L'Urlo e il Furore

di Rory_chan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I Parte ***
Capitolo 2: *** II Parte ***
Capitolo 3: *** III Parte ***
Capitolo 4: *** IV Parte ***
Capitolo 5: *** V Parte ***
Capitolo 6: *** VI Parte ***



Capitolo 1
*** I Parte ***


16 Dicembre 2009; ore 10
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16 Dicembre 2009; ore 10.27

 

L’orologio scandiva lentamente i secondi, i minuti, le ore.

Con quel ticchettio all’apparenza leggero e non poi così fastidioso, permetteva il movimento delle lancette, e con quelle, lo scorrere del tempo.

Il battito dell’orologio era coperto dallo scrosciare impertinente del getto d’acqua, segno che dopo ancora numerosi minuti, la doccia era ancora aperta. Aperta sì, ma senza nessuno dentro.

Sentì distintamente la stoffa della maglietta pizzicarle la pelle, renderla un poco più arrossata di quanto già non fosse, giusto per sottolineare quanto fosse fragile in quella situazione. 

Afferrò con una precisione quasi maniacale i lembi della maglia, sollevandola con lentezza e scoprendo il ventre piatto, sull’ombelico i segni di una vita ormai passata, defunta, sepolta.

La buttò a terra con noncuranza, al contrario della precisione usata per sfilarsela. L’osservò apaticamente cadere per terra con un tonfo secco, e accasciarsi sul pavimento per poi rimanere ferma. Sorrise senza divertimento. Come se quella maglia potesse muoversi, poi.

Quel capo non era particolarmente bello.

Era assolutamente semplice, di un colore totalmente rosso spento. La verità era che aveva perso il senso della moda qualche tempo prima. Non le interessava più così tanto, e tentava di giustificarsi in questo modo se per caso si vestiva con abbigliamenti dagli abbinamenti completamente sbagliati.

Non trovò ridicolo paragonarsi a quella maglietta senza vita buttata là a casaccio sulle piastrelle di marmo del bagno. Anche lei, una normalissima ragazza sulla ventina – anno più, anno meno. Non era mai stata puntigliosa sulla sua età – non dimostrava nessuna caratteristica così elettrizzante da poter risultare una persona minimamente interessante.

Stoffa che pizzica.

Sempre la stessa Sakura Haruno; ragazzina intelligente, certo, ma fondamentalmente irritante. Glielo avevano detto in molti, chi con ironia, chi con disprezzo. O chi con indifferenza.

Tinta unita.

Nella vita aveva ricevuto molte batoste. Oddio, forse non da compiangere la sua esistenza come la più difficile e sbagliata in tutto il mondo, ma il principio base era più o meno quello. Aveva avuto legami complessi con la gente, dispiaceri fra gli amici, delusioni con i fidanzati.

Eppure era rimasta sempre la stessa, solita, assolutamente non cambiata con il passare degli anni Sakura Haruno.

Accostamenti sbagliati.

Fisicamente non si era mai trovata un apogeo di bellezza. Era piuttosto vanitosa, ma non poi così tanto come lo era, a quei tempi, la sua migliore amica. I capelli corti le sfioravano a malapena le spalle, solleticandole la nuca e le guance. Erano di un colore strano, e lei stessa faticava a credere di poter essere così naturalmente: erano rossi, ma di un rosso così chiaro e sfumato da sembrare rosa. E gli occhi, dal taglio mediorientale, sfavillavano di un verde brillante. Questi colori su di lei stavano bene; sembrava la primavera personificata. Ma a quei tempi era giunto il momento in cui tutto ciò che riguardava la primavera, era ben lungi dal riguardare lei. 

Accasciata a terra.

Era ciò che avrebbe fatto anche in quel preciso istante, se solo avesse potuto. Osservò il pavimento lucido del bagno, il tappeto bianco a coprire le mattonelle che la distanziavano dalla doccia.

Aveva passato realmente troppo tempo a pensare, piangere e a stremarsi sul pavimento.

Lo scrosciare dell’acqua non l’aiutava a concentrarsi e, soprattutto, a pensare razionalmente. Molte volte aveva avuto quella voglia di urlare, di rompere tutto ciò che la circondava, di distruggere quello che gli altri avevano costruito proprio come era successo a lei.

Sentì gli occhi pizzicare, proprio come pizzicava la maglia sulla sua pelle, ma non pianse.

Sentì uno strano gorgoglio in gola, pronto ad esplodere in un urlo disperato, ma non urlò.

Sentì il corpo essere invaso da uno strano impeto di furore, ma non si mosse.

L’orologio scandiva i secondi, i minuti, le ore.

Ancora c’era tempo.

E lo maledisse.

 

L’Urlo e il Furore

 

8 Novembre 2008; ore 9.18

 

Fece scorrere con accorta delicatezza il pollice fasciato dal guanto sull’iPod, scorrendo le numerose canzoni contenute in esso. Sul viso era dipinta un’espressione insoddisfatta ed infreddolita, chiaro segno di non aver trovato ancora una canzone che riuscisse a riscaldarla a dovere.

Realisticamente parlando, il tempo non era dei migliori.

Nella stagione invernale quel piccolo quanto piacevole e discreto paesino assumeva colorazioni chiare e pallide, quasi sempre ricoperto da sottili coltri di neve e brina. Nel cielo splendeva per quanto riuscisse a splendere un sole pallido, quasi stanco di illuminare le strade della città e intento con decisamente molta pigrizia a calare oltre l’orizzonte, per dare il cambio alla luna.

Ad ogni suo respiro, dalle labbra fuoriusciva una consistente nuvoletta di vapore, che si andava a disperdere qualche secondo dopo nell’aria satura di umidità. 

«Cristo santo, che freddo…» balbettò innervosita, sorridendo appena e – finalmente – schiacciando soddisfatta l’Ok sull’iPod, infilandosi con apparente grazia le cuffiette nelle orecchie, semi nascoste dal cappellino di lana. Rimise l’aggeggio nelle tasche, alzando lo sguardo di smeraldo sulla casa relativamente centenaria che si ritrovava di fronte.

Volse un ultimo sguardo indietro, in direzione della panchina coperta da una piccola cupola che fungeva da fermata del pullman, e sorrise quasi con nostalgia, ritornando a fissare la casa.

Quel piccolo paese nei pressi di Monza le sarebbe mancato, poco ma sicuro.

Non era di certo una metropoli frequentata da milioni di persone, piuttosto era una cittadinella anonima, colma di abitanti discreti e gentili, provvista di quei pochi elementi tecnologici e, se così poteva definirli, futuristici per permetterle di andarsene con un sorriso sulle labbra, una promessa strappata al cuore di ritornarci.

Batté ciglio, scotendo lievemente la testa al ritmo della musica che l’iPod le trasmetteva nelle orecchie, adocchiando con la coda dell’occhio un enorme muso arancione che non era altro che il pullman in arrivo. In ritardo come al solito, si sentì di aggiungere.

Con uno sbuffo attutito dal gas scuro che fuoriusciva dal tubo di scarico posto sopra al tettuccio, il pullman arrestò la sua corsa a pochi metri di distanza da lei, costringendola così ad una breve corsa per entrare prima che l’autista chiudesse le porte.

Appena salita si tolse il cappellino, rivelando la chioma rosata che si celava sotto di questo, vagamente arricciata e increspata a causa dell’umidità. Nonostante ciò i capelli sembravano a posto, quei boccoli leggeri le scivolavano fino alla vita ora che non erano più costretti nel cappellino.

Timbrò l’ultimo biglietto che avrebbe preso in quel paese, e si andò a sedere tranquillamente sul sedile infondo all’autobus, il suo preferito.

Costretta per un breve periodo di tempo di praticantato nella città di Milano, in quanto neolaureata in medicina, non aveva trovato alcun alloggio se non in quel paese di pochi abitanti, bensì lontano dal grande capoluogo lombardo, ma relativamente comodo in quanto a prezzi e mezzi.

Andando ogni giorno a farsi un’esperienza nell’enorme policlinico milanese, era ovviamente costretta ad usufruire di una quantità per nulla proporzionata alle sue ore di lavoro di mezzi pubblici. Perciò aveva avuto abbastanza tempo da adottare come suo preferito quel sedile nel fondo del pullman, proprio quello sotto o accanto (non era un’esperta di queste cose, francamente) al motore che surriscaldava il posto, regalandogli un lieve calore. 

Lì si sedette, accavallando con cautela le gambe ed appoggiando il gomito al bordo del finestrino. Per quanto le piacessero i pullman era ben consapevole della buona quanto cattiva gente ci poteva trovare sopra, perciò s’isolò così, rivolgendo la sua totale attenzione alle strade del paese che l’autobus percorreva, delle mura che racchiudevano quei simpatici cittadini che scorrevano dalla parte opposta alla sua e di quanto lì a Parigi, dove si stava dirigendo, le sarebbe tutto mancato.  

Un lieve torpore s’impossessò del suo corpo, rendendolo più rilassato di quanto avrebbe dovuto essere. Fece un veloce mente locale, ricordandosi che doveva scendere alla tredicesima fermata, attraversare la strada per arrivare a quella dell’altro pullman, salire su di questo e attendere un altro quarto d’ora per arrivare alla stazione di Sesto San Giovanni, dove lì avrebbe preso la metropolitana per una buona mezz’ora fino ad arrivare alla stazione centrale di Milano.

Da lì avrebbe visto la libertà per Parigi, dove avrebbe iniziato un ulteriore periodo di praticantato nell’ospedale della capitale francese, un’ottima occasione per migliorare anche la lingua parlata.

Sorrise, negli occhi una nota impaziente di intraprendere quella nuova “avventura” che i suoi studi le avevano proposto. Si morse le labbra a fatica per non urlare cantando le parole della canzone che stava ascoltando in quel momento, sentendosi invadere di una cieca euforia che le attanagliava di felicità il cuore e la mente. Due elementi che per la prima volta, in lei, si trovavano d’accordo.

 

S&S

 

9 Dicembre 2008; ore 18.37

 

Si guardò intorno con aria spaesata, i grandi quanto luccicanti di curiosità occhi verdi spalancati davanti a tale maestosità. Non aveva mai pensato a Parigi come una città così grande, imponente e dispersiva. Certo, aveva letto molto a riguardo, sapeva bene quali monumenti e musei visitare per l’occasione, ma vivere tutto dal vivo era completamente diverso. La gente passava velocemente accanto a lei, sorpassandola con noncuranza e sfiorandole più volte e senza alcun timore le spalle, spingendola alle volte in avanti e alle volte indietro. Sakura non ci fece caso: era troppo impegnata a guardarsi intorno e a connettere il cervello per intraprendere una ricerca di qualcuno o qualcosa di familiare per prestare attenzione alle persone accanto a lei.

Il viaggio era durato molto. Dopotutto sapeva che era partita da “casa” molto presto, ma senza alcun biglietto e mezzo di trasporto sicuro e perfettamente in orario era stato meglio essere prudenti. Da Milano era partita intorno alle 19, ed il treno in arrivo a Parigi aveva ritardato – sarebbe stato davvero troppo bello essere puntuali – per quasi un’ora e mezza.

«ehi, tu! Tu col cappellino!». Sentì una voce forte e sicura provenire dalla sua sinistra e, buttando la mano destra sulla valigia piuttosto grande per una sola persona, si voltò in quella direzione cercando di capire chi la stesse chiamando e se, effettivamente, stessero chiamando lei.

Corrugò le sopracciglia chiare, incontrando con i suoi un paio d’occhi del suo stesso colore, forse un poco più scuri e dall’aria dannatamente profonda e matura. Quella donna doveva essere più grande di lei, quasi sicuramente. Lasciò scivolare lo sguardo sui capelli di grano scuro forzati in quattro code ai lati della testa, sulle sopracciglia dorate rilassate sul viso sopra agli occhi di smeraldo grezzo – più sporchi e magari più peccaminosi dei suoi – fino ad osservare il naso dritto e lievemente all’insù precedere la bocca carnosa e colorata di un rosso scuro.

Un tailleur dalle colorazioni scure le fasciava morbidamente il corpo, mettendo in risalto le generose quanto rotonde curve. Sakura avrebbe sicuramente affermato che quel corpo fosse troppo rotondo, troppo pieno di curve, troppo robusto. Ma il viso dai lineamenti duri e così femminili insieme non gliene diedero l’opportunità: quella ragazza era davvero uno schianto.

«Ehm…io?» domandò ingenuamente, puntandosi involontariamente l’indice contro. La giovane avanzò verso di lei con passo sicuro, facendo riecheggiare prepotentemente il rumore dei tacchi ai suoi piedi. Si fermò a pochi centimetri da lei, scrutandola con cipiglio superiore.

«Sakura Haruno?» chiese a bruciapelo, le sopracciglia arcuate corrugate in un’espressione di compunta concentrazione. Sakura strinse le labbra, facendole impallidire sotto quella pressione.

«sono io».

La donna batté ciglio, scrutandola da testa a piedi e mettendola lievemente in soggezione. Quando notò come colei che le stava di fronte stesse per aprire bocca, la fermò con un vago gesto della mano, a metà fra lo stizzito e lo scocciato.

«so cosa stai per chiedermi. Conosco il tuo nome perché Tsunade mi ha avvertita del tuo arrivo. Sei italiana, giusto?» spiegò con apparente calma la bionda, gli occhi pacatamente socchiusi.

«ehm, sì. Tsunade ti ha avvisata…?».

«lavoro all’ospedale parigino, sono un chirurgo. Tsunade mi ha detto che uno specializzando di nome Sakura Haruno proveniente dall’Italia sarebbe arrivato in serata qui in Francia per usufruire degli insegnamenti dei dottori francesi e per migliorare la lingua nazionale. Perciò sono venuta a prenderti, altrimenti come avresti fatto a raggiungerci?» concluse la donna, abbandonando improvvisamente l’espressione seria e superiore, sostituendola con una pressoché divertita.

Sakura si tirò indietro, vagamente perplessa da quella strana spiegazione.

«Ehm… e come sai che Sakura sono io? Cioè, insomma… raggiungerci?».

Era evidente quanto l’Haruno fosse spaesata da quelle parole e la ragazza scrollò le spalle, come se la cosa non la riguardasse minimamente.

«Tsunade mi ha mandato il tuo curriculum, e lì c’è anche la tua foto. E andiamo, non penserai che di dottore ci sono solo io qui, no? Ah, comunque io sono Sabaku No Temari. Ma chiamami semplicemente Temari, odio le formalità. E poi vivremo nello stesso posto, un po’ di confidenza ci vuole!» esclamò con tono leggero la dottoressa, invitandola con il solo sguardo a prendere la valigia e a seguirla verso l’uscita della stazione.

Inizialmente Sakura rimase leggermente perplessa, se non completamente incapace di capire cosa le stesse succedendo. In una sola serata aveva appreso che la primaria del reparto psicologico del policlinico milanese Tsunade aveva inviato il suo curriculum all’ospedale francese, che una chirurga era appena venuta a prenderla e che avrebbe vissuto con lei insieme ad altri medici. Ed ovviamente lei non ne sapeva nulla.

- È normale che io non sia mai sulla stessa lunghezza d’onda degli altri, no? –

«Ehm… Temari!» prese in fretta e furia la valigia, affondando l’altra mano nella tasca e accelerando il passo per raggiungere la bionda, l’aria gelida di Parigi le distruggeva lentamente i polmoni, causandole un leggero affanno.

«grazie di tutto. – arrossì appena, dopo quelle parole – Qui a Parigi fa sempre così freddo?».

«Uhm, solo di questa stagione. Ma ti sei beccata un periodo di vero gelo polare cara mia. E adesso muoviti che gli altri ti aspettano. Sono tutti impazienti di vederti… sai, le novità eccitano sempre chiunque» concluse con tono vago, camminando composta sul marciapiede al di fuori della stazione, alla ricerca dell’auto che aveva parcheggiato lì in quel mare di macchine colorate.    

«… capisco. Sono… simpatici?» domandò flebilmente, affondando il mento e di conseguenza le labbra nella sciarpa di lana pesante, quasi nascondendosi sotto di questa.

«chi sì e chi no. Dipende» non si sbilanciò nella risposta Temari, senza neanche voltarsi a guardarla negli occhi, troppo impegnata a marciare sulla strada in direzione della macchina. Sakura annuì mesta, senza che l’euforia provata il giorno prima però scemasse nel nulla.

Nonostante l’apparenza austera e fredda, Temari non doveva essere male. Solo in quei pochi minuti passati insieme aveva capito ciò che avrebbe potuto condividere con lei, e ciò che avrebbe dovuto tacere. Era chiaro come il sole che la Sabaku doveva essere un tipo piuttosto pretenzioso, schiavista e, perché no, femminista. Era una classica ragazza bella e dal carattere forte, a conoscenza di entrambe le sue doti e avente a disposizione i mezzi necessari per poterle sfruttare.

«Temari, quanti anni hai?» domandò Sakura incapace di tacere, troppo curiosa per poter accontentarsi di quelle poche – a suo avviso – informazioni.

«ventotto – come prima, la Sabaku non si voltò, ma sentì distintamente il sospiro teso della giovane alle sue spalle e per quello, forse, tentò di risultare un poco più cordiale – tu?».

«venticinque. Ho studiato medicina in Italia, e mi sto specializzando nel ramo della psichiatria. Mi piacerebbe molto essere come Tsunade sai. Una con… le palle, ecco». Alzò di poco il viso, giusto per misurare la reazione di Temari a quelle parole.

«per essere un medico devi avere per forza le palle. E se sei arrivata a questo punto, in un modo o nell’altro, ce le hai anche tu. Sta a te decidere della tua vita, non agli altri. Ah, eccola finalmente!». Temari si diresse spedita verso una Mercedes nera sfavillante, aprendola non appena fu abbastanza vicina per aprirla automaticamente con la chiave.

«dammi la valigia, la metto del bagagliaio. Tu sali avanti, intanto» ordinò pacata, tendendo entrambe le mani in direzione di Sakura, che le porse senza troppi ripensamenti la valigia.

Salì in auto velocemente, richiudendo con un tonfo secco lo sportello accanto a sé. Si sfregò rapidamente le mani arrossate dal freddo, sentendo la sensibilità delle dita scemare con il passare del tempo. Respirò rumorosamente, notando come anche all’interno dell’auto le nuvolette di vapore si condensassero per poi sparire nel nulla. Sentì uno scatto al suo fianco, e registrò come Temari entrasse in auto con un’eleganza naturale, poggiando la mano destra sul volante e la sinistra sulla maniglia dello sportello, chiudendolo.

«Dunque. Per arrivare al palazzo non ci vogliono nemmeno otto minuti» cominciò con impeccabile precisione la bionda, mettendo in moto la macchina che non esitò ad accendersi.

«non ci sono precise regole da seguire. Devi solo sapere che l’appartamento in cui tutti viviamo è piuttosto enorme, ed è formato da una sala comune nella quale si trovano molti scaffali pieni di libri. Lì di solito studiamo o parliamo del più e del meno. È un po’ un punto di ritrovo…». Sakura annuì diligentemente, osservando la strada scivolare sotto di loro ad una velocità inaudita. Non distolse gli occhi color delle selve dal cruscotto in pelle beige se non per dare un’occhiata alla strada di fronte a loro, le mani fermamente appoggiate ai lati del sedile della pelle chiara.

«… dalla sala comune si può arrivare ad ogni stanza. Ognuno ha una stanza per sé, con letto matrimoniale e bagno all’interno. E aggiungo che ciò che fai lì dentro non è affare nostro, al contrario della stanza comune in cui tutti abbiamo libero accesso. Non so se mi spiego» sottolineò Temari con voce maliziosa, dipingendo sulle labbra carnose un sorriso di scherno.

L’Haruno masticò un “chiaro”, sentendo le guance imporporarsi.

«per quanto riguarda la cucina è una sola, ci si arriva dalla sala comune. Ti avviso che nei posti frequentati da tutti non si fuma e non si beve. Salvo avvenimenti essenziali come feste di compleanno e di addio al celibato o al nubilato» puntualizzò nuovamente, assumendo un’aria colpevole. Probabilmente era la prima ad indire quelle festicciole. L’Haruno trattenne un risolino sinceramente divertito dall’espressione di Temari, ritornò poi a guardare la strada.

La Sabaku aveva svoltato a tutta velocità a sinistra e per Sakura non fu difficile immaginare il prezzo salato di una multa se lì ci fossero stati dei vigili.

«…un’ultima cosa. Lo vedi quello laggiù?» borbottò Temari, allontanando una mano dal volante ed indicando con quella un ragazzo attraverso il vetro. Arrestò la corsa della macchina, parcheggiando perfettamente affianco al marciapiede libero. Sakura si sporse lievemente dal sedile per poter osservare colui che la donna indicava, cercando di scorgere quella figura nell’ombra della sera inoltrata. Finalmente vide un ragazzo, forse della sua età, con dei lunghi capelli castani bizzarramente legati in una coda alta. Storse le labbra, annuendo.

«ecco. Carino, vero?».

E Sakura se ne accorse.

Temari aveva scoccato la sua freccia, adesso stava a lei riuscire a non farsi colpire. Capì che quella era una domanda che avrebbe influito notevolmente nella sua futura vita a Parigi: se avesse risposto con le parole giuste si sarebbe salvata, altrimenti… Milano l’aspettava con nostalgia.

Alzò gli occhi al cielo, crucciando le sopracciglia chiare e sporgendo in avanti la mascella.

«Sì. Molto carino» azzardò infine, dedicando un’occhiata al ragazzo che sembrava aspettare proprio loro al portone d’entrata di un palazzo dalle sembianze piuttosto vecchie.

Temari gonfiò orgogliosamente il petto, distogliendo lo sguardo da colui che l’aveva fatta arrossire sotto il lieve strato di fondotinta. Sakura sorrise quasi intenerita da quella visione.

«bene. Se vuoi una vita felice e tranquilla ti conviene lasciarlo perdere, quello è il mio uomo» rivelò nascondendo abilmente una nota emozionata e fiera nella voce.

«Ma…» …stai tranquilla, non sarebbe comunque il mio tipo.

«Niente ma. Ho già detto abbastanza riguardo a Shikamaru, non farmelo ripetere. Forza, andiamo» tagliò corto la Sabaku scendendo agilmente dall’auto. Sakura sospirò pesantemente, rivolgendo lo sguardo verso la ragazza che s’avventurava su quei tacchi vertiginosi verso colui che doveva essere Shikamaru, appigliandosi al suo collo e nascondendo dietro il suo il viso di lui.

Aprì con uno scatto roco lo sportello, allungando a fatica la gamba e poggiando la sua scarpa da ginnastica sull’asfalto grigio. Sentì il ginocchio indolenzito ma non vi fece caso, uscendo completamente dalla macchina e assaporando l’aria pulita di quel quartiere.

Sebbene fossero quasi le sette, era tutto tranquillo.

La luna padroneggiava serena nel cielo, raccogliendo sotto la sua lieve aurea argentata il brillio delle stelle che somigliavano a piccole lampadine incastonate in un soffitto inesistente. Era un bel posto, dopotutto. Forse le incuteva una strana nostalgia di casa, dei suoi genitori.

«Ehi Sakura! Lui è Shikamaru, Shikamaru lei è Sakura! È il nuovo specializzando» presentò velocemente Temari dalla parte opposta della strada, scostandosi dal corpo del giovane.

Quest’ultimo allungò un poco il collo per poterla osservare meglio, fino a quando non alzò la mano in un gesto che aveva del seccato e del sensuale insieme.

«Yo» salutò con voce roca, tenuta appositamente bassa e dal cipiglio scocciato. Sakura sorrise cordiale, piegando lievemente la testa da un lato, facendo ricadere i capelli increspati dall’umidità sulla spalla.

«ciao. Saliamo?» domandò sbrigativa e piuttosto infreddolita, trattenendo fra le mani il bagaglio pesante. Shikamaru abbandonò il fianco della sua ragazza, afferrando con ben poca galanteria la valigia di Sakura ed aprendo pigramente il portone.

«Certo. Andiamo» acconsentì frettoloso, sparendo nell’oscurità dell’atrio seguito dalle due ragazze.

Quando Temari poggiò la mano sulla maniglia laccata in oro della porta aprendola, Sakura non si aspettava di dover dare ragione alla bionda quando aveva detto “La nostra casa è enorme”. Certo, avrebbe potuto essere una casa qualunque, con un locale ben più grande degli altri, ma quella che doveva essere la sala comune era davvero gigantesca.

Il muro colorato di un beige pallido donava all’atmosfera una sensazione di calore, come le tende rosso rubino che coprivano a malapena i cardini delle finestre, da dove era possibile intravedere la strada al di sotto. Sul muro erano addossate tutte le librerie contenenti un infinito numero di volumi di tutti i generi: fece in tempo a notare il nome di qualche autore importante sia nel campo della medicina che della fisica, matematica e letteratura. Nel centro della stanza, sopra ai tappeti dalle colorazioni chiare e dalle rifiniture varie, sostavano divani e poltrone dall’aria comoda, sui quali sedevano alcuni ragazzi bene o male della sua età. C’era chi studiava silenziosamente, chi ripeteva a bassa voce e chi sussurrava per scambiare due chiacchiere fra una pagina e l’altra dei libri con gli amici. Ma appena sia lei che Temari e Shikamaru misero piede nella stanza, tutti alzarono lo sguardo verso coloro che avevano appena interrotto il loro studio quotidiano.

«Ohi Temari! Alla buon’ora, né!» strillò un ragazzo piuttosto esile e dai capelli biondi, decisamente scompigliati e dalla pettinatura pressoché inesistente. S’alzò di tutta fretta dalla poltrona sul quale si era accomodato chissà quanto tempo prima, raggiungendo a grandi falcate i nuovi arrivati.

«taci Naruto. I treni possono anche essere in ritardo, sai?!» domandò retorica la bionda con tono sprezzante, osservando dall’alto in basso colui che le aveva appena rivolto la parola. Si voltò per togliersi il giubbotto, seguita da Sakura, ed in quel breve lasso di tempo il biondo riuscì a regalarle una silenziosa linguaccia. L’Haruno sgranò appena gli occhi chiari, trattenendosi per non ridere.

«Baka, ti ho visto. Se prendi per il culo Temari, almeno evita di farlo davanti a me» borbottò con la classica inclinazione scocciata Shikamaru, buttandosi con ben poca eleganza su un divanetto libero.

«Ciao! Sono Naruto Uzumaki, venticinque anni e pronto a servirti!» esclamò con convinzione il biondo, ignorando galantemente Shikamaru che, di tutta risposta, sbadigliò. Sakura spostò la sua attenzione da Temari, che evidentemente non era d’accordo alle volontà di Shikamaru di schiacciarsi un sonnellino, a colui che le aveva appena parlato.

«oh, ciao. Mi chiamo Sakura Haruno e anche io ho venticinque anni. Ehm… beh. Piacere di conoscerti» terminò con forzata sicurezza, stringendo la mano dell’Uzumaki.

«Eh! Dunque, partendo da destra quelli sono: Tenten – quella con i capelli castani, la vedi? – Neji, Gaara – è il fratello di Temari! – Kiba, Sasuke e Shino! Ehi ragazzi, questa è Sakura!» elencò Naruto, indicando ad ogni nome una persona diversa, fino a puntare il dito su di lei all’esclamazione finale. Sakura seguì il dito del ragazzo ogni qual volta che si spostava, distogliendo a fatica l’attenzione da quegli occhi assurdamente azzurri che aveva il biondo. Studiò Tenten, che tratteneva fra le mani un libro di chimica e che sembrava avere un viso gentile. Neji le apparse come un ragazzo fin troppo raffinato e con la puzza sotto al naso, che controllava diligentemente Tenten in modo che non si distraesse dalla sua lettura. Gaara fu probabilmente colui che la colpì di più in quel momento. Se era davvero il fratello di Temari non ci assomigliava per nulla: lei aveva dei capelli biondo cenere, lui rossi fiammanti, lei aveva degl’occhi di smeraldo grezzo, lui di acqua cristallina. E se Temari aveva un fisico più che robusto, Gaara era davvero molto esile.

Colui che doveva essere Kiba la stava guardando con cipiglio curioso, quasi la stesse studiando, ma Sakura non riuscì ad arrossire per quell’attenzione puntata su di sé. Spostò lo sguardo su delle spalle larghe coperte da una maglia blu scura ed infine su una giacca azzurro chiara.

Quelli dovevano essere Sasuke e Shino.

Notando come Sakura stesse guardando gli ultimi due, Naruto le si avvicinò di soppiatto con aria di chi la sa lunga, sussurrandole nell’orecchio poche parole.

«lascia perdere Sasuke “il bastardo”, se proprio ci tieni concentrati su Shino».

Dopo qualche secondo di smarrimento, tutti lasciarono perdere i loro studi avvicinandosi alla “novità” e Sakura non poté che sentirsi decisamente lusingata da tutte quelle considerazioni.

«Ben arrivata, Sakura! Spero ti troverai bene!» aveva esclamato Tenten, euforica.

«Ossequi» borbottò con tono ironicamente falso Neji, sbuffando.

«Benvenuta». La voce calma e roca doveva appartenere al fratello di Temari.

«Ehilà Sakura! Spero di conoscerti molto bene in questo periodo, eh?!». Kiba si beccò un pugno in testa da Naruto, che brontolò qualche frase sconnessa all’Haruno incomprensibile.

Shino le rivolse un cenno di saluto con la testa, nascondendo abilmente il mento sotto al colletto della giacca che indossava e celando a tutti i suoi occhi con degli occhiali spessi.

Sakura guardò in direzione di Sasuke, aspettandosi anche da lui un solo cenno di saluto, anche non a parole. L’osservò con insistenza, sperando che questi si voltasse e si avvicinasse a lei. Non se lo sapeva spiegare, ma in un qualche modo si sentiva come se quelle spalle robuste le infondessero un senso di calma e di indefinibile attrazione.

Sasuke non si voltò.

«Ehi, Temari» chiamò sottovoce Sakura, avvicinandosi lentamente alla donna e liberandosi dall’improvvisa stretta di Naruto che già voleva farle visitare il posto.

«dimmi».

«Ma… chi è quello?».

Temari si voltò nella direzione indicata da Sakura, crucciando vagamente le sopracciglia dorate. Appena vide chi Sakura stesse indicando, scrollò le spalle, quasi fosse infastidita.

«è Sasuke Uchiha. Ha la tua stessa età, ed è laureato in medicina con specializzazione in cardiologia. Per quanto lo riguarda, dicono che sia un genio. Infatti a quell’età ha già una specializzazione. Ma diciamo che la famiglia lo ha aiutato molto; i suoi genitori erano entrambi dei dottori piuttosto famosi qui in Francia, perciò non gli è stato difficile laurearsi nella loro stessa materia. Personalmente non l’ ho mai trovato né simpatico né di buon carattere, non parla mai. Se parla è per riprendere Naruto e Kiba, che sono dei suoi pseudo amici anche se ha sempre affermato il contrario. Vallo a capire» spiegò pacatamente la Sabaku, premurandosi di tenere un tono di voce basso quanto bastava per non farsi sentire dal diretto interessato.

«i suoi genitori erano?» domandò la rosa, tirandosi appena indietro sottolineando quel tempo verbale passato. Temari strinse le labbra, assumendo un’espressione sbrigativa.

«sì, erano» ripeté ostinatamente, e Sakura capì di non dover insistere ulteriormente.

«ti riferivi a lui quando parlavi di persone simpatiche e non?».

«Non te la prendere se non ti ha manco guardata. È normale, non ce l’ ha con te. Semplicemente non gli interessa, come non gli interessa di null’altro se non della medicina. Diciamo che Sasuke Uchiha non è l’esempio massimo di cordialità in questo posto».

Forse fu solo una sua impressione, ma Sakura poté giurare di aver visto Sasuke voltarsi appena ed abbandonare la sua posizione compostamente seduta per guardarle, negli occhi di onice un chiaro accenno di irritazione. Decise di non farci caso e di unirsi alle chiacchiere di Naruto.

«Sasukeee!». L’urlo.

«Taci, dobe!».

Dopotutto quel posto – con quella voce così bassa, roca, sensuale – cominciava a piacerle.

«ma come ti permetti?!».

Ed infine, il furore.

 

…continua.

 

 

Buondì!

Vi ho postato la prima parte della fanfiction che ha partecipato al contest “Into the Book” di Bambi88 e Kalanchoe, classificandosi – ebbene sì, signori e signore – seconda! Ed inoltre vincitrice del premio “giuria” per attinenza alla traccia.

Spero con tutto il cuore che vi possa piacere, mi ci sono impegnata davvero tanto. Non la dedico a nessuno in particolare, ma a tutti i fan SasuSaku che sono in astinenza (come me .-.) o che, semplicemente, amano questa coppia.

 

Special Thanks to: Rò, la giudice, per aver indetto questo concorso e avermi spinta a partecipare xD, LullaH perché mi ha sopportata con i miei “Non finirò mai in tempo, questa fic è uno schifo!”, Lily e Rota che si sono classificate prima e terza <3.

 

Thanks for watching!

Shi No Mori is LOVE!

Rory.


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Capitolo 2
*** II Parte ***


Seconda Parte

Seconda Parte

[L’Urlo e il Furore]

 

10 Dicembre 2008; ore 00.14

 

Sakura camminò a passi felpati verso la porta della sua camera, per uscire in sala.

Da quando era arrivata, Naruto si era offerto volontario di portarle le valigie e di farle fare un rapido giro di perlustrazione della casa. Insieme a Naruto aveva scoperto che Neji e Tenten avevano una relazione di quasi due anni e perciò condividevano la stessa stanza. Avevano chiacchierato in sala comune fino alle dieci passate, ed ormai tutti avevano abbandonato i loro studi per interessarsi a lei e stringere amicizia, tranne Sasuke. Al contrario delle sue aspettative, per quanto taciturni potessero essere, anche Gaara, Neji e Shino le erano risultati vagamente simpatici.

Infine, alle dieci e mezza, si erano rintanati tutti nelle rispettive camere, causa lavoro mattutino.

Sakura però non riusciva a dormire, era ancora lievemente stordita da quel viaggio disarmante in treno, e da tutti i nuovi avvenimenti della giornata trascorsa. Sulle punte dei piedi, si era alzata silenziosamente dal letto, raggiungendo con brevi saltelli la porta ed aprendola. Sporse la testa quel che bastava per assicurarsi che il corridoio fosse deserto – era (s)vestita in lingerie – e poi corse tacitamente fuori. Con piccoli quanto muti passi, s’incamminò verso la sala comune per raggiungere la cucina. Metaforicamente parlando, la gola implorava per un bicchiere d’acqua. Aprì la porta della sala con decisione, sicura di non trovarci nessuno, ma la figura seduta rigidamente su una poltrona la fece sussultare, e quindi ricredere.

I capelli d’ossidiana erano arruffati in ciuffi scomposti, che ricadevano disordinatamente sulle guance pallide, rese ancora più spettrali dal lieve bagliore dell’abat-jour accesa. Gli occhi, del medesimo colore dei capelli, erano nascosti dietro di questi, sicuramente impegnati in un’attenta lettura di un’opera di Wilde.

«che ci fai qui, a quest’ora?» bisbigliò sorpresa Sakura, completamente dimentica di essere in reggiseno (o reggicostole, dipendeva dai punti di vista, secondo lei) e in mutande.

Sasuke alzò pigramente la testa per dedicarle un’occhiata superficiale.

«non sono affari tuoi» le rispose apaticamente, ritornando a leggere il libro che tratteneva fra le sue mani dalla pelle cadaverica. 

«leggi?». Che domanda idiota.

Sasuke dovette pensarla allo stesso modo, e lo notò dalle sopracciglia sottili e scure inarcate insù, e dal lieve ghigno che s’era formato sulle sue labbra affusolate.

«da cosa lo hai capito? Dal libro? – sospirò debolmente – non ti facevo così sagace» rivelò tristemente sornione, battendo ciglio con aria altezzosa.

Di sicuro, se si fosse trattato di qualcun altro, Sakura lo avrebbe preso sonoramente a schiaffi. Evidentemente qualcosa la trattenne, perché rimase ferma sulla porta ad osservarlo come inebetita.

«diciamo che il libro è un buon indizio. Mi chiedevo perché leggi qui e non in camera. E poi non hai manco il pigiama, cioè… ahem, non dormi?».

- stupida, stupida. Una ragazzina alle prese con la sua prima cotta, e dall’intelligenza smarrita nelle parti dei polmoni, forse vicino al cuore -

«io invece mi chiedevo perché non fai quello che devi fare e non te ne vai» rimbeccò l’Uchiha pacato, chiaramente infastidito da quelle ingenue domande. Sakura scrollò le spalle, rivelando il suo corpo nascosto dietro alla porta, ed entrando in sala con camminata lenta e scomposta. Si guardò intorno alla ricerca della porta della cucina, impresa che, improvvisamente senza Naruto, divenne impossibile. Strinse le labbra desolata, girandosi verso Sasuke.

«per caso mi… potresti dire dove si trova la cucina? Naruto me lo aveva detto, ma credo di essermelo dimenticato, sai com’è, ho un sacco di cose per la…».

«di là» troncò il suo discorso il moro, alzando svogliatamente il braccio destro ed indicando la prima porta a sinistra a quella dell’entrata. Sakura ammutolì, trattenendo uno sbuffo, e si diresse verso la cucina fino a quando non si ricordò, casualmente, di non essere adeguatamente vestita.

«ah! Sasuke…» cominciò, arrossendo prevedibilmente e coprendosi alla meno peggio con le mani.

«non ti sto guardando, muoviti ad andare in cucina e poi va’ via, per Dio». 

La ragazza storse il naso, ed improvvisò una lieve corsa fino a sparire dietro l’uscio della cucina. Lo richiuse velocemente, non riuscendo ad impedirsi di appoggiarci le spalle e chiudere gli occhi.

“Oh beh, come prima chiacchierata non c’è male” pensò sarcasticamente affranta, la mente demolita dall’imbarazzo ed i sensi offuscati dalla vergogna. Certo, da quando aveva visto Sasuke un neurone tentava di farla mettere in mostra per farla notare. E se quel neurone in quel momento aveva gioito perché, in un modo o nell’altro in mostra si era messa, i restanti neuroni avevano tentato un suicidio di massa. Questione di neuroni, quindi, che lei aveva studiato fin troppo bene.

“che figura di merda. Non penso di avere il coraggio di uscire nuovamente. No, non ce l’ ho infatti” strinse le palpebre, sperando vivamente di scomparire in quel preciso istante.

Sentì il freddo pungente del pavimento congelarle i piedi nudi ed il legno della porta gelarle la schiena.

“che razza di situazione. Sono in Francia da manco un giorno e già mi faccio riconoscere! Piuttosto muoio assiderata qui. Magari aspetto che se ne vada… chissà che cosa pensa di me, adesso”.

Aprì gli occhi, ritrovandosi nella penombra di una stanza con le tapparelle chiuse e la porta sigillata. L’interruttore della luce, come le aveva mostrato Naruto, si trovava al di fuori della stanza.

“fantastico” pensò moralmente distrutta “fantastico!”.

L’orologio appeso poco più in alto della porta ticchettava fastidiosamente i secondi, rendendola più nervosa di quanto già non fosse. I secondi, per quanti potessero essere, non passavano mai.

Sarà stato un lungo flusso di coscienza interiore, o forse lo stravagante colorito bluastro delle dita dei piedi che la convinse a voltarsi lentamente fino a toccare con il seno acerbo la porta. Posò su di questa l’orecchio, cercando di captare un qualsivoglia rumore che le provasse la presenza di Sasuke in sala. Non sentendo ovviamente nulla, si obbligò a fare scattare la maniglia, socchiudendo la porta. Fece capolino con la testa, come aveva fatto indeterminato tempo prima con l’uscio della sua stanza, e scrutò nel silenzio della camera, notando come l’abat-jour fosse ancora accesa. Per evitare di sfigurare ulteriormente di fronte a Sasuke, uscì dalla cucina e s’avvio verso il centro della sala.

Sulla poltrona non c’era nessuno.

«non c’è» sussurrò, come se dirlo servisse ad infonderle calma. Deglutì rumorosamente, sospirando sollevata e tirando sulle labbra rosee un sorriso rilassato. S’avvicinò alla poltrona, osservando il libro di Wilde capovolto a tenere il segno ed un plico di relative dimensioni per terra, sul tappeto.

Incuriosita, si chinò a raccoglierlo, quando sentì le forze mancarle improvvisamente. Anche se non era propriamente nel suo stile, si lasciò cadere seduta per terra, troppo stanca per rialzarsi subito. Afferrò quella cartelletta di cartone ingiallito e spiegazzato, sicuramente provato dal tempo, e lo appoggiò sulle cosce nude. Sulla copertina non vi era scritto nulla, tanto meno il nome del proprietario, e facendo leva su ciò, Sakura non si fece molti scrupoli di coscienza ad aprirlo e curiosarci dentro. Sgranò gli occhi sorpresa, tirando fuori dalla cartella una quantità abbastanza elevata di fogli sia vecchi che nuovi.

L’odore della carta e dell’inchiostro invecchiato le inebriò per un breve momento i sensi, convincendola a sparpagliare quei fogli sul tappeto ed osservarli uno ad uno.

Erano dei disegni, precisamente dei ritratti fatti a mano, chissà da chi.

Sakura passò le dita dalla pelle vellutata sul primo, scorrendo i contorni di un viso da donna dai lineamenti dolci e rilassati in un sorriso. I capelli lunghi erano colorati col carboncino, ed alcuni ciuffi le adombravano la fronte e le guance. L’espressione degli occhi era rappresentata meravigliosamente: sebbene fosse disegnata solo col carboncino, gli occhi erano vivi, accesi di quello che sembrava amore. Con lo sguardo cercò delle scritte ai contorni del ritratto, trovando la parola “Mamma” sul fondo del foglio, e la firma di colui che doveva essere l’autore, S.U.

che sia…?” non fece in tempo a pensare a quel nome, che un qualcosa sbatté violentemente.

«che cosa stai facendo?!» sbottò visibilmente alterato Sasuke, piegandosi velocemente accanto a lei e strappandole con apparente forza il ritratto dalle mani. La porta, dietro di lui, si richiuse tale era stata la veemenza per aprirla. La ragazza prese velocemente i disegni, impilandoli disordinatamente, le labbra dischiuse come se volesse dire qualcosa, il “scusa” aggrappato alla gola, angosciosa.

«chi…chi ti ha dato il permesso di curiosare, eh?» domandò iroso l’Uchiha, prendendo i fogli di lei ed unendoli a quelli che aveva raccolto lui.

«nessuno, mi dispiace. Li ho trovati lì, non pensavo fossero tuoi» si giustificò prontamente Sakura, spaventata dalla reazione del giovane e pronta a supplicare il perdono piangendo.

A quelle parole Sasuke sembrò calmarsi un poco, diminuendo la foga nell’ordinare tutti i suoi disegni ed infilarli nella cartelletta. Sospirò pesantemente, evitando di alzare lo sguardo per incontrare gli occhi di Sakura divenuti sicuramente acquosi.

«quella… era tua madre?».

La voce incrinata dal pianto della giovane fece fermare Sasuke, incapace di controllare l’improvviso tremore delle mani che lo aveva colto. Lo guardò di sottecchi, impaurita dalla probabilità di essere colta mentre lo osservava e, allo stesso tempo, di incontrare i suoi occhi di tenebra. Al contrario delle sue aspettative però, la paura si trasformò in preoccupazione. La carnagione del moro era divenuta più pallida, le mani tremavano involontariamente e, quando egli alzò lo sguardo, le sembrò febbricitante. Il completo contrario di quando si erano visti per la prima volta.

«Sasuke… stai bene? Sei… sei strano» sussurrò delicatamente, mentre non trovava affatto stravagante paragonare l’Uchiha ad una bomba ad orologeria. Un minimo movimento errato e… boom. Un’esplosione fatale. 

«Sì, sì. Era mia madre» borbottò Sasuke, placata la sua ira esagerata, e piuttosto sbrigativo. Sakura soppesò le parole, e non stracciò l’idea che lui stesse tentando di ignorare l’ultima affermazione.

«capisco. Era molto bella» si complimentò l’Haruno, avvicinandosi sulle gambe al moro per osservargli sopra le spalle il ritratto della signora Uchiha. Probabilmente lui non se ne accorse subito, rimase qualche secondo a guardare insistentemente il volto di sua madre.

«ti assomiglia. Vagamente» aggiunse poi, controllando i movimenti delle mani, adesso ferme e strette avvolte ai contorni del foglio. Sakura si morse il labbro inferiore, indecisa.

«le labbra, il naso e lo sguardo» spiegò poi Sasuke, giusto per specificare. La ragazza assentì con un mugugno, tesa, appoggiando le braccia sulle spalle del ragazzo. Stava azzardando davvero troppo e lo sapeva bene. In quelle poche ore – quantificabili in minuti, poi – aveva imparato bene o male cosa fare e cosa non fare in presenza di Sasuke Uchiha. Francamente non ci voleva un genio.

Fece scorrere le dita sulla stoffa morbida della maglia scura, sfiorando le spalle robuste e larghe coperte da questa, sentendole stranamente roventi. In quell’istante lo vide irrigidirsi, e voltarsi quel poco che bastava per scrutarla con l’occhio di antracite.

«non starmi appiccicata» ordinò lui, masticando parecchie parole e facendo sfumare l’ultima sillaba in un borbottio incomprensibile. Sakura trattenne uno sbuffo, maledicendo se stessa per essere stata così audace in quel tocco che aveva del materno e della troppa confidenza sfacciata insieme.

Ma non si fece sfuggire la pupilla, distinguibile appena dall’iride corvina, pericolosamente dilatata.

«scusa – cominciò, mugolando – non vedevo bene il ritratto. Sicuro di stare bene? Sei pallido» sottolineò senza contenere una nota preoccupata nella voce, spostandosi appena dalla schiena del moro e piegandosi leggermente in avanti, in modo tale da poterlo guardare negli occhi. Se prima Sasuke sosteneva tranquillamente lo sguardo, improvvisamente, dopo quell’affermazione, tentava di rifuggirlo, ritornando a fissare i lineamenti di sua mamma.

«lascia perdere. Non sarebbero comunque affari tuoi» concluse velocemente Sasuke, decidendosi infine a nascondere nuovamente il suo disegno all’interno della cartelletta in cui si trovava prima e di alzarsi in piedi, barcollando appena. L’Haruno si morse il labbro, sperando che quei barcollamenti fossero dovuti alla troppa veemenza impiegata nell’alzarsi, e non a qualcos’altro.

«beh, io me ne vado. ‘Notte».

«Sasuke?».

Non capì nemmeno lei il motivo per il quale lo aveva chiamato, ma sentiva solo le corde vocali agire per fatti loro, facendole pronunciare quel nome che era divenuto la chiave della sua attrazione.

«che vuoi?» rispose, burbero come al solito.

«se… se stai male o hai bisogno di aiuto, beh, fammelo sapere. Io… credo, cioè, sì, penso che mi piacerebbe davvero aiutarti a stare meglio» balbettò inizialmente incerta su ciò che voleva esprimere, e poi vagamente più sicura, alzando lo sguardo verde bosco sulla figura del ragazzo.

Sasuke inarcò entrambe le sopracciglia scure, senza preoccuparsi di mettere a posto il libro che aveva preso dalla libreria lì addossata al muro. Sorrise, enigmatico, prima di andarsene.

«sei proprio strana, Sakura».

E lei, rimasta lì da sola illuminata fiocamente dall’abat-jour, con il cuore in gola e le mani tremanti, capì che non era possibile innamorarsi di una persona in un solo giorno. Ma di adorarla completamente, infatuandosi nella peggior maniera, sì.

E dopo che ebbe sentito il suo nome pronunciato da quella voce calda e fredda insieme, non poté che dimenticare il pallore allarmante della pelle del giovane, delle pupille dilatate e del tremore delle mani. E si concesse un urlo soffocato, e poi, all’interno del suo cuore, il furore totale.

 

…continua.

 

 

Vi chiedo di perdonarmi se questa seconda parte è assai corta.

Si ha un primo approccio diretto fra Sasuke e Sakura e, sebbene questo evento sia già importante di per sé [?], fra le righe ci sono molte più cose di quante ne possiate immaginare. Ci sono situazioni nascoste capibili dando un’attenta lettura a queste scene, molto implicite.

Perciò mi è sembrato doveroso staccare questa scena dalla prossima, che sarà il triplo più importante ed interessante! <3.

 

Grazie a:

Laly: sono felice che t’ispiri, mi ci sono impegnata tanto tanto =D ed eccoti qui il seguito, spero che ti piaccia ancora e che sia più interessante della prima parte xD. Un bacio!

Aurora_Argentea: grazie mille, è molto importante per me sapere di essere ancora in grado di scrivere decentemente xD e mi pare più che ovvio, SasuSaku ruleZ! Bacio!

Nomiemi: uhuh, sono contenta che ti abbia colpito. Diciamo che la prima impressione ha un’importanza relativa, ma è meglio se è buona xD. Grazie mille per la recensione, bacio!

Deliaiason: oh, Delia-sama! Sono davvero orgogliosa di avere una sua recensione u.u diciamo che Gaara e Temari non sono la mia specialità (leggi: se vuoi qualcosa su di loro ti conviene andare da Rò-sama – in arte bambi88 – che lei sa come soddisfarti xD), ma amando Gaara un qualcosina glielo dovevo dedicare, seppur minimo! E comunque sì, Shi no Mori is love xD. E non siamo pessimiste: mi rendo conto che Naruto s’è parecchio addolcito in quella parte di manga, almeno, nelle scene fra Sasuke e Sakura *si scioglie* un bacio!

Bambi & Kalanchoe: grazie mille del giudizio <3.

Hika_chan: ecco qui il continuo. Spero continui ad interessarti! Grazie e un bacio!

Memi: oddio, sono le recensioni come le tue che mi fanno gonfiare il petto! So che ultimamente sono mancata da EFP, proprio per dedicarmi totalmente a queste fic. Perciò sono felice che ti abbia preso ed entusiasmato così tanto solo al primo capitolo. Dunque, ti do ragione: Sasuke ultimamente è difficile da mantenere IC, ma riguardo lui sono abbastanza soddisfatta. È riguardo a Sakura che sono critica, sai? XD a volte ti concentri più su ciò che ritieni difficile (tipo mantenere bene Sasuke) e tralasci ciò che sarebbe più facile (Sakura) ottenendo un risultato disastroso. Poi sono punti di vista, spero di aver dato un effetto buono. Per quanto riguarda l’incipit della fic, sono davvero felice ti sia piaciuta O.O attenderò la tua reazione per il finale, visto che si ricollega a quello iniziale <3. grazie mille per aver recensito, un bacio.  

 

 

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Capitolo 3
*** III Parte ***


Terza Parte

Terza Parte

[L’Urlo e il Furore]

 

18 Dicembre 2008; ore 15.49

 

Il freddo pungente della stagione invernale le graffiava metaforicamente la pelle, rendendo le guance un poco sporte in avanti a causa degli zigomi pronunciati di un rosso intenso. La sciarpa a strisce e colorata in tonalità completamente differenti fra loro la copriva a malapena, come il capellino dello stesso motivo della sciarpa. I capelli chiari, precedentemente lavati e sistemati con estrema pazienza, avevano perso tutto il loro fascino arricciandosi in boccoli sformati e crespi.

Sakura camminava per le vie di Parigi senza dare retta agli sguardi indiscreti della gente, cercando di non pensare a tutta la fatica fatta e poi sprecata per asciugare i capelli.

Era lì in Francia da poco più di una settimana, Temari l’aveva accompagnata all’ospedale prendendola sotto la sua ala protettiva: evidentemente la Sabaku era già qualcuno di molto importante e rispettato. L’ospedale francese non era poi così differente da quello italiano, se non poco più difficile da gestire a causa della lingua totalmente diversa: le ci erano volute ore e ore di studio pomeridiane per imparare i vocaboli francesi di tutte le strutture ospedaliere, delle medicine e delle malattie. Un lavoraccio che non avrebbe augurato di fare neanche al suo peggior nemico, ma fortunatamente s’era rivelato utile. In quei giorni aveva stretto una forte amicizia con Tenten, che poteva considerare la sua quasi-migliore amica giapponese.

Non era rimasta poi così sconvolta nel venire a conoscenza della nazionalità di Tenten: la madre era giapponese ed il padre americano, perciò la forma a mandorla degli occhi era poco più che accennata. Il padre di Tenten lavorava in stretto contatto con i Sabaku, quindi non le fu difficile capire che Temari e suo fratello dovevano essere americani.

«…Neji è di una famiglia giapponese molto antica ed importante. Va avanti da molte generazioni e lui ne sarà il capostipite appena si sposerà. Ovviamente io sarò la signora Hyuga» spiegò con fare pratico Tenten, camminando affianco a Sakura con passo veloce e ritmato. Era una ragazza piuttosto minuta, con un corpo atletico da far invidia ad una ginnasta professionista.

Sakura annuì, pensierosa, sorridendo appena per l’aria d’ovvietà assunta dall’amica.

«ma gli Hyuga ti hanno accettata? Intendo, ho letto molto riguardo al Giappone, e le famiglie antiche combinano i matrimoni in modo da preservare una stirpe pura. Poi tu sei mezza americana, chissà come la devono aver presa…».

«oh, beh. Neji ha già avvertito che si sarebbe trovato moglie da solo, perciò non devono venirmi a rompere le palle. Io sono ciò che Neji si sognerebbe la notte se non mi avesse affianco, cara mia» affermò con apparenza serafica, ma negli occhi nocciola c’era una chiara fiamma dirompente. L’Haruno non osò contraddirla e continuò a camminare pacata accanto a lei, osservandola con la coda dell’occhio. Anche Tenten era seppellita sotto chili di lana per proteggersi dal freddo, ed il naso divenuto color porpora affondava di tanto in tanto nella sciarpa, cercando rifugio.

«Odio tornare a piedi dall’ospedale. Congelo ogni santa volta!» si lamentò poco dopo, arricciando il naso in un’espressione a metà fra il frustrato e il disperato.

«e poi Kurenai mi fa sgobbare sempre. È tutto il contrario di suo marito, quella. E se pensavo che la gravidanza l’avesse addolcita, adesso penso sia il contrario. Rimane pur sempre una gran bella donna, né? Prima che si sposasse con Asuma tutti i novellini le morivano dietro. I dottori esperti non ci provavano nemmeno, ti dirò, Asuma quando s’arrabbia diventa la persona più cattiva di questa terra, figuriamoci se gli tocchi Kurenai…».

Sakura aveva imparato a sue spese che Tenten, una volta incominciato un discorso che le piaceva particolarmente, per smettere di parlare a manetta aveva bisogno di Neji. Quest’ultimo la metteva a tacere con uno sbuffo seccato, ma se anche lei avesse provato a sbuffare, Tenten avrebbe fatto finta di nulla e avrebbe continuato a parlare. Perciò, meglio prenderla in contropiede.

«già, lo sospettavo. Riguardo a Sasuke che cosa sai?» domandò Sakura seriamente incuriosita, rivolgendo tutta la sua attenzione sul viso di Tenten che la guardò perplessa.

«beh, non molto. Sai, non parla quasi mai. Non ci chiama nemmeno per nome, credo che s’immagini di essere superiore a tutti noi» cominciò la castana, arricciando per la seconda volta il naso. Sakura strinse le labbra, e ringraziò quel freddo polare di averle già fatto arrossire le guance, altrimenti, inevitabilmente, sarebbe arrossita per quell’ultima affermazione di Tenten.

“A me ha chiamato per nome, però”.

«so che è nato in Germania, ma a causa del lavoro dei suoi genitori si è trasferito qui in Francia quando era piccolo. Mi pare che abbia un fratello, ma… ma non so nulla a riguardo. Penso l’odiasse perché se parli di fratelli t’incenerisce con lo sguardo, e se anche provi a chiederne il motivo a Temari – lei sa sempre tutto riguardo ai medici che arrivano da noi – lei non ti risponde. Francamente ci ho rinunciato, non è che poi mi sia mai interessato più di tanto. Certo, ha il suo ché di misterioso e intrigante…» lasciò in sospeso la frase, osservando attentamente le iridi di Sakura spostarsi fin troppo velocemente sulla vetrina di un café.

«non dirmi che ti piace! Avanti Sakura, hai Naruto che si farebbe in quattro per te, e non è mica da buttare via, eh! Non puoi fissarti con quello lì, ti rovinerebbe l’esistenza, dammi retta!» affermò piena di sicurezza, afferrando gentilmente il braccio infagottato nel giubbotto dell’amica. La pregò con quel gesto di guardarla negli occhi, e sperò che lo facesse sul serio.

«Ma che dici Tenten! Ti pare che io possa pensare a quell’idiota come un possibile ragazzo?!».

«di che idiota stiamo parlando? Sasuke o Naruto?».

«Naruto, che domande!» ridacchiò Sakura, volgendo gli occhi al cielo.

«allora non consideri un idiota Sasuke».

«No».

«allora questo vuol dire che ti piace?».

«Sì! Cioè, no. Cioè, non lo so. Insomma Tenten, fatti gli affari tuoi, chiudiamo il discorso!» brontolò inferocita la ragazza dagli occhi verdi, evitando accuratamente di guardare l’amica. Sentì distintamente la mano di Tenten, che prima l’aveva afferrata dolcemente sul braccio, allontanarsi dal suo giubbotto, facendole provare una sensazione di improvvisa freddezza sia fisica che morale. Non ebbe il coraggio di guardarla negli occhi, e si chiese il motivo. Dopotutto non era un reato infatuarsi di un ragazzo così bello, accidenti, perché Tenten aveva reagito così?

«come vuoi. Però ti confido che di Sasuke non mi fido più di tanto» rivelò a voce bassa la castana, aumentando leggermente il passo per riuscire a raggiungerla e camminarle più vicino.

«ho voglia di fare qualcosa di stupido, Tenten» mormorò atona Sakura, quasi non avesse sentito le sensazioni espresse solo qualche secondo prima dalla ragazza accanto a lei. Quest’ultima scrollò le spalle, senza che una vaga nota di preoccupazione le scomparisse dal viso.

«vuoi andare a letto con Sasuke?» azzardò con tono ironico – e forse neanche tanto – distraendosi nel guardare una giovane donna prendere in braccio quello che doveva essere il figlio e sgridarlo per chissà cosa in fitto francese. Sentì l’Haruno ridere sommessamente, e si voltò a guardarla.

«Mi faccio un piercing, dai. Andiamo in quel negozio!». E senza darle il tempo di ribattere o anche solo di meravigliarsi, la prese saldamente per un braccio e la trascinò correndo allegramente verso il negozio di tatuaggi all’angolo della strada che stavano percorrendo.

 

«tu sei strana, Sakura – aria di déjà-vu – anzi no, tu sei pazza. Ecco cosa sei» affermò con risolutezza Tenten, osservando disgustata la pelle del ventre dell’amica arrossata, ed un enorme fiocco di cotone ricoprirle l’ombelico. Sakura fece spallucce, tamponando con leggerezza l’aggeggio di metallo fino che le adornava l’ombelico. Sul viso era stampato un sorriso soddisfatto e compiaciuto, e gli occhi verdi non avevano ancora degnato di uno sguardo l’amica.

«fallo anche tu».

«sì, così poi Neji mi pianta seduta stante. Che idea sciocca. I piercing non mi sono mai piaciuti particolarmente, poi, che Neji sia d’accordo o no. Adesso paga e andiamo per favore, vedere quella stanghetta infilzare la pelle mi fa rabbrividire» mugolò sbrigativa Tenten, afferrando il giubbotto che si era tolta per entrare in negozio ed infilandoselo velocemente.

«però non mi pare che un braccio mozzato ti faccia quest’effetto! Sei contraddittoria» ribatté con aria di chi la lunga Sakura, abbassandosi la maglietta e coprendo così l’orecchino all’ombelico. Si alzò dalla sedia sulla quale era seduta e buttò il cotone nel cestino affianco, prendendo il cappotto che Tenten le porgeva. Si diressero entrambe dal proprietario del locale, ed ascoltarono le precauzioni che l’Haruno avrebbe dovuto prendere per non far infettare l’ombelico fino a quando la giovane non pagò per poi uscire. 

«aria pulita! O almeno, non si sente più la puzza di disinfettante, che cavolo» esclamò evidentemente raggiante la castana, respirando a pieni polmoni, forse un po’ troppo eccessivamente.

«quanto sei esagerata, Tenten. Senti odore di disinfettante tutti i giorni, all’ospedale» la rimbeccò Sakura stringendo le labbra, scoccandole un’occhiata accusatoria.

«appunto. Mi basta sentirla lì».

Tenten annuì con aria saccente, infilandosi le mani prive di guanti in tasca. Di scatto sfilò la mano sinistra dal giubbotto, portandosela vicino al viso, sotto agli occhi.

«Damn! Sono le quattro e mezza! Se stiamo in giro un’altra mezz’ora va a finire che si fa notte. Ti assicuro che le strade accanto a casa non sono poi così sicure per due ragazze, quindi diamoci una mossa» borbottò la castana rimettendo la mano in tasca; sul polso, un orologio di marca regalatole da Neji. L’altra batté ciglio, perplessa, per poi assentire con un vago gesto del capo. Anche in Italia molte strade non erano sicure, soprattutto quella su cui s’affacciava casa sua. Si avvicinò a Tenten, rimanendo in silenzio e continuando a guardare avanti a sé, l’idea della sua stanza calda e confortante che l’allettava nel profondo. Sentì Tenten riattaccare a parlare, ma al contrario di ciò che avrebbe dovuto fare, preferì ignorarla. Il ventre le pizzicava fastidiosamente e l’ombelico bruciacchiava, due sensazioni che capì di detestare col cuore. La testa era divenuta una nuvola persa in cieli chiari e sereni, finalmente libera di pensare quel che voleva e gli occhi osservavano la gente camminare davanti a lei, come se fosse tutta composta da burattini guidati da chissà chi.

Poi, lo vide.

Sussultò di scatto, stringendo le labbra fino a farle impallidire e sentendo la pelle secca strapparsi, facendo uscire un poco di sangue. Non vi fece molto caso, tamponandola leggermente con la lingua, sentendo così il sapore metallico e nauseante del liquido vermiglio in gola.

«ehi Tenten! Guarda lì, c’è Sasuke» bisbigliò, quasi avesse paura che l’interessato la potesse sentire. Timore più che stupido, in quanto l’Uchiha camminava a testa bassa e con le mani in tasca diversi metri davanti a loro. Non era difficile riconoscerlo fra la gente: o almeno, per Sakura no lo era stato. Avrebbe riconosciuto quei capelli e quella schiena possente su altre mille.

Tenten guardò in direzione dello sguardo dell’amica, inarcando le sopracciglia castane e mordendosi un labbro, scettica. Una volta individuato Sasuke, si voltò a guardare Sakura.

«chiamalo» disse senza troppi giri di parole, il sorriso allegro che poco prima le illuminava il viso ormai spento quasi del tutto. Se Sakura avesse chiamato Sasuke e questo avesse risposto, Tenten sapeva perfettamente di dover tornare a casa da sola. E questo la infastidiva decisamente tanto.

«ehi, Sasuke!».

Dall’altro lato però, sapeva bene di essere colei più vicina a Sakura in quel momento. Sebbene Temari fosse un’amica preziosa quanto disponibile – anche se poteva non sembrarlo affatto, soprattutto quando aveva i nervi girati cause forze maggiori dal nome unico quale Shikamaru – Tenten sapeva che Sakura aveva meno problemi a confidarsi con lei. Temari era una tipa tosta, concreta. Non si faceva molti problemi di vita, e sicuramente detestava quelli di tipo amoroso. Lei era più aperta, più dall’indole di ascoltatrice paziente, nonostante amasse parlare molto. Perciò avrebbe dovuto spronare l’amica a fare ciò che voleva fare; le doveva solo dare l’Ok per non farla sentire in colpa e per farle capire che sì, stava facendo la cosa giusta.

«Sasuke!».

Amica o non amica, dal suo posto accanto a Sakura, Tenten sperò fortemente che l’Uchiha non si girasse e che sparisse fra la gente, senza dar segno di aver sentito i richiami insistenti dell’Haruno.  

Purtroppo per lei però, Sasuke fermò i suoi passi, voltandosi quel che bastava per vedere chi lo stesse chiamando. Una volta viste Sakura e Tenten si girò nuovamente, guardando avanti, ma senza riprendere a camminare, chiaro segno di muoversi a raggiungerlo.

«dai, andiamo!» incitò con gli occhi sorridenti la rosa, facendo cenno con la testa verso Sasuke. La castana masticò un “ok” maledicendo mentalmente quel ragazzo e correndo dietro all’amica. 

«ciao! Tornavi a casa?» domandò con voce anormalmente acuta Sakura, arrestando la sua corsa affianco al moro. L’altra si avvicinò con passo titubante, scrutandolo con occhio attento. Lo vide guardare Sakura con un barlume di curiosità negli occhi, fino a quando non spostò la sua attenzione su di lei. Le fu inevitabile sentirsi in soggezione, come se l’Uchiha la stesse studiando.

«Neji ti aspetta al bar accanto all’ospedale, mi ha chiesto di dirtelo» rivelò atono Sasuke, un sopracciglio scuro arcuato più del solito, le braccia aderenti ai fianchi e le mani in tasca.

«ah, grazie. Allora… vado. Ci vediamo dopo, ciao» salutò senza troppo entusiasmo Tenten, dedicando una smorfia incoraggiante a Sakura prima di voltarsi ed incamminarsi dalla parte opposta alla quale stavano andando prima. Non si voltò indietro neanche una volta, fino a quando non fu sufficientemente lontana per non farsi vedere dai due.

Solo allora liberò il sospiro preoccupato che aveva trattenuto da quando un paio di occhi neri l’avevano studiata decidendo se era il caso di rivolgerle la parola o no.  

 

«sì» sillabò Sasuke disinteressato, piegando la testa da un lato per guardarsi indietro, quasi volesse rintracciare Tenten. Sakura corrucciò le sopracciglia perplessa, mordendosi una guancia.

«sì cosa?».

«stavo tornando a casa» spiegò senza un particolare tono di voce, ritornando a guardare la strada con espressione indecifrabile. La ragazza schiuse le labbra in una smorfia di comprensione, poi sospirò debolmente. Avrebbe fatto la strada insieme a lui?

«anche io» buttò lì, sperando che lui desse uno spunto di conversazione più interessante. Sperò, perché la speranza è sempre l’ultima a morire, ma quello spunto non arrivò mai. Sasuke si limitò a socchiudere pigramente gli occhi, cominciando a camminare. Lei, un po’ indecisa, lo seguì stando al suo passo, sospirando una seconda volta e notando come in quel momento il vapore si condensasse in una nuvoletta prima di dissolversi nell’aria della sera. Sebbene fosse ancora relativamente presto – forse erano le cinque? – il cielo aveva cominciato ad oscurarsi ed il sole era quasi sparito al di là dell’orizzonte. I lampioni si accesero come le luci delle vetrine, divenute improvvisamente più artistiche di quanto già non fossero, ed illuminavano debolmente la strada trafficata da passanti, alcuni di fretta e alcuni no. Le insegne dei negozi brillavano ad intermittenza di luce giallognola, donando all’atmosfera un ché di caldo sebbene la temperatura fosse bassissima.

«ehm… hai finito ora?» chiese timidamente Sakura, senza spostare lo sguardo dalle panchine ai bordi della via, intravedendo con la coda dell’occhio il vapore uscire dalle sue labbra.

«no, ero in giro per fatti miei» spiegò sinteticamente Sasuke, inumidendosi le labbra pallide e secche. Se ne pentì un istante dopo averlo fatto, sentendo la bocca congelarsi e batté ciglio, irritato. In quel momento Sakura decise di voltarsi, giusto per imprimersi nella testa il volto comunque cadaverico nonostante il freddo del ragazzo. Notò come quest’ultimo fosse coperto solo da un giubbotto nero neanche troppo pesante, completamente privo di sciarpe o cappellini. Non riuscì a non sentirsi stupida con i suoi accessori dai colori sgargianti, riconoscibili anche a chilometri di distanza e, con la rapidità di chi cerca di far qualcosa sperando di non essere visto, si tolse il cappello ficcandolo con forza in borsa. Ovviamente ciò comportò una catastrofe per la sua pettinatura rigorosamente liscia e ordinata, divenuta ormai tutto al contrario. Vide Sasuke piegare le labbra in un ghigno divertito, senza però alzare lo sguardo.

«che hai da sorridere?» borbottò immusonita, guardandolo con forse un po’ troppa insistenza. Lui alzò le spalle, incassando la testa fra queste.   

«nulla di particolare. Penso sia stanchezza».

«oh, stanchezza! Ti capisco bene, sai. Non sono qui da molto tempo, ma ti assicuro che sono distrutta! Fortunatamente domani Kurenai mi ha detto che posso rimanere a casa, sarebbe il mio turno. Posso leggere fino a tardi e svegliarmi domattina all’orario che mi pare!» esclamò l’Haruno punta sul vivo, gli occhi inumiditi a causa della temperatura sotto allo zero e illuminati da una luce particolare: evidentemente aveva trovato lo spunto di conversazione adatto.

«logorroica».

O evidentemente no. Sakura si tirò indietro, colpita nell’orgoglio, caratterizzando lo sguardo con un cipiglio crucciato. Abbassò la testa mortificata, volgendo l’attenzione da tutt’altra parte.

«quando rimani a casa, tu?» sibilò intimorita di infastidirlo ancora, ma con la voglia di sentirlo parlare che palpitava nel petto insieme al suo cuore. 

«non rimango a casa» rispose frettoloso, senza indurre altre spiegazioni come lei desiderava.

«perché? Cioè, ognuno può rimanere a casa un giorno, fa parte del regolamento, o così mi ha detto Kurenai. Magari si è sbagliata, è probabile? Però se io domani posso stare a casa, per forze di cose anche tu puoi starci, non sei…».

Non fece in tempo a vedere la mano di Sasuke scattare verso di lei, afferrarle velocemente il polso e portarglielo in alto, accanto al viso. Forse non aveva i riflessi pronti, forse voleva semplicemente farsi toccare da lui. Vide solo i suoi occhi, neri come quel cielo invernale, fremere di irritazione e le labbra serrate più bianche di quanto già non fossero. Aveva smesso di camminare, e con lui, anche lei. Le persone li superavano, senza prestare loro troppa importanza.

«guardami, Sakura – le strinse il polso, obbligandola così a fissarlo negli occhi – ho l’aria di uno che sta bene?» chiese apparentemente calmo, ma con la voce che lo tradiva completamente.

Sakura non riuscì a non pensare che, se prima Sasuke cercasse di negare di essere malato, pur di farla stare zitta adesso era arrivato ad ammetterlo.

«n-no».

I battiti rumorosi del suo cuore accompagnarono quel balbettio sconnesso e le parve che, al posto del cuore, avesse una batteria in piena esibizione. Batté ciglio, trattenendo il respiro sotto quello sguardo glaciale e perforante. In quell’istante pensò che non avrebbe mai voluto essere sua nemica.

«ecco. Perciò quando ti ho detto che sei logorroica, non lo ho detto per nulla, ma per farti stare zitta. Era solo un modo relativamente gentile per fartelo capire» spiegò in un sussurro roco, a pochi centimetri dal suo viso. In quella breve spiegazione non aveva smesso un solo istante di guardarla negli occhi, di tenerle il polso – fragile e sottile – nella sua mano – grande e possente. Probabilmente non si aspettava una sua risposta, ed infatti lei non disse nulla. Si limitò ad osservarlo, come se fosse incantata da quei pozzi neri magnetici. Oppure, piuttosto che parlare, preferì muoversi. Un’innegabile attrazione per quel corpo la colse, costringendola a spostarsi da quella posizione, e farsi più vicina. Non ebbe modo di rendersi conto di come e perché (soprattutto quello), ma il suo corpo si era mosso in automatico, come se avesse sempre saputo che prima o poi si sarebbe spinto contro di lui. L’unico braccio libero aveva preso vita improvvisamente, senza che lei potesse impedirgli di toccare il torace del giovane ragazzo, come le sue palpebre le avevano proibito di imprimersi meglio nella testa l’immagine del viso di Sasuke, ma il sapore delle sue labbra. Erano ghiacciate, ma infinitamente morbide e colme di un calore tutto loro, o forse era semplicemente lei che tentava di rendere tutto perfetto quando di perfetto c’era veramente poco. Sentì il corpo irrigidirsi ed il timore di essere respinta s’impossessò della sua mente. Ma non sentì Sasuke allontanarla – né tanto meno ricambiare quell’ombra di bacio – ma solo stringerle lievemente più forte il polso, e fu questo, forse, che la fece ritornare alla realtà: come se si fosse scottata, si allontanò di scatto, il viso imporporato.

«ah. Io… cioè…».

Se solo le gambe si fossero decise a riacquisire sensibilità e rispondere ai comandi della sua testa, sarebbe scappata via seduta stante, come aveva visto molte volte nei film. Purtroppo per lei però, le gambe decisero di rimanere lì impalate: dovevano volerle molto male.

Gli sguardi si scontrarono e per la prima volta Sakura lesse sorpresa in quello dell’Uchiha. Sorpresa mista ad un alquanto preoccupante cipiglio vacuo ed inespressivo. Lo aveva traumatizzato?

L’incapacità di pensare razionalmente si sommò a quella di parlare, facendola cadere in un caos totale: distinse chiaramente il volere dei neuroni di generare un suicidio di massa, ma anche quello di dirgli qualcosa, di destarlo da quella sottospecie di torpore.

La gente passava affianco a loro, tranquillamente indifferente a ciò che stava succedendo. Probabilmente li avevano presi per una coppia decisa a mostrarsi in pubblico. Preoccupata a distogliere lo sguardo, non si accorse della mano libera di Sasuke prenderle il polso poggiato sul suo stesso petto e allontanarlo lentamente. E si guadarono così, lui che le stringeva entrambi i polsi e lei che l’osservava spaventata da qualche (qualunque) reazione. 

Non si sarebbe mai aspettata però che Sasuke l’attirasse con una leggera spinta verso di lui, fino a quando non gli fu abbastanza vicina per sentire il suo respiro battere sulle labbra. Lo vide abbassarsi lievemente e piegare la testa d’un lato, tirandole i polsi in avanti in modo da avvicinarla di più. L’Uchiha esitò per un attimo non appena capì di essere distante solo qualche millimetro dalla bocca della ragazza, ma sembrò non farci troppo caso, perché annullò rapidamente quella distanza – quasi potesse cambiare idea da un momento all’altro – e la baciò; rigido, freddo e teso.

Con tutte le probabilità del mondo, Sakura percepì i suoi neuroni astenersi dal suicidio di massa – almeno momentaneamente – e non darle più impulsi informativi. Aveva perso i legami col mondo, sentendo solo quella bocca ghiacciata aderire alla sua, serrata in maniera decisa. Non negò di temere ciò che sarebbe potuto accadere dopo o ciò che Sasuke avrebbe potuto pretendere. Sentì solo le labbra del giovane schiudersi, prima un poco indecise forse, poi con convinzione ed esigere il suo permesso di esplorarle la bocca. Cosa che le fu facile permettere, desiderando lei stessa di spingersi oltre e di avere un contatto più intimo con lui. Le lingue si accarezzarono con naturalezza, le labbra si cercavano ripetutamente, gli occhi rimanevano chiusi per assaporare meglio quel momento e la mente vagava spedita per chissà quali posti esistenti o inesistenti. Com’era successo prima, le braccia di Sakura presero vita allacciandosi al collo del moro, stringendolo possessivamente come se lo stringessero da sempre, mentre le fu istintivo alzarsi sulle punte dei piedi per far sì che lui stesse più comodo. Nonostante la freddezza con cui era solito trattarla, anche dentro di lui un qualcosa si accese, e lo esortò a ricambiare, seppur tiepidamente, quell’abbraccio. Avvertendo ormai la mancanza di ossigeno farsi allarmante, si costrinsero ad allontanarsi, tutti e due già con gli occhi aperti a fissarsi.

«non lo dirai a nessuno, vero?» mormorò Sasuke con voce improvvisamente calda, sebbene quella che poteva sembrare all’apparenza una supplica fosse un ordine chiaro e tondo. Sakura non spostò le mani dalla sua nuca, piuttosto le fece scorrere fra i capelli inumiditi dal leggero nevischio che illuminava candidamente il cielo. 

«perché non dovrei?» domandò in un sussurro accusatorio, spettinandogli i ciuffi d’ossidiana già abbastanza arruffati per conto loro. Lo vide sospirare rassegnato, dalle labbra fuoriuscì la solita nuvoletta di vapore bianco. Si morse un labbro, sapendo cosa aggiungere altro.

«voglio che lo sappiano tutti. Tenten, Temari, Naruto, Kiba… tutti. Non sei lo stronzo che pensano tu sia» affermò con la decisione impressa in ogni muscolo del viso.

«andiamo a casa» tagliò corto Sasuke, sciogliendo quell’abbraccio che aveva del protettivo e distanziandosi di qualche centimetro da lei. Sakura lo guardò incamminarsi, nonostante lei fosse ancora ferma. Certamente questo non le impedì di corrergli dietro ed affondare una mano nella tasca sinistra del giubbotto dell’Uchiha, lì dove lui riscaldava la sua.

Notando come lui facesse l’indifferente ma non spostasse la sua mano, Sakura riuscì a reprimere un urlo di felicità, saltellando al suo fianco, piena di furore. Quello no, non era riuscita a reprimerlo. 

 

 

Vi chiedo perdono per il ritardo nel postare questo capitolo >.<

Comunque sia, finalmente (?), eccolo qui, con tanto di momento “romantico” fra Sasuke e Sakura (L).

Voglio ringraziare di cuore Hika_chan, Nomiemi, Memi (ogni tuo commento è un onore, giuro ç_ç) e Delia-san (<3) per aver recensito; e mi scuso di non poter rispondere, ma sono di fretta e volevo postare u.u  perciò, spero che questa fic possa continuare a piacervi.

Inoltre, ho notato che ci sono tantissimi di voi che la tengono fra i preferiti. Una recensione non mi dispiacerebbe, sapete? Giusto per sapere cosa ne pensate! <3.

Alla prossima!

Rory.

 

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Capitolo 4
*** IV Parte ***


18 Dicembre 2008; ore 18

L’Urlo e il Furore.

[Quarta Parte]

 

 

18 Dicembre 2008; ore 18.06

 

La porta dell’ingresso graffiò fastidiosamente il marmo del pavimento, provocando un rumore decisamente irritante. Dalla sala comune, Temari alzò lo sguardo dal libro che stava leggendo ad alta voce, lanciando un’occhiata incuriosita alla porta. Shikamaru, steso comodamente sul divano sul quale era seduta Temari, si voltò pigramente, facendo cadere la cenere, accumulata sulla punta della sigaretta, sul pavimento. 

«spegni la sigaretta idiota, non siamo soli» borbottò Temari infastidita, riuscendo ad intravedere finalmente coloro che avevano interrotto il suo studio ed il vegetare, avvelenando i polmoni, del suo ragazzo. Vide un Sasuke piuttosto pallido entrare in sala, seguito da una Sakura vagamente raggiante con la mano infilata nel suo giubbotto. Inarcò le sopracciglia dorate, perplessa.

«ciao Temari, ciao Shikamaru!» salutò velocemente l’Haruno, costretta ad una lieve corsa per stare dietro al ragazzo che non degnò gli inquilini nemmeno di uno sguardo. Li videro sparire nella stanza dell’Uchiha, udendo la porta sbattere sonoramente.

Temari si voltò verso Shikamaru, lo sguardo maturo solitamente perspicace, questa volta incapace di intendere. Il ragazzo le restituì lo sguardo perplesso, annuendo leggermente con il capo.

«….ragazzi – chiamò la Sabaku, esitante – noi… stiamo uscendo».

All’interno della stanza, Sakura non poté fare a meno di arrossire vagamente.

Era la prima volta che vedeva la stanza di Sasuke: non era poi così diversa dalla sua, dovevano essere grandi uguali, ma quella dell’Uchiha era decisamente più ordinata e mantenuta con una pulizia invidiabile. Nonostante il letto fosse a due piazze, era attaccato al muro e le coperte erano perfettamente lisce e piegate nella maniera giusta. I pochi scaffali che c’erano straboccavano di libri di ogni genere, tanto che le sembrò che Sasuke avesse spostato una libreria della sala nella sua stanza. L’unica finestra era socchiusa, lasciando entrare un lieve spiffero d’aria, ma le tende erano chiuse senza far passare uno spiraglio di luce. Non che a quell’ora ce ne fosse, comunque. 

«è grande la tua stanza» cominciò Sakura, tentando di iniziare un discorso.

«è uguale alla tua. Sono tutte uguali» spiegò con ovvietà Sasuke, scoccandole un’occhiata di traverso ed afferrando la mano che lei aveva fermamente trattenuto nella sua tasca. La tolse da lì con uno sbuffo, togliendosi pacatamente il giubbotto nero e chiudendo gli occhi, come se la testa gli potesse scoppiare da un momento all’altro.

«stai bene?». L’Haruno si fece avanti, superando la sua schiena e girandosi verso il suo viso. Fu naturale distogliere lo sguardo dai capelli che Sasuke si limitava a mostrarle, mentre si copriva con la mano il viso in un gesto stanco, sul suo corpo, coperto da un maglione nero – evidentemente Sasuke non amava molto i colori, avrebbe dovuto capirlo – e da un paio di jeans scuri.

«sì e non farmi più questa domanda, m’infastidisce. Te lo avevo già detto, mi pare» sottolineò soprattutto le ultime parole con un tono che sapeva di accusa. La ragazza storse le labbra, muovendo qualche passo verso di lui, attratta dal suo corpo, dal suo sguardo, anche da un suo minimo gesto di debolezza. Ora che ci pensava, era davvero strano si mostrasse così vulnerabile.

«devo capire. Sto tentando di capire perché. Perché ti sei fissata con me? Cosa ti ho fatto, dannazione, non ti ho dato opportunità di farti… infatuare di me. Non ne ho date mai a nessuno, tanto meno a te. Adesso spiegamelo» sibilò l’Uchiha, stravolto. Sakura lo sentì palpabile quell’ “innamorare” al posto di “infatuare”. Forse neanche Sasuke credeva che bastasse così poco per innamorarsi, o forse non ci credeva proprio. Le sembrava così strano pensare a lui come un essere umano capace di provare qualcosa che non fosse indifferenza, sebbene lo avesse sempre pensato.

«l’infatuazione, se così ti piace chiamarla, non dipende dalle opportunità che tu mi dai, dipende da me. Tu… tu hai fatto tutto per permettere questo, tutto» spiegò con apparente calma l’Haruno, dentro di lei il cuore batteva talmente forte che alla batteria, si erano aggiunti pure un paio di cavalli al galoppo. Sasuke schiuse la bocca, e per la prima volta le parve inorridito da tali affermazioni.

«tu sei pazza. Completamente pazza. Ed io che ti sto pure ad ascoltare, tsk. Chiariamolo fin da subito, io non provo nulla per te». Diretto e freddo com’era sempre stato, sputò quelle parole pieno di indignazione, frustrazione, quasi timore di provare qualcosa di nuovo.

Sakura deglutì, tentando di farlo il più silenziosamente possibile, scrollando le spalle.

«però mi hai baciata» ricordò con tono che voleva essere leggero, ma che era fin troppo ansioso. Si avvicinò con passi lenti e misurati al ragazzo, quasi avesse paura di spaventarlo e di farlo scappare come succede con un animale fin troppo timoroso.

«e lo hai fatto più di una volta – si schiarì la voce, relativamente imbarazzata – Con la lingua, tra l’altro. Io ti avevo dato un semplice bacio normalissimo».

Sebbene fosse palpabile la serietà e l’importanza che il discorso aveva per entrambi, quella frase non poté fare a meno che essere vagamente ironica, vagamente accusatoria. La ragazza fermò i suoi passi, ormai arrivata davanti all’Uchiha che la scrutava, pallido, senza abbassare la testa. Si morse il labbro inferiore, deglutendo una seconda volta, e si alzò sulle punte dei piedi per sfiorare con la sua, la bocca del giovane. Si stupì nel sentirlo accettare quel bacio, ma non si meravigliò del fatto che non ricambiò. In ogni caso, la situazione cominciava a prendere una piega diversa.

Chiuse gli occhi, cercando un maggiore equilibrio sulle punte dei piedi, ed alzò leggermente tremante la mano, posandola sotto al mento del moro. Sentì quella di Sasuke raggiungerla, e spostarla in un gesto forse gentile, forse disinteressato, ma avvertì una maggiore pressione sulle sue labbra. Sentimenti o non sentimenti, finalmente Sasuke aveva fatto cadere un mattone della sua barriera impenetrabile, dando così a Sakura un punto da cui cominciare a scalare.

La mano di Sasuke abbandonò la sua, scivolando lasciva sul suo corpo, posandosi poco più sotto della schiena insieme all’altra mano. Lo lasciò fare, completamente elettrizzata dalle nuove sensazioni che il suo corpo registrava. E, inavvertitamente, le vennero in mente spontanei, tutti i suoi studi riguardo alla percezione e alla sensazione fatti all’università.

“La sensazione dipende dalle caratteristiche fisiche dello stimolo. È il risultato immediato dell’energia che agisce sui recettori sensoriali e sul sistema nervoso. All’esame avevo preso 30, lo ricordo bene, insomma. Che diavolo vado a pensare, accidenti, non è il momento. Calma Sakura, concentrata. Ritorna al mondo materialmente esistente”. Probabilmente avrebbe dovuto pensarlo prima; non appena si riscosse dai suoi pensieri captò il suo corpo steso languidamente sul letto, le mani di Sasuke accarezzarle i fianchi, alzandole di volta in volta la maglietta, la sua bocca rovente sulla pelle dell’addome liscio, lui completamente padrone sopra di lei, sovrano di quella situazione.

«e questo? Settimana scorsa non l’avevi» bisbigliò l’Uchiha alzando la testa dalla sua posizione, guardandola dal basso. Sakura alzò di poco la testa, giusto per vedere il ragazzo alternare lo sguardo dai suoi occhi al piercing all’ombelico. Fece spallucce, nonostante fosse stesa.

«fatto oggi, avevo voglia di cose nuove».

«che cosa stupida. Spero tu abbia voglia anche di qualcos’altro» borbottò rocamente lui, riabbassandosi e concentrandosi a torturarle la pelle con la lingua, scendere, fino ad arrivare al bordo dei pantaloni. Senza pensarci troppo li abbassò, premurandosi di far scivolare anche l’intimo sotto, continuando il suo lavoro.

In quel momento le sembrò di vivere il momento più bello della sua vita. Probabilmente una settimana era formata da troppo poco tempo per potersi innamorare, e per potersi concedere così ad uno che neanche conosceva bene e che le aveva confessato fin da subito ciò che [non] provava. Ma in quella settimana aveva imparato anche a fregarsene di ciò che era giusto e ciò che era sbagliato, seguendo solo quello che la testa le diceva di fare. Socchiuse gli occhi, osservando pigramente la penombra della stanza ed intravedendo fiocamente il soffitto di un losco grigio senza luce. Li chiuse del tutto poi, avvertendo il tintinnio della cintura dei suoi pantaloni che s’accasciavano a terra, accompagnati dalle mutandine. Sentì Sasuke risalire velocemente lungo il suo corpo, alzandole del tutto la maglietta e sfilandogliela completamente.

«ehi» la chiamò scocciato, facendole battere ciglio interdetta, fino a farle aprire le palpebre. Sporse un poco il labbro inferiore in avanti, imbronciandosi in una tipica espressione seccata. Dal brillio che intravedeva nel buio della stanza, capì che ciò che stava guardando erano gli smeraldi puri incastonati in quel viso sottile e dalle sembianze di porcellana. Si abbassò, sfiorandole le labbra, premendo la stoffa del reggiseno contro il suo petto nudo. Dal sospiro che Sakura trattenne, comprese che solo in quel momento la ragazza si era accorta di averlo svestito sopra di sé. Ghignò divertito, prendendole gentilmente i polsi e portandoli alla vita, lì dove ancora i pantaloni lo coprivano. Aspettò qualche secondo, attendendo che la giovane facesse quello che doveva fare.

«se non mi spogli tu, mi spoglio da solo» minacciò sensuale sulle sue labbra, costringendola così a slacciargli i pantaloni e a stringerlo a sé, ancora incredula. 

Le parve sciocco realizzare solo in quel momento cosa stesse succedendo fra lei e Sasuke Uchiha – colui che non chiamava per nome, colui che si credeva superiore e tutti e a tutto, colui di cui nessuno conosceva la storia, colui che tutti amavano giudicare corrosi dall’invidia – stavano per farlo. Okay, il nome vero e proprio di ciò che stavano per fare la metteva ancora in imbarazzo, ma non le impedì certo di arrossire e a nascondere il viso nell’incavo del collo del ragazzo.

«che fai?» sbottò Sasuke, la voce strozzata dall’eccitazione ed il corpo fremente completamente nudo, sopra al suo. Sakura alzò le mani, le fece scorrere lungo la schiena calda e levigata del ragazzo, arrivando alla nuca ed inoltrandola nei capelli scuri come l’inchiostro. Le iridi verdi erano appannate, non riuscì a capire se le cause fossero eccitazione, euforia, felicità. Riuscì solo a capire che, mentre incontrava quelle corvine di Sasuke, sentì un dolore improvviso scuoterla sia fuori che dentro [la stava facendo sua, sua e basta], ed imparò ad associare il nero di quegli occhi alla sofferenza; ma ad una sofferenza limitata.

Dopo, si aprirono le porte del [suo] Paradiso.

Ricordò tutto fino a lì, poi, tutto quello che avvenne dopo, fu affogato nelle urla e nel furore.

 

Il lieve spiffero d’aria che passava attraverso la finestra lo strappò con prepotenza dalle braccia di Morfeo. Batté ciglio, assonnato, riuscendo a riacquisire abbastanza lucidità per fare un veloce riepilogo di ciò che era successo quella sera. Ancora intontito dal sonno, non aveva riconosciuto quella stretta possessiva sul braccio, riconducendola solo ad una carezza del lenzuolo che lo copriva fino a poco più su del ventre. Si girò accigliato, alzandosi malamente sui gomiti e girando la testa verso la sua sinistra. Sentì distintamente il cervello sbattere poco gentilmente contro il cranio, e non riuscì a trattenere un gemito di dolore. Avrebbe voluto stupirsi nel vedere quella zazzera incolore giacere nel suo letto, sul cuscino accanto a lui, ma non ci riuscì. Erano chiari i ricordi di qualche ora prima, probabilmente, e vedere Sakura dormire placidamente, voltata verso di lui, non lo fece meravigliare. Sasuke osservò con attenzione il viso della ragazza: i ciuffi di capelli le nascondevano un poco il volto, adombrandolo più di quanto già non lo fosse, gli occhi erano chiusi delicatamente, mentre le labbra lasciavano trapelare dei sospiri calmi a ritmo del respiro di chi dorme. Il lenzuolo la copriva a metà, lasciando i seni piccoli e sodi scoperti, semi nascosti dalle braccia piegate in avanti. Sbuffò, ancora vagamente assonnato, costringendosi ad alzarsi dal letto.

Per quanto fosse allettante rimanere in quel giaciglio di coperte ad elemosinare calore da quel corpo minuto quanto femminile, poggiò un piede sul pavimento freddo, seguito dall’altro.

Non si premurò di coprirsi, semplicemente si alzò in piedi ed afferrò con disinvoltura carta e carboncino, dirigendosi a passo lento verso la poltrona accanto al letto. Vi si lasciò cadere senza troppa grazia, poggiando il foglio sopra la cartelletta rigida sulle gambe e facendo scivolare da una mano all’altra il carboncino. Altalenò lo sguardo da Sakura al foglio e viceversa, stringendo le labbra pallide – gonfie – e mordicchiandosi l’interno della guancia, indeciso.

Poi, come se avesse preso istintivamente una decisione, cominciò a tracciare morbide linee sul foglio, arrotondandole nei punti giusti e cancellandole in quelli sbagliati.

Sasuke Uchiha era sempre stato un ragazzo molto scettico riguardo qualsiasi cosa. Per questo, quando qualcuno affermava l’esistenza di un “mondo proprio” lo sbeffeggiava cinicamente. Eppure sentiva che, quando disegnava, anche lui si ritirava in un mondo comprensibile solo alla sua mente, escludendo chiunque altro. Non lo definiva un “suo mondo”. Era solo un modo per sentire proprio qualcosa che ti appartiene. In quel momento ciò che gli apparteneva era Sakura, ignara delle sue attenzioni, il foglio ed il carboncino. Neanche il tempo poteva scalfirlo dal suo impegno, nemmeno la parziale assenza di luce. Vedeva appena, ma gli bastava per ciò che voleva disegnare.

«Sasuke…? Che fai?» borbottò una voce assonnata nella semi oscurità della camera. L’Uchiha alzò lo sguardo, distraendosi momentaneamente, per dedicare una veloce occhiata a chi aveva parlato.

«disegno» mormorò atono, riabbassando gli occhi sul foglio e continuando il suo operato. Sakura inarcò le sopracciglia chiare, trattenendo a stento un sonoro sbadiglio.

«e cosa? Posso venire a vederlo?» chiese curiosa.

«no, non sono affari tuoi» sbottò di tutta risposta il moro, facendola indignare.

«beh, allora mi alzo e…».

«non muoverti» ordinò secco Sasuke, alzando per la seconda volta lo sguardo, scocciato. Incontrò quello di Sakura e vi lesse un misto di curiosità e impazienza. Dall’espressione sembrava avesse capito quale fosse il soggetto di quel disegno, ma non pareva in procinto di rivelarlo. Gli sembrò strano, ma a volte Sasuke si chiedeva cosa pensasse quella ragazza. Non era una domanda esistenziale – insomma, non gli era mai importato nulla – ma non poteva negare che gli sarebbe piaciuto saperlo. Batté ciglio, imbronciandosi.

«sono io?» sussurrò infine, timidamente, Sakura.

«forse».

Essere beccato con le mani nel sacco non gli era mai piaciuto, ed affermare un convinto “sì” gli sapeva di una sconfitta fin troppo amara. Lei sorrise, senza muoversi, e lo fissò con lieve imbarazzo.

«dopo me lo fai vedere?».

«Sì, Sakura, sì. Adesso stai ferma e soprattutto zitta».

La sentì ridere, per nulla offesa.

«come posso stare ferma e zitta se ho voglia di urlare e spaccare tutto per la felicità?».

 

 

So che questo capitolo è ancora corto, ma il prossimo sarà l’ultimo prima dell’epilogo. E lì finalmente scopriremo perché c’è ‘angst’ nell’introduzione, e perché ho dovuto tagliare.

Vi ringrazio ancora, tutti coloro che hanno recensito mi hanno resa felice.

Spero che questa 4° parte possa ancora piacervi.

 

Grazie davvero a Hika_chan; kry333; noemiemi; deliaiason88; lalyblackangel e sasusakuxxx.

Grazie, grazie, grazie.

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Capitolo 5
*** V Parte ***


L’Urlo e il Furore

L’Urlo e il Furore

[Quinta Parte]

 

22 Dicembre 2008; ore 9.45

 

“Se mi becca qui dentro, sono morta”.

Come un ladro in una villa completamente d’oro, come un leone che trattiene fra le zampe una possente gazzella, Sakura, gioiosa, affrettò qualche passo nella stanza di Sasuke Uchiha.

Ad occhi esterni sarebbe potuta non sembrare questa grande cosa, ma il sopraccitato Sasuke Uchiha non era in casa. E quella si trattava di violazione di domicilio, per quando potesse sembrare esagerato. La ragazza si muoveva furtiva, saltellando da un punto della stanza all’altro, rovistando nei cassetti di colui che… con molte probabilità, era divenuto il suo ragazzo. Non ne avevano parlato in quei giorni, non avevano mai aperto bocca riguardo la questione sentimentale: quando ne sentivano bisogno si recavano l’uno dall’altra, e quello che accadeva nelle loro camere non era un segreto solo per loro, al contrario degli altri, ancora perplessi per lo strano attaccamento di Sasuke alla nuova arrivata. Di certo era la prima volta che lo vedevano così disinvolto con qualcuno.

“dove lo hai nascosto!?” pensò implorante Sakura, cercando con frenesia il ritratto che Sasuke le aveva fatto qualche giorno prima. Le aveva promesso di farglielo vedere, ma evidentemente non se n’era ricordato, in quanto quel disegno era nascosto chissà dove fra quei cassetti.

L’Haruno diede una veloce controllata all’orologio. Alle dieci Sasuke avrebbe smesso di lavorare, e dieci minuti ci avrebbe impiegato per tornare a casa. Ergo, le rimanevano solo altri venti minuti per poter cercare quel dannato ritratto e, finalmente, vederlo.

«qui no… qui neanche…» sibilò atterrita, maledicendolo per non aver messo quel ritratto nella cartella con tutti gli altri disegni. Non riuscì a non pensare al fatto che Sasuke lo aveva fatto apposta. Aprì l’ennesimo cassetto dell’ultimo scaffale, seminascosto fra il letto e l’armadio.

«sembra che lo voglia nascondere, ‘sto cassetto. Magari è qui» proclamò solennemente, certa di aver trovato il bottino di quella caccia al tesoro. in quel piccolo cassetto stavano impilate alcune riviste di medicina e, fra una di queste e l’altra, alcuni articoli di giornale.

 

Scandalo nella famiglia Uchiha:

La polizia ha condotto un’indagine seria ed approfondita riguardo alla prematura ed improvvisa scomparsa dei famosi medici Fugaku e Mikoto Uchiha. I corpi dei coniugi sono stati rinvenuti nella camera da letto, straziati da colpi di arma bianca. Le apparenze parlano chiaro: il figlio maggiore dei due, Itachi Uchiha (17), sotto gli effetti di cocaina sembra aver avuto un raptus di rabbia, accoltellando entrambi i genitori ma lasciando in vita il fratello minore, Sasuke Uchiha (12), che in quel momento dormiva nella sua stanza. Si riconduce l’omicidio dei genitori al suicidio del maggiore dei figli, mentre il piccolo Sasuke è stato portato via dagli assistenti sociali…

 

L’articolo di giornale proseguiva, ma a Sakura bastarono quelle poche righe per isolarsi dal mondo, e sentire il cuore che batteva inferocito. Sgomenta, non si accorse di aver spalancato gli occhi per la sorpresa e del lieve tremore delle mani. Capiva bene, in quel momento, il motivo per il quale Temari non si era mai permessa di rivelare qualcosa in più riguardo al taciturno e misterioso Sasuke. Con una tragedia alle spalle come quella, era naturale rintanarsi in se stessi. Lo aveva studiato all’università, nei suoi libri di psicologia criminale.

Deglutì, mesta, rimettendo quell’articolo di giornale vecchio e logoro al suo posto, sotto le numerose riviste. E poi, trovò quello che non avrebbe mai voluto trovare. Sentì la nausea impossessarsi del suo corpo e l’incredulità inibirle i sensi. In fondo al cassetto, contenuta in un sacchetto relativamente piccolo, vi stava della polvere bianca. Avrebbe voluto fare la finta tonta, rimettendo tutto in ordine e, con tranquillità, ignorare il tutto. Ma si trattava di Sasuke.

Respirò, tentando di assumere un comportamento consono alla situazione. Vedere ciò che Sasuke nascondeva la stava uccidendo, e non provò minimamente a trattenere le lacrime che, insidiose, le appannavano la vista, quasi a volerle proibire di vedere la roba.

Ricacciò indietro le lacrime come spinse nel fondo del cassetto il sacchetto, chiudendolo con velocità ed alzandosi da quella posizione scomoda; tutto era divenuto scomodo, improvvisamente.

Senza badare troppo al tremore delle gambe instabili, uscì più veloce che poté dalla stanza di Sasuke, come se ne avesse abbastanza. Si diresse nella sala comune, e proprio in quel momento vide entrare l’Uchiha, trafelato dal lavoro ed infreddolito. Il cervello completamente annebbiato dalla recente scoperta le impedì di reagire razionalmente: a grandi falcate raggiunse l’ingresso dove Sasuke si stava togliendo il giubbotto, gli posò una mano sulla spalla, girandolo.

La mano libera lo centrò con invidiabile precisione sulla guancia sinistra, già arrossata dal freddo, facendogli voltare di poco la testa di un lato. Non lo avrebbe mai fatto, né voluto fare. Ma per la prima volta si sentì in dovere di seguire l’istinto, e non trattenne le lacrime dettate dalla rabbia e dalla frustrazione nel vedere quegli occhi neri scrutarla con stupore. 

«che… che diavolo fai?» sibilò Sasuke, voltandosi a guardarla dopo aver deglutito silenziosamente, ancora stupido dall’atto estremo – non si sarebbe mai permessa di farlo – di Sakura.

«che diavolo fai tu!» strillò la ragazza, visibilmente isterica. Sasuke batté ciglio, spostando lo sguardo oltre le spalle di lei. Vide Naruto, Kiba e Shikamaru osservarli con un cipiglio perplesso, preoccupato, sgomento ed incredulo al tempo stesso. Strano quanto tre persone che non aveva mai ritenuto capaci di esprimere altre espressioni se non quella idiota e seccata, potessero esprimerne così varie. Riportò la concentrazione sulla giovane, sospirando rassegnato.

«okay, andiamo in camera mia, così mi dici che cazzo hai».

Passò senza degnare di uno sguardo gli inquilini, che al loro contrario, li osservavano sbigottiti. Poi, aprì la porta di camera sua ed aspettò che Sakura entrasse, per poi richiuderla velocemente, stanco di tutte quelle attenzioni rivoltegli. Udì i gemiti di pianto di Sakura, e si preparò ad una scenata secolare: non aveva mai sopportato vederla piangere, forse per il troppo disturbo arrecatogli, forse perché, infondo, gli dispiaceva.

«parla» disse solo, appoggiandosi alla porta a braccia incrociate. Sperò che Sakura avesse delle buone motivazioni per averlo umiliato in quel modo davanti a tutti, altrimenti sarebbe stato costretto ad allontanarla definitivamente sul serio – troppo orgoglioso.

La vide tentennare un po’ e gli sembrò di poter leggere nei suoi occhi annacquati dalle lacrime l’indecisione. A quanto parve però, infine si decise a parlare.

«lì. Io…». Alzò lentamente il braccio, quasi avesse paura che con quel gesto potesse suggellare la sua condanna, ed indicò tremante il cassetto nascosto fra il letto e l’armadio. Sasuke seguì la sua indicazione con lo sguardo. Al contrario di ciò che Sakura s’aspettava, rimase impassibile.

«cosa hai visto».

Non era una domanda. Era un ordine chiaro e tondo, senza alcun timore di risultare scortese o di far tremare maggiormente la ragazza. Non era stupido, sapeva perfettamente ciò che Sakura aveva visto. Ma piuttosto che ammetterlo, voleva vederla in difficoltà, distruggersi per rinfacciargli quanto fosse idiota e, al contrario delle apparenze, disperato ed impulsivo.

«lo sai cosa ho visto. Lo sai».

«no, non lo so».

«Ti droghi».

Dirlo ad alta voce fece tutto un altro effetto. Pareva surreale, quasi impossibile. Rimase ferma, a fissarlo come se sperasse in qualche spiegazione. Invece lui la guardava e basta, senza muovere un muscolo, senza smettere di osservarla dritto negli occhi. Sakura non poteva sapere che la mente machiavellica di Sasuke stesse andando in panne, non poteva sapere che gli prudevano le mani, quasi la volesse picchiare, non poteva neanche lontanamente pensare che, anche uno calmo e riflessivo come Sasuke, potesse perdere il controllo. 

«cos’altro hai visto. O sai». Stesso tono, stesso ordine. Quel “sai” finale le fece presupporre che Sasuke si aspettava di sentirla balbettare sulla sfortunata vicenda della sua famiglia. Pensò seriamente di negare tutto, di non sapere nulla. Invece, sentì di volerlo urlare… ma non ci riuscì.

«so della tua famiglia» disse in un sussurro, mordendosi le labbra ed avvertendo le guance inumidirsi a causa delle lacrime che, questa volta, non si fermarono e attraversarono le guance.

«perché ti stai rovinando? Perché fai ciò che ha fatto tuo fratello?» urlò in preda al furore, alla rabbia, a tutte le emozioni che aveva provato quando aveva scoperto tutto.

Se ne pentì un istante dopo aver pronunciato quelle parole.

Se prima Sasuke sembrava aver assimilato la notizia in maniera relativamente buona, le domande di Sakura lo irritarono a tal punto di farlo innervosire visibilmente e fargli stringere le labbra, imbestialito. L’Haruno si ritrovò a pensare ancora una volta ai suoi studi – strano come si rifugiasse nelle sue conoscenze in quei momenti – e le venne in mente dei diversi modo d’arrabbiatura.

C’è chi diventa rosso in viso, inferocito come non mai, ma particolarmente innocuo a fatti.

C’è chi impallidisce, e quello non è un buon segno.

Sakura osservò il biancore delle guance dell’Uchiha, ed indietreggiò spaventata, il cuore in gola.

«Tu non sai niente» sibilò il moro, allontanandosi dalla porta e avvicinandosi con passi lenti e cadenzati alla ragazza, i ciuffi di capelli corvini gli adombravano gli occhi e le impedivano di vedere un guizzo irato in questi.

«non ti permettere di parlare, non ti permettere di giudicare. Tu non sai niente e non pretendere di saperlo. Devi stare solo zitta, zitta e basta, altrimenti ti uccido. Giuro che lo faccio». Si fermò a pochi centimetri da lei e la guardò dall’alto in basso. Solo in quel momento a Sakura parve enorme la differenza fra le loro altezze, solo in quel momento le parve enorme la differenza fra loro.

«Sasuke…» sussurrò, implorante, senza trovare il coraggio di guardarlo negli occhi e continuando ad osservare quasi ossessivamente la felpa nera di lui. Si morse il labbro, ancora, sentendolo bagnato ed assaporando le lacrime che lo inumidivano.

«quando ci siamo conosciuti… eri sotto gli effetti della droga, vero? Nessuno lo ha mai notato, ma io sì, si vedeva dalle pupille e dal tuo colorito pallido» lasciò in sospeso la frase, mangiandosi qualche parola, temendo in una reazione violenta.

Improvvisamente le venne voglia di urlare, svuotarsi i polmoni fino a farsi male e di picchiare qualsiasi cosa, di sfogare la paura e la rabbia in pugni che forse non avrebbero fatto male a nessuno.

«perché. Perché fai così? Puoi uscirne, puoi ricominciare» soffiò esitante, trovando la forza di alzare lo sguardo e di guardarlo. Notò che lui la stava già fissando, con la sua aria austera e fredda.

«lo stavo facendo. Ci stavo provando, concentrandomi solo su di te – sebbene fosse quasi calma, la voce tremava chiaramente – ma non mi basti. E smettila di pensare che tutto si può risolvere. Non è così. Non mi interessa manco più. Sono più i giorni in cui non capisco niente che quelli in cui ragiono. Ti do un consiglio; lasciami perdere. E vattene» concluse senza un particolare tono, senza distogliere l’attenzione da quella figura minuta che aveva ridotto in un tremolio unico.

Inarcò un sopracciglio scuro vedendo la mano della ragazza allungarsi verso di lui, afferrargli la felpa e stringerla più forte che poteva, quasi avesse paura che, lasciandola, avrebbe potuto perderlo per sempre.

«No. No. Stai scherzando. Non puoi mandarmi via» balbettò incerta, tirando sulle labbra sottili un sorriso amaro. Le guance avevano perso tutto il loro colore, rimanendo solo mortalmente bianche.

«Sakura» la chiamò Sasuke, gonfiando il petto dopo un sospiro particolarmente profondo.

«non puoi! Ci conosciamo da poco, è vero, ma io ti posso aiutare! Io farò tutto ciò che vuoi e che vorrai, farò il possibile e l’impossibile, ma non puoi mandarmi via, mi stai chiedendo di… di dimenticare tutto quello che c’è stato fra di noi e…».

«non esiste un noi. Forse prima esisteva, adesso non esiste più. Lascia perdere, ci sono troppo dentro» “…non ho intenzione di trascinarti giù con me” avrebbe voluto dirle, per riparare forse ad un danno morale troppo profondo; ma l’orgoglio lo fece tacere, come gli proibì di stringerle quella mano che lo tratteneva vicino a lei.

Sentì Sakura scoppiare in una risata isterica, e la vide ridere fra le lacrime.

«stai parlando così perché io ho visto quelle cose. Okay, farò finta di nulla, non preoccuparti. Fin quando non sapevo niente andava bene, no? Dimenticherò tutto, posso farlo. Voglio stare con te, posso farlo, no?» domandò con voce acuta, senza attendere una risposta. Scrollò le spalle, come se si fosse convinta con le sue stesse parole, e lo guardò negli occhi, sperando di sentirlo approvare quella decisione, aspettando che lui facesse qualcosa.

Tutto quello che fece Sasuke fu prenderle la mano, calda e sudata, nella sua, fredda e liscia, e sciogliere quella presa sulla sua felpa. La strinse un po’ più del dovuto prima di lasciarla andare.

«non immischiarti in cose più grandi di te. Adesso esci, prima che io perda totalmente la pazienza» l’avvertì, stringendo i denti. Avrebbe voluto distogliere lo sguardo per evitare di vedere la disperazione e lo smarrimento in quello di lei. Ma lo tenne fisso nel suo, per rendere più vivida e imponente quella decisione, per straziarla fin nell’interno.

Sakura abbassò lo sguardo, le lacrime scivolavano senza alcuna difficoltà lungo le sue gote e si perdevano sotto al mento o negli angoli della bocca. La gola arida e le corde vocali secche le impedirono di dire qualsiasi cosa, le risparmiarono di umiliarsi ancora e di implorarlo.

Deglutì, schiudendo le labbra per respirare decentemente dopo tutto il tempo in cui aveva trattenuto il respiro, e mosse qualche passo incerto verso la porta di quella stanza divenuta improvvisamente troppo piccola per contenerli entrambi.

Sasuke sentì la porta aprirsi e chiudersi, velocemente.

Non si era mosso, né si era girato per guardare Sakura uscire.

Era rimasto fermo a guardare il pavimento, dopo che gli occhi verdi che aveva scoperto di amare erano spariti. Si ritrovò a sospirare, portando una mano fra i capelli.

Alzò la testa, rivolgendo tutta la sua attenzione sul letto – che lo aveva visto felice, se così si poteva definire, dopo tanto tempo – e gli si avvicinò, sferrando un pugno sul cuscino.

Continuò a prendere a pugni quel cuscino e ad urlare, urlare, urlare.

 

S&S

 

24 Dicembre 2008; ore 18.03

 

Da quando non aveva più l’opportunità di vedere Sasuke, Sakura non si affrettava, come spesso faceva, a tornare a casa. Rimaneva in giro a Parigi, divertendosi in maniera piuttosto lugubre a pensare a ciò che era accaduto fra lei e lui, immaginandosi altre parole da dire, altri gesti da fare.

Tenten, che faceva ormai i suoi stessi turni, la guardava con preoccupazione ma non riusciva a dire niente sebbene avesse tanto da dirle, come ad esempio “Te lo avevo detto che ti avrebbe rovinato l’esistenza, sciocca”. Ma non le sembrò il caso. Sakura non le aveva raccontato nulla sul come era “finita” fra lei e Sasuke, perciò non poteva conoscerne i dettagli.

«Saku… pensavo di volermi fare un tatuaggio sulla spalla, sai. Una ‘T’ come Tenten» cominciò con voce fioca, quasi avesse paura di distrarla dai suoi pensieri.

«mh». Evidentemente la sua iniziativa pazza, come lo era stata l’idea del piercing dell’Haruno, non le interessava poi così tanto. Sbuffò, desolata, facendo trapelare dalle sue labbra le classiche nuvolette di vapore. Si morse il labbro arrossato dal freddo e scrutò l’amica dall’alto in basso.

«senti, perché non gli parli? Okay, potrebbe mandarti via, ma almeno ci hai provato. Sai meglio di me che Sasuke non è uno che si spreca tanto, però tu ci hai provato. Almeno non vivi con il rimorso di non averle provate tutte. Toh, siamo vicino a casa. Dai, vai» insistette la castana, rassicurante, poggiandole una mano sulla spalla. L’altra le scoccò un’occhiata di traverso, languida.

«Grazie Ten, ma non credo lo farò. Non… non è il caso» mormorò senza alcuna emozione nella voce. Tenten sospirò, svoltando l’angolo che non le permetteva di guardare l’imponente palazzo che ospitava la loro casa. Una volta arrivate lì, entrambe spalancarono la bocca, inorridite.

«ma che…TEMARI!» urlò spaventata la giovane castana, osservando un paio di poliziotti parlottare in fitto francese fra loro, correndo velocemente verso il palazzo già pieno di poliziotti.

Parcheggiata accanto all’auto della polizia, un’ambulanza.

Appena le vide, Temari corse verso di loro, tenendo fra le mani una busta sottile.

«Tenten… - si voltò, notando con orrore la presenza dell’Haruno - …Sakura» sibilò, avanzando decisa, gli occhi di smeraldo appannati da un velo di lacrime. Il mascara che un tempo rendeva il suo sguardo più profondo grazie alle ciglia allungate, le macchiava la parte sotto agli occhi, facendola sembrare un vampiro incapace di dormire.

Altalenò lo sguardo da Sakura, Tenten ed il palazzo, sentendo il dovere di dare loro una spiegazione, soprattutto delle sue lacrime trattenute. Prima di parlare porse con un gesto veloce e secco la busta a Sakura, ficcandogliela fra le mani il più rapidamente possibile.

«loro… - indicò la polizia – sono qui… Sakura, Sasuke… accanto a lui c’era questa e… overdose».

Tenten si portò una mano alla bocca, sgomenta.

Sakura rimase impassibile, osservando il colorito bronzeo della Sabaku, e poi il suo sguardo. Temari la fissò, perdendo tutta la sua spavalderia e sicurezza, la fissò e basta.

«Sasuke è morto, Sakura».

…e ci fu solo l’urlo, il pianto, la fuga e il furore. 

 

 

Uhm. Ehm.

Adesso capite le tracce angst? XD

Questo è il penultimo capitolo, l’epilogo – cortissimo, vi avviso – verrà fra qualche giorno.

Spero che vi sia piaciuto, che vi abbia commosso, che vi abbia suscitato qualcosa, insomma! XD.

 

Hele91: Grazie mille, cara <3.

Kry333: oh *///* sono felice che ti piaccia il mio modo di scrivere u.u grazie, davvero tanto <3.

Deliaiason88: Delia-sama, che onore *//* sì, diciamo che il tocco di erotismo non è tanto quella scena, ma più Sasuke che disegna Sakura. Oh sì, io lo trovo così… =ç=. Ci siamo capite, vero? <3.

Nomiemi: eheh, la scena in cui Sasuke disegna Sakura è piaciuta a molti, vedo! Sono davvero contenta che ti abbia entusiasmata questa fic. Ma dopo questo capitolo mi devo sentire in colpa? XD.

Juliettina: tranquilla, l’importante è che le mie fic ti piacciano. Poi, quando trovi il tempo, ti aspetto eccome XD.

 

Vorrei ringraziare anche le persone che hanno messo questa fanfic nei preferiti.

Mi rendete davvero molto felice, sì.

Aspetto però un vostro commento, specialmente ora che le cose si sono mosse – e di tanto, dai! XD – e che siamo verso la fine. Ricordate che il SasuSaku è Power! XD

 

Rory.

 

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Capitolo 6
*** VI Parte ***


L’Urlo e il Furore

L’Urlo e il Furore

[Sesta Parte]

 

16 Dicembre 2009; ore 11.20

 

L’orologio scandiva lentamente i secondi, i minuti, le ore.

Si era fatta la doccia con calma, perdendo più tempo possibile sotto l’acqua bollente.

Un anno prima si trovava a Parigi, nella sala comune a studiare, a scambiare qualche chiacchiera con Tenten, a ridacchiare per le strigliate che Shikamaru si beccava da Temari, ad osservarlo di nascosto. Sorrise amaramente a quei ricordi, pensando che nonostante fosse passato solo un anno, quell’anno era divenuta una vita. E quella che stava vivendo, non le apparteneva più.

Dopo quel giorno era scappata da Parigi, non sopportava più nulla di quel posto, né della Francia in particolare. Non aveva dato il tempo a nessuno di chiederle spiegazioni: aveva afferrato bagagli e libri ed era scappata verso la stazione, a piedi. Non erano più di venti minuti di cammino.

In un anno aveva distrutto progetti di una vita.

I libri di medicina erano impolverati, nascosti in chissà quali cassetti di quell’anonimo appartamento dove si era rifugiata prima di andare a Parigi. Aveva promesso che ci sarebbe ritornata lì, in quel paesino vicino a Monza, e quella promessa l’aveva mantenuta. Da quando era scappata aveva cambiato numero: oltre al lavoro aveva perso i contatti con tutti, anche con Tsunade.

Si asciugò alla bell’e meglio i capelli senza un preciso taglio, camminando con passi lenti e morbidi verso l’armadio nella sua stanza. Scelse i vestiti più belli che aveva e li indossò. Nell’angolo più remoto dell’armadio, avvistò la piccola busta sottile che Temari le aveva consegnato quel giorno.

Non aveva mai avuto il coraggio di aprirla, sebbene sapesse cosa conteneva. Per guardare il suo ritratto aveva voluto aspettare il giorno in cui avrebbe trovato il coraggio di dare una svolta alla sua vita. Ed era quello, il giorno.

Come una ninfa nel bosco, a piedi nudi, s’avviò verso la larga e luminosa finestra della camera da letto, spalancandola. Otto piani sotto, l’erba era bagnata dalla brina notturna. E, finalmente, sfilò quel disegno dalla busta, osservandolo con occhi vuoti.

I suoi stessi occhi – luminosi e dall’espressione contenta e appagata – la ricambiavano delle sue attenzioni, immobili su quel foglio bianco. Ricordava perfettamente la sua posizione, perciò non si vergognò di osservare i suoi seni nudi, piccoli e rotondi, né di guardare con interesse il lenzuolo coprirla appena poco più su delle gambe. All’angolo del ritratto, come al solito, stavano le iniziali del suo nome; SU.

Deglutì, sentendo una lacrima abbandonare l’occhio destro, toccare appena la guancia per poi cadere sul pavimento di marmo chiaro. Con i piedi, abbandonò quel pavimento per trovare sostegno sul marmo del davanzale. Guardò giù, per nulla impaurita.

Aveva visto quel ritratto, aveva avuto il coraggio di decidere, e aveva deciso di seguire Sasuke, in qualunque posto egli se ne fosse andato.

«guardami Sasuke. Lo faccio per noi. Per te. Guardami».

Un lieve sussurro rubato via dal vento.

La stretta sul ritratto divenne ferrea, stringendolo con tutta la forza che aveva in corpo sul petto.

– fece combaciare perfettamente quel disegno al suo cuore –.

Un passo, e abbandonò il davanzale [la vita] per andare incontro al nulla [la morte].

E poi, fu solo urla e furore.  

 

Fin.

 

 

Non me lo ricordavo così corto l’epilogo =)

Comunque ho dovuto dividerlo dal capitolo prima; ho indorato la pillola xD.

So che adesso mi vorrete tutti morta per aver fatto finire così questa storia… però, “L’urlo e il Furore” mi ha dato un’ispirazione da non happy ending.

Chiaramente questo è il continuo – fine – del piccolo prologo all’inizio.

Spero comunque che vi sia piaciuta nel complesso.

Dedicata a tutti voi, che mi seguite.

 

Ci tengo a mostrarvi la perfetta rappresentazione di una possibile scena, in quel posto dove ora si troverebbero Sasuke e Sakura. Voilà l’opera di Delia-sama, alias Deliaiason88 l’artista! : http://fc10.deviantart.com/fs41/i/2009/040/7/3/Fly_fly_away___Sakura_by_Delia88.jpg

Potrebbe anche non c’entrare nulla con la mia fic. Però è troppo bella per non farvela vedere <3.

 

Grazie a BrideOfTheWind: diciamo che no, non volevo ti venisse un infarto, però sono felice che ti abbia “suscitato qualcosa” xD. Grazie mille a te, invece, per aver recensito e per avermi reso un’autrice soddisfatta ed orgogliosa della sua ‘opera’ con un commento ç.ç baci!

Hele91: suvvia, suvvia. Ci sono altre fic in cui Sasuke e Sakura si sposano e hanno pargoletti, perciò non disperare! Grazie mille del commento, spero ti possa piacere anche questo corto epilogo.

Kry333: beh, spero che l’epilogo sia stato all’altezza delle tue aspettative. Grazie mille del commento <3.

Piccola992: grazie mille del complimenti ^w^ il lieto fine come vedi non c’è, ma magari puoi intenderlo così: Sasuke e Sakura, adesso, sono insieme =).

Nomiemi: “Una freddezza d'amore” direi che hai trovato le parole giuste per descrivere, in parte, il comportamento di Sasuke xD. Hai ragione, lui anche se non lo vuole dare a vedere, è molto protettivo nei confronti di Sakura. È così che mi piace immaginarlo =) svelato il contenuto della busta, spero che non ti abbia deluso. Grazie mille del commento, un bacio! <3.

Deliaiason88: ahem, ghiandole lacrimali, non vogliatemi male. Dopotutto è stato meglio così, Sasuke e Sakura adesso sono insieme, no? Oh Delia-sama, grazie mille del suo commento, sono onorata ç.ç e grazie mille ancora per i complimenti. Mi ha resa felice <3.

Hika_chan: ahem. Dai, non te la prendere con Sasuke, lui amava Sakura, solo che ha imboccato la brutta via della droga e ha voluto proteggere la sua bella. Cosa che non è servita a molto, a dire il vero. Spero che l’epilogo ti abbia soddisfatta in ogni caso, anche se non è “sistemato”. Rory rimane sempre una brava ragazza! XD

 

Così, questa storia è conclusa.

Ci tengo a ringraziare tutti coloro che la hanno messa fra i preferiti, e con mio stupore, non sono pochi! Grazie davvero, spero che ora, alla fine, mi facciate sapere che cosa ne pensate.

Grazie dell’attenzione, grazie di tutto.

Rory.

 

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