esclamò il Metallo.

“Su, ragazzi…è solo per qualche ora. Consegnate i vostri giocattoli ed andiamo!” parlò Idisi, dando l’esempio e separandosi dal suo remo pieno di punte.

Sbuffando, tutti i membri della compagnia si arresero e fecero altrettanto, tranne Mattehedike al quale fu concesso di tenere con sé l’oggetto proibito.

Thuwey sorrise e non entrò, trovando piuttosto noioso un intero giorno passato in biblioteca.

“Ripetimi perché siamo qui…” sibilò il Fuoco ad Efrehem, mostrando tutto il suo disappunto nell’essere stato separato dalla sua adorata spada.

“Ho bisogno di alcune delucidazioni sul libro che ci ha affidato il Signore dell’Ovest. Non ci vorrà molto, so bene a chi fare certe domande”.

“Me lo auguro perché, se tutto questo è una perdita di tempo, io…”.

“Per favore, Kassihell! Non fare il bambino!” lo zittì Hanjuly.

La compagnia attraversò il corridoio, delimitato da grosse colonne bianche, con ammirazione. I soffitti e le pareti erano riccamente decorati e si udiva una musica meravigliosa, un canto in stile gregoriano così profondo che fece rabbrividire più di qualcuno.

“Come mai sono tutti incappucciati?” domandò Enki, notando che tutte le creature della Luce che incrociavano erano avvolti in una lunga veste, con il volto coperto da un pesante cappuccio.

“Sono monaci. Sono votati alla conoscenza ed allo studio” spiegò Efrehem.

“Che noia…” non riuscì a fare a meno di commentare Reishefy.

“E come mai sono di colori diversi?” continuò Enki.

“Sono di gradi diversi. Dai novizi agli anziani ci sono differenti colori. I novizi, quelli che sono ancora al di fuori dell’ordine e si avvicinano a questa nuova realtà, sono neri o blu oltremare, dipende dalla loro età. Gli allievi, una volta effettuato il rito in cui entrano ufficialmente a far parte dei monaci, hanno per colore il verde scuro e per ogni anno d’apprendistato la tunica si schiarisce fino a divenire verde chiaro. Il giallo è per chi ha terminato l’apprendistato. Rosso è per i maestri. Bianco per gli anziani ed infine l’oro è il vestito del capo dell’ordine”.

“Ma sono tutti uomini?” domandò Aherektess, guardandosi attorno.

“No. Sono ammesse anche le donne e ce ne sono più di quante tu creda. Il capo, attualmente, è una donna. Ero stato molto attratto da questo ordine, anni fa, ma poi tutti mi hanno fatto notare la faccenda del principe ereditario e quindi ne son rimasto fuori. Se avrò dei figli, mi piacerebbe che almeno uno di loro seguisse questa strada…”.

Kassihell lo fissò in modo strano e non volle nemmeno immaginare come potesse essere una vita intera passata solo a leggere e cantare canzoni agli Dèi. Rabbrividì e socchiuse gli occhi. In quella biblioteca c’era un’immensa luce ed un silenzio inquietante.

“Aspettatemi qui. Io torno il prima possibile” sussurrò Efrehem, mentre i suoi compagni si sedevano attorno ad un tavolino di cristallo.

“Potete leggere…” aggiunse “…non vi tagliano le mani se prendete su un libro!”.

Idisi trovò l’idea interessante ed iniziò a vagare per gli scaffali per vedere cosa c’era. Anche Kassihell ed Aherektess fecero lo stesso, più che altro per non restare fermi inutilmente. Reishefy e Mattehedike sbuffarono. Enki ed Hanjuly trovarono un bel volume che parlava dei loro regni e lo sfogliarono assieme. Lehelin, stordita ed indebolita da tutta quella luce, rimase in silenzio, raggomitolata su se stessa sulla sedia, con le pupille sottilissime e le dimensioni sempre più ridotte.

 

“Buongiorno, maestro” salutò l’incappucciato all’ingresso, lasciandolo entrare nella biblioteca.

“Sì, sì…” si limitò a rispondere quello con la tunica rossa.

“Potevi essere un pochino più gentile…” sbottò la ragazza con la veste blu scuro che gli camminava accanto, stringendo un libro fra le mani.

“Zitta adepta e lasciami lavorare!” ghignò lui.

“E dovevi proprio mettere gli occhiali scuri? Le creature della Luce non usano cose del genere!”.

“Beh io sì. E poi non vorrai mica che notino i miei occhi rossi? Cammina, sono già arrivati. Dobbiamo agire in fretta”.

“Lascia fare a me”.

“Ovvio! Io ho avuto l’idea e tocca a te attuarla! Non dovrò mica fare tutto io…”.

“Ma perché sei venuto anche tu? Potevo cavarmela benissimo da sola!”.

“Perché non mi fido di te. Preferisco tenerti sott’occhio”.

“Tu non ti fidi di nessuno!”.

“Questo è ovvio”.

“Un uomo, un sorriso” ironizzò lei, girando gli occhi verso il cielo.

Entrarono nel salone principale, rimanendo un po’ storditi da tutta quella luce.

“Muoviti, Elehcim! Non far notare a tutti che sei mezzo accecato!”.

“Vedi perché mi son messo gli occhiali scuri? Tocca a te adesso. Io ti aspetto qui”.

“Ricordati che senza le mie doti d’incantatrice non puoi ingannare alcunché, perciò vedi di non farti beccare! Qui hanno tutti le antenne…ti noterebbero subito!”.

L’incappucciato in rosso sedette e guardò Roary scomparire fra gli scaffali. Incrociò le braccia ed attese, chiedendosi se quel volume avrebbe avuto gli effetti sperati.

 

“Incredibile quanti libri ci siano in questa biblioteca. E moltissimi sono in doppia copia, in lingua originale e nel linguaggio di Asteria” commentò Idisi, sfogliandone un paio con curiosità.

“Dici che quel pazzo di Efrehem se li sia letti tutti?” ipotizzò Aherektess.

“Sicuramente. Di certo non aveva altro di meglio da fare, come principe ereditario” rispose Kassihell, notando gli sguardi incuriositi degli abitanti del luogo.

Che strane creature dovevano sembrare ai loro occhi…

“Piuttosto che perda tempo a progettare guerre, è meglio che legga, non trovi?” mormorò la Terra.

“Cosa intendi insinuare con questo?” sibilò il Fuoco.

“Niente…”.

“Scusate…” parlò una voce femminile alle spalle dei tre.

Si girarono e davanti a loro videro una donna incappucciata di blu scuro che fissava Aherektess.

“Voi siete i principi dell’Aria e del Fuoco?” domandò.

“In persona. E tu chi sei?” rispose Aherektess.

“Una giovane allieva. Ho appena finito di leggere questo libro interessantissimo sulla guerra che ha colpito le vostre nazioni vent’anni fa e ne sono rimasta colpita, affascinata…e turbata! Vedervi così vicini, a parlare assieme, quasi andando d’accordo…è così strano. Scusate, forse non sono affari miei…”.

“Infatti. Fammi vedere quel libro” ordinò Kassihell.

Roary glielo porse ed il Fuoco lo sfogliò distrattamente. Spalancò gli occhi davanti a certe affermazioni e storse il naso.

“Chi ha scritto questa porcheria? Qui sembra che noi del Fuoco siamo dei mostri sanguinari mentre invece quelli dell’Aria sono dei santi!” protestò.

“Dai qua!” esclamò Aherektess, strappandoglielo dalle mani ed iniziando a leggere.

“Ciò che vedo, rispecchia quel che io ho vissuto” commentò, dopo un po’.

“Lì non sono riportati tutti gli attacchi che voi avete fatto a noi, tutti i morti innocenti fra la nostra gente che avete colpito ingiustamente e…”.

“Erano creature del Fuoco. Che fossero innocenti è fuori discussione. Senza parlare delle migliaia di vittime che avete provocato voi con i vostri attacchi insensati!”.

“Mai un nostro attacco fu insensato! Sono le tue risposte ad essere insensate!”.

“Ragazzi…abbassate la voce! Siamo in una biblioteca!” tentò di calmarli Idisi.

“Zitta tu, non ti intromettere! È ora di chiarire la faccenda…” ringhiò Kassihell.

“Che cazzo succede?” sibilò Hanjuly, sentendo le grida dei suoi compagni di viaggio.

“Era da un po’ che non litigavano…” sospirò Enki.

“Una rissa! Di nuovo! Bello!” ridacchiò Reishefy e si alzò per raggiungere i litiganti.

“Lo sai perché io porto il nome di Kassihell, cioè Angelo della Morte?” ringhiava il Fuoco.

“E tu sai perché ho gli occhi di colore rosso?” rispose, accigliato, Aherektess.

“Mi sa che questa volta fanno sul serio…” si preoccupò il Ghiaccio, quando notò l’aspetto dei suoi colleghi d’avventura.

Il principe dell’Aria si era avvolto in una specie di bolla di vento che lo teneva sospeso da terra ed i lunghi capelli blu gli si arricciavano come un tornado. Kassihell, con gli occhi infuocati, ringhiava con sempre più fiamme lungo il corpo ed i capelli sparati in guizzi incontrollati.

“Adesso basta! Calmatevi!” alzò la voce Idisi, incrociando le braccia e mettendosi fra i due litiganti.

“Stai zitta!” urlarono, in coro, Aria e Fuoco con rabbia.

Seguì un interminabile silenzio, in cui la Terra si sforzò di rimanere calma. Chiuse gli occhi ed iniziò a respirare lentamente ma non servì. Serrò i pugni e si morse il labbro, prima di mostrare quanto potesse essere temibile una del suo elemento con le palle girate.

“Come vi permettete di parlarmi in questo modo, brutti deficienti?” urlò “Guardate che me ne frego se siete principini o futuri re! Sono stanca di voi! Piantatela di litigare! State zitti!”.

“Non credi che sia il caso di andarsene?” suggerì Roary ad Elehcim.

“No, perché? Uno spettacolo del genere non me lo voglio perdere…” rispose lui, con i piedi sul tavolo e masticando una gomma.

“Ma potrebbe notarci qualcuno…”.

“Chi vuoi che ci noti in mezzo ad una rissa del genere?!”.

In effetti, l’attenzione di tutto il popolo della Luce presente era concentrata su Kassihell ed Aherektess.

“Sai perché io mi chiamo Kassihell, Angelo della Morte? Certe storie non vengono riportare sui libri pieni di pillole indorate della tua gente. Mi è stato dato quel nome perché, di tutti i bambini nati a palazzo quel giorno o poco prima, sono rimasto in vita solo io! Il giorno tredici del quarto incontro degli sposi del cielo, di trentasei anni fa, voi dell’Aria avete attaccato il mio regno provocando un violento tornado. Non so per quale assurdo caso, l’edificio in cui stavo, assieme a tutti gli altri bimbi nati quel giorno, è crollato lasciando quasi del tutto illeso solamente me. La mia sorella maggiore è morta quella sera, nel crollo. All’interno del palazzo imperiale c’era una casa in cui tutti i figli della famiglia reale, dei servi e dei consiglieri di mio padre potevano stare. E l’Aria sapeva che lì c’erano solo bambini! Ha attaccato volutamente quello stabile, probabilmente alla notizia della mia nascita. Ora, al posto di quella casa, è stato piantato un albero che fa fiori rossi come il sangue. Sangue di innocenti! Questo i tuoi libri non te lo raccontano”.

“Sono tutte balle!” sibilò Aherektess.

“Non è vero. Sono tutte cose che ho trovato su quest’altro volume!” interruppe Reishefy “Scusate ma…mi incuriosiva troppo un libro di guerra!”.

“E quello da dove è saltato fuori? È sempre del nostro archivio personale, mi sembra” domandò Elehcim, osservando il volume fra le mani dell’Elettricità.

“Semar avrà voluto rincarare la dose” sorrise Roary.

“Un genio…” ghignò l’incappucciato di rosso, ignorando alcuni ragazzini che lo credevano un maestro della loro etnia e che chiedevano dei consigli.

“Anche voi avete attaccato dei bambini! Avevo dieci anni quando avete distrutto ogni cosa! Ricordo che stavo giocando con i miei fratelli e le mie sorelle. Mio padre aveva numerose compagne e numerosi figli ed a quel tempo eravamo davvero in tanti. Si è sentita una sirena d’allarme. Ci attaccano! Abbiamo sentito gridare dai piani inferiori. Non avete esitato ed avete attaccato quella torre in cui noi, figli dei regnanti, stavamo sempre. È scoppiato un incendio. Eravamo in trappola. Ricordo che è crollato il sostegno che reggeva le tende, completamente in fiamme, e mi ha immobilizzato. Sentivo i miei fratelli piangere poi più nulla. Mi sono svegliato vent’anni dopo! Ed i miei occhi non erano più verde scuro, come quelli di mia madre, ma rossi come il sangue. Solo io e Zameknenit ci siamo salvati quel giorno, non so ancora per quale strano scherzo del destino. Quando ho riaperto gli occhi, guardando mio fratello, ho compreso quanto tutto fosse cambiato. Lui era re ed io…non avrei mai più potuto rivedere i miei genitori! Mia madre non è riuscita mai a riprendersi da quel giorno ed è morta lentamente, incapace di rialzare la testa, e mio padre è stato ucciso dai tuoi soldati in battaglia in una guerra che voi, impero del Fuoco, avete voluto!”.

“Fate schifo entrambi, in poche parole…” storse il naso Enki, pensando a tutte quelle vite buttate via senza motivo.

“Ma…come facevano i rispettivi popoli a sapere dove fossero i luoghi in cui stavano i bambini? E perché attaccare proprio i piccoli?” domandò Hanjuly.

“Thuwey la definirebbe "strategia militare". Indebolire il nemico dall’interno…” parlò la Roccia.

“Sapevamo dov’erano perché, fortunatamente, avevamo un alleato” spiegò il Fuoco “Altrimenti saremmo stati annientati da questi pazzi!”.

“Non dire stronzate! I pazzi siete voi!” urlò Aherektess “Fortunatamente anche noi avevamo un popolo amico che ci aiutava, imbrogliandovi”.

La compagnia si guardò negli occhi, tentando di capire a quali alleati si riferissero.

“Imbrogliandoci?!” ringhiò Kassihell “Come osi dire che noi siamo stati imbrogliati?”.

“Perché è così!”.

“E se ti dicessi che gli imbrogliati siete stati voi?”.

“Ti riderei in faccia!”.

Stanco di tutti quei discorsi, Kassihell riunì la magia fra le mani e la incendiò, creando due grosse palle di fuoco. Le creature della Luce urlarono davanti a quello spettacolo e si misero a correre verso le uscite, in preda al panico. Solamente i sanguemisto rimasero al loro posto. Le fiamme furono lanciate contro all’Aria che si avvolse in un vortice del suo elemento, respingendole. Enki si apprestò a spegnerle, con l’aiuto di Hanjuly, prima che queste toccassero i libri. Poi Aherektess passò al contrattacco e, con una sorta di applauso, creò un tale spostamento d’aria da far volare via alcune sedie ed il tavolo che si contrapponeva fra i due sfidanti. Questo, essendo fatto di cristallo, si infranse in milioni di pezzi quando incontrò le braccia incrociate sul viso di Kassihell. Il Fuoco non ci mise molto per reagire, a differenza di quanto si aspettasse l’Aria, e colpi in pieno ventre il suo avversario con un potente calcio. Aherektess incassò ed indietreggiò di parecchio, sempre rimanendo fluttuante e padrone del suo elemento. Con la schiena ribaltò altri tavoli e sedie. Ringhiando, tornò volando verso il Fuoco avvolgendolo in un tornado nel tentativo di immobilizzarlo. Kassihell urlò, sentendo il suo fuoco spegnersi, ma poi si concentrò ed usò quel vento a suo vantaggio. Alimentò la sua magia e, con un ghigno soddisfatto, derise il suo avversario chiedendogli se non avesse studiato, per caso, che il fuoco si alimenta con l’aria.

“Ti ucciderò, Kassihell! Fosse l’ultima cosa che faccio!” sbraitò Aherektess.

“Strano…è  la stessa cosa che voglio fare io! Dovevo farti fuori prima, altro che seguire i consigli di Kaos che mi diceva di aspettare la fine del viaggio! Tornerò a casa da eroe comunque, con la tua testa fra le mani!”.

“Solo il Dio di un popolo come l’Oscurità poteva suggerire una cosa simile!” commentò qualcuno.

 

“Kaos ha suggerito cosa?!” gridò, stupito, la divinità del Fuoco, voltandosi verso l’interessato che alzò le spalle.

“Che ti aspettavi?” ridacchiò il Dio dell’Oscurità “Sono Kaos, mica un amorino!”.

“Come fermiamo questi due adesso?” domandò Heronìka, guardando giù.

Le divinità erano come sempre nella loro bolla, che impediva ai mortali di vederli, ed osservavano la scena, non sapendo bene cosa fare.

“Interveniamo! Dividiamoli!” parlò la divinità della Luce “Rischiano di demolire tutto!”.

“Questo ti preoccupa? Non il fatto che si possano ammazzare?” sbottò la Dea dell’Acqua.

“Se è quello che vogliono…”.

“Ma sei deficiente!”.

Così dicendo, in pochi minuti anche gli Dèi litigavano.

“Noi dovremmo dare l’esempio…” mormorò Xoduzz.

“Ma taci, finto santo!” rimbeccò Loreatehenzi, ed anche loro presero ad insultarsi animatamente.

 

Elehcim rideva come un pazzo ed inutili erano i tentativi di Roary di farlo stare buono. Non smise di ridere neppure quando un colpo dell’Aria mandò una sedia a pochi centimetri dalla sua posizione.

“Cazzo, lo sapevo che eri psicotico ma non fino a questo punto! Non verrò più in nessun posto con te!” commentò Roary, schivando la sedia volante per un soffio.

“Il tuo alleato era un deficiente ad aiutare la gente come te!” gridò Aherektess.

“Il tuo ancora di più, sapendo contro chi si doveva scontrare! Comunque, se ora avessi il mio alleato di allora davanti, non lo prenderesti in giro!”.

“Nemmeno tu! Tremeresti!”.

“Questo è fuori discussione!”.

“Ma dai…vedo come reagisci alla parola "Ozymandias"!”.

“Ozymandias?! Mi prendi per il culo?! È stato NOSTRO alleato, altro che vostro!”.

“Scherzi?! Fino alla morte di mio padre, le nazioni di Oscurità ed Aria sono state confederate!”.

“Ma se sono stati loro a dirci dove si ergeva la torre con i bambini! E da dove sareste giunti con il vostro esercito il giorno dell’attacco in cui è morto tuo padre!”.

“Smettila di inventarti storie! L’Oscurità era dalla nostra parte!”.

“NO! Dalla nostra! E nell’ultima guerra combattevamo assieme contro di voi!”.

“Ma se ci ha anticipato ogni vostra mossa?!”.

“E allora com’è morto tuo padre?”.

“In effetti…”.

“Stava dalla parte nostra!”.

“NOSTRA!”.

“Da nessuna delle due parti!” sbottò Lehelin, stanca di tutto quel casino.

“Spiegati” esclamarono, in coro, i due litiganti, lasciandosi reciprocamente il collo.

“Mio padre ed il mio popolo non sta dalla parte di nessuno di voi due” iniziò a spiegare l’Oscurità “Prima ancora di tutto ciò che avete raccontato, quando mio padre era giovane, il nostro regno attraversò una grave crisi. Molti di noi morivano, colpiti da una rara malattia che a fatica abbiamo sconfitto. Il re di quel tempo, mio nonno, aveva chiesto aiuto a tutti i popoli di Asteria ma nessuno volle aiutarci. Eravamo un popolo pacifico, anche se isolato perché ce la caviamo da soli, normalmente. Probabilmente con la conoscenza della Luce, la medicina della Terra, le materie prime di altri elementi, avremmo potuto uscire prima da tutto quel disastro, evitando moltissime morti. Sapete come hanno reagito i regni? Attaccando l’Oscurità, sapendo quanto fosse ricco come territorio e pieno di preziose risorse. Sapete perché c’è un’enorme statua di mio padre in ogni paese del mio mondo e perché il suo nome è tanto temuto? Perché è stato lui, appena divenuto re ed aver visto morire suo padre, a respingervi tutti ed a risvegliare il coraggio e la forza del nostro elemento. Ha atteso a lungo, ma l’opportunità di vendicarsi è arrivata. Mettendovi uno contro l’altro, voi Fuoco ed Aria, poteva annientarvi contemporaneamente. In memoria dei nostri fratelli e delle nostre sorelle uccise…mio padre non può essere alleato di nessuno”.

“E nemmeno tu…” mormorò Aherektess.

“No…nemmeno io” sospirò, dopo un attimo di silenzio, Lehelin.

“Quindi la colpa è sempre stata di Ozymandias?” squittì Reishefy, seguendo come sempre i discorsi a tratti ed interpretandoli a caso.

“E come ha potuto il tuo popolo reagire contro un attacco quasi mondiale?” domandò Hanjuly.

“Kaos è stato al nostro fianco. Non ci ha mai fatto mancare l’energia e, quando ne abbiamo avuto bisogno, siamo stati i più forti di Asteria. Mio padre è riuscito ad unire un regno di creature solitarie e renderlo un’unica grande ombra che vi ha respinti. Molti lo giudicano come il migliore sovrano che l’Oscurità abbia mai avuto”.

“Lui è il migliore dei pazzi e degli assassini. E questo non lo si può negare” ghignò il Fuoco.

“Non credo possa fare concorrenza a Vehuya” rimbeccò Lehelin.

“Quindi stai dalla parte mia? Mio fratello di certo non può…” iniziò Aherektess ma l’Oscurità lo interruppe con un cenno della mano.

“Io non posso essere dalla parte di nessuno” disse “Vorrei, ma farlo significherebbe rinnegare la mia gente e la mia natura”.

“Ma…io pensavo che…fra me e te…” balbettò l’Aria.

“Questo non ha niente a che fare col fatto che noi…”.

“La posizione di Ozymandias in questa guerra eterna non ha così tanta importanza. Quell’uomo non merita tutto il rispetto che gli dai!”.

“E tu sei sicuro di ricevere il rispetto che meriti? O forse sei un pelino sopravalutato? È di mio padre che parli…”.

“Che è una creatura dell’Oscurità!”.

“Come lo sono io!”.

“No…tu sei diversa. Non sei come lui”.

“Ti sbagli. Io sono esattamente come lui. E vedo che questo non riesci ad accettarlo…”.

Stanca di discutere ed indebolita dalla troppa luce, Lehelin diede le spalle al gruppetto di viaggiatori. Elehcim la seguì, borbottando “anello debole” a Roary che non rispose, rassegnata alle sue idee bislacche. L’Oscurità attraversò il corridoio affrescato, udendo dietro di sé che Kassihell ed Aherektess ricominciavano a litigare. Andò verso l’esterno. Lungo il protiro sperava di poter trovare l’ombra delle grosse colonne, lisce ed altissime. Non ne trovò, dato che la facciata esterna dell’edificio era illuminata a sua volta, ma era meglio dell’accecante bianco della biblioteca. A guardia dell’ingresso non c’era più nessuno, impegnati com’erano a correre via o chiamare aiuto. Si ritrovò da sola e sospirò. Salì sulla balaustra e guardò giù. Era una bella altezza, sorgendo tutto quel complesso bianco latte in cima ad una ripida scalinata. Un salto da dove stava sarebbe stato un bel botto. Sentì il vento lungo il corpo nebbioso e chiuse gli occhi.

Alle sue spalle, il mezzosangue che l’aveva seguita si apprestava ad attaccarla. Uccidendo uno del gruppo, la missione falliva! Modificò la forma delle dita per amplificarne la forza magica. Il sangue metallico formò lunghi artigli su cui iniziarono a danzare fiamme sempre più grandi. Avvolta dal fuoco, un’ombra svanisce senza lasciare nessuna traccia. Nessuna prova, nessun testimone. Perfetto.

 

“Ma che cosa state facendo?” urlò Efrehem.

Con il libro del Signore dell’Ovest fra le mani, guardava i suoi compagni con stupore. Si stavano tutti insultando, schierati dalla parte di Kassihell o di Aherektess, oppure per il puro gusto di farlo.

“Che state facendo? E quei libri da dove vengono?” domandò.

“Da dove vuoi che vengano? Dalla tua stupida biblioteca!” rispose Mattehedike.

“Questa biblioteca non è stupida e non è vero. Quei due volumi non appartengono a questo posto. Dove li avete trovati?”.

“Ha importanza? Questo pennuto ha detto qualche parolina di troppo ed è ora che chiuda il becco per sempre!” sibilò il Fuoco.

“Ti spegnerò come una candelina di compleanno, brutto coglione!” rimbeccò l’Aria.

“Idisi...non sei riuscita nemmeno tu a farli ragionare?” si stupì la Luce.

“Mi hanno rotto. Che si uccidano” fu la secca risposta.

Mentre riprendevano a tirarsi sedie, palle di fuoco ed ogni altra cosa possibile, Efrehem riuscì ad afferrare uno dei due volumi. Avendolo fra le mani ebbe l’assoluta certezza che non provenisse dalla biblioteca della Luce. Aveva letto tutti i libri conservati in quel luogo.

“Dove lo avete trovato?” domandò di nuovo, sperando di ricevere risposta.

“Quello di colore chiaro era su quel tavolo…” sospirò la Terra, non capendo il motivo di tutte quelle domande “…l’ho trovato io ma Reishefy me lo ha strappato dalle mani e lo ha letto. Parla della guerra fra Aria e Fuoco, descritta dal punto di vista dell’Impero del Fuoco”.

“E l’altro libro?”.

“Lo ha dato una ragazza ad Aherektess. Parla della stessa guerra ma dal punto di vista dell’Aria”.

“Tutto qui? Stanno per uccidersi perché hanno visto la stessa guerra da due punti diversi?”.

“A quanto pare…”.

“E che ragazza aveva quel libro? È ancora qui? Libri così di parte non sono ammessi in questo luogo. Chiunque lo abbia portato è meglio che abbia delle più che valide spiegazioni da darmi”.

Idisi, ripreso l’autocontrollo, si guardò attorno.

“Difficile dirlo…” mormorò “…era incappucciata ma…forse…” piegò la testa, guardando in un punto preciso e cercando di capire se la creatura che aveva di fronte fosse colei che stava cercando.

“Credo che sia lei” disse, infine, indicando una ragazza seduta piuttosto distante dai litiganti.

“OPS” si limitò a commentare Roary, vedendosi indicare.

Girò la testa rapidamente, a destra e a sinistra, controllando se effettivamente si stava riferendo a lei. Una volta accertato che era così, decise che era meglio non aspettare di scoprire cosa avessero in mente esattamente e si alzò.

“Lo sapevo che dovevo andare via quando potevo!” sbottò, e si mise a correre.

“Fermatela!” urlò Efrehem “Lei è la causa di tutto questo casino!”.

Agli ordini del principe del regno, molte creature della Luce, rimaste contro il muro in attesa di poter uscire in modo sicuro, obbedirono e si misero ad inseguire quell’incappucciata dal passo svelto e l’aria scocciata.

 

Due ombre. La creatura che aveva alle sue spalle aveva due ombre. Le vedeva chiaramente, una alla sua destra ed una alla sua sinistra, proiettate lungo le colonne. Una era l’ombra di una creatura del Metallo, ricoperta di punte acuminate, e l’altra era di Fuoco, se ne percepivano i guizzi di fiamma.

Come era possibile? Lehelin tentò di capirlo. Si voltò, per osservare meglio chi le stava proiettando.

Il mezzosangue non si aspettava una cosa del genere. I due si guardarono per qualche istante. Lui ghignava soddisfatto, pronto a colpirla, con gli occhi rossi che si vedevano chiaramente da sotto il  ed attraverso le lenti degli occhiali scuri. Lei, con due sottilissime linee d’argento verticale sul viso come sguardo, non si mosse, pur vedendo il fuoco fra le mani di lui e capendo cosa aveva in mente.Elehcim prese un profondo respiro, deciso a sferrare la fiammata d’attacco, quando una mano lo afferrò saldamente per un braccio e lo trascinò.

“Scappa, ci hanno beccato!” gli disse Roary, continuando a correre.

Trascinandolo, gli fece ricadere all’indietro il cappuccio. L’Oscurità, che aveva continuato ad osservarlo, sussultò. Sanguemisto. E con un’aria così familiare…

I due incappucciati saltarono giù dalla balaustra, qualche colonna più in là rispetto a dove si trovava Lehelin. Atterrarono su Orebrec e corsero via, seguiti da altri sanguemisto che avevano a loro volta partecipato a quella missione.

“Credi che abbia funzionato?” domandò Elehcim.

“Dubito possano fare la pace tanto facilmente” gli rispose Roary.

“Bene. Così il nostro attacco sarà di certo più semplice”.

“Questo è sicuro ma…perché non hai colpito subito quell’Ombra?”.

“Si è voltata…ed è una creatura davvero inquietante. Lo avrei fatto, se non fossi arrivata tu!”.

“Stavano per linciarci! Ho dovuto trascinarti via! Ti ho salvato la vita! E per quanto riguarda la creatura d’Oscurità…cosa ti aspettavi?! È la figlia di Ozymandias!”.

“Tu sai di chi sono figlio io, vero?”.

“Sì, caro…”.

“Ed allora non usare certi termini di paragone!”.

Svanirono velocemente, così come erano arrivati, senza più dire una parola.

 

“Lehelin! Che succede?” urlò Thuwey, correndo lungo gli scalini d’ingresso.

“Niente. Solita rissa”.

Le creature inseguitrici erano tutte lungo il protiro e si sparpagliarono alla ricerca dei fuggitivi.

“Stai bene? Sei così…ristretta!” si preoccupò il Metallo.

“Colpa di tutta questa luce! Ho bisogno di un po’ di buio…i miei occhi non ce la fanno più!”.

“Dove sono tutti gli altri? E perché non sei con loro?”.

L’Oscurità si accoccolò con la schiena contro una colonna, tenendosi le ginocchia. Thuwey tentò di farle ombra, in qualche modo, trovando fastidiosa pure lui tutta quella luce.

“Kassihell ed Aherektess stanno litigando, come sempre, ed io sono andata via”.

“Quei due deficienti…senza offesa per il tuo uomo, scusa!”.

“Non è il mio uomo. Puoi offenderlo quanto ti pare”.

“Ma…”.

“Metallo…posso farti una domanda?”.

“Chiedi pure, ma chiamami Thuwey!”.

“Volevo chiederti…tu sei un viaggiatore, hai accompagnato la tua regina in molti incontri diplomatici. In base a ciò che hai visto e vissuto…essere una creatura come me, una nativa dell’Oscurità, è una cosa tanto negativa nell’opinione comune degli abitanti di Asteria?”.

“Che domanda strana…”.

“Perché a me sembra di essere stata brava. Mi sono impegnata in questo viaggio, ho cercato di aiutare e di rendermi utile, ma non ho fatto nulla di diverso rispetto a ciò che faccio nel mio regno, con i miei simili. Eppure non faccio altro che sentirmi dire che quelli come me sono cattivi, senza cuore, egoisti, assassini…sbagliati”.

“I pregiudizi sono forti, lo ammetto. E sono duri da togliere dalla mente. Io per primo, lo devo confessare, ho avuto paura quando sapevo di dover incontrare Ozymandias e, per quante volte lo abbia visto ed abbia capito che non è un mostro come lo descrivono, quel brivido d’inquietudine resta comunque. Ma credo che questo sia anche un desiderio del re, di tuo padre. Come te al palazzo dell’Ovest e come la tua scarsa voglia di chiamarci per nome, agisce per mantenere le distanze”.

“Si sente tradito dagli altri regni. Eravamo sempre stati disposti a condividere le nostre risorse con il resto del Mondo ma quando abbiamo avuto bisogno d’aiuto ci avete tutti voltato le spalle ed ora noi dell’Oscurità, perfettamente in grado di badare a noi stessi, di certo non andiamo a fare amicizia”.

“Non conosco bene le faccende di cui narri ma penso che Ozymandias sia un buon re, per il suo popolo. Se poi ha dentro di sé un desiderio di vendetta con la V maiuscola sono affari suoi”.

“Fin ora non mi pare di averlo mai sentito parlar male del regno del Metallo…”.

“Tuo padre è un mito, dal punto di vista militare. Durante l’addestramento, il mio maestro non faceva altro che citarmi le sue grandi imprese guerriere e descrivere il suo ottimo esercito. Ne ho paura…ma lo stimo un sacco!”.

“Questo gli farà molto piacere saperlo…”.

“E quindi ora…”.

La conversazione fu interrotta da una sedia volante che uscì dall’ingresso a velocità sostenuta, andando a schiantarsi contro una delle colonne e frantumandosi in pezzetti minuscoli.

“Adesso quei due le sentono!!” sbottò Thuwey, facendosi scricchiolare le nocche ed entrando nella biblioteca a grandi passi decisi.

Fuoco ed Aria si stavano ancora scontrando. Gli altri membri della compagnia si erano fatti da parte, andando accanto al muro come gli abitanti della Luce. Il Metallo lanciò un grido, di minaccia e d’avvertimento, che non sortì l’effetto sperato. Dopo un respiro, allungò entrambe le braccia e comandò le catene che portava su tutto il vestito. Queste si srotolarono ed andarono ad avvolgere i due litiganti, separandoli.

“L’avete finita?” tuonò Thuwey, stringendo ancora un po’ la presa.

Kassihell non rispose ma iniziò a scaldarsi, tentando di sciogliere ciò che lo bloccava. Il Metallo tramutò entrambe le mani in spade e le puntò contro i due immobilizzati.

“Se fossi in voi non ci proverei. Non avete possibilità di vittoria, insalamati come siete! E rimarrete così fino a quando sarete di nuovo in grado di viaggiare assieme da persone civili, non da animali rabbiosi! Intesi?”.

“Me la pagherai cara…” sibilò Aherektess.

“Non appena ci libererai, io…” minacciò Kassihell ma Thuwey strinse ancora la presa e zittì entrambi con soddisfazione.

“Zitti! E tu, Mattehedike…perché non li hai separati?!”.

“Io ci tengo alla mia incolumità, amico!”.

“Capisco…e adesso, signori, in marcia!” affermò il Metallo e, tenendo le braccia affilate puntate alla schiena dei due, uscì dalla biblioteca seguito dal resto del gruppo.

Ripresero le armi, dividendosi fra loro quelle di Fuoco ed Aria.

“Non è giusto!” protestò Kassihell “Non ho iniziato io! Ridammi la mia Katana! È tutta colpa di questo idiota svolazzante!”.

“Colpa mia?! Adesso sarebbe colpa mia?! Ma senti questo…ti ricordo che sei stato tu ad aprire la questione e sei sempre stato tu ad attaccare per primo!”.

“Bugia! Io ti…”.

Metallo e Terra si fissarono, sospirando e, dopo averli imbavagliati, ripresero il cammino dietro ad Efrehem che continuava a chiedere perdono a tutto il suo popolo per il disagio.

 

†††

 

Il gruppo, dopo quell’episodio, si era fatto silenzioso. Perfino Reishefy non sapeva cosa dire. Erano nati un sacco di nuovi dubbi, sospetti e paure. Quali altre storie si nascondevano? Il bel clima che tanto a fatica avevano creato era ormai svanito in pochi attimi. Ed ironicamente il tutto era dovuto alla lettura di due libri, un’attività da cui nessuno si aspettava di veder scoppiare una guerra.

L’inconfondibile suono delle campane accompagnava il loro cammino. Ogni città aveva tantissime torri e su ognuna un’enorme campana suonava, in momenti diversi della giornata.

“Cosa hai scoperto riguardo al volume del Signore dell’Ovest?” domandò Thuwey.

“Vi spiegherò tutto quando e se verrà il momento” rispose Efrehem.

Il Metallo fece un cenno con il capo, senza parlare più. Non staccò per un solo istante gli occhi da Aria e Fuoco, continuando a minacciarli per farli stare buoni.

“Che clima di merda!” sbottò l’Elettricità, dopo un paio d’ore.

“Ti do ragione. Non possiamo andare avanti così! Ormai abbiamo superato la metà del viaggio, dobbiamo lasciare da parte le divergenze personali ed arrivare in fondo” affermò Hanjuly.

“Basta solo sapersi controllare…” continuò Reishefy.

“Parli proprio tu di sapersi controllare! Comunque dubito che l’evocazione funzioni se ci odiamo in questo modo!” borbottò Idisi.

“Nessuno ha mai parlato di amore fra popoli!” si lamentò Mattehedike “Perciò, anche se i dieci viaggiatori si odiano, l’importante è che siano tutti vivi e con l’oggetto proibito”.

“Il problema è che, slegando uno di questi due, di certo non arriviamo tutti e dieci!” sbottò Enki.

“Questo dipende da come gli viene posta la questione…” mormorò Efrehem.

“Credi di poterli convincere?” ridacchiò la Roccia.

“Con l’aiuto della Signora della Terra…” azzardò la Luce, girandosi verso Idisi, che gli sorrise.

“Allora vediamo…sono stanco di usare i miei poteri per loro!” esclamò il Metallo.

Tenendoli arrotolati ed imbavagliati, li mise con le spalle contro uno dei muri bianchi ed oro che circondavano la città.

“Sono tutti vostri…”.

Terra e Luce si schiarirono la voce e poi, con un sorrisetto, Efrehem fece segno ad Idisi che poteva avere lei l’onore d’iniziare. Non se lo fece ripetere due volte.

“Adesso statemi bene a sentire, voi due!” esordì, con fare minaccioso che mai nessuno dei presenti aveva avuto modo d’osservare “Me ne sbatto altamente se per voi le vostre discussioni sono giuste, lecite, obbligate o chissà che altro. Le mie figlie, quando litigano fra di loro, sembrano molto più mature di voi! Posso tranquillamente affermare che tutti noi siamo stufi di dovervi sopportare e farvi da babysitter…”.

“Senza contare il fatto che, dato il vostro comportamento, è evidente che non considerate l’importanza della missione!” interruppe Efrehem “Qui non si tratta di voi, di noi, di un singolo impero o di una singola guerra! Parliamo del futuro di Asteria e lo state letteralmente buttando nel cesso per rancori del tutto personali, o comunque riguardanti solo una porzione del pianeta! Posso capire il risentimento che c’è fra di voi, ma lo scopo finale che dobbiamo portare a termine è più importante. Vi abbiamo dato il tempo di sfogarvi e di restare in silenzio, spero a riflettere. Il luogo proibito del mio regno è vicino, e poi ci attendono altri quattro mondi. È un viaggio lungo, stancante e complicato. Per tutti noi però, non solo per voi due! Non vorrei dovervi tenere imbavagliati ed insalsicciati per tutto il tempo…se io ora vi slego, promettete di fare tregua? Se poi, una volta portato a termine il viaggio, vorrete uccidervi…sono affari vostri! Io vi chiedo di portare a termine quest’avventura…non pretendo che andiate d’amore e d’accordo, ma gradirei perlomeno il silenzio. Ignoratevi! Ecco la parola esatta: ignoratevi! Credete di poterlo fare?”.

La Luce guardò negli occhi entrambi i prigionieri, che risposero a quello sguardo. Si vedeva che erano entrambi furiosi ma anche stanchi di rimanere bloccati.

“Allora?” incalzò Idisi “Che cosa dite? Vi sleghiamo e state buoni oppure rimanete così fino a nuovo ordine?”.

Kassihell ed Aherektess si fissarono con odio per qualche istante ma poi chinarono il capo.

“Vi sleghiamo? Promettete di fare i bravi?” parlò la Luce.

I due litiganti annuirono, anche se a fatica. Subito il Metallo allentò le catene ed iniziò a riavvolgerle. Fu loro tolto il bavaglio e subito il Fuoco si rimise in piedi, bestemmiando a bassa voce e massaggiandosi gli arti indolenziti.

“Ridammi la mia Katana” fu la prima ed unica cosa che disse, rivolto alla Roccia che l’aveva in custodia e che gliela porse, con un mezzo sorriso.

Aherektess, dopo aver ripreso il controllo delle braccia piumate, rifoderò le spade che Hanjuly gli porse senza dire nulla.

Il gruppo ripartì in silenzio, con i due litiganti ben divisi e l’Oscurità in centro, alla disperata ricerca di un piccolo spiazzo senza luce. Quel regno stava scombinando ogni loro ritmo. Non calando mai, Sirona illuminava perennemente il cammino senza dare spazio alla notte. Dormire fu particolarmente difficile per la maggior parte della compagnia e, quando giunsero in vista del luogo proibito, erano tutti quanti stanchi e silenziosi.

“Ombra…” mormorò Efrehem “Quello dev’essere il luogo proibito”.

In effetti davanti a loro si ergeva un intricato insieme di alberi che bloccavano ogni raggio di luce. Lehelin sorrise a quello spettacolo e si avvicinò senza timore. Non toccò quella pianta, ma rimase ai suoi piedi, ad occhi chiusi, assaporando il ristoro del suo elemento.

“Che pianta meravigliosa!” commentò Idisi.

In un complicato intreccio di radici, rendeva impossibile il passaggio.

“Immagino che l’oggetto proibito sia lì dentro…” disse Enki.

Quel luogo era talmente vicino al confine da far vedere a tutti quale fosse il regno successivo. Lava e fuoco li attendevano e la cosa non poteva che creare una certa inquietudine.

“Questa pianta mi sta chiamando” affermò Idisi “Tocca a me. Vado io”.

Appena sfiorò con le dita quel complesso sistema intrecciato, grosse liane e foglie la avvolsero, fino a farla sparire del tutto alla vista della compagnia e portarla oltre quel sottile confine fra il regno mortale e quello divino.

 

†††

 

“Buonasera” si sentì educatamente salutare.

“Buonasera” rispose, pur non sapendo se fosse effettivamente sera oppure no.

Trattenne il fiato quando si fu abituata al riverbero di quel luogo e riuscì a mettere a fuoco chi aveva davanti e dove si trovava. In quell’intreccio verticale di rami e linfa, erano custoditi, come frutti preziosi, migliaia di libri. Tutto brillava di scintille dorate, provocate dalle farfalle con le ali di quel colore, che svolazzavano fra un volume ad un altro.

“Tu sei Idisi, giusto? Rappresentante del regno della Terra” parlò la divinità.

“Sì…e Voi siete…?”.

“Io vengo chiamato Vereheveil, e sono il Dio delle Letterature e delle Lingue”.

Aveva splendide ali piumate color oro, come oro erano le sue iridi. Portava una sorta di tunica bianca, lunga fino ai piedi, allacciata solo da un lato. Questo faceva sì che si notassero i tatuaggi che portava sul corpo. Erano lettere, numeri, ideogrammi, note, segni e simboli di ogni sistema di scrittura di Asteria e di chissà quanti altri pianeti. Ai piedi indossava dei sandali piuttosto semplici. I capelli, verde acqua, ricadevano in ciuffi corti sul viso, mentre dietro erano lasciati crescere. Sorrise alla mortale che lo stava osservando. Lei si sentì subito rassicurata, notando quei due grandi occhi così tondi ed amichevoli.

“Ho saputo che avete avuto dei problemi all’interno del gruppo…” riprese a parlare la divinità, usando perfettamente il linguaggio nativo di Idisi.

“Già. È così…” confermò lei, non nascondendo un certo sconforto.

“Normale, mia cara. Se perfino fra noi Dèi non facciamo altro che discutere, come possiamo pretendere che voi mortali vi comportiate in modo diverso?”.

“Sono riusciti a farmi arrabbiare. È una cosa piuttosto difficile!”.

“Lo so. Succede lo stesso anche a me ma, credimi, c’è una divinità che mi fa davvero uscire di testa. L’esistenza è una questione di opposti. Se non ci fosse l’odio, o la rabbia, o la guerra, non potrebbe esistere l’amore, o la pace o qualsiasi altro sentimento positivo. Non trovi? Noi Dèi sapevamo bene che sarebbe stato un vero e proprio casino questo viaggio. Ci siamo messi nei vostri panni e ci siamo detti che noi, personalmente, non saremmo in grado di affrontare tutto senza azzuffarci nemmeno una volta. E questo, ovviamente, crea una certa inquietudine nelle divinità graciline come me, di certo non molto brave a combattere”.

“Quindi mi state dicendo che è normale lasciarli litigare?”.

“Non potete lasciarli litigare…vogliono uccidersi! Ma non potete di certo trattenerli sempre. E non è la fine del mondo se vengono alle mani. L’importante è che il gruppo sia pronto ad intervenire nel caso andassero troppo oltre”.

“Siete molto diplomatico…”.

“Dicono che sia saggio. O codardo, dipende dai punti di vista. In realtà io non riesco a comprendere fino in fondo il desiderio di usare la violenza. Amo i libri, la cultura, il sapere…la guerra non rientra nei miei interessi ma ho imparato a guardare il tutto da un punto di vista diverso. Ti faccio un esempio pratico. Tu sei un’abitante del regno della Terra, vivi a stretto contatto con essa e non riusciresti nemmeno ad immaginare di poter esistere in modo diverso. Eppure, soprattutto in questo viaggio, hai avuto modo di vedere che questo è possibile. Popoli e regni vivono anche se si comportano in modo completamente diverso dal tuo. Capisci?”.

“Mi state dicendo che non posso giudicarli, ma che dovrei vivere la cosa in prima persona per capire? Perché se è così lo intuivo già da prima, ma…”.

“Ma tu riesci ad avere più autocontrollo? Anche questo fa parte della tua natura, del tuo essere. Ognuno di voi dieci vede tutta questa storia in modo differente e reagisce in modo diverso. Possono esservi reazioni molto simili, come la tua e quella del principe della Luce, o diametralmente opposte come la decisione o meno d’intervenire di Metallo e Roccia. Questo viaggio necessita di ogni qualità e difetto di ognuno di voi. Cerca di sfruttare la voce delle tue qualità. La tua dote è la pazienza: usala. Abbi pazienza, perseveranza, forza di volontà, e vedrai che tutto andrà per il meglio. Nessuno è "sbagliato" all’interno del vostro gruppo di viaggiatori. Vedrai che i due litiganti, Fuoco ed Aria, capiranno di avere molte più cose in comune di quanto pensino. Le loro divinità ci hanno messo un sacco ad arrivarci, ma ci sono riuscite. E perfino io, col tempo, sono riuscito a sopportare la mia controparte impulsiva ed isterica”.

“E se non riuscissero a capirlo? Voglio dire…e se continuassero a litigare? E se si verificasse un episodio per il quale uno dei due finisce male e ci ritrovassimo in nove?”.

“Sono entrambe creature intelligenti. Dal carattere forte ed iracondo, ma con un buon cervello. Si faranno del male, anche in modo serio, probabilmente, ma non arriveranno al punto di uccidersi”.

“Ne siete sicuro?”.

“Non sono pronto a giuratelo ma…sono sufficientemente sicuro da dirti che non manderanno in malora l’intero futuro di Asteria per un problema interno ai loro regni. Più probabile che facciano scoppiare una guerra in seguito, se non riescono a chiarirsi”.

“Io…non so se è il caso ma…vorrei chiederVi: cosa ne pensate di tutta questa faccenda? Dell’evocazione, intendo, del viaggio, dei mezzosangue… Voi siete il Dio che più rappresenta la cultura, Vi sarete fatto un parere in merito…”.

“Me lo sono fatto e, sinceramente, non so ancora bene dove indirizzare il mio consenso. Ti spiego: ritengo che per secoli, se non millenni, Asteria sia stata popolata dai mezzosangue. Perciò ritengo che la colpa di questi sbalzi di magia non sia loro. L’evocazione, per chiamare la Creatrice, credo sia l’unico modo per raggiungere una soluzione. Lei ha creato tutto questo e di certo saprà come curarlo. Non c’è altro modo”.

“E la Creatrice non risponde direttamente a voi Dèi, invece di farci fare tutta questa fatica?”.

“La Creatrice è molto potente e distante. Ha sotto la sua tutela migliaia di mondi. Da tempo non ho modo d’incontrarla”.

“Quindi ha creato Asteria e poi se ne è disinteressata?”.

“In un certo senso. L’ha affidata a noi, Dèi di un livello leggermente inferiore al suo, insegnando la tecnica dell’evocazione ai due Signori di Est ed Ovest per le emergenze”.

“E non poteva escogitare un sistema più semplice?”.

“Per permettere a voi mortali di tormentarla per qualsiasi cosa? No, ha trovato un metodo tale per cui solo le VERE emergenze portino al suo richiamo. Solamente in caso di reale bisogno si riesce ad attuare un’evocazione così complessa. Questo è un caso di reale bisogno…e hai notato quant’è difficile?”.

“Spero che almeno funzioni…”.

“Non dubitarne. Lei risponde sempre”.

“Me lo auguro. Ora, tornando a noi…l’oggetto proibito di questo posto qual è?”.

“Io non custodisco nessun oggetto proibito, ma dentro di me risiede una formula. Ti donerò le parole dell’evocazione, l’insieme di suoni che ti permetteranno di attivare gli oggetti proibiti in vostro possesso e richiamare la Creatrice. Queste parole rimarranno latenti dentro di te fino a quando non verrà il momento di usarle. In quel momento, e solo in quel momento, esse compariranno nitide davanti a te e tu le pronunzierai. Una volta terminato, esse ritorneranno qui da me”.

“Quindi sarò io ad effettuare l’evocazione?”.

“Non ti spaventare! Sarete tutti voi ad effettuarla, tutti assieme, ma sarai tu a chiamare la Grande Madre per nome per farvela apparire dinnanzi”.

Idisi fu leggermente turbata da quella frase. E se le parole non fossero apparse? Se nel momento cruciale non avesse saputo cosa dire?

“Non posso avere un libro o un foglio su cui è riportata la formula?” domandò, speranzosa.

“Certe cose non possono essere scritte, da nessuno. Perfino io, custode di ogni lingua e scrittura conosciuta, non mi azzardo a pronunciarle o riportarle senza ritegno”.

“Che devo fare?”.

“Rilassati, Idisi. Rilassati e le parole faranno parte di te”.

La Terra chiuse gli occhi ed il Dio, sfiorandole la fronte con le dita, le trasmise il suo sapere. Le lettere, come disegni danzanti sulle dita della divinità, si mossero e si trasferirono. Rimasero sospese in aria, attorno alla testa della mortale, per poi svanire senza lasciare traccia.

“Dentro di te, ora, hai la forza delle parole, Idisi. Non avere paura di loro. Quando sarà giunto il momento, ascoltale. Esse sapranno guidarti”.

“Potrò contare sul Vostro aiuto?”.

“Mio, come di qualsiasi altra divinità, immagino. Ci rivedremo”.

“Ci rivedremo? Davvero?”.

“Abbi un po’ di fede, che diamine!”.

“Scusate…”.

“Puoi andare adesso, giovane maga del regno dei fiori”.

“Grazie…”.

“C’è un regalo che voglio farti. Prendi una delle mie piume”.

Idisi si guardò attorno, cercandone qualcuna caduta, ma non ne vide.

“Non cercarne in terra, vieni qui. Prendine una!” la incitò il Dio, spalancando le ali dorate.

“Posso? Posso davvero?”.

“Coraggio”.

La Terra allungò la mano, timidamente, verso quelle ali meravigliose ed abbaglianti. Sfiorando quelle penne, ridacchiò. Erano morbide e le fecero il solletico. Le accarezzò, quasi a voler chiedere perdono, poi ne afferrò una con convinzione e la staccò. Vereheveil sorrise, come a rassicurarla di non avergli dato fastidio, e le richiuse.

“Nel caso vi dovesse ricapitare una situazione simile a quella fra le creature dell’Elettricità, in cui non riuscivate a capirvi, quella vi potrà essere utile perché ti farà comprendere ogni linguaggio straniero. Quella resterà a te, un mio dono”.

“Grazie. Ma…voi divinità state seguendo tutto il nostro viaggio dall’alto?”.

“Ovvio. Vi abbiamo anche aiutato, in qualche occasione. Non possiamo interferire più di tanto per questioni di equilibrio ma, in questo caso, qualche regoluccia l’abbiamo infranta”.

“Grazie infinite”.

“Ora va. I tuoi compagni ti attendono”.

Idisi uscì e si materializzò al di fuori dell’intreccio di rami e liane. Fra le mani stringeva quella magnifica piuma dorata, molto grande, che si apprestò ad infilarsi fra i capelli verde scuro.

“Tutto a posto? Possiamo andare?” domandò Thuwey.

“Tutto ok. Andiamo” confermò lei, raggiante.

“Quella piuma…” mormorò Efrehem, ad occhi spalancati “…viene dalle ali della divinità del mio mondo? È una delle piume di Vereheveil?”.

“Sì. Un suo regalo”.

“Posso toccarla?”.

“Certo”.

La Luce la sfiorò, con riverenza ed ammirazione.

“Possiamo andare?” sbottò il Fuoco.

“Prego, passo il testimone” rispose Efrehem.

Kassihell strinse fra le mani il medaglione di Kaos e la chiave del suo impero, rossa a motivi fiammeggianti, pronto a guidare la compagnia per le pericolose vie del regno del Fuoco.

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Capitolo 10
*** X- Fuoco ***


X

 

Nessuno dei dieci aprì bocca. Videro chiaramente la lava scorrere a pochi passi da loro, nel regno del Fuoco. Come avanzare in quelle condizioni? Hanjuly ed Enki si mostrarono molto preoccupate.

“Posso evitare che il Fuoco vi faccia del male, ma non posso nulla contro il calore” parlò Kassihell.

“Ma…come facciamo? I nostri corpi non possono sopportare simili temperature” domandò il Ghiaccio, sperando di ricevere l’appoggio di qualcuno.

“Non so che farci…” sbottò il Fuoco.

Era già con i piedi sul suo impero, respirando a pieni polmoni l’aria di zolfo e fumi vari di cui aveva sentito terribilmente la mancanza. Idisi rabbrividì nel vederlo scalzo nella lava bollente.

Efrehem rimaneva in silenzio, meditando sul da farsi. Doveva esserci il modo di passare senza inconvenienti… Chiuse gli occhi e, concentrandosi, per qualche istante udì il battito del suo cuore. Riaprì le palpebre, come illuminato, e sorrise. Frugò nel taschino della giacca e trovò l’oggetto proibito: il plettro di Enrikiran. Gli era stato detto che avrebbe saputo come e quando usarlo. Doveva abbandonare la logica, per un attimo, e sforzarsi di usare la fantasia. Mentre il resto del gruppo discuteva sul da farsi, ignorandolo, lui immaginò di avere fra le mani una chitarra come quella del Dio del Ghiaccio. Divaricò leggermente le gambe e, con atteggiamento da rockstar, suonò le corde invisibili con il plettro proibito. Il suono che si produsse fu tutt’altro che immaginario ed investì l’intera compagnia. Come un’onda d’urto azzurra, quel suono vibrò fino ad avvolgere i viaggiatori in una sorta di bolla. L’unico che ne rimase fuori fu Kassihell, che si limitò a fissare il tutto con aria interrogativa.

“Qui dentro è fresco!” esclamò il Ghiaccio, sorridendo.

“Benissimo. Possiamo andare avanti, allora. Chi non regge la lava può starsene dentro quella palla” parlò Kassihell, con un tono infastidito per un motivo non chiaro.

Idisi, Mattehedike, Efrehem, Hanjuly, Enki ed Aherektess rimasero al sicuro in quell’involucro refrigerante mentre gli altri seguirono il Fuoco senza protezione.

“Fate molta attenzione” riprese Kassihell “Dovete seguire i miei passi e non sbagliare. Io conosco bene questi terreni e so dov’è il sentiero più sicuro. Fidatevi e statemi dietro. Un passo falso e finite a mollo nella lava bollente o sparati in aria dai geyser”.

“Non sembra una cosa divertente…” mugugnò Reishefy.

“Non lo è. Ora avanti, camminate!”.

Le dimensioni di Thuwey aumentarono quasi subito, per via del forte calore di quel regno. Camminava alternando l’aria aperta e la bolla fredda, per evitare di danneggiare il suo elemento. Il suo era un metallo molto particolare, lo stesso con cui erano state forgiate le spade dei presenti, e non fondeva, ma preferiva non indebolirlo. Lehelin, ristorata dalla sera e dai raggi degli sposi della notte, fluttuava senza difficoltà da un punto all’altro seguendo Kassihell. Reishefy, leggermente turbata dall’idea di essere sparata in aria, guardava attentamente dove metteva i piedi. Cercò un paio di volte di attaccarsi al principe di quel regno ma, ovviamente, fu respinta da lui in malo modo ogni volta.

“Qualcosa non va?” domandò l’Oscurità, notando lo sguardo preoccupato del Fuoco.

“Il calore che emette il mio elemento…è di molto inferiore a quanto sono abituato. È debole”.

“Anche la Luce del mio regno è più debole rispetto a quando sono partito” si intromise Efrehem “Credo sia il segno evidente del declino di Asteria. Dobbiamo far presto!”.

Hanjuly, che soffriva il caldo nonostante la bolla, si chiese quanto insopportabile fosse quel regno con la magia a pieno regime. Seguì l’esempio di Reishefy, che era rimasta con il minimo indispensabile addosso, stupendosi di come delle creature potessero vivere in simili condizioni.

“Se non fosse per questa bolla…” parlò Idisi “…a quest’ora saremmo ancora sul confine a chiederci come avanzare!”.

“O morti” ridacchiò Kassihell.

“Simpatico come sempre” commentò Aherektess, storcendo il naso.

“Chiudi il becco, canarino stonato! Qui comando io!” rimbeccò il Fuoco.

“Chiudete il becco tutti e due, o vi insalamo di nuovo!” ringhiò Thuwey.

“Per quanto mi piaccia, il termine "insalamare" dubito esista” rise la Luce, continuando dicendo che poteva usarlo liberamente perché ci stava troppo bene.

 

†††

 

Il luogo proibito si mostrò dopo alcuni giorni, in cui il gruppo aveva riposato in grotte ed anfratti al riparo dai fiumi vulcanici. In alcune di esse trovarono risorgive e piccoli ruscelli d’acqua, che Hanjuly raffreddò per poter bere.

“Ma…voi del Fuoco bevete acqua calda? Non se ne trova altra nel regno, mi pare” domandò la Luce, piuttosto stordito dalle novità.

“Ovvio” sbottò Kassihell, sempre infastidito dalle domande “Per noi non è calda. La nostra temperatura corporea è di molto superiore alla vostra!”.

Quell’acqua limpida era l’ideale per fare il bagno e tutti ne approfittarono, sempre aspettando la conferma da parte del Fuoco che potevano entrarci senza pericolo di essere sciolti perché acida.

Aherektess si sentiva molto a disagio. Tutti i nativi che incrociavano lo fissavano con fare minaccioso e gli rivolgevano parole poco simpatiche. Inoltre non aveva mai amato particolarmente l’idea di stare tanto a lungo in una grotta, al chiuso. Per di più i rapporti fra lui e Lehelin non erano migliorati e la cosa iniziava a pesargli. Rimediava all’impiccio ripetendosi che era la figlia di Ozymandias e che non doveva farsi problemi per lei. Lehelin, dal canto suo, aveva deciso che non avrebbe mai più finto di essere qualcosa di diverso e che spettava agli altri accettarla per ciò che era. Lei era la principessa dell’Oscurità, con tutti i pro ed i contro che la cosa poteva comportare, e non aveva intenzione di rinnegarlo.

“Siamo vicini” spiegò il Fuoco “La cartina indica il luogo proibito a pochi metri”.

“Non noto cambiamenti di paesaggio” grugnì Aherektess.

“Dobbiamo solo avvicinarci di più!” esclamò Reishefy, ridendo a caso come sempre.

Per una volta, stranamente, l’Elettricità aveva ragione. Appena il gruppo si avvicinò al punto indicato, la terra iniziò a tremare sotto i loro piedi. Il Fuoco non si scompose, dicendo che era un fenomeno piuttosto comune per l’impero.

“Ma che posto orribile per vivere!” esclamò Mattehedike.

Kassihell iniziò a preoccuparsi quando vide il terreno innalzarsi. Una grossa porzione di roccia si sollevò e rimase sospesa. Su di essa, un piccolo vulcano faceva scorrere fiumi di lava verso il vuoto creando un effetto decisamente pittoresco.

Guardando verso l’alto, essendosi creata una specie di isola sospesa a parecchi metri da terra, i viaggiatori rimasero per un po’ ad ammirare quello spettacolo. Poi si girarono verso Aherektess.

“Che volete?” protestò lui “Io non ci vado lassù! Non può toccare a me il luogo proibito del regno mio nemico! Non ci tengo proprio ad incontrare il Dio di un popolo che mi detesta!”.

“Non ci sono alternative. Chi altro vuoi che vada lassù?!” gli fece notare Thuwey.

“Ma io non ci andrò!”.

“Ti ci scaravento io, se non muovi il culo!” minacciò Kassihell, alzando la voce.

“Voglio proprio vedere come credi di fare!” sfotté l’Aria.

Il Fuoco partì spedito e convinto verso il principe rivale, ma fu bloccato dal Metallo.

“Finitela!” sbottò Hanjuly “Non è questo il momento! Kassihell, tu siediti e rilassati, se ti è possibile! E tu, Aherektess, muoviti e vai lassù!”.

Il tono del Ghiaccio non ammetteva repliche. Il Fuoco si mise buono in disparte e l’Aria si sollevò da terra, anche se controvoglia. Notò con piacere e sollievo che la zona proibita era avvolta da una sorta di barriera molto simile alla bolla in cui si era rintanato fino a quel momento. Lo spettacolo che gli si presentò davanti era magnifico, doveva ammetterlo. I fiumi di lava creavano cascate di colore acceso che si incrociavano davanti a quel piccolo vulcano. Aherektess girò un paio di volte, chiedendosi da che parte fosse l’entrata. Poi vide una piccola rientranza che dava accesso alla camera interna del cono vulcanico. Storse il naso all’idea di infilarsi là dentro ma capì di non avere alternative. Respirò, ripetendosi qualche frase di auto incoraggiamento, ed entrò.

Dopo qualche istante di buio e smarrimento, atterrò su uno spiazzo solido. Ansimava dal caldo, nonostante lo scarso vestiario, e non vedeva l’ora di potersi allontanare per sempre da quel luogo.

“Benvenuto!” parlò una voce.

“Dharam?” ipotizzò Aherektess “Il famoso Dio del Fuoco e controllore della stella Sirona?”.

“Sei ben informato”.

Il Dio era seduto, avvolto dalle fiamme, piuttosto distante dal mortale. Con solamente una sorta di gonna allacciata in vita, mostrava il petto tatuato con motivi infuocati. Aveva occhi rossi e capelli dello stesso colore, sparati in aria ed agitati come un falò. Si alzò, incrociando le braccia.

L’Aria lo fissò con timore. Aveva davanti un Dio che proteggeva il popolo che più odiava quelli come lui.

“Vieni qui, vicino a me” disse il Dio.

Aherektess notò di trovarsi su una piccola porzione di lava solida, circondato dal magma ribollente. Fece per spiccare il volo quando Dharam allungò la mano e lo bloccò.

“A piedi” ordinò, con voce tonante.

“Come?!” esclamò l’Aria.

“Questa è la tua prova, mortale. Raggiungimi ed avrai l’oggetto proibito”.

Il mortale lo fissò con un’espressione dubbiosa. Sperava fosse tutto uno scherzo. Notando che la divinità non cambiava la sua posizione, calcolò approssimativamente quale fosse il punto stabile più vicino. Si apprestò a saltare.

“Sai che se cadi lì dentro non hai scampo, vero?” parlò il Dio, indicando l’incandescente lago su cui Aherektess stava per scivolare.

“Lo so. Non sono stupido!” sbottò il mortale, capendo che non poteva raggiungere punti sicuri.

“Cosa ti turba, ragazzo?”.

“Mi turba il fatto di essere in un punto molto poco sicuro, al momento, e di non sapere come muovermi per rimediare alla cosa”.

“Non mi riferivo a questo. Cosa provi dentro di te? Il fuoco della tua anima è agitato ed irrequieto. Come mai?”.

L’Aria fece un’altra smorfia. Non trovava appropriata la psicoanalisi in quel momento! E poi che importanza aveva per quel tizio? Cosa gli importava se era agitato o quant’altro?

“Non vuoi parlarmi, Aherektess?”.

“Non capisco che utilità possa avere”.

“Io comando il Fuoco e, se vuoi, posso trovare il modo di calmare ciò che si agita dentro di te”.

“Dubito. Scusate ma, per quanto possiate essere un Dio, i miei problemi non sono calmabili, se mi permette il termine! Inoltre…punto uno: non sono affari Vostri, punto due: non mi va di parlarne ed, infine, punto tre: sono qui per altro!”.

“Come vuoi” parlò Dharam, con un tono piatto e privo di emozione.

Mosse leggermente la mano e la piccola zona in cui stava l’Aria si mosse, allontanando ulteriormente Dio e Mortale. Aherektess gridò per la sorpresa e si accucciò, tentando di rimanere in piedi.

Quando si fermò, fissò la divinità ad occhi spalancati: “Voi siete pazzo!” sbottò.

“E tu sei testardo!”.

“Lo ammetto. Che volete? Che devo fare?”.

“Prendi seriamente le mie domande e parlami”.

L’Aria sospirò. Rialzandosi in piedi con convinzione, fissò la divinità a braccia incrociate, attendendo qualche altra strana domanda.

“Allora…Aherektess…tu credi nell’utilità di questo viaggio?”.

“Utilità? Nel senso di evocare la Creatrice dopo aver trovato tutti gli oggetti proibiti? Sì, certo. Io, a differenza di qualcun altro del gruppo, mi preoccupo della magia e della vita di Asteria! Reputo perciò indispensabile trovare una soluzione ai suoi problemi”.

Delle parti di roccia solida si spostarono, permettendo all’Aria di avanzare un pochino, con un movimento ad elle.

“Bene ma…di altri fini che questo può avere, cosa ne pensi?”.

“Non vi capisco…”.

“Intendo dire: siete tutti principi, principesse o figure molto vicine alle famiglie regnanti. Un’amicizia, un’alleanza, fra di voi comporta una buona situazione anche nel futuro. Le relazioni internazionali di questo pianeta sarebbero molto più favorevoli se andaste d’accordo”.

“Mi state chiedendo come vedo questo viaggio dal punto di vista diplomatico? Uno schifo! I regni che si odiavano continuano ad odiarsi, quelli che si ignoravano ad ignorarsi e quelli che andavano d’accordo ad andare d’accordo. Come se nulla fosse successo”.

“E questo come mai, secondo te?”.

“Credo per incompatibilità di elementi. L’Aria non può andare d’accordo con il Fuoco!”.

“Eppure io vado d’accordissimo con Loreatehenzi, il Dio che governa il tuo elemento”.

“Davvero?! Questa è una notizia che non mi aspettavo…probabilmente perché non Vi ha mai fatto nulla di male…”.

“Ci sono le guerre anche fra noi, ragazzo mio! E se agissimo come voi mortali, che vi portate dietro l’odio per generazioni, non ci sarebbe mai stata la pace e voi, abitanti di Asteria, non esistereste perché la Creatrice sarebbe stata troppo impegnata a combattere e complottare. Le guerre ci sono, non lo nego, gli attaccabrighe li abbiamo pure noi, ma alla fine riusciamo sempre a trovare un accordo. Uniti per riuscire a trovare una soluzione, soprattutto per preservare l’equilibrio degli universi, alla fine ne usciamo. Chi dev’essere punito, se è necessario, viene punito e finisce lì. Magari ci si tiene d’occhio, ma non si va a stuzzicare i perdenti per farli incazzare e cose simili”.

“Mi state suggerendo di trovare una soluzione con il Fuoco per il bene di Asteria, ignorando tutto ciò che è successo in passato?”.

“So che è difficile, ma è quello che ti sto chiedendo”.

“Ma il Fuoco ha distrutto la mia famiglia!”.

Mosso dalla rabbia, Aherektess compì un lungo balzo, atterrando al volo su un masso galleggiante.

“Ricordati, però, che è l’Aria ad alimentare il Fuoco! Non siete elementi incompatibili. Uno dipende dall’altro. Il Fuoco non brucerebbe senza l’Aria e voi, creature alate, non sopravvivreste all’inverno senza il suo calore. Ogni elemento è fondamentale, Aherektess, e non è giusto che uno prevalga sull’altro o si ritenga superiore”.

“Di questo dovreste parlarne con Ozymandias…”.

“Lui sta attuando un meccanismo di difesa, esattamente come te, Vehuya, tuo fratello e chiunque altro tiri fuori casini su questo pianeta. È da capire, dopotutto…la sua gente si è quasi estinta per l’indifferenza degli altri regni”.

“Ma io non ho colpa di questo. E nemmeno mio fratello. Come potremmo rimediare?”.

“Magari non potrete fare pace con Ozymandias…ma potreste stabilizzare la situazione con l’aiuto della regina che gli succederà: Lehelin. Se lei non avrà motivo di farvi la guerra, non la farà!”.

“Lei è una creatura oscura. Dubito che quelli come lei possano essere molto propensi all’alleanza ed alla pace. Il loro scopo è l’opposto!”.

“Eppure, che strano, io vado d’accordo pure con Kaos, il Dio che li governa. Loreatehenzi non è da meno. Da quando ad Asteria sono iniziati i problemi, nessuno di noi litiga più in modo distruttivo. Non posso dire che andiamo d’amore e d’accordo ma abbiamo accantonato le nostre divergenze. Se ci siamo riusciti noi, dopo millenni di indifferenza ed insulti, direi che potete farcela pure voi”.

“Che devo fare? Che posso fare?”.

Quella domanda lo fece avanzare di parecchie caselle, stavolta saltando in diagonale.

“Sei orgoglioso delle nefandezze commesse dal tuo popolo?”.

Aherektess rimase in silenzio. Immobile, non sapeva cosa dire. Poi chinò il capo.

“No” ammise “No, non lo sono. Sono stati uccisi dei bambini e molte persone innocenti…ma la nostra era solo una mossa di risposta! Loro hanno fatto altrettanto!”.

“Ti riferisci al Fuoco? E credi che, rivolgendogli la stessa domanda, risponderebbero in modo diverso?”.

“No…immagino di no. Perciò…”.

“Perciò dovresti dirglielo. Dovresti dirgli che non trovi giusto ciò che è stato fatto e ciò che avete subito. Senza odio nella voce, come siete soliti fare”.

“E credete che le scuse possano bastare?”.

L’espressione di Aherektess era parecchio dubbiosa.

“Con i regnanti di adesso probabilmente no. Salvo tuo fratello, forse, gli altri sono tutti ancorati alle loro posizioni e si romperanno i coglioni fino alla morte. Ma voi, giovani viaggiatori, avete la possibilità di placare tutto questo per sempre. Nel vostro gruppo ci sono i futuri regnanti del pianeta. Placate le divergenze fra di voi e nel futuro ci saranno molti meno problemi”.

“Avete una visione piuttosto ottimistica della realtà…”.

“Lo so. Sono uno di quelli convinti che la speranza è l’ultima a morire”.

“Ci proverò. Farò tutto il possibile per trovare un accordo” sospirò, dopo un po’, il mortale.

“Sei sincero?”.

“Sono pronto a giurarlo sulla mia corona di principe”.

Dharam sorrise, orgoglioso di quelle parole e soddisfatto. Il cammino verso di lui fu molto più semplice per Aherektess, che lo raggiunse in pochi minuti.

“Sei un giovane ragionevole, saggio e coscienzioso” disse il Dio.

“Tutti termini che nessuno mi aveva mai dato, grazie”.

“Fidati. Sarai un ottimo e prezioso consigliere per tuo fratello Zameknenit ed un punto di riferimento per il tuo popolo. Lo vedo. Lo so”.

“Se lo dite Voi…”.

“Ti consegno l’oggetto proibito, principe dell’Aria. Abbine cura ed usalo in modo appropriato”.

Detto questo, il Dio prese fra le mani una manciata di magma. Aherektess rabbrividì nel vederglielo fare, immaginando le sue membra spappolate dal calore. A Dharam, controllore del Fuoco, quel gesto non portò alcuna conseguenza ed iniziò a modellare quella massa come se fosse plastilina. La arrotolò fra le mani fino a creare un lungo salsicciotto incandescente.

“Sbatti le ali” parlò la divinità.

L’Aria obbedì e si alzò un gran fumo, dovuto al raffreddamento dell’oggetto.

“Questo è tuo. Prendilo”.

Il Dio, ora che il fumo si era diradato, stringeva fra le mani un lungo bastone nero, pieno di decori rosso vivo. Aherektess lo strinse fra le mani. Era leggero e duro. Lo roteò fra le mani con entusiasmo. Sarebbe stato un’ottima arma!

“Ti saluto, principe. Prosegui il tuo cammino”.

Divinità e mortale si strinsero la mano, con un piccolo inchino. Dopodiché l’Aria riprese il volo ed uscì da quel vulcano in miniatura. Stringendo l’oggetto fra le mani, scese di quota rapidamente e raggiunse i suoi compagni.

 

“Ci sei riuscito! Il Dio rivale del tuo popolo non ti ha ucciso!” ridacchiò Reishefy.

“Non è un Dio rivale e, a questo proposito…” rispose Aherektess, guardandosi attorno alla ricerca di Fuoco ed Oscurità.

Individuò il principe di quell’impero, girato di spalle con lo sguardo perso verso non si sa bene quale meta. Prese un profondo respiro, ricordando l’ordine di non usare toni di rabbia, e parlò.

“Principe Kassihell…” lo chiamò ed il suo interlocutore rizzò le orecchie, non essendosi mai sentito chiamare così dal rivale.

Si voltò e lo fissò con aria interrogativa. Aveva voglia di dirgli un “Cosa vuoi?” poco gentile, ma notò lo sguardo serio e triste del principe dell’Aria.

“Principe Kassihell…” parlò Aherektess, facendo un inchino ed abbassando la testa “…io…volevo chiedere perdono alla Vostra famiglia ed a tutta la Vostra gente per ogni cosa che Vi ha arrecato danno provocata dai miei consanguinei e dal mio popolo”.

Il Fuoco lo fissò, ad occhi e bocca spalancati. Non si aspettava di certo una frase del genere.

“Principessa Lehelin…” continuò l’Aria, notando che si era riavvicinata al gruppo “…anche a Voi devo delle scuse. Da parte della mia gente e da parte mia. Chiedo perdono per coloro che non hanno aiutato le creature dell’Oscurità e chiedo perdono per il mio comportamento. Non potremo mai essere amanti ma, spero, almeno preziosi alleati”.

Lehelin rimase spiazzata da quelle parole, come Kassihell. Dopo qualche istante di assoluto silenzio, sorrise, cosa che faceva raramente in modo sincero.

“Contate pure sulla mia alleanza, principe Aherektess. E chiedo perdono io stessa del mio comportamento e di tutti i fastidi arrecativi dalla gente dell’Oscurità”.

Aria ed Ombra si fecero un cenno con il capo, d’intesa, continuando a sorridersi.

“Hei…” iniziò il Fuoco, rimasto alle spalle dei due “…anch’io vorrei…ecco…” era in evidente imbarazzo e non sapeva da che parte iniziare.

Si passò una mano fra i capelli spettinati, cercando le parole.

“Anche il mio popolo ha commesso degli errori” parlò poi, con tono serio ed autoritario, degno di un imperatore “Così come me e la mia famiglia. Principe Aherektess…io, come futuro Signore del Fuoco, mi impegnerò affinché certi errori non si ripetano”.

Il gruppo di viaggiatori si fissò, incredulo. Nessuno riusciva a credere alle proprie orecchie. Stava davvero nascendo un’alleanza fra loro?

“Anche a me dispiace tanto per quello che ho fatto e che ha combinato la mia gente!” piagnucolò Reishefy, chinando la testa.

Questo provocò una reazione a catena di scuse reciproche mai vista prima fra abitanti di diversi regni di Asteria ma l’avvenimento storico di quel momento fu una stretta di mano. Sorridendosi, Aria e Fuoco suggellavano così il loro patto d’alleanza.

 

†††

 

“Quei bastardi hanno fatto di nuovo comunella! Fastidiosi esseri! Ma so cosa fare…” borbottò Elehcim, a braccia incrociate.

“Cos’hai in mente?” domandò Kire.

“Vedrai! Tu trova il modo di farli arrivare alla gola. Poi ci penseremo io e Danjell”.

“Mi fido…”.

“Non so quanto ti convenga, ma non hai scelta. A dopo”.

I due gemelli si allontanarono, in direzioni opposte. Entrambi per metà appartenenti a quell’impero, camminavano sulla lava bollente senza problemi. Kire prese con sé Semar ed un gruppetto di altre creature mezzosangue, tutte con una parte di Fuoco. Elehcim si incamminò con Danjell al suo fianco. Era un ragazzo con geni di Fuoco e Terra, alto, vestito di verde e con capelli neri raccolti in una coda. Con la sua particolare combinazione di elementi non si scottava, nonostante presentasse le tipiche zone in legno degli abitanti della Terra sulle gambe. Non vedeva l’ora di entrare in azione ma, per attuare il piano, serviva che la compagnia di viaggiatori si trovasse in un punto preciso di quella valle infuocata o sarebbe stata solo energia sprecata inutilmente.

“Adoro questo regno…” mormorò Elehcim, indossando gli immancabili occhiali scuri nonostante fosse quasi buio, scivolando su una piccola onda di lava come se niente fosse.

Stava scendendo la notte ed il rosso brillante dei lapilli di quei fiumi bollenti creava uno spettacolo meraviglioso. Danjell, avendo passato la maggior parte della sua vita nel regno della Terra, non aveva mai avuto modo di osservarlo. Stavano risalendo, lungo la parete di un vulcano.

“Lo adori perché, come mezzo Metallo, diventi più alto con il caldo?” sghignazzò Danjell.

Elehcim non gli rispose. Stava ripercorrendo con la mente tutti i passaggi del suo piano e non aveva tempo per pensare ad altro. Dalla cima che avevano raggiunto, potevano vedere chiaramente i dieci viaggiatori e gli altri mezzosangue. Decisero che quello era un ottimo punto per aspettare il segnale dei loro compagni. Ignorando i borbottii ed i lamenti del magma, osservarono il cielo limpido mentre Sirona tramontava e sorgevano i due sposi della notte.

“Sicuro che quassù non ci noteranno?” domandò il sanguemisto della Terra.

“Tranquillo. Presto qui non ci saremo solo noi…”.

 

†††

 

“Abbiamo bisogno di riposo! Fermiamoci per la notte!” protestò Enki.

“No. Non ancora” rispose Kassihell “Presto saremo in prossimità di un ottimo posto per poter dormire. Resistete”.

L’Acqua sospirò, sentendo moltissimo la mancanza del suo elemento. Reishefy evocava il potere del suo oggetto proibito per dare un po’ di sollievo ai suoi compagni. Aherektess rizzò le orecchie. Percepiva delle vibrazioni nell’aria. Poco dopo anche Idisi e Mattehedike le avvertirono, trasmesse dal terreno, nonostante il rivoltarsi del magma sotto lo strato di lava ormai solida su cui camminavano. Si guardarono fra loro, perplessi.

“Che fanno quelli?” domandò Efrehem, notando un gruppo di nativi in pittoreschi abiti e con il corpo dipinto con strani segni tribali.

Erano in molti e stavano salendo sui vari vulcani che circondavano la valle in cui camminavano i dieci. Il capo, colui che guidava la scalata, indossava una grossa maschera rappresentante un’espressione piuttosto minacciosa. Erano tutti molto poco vestiti, per dare più spazio possibile ai disegni neri e rossi che si erano fatti sulla pelle.

“Sono stregoni” spiegò Kassihell “Una volta ogni ciclo degli sposi, salgono sul vulcano più vicino al loro paese, villaggio o città e svolgono un rito molto particolare in onore dell’elemento che fa parte del nostro DNA. Personalmente, trovo la cosa piuttosto ridicola ma che volete farci…è la tradizione! Inutile tentare di cambiarla”.

“Selvaggi…” mormorò la Roccia, sconvolto e lievemente disgustato.

Una volta giunti in cima, iniziarono a suonare enormi tamburi che si erano portati dietro o che avevano lasciato lì vicino, in una grotta o in una rientranza sicura. Quel suono, profondo e rimbombante, iniziò a diffondersi per il regno. Simile al borbottio di un tuono, ma molto più ritmato, era piuttosto spaventoso. I nativi percuotevano quei grossi strumenti stando in piedi e tenendoli bloccati con la membrana in verticale. Con le mani o con batacchi, in ogni gruppo c’erano almeno tre suonatori ed altrettanti tamburi, mentre gli altri si esibivano in una danza precisa e selvaggia, guidata dal capo con la maschera. Questi, oltre che a ballare, pronunciava una formula accompagnato dalle grida di chi aveva accanto. Il loro elemento pareva rispondere a quel rituale e brillò con maggiore intensità, man mano che la musica proseguiva e si faceva più veloce. Scintillante di piccole luci arancioni fluttuanti, la forte magia richiamata andava ad attaccarsi agli abitanti di quel regno, rafforzandoli. Kassihell percepì e recepì perfettamente quell’energia, sorridendo soddisfatto. Lo stesso effetto si ripresentò sui mezzosangue.

“Interessante fenomeno” commentò Efrehem, annotandoselo in mente con l’intento di riportarlo appena possibile sul suo libricino.

“Già. Simpatico” si limitò a dire il Fuoco, camminando con l’intento di portare tutti in un luogo adatto per poter riposare.

Circondati dal rimbombo dei tamburi, non avvertirono l’avvicinarsi dei loro nemici.

 

“Buonasera” salutò educatamente Kire, sorridendo e mostrando i denti a punta.

“E questi chi sono?” si interrogò Reishefy.

“Siamo la comparsa materiale dei vostri peggiori incubi” rispose il capo dei mezzosangue.

Ringhiò, cambiando di colpo espressione, facendo fare un balzo all’indietro ad Enki.

“Cosa volete?” rimbeccò al ringhio il Fuoco.

“Direi che è una domanda piuttosto idiota!” sbottò Hanjuly “Muoviti! Andiamo! Hai visto quanti sono?! Vuoi farti uccidere?!”.

Kassihell non ebbe modo di aprir bocca perché venne trascinato a forza dagli altri viaggiatori.

“Ho un’idea!” disse, correndo, mentre alle spalle, i mezzosangue li inseguivano “Seguitemi! Conosco questo regno come le mie tasche, vi porterò al sicuro!”.

Gli inseguitori risero, avendo ben in mente ciò che dovevano fare. Semar e Kire in testa, i mezzosangue guadagnavano terreno.

“Perché non provano a colpirci?” ansimò la Luce.

“Non dargli idee!” sbottò Thuwey.

Davanti a loro, il sentiero si stringeva, delimitato da alte pareti di roccia nera e lava. I compagni si guardarono fra loro, perplessi, ma continuarono a seguire il Fuoco. Pareva convinto di voler seguire quella strada.

“Dopo quella chiusa saremo al sicuro” spiegò Kassihell.

La raggiunsero quando ormai erano al limite delle loro forze, anche perché erano da diverse ore in cammino senza sosta. Subito dopo quella strettoia, il paesaggio tornava ad aprirsi di colpo. Il Fuoco virò rapidamente sulla destra. Comandando il suo elemento, creò una parete con la lava che fece solidificare ad Aherektess. Così facendo, l’intera compagnia fu al sicuro.

 

“Perché non li abbiamo attaccati ed uccisi?” protestò Semar.

“Perché così facendo avremmo avuto gli Dèi contro. E poi, se quei dieci usano l’attacco combinato, sono più forti di noi. Non lo sanno, ma è così. Lo scopo nostro non è ucciderli ma dividerli, in modo che non portino a termine l’evocazione” gli rispose Kire, lanciando un segnale di fiamma nel cielo come messaggio al gemello.

Semar non parve soddisfatto da quella risposta ma annuì comunque.

 

Dall’alto del vulcano, Elehcim e Danjell videro quella fiammata e capirono che era giunto il loro momento. Si fissarono solo qualche istante, prima di iniziare a governare i loro elementi. Elehcim, avendo una capacità maggiore di controllo dell’elemento di fuoco rispetto a Danjell, spalancò le braccia ed iniziò ad agitarle in modo apparentemente insensato. Un denso fumo nero cominciò a salire ed a sprigionarsi tutt’intorno a loro. Con un altro gesto delle mani, lo diresse verso il gruppo di viaggiatori nascosti. Danjell, più pratico con la magia della Terra, estrasse dalla sacca che portava con sé una polvere verdastra. Elehcim indossò una maschera per non respirarla, riponendo con cura gli occhiali scuri, e lasciò che il collega la lanciasse nel fumo nero.

“Orebrec!” gridò il gemello di Kire.

L’enorme animale riconobbe subito la voce del suo padrone e si apprestò a raggiungerlo a grandi balzi. I due mezzosangue vi salirono in groppa e rincorsero la nube che avevano provocato, pronti a sfruttarla al meglio contro i loro nemici.

 

Questi si credevano al sicuro in quella nuova grotta creata da Kassihell. Aherektess fu il primo ad accorgersi dell’avvicinarsi di quella strana nebbia scura. Sulle prime, il Fuoco lo tranquillizzò, dicendogli che era normale un fenomeno del genere nel suo regno ma dovette ricredersi. La sua densità era diversa, si muoveva in modo innaturale ed aveva un odore insolito.

“Fuori! Andiamo fuori di qui!” ordinò, cercando di distruggere la barriera di lava che si era creato. Elehcim riuscì a bloccare ogni suo tentativo con facilità, facendo sì che i dieci si ritrovassero avvolti dal fumo. Iniziarono a tossire. La Roccia e la Terra tentarono di aiutare Kassihell ma il mezzosangue all’esterno non cedeva.

“Siamo in trappola! Qualcosa ci blocca dall’esterno!” gemette Enki.

“Seguitemi!” rispose il Fuoco, ed iniziò a modificare il terreno sotto di sé, creando un tunnel sotterraneo nel magma.

“Io non ci vengo lì dentro!” gemette l’Aria.

“So quanto difficile sia chiederti una cosa del genere, ma devi fidarti di me! Non ci vorrà molto. Basta solo passare oltre a questa zona, dove non so chi o non so cosa ci sta tenendo in gabbia” tentò di incoraggiarlo il principe di quel regno.

Aherektess sospirò. Prese coraggio e lo seguì. Nel frattempo, però, la nebbia si era insinuata fra loro, ostacolando di molto la visuale. Kassihell uscì all’esterno più in fretta che poté e rimase sconcertato quando vide che quel fumo fastidioso li aveva seguiti.

“Avanti, ragazzi. Uscite. Aherektess…puoi provare a mandare via quest’aria fetida?”.

Non ricevette risposta. Si girò, tossendo. Trovò la cosa piuttosto strana perché di solito a certi fenomeni era abituato e non lo infastidivano. Ma quell’odore aveva davvero qualcosa di anormale.

“Ragazzi?” chiamò di nuovo.

Tornò sui suoi passi ma non riusciva a vedere nulla, nemmeno dove metteva i piedi e dove stava il tunnel che aveva appena creato. Si asciugò le lacrime, sperando di migliorare la visuale. Continuò a gridare, chiamando gli altri. Era certo che la struttura nel magma non avesse ceduto e che fossero tutti dietro di lui. Stavano bene, fino a qualche secondo prima lo aveva percepito chiaramente, ma ora non li sentiva più. Era da solo. Com’era possibile?

 

Elehcim ghignò orgoglioso, riuscendo a vedere con soddisfazione ciò che aveva provocato. Era riuscito a separarli. Grazie al fumo ed a quella polvere, che provocava visioni ed illusioni ottiche, li aveva disorientati ed allontanati l’uno dall’altro. Dietro a Kassihell aveva costruito per ognuno un tunnel diverso, aiutato da Danjell che aveva creato l’immagine del principe del Fuoco e degli altri compagni davanti a loro. Così facendo, ognuno era convinto di essere in fila dietro al gruppo e di star seguendo la strada giusta. In realtà si trovava da solo, in un percorso disegnato dal nemico. Uscendo all’esterno, trovarono la nebbia ad accoglierli e la solitudine. Incapaci di farsi sentire fra loro, ognuno rimase in balia delle illusioni del sanguemisto della Terra.

 

L’Oscurità fu la sola a non cadere in quella trappola. Essendo una creatura definita incantatrice, la polvere creatrice di immagini fittizie non sorbiva alcun effetto su di lei. Capì che c’era qualcosa che non andava non appena notò la materializzazione di nuovi tunnel ed il separarsi dei suoi compagni. Si insospettì e pensò che, forse, la causa di tutto questo era collegata al fatto che Kassihell non era riuscito a farli uscire dal nascondiglio appena creato. Pensando questo, tornò indietro. Riuscì a raggiungere l’esterno tramite un piccolissimo anfratto. Il fumo era denso e di lei si vedevano bene solo gli occhi argento. Il resto era appena tratteggiato, come facente parte del paesaggio. Si guardò attorno e vide Elehcim, riconoscendolo dalle due ombre.

“Di nuovo tu?” si dissero a vicenda, contemporaneamente.

Danjell fissò il suo collega con aria interrogativa.

“Penso io a lei. Tu continua pure con le tue illusioni, attieniti al piano” sbottò il mascherato.

“Che intendi fare? La nostra missione non prevede l’uccisione di nessuno”.

“Questo fumo copre pure gli occhi degli Dèi e poi, se loro non han voglia che le faccia del male, che intervengano! Non ho paura di loro”.

Il mezzosangue di Terra annuì, fingendo di seguire quel discorso, e tornò a concentrarsi sugli altri nove, mentre Elehcim scese da Orebrec. Il suo collega rimase in groppa, restando così al di sopra del denso fumo che poteva infastidirlo.

 “A quanto pare, il caso vuole che sia io ad ucciderti…” mormorò il mezzo Fuoco.

Lehelin non si mosse, continuando a fissarlo con curiosità, più che con spavento.

“Dove sono i miei compagni?” domandò, non aspettandosi, in verità, una risposta.

Il mezzosangue non le rispose, infatti, ed evocò la forza predominante di quel regno. Sapeva che l’Oscurità era in difficoltà vicino al fuoco vivo.

“Dovresti scappare, piccola stupida!” le disse Elehcim.

Lehelin sobbalzò, percependo la forte magia di chi aveva di fronte. Inaspettatamente per chi la stava per affrontare, non tentò la fuga ma gli andò incontro, tentando di avvicinarsi all’elemento che poteva controllare. Con un guizzo, si mosse sulla destra. Così facendo, calpestò l’ombra di Fuoco. Si aspettava di vedere il suo avversario immobilizzato, ma non fu così. Mutò, invece, perdendo i tratti di creatura di quell’elemento, e si mostrò come abitante del Metallo. Le fiamme che aveva fra le mani si spensero e lui ringhiò, scocciato da quell’evento. Lehelin rimase sconcertata e girò attorno al mezzosangue, tentando di capire se anche calpestando l’ombra di Metallo otteneva lo stesso effetto. Fu così. Bloccata quella parte, l’aspetto di Elehcim era quella di una creatura di Fuoco, privo di tratti metallici.

“Piantala di giocare!” sbottò il mezzosangue, girando su stesso e tentando di afferrarla.

Era tornato al suo solito aspetto. Gli occhi rossi si intravedevano nonostante la maschera che lo proteggeva dal gas illusorio, infiammati di rabbia e fastidio. A causa di quei sentimenti, sul suo corpo si accentuarono i piccoli spuntoni di metallo, facendosi più acuminati ed evidenti. Ne aveva lungo le braccia, sulle spalle e lungo tutto il busto. Lehelin ipotizzò che la loro disposizione rispecchiasse la decisione di Thuwey, quella di non farsi toccare.

“Io non voglio ucciderti…” gli disse l’Oscurità.

“Io sì, invece!”.

Notando che diceva sul serio, la principessa d’ombra tentò di allontanarsi. Coperto dalla maschera, il mezzosangue non poteva essere vittima delle sue doti d’incantatrice e non sarebbe mai riuscita a bloccare entrambe le sue ombre. Non poteva far altro che andarsene. Aveva capito cosa stava succedendo e voleva mettere in guardia i suoi compagni. Tentò di ingannarlo, nascondendosi nell’oscurità.

Lui ridacchiò: “Non puoi scapparmi, moscerino. Gli elementi che controllo mi trasmettono la tua posizione!”.

Non si aspettava fosse così difficile da catturare e stava iniziando davvero ad arrabbiarsi. La inseguì, per impedirle di raggiungere gli altri viaggiatori. Comandò la lava bollente affinché la bloccasse, solidificandola, ma Lehelin vi sfuggì facilmente, non avendo un corpo fisico. Allo stesso tempo, lei tentava di comandare le ombre di lui, ma le era impossibile governarle entrambe allo stesso tempo.

Per un istante si guardarono, non volendo nessuno dei due ammettere di avere di fronte un avversario di certo particolare e difficile da battere. All’ennesima svicolata dell’Oscurità, Elehcim perse del tutto la pazienza. Modificò le braccia, avvolgendole di metallo e creandosi una specie di piccone da un lato ed una grossa sfera di fuoco dall’altro.

“Ti caverò gli occhi e te li farò magiare!” gridò “Darò il tuo cuore in pasto ad Orebrec!”.

Lehelin si chiese chi fosse Orebrec, ma preferì non indagare. Si guardò alle spalle, di sfuggita, e…non vide nessuno: “Ma che…” iniziò.

Si girò ed Elehcim le stava davanti. Si era immerso nella lava che scorreva ed era riemerso davanti a quella creatura fumosa.

“Che cosa vuoi? Perché vuoi uccidermi?” disse lei, con tono calmo e controllato.

“Non voglio che portiate a termine la missione, l’evocazione. Il vostro scopo è distruggerci tutti, noi mezzosangue, e la cosa non mi sta bene”.

“Tu non hai paura della morte, altrimenti non correresti il rischio di respirare i fumi illusori, ma te ne saresti rimasto a debita distanza, dando ordini a chi non corre alcun pericolo”.

“A quanto pare le mie ombre chiacchierano parecchio, e ti hanno fornito un sacco di informazioni. Sì, è vero, vivere o morire per me non fa differenza. Ma non permetto che siano altri a deciderlo. Se dovrò morire, morirò, ma non perché a dieci rompicoglioni fa comodo evocare la Creatrice e lavarsi le mani da ogni problema, dando tutte le colpe a quelli come me”.

“Morirai combattendo, dunque…”.

“Tu no?”.

“Se credi di spaventarmi, rivolgendomi quello sguardo minaccioso, ti sbagli di grosso. Io, come creatura dell’Oscurità, ho di certo dei vissuti molto più spaventosi di qualsiasi cosa tu abbia in mente di farmi con la tua magia”.

Elehcim ghignò di nuovo: “Staremo a vedere” sibilò, ed alzò un braccio in aria.

Così facendo, il terreno dietro a Lehelin sprofondò. Lei si guardò alle spalle, preoccupata, notando la voragine che si era creata.

“Avresti fatto meglio a non provocarmi, sciocca ragazzina” sbottò lui e fece comparire una sorta di muro di fiamme davanti a sé.

Lo spinse verso la sua vittima che non poté far altro che indietreggiare…e cadere nel vuoto.

 

“Ragazzi! Dove siete?” ancora gridava Kassihell, tossendo e tentando di coprirsi gli occhi.

Li chiamava e camminava, senza però ottenere alcuna risposta. Silenzio totale, neppure il suono dei fiumi di lava riusciva a percepire. Questo di certo era strano. Poi, ad un tratto, una voce familiare.

“Papà!” si sentì chiamare.

La sua bambina! La sua bambina gli stava correndo appresso a braccia spalancate. Lui le sorrise, accogliendola in un caldo abbraccio.

“Papà, sei proprio tu! Che bello rivederti!”.

“Sì, sono io, piccola mia ma…tu cosa ci fai qui?”.

“Siamo tutti qui!” aggiunse una voce diversa.

Era sua moglie, con i suoi due figli maschi. Erano tutti cresciuti, ma non tantissimo come temeva. Il più piccolo camminava, incerto sulle gambe, e lo riconobbe subito. Guardatosi meglio attorno, Kassihell si accorse che la nebbia era scomparsa e che si trovava vicino al palazzo imperiale, davanti alle sue mura.

“La tua missione è dunque conclusa, marito mio?” domandò la consorte, sorridendogli.

“Non ancora ma manca poco. Non immagini nemmeno tutto ciò che abbiamo passato, io ed i miei compagni, lungo la via. Entriamo, vorrei mandare un piccolo gruppo di ricerca perché ci siamo dispersi a causa di un fumo molto strano”.

“Non vedo l’ora di sentirti raccontare ogni tua avventura vissuta”.

La famiglia entrò a palazzo, spalancando le altissime porte. Passarono accanto all’imponente statua del primo imperatore del Fuoco, con due fiamme vive rette dai palmi aperti. Kassihell diede ordine al capo delle guardie di organizzare la ricerca dei suoi compagni perduti e poi si rilassò. Era a casa, dopo tanto tempo. Sorrise a sua madre ed alla sorella, che lo accolsero con entusiasmo. Giocò con i bambini, che avevano sentito la sua mancanza ed avevano moltissime cose da raccontargli. Quando questi furono stanchi ed andarono a letto, poté finalmente appartarsi con la moglie, dopo tutti quei mesi passati lontani da lei.

 

Aherektess sbatté le braccia con forza, nel tentativo di diradare quel fumo. Non ci riuscì e, per quanto in alto tentasse di volare, quella nebbia pareva seguirlo e non lasciargli via di scampo. Chiamò i suoi compagni, ma senza risultato. Poi vide una luce, in lontananza. Riconobbe subito la figura e sorrise.

“Kassihell!” lo chiamò “Kassihell, amico mio, sei proprio tu? Almeno uno di noi sono riuscito a trovarlo! Sai dove sono gli altri?”.

“Amico mio? Dì un po’…che ti sei fumato? Finché ci sono gli altri del gruppo posso anche fingermi alleato e simpatico, ma quando siamo da soli scordatelo un trattamento del genere, chiaro? Tu per me resti sempre un abitante dell’Aria, mio nemico”.

“Ma io pensavo che la nostra alleanza…”.

“Quale alleanza? Io non ho firmato niente”.

“Stai scherzando, vero?” ridacchiò Aherektess.

“Io non scherzo mai”.

“Come no? Dai su…che sei il principe della risata!”.

Il Fuoco lo fissò, infastidito, e lo colpì con un pugno. L’Aria non voleva reagire, in principio, ma poi iniziarono a volare insulti e lui si sentì in dovere di contraccambiare. I due iniziarono a pestarsi violentemente, senza nessuno attorno che li potesse fermare o che potesse dire ad Aherektess che, in realtà, ciò che vedeva era solamente un’illusione.

 

Efrehem ampliò la luce che emetteva la sua pelle ma non ottenne il risultato sperato. La nebbia, infatti, tornò a riflettergli contro ogni raggio del suo elemento. Girò le antenne. Sinceramente, non riusciva a capire come fosse possibile aver smarrito il resto della compagnia. Erano tutti davanti o dietro di lui, in una sorta di trenino ordinato, ne era certo! Ma allora adesso dov’erano finiti?

“Efrehem!” si sentì chiamare.

Era Hanjuly e la cosa lo rese immensamente felice: “Ciao” la salutò “Gli altri sono con te?”.

“No, speravo fossero con te”.

“Sono da solo”.

Il Ghiaccio girò la testa, a destra ed a sinistra: “Siamo da soli…completamente soli” mormorò.

“Già…” concordò la Luce, quasi sorridendo, nonostante tutto.

“La cosa non pare dispiacerti…”.

“Al contrario…sono preoccupato per gli altri e per la situazione ma…se dovessi scegliere una persona del gruppo con cui rimanere da solo, quella saresti di certo tu”.

Hanjuly lo fissò, cercando di interpretare quelle parole nel modo corretto: “Grazie, piccolino…” gli disse, chinandosi in avanti e facendogli un buffetto sulla guancia.

“Guarda che, anche se sono alto come un bambino di otto anni della tua gente, non lo sono! Sono un adulto, e gradirei essere trattato come tale!” sbottò la Luce.

“Come vuoi” si limitò a dire lei, con aria annoiata.

“Cos’è quella faccia?”.

“Preferirei poterti trattare come un bambino, perché come uomo non ti ci vedo proprio”.

Quella frase fu peggio di una martellata sull’autostima di Efrehem, che rimase a fissarla sconcertato ed afflitto. Con quella sola frase, lei era riuscita a fargli passare del tutto ogni voglia di confessarle ciò che provava nei suoi confronti.

Ferito nell’orgoglio, sentì di dover dire qualcosa: “Se devo essere sincero…” iniziò “…anch’io come donna non ti ci vedo. Le femmine del mio regno sono di certo molto più vestite, educate ed intelligenti!”.

“Mi stai dando della poco di buono, maleducata e deficiente?” si arrabbiò lei.

Lui non lo pensava davvero, ma il suo inconscio ferito non faceva altro che ripetergli di tenere la testa alta e rispondere a tono, a quella donna che gli stava frantumando il cuore.

 

Reishefy uscì dal tunnel con entusiasmo, per nulla preoccupata. Ci mise un bel po’ di tempo per accorgersi che era da sola. Dopo aver canticchiato senza motivo, come sempre, si insospettì nel non sentirsi sgridare da nessuno. Solitamente, accanto aveva sempre qualcuno pronto a dirle di chiudere il becco. Soprattutto Kassihell o Thuwey. Storse la bocca, dubbiosa. Che le stessero facendo uno scherzo? Una sorta di vendetta per quanto aveva rotto lei le palle fino a quel momento?

“Dove siete?” li chiamò.

Non si arrese all’evidenza che, usando il suo elemento elettrico, riceveva solo abbaglianti risposte da parte della nebbia scura.

“Dai…venite fuori! Non è divertente!” iniziò a spazientirsi.

Possibile che fossero così stupidi da farle uno scherzo così idiota?

“AHAHAH” rise, ironicamente “Me l’avete fatta. Ora, però, piantatela! Efrehem! Mi meraviglio di te! Hanjuly? Pensavo fossimo amiche! Dai…ho paura a stare qui da sola!”.

Piagnucolò, tirando su con il naso a causa di quel fumo denso, e cercò di stare calma. Le scosse che attraversavano il suo corpo iniziavano a farsi sempre più incontrollate.

“DOVE SIETE?!” urlò, quasi piangendo.

Ad un tratto sentì un rumore, proveniente dall’alto, ed una pesante gabbia la rinchiuse. Tentò di uscire in ogni modo ma non vi riuscì. Gridò, piena di rabbia e paura. Odiava essere intrappolata e quella prigione non sapeva nemmeno da dove provenisse.

 

Mattehedike sbuffò, quando notò che la nebbia non si diradava dopo quel tunnel.

“Che regno di merda, Kassihell!” sbottò.

Si aspettava di sentirsi rispondere che quello era un impero o qualcosa del genere ma non ricevette risposta. Restò immobile, cercando di percepire ogni minima vibrazione del terreno, ma sentiva solamente i movimenti del fiume di magma sotterraneo.

“Dove siete? Reishefy…so che tu non resisti senza parlare. Dì la tua solita dose di cazzate”.

Per quanto amasse il silenzio, avrebbe preferito di gran lunga udire una voce, questa volta. Una voce qualsiasi. Anche della straccia balle del gruppo.

Aumentò la percentuale del suo elemento lungo il corpo, il calore si stava facendo insopportabile e, credeva, la Roccia lo avrebbe protetto. Si incamminò chiamando gli altri suoi compagni. Non percorse molta strada. Le gambe gli rimasero bloccate nella lava. Guardò in basso e spalancò gli occhi dal terrore. La bolla fresca che lo aiutava a non entrare in diretto contatto con il fuoco era scomparsa. La roccia che componeva buona parte del suo corpo, a causa di questo, si stava liquefando.  Iniziò ad avvertire un dolore insopportabile ed intenso lungo tutto il corpo. Non poteva più muoversi né rimediare alla sua situazione. Poteva solamente aspettare la morte.

 

Enki capì subito di essere rimasta da sola. Questo perché stringeva la mano di Idisi, che la precedeva, ed ad un tratto non la percepì più. Intuì che fosse colpa di tutto quel fumo. Tentò di rimanere calma. Pensò a cosa avrebbero fatto Efrehem, con la sua razionalità, ed Hanjuly, con il suo coraggio, in una situazione del genere. Respirò a fondo, ripentendosi nella testa che non era il caso di fare la fifona proprio in quel momento. Tutti i suoi propositi si sciolsero come neve non appena si accorse di ciò che la osservava alle sue spalle. C’era una creatura enorme, composta da lava e fuoco, che la fissava minacciosa. Cadde all’indietro, in preda al panico, e lanciò un grido terrorizzato. La bestia rispose spalancando la bocca e ringhiandole contro, poi si mosse ed iniziò ad inseguirla. L’Acqua riuscì ad alzarsi, non capì neppure lei come, e si mise a correre. Non sapeva dove stava andando, non riusciva a vederlo, ma se voleva sopravvivere doveva allontanarsi e non farsi prendere. La creatura sputò fuoco e per poco non la colpì in pieno.

“Aiutatemi!” gridò Enki, sperando davvero che qualcuno potesse ascoltarla.

 

“Signor Thuwey!” chiamò qualcuno.

Il Metallo girò le orecchie a punta all’indietro. Gemette e fece per portarsi le mani al volto. Sentì qualcosa di morbido. Un cuscino. Come un cuscino?! si chiese nella sua testa.

“Signor Thuwey!” sentì di nuovo, con un insistente bussare alla porta.

Si alzò. Era nella sua stanza, nel suo letto. Si guardò attorno. I boccali vuoti erano un chiaro segnale di quanto avesse bevuto. Che fosse stato tutto un sogno? Tornò a distendersi, ignorando la porta. Un sogno? Il frutto di un dopo sbornia colossale? Tutto frutto della sua immaginazione? Ridacchiò. Ripensò a tutto il viaggio. Possibile che fosse stato tutto inventato dal suo cervello bacato? Aprendo la porta, trovò un piccolo servitore che gli ricordò i suoi impegni della giornata. Thuwey uscì di casa e percorse pigramente le vie della capitale. La regina voleva vederlo. Camminando, e passando accanto a moltissime creature del Metallo come lui, scoppiò a ridere. Che sogno assurdo che aveva fatto! Dieci creature di regni diversi che vanno a parlare con gli Dèi per salvare il Mondo?! E lui era uno di queste? Assurdo!! Rise ancora a lungo, ripromettendosi di bere di meno prima di coricarsi.

 

Idisi era stanca. Era da poco di nuovo all’aria aperta, eppure si sentiva come appesantita da qualcosa. Una sensazione la opprimeva. Si sfiorò il petto, cercando di darsi sollievo respirando piano. Il battito del suo cuore era rallentato e lei non riusciva a capirne il motivo. Sbatté gli occhi, cercando di non farsi prendere dal panico o dallo sconforto. Il nero l’avvolgeva ma non sapeva se era tutto fumo o se pure la sua vista iniziava ad appannarsi. Le mancava il respiro. Si fermò, tossendo ed ansimando. Mise di nuovo la sua mano sul petto e sobbalzò. Era interamente ricoperta di legno. Com’era possibile? Era un processo che non accadeva così in fretta! Eppure ora il suo corpo era sempre più rigido. Si stava trasformando, com’era accaduto a tutti suoi antenati, ad una velocità anormale. Le braccia gli si rizzarono, spalancandosi, e tutto il suo busto scricchiolò, ricoprendosi di corteccia. Per quello il suo cuore rallentava ed i suoi polmoni non riuscivano ad aprirsi e respirare correttamente. Guardò in alto, immobile, mentre avvertiva il mutamento compiersi sempre più in fretta. Sapeva che, una volta raggiunta la testa, sarebbe stata la fine. Ed ora il suo collo era per metà di legno.

 

Hanjuly odiava quel regno. Lei, principessa del Ghiaccio, non sopportava quella permanenza nel Fuoco. Voleva andarsene, in fretta, e non soffrire più tutto quel calore. Cercò di farsi aria. Era nervosa ed infastidita. Ovviamente queste due sensazioni si accentuarono quando si accorse di essere da sola. Si chiese se fosse colpa del caldo che la faceva delirare. Avrebbe dato qualsiasi cosa per potersi fare una doccia gelata.

“Dove siete?” domandò “Questo fumo del cazzo non mi fa vedere niente. Fatevi sentire!”.

Silenzio totale.

“Hei! Pronto! Parlo al muro, per caso?”.

Dentro di sé, percepì chiaramente uno “stronzi” balenarle in mente. Non lo disse, non volendo sprecare forze per litigare.

Delle luci. Vide delle luci alle sue spalle. Si girò, convinta di vedere Efrehem o Kassihell. Vide, invece, le creature del Fuoco che aveva incrociato la compagnia precedentemente. Il capo indossava ancora la maschera ed erano dipinti, anche se il colore si era un po’ rovinato in certi punti. Erano tutti uomini e fissavano Hanjuly con un certo interesse. Lei rispose a quello sguardo con tutto il disprezzo possibile. L’ultimo pensiero che aveva in mente in quel momento era quello di avere vicino uno di loro, con la pelle bollente come quella di Kassihell. Gli abitanti di quel regno non percepirono quello sguardo e le andarono più vicini. Il Ghiaccio, infastidita, ci mise un attimo ad estrarre dal suo zaino la sua arma. La aprì, creando il cerchio con le lame, e si apprestò a difendersi, se fosse stato necessario. Pensava che, vedendola armata, avrebbero cambiato idea e se ne sarebbero andati ma non fu così. Sorrisero, quasi divertiti, e continuarono ad avanzare.

 

“Che peccato…non ha nemmeno urlato” mormorò Elehcim, con un mezzo sorriso coperto dalla  pesante maschera.

Si girò e fece per andarsene. Il suo compagno Danjell lo stava aspettando e lì non c’era nient’altro che potesse fare. Fece qualche passo quando la voce dell’Oscurità lo fece arrestare.

“Sono spiacente…” stava dicendo Lehelin, risalendo dal precipizio, in cui era stata fatta cadere, grazie all’aiuto dell’Ombra “…la prossima volta urlerò”.

“Come cazzo hai fatto a sopravvivere, mostriciattolo?!” ringhiò il mezzosangue.

“Dove c’è l’Ombra, io vengo protetta”.

“Ma ti ho vista precipitare! Ti ho vista mentre venivi inglobata dalle fiamme!”.

“L’Ombra è ovunque. Avresti dovuto uccidermi nel regno della Luce. Lì ero debole e vulnerabile. Quello era l’unico luogo in cui l’Ombra non c’era. Ma ti sei fermato e non mi hai colpita”.

“Sono stato interrotto!”.

“Hai perso la tua occasione”.

Elehcim si morse il labbro con rabbia. Quella creatura stava davvero iniziando a farlo impazzire! Non soffriva, non veniva sconfitta e, oltretutto, non mostrava nemmeno una punta di paura negli occhi. Questo lo mandava in bestia. Voleva vedere il terrore delle sue vittime!

“Tu non puoi uccidermi” riprese Lehelin.

“Nemmeno tu!” rimbeccò il mezzosangue.

“Ed allora cosa facciamo? Restiamo tutto il giorno qua a cercare di farci del male? Fra poco sarà notte fonda ed io avrò ancora più possibilità di nascondermi e…”.

“Se credi che mi arrenda tanto facilmente, ti sbagli!” interruppe lui.

“…e, tanto per la cronaca…” riprese lei “…i miei occhi non possono essere cavati perché sospesi nel fumo che mi compone. Per quanto riguarda il mio cuore…è stato spezzato tante di quelle volte che dubito ci sia rimasto qualcosa con cui pasteggiare”.

Elehcim, sempre più irritato dal modo di fare di quella creatura, non volle dar peso al fatto che non poteva batterla ed i due ripresero a combattere. Allo zenit di Nikkal e Jarih, si stavano ancora affrontando, illuminati dalla lava bollente che conferiva ai combattenti un aspetto piuttosto pittoresco ed inquietante con il suo color rosso vivo.

“Vaffanculo!” gridò, ad un tratto, il mezzosangue “Possibile che, qualsiasi cosa faccia, non riesco a percepire neppure una punta di terrore in quegli enormi occhi argento?! Solo rabbia e…tristezza”.

“Mi pare di avertelo già detto: non ho paura della morte. E so che non puoi farmi del male, perciò perché dovrei mostrarmi spaventata?”.

“Perché sono il tuo nemico e voglio ucciderti, porca puttana! Non ti spaventa l’idea che mi basta fare un semplice gesto per richiamare qui mio fratello e tutti gli altri come me? Non credo che potresti tenerci testa!”.

“L’unica conseguenza che avrei, se tu compissi un’azione del genere, sarebbe quella di morire e, come già detto, la cosa non mi spaventa. Inoltre, so che non faresti mai una cosa del genere. Vuoi avere la soddisfazione personale di veder scorrere la mia linfa vitale nera fra le tue mani”.

Elehcim ghignò, ritrovandosi in quei pensieri.

“Prima o poi ti stancherai” le disse, con la voce distorta dalla maschera.

“Anche tu” rispose lei.

“Qui il mio elemento mi ristora” sorrise Elehcim, assorbendo la magia del Fuoco.

“Anche il mio” esclamò l’Oscurità, spalancando le braccia nella notte.

“Non puoi non avere paura di niente…” mormorò lui, dopo qualche attimo di silenzio “…ed io riuscirò a capire come farti spalancare quei dannati occhiacci dal terrore!”.

“Tutti abbiamo paura di qualcosa”.

“Io non ho paura di niente!”.

“Impossibile!”.

“Sai chi sono io, macchiolina vagante per il mondo? Io sono l’unione del sangue più forte di Fuoco e Metallo. Ho tutte le loro capacità e nessun loro difetto. Di cosa dovrei avere paura?”.

“Hai paura quando le tue ombre si avvicinano a me. Hai paura che io possa leggere dentro di te, percepire i tuoi punti deboli, i tuoi dubbi, i tuoi sogni inconfessabili, i tuoi desideri nascosti. Hai protetto te stesso con una maschera, vera e fittizia, fatta d’odio e rabbia. Hai paura che io ci guardi sotto…”.

“Stronzate. Tu non sai niente di me e non saprai mai niente!” sbottò il mezzosangue, incrociando le braccia ed indietreggiando di qualche passo per accentuare le distanze fra le sue ombre e l’Oscurità.

“Visto?” sorrise lei “Ti sei ritratto. Ti capisco…la mia paura è molto simile alla tua”.

“Sei fuori strada. Io non ho paura di te, né di nulla di ciò che puoi farmi”.

“Mai detto che tu hai paura di me. Hai paura che qualcuno possa riuscire a farti togliere quella maschera. Vuoi trasmettere solo rabbia e odio…hai forse paura che l’amore possa annientarti?”.

“Non posso aver paura di essere annientato da qualcosa che non esiste!”.

“Come esiste l’odio, esiste anche l’amore. Ma ti devo dar ragione…non è come la raccontano o come vogliono farci credere che sia. È un sentimento che credo di aver provato…ma le creature come me non vengono mai amate”.

“Forse hai ragione: non voglio essere schiavo di una stupida reazione chimica. Ma non ho paura di una cosa del genere”.

“Va bene…non ne hai paura. Come vuoi tu! Cosa credi che ti possa fare? Annientarti il cervello? Risucchiare ogni tua capacità razionale? Non sembri così stupido da farti ridurre in quello stato!”.

“Ma che cazzo te ne frega, scusa?!”.

“Mi piace conoscere il mio nemico…”.

“Giusto! Incantatrice! Stai cercando di imbrogliarmi con i tuoi discorsi, ma non ci riuscirai!”.

“Bene. Se non cadi vittima dei miei sortilegi, che sono molto potenti nonostante il fatto che tu indossi la maschera, allora non potrai mai essere sconfitto da un semplice sentimento a te avverso”.

“Basta con queste stronzate! Io sono il tuo nemico ed il tuo "compito", se così si può definire, è sconfiggermi, non psicoanalizzarmi, cosa che odio farmi fare! Smettila con questi discorsi idioti!”.

Si sentì un grido nell’aria, di uno dei viaggiatori.

“Cosa state facendo ai miei compagni?” domandò Lehelin.

“Sono in un mondo d’illusione. In un sogno. Riusciranno ad uscirne solo se il loro cervello gli farà capire che è tutta una finzione. Altrimenti vi rimarranno intrappolati per sempre. L’unica altra soluzione è trasportarli fuori dalla nebbia, ma dubito che tu ci riesca, microscopico esserino senza un corpo fisico!”.

“Come mai gridano?”.

“Più realistica è la visione e meno possibilità ci sono che riescano ad uscirne. Se hanno paura, o sono arrabbiati, è più facile tenerli sotto controllo. Puoi toglierti un pensiero: non verranno in tuo aiuto! Non contare sul loro salvataggio!”.

“Non conto su di loro. Non l’ho mai fatto. Se una cosa vuoi farla bene, meglio cavarsela da soli e non aspettarsi troppo dagli altri”.

“Ma che razza di gruppo siete?! Noi mezzosangue ci aiutiamo fra noi!”.

“Però ora sei qui da solo”.

“Perché tutti gli altri sanno che voglio ucciderti con le mie mani!” gridò Elehcim, fiondandosi contro Lehelin con tutta la rabbia accumulata per quella inutile conversazione.

 

Thuwey attraversò il corridoio del palazzo reale quasi con autorità. Era mattina presto e in giro non c’era nessuno ma lui era comunque il capo delle guardie. Doveva sempre apparire sicuro di sé e pronto a tutto. Bussò alla porta della sala del trono e la regina lo fece entrare. La trovò in piedi, mentre guardava fuori.

“Sei pronto per la giornata di oggi, Thuwey?” mormorò Jovihann.

“Sì, mia regina. Quali sono gli impegni?”.

Dentro di sé, il Metallo sbuffò. Era stanco di fare da balia. Eppure…aveva la sensazione di aver come preso una pausa da tutto questo. Si sentiva come se non vedesse la regina da tempo.

“Da quanto tempo non Vi vedo, mia regina?” chiese, cercando di capire se fosse tutto un sogno anche la faccenda della convocazione del Signore dell’Ovest.

“In che senso? Da ieri sera, come sempre”.

“E la convocazione del Signore dell’Ovest?”.

“Quale convocazione?”.

Thuwey non disse altro. Era stato davvero un sogno molto dettagliato. Sorrise, soddisfatto e convinto, quando apparve la dama di compagnia della sovrana. Notò il suo abito. La veste che indossava, ne era sicuro, era stata gettata via dopo che lui, inavvertitamente, ne era rimasto impigliato, stracciandola. Ricordava troppo bene quella notte per poter essere un sogno! Dopo un’intera giornata passata accanto a Jovihann, in visita segreta da Vehuya, finalmente era stato lasciato libero di andare, e con lui la dama. Guardandosi, in pochi istanti, provarono la forte tentazione di sfogarsi nell’unico modo che gli venne in mente. Si erano gettati l’uno nelle braccia dell’altro e, nella foga del momento, il pomposo abito di lei era rimasto ingarbugliato fra le punte di lui. Per non perdere tempo, il Metallo lo aveva strappato, con la promessa di fargliene avere uno nuovo. Promessa mantenuta, nessun problema. Ma ora vedeva lei con quella veste. Era un fatto accaduto non molto tempo prima, ed in pochi sapevano del loro incontro. Possibile che si fosse fatta confezionare un vestito uguale? Difficile…e quella pianta fuori dal balcone? Non era morta? Che ci faceva lì, bella verde? Poi, per un istante, gli parve di udire la voce di Lehelin. Come poteva udirla?

“Dove sono? Che cosa succede?” disse.

“Che stai dicendo, Thuwey? Sei nel mio palazzo, al mio cospetto. Dove altro credi di essere?”.

“Non lo so ma questo non è il palazzo. O meglio lo è ma…non è corretto. Qualcosa non va. Non era il mio viaggio il sogno. È questo il sogno!”.

Le persone presenti lo fissarono con aria interrogativa e cercarono di fargli cambiare idea ma ormai era tardi. Le pareti, la gente, il paesaggio, tutto si stava disgregando in piccoli pezzi. Gli sembrò di precipitare nel nulla e quando cadde, toccando terra, aprì gli occhi e si ritrovò nella nebbia. Si era svegliato da quell’illusione. Scosse la testa, riprendendosi, e vide in lontananza un grosso animale scuro, illuminato dagli sposi della notte. La nebbia era molto meno fitta rispetto a quando era uscito dal tunnel, probabilmente perché colui che l’aveva creata era distratto. Danjell notò l’accaduto ma non poteva farci niente: la polvere che aveva usato poteva funzionare una volta soltanto! Thuwey intuì che la causa di tutto quel casino doveva essere legato, in qualche modo, a colui che cavalcava quella creatura nera e decise di avvicinarsi. Il mezzosangue di Terra storse il naso. La situazione stava prendendo una brutta piega ed il suo collega stava ancora perdendo tempo ad inseguire quella strana abitante dell’Oscurità! Orebrec ringhiò contro il Metallo, mentre questi si avvicinava.

“Chi sei? Cosa stai facendo?” domandò Thuwey.

“Non vedo perché dovrei spiegartelo!” sbottò Danjell, ostentando calma e controllo.

“Quello che ho visto…era opera tua? Una specie di sogno creato da te?”.

Il mezzosangue sorrise, con un certo orgoglio. Da sopra quel fumo, i contorni di entrambi erano poco chiari ed offuscati.

“Opera mia le illusioni, esatto”.

“E questo fumo?”.

“Quello non dipende da me”.

“Ma tu…chi sei?”.

“Non ha importanza!” esclamò, dando ordine ad Orebrec di allontanarsi.

Il Metallo provò ad inseguirlo, ma lo perse subito di vista, in mezzo a tutta quella odiosa nebbia.

 

Lehelin correva sgattaiolando da un punto all’altro, guardandosi alle spalle periodicamente. Elehcim le lanciava palle di fuoco, urlandole contro tutto quello che gli passava per la testa. Non correva, si faceva portare dalla lava che comandava, ma l’Oscurità, nella notte, era imprendibile. Contava, però, in un suo errore per poterla afferrare e torturare. Un ululato interruppe la corsa di lei. Una specie di grosso cane le stava venendo incontro, a grandi balzi.

“Orebrec?” si stupì Elehcim.

“Elehcim! Sei ancora qua a giocare?” sbottò Danjell, fermandosi a pochi centimetri dall’inseguitore “Guarda che il tipo del Metallo si è svegliato e sta già rompendo le palle. Inoltre, il fumo che hai creato è debole perché sei distratto dietro a quella…” fissò Lehelin, con aria interrogativa “…quella cosa!”.

Elehcim non rispose. Aveva il fiatone ed era furioso.

“Che intendi fare?” continuò il mezzosangue di Terra “Andiamo via? Lasciamoli lì, meglio…no?”.

“Sì, andiamo via. Non possiamo fare altro, dannazione!”.

Il sanguemisto di Metallo balzò su Orebrec e si tolse la maschera, quasi strappandosela per il fastidio. Lanciò un’ultima occhiata con le iridi rosso sangue a Lehelin.

“Non finisce qui, piccola stronza!” le disse, stringendo il pugno con fare minaccioso.

“Ti aspetto, strano incrocio” rispose lei, sempre con un’espressione priva di terrore.

 

Thuwey correva e non vide Lehelin, essendo praticamente mimetizzata nel buio della notte. Le andò addosso e si spaventò, convinto di essere sotto attacco.

“Tranquillo! Sono io!” si affrettò a dire lei.

“Lehelin! Sei tu…non è un sogno?”.

“No. Sono io. Quella nebbia non dava problemi a me. Dobbiamo trovare gli altri e farli rinsavire”.

“Io…non ho ancora capito cosa è successo!”.

“Te lo spiegherò, o meglio…ti spiegherò quello che ho capito! Però ora mi devi dare una mano. Se il loro cervello non riesce a farli risvegliare, l’unica soluzione e portarli fuori dalla zona di fumo”.

Si stava diradando, ma molto lentamente.

“Come li troviamo?” domandò il Metallo “Io non vedo niente!”.

Sorrise solamente quando vide che gli oggetti proibiti, che portava ai polsi, si mostrarono molto più utili di quanto immaginasse. Come avevano fatto con l’elettricità, ora avevano iniziato ad attrarre il fumo ed assorbirlo, purificando l’aria.

“Perché non lo han fatto prima?!” sbottò Thuwey.

“Perché colui che aveva creato questa nebbia era qui e ne contrastava l’azione”.

“La tua è un’ipotesi plausibile…”.

“Andiamo!”.

 

Kassihell dormiva, tranquillo nel suo letto, quando sentì il terreno mancargli da sotto la schiena. Spalancò gli occhi. Tutto era sempre più buio e sua moglie…si stava dissolvendo?! Combatté con tutte le sue forze affinché ciò non accadesse ma non poté evitarlo. Con il dileguarsi della nebbia, la sua illusione era terminata ed aveva riaperto gli occhi. Si era ritrovato disteso, avvolto dalla notte. Deglutì, tentando di capire ciò che era successo. Il borbottio continuo della lava gli era familiare e, dopo qualche istante, vide chiaramente gli occhi argento di Lehelin che lo fissavano.

“Cos’è successo?” mormorò, sentendo la gola secca e la testa confusa.

“Ti spiegherò tutto. Ora alzati” rispose lei.

 

Aherektess si stava ancora affrontando contro il principe del Fuoco quando si riprese. Vide il suo pugno affondare nel nulla ed il suo avversario dissolversi in mille pezzetti. Thuwey lo stava scuotendo per farlo svegliare del tutto. Si sentiva tutto indolenzito, come se avesse combattuto per davvero. Cercò con lo sguardo Kassihell, come per continuare a battersi, e fu il Metallo che gli spiegò che era stata tutta un’illusione e che si doveva calmare. Ci mise un bel po’ di tempo a stendere i nervi e mettere a tacere le paranoie.

“Dove sono gli altri?” domandò, dopo qualche minuto di respirazione.

“Andiamo a cercarli” rispose il Metallo.

 

Efrehem si risvegliò e sorrise.

“Lo sapevo che era un sogno!” disse, capendo al volo ciò che era successo “Lo sapevo! La cosa mi puzzava! Dovevo intuirlo! Che stupido che sono stato!”.

Aherektess lo fissava, con aria interrogativa. Non aveva idea di ciò che avesse visto il suo compagno lungo tutta quell’illusione ma era lieto di vedere che stava bene e che sembrava piuttosto felice di essere tornato alla realtà.

“Dov’è Hanjuly? Ci sono tante cose che le voglio dire!” disse la Luce.

“Andiamo a salvarla, piccoletto!” rise l’Aria ed Efrehem mostrò di essersi offeso a farsi chiamare in quel modo.

 

Reishefy stava urlando come una pazza, tentando di liberarsi. Anche quando la gabbia svanì. Continuò a dimenarsi e gridare, evocando aiuto e bestemmiando. Kassihell la sollevò con la forza, resistendo alle scosse, tentando di farla svegliare.

“Lasciatemi andare!” sbraitava l’Elettricità.

“Svegliati, cretina!” le rispondeva il Fuoco.

Non riusciva a farla rinsavire. Insisteva e non si svegliava. Efrehem la osservò, incuriosito. Era totalmente fuori controllo. Fu proprio la Luce a farla scendere di nuovo con i piedi per terra. Le sorrise e, senza preavviso, emise una specie di lampo dalla pelle. Kassihell gli bestemmiò contro, accecato, e Lehelin sibilò per il fastidio, ma quel flash risvegliò Reishefy. Ovviamente la prima cosa che fece fu abbracciare il Fuoco, riempiendolo di scosse.

 

Mattehedike stava urlando di terrore, steso in terra. Si alzò a sedere, ad occhi spalancati, ansimando. Si guardò le mani e le gambe, rigirando i palmi a destra ed a sinistra.

“Calmati, Mattehedike! Va tutto bene!” tentò di tranquillizzarlo Aherektess.

La Roccia urlò ancora un po’ e poi si fermò: “Oddio…ragazzi…siete voi? È stato tutto un sogno? Un incubo?”.

“Tutto un incubo. Tranquillo. Ora sei qui, al sicuro, non è successo niente!”.

“Non sono mai stato più felice di vedervi!” gemette ed abbracciò Reishefy, per la prima volta avendo voglia di entrare in contatto con lei.

 

Enki correva come una pazza, guardandosi alle spalle continuamente. Dietro di lei un enorme mostro cercava di mangiarla, sputando fuoco.

“Aiuto! Aiutatemi!” gridava, iniziando a sentire la stanchezza.

Non ne poteva più. Si dovette fermare per riprendere fiato ma l’animale non si arrestò. Spalancò la bocca, gigantesca, e la ingoiò in un solo boccone. Lei serrò gli occhi e gridò di nuovo. Quando li riaprì stava piangendo ma, per fortuna, stava bene. Era viva! Era salva! Non sapeva come, non lo capiva, ma era tutta intera e scoppiò a piangere a dirotto per sfogarsi, con i suoi compagni di viaggio disposti a fare da spalla.

 

Idisi era priva di sensi quando fu ritrovata. Il suo cuore batteva all’impazzata per la paura ed era pallida, quasi esangue.

“Reishefy…” disse Efrehem, sollevando la testa della Terra “…evoca il potere del tuo oggetto proibito e crea un po’ d’acqua”.

L’Elettricità obbedì e bagnò la fronte di Idisi. Lei rabbrividì. Tossì con forza.

“Si sta ripigliando!” esclamò Enki, sollevata nel vederla riprendere colore.

“Sono…viva…” mormorò la Terra, osservandosi la mano.

“Sì. Viva ed al sicuro” la rassicurò il Metallo.

Idisi si sedette e sorrise, passandosi le mani sui lunghi capelli verdi, ancora incredula.

 

Hanjuly continuava ad uccidere. Gli uomini del Fuoco parevano non finire mai ma lei non si fermava, combattendo. Ringhiava e mozzava teste, una dietro l’altra.

“Ma quanti siete?! Brutti schifosi!”.

Anche nella realtà stava urlando quelle frasi e gli altri della compagnia si fissarono con aria interrogativa, chiedendosi che cosa stesse immaginando.

“Hei!” sbottò, riaprendo gli occhi “Dove sono andati tutti?! Mi stavo divertendo…voi che ci fate qui? Li avete fatti scappare? Mi sono persa qualche passaggio…”.

“Ti spiegheremo tutto con calma. Bevi un sorso d’acqua” le parlò Efrehem.

“Grazie” le mormorò lei, sorridendogli e facendolo arrossire.

 

 

Dopo aver capito quanto fosse successo, i dieci ripresero il loro cammino. Kassihell avrebbe tanto voluto passare per il palazzo imperiale ma capì che la cosa avrebbe impiegato troppo tempo. Già con tutta quella faccenda erano rimasti troppo a lungo nello stesso posto. Accelerarono, piuttosto allarmati dal fatto che Lehelin e Thuwey parlavano di attacchi di mezzosangue. Quando intravidero il regno del Metallo, credettero di essere al sicuro.

 

†††

 

“Ah, ma Elehcim! Non sai fare niente!” rideva Setiram.

“Stai zitta” sbottò il mezzosangue.

Erano al sicuro nella casa abbandonata che fungeva da nascondiglio per le creature come loro. Lui tentava di ritrovare la calma con un the ma lei lo tormentava, scuotendolo.

“Non hai risolto nulla, sei inutile!” diceva la mezzosangue.

“Ti avviso…ho i coglioni parecchio girati. Ti conviene lasciarmi stare” ringhiò lui.

“Ma io scherzo, su!” furono le parole di lei, appoggiandosi e dando una spinta ad Elehcim.

“Io no”.

Alla terza spinta, il mezzo-metallo mutò le braccia, trasformandole in armi da taglio. Setiram non capì l’avviso ed insistette. Elehcim si girò di scatto e le staccò la testa dal corpo.

“Te l’avevo detto di stare zitta!” sibilò.

Danjell, seduto in silenzio al tavolino a fianco, rimase immobile ad occhi spalancati.

“Ecco…il solito casinista. Io non pulisco” sbottò Roary, appoggiandosi a Danjell.

“Cosa credi di fare, adesso?” parlò Kire, sulla porta della stanza.

Non era per niente turbato da ciò che il gemello aveva appena fatto, come non lo era nessuno di quelli presenti in sala.

“Atteniamoci al piano. Andrà bene”.

“Sei sicuro?”.

“Assolutamente”.

“Posso fidarmi?”.

“Non hai scelta”.

“Bene. Allora prepariamoci, tutti quanti”.

“Solo una cosa ti chiedo, fratello…”.

“Dimmi, Elehcim”.

“L’Oscurità lasciala a me. Voglio distruggerla con le mie mani”.

“Fanne ciò che vuoi, non mi interessa”.

Kire si allontanò ed il gemello rimase immobile, con la tazza di the sospesa vicino alle labbra e lo sguardo perso lontano, accigliato e vendicativo.

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Capitolo 11
*** XI- Metallo ***


XI

“Scendi da lì. È tardi” gridò Aherektess.

“No, lasciami dormire!” gli rispose Kassihell, pigramente sonnecchiando sopra il ramo di un albero.

Il gruppo era da un paio di giorni nel regno del Metallo, con i suoi paesaggi argentati. Perfino le piante avevano quel colore, con sfumature varie che andavano dal rame all’oro.

“Dobbiamo proseguire…” incalzò l’Aria.

“E chi lo dice?” borbottò il Fuoco, rigirandosi.

“Io, la creatura incrociata con un canarino!”.

“Ah, beh…se lo dici tu…” commentò, sarcastico, Kassihell “…uomo falena!”.

“Uomo cosa?!”.

“Falena. Hai presente? Una farfalla…” congiunse le mani per ricreare la forma dell’animale di cui stava parlando “…farfalla!” ripeté, come davanti ad un bambino piccolo.

“So cos’è una farfalla! Scendi di lì, per favore!”.

“NO!”.

“Perché?!”.

“Perché io sono una creatura incrociata con un animale molto pigro, che vuole dormire”.

Aherektess, di tutta risposta, comandò il suo elemento e scosse la pianta, facendo cadere il Fuoco in modo poco delicato. I due si fissarono, Kassihell ancora in terra e l’Aria a braccia incrociate.

“Dannato alleato!” borbottò, ridacchiando, il Fuoco.

“Maledetto pigrone!” rise a sua volta Aherektess.

Ripresero la marcia tutti assieme, felici di poter finalmente avanzare senza che nessuno di loro avesse problemi particolari. Idisi guardava incuriosita il terreno color argento e tutti gli animali che si adattavano a quelle tonalità.

“Il grande Mihael vive in un immenso castello, più maestoso di quello della regina di questo regno” spiegò Thuwey “Stiamo per raggiungerlo, non è lontano. Presto riusciremo a vederlo all’orizzonte”.

Mancavano solamente tre luoghi proibiti prima di poter portare a termine la missione. Ancora tre oggetti proibiti. E solamente tre di loro dovevano ancora affrontare la prova per ottenerli: Enki, Hanjuly e Lehelin. Si guardarono fra loro, chiedendosi a chi sarebbe toccata la sfida di quel regno. Ne stavano discutendo, quando individuarono una figura che avanzava verso di loro. Sullo sfondo, gli alti torrioni del castello di Mihael iniziavano a mostrarsi. Quell’ombra camminava controluce, accompagnata da un rumore di catene e ferro. In principio, Thuwey pensò fosse qualcuno della sua gente, ma capì subito che non era così: non aveva la struttura fisica di un abitante del Metallo. Avvolta da un alone di magia, la creatura si fermò non molto distante dal gruppetto. Era interamente protetta da una pesante armatura irta di spuntoni metallici ed aveva il viso coperto da un elmo con pennacchio che rifletteva la luce di Sirona.

“E questo chi è?” si infastidì Reishefy, desiderosa di andare oltre in quel viaggio pieno di guai.

“Io sono Mihael” fu la risposta.

“Sì, come no! Mi vien da ridere! Provacelo!” sbottò Kassihell, con un sorrisetto.

L’armatura sfoderò la spada. Era sottile, perfetta per poter stare in un fodero ma, nel momento stesso in cui il suo padrone la strinse fra le mani, si ingrandì, divenendo enorme, e si riempì di scritte magiche. Era nera, lucida, con l’elsa argento. Thuwey riconobbe quell’arma e si inchinò, mormorando con venerazione il nome della divinità.

“Io sono il possente Mihael!” riprese a parlare l’armatura, con voce tonante “Sono il Dio della Guerra e delle Armi, delle battaglie e delle strategie. Se volete proseguire, ed ottenere l’oggetto proibito che custodisco, uno di voi mortali dovrà affrontarmi!”.

Kassihell incrociò le braccia. Lui aveva già fatto ciò che doveva, non era compito suo!

“Ma…Voi non dovreste trovarVi nel luogo proibito?” domandò, timidamente, Enki.

“Sì, è vero. Ma mi annoiavo. Vi do il tempo necessario per scegliere chi accetterà la mia sfida, ma non metteteci troppo perché altrimenti scelgo io…e son cazzi vostri!”.

Le tre senza oggetto proibito si fissarono, dubbiose.

“Vado io!” esclamò Hanjuly, preparando la sua arma.

“No, fermati!” la bloccò Thuwey “Lui è il Dio delle Armi, delle battaglie… Come credi di batterlo?! Bisogna agire d’astuzia, mandargli qualcuno che le armi non possono ferire…”.

“E chi ti dice che quella spada, essendo divina, non può ferirmi?!” sbottò Lehelin, sentendosi chiamare in causa.

“L’arma di Hanjuly verrebbe distrutta in milioni di pezzi, Enki non saprebbe che fare…tu sei l’unica che può tentare!” parlò Efrehem.

“Vittima sacrificale, insomma…” borbottò l’Oscurità, per niente felice nel venir gettata così in pasto ai pericoli.

Perché proprio lei, poi…il Ghiaccio sembrava così ansiosa di voler combattere! Prese un profondo respiro e poi, per niente convinta, fece un passo avanti.

“Il "popolo" ha deciso in modo "democratico" che devo essere io colei che Vi affronterà”.

Mihael, sentendole pronunciare quelle parole, inclinò la testa come a capire se stesse dicendo sul serio, incredulo: “Qual è la tua arma?” domandò il Dio.

“Non ho un’arma. Non so combattere con quelle…”.

“E allora con cosa combatti?”.

“Con la magia”.

“Bene. Interessante. Vediamo un po’ che cosa ne salta fuori…fammi divertire, mi raccomando!”.

La divinità creò un cerchio magico, in modo che gli altri nove non potessero intervenire o interferire in alcun modo.

Dapprima i due sfidanti si studiarono. Lehelin cercava di avvicinarsi il più possibile all’ombra di Mihael, per poter comunicare con lei. Il Dio, nel frattempo, roteava la sua spada con estrema facilità, nonostante le sue notevoli dimensioni e l’indubbio peso. L’Oscurità si chiese se le sue abilità d’incantatrice potevano essere sfruttate anche con un Dio.

Mihael scattò in avanti, velocissimo nonostante l’armatura. Lehelin riuscì solo all’ultimo istante a schivare quel fendente, rotolando di lato. L’ombra della divinità la sfiorò ma si ritrasse subito, impedendole di contrattaccare. Era evidente che fosse in grado di muoversi autonomamente e che Mihael era a conoscenza delle tecniche di combattimento della mortale. L’Oscurità, non sapendo che fare, tentò di schivare ogni colpo, preoccupata da quella spada gigante. Sfiorandola, era stata in grado di ferirla, anche se solo lievemente. Lehelin ringhiò. Non voleva soffrire per la salvezza di Asteria! Per quale motivo avrebbe dovuto?! L’ombra di Mihael le parlava. Ridacchiava e la derideva, saltellando in modo indipendente rispetto ai movimenti del suo padrone. L’Oscurità si ritrovò alle strette, non sapendo cosa fare, avendo un pazzo con la spada davanti a sé ed un’ombra strafottente alle spalle. Si raggomitolò su se stessa, scivolando di lato. Il Dio sorrideva, roteando la spada in aria, lasciando il tempo all’avversaria si rialzarsi. Lei si insospettì davanti a quel gesto. Si girò e guardò la divinità con fare interrogativo.

“Kaos mi ha detto di non ucciderti” spiegò Mihael.

Lehelin non capì, chiedendosi perché il suo Dio non volesse la sua morte. Capì che non poteva sconfiggere chi aveva di fronte e sbuffò, trovando fastidiosamente familiare la situazione. Riuscì a sfiorare solamente l’armatura, che subito la fece allontanare con un fendente che le ferì il braccio. Poi Mihael si mosse nuovamente, assieme alla sua ombra, bloccando la sua avversaria.

“Ma…avevi detto che non dovevi uccidermi!” mormorò lei, spaventata nel vedere quella spada enorme a pochi centimetri da lei, mentre l’ombra del Dio la tratteneva.

“Di fatti non ti uccido. Mi sono divertito e questo mi basta. Era ovvio che non potessi battermi in un combattimento. Sono il Dio della Guerra, santo me stesso! Mica un pirla qualsiasi!” rise Mihael.

“Quindi sapevate già come sarebbe andata a finire?”.

“Sì. E sapevo anche che saresti stata tu la mia avversaria”.

“E come mai Kaos non vuole che io muoia?”.

“Questo non lo so. Lo saprai, prima o poi, immagino…”.

“E…quindi…?”.

“Quindi avevo già deciso che ti avrei dato l’oggetto proibito, ma volevo passare il tempo. Non avevo mai combattuto con una creatura come te prima d’ora”.

Detto questo, tirò la catenella che aveva al collo, estraendola da sotto la corazza. Appesa ad essa stava un anello nero e argentato, molto grosso e con incisioni magiche.

“Quello è l’oggetto proibito?”.

“Proprio questo, mia cara amichetta di Kaos”.

Sganciò la catenella e la porse alla mortale. Lei, dapprima titubante, allungò la mano e tenne sospesa fra la nebbia delle sue mani.

“Quello amplificherà le tue possibilità” spiegò il Dio “Ti renderà materiale, con un corpo fisico e solido, oppure il contrario. Sarai totalmente incorporea. La cosa ti alletta?”.

Lehelin sorrise ed annuì. Fissò l’anello e se lo rigirò fra le mani, incuriosita e soddisfatta. Il cerchio magico in cui si erano scontrati scomparve, permettendo agli altri nove viaggiatori di avvicinarsi. Thuwey era in adorazione, fissando il Dio del suo popolo con grandi occhi ramati.

“Non fissarmi come un pesce fesso!” lo rimproverò Mihael.

Il Metallo si scosse, non riuscendo a credere di avere la sua divinità così vicina.

“Spero di rivedervi presto, ragazzi. Ora, però, andate. Io vado a farmi quattro chiacchiere con il Dio dell’Aria, il caro Loreatehenzi” parlò Mihael, rinfoderando la spada.

Nessuno sapeva esattamente cosa dire. Si limitarono a fare un cenno con la testa, mentre la divinità si allontanava, con un gran rumore di ferro che sbatte.

 

Camminando lungo il sentiero, costellato da alberi argentati e piccoli villaggi, capirono dopo pochissimo che qualcosa non andava. C’era un insolito silenzio. Ed un’insolita calma. Thuwey incitò il gruppo ad aumentare il passo, per precauzione. Si udì un grido e Reishefy, che chiudeva la fila, era scomparsa.

“Reishefy! Dove sei?” la chiamò Hanjuly.

L’Elettricità era tenuta stretta da Innavoig, mezzosangue di Terra e Roccia, che le chiudeva la bocca con la mano, ignorando le scosse che lanciava la ragazza. I nove tornarono indietro di qualche passo e si ritrovarono nella stessa situazione. Danjell, Kire e Semar presero Hanjuly, Enki ed Idisi, sfruttando la loro parte di DNA di Fuoco, indebolendole all’istante con il calore trasmesso. Anyram bloccò ogni mossa a Kassihell, usando il gelo del Ghiaccio. Omokaig, in parte di Luce, lanciò un fortissimo lampo ed accecò Lehelin, facendole perdere i sensi. Roary, per metà d’Oscurità, avvolse Efrehem e ne catturò l’energia. Questi svenne, come la sua compagna di viaggio. Neziar, usando l’elettricità, tramortì il Metallo. Arual, sollevandolo in aria, immobilizzò Mattehedike ed infine Araik, per metà Terra, avvolse Aherektess fra le fronde vegetali che controllava. Questo attacco produsse in tutti lo stesso risultato: dopo pochi istanti, erano tutti privi di forze e lucidità.

 

La prima a risvegliarsi fu Hanjuly. Si sentì molto strana e non a torto: era appesa a testa in giù per le caviglie, con i polsi legati dietro la schiena. Le bastò poco per capire che anche tutti gli altri suoi colleghi erano nella stessa situazione, tranne Lehelin che era avvolta da luce pulsante da ogni angolo. Il Ghiaccio si dimenò un po’, furiosa perché non aveva tutte le sue cose con sé e non le vedeva nella stanza. Era una sala piuttosto spoglia, con poche finestre ed una porta grigia, che scompariva sulla parete dello stesso colore. Il pavimento ed il soffitto erano quasi neri, lucidi. Probabilmente, pensò Hanjuly, erano fatte di un qualche tipo di metallo e quindi non si erano allontanati dal regno nativo di Thuwey. Si disse che, in fondo, erano solo supposizioni e che l’importante era svegliare i suoi compagni. Su una sedia, l’unico arredamento della stanza, stava seduto Innavoig, un ragazzo col codino biondo vestito di verde con spuntoni di roccia lungo il corpo. Leggeva un libro e girò solo distrattamente gli occhi, quando Hanjuly lo chiamò.

“Chi sei tu?” lo apostrofò “Dove mi trovo?”.

Il mezzosangue non rispose. Il Ghiaccio si arrabbiò per questo ed iniziò ad urlare, sperando di risvegliare i suoi compagni.

“Cos’è tutto questo casino?!” sbottò Kire, entrando di corsa nella stanza.

“Si è svegliata la biondona” rispose Innavoig, senza togliere gli occhi dal libro.

Kire si avvicinò al Ghiaccio, con calma: “Non agitarti. Non costringermi a far venire qui il mio gemello cattivo” le disse.

“Vaffanculo, sanguemisto!” sibilò lei, sputandogli in faccia.

“Come vuoi” si limitò a dire “Innavoig, resta qui ancora per un po’. Ti mando Semar appena possibile. Elehcim non resterà lontano a lungo. Se fanno troppo casino, imbavagliali!”.

I due mezzosangue si fissarono per un istante e poi Kire uscì, senza aggiungere altro.

I viaggiatori iniziarono a riprendersi, uno dopo l’altro.

“Dove avete messo tutti i nostri oggetti proibiti?” gridò Kassihell, appena si accorse di non portare più il suo al collo.

“Lasciateci andare!” sbraitava Thuwey.

“Mi va il sangue alla testa!” piagnucolò Reishefy.

“Sarebbe la prima volta…” sbottò Mattehedike.

Ognuno di loro portava dei bracciali arancio. Non ci misero molto a capire che erano quelli a risucchiare la loro energia ed impedirgli di usare la loro magia per liberarsi. L’unica senza quelle precauzioni era Lehelin, perché totalmente immobilizzata dalla luce che l’avvolgeva. A causa di questo, si era rimpicciolita e restava immobile, raggomitolata. Era l’unica in silenzio. Gli altri nove, al contrario, urlavano e si agitavano, tentando di liberarsi.

Semar, appena entrò, imbavagliò Reishefy ed Hanjuly, quelle con la voce più fastidiosa, e poi iniziò a giocare a carte con Innavoig.

“Che intenzioni avete?” domandò Efrehem “Tenerci qui fino a quando? Che volete? E dove avete portato i nostri oggetti proibiti?”.

“Stai buono, nanerottolo! Altrimenti imbavaglio pure te!” rispose Semar.

Passò diverso tempo prima che la porta della stanza si riaprisse. Entrò Elehcim, con gli immancabili occhiali da sole ed il ghigno soddisfatto.

“Com’è la situazione qua?” domandò e Semar sorrise.

“Sono tutti tuoi” gli rispose.

Elehcim camminò, con le mani dietro alla schiena, fino all’Oscurità: “Ciao Lehelin. Chi non muore, si rivede!” disse, chinandosi e tirandole su la testa di peso, costringendola ad essere inondata di luce.

“Ciao” gemette lei, senza riuscire a dire altro.

“Chi è questo qui?” le domandò Aherektess “Che vuole?”.

“Chi sono e che cosa voglio puoi chiederlo direttamente a me, piumino per la polvere ambulante! Ci sento benissimo e sono in grado di parlare!” sibilò Elehcim, continuando a stringere fra le mani piene di magia un grosso ciuffo di capelli fumosi dell’Oscurità.

Il suo potere era amplificato in quella stanza di metallo e riuscì perfino a graffiarle il viso, modificando le dita in modo da renderle taglienti. Sorrise quando vide il liquido nero sgorgare.

“Che intenzioni hai?!” ringhiò Thuwey.

“Non di uccidervi, se è questo che vuoi sapere. Purtroppo agli Dèi state simpatici. Voglio, però, offrirvi una scelta” spiegò, portandosi gli occhiali scuri fra i capelli, mostrando ai presenti le sue iridi rosse come il fuoco.

Kassihell lo fissava negli occhi, trovandoli familiari e fastidiosi, con sfida.

“Noi siamo mezzosangue…” continuò a parlare Elehcim “…e, ovviamente, non vogliamo che continuiate questo viaggio. I motivi direi che sono più che ovvi: sopravvivenza! Vi sarete resi conto che avremmo potuto eliminarvi, ma non lo abbiamo fatto. Non vi vogliamo morti…semplicemente tornatevene a casa, da bravi, e ci renderete felici. Vi offro la libertà, in cambio della vostra rinuncia all’evocazione. In caso non accettiate, rimarrete attaccati lì fino a quando ne avrò voglia. Ovviamente, se mi annoierò, troverò il modo di passare il tempo con voi. Gli Dèi non vogliono vedervi morti…ed io non vi ucciderò! Nessuno di noi vi ucciderà ma…esistono cose peggiori!”.

I compagni rimasero in silenzio, senza sapere bene cosa dire.

“I vostri oggetti proibiti li abbiamo noi, al sicuro, e non li riavrete. A voi la scelta: o tornate a casa, e dimenticate questa storia, oppure fate i prosciutti viventi fino a quando la cosa vi stancherà. Vi lascio il tempo di pensarci. Dormiteci su…se ci riuscite! Buonanotte, Lehelin!”.

Le lanciò uno sguardo d’odio e soddisfazione nel vederla lì, immobile, ed uscì dalla stanza, ridendo. Fuori era buio ormai ma i viaggiatori, capovolti com’erano, di certo non avrebbero dormito.

 

Uscendo lungo il corridoio, Elehcim sbadigliò, stanco. Era molto tardi ed il suo cervello non gli dava tregua, con mille pensieri, dubbi, rabbia e follia. Non dormiva in modo decente da giorni. Camminò senza incrociare nessuno, erano quasi tutti a letto da tempo. Si trovavano in uno di quegli edifici in cui i mezzosangue trovavano rifugio, in buona parte sotterraneo e celato agli sguardi. Erano stati stabiliti dei turni di guardia, i viaggiatori erano sorvegliati e non avrebbero potuto mai fuggire. Nonostante questo, Elehcim non era tranquillo. Entrò nella sua stanza lentamente, attento a non svegliare Orebrec che dormiva placidamente sul pavimento. Aveva fatto portare gli oggetti proibiti proprio lì, fidandosi dell’infallibile fiuto del suo animale, che aprì un occhio per controllare chi fosse entrato.

“Dormi, Orebrec” lo tranquillizzò il padrone.

Nel buio, prese fra le mani la catenella con l’anello di Mihael. Se lo rigirò fra le dita, ancora sporche del sangue nero di Lehelin. L’oggetto si macchiò ed Elehcim lo ripose sul comodino scuro, ripromettendosi di pulirlo il giorno successivo. Ora era troppo stanco perfino per quello. Scaraventò il cuscino in terra, con rabbia, perché troppo morbido. Si addormentò profondamente non appena si distese. Così facendo, non si accorse che l’anello, percependo l’essenza della sua custode, si era attivato e fluttuava nell’aria. Senza emettere un suono, senza tintinnare, evitando di svegliare Orebrec, uscì da quella camera tramite una piccola fessura fra il pavimento e la porta. Non si fermò finché, avvolto dal buio e del tutto invisibile, riuscì a tornare al collo della sua portatrice Lehelin.

 

“Ma che…?!” borbottò Thuwey, sentendo un tintinnio strano ed intravedendo uno scintillio argentato al collo dell’Oscurità.

Lei era altrettanto stupita. Nel momento stesso in cui l’anello le toccò la pelle, il corpo di nebbia iniziò a mutare, divenendo solido e lucido, e la luce non la infastidì più. In un attimo, fuggì dal cerchio di luminosità pulsante e fu libera. Sorrise. Si guardò attorno e vide che Semar, il mezzosangue che avrebbe dovuto sorvegliarli, dormiva placidamente, con il colletto della maglia alzato fino a metà del viso.

“Ora vi libero” sussurrò Lehelin, rivolta ai suoi compagni “Fate piano”.

Uno dopo l’altro, tutti i dieci viaggiatori furono liberi ed in terra.

“E adesso?” mormorò Hanjuly, mentre il corpo dell’Oscurità tornava al solito aspetto.

“Usciamo…non vedo alternative” rispose il Metallo, invitando tutti a togliersi i bracciali di contenimento della magia che portavano ai polsi.

Kassihell aprì cautamente la porta e guardò fuori. Il corridoio era deserto e fece segno agli altri di seguirlo, con cautela.

“E gli oggetti proibiti?” domandò Efrehem.

“Dobbiamo trovarli…concentratevi! Forse vi lanceranno dei segnali…” sussurrò Aherektess.

“Come abbiano fatto a togliere i miei bracciali, resta un mistero…” borbottò Thuwey.

Camminavano lentamente, nel silenzio totale, quando un profondo latrato li fece sobbalzare. Orebrec li aveva percepiti e stava avvisando il suo padrone. Era lontano, forse proveniva dal fondo del corridoio, mentre l’uscita, la vedevano, era dalla parte opposta.

“Che facciamo?” piagnucolò Enki.

“Presto questi si sveglieranno. Usciamo…torneremo a riprenderci ciò che è nostro quando sarà più sicuro” ordinò il Metallo, non ammettendo repliche.

“Non possiamo combattere?” sbottò la Roccia.

“Non sappiamo nemmeno quanti sono!” gli rispose Kassihell “Presto, andiamocene!”.

Iniziarono a correre quando una raffica di spuntoni di metallo e fuoco sfiorò la compagnia. Nessuno venne colpito ma si immobilizzarono, girando la testa di scatto.

“Dove credete di andare?!” tuonò Elehcim, con ancora le mani appoggiate lungo le pareti metalliche da cui aveva ricavato gli spuntoni.

“Ancora questo qui?! Sta iniziando ad infastidirmi!” sibilò il Fuoco “Lasciatelo a me!”.

“La tua spada non può ferirlo, è per metà Metallo” disse Thuwey, notandone l’aspetto “Ed il tuo elemento tanto meno. Ti ucciderebbe”.

“Ci penso io” parlò l’Oscurità.

“Cosa hai in mente?” le sussurrò Aherektess.

“Stai a guardare…”.

“Ma sei ancora debole e di dimensioni ridotte a causa della luce!”.

“Sono abbastanza grande per fare ciò che ho in mente!”.

Il sanguemisto richiamò le fiamme, che ricoprirono le sue mani. Inferocito, iniziò a correre. Lehelin non disse nulla, ma fece altrettanto. Anche lei corse, fra lo stupore degli altri nove viaggiatori.

“La ucciderà!” esclamò Reishefy “Il contatto diretto con la luce delle fiamme la dissolverà!”.

Correndo, entrambi lanciarono un grido sempre più alto fino a quando non si incontrarono. L’Oscurità strinse fra le mani il suo oggetto proibito qualche secondo prima, e scomparve.

Elehcim si contorse, piegandosi prima in avanti e poi all’indietro. Tutto il suo corpo si mosse convulsamente, come senza controllo, e poi si fermò, leggermente chinato in avanti. Si rialzò, lentamente, guardandosi le mani. Sorrise, trionfante, muovendo la testa a destra ed a sinistra per sciogliere i muscoli del collo.

“Che cosa è successo?! Dov’è Lehelin?!” domandò Enki.

“Ciao ragazzi” salutò il sanguemisto, mostrando le tre ombre proiettate sul muro: quella centrale era quella dell’Oscurità.

“Che le hai fatto, mostro?!” urlò Aherektess.

“Abbassa la voce! Ragazzi, sono io! Lehelin! Ho preso il controllo del corpo dell’avversario, grazie all’oggetto proibito” parlò Elehcim.

“Provalo!” rispose Hanjuly, sospettosa “Provami che non è tutto un trucco!”.

“Come?”.

“Non lo so. Come vuoi…ma fallo!”.

“Non posso. Fidatevi. E seguitemi. Vi porto dove sono gli oggetti proibiti. Facciamo presto…quest’uomo ha un casino in testa, è difficile da controllare!”.

Elehcim posseduto partì spedito lungo il corridoio. Gli altri lo seguirono, non vedendo alternative. Camminarono senza incontrare nessuno.

Possibile che non si svegli nessuno?! Razza di sordi…” protestava il mezzosangue, nella sua testa.

Si vede che sono abituati a sentirti dare i numeri!” commentò Lehelin, sempre mentalmente.

Non ti porterò dagli oggetti proibiti!”.

Tranquillo, che non mi serve la tua collaborazione!”.

La volontà di Elehcim, per quanto si sforzasse, non riusciva a sovrastare il potere dell’oggetto proibito che lo possedeva.

Raggiunsero la camera. Con naturalezza, il sanguemisto estrasse un mazzo di chiavi dalla tasca e l’aprì. Appena entrati, Orebrec iniziò ad abbaiargli contro, percependo che quello non era totalmente il suo padrone.

“Chiudi la bocca!” sibilò Elehcim ed inaspettatamente l’animale obbedì “Voi prendete gli oggetti proibiti ed il resto. Io rimango sulla porta, nel caso arrivi qualcuno. Fate presto!”.

Ognuno trovò la propria roba, Thuwey prese anche la borsa di Lehelin.

“Ci siamo. Possiamo andare” informò Idisi e la compagnia uscì, stando attenti a non fare rumore.

La mente di Elehcim combatteva con tutte le sue forze per contrastare il controllo di Lehelin, che però aveva dalla sua parte il sostegno degli Dèi. Il gruppo uscì lungo il corridoio, deciso a guadagnare l’uscita. Lehelin si stava divertendo un sacco. Non era abituata ad un corpo fisico e la sensazione che dava il fatto di sentire ogni cosa in modo diverso le piaceva. Le piacque perfino quando, uscendo dalla camera, sbagliò il controllo delle gambe e picchiò contro la porta con il piede, violentemente. Elehcim bestemmiò mentalmente, avvertendo la scossa di dolore. L’Oscurità ignorò la sua voce e sorrise, sperimentando diversi movimenti con gli arti. Saltellò, provando ogni movimento del corpo, ignorando le proteste che le rimbombavano in testa e che le ricordavano a chi appartenesse quel corpo e che non gradiva romperlo.

“Come fate davvero non lo so…” mormorò Lehelin “…siete così goffi, voi fisici”.

Proseguendo, incrociarono due sanguemisto. Si tenevano per mano e si sorridevano, ridacchiando. Erano Danjell e Roary. Elehcim ed il gruppo passarono oltre. L’Oscurità percepì vagamente una scarica di fastidio nella testa ma ignorò la cosa.

“Ele? Tutto bene?” parlò Roary.

Lehelin non rispose.

Sei tu Ele, scema!” borbottò il mezzosangue posseduto, mentalmente.

“Sì, tutto bene. Perché?” parlò, allora, con il tono piatto e distaccato che gli aveva sentito usare.

“Non ci dici niente…”.

“Che cazzo dovrei dirvi?!”.

“Di solito commenti sempre quando ci vedi assieme…”.

“Ho altro per la testa. Fate quello che volete!”.

“Dove porti i prigionieri?” domandò Danjell, cambiando argomento.

“Fuori. Come vedi, manca uno di loro ed è perciò impossibile che portino a termine la loro missione”.

“Cos’hai combinato questa volta?!”.

“Mi son fatto prendere la mano” ghignò Elehcim.

Non disse altro e si avviò verso l’uscita, seguito dagli altri nove compagni.

“Andiamo a chiamare Kire…la cosa mi insospettisce” disse Roary, sottovoce.

“Pure a me la cosa puzza. Andiamo” concordò Danjell, senza lasciarle la mano ed avviandosi verso le camere, in cerca del loro capo.

Sei geloso! A momenti ci beccavano perché lo sei!” protestò Lehelin.

Son tutte paranoie e stronzate! Cosa vuoi che me ne freghi se quei due stanno assieme?!” fu la risposta, ma l’Oscurità capiva che stava mentendo.

Riusciva a leggerne ogni pensiero e ricordo, ed era certa che lui riuscisse a fare altrettanto.

“Elehcim!” chiamò qualcuno.

“Che altro c’è adesso?!” sbottò Kassihell.

“Kire…non dormi?” domandò il posseduto.

Il gemello era spettinato ed avvolto in un mantello stropicciato. Era evidente che fosse stato buttato giù dal letto di colpo.

“Dove li stai portando? Non erano questi gli accordi!”.

“Lo so, Kire, ma vedi…la mostricciattola dell’Oscurità non c’è più. Perciò…”.

“Che hai fatto?! Sei impazzito del tutto?!” interruppe il gemello.

“Ti avevo detto di lasciarla a me…”.

“Sì, è vero, ma non pensavo…”.

Kire non finì la frase. Si avvicinò al gemello, circospetto. Lehelin rimase calma, stando attenta ad ogni dettaglio. Incrociò le braccia del corpo di Elehcim ed alzò leggermente la testa.

“Tu chi sei?” domandò Kire.

“Sono tuo fratello, coglione!” sbottò il posseduto.

“Io conosco bene il mio gemello, e non sei tu. Lui, nonostante tutto l’odio e la rabbia che ha dentro di sé, come tutti noi sanguemisto del resto, era d’accordo sul fatto di non uccidervi!”.

“Mica tanto…” pensò Elehcim “…comunque…”.

“Tu non sei mio fratello. Chi cazzo sei, dunque?”.

Ci fu silenzio per qualche istante, in cui il posseduto ghignò.

“Suvvia, sono io! Sono Elehcim! Fammi pure tutte le domande che vuoi!”.

“Tu sei l’incantatrice, ne sono sicuro!”.

“Sono Elehcim…”.

“Chi sono i nostri genitori?”.

Lehelin sorrise e sfogliò, in fretta, le pagine della memoria di Elehcim, in cerca della risposta. Trovandola, non riuscì a trattenere un “Oddio!” di stupore.

“Chi sei?!” sbraitò Kire.

Hanjuly scattò in avanti e puntò la sua arma contro la gola del posseduto, ghiacciandola.

“Lasciaci andare!” sibilò “Se non vuoi che lo uccida!”.

Kire non sapeva cosa dire. Era immobile, spaventato e confuso.

“Io sono Lehelin, è vero…” parlò l’Oscurità, con la sua vera voce “…con un cenno, la mia compagna di viaggio affonderà quella lama ghiacciata nella gola del tuo gemellino. Io non subirei danni e tu…avresti un funerale da celebrare! Lasciaci andare ed io uscirò dal corpo di tuo fratello, o preferisci che lo uccida ordinando al suo cuore di esplodere?”.

“No, ti prego!” si affrettò a dire Kire “Mio fratello è tutto ciò che ho”.

“Stupido! Non lasciarli andare!!” gridava Elehcim, nella sua testa “Stupido! Non conta la mia sorte! Si sono ripresi gli oggetti proibiti, non lasciarli proseguire!”.

“Siete liberi di andare” parlò il sanguemisto “Prometto che nessuno di noi vi seguirà. Siete liberi. Andatevene. Però ridatemi mio fratello”.

“Abbiamo la tua parola?” mormorò Kassihell, poco convinto.

“Parola d’onore. Vi lascio andare. Avete vinto…”.

“Ricorda che, se non mantieni fede alla promessa che ci hai dato, la prossima volta che incrocerai il mio sguardo, qualunque sia la circostanza, darò ordine al tuo cuore di fermarsi” minacciò Lehelin.

“Ho capito. Non succederà”.

Il gruppo, spalancando la porta verso l’esterno, cominciò ad uscire. Kire diede ordine alle guardie che la sorvegliavano di farli passare. L’ultima della fila fu Lehelin nel corpo di Elehcim. Si girò e chiuse gli occhi. Il sanguemisto e l’Oscurità si staccarono. Lui fu fiondato all’indietro e cadde in terra, in malo modo.

“Cazzo!” mormorò, tossendo per riprendere il controllo del suo corpo.

Nel frattempo, i dieci prescelti del regno di Asteria sparivano all’orizzonte, a passo svelto.

“Come stai?” domandò, preoccupato, Kire.

“È stata l’esperienza più traumatica della mia vita ma, per il resto…sei un coglione!” protestò Elehcim, senza rialzarsi “Perché li hai lasciati andare?! Restano solo due oggetti proibiti e poi saranno in grado di effettuare l’evocazione e portare a termine la missione! Apparirà la Creatrice e saremo annientati, distrutti! Dovevi lasciare che mi uccidessero e tornare a catturarli!”.

“Non potrei mai fare una cosa del genere! Preferirei morire con te accanto, piuttosto che vivere a lungo senza il mio gemello. Siamo sempre stati legati. Non faresti lo stesso?”.

“Hai condannato tutta la nostra specie!”.

“Noi non abbiamo una specie! E poi…non è detto!”.

“È dettissimo, invece! Sei un pazzo! Un idiota!”.

“Dì quello che vuoi. Ormai è fatta. Ora và a letto e sfrutta le ultime ore prima dell’alba per riposare. Ti farà bene darti una calmata!”.

Elehcim guardò il gemello con odio, mentre questi si allontanava verso le camere. Dietro di lui, Danjell e Roary, desiderosi di verificare se la loro intuizione era esatta, fecero lo stesso. Molti altri sanguemisto si erano svegliati, a causa del rumore, ma non dissero nulla, intimoriti dagli occhi infuocati del gemello di Kire.

“Maledetti…” mormorò Elehcim, rimanendo seduto in terra ancora un po’.

 

†††

 

“Sei stata davvero ingegnosa” parlò il Fuoco, mentre correvano, rivolto all’Oscurità.

“Merito del mio oggetto proibito” rispose lei.

“E dell’idea geniale di Hanjuly!” concluse Efrehem.

“Grazie!” rise il Ghiaccio.

“Nella testa di quel mezzosangue…” iniziò Lehelin, rivolta al Metallo “…ho visto che hanno un potente esercito, pronto ad attaccare. Sono in molti e sono forti. Credo sarebbe meglio avvisare la tua gente…”.

“Il castello è di strada” rispose Thuwey “Mi basterà passarci ed avvisare i soldati sotto il mio comando. Così facendo, i militari del regno saranno allertati e pronti”.

“Non è che, magari, possiamo riposarci, nel frattempo?” ansimò Enki.

“Siamo sufficientemente lontani da loro, mi sembra…” si aggiunse Efrehem.

“A me sta bene. Montiamo dei turni di guardia, però!” rispose il Metallo.

“Ci penso io. Non sono affatto stanca!” esclamò Lehelin, sentendosi finalmente utile.

Protetti da una radura argentata, i viaggiatori si ristorarono, procurandosi del cibo fra gli alberi e lungo il fiume che scorreva lì vicino. Si lavarono, mangiarono e poi crollarono addormentati. L’Oscurità guardò gli sposi della notte tramontare, con un sorriso sulle labbra.

 

Al sorgere di Sirona, Lehelin era seduta all’ombra di un albero. Capì subito chi era quell’uomo che si stava avvicinando: “Vattene, due ombre. Torna indietro” gli disse, quando fu abbastanza vicino.

Aveva le mani sporche di sangue. Doveva aver sfogato parte della sua rabbia su qualche malcapitato che aveva tentato di fermarlo o farlo ragionare. O, semplicemente, che aveva inavvertitamente incrociato la sua strada.

“Nessuno può farmi ciò che mi avete fatto e sperare di passarla liscia!” le rispose, irato, Elehcim.

“Sei solo. Noi siamo in dieci. Se li sveglio, ti uccideranno. Torna in te e torna indietro, è meglio”.

“No”.

“Io non voglio dare l’allarme. Non voglio la tua morte. Torna a casa”.

“Non mi muovo da qui. E nemmeno voi. A costo di ridurre in pezzi ogni oggetto proibito a morsi!”.

Aherektess, il membro della compagnia con l’udito più fine, percepì il vociare dei due e si svegliò. Dalla cima dell’albero su cui era appollaiato, stropicciò gli occhi e guardò giù. Riconobbe subito colui che stava parlando con Lehelin e scese in picchiata, frapponendosi tra lui e lei, spade in pugno. Le puntò entrambe contro il sanguemisto, che lo fissò, senza espressione.

“Sono per metà Metallo. Non puoi farmi nulla con le tue armi” si limitò a dire.

L’Aria non rispose: “Stai bene, Lehelin?” domandò.

“Benissimo. Posa le spade. Sono certa che uno scontro diretto non è necessario”.

“Parla per te!” sibilò Elehcim, evidentemente fuori controllo ed alterato da rabbia e frustrazione.

Richiamò a sé il potere del fuoco e lo lanciò. Aherektess abbassò l’Oscurità appena in tempo. Kassihell, percependo l’uso del suo elemento, si svegliò e mise in allarme gli altri.

“Di nuovo tu?! Cazzo, che due coglioni!” sbottò, arrabbiato per essere stato svegliato.

“Vattene, ora che ancora puoi” suggerì, di nuovo, Lehelin.

Il mezzosangue non si mosse. Incrociò le braccia e fissò l’Oscurità senza parlare.

“Questa volta non torni a casa, bello!” lo minacciò Mattehedike.

“Non tutto intero, perlomeno!” precisò il Fuoco.

“Oh, no di certo! Con te ci divertiremo un po’!” sghignazzò Reishefy.

“Calmi, ragazzi!” si stupì Idisi “Così passiamo dalla parte del torto! È da solo…”.

“Non perdete tempo con inutile pietismo. Io sono pronto ad affrontarvi…uno dopo l’altro!” mormorò Elehcim, ghignando.

“Tu sei pazzo!” commentò Hanjuly e lui, di tutta risposta e velocissimo, lanciò una piccola fiammata contro di lei.

“Tu mi hai rotto!” sbottò Kassihell, sfoderando la Katana, e correndo contro al sanguemisto.

Questi mutò le sue braccia, facendole divenire due lunghe spade, ed iniziò a combattere. Non aveva una tecnica buona come quella del Fuoco ma, anche se veniva colpito, il suo corpo non veniva ferito e nemmeno scalfito. Efrehem tentava di far notare la cosa al suo compagno di viaggio, inutilmente.

“Vai a casa, mezzosangue, se non vuoi che il nostro attacco sia combinato!” lo minacciò il Ghiaccio, con la sua arma fra le mani.

“Non vedo l’ora!” rispose il sanguemisto.

“L’hai voluto tu…” sospirò Aherektess.

 

†††

 

“Elehcim! Fai star zitto il tuo dannato animale!” tuonò Roary, battendo violentemente sulla porta della camera del suo collega.

“Calmati…” tentò di tranquillizzarla Danjell, passandole una mano lungo il braccio più volte.

Orebrec continuava a latrare contro la finestra da cui il suo padrone era uscito.

“C’è qualcosa che non và. Di solito Elehcim non lo lascia abbaiare senza motivo!” disse Danjell.

Tentò di aprire la porta, girando il pomello d’ottone. Sapeva che il suo collega era paranoico e dormiva chiudendosi a chiave. Quando l’uscio si mosse, si accorse che qualcosa non andava. Entrò nella camera, buia e fredda per via della finestra spalancata, ed Orebrec si calmò.

“Qui non c’è nessuno!” esclamò il sanguemisto.

“Dev’essere andato dietro ai dieci rompimaroni…” commentò Roary.

Kire camminava lungo il corridoio, in preda all’insonnia e desideroso di mantenere un controllo sul gemello. Non aveva previsto che potesse scappare dalla finestra. Non lo credeva così folle. Capì al volo l’accaduto, non appena Danjell e Roary uscirono dalla camera.

“Quell’idiota è corso dietro ai prescelti…” mormorò, incredulo.

Senza dire altro, entrò rapido nella camera del gemello. Salì in groppa ad Orebrec e lo incitò affinché  uscisse all’aperto.

“Dove vai?” domandò Roary.

“A riprendermi colui che possiede il mio stesso DNA” sbottò e corse via, illuminato da Sirona.

 

†††

 

Elehcim pareva divertirsi. I dieci non volevano ucciderlo, ma lui non demordeva e si faceva sempre più violento. Idisi richiamò la magia della Terra e lo immobilizzò, avvolgendolo di rami, radici e foglie d’argento. Quelle piante erano irte di spine, ma graffiavano solamente la pelle del mezzosangue, che le bruciò con facilità, liberandosi. Mattehedike controllò la roccia e tentò di fermarlo. Il calore che riusciva a richiamare Elehcim, però, lo sciolse rapidamente da quella morsa. Enki sfruttò l’acqua ed Hanjuly il ghiaccio. Il sanguemisto sentì pungere la pelle e qualche piccolo graffio apparve qua e là lungo il suo corpo. Perse solo qualche goccia di sangue argento. Lehelin non faceva nulla. Per lei, per quanto potesse essere pieno di rabbia e determinato, non meritava di morire, pur essendo consapevole che, se non lo avessero ucciso loro, sarebbe stato lui ad uccidere qualcuno del gruppo con la sua follia omicida.

“Solo con un attacco combinato potete sperare di fargli del male…” disse Efrehem, rimanendo pure lui al di fuori di quello scontro.

Hanjuly guardò Aherektess ed i due si capirono al volo. Enki lanciò acqua contro l’avversario, mista all’elettricità di Reishefy. Elehcim gemette, sentendo sfrigolare la pelle e lo scorrere delle scosse lungo il suo sangue metallico. Aherektess individuò i punti in cui erano penetrati gli elementi delle sue compagne ed indirizzò lì, a forte velocità, le punte di ghiaccio create da Hanjuly. Queste si piantarono in profondità. Il mezzosangue si fermò, con tutte quelle stalagmiti sul corpo. Socchiuse gli occhi, concentrandosi. Si scaldò e le punte si sciolsero, lentamente. Ferito, con un inconfondibile sapore metallico in bocca, non smise di attaccare. Gridando, riprese a lanciare palle di fuoco. I viaggiatori erano sconcertati da quel comportamento.

“Asteria è condannata. Moriremo tutti, in qualunque modo vada la vostra missione. Ormai è tardi…” sbiascicò, sputando sangue “…è tardi! Moriremo tutti. Moriranno i mezzosangue, moriranno i sanguepuro, morirò io, morirete voi…BUM!”.

Sanguinando copiosamente, riusciva comunque ad attaccare in modo pesante ed i viaggiatori dovevano stare molto attenti. Enki, Idisi, Reishefy ed Hanjuly furono le prime a farsi colpire, probabilmente perché si stavano stancando nella lotta. Thuwey si teneva a debita distanza, sapendo bene di non poter fare nulla contro quella creatura. Osservava la scena, assieme a Lehelin ed Efrehem. Idisi tentò di colpire il sanguemisto con la sua arma di legno ma, non appena vide che lui, sfiorandola, la bruciava, desistette e riprese con la magia.

“È un osso duro!” commentò Kassihell, respingendo i colpi di fuoco rivolti verso la compagnia.

Quando Elehcim iniziò ad usare il suo sangue come arma, trasformandolo in affilate punte di metallo, anche Thuwey rientrò nella battaglia, difendendo il gruppo.

“La sua magia è molto potente…” commentò, disperdendo quei colpi all’ultimo istante.

Guardandosi, i compagni capirono che, se non lo avessero ucciso, sarebbero stati loro a cadere per mano di quell’essere che pareva non provare nemmeno dolore o stanchezza. In realtà provava entrambe quelle spiacevoli sensazioni, eccome, ma non voleva di certo mostrarlo a quel branco di spacca balle!

Lo colpirono di nuovo, con scosse e punte di ghiaccio, ma lui restava in piedi, ghignando. Si fissarono, con rassegnazione, pronti ad un attacco combinato di gruppo. Aherektess sollevò in aria l’avversario. Elehcim si concentrò, richiamando il metallo che scorreva dentro di lui. Ricoprì la sua pelle. Si trovava a parecchi metri da terra, quando iniziò a precipitare. L’aria sopra di sé lo spingeva, facendolo accelerare ulteriormente. Chiuse gli occhi e si preparò all’impatto con il suolo ma non trovò il terreno ad attenderlo. L’acqua di Enki investì la sua schiena, che si insinuò fra le sue vesti stracciate. Bruciava come acido quell’elemento carico di magia. Gridò, non preparato ad una cosa del genere. Continuò a cadere e, senza aver modo di ricreare la barriera di metallo lungo la schiena, corrosa dalla magia della principessa dell’Acqua, si sentì trafitto da enormi stalagmiti fatte di ghiaccio, roccia, legno ed elettricità. Le sentì attraversare il suo corpo in più punti. Il torace, il ventre, le gambe, le braccia…solamente la testa rimase al di fuori di quel tappeto di morte. Il suo sangue argento iniziò a scorrere copiosamente. Tossì, cercando invano di prendere aria in quei polmoni dilaniati e pieni di liquido metallico. Perché il suo cuore si ostinava a battere? Si chiese, ad occhi spalancati. Anche i dieci alleati si chiedevano la stessa cosa. Era orribile vederlo in quello stato. Enki si nascose dietro ad Idisi, piangendo nel sentirlo gemere. Lehelin camminò verso di lui. Allungò la mano d’ombra sul petto del nemico. Chiuse gli occhi e poi li spalancò. Il mezzosangue non gridò, mentre il suo cuore si fermava. Mormorò un “grazie” e solo allora i suoi occhi color fiamma si spensero, divenendo vitrei. L’Oscurità gli chiuse le palpebre e non disse nulla.

“Anche la tua pelle fa così se la colpisco con l’acqua?” domando Enki, rivolta a Kassihell.

“Solamente se è piena di magia” rispose il Fuoco.

“Andiamo. Mi è passato il sonno. E pure la fame” commentò Thuwey.

In silenzio, presero le proprie cose e solo in quel momento si accorsero che Kire era corso fino lì, ma era arrivato tardi. Fu l’uggiolare sommesso di Orebrec che fece notare la cosa al gruppo. Kire era smontato dalla bestia ed era in piedi, accanto al corpo senza vita del gemello. Non piangeva ma il suo sguardo esprimeva tutto.

“Ve la farò pagare…” mormorò, fissando con odio i dieci.

“Ve la farò pagare!” ripeté, con più voce “Fosse l’ultima cosa che faccio! Ci rivedremo, maledetti bastardi, e sarà la vostra fine!” urlò.

Thuwey incitò i suoi compagni ad accelerare, diretti verso il castello. Kire, invece, si chinò sul gemello. Gli passò una mano sui capelli, come saluto.

“Che succede, Kire?” domandò Semar, per poi esclamare un “Cazzo!” accompagnato da un sussulto quando vide Elehcim.

Un piccolo gruppetto di sanguemisto, più o meno una ventina di creature, avevano seguito il loro capo non appena avevano saputo che si era allontanato.

“Date inizio all’attacco finale” sussurrò Kire.

“L’attacco finale? Ma non è ancora ben studiato…”.

“Ho detto: date inizio all’attacco finale. Lui avrebbe voluto così…” ribadì il capo, stringendo i pugni e non staccando gli occhi dal fratello.

“Sì. Va bene. Andiamo ad avvisare gli altri” obbedì Semar.

Alcuni volevano rimanere con il loro capo, ma lui gli fece cenno di andarsene, di lasciarlo da solo. Solamente Orebrec rimase e coprì, con i suoi profondi gemiti, le grida di disperazione di Kire.

 

†††

 

Il castello del regno, e la capitale racchiusa fra le alte mura argentate, erano chiari davanti a loro. Ancora qualche chilometro ed avrebbero raggiunto entrambi. A capo chino, senza parlare, i dieci avanzavano piano. Tutta la storia avvenuta da quando erano entrati in quelle terre aveva instaurato nelle loro menti il germe del dubbio. Era piccolo e quasi muto, ma presente e fastidioso. Era davvero giusta tutta questa faccenda dell’evocazione? Erano davvero loro i “predestinati” a salvare Asteria o, come aveva detto quel mezzosangue, il pianeta era già condannato ed era troppo tardi? Tutta quella fatica…

La luce di Sirona faceva risplendere la vegetazione ed il sentiero. Perfino l’erba sembrava composta da sottili filamenti d’acciaio.

Un grido, acuto e sibilante, simile ad un lungo stridio minaccioso, li sorprese. Aherektess trovò quel verso molto familiare. Alzò gli occhi e vide delle creature alate, a prima vista degli abitanti del regno dell’Aria. In realtà, osservando meglio, non ci voleva molto per capire che erano sanguemisto e quello era il loro grido di guerra. Il terreno ai loro piedi vibrò, comandato da Kire. In groppa ad Orebrec, corse verso la capitale. Ignorò, apparentemente, i dieci viaggiatori. I suoi occhi, rosso fuoco, fiammeggiavano e guizzavano.

“Vogliono distruggere la capitale e far cadere il regno!” si allarmò Thuwey.

“Per poi passare ai regni successivi…” aggiunse Efrehem.

“Spero che i soldati a guardia di Gwydyon siano preparati” mormorò Kassihell.

“Lo sono. La capitale non cadrà in mano loro…” rispose il Metallo, senza celare una certa inquietudine dentro di sé.

Quei militari, i suoi uomini che aveva addestrato lungo gli anni e coloro che lo avevano seguito fin da ragazzo, facendolo divenire ciò che era, stavano per affrontare un nemico a cui di certo non erano preparati. E la regina…

“Dobbiamo raggiungere il castello e fermarli!” esclamò Thuwey, mentre diverse onde di mezzosangue apparivano da ogni punto.

Avanzavano compatti. I viaggiatori, al contrario, si misero a correre veloci, precedendoli. Thuwey conosceva ogni scorciatoia e fece arrivare i suoi compagni alle porte di Gwydyon, la capitale, quando solamente i mezzosangue dell’Aria e Kire erano giunti fino a lì. Garihiele, un alto sanguemisto dagli occhi chiari e le piume azzurre, si muoveva con l’agilità di un ballerino e lanciava palle di fuoco sulla città. Schivava agilmente le frecce ed i colpi con cui rispondevano gli abitanti. Araik, una giovane piuttosto piccina, volava e comandava la Terra, affinché bloccasse i movimenti dei suoi avversari. Arual, librandosi con le sue piume blu, comandava l’Acqua e ne mandava ondate, sfruttando anche la presenza di un fiume attorno alle mura. Monihika, signora di Luce ed Aria, usava tutta la sua magia contro quelle creature impreparate. Handro, un piumato arancione, poteva usare anche l’elettricità, che colpì i soldati e gli innocenti senza preavviso. Antyhela, Aria e Metallo, con le ali viola, sollevava un forte vento per mettere in difficoltà i sanguepuro. Kire, accarezzando Orebrec sulla testa, rimanendo in groppa, osservava quel primo attacco. Percepì i prescelti grazie alla magia del Metallo e capì che erano riusciti ad entrare in città tramite un passaggio segreto. Sorrise, ghignò.

“Bel lavoro, ragazzi” gridò, rivolto ai suoi compagni “Continuate così, presto arriveranno gli altri. Io entro. Raggiungetemi appena possibile”.

“Sì” risposero, all’unisono, i sanguemisto dell’Aria, mentre Orebrec scavalcava le mura della capitale con Kire saldamente aggrappato alla sua schiena.

I dieci compagni, seguendo i percorsi che mostrava loro Thuwey, sbucarono alle porte del castello tramite un passaggio segreto.

“Io vado a dare qualche ordine ai miei uomini” disse il Metallo “Li metterò in guardia su ciò che gli aspetta. Tornerò in un istante”.

I suoi compagni non ebbero modo di obbiettare. Si guardarono attorno e cercarono di aiutare come potevano. Enki spegneva le fiamme con il suo elemento, Hanjuly le congelava, Aherektess muoveva il vento tentando di soccorrere gli abitanti, Kassihell provava a contrattaccare, Mattehedike muoveva le rocce per fortificare le mura e gli edifici, Reishefy assorbiva il più possibile le scosse che lanciava Handro, l’Oscurità inseguiva saltellando le ombre dei suoi avversari nel tentativo di immobilizzarli ed Efrehem bloccava la magia lanciata da Monihika. Idisi, con la piuma di Vereheveil fra le mani per poter interpretare le parole anche di coloro che non conoscevano la lingua comune fra i regni di Asteria, come i bambini o gli anziani, curava chi poteva con la sua borsa piena di erbe medicinali. I sacerdoti e le sacerdotesse della capitale, vestiti di nero ed argento, col volto dipinto, si chiedevano se Mihael era irato con loro e se era il caso di offrirgli i sacrifici umani che erano soliti effettuare.

Il Metallo tornò in fretta verso i compagni di viaggio: “Venite! Il castello ha un sotterraneo dove saremo al sicuro. Ogni casa della capitale ha una cosa del genere ed è là che si sta dirigendo il popolo che non è stato ferito dagli attacchi improvvisi. I soldati resteranno a combattere”.

“Non possiamo combattere anche noi?” parlò il Ghiaccio.

“Non è la cosa più saggia. Non possiamo rischiare di subire delle conseguenze. La nostra missione è troppo importante”.

Nessuno osò rispondere a quella frase di Thuwey, pur non concordando del tutto. Entrarono nel castello. La regina era lungo il corridoio e si stava apprestando a raggiungere le stanze sotterranee.

“Mia regina…” parlò il Metallo, notando che era ferita sul fianco.

“Thuwey! Sei tu! Che sollievo vederti!” rispose lei, tenendo sollevata la lunga e pomposa gonna nera per poter camminare più in fretta.

“Presto, Jovihann! Andiamo!” sbottò una voce maschile.

Kassihell spalancò gli occhi. Era suo padre l’uomo che era sbucato alle spalle della regina e, sfiorandola con le mani, la incitava ad avanzare.

“Papà!” esclamò il Fuoco.

“Ma guarda chi si vede…” gli rispose Vehuya, con tono neutro.

“Io e te abbiamo alcune cosette da chiarire…” sibilò il figlio.

“Quando vuoi!” ghignò il padre.

“Direi che ora non è il caso!” affermò Aherektess.

“Concordo! Raggiungiamo i sotterranei!” si aggiunse Thuwey.

L’imperatore e la regina, l’uno accanto all’altro, seguirono il Metallo che, da capo delle guardie, apriva ogni porta fino a raggiungere l’ultima, quella che solamente la sua sovrana poteva far spalancare. Per sbloccarla, Jovihann poggiò la mano su un quadrato lucido, che brillò. Reagiva al suo codice genetico e solo un membro della famiglia reale poteva farlo funzionare. Si richiuse alle spalle del gruppo di fuggitivi, ermeticamente.

I corridoi erano bui, impolverati e silenziosi. L’aria era pesante, umida. Nessuno parlava, sentendosi in colpa per tutte le persone che, ferite, non sarebbero state in grado di salvarsi come loro.

“Come mai tuo padre è qui?” sussurrò Reishefy a Kassihell, sentendo la sua voce poi rimbombare lungo le pareti.

“Che domanda idiota!” sbottò il Fuoco.

“Qui abbiamo cibo, acqua e tutto il necessario per sopravvivere diversi giorni” parlò il Metallo, mostrando le varie stanze “E nessuno può accedervi né uscirne, se non con la mano della regina”.

Kassihell accese le fiaccole lungo la via e le candele nelle salette quasi del tutto spoglie. Seduti in terra tutti assieme, per tenersi compagnia, i sovrani si tenevano per mano. Jovihann aveva la testa sulla spalla di Vehuya ed il figlio di lui fissava entrambi con fastidio.

“Perché mi guardi così, ragazzo mio?” ridacchiò il padre “Tua madre sa di tutto questo”.

“Non mi interessa e non mi riguarda. È che mi fa senso…” rispose Kassihell, incrociando le braccia e inclinando la testa.

“Thuwey…” parlò la regina, sorridendo con dolcezza “C’è una cosa di cui ti vorrei parlare…”.

“Non sforzatevi…” la interruppe lui, mentre la Terra curava la ferita di lei.

“Ho avuto davvero paura di non rivederti, quando sono stata ferita…”.

“Signora, vi prego! Non so dove vogliate andare a parare ma…” borbottò il Metallo.

“Chiudi la bocca, soldatino, e ascolta ciò che ha da dirti!” lo zittì Vehuya.

“Dicevo…” riprese la sovrana “…ho davvero avuto paura di morire e non poterti rivedere. E non poter sistemare tante cose che, se non ci fossi più, resterebbe altrimenti in sospeso. Volevo che tu sapessi, mio caro, che sarai tu il prossimo re di questo regno”.

“Che cosa?! Perché?!” farfugliò lui, per niente felice della notizia, mentre i suoi compagni di viaggio ridacchiavano e gli facevano le congratulazioni.

“Perché tu sei mio figlio, Thuwey”.

“Eh?!” si sentì, corale, fra i presenti.

“Ti sei mai chiesto come mai tu possieda una tale energia magica? Sei sangue del mio sangue…”.

“Ma…se è così…mio padre chi è? E perché sono cresciuto da solo?”.

“Tuo padre non saprei dirti esattamente chi sia…al tempo mi divertivo un sacco, lo devo ammettere. Non ero una regina, quando nascesti. Per i miei genitori era una cosa inammissibile che la principessa ereditaria avesse un bambino senza essere sposata, mostrando al regno il fatto che vivevo un’esistenza piuttosto sregolata e fuori da ciò che doveva essere l’ordinario. Sei nato, ed è già stato un grande traguardo. Ho dovuto combattere per farti vedere la luce, al contrario di quanto ordinavano i miei. Appena sono divenuta regina, ho iniziato a cercarti. Non è servito perché fosti tu a giungere da me, come soldato protettore della capitale. Ti ho riconosciuto subito, perché ogni creatura del Metallo ha le zone del proprio elemento in punti diversi e poi…la tua energia era inconfondibile!”.

“Perché non mi avete detto la verità fin dall’inizio?”.

“Non lo so. Forse perché, quando ti ho rivisto, eri già grande. Eri quasi maggiorenne e di certo non avevi bisogno di una mamma…”.

Thuwey la fissò, con gli occhi ramati che si muovevano senza controllo, con in testa un misto di amore ed odio che si mescolavano in modo confuso.

“Perdonami, Thuwey. Ho commesso tantissimi errori nella mia vita…sono stata una pessima sovrana ed una pessima persona…”.

“Non è vero…” mormorò il Metallo, non sapendo cos’altro dire mentre la sovrana scattava in avanti, spalancando le braccia in cerca di un abbraccio.

Lui la fissò, titubante, e poi ritrasse le punte, permettendo a Jovihann di avvolgerlo con affetto. Lehelin gli sorrise. Il suo compagno d’avventure aveva appena ottenuto ciò che andava cercando da una vita e da cui si era sempre protetto.

 

La porta si aprì, ne sentirono lo scattare secco. Com’era possibile?

“Solo altre due persone potrebbero aprire quella porta…” borbottò Vehuya.

“Due? E chi sarebbero?” si stupì la regina.

“I gemelli…”.

“Non ti avevo dato ordine esplicito di liberartene?” mormorò lei, avvicinandosi di più all’imperatore con aria minacciosa.

“Lo so” rispose lui, distogliendo lo sguardo “Ma…non l’ho fatto”.

“Di che state parlando?” alzò un sopracciglio Kassihell.

“Mi stai dicendo che hai provato ad ucciderli ma non ci sei riuscito?” continuava a parlare piano Jovihann, mentre Vehuya non la guardava.

“Se ci ha provato, qualcosa non è andato per il verso giusto” parlò Kire, fissando tutti quanti con aria triste e distante “L’erba cattiva non muore mai. Quasi mai…”.

“Che succede, Kire?” domandò l’imperatore.

“Kire?! Come sai il suo nome?! Perché non mi hai detto…” iniziò la regina ma Vehuya la zittì.

“Io ci tengo ai miei figli, a differenza di te!” sbottò e Kassihell lo fissò con aria scettica, non sentendosi particolarmente amato.

“Non è vero, imperatore” parlò, piano, Kire “Tu non ci tieni ai tuoi figli”.

“Non vi ho uccisi, come vostra madre mi aveva ordinato, e vi ho affidato ad un sanguemisto di mia fiducia, Neziar, colui che vi ha cresciuto”.

“Vaffanculo”.

“Mi sono perso qualche passaggio…il cosetto dal sangue incrociato qui presente è mio fratello?” tentò di capire il Fuoco.

“Figlio mio e di Jovihann, esatto” confermò l’imperatore.

“Quindi…anche mio fratello!” si aggiunse Thuwey.

“Non ho capito…” piagnucolò Reishefy.

“Non è difficile, cretina!” sbuffò Mattehedike.

“Ti spiego con calma…” sospirò Thuwey “Kassihell è il figlio di Vehuya e di sua moglie, imperatrice del Fuoco. Io sono figlio di Jovihann e di una creatura del Metallo non identificata. Kire, il mezzosangue qui presente, è figlio di Vehuya e Jovihann”.

“Quindi…se non ho capito male…Elehcim era vostro fratello?”.

“Era?!” si stupì la regina.

Ci fu silenzio. Si guardarono fra loro, con tantissima confusione nella testa e sulla coscienza.

“Era, esatto” parlò Kire “Era perché ora non lo è più. Questi bastardi…lo hanno ammazzato!”.

“Guarda che qui c’è solo un bastardo, ed è Thuwey di cui non si sa chi sia il padre! E poi, scusami tanto, ma il tuo gemellino ha tentato di ucciderci!” sbottò la Roccia.

“Elehcim è morto?” domandò Vehuya, visibilmente turbato.

“In modo atroce…”.

“Voleva ucciderci! È stata legittima difesa!” continuò Mattehedike.

“Smettetela di parlare, brutti schifosi!” ringhiò Kire.

Scattò in avanti e, con lui, molti altri mezzosangue che lo avevano seguito lungo il cunicolo segreto. Impedirono la fuga ai viaggiatori, bloccandoli nella stanza. C’era Danjell, di Terra e Fuoco. Roary, Luce e Oscurità, gli stava accanto. Omokaig, Luce ed Acqua, era sulla porta vicino a Monihika, Luce ed Aria. Semar, stringendo i pugni, guardava tutti quanti con odio per ciò che era stato fatto ad Elehcim. Anyram, Ailil ed Hella, tutte con metà sangue di Ghiaccio, erano vicine. Anyram sprizzava elettricità, Ailil sfoggiava i tipici fiori della Terra ed Hella gli spuntoni del Metallo. Innavoig, Terra e Roccia, fissava tutti con sfida. Arual, di Aria ed Acqua, pareva poco convinta su come si stessero mettendo le cose e sospirava. Cihalu, una donna di Roccia ed Elettricità, aveva lo sguardo perso e confuso di chi non ha bene idea di cosa stesse facendo. Frahin palleggiava con una sfera di Fuoco, avvolto dalla nebbia tipica degli abitanti dell’Oscurità. Aseret, triste perché non amava la violenza, era l’insieme di Terra e Luce e questo le permetteva di sapere moltissime cose mescolando il suo sapere intellettivo e le parole che i suoi elementi le dicevano. Ultimi, in fila per tre, venivano i mezzosangue d’Aria Handro, Antyhela e Garihiele con le loro caratteristiche d’Elettricità, Metallo e Fuoco. Tutti loro, impedivano ai viaggiatori ed alla coppia di reali di salvarsi. Erano furiosi, ancora sconvolti per il modo disumano in cui era stato ucciso il loro compagno Elehcim. Vendicativi, furiosi e molto potenti, iniziarono ad usare i loro poteri. Nel frattempo, fuori, Araik e Neziar comandavano gli altri sanguemisto per distruggere la capitale.

“ Noi siamo fratelli. Non dobbiamo ucciderci” parlò Kassihell, rivolto a Kire.

“Io avevo un solo fratello, e me lo avete portato via! Tu sei solamente il figlio di colui che non mi ha voluto e mi ha abbandonato, perché si vergognava di aver messo al mondo un incrocio!”.

I presenti ebbero modo di vedere che Vehuya e Jovihann avevano un potenziale magico straordinario, che sfruttavano. Purtroppo risultava inutile perché i loro avversari annullavano a vicenda ogni loro punto debole, impedendo l’attacco combinato. I dieci ed i reali capirono di non poter andare avanti a lungo. Erano stanchi ed abbattuti, senza più voglia di uccidere quelle creature criptiche. Kire dava ordini in modo preciso, come se il suo corpo avesse centinaia di occhi e fosse capace di seguire ogni movimento dei suoi compagni. Thuwey ammirò le sue doti di leader, trovando le proprie pessime se non sotto il punto di vista militare. Schizzava sangue e si aprivano ferite, volavano insulti e percosse, quando una voce profonda sovrastò tutte le altre.

“Adesso piantatela!” si sentì, mentre il terreno vibrava.

Era Kaos. A braccia incrociate, dietro di lui si potevano scorgere tutte le altre divinità del pianeta, aveva l’aria di chi rimproverava dei bambini troppo agitati.

“Gli Dèi…” sussurrarono alcuni dei mortali.

“Esatto. Gli Dèi” confermò Kaos.

“Perfetto. Pure voi vi mettete contro di noi…” mormorò Kire.

“Io non sono dalla parte di nessuno, se non dalla mia. Mi trovo bene qui, mortaluccio, e non me ne voglio andare. Non voglio aspettare che la Creatrice realizzi un altro mondo per poter avere un posticino dove farmi adorare e divertirmi. Asteria sta morendo ed io la voglio salvare”.

“NOI la vogliamo salvare!” specificò Vereheveil.

“Facendoci estinguere? Grazie tante!” commentò, sarcastico, Semar.

“Per quel che mi riguarda…” rispose Kaos “…potete anche estinguervi tutti. Mezzosangue, triplosangue, sanguepuro, poveri bastardelli o di stirpe reale…per me siete tutti uguali. Ed anche agli occhi della Creatrice siete così, credetemi. Perciò è inutile che vi scaldiate tanto. Salvate Asteria, ed Asteria salverà voi”.

“Ne siete sicuro?” domandò Efrehem.

Il Dio non rispose e fissò la Luce con i suoi occhi azzurri. Poi si spostò su Lehelin e le sorrise.

“Quindi…mi assicurate che noi non subiremo conseguenze dall’evocazione?” azzardò Roary.

“Non sappiamo cosa accadrà dopo l’evocazione” parlò Dharam, Dio del Fuoco “Ma di certo le conseguenze potrebbero ricadere su tutti. Sui sanguepuro, sui sanguemisto, su noi Dèi…non sappiamo quale sarà la scelta della Creatrice”.

“Perciò, alla fine di tutta questa faticaccia, potremmo ritrovarci all’altro mondo?” gemette Enki.

“Potrebbe essere…” confermò Heronìka.

“E voi non dite niente?” piagnucolò Reishefy.

Enrikiran alzò le spalle, con indifferenza, e Loreatehenzi ridacchiò.

“I prescelti devono continuare il loro viaggio, ottenendo gli ultimi due oggetti proibiti ed evocando la Creatrice. Ciò che sarà dopo, si vedrà” parlò Xoduzz, Dio dell’Elettricità, con voce solenne.

“E chiunque interferirà con tutto questo, verrà eliminato!” aggiunse Mihael.

Tutti poggiarono le proprie armi, dando segno di resa.

“Sappiate che se per salvare Asteria è necessaria la vostra morte, la Creatrice non esiterà. Fra voi mortali e la sopravvivenza del mondo, è ovvio che lei sceglierà la seconda opzione e non starà troppo a pensarci. Se per far proseguire la vita di Asteria vi dovrà far estinguere, allora lo farà” furono le parole di Vereheveil, Dio della Luce.

“Noi non vogliamo morire! Non esiste un modo per…” farfugliò l’Elettricità.

Enki si inginocchiò, a mani giunte, supplicando la Dea dell’Acqua, Heronìka, di darle la grazia.

“Io non posso far nulla” parlò la Dea “Se non proteggerti fino alla fine di questa missione. Poi sarete nelle mani della Creatrice, e non potrò fare niente”.

“Perché non siete intervenuti prima? Perché non avete salvato Elehcim?” volle sapere, con sguardo basso e braccia incrociate, Kire.

“Era un suo desiderio” gli rispose Kaos “Era il dono più bello che potessimo concedergli: una morte epica, memorabile, che chiedeva da tempo”.

Kire non disse altro e chiuse gli occhi, lucidi.

“Voi dieci!” sbottò Xoduzz, irritato dalle perdite di tempo “Muovetevi e partite. Concludete questa missione e facciamola finita, qualsiasi cosa accada con l’evocazione”.

I viaggiatori si fissarono.

“Dovete concorrere per lo stesso scopo” parlò, con calma, Vereheveil “Mezzosangue o sanguepuro, mortali o Dèi, dobbiamo pensare al bene di Asteria”.

“Al bene di Asteria? Pensare a quello e non pensare a noi stessi ad alle conseguenze?! Ma che si fotta pure Asteria e la Creatrice!” sbottò Semar.

“Sappiate che noi divinità siamo per la conclusione della missione e conseguente evocazione” informò Loreatehenzi.

“E con questo?” si domandò Kire.

“Con questo, brutto coglione, intendiamo dire che se qualcuno oserà interferire subirà tutte le conseguenze che merita” ringhiò Kaos.

“Bene. Perfetto. Ho capito” mormorò il capo dei sanguemisto, abbassando le orecchie a punta, consapevole che perfino le divinità li avevano abbandonati al loro destino.

“Non fare quella faccia…” gli disse Thuwey, andandogli vicino “…mi sa tanto che qui nessuno vince e nessuno perde. Ce la pigliamo nel culo tutti allo stesso modo”.

Kire alzò leggermente il lato destro della bocca, in un micro sorriso, e scosse la testa. I puri ed i misti si separarono. Ora i dieci erano ancora meno convinti di ciò che stavano facendo, ma non avevano scelta. Gli Dèi li tenevano d’occhio. Li scortavano. Mihael iniziò a seguirli per questo. Tolse l’elmo, mostrando i lunghi capelli mori, mossi, ed un enorme paio di corna nere. Comunicò loro che d’ora in poi li avrebbe controllati da vicino.

Volevano lasciarsi alle spalle l’odio, le morti, i dubbi ed il sangue, uscendo da quel regno. Purtroppo per loro non fu così e, entrando nel mondo della Terra, tutto ancora pesava sul loro animo.

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Capitolo 12
*** XII- Terra ***


XII

 

Un fiore nero. Una sorta di giglio scuro, rilucente di scintille d’argento, gli era stato poggiato sul petto. Un ultimo regalo, un ultimo saluto, adagiato su quel corpo ormai senza vita. Il corteo avanzava lentamente lungo le vie di lava del regno del Fuoco. Il vulcano più alto dell’impero di Vehuya li attendeva. Onore riservato solamente a pochi. Al principe bastardo, Elehcim, era stato concesso il privilegio di avere come ultima dimora quel vulcano.

“Non era così che doveva andare, fratello mio” mormorò Kire, in piedi a fianco del gemello morto.

Elehcim pareva quasi sorridere. Sembrava sereno, avvolto da un letto di fiori neri con punte d’argento ed accenni rosso sangue, mentre era trasportato lungo il sentiero dai suoi compagni. Mezzosangue di tutto il pianeta erano giunti fin lì per lui e questo stupì Kire. Aveva sempre creduto di non appartenere a nessuna razza, a nessun popolo, ma ora, inaspettatamente, non sapeva spiegarselo, si rendeva conto che il suo pensiero non era corretto.

Loro, sanguemisto, erano come una grande famiglia. Loro, incroci della natura, meritavano di vivere esattamente come i sanguepuro. Loro, i malvoluti ed i reietti, erano più uniti, più forti.

La Creatrice cosa avrebbe deciso? Li avrebbe fatti uccidere tutti? Poteva impedire la loro nascita, se erano tanto sbagliati! Perso in quei suoi pensieri, Kire sospirò. Non avrebbe potuto far nulla. Gli Dèi erano contro ogni suo possibile intervento o interferenza alla missione d’evocazione.

Si sentiva davvero impotente. Non poteva tentare di fermare i prescelti perché le divinità stesse li proteggevano. Aspettare. L’unica cosa che era in grado di fare era aspettare…e stare a vedere.

Forse quelli erano gli ultimi mesi d’esistenza che restavano, a lui ed ai suoi compagni. Forse aveva ragione suo fratello: Asteria era condannata, sarebbero morti tutti.

Gli Dèi a cosa servivano? A niente! Perché unirsi ai cori che gli altri mezzosangue intonavano, come estremo saluto ad Elehcim? Silenzio. Nessuna recita, nessuna canzone, nessuna voce voleva sentire. Solo l’immenso silenzio. Ed era questo che voleva sentissero le divinità. Niente preghiere, niente suppliche, niente lodi per loro. Silenzio. Voi per me non esistete, mormorava Kire, vi ho viste ma è come se non fosse successo. Voi non ascoltate, non lo avete mai fatto, allora perché sprecare fiato e fatica? Silenzio. Silenzio. SILENZIO!! Gridava dentro di sé, mentre tentava di sciogliere quel nodo che aveva in gola. Deglutì. Non riusciva a piangere.

“Non trattenerti. Lascia un ultimo messaggio a tuo fratello” si sentì dire.

Era Neziar, colui che gli aveva fatto da padre.

“L’ultimo messaggio che ho dato a mio fratello è stato ben diverso. Lui ora non c’è, non può sentirmi e non potrà sentirmi più. Le ultime parole che mi ha rivolto sono state di maledizione, di odio, e le mie di rimprovero e disprezzo. Non ci sarà un’altra conversazione fra di noi” sibilò Kire.

“Non ti fa sentire meglio?”.

“Parlare da solo? No”.

“Figlio mio…”.

“Anche se mi hai cresciuto, e te ne sarò per sempre grato, tu non sei mio padre”.

“Lo so. Vehuya è tuo padre, e non te l’ho mai nascosto”.

“No, neppure lui lo è”.

“Sei figlio degli Dèi?”.

“AHAH…no, certo che no! Sono figlio di una puttana e di un traditore, biologicamente, nulla di più. A nessuno sento di dover rivolgere le parole "padre" o "madre", mi spiace”.

“Non lo hai mai fatto, non mi aspetto che inizi ora, questo è certo”.

Neziar capì che il giovane non avrebbe più parlato e tornò ad unirsi al coro dei sanguemisto. Ormai il corteo era giunto sulla cima del vulcano-madre. Il corpo fu deposto delicatamente, accanto a lui la lava scorreva lungo le pendici ed il magma ribolliva borbottando nel cratere. Kire intravide, quasi con fastidio, che Vehuya era fra la folla.

“Vuoi dire qualche parola?” sussurrò Danjell, rivolto al capo dei mezzosangue.

Non ricevette risposta. Era sceso un silenzio inquietante, d’attesa. Fu l’imperatore a parlare, raggiungendo il figlio con inaspettata agilità, data l’età avanzata.

“Tu non lo conoscevi” gli sibilò Kire “Non osare aprir bocca”.

“Io lo conoscevo perché era parte di me” rispose l’uomo, rimanendo serio e calmo.

“IO lo conoscevo. Era parte di ME, non di te! Era il mio gemello, siamo nati dallo stesso, minuscolo, germe di vita. Stesso codice genetico, stesso sangue, stessa vita e…”.

“…e diverso destino, ragazzo” lo interruppe il padre adottivo Neziar.

“Come?!” si stupì il giovane, non aspettandosi quella frase.

“Parla. Dì qualcosa per la nostra razza e per Elehcim. Fa che le tue parole restino nel cuore dei presenti e che il pensiero del tuo gemello non muoia mai. La vita è solo un soffio ma, se qualcuno lo ricorderà, in realtà nessuno morirà mai”.

“Un ricordo è diverso dalla sua presenza. Il tuo ragionamento non ha senso!”.

“Se non vuoi parlare, allora richiama l’energia del vulcano e guidalo nella sua ultima dimora”.

Kire rimase in silenzio, qualche istante. I mezzosangue lo fissavano, in silenzio.

“Non piangete” iniziò il gemello vivente “Di certo è il gesto più ipocrita e falso che si può fare ad un funerale. Soprattutto al suo funerale. Elehcim è sempre stato un gran testardo ed è stata proprio la sua testardaggine a portarlo alla fine. Era un insieme di contraddizioni, frustrazioni e rabbia, che ha incanalato il più possibile nella direzione giusta. Purtroppo, ad un certo punto, queste emozioni erano così forti e dominanti da riuscire a sopire la voce razionale del suo cervello. Lo sconforto, la gelosia, la follia, hanno sostituito ciò che un tempo era mio fratello. Era arrivato al punto di sperare ed attendere la fine di Asteria ed io non lo avevo mai compreso, fino ad ora. Adesso, invece, mi sono reso conto che, dopotutto, se la vita su questo pianeta deve continuare come ora, è davvero meglio che tutto termini. Noi non siamo la colpa della sofferenza di Asteria. Noi, mezzosangue di varia generazione, ci siamo sempre stati. Non abbiamo scelto di essere al mondo. Non abbiamo deciso di nascere ma siamo stati generati, chi da sanguepuro e chi da sanguemisto, e poi abbandonati. Siamo vissuti nascosti, celati agli occhi di chi ci voleva morti, ed ora veniamo accusati. Se qualcuno merita l’estinzione, ora, quelli sono loro. Coloro che ci hanno creati e poi rinnegati. Purtroppo gli Dèi li proteggono e perciò non possiamo fare altro che aspettare e sperare. Mio fratello, Elehcim, mio gemello speculare, non vedrà la fine di tutta questa storia. Che questo sia un bene o un male lo vedremo, lo vedrà chi verrà dopo di noi, se qualcuno verrà…”.

Guardava Vehuya con odio malcelato, anche se l’imperatore restava in silenzio, a capo chino.

“…io non odio i prescelti” riprese Kire “Nonostante tutto ciò che mi hanno fatto, io non li odio. E non dovreste odiarli neppure voi. Non odio mio fratello che, diciamocelo, è andato un po’ a cercarsela questa sua fine. Ma era questo ciò che voleva perciò, vi ripeto, è inutile piangere. Non è stato un incidente, non è stata un’ingiustizia. Ha combattuto ed è stato sconfitto. Non credo potesse chiedere di meglio, quel testone. Non piangete. Sorridete per lui. Era ciò che voleva. Il destino, la vita, gli ha concesso questo ultimo regalo ed è inutile esserne tristi. Lui non avrebbe pianto per voi…è un atto inutile”.

“Ad alcuni di noi fa stare meglio. Versare qualche lacrima ci libera da un peso” commentò Arual.

“Credo che lui preferisca un applauso, ed un brindisi in suo onore” sorrise, calmo, Kire, ed iniziò a battere le mani.

Tutti i sanguemisto seguirono quel suo gesto, mentre il fuoco vivo del vulcano attivo iniziava ad avvolgere il corpo di Elehcim e portarlo lentamente nel suo ventre magmatico.

 

†††

 

“Che immagine toccante…” commentò Kaos, con sarcasmo, sgranocchiando uno snack con indifferenza e distacco.

“Non dovresti usare quel tono in mia presenza. Mi dà fastidio” disse Dharam, Dio del Fuoco.

“Sai quanto me ne frega se a te dà fastidio, ragazzino?!” sbottò il Dio oscuro.

“Quanto sei antipatico”.

“Quanto siete infantili!” interruppe entrambi Vereheveil, Dio patrono del regno della Luce.

“Cerchi rogne, nano svolazzante?” ringhiò Kaos.

“Non ho paura di te, pallone di fuliggine ambulante!”.

“E piantatela!” li rimproverò Heronìka, con un tono che non ammetteva repliche.

Le divinità erano riunite nel loro mondo parallelo ed osservavano ogni avvenimento del pianeta.

“Ci siamo tutti! Incredibile!” si stupì Xoduzz, Dio elettrico.

“No. Ti correggo” ci tenne a precisare Vereheveil “Mihael è assieme al gruppo dei prescelti, il nostro collega della Terra è nel suo luogo proibito in attesa e poi…manca lui!”.

“Lui manca sempre! E mancherà sempre!” borbottò Loreatehenzi.

“È già un grande risultato il fatto che tutti, tranne chi voi sapete, siamo uniti per la buona riuscita dell’evocazione” parlò, in tono da discorso ufficiale, Dharam.

“Capirai…” ghignò Kaos.

“Sei sempre il solito!” rise Xoduzz.

“Diciamo che è un buon modo per scacciare la noia. Per me la Creatrice verrà evocata e, una volta ascoltato il problema, dirà "arrangiatevi" e tornerà a farsi i cazzi suoi altrove” commentò l’Oscuro.

“Tu ed il tuo pessimismo!” notò Heronìka, Dea dell’Acqua.

Enrikiran era l’unico che non parlava. Restava per i fatti suoi, suonando il suo strumento di ghiaccio. Loreatehenzi, suo fratello minore, Signore dell’Aria, lo tormentava ma senza risultato.

“Certo che…noi Dèi dovremmo essere più neutrali. Questa volta, invece, siamo spudoratamente dalla parte di qualcuno. Sicuri che sia giusto?” domandò Vereheveil.

“Noi riusciamo a comprendere l’insieme delle cose. Il tutto. Anche i mortali capiranno, poi, che le nostre scelte sono le più giuste per gli universi. Ora alcuni di loro ci disprezzano, è vero, ma vedrete che verrà il giorno in cui torneranno a porgerci la mano” rispose Dharam.

“Ne sei certo? Per me fai le cose a caso…” commentò Kaos, sempre mangiando porcherie di vario genere e riempiendo di briciole il pavimento.

“Sei tu quello che fa le cose a caso!” esclamò, infastidito, il Dio dei fuochi.

“Ovvio!” sorrise, soddisfatto, l’Oscuro.

“Ma cosa perdo tempo a parlare con te?! Tanto non capisci niente! Sei un Dio inutile!”.

“Hei, bello! Con chi credi parlare? Io c’ero prima di te, lo sai? C’ero prima di tutti voi, perfino prima della Creatrice stessa!”.

“E non credi che sia ora di andare in pensione, vecchio rincoglionito?!”.

Heronìka ruotò gli occhi al cielo. Era molto stupita del comportamento del collega di Fuoco. Normalmente era di buon umore, sereno, e poco propenso alla rissa. La tensione però s’avvertiva. La tensione e la consapevolezza che molte cose potevano cambiare da un momento all’altro, una volta evocata la Creatrice. Evidentemente tutti i presenti percepivano questa sensazione e si sfogavano con nervosismo. Era palpabile l’inquietudine fra gli animi dei presenti. Del resto, loro erano Dèi, abituati ad avere tutto sotto controllo con un buon margine di preveggenza, non avvezzi ad avere dinnanzi un muro di incertezze e punti di domanda. E di certo non erano abituati a vedere il destino di qualsiasi cosa in mano a dei semplici mortali.

“L’attesa mi distrugge…” protestò Xoduzz, rigirando la testa all’indietro “…e sì che sono in vita da millenni e l’eternità di certo non è mai stata un problema”.

“Potresti mandare un messaggio al Dio del Tempo. Non so in quale pianeta sia stato messo, ma forse un salto lo può fare da queste parti” ironizzò Loreatehenzi.

Sospirarono, all’unisono. Nella loro mente centinaia di domande e dubbi. Se fossero intervenuti loro prima, sarebbe stato necessario il viaggio e tutto il resto? Inutile pensarci. Guardarono verso il basso. Il funerale stava giungendo al termine. Era uno spettacolo triste, lo sapevano, ma allo stesso tempo erano consapevoli che per ogni morte c’era una vita. E per ricordare la vita spostarono lo sguardo verso l’imponente albero dei reali della Terra.

 

†††

 

“Congratulazioni” disse Zameknenit, inchinandosi davanti alla regina di quel regno.

Midir, sovrana della Terra, stringeva fra le braccia il suo primogenito. Il suo consorte, in piedi accanto a lei, guardava entrambi con orgoglio. Lei era seduta, avvolta da fiori colorati e profumatissimi, dono di amici e parenti per festeggiare il lieto evento. Era un bambino bellissimo, con la pelle verde tipica del suo popolo, avvolto da una copertina che lo faceva assomigliare ad un prezioso frutto racchiuso in un baccello morbido. Ed effettivamente era prezioso quel bimbo. Era il principe ereditario di quel regno, tanto desiderato dai genitori e dal popolo. Aveva i capelli verdi della stessa tonalità del padre e gli occhi viola della madre. Se ne stava tranquillo, sonnecchiando pacifico, facendosi cullare.

“Grazie, Signore dell’Aria” parlò il re della Terra, inclinandosi in avanti leggermente.

Midir era commossa. Davanti a sé aveva quasi tutti i sovrani di Asteria, cosa che non accadeva mai se non alle convocazioni dei Signori di Est ed Ovest. C’era Ozymandias, re dell’Oscurità, con un piccolo sacchetto di pietre preziose come dono al neonato. Rocana, sovrana del Ghiaccio, assieme al marito ed ai figli maschi, parlava allegramente con Nerektan, la regina dell’Acqua. Taranis, re dell’Elettricità, sorrideva e non riusciva a stare fermo. Friedrik, anziano sovrano della Luce, si guardava attorno ammirato. Infine Jovihann, la Signora del Metallo, era presente ma se ne stava in disparte, persa nei suoi pensieri. Sapeva che, in quello stesso momento, Vehuya era al funerale di uno dei suoi figli. Eranoranhan, capo della Roccia, non aveva potuto presiedere a quella presentazione ufficiale del piccolo principe ma aveva mandato una lettera di felicitazioni, spiegando che era costretto a letto in quel periodo.

“Mi sembra incredibile. Vedervi tutti qui è una specie di sogno che si avvera” parlò Midir “Vi ringrazio per i doni e per i sorrisi. Mai prima d’ora era successo un incontro come questo e sono davvero felice che mio figlio possa essere stato d’aiuto per aprire le porte alla diplomazia”.

I reali si fissarono, chi con convinzione e chi con titubanza.

“Mi dispiace che il mio diretto avversario, l’imperatore Vehuya, non sia presente” parlò Zameknenit “Sarei stato ben lieto di discutere con lui”.

“Non può nascere la pace fra i regni in un solo giorno” affermò Friedrik “Ma già il fatto che ognuno di noi sia qui in questa occasione, senza dare alcun cenno di voler litigare, direi che è un notevole passo avanti!”.

“Notevolissimo!” sorrise Nerektan.

“Vorrei che ci fosse la mia cara amica Idisi” mormorò Midir “Colei che aveva previsto la nascita di questo bambino e che ora sta percorrendo le vie di Asteria su ordine dei Signori dell’Est e dell’Ovest. Tutti voi avete una persona a voi cara, o comunque vicina, in quella missione…”.

“Per me è un grande sollievo poter condividere la mia preoccupazione con altre persone che sono tormentate dalla stessa angoscia” annuì il sovrano della Luce “La paura di non veder tornare la persona a cui abbiamo affidato la chiave, l’inquietudine dell’incertezza, la debolezza che si percepisce nella magia del pianeta…”.

“L’ultima che ha avuto notizie dirette del gruppo è stata Jovihann, mi sembra…” iniziò Ozymandias, fissando la regina metallica che, però, non rispose a quello sguardo.

“Dopo quanto successo nel suo regno…” mormorò Rocana “…quei mezzosangue ed i loro attacchi…chissà quanti morti fra il suo popolo!”.

“Beh, io avevo proposto di eliminarli tutti, quegli incroci, ma mi avete bloccato!” protestò Taranis.

“Perché, come sempre, agivi d’impulso! Lascia che sia la Creatrice a sbrigarsela, senza macchiarti di inutili colpe!” lo zittì Nerektan.

“Tutti noi abbiamo già delle colpe, qua dentro” sbottò Jovihann “Se non avessimo abbandonato ed ignorato quelle creature dal sangue bastardo, non ci avrebbero odiato al punto da attaccarci”.

“Fermi un attimo!” si stizzì Ozymandias “Hanno attaccato il tuo regno, non il mio o quello di qualcun altro! Ciò significa che hanno dei conti in sospeso solamente con te o la tua gente, oppure hanno colpito a caso, tentando di bloccare i dieci viaggiatori da noi scelti ed amplificando il terreno d’azione. Il loro è solamente un tentativo di autoconservazione. Non vogliono che la Creatrice li uccida e cercano di uccidere loro per primi…”.

“Pur a malincuore, mi trovo in accordo con il Signore dell’Oscurità” disse Zameknenit.

“È per colpa delle decisioni affrettate ed azzardate che siamo giunti al punto in cui siamo ora” insistette la regina del Metallo.

“A proposito di decisioni affrettate…il tuo amante, Vehuya, dove si nasconde?” interruppe Ozymandias, senza capire i vaneggiamenti di colei a cui rivolgeva la domanda.

“Non sono affari tuoi!” rispose, malamente, la sovrana metallica.

Detto questo, si alzò di scatto dall’angolino in cui stava tranquilla e fece per andarsene. Il re dell’Oscurità, ghignando, allungò un piede e la bloccò, calpestandone l’ombra.

“Lasciami!” protestò la bloccata, dimenandosi “Leva il tuo dannato piedone dalla mia ombra all’istante!”.

“Se no cosa mi fai? Sentiamo…”.

“Non siamo qui per litigare!” si intromise il re della Luce, frapponendosi tra i due.

“Quanto sei noioso, Friedrik” sbuffò Ozymandias, alzando il piede e lasciando andare Jovihann.

“Non siamo qui per trovare un colpevole a quanto sta accadendo! Siamo qui per rimanere uniti, come gli Dèi ci chiedono” continuò il rappacificatore.

“Gli Dèi potrebbero risolvere i loro casini da soli, invece che tormentare noi!” sbottò l’Oscuro.

“In effetti…” concordò Taranis, alzando un sopracciglio.

“Oh no, non cominciamo!” bloccò tutti la regina dell’Acqua “Non si litiga oggi, ok?”.

Midir sorrise e si rilassò. Era già pronta ad portare al sicuro la sua creatura, se necessario.

“Sono dalla tua parte, Nerektan. Oggi non si litiga. Dovremmo imparare a fidarci l’un l’altro ed aiutarci. La situazione necessita collaborazione, non odio!” parlò Friedrik.

“Ci sono delle creature di cui è difficile fidarsi” sibilò Zameknenit, guardando solo di sfuggita il sovrano dell’Oscurità.

“Per caso, la butto là, ce l’hai con me?” sibilò Ozymandias, inclinando gli occhi argento.

“E con chi altro? Sei tu quello che trama sempre alle spalle di tutti!”.

“Cerchi rogna? Perché se è così, ti avviso, io ho l’esercito più forte del pianeta e sto un attimo a fare un culo così a tutto il tuo regno di piumati arcobaleno!”.

“Questo è tutto da dimostrare, essere informe!”.

Ozymandias divenne più grosso e minaccioso. Zameknenit non si impressionò e si limitò a fissarlo, incrociando le braccia, sfidandolo con i suoi profondi occhi blu. Alzò la testa, mentre il Signore dell’Oscurità aumentava di dimensioni, superandolo di diversi centimetri.

“Piantala, Ozy!” lo bloccò Friedrik, accentuando la sua luce lentamente, costringendolo a retrocedere, borbottando bestemmie.

“Vaffanculo, Fridy!” fu la risposta, alquanto seccata, dell’Oscuro.

“Che bambini…” scosse la testa Taranis.

“Ma se tu sei il peggiore di tutti!” rise Midir.

“Non è vero!” piagnucolò il re dell’Elettricità, mettendo il broncio.

“Siamo tutti nervosi perché abbiamo persone a noi vicine che sappiamo stanno rischiando la vita” cercò giustificazioni la regina dell’Acqua.

“No, il nuvolone qui a fianco è sempre così!” sbottò Jovihann, riferendosi ad Ozymandias.

“Ma perché mi rompete tutti quanti le palle?! Comunque sì, è vero, sono sempre così ma…mia figlia è là fuori e, se permettete, sono preoccupato esattamente come voi. Specie sapendola in compagnia di certa gente di certe razze…”.

“Sono sicura che se la sta cavando benissimo, se ha preso anche solo una minima parte del tuo carattere!” rise Rocana.

“Non ne dubito ma…mi son giunte strane voci all’orecchio…” parlò il re dell’Oscurità.

“Dove hai le orecchie tu, scusa?” ironizzò Zameknenit, agitando le sue, piccole ed a punta, fra i ciuffi rossi della sua singolare pettinatura.

“Vuoi che strappi le tue?! Ad ogni modo, dicevo…mi son giunte strane voci su un’inopportuna vicinanza fra mia figlia e tuo fratello, caro Zameky”.

“Anch’io pensavo fosse sbagliato, all’inizio…” parlò il sovrano dell’Aria, ricordando la festa al suo palazzo “…ma poi, dopo che si sono baciati, io…”.

“Si sono cosa?! Chi ha baciato chi, o chi ha baciato cosa?! Mi riferivo a ciò che mi avevano detto su un’isola ed un salvataggio…”.

“Ah…quindi non eri a conoscenza del fatto che tua figlia e mio fratello…”

“Tranquillo. Nel mio regno non mi è sembrato avessero più niente a che fare fra loro” intervenne Jovihann, sempre con lo sguardo rivolto lontano.

“E meno male! Ci mancherebbe altro…avere per genero quello sfigato di Aherektess…”.

“Non è uno sfigato! È il mio gemello!” protestò Zameknenit.

“Appunto! La mia povera bambina…chissà cosa le passava per la testa!” sbottò Ozymandias.

“A mio avviso, sarebbe stata un’ottima cosa, invece” parlò Taranis, a sproposito come sempre.

“Ma chiudi il becco!” lo zittì l’Oscuro.

Il re dell’Elettricità si indispettì e tirò su la coda, come fa uno scorpione, caricandola di luce elettrica e preparandosi a colpire chi aveva di fronte.

“Vi prego, non nel mio palazzo!” li ammonì Midir.

“Qui ci vorrebbe Vehuya. Darebbe fuoco ad un po’ di questo inutile verde…” affermò il re Oscuro, irritato perché a quanto pare era divenuto il capro espiatorio e la vittima sacrificale su cui i reali stavano scaricando ogni loro tensione.

“Ed io che credevo di rilassarmi un po’…” mormorò Friedrik.

“Siamo senza speranza…” sospirò Nerektan.

“Mi auguro che i nostri ragazzi si stiano comportando in modo diverso” le rispose Rocana.

 

†††

 

“Non fare la bambina! Muoviti!” tuonò Kassihell.

Reishefy incrociò le braccia, offesa, e si girò dall’altra parte. Da giorni attraversavano il regno della Terra sui suoi alberi, l’unico modo per avanzare senza rimanere bloccati nel suo intrigo di radici e liane. In quel momento, quasi tutto il gruppo era riuscito a passare da un grosso albero ad un altro, ognuno con un suo metodo, ed attendeva la principessa dell’Elettricità. Lei era rimasta sull’altra pianta e si rifiutava di avanzare.

“Sono stanca!” protestò, pestando i piedi.

“Lo siamo tutti, rompicoglioni! Muovi il culo e salta di qua!” ringhiò il Fuoco.

“Così non otterrai mai niente…” sussurrò Idisi.

“Dici? Stai a vedere…o viene di qua oppure la lasciamo lì. In ogni caso avrei vinto io!” rispose Kassihell, prima di rivolgersi di nuovo a Reishefy “Senti, piccola pigna lagnosa, noi ora proseguiamo. Se non vuoi restare indietro, ti consiglio di saltare. Altrimenti resta pure dove sei, addio! Sono stufo di perdere tempo con te!”.

Detto questo si girò e fece segno al gruppo di fare lo stesso.

“Sei proprio uno stronzo…” ridacchiò Mihael, il Dio protettore del Metallo, loro scorta.

“Avevi forse un’idea migliore?”.

“Sinceramente no…”.

Reishefy dapprima non si mosse, convinta che non la lasciassero lì. Dopo un po’, però, notando che il gruppo si allontanava, spalancò gli occhi dalla sorpresa.

“Ma come?!” si stupì “Mi lasciate davvero qui? No! Fermi! Brutti bastardi! KASSIHELL!!! BRUTTO OMINO FLAMBÈ!! NON OSERAI PER DAVVERO FARMI QUESTO??!!!”.

Scoppiò a piangere, sentendosi tradita da coloro che riteneva suoi amici. Urlò a vuoto per alcuni minuti e poi si arrese all’evidenza. Doveva per forza raggiungerli. Piagnucolando ed inveendo, contro ignoti e conoscenti, saltò sull’albero dove già si erano allontanati gli altri. Si mise a correre, sempre urlando e piangendo. Quando li raggiunse, il resto della compagnia la ignorò.

“Siete proprio degli stronzi” sibilò l’Elettricità “Soprattutto tu, Kassy!”.

“Non chiamarmi Kassy!” protestò il Fuoco.

“Per caso "Testa di cazzo" ti va meglio come soprannome?”.

“Decisamente…”.

La ragazzina non disse altro, sconcertata da quella risposta.

I viaggiatori camminavano lungo l'intricato insieme di rami e foglie che componevano le strade della Terra. Sotto di loro il vuoto e le liane. Il vento sibilava fra gli altissimi tronchi decorati a festa, con nastri e campanelli, per festeggiare la nascita del principe. Idisi guidava il gruppo senza parlare, con la chiave verde a forma di albero ben in vista legata al suo collo. Per lei era semplice avanzare in quell’intreccio legnoso. La Roccia, al contrario, guardava fisso in aria per evitare di pensare al fatto di essere sospeso nel vuoto. Più di una volta rischiò di cadere, fino a quando Thuwey, il più alto del gruppo, non decise di andargli davanti. In questo modo, Mattehedike poteva osservare la testa del suo compagno di viaggio e non correre rischi. Efrehem, circondato dai fiori colorati di quel mondo, sospirava girando la testa verso Hanjuly, notevolmente più agile di lui nell’andare avanti. La treccia bionda di lei rimaneva sospesa, fra un salto all’altro, per qualche istante, ed il giovane rappresentante della Luce l’ammirava, rilucente e delicata. Più volte la principessa del Ghiaccio lo aiutò lungo il cammino, porgendogli la mano, ed ogni volta il cuore di lui partiva, battendo all’impazzata. Si chiese spesso come facesse lei a non accorgersene. Rifletté sul fatto che il viaggio ormai stava per concludersi, quell’avventura giungere al termine. Avrebbe mai trovato il coraggio di dirle quello che provava? Si disse che, forse, era meglio fare finta di nulla. Una come lei non lo avrebbe mai voluto. Era così bella… Lei era alta, bionda, con quei due occhi azzurro chiaro come il ghiaccio, quello sguardo così freddo ed allo stesso tempo profondo, che faceva sognare, quella forza e quell’abilità nel combattere, coraggiosa ed ingegnosa. Sapeva farlo ridere, cosa difficile, e lo stupiva sempre con nuove idee e stratagemmi. Era perfetta. Radiosa, magnifica, intraprendente, bellissima… Sentì un tuffo al cuore quando si girò a guardarlo. E strinse i pugni, arrabbiato con la natura, sapendo di essere più basso di quasi una testa rispetto alla principessa del gelo. Girò le antenne rosse all’indietro. Solo Lehelin era più bassa di lui in quella missione e la cosa lo irritava tantissimo! Inoltre, la principessa dell’Oscurità poteva modificare il suo aspetto e divenire ben più alta. Lui era basso e rimaneva tale. Odiava essere così, con quelle strane antenne, quel ciuffo nero di capelli quasi sempre in faccia, le spalle stette, il corpo mingherlino e gli occhi esageratamente grandi. Amava il suo cervello, quello sì, ma dubitava di poter far colpo su di lei con quello. Di certo Mattehedike, con i suoi bicipiti, o Thuwey, con la sua altezza di quasi due metri, lo battevano in tutto. Sospirò e tentò di non pensarci. Non era l’unico ad avere migliaia di pensieri in testa. Thuwey, da quando gli era stato detto di essere in realtà il figlio di Jovihann, era piuttosto confuso. Era da anni, ormai, che non sognava di avere una madre. Mai avrebbe desiderato, poi, essere di sangue reale. Fissò Kassihell. Pure lui non sapeva in quale direzione indirizzare i suoi pensieri. La faccenda dei gemelli, il comportamento di suo padre…ricambiò lo sguardo di Thuwey, senza dire una parola. Al suo fianco, Lehelin ascoltava solamente la voce della sua testa, ignorando del tutto gli altri nove compagni di viaggio. Aherektess la fissava, preoccupato. Avrebbe voluto dirle “Un soldo per i tuoi pensieri” ma preferì non indagare, intimorito da una sua possibile reazione negativa. Enki ed Hanjuly parlavano fra loro, consapevoli che erano le uniche due che ancora non avevano il loro oggetto proibito. Mihael chiudeva il gruppo, con un gran rumore d’armatura e lo sguardo attento.

“Ormai manca poco alla dimora del Dio della Terra” parlò Idisi “Perlomeno…la cartina che ho del mio regno dice così!”.

“Anche voi sentite sempre più freddo o è solo una mia impressione?” domandò Kassihell, rabbrividendo leggermente.

“Ora che me lo fai notare, è vero. Fa sempre più freddo, man mano che avanziamo” concordò Enki.

Le dimore dei nativi e la loro presenza si faceva sempre più rara e gli alberi sempre più spogli.

“Dici che sia un buon segno?” mormorò Efrehem ad Idisi.

“Non ne ho idea” ammise lei “Non sono mai stata da queste parti”.

Stava scendendo la notte. Il gruppo decise di fermarsi, evitando di affrontare il gelo che pareva sempre più pungente. Molti scesero dagli alti tronchi, raggiungendo i fiumi limpidi che vi scorrevano al di sotto. Idisi procurò del cibo, raccogliendo frutti o cacciando con un rudimentale arco che si costruì in pochissimo tempo. Si addormentarono piuttosto soddisfatti, cullati dal movimento delle fronde al vento e dai canti degli uccelli notturni.

 

“Lehelin…sei sveglia?” sussurrò Hanjuly.

“Certo. Io non ho bisogno di dormire, ricordi?” rispose la principessa dell’Oscurità.

“Posso parlarti?”.

“Sì. Ma forse è meglio se ci allontaniamo dal gruppo. Non li svegliamo!”.

Le due compagne scesero lungo il tronco fino ad un ramo basso. Sotto di loro scintillava la luce argento di un fiume illuminato dagli sposi della notte. Lehelin lasciò ciondolare i piedi e ne sfiorò la superficie, ammirandone le onde che si espandevano dal punto da lei toccato.

“Cosa ti preoccupa, Han?”.

“Vorrei chiederti un consiglio”.

“Di che tipo?”.

“Hem…tipo discorso da donna a donna su certe questioni sentimentali”.

“E vieni a chiedere consiglio a me?! Lo hai visto cosa è successo con Aherektess. Ti sembro forse la persona adatta a dare consigli in merito?”.

“Secondo me, sì. E poi…Enki non mi risulta sappia la differenza fra maschio e femmina, a mio avviso, mentre Reishefy è una gran pettegola, mi metterebbe in imbarazzo”.

“Idisi? È di certo più esperta. È sposata!”.

“Sì, ma…lei risponde sempre ad una domanda con un’altra domanda. Mi darebbe quelle risposte vaghe che dà quando legge le carte…”.

“Ho capito. E va bene…vedrò se ti posso aiutare. Sinceramente, non credo”.

“Riguarda Efrehem”.

“Il principe con le antenne? Dimmi pure…”.

“Tu…cosa ne pensi di lui?”.

“In che senso?”.

L’Oscurità non guardava negli occhi la sua interlocutrice e continuava a seguire con lo sguardo i pesci che nuotavano nel fiume ed i loro colori smorzati dalla notte.

“Credi che uno come lui…disprezzi una come me?”.

“Disprezzi? Perché mai dovrebbe disprezzarti?”.

“Perché lui è così intelligente, preparato e logico. Sono certa che più di una volta ha pensato che io sia una stupida…”.

“Credo lo abbia pensato in generale, rivolto a tutto il gruppo. Tu ti senti stupida?”.

“No. Ma, rispetto a lui, lo sono”.

“Rispetto a lui quasi tutti lo sono. È del regno della Luce, dove la conoscenza è il tratto fondamentale. Il suo scopo, in questa missione, è usare le sue rotelle”.

“Lui è talmente logico e calcolatore…che credo che se gli parlassi d’amore lui mi risponderebbe che è un’invenzione, una semplice reazione biologica finalizzata alla continuazione della specie!”.

“Probabile…”.

“Lui è così affascinante. Non sta tutto il tempo ad osservarmi le tette, non fa commenti inopportuni sul mio corpo e su cosa ci farebbe, non sbava quando passo! Mi tratta come una persona in grado di ragionare, non come una bambola di porcellana da pettinare! Questo mi piace…ma ho paura che un comportamento del genere riveli solamente che non gli interessano le donne come me”.

“A chi non interessa una donna come te? Intendo dire…sei molto bella e sei intelligente, lo hai dimostrato quando hai escogitato alcune strategie che ci hanno permesso di avanzare in questa missione. Sei simpatica, solare e, soprattutto, nonostante la natura ti abbia donato tutto questo, non guardi noi altre ragazze dall’alto in basso”.

“In realtà lo faccio” ridacchiò Hanjuly “Perché siete tutte più basse di me!”.

“Temi che Efrehem possa respingerti?”.

“Lui è sempre così curioso, ricorda ogni cosa, impara le lingue con una tale facilità…”.

“Tu controlli il tuo elemento magnificamente, sai combattere meglio della maggior parte di noi e sai sempre trovare qualche bella parola per chi è triste o arrabbiato”.

“Sì ma questo a cosa può servirmi?”.

“A sopravvivere, cazzo! Efrehem lo abbiamo salvato ed aiutato quante volte?! Sarà anche un genio ma non sa stare al mondo!”.

“Dici che abbia qualche possibilità con lui?”.

Lehelin scoppiò a ridere: “Ma se ti viene dietro da mesi, lui e le sue antennine rosse!”.

“Davvero?!” si stupì la principessa del Ghiaccio.

“Ma sì, certo!”.

Hanjuly fissò la sua consigliera in modo strano. Non credeva alle sue parole.

“Han…se tu fossi una di quelle donne con in mente solo il trucco, le scarpe ed i vestiti all’ultima moda, allora non avresti speranze con lui. Ma non sei così, perciò ti consiglio di tentare”.

“Dici che questo farà ingelosire gli altri maschietti del gruppo?” ridacchiò la bionda.

“Questo è sicuro!”.

“E come credi che possa fare? Io sono abituata con i ragazzi del mio regno. Il loro modo di fare con me è inequivocabile e, alla fine, diventano così fastidiosi che li mando via! Anche perché di me apprezzano solo il corpo e non fanno altro che criticare il mio carattere ed il mio modo di fare. Devo ammettere che non mi è mai capitato di corteggiare qualcuno”.

“Beh…in questo non posso esserti di grande aiuto. Prova a lanciargli piccoli segnali. Una gentilezza, un lieve contatto con la mano per vedere come reagisce, complimenti…ma sempre con sincerità perché credo sia in grado di percepire quando qualcosa è detta col cuore o tanto per occupare il vuoto di una conversazione. Non mentirgli, fingendo interesse per ciò che ti racconta quando in realtà non te ne frega niente, e cerca di non trattarlo come un bambino. Magari tu vuoi fare la tenera usando dei nomignoli, chiamandolo "piccino" o cose del genere, ma credo che questo vada a toccare quelle corde interne che lui ritiene stonate”.

Hanjuly annuì.

“E cerca di percepire i segnali d’assenso di Efrehem” aggiunse Lehelin.

“Lo farò. Grazie…”.

“I miei sono suggerimenti puramente teorici. Come ben sai, non è che io abbia ottenuto un granché dal punto di vista sentimentale nella mia vita”.

“Sarai la prima a saperlo, se dovessi riuscire nel mio intento. Ora torniamo su dagli altri. Fra poco sarà giorno…”.

 

“Hei! Thuwey! Dov’è Hanjuly?” sussurrò Efrehem, svegliandosi e non vedendola.

Il Metallo aprì pigramente un occhio e gemette, infastidito: “Sarà andata in bagno, rilassati” rispose, sbadigliando.

“Da sola?! Ma è pericoloso! È pieno di bestie feroci qua in giro!”.

“Quella se le mangia le bestie feroci, sta tranquillo. E poi…non è da sola. Anche Lehelin se n’è andata a spasso”.

“Lo fa sempre. Hanjuly, invece, non si allontana mai…”.

“Dormi! Vedrai che tornerà subito” brontolò Thuwey, e si rigirò dando la schiena alla Luce.

Efrehem si mise in ginocchio, alzandosi dal suo giaciglio. Era davvero infastidito dall’atteggiamento irresponsabile dei suoi compagni di viaggio. Si guardò attorno e vide che Aherektess, appollaiato sull’ultimo ramo più alto dell’albero, lo fissava con aria interrogativa.

“Dovresti rilassarti, piccoletto” gli suggerì, a bassa voce.

Dopodiché, allungò un braccio alato verso la Luce e gli porse la mano. Efrehem si alzò in piedi e l’Aria lo fece sedere al suo fianco, su quel ramo sospeso nel vuoto, sfruttando la magia del suo elemento. Con i piedi penzolanti nel nulla, i due si fissarono, per qualche istante. L’alba era vicina, già il cielo iniziava a tingersi di sfumature colorate. I capelli blu di Aherektess splendevano, mossi dalla brezza, ed i suoi occhi rossi erano puntati su Efrehem, che tentava di restare calmo nonostante l’altezza e la sensazione di disagio nel sentirsi osservato.

“Qual è il problema, lumino? Cosa ti preoccupa?”.

“Mi preoccupa il fatto che Hanjuly non è con il resto del gruppo”.

“E allora? È grande abbastanza per andare in giro senza la supervisione di un adulto, sai?” ironizzò Aherektess, ghignando.

“Sì…ma…”.

“Senti…so che ti piace quella femmina e non posso darti torto. È bellissima, anche se decisamente mi spaventa quando si arrabbia. È una guerriera, sa come farti del male fisico”.

“Anche psicologico, se è per questo…”.

“In quello è più brava Lehelin”.

“Non posso darti torto”.

“Se vuoi fare colpo su di lei, devi lasciar perdere la tua razionalità per un attimo e lasciarti andare. Non pensare troppo alle conseguenze”.

“Ma, se le conseguenze dovessero risultare negative per me, mi sentirei un idiota!”.

“Questo è un rischio che devi correre”.

“Tu lo hai corso?”.

“Sì…”.

“E come ti sei sentito quando non hai ottenuto niente?”.

“Un cretino. Ma ne è valsa la pena!”.

Efrehem fissò chi aveva a fianco con aria scettica.

“Lanciale dei segnali, principe della Luce. Sorridile, falle dei complimenti, valle vicino e stai attento ad ogni suo messaggio. Non puoi restartene fermo ed aspettare che le cose cadano dal cielo! Datti una mossa, se vuoi cambiare qualcosa!”.

“E se non volessi cambiare? Intendo dire…adesso io e lei andiamo d’accordo, ci divertiamo e sono felice quando mi rivolge le sue attenzioni. Se le dicessi quello che sento, temo possa cambiare tutto…in peggio! Potrei farla allontanare, e la cosa mi dispiacerebbe”.

“Fa come meglio credi. Usa il cervello e pesa i pro ed i contro. Scegli la strada che riterrai migliore, più produttiva. Mettila in questi termini, se ti è più semplice”.

“Non so quanto fidarmi dei tuoi suggerimenti. Mi pare che, per quanto ti riguarda, non siano stati molto efficaci”.

Aherektess storse la bocca, in un ghigno divertito. Girò gli occhi verso il basso, senza rispondere.

“L’amore, a mio parere, piccoletto, è come uno strumento a corde, un’arpa, dentro di noi. Suona la sua musica. Il nostro cuore fa vibrare quelle corde. Se la persona che abbiamo di fronte sa come far sì che quello strumento sia melodioso e che ogni corda vibri, allora saprai che è una persona speciale, per il tuo cuore e per la tua musica”.

“E se non vibrano tutte le corde di questa fantomatica arpa interiore?”.

“Non emetterà lo stesso suono, non sarete in perfetta armonia. Le note stonate si faranno sentire, presto o tardi, com’è successo con me e Lehelin. Ascolta la musica dentro di te…”.

Efrehem ricordava il discorso che gli aveva rivolto il Dio Enrikiran. Era molto simile. Sospirò.

“Soppeserò i pro ed i contro. Per ora è meglio che ci limitiamo a ripartire” mormorò, sorridendo.

Sirona era sorta all’orizzonte ed illuminava la compagnia. Stavano iniziando a svegliarsi. I capelli biondi di Hanjuly rispuntarono in mezzo ai prescelti. Sorridendo, sciolse la treccia ed iniziò a pettinarli con cura. Efrehem le sorrise, guardandola dall’alto ramo in cui ancora stava. Lehelin sgattaiolò silenziosamente. Aherektess le lanciò una sola occhiata, prima di volare guidando il principe della Luce con la mano. 

 

Idisi fece riprendere il cammino, con calma e sorridendo. I viaggiatori si erano avvolti in mantelli e stoffe percependo il freddo sempre più pungente. Solamente Hanjuly si sentiva totalmente a suo agio. Proseguiva a fianco di Kassihell, alla sua destra. Sulla sinistra del Fuoco si era messo Efrehem. Luce e Ghiaccio continuavano e fissarsi ed a conversare, senza esporsi troppo l’un l’altro sfruttando la presenza centrale di Kassihell. Questi ruotò gli occhi al cielo, tentando di allontanarsi dal loro cianciare insensato. Thuwey sorrise vedendo quella scenetta. Reishefy non si accorse di nulla come sempre e si mise a canticchiare, senza motivo. Enki guardava il cielo sereno, di buon umore. Mattehedike sbadigliava, ancora assonnato. Aherektess volava, stanco di usare i piedi e Lehelin lo osservava sorridendo. Il Dio del Metallo si sgranchiva le braccia giocherellando con l’enorme spada a distanza di sicurezza dalla compagnia. Ormai i rami su cui camminavano erano del tutto spogli e non si vedeva anima viva. Solo qualche uccellino variopinto che canticchiava svogliato. Ad un tratto, l’intreccio legnoso terminò. Idisi si fermò ed invitò i viaggiatori a guardare davanti a loro. Un meraviglioso albero solitario si ergeva poco distante. Per raggiungerlo dovevano scendere dalla notevole altezza su cui si erano fatti strada. La pianta era verde chiaro, rilucente, maestosa. Attorno a lei scorrevano due fiumi che, per il freddo, si erano ghiacciati.

“Quello è il luogo proibito?” domandò Hanjuly.

“Da ciò che mi indica la cartina che ho fra le mani, sì” le rispose Idisi.

“Allora, in questo caso, direi che tocca a me” sorrise la principessa del Ghiaccio.

“Stai attenta” le raccomandò Efrehem.

“Non ti preoccupare…” lo rassicurò lei, sorridendo.

Estrasse la sua arma dalla sacca che aveva sulla schiena. Grazie a lei, scese agilmente lungo il legno nodoso, afferrandosi alle liane ed ai rami secchi. Arrivò a terra e sentì sotto di sé il suo elemento. Avanzò agilmente, mentre gli altri nove viaggiatori la osservavano dall’alto, vedendola piccolissima e distante. Hanjuly li salutò con la mano e tutti risposero, augurandole la buona fortuna. Quell’albero era il luogo proibito e la principessa gelata vi entrò senza paura, pronta ad affrontare qualsiasi prova.

 

†††

 

Aherektess si girò di scatto, sentendo un rumore. Mihael aveva fatto lo stesso da tempo, ma aveva preferito non allarmare la compagnia. Sfoderò la spada e ringhiò.

“Non fatemi del male. Non voglio farvi niente. Sono disarmato” era Kire, che alzò le mani in segno di resa e mostrando la sua volontà di pace.

L’Aria abbassò le sue armi e lanciò un’occhiata a Kassihell e Thuwey.

“Cosa ci fai qui?” domandò il Fuoco.

Kire abbassò il cappuccio e guardò la compagnia: “Voglio solo parlare” rispose, tranquillo.

“Non è che vuoi fregarci?” sbottò Mattehedike “Non è che è un’imboscata?”.

“Sono solo. Nessuna imboscata. I miei compagni sono lontani da qui”.

“Come possiamo fidarci di te?” insistette la Roccia.

“Non potete. Non so che farci e non so come darvi torto”.

Kassihell e Thuwey si fissarono. Enki si era messa alle spalle di Idisi, non volendo esporsi a quella creatura di difficile interpretazione. Aherektess spiccò il volo e fece un giro di ricognizione, per verificare se dicesse la verità, se fosse effettivamente da solo.

“Io non credo stia mentendo” disse Efrehem.

“Grazie. Voglio solo parlare. Concedetemelo, per favore” parlò Kire.

“A che scopo?” volle sapere Mattehedike.

“Possiamo fidarci?” domandò Thuwey, rivolto al Dio della sua gente.

Mihael annuì, anche se non sembrava molto interessato alla cosa. Osservava la sua ombra cornuta e la doppia proiezione del mezzosangue, ghignando.

“Di cosa vuoi parlare?” domandò Idisi.

“Voglio parlare con lei” rispose Kire, guardando Lehelin “Se il grande Mihael me lo concede”.

“Cosa c’entro io?!” ridacchiò il Dio “Fai quello che vuoi. Ricordati che, se le fai del male, io son qua per ucciderti…”.

Aherektess si girò di scatto verso la principessa dell’Oscurità, preoccupato.

“Sta tranquillo” sorrise lei “Cosa vuoi sapere, Kire?”.

Il sanguemisto chinò la testa, chiedendo se fosse possibile poterle parlare da sola. Lehelin annuì, piuttosto confusa da quella richiesta. Non aveva timore di quell’uomo, lo fissò come se lo conoscesse da tempo, e fece un cenno con il capo. Kire le porse, signorilmente, la mano e lei si fece condurre lontano dal gruppo.

“Ma siete sicuri che sia il caso? Non è pericoloso?” si preoccupò Aherektess.

“Sta tranquillo. Corre meno rischi di te!” ridacchiò Thuwey.

“Ti fidi così tanto di quel tuo fratellino acquisito?”.

“Neanche un po’. Ma so che Lehelin non la puoi distruggere tanto facilmente, e tu dovresti saperlo. Lei ha imparato a difendersi da sola da questo mondo”.

“Tu non la conosci”.

Thuwey non disse altro. Mihael fece segno al gruppo di rilassarsi. Avrebbe voluto andare a trovare il suo collega, nel luogo proibito della Terra, ma preferì restare accanto ai viaggiatori, attento ad ogni movimento sospetto che potesse compromettere quella missione.

 

†††

 

Dopo aver superato un’ampia cavità del tronco, Hanjuly entrò nel luogo proibito. Profumava di bosco e natura. L’ambiente era interamente di colore verde, in varie tonalità. Guardò ai suoi piedi e vide dei piccoli binari che si intrecciavano sul pavimento d’erba. Si incuriosì e sorrise quando vide che, da dietro una colonna in legno attorcigliato, un piccolo trenino laccato si faceva strada verso di lei, sbuffando. Si chinò per osservarlo e lo guardò allontanarsi. Dopo pochi secondi, notò molti altri trenini in quel luogo, che si incrociavano senza toccarsi. I percorsi delle rotaie erano intricati e contro ogni legge di gravità, alcuni attraversavano il soffitto. Quando un piccolo convoglio le passò accanto alla caviglia, non resistette alla tentazione di raccoglierlo. Lo prese fra le mani e lo rigirò, osservandone i dettagliati particolari. Non aveva mai visto una cosa del genere, esattamente come non aveva mai visto un treno nella realtà. Ci si narravano leggende, su mitici collegamenti fra le capitali, ma ciò accadeva talmente tante Ere addietro da renderne difficile la credibilità. Quando fu soddisfatta, ripose la locomotiva sui binari e la vide allontanarsi, felice. Non passò molto tempo prima che si accorgesse del danno che aveva provocato. Scombinandone la tempistica, il trenino da lei osservato andò ad incrociarsi con un altro suo simile e si scontrarono. Questo provocò una reazione  a catena e, nel giro di pochi minuti, si creò un ingorgo pazzesco. Sbuffando, le piccole locomotive alzarono un denso fumo nero, fra i fischi ed i rumorini metallici. Hanjuly mormorò un “Ops!” imbarazzato. Andò verso l’ingorgo, tentando di rimediare, senza risultato perché sempre più convogli giungevano in quel punto, intasando le rotaie. Il Ghiaccio imprecò e ne congelò qualcuno. Poi si chinò sul punto centrale del danno ed iniziò a dividere quei giocattoli.

“Signorina…che state facendo?” si sentì chiedere.

Alzò lo sguardo e sorrise, imbarazzata. Un Dio altissimo, interamente vestito di verde, la fissava con aria di rimprovero. Aveva i lunghi capelli marrone chiaro piuttosto spettinati, come uno che era appena stato buttato giù dal letto.

“Stavo dormendo…” infatti disse “…e, al mio risveglio, trovo questo casino ed una strana donna che tocca le mie cose”.

“Domando scusa. Io…volevo solo guardarne uno da vicino. Non volevo creare tutta questa confusione…” balbettò Hanjuly, imbarazzata.

La divinità sospirò. Allungò una mano e la situazione parve sistemarsi, temporaneamente.

“Hai idea di quanto tempo mi ci è voluto per creare questo percorso e per fare in modo che non si scontrino?” sbottò il Dio.

“Scusi…” mormorò il Ghiaccio, chiedendosi dentro di sé se una divinità non potesse impiegare in modo più costruttivo ed utile il suo tempo.

“Cosa ci fai qui?” riprese a parlare il signore di quel luogo, con calma.

“Io sono la principessa del Ghiaccio…”.

“Lo so”.

“…e sono qui per avere il mio oggetto proibito”.

“Ah…dunque i dieci viaggiatori prescelti sono già giunti fino a qui…”.

Hanjuly annuì.

“Io sono Gibrihel, Dio della Terra, dei viaggi e delle comunicazioni. Tu…”.

“Io sono Hanjuly, piacere di conoscerla”.

“Bene, July…dopo avermi scombinato il setting, cosa pensi di fare?”.

Lei non capì cosa intendesse dire. Si era messo seduto, evocando un trono di legno e foglie verdi. Al suo fianco scintillava una spada molto simile a quella di Mihael.

“Tu vieni dal regno del ghiaccio…” parlò, congiungendo le mani davanti al viso “…governato da Enrikiran, giusto?”.

“Esatto”.

“Il fratello maggiore del mio caro amico Loreatehenzi…”.

“Sono tutti amici suoi, a quanto pare…pure Mihael parla bene del Dio dell’Aria!”.

“Mihael! Viaggia con voi, se non sbaglio. Siamo vecchi e cari amici, fin da bambini, io e lui. Lo eravamo ancor prima di conoscere la Creatrice e venir assegnati alla squadra di controllo di Asteria, tanto e tanto tempo fa”.

La principessa fissò quel Dio con aria interrogativa. Non sembrava più vecchio di lei…ma doveva esserlo per forza!

“Io pensavo fosse stata la Creatrice ad idearvi!” si stupì.

“In realtà, da quel che ne so, siamo stati bambini assieme. In posti diversi, ma quando sono nato di certo non aveva il potere di generare un bel niente. Nessuno di noi Dèi di Asteria è stato creato dalla Creatrice, anzi! Alcuni sono perfino più vecchi di lei, e di parecchio!”.

“Questo non lo sapevo…”.

“Lo so, ma sono quelle cose che voi mortali non dovreste sapere ed invece…vabbè…torniamo a noi! Immagino tu voglia l’oggetto proibito…”.

“Mi piacerebbe, in effetti…”.

“Ed in cambio, cosa prevedi di darmi?”.

La mortale rimase di nuovo in silenzio, senza sapere cosa dire.

“Voi che cosa desiderereste?” domandò, dopo un po’.

“Quello che vuoi. Qualcosa di tuo o anche di altri, non mi interessa. Sono un Dio, direi che almeno un’offerta mi sia dovuta, giusto?”.

La principessa rifletté per qualche istante. Poi impugnò la sua arma. Premendo un tasto, ne fece apparire la lama. In un attimo, senza pensarci troppo, si afferrò la lunga treccia bionda e la tagliò di netto, serrando gli occhi.

“Nella mia cultura, fra la mia gente…” parlò, dopo un paio di profondi respiri “…i capelli sono un potente simbolo magico, soprattutto per le donne. Tagliarli significa rinunciare a qualcosa di estremamente prezioso ed io ve li dono, Dio Gibrihel”.

Tese fra le mani ciò a cui aveva rinunciato, restando con uno strano taglio a caschetto. La divinità sorrise. Si alzò e prese quel dono con delicatezza. Poi si voltò e lo depose in terra, ai piedi del trono che si era creato. In un istante, la treccia iniziò a brillare, divenne tutt’uno con il terreno ed al suo posto crebbe un nuovo fiore, dello stesso colore di quei capelli con punte azzurrine, il nastro che li teneva legati. Hanjuly guardò quella pianta, ammirata. Anche Gibrihel sembrava soddisfatto.

“Potevi donarmi ciò che volevi…” parlò, tornando a sedersi “…la tua arma, la collana che indossi, il mantello che hai nella sacca, la tua verginità…”.

“Ma quale verginità?!” ridacchiò la mortale.

“Facevo per dire…” ghignò il Dio “Potevi donarmi un oggetto non tuo, andando a cercarlo in giro per il pianeta, ma hai scelto di separarti da un simbolo, da parte della tua bellezza, da qualcosa che faceva parte di te ed a cui tenevi molto. Questo ha fatto sì che crescesse una pianta magnifica dal tuo regalo e questo mi rende molto soddisfatto”.

Hanjuly sembrava stupita da quella reazione: “Mi darete, dunque, l’oggetto proibito?” domandò, titubante.

“Ma certo”.

Gibrihel guardò un ultimo istante il neonato ed enorme fiore. Poi rivolse la sua attenzione al suolo. Stendendo la mano, il terreno si sollevò. In mezzo a tutto quel verde, emerse una specie di  disco, un piatto, con un buco centrale. Il Dio lo tenne stretto, infilando l’indice in quella cavità e bloccandolo con il pollice appoggiato sul bordo esterno.

“Questo è tuo, July” disse, facendole segno di avvicinarsi.

Hanjuly prese il disco nello stesso modo in cui glielo aveva affidato la divinità.

“Che cos’è?” domandò, rigirandoselo fra le mani.

“Al momento opportuno lo saprai” rispose Gibrihel.

“Non posso avere un indizio?”.

“No. Ora và, fuori dai piedi. Devo riordinare i miei trenini, fare un giretto da Xoduzz per rilassarmi un po’ con il suo casco e poi tornare a dormire”.

La principessa del Ghiacciò annuì. Mise il disco al sicuro nella sua borsa ed uscì, dalla cavità da cui era entrata, senza guardarsi indietro.

 

†††

 

“Come mai desiderate tanto parlarmi in privato, signor Kire? E perché proprio con me?” domandò Lehelin, seduta su un ramo accanto al sanguemisto.

“Voi, principessa oscura, siete stata colei che ha posseduto mio fratello…”.

“Si, esatto. Cosa posso fare per Voi, signor Kire?”.

“Datemi del tu, vi prego!”.

“Allora la cosa dev’essere reciproca”.

Lei ridacchiava ma lui capì al volo che lo faceva per l’imbarazzo, non perché fosse di buon umore.

“Ti spavento, Lehelin?”.

“No. Ma sono stata nella testa di tuo fratello per un lasso di tempo sufficiente da provare un certo disagio a conversare con te…”.

“È proprio di questo avvenimento di cui voglio parlare. Quelli della mia razza, che possiedono parte di sangue d’Oscurità, so che sono in grado di fare cose straordinarie con la mente e le ombre. Non oso nemmeno immaginare cosa sia in grado di fare tu, che sei la più forte del tuo popolo. Seconda solo a tuo padre Ozymandias”.

“Mi sarebbe difficile descrivertelo, in effetti…”.

“Ci tengo a farti sapere che stimo tuo padre. È il più grande guerriero di cui abbia mai sentito narrare, fin da bambino…”.

“Stai tentando di adularmi, signor Kire? Perché non funzionano certe tecniche con me…”.

“Parlami di mio fratello. Cosa passava per la mente a quel testone rabbioso nelle sue ultime ore? Io sono, ero, il suo gemello e avrei dovuto comprenderlo, ma mi sono perso qualche passaggio, temo. Se tu fossi così gentile da raccontarmi cosa hai visto dentro di lui…”.

“Lui ti voleva bene, se è questo che vuoi sapere”.

“Davvero?”.

“Sì. Ci teneva a te”.

“Ma non dovevo contare poi molto, se aveva un così assoluto desiderio di morire…”.

“Non è così. Ammetto di non poterti dare molte spiegazioni…la sua testa era talmente complicata e piena di pensieri, contraddizioni e confusione da rendere molto complessa una sua interpretazione”.

“Non mi serve un’interpretazione. Solo sapere perché ci tenesse così poco alla vita…”.

“Vuoi chiederglielo di persona?”.

“In che modo?”.

“Dentro di me, da qualche parte, so di poter recuperare qualche particella della sua essenza. Sforzandomi, con l’aiuto dell’oggetto proibito, sono certa di poter fare in modo che sia lui stesso a parlare con te. Non durerà a lungo, sfrutta il tempo a tua disposizione al massimo perché poi non potrò più richiamarlo davanti a te, la sua essenza verrà consumata”.

Kire la fissò con ammirazione, con grandi occhi tondi e confusi. Non sapeva cosa esattamente volesse fare quella creatura dell’Oscurità.

“Parlagli come se fosse quel giorno, come se non sapessi cosa lo attende, perché ciò che io posso evocare non sa nulla oltre al momento in cui i nostri corpi si sono separati” parlò Lehelin, mentre il sanguemisto la fissava sempre più confuso.

“Chiudi gli occhi” ordinò lei.

Lui obbedì, poco convinto. Sentì l’Oscurità sfiorargli la mano e la sua presenza farsi sempre più vicina. Trattenne il respiro.

“Bum!” si sentì dire, in un soffio, all’orecchio.

Riaprì gli occhi rossi e trasalì. Davanti a lui c’era suo fratello Elehcim. Lo stava fissando con curiosità, muovendo solo leggermente le orecchie a punta.

“Che cazzo ci facciamo qui, Kire?” ridacchiò, dondolando sospeso nel vuoto.

Il gemello era rimasto senza parole.

“Sei tu? Sei davvero tu?” domandò.

“Hai bevuto, Kire? Ancora non ti arrendi all’evidenza che l’alcol non lo reggi?”.

“Come stai?”.

Elehcim lo fissò sconcertato.

“Vuoi metterti a parlare del tempo, anche? Non abbiamo delle conversazioni più intelligenti da fare? Tipo pensare a come fermare la missione dei prescelti che…”.

Kire lo zittì abbracciandolo.

“Ma cosa ti sei fumato?! Brutto coglione, lasciami andare! Hai battuto la testa?!” protestò Elehcim.

“Tu ci tieni a me, fratello mio?” domandò Kire.

“Che domanda è?!”.

“Rispondimi sinceramente”.

“Mi spiazzi con questa domanda…”.

“RISPONDI!”.

“Ovvio che ci tengo a te, brutto idiota! Sei il mio fratello gemello!”.

“Allora perché…”.

“Perché non mi interessa del mio destino? Perché non temo l’idea della morte?”.

“Sai darmi una risposta?”.

“Sinceramente…no. Il fatto è che sono stanco”.

“Stanco di vivere?”.

“No, stanco di combattere. Combattere per ottenere ogni cosa per poi restare con nulla in mano, come accade a noi sanguemisto. Ci odiano tutti, ci spaccano le balle continuamente…ed io posso anche fare a meno di sorbirmi tutto questo. Non mi dispiacerebbe avere un po’ di silenzio”.

Kire sorrise. Il silenzio era la stessa cosa che desiderava pure lui.

“Sono stanco, Kire. Mi sento molto strano. Come se qualcosa si stesse spegnendo, pian piano, dentro di me”.

“Passerà tutto con una buona dormita” mormorò il fratello, capendo che la magia dell’Incantatrice stava svanendo.

“Ricordi quando eravamo piccoli?” ridacchiò Elehcim, appoggiandosi all’albero con la schiena e socchiudendo gli occhi “Quanti casini combinavamo, ricordi? Povero Neziar…badare a noi, piccole pesti, dev’essere stato un bel problema! Poveretto!”.

“Già! Ti ricordi quella volta che lo abbiamo svegliato dandogli fuoco alla coperta?!”.

“Come dimenticarlo?! Ci siamo divertiti un sacco….”.

“Sì, e le abbiamo anche sentite un sacco! Ci ha messo in punizione per mesi!”.

“Poi quando gli abbiamo detto che la maestra era morta per non andare a scuola? Avevamo un’aria talmente triste che ci ha creduto!”.

“Si è sentito molto meglio dopo averci sculacciato per ore!”.

“Eravamo tremendi…”.

“Siamo tremendi!”.

I due gemelli scoppiarono a ridere, ma Kire notò la stanchezza profonda di Elehcim.

“Ho bisogno di dormire…” sussurrò il rievocato, socchiudendo gli occhi.

Il fratello non voleva lasciarlo andare, ma sapeva che non aveva scelta.

“Non ti preoccupare, gemellino…” sussurrò Elehcim, con la testa ciondolante e gli occhi chiusi “…tu ed io saremo sempre uniti e, qualunque cosa accada, saremo una cosa sola, come eravamo nei primi secondi d’esistenza”.

Kire sorrise, con gli occhi rossi lucidi e tremanti. Non riuscì a trattenersi e tornò ad abbracciarlo, mentre il fratello gli poggiò la testa sulla spalla e smise di respirare.

“Ora puoi lasciarmi” mormorò Lehelin, riprendendo il suo solito aspetto.

“Grazie…” sussurrò Kire, lasciandola andare solo dopo qualche minuto.

Sul volto di lui, scese una lacrima di colore argento come il metallo e rovente come il fuoco.

“Ora devo andare…” continuò l’Oscurità “…i miei compagni mi aspettano”.

“Sì. Hai ragione…vai pure…”.

Lei, sorrise, alzandosi. Lui non disse nulla.

“Spero ti sia stato utile quel piccolo attimo…” disse Lehelin.

“Più di quanto immagini…”.

“Bene. Ne sono lieta. Ora devo andare”.

Kire la salutò con un cenno della testa e l’Oscurità si allontanò, guardandosi indietro per un paio di volte, notando che pure il mezzosangue faceva lo stesso.

 

†††

 

“Cosa hai fatto ai capelli?” domandò Thuwey, notando la pettinatura a caschetto di Hanjuly.

“Storia lunga…” sorrise lei.

“Stai benissimo così” le disse Efrehem.

Il Ghiaccio arrossì.

“Hai l’oggetto proibito?” volle sapere Enki.

“Sì. Nella borsa”.

“Fantastico…possiamo proseguire! Ormai ci resta un solo regno” affermò Kassihell, soddisfatto.

“Lasciamola riposare un po’, no? Ne avrà bisogno!” propose la Luce.

“Non ne ho bisogno…ma grazie per la premura” si affrettò a dire Hanjuly.

“Figurati…”.

Lehelin ricomparve ed il gruppo capì che erano pronti per riprendere il cammino.

“Dove sei stata?” le domandò il Ghiaccio.

“Storia lunga”.

Sorridendo, i viaggiatori scesero lungo il tronco ed oltrepassarono il luogo proibito. Sapevano che il confine con il regno della Roccia era poco distante.

“Cosa voleva quel mezzosangue?” domandò Thuwey a Lehelin,

“Com’è andata con il Dio della Terra?” fu la domanda di Enki ad Hanjuly.

Entrambe diedero risposte piuttosto vaghe. Non avevano voglia di perdersi in inutili discussioni. La principessa del Ghiaccio guardò Efrehem. Lui ricambiò quello sguardo. Presero un profondo respiro e si avvicinarono fra loro.

“Devo parlarti” si dissero, all’unisono.

Il resto del gruppo capì e si allontanò, sorridendo. Luce e Ghiaccio scoppiarono a ridere.

“Cosa devi dirmi?” parlò lei.

“Prima tu!” rispose lui.

Si fissarono, senza parlare. Lei si girò a guardare l’orizzonte.

“Questo posto è davvero bello. Le luci in questo mondo sono così magiche e…”.

Lui le andò accanto, ascoltandola, ma non poté resistere. La prese per un fianco e la baciò, sentendo con gioia che la principessa ricambiava.

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Capitolo 13
*** XIII- Roccia ***


XIII

 

Enki sapeva di essere lei la prossima. Era l’unica rimasta senza oggetto proibito. La cosa la preoccupava ma non voleva lasciarlo a vedere.

“Com’è il Dio della Roccia?” domandò a Mattehedike.

“Non saprei risponderti. Non si fa vedere e girano tante di quelle voci su di lui…non saprei indicarti quali sono le più giuste”.

“E queste voci che cosa dicono?”.

“Di certo non è una creatura particolarmente dolce, gentile, o cose del genere. Da ciò che si narra, ha un pessimo carattere e non ci tiene a dargli un freno”.

L’Acqua non fu per nulla felice di quelle frasi, ma non poteva farci niente. Lei era l’ultima rimasta e doveva affrontare quella divinità, volente o nolente.

“Sì, è vero. Ha un pessimo carattere” borbottò Mihael.

“Lo conoscete?” parlò Enki, desiderosa di ricevere più informazioni possibili al riguardo.

“Il Dio della Roccia? Certo che lo conosco. Non è pericoloso come sembra, ma non si è mai interessato a questa vostra missione. Non saprei descrivervi una sua possibile reazione…”.

“Vi riferite a quando chiederò l’oggetto proibito?”.

“Esattamente. Non lo vedo da un sacco di tempo, da prima che tutta questa faccenda iniziasse, il che è strano, perché siamo parenti…”.

Enki non sapeva se rilassarsi o preoccuparsi di più a quelle parole. Se era parente di Mihael, e ci assomigliava, non poteva essere tanto cattivo ma, d’altro canto, se sapeva combattere come il Dio del Metallo, non sarebbe stato facile ottenere qualcosa. Specie se richiedeva una sfida con lei. Tentò di non pensarci. Aveva scacciato ogni preoccupazione quando Idisi le aveva fatto notare che gli Dèi erano dalla loro parte, ma ora erano tornate tutte quelle voci di avvertimento, non appena era venuta a sapere che il Dio che a lei spettava non voleva avere niente a che fare con la missione. Rabbrividì. Un po’ per la paura ed un po’ per l’aspetto spettrale di quel regno.

“Cos’è successo qui?” si chiese Mattehedike, guardandosi attorno.

La natura circostante pareva spenta, triste, senza forza. Il deserto, le montagne all’orizzonte ed i canyon, che si apprestavano a raggiungere, non avevano i loro soliti colori sfumati dal rossiccio, al marrone brillante, con le striature crema. Gli effetti marmorizzati e picchiettati, così belli quando illuminati da Sirona, ora non si facevano vedere. Tutto era piatto e neutro, marrone spento, rovinato. Un grosso animale ricoperto di placche di roccia scavava con il muso nella sabbia, trovando i tuberi di cui si nutriva. I suoi occhi erano tristi e malinconici. Fissò Mattehedike ed il gruppo con svogliatezza, senza timore.

“Dici che sia buono da mangiare?” sussurrò Kassihell.

“Non lo vedi che è per metà di pietra? Tu mangi sassi?” ridacchiò Hanjuly.

“Se ho fame, sì. Ed HO fame! Ci sarà qualcosa da mangiare in questo regno, no?” protestò il Fuoco.

“In effetti, la carne di quell’animale è piuttosto prelibata. Ma è una bestia estremamente difficile da catturare e la parte commestibile è davvero poca rispetto all’intero corpo” spiegò la Roccia.

“Allora prendiamone più di uno. Siamo in tanti. Dovremmo farcela…” insistette Kassihell, ed il resto del gruppo si unì a quella proposta, sentendo i morsi della fame.

Mattehedike lanciò un’occhiata alla bestia. Era isolata ma, in lontananza, si poteva scorgere il resto del branco. Saranno stati una cinquantina di capi, stretti l’uno all’altro. Sospirò. Lui era abituato a cacciare con i suoi compagni della Roccia e non aveva idea di come fare con gente di altri elementi. Le zanne di quelle creature potevano dilaniare un abitante del suo elemento, figurarsi i danni che erano in grado di fare sulla carne più tenera dei suoi compagni! Li mise in guardia sui possibili rischi, ma oramai non veniva più ascoltato. A comandare erano i loro stomaci vuoti e brontolanti.

“Come volete…” borbottò “…poi non ditemi che non vi avevo avvertito!”.

“Dicci come dobbiamo fare e noi eseguiremo, capo!” esclamò Reishefy, impaziente.

“Se la mandria si sentirà minacciata, attaccherà in massa e non ci sarà un granché da fare. Dobbiamo tentare di disperderla, in modo da separare qualche esemplare”.

“Separarli come?”.

“Usando un diversivo. Inutile tentare il mimetismo perché il loro olfatto è sviluppatissimo”.

“Ho capito! Ci penso io!” rise l’Elettricità.

Il resto del gruppo si lanciò un’occhiata preoccupata, mentre Reishefy richiamava il suo elemento fra le mani.

“Voi della Roccia come catturate una bestia così?” si informò Efrehem.

“Stiamo il più possibile controvento e confondiamoci con il paesaggio, usando il nostro elemento. Individuiamo il solitario che vogliamo e lo circondiamo. Abbiamo pochissimo tempo, poi, per colpirlo nei punti senza armatura di pietra. È una caccia rischiosa. Se la mandria si accorge di ciò che sta accadendo, attacca senza indugi ed uno di quegli affari pesa una tonnellata, o giù di lì”.

Reishefy, nel frattempo, incurante di qualsiasi cosa, si era creata una frusta elettrica fra le mani e, urlando, si era messa a correre. Il gruppo di animali, sconcertato da una simile follia tanto quanto gli altri nove viaggiatori, rimase immobile per qualche istante. Non appena le scosse iniziarono a dar loro fastidio, venendo le bestie ripetutamente colpite sul didietro, all’unisono si mossero e caricarono la principessa dell’Elettricità. Lei dapprima rise, chissà per quale motivo, e poi se la diede a gambe.

“Razza di…” iniziò Kassihell, ma non ebbe il tempo di finire l’insulto perché dovette mettersi a correre per aver salva la vita.

“Dividiamoci!” urlò Mattehedike, tentando di smorzare la forza della massa d’animali “La vostra magia non funziona, se non colpendoli nei pochissimi punti deboli, che son ben coperti durante la carica! Correte!”.

“Reishefy!” urlò Hanjuly, vedendo la sua compagna d’avventura risucchiata dalla polvere e dai corpi delle bestie inferocite.

“Corri, Han!” la incitò Efrehem “Scappa!”.

La principessa del Ghiaccio rimase ferma per pochi secondi e poi mise in moto le gambe, ma procedendo nel senso contrario. Voleva salvare l’Elettricità. Il rappresentante della Luce urlò, supplicandola di tornare indietro, ed Aherektess dovette sollevarlo di peso in aria per non farlo travolgere. Ognuno per sé, si disse Enki, non molto pratica nella corsa…non era quello lo spirito di gruppo! Ma era consapevole che, presi dal panico, in pochi avrebbero potuto rendersi utili. Si gettò in terra, rotolando di lato, pregando tutto ciò che le passava per la mente di aver salva la vita.

 

La mandria passò, lasciandosi alle spalle un gran polverone di sabbia e pietre smosse.

“HAN!” urlava Efrehem, dimenandosi fra le braccia di Aherektess.

Il principe dell’Aria lo depose in terra, comandando il suo elemento.

“HAN!” urlò di nuovo la Luce, tossendo ed agitando le mani.

Gli occhi gli lacrimavano e non riusciva a vedere nulla. La chiamò per nome ancora ed ancora.

Aherektess spalancò le braccia piumate e, con un paio di poderose bracciate, dissolse la nebbia di granelli ed il gruppo iniziò a ricomporsi. Enki notò, con una certa inquietudine, che le impronte degli animali erano ben visibili a pochissima distanza da dove si era gettata, raccogliendosi e tentando di farsi più piccola possibile. Kassihell ansimava, con i capelli sparati in aria e gli occhi spalancati, con la schiena contro una roccia. Si era salvato per un pelo! Ricoperto di polvere marroncina, si alzò tossendo, tastandosi il polso, non potendo credere di essere ancora in vita. Quelle bestie avevano saltato la roccia dietro cui stava ed erano passate a pochissimi centimetri dal suo capo e dal suo corpo atterrito. Mattehedike ed Idisi erano riusciti a richiamare il loro elemento, sprofondando nella sabbia e nella pietra giusto in tempo. Lehelin si era confusa fra le ombre ed era riapparsa, senza danni apparenti. Thuwey, sfruttando la sua altezza, non aveva visto altra soluzione se non quella, folle, di cavalcare una di quelle creature. Si ricongiunse alla compagnia, dopo essersi reso conto della pazzia che stava facendo ed essere sceso dal suo feroce trasporto, rimasto indietro rispetto alla mandria a causa del peso del Metallo.

“Dov’è Reishefy?” ansimò, una volta raggiunti gli altri.

“Ancora non si è vista” rispose Idisi, in apprensione.

“Spero per lei che sia morta. Perché se non è così la uccido io!” sibilò Kassihell.

Efrehem corse verso il punto in cui si era scatenato tutto. Non c’era niente. Solo mucchi di rocce, pietre e sabbia. Disperato, urlò il nome di Hanjuly.

“Reishefy!” urlava, invece, Enki, ancora tremante.

Dopo minuti di interminabile silenzio, si sentì un colpo di tosse ed un mucchio di sabbia si mosse. Scuotendosi, rivelò alla compagnia ciò che celava al suo interno. Hanjuly, sfruttando il suo elemento, aveva abbracciato Reishefy ed aveva avvolto entrambe nel ghiaccio. La mandria le aveva calpestate, travolte, ma erano state protette dalla barriera creata da Hanjuly ed avevano riportato solo danni minori. Rimaste immobili, la polvere sollevata si era poi depositata sul loro scudo, facendole mimetizzare nell’ambiente. Lentamente, si mossero da quella posizione rannicchiata.

“Siete vive!” esclamò Idisi.

Entrambe le ragazze tossirono, più volte, rimanendo sedute. Reishefy guardò la sua salvatrice con le lacrime agli occhi. Scoppiò a piangere, abbracciandola.

“Scusami!” le continuava a ripetere ed Hanjuly le accarezzava la schiena per calmarla.

Quando le loro gambe smisero di tremare, si rialzarono, scuotendosi per togliersi di dosso sporcizia e croste di ghiaccio. La Luce ed il Ghiaccio si fissarono, sollevati di vedersi.

“Non farlo più” mormorò Efrehem, abbracciando la donna che amava.

“Non te lo posso promettere, ma farò il possibile” rispose lei, prima di baciarlo.

Aherektess e Lehelin si fissarono, qualche istante: “Stai bene?” le domandò lui.

“Certo. Avevi forse qualche dubbio?” disse lei, distogliendo lo sguardo.

Solo allora i dieci si ricordarono di Mihael. Era tranquillo, seduto su un grosso masso a gambe incrociate, fissando tutti con aria soddisfatta.

“Tu…” protestò il Fuoco “…perché non sei intervenuto? Dove ti sei nascosto? Avresti potuto impedirci un sacco di fastidi!”.

“Il mio compito è proteggervi dai mezzosangue e da altri pericoli insuperabili per voi. Questo era gestibile e poi…ve la siete andata a cercare! Io non faccio mica da balia ai bambini!”.

Thuwey ridacchiò, non si capì bene per quale motivo. Forse aveva constatato solo in quel momento quanto vicino fosse stato alla morte.

“Beh…che aspettiamo? Mangiamo!” esclamò Hanjuly, smorzando il silenzio e facendo notare alla compagnia che alcuni animali erano rimasti feriti in quella folle corsa.

Giacevano in terra quattro di loro, in attesa della morte.

Reishefy li fissava, con ancora molta elettricità fra le mani per la tensione, incapace di reagire.

“Reishefy” la chiamò Kassihell “Vieni con me”.

“Vuoi uccidermi?” piagnucolò lei.

“Anche. Ma ora non mi servi per questo. Vieni”.

Elettricità e Fuoco camminarono fino ad una delle creature riverse in terra. Respirava a fatica e girava gli occhi in preda al terrore.

“Perché mi hai portato qui?” gemette la principessa.

“Aiutami a porre fine alle sue sofferenze. Mi sembra un atto dovuto da parte tua, no? Dopotutto, è colpa tua se ora giace qui in queste condizioni”.

Reishefy tirò su con il naso, piangendo: “Cosa devo fare?” domandò, a bassa voce.

Kassihell le prese le mani: “Controlla il tuo elemento!” le ordinò e l’Elettricità obbedì, mentre il Fuoco le metteva gli arti in una posizione simile a quando si scocca una freccia.

“La vedi quella piccola fessura senza roccia, dietro la spalla? È lì che dobbiamo colpire. Un colpo soltanto, secco, con le nostre forze unite, e morirà senza soffrire ulteriormente” le spiegò lui.

Una punta fatta di scosse e fiamme si materializzò fra le mani unite dei due.

“Sei pronta?”.

Lei annuì.

“Al mio tre, ok?”.

Altro segno d’assenso.

“Uno…”.

La freccia prese chiaramente forma e consistenza.

“…due…”.

Aumentò la potenza dei due elementi, fondendosi ed interagendo.

“…tre!”.

Pronunciarono l’ultima cifra all’unisono e scoccarono la loro magia. Questa partì, rapida e letale, insinuandosi nella carne dell’animale ed uccidendolo all’istante. Rimase con gli occhi spalancati, vuoti e vitrei, rivolti verso il cielo.

“Chissà quale divinità lo aspetta dall’altra parte…” mormorò Reishefy.

Kassihell non rispose, non sapendo assolutamente cosa dire.

Assieme, ripeterono lo stesso atto su altri due animali. All’ultimo rimasto pensò Hanjuly, in un gesto di composta misericordia. Non lo uccise, vedendo che aveva solo una zampa fratturata e, sfidando la sua rabbia e ferocia, lo curò con la magia, donandogli sollievo con il gelo. Idisi, capendo cosa aveva in mente, la aiutò ed in poco tempo la creatura fu in piedi. Mattehedike già la vedeva avventarsi contro di loro, piena di rabbia, ma non fu così. Si limitò a fissarli tutti, con occhi languidi, e trotterellare via.

“Sai come si cucinano queste cose?” domandò Aherektess, rivolto alla Roccia.

“Sì, ma avrò bisogno di tutto il vostro aiuto”.

“Siamo a tua disposizione” rise il Metallo, affilando gli arti divenuti spade.

 

Kassihell preparò un bel falò, usando le radici che Mattehedike gli aveva indicato. Thuwey, la Roccia ed Aherektess tagliarono in pezzi le creature e le prepararono, attenti a dividere le parti di pietra dal resto. Enki e Reishefy, grazie all’oggetto proibito di quest’ultima, pensarono alle bevande. Idisi, Hanjuly e Lehelin andarono in cerca di tuberi commestibili vari, ben nascosti nella sabbia e fra le pietre. Efrehem illuminava i lavori, essendo scesa, nel frattempo, la notte. Mihael sorrise, soddisfatto di quel lavoro di squadra, e rimase di vedetta, gironzolando pigramente con la spada poggiata sulla spalla e canticchiando.

Prepararono un pasto che soddisfò tutti, perfino quelli più riluttanti a mangiare cose del genere. Erano affamati, assetati, e stanchi. Sporchi di polvere ed infreddoliti per l’escursione termica del deserto, si strinsero attorno al fuoco. Solamente Lehelin se ne rimase in disparte, come sempre, non potendo rischiare di subire danni a causa delle fiamme e non avendo un corpo solido che necessitava cibo. Guardò Nikkal e Jarih sorgere, illuminando il buio con la loro luce argentea. Nell’aria si udiva il fischio del vento fra le fessure della pietra e lo scoppiettio prodotto dal fuoco.

Aherektess e Kassihell, ancora con in corpo troppa adrenalina per addormentarsi, parlavano di politica e diplomazia. Hanjuly ed Efrehem, stesi ed abbracciati, si sussurravano frasi fatte. Enki e Reishefy parlottavano, tentando di tirarsi su il morale e rilassarsi a vicenda. Mattehedike ed Idisi discutevano su come la magia e quel regno fossero strani. Thuwey e Mihael si raccontavano di guerre e battaglie, come vecchi amici. Solamente Lehelin se ne stava da sola, in silenzio, chiudendo gli occhi ed ascoltando una voce che, dentro di sé, le stava narrando una storia dell’orrore.

 

Il mattino seguente, non appena Sirona fece capolino all’orizzonte, i dieci furono svegliati dal vociare dei nativi. Assonati, con Lehelin nascosta per evitare fastidi, si guardarono attorno. Mihael non si vedeva, evidentemente celato nella sua dimensione per non spaventare o creare strane reazioni nei mortali che non lo conoscevano.

“Voi siete la compagnia di prescelti per la salvezza di Asteria?” domandò uno degli sconosciuti, nella lingua universale del pianeta.

Era un uomo giovane, di corporatura massiccia e lo sguardo severo.

“Chi lo vuole sapere?” s’insospettì Thuwey.

“Mi chiamo Deive, sono un rappresentante delle terre desertiche al gran consiglio reale. Vengo ora dalla capitale” rispose l’uomo, inchinandosi leggermente.

“Quali novità da Dusares, buonuomo?” domandò Mattehedike, ancora assonnato.

“Devo chiederVi di seguirmi a palazzo per una questione di massima importanza”.

“Io? A palazzo reale? Ma ho una missione da portare a termine…il re capirà che io…”.

“Il re è morto”.

Quelle parole fecero zittire di colpo i dieci.

“Morto?” balbettò la Roccia “Ma come?! Cos’è successo? Quando?”.

“Era molto anziano. Già da tempo non aveva modo di muoversi dal letto. Si è spento la settimana passata, serenamente”.

“Ecco perché il mio elemento è così debole. Ha perso il suo massimo rappresentante. Ed il re non aveva eredi…”.

“È proprio questa la questione di massima importanza di cui vorremmo discutere a palazzo, io e tutto il gran consiglio”.

“Ed io a cosa vi servo?”.

“Il nostro Signore se n’è andato lentamente ed ha potuto redigere ogni sua ultima volontà. Non essendosi mai sposato, non avendo avuto figli, ha lasciato scritto il nome di colui che gli sarebbe succeduto sul trono. E quel nome, spero lo abbiate capito, è il Vostro”.

“Il mio?!” spalancò gli occhi Mattehedike, ridacchiando “Voi siete pazzi! Io non so regnare! È uno scherzo, vero?”.

“Nessuno scherzo. Voi siete Mattehedike proveniente dalle alte montagne, giusto?”.

“Sì, sono io”.

“Allora non c’è alcun errore. Siete voi il prescelto da Eranoranhan alla successione”.

“E cosa vi aspettate che faccia?”.

“Ci rendiamo conto che avete un’importante missione da compiere…tuttavia, il Paese al momento si trova in una situazione delicata e si calmerebbero notevolmente gli animi se Voi, nuovo re, andaste a palazzo per far capire a tutti che ogni cosa è sotto controllo. Così facendo, impedireste le potenti lotte interne che potrebbero scatenarsi”.

“E se io non volessi fare il re?”.

“Un editto redatto secoli fa dice che, nel caso il sovrano muoia senza eredi e senza indicare un successore, verrà indetto un torneo per determinare chi è il guerriero più forte del regno, quello con più magia del nostro elemento nel sangue. Sareste Voi, in ogni caso”.

Mattehedike fissò il suo interlocutore, sconcertato. Si passò una mano sulla testa rasata, muovendo solo leggermente il codino moro. Era convinto fosse tutto un sogno, o uno scherzo.

“Non chiediamo molto…” riprese Deive “…semplicemente che passiate per il palazzo e mostriate al popolo che ha di nuovo un re. Poi…quanto manca alla conclusione della missione?”.

“Poco. Solamente questo regno. Ma voi…cosa sapete della missione?”.

“Sono stato il consigliere di Eranoranhan per anni. Al tempo, fu lui a chiedermi un parere sulla faccenda. Nulla di più di quanto non fosse a conoscenza il sovrano. Se manca poco, potrete continuare tranquillamente il vostro viaggio, lasciando il regno in mano temporaneamente a dei consiglieri…”.

“A te, quindi. Neanche ti conosco e già mi chiedi il regno”.

“Non era mia intenzione, Signore…”.

“Stavo scherzando! E non chiamarmi Signore!”.

La Roccia si girò verso gli altri nove compagni, in cerca di consigli ed aiuto.

“Beh…un giretto a palazzo potremmo farlo, Vostra Altezza” ridacchiò Thuwey, ironizzando sul fatto che Mattehedike era almeno trenta centimetri più basso di lui.

“Concordo” annuì Hanjuly.

Kassihell non disse nulla, convinto che le perdite di tempo non finissero mai. Reishefy non ebbe il coraggio di protestare, consapevole di aver già provocato danni a sufficienza. Efrehem fremeva dalla voglia di osservare con i suoi occhi il palazzo reale della Roccia. Aherektess storse il naso: la capitale era interamente sotterranea e la cosa non lo attirava particolarmente. Noto, però, che nessun’altro del gruppo aveva niente da ridire e quindi sospirò, chiedendo alla Roccia di guidarli. Mattehedike prese le sue cose e fece per incamminarsi dietro al consigliere, ma questi lo fermò, con un mezzo sorriso.

“I re non vanno a piedi” gli disse, tuonando poi ordini alle persone che aveva accanto a sé, nella sua lingua madre.

Queste si allontanarono, per poi tornare tenendo per le redini le bestie più grandi su quattro zampe che i viaggiatori avessero mai visto. Avevano due paia di occhi, contornati da solida roccia rugosa, gli arti massicci ed il corpo muscoloso, ricoperto di pietra.

“Vengono dal mio villaggio” spiegò Deive “Perdonate se non sono maestosi, abbelliti e magnifici come si confà ad un sovrano”.

Mattehedike era senza parole. Ammirava quelle creature, sorridendo, domandandosi come avrebbe fatto a salirci. Erano cinque. Guardò i suoi compagni di viaggio. Aherektess fece segno che preferiva di gran lunga volare. Gli animali si inginocchiarono, permettendo di ridurre la scalata ai cavalcatori per poterci salire. Con un tocco della mano della Roccia, si rimisero in piedi.

In testa al gruppo, Deive governava l’animale più grosso, color marrone, portando Mattehedike con sé, comodamente seduto e sorridente, nonostante l’andatura oscillante. Subito dietro di loro, Thuwey tentava di comandare la bestia nera di cui reggeva le redini, con Lehelin seduta al suo fianco che cercava di aiutarlo. Hanjuly aveva compreso il meccanismo e ghignava, soddisfatta, incitando la sua cavalcatura bianca a superare quella del Metallo. Aggrappato a lei, Efrehem osservava il paesaggio. Idisi accarezzava sulla testa quell’essere enorme, blu scuro, parlandogli dolcemente e permettendo a lei ed Enki di proseguire tranquillamente. In coda, Kassihell reggeva le redini stando in piedi, come Thuwey, sulla bestia aranciata, senza parlare. Reishefy, a capo chino, lo guardava senza commentare. Sopra di loro, Aherektess volava. Attorno allo strano gruppo, i colleghi di Deive facevano da scorta, in groppa ad animali di dimensioni più piccole. Mihael, nella sua dimensione, decise che non c’era niente di pericoloso in ciò che stava accadendo, ma che era meglio non staccar loro gli occhi di dosso. Seguì il tutto in groppa ad una grossa creatura alata, ricoperta di placche metalliche.

 

La folla della capitale si scansò, vedendo quel corteo arrivare. Fissava, incuriosita, cavalieri e cavalcature. Aherektess, combattendo il disagio, volava fra le alte colonne sotterranee. Dusares, interamente al di sotto della superficie d’Astéria, accolse i viaggiatori con le sue architetture massicce e le linee crude, dure, della pietra scolpita in modo geometrico. Efrehem riportava tutto ciò che vedeva, senza sosta, sul suo quadernetto, mentre Hanjuly salutava con la mano la popolazione. Idisi stringeva fra le mani la piuma del Dio Vereheveil, che le permetteva di comprendere tutte le lingue con chiarezza. Percepì più di un commento sulla sua pelle verde.

“Fate largo! Fate largo al re!” urlava Deive, nella lingua della Roccia.

 “Il re!” mormorava la folla, tentando di scorgerlo sulla sua maestosa cavalcatura.

Mattehedike era visibilmente in imbarazzo. Si guardò attorno, alzandosi in piedi a fatica, e salutò. La gente lo indicava, le madri lo mostravano ai figli, gli anziani scuotevano il capo come sempre.

Il palazzo era imponente, seminascosto da un’ampia grotta illuminata dalle torce. Non aveva un portone o un ingresso per separare il suo complesso dalla capitale. Abbracciava la città con una pesante fila di roccia incisa. Chiunque, fra gli abitanti, avrebbe potuto bussare alla porta d’ingresso della casa reale. Nessuno lo faceva per via delle statue di pietra messe a sua sorveglianza. La compagnia scese a terra, affidando la cura dei destrieri a chi di dovere. Sempre con Deive in testa, le porte d’accesso furono spalancate ed il gruppo entrò. Aherektess rabbrividì, combattendo contro la crescente claustrofobia. Tutto in quell’edificio era stretto, per aumentare il più possibile la sensazione di benessere di chi ci viveva.

“Il re è qui” esclamò Deive, guidando la compagnia nella sala del consiglio.

“E gli altri chi sono?” domandò una donna, seduta attorno al tavolo in pietra.

“Sono i miei compagni di viaggio” spiegò Mattehedike.

“Volete che restino?” domandò il consigliere.

“Assolutamente. Sarà il mio primo atto diplomatico”.

Le persone riunite in quella sala sorrisero. La Roccia non aveva idea di chi fossero ma rispose al sorriso, forse ancora convinto di vivere un sogno.

“Questa è la lettera in cui sua maestà Eranoranhan riporta il nome del suo successore” parlò una delle donne presenti, con fare solenne “Come si può vedere, è un documento ufficiale e non modificabile. Le ultime volontà del sovrano devono essere rispettate”.

Mattehedike allungò la mano e lesse. Vi era espresso tutto il rammarico del re nel non aver avuto eredi a cui lasciare il regno, nel non aver amato mai al punto da decidere di generare una vita. Di seguito, descriveva le sensazioni che aveva provato nel vedere il ragazzo a cui aveva affidato la chiave del palazzo del Signore dell’Ovest. Di come avesse percepito l’energia magica di quel giovane e di come fosse stato sicuro, fin dal primo momento, di volerlo accanto a sé al governo, al suo ritorno, come principe ereditario. Sfortunatamente, il sovrano era deceduto prima del concludersi di quella missione e non aveva avuto modo di “addestrare” a dovere il successore.

“Voi siete il re, ora” parlò un uomo piuttosto anziano.

“Che devo fare?” domandò, non per la prima volta, la Roccia “Io devo ancora portare a termine la missione affidatami da Eranoranhan”.

“Siete libero di farlo, ovviamente. Prima, però, meglio mettere nero su bianco che prendete in mano questo Paese, così da calmare certe voci ed insubordinazioni”.

“Insubordinazioni?”.

“I nobili, ed i rappresentanti delle varie regioni, vogliono una loro fetta di torta. Senza un potere centrale a tenerli fermi, ognuno di loro avanzerà richieste di ogni tipo. Prima che accada l’irreparabile, meglio far loro capire chi comanda”.

Mattehedike annuì, ancora piuttosto confuso ma in grado di capire che era la realtà, non un sogno come sospettava.

“Sedetevi, prego” invitò Deive, indicando la sedia più grande e maestosa.

Gli altri nove viaggiatori furono fatti accomodare lungo le pareti della stanza, su delle piccole sedie per niente morbide.

La Roccia sedette.

“Immagino abbiate fretta di procedere con la vostra missione, perciò passerei direttamente all’investitura, senza troppe cerimonie” parlò un anziano.

“Voglio i miei compagni vicino a me” parlò Mattehedike “La maggior parte di loro regnerà su uno dei regni di Asteria, prima o poi, e quindi non è giusto che se ne stiano così distanti. Sono miei pari e molti di loro sono ben più qualificati di me a stare in questo posto”.

Con un cenno, i prescelti furono invitati ad avvicinarsi al tavolo. I presenti di Roccia più avanti con l’età si fissarono, disapprovando il gesto, mentre i più giovani sorrisero al nuovo sovrano, felici del suo modo di fare. Davanti a Mattehedike venne srotolata una lunga pergamena antica, piena di complicati simboli arcani. Efrehem ne ammirò ogni dettaglio. Si chiese se anche lui, un giorno, avrebbe avuto di fronte un così meraviglioso cimelio.

“Cos’è?” domandò la Roccia.

“Il giuramento reale” spiegò il più anziano.

“Devo leggerlo tutto?!”.

“Dovrebbe impararlo a memoria. I principi lo fanno…”.

Gli ereditari presenti si fissarono, annuendo. Fin da bambini li stressavano per imparare a memoria quelle frasi pompose, consapevoli che, per l’emozione, il giorno dell’incoronazione le avrebbero sbagliate di certo. Non immaginavano che fossero riportate da qualche parte. Gli altri, quelli occupanti un ruolo secondario nella linea di successione, ridacchiavano pensando e ricordando i loro fratelli, parenti o conoscenti, che ripetevano quella nenia davanti al sovrano, sgridati perché sbagliavano qualche punto con la solita frase “Io alla tua età…”.

“Noi non pretendiamo che lo impari, in così poco tempo” lo rassicurò una delle donne.

“E quindi lo devo solo leggere…”.

“Nel grande salone, dinnanzi ai rappresentanti, i nobili ed i soldati reali”.

Mattehedike deglutì.

“Coraggio…è una cosa che dovremo affrontare tutti noi ereditari, prima o poi” ridacchiò il Fuoco.

“Ed in più tu hai pure il giuramento del tuo Regno sotto mano, scritto. Noi tutto a memoria…e guai a sbagliare! Perdi il filo ed è un casino” aggiunse Efrehem.

“Ragazzi! Così non mi aiutate!” sbottò la Roccia.

“Andrai benissimo!” lo rassicurò Hanjuly, mentre il nuovo sovrano era invitato ad andare in una stanza vicina, per indossare un abito più adatto.

“Sono così emozionata!” ammise Enki “Non ho mai assistito a niente del genere!”.

“Nemmeno io! Dev’essere bello!” gioì Reishefy.

“Sarà interessante poter osservare come si svolge la cerimonia d’incoronazione in un Paese straniero. Sarà molto istruttivo” commentò Efrehem.

Mattehedike rientrò nella stanza, agghindato a festa, con un lungo mantello ed un abito sontuoso che lo faceva sentire a disagio. Non era abituato a vestire così. Quasi inciampò nel mantello. Fu aperta la tenda, che dava sull’immenso salone adiacente. Lì, in piedi, c’erano ad attenderlo una marea di persone.

“Da quanto sono qui ad aspettarmi?” domandò, sussurrando, a Deive.

“Non appena siamo stati messi al corrente del Vostro ingresso nel regno, abbiamo mobilitato coloro che dovevano essere presenti”.

“E se io non avessi accettato? Se non fossi diventato il re?”.

“In quel caso, sarebbe stato scelto uno degli spettatori, ma sarebbe stata una cosa non priva di problemi, non so se mi spiego…”.

Thuwey immaginò la scena, sentendo quelle parole. Un branco di nobili, religiosi e guerrieri di Roccia che si pestavano a sangue, gridando a gran voce di essere i più adatti a governare. I nove scesero, unendosi alla folla sottostante. Il futuro re stava accanto a Deive, assieme ad un paio di altri consiglieri ed il massimo rappresentante religioso del regno, separato dal resto dei presenti da pochi scalini in pietra. Si guardò attorno. I suoi compagni di viaggio erano in prima fila e lo fissavano, con varie espressioni che andavano dalla gioia alla noia. Individuò i suoi genitori, commossi, a cui era stato riservato un posto d’onore vicinissimo al figlio. Più indietro riconobbe i guerrieri che aveva affrontato e sconfitto tempo fa, in quel famoso torneo istituito dal re. Fece loro un cenno con il capo e loro gli sorrisero. Dei nobili e del clero non conosceva nessuno, essendo sempre vissuto in un paesino di montagna ben lontano da ambienti frequentati da quella gente. In fondo alla sala, nascosto nel buio, percepiva la presenza di qualcosa, o qualcuno. Due occhi aranciati, simili a quelli di un grosso felino, lo fissavano attentamente.

“Leggete la pergamena” lo invitò Deive.

La Roccia si schiarì la voce e poi iniziò. Era un pomposo ed eccessivo giuramento di fedeltà alla nazione, al pianeta, al popolo, alle divinità ed ai Signori di Est ed Ovest. Ringraziò mentalmente la sua gente di aver mantenuto la stessa scrittura per secoli, permettendogli di leggere quell’antico documento dalla lunghezza interminabile. Ci mise quasi un’ora per leggerlo tutto, stupendosi perché, oltre ad un paio di suoi compagni di viaggio, nessuno sbadigliava. Quando ebbe terminato, respirò profondamente un paio di volte. Era sceso il silenzio.

“Posso procedere?” domandò il massimo rappresentante religioso, rivolto al fondo della sala.

Dall’ombra, si mosse qualcosa in segno d’assenso. L’uomo, vedendo quel segno, tolse il cappuccio e si voltò verso Mattehedike. Il nuovo re lo fissò. Era alto e sottile, per essere un abitante del regno della Roccia. Ogni persona incappucciata della sala si scoprì il viso. Erano tutti sacerdoti e sacerdotesse del Dio rappresentante di quel regno. Vestiti di nero, con un lungo mantello ed il volto pallido, molti tagli e cicatrici sulla pelle, fissarono il loro capo. Erano divisi per gradi, dai più importanti ai novizi, riconoscibili dal numero via, via più numeroso di orecchini e barrette di metallo su tutto il viso.

“Se i loro sacerdoti sono così…” mormorò Enki “…il Dio com’è? Sono inquietanti…”.

Il capo, con i lunghi capelli raccolti in varie trecce, aveva praticamente l’intera faccia ricoperta di anelli, bastoncini di varie dimensioni, cerchi e sferette. Una riga di piccole palline lucenti ne accentuavano le sopracciglia. Mattehedike ricambiò lo sguardo, sforzandosi di mostrare sicurezza ed autorità. Deive lo invitò ad inginocchiarsi. Il ragazzo obbedì, con lo sguardo rivolto verso il pubblico. Il religioso prese la corona di pietra fra le mani.

“In nome della Creatrice nostra madre, del grande Dio che governa il nostro elemento, di coloro che portano la loro voce, degli antenati che ci han condotto qui, dei nobili che portano nel sangue la linfa più forte della magia, dei guerrieri che difendono i nostri figli, dei saggi che ci guidano con le loro parole, di coloro che hanno fatto la storia, del popolo tutto, di tutto ciò che esiste, è esistito ed esisterà…io vi incorono re del Grande regno della Roccia”.

L’inginocchiato sentì la corona poggiarsi sulle due piccole corna che aveva, rivolte all’indietro, ai lati della testa rasata. Si rialzò in piedi.

“Evviva re Mattehedike!” urlò Reishefy, spezzando il silenzio.

Si alzò un applauso, accompagnato da diverse grida di gioia, ovazione e celebrazione.

La figura nascosta nell’ombra, in fondo alla sala, lasciò lo stanzone dove si iniziava a fare troppa confusione per i suoi gusti. La Roccia intuì che quella creatura doveva essere il Dio della sua gente.

L’Elettricità balzò in braccio al nuovo re, baciandogli le guance più volte per congratularsi. Lui, sorridendo, si scostò gentilmente da quella stretta ed andò a salutare i suoi genitori, rimasti in disparte piuttosto confusi da tutto ciò che stava accadendo.

“Siamo fieri di te!” gli disse la madre, abbracciandolo.

Non rispose a quella frase, non trovando parole adatte. Rimase così, attaccato ai parenti, per qualche minuto. Nel frattempo, la folla si stava accalcando tutta su di lui per congratularsi, stringergli la mano, parlargli e rompergli le palle. Mattehedike si divincolò agilmente.

“Chiedo scusa” gridò, per farsi sentire da tutti “Ma devo andare. Buona giornata”.

Sparì dietro la tenda. I nove suoi compagni si fissarono, con aria interrogativa, e poi lo seguirono.

“Che cosa fate, Signore?” domandò Deive, allarmato.

“Ho una missione da finire, te lo ricordi? Ridammi i miei vestiti e fatemi andare via”.

“Guarda che se voi restare ancora un po’ a goderti la tua festa…” iniziò Aherektess ma la Roccia lo zittì con la mano.

“Prima finisco questa missione e prima potrò tornarmene qui ad imparare a regnare, volente o nolente. Perciò andiamo. La festa me la farò al ritorno”.

“Ma siete proprio necessario ai fini della missione? Non potete restare qui?” azzardò Deive.

“Sono fondamentale. Specie nel mio mondo. Ora muovi il culo ed agisci di conseguenza!”.

Kassihell ridacchiò. Non avrebbe potuto trovare parole più appropriate per smuovere un sottoposto restio ad obbedire.

“Quanto dista da qui il luogo proibito?” domandò Enki.

“Non molto. Anche se non capisco perché il mio Dio non si sia fermato direttamente alla cerimonia, risparmiandoci un viaggio”.

“Mihael ci ha detto che non è molto interessato al nostro viaggio ed a tutto il resto” tentò di spiegare la Luce, non trovando la scusa molto convincente.

“A proposito di Mihael…dov’è?!” si chiese Thuwey.

“L’ultima volta che l’ho visto, stava sfidando le statue che fan da guardiane all’ingresso, tanto per passare il tempo. Pareva piuttosto divertito da quell’attività” rise Aherektess.

“Ovunque sia, andiamo” sbottò Mattehedike, togliendosi il pesante mantello, le scomodissime scarpe e la lunga veste.

“Fai pure con comodo…” disse, ironica, Enki, girandosi da un’altra parte per non vederlo seminudo mentre si cambiava.

“Scusate ragazze” ghignò la Roccia, non pensandolo per davvero.

Una volta rimesso il suo solito gilet ed i pantaloni a quadretti, a detta di Idisi orripilanti, prese quasi con rabbia la sacca con la roba per il viaggio.

“Deive…mi raccomando! Tornerò molto presto, non fare cazzate nel MIO mondo!” ammonì il consigliere, che annuì per la prima volta intimorito da chi aveva di fronte.

“Portate con voi l’anello reale. In caso ci fossero problemi…” si limitò a dire.

Lo porse al nuovo re in un cofanetto di pietra dura, pomposamente lavorato. Aprendolo, la Roccia vide che era un gioiello davvero enorme e pesante, quello che aveva al dito Eranoranhan al momento della sua partenza, che apriva i forzieri e le stanze private del palazzo. Lo indossò riluttante, ripetendosi che, se dovesse capitare, sarebbe stato un ottimo tirapugni. Avrebbe impresso il marchio reale sulla faccia dei suoi nemici. Rise e depose la corona, un inutile impiccio in viaggio.

“Andiamo, ragazzi” esclamò.

Uscirono da una porta secondaria, in modo da schivare la calca e gli sguardi indiscreti. Si lasciarono alle spalle Dusares in fretta, con grande sollievo di Aherektess. Non sognava altro che poter tornare all’aria aperta. La luce di Sirona lo fece sorridere sinceramente.

“Potevano almeno offrirci da bere…” protestò Thuwey.

“Non ti va mai bene niente!” rise Hanjuly.

“Quanto ci avete messo…” commentò Mihael, apparendo all’orizzonte all’improvviso.

Teneva la spada sguainata e appoggiata sulla spalla, come sempre.

“E tu dove sei stato nel frattempo?” sbottò Kassihell.

“Non ti deve interessare, punto primo. Ad ogni modo, tanto per la cronaca, ero a divertirmi con i miei colleghi. Avrò diritto ad un po’ di relax pure io, no?”.

“All’incoronazione c’era il Dio della Roccia” disse Mattehedike.

“Ovvio. Alle vostre incoronazioni noi Dèi ci siamo sempre. Ognuno per il proprio elemento. Sai che noia…ma ci tocca! I patti con la Creatrice sono questi”.

“Avresti potuto parlarci. Magari ci consegnava l’oggetto proibito risparmiandoci tempo e fatica” parlò Reishefy.

“Quanto siete ottimisti!” rise, sadicamente, Mihael “Se pensate che con lui basti chiacchierare, siete sulla strada sbagliata!”.

Detto questo, senza aggiungere altro e senza notare lo sguardo preoccupato della compagnia, ricominciò a camminare con la spada sulla spalla e l’elmo retto con la mano libera.

 

†††

 

“Quello è il luogo proibito” indicò la Roccia.

Era una grotta, buia e piuttosto spettrale, da cui uscivano suoni inquietanti. Enki sapeva di essere la prescelta. Mancava solo lei. Eppure… Era terrorizzata e non aveva alcuna intenzione di entrare là dentro da sola. Si guardò attorno, cercando sostegno da parte dei compagni.

“Non possiamo venire con te” le mormorò Hanjuly, cercando di calmarla.

“Tocca a te, piccola. Dai…fatti coraggio!” disse Idisi.

“Muoviti!” sbottò Kassihell “Lo abbiamo fatto tutti, ora tocca a te!”.

Rassegnata, Enki prese un profondo respiro ed iniziò a camminare verso l’entrata. Sotto di sé, il terreno era sempre più cedevole ed umido. Si accorse quasi con disgusto di star camminando in una specie di palude fangosa. Avanzò con fatica, venendo trattenuta dal suolo molliccio.

Una risata le fece raggelare il sangue ed uno sciame di creature nere ed alate volò fuori dalla grotta. Lei si abbassò, per non farsi toccare, e trattenne un grido. Qualcuno rideva, e non da solo. Prese un altro respiro profondo ed entrò. Fu subito avvolta dall’oscurità. Due occhi giallo intenso la fissavano.

“Sei tu il Dio della Roccia?”.

Colui che aveva davanti era molto magro, altissimo, sproporzionato, con la pelle verde squamata, come quella di un serpente. Era vestito solamente con una gonna azzurro chiaro. Rizzò i capelli rossi e fatti di piume, come fa un cobra con il suo cappuccio.

“No. Io sono Kuetzalikay”.

“Cioè?” si stupì Enki.

“Sono un Dio di un’altra Era, di un altro mondo, in visita al caro amico con cui tu vuoi parlare”.

“Lui dov’è?”.

“Qui. Esattamente come me…”.

Quella strana creatura sparì nel nulla, lasciandosi alle spalle un sibilo. L’Acqua rabbrividì, avvertendo diverse presenze.

“Io sono Enki, principessa dell’Acqua, e sono qui per l’oggetto proibito. Può venire fuori, per cortesia, Signor Dio della Roccia?”.

L’ennesima risata agghiacciante si espanse per la grotta, rimbombando per l’eco.

“L’hai sentita?” tuonò una voce, profonda e vibrante “Sentito cos’ha detto? Che carina…che tenera! Cosa ne dici? Ce la dividiamo io e te?”.

“Non ti sembra troppo piccola? È solo una bambina” rispose un’altra voce, con un’accentuata Esse sibilante ed un rumore tintinnante.

“Appunto. Sembra tenera” si aggiunse una terza voce, quella della creatura dalla pelle verde che la principessa aveva incrociato prima.

“State buoni, voi due” ammonì la seconda voce “Questo è comunque il mio regno. Sarò io a decidere cosa farne. Lasciateci soli”.

“Come vuoi. Ci vediamo più tardi” ridacchiò la prima voce.

La divinità serpente rispuntò dalle tenebre. Sfiorò Enki con le dita affusolate ed uscì dalla grotta agitando la coda. Dietro di lui apparve un altro uomo, quello con la voce profonda. Teneva gli occhi chiusi. Aveva capelli corti e neri, un lungo vestito scuro e la pelle pallida. Passò accanto all’Acqua. Le sorrise e spalancò gli occhi. Erano interamente bianchi. Enki lanciò un grido. Era in preda al terrore, senza capire totalmente il perché. Anche quel Dio scomparve, lasciando la principessa incapace di muoversi. Tremava. Perché era in quello stato? Cosa le avevano fatto?

“Rilassati, bambina” si sentì dire.

Lei non riusciva a parlare.

“E così…tu vuoi l’oggetto proibito…”.

Gli occhi aranciati di quella voce sibilante la fissavano, luminosi nell’oscurità. Enki riuscì solamente ad annuire, sforzandosi di riprendere il controllo, inutilmente.

“Tutta colpa di Aeirimanios se sei in quello stato” ridacchiò la voce, spostandosi leggermente e facendosi illuminare dal riflesso esterno.

“Di chi?!” balbettò lei.

“Aeirimanios. Il Dio della Paura e dei Sogni. Normale provare terrore nell’incrociare il suo sguardo. Non appartiene a questo pianeta, esattamente come Kuetzalikay. Sono miei amici di vecchia data, da quando ancora Asteria non esisteva e la Creatrice aveva altro per la testa”.

L’Acqua spalancò gli occhi, osservandolo. Lo trovò bellissimo. Era alto, magro, con lunghi capelli blu scuro che brillavano. O forse era la sua pelle a risplendere con quella luce rossa? I suoi occhi arancio erano luminosissimi ed il suo sorriso smagliante, con i denti a punta. Aveva imponenti ali da pipistrello, nere e terminanti con un artiglio argento acuminato e minaccioso. Vestito di nero, con una camicia sbottonata che mostrava il petto pieno di cicatrici d’artigli, mosse le lunghe orecchie a punta, ricoperte d’orecchini, e ghignò.

“Ti piaccio, principessa dell’Acqua?” domandò, incrociando le braccia e facendo tintinnare i bracciali che portava su di esse.

Enki annuì, ricominciando a rilassarsi. Quello sguardo la faceva stare meglio.

“Io sono Luciherus, Dio della Forza e del Coraggio, che presiede il regno della Roccia”.

“Mi hanno spaventata tutti i discorsi che mi han fatto su di Voi…”.

“Non a torto. Non sono uno zuccherino o un esempio di dolcezza. Chi ti ha parlato di me?”.

“Beh…Mihael ha detto che…”.

“Ah, Mihael! Mio fratello…”.

“Fratello?”.

“Di cosa ti stupisci? Anche noi Dèi abbiamo madre e padre, sai? Salvo eccezioni…abbastanza rare! Immagino cosa ti abbia detto…litighiamo piuttosto spesso…”.

“Mi ha detto che a Voi non interessa della missione”.

“Ed è così. La Creatrice la posso vedere ogni volta che mi pare e del destino di Asteria poco me ne fotte. Perdona l’egoismo”.

“Non ci volete aiutare?”.

“Non guardarmi come una cerbiatta ferita! Di che ti meravigli? Sono un Dio fatto così…lo sono sempre stato, fin dagli albori…”.

“Ma il vostro scopo non dovrebbe essere quello di aiutare noi mortali?”.

Luciherus scoppiò a ridere, divertito. Agitò la coda nera, terminante con una punta affilata.

“Non voglio perdere tempo a spiegarti certe cose. Torniamo a noi…”.

“Giusto. L’oggetto proibito…”.

“Se lo vuoi, io necessito un sacrificio di sangue”.

“Un sacrificio di sangue?!” si allarmò Enki.

Il Dio annuì, leccandosi le labbra. Era notevolmente più alto della mortale e lei si sentiva parecchio in soggezione, anche perché non capiva cosa volesse esattamente.

“In che senso, scusi?” domandò, timidamente.

“Nel senso che vuoi”.

“Volete un sacrificio? Un corpo? Animale?”.

“Per quel che mi riguarda, non c’è differenza fra ciò che sei tu ed un animale. Ma, evidentemente, per la tua concezione, tu e quelli simili a te sono più importanti delle bestie…”.

Enki lo fissò, smarrita. Non poteva tirarsi indietro ed aveva paura che, stando troppo a pensare, quella divinità cambiasse idea e la lasciasse lì, senza oggetto. Cosa poteva fare?

“Sono pronta” disse, dopo qualche istante di silenzio.

“Pronta a cosa?” ridacchiò il Dio.

“Volete un sacrificio di sangue? Prendetevelo. Ci sono io qua, per Voi. Prendete pure tutto il sangue che volete. Uccidetemi, se la cosa vi và!”.

Luciherus smise di ridere e la fissò, inclinando la testa.

“Dici sul serio?” si stupì.

“Sì, dico sul serio!”.

Il Dio si rabbuiò e, sempre a braccia incrociate, si avvicinò alla principessa. Lei rimase immobile, con le gambe leggermente divaricate e lo sguardo fisso.

“Sembri davvero convinta…” mormorò Luciherus.

Enki non parlò. La divinità era alle sue spalle, sentiva il calore che emetteva e lo spostamento d’aria prodotto dalle sue ali, che non teneva mai ferme. Camminava, lentamente, facendo ticchettare gli artigli che aveva sui piedi. Lei non reagì, neppure quando Luciherus le mise una mano sulla spalla. Ne osservò le lunghe unghie appuntite, senza mostrare in alcun modo la sua inquietudine. Lui le passò una mano sul collo, come a tastare dove fossero le vene e le arterie principali. Lei deglutì, rabbrividendo al contatto con quegli artigli neri. Lui si fece più vicino con il viso e la morse sul collo. Enki strinse i pugni, immobile. Luciherus si staccò, dopo un po’, e le sorrise.

“Sei molto coraggiosa” le disse, passandole una mano sui tagli che le aveva provocato, per guarirli.

“Io?!” si stupì lei.

“Certo. Tu. In molti hanno perso la vita al mio cospetto, perché si sono approcciati con spocchia e convinzione di invincibilità. È bastato che li sfiorassi per farli scappare. Tentare di scappare, ovviamente. Mi diverto troppo ad inseguire i codardi. È sempre divertente, un gioco, e quando li catturo diventano il mio pasto, il mio sacrificio. Avresti potuto offrirmi un’animale o un’altra persona, essendo principessa potevi ordinare una cosa del genere ad uno dei tuoi sudditi. Ma non lo hai fatto. Hai donato te stessa ed eri davvero pronta a morire”.

“Non mi ucciderete?”.

“No. Io sono il Dio del Coraggio, fra le altre cose, e non potrei mai uccidere una creatura che ha dentro di sé tanto di ciò che concedo a voi mortali”.

“Ma io…io non sono coraggiosa!”.

“Non saresti sopravvissuta, in caso contrario. Non sottovalutarti!”.

“Questa era, dunque, la mia prova?”.

“Esatto. Ed ora io ti dico che…non ho un oggetto proibito!”.

“Come sarebbe?! Ma io…”.

“Chiudi gli occhi…e non aprirli per nessuna ragione fino a quando non te lo dirò”.

Enki obbedì, riluttante. Avvertì il vuoto sotto di sé. Fu tentata di spalancare le palpebre ma resistette. Non urlò nemmeno, stupendosi di se stessa. Galleggiava nel vuoto, precipitava.

“Che succede?!” domandò.

Cadde, e dopo un po’ sentì di nuovo il terreno.

“Puoi riaprire gli occhi, principessa Enki” disse Luciherus.

Lei obbedì. Si girò e vide che, accanto a sé, aveva tutti i suoi compagni di viaggio. Nel buio, illuminati solamente dalla pelle del Dio e di Efrehem, tutti fissavano la divinità con curiosità.

“Ecco ciò che ti devo dare, principessa. Questo è il luogo in cui evocherete la Creatrice” spiegò Luciherus, osservando i mortali con distacco e salutando Mihael.

“Ci siamo…” mormorò Efrehem, non nascondendo una certa tensione.

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Capitolo 14
*** XIV- Evocazione ***


XIV

 

“Dunque ci siamo...è il momento dell’evocazione” mormorò Efrehem.

“Che dobbiamo fare adesso?” domandò Enki, mentre tutto il gruppo si girava verso la Luce.

“Che avete da guardare?! Perché, secondo voi, dovrei saperlo io?”.

“Perché tu hai letto il libro del Signore dell’Ovest, mi pare ovvio!” rispose Kassihell.

“Sì, ma…non l’ho capito! Tutta quella faccenda della forza dei nomi, quelle rime prive di logica…non vogliono dire niente!”.

“Forse, piccolo mortale, non ti erano chiare all’inizio” parlò Luciherus “Ma ora, ne sono certo, se le riguarderai, troverai molti punti in più in grado di dirti qualche cosa”.

Efrehem aveva lasciato da parte quel grosso volume da tempo, non volendo percepire la frustrazione che derivava dal fatto di non capirlo. Lo aprì, svogliatamente, e ne rimase sorpreso. Effettivamente, molti passaggi erano molto più comprensibili. L’oscurità che piange per le sue sorelle si riferiva quasi sicuramente a Lehelin e le morti avvenute fra la sua gente. Kassihell e le sue fiamme avevano affrontato i loro demoni, come scritto. E la luce che ammira la danza del ghiaccio…di certo descriveva ciò che lui, Luce, provava per Hanjuly, il Ghiaccio.

“A cosa serve un libro di cui si comprendono i passaggi solo una volta che sono avvenuti?” sbottò, girando le antenne a punto di domanda.

“Agli Dèi piace fare cose del genere” ridacchiò Luciherus “Và avanti a leggere. Non voglio essere io colui che ti spiega come fare l’evocazione”.

“Ma non era Idisi quella che aveva ricevuto in dono le parole per questo?” si stupì Reishefy, indicando la Terra.

“Solamente le parole, non le procedure. Avanti…non rompete troppo! Obbedite e basta!” sbottò il Dio, agitando la coda ed incrociando le braccia.

Efrehem lesse mentalmente, con aria dubbiosa: “Qui dice…” informò i compagni, dopo un po’ “…che ogni oggetto proibito dev’essere consegnato dando la forza di ciò che si è appreso e la magia del nome ricevuto. Cioè?! E la presentazione del donatore che roba è?!”.

Luciherus sospirò, ruotando gli occhi al cielo: “Devo sempre fare tutto io…” brontolò, guardando Mihael che se la rideva sotto i baffi.

“Tirate fuori i vostri oggetti proibiti” ordinò, incrociando pure le gambe e rimanendo sospeso in aria, fluttuante.

Si accese una sigaretta, accuratamente riposta nella tasca posteriore dei pantaloni, con un grosso accendino. Riprese a parlare dopo qualche boccata.

“Se i miei Fratelli mi dessero una mano…” protestò, riferendosi alle altre divinità di Asteria “…avrei meno da spiegarvi ma, dato che vogliono far tutti le prime donne, tocca a me indicarvi il modo di avviare l’evocazione. Poi…cazzi vostri!”.

Mihael canticchiò allegramente, seduto in terra, in attesa di vedere ciò che accadeva. I viaggiatori, in piedi, si guardavano attorno, non capendo ancora dove fossero finiti.

“Siete in una dimensione parallela…” spiegò Luciherus, nervoso perché non sopportava l’ignoranza di quelle creature “…a metà fra la vostra, mortale, e quella divina. Qui i vostri poteri sono ampliati, avrete modo di costatarlo personalmente. Avete gli oggetti proibiti fra le mani? Chi può averlo fra le mani…” ci tenne a specificare, notando lo sguardo smarrito di Idisi ed Enki.

“Principessa del Ghiaccio…” ricominciò il Dio, guardando ciò che lei teneva con delicatezza fra le dita “…tu sei la prima che attiverà il suo oggetto”.

“Io?! Perché io?!” si spaventò Hanjuly.

“Che due palle!!! Perché sì, ecco perché!” sbottò Luciherus.

“Perché tu possiedi il primo oggetto che dev’essere attivato” parlò una voce.

Era Gibrihel, Dio della Terra. Poggiò una mano sulla spalla della principessa.

“Io, Dio della Terra, Gibrihel, ho concesso in dono l’oggetto proibito del mio elemento a questa mortale” parlò, in tono solenne.

Hanjuly lanciò un gridolino di sorpresa. Il disco che stringeva era divenuto rovente e fluttuava, illuminato, mentre Efrehem spalancava gli occhi dicendo “La presentazione del donatore!”.

“Ora tocca a te, Signora del Ghiaccio. Dì chi sei e cosa hai ricevuto da questo viaggio, in che modo sei cambiata…cos’hai imparato?” continuò Luciherus.

“Io sono Hanjuly…” iniziò lei.

“Significa "paziente, che ha misericordia". Hai seguito il tuo nome? Hai caricato l’oggetto della sua magia?” domandò il Dio della Roccia.

La principessa parve smarrita dinnanzi a simili domande ma non aveva il coraggio di chiedere spiegazioni, vedendo che Luciherus era già da sé piuttosto infastidito.

“Certo che l’ha fatto!” parlò Reishefy “Ha avuto pazienza, con me soprattutto, e misericordia in diverse occasioni”.

Delle bolle colorate presero forma e fluttuarono, andando verso l’alto. Al loro interno i dieci e le divinità presenti videro ricreati gli episodi in cui Hanjuly aveva seguito il significato del suo nome.

Luciherus sorrise, giocherellando con una di quelle bolle. L’oggetto proibito si illuminò con più potenza e vibrò, emettendo un singolare suono melodico altalenante.

“La magia del nome ricevuto…” mormorò Efrehem.

“Volete sapere cosa ho imparato?” parlò il Ghiaccio “Ho imparato che non c’è niente di sbagliato in me. Ho capito che, anche se sono una guerriera ed una combattente, non una dolce fanciulla come vorrebbero i miei genitori, vado bene così e devo sempre avere il coraggio di mostrarlo”.

A quelle parole, l’oggetto proibito si ingrandì e si girò, divenendo una specie di tavolino circolare con un grosso foro centrale. Era lucido, con fasce di colore diverso. Il gruppo si mise attorno ad esso. Solo alcuni ebbero il coraggio si sfiorarlo con le dita, sorridendo, avvertendone l’energia. Le bolle scomparvero, scoppiando tutte assieme, e tornò a predominare la penombra.

Il disco divenne azzurro. Aherektess, riconoscendo quella tonalità come quella del suo popolo, fece un passo avanti, impugnando il bastone decorato di Dharam.

“Io sono Aherektess, significa "guerriero di pace"…” iniziò, mentre le bolle ricomparvero mostrando le gesta di guerriero del principe dell’Aria.

Quella centrale, la più grande, conteneva la stretta di mano fra lui e Kassihell. Luciherus annuì.

“Io, Dharam, Dio del regno del Fuoco, permetto l’attivazione dell’oggetto proibito a me affidato”.

La divinità controllante Sirona era apparsa. Con i capelli infuocati ed il lungo mantello, ripeté il gesto di Gibrihel: poggiò la mano sulla spalla del mortale. Aherektess sobbalzò, percependo quel tocco caldo e l’improvvisa attivazione di ciò che stringeva fra le mani.

“In questo viaggio…” riprese l’Aria “Ho imparato che le persone che ci vogliono bene tendono a controllarci, a volte in modo eccessivo, ma questo viene fatto solo come gesto d’affetto, non di possessione o tormento. Magari a volte esagerano…ma lo fanno per noi!”.

Le bolle mostrarono varie scene con i due gemelli del regno dell’Aria, Aherektess e Zameknenit. Luciherus sorrise, lanciando un’occhiata a suo fratello Mihael.

Il bastone decorato di Dharam ora brillava fortissimo. Aherektess lo lasciò andare, non riuscendo più a tenerlo fra le mani per quanto intensamente bruciasse. L’oggetto non cadde, rimase sospeso, e si mosse fino a prendere posto sul disco di Hanjuly, senza toccarlo, in verticale. Tutti guardarono la scena con ammirazione e leggero timore, mentre le bolle scoppiavano di nuovo tutte assieme ed il tavolo lucido tornava a cambiare colore, lentamente. Divenne marrone.

Mattehedike si schiarì la voce.: “Io sono Mattehedike. Il mio nome significa "dono degli Dèi vincitori"…”.

“E lo sei, per il tuo regno” parlò il Dio della Roccia, fissando il mortale del suo elemento con serietà ed un mezzo sorriso enigmatico.

“Ho imparato che è bene migliorare ogni giorno, senza mai credere di essere perfetti”.

“Ottimo!” commentò Luciherus, circondato dalle bolle piene di immagini.

“Questo è il mio oggetto proibito ma…dov’è il Dio che me lo ha consegnato?” borbottò Mattehedike, tenendo il pugnale fra le due mani a palmi aperti.

“Sarà in ritardo come sempre…” ridacchiò Mihael.

“Loreatehenzi!” tuonò il Dio della Roccia, impaziente non si sa per quale motivo.

Passarono diversi minuti, di imbarazzante silenzio, prima che il Dio dell’Aria piombasse dall’alto. Atterrò sulle spalle di Mattehedike che, leggera com’era quella divinità, non ebbe problemi a sorreggerla. La compagnia fissò il Dio, che sorrise, avvolto dai capelli sospesi dal vento.

“Cosa mi sono perso?” domandò, disegnando con le dita sulla testa pelata della Roccia.

“Non ti farò un riassunto” sibilò Luciherus “Dì quello che devi dire ed andiamo avanti”.

“Permaloso, come sempre. Ti farebbe bene rilassarti, ogni tanto”.

Quella frase ricevette di risposta una chiara occhiataccia minacciosa, che Loreatehenzi ignorò.

“Io sono Loreatehenzi, potete chiamarmi Lorenz, e sono il Dio dell’Aria. Ho affidato l’oggetto a questo mortale…che si attivi pure!”.

Il pugnale si illuminò, si sollevò dalle mani della Roccia ed andò a posizionarsi sul disco, in verticale e senza toccarlo esattamente come il bastone di Aherektess. Allo scoppio delle bolle, la superficie lucida cambiò colore di colpo, divenendo giallo acceso.

“Tocca a me!” esclamò Reishefy, con entusiasmo, alzando al cielo la coppa proibita.

“Io sono Reishefy, "signora della freccia"…non chiedetemi perché!”.

Le bolle mostrarono la scena in cui lei ed il Fuoco davano la morte alle creature della Roccia.

“Ah!” si stupì la principessa “Ecco perché!” ridacchiò, mentre la coppa iniziava ad attivarsi, una pietra dopo l’altra.

“Io, Heronìka, Dea dell’Acqua, ho concesso questo oggetto alla creatura dell’Elettricità che ha meritato di ottenerlo” parlò la Dea, apparendo fra la spuma bianca dell’oceano che poi si dissolse.

Appoggiò la mano palmata sulla spalla della mortale, che le sorrise come fossero vecchie amiche.

“Io ho imparato che, a volte, è molto meglio controllarsi e riflettere…un pochino!”.

Heronìka le sorrise, guidando la coppa sul disco lucente e facendo scoppiare tutte le bolle con uno schiocco di dita. Il buio prevalse, ed il disco si fece nero.

“Finalmente!” esclamò Mihael, balzando in piedi ed afferrando l’Oscurità con entrambe le mani.

“Io, il possente ed invincibile Mihael, ho concesso il mio oggetto proibito a questa mortale, anche se non lo meritava, e sono proprio curioso di vedere cosa succede adesso che lo attivo”.

Lehelin, sconcertata dall’irruenza di quelle frasi ed inquietata dalla presenza della divinità alle sue spalle, che la sballottava, non disse nulla.

“Parla, mortale!” la incitò Luciherus.

“Io…io sono Lehelin. Dicono voglia dire "lacrima di luce"…”.

“Questo so spiegarlo io!” parlò Thuwey.

“Davvero?” si stupì lei, fissandolo con scetticismo.

“I tuoi occhi sono tristi, questo spero di non averlo notato solo io. Si vede, nonostante tu distolga sempre lo sguardo quando parli. Le lacrime…ma anche la luce perché hai saputo dire le parole giuste al momento giusto, illuminando degli animi altrimenti confusi”.

“Veramente?!” ridacchiò l’Oscurità.

“Sì, veramente” confermò Hanjuly.

Lehelin rimase in silenzio, non sapendo bene che cosa dire. In imbarazzo, rise di nuovo.

“Cos’hai imparato?” incalzò Luciherus, arricciando la coda.

“Ho imparato che bisogna essere se stessi. Bisogna essere ciò che si è, non adattarsi ai desideri ed alle voglie degli altri fingendo di essere qualcun altro. Come ha detto anche il Ghiaccio, non c’è niente di sbagliato in ciò che siamo”.

L’anello proibito si illuminò ed andò al suo posto. Il disco divenne rosso acceso, in un intreccio di fiamme e guizzi agitati.

“Io sono Kassihell” parlò il Fuoco, reggendo il medaglione proibito con una mano sola “Sono "l’angelo della morte"…”.

Le bolle fluttuanti mostrarono l’avvenimento nel regno del Ghiaccio, in cui Efrehem aveva perso la vita, ma che il Fuoco, riavvolgendo il tempo, aveva salvato. I viaggiatori, non potendo ricordarlo, lo fissarono con stupore ed incredulità.

“Ecco perché hai schiacciato quella piccola farfalla…” mormorò Idisi, sorridendo.

“Ed ecco il perché delle cicatrici!” aggiunse Hanjuly.

“Grazie!” gli disse Efrehem, non trovando altre parole.

“L’angelo della morte regge una clessidra fra le mani” spiegò Luciherus “Tu, nella tua vita, hai portato tanta morte, combattendo in guerra, ma sei stato in grado di girare la clessidra, e donare una vita. Il tutto non sapendo quali conseguenze quel gesto potesse avere su di te”.

“Ti sono debitore” sussurrò la Luce.

“Vedrò come farmi ripagare” borbottò Kassihell, non abituato a simili situazioni.

“Speravo lo avresti usato in modo diverso, mortaluccio…” sospirò Kaos, sbucando dal buio “…ma io, Kaos, l’ho donato a te e quindi ne hai fatto l’uso che ritenevi più giusto”.

Il Fuoco lanciò un’occhiata alle sue spalle, trovando inquietante il fatto che il Dio Oscuro fosse dietro di lui. Si sentì sfiorare dalla nebbia nera di cui era composto e si sforzò di guardare avanti a sé, continuando il discorso, scostando le bolle con scene di vita e morte dalla sua visuale.

“In questo viaggio ho imparato che la vendetta genera altra vendetta e non porta da nessuna parte”.

Il medaglione vibrò, rilucendo, e si mosse verso il disco. Kaos guardò prima l’oggetto, come facevano tutti i presenti, e poi Lehelin, con un mezzo sorriso.

Il colore argento della superficie fece parlare Thuwey. Mostrò i due bracciali e sorrise a Xoduzz, apparso alle sue spalle. Si salutarono, pugno contro pugno, e poi si presentò.

“Io sono Thuwey. Da quel che ne so, il mio nome vuol dire "sogno ritrovato". Cosa c’entri questo con la missione, non saprei dirlo”.

“Ma è ovvio!” parlò Idisi “Hai ritrovato tua madre!”.

Il Metallo si mostrò piuttosto scettico davanti a quelle parole ma non ribatté.

“Io, Xoduzz, ho donato questi affari al mortale qui presente e sono lieto che vengano attivati” esclamò il Dio dell’Elettricità, appoggiandosi spalla contro spalla a Thuwey.

I bracciali si illuminarono e si sganciarono dai polsi del loro portatore.

“Ho imparato che, ogni tanto, è bene fidarsi anche degli altri” mormorò il Metallo, quasi vergognandosi nel dire una frase del genere.

Gli oggetti andarono al giusto posto, facendo mutare il colore del disco dall’argento al bianco.

“Sono io…” parlò Efrehem, leggermente intimorito.

Il piccolo plettro proibito quasi non si vedeva, sul palmo pallido del mortale.

“Il mio nome è un augurio. "Che possa crescere, maturare, dare frutto". Ritengo di aver donato a questo oggetto la magia ad esso legato. Lungo il cammino sono cresciuto, maturato…e spero, un giorno, di dare dei frutti!” sorrise, arrossendo, guardando Hanjuly.

Lei gli mandò un bacio con la punta delle dita. Lui rabbrividì, avvertendo un soffio gelido alla schiena. Enrikiran, Dio del Ghiaccio, era apparso alle sue spalle senza dire una parola.

“Grazie alla divinità dietro di me…” riprese Efrehem “…ho imparato ad ascoltare la musica dentro di me e seguire il mio cuore, non solamente la testa”.

Luciherus si aspettava che la divinità in questione dicesse qualcosa ma non fu così. Si limitò ad allungare una mano verso il plettro, sospeso a mezz’aria. Toccandolo, lo attivò all’istante e questi andò a posizionarsi sul disco.

“Io, Luciherus, Dio rappresentante del regno della Roccia, ho concesso a questa mortale di accedere al luogo proibito dove ci troviamo” parlò Luciherus, anticipando il colore blu che apparve subito dopo ed inondò l’area circostante, come l’oceano.

“Io sono Enki. Il mio è un nome maschile. Significa "signore della parte inferiore", riferendosi al mondo interiore. Immagino si riferisca al fatto che ho capito come controllare la mia interiorità, senza farmi sopraffare dalla paura. Questo è anche ciò che ho imparato: avere fiducia in me stessa e non spaventarmi più. Ho finalmente risvegliato il mio coraggio”.

Ammirò con orgoglio le bolle con le immagini che lo dimostravano, mentre il terreno e l’aria attorno al gruppo si riempivano di luci, attivandosi.

Per ultima, Idisi attese che il disco diventasse verde prima di parlare.

“Il mio nome, Idisi, per la mia gente vuol dire "destino"…”.

“Era destino che ti unissi a questa missione…ricordi la storia delle carte che mi hai raccontato?” disse Enki, fra i segni d’assenso del gruppo.

“In questo viaggio….ho imparato ad arrabbiarmi, cosa utile in certi casi”.

Le bolle mostrarono la Terra nella biblioteca della Luce, mentre inveiva contro Aria e Fuoco.

“Io, Vereheveil, Dio del regno della Luce, ho concesso a questa mortale il testo per l’evocazione che lei, soltanto lei, pronuncerà e conoscerà”.

Il Dio dalle ali dorate la toccò con le sue piume e la incitò a parlare. Idisi gli lanciò un’occhiata preoccupata. Poi prese fiato, sentendo attivarsi una parte di lei dentro la testa, contenente tutto ciò che doveva dire. Senza pensarci più, recitò una sorta di poesia, una nenia complicata in una lingua che nessuno, tranne lei e Vereheveil, comprese. Gli oggetti e l’aria si illuminarono con sempre maggiore intensità. Era una luce magica, che non nuoceva ai rappresentanti dell’Oscurità. Sempre più forte, iniziò a concentrarsi in un unico punto, accanto a Luciherus. Prese una forma e Lei apparve, avvolta da lunghi capelli neri mossi da un vento inesistente. Idisi tacque, la luce formava ora una corona, un cerchio lucente, attorno al capo della Creatrice. Luciherus la guardò e lei rispose a quello sguardo, sorridendo.

Spalancò le braccia, mostrandole ai viaggiatori ed alle divinità. Erano sette. Su sei di esse teneva sospese delle sfere che ruotavano incessantemente. Efrehem ne individuò una a spicchi di colore diverso, intuì rappresentasse Asteria.

“È esattamente quello che pensi, principe della Luce” parlò lei, leggendone la mente.

Luciherus baciò l’unica mano senza sfere, sussurrando parole che solo la Creatrice riuscì a percepire. Lei sorrise, anche se con poca convinzione. I lunghi capelli non si davano pace, fluttuando incessantemente e formando riccioli in aria.

“Figli miei…” parlò, rivolta ai mortali “…mi avete chiamato?”.

Le parole le uscivano da piccole labbra divise a metà per colore, come il resto del viso di lei. Bianco e nero, bene e male, luce ed ombra, formavano quel volto.

“Mia Signora…” ebbe il coraggio di parlare Efrehem “Vi abbiamo chiamato affinché portiate i vostri splendidi occhi azzurri su questo pianeta malato”.

Lei rimase in silenzio, socchiudendo le palpebre nel silenzio, come ascoltando qualcosa.

“La magia della mia piccola Asteria è debole…” mormorò.

Guardò Luciherus, con aria interrogativa.

“Creatore…” lo chiamò, fra lo stupore di mortali e Dèi “…cosa succede a questo pianeta?”.

“Lo stanno consumando” rispose il Dio, senza incrociare lo sguardo di lei.

“Domando perdono, per avervi lasciati da soli” parlò la Creatrice, riferendosi a divinità e mortali “Come sapete, io ho altri universi a cui badare e non mi accorgo delle variazioni della magia, se non quando poggio piede su uno di essi”.

“Ogni mano è un universo…” parlottò Efrehem, sempre più curioso.

La Dea gli sorrise, annuendo.

“Di chi è la colpa di tutto questo?” prese coraggio Thuwey “E qual è la soluzione?”.

“La colpa?” sussurrò la Creatrice, spalancando per un attimo gli occhi “La colpa è un po’ di tutti, Dèi e mortali. Ma c’è modo di rimediare, state tranquilli”.

“Asteria quindi non finirà? Sarà salva?” esclamò Enki.

“Sì, certo. Temevate la fine del mondo?” ridacchiò la Dea.

Smise di ridere quando notò che tutti i presenti avevano tirato un sospiro di sollievo.

“Non vi facevo così catastrofici…” borbottò, passandosi la mano libera fra i capelli.

“Ad ogni modo…” riprese, dopo alcuni attimi di silenzio “…vi aiuterò. Sono orgogliosa dell’unione che siete riusciti a trovare per evocarmi. Però…manca un pezzo!”.

“Un pezzo?!” si stupì Luciherus, fissandola alzando un sopracciglio.

“Sì, un pezzo…provvedo immediatamente”.

Mosse la mano senza sfere e, in un attimo, alle spalle di mortali e Dèi, apparvero i reali di Asteria, coloro che avevano affidato le chiavi del palazzo del Signore dell’Ovest ai viaggiatori. Mattehedike avvertì un brivido ed intravide lo spirito di Eranoranhan che lo guardava, con orgoglio.

“Ma che…” iniziò Ozymandias ma non aggiunse altro, vedendo chi aveva dinnanzi.

Fra gli Dei e la Creatrice, decise che fosse meglio rimanere in silenzio.

Zameknenit, Rocana, Nerektan, Vehuya, Taranis, Friedrik, Jovihann, Midir, Ozymandias e lo spirito semitrasparente di Eranoranhan si fissarono, piuttosto confusi da quella materializzazione in quel luogo sconosciuto.

“Benvenute, vostre altezze” salutò la Dea.                                         

“Siamo tutti adesso? O manca ancora qualcosa?” sbottò Luciherus.

La Creatrice si girò verso di lui, incrociando le braccia e fissandolo leggermente scocciata.

“Come sarebbe a dire?!” esclamò “Riflettici un po’, prima di aprire quella tua boccaccia!”.

Il Creatore non rispose, non sapendo cosa dire. Si fissarono negli occhi, con una strana espressione sul viso. Lei sospirò, rinunciando all’idea di farsi capire.

“Se non ci fossi io…” mormorò, scuotendo la testa.

Alzò la mano libera al cielo ed una creatura precipitò, cadendo nel mezzo del foro centrale del disco proibito. I viaggiatori allungarono il collo per vedere chi fosse. Tossendo, la figura si alzò.

“Kire!” esclamò Vehuya.

“Un mezzosangue? Come mai? Facciamo un bel sacrificio?” domandò il Metallo.

“Ma tu sei proprio fissato con i sacrifici!” disse Aherektess.

“Cosa ci faccio qui?” chiese il sanguemisto, rialzandosi con una mano sul capo.

“Benvenuta, creatura d’Asteria” lo salutò la Creatrice.

“Cosa ci azzecca lui?” protestò Luciherus.

“Ha il diritto di rappresentare questo mondo anche lui, no? Di contribuire all’evocazione ed alla guarigione del pianeta” sorrise la Dea, con aria saccente.

“E in che modo? Non ha né un oggetto proibito né un Dio che lo presenta”.

“Kire significa "potente dominatore della patria"…” parlò la Dea, ignorandolo.

“E allora?” si accigliò il mezzosangue.

Kassihell sorrise. Nel vederlo così, con i capelli spettinati e la barba sfatta, si notava che i due erano fratellastri. A braccia incrociate, non mostrava timore nemmeno davanti alle divinità.

“Allora lo so io!” parlò Thuwey.

Il Metallo si girò verso la regina del suo regno, sua madre, che era rimasta in piedi dietro di lui e Xoduzz. Le sorrise.

“Lui sarà un potente dominatore della patria. Jovihann, mia regina e madre, io sono un guerriero. Lo sono sempre stato e questa cosa non cambierà. Questo giovane, invece, è un ottimo capo. L’ho visto come governava la sua gente, come dava ordini e riusciva a coordinare tutto. Non sarei mai in grado di fare la stessa cosa. Prima di partire per questa missione, mi avete concesso un desiderio qualsiasi, mia regina, in cambio. Ritengo di aver capito quale sia. Io voglio che Kire diventi il principe ereditario del regno del Metallo”.

“Ma…” balbettò Jovihann, incredula “…ma…sei tu il principe ereditario! Tu sei mio figlio…”.

“Lo è anche lui e, potete credermi, sarà di certo più qualificato di me a regnare. Io sarò lieto di restare a capo dell’esercito, addestratore. Il re non è il mio ruolo”.

Kire fissò il fratellastro, piuttosto confuso. La regina faceva lo stesso.

“Ti ho fatto una promessa” disse lei, dopo un lungo silenzio “Ho promesso di avverare un tuo desiderio. Se è questo, non mi tirerò indietro. Kire…vuoi essere principe del Metallo?”.

Il sanguemisto si inchinò: “Solo se lo desiderate Voi, regina” mormorò e lei sorrise.

“Sì, vabbè…tutto questo è molto bello ma…cosa c’entra con la missione?” sibilò Luciherus.

“Sei peggio dei bambini” sbuffò la Creatrice.

“Cosa serve che lui segua il suo nome? Mancano sempre l’oggetto e la divinità”.

“La divinità l’hai di fronte, Dio impaziente ed iracondo!” sbottò lei.

Lui la fissò, con aria interrogativa. Lei chiuse gli occhi e mutò, mostrando il suo vero aspetto. Rizzò le antenne sulla testa, rosse e con le iridi gialle. Liberò le corna dai capelli. Mosse le lunghe orecchie a punta, tempestate di orecchini. Lasciò che due delle sue braccia, una per lato, si ricoprissero di piume azzurre. Mostrò la coda, terminante con una sfera elettrica. Un terzo occhio le si aprì in fronte e sul dorso di ogni mano. L’intero suo corpo si riempì di disegni arricciati, azzurrini e vitrei. I suoi capelli si tempestarono di fiori. Una delle sue mani divenne palmata e squamata, verde. Un’altra si avvolse di fiamme vive. Una terza si indurì di pietra. La quarta fu ricoperta di spuntoni metallici. Solamente quella che non sorreggeva alcuna sfera rimase immutata. Il viso si illuminò dal lato bianco e divenne di nebbia nel lato nero.

“Io sono la più grande dei sanguemisto” disse, fra lo stupore generale.

Solamente Luciherus rimase impassibile, conoscendone già la reale fisicità.

“Ognuno di voi ha un aspetto di me” riprese la Creatrice “Come potete definirvi e dividervi in razze, quando siete stati tutti generati da me? I cosiddetti sanguepuro han gli stessi diritti di esistere dei sanguemisto, e viceversa. Non c’è niente di sbagliato nel fatto che esistano, a differenza di quanto pensate voialtri”.

“Quindi…non sono loro la causa degli squilibri di Asteria?” volle sapere la Luce.

“Certo che no. La causa degli scompensi di Asteria è lo sfruttamento della sua magia, senza che le sia dato niente in cambio. Questa mia creatura ha un equilibrio delicato che va rispettato. Per ogni atto magico che volete compiere, dovete pensare a come compensare il pianeta”.

“Come facciamo noi con i sacrifici?” domandò Thuwey.

“Ancora con ‘sti sacrifici?!” ruotò gli occhi al cielo Aherektess.

“In un certo senso sì…” rispose la Creatrice “…anche se non sono ciò che avevo in mente. Pensavo più ad una cosa tipo i rituali del regno dell’Oscurità, con un'offerta di qualcosa per ottenere la magia. Anche quelli del Fuoco, con le danze e la musica, possono andare. Ma non una volta ogni tanto. Sarebbe bene farli spesso, coccolando la forza di Asteria e non sfruttandola”.

I presenti si fissarono fra loro, piuttosto perplessi.

“Tornando all’evocazione…” incalzò Luciherus.

“Quanto sei pedante, Lucy!” protestò lei.

“Non chiamarmi Lucy!”.

“Io ti chiamo come cazzo mi pare! Tornando all’evocazione…lui non ha bisogno di alcun oggetto proibito. Lui È un oggetto proibito!”.

“In che senso?!” si stupì Kire.

“Non c’è niente di più proibito di te, data la concezione distorta che vi siete creati dividendovi per razze ed impedendovi di fare figli fra voi. Sei figlio di un Imperatore di Fuoco ed una regina di Metallo…l’essenza del proibito per voi mortali!”.

Kire si illuminò, attivandosi come gli oggetti dei viaggiatori, mentre appariva un gruppetto di una ventina di mezzosangue tutt’attorno ai presenti.

“Manca ancora qualcosa…” mormorò la Creatrice, toccandosi il volto con la mano libera “Ah, sì! Ma certo! Che stupida…”.

Allungò la mano e la mosse, creando piccoli cerchi. Ai piedi di tutti non si vedeva più il suolo nero.

“Chi sono?” domandò Reishefy, notando delle presenze a testa in giù, con i piedi a contatto con la sottilissima parete trasparente che faceva da terreno ad entrambi.

“Elehcim” mormorò Kire, vedendoselo attaccato ai piedi.

“Il regno dei morti…” aggiunse Aherektess, vedendo i suoi genitori.

Ognuno dei mortali presenti riconobbe qualcuno. Amici, genitori, nonni, fratelli, compagni d’arme e di vita, colleghi e parenti lontani. Thuwey intuì che doveva essere suo padre quello che lo stava fissando dall’altro mondo.

“Siete pronti?” chiese la Creatrice “Insieme ridaremo la forza ad Asteria”.

Le presenze del regno dei morti si stavano prendendo per mano, creando un’immensa spirale. I viventi, vedendo questo, iniziarono a fare lo stesso. Kire si inginocchiò per stringere quella rimasta libera del fratello. Kassihell si allungò verso di lui, dando via alla spirale del regno dei vivi. Accanto a lui, Aherektess. La loro stretta di mano stupì Zameknenit e Vehuya, vicini, che si fissarono minacciosi, prima di sorridere e decidere di fare altrettanto. Luciherus fece uno sforzo enorme per riuscire a prendere la mano di Vereheveil, divinità che odiava a morte per via delle ali piumate ed il suo fare da saggio, ma alla fine non interruppe il serpentone. Prescelti, Dèi, reali e mezzosangue ora erano tutti uniti. Guardandosi attorno, si accorsero che avevano dato vita a qualcosa che non aveva fine. Tutta Asteria era con loro. Da qualche parte, forse, l’ultimo dei vivi si univa all’ultimo dei morti. Solamente la Creatrice era rimasta fuori da quell’incatenamento. Avanti a sé osservò la sfera dell’universo di quel pianeta. Lo tenne sospeso, guidandolo con la mano libera.

“Ridiamo forza ad Asteria” mormorò.

A quelle parole, Kire iniziò a trasmettere la sua luce, che si espanse per tutta la spirale, sia dalla parte dei viventi che in quella dei morti. Gli occhi della Dea si spalancarono, divenendo di colore unico, mentre la pallina che teneva sospesa fra le mani si illuminò in modo sempre più forte. Il bagliore si fece più intenso, abbagliante e magico. La sua energia fu chiaramente percepita da tutti quelli che ne venivano attraversati. Il tutto durò qualche istante, pochi minuti. A qualcuno parve un’eternità, a qualcun altro solo un soffio. La luce si esaurì. Il regno dei morti scomparve ed i mortali caddero in terra, esausti. Perfino gli Dèi parevano provati dalla cosa, ma non vollero darlo a vedere e fecero finta di nulla. Lentamente, tutto tornò nella penombra, lasciando solamente i prescelti, le divinità, i reali e Kire. Il resto scomparve. La Creatrice non parlò, come non parlò nessuna delle divinità, in attesa che i loro sottoposti si svegliassero.

“È tutto finito?” mormorò Luciherus.

“Per ora…” rispose la Dea.

 

Il primo a svegliarsi fu Thuwey. Intontito e stremato, fu aiutato ad alzarsi da Mihael.

“Se non vi vedessi…” disse, riferendosi agli Dèi “…direi che è stato tutto un sogno”.

“Ti piacerebbe!” ghignò Kassihell, rialzandosi con calma e sistemandosi il vestito.

I due erano ai lati opposti del disco, che si stava rimpicciolendo, privo di luce. Uno dopo l’altro, si rialzarono tutti, aiutati e sorretti dalla divinità del proprio regno. La Creatrice porse la mano libera a Kire, che fu piuttosto titubante ma l’afferrò.

I prescelti si guardarono fra loro, non comprendendo gli sguardi assurdi che si stavano scambiando.

“Che c’è?” domandò Reishefy “Cosa sono quelle facce?”.

“I tuoi capelli…” mormorò Enki.

L’Elettricità ci passò una mano sopra e…erano lisci! Erano pettinati e non stavano più in aria a scosse sconnesse come erano soliti fare.

“Sei bellissima così, bambina mia!” le disse Taranis, abbracciandola dopo tutto quel tempo.

“Tutti noi abbiamo qualcosa di diverso?” domandò Thuwey “Io cos’ho?”.

“Le mie bellissime corna!” rispose Mihael.

Il Metallo si tastò il capo e le trovò. Erano due cornoni neri, appuntiti e minacciosi.

“Che figata…” disse, impaziente di  potersi guardare allo specchio.

La Roccia e la Luce si erano accorti da soli di ciò che avevano ricevuto e non stavano nella pelle. Mattehedike ora possedeva un bel paio d’ali nere, come quelle del Dio del suo elemento. Anche Efrehem aveva ricevuto delle ali in dono, ma erano piumate e d’oro, con tanti occhi fra le piume, come quelle di Vereheveil. Entrambi provarono ad alzarsi in volo, con scarsi risultati.

“Dilettanti” scosse la testa Aherektess.

Avvertì una certa sensazione di fastidio alla fronte. Provò a grattarsela ma si fermò. Un grosso occhio dalle iridi rosse lo fissava, sul dorso della sua mano. Girò anche l’altra. Entrambe avevano quell’occhio. E sulla fronte? si chiese. Portò il dorso dell’arto destro vicino alla testa e vide il suo volto, con un bel terzo occhio turchino nel mezzo. Rimase senza parole. Di certo questo lo avrebbe aiutato in volo ma…deglutì, mentre il gemello gli metteva un braccio attorno alle spalle, ridacchiando e dicendogli che così sì che aveva stile. Hanjuly sorrise, notando che le erano ricresciuti i capelli e vedendo sulla sua pelle gli stessi tatuaggi della Dea, trasmettitori di un’energia che mai prima d’ora aveva posseduto. Anche Kassihell aveva ricevuto dei tatuaggi. I suoi, quelli a fiamma che aveva sempre avuto, bruciavano di fiamma viva senza nessuno sforzo da parte sua. Sorrise, soddisfatto da questa novità. Idisi annusò l’aria, avvertendo il profumo di un fiore nuovo. Era del colore del grano, con riflessi azzurri, e cresceva fra i suoi capelli. Il Ghiaccio vi riconobbe il fiore che aveva creato con il Dio della Terra.

“A me che cosa è successo?” domandò Enki, non notando cambiamenti.

“La tua cresta! È bellissima!” le disse Idisi.

Era passata dal verde all’arancio acceso, con riflessi rosso rubino. Splendeva.

“E tu, mia cara Lehelin…” parlò Thuwey, avvicinandosi all’Oscurità “Ora hai gli occhi azzurri”.

Lei non rispose. Si girò verso Kaos che le stava alle spalle. Aveva gli occhi come lui.

“Da questo momento, ognuno di voi porterà il segno di ciò che accaduto” parlò la Creatrice “Come ricordo e come monito. Non permettete che l’equilibrio di Asteria sia compromesso nuovamente in futuro”.

Furono le ultime parole che pronunciò, prima di scomparire alla vista dei mortali. Luciherus la seguì, con la sigaretta in bocca e senza dire una parola.

Kire ghignò. Non c’era niente di diverso in lui. Non si era accorto di avere tre ombre…

 

“Efrehem…” parlò il Dio del Ghiaccio, Enrikiran, per la prima volta dall’inizio di tutta quella faccenda “…ti ho portato questo. Ora puoi portarlo a casa”.

Fra le mani stringeva il violino con cui la Luce aveva affrontato la sfida. Gli occhi del mortale si illuminarono, meravigliati.

“Dite sul serio?”.

Enrikiran annuì. Efrehem lo prese fra le mani, con un piccolo inchino, e lo mostrò a suo nonno, Friedrik. Quando si girò, il Dio ghiacciato non c’era più.

“Buona fortuna, per tutto” disse Vereheveil, salutando tutti e volando via, lasciando piume qua e là.

“Chiamatemi, se decidete di organizzare qualche bella festa!” furono le parole di commiato di Loreatehenzi, prima di scomparire in un soffio di vento.

“Vale lo stesso per me” si aggiunse Xoduzz, dissolvendosi in un lampo.

“Cercate di non venire a tormentarci per un po’…” fu il commento di Gibrihel, mentre si faceva avvolgere dal suo elemento, sparendo sotto la superficie del suolo.

Heronìka abbracciò Reishefy, augurandole ogni bene e dandole due baci sulle guance. Enki la salutò con la mano e la Dea svanì, così com’era apparsa, sorridendo.

“Mi raccomando…basta guerre!” ammonì Dharam, rivolgendosi a Kassihell ed Aherektess.

“Cosa?! Ed io cosa ci sto a fare qui, allora?” protestò Mihael.

Il Dio del Fuoco lo prese sotto braccio, sorridendo, ed incamminandosi con lui verso una meta imprecisata, lontana: “Ci sono molte altre cose che puoi fare!” iniziò “Ad esempio…hai mai pensato di divenire il Dio della musica che ti piace tanto? O, che ne so, il Dio delle barbe e dei capelli? Avresti molto più successo…”.

Non si videro più neppure loro due, avvolti dalla luce emessa da Dharam.

Solamente Kaos rimase dov’era. Fissò i mortali, che si stavano salutando calorosamente a grandi abbracci, baci e frasi d’addio.

“Lehelin…” disse, guardando la principessa oscura, che sobbalzò al suono profondo di quella voce.

“Sì?” rispose, girandosi.

“Vieni con me…vorrei parlarti di una cosa”.

Mattehedike, vedendo che la compagnia si stava separando, informò che invitava tutti i presenti alla sua festa d’incoronazione, certo che quello non fosse un addio.

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Capitolo 15
*** XV- finale-personaggi-extra ***


XV

 

“Non ti fermare!” gemette la Creatrice, ribaltando la testa all’indietro.

“Non ne ho alcuna intenzione!” rispose Luciherus, stringendola a sé più forte.

Adorava fare l’amore con quella Dea. Con le sue molte braccia, riusciva ad avvolgerlo ed accoglierlo in un modo che nessun’altra avrebbe potuto fare. All’inizio, trovava inquietante quel terzo occhio e le antenne, che lo fissavano, ma ora si era abituato. Sentirla gemere era la sua più grande soddisfazione. Si guardarono negli occhi, per qualche secondo. Loro erano creatori, generatori di universi, e chissà quale complesso sistema di stelle stava prendendo vita grazie a quella loro unione. Lei lo fece girare, facendolo finire di schiena, prendendo il controllo della situazione. Luciherus socchiuse gli occhi, avvolto dal profumo della cascata di capelli neri di lei. Ne avvertiva la magia, fortissima, che andava sempre più aumentando.

“Kasday…” sussurrò.

“Non chiamarmi così…” mormorò lei “Quello non è più il mio nome”.

“Ed allora qual è?”.

“Smettila di parlare…e godi!”.

Luciherus sorrise. Di certo non sarebbe stato lui a protestare davanti ad una richiesta del genere! Voleva dirle che era bellissima, che l’amava e che avrebbe fatto l’amore con lei per sempre, per l’eternità…ma si trattenne. Deglutì, percependo come la magia scorresse sempre più forte dentro e fuori di lui. Sapeva che per la Creatrice era lo stesso. La afferrò saldamente con le mani unghiate, incidendone la pelle volutamente. Lei si morse il labbro e si abbassò per morderlo, come risposta. Lui la strinse forte a sé e la costrinse a girare, di nuovo, riprendendosi la responsabilità, ben accetta, di dare il ritmo.

“Mi mangeresti tutto, se potessi?” le disse, parlandole all’orecchio.

“Non istigarmi…” rispose lei, mordendolo di nuovo.

Ormai le loro magie erano quasi al culmine ed arrivarono al massimo della loro carica con un gran lampo di luce, che si disperse tutt’attorno come in un’esplosione.

“Avete programmi per la serata, signora Creatrice?” ridacchiò Luciherus, abbracciandola dolcemente ed accarezzandola “Perché io resterei volentieri qui a liberare altra magia”.

“A dir la verità…” rispose lei, ad occhi chiusi “…i mortali ci aspettano”.

“Che due palle” brontolò lui, affondando la testa nella capigliatura corvina della Dea.

 

†††

 

“Elehcim, vieni qui!” chiamò Lehelin.

Aveva chiamato così il proprio figlio, creatura sua e del Dio Kaos, perché inspiegabilmente aveva gli occhi rossi come il sangue. Il bambino d’Oscurità non badò più di tanto agli ordini della madre e continuò a gironzolare per l’immenso salone del palazzo della Roccia.

Erano trascorsi dieci anni dalla fine del viaggio dei cosiddetti prescelti. Una volta l’anno, in ricordo di quell’avventura, la compagnia, assieme ai reali ed agli Dèi, si ritrovava in uno dei regni, a rotazione. Si era appena compiuto un giro completo di Asteria e, quell’anno, l’onore spettava nuovamente al regno di Roccia, il primo che aveva accolto quelle celebrazioni a pochi mesi dalla fine della missione.

“Com’è diventato grande…” commentò Hanjuly, riferendosi al bambino di Lehelin.

“Già. Ha preso tutto dal padre…” ghignò la madre, ripensando alle dimensioni di Kaos.

Il piccolo correva avanti ed indietro, coinvolgendo anche gli altri bambini della sala.

“Potrei avere per un attimo la vostra attenzione, per favore?” parlò Thuwey, su un palco.

Stringeva il microfono nella mano sinistra ed un boccale semivuoto nella destra.

“Volevo ringraziare tutti quanti voi di essere qui, a nome di Mattehedike che è un timidone e non ha il coraggio di parlare”.

La Roccia gli rispose alzando il dito medio. Gli altri applaudirono.

“Come ogni anno, un gruppetto di noi ha preparato qualcosa di speciale per ricordare i bei vecchi tempi e per festeggiare. Sappiamo che il tempo passa per tutti, e che alcuni di voi iniziano a sentire la vecchiaia…” ghignò, guardando Kassihell che gli mostrò la lingua “…ma vorremmo tanto vedervi ballare. Questo vale anche per la mia meravigliosa moglie…ti amo, lo sai vero?”.

“Lo strozzerei quando fa così…” ridacchiò Lehelin, facendo un cenno con la mano al marito.

“Questa è un’altra cosa che non mi sarei mai aspettata…” commentò Idisi.

“Cosa? Che mi sposassi?” sorrise l’Oscurità.

“Sì, esatto. Sembravi così…non so come dire…”.

“Poi…” si intromise Hanjuly “…una volta avuto quel bambino dal Dio Kaos, tutti noi pensavamo che non avresti avuto bisogno di altro. Invece…”.

“Anche se dieci anni fa ho avuto Elehcim, e che perciò il mio "dovere" nei confronti del mio popolo si sia compiuto, dando un erede al trono all’Oscurità, non significa che mi fossi abituata all’idea di svegliarmi sempre da sola. Aprire gli occhi percependo al tuo fianco che c’è la persona che ami è una sensazione meravigliosa. E poi, io e Thuwey stiamo bene…”.

“Mai detto il contrario! L’annuncio del vostro matrimonio, sette anni fa, ha lasciato sbalorditi tutti quanti” commentò Hanjuly.

“Esattamente come a me ha lasciato sbalordita l’annuncio della nascita del tuo quinto figlio!” rispose Lehelin.

Il Ghiaccio guardò le sue creature, orgogliosa. Erano tre maschi e due femmine, di età variabile fra gli otto anni ed i pochi mesi. Due di loro, il primogenito ed una bimba, assomigliavano molto al padre, mentre gli altri tre erano più vicini alla madre. Tutti mezzosangue, ovviamente.

Idisi e Kassihell erano alle prese con i loro figli adolescenti, che davano noie ai presenti perché avrebbero preferito essere altrove, senza specificare dove fosse quell’"altrove" e, soprattutto, a fare cosa. Il Fuoco guardava con preoccupazione il principe ereditario, notando le occhiate che lanciava alla figlia maggiore della Terra. Sospirò, chiedendosi dove stesse andando il mondo, ma poi si rilassò. Vide il suo fratellastro, Kire, in compagnia di altri sanguemisto e si disse che, se il mondo doveva diventare come loro, non era poi così male.

“Stai fermo contro il muro, Semar” disse Roary.

“Cosa vuoi fare?” sorrise il mezzosangue, felice di essere coinvolto nei giochi che proponeva la sua collega, obbedendo all’ordine.

“Ti mostro quanto sono brava a lanciare i coltelli” rispose lei.

“Bello! Li lancerai vicinissimi a me, senza sfiorarmi? Figo…”.

“No. Ti mostrerò come so colpire i punti più dolorosi, riducendoti in fin di vita ma non uccidendoti. Basta solo che te ne stia fermo lì…”.

Semar lanciò un grido e si mise a correre, inseguito da Roary con un affilato coltello in mano. Danjell sorrise a quella scena. Orebrec, l’enorme bestia nera una volta appartenuta ed Elehcim, correva libera per il giardino ed il mezzosangue decise di andarci a giocare, lasciando Roary e Semar ai loro divertimenti pericolosi. I due zigzagavano per il salone, fra gli sguardi dei presenti, per nulla stupiti da quel loro solito comportamento.

“Posso offrirti da bere?” disse Zameknenit, rivolto a Kassihell.

“Non si rifiuta mai, specie se a procurare l’alcol è Xoduzz, il Dio col nettare degli Dèi!” rispose il Fuoco, guardando storto la figlia che voleva unirsi a loro.

Il figlio del re dell’Aria aveva meno di un anno di differenza dal piccolo Elehcim ed insieme stavano complottando qualche guaio, nascosti dietro il colonnato ed osservando gli adulti. Aherektess li notò, ma non disse nulla. Suo nipote era un vero demonio, specie se in compagnia dell’erede di Kaos, e lui era stanco di badarci. Vederlo crescere aveva cancellato definitivamente dalla sua testa ogni desiderio di paternità. Faceva il consigliere e regnava assieme al fratello, circondato dalle numerose creature che il gemello aveva messo al mondo assieme alle consorti. Come una mandria, questi si muovevano tutti assieme, svolazzando qua e là. Non passò molto tempo prima che il primogenito, istigato da Kaos junior, si facesse notare lanciando sassolini con un piccolo elastico. Aherektess ridacchiò, soprattutto quando la madre del piccolo andò a sculacciarlo e Lehelin rimproverò Elehcim, consapevole del fatto che fosse lui la mente in quello scherzo.

Lei era divenuta regina dell’Oscurità dopo la decisione di Ozymandias di ritirarsi. Era presente pure lui quel giorno in sala e parlottava assieme a Kaos, probabilmente riguardo alle capacità distruttive del piccolo di casa.

“Scusate il ritardo! Non avrete mica iniziato senza di noi, vero?” esclamò Reishefy, piombando nel salone assieme ad Enki.

Le due, essendo libere da doveri di successione, viaggiavano indipendenti per il pianeta, come ambasciatrici del loro elemento e come esploratrici. Enki si era messa a studiare medicina e girava il mondo alla ricerca di nuove cure fra i vari regni. Reishefy si era appassionata al mondo animale e vagava per Asteria alla costante ricerca di nuove specie. Fin ora, viaggiando assieme, avevano entrambe ottenuto ottimi risultati.

“Non avevamo dubbi sul vostro ritardo. È da anni che siete le ultime!” ghignò Kassihell.

Lui era divenuto Imperatore del Fuoco appena terminato il viaggio. Questo perché Vehuya e Jovihann, entrambi presenti, avevano deciso di ritirarsi per i fatti loro in una casetta in campagna, sperduta ed isolata, dove poter vivere in pace la loro storia. Lui e Kire erano stati incoronati lo stesso giorno, sotto lo sguardo orgoglioso delle divinità.

“Possiamo iniziare adesso? Ci siamo tutti?” domandò Thuwey.

Per il periodo immediatamente successivo alla missione, il Metallo aveva regnato accanto al fratello Kire, aiutandolo e godendosi la vita da figlio di regina. Ad un anno esatto dallo scioglimento della compagnia, giorno in cui le celebrazioni di memoria si erano svolte nel regno dell’Oscurità, non era stato più in grado di andar via dall’allora principessa di quel mondo ed il suo neonato bambino. Ozymandias aveva brontolato un sacco all’idea di lasciare in mano la sua specie a quello straniero alto due metri ma alla fine aveva ceduto, convinto soprattutto dal nipotino, affezionatasi a Thuwey a tal punto da chiamarlo papà. Ora re dell’Oscurità, il Metallo si sentiva perfettamente a suo agio nel buio totale e si era abituato in fretta alla nuova casa priva di luci.

Sul palco, alle spalle di Thuwey, c’era Efrehem con fra le mani il violino donatagli da Enrikiran. Salutò i figli e la moglie Ghiaccio. Era re della Luce da qualche anno, in successione all’anziano nonno Friedrik. Ovviamente, Hanjuly era regina, molto apprezzata dal regno perché considerata una creatura più unica che rara per il suo modo di fare entusiasta e pieno di idee.

Enrikiran riconobbe lo strumento e sorrise, sorseggiando un po’ della bevanda fornita da Xoduzz. Thuwey gli faceva segno di raggiungerli sul palco, ma il Dio non aveva alcuna fretta. Aspettava il fratello Loreatehenzi, come sempre in ritardo.

Mattehedike fece segno al Metallo di iniziare, notando l’irrequietudine e l’impazienza di Taranis e Mihael, desiderosi di buttarsi nella mischia a far casino. Il re della Roccia era cresciuto, divenendo molto più grosso rispetto a dieci anni prima. Nonostante fosse passato tutto quel tempo, per le creature del suo elemento era ancora giovanissimo. Di fatti, non aveva ancora nemmeno iniziato a pensare al fatto che un regno necessitava di un erede e di una regina. Anche se giravano voci su una particolare simpatia fra lui e Reishefy…

Idisi applaudì, incitando l’inizio dello spettacolo. Era seduta al tavolo, accanto ad Heronìka, ed era leggermente ubriaca. Era divenuta insegnante, famosa in tutto il regno. Guardò la regina della Terra ed il suo consorte nel loro ennesimo e disperato tentativo di far stare buono il loro figlio, che si era unito alla pessima compagnia di baby Kaos ed il principino dell’Aria. In tre, erano paragonabili ad un ciclone vivente, che si lasciava alle spalle solo urla e danni. A nulla servivano i rimproveri, le punizioni ed i richiami. Il potere di Elehcim era impareggiabile e soggiogava chiunque.

“È proprio sangue del mio sangue” commentò Kaos, osservando la scena.

“Già. Non potevo chiedere un nipotino migliore!” commentò Ozymandias.

“Non dovresti dargli un contegno? Almeno tentare di…” iniziò Vereheveil, ma Kaos lo interruppe, facendogli notare l’insensatezza di dare un ordine al disordine.

Ad un tratto, la musica iniziò. Tutti si girarono verso il palco. Enrikiran e Luciherus erano alle due chitarre, speculari essendo il secondo mancino. La Creatrice, leggermente nascosta dalle immense ali del Dio del regno della Roccia, era alla batteria. Aveva otto braccia, segno che, in quegli anni, aveva dato vita ad un nuovo pianeta. Di certo quell’abbondanza di arti la aiutava con quello strumento. Efrehem suonava il violino e la tastiera, a seconda del momento, mentre Thuwey cantava, agitando i lunghissimi capelli.

Molti dei presenti si alzarono, andando verso i suonatori per ballare. Xoduzz, con in mano due boccali colmi di un qualche imprecisato liquido superalcolico, era al centro della sala, con un braccio attorno alle spalle di Dharam. Entrambi piuttosto alticci, cantavano a squarciagola, scuotendo la testa a ritmo. Mihael si unì, esaltandosi per la lunghezza della sua capigliatura. Loreatehenzi, come sempre, arrivò in ritardo ma non perse tempo. Prese a braccetto Mihael ed insieme iniziarono a girare. Dopodiché, andarono a tormentare tutti coloro che erano rimasti seduti. Sollevarono Vereheveil di peso, tanto per dare l’esempio. Il Dio della Luce si sentì circondato e non trovò altra soluzione che quella di ballare. Heronìka rise nel vederlo, a crepapelle, e lui, notando che era ancora seduta, mandò i suoi colleghi di Aria e Metallo a prenderla. Nel giro di pochi minuti, le divinità di Luce ed Acqua stavano saltando fianco a fianco, a ritmo di musica. Taranis si muoveva assieme alla figlia e ad Enki, in piedi su un tavolo. Semar, sempre inseguito da Roary ed i suoi coltelli, sollevava i pugni in aria a ritmo. Kire scosse la testa. Aveva individuato i venti fedelissimi mezzosangue che lo avevano sempre seguito lungo tutta la sua esistenza. Aseret gli fece segno di unirsi alle danze. Lui si guardò alle spalle, avvertendo un chiaro “io non ballo” da parte della sua terza ombra, che incrociò le braccia. La ignorò e si portò al centro della sala, fra gli Dèi ed i colleghi. Idisi vide la figlia ballare con l’erede di Kassihell, all’improvviso non più annoiata dalla situazione. Kassihell fu trascinato per le braccia da Aherektess, anche lui mezzo ubriaco.

“Potrebbe essere l’ultimo ballo che fai, vecchiaccio!” lo derise l’Aria.

“Ma vaffanculo!” ridacchiò l’imperatore del Fuoco.

Elehcim corse verso la madre, prendendola per mano e portandola in prima fila. Hanjuly danzò con Xoduzz, più che felice della cosa, ed Ozymandias. Kaos rise, coprendosi il viso con le mani, ma poi fu costretto ad alzarsi dal figlio che voleva insegnargli come si balla. Era uno spasso vedere una minuscola ombra che si agitava tentando di far fare lo stesso ad un impedito genitore. Solamente Gibrihel rimase fermo dov’era, soddisfatto del fatto di avere un punto strategico dietro al bancone dove stavano i cibi e le bevande, dandosi alla pazza gioia.

 

“Sai cosa potremmo fare?” disse Mihael, rivolto al collega della Terra durante una pausa.

“Spara” rispose Gibrihel, addentando una specie di cialda.

“Ho sentito parlare di un mondo in un altro universo, detto "pianeta azzurro", ma di cui d’azzurro è rimasto ben poco, in cui potremmo fare un sacco di casino indisturbati”.

“Spiegati…” rizzò le orecchie l’altro, mandando giù l’ultimo boccone.

“Questo pianeta di cui ti parlo è un mondo ormai morto. Le creature che lo abitano sono piuttosto stupide, per giunta. Fra catastrofi naturali, perché il pianeta vuole disfarsene, e disastri che provocano loro stessi…non so quanto tempo gli resti. Non fan altro che farsi la guerra con sistemi tutt’altro che divertenti. Altro che scontri con spade o altre armi interessanti!! Van giù di bombe ed intrugli chimici. Il tutto fra un’eruzione, un tornado, uno tsunami o chissà che altro…”.

“Dici che, se noi due andassimo là a far un po’ di casino, i cretini che abitano quel pianeta non se ne accorgerebbero?”.

“No. Sono troppo concentrati sulle loro beghe interne. Disastro in più, disastro in meno…direi che un po’ di divertimento lo meritiamo pure noi, non trovi?”.

Gibrihel sorrise, raggiante all’idea di spaccare qualcosa senza essere punito. Asteria era divenuto un posto noioso da quando andavano più o meno tutti d’accordo. Qualche litigio c’era sempre, ma niente di rilevante o catastrofico.

“Quanto dista da qui?” domandò.

“Dovrei chiedere alla Creatrice…” rispose Mihael “…perché il pianeta di cui parlo è quello che regge con la mano di colore nero. Quella che lascia rilassata su un fianco senza farci caso, quasi non le importasse più…”.

“Chiediamo, allora!”.

Si avvicinarono alla Dea, che sorseggiava un cocktail con un ombrellino nel bicchiere. Lei li fissò, con aria interrogativa.

“Bravissima alla batteria” sviolinò Mihael.

“Cosa ti serve?” ridacchiò lei, giocherellando con la decorazione della bibita.

“Noi vorremmo sapere dove si trova il pianeta azzurro…quello che tenete in quella mano laggiù…” spiegò Gibrihel, indicando la piccola pallina grigiastra.

“Ah…questo…” borbottò lei, sollevando la mano in questione e lanciandogli un’occhiata solo di sfuggita, distrattamente “E per quale motivo?”.

Mihael sapeva bene che la creatrice conosceva già la risposta. Si divertiva, però, a testare la sincerità ed il coraggio dei suoi sottoposti.

“Vogliamo farci un giro” mentì Gibrihel.

“Vogliamo fare un po’ di casino…” ammise Mihael.

“Mi fareste un favore” disse lei, riabbassando la mano e ricominciando a bere con la cannuccia “Quel mondo non fa altro che darmi problemi. È stato un esperimento poco riuscito, salvo alcune cose. La più sbagliata, di certo, è stata quella di affidare tutto in mano ad un branco di esserini esaltati e con le manie di grandezza. Si son moltiplicati peggio dei virus ed ora il pianeta stesso si è rotto le palle. Lui non ha tanti errori, dopotutto. Liberatelo da quelle creature fastidiose, e potrei ancora recuperarlo”.

Gibrihel e Mihael si guardarono, increduli.

“Di che state parlando?” domandò Luciherus, intromettendosi nella conversazione.

Anche lui beveva, da un elegante calice d’argento.

“Parliamo di uno dei nostri figli, il pianeta azzurro…che ora azzurro non è più di tanto” spiegò la Creatrice, facendosi dare un piccolo bacio.

“Ah…quello! Pensavo fosse esploso da tempo…non doveva finire anni fa?”.

“Mi son dimenticata. Ma ora mando tuo fratello e Gibrihel a rimediare”.

“Tutto il divertimento a loro?! Ed io?!”.

La Dea ruotò gli occhi al cielo, scuotendo la testa.

“Sei peggio dei bambini. Io non ti trattengo. Se vuoi andare con loro, vai pure! Così potrai guidarli, dato che non sanno la strada”.

Luciherus sorrise, soddisfatto, e propose di fare un brindisi alle catastrofi naturali.

Heronìka e Dharam, contrari solitamente a decisioni del genere, non ci fecero più di tanto caso. Vereheveil, circondato da vari bambini che amavano tormentarlo dato che non si arrabbiava mai, si trovò in difficoltà quando il figlio di Kaos iniziò a rendere quella breve tortura un qualcosa di organizzato e finalizzato a fargli perdere le staffe. Era riuscito a farlo circondare e, lentamente, lo stava spingendo verso una colonna, impedendone la fuga. Dietro il gruppo di bimbi, passò Semar urlando, speranzoso che la sua inseguitrice armata si stancasse, prima o poi.

“Elehcim! Lascia stare il signore!” rise Kaos, solo dopo che il suo collega di Luce si ritrovò ricoperto di succo di frutta di vario colore.

La lunga veste candida che portava, ora era piena di macchie appiccicose. Non si arrabbiò, e questo diede conferma alle madri dei piccoli che “si stavano innocentemente divertendo”. Solamente Lehelin tentava, invano, di dare un controllo al figlio, perfettamente consapevole che non aveva senso essendo il futuro Dio Kaos. Inoltre, quel bambino aveva un’innata capacità di scaricare la colpa sugli altri finché possibile oppure fissare chi lo sgridava con grandi occhi lacrimevoli, convincendo chiunque che era pentito e dispiaciuto. Ovviamente, Kaos era orgoglioso di lui ogni giorno di più. Thuwey, sorridendo, preferiva non infierire con le battaglie inutili della moglie. In casa aveva un Kaos in miniatura, alzare la voce non avrebbe fatto altro che incentivare il suo animo privo di ordine. Adorava quel bambino e, guardando il Dio che lo aveva generato, si chiedeva spesso come avessero fatto, al tempo, i genitori di quella divinità fumosa. Non osò nemmeno immaginare come sarebbe stata la situazione da lì a qualche anno, quando quella piccola peste sarebbe divenuta adolescente. Kassihell gli sembrava proprio nei guai fino al collo, con un sedicenne convinto di essere pronto a regnare, una tredicenne che si sentiva già grande ed un quasi dodicenne che si atteggiava seguendo l’esempio del fratello. Idisi non era messa meglio, con due ragazzine in piena ribellione. Il Metallo sospirò, sperando che lo sviluppo arrivasse tardi in quel bambino, il più tardi possibile!

“Ecco perché io non ho avuto figli!” ridacchiò Aherektess, intuendo i pensieri del collega.

“Non è figlio mio, infatti…” ghignò Thuwey.

“Facciamo un brindisi: agli eterni bambini!” propose l’Aria.

Il Metallo lo guardò con rimprovero. Poi sorrise, tentando di immaginarsi Efrehem alle prese con una delle sue figlie, che sarebbero divenute di certo più alte di lui data la stazza della madre, chiedergli di poter uscire con uno sbarbatello sconosciuto indossando una minigonna inguinale. Scoppiò a ridere, avvertendo quasi nostalgia di quando viaggiava con gli altri nove prescelti.

Nell’aria si era diffusa una musica tranquilla, rilassante. Reishefy e Mattehedike ballavano. Ormai la festa era giunta al termine. Era tempo di andare. Si sarebbero ritrovati fra un anno esatto, nel palazzo del regno dell’Oscurità.

 

†††

 

La mia storia finisce qui. Io, Efrehem, re della Luce, sento di non aver altro da riportare oltre a questo. Immagino, e ritengo, che spetti a chi mi seguirà continuare questa storia. Spero di aver riportato ogni dettaglio nel modo corretto. Rileggendolo, non posso che provare una forte nostalgia ed un’incredibile tenerezza per come eravamo, per com’ero. A volte mi capita di svegliarmi e pensare ancora che sia stato tutto un mirabolante sogno, frutto di chissà quale cena pesante. Ma poi lo riprendo in mano e mi rendo conto che è tutto vero. Guardo mia moglie, i miei figli, e so che per davvero ho contribuito a salvare Asteria. Non ci vedo nulla di artistico in ciò che ho scritto. È un semplice diario, un racconto di viaggio. Un viaggio che ha cambiato il pianeta stesso, oltre che me ed i miei compagni, a cui sono fiero di aver preso parte.

 

≈ FINE ≈

 

PERSONAGGI PRINCIPALI

 

Aherektess

Significato del nome: Guerriero di pace

Elemento: Aria

Data di nascita: 22.3

Luogo di nascita: Bahram, capitale del regno dell’Aria

Età: 31

Altezza: 1.87

Arma: Spade ricurve

Descrizione: Occhi rossi, capelli blu, piumaggio sulle braccia di colore arancio, tatuaggi verdi su tutto il corpo, piccole orecchie a punta (con orecchino su quello sinistro), zigomi pronunciati, corporatura slanciata.

Note: Gemello di Zameknenit, re dell’Aria, si sveglia dopo 20 anni di coma causato dall’attacco del regno del Fuoco. A causa di questo “sonno forzato”, all’inizio non sa molto bene approcciarsi al mondo reale, specie al fatto che sia suo fratello a governare e comandarlo. Spirito libero, senza né regole né schemi, cerca se stesso e gli anni persi. Adora dormire appollaiato sugli alberi, canticchiare fischiettando, mangiare semi di vario genere e frutta (non disdegna uno spicchio di mela, ogni tanto) . È claustrofobico e starebbe all’aperto sempre, anche sotto la neve.

 

Efrehem

Significato del nome: Che possa crescere, dare frutto

Elemento: Luce

Data di nascita: 29.10

Luogo di nascita: Balder, capitale del regno della Luce

Età: 24

Altezza: 1.62

Arma: Il cervello e la magia

Descrizione: Occhi arcobaleno, principalmente verdi, capelli neri a ciuffi sparsi ed antenne rosse con occhi gialli sulla testa.

Note: Nipote di Friedrik, re della Luce, impara le lingue con molta facilità. Estremamente curioso (ed impiccione), annota tutto su un quaderno, nonostante la notevole capacità di memoria. Logico e controllato, si trova a disagio all’inizio con il gruppo, non essendo abituato alla compagnia. Ama specchi e cristalli per i giochi di luce che sono in grado di creare. Suona diversi strumenti e compone canzoni in stile classico. Anche se non lo ammetterà mai, ha paura del buio.

 

Elehcim & Kire

Significato del nome: Kire = potente dominatore della patria. Elehcim = Dio come chi? (O come cosa?)

Elemento: Misto Fuoco e Metallo

Data di nascita: 6.12

Luogo di nascita: ?

Età: 24

Altezza: Variabile. Con il caldo si espandono.

Arma: Se stessi

Descrizione: Gemelli speculari omozigoti. Occhi rossi (più o meno vivaci a seconda del grado di intensità della rabbia), capelli neri (lunghi in Kire), svariate cicatrici dovute al fuoco e spuntoni metallici un po’ dappertutto. Due ombre, denti ed orecchie a punta.

Note: Figli di Vehuya e Jovihann, abbandonati e cresciuti da Neziar, un sanguemisto come loro. Kire, il gemello nato qualche attimo prima, presenta una spiccata capacità di comando (è, di fatti, il capo dei mezzosangue). Paranoici quanto basta per poter pensare continuamente alla fine del mondo, insieme guidano una rivolta contro i sanguepuro innescando una battaglia in cui Elehcim perderà la vita. Kire, una volta portata a termine la missione dei “prescelti”, diverrà re del Metallo, in sostituzione alla madre. Ascoltano musica Rock, si intrattengono fra loro raccontandosi storie dell’orrore, odiano le fisarmoniche, sfamano Orebrec (una specie di cane gigante) e fingono di essere sani di mente (non ci riescono tanto bene). Immancabili gli occhiali scuri di Elehcim.

 

Enki

Significato del nome: Signore del mondo inferiore

Elemento: Acqua

Data di nascita: 16.2

Luogo di nascita: Satis, capitale del regno dell’Acqua

Età: 18

Altezza: 1.68

Arma: Non sa combattere, usa la magia del suo elemento.

Descrizione: Occhi tondi, da pesce, pelle squamata in sfumature verde/blu, capelli corti e cresta in testa. Mani e piedi palmati.

Note: Secondogenita dei reali dell’Acqua, non è mai uscita da palazzo e, di conseguenza, è una gran fifona. Il mondo esterno è una continua novità e questo la spaventa. Imparerà a trovare coraggio. Ama parlare con i pesci, fingersi morta come loro (ribaltandosi sulla pancia), bollire a 100 gradi ed evaporare. Non apprezza l’insalata di mare, le reti ed i phon.

 

Hanjuly

Significato del nome: Che ha misericordia e pazienza

Elemento: Ghiaccio

Data di nascita: 10.8

Luogo di nascita: Enrivai, capitale del regno del Ghiaccio

Età: 25

Altezza: 1.83

Arma: Un bastone che, premendo un tasto, diviene un cerchio con lame gelate.

Descrizione: Lunga treccia bionda, occhi azzurri, pelle bianca, forme prosperose e tratti del corpo ricoperti di ghiaccio/vetro

Note: Terzogenita dei reali del Ghiaccio, è l’unica figlia femmina. I genitori, aspettandosi da lei un comportamento da principessa, han tentato di farla addolcire fin da bambina. Purtroppo per loro, Hanjuly è di carattere forte, deciso, ed è più simile ad una guerriera che ad una principessina. Sposerà Efrehem e diverrà regina della Luce. Avrà numerosi figli al quale insegnerà ad essere tosti come lei. Il suo cibo preferito è il gelato ed i cibi surgelati (che mangia senza scongelare). Campionessa in “stacca la testa ai pupazzi di neve” e “ammazza il tuo vicino a palle di ghiaccio”. Vorrebbe abbronzarsi ma non può stare troppo alla luce diretta.

 

Idisi

Significato del nome: Destino

Elemento: Terra

Data di nascita: 6.6

Luogo di nascita: ?

Età: 34

Altezza: 1.78

Arma: Bastone/remo a cui la Roccia aggiungerà delle punte

Descrizione: Occhi color grano/oro, capelli verdi (sfumati verso il blu), pelle verde chiaro, gambe in corteccia, fiori e foglie fra la capigliatura. Orecchini quadrati, piccole orecchie a punta, vestito in piume e oro.

Note: Maga alla corte della Terra, diviene insegnante al compimento della missione. Amica fidata della regina Midir, prevede la nascita dell’erede del regno e stabilisce l’ordine di viaggio fra i suoi compagni. Paziente, difficile che si arrabbi, tenta sempre di mantenere il controllo su tutto. Ha una certa autorità, che dimostra nei casi di lite furibonda fra Fuoco ed Aria. Le piacciono le piante e gli animali (un po’ meno le farfalle, dopo questo viaggio…). Nel tempo libero, sparge semi a caso in giro per vedere cosa ne nasce. Ha paura dei diserbanti e dei boscaioli.

 

Kassihell

Significato del nome: Angelo della Morte

Elemento: Fuoco

Data di nascita: 13.4

Luogo di nascita: Gibil, capitale del regno del Fuoco

Età: 35

Altezza: 1.73

Arma: Katana

Descrizione: Occhi nocciola, capelli mori spettinati lunghi fino alle spalle, barba incolta, tatuaggi di fiamma sul corpo e cicatrici.

Note: Figlio di Vehuya, diviene imperatore del Fuoco. Abilissimo nel combattimento (è stato numerose volte in guerra) e nel tirar su rissa, mostra il suo lato tenero solamente con la moglie ed i tre figli. Vorrebbe tanto incenerire mezzo mondo ma si trattiene, più che altro per non sprecare energie. Odia gli abbracci, i baci, le dimostrazioni di inutile affetto, i complimenti “riempi conversazione” e le chiacchiere inutili. La sua Katana è il suo alterego, non se ne separa mai, e la venera come una Dea, una figlia o un amante. Piuttosto egoista ed irascibile, rinuncerà alla vista da un occhio per salvare la vita ad Efrehem. Detesta i gavettoni e le pistole ad acqua. Le pietre focaie e gli accendini, invece, son la sua passione. Poco propenso nell’adorazione divina, troverà in Kaos molti punti in comune.

 

Lehelin

Significato del nome: Lacrima di luce

Elemento: Oscurità

Data di nascita: 11.9

Luogo di nascita: Varuna, capitale dell’Oscurità

Età: 23

Altezza: Variabile

Arma: Se stessa

Descrizione: Piccola, con grandi occhi argento, corpo fatto d’ombra fumosa.

Note: Combatte immobilizzando i nemici calpestandone l’ombra. È la figlia di Ozymandias, il sovrano più minaccioso di Asteria. Detta “l’incantatrice”, ha notevoli capacità magiche anche se si trova in estrema difficoltà in presenza di luce o fiamme. Non avendo un corpo fisico, è difficile da colpire e da ferire. Allo stesso tempo, per lei è difficile infierire fisicamente se non con l’uso dell’oggetto proibito. Inquieta, alla ricerca di qualcosa che non sa bene nemmeno lei che cosa sia (in realtà lo sa ma tenta di ignorare la realtà). Avrà un figlio con il Dio Kaos, che chiamerà Elehcim per via degli occhi rossi. Imbattibile in ombre cinesi.

 

Mattehedike

Significato del nome: Dono degli Dèi vincitori

Elemento: Roccia

Data di nascita: 1.4

Luogo di nascita: Un paesino non chiaro fra i monti della Roccia

Età: 23

Altezza: 1.66

Arma: Pugni e calci

Descrizione: Rasato, con un piccolo codino scuro. Corna di pietra  rivolte all’indietro, corpo con varie parti in Roccia, vestito marrone o a quadretti, occhi scuri.

Note: Nato nella zona montuosa del regno, partecipa ad un torneo indetto dal re per stabilire chi fosse il guerriero più forte dell’elemento. Vince grazie alla sua notevole potenza fisica. Esaltato e convinto delle proprie capacità, non accetta consigli perché certo di sapere ogni cosa. Ha paura delle altezze e soffre di vertigini, mal d’aria e mal di mare. Questo non gli impedisce di esaltarsi comunque, convinto di essere imbattibile. Il suo sogno è vivere come una talpa, avvolto dalla terra e dimenandosi come un verme. Non è molto espressivo e partecipe.

 

Reishefy

Significato del nome: Signora della freccia

Elemento: Elettricità

Data di nascita: 4.7

Luogo di nascita: Fornjotr, capitale del regno dell’Elettricità

Età: 17

Altezza: 1.70

Arma: Magia e sfinimento altrui

Descrizione: Capelli zigzaganti di colore variabile fra il bianco, il giallo ed il nero. Occhi densi d’elettricità, vestito a fulmini e pelle costantemente attraversata dalle scosse del suo elemento. Coda terminante con sfera a piccoli fulmini.

Note: La più giovane della compagnia, non smette un attimo di dimostrarlo. Immatura ed infantile, con la bocca sempre aperta, si caccia spesso nei guai trascinando con sé chi le sta accanto. Pensa raramente alle conseguenze delle sue azioni, prendendo tutto alla leggera. Tentare di farla calmare o ragionare è inutile, và contro il suo stesso elemento. Quando non ha nulla da fare, infila le dita nelle prese di corrente e lancia scosse in giro a caso, abbracciando gente che non vuole di certo ricevere un “dono” del genere. Sempre di buon umore, ottimista oltre ogni limite, non si ferma mai e trova divertente ogni cosa. Potente nell’uso dell’Elettricità, riesce a vincere nei combattimenti  anche con l’uso logorroico della voce.

 

Thuwey

Significato del nome: Sogno ritrovato

Elemento: Metallo

Data di nascita: 3.11

Luogo di nascita: ?

Età: 27

Altezza: 2.02 (In media. Con il caldo aumenta, con il gelo cala)

Arma: Se stesso

Descrizione: Altissimo, occhi ramati, capelli corvini e dritti, lunghi fino al ginocchio. Vari spuntoni lungo tutto il corpo, orecchie a punta, labbra di colore nero. Abito scuro, lungo, con vari buchi per far passare le parti in metallo. Denti a punta.

Note: Orfano, ha combattuto fin da piccolo per ottenere ogni cosa. Figlio segreto della regina Jovihann, cela dentro di sé un’enorme potenza magica che usa nella lotta. Modifica il suo corpo a piacimento, facendolo divenire simile ad un’armatura o arma affilata. Il suo punto debole è l’acqua salata, che ne rovina la pelle. Odia fare surf, specie dopo l’avventura nel regno dell’Acqua. Risparmia in parrucchiere e vestiti. Nasconde il vero se stesso dietro un velo di cattiveria, con punte su petto e ventre per evitare ogni contatto. Ha un giro ristretto d’amicizie che, però, considera fondamentali e che difende con tutte le forze. Meglio non averlo come nemico. Capo delle guardie della regina, aiuterà il fratellastro Kire nei primi anni di regno, prima di divenire re dell’Oscurità sposando Lehelin.

 

Da ricordare inoltre…

 

Ø  I mezzosangue

Ø  I vari parenti, fratelli, amici e consiglieri dei protagonisti.

Ø  Gli animali domestici e le comparse.

Ø  La farfalla obesa.

 

DÈI

 

Creatrice

Regno d’influenza: Tutti

Mansioni: Generatrice di Universi e di Equilibrio (anche se è la prima ad infrangerlo)

Era di nascita: Terza

Arma: Tutto ciò che le passa per la testa

Descrizione: Lunghi capelli neri, occhi azzurri, antenne, coda elettrica, sette braccia reggenti ognuno un universo, terzo occhio ed iridi sul dorso di ogni mano, braccia piumate, spuntoni metallici, tatuaggi arricciati di pura magia.

Note: Da qualcuno chiamata Kasday (la divinità dal sesso incerto), ha creato Asteria ma la cosa non le è mai importata più di tanto. Crea per noia e per riempire lo spazio vuoto nell’immensità. Imbattibile alla batteria ed alla tastiera, compensa le sue carenze d’affetto (suo padre è Kaos…) creando creature al suo servizio. Lo schiavismo altrui la soddisfa, in parte. L’unico in grado di farla sorridere è Luciherus, suo amante occasionale. Manie di grandezza che si sprecano, spera di poter andare in pensione in qualche galassia morta in buona compagnia.

 

Dharam

Regno d’influenza: Fuoco

Mansioni: Controllore della stella Sirona (il sole d’Asteria) , delle fiamme, del magma/lava (vulcani e simili) e del calore

Era di nascita: Seconda

Arma: Fuoco

Descrizione: Capelli rossi in fiamme guizzanti, tatuaggi di fuoco su tutto il corpo, occhi incandescenti, lungo mantello.

Note: Finge di essere serio, pacifista e responsabile. In realtà si dà alla pazza gioia in ogni occasione con musica ad alto volume, balli insensati, trenini conga, scherzi ai colleghi ed ai mortali (come mai oggi Sirona non sorge?!). Difficile che sia di cattivo umore, nonostante le provocazioni continue di Kaos e compagnia bella. Adora stare in spiaggia ad abbronzarsi, trangugiare cocktail di dubbia provenienza e consistenza, dare fuoco alle cose degli altri e cantare alle spalle del gallo, anticipandolo. Ha vinto il premio come Dio più “stiloso” d’Asteria.

 

Enrikiran

Regno d’influenza: Ghiaccio

Mansioni: Controllore del gelo e del ritmo

Era di nascita: Quarta

Arma: Chitarra ghiacciata

Descrizione: Cresta del suo elemento sulla testa, occhi gelidi, abiti chiari.

Note: Di poche parole, distaccato e logico, Enrikiran pare incapace di scomporsi. Estremamente difficile farlo ridere, o anche semplicemente farlo sorridere. Si sfoga suonando, attività che usa anche per combattere. Avvolto da un mondo parallelo geometrico, preciso e matematico, realizza tutto ciò che desidera con le note della sua chitarra. È il fratello maggiore di Loreatehenzi, l’unico in grado di fargli vivere qualche attimo di follia. Amico del famoso Uomo Ape, Dio degli insetti e delle punture, ed alleato con il terribile Dio delle vendemmie, passa il tempo libero (oltre che suonando, ovviamente…) mandando bug ai programmi di Xoduzz.

 

Gibrihel

Regno d’influenza: Terra

Mansioni: Dio della Terra, delle comunicazioni e dei trasporti

Era di nascita: Terza

Arma: Lancio di trenini ed una spada in legno indistruttibile

Descrizione: Alto, magro, vestito di verde con codino marrone chiaro.

Note: Amico fin dall’infanzia di Mihael e Luciherus, con cui ha condiviso un sacco di scorribande, si diverte pure lui a mandare bug ai giochi di Xoduzz. Il suo sogno è passare la sua esistenza sul divano ma la Creatrice, una vera rompiballe, non glielo permette. Ogni tanto ha voglia di spaccare qualcosa e quindi si mette d’accordo con un po’ di suoi colleghi, per non prendersi tutta la colpa. Esce di casa solamente se vi è costretto e segue la politica del “massimo risultato con il minimo sforzo” (chi non lo farebbe?!). Si imbuca ai concerti Rock dove finge di essere un mortale, ma l’altezza lo tradisce.

 

Heronìka

Regno d’influenza: Acqua

Mansioni: Controlla Acqua, oceano, maree, fiumi ed animali acquatici

Era di nascita: Quarta

Arma: Adorabili bestioline assassine (piranha, squali, murene, paguri killer)

Descrizione: Simile ad una sirena, lunghi capelli scuri.

Note: Solitamente tranquilla, tranne quando incrocia il colore rosso indosso ad una persona. Amica della Creatrice (nonostante il pessimo carattere di quest’ultima) ed amante dei viaggi, mangia porcherie di varia natura, salvo poi pentirsene perché non vuole ingrassare. Ascolta musica “cattiva” in cuffia, perché così nessuno le rompe le balle. Sogna ad occhi aperti, estraniandosi dalla realtà, a ritmo delle sue canzoni preferite. Questo, a volte, le fa perdere il filo del discorso con i suoi colleghi che non sanno se considerarla snob o spaventosamente distratta.

 

Kaos

Regno d’influenza: Oscurità

Mansioni: Controllo del buio, le tenebre, la notte, le ombre ed il caos

Era di nascita: Prima

Arma: La risata malvagia

Descrizione: Immenso, espandibile, occhi azzurri, senza contorni precisi.

Note: Pessimo carattere ed un senso sadico dell’umorismo. Se ne frega altamente di Asteria in sé ma, se questa dovesse svanire, svanirebbe anche parte del suo divertimento. È la divinità più antica e complicata, dentro di sé conserva la memoria di tutte le Ere passate e conserverà tutte quelle future, come oscura presenza costante. Ama spostare ogni cosa, soprattutto se appartiene ad altri, e pogare in compagnia. Con la sua particolare voce, bassa e vibrante, è il re del growl. Trova nel terrore il suo potere, deciso e convinto che non ci sia niente di meglio della paura preventiva, onde evitare di farsi mettere i piedi in testa (anche perché i piedoni di Ozymandias è meglio evitarli…). Mangia candele quando non sa che altro fare.

 

Loreatehenzi

Regno d’influenza: Aria

Mansioni: Controllo di vento, cielo, aria, nuvolette ed uragani

Era di nascita: Quarta

Arma: capelli avvolgenti

Descrizione: Piccolino e magro, ha lunghi capelli mori sempre mossi dal vento. Anche il pizzetto fa lo stesso. Solitamente veste di scuro o arancio.

Note: Totalmente fuori di testa, sempre in ritardo, incita al pogo di gruppo ogni volta che può. Famoso per l’hairbanding, colleziona oggetti con mucche, ed è amico dell’animale leggendario Pulcippo. Guarda film horror, fa agguati ad amici e nemici, svolazza di qua e di là con entusiasmo. Ha una piccola cagnolina che porta a spasso (Shilla). Sempre in cerca di nuovi alleati per sopravvivere alla terribile presenza del dannato Uomo Lucetta (un fastidioso essere che, come un parassita, vaga per le vie del pianeta e che gli Dèi vogliono eliminare).

 

Luciherus

Regno d’influenza: Roccia     

Mansioni: Dio della Forza e del Coraggio

Era di nascita: Terza

Arma: Spada, coda, testa, artigli…

Descrizione: Capelli blu scuro, lunghi e lisci, occhi aranciati, coda ed ali da demone, cicatrici di varia natura e vestiti scuri.

Note: Amante della Creatrice, l’unico in grado di sopportarla per davvero, passa il suo tempo accontentandola fisicamente o facendo danni in giro. Accanito fumatore e bevitore di intrugli alcolici. Distaccato dal mondo di Asteria, come da qualsiasi altro mondo, di cui poco gli importa. Vive per sé e per la Creatrice, è decisamente poco collaborativo. Egoista ed egocentrico, si arrabbia molto facilmente e reagisce con irruenza, violenza e scarso controllo. Non apprezza un granché la neve, che gli gela la coda, ma gradisce molto fare snowboard sulla lava di tanto in tanto. Ha una tale forza magica da essere considerato “creatore”, anche se tecnicamente da solo non crea un bel niente. Le sue “interazioni” con la Creatrice, però, fanno sì che lei generi universi. Il suo sogno è starsene spaparanzato tutto il giorno sul ciglio di un vulcano in eruzione a guardarsi le Lune di Asteria, sorseggiando drink in compagnia di qualche bella donna in grado di sopportarlo. Estremamente permaloso, si offende se viene chiamato “Lucy” o in altri modi “teneri”.

 

Mihael

Regno d’influenza: Metallo

Mansioni: Dio delle armi e della guerra

Era di nascita: Terza

Arma: Ogni cosa, dalle patate ai bazooka, ma la preferita è la sua inseparabile spada gigante dalla lama nera

Descrizione: Lunghi capelli scuri, barba intrecciata, imponente armatura, corna.

Note: Ama farsi chiamare “possente Mihael”. È il gemello di Luciherus, anche se sono decisamente diversi fisicamente. Combatte usando qualsiasi cosa e si diverte un sacco. Periodicamente parte alla distruzione di qualche mondo morto, tanto per mantenersi in allenamento. Indossa  magliette di gruppi metal di vario tipo. Và a spasso a pogare, rapisce Loreatehenzi per farlo unire alle sue scorribande. Amico d’infanzia di Gibrihel, passa il tempo libero a giocare con lui o con Xoduzz al PC. Mangia ogni schifezza che gli capita a tiro, con soddisfazione e senza ritegno. Usa le corna come fermacarte e porta appunti, dimenticandosi comunque un sacco di cose. Alleato di Loreatehenzi per la lotta contro l’Uomo Lucetta. Nemico giurato del Dio della Ruggine.

 

Vereheveil

Regno d’influenza: Luce

Mansioni: Dio della sapienza, delle scritture e delle lingue

Era di nascita: Terza

Arma: Nessuna. Dice che ferisce più una penna…

Descrizione: Grandi ali dorate piumate, capelli verde acqua, grandi occhi oro, tatuaggi di lettere e glifi su tutto il corpo, corporatura minuta.

Note: Amico d’infanzia della Creatrice, è il custode di tutta la cultura passata e moderna, ovviamente anche futura. Conosce tutte le lingue, di tutti i pianeti, di tutti gli universi. Stessa cosa vale per le scritture. Fra lui e Luciherus non scorre buon sangue, colpa di antiche gelosie d’amore, ma han imparato a sopportarsi (più o meno). È un Dio con immensa pazienza, sopporta praticamente ogni cosa, e buono d’animo (anche lui riesce ad essere bastardo, se si concentra!). Sempre pronto a dare consigli, anche non richiesti, e mettere l’ultima parola in ogni discorso. Ha profondi periodi di scarsa considerazione di sé, che passano venendo sostituiti da pura esaltazione intellettuale (“Perché voi non vi rendete conto che io so tutto!!”). Colleziona piume, penne e oche. Adora gli abbracci, ma non ha molto coraggio e quindi si limita a fare il faccino da cerbiatto in attesa di riceverne. Si stizzisce quando gli si inumidiscono le ali e le piume si gonfiano senza controllo.

 

Xoduzz

Regno d’influenza: Elettricità

Mansioni: Controllo di tuoni, fulmini, elettricità, giochi virtuali e liquori

Era di nascita: Quarta

Arma: L’alcol, le scosse ed i temporali

Descrizione: Capelli scuri a punte, cappotto lungo e nero, inseparabile casco per la realtà virtuale dei giochi.

Note: Custode del “nettare degli Dèi” (un intruglio assurdo di gradazione astronomica che solo gli Dèi e Thuwey possono trangugiare), è campione di “schiaccio il barile di birra con la testa”,  “mi guardo 30 dvd di fila senza pause” e “gioco per un mese intero senza fermarmi”. Il suo mondo parallelo divino è per lo più concentrato sulla dimensione virtuale del gioco, dove si è creato il suo alterego con cui combattere ed interagire. Assieme a Gibrihel, Mihael, Loreatehenzi ed a volte Luciherus (solo se porta una delle sue amanti di nome Lilith), organizza tornei di pogo, videogames, rutto melodico e gioco della scossa. Ha uno speciale radar interno per la birra e la gnocca, cose che cerca costantemente. Il suo sogno è formare una band con Kaos, Luciherus e Lilith (di cui si offrirebbe volentieri come guardia del corpo).

 

Da ricordare, inoltre…

 

Ø  Gli Sposi della Notte: Nikkal e Jarih (le Lune di Asteria).

Ø  Kuetzalikay ed Aeirimanios (gli amici di Luciherus).

Ø  Sirona, la stella attorno a cui ruota Asteria.

Ø  Pulcippo, che tutto può e tutto sa.

 

EXTRA

God’s Power (Ovvero “la Creatrice ha sempre ragione”)

Senza toccarne i pezzi, semplicemente guidandoli con movimenti delle mani, Dharam ed Enrikiran giocavano a scacchi. Kaos trovava quel gioco piuttosto noioso. Lui preferiva i giochi d’azione, quelli in cui aveva l’occasione di infierire fisicamente sugli avversari. Gli Dèi erano difficili da uccidere e quindi il divertimento poteva spingersi molto oltre. Perché accontentarsi di sparargli contro con fucili ad inchiostro colorato quando potevi permetterti di usare un vero bazooka?! Purtroppo per lui, povero Kaos, agli Dèi di quell’Era non piaceva farsi male. Quanta nostalgia aveva dei “cari vecchi tempi” in cui passavano tutto il tempo ad infierire uno sull’altro! Ma poi erano arrivati i mortali ed avevano dovuto darsi una calmata. L’oscuro Dio di nebbia pensò al figlio con speranza. Quel piccolino, così uguale a lui, avrebbe di certo portato nuovo scompiglio una volta diventato grande! Heronìka stava facendo aerobica, capovolta a testa in giù con la coda abbandonata all’indietro. Seguiva una dolce musica, nel vano tentativo di rilassarsi e non pensare all’esame di tedesco. Enrikiran sbadigliò. Loreatehenzi, seguito a ruota dal leggendario Pulcippo, volava a mezz’aria indossando una maglia bianca a macchie nere con la scritta “I love mucche”. Si appollaiò alle spalle del fratello ed osservò la partita. Dharam alzò gli occhi verso il Dio dell’Aria ma non aprì bocca. Mihael e Gibrihel, seduti in terra, giocavano a carte. Era un gioco fantasy, pieno di creature immaginarie o provenienti da altri pianeti. Le figurette riportate sulle carte prendevano vita, quando il loro proprietario le evocava, e combattevano per davvero. Lanciavano magie, si pestavano, rubavano oggetti…il tutto non divenendo più grandi di cinque centimetri. Finito il loro ruolo, tornavano nelle carte. Facevano un po’ di casino. Xoduzz, spaparanzato su un divano nero, offrì un po’ della sua birra ad un piccolo Goblin sfuggito al controllo dei due giocatori di carte. La creaturina non capì ed iniziò a giocare con i lacci delle scarpe di Vereheveil, che se ne stava tranquillo in poltrona a leggere un libro e non si accorse di nulla.

Xoduzz sorrise, soddisfatto perché a fianco aveva un grosso barilotto di roba alcolica, collegato alla propria bocca tramite una lunghissima cannuccia, e fra le mani reggeva il controller per il suo gioco virtuale preferito. Le immagini uscivano dallo schermo, coinvolgendolo direttamente nell’azione. Dharam diede solo un’occhiata di sfuggita “all’azione” e capì che aveva a che fare con donnine discinte.

“For the power of the Pulcippo!” ridacchiò Loreatehenzi, abbracciando forte l’animale ciccione e dal lungo pelo giallo.

Pulcippo si limitò a rispondere con un immancabile sguardo malvagio ed un “Cip” di circostanza.

“Giochiamo a "D.U.L."? domandò il Dio dell’Aria, non trovando di meglio da fare.

“E sarebbe?” biascicò Enrikiran, muovendo e ghignando per lo scacco al re.

“Dannato Uomo Lucetta!” rispose Mihael.

“È un gioco stupido…” commentò Kaos.

“È un gioco strafigo!” sbottò Xoduzz.

“No che non lo è!” riprese Kaos “Alla fine non muore per davvero Lucetta, giusto?”.

“Beh ma allora…potremmo andare a prenderlo ed ucciderlo per davvero!” propose Heronìka, rigirandosi dalla posa di rilassamento.

“Idea geniale. Mi piace! Sangue!!” esclamò Dharam.

Tutti lo fissarono. L’Uomo Lucetta era suo figlio…

Le divinità si alzarono ed iniziarono a prepararsi per la battaglia impari. Affilarono armi, prepararono strategie di tortura, scaldarono le mani per usare la loro magia, sciolsero la lingua per sfogarsi negli insulti più terribili…

“Dov’è Kasday?” domandò Luciherus, comparendo dal nulla con due bottiglie di birra in mano e la sigaretta accesa di sbieco fra le labbra “E voi dove cazzo andate?!” aggiunse, notando la compagnia in assetto di guerra.

“Sarà fuori a stendere…” rispose Vereheveil, cercando il libro più pesante in suo possesso da tirare sulla nuca del D.U.L. “…e noi ci stiamo preparando alla guerra”.

“Contro chi?” farfugliò Luciherus, giocherellando con la sigaretta.

“Contro l’Uomo Lucetta!” spiegò Mihael.

“Ancora lui?! Ma non vi siete rotti le palle?! Quell’insulso essere…”.

“Ma questa volta lo uccidiamo!” ridacchiò Kaos.

“Ah beh…se la mettete così…allora non posso mancare!”.

Pulcippo lanciò un grido di guerra terrificante, a cui si unirono le voci di tutte le divinità presenti.

“Che cos’è tutto questo casino??!!” sbraitò Kasday, facendo il suo ingresso in un lampo accecante ed un rumore simile ad un tuono. Indossava un grembiulino a fiori e teschi, allacciato alla sottilissima vita. I lunghi capelli corvini erano trattenuti da un fazzoletto impolverato e legato dietro alla nuca. Nelle varie mani reggeva stracci, spolverini, una scopa ed un aspira briciole gigante.

“Che fai, conciata così?” domandò Luciherus.

“Pulisco il porcile che lasciate sempre in giro voialtri. E non toccherebbe solo a me! Che cosa combinate?! Siete impazziti?!”.

“No! Stiamo andando a torturare l’Uomo Lucetta!” esclamò Loreatehenzi.

“L’Uomo Ape sta per raggiungerci…” aggiunse Enrikiran.

“Ed ho anche chiesto l’intervento del Dio della Gommapiuma” concluse Mihael.

“Prima il dovere e poi il piacere, miei cari. Questa casa è una merda e, finché non sarà tutto a posto, non vi lascerò andare fuori a giocare, intesi?” sbottò Kasday.

“Come sarebbe a dire?!” iniziò Kaos, gonfiandosi per lo sdegno.

“Non provarci nemmeno, papà. Chi comanda qui?” rispose la Creatrice.

Kaos non rispose, guardando la sua creatura ed incrociando le braccia.

“Avanti…dimmelo! Chi comanda qui?” incalzò Kasday.

“Tu” ammise il Dio oscuro, sospirando.

“Perciò ora, volenti o nolenti, ognuno al proprio posto e via, lavorare!! Poi potrete andare a divertirvi come meglio credete”.

Le divinità chinarono il capo, come bambini sgridati. La Creatrice, soddisfatta di aver ristabilito la giusta gerarchia, iniziò a distribuire i compiti.

“Mihael…” parlò, notando che il Dio tentava di svignarsela “…le tue armi sono tutte sparse in giro. Non voglio più ritrovarmele fra i piedi! Mettile in ordine e poi dai un’occhiata al cancello di fuori. Credo che Ruggine sia tornata a dare fastidio. Vedi di sconfiggerla, questa volta!”.

“Sì…” mugugnò Mihael, iniziando a raccogliere spade, mazze ferrate e forchette dal pavimento.

“Non fare quella faccia. Poi potrai dilaniare l’Uomo Lucetta!”.

Mihael sorrise, pur infastidito dal lavoro che gli toccava fare.

“E non limitarti ad ammucchiare tutto in un angolo come fai di solito!” lo ammonì la Creatrice.

Il Dio lanciò un gemito. Era esattamente ciò che aveva in mente di fare! Sbuffò ed uscì, con le mani piene di oggetti poco rassicuranti fra cui una motosega, due lanciafiamme ed una sparachiodi.

“Vereheveil…” riprese Kasday, girandosi verso il compagno d’infanzia “…ti sarai reso conto da solo che la biblioteca versa in condizioni a dir poco pietose…”.

Il Dio delle Letterature girò gli occhi. I volumi erano impolverati, ammucchiati su vari tavoli, in ordine sparso, cosa che faceva imbestialire il rappresentante dell’Equilibrio che aveva di fronte.

Sospirò. Sapeva che lo aspettava un lungo lavoro di pulizia e ricatalogazione.

“Enrikiran ti aiuterà” aggiunse la Creatrice.

“Cosa?!” sbottò il Dio del Ghiaccio.

“Preferisci, forse, lavare i vetri?! O sbrinare il freezer?!”.

“No, no…riordinare libri mi sta benissimo!”.

“Perfetto”.

Vereheveil ed Enrikiran si fissarono, sospirando, e si avviarono verso l’immensa biblioteca divina. La Creatrice diede loro un paio degli stracci che reggeva fra le mani.

“Heronìka e Loreatehenzi: lavoro di squadra. Lavare ed asciugare. Mettete piede in cucina e capirete di cosa sto parlando! I piatti son solo il primo passo…”.

Aria ed Acqua rabbrividirono, avendo la vaga idea dello stato in cui versava la cucina.

“Poi, ovviamente, vi toccheranno le altre stanze. Ma in quelle non c’è un granché da fare”.

“Schiavista” borbottò Loreatehenzi, prendendo Pulcippo sottobraccio ed uscendo assieme ad Heronìka a passi lenti e svogliati, con altri stracci di Kasday come “mezzo di supporto”.

“Gibrihel…”.

Il Dio della Terra interruppe subito la Creatrice, dicendole che aveva un gran mal di testa e che non poteva lavorare.

“Te la stacco la testa, ok?!” sibilò Kasday.

Gibrihel si rizzò sull’attenti, pronto ad eseguire ogni ordine.

“A te, caro Dio della Terra, spetta il giardino. Tagliare l’erba, potare le piante, piantare fiori, togliere le erbacce, sistemare il vialetto e cose del genere”.

“Ma io…”.

“Non discutere! Finché il tuo lavoro non mi soddisferà, non potrai andare a giocare con gli altri a torturare l’Uomo Lucetta. Intesi?”.

“Intesi…”.

Borbottando bestemmie, Gibrihel uscì in giardino.

“Xoduzz!”.

“Mi dica…” storse il naso il Dio, fingendo in malo modo l’entusiasmo.

“Mi pare di ricordare di averti detto già parecchie volte di sistemare le lampadine in taverna. Come Dio dell’Elettricità, avresti dovuto fare tutto in un attimo. Dato che è da mesi che te lo ripeto, e che fai finta di nulla, ho deciso di raddoppiare la dose. Voglio che sistemi le luci in modo creativo. Non limitarti a cambiarle o sistemarle ma coordinale, così come tutte le luci della casa, per creare effetti di luce. Effetti…fashion! Ci siamo capiti?”.

“Tutta la casa?! Ma mi ci andrà un’eternità!” protestò Xoduzz.

“Non esagerare! Al massimo mezza giornata! E fai un bel lavoro…voglio vedere un po’ di colori e sfumature in questo insieme di mura”.

Il Dio dell’Elettricità sbuffò e si avviò verso l’uscita.

“E non dimenticarti che è da mesi che ti dico pure di collegare il digitale terrestre!” aggiunse la Creatrice, udendo chiaramente la maledizione che il Dio le mandò a quella frase.

“Dharam, carissimo…” parlò Kasday, mentre il Dio infuocato incrociava le braccia dietro la schiena, attendendo ordini.

“Anche a te avevo affidato un compito tempo fa, ricordi?”.

“Veramente no…”.

“Riflettici un po’. Cos’è che dovevi fare? Pensaci…”.

“Ah già…il camino!”.

“Esatto, il camino! È tutto tuo. Mettilo in ordine, puliscilo, accendilo e poi prepara il pranzo. Se fate tutti i bravi, per il pomeriggio dovreste aver finito tutto e sarete liberi di dilettarvi come meglio credete. Mi raccomando, non bruciare tutto come ti diverte fare! E sentiti fortunato che non ti faccio stirare. So quanto la cosa ti annoi”.

Dharam sapeva che era inutile protestare e quindi si allontanò senza fiatare, stringendo lo spolverino e l’enorme aspira briciole.

“Papà…” riprese Kasday, guardando Kaos.

“Cosa vuoi? Io non muoverò un dito, sappilo!”.

“Ed invece tu riordinerai le camere”.

“Io?! Stai scherzando, vero?!”.

“Affatto. È colpa tua se sono in disordine ed io questo non lo tollero. Avevamo un patto. Tu puoi fare casino FUORI da qui ma non in casa. Perciò ora, da bravo, metterai tutto a posto”.

“Non lo farò mai!”.

“Guarda che ti rendo mortale!! Con un bel corpo solido!”.

“E va bene! Mi arrendo!” sbottò Kaos, inorridito solo all’idea di esser fatto di carne ed ossa “Ma ti avviso che le dittature non durano in eterno!”.

Rimasti soli, Luciherus fissò la Creatrice con un mezzo sorriso.

“Immagino che compito tu abbia in mente per me, mia cara…” ghignò, prendendola a sé.

“Davvero?” mormorò lei “Che bravo…”.

Lei iniziò a slacciarsi il grembiule a fiori e teschi. Lui la baciò, dolcemente, chiudendo gli occhi. Li riaprì, confuso. Ora era Luciherus a portare il grembiulino dai colori imbarazzanti.

“Che stai facendo?!” mormorò.

“Tieni!” esclamò lei, sorridendo e porgendogli la scopa.

“Che significa?!” continuò Luciherus, fissando il manico in legno come un oggetto alieno.

“Significa, bello mio…” iniziò lei, legando il proprio fazzoletto attorno alla nuca del Dio della Roccia “…che tocca anche a te lavorare!”.

“A me?! E dove?! Scherzi?!”.

“Hai presente tutte quelle simpatiche scale che collegano questo posto alla città? Belle, in pietra…”.

“Ma…sono 225!”.

“Solo?! Pensavo molte di più…ad ogni modo…sono tutte tue! Ci vediamo più tardi”.

Luciherus, atterrito da quella consegna, uscì trascinando la coda. Kasday sogghignò. Si guardò attorno. Quella stanza era un cesso al pari delle altre! Schioccò le dita e tutto fu a posto, pulito, lucido e ordinato. Sospirò, soddisfatta. Sedette sul divano nero, dove Xoduzz giocava, ed accese il megaschermo. Si rilassò, facendosi comparire a fianco un enorme secchio di popcorn e sorseggiando liquore misterioso dal barilotto con la lunga cannuccia. Sbadigliò, stiracchiando tutte e sette le braccia ed allungando i piedi. Si mise a giocare ad un videogame musicale, usando tutti gli strumenti contemporaneamente. Comodo avere sette braccia! Sorrise. Quella sì che era vita!



Grazie a tutti per aver seguito l'intera storia. Per chi ha curiosità di vedere alcuni di questi personaggi disegnati, cercate "frirry" su FB e vedrò di accontentarvi :)

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