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L’orologio scandiva lentamente i secondi, i minuti, le ore.
Con quel ticchettio all’apparenza leggero e non poi così
fastidioso, permetteva il movimento delle lancette, e con quelle, lo scorrere
del tempo.
Il battito dell’orologio era coperto dallo scrosciare
impertinente del getto d’acqua, segno che dopo ancora numerosi minuti, la
doccia era ancora aperta. Aperta sì, ma senza nessuno dentro.
Sentì distintamente la stoffa della maglietta pizzicarle la
pelle, renderla un poco più arrossata di quanto già non fosse, giusto per
sottolineare quanto fosse fragile in quella situazione.
Afferrò con una precisione quasi maniacale i lembi della
maglia, sollevandola con lentezza e scoprendo il ventre piatto, sull’ombelico i
segni di una vita ormai passata, defunta, sepolta.
La buttò a terra con noncuranza, al contrario della
precisione usata per sfilarsela. L’osservò apaticamente cadere per terra con un
tonfo secco, e accasciarsi sul pavimento per poi rimanere ferma. Sorrise senza
divertimento. Come se quella maglia potesse muoversi, poi.
Quel capo non era particolarmente bello.
Era assolutamente semplice, di un colore totalmente rosso
spento. La verità era che aveva perso il senso della moda qualche tempo prima.
Non le interessava più così tanto, e tentava di giustificarsi in questo modo se
per caso si vestiva con abbigliamenti dagli abbinamenti completamente
sbagliati.
Non trovò ridicolo paragonarsi a quella maglietta senza vita
buttata là a casaccio sulle piastrelle di marmo del bagno. Anche lei, una
normalissima ragazza sulla ventina – anno più, anno meno. Non era mai stata
puntigliosa sulla sua età – non dimostrava nessuna caratteristica così
elettrizzante da poter risultare una persona minimamente interessante.
Stoffa che pizzica.
Sempre la stessa Sakura Haruno; ragazzina intelligente,
certo, ma fondamentalmente irritante. Glielo avevano detto in molti, chi con
ironia, chi con disprezzo. O chi con indifferenza.
Tinta unita.
Nella vita aveva ricevuto molte batoste. Oddio, forse non da
compiangere la sua esistenza come la più difficile e sbagliata in tutto il
mondo, ma il principio base era più o meno quello. Aveva avuto legami complessi
con la gente, dispiaceri fra gli amici, delusioni con i fidanzati.
Eppure era rimasta sempre la stessa, solita, assolutamente
non cambiata con il passare degli anni Sakura Haruno.
Accostamenti sbagliati.
Fisicamente non si era mai trovata un apogeo di bellezza.
Era piuttosto vanitosa, ma non poi così tanto come lo era, a quei tempi, la sua
migliore amica. I capelli corti le sfioravano a malapena le spalle,
solleticandole la nuca e le guance. Erano di un colore strano, e lei stessa
faticava a credere di poter essere così naturalmente: erano rossi, ma di un
rosso così chiaro e sfumato da sembrare rosa. E gli occhi, dal taglio
mediorientale, sfavillavano di un verde brillante. Questi colori su di lei
stavano bene; sembrava la primavera personificata. Ma a quei tempi era giunto
il momento in cui tutto ciò che riguardava la primavera, era ben lungi dal
riguardare lei.
Accasciata a terra.
Era ciò che avrebbe fatto anche in quel preciso istante, se
solo avesse potuto. Osservò il pavimento lucido del bagno, il tappeto bianco a
coprire le mattonelle che la distanziavano dalla doccia.
Aveva passato realmente troppo tempo a pensare, piangere e a
stremarsi sul pavimento.
Lo scrosciare dell’acqua non l’aiutava a concentrarsi e,
soprattutto, a pensare razionalmente. Molte volte aveva avuto quella voglia di
urlare, di rompere tutto ciò che la circondava, di distruggere quello che gli
altri avevano costruito proprio come era successo a lei.
Sentì gli occhi pizzicare, proprio come pizzicava la maglia
sulla sua pelle, ma non pianse.
Sentì uno strano gorgoglio in gola, pronto ad esplodere in
un urlo disperato, ma non urlò.
Sentì il corpo essere invaso da uno strano impeto di furore,
ma non si mosse.
L’orologio scandiva i secondi, i minuti, le ore.
Ancora c’era tempo.
E lo maledisse.
L’Urlo
e il Furore
8 Novembre 2008; ore 9.18
Fece scorrere con accorta delicatezza il pollice fasciato
dal guanto sull’iPod, scorrendo le numerose canzoni contenute in esso. Sul viso
era dipinta un’espressione insoddisfatta ed infreddolita, chiaro segno di non
aver trovato ancora una canzone che riuscisse a riscaldarla a dovere.
Realisticamente parlando, il tempo non era dei migliori.
Nella stagione invernale quel piccolo quanto piacevole e
discreto paesino assumeva colorazioni chiare e pallide, quasi sempre ricoperto
da sottili coltri di neve e brina. Nel cielo splendeva per quanto riuscisse a
splendere un sole pallido, quasi stanco di illuminare le strade della città e
intento con decisamente molta pigrizia a calare oltre l’orizzonte, per dare il
cambio alla luna.
Ad ogni suo respiro, dalle labbra fuoriusciva una
consistente nuvoletta di vapore, che si andava a disperdere qualche secondo
dopo nell’aria satura di umidità.
«Cristo santo, che freddo…» balbettò innervosita, sorridendo
appena e – finalmente – schiacciando soddisfatta l’Ok sull’iPod, infilandosi
con apparente grazia le cuffiette nelle orecchie, semi nascoste dal cappellino
di lana. Rimise l’aggeggio nelle tasche, alzando lo sguardo di smeraldo sulla
casa relativamente centenaria che si ritrovava di fronte.
Volse un ultimo sguardo indietro, in direzione della
panchina coperta da una piccola cupola che fungeva da fermata del pullman, e
sorrise quasi con nostalgia, ritornando a fissare la casa.
Quel piccolo paese nei pressi di Monza le sarebbe mancato,
poco ma sicuro.
Non era di certo una metropoli frequentata da milioni di
persone, piuttosto era una cittadinella anonima, colma di abitanti discreti e
gentili, provvista di quei pochi elementi tecnologici e, se così poteva
definirli, futuristici per permetterle di andarsene con un sorriso sulle
labbra, una promessa strappata al cuore di ritornarci.
Batté ciglio, scotendo lievemente la testa al ritmo della
musica che l’iPod le trasmetteva nelle orecchie, adocchiando con la coda
dell’occhio un enorme muso arancione che non era altro che il pullman in
arrivo. In ritardo come al solito, si sentì di aggiungere.
Con uno sbuffo attutito dal gas scuro che fuoriusciva dal
tubo di scarico posto sopra al tettuccio, il pullman arrestò la sua corsa a
pochi metri di distanza da lei, costringendola così ad una breve corsa per
entrare prima che l’autista chiudesse le porte.
Appena salita si tolse il cappellino, rivelando la chioma
rosata che si celava sotto di questo, vagamente arricciata e increspata a causa
dell’umidità. Nonostante ciò i capelli sembravano a posto, quei boccoli leggeri
le scivolavano fino alla vita ora che non erano più costretti nel cappellino.
Timbrò l’ultimo biglietto che avrebbe preso in quel paese, e
si andò a sedere tranquillamente sul sedile infondo all’autobus, il suo
preferito.
Costretta per un breve periodo di tempo di praticantato
nella città di Milano, in quanto neolaureata in medicina, non aveva trovato
alcun alloggio se non in quel paese di pochi abitanti, bensì lontano dal grande
capoluogo lombardo, ma relativamente comodo in quanto a prezzi e mezzi.
Andando ogni giorno a farsi un’esperienza nell’enorme
policlinico milanese, era ovviamente costretta ad usufruire di una quantità per
nulla proporzionata alle sue ore di lavoro di mezzi pubblici. Perciò aveva
avuto abbastanza tempo da adottare come suo preferito quel sedile nel fondo del
pullman, proprio quello sotto o accanto (non era un’esperta di queste cose,
francamente) al motore che surriscaldava il posto, regalandogli un lieve
calore.
Lì si sedette, accavallando con cautela le gambe ed
appoggiando il gomito al bordo del finestrino. Per quanto le piacessero i
pullman era ben consapevole della buona quanto cattiva gente ci poteva trovare
sopra, perciò s’isolò così, rivolgendo la sua totale attenzione alle strade del
paese che l’autobus percorreva, delle mura che racchiudevano quei simpatici
cittadini che scorrevano dalla parte opposta alla sua e di quanto lì a Parigi,
dove si stava dirigendo, le sarebbe tutto mancato.
Un lieve torpore s’impossessò del suo corpo, rendendolo più
rilassato di quanto avrebbe dovuto essere. Fece un veloce mente locale,
ricordandosi che doveva scendere alla tredicesima fermata, attraversare la
strada per arrivare a quella dell’altro pullman, salire su di questo e
attendere un altro quarto d’ora per arrivare alla stazione di Sesto San
Giovanni, dove lì avrebbe preso la metropolitana per una buona mezz’ora fino ad
arrivare alla stazione centrale di Milano.
Da lì avrebbe visto la libertà per Parigi, dove avrebbe
iniziato un ulteriore periodo di praticantato nell’ospedale della capitale
francese, un’ottima occasione per migliorare anche la lingua parlata.
Sorrise, negli occhi una nota impaziente di intraprendere
quella nuova “avventura” che i suoi studi le avevano proposto. Si morse le
labbra a fatica per non urlare cantando le parole della canzone che stava
ascoltando in quel momento, sentendosi invadere di una cieca euforia che le
attanagliava di felicità il cuore e la mente. Due elementi che per la prima
volta, in lei, si trovavano d’accordo.
S&S
9 Dicembre 2008; ore
18.37
Si guardò intorno con aria spaesata, i grandi quanto
luccicanti di curiosità occhi verdi spalancati davanti a tale maestosità. Non
aveva mai pensato a Parigi come una città così grande, imponente e dispersiva.
Certo, aveva letto molto a riguardo, sapeva bene quali monumenti e musei
visitare per l’occasione, ma vivere tutto dal vivo era completamente diverso.
La gente passava velocemente accanto a lei, sorpassandola con noncuranza e
sfiorandole più volte e senza alcun timore le spalle, spingendola alle volte in
avanti e alle volte indietro. Sakura non ci fece caso: era troppo impegnata a
guardarsi intorno e a connettere il cervello per intraprendere una ricerca di
qualcuno o qualcosa di familiare per prestare attenzione alle persone accanto a
lei.
Il viaggio era durato molto. Dopotutto sapeva che era
partita da “casa” molto presto, ma senza alcun biglietto e mezzo di trasporto
sicuro e perfettamente in orario era stato meglio essere prudenti. Da Milano
era partita intorno alle 19, ed il treno in arrivo a Parigi aveva ritardato –
sarebbe stato davvero troppo bello essere puntuali – per quasi un’ora e mezza.
«ehi, tu! Tu col cappellino!». Sentì una voce forte e sicura
provenire dalla sua sinistra e, buttando la mano destra sulla valigia piuttosto
grande per una sola persona, si voltò in quella direzione cercando di capire
chi la stesse chiamando e se, effettivamente, stessero chiamando lei.
Corrugò le sopracciglia chiare, incontrando con i suoi un
paio d’occhi del suo stesso colore, forse un poco più scuri e dall’aria
dannatamente profonda e matura. Quella donna doveva essere più grande di lei,
quasi sicuramente. Lasciò scivolare lo sguardo sui capelli di grano scuro
forzati in quattro code ai lati della testa, sulle sopracciglia dorate
rilassate sul viso sopra agli occhi di smeraldo grezzo – più sporchi e magari
più peccaminosi dei suoi – fino ad osservare il naso dritto e lievemente
all’insù precedere la bocca carnosa e colorata di un rosso scuro.
Un tailleur dalle colorazioni scure le fasciava morbidamente
il corpo, mettendo in risalto le generose quanto rotonde curve. Sakura avrebbe
sicuramente affermato che quel corpo fosse troppo rotondo, troppo pieno di
curve, troppo robusto. Ma il viso dai lineamenti duri e così femminili insieme
non gliene diedero l’opportunità: quella ragazza era davvero uno schianto.
«Ehm…io?» domandò ingenuamente, puntandosi involontariamente
l’indice contro. La giovane avanzò verso di lei con passo sicuro, facendo
riecheggiare prepotentemente il rumore dei tacchi ai suoi piedi. Si fermò a
pochi centimetri da lei, scrutandola con cipiglio superiore.
«Sakura Haruno?» chiese a bruciapelo, le sopracciglia
arcuate corrugate in un’espressione di compunta concentrazione. Sakura strinse
le labbra, facendole impallidire sotto quella pressione.
«sono io».
La donna batté ciglio, scrutandola da testa a piedi e
mettendola lievemente in soggezione. Quando notò come colei che le stava di
fronte stesse per aprire bocca, la fermò con un vago gesto della mano, a metà
fra lo stizzito e lo scocciato.
«so cosa stai per chiedermi. Conosco il tuo nome perché
Tsunade mi ha avvertita del tuo arrivo. Sei italiana, giusto?» spiegò con
apparente calma la bionda, gli occhi pacatamente socchiusi.
«ehm, sì. Tsunade ti ha avvisata…?».
«lavoro all’ospedale parigino, sono un chirurgo. Tsunade mi
ha detto che uno specializzando di nome Sakura Haruno proveniente dall’Italia
sarebbe arrivato in serata qui in Francia per usufruire degli insegnamenti dei
dottori francesi e per migliorare la lingua nazionale. Perciò sono venuta a
prenderti, altrimenti come avresti fatto a raggiungerci?» concluse la donna,
abbandonando improvvisamente l’espressione seria e superiore, sostituendola con
una pressoché divertita.
Sakura si tirò indietro, vagamente perplessa da quella
strana spiegazione.
«Ehm… e come sai che Sakura sono io? Cioè, insomma… raggiungerci?».
Era evidente quanto l’Haruno fosse spaesata da quelle parole
e la ragazza scrollò le spalle, come se la cosa non la riguardasse minimamente.
«Tsunade mi ha mandato il tuo curriculum, e lì c’è anche la
tua foto. E andiamo, non penserai che di dottore ci sono solo io qui, no? Ah,
comunque io sono Sabaku No Temari. Ma chiamami semplicemente Temari, odio le
formalità. E poi vivremo nello stesso posto, un po’ di confidenza ci vuole!»
esclamò con tono leggero la dottoressa, invitandola con il solo sguardo a
prendere la valigia e a seguirla verso l’uscita della stazione.
Inizialmente Sakura rimase leggermente perplessa, se non
completamente incapace di capire cosa le stesse succedendo. In una sola serata
aveva appreso che la primaria del reparto psicologico del policlinico milanese
Tsunade aveva inviato il suo curriculum all’ospedale francese, che una chirurga
era appena venuta a prenderla e che avrebbe vissuto con lei insieme ad altri
medici. Ed ovviamente lei non ne sapeva nulla.
- È normale che io non sia mai sulla stessa lunghezza
d’onda degli altri, no? –
«Ehm… Temari!» prese in fretta e furia la valigia,
affondando l’altra mano nella tasca e accelerando il passo per raggiungere la
bionda, l’aria gelida di Parigi le distruggeva lentamente i polmoni, causandole
un leggero affanno.
«grazie di tutto. – arrossì appena, dopo quelle parole – Qui
a Parigi fa sempre così freddo?».
«Uhm, solo di questa stagione. Ma ti sei beccata un periodo
di vero gelo polare cara mia. E adesso muoviti che gli altri ti aspettano. Sono
tutti impazienti di vederti… sai, le novità eccitano sempre chiunque» concluse
con tono vago, camminando composta sul marciapiede al di fuori della stazione,
alla ricerca dell’auto che aveva parcheggiato lì in quel mare di macchine
colorate.
«… capisco. Sono… simpatici?» domandò flebilmente,
affondando il mento e di conseguenza le labbra nella sciarpa di lana pesante,
quasi nascondendosi sotto di questa.
«chi sì e chi no. Dipende» non si sbilanciò nella risposta
Temari, senza neanche voltarsi a guardarla negli occhi, troppo impegnata a
marciare sulla strada in direzione della macchina. Sakura annuì mesta, senza
che l’euforia provata il giorno prima però scemasse nel nulla.
Nonostante l’apparenza austera e fredda, Temari non doveva
essere male. Solo in quei pochi minuti passati insieme aveva capito ciò che
avrebbe potuto condividere con lei, e ciò che avrebbe dovuto tacere. Era chiaro
come il sole che la Sabaku doveva essere un tipo piuttosto pretenzioso,
schiavista e, perché no, femminista. Era una classica ragazza bella e dal carattere
forte, a conoscenza di entrambe le sue doti e avente a disposizione i mezzi
necessari per poterle sfruttare.
«Temari, quanti anni hai?» domandò Sakura incapace di
tacere, troppo curiosa per poter accontentarsi di quelle poche – a suo avviso –
informazioni.
«ventotto – come prima, la Sabaku non si voltò, ma sentì
distintamente il sospiro teso della giovane alle sue spalle e per quello,
forse, tentò di risultare un poco più cordiale – tu?».
«venticinque. Ho studiato medicina in Italia, e mi sto specializzando
nel ramo della psichiatria. Mi piacerebbe molto essere come Tsunade sai. Una
con… le palle, ecco». Alzò di poco il viso, giusto per misurare la reazione di
Temari a quelle parole.
«per essere un medico devi avere per forza le palle. E se
sei arrivata a questo punto, in un modo o nell’altro, ce le hai anche tu. Sta a
te decidere della tua vita, non agli altri. Ah, eccola finalmente!». Temari si
diresse spedita verso una Mercedes nera sfavillante, aprendola non appena fu
abbastanza vicina per aprirla automaticamente con la chiave.
«dammi la valigia, la metto del bagagliaio. Tu sali avanti,
intanto» ordinò pacata, tendendo entrambe le mani in direzione di Sakura, che
le porse senza troppi ripensamenti la valigia.
Salì in auto velocemente, richiudendo con un tonfo secco lo
sportello accanto a sé. Si sfregò rapidamente le mani arrossate dal freddo,
sentendo la sensibilità delle dita scemare con il passare del tempo. Respirò
rumorosamente, notando come anche all’interno dell’auto le nuvolette di vapore
si condensassero per poi sparire nel nulla. Sentì uno scatto al suo fianco, e
registrò come Temari entrasse in auto con un’eleganza naturale, poggiando la
mano destra sul volante e la sinistra sulla maniglia dello sportello,
chiudendolo.
«Dunque. Per arrivare al palazzo non ci vogliono nemmeno
otto minuti» cominciò con impeccabile precisione la bionda, mettendo in moto la
macchina che non esitò ad accendersi.
«non ci sono precise regole da seguire. Devi solo sapere che
l’appartamento in cui tutti viviamo è piuttosto enorme, ed è formato da una
sala comune nella quale si trovano molti scaffali pieni di libri. Lì di solito
studiamo o parliamo del più e del meno. È un po’ un punto di ritrovo…». Sakura
annuì diligentemente, osservando la strada scivolare sotto di loro ad una
velocità inaudita. Non distolse gli occhi color delle selve dal cruscotto in
pelle beige se non per dare un’occhiata alla strada di fronte a loro, le mani
fermamente appoggiate ai lati del sedile della pelle chiara.
«… dalla sala comune si può arrivare ad ogni stanza. Ognuno
ha una stanza per sé, con letto matrimoniale e bagno all’interno. E aggiungo
che ciò che fai lì dentro non è affare nostro, al contrario della stanza comune
in cui tutti abbiamo libero accesso. Non so se mi spiego» sottolineò Temari con
voce maliziosa, dipingendo sulle labbra carnose un sorriso di scherno.
L’Haruno masticò un “chiaro”, sentendo le guance
imporporarsi.
«per quanto riguarda la cucina è una sola, ci si arriva
dalla sala comune. Ti avviso che nei posti frequentati da tutti non si fuma e
non si beve. Salvo avvenimenti essenziali come feste di compleanno e di addio
al celibato o al nubilato» puntualizzò nuovamente, assumendo un’aria colpevole.
Probabilmente era la prima ad indire quelle festicciole. L’Haruno trattenne un
risolino sinceramente divertito dall’espressione di Temari, ritornò poi a
guardare la strada.
La Sabaku aveva svoltato a tutta velocità a sinistra e per
Sakura non fu difficile immaginare il prezzo salato di una multa se lì ci
fossero stati dei vigili.
«…un’ultima cosa. Lo vedi quello laggiù?» borbottò Temari,
allontanando una mano dal volante ed indicando con quella un ragazzo attraverso
il vetro. Arrestò la corsa della macchina, parcheggiando perfettamente affianco
al marciapiede libero. Sakura si sporse lievemente dal sedile per poter
osservare colui che la donna indicava, cercando di scorgere quella figura
nell’ombra della sera inoltrata. Finalmente vide un ragazzo, forse della sua
età, con dei lunghi capelli castani bizzarramente legati in una coda alta.
Storse le labbra, annuendo.
«ecco. Carino, vero?».
E Sakura se ne accorse.
Temari aveva scoccato la sua freccia, adesso stava a lei
riuscire a non farsi colpire. Capì che quella era una domanda che avrebbe
influito notevolmente nella sua futura vita a Parigi: se avesse risposto con le
parole giuste si sarebbe salvata, altrimenti… Milano l’aspettava con nostalgia.
Alzò gli occhi al cielo, crucciando le sopracciglia chiare e
sporgendo in avanti la mascella.
«Sì. Molto carino» azzardò infine, dedicando un’occhiata al
ragazzo che sembrava aspettare proprio loro al portone d’entrata di un palazzo
dalle sembianze piuttosto vecchie.
Temari gonfiò orgogliosamente il petto, distogliendo lo
sguardo da colui che l’aveva fatta arrossire sotto il lieve strato di
fondotinta. Sakura sorrise quasi intenerita da quella visione.
«bene. Se vuoi una vita felice e tranquilla ti conviene
lasciarlo perdere, quello è il mio uomo» rivelò nascondendo abilmente
una nota emozionata e fiera nella voce.
«Ma…» …stai tranquilla, non sarebbe comunque il mio tipo.
«Niente ma. Ho già detto abbastanza riguardo a Shikamaru, non
farmelo ripetere. Forza, andiamo» tagliò corto la Sabaku scendendo
agilmente dall’auto. Sakura sospirò pesantemente, rivolgendo lo sguardo verso la
ragazza che s’avventurava su quei tacchi vertiginosi verso colui che doveva
essere Shikamaru, appigliandosi al suo collo e nascondendo dietro il suo il
viso di lui.
Aprì con uno scatto roco lo sportello, allungando a fatica
la gamba e poggiando la sua scarpa da ginnastica sull’asfalto grigio. Sentì il
ginocchio indolenzito ma non vi fece caso, uscendo completamente dalla macchina
e assaporando l’aria pulita di quel quartiere.
Sebbene fossero quasi le sette, era tutto tranquillo.
La luna padroneggiava serena nel cielo, raccogliendo sotto
la sua lieve aurea argentata il brillio delle stelle che somigliavano a piccole
lampadine incastonate in un soffitto inesistente. Era un bel posto, dopotutto.
Forse le incuteva una strana nostalgia di casa, dei suoi genitori.
«Ehi Sakura! Lui è Shikamaru, Shikamaru lei è Sakura! È il
nuovo specializzando» presentò velocemente Temari dalla parte opposta della
strada, scostandosi dal corpo del giovane.
Quest’ultimo allungò un poco il collo per poterla osservare
meglio, fino a quando non alzò la mano in un gesto che aveva del seccato e del
sensuale insieme.
«Yo» salutò con voce roca, tenuta appositamente bassa e dal
cipiglio scocciato. Sakura sorrise cordiale, piegando lievemente la testa da un
lato, facendo ricadere i capelli increspati dall’umidità sulla spalla.
«ciao. Saliamo?» domandò sbrigativa e piuttosto
infreddolita, trattenendo fra le mani il bagaglio pesante. Shikamaru abbandonò
il fianco della sua ragazza, afferrando con ben poca galanteria la valigia di
Sakura ed aprendo pigramente il portone.
«Certo. Andiamo» acconsentì frettoloso, sparendo
nell’oscurità dell’atrio seguito dalle due ragazze.
Quando Temari poggiò la mano sulla maniglia laccata in oro
della porta aprendola, Sakura non si aspettava di dover dare ragione alla
bionda quando aveva detto “La nostra casa è enorme”. Certo, avrebbe potuto
essere una casa qualunque, con un locale ben più grande degli altri, ma quella
che doveva essere la sala comune era davvero gigantesca.
Il muro colorato di un beige pallido donava all’atmosfera
una sensazione di calore, come le tende rosso rubino che coprivano a malapena i
cardini delle finestre, da dove era possibile intravedere la strada al di
sotto. Sul muro erano addossate tutte le librerie contenenti un infinito numero
di volumi di tutti i generi: fece in tempo a notare il nome di qualche autore
importante sia nel campo della medicina che della fisica, matematica e
letteratura. Nel centro della stanza, sopra ai tappeti dalle colorazioni chiare
e dalle rifiniture varie, sostavano divani e poltrone dall’aria comoda, sui
quali sedevano alcuni ragazzi bene o male della sua età. C’era chi studiava
silenziosamente, chi ripeteva a bassa voce e chi sussurrava per scambiare due
chiacchiere fra una pagina e l’altra dei libri con gli amici. Ma appena sia lei
che Temari e Shikamaru misero piede nella stanza, tutti alzarono lo sguardo
verso coloro che avevano appena interrotto il loro studio quotidiano.
«Ohi Temari! Alla buon’ora, né!» strillò un ragazzo
piuttosto esile e dai capelli biondi, decisamente scompigliati e dalla
pettinatura pressoché inesistente. S’alzò di tutta fretta dalla poltrona sul
quale si era accomodato chissà quanto tempo prima, raggiungendo a grandi
falcate i nuovi arrivati.
«taci Naruto. I treni possono anche essere in ritardo,
sai?!» domandò retorica la bionda con tono sprezzante, osservando dall’alto in
basso colui che le aveva appena rivolto la parola. Si voltò per togliersi il
giubbotto, seguita da Sakura, ed in quel breve lasso di tempo il biondo riuscì
a regalarle una silenziosa linguaccia. L’Haruno sgranò appena gli occhi chiari,
trattenendosi per non ridere.
«Baka, ti ho visto. Se prendi per il culo Temari, almeno
evita di farlo davanti a me» borbottò con la classica inclinazione scocciata
Shikamaru, buttandosi con ben poca eleganza su un divanetto libero.
«Ciao! Sono Naruto Uzumaki, venticinque anni e pronto a
servirti!» esclamò con convinzione il biondo, ignorando galantemente Shikamaru
che, di tutta risposta, sbadigliò. Sakura spostò la sua attenzione da Temari,
che evidentemente non era d’accordo alle volontà di Shikamaru di schiacciarsi
un sonnellino, a colui che le aveva appena parlato.
«oh, ciao. Mi chiamo Sakura Haruno e anche io ho venticinque
anni. Ehm… beh. Piacere di conoscerti» terminò con forzata sicurezza,
stringendo la mano dell’Uzumaki.
«Eh! Dunque, partendo da destra quelli sono: Tenten – quella
con i capelli castani, la vedi? – Neji, Gaara – è il fratello di Temari! –
Kiba, Sasuke e Shino! Ehi ragazzi, questa è Sakura!» elencò Naruto, indicando
ad ogni nome una persona diversa, fino a puntare il dito su di lei
all’esclamazione finale. Sakura seguì il dito del ragazzo ogni qual volta che
si spostava, distogliendo a fatica l’attenzione da quegli occhi assurdamente
azzurri che aveva il biondo. Studiò Tenten, che tratteneva fra le mani un libro
di chimica e che sembrava avere un viso gentile. Neji le apparse come un
ragazzo fin troppo raffinato e con la puzza sotto al naso, che controllava
diligentemente Tenten in modo che non si distraesse dalla sua lettura. Gaara fu
probabilmente colui che la colpì di più in quel momento. Se era davvero il
fratello di Temari non ci assomigliava per nulla: lei aveva dei capelli biondo
cenere, lui rossi fiammanti, lei aveva degl’occhi di smeraldo grezzo, lui di
acqua cristallina. E se Temari aveva un fisico più che robusto, Gaara era
davvero molto esile.
Colui che doveva essere Kiba la stava guardando con cipiglio
curioso, quasi la stesse studiando, ma Sakura non riuscì ad arrossire per
quell’attenzione puntata su di sé. Spostò lo sguardo su delle spalle larghe
coperte da una maglia blu scura ed infine su una giacca azzurro chiara.
Quelli dovevano essere Sasuke e Shino.
Notando come Sakura stesse guardando gli ultimi due, Naruto
le si avvicinò di soppiatto con aria di chi la sa lunga, sussurrandole
nell’orecchio poche parole.
«lascia perdere Sasuke “il bastardo”, se proprio ci tieni
concentrati su Shino».
Dopo qualche secondo di smarrimento, tutti lasciarono
perdere i loro studi avvicinandosi alla “novità” e Sakura non poté che sentirsi
decisamente lusingata da tutte quelle considerazioni.
«Ben arrivata, Sakura! Spero ti troverai bene!» aveva
esclamato Tenten, euforica.
«Ossequi» borbottò con tono ironicamente falso Neji,
sbuffando.
«Benvenuta». La voce calma e roca doveva appartenere al
fratello di Temari.
«Ehilà Sakura! Spero di conoscerti molto bene in
questo periodo, eh?!». Kiba si beccò un pugno in testa da Naruto, che brontolò
qualche frase sconnessa all’Haruno incomprensibile.
Shino le rivolse un cenno di saluto con la testa,
nascondendo abilmente il mento sotto al colletto della giacca che indossava e
celando a tutti i suoi occhi con degli occhiali spessi.
Sakura guardò in direzione di Sasuke, aspettandosi anche da
lui un solo cenno di saluto, anche non a parole. L’osservò con insistenza,
sperando che questi si voltasse e si avvicinasse a lei. Non se lo sapeva
spiegare, ma in un qualche modo si sentiva come se quelle spalle robuste le
infondessero un senso di calma e di indefinibile attrazione.
Sasuke non si voltò.
«Ehi, Temari» chiamò sottovoce Sakura, avvicinandosi
lentamente alla donna e liberandosi dall’improvvisa stretta di Naruto che già
voleva farle visitare il posto.
«dimmi».
«Ma… chi è quello?».
Temari si voltò nella direzione indicata da Sakura,
crucciando vagamente le sopracciglia dorate. Appena vide chi Sakura stesse
indicando, scrollò le spalle, quasi fosse infastidita.
«è Sasuke Uchiha. Ha la tua stessa età, ed è laureato in
medicina con specializzazione in cardiologia. Per quanto lo riguarda, dicono
che sia un genio. Infatti a quell’età ha già una specializzazione. Ma diciamo
che la famiglia lo ha aiutato molto; i suoi genitori erano entrambi dei dottori
piuttosto famosi qui in Francia, perciò non gli è stato difficile laurearsi
nella loro stessa materia. Personalmente non l’ ho mai trovato né simpatico né
di buon carattere, non parla mai. Se parla è per riprendere Naruto e Kiba, che
sono dei suoi pseudo amici anche se ha sempre affermato il contrario. Vallo a
capire» spiegò pacatamente la Sabaku, premurandosi di tenere un tono di voce
basso quanto bastava per non farsi sentire dal diretto interessato.
«i suoi genitori erano?» domandò la rosa, tirandosi
appena indietro sottolineando quel tempo verbale passato. Temari strinse le labbra,
assumendo un’espressione sbrigativa.
«sì, erano» ripeté ostinatamente, e Sakura capì di non dover
insistere ulteriormente.
«ti riferivi a lui quando parlavi di persone simpatiche e
non?».
«Non te la prendere se non ti ha manco guardata. È normale,
non ce l’ ha con te. Semplicemente non gli interessa, come non gli interessa di
null’altro se non della medicina. Diciamo che Sasuke Uchiha non è l’esempio
massimo di cordialità in questo posto».
Forse fu solo una sua impressione, ma Sakura poté giurare di
aver visto Sasuke voltarsi appena ed abbandonare la sua posizione compostamente
seduta per guardarle, negli occhi di onice un chiaro accenno di irritazione.
Decise di non farci caso e di unirsi alle chiacchiere di Naruto.
«Sasukeee!». L’urlo.
«Taci, dobe!».
Dopotutto quel posto – con quella voce così bassa, roca,
sensuale – cominciava a piacerle.
«ma come ti permetti?!».
Ed infine, il furore.
…continua.
Buondì!
Vi ho postato la prima parte della fanfiction che ha
partecipato al contest “Into the Book” di Bambi88 e Kalanchoe, classificandosi
– ebbene sì, signori e signore – seconda! Ed inoltre vincitrice del premio “giuria”
per attinenza alla traccia.
Spero con tutto il cuore che vi possa piacere, mi ci sono
impegnata davvero tanto. Non la dedico a nessuno in particolare, ma a tutti i
fan SasuSaku che sono in astinenza (come me .-.) o che, semplicemente, amano
questa coppia.
Special Thanks to: Rò, la giudice, per aver indetto
questo concorso e avermi spinta a partecipare xD, LullaH perché mi ha
sopportata con i miei “Non finirò mai in tempo, questa fic è uno schifo!”, Lily
e Rota che si sono classificate prima e terza <3.
Sakura camminò a passi felpati verso la porta della sua
camera, per uscire in sala.
Da quando era arrivata, Naruto si era offerto volontario di
portarle le valigie e di farle fare un rapido giro di perlustrazione della
casa. Insieme a Naruto aveva scoperto che Neji e Tenten avevano una relazione
di quasi due anni e perciò condividevano la stessa stanza. Avevano
chiacchierato in sala comune fino alle dieci passate, ed ormai tutti avevano
abbandonato i loro studi per interessarsi a lei e stringere amicizia, tranne
Sasuke. Al contrario delle sue aspettative, per quanto taciturni potessero
essere, anche Gaara, Neji e Shino le erano risultati vagamente simpatici.
Infine, alle dieci e mezza, si erano rintanati tutti nelle
rispettive camere, causa lavoro mattutino.
Sakura però non riusciva a dormire, era ancora lievemente
stordita da quel viaggio disarmante in treno, e da tutti i nuovi avvenimenti
della giornata trascorsa. Sulle punte dei piedi, si era alzata silenziosamente
dal letto, raggiungendo con brevi saltelli la porta ed aprendola. Sporse la
testa quel che bastava per assicurarsi che il corridoio fosse deserto – era
(s)vestita in lingerie – e poi corse tacitamente fuori. Con piccoli quanto muti
passi, s’incamminò verso la sala comune per raggiungere la cucina.
Metaforicamente parlando, la gola implorava per un bicchiere d’acqua. Aprì la
porta della sala con decisione, sicura di non trovarci nessuno, ma la figura
seduta rigidamente su una poltrona la fece sussultare, e quindi ricredere.
I capelli d’ossidiana erano arruffati in ciuffi scomposti,
che ricadevano disordinatamente sulle guance pallide, rese ancora più spettrali
dal lieve bagliore dell’abat-jour accesa. Gli occhi, del medesimo colore dei
capelli, erano nascosti dietro di questi, sicuramente impegnati in un’attenta
lettura di un’opera di Wilde.
«che ci fai qui, a quest’ora?» bisbigliò sorpresa Sakura,
completamente dimentica di essere in reggiseno (o reggicostole, dipendeva dai
punti di vista, secondo lei) e in mutande.
Sasuke alzò pigramente la testa per dedicarle un’occhiata
superficiale.
«non sono affari tuoi» le rispose apaticamente, ritornando a
leggere il libro che tratteneva fra le sue mani dalla pelle cadaverica.
«leggi?». Che domanda idiota.
Sasuke dovette pensarla allo stesso modo, e lo notò dalle
sopracciglia sottili e scure inarcate insù, e dal lieve ghigno che s’era
formato sulle sue labbra affusolate.
«da cosa lo hai capito? Dal libro? – sospirò debolmente –
non ti facevo così sagace» rivelò tristemente sornione, battendo ciglio con
aria altezzosa.
Di sicuro, se si fosse trattato di qualcun altro, Sakura lo
avrebbe preso sonoramente a schiaffi. Evidentemente qualcosa la trattenne,
perché rimase ferma sulla porta ad osservarlo come inebetita.
«diciamo che il libro è un buon indizio. Mi chiedevo perché
leggi qui e non in camera. E poi non hai manco il pigiama, cioè… ahem, non
dormi?».
- stupida, stupida. Una ragazzina alle prese con la sua
prima cotta, e dall’intelligenza smarrita nelle parti dei polmoni, forse vicino
al cuore -
«io invece mi chiedevo perché non fai quello che devi fare e
non te ne vai» rimbeccò l’Uchiha pacato, chiaramente infastidito da quelle
ingenue domande. Sakura scrollò le spalle, rivelando il suo corpo nascosto
dietro alla porta, ed entrando in sala con camminata lenta e scomposta. Si
guardò intorno alla ricerca della porta della cucina, impresa che,
improvvisamente senza Naruto, divenne impossibile. Strinse le labbra desolata,
girandosi verso Sasuke.
«per caso mi… potresti dire dove si trova la cucina? Naruto
me lo aveva detto, ma credo di essermelo dimenticato, sai com’è, ho un sacco di
cose per la…».
«di là» troncò il suo discorso il moro, alzando
svogliatamente il braccio destro ed indicando la prima porta a sinistra a
quella dell’entrata. Sakura ammutolì, trattenendo uno sbuffo, e si diresse
verso la cucina fino a quando non si ricordò, casualmente, di non essere
adeguatamente vestita.
«ah! Sasuke…» cominciò, arrossendo prevedibilmente e coprendosi
alla meno peggio con le mani.
«non ti sto guardando, muoviti ad andare in cucina e poi va’
via, per Dio».
La ragazza storse il naso, ed improvvisò una lieve corsa
fino a sparire dietro l’uscio della cucina. Lo richiuse velocemente, non
riuscendo ad impedirsi di appoggiarci le spalle e chiudere gli occhi.
“Oh beh, come prima chiacchierata non c’è male” pensò
sarcasticamente affranta, la mente demolita dall’imbarazzo ed i sensi offuscati
dalla vergogna. Certo, da quando aveva visto Sasuke un neurone tentava di farla
mettere in mostra per farla notare. E se quel neurone in quel momento aveva
gioito perché, in un modo o nell’altro in mostra si era messa, i restanti
neuroni avevano tentato un suicidio di massa. Questione di neuroni, quindi, che
lei aveva studiato fin troppo bene.
“che figura di merda. Non penso di avere il coraggio di
uscire nuovamente. No, non ce l’ ho infatti” strinse le palpebre, sperando
vivamente di scomparire in quel preciso istante.
Sentì il freddo pungente del pavimento congelarle i piedi
nudi ed il legno della porta gelarle la schiena.
“che razza di situazione. Sono in Francia da manco un giorno
e già mi faccio riconoscere! Piuttosto muoio assiderata qui. Magari aspetto che
se ne vada… chissà che cosa pensa di me, adesso”.
Aprì gli occhi, ritrovandosi nella penombra di una stanza
con le tapparelle chiuse e la porta sigillata. L’interruttore della luce, come
le aveva mostrato Naruto, si trovava al di fuori della stanza.
L’orologio appeso poco più in alto della porta ticchettava
fastidiosamente i secondi, rendendola più nervosa di quanto già non fosse. I
secondi, per quanti potessero essere, non passavano mai.
Sarà stato un lungo flusso di coscienza interiore, o forse
lo stravagante colorito bluastro delle dita dei piedi che la convinse a
voltarsi lentamente fino a toccare con il seno acerbo la porta. Posò su di
questa l’orecchio, cercando di captare un qualsivoglia rumore che le provasse
la presenza di Sasuke in sala. Non sentendo ovviamente nulla, si obbligò a fare
scattare la maniglia, socchiudendo la porta. Fece capolino con la testa, come
aveva fatto indeterminato tempo prima con l’uscio della sua stanza, e scrutò
nel silenzio della camera, notando come l’abat-jour fosse ancora accesa. Per
evitare di sfigurare ulteriormente di fronte a Sasuke, uscì dalla cucina e
s’avvio verso il centro della sala.
Sulla poltrona non c’era nessuno.
«non c’è» sussurrò, come se dirlo servisse ad infonderle
calma. Deglutì rumorosamente, sospirando sollevata e tirando sulle labbra rosee
un sorriso rilassato. S’avvicinò alla poltrona, osservando il libro di Wilde
capovolto a tenere il segno ed un plico di relative dimensioni per terra, sul
tappeto.
Incuriosita, si chinò a raccoglierlo, quando sentì le forze
mancarle improvvisamente. Anche se non era propriamente nel suo stile, si
lasciò cadere seduta per terra, troppo stanca per rialzarsi subito. Afferrò
quella cartelletta di cartone ingiallito e spiegazzato, sicuramente provato dal
tempo, e lo appoggiò sulle cosce nude. Sulla copertina non vi era scritto
nulla, tanto meno il nome del proprietario, e facendo leva su ciò, Sakura non
si fece molti scrupoli di coscienza ad aprirlo e curiosarci dentro. Sgranò gli
occhi sorpresa, tirando fuori dalla cartella una quantità abbastanza elevata di
fogli sia vecchi che nuovi.
L’odore della carta e dell’inchiostro invecchiato le inebriò
per un breve momento i sensi, convincendola a sparpagliare quei fogli sul
tappeto ed osservarli uno ad uno.
Erano dei disegni, precisamente dei ritratti fatti a mano,
chissà da chi.
Sakura passò le dita dalla pelle vellutata sul primo,
scorrendo i contorni di un viso da donna dai lineamenti dolci e rilassati in un
sorriso. I capelli lunghi erano colorati col carboncino, ed alcuni ciuffi le
adombravano la fronte e le guance. L’espressione degli occhi era rappresentata
meravigliosamente: sebbene fosse disegnata solo col carboncino, gli occhi erano
vivi, accesi di quello che sembrava amore. Con lo sguardo cercò delle scritte
ai contorni del ritratto, trovando la parola “Mamma” sul fondo del foglio, e la
firma di colui che doveva essere l’autore, S.U.
“che sia…?” non fece in tempo a pensare a quel nome,
che un qualcosa sbatté violentemente.
«che cosa stai facendo?!» sbottò visibilmente alterato
Sasuke, piegandosi velocemente accanto a lei e strappandole con apparente forza
il ritratto dalle mani. La porta, dietro di lui, si richiuse tale era stata la
veemenza per aprirla. La ragazza prese velocemente i disegni, impilandoli disordinatamente,
le labbra dischiuse come se volesse dire qualcosa, il “scusa” aggrappato alla
gola, angosciosa.
«chi…chi ti ha dato il permesso di curiosare, eh?»
domandò iroso l’Uchiha, prendendo i fogli di lei ed unendoli a quelli che aveva
raccolto lui.
«nessuno, mi dispiace. Li ho trovati lì, non pensavo fossero
tuoi» si giustificò prontamente Sakura, spaventata dalla reazione del giovane e
pronta a supplicare il perdono piangendo.
A quelle parole Sasuke sembrò calmarsi un poco, diminuendo
la foga nell’ordinare tutti i suoi disegni ed infilarli nella cartelletta.
Sospirò pesantemente, evitando di alzare lo sguardo per incontrare gli occhi di
Sakura divenuti sicuramente acquosi.
«quella… era tua madre?».
La voce incrinata dal pianto della giovane fece fermare
Sasuke, incapace di controllare l’improvviso tremore delle mani che lo aveva
colto. Lo guardò di sottecchi, impaurita dalla probabilità di essere colta
mentre lo osservava e, allo stesso tempo, di incontrare i suoi occhi di
tenebra. Al contrario delle sue aspettative però, la paura si trasformò in
preoccupazione. La carnagione del moro era divenuta più pallida, le mani
tremavano involontariamente e, quando egli alzò lo sguardo, le sembrò
febbricitante. Il completo contrario di quando si erano visti per la prima
volta.
«Sasuke… stai bene? Sei… sei strano» sussurrò delicatamente,
mentre non trovava affatto stravagante paragonare l’Uchiha ad una bomba ad
orologeria. Un minimo movimento errato e… boom. Un’esplosione fatale.
«Sì, sì. Era mia madre» borbottò Sasuke, placata la sua ira
esagerata, e piuttosto sbrigativo. Sakura soppesò le parole, e non stracciò
l’idea che lui stesse tentando di ignorare l’ultima affermazione.
«capisco. Era molto bella» si complimentò l’Haruno,
avvicinandosi sulle gambe al moro per osservargli sopra le spalle il ritratto
della signora Uchiha. Probabilmente lui non se ne accorse subito, rimase
qualche secondo a guardare insistentemente il volto di sua madre.
«ti assomiglia. Vagamente» aggiunse poi, controllando i
movimenti delle mani, adesso ferme e strette avvolte ai contorni del foglio.
Sakura si morse il labbro inferiore, indecisa.
«le labbra, il naso e lo sguardo» spiegò poi Sasuke, giusto
per specificare. La ragazza assentì con un mugugno, tesa, appoggiando le braccia
sulle spalle del ragazzo. Stava azzardando davvero troppo e lo sapeva bene. In
quelle poche ore – quantificabili in minuti, poi – aveva imparato bene o male
cosa fare e cosa non fare in presenza di Sasuke Uchiha. Francamente non ci
voleva un genio.
Fece scorrere le dita sulla stoffa morbida della maglia
scura, sfiorando le spalle robuste e larghe coperte da questa, sentendole
stranamente roventi. In quell’istante lo vide irrigidirsi, e voltarsi quel poco
che bastava per scrutarla con l’occhio di antracite.
«non starmi appiccicata» ordinò lui, masticando parecchie
parole e facendo sfumare l’ultima sillaba in un borbottio incomprensibile.
Sakura trattenne uno sbuffo, maledicendo se stessa per essere stata così audace
in quel tocco che aveva del materno e della troppa confidenza sfacciata
insieme.
Ma non si fece sfuggire la pupilla, distinguibile appena
dall’iride corvina, pericolosamente dilatata.
«scusa – cominciò, mugolando – non vedevo bene il ritratto.
Sicuro di stare bene? Sei pallido» sottolineò senza contenere una nota
preoccupata nella voce, spostandosi appena dalla schiena del moro e piegandosi
leggermente in avanti, in modo tale da poterlo guardare negli occhi. Se prima
Sasuke sosteneva tranquillamente lo sguardo, improvvisamente, dopo quell’affermazione,
tentava di rifuggirlo, ritornando a fissare i lineamenti di sua mamma.
«lascia perdere. Non sarebbero comunque affari tuoi»
concluse velocemente Sasuke, decidendosi infine a nascondere nuovamente il suo
disegno all’interno della cartelletta in cui si trovava prima e di alzarsi in
piedi, barcollando appena. L’Haruno si morse il labbro, sperando che quei
barcollamenti fossero dovuti alla troppa veemenza impiegata nell’alzarsi, e non
a qualcos’altro.
«beh, io me ne vado. ‘Notte».
«Sasuke?».
Non capì nemmeno lei il motivo per il quale lo aveva
chiamato, ma sentiva solo le corde vocali agire per fatti loro, facendole
pronunciare quel nome che era divenuto la chiave della sua attrazione.
«che vuoi?» rispose, burbero come al solito.
«se… se stai male o hai bisogno di aiuto, beh, fammelo
sapere. Io… credo, cioè, sì, penso che mi piacerebbe davvero aiutarti a stare
meglio» balbettò inizialmente incerta su ciò che voleva esprimere, e poi
vagamente più sicura, alzando lo sguardo verde bosco sulla figura del ragazzo.
Sasuke inarcò entrambe le sopracciglia scure, senza
preoccuparsi di mettere a posto il libro che aveva preso dalla libreria lì
addossata al muro. Sorrise, enigmatico, prima di andarsene.
«sei proprio strana, Sakura».
E lei, rimasta lì da sola illuminata fiocamente
dall’abat-jour, con il cuore in gola e le mani tremanti, capì che non era
possibile innamorarsi di una persona in un solo giorno. Ma di adorarla
completamente, infatuandosi nella peggior maniera, sì.
E dopo che ebbe sentito il suo nome pronunciato da quella
voce calda e fredda insieme, non poté che dimenticare il pallore allarmante
della pelle del giovane, delle pupille dilatate e del tremore delle mani. E si
concesse un urlo soffocato, e poi, all’interno del suo cuore, il furore totale.
…continua.
Vi chiedo di perdonarmi se questa seconda parte è assai
corta.
Si ha un primo approccio diretto fra Sasuke e Sakura e,
sebbene questo evento sia già importante di per sé [?], fra le righe ci sono
molte più cose di quante ne possiate immaginare. Ci sono situazioni nascoste
capibili dando un’attenta lettura a queste scene, molto implicite.
Perciò mi è sembrato doveroso staccare questa scena dalla
prossima, che sarà il triplo più importante ed interessante! <3.
Grazie a:
Laly: sono felice che t’ispiri, mi ci sono impegnata tanto
tanto =D ed eccoti qui il seguito, spero che ti piaccia ancora e che sia più
interessante della prima parte xD. Un bacio!
Aurora_Argentea: grazie mille, è molto importante per me
sapere di essere ancora in grado di scrivere decentemente xD e mi pare più che
ovvio, SasuSaku ruleZ! Bacio!
Nomiemi: uhuh, sono contenta che ti abbia colpito. Diciamo
che la prima impressione ha un’importanza relativa, ma è meglio se è buona xD.
Grazie mille per la recensione, bacio!
Deliaiason: oh, Delia-sama! Sono davvero orgogliosa di avere
una sua recensione u.u diciamo che Gaara e Temari non sono la mia specialità
(leggi: se vuoi qualcosa su di loro ti conviene andare da Rò-sama – in arte
bambi88 – che lei sa come soddisfarti xD), ma amando Gaara un qualcosina glielo
dovevo dedicare, seppur minimo! E comunque sì, Shi no Mori is love xD. E non
siamo pessimiste: mi rendo conto che Naruto s’è parecchio addolcito in quella
parte di manga, almeno, nelle scene fra Sasuke e Sakura *si scioglie* un bacio!
Bambi & Kalanchoe: grazie mille del giudizio <3.
Hika_chan: ecco qui il continuo. Spero continui ad
interessarti! Grazie e un bacio!
Memi: oddio, sono le recensioni come le tue che mi fanno
gonfiare il petto! So che ultimamente sono mancata da EFP, proprio per
dedicarmi totalmente a queste fic. Perciò sono felice che ti abbia preso ed
entusiasmato così tanto solo al primo capitolo. Dunque, ti do ragione: Sasuke
ultimamente è difficile da mantenere IC, ma riguardo lui sono abbastanza soddisfatta.
È riguardo a Sakura che sono critica, sai? XD a volte ti concentri più su ciò
che ritieni difficile (tipo mantenere bene Sasuke) e tralasci ciò che sarebbe
più facile (Sakura) ottenendo un risultato disastroso. Poi sono punti di vista,
spero di aver dato un effetto buono. Per quanto riguarda l’incipit della fic,
sono davvero felice ti sia piaciuta O.O attenderò la tua reazione per il
finale, visto che si ricollega a quello iniziale <3. grazie mille per aver
recensito, un bacio.
Il freddo pungente della stagione invernale le graffiava
metaforicamente la pelle, rendendo le guance un poco sporte in avanti a causa
degli zigomi pronunciati di un rosso intenso. La sciarpa a strisce e colorata
in tonalità completamente differenti fra loro la copriva a malapena, come il
capellino dello stesso motivo della sciarpa. I capelli chiari, precedentemente
lavati e sistemati con estrema pazienza, avevano perso tutto il loro fascino
arricciandosi in boccoli sformati e crespi.
Sakura camminava per le vie di Parigi senza dare retta agli
sguardi indiscreti della gente, cercando di non pensare a tutta la fatica fatta
e poi sprecata per asciugare i capelli.
Era lì in Francia da poco più di una settimana, Temari
l’aveva accompagnata all’ospedale prendendola sotto la sua ala protettiva:
evidentemente la Sabaku era già qualcuno di molto importante e rispettato.
L’ospedale francese non era poi così differente da quello italiano, se non poco
più difficile da gestire a causa della lingua totalmente diversa: le ci erano
volute ore e ore di studio pomeridiane per imparare i vocaboli francesi di
tutte le strutture ospedaliere, delle medicine e delle malattie. Un lavoraccio
che non avrebbe augurato di fare neanche al suo peggior nemico, ma
fortunatamente s’era rivelato utile. In quei giorni aveva stretto una forte
amicizia con Tenten, che poteva considerare la sua quasi-migliore amica
giapponese.
Non era rimasta poi così sconvolta nel venire a conoscenza
della nazionalità di Tenten: la madre era giapponese ed il padre americano,
perciò la forma a mandorla degli occhi era poco più che accennata. Il padre di
Tenten lavorava in stretto contatto con i Sabaku, quindi non le fu difficile
capire che Temari e suo fratello dovevano essere americani.
«…Neji è di una famiglia giapponese molto antica ed
importante. Va avanti da molte generazioni e lui ne sarà il capostipite appena
si sposerà. Ovviamente io sarò la signora Hyuga» spiegò con fare pratico
Tenten, camminando affianco a Sakura con passo veloce e ritmato. Era una
ragazza piuttosto minuta, con un corpo atletico da far invidia ad una ginnasta
professionista.
Sakura annuì, pensierosa, sorridendo appena per l’aria
d’ovvietà assunta dall’amica.
«ma gli Hyuga ti hanno accettata? Intendo, ho letto molto
riguardo al Giappone, e le famiglie antiche combinano i matrimoni in modo da
preservare una stirpe pura. Poi tu sei mezza americana, chissà come la devono
aver presa…».
«oh, beh. Neji ha già avvertito che si sarebbe trovato
moglie da solo, perciò non devono venirmi a rompere le palle. Io sono ciò che
Neji si sognerebbe la notte se non mi avesse affianco, cara mia» affermò con
apparenza serafica, ma negli occhi nocciola c’era una chiara fiamma dirompente.
L’Haruno non osò contraddirla e continuò a camminare pacata accanto a lei,
osservandola con la coda dell’occhio. Anche Tenten era seppellita sotto chili
di lana per proteggersi dal freddo, ed il naso divenuto color porpora affondava
di tanto in tanto nella sciarpa, cercando rifugio.
«Odio tornare a piedi dall’ospedale. Congelo ogni santa
volta!» si lamentò poco dopo, arricciando il naso in un’espressione a metà fra
il frustrato e il disperato.
«e poi Kurenai mi fa sgobbare sempre. È tutto il contrario
di suo marito, quella. E se pensavo che la gravidanza l’avesse addolcita,
adesso penso sia il contrario. Rimane pur sempre una gran bella donna, né?
Prima che si sposasse con Asuma tutti i novellini le morivano dietro. I dottori
esperti non ci provavano nemmeno, ti dirò, Asuma quando s’arrabbia diventa la
persona più cattiva di questa terra, figuriamoci se gli tocchi Kurenai…».
Sakura aveva imparato a sue spese che Tenten, una volta
incominciato un discorso che le piaceva particolarmente, per smettere di
parlare a manetta aveva bisogno di Neji. Quest’ultimo la metteva a tacere con
uno sbuffo seccato, ma se anche lei avesse provato a sbuffare, Tenten avrebbe
fatto finta di nulla e avrebbe continuato a parlare. Perciò, meglio prenderla
in contropiede.
«già, lo sospettavo. Riguardo a Sasuke che cosa sai?»
domandò Sakura seriamente incuriosita, rivolgendo tutta la sua attenzione sul
viso di Tenten che la guardò perplessa.
«beh, non molto. Sai, non parla quasi mai. Non ci chiama
nemmeno per nome, credo che s’immagini di essere superiore a tutti noi»
cominciò la castana, arricciando per la seconda volta il naso. Sakura strinse
le labbra, e ringraziò quel freddo polare di averle già fatto arrossire le
guance, altrimenti, inevitabilmente, sarebbe arrossita per quell’ultima
affermazione di Tenten.
“A me ha chiamato per nome, però”.
«so che è nato in Germania, ma a causa del lavoro dei suoi
genitori si è trasferito qui in Francia quando era piccolo. Mi pare che abbia
un fratello, ma… ma non so nulla a riguardo. Penso l’odiasse perché se parli di
fratelli t’incenerisce con lo sguardo, e se anche provi a chiederne il motivo a
Temari – lei sa sempre tutto riguardo ai medici che arrivano da noi – lei non
ti risponde. Francamente ci ho rinunciato, non è che poi mi sia mai interessato
più di tanto. Certo, ha il suo ché di misterioso e intrigante…» lasciò in
sospeso la frase, osservando attentamente le iridi di Sakura spostarsi fin
troppo velocemente sulla vetrina di un café.
«non dirmi che ti piace! Avanti Sakura, hai Naruto che si
farebbe in quattro per te, e non è mica da buttare via, eh! Non puoi fissarti
con quello lì, ti rovinerebbe l’esistenza, dammi retta!» affermò piena
di sicurezza, afferrando gentilmente il braccio infagottato nel giubbotto
dell’amica. La pregò con quel gesto di guardarla negli occhi, e sperò che lo
facesse sul serio.
«Ma che dici Tenten! Ti pare che io possa pensare a
quell’idiota come un possibile ragazzo?!».
«di che idiota stiamo parlando? Sasuke o Naruto?».
«Naruto, che domande!» ridacchiò Sakura, volgendo gli occhi
al cielo.
«allora non consideri un idiota Sasuke».
«No».
«allora questo vuol dire che ti piace?».
«Sì! Cioè, no. Cioè, non lo so. Insomma Tenten, fatti gli
affari tuoi, chiudiamo il discorso!» brontolò inferocita la ragazza dagli occhi
verdi, evitando accuratamente di guardare l’amica. Sentì distintamente la mano
di Tenten, che prima l’aveva afferrata dolcemente sul braccio, allontanarsi dal
suo giubbotto, facendole provare una sensazione di improvvisa freddezza sia
fisica che morale. Non ebbe il coraggio di guardarla negli occhi, e si chiese
il motivo. Dopotutto non era un reato infatuarsi di un ragazzo così bello,
accidenti, perché Tenten aveva reagito così?
«come vuoi. Però ti confido che di Sasuke non mi fido più di
tanto» rivelò a voce bassa la castana, aumentando leggermente il passo per
riuscire a raggiungerla e camminarle più vicino.
«ho voglia di fare qualcosa di stupido, Tenten» mormorò atona
Sakura, quasi non avesse sentito le sensazioni espresse solo qualche secondo
prima dalla ragazza accanto a lei. Quest’ultima scrollò le spalle, senza che
una vaga nota di preoccupazione le scomparisse dal viso.
«vuoi andare a letto con Sasuke?» azzardò con tono ironico –
e forse neanche tanto – distraendosi nel guardare una giovane donna prendere in
braccio quello che doveva essere il figlio e sgridarlo per chissà cosa in fitto
francese. Sentì l’Haruno ridere sommessamente, e si voltò a guardarla.
«Mi faccio un piercing, dai. Andiamo in quel negozio!». E
senza darle il tempo di ribattere o anche solo di meravigliarsi, la prese
saldamente per un braccio e la trascinò correndo allegramente verso il negozio
di tatuaggi all’angolo della strada che stavano percorrendo.
«tu sei strana, Sakura – aria di déjà-vu – anzi no, tu sei
pazza. Ecco cosa sei» affermò con risolutezza Tenten, osservando disgustata la
pelle del ventre dell’amica arrossata, ed un enorme fiocco di cotone ricoprirle
l’ombelico. Sakura fece spallucce, tamponando con leggerezza l’aggeggio di
metallo fino che le adornava l’ombelico. Sul viso era stampato un sorriso
soddisfatto e compiaciuto, e gli occhi verdi non avevano ancora degnato di uno
sguardo l’amica.
«fallo anche tu».
«sì, così poi Neji mi pianta seduta stante. Che idea
sciocca. I piercing non mi sono mai piaciuti particolarmente, poi, che Neji sia
d’accordo o no. Adesso paga e andiamo per favore, vedere quella stanghetta
infilzare la pelle mi fa rabbrividire» mugolò sbrigativa Tenten, afferrando il
giubbotto che si era tolta per entrare in negozio ed infilandoselo velocemente.
«però non mi pare che un braccio mozzato ti faccia
quest’effetto! Sei contraddittoria» ribatté con aria di chi la lunga Sakura,
abbassandosi la maglietta e coprendo così l’orecchino all’ombelico. Si alzò
dalla sedia sulla quale era seduta e buttò il cotone nel cestino affianco,
prendendo il cappotto che Tenten le porgeva. Si diressero entrambe dal
proprietario del locale, ed ascoltarono le precauzioni che l’Haruno avrebbe
dovuto prendere per non far infettare l’ombelico fino a quando la giovane non
pagò per poi uscire.
«aria pulita! O almeno, non si sente più la puzza di
disinfettante, che cavolo» esclamò evidentemente raggiante la castana,
respirando a pieni polmoni, forse un po’ troppo eccessivamente.
«quanto sei esagerata, Tenten. Senti odore di disinfettante
tutti i giorni, all’ospedale» la rimbeccò Sakura stringendo le labbra,
scoccandole un’occhiata accusatoria.
«appunto. Mi basta sentirla lì».
Tenten annuì con aria saccente, infilandosi le mani prive di
guanti in tasca. Di scatto sfilò la mano sinistra dal giubbotto, portandosela
vicino al viso, sotto agli occhi.
«Damn! Sono le quattro e mezza! Se stiamo in giro
un’altra mezz’ora va a finire che si fa notte. Ti assicuro che le strade
accanto a casa non sono poi così sicure per due ragazze, quindi diamoci una
mossa» borbottò la castana rimettendo la mano in tasca; sul polso, un orologio
di marca regalatole da Neji. L’altra batté ciglio, perplessa, per poi assentire
con un vago gesto del capo. Anche in Italia molte strade non erano sicure,
soprattutto quella su cui s’affacciava casa sua. Si avvicinò a Tenten,
rimanendo in silenzio e continuando a guardare avanti a sé, l’idea della sua
stanza calda e confortante che l’allettava nel profondo. Sentì Tenten
riattaccare a parlare, ma al contrario di ciò che avrebbe dovuto fare, preferì
ignorarla. Il ventre le pizzicava fastidiosamente e l’ombelico bruciacchiava,
due sensazioni che capì di detestare col cuore. La testa era divenuta una
nuvola persa in cieli chiari e sereni, finalmente libera di pensare quel che
voleva e gli occhi osservavano la gente camminare davanti a lei, come se fosse
tutta composta da burattini guidati da chissà chi.
Poi, lo vide.
Sussultò di scatto, stringendo le labbra fino a farle
impallidire e sentendo la pelle secca strapparsi, facendo uscire un poco di
sangue. Non vi fece molto caso, tamponandola leggermente con la lingua,
sentendo così il sapore metallico e nauseante del liquido vermiglio in gola.
«ehi Tenten! Guarda lì, c’è Sasuke» bisbigliò, quasi avesse
paura che l’interessato la potesse sentire. Timore più che stupido, in quanto
l’Uchiha camminava a testa bassa e con le mani in tasca diversi metri davanti a
loro. Non era difficile riconoscerlo fra la gente: o almeno, per Sakura no lo
era stato. Avrebbe riconosciuto quei capelli e quella schiena possente su altre
mille.
Tenten guardò in direzione dello sguardo dell’amica,
inarcando le sopracciglia castane e mordendosi un labbro, scettica. Una volta
individuato Sasuke, si voltò a guardare Sakura.
«chiamalo» disse senza troppi giri di parole, il sorriso
allegro che poco prima le illuminava il viso ormai spento quasi del tutto. Se
Sakura avesse chiamato Sasuke e questo avesse risposto, Tenten sapeva
perfettamente di dover tornare a casa da sola. E questo la infastidiva
decisamente tanto.
«ehi, Sasuke!».
Dall’altro lato però, sapeva bene di essere colei più vicina
a Sakura in quel momento. Sebbene Temari fosse un’amica preziosa quanto disponibile
– anche se poteva non sembrarlo affatto, soprattutto quando aveva i nervi
girati cause forze maggiori dal nome unico quale Shikamaru – Tenten sapeva che
Sakura aveva meno problemi a confidarsi con lei. Temari era una tipa tosta,
concreta. Non si faceva molti problemi di vita, e sicuramente detestava quelli
di tipo amoroso. Lei era più aperta, più dall’indole di ascoltatrice paziente,
nonostante amasse parlare molto. Perciò avrebbe dovuto spronare l’amica a fare
ciò che voleva fare; le doveva solo dare l’Ok per non farla sentire in colpa e
per farle capire che sì, stava facendo la cosa giusta.
«Sasuke!».
Amica o non amica, dal suo posto accanto a Sakura, Tenten
sperò fortemente che l’Uchiha non si girasse e che sparisse fra la gente, senza
dar segno di aver sentito i richiami insistenti dell’Haruno.
Purtroppo per lei però, Sasuke fermò i suoi passi,
voltandosi quel che bastava per vedere chi lo stesse chiamando. Una volta viste
Sakura e Tenten si girò nuovamente, guardando avanti, ma senza riprendere a
camminare, chiaro segno di muoversi a raggiungerlo.
«dai, andiamo!» incitò con gli occhi sorridenti la rosa,
facendo cenno con la testa verso Sasuke. La castana masticò un “ok” maledicendo
mentalmente quel ragazzo e correndo dietro all’amica.
«ciao! Tornavi a casa?» domandò con voce anormalmente acuta
Sakura, arrestando la sua corsa affianco al moro. L’altra si avvicinò con passo
titubante, scrutandolo con occhio attento. Lo vide guardare Sakura con un
barlume di curiosità negli occhi, fino a quando non spostò la sua attenzione su
di lei. Le fu inevitabile sentirsi in soggezione, come se l’Uchiha la stesse
studiando.
«Neji ti aspetta al bar accanto all’ospedale, mi ha chiesto
di dirtelo» rivelò atono Sasuke, un sopracciglio scuro arcuato più del solito,
le braccia aderenti ai fianchi e le mani in tasca.
«ah, grazie. Allora… vado. Ci vediamo dopo, ciao» salutò
senza troppo entusiasmo Tenten, dedicando una smorfia incoraggiante a Sakura
prima di voltarsi ed incamminarsi dalla parte opposta alla quale stavano
andando prima. Non si voltò indietro neanche una volta, fino a quando non fu
sufficientemente lontana per non farsi vedere dai due.
Solo allora liberò il sospiro preoccupato che aveva
trattenuto da quando un paio di occhi neri l’avevano studiata decidendo se era
il caso di rivolgerle la parola o no.
«sì» sillabò Sasuke disinteressato, piegando la testa da un
lato per guardarsi indietro, quasi volesse rintracciare Tenten. Sakura
corrucciò le sopracciglia perplessa, mordendosi una guancia.
«sì cosa?».
«stavo tornando a casa» spiegò senza un particolare tono di
voce, ritornando a guardare la strada con espressione indecifrabile. La ragazza
schiuse le labbra in una smorfia di comprensione, poi sospirò debolmente.
Avrebbe fatto la strada insieme a lui?
«anche io» buttò lì, sperando che lui desse uno spunto di
conversazione più interessante. Sperò, perché la speranza è sempre l’ultima a
morire, ma quello spunto non arrivò mai. Sasuke si limitò a socchiudere
pigramente gli occhi, cominciando a camminare. Lei, un po’ indecisa, lo seguì
stando al suo passo, sospirando una seconda volta e notando come in quel
momento il vapore si condensasse in una nuvoletta prima di dissolversi
nell’aria della sera. Sebbene fosse ancora relativamente presto – forse erano
le cinque? – il cielo aveva cominciato ad oscurarsi ed il sole era quasi
sparito al di là dell’orizzonte. I lampioni si accesero come le luci delle
vetrine, divenute improvvisamente più artistiche di quanto già non fossero, ed
illuminavano debolmente la strada trafficata da passanti, alcuni di fretta e
alcuni no. Le insegne dei negozi brillavano ad intermittenza di luce
giallognola, donando all’atmosfera un ché di caldo sebbene la temperatura fosse
bassissima.
«ehm… hai finito ora?» chiese timidamente Sakura, senza
spostare lo sguardo dalle panchine ai bordi della via, intravedendo con la coda
dell’occhio il vapore uscire dalle sue labbra.
«no, ero in giro per fatti miei» spiegò sinteticamente
Sasuke, inumidendosi le labbra pallide e secche. Se ne pentì un istante dopo
averlo fatto, sentendo la bocca congelarsi e batté ciglio, irritato. In quel
momento Sakura decise di voltarsi, giusto per imprimersi nella testa il volto
comunque cadaverico nonostante il freddo del ragazzo. Notò come quest’ultimo
fosse coperto solo da un giubbotto nero neanche troppo pesante, completamente
privo di sciarpe o cappellini. Non riuscì a non sentirsi stupida con i suoi
accessori dai colori sgargianti, riconoscibili anche a chilometri di distanza
e, con la rapidità di chi cerca di far qualcosa sperando di non essere visto,
si tolse il cappello ficcandolo con forza in borsa. Ovviamente ciò comportò una
catastrofe per la sua pettinatura rigorosamente liscia e ordinata, divenuta
ormai tutto al contrario. Vide Sasuke piegare le labbra in un ghigno divertito,
senza però alzare lo sguardo.
«che hai da sorridere?» borbottò immusonita, guardandolo con
forse un po’ troppa insistenza. Lui alzò le spalle, incassando la testa fra
queste.
«nulla di particolare. Penso sia stanchezza».
«oh, stanchezza! Ti capisco bene, sai. Non sono qui da molto
tempo, ma ti assicuro che sono distrutta! Fortunatamente domani Kurenai mi ha
detto che posso rimanere a casa, sarebbe il mio turno. Posso leggere fino a
tardi e svegliarmi domattina all’orario che mi pare!» esclamò l’Haruno punta
sul vivo, gli occhi inumiditi a causa della temperatura sotto allo zero e
illuminati da una luce particolare: evidentemente aveva trovato lo spunto di
conversazione adatto.
«logorroica».
O evidentemente no. Sakura si tirò indietro, colpita
nell’orgoglio, caratterizzando lo sguardo con un cipiglio crucciato. Abbassò la
testa mortificata, volgendo l’attenzione da tutt’altra parte.
«quando rimani a casa, tu?» sibilò intimorita di
infastidirlo ancora, ma con la voglia di sentirlo parlare che palpitava nel
petto insieme al suo cuore.
«non rimango a casa» rispose frettoloso, senza indurre altre
spiegazioni come lei desiderava.
«perché? Cioè, ognuno può rimanere a casa un giorno, fa
parte del regolamento, o così mi ha detto Kurenai. Magari si è sbagliata, è
probabile? Però se io domani posso stare a casa, per forze di cose anche tu
puoi starci, non sei…».
Non fece in tempo a vedere la mano di Sasuke scattare verso
di lei, afferrarle velocemente il polso e portarglielo in alto, accanto al
viso. Forse non aveva i riflessi pronti, forse voleva semplicemente farsi
toccare da lui. Vide solo i suoi occhi, neri come quel cielo invernale, fremere
di irritazione e le labbra serrate più bianche di quanto già non fossero. Aveva
smesso di camminare, e con lui, anche lei. Le persone li superavano, senza
prestare loro troppa importanza.
«guardami, Sakura – le strinse il polso, obbligandola così a
fissarlo negli occhi – ho l’aria di uno che sta bene?» chiese apparentemente
calmo, ma con la voce che lo tradiva completamente.
Sakura non riuscì a non pensare che, se prima Sasuke
cercasse di negare di essere malato, pur di farla stare zitta adesso era
arrivato ad ammetterlo.
«n-no».
I battiti rumorosi del suo cuore accompagnarono quel
balbettio sconnesso e le parve che, al posto del cuore, avesse una batteria in
piena esibizione. Batté ciglio, trattenendo il respiro sotto quello sguardo
glaciale e perforante. In quell’istante pensò che non avrebbe mai voluto essere
sua nemica.
«ecco. Perciò quando ti ho detto che sei logorroica, non lo
ho detto per nulla, ma per farti stare zitta. Era solo un modo relativamente
gentile per fartelo capire» spiegò in un sussurro roco, a pochi centimetri dal
suo viso. In quella breve spiegazione non aveva smesso un solo istante di
guardarla negli occhi, di tenerle il polso – fragile e sottile – nella sua mano
– grande e possente. Probabilmente non si aspettava una sua risposta, ed
infatti lei non disse nulla. Si limitò ad osservarlo, come se fosse incantata
da quei pozzi neri magnetici. Oppure, piuttosto che parlare, preferì muoversi.
Un’innegabile attrazione per quel corpo la colse, costringendola a spostarsi da
quella posizione, e farsi più vicina. Non ebbe modo di rendersi conto di
come e perché (soprattutto quello), ma il suo corpo si era mosso
in automatico, come se avesse sempre saputo che prima o poi si sarebbe spinto
contro di lui. L’unico braccio libero aveva preso vita improvvisamente, senza
che lei potesse impedirgli di toccare il torace del giovane ragazzo, come le
sue palpebre le avevano proibito di imprimersi meglio nella testa l’immagine
del viso di Sasuke, ma il sapore delle sue labbra. Erano ghiacciate, ma
infinitamente morbide e colme di un calore tutto loro, o forse era
semplicemente lei che tentava di rendere tutto perfetto quando di perfetto
c’era veramente poco. Sentì il corpo irrigidirsi ed il timore di essere
respinta s’impossessò della sua mente. Ma non sentì Sasuke allontanarla – né
tanto meno ricambiare quell’ombra di bacio – ma solo stringerle lievemente più
forte il polso, e fu questo, forse, che la fece ritornare alla realtà: come se
si fosse scottata, si allontanò di scatto, il viso imporporato.
«ah. Io… cioè…».
Se solo le gambe si fossero decise a riacquisire sensibilità
e rispondere ai comandi della sua testa, sarebbe scappata via seduta stante,
come aveva visto molte volte nei film. Purtroppo per lei però, le gambe
decisero di rimanere lì impalate: dovevano volerle molto male.
Gli sguardi si scontrarono e per la prima volta Sakura lesse
sorpresa in quello dell’Uchiha. Sorpresa mista ad un alquanto preoccupante
cipiglio vacuo ed inespressivo. Lo aveva traumatizzato?
L’incapacità di pensare razionalmente si sommò a quella di
parlare, facendola cadere in un caos totale: distinse chiaramente il volere dei
neuroni di generare un suicidio di massa, ma anche quello di dirgli qualcosa,
di destarlo da quella sottospecie di torpore.
La gente passava affianco a loro, tranquillamente
indifferente a ciò che stava succedendo. Probabilmente li avevano presi per una
coppia decisa a mostrarsi in pubblico. Preoccupata a distogliere lo sguardo,
non si accorse della mano libera di Sasuke prenderle il polso poggiato sul suo
stesso petto e allontanarlo lentamente. E si guadarono così, lui che le
stringeva entrambi i polsi e lei che l’osservava spaventata da qualche
(qualunque) reazione.
Non si sarebbe mai aspettata però che Sasuke l’attirasse con
una leggera spinta verso di lui, fino a quando non gli fu abbastanza vicina per
sentire il suo respiro battere sulle labbra. Lo vide abbassarsi lievemente e
piegare la testa d’un lato, tirandole i polsi in avanti in modo da avvicinarla
di più. L’Uchiha esitò per un attimo non appena capì di essere distante solo
qualche millimetro dalla bocca della ragazza, ma sembrò non farci troppo caso,
perché annullò rapidamente quella distanza – quasi potesse cambiare idea da un
momento all’altro – e la baciò; rigido, freddo e teso.
Con tutte le probabilità del mondo, Sakura percepì i suoi
neuroni astenersi dal suicidio di massa – almeno momentaneamente – e non darle
più impulsi informativi. Aveva perso i legami col mondo, sentendo solo quella
bocca ghiacciata aderire alla sua, serrata in maniera decisa. Non negò di
temere ciò che sarebbe potuto accadere dopo o ciò che Sasuke avrebbe potuto
pretendere. Sentì solo le labbra del giovane schiudersi, prima un poco indecise
forse, poi con convinzione ed esigere il suo permesso di esplorarle la bocca.
Cosa che le fu facile permettere, desiderando lei stessa di spingersi oltre e
di avere un contatto più intimo con lui. Le lingue si accarezzarono con
naturalezza, le labbra si cercavano ripetutamente, gli occhi rimanevano chiusi
per assaporare meglio quel momento e la mente vagava spedita per chissà quali
posti esistenti o inesistenti. Com’era successo prima, le braccia di Sakura
presero vita allacciandosi al collo del moro, stringendolo possessivamente come
se lo stringessero da sempre, mentre le fu istintivo alzarsi sulle punte dei
piedi per far sì che lui stesse più comodo. Nonostante la freddezza con cui era
solito trattarla, anche dentro di lui un qualcosa si accese, e lo esortò a
ricambiare, seppur tiepidamente, quell’abbraccio. Avvertendo ormai la mancanza
di ossigeno farsi allarmante, si costrinsero ad allontanarsi, tutti e due già con
gli occhi aperti a fissarsi.
«non lo dirai a nessuno, vero?» mormorò Sasuke con voce
improvvisamente calda, sebbene quella che poteva sembrare all’apparenza una
supplica fosse un ordine chiaro e tondo. Sakura non spostò le mani dalla sua
nuca, piuttosto le fece scorrere fra i capelli inumiditi dal leggero nevischio
che illuminava candidamente il cielo.
«perché non dovrei?» domandò in un sussurro accusatorio,
spettinandogli i ciuffi d’ossidiana già abbastanza arruffati per conto loro. Lo
vide sospirare rassegnato, dalle labbra fuoriuscì la solita nuvoletta di vapore
bianco. Si morse un labbro, sapendo cosa aggiungere altro.
«voglio che lo sappiano tutti. Tenten, Temari, Naruto, Kiba…
tutti. Non sei lo stronzo che pensano tu sia» affermò con la decisione impressa
in ogni muscolo del viso.
«andiamo a casa» tagliò corto Sasuke, sciogliendo
quell’abbraccio che aveva del protettivo e distanziandosi di qualche centimetro
da lei. Sakura lo guardò incamminarsi, nonostante lei fosse ancora ferma.
Certamente questo non le impedì di corrergli dietro ed affondare una mano nella
tasca sinistra del giubbotto dell’Uchiha, lì dove lui riscaldava la sua.
Notando come lui facesse l’indifferente ma non spostasse la
sua mano, Sakura riuscì a reprimere un urlo di felicità, saltellando al suo
fianco, piena di furore. Quello no, non era riuscita a reprimerlo.
Vi chiedo perdono per il ritardo nel postare questo capitolo
>.<
Comunque sia, finalmente (?), eccolo qui, con tanto di
momento “romantico” fra Sasuke e Sakura (L).
Voglio ringraziare di cuore Hika_chan, Nomiemi,
Memi (ogni tuo commento è un onore, giuro ç_ç) e Delia-san
(<3) per aver recensito; e mi scuso di non poter rispondere, ma sono di
fretta e volevo postare u.u perciò,
spero che questa fic possa continuare a piacervi.
Inoltre, ho notato che ci sono tantissimi di voi che la
tengono fra i preferiti. Una recensione non mi dispiacerebbe, sapete? Giusto per
sapere cosa ne pensate! <3.
La porta dell’ingresso graffiò fastidiosamente il marmo del
pavimento, provocando un rumore decisamente irritante. Dalla sala comune,
Temari alzò lo sguardo dal libro che stava leggendo ad alta voce, lanciando
un’occhiata incuriosita alla porta. Shikamaru, steso comodamente sul divano sul
quale era seduta Temari, si voltò pigramente, facendo cadere la cenere,
accumulata sulla punta della sigaretta, sul pavimento.
«spegni la sigaretta idiota, non siamo soli» borbottò Temari
infastidita, riuscendo ad intravedere finalmente coloro che avevano interrotto
il suo studio ed il vegetare, avvelenando i polmoni, del suo ragazzo. Vide un
Sasuke piuttosto pallido entrare in sala, seguito da una Sakura vagamente
raggiante con la mano infilata nel suo giubbotto. Inarcò le sopracciglia
dorate, perplessa.
«ciao Temari, ciao Shikamaru!» salutò velocemente l’Haruno,
costretta ad una lieve corsa per stare dietro al ragazzo che non degnò gli
inquilini nemmeno di uno sguardo. Li videro sparire nella stanza dell’Uchiha,
udendo la porta sbattere sonoramente.
Temari si voltò verso Shikamaru, lo sguardo maturo
solitamente perspicace, questa volta incapace di intendere. Il ragazzo le
restituì lo sguardo perplesso, annuendo leggermente con il capo.
«….ragazzi – chiamò la Sabaku, esitante – noi… stiamo
uscendo».
All’interno della stanza, Sakura non poté fare a meno di
arrossire vagamente.
Era la prima volta che vedeva la stanza di Sasuke: non era
poi così diversa dalla sua, dovevano essere grandi uguali, ma quella
dell’Uchiha era decisamente più ordinata e mantenuta con una pulizia
invidiabile. Nonostante il letto fosse a due piazze, era attaccato al muro e le
coperte erano perfettamente lisce e piegate nella maniera giusta. I pochi
scaffali che c’erano straboccavano di libri di ogni genere, tanto che le sembrò
che Sasuke avesse spostato una libreria della sala nella sua stanza. L’unica
finestra era socchiusa, lasciando entrare un lieve spiffero d’aria, ma le tende
erano chiuse senza far passare uno spiraglio di luce. Non che a quell’ora ce ne
fosse, comunque.
«è grande la tua stanza» cominciò Sakura, tentando di
iniziare un discorso.
«è uguale alla tua. Sono tutte uguali» spiegò con ovvietà
Sasuke, scoccandole un’occhiata di traverso ed afferrando la mano che lei aveva
fermamente trattenuto nella sua tasca. La tolse da lì con uno sbuffo,
togliendosi pacatamente il giubbotto nero e chiudendo gli occhi, come se la
testa gli potesse scoppiare da un momento all’altro.
«stai bene?». L’Haruno si fece avanti, superando la sua
schiena e girandosi verso il suo viso. Fu naturale distogliere lo sguardo dai
capelli che Sasuke si limitava a mostrarle, mentre si copriva con la mano il
viso in un gesto stanco, sul suo corpo, coperto da un maglione nero –
evidentemente Sasuke non amava molto i colori, avrebbe dovuto capirlo – e da un
paio di jeans scuri.
«sì e non farmi più questa domanda, m’infastidisce. Te lo
avevo già detto, mi pare» sottolineò soprattutto le ultime parole con un
tono che sapeva di accusa. La ragazza storse le labbra, muovendo qualche passo
verso di lui, attratta dal suo corpo, dal suo sguardo, anche da un suo minimo
gesto di debolezza. Ora che ci pensava, era davvero strano si mostrasse così vulnerabile.
«devo capire. Sto tentando di capire perché. Perché ti sei
fissata con me? Cosa ti ho fatto, dannazione, non ti ho dato opportunità di
farti… infatuare di me. Non ne ho date mai a nessuno, tanto meno a te.
Adesso spiegamelo» sibilò l’Uchiha, stravolto. Sakura lo sentì palpabile quell’
“innamorare” al posto di “infatuare”. Forse neanche Sasuke credeva che bastasse
così poco per innamorarsi, o forse non ci credeva proprio. Le sembrava così
strano pensare a lui come un essere umano capace di provare qualcosa che non
fosse indifferenza, sebbene lo avesse sempre pensato.
«l’infatuazione, se così ti piace chiamarla, non dipende
dalle opportunità che tu mi dai, dipende da me. Tu… tu hai fatto tutto per
permettere questo, tutto» spiegò con apparente calma l’Haruno, dentro di
lei il cuore batteva talmente forte che alla batteria, si erano aggiunti pure
un paio di cavalli al galoppo. Sasuke schiuse la bocca, e per la prima volta le
parve inorridito da tali affermazioni.
«tu sei pazza. Completamente pazza. Ed io che ti sto pure ad
ascoltare, tsk. Chiariamolo fin da subito, io non provo nulla per te». Diretto
e freddo com’era sempre stato, sputò quelle parole pieno di indignazione,
frustrazione, quasi timore di provare qualcosa di nuovo.
Sakura deglutì, tentando di farlo il più silenziosamente
possibile, scrollando le spalle.
«però mi hai baciata» ricordò con tono che voleva essere
leggero, ma che era fin troppo ansioso. Si avvicinò con passi lenti e misurati
al ragazzo, quasi avesse paura di spaventarlo e di farlo scappare come succede
con un animale fin troppo timoroso.
«e lo hai fatto più di una volta – si schiarì la voce,
relativamente imbarazzata – Con la lingua, tra l’altro. Io ti avevo dato
un semplice bacio normalissimo».
Sebbene fosse palpabile la serietà e l’importanza che il
discorso aveva per entrambi, quella frase non poté fare a meno che essere
vagamente ironica, vagamente accusatoria. La ragazza fermò i suoi passi, ormai
arrivata davanti all’Uchiha che la scrutava, pallido, senza abbassare la testa.
Si morse il labbro inferiore, deglutendo una seconda volta, e si alzò sulle
punte dei piedi per sfiorare con la sua, la bocca del giovane. Si stupì nel
sentirlo accettare quel bacio, ma non si meravigliò del fatto che non ricambiò.
In ogni caso, la situazione cominciava a prendere una piega diversa.
Chiuse gli occhi, cercando un maggiore equilibrio sulle
punte dei piedi, ed alzò leggermente tremante la mano, posandola sotto al mento
del moro. Sentì quella di Sasuke raggiungerla, e spostarla in un gesto forse
gentile, forse disinteressato, ma avvertì una maggiore pressione sulle sue
labbra. Sentimenti o non sentimenti, finalmente Sasuke aveva fatto cadere un
mattone della sua barriera impenetrabile, dando così a Sakura un punto da cui
cominciare a scalare.
La mano di Sasuke abbandonò la sua, scivolando lasciva sul
suo corpo, posandosi poco più sotto della schiena insieme all’altra mano. Lo
lasciò fare, completamente elettrizzata dalle nuove sensazioni che il suo corpo
registrava. E, inavvertitamente, le vennero in mente spontanei, tutti i suoi
studi riguardo alla percezione e alla sensazione fatti all’università.
“La sensazione dipende dalle caratteristiche fisiche dello
stimolo. È il risultato immediato dell’energia che agisce sui recettori
sensoriali e sul sistema nervoso. All’esame avevo preso 30, lo ricordo bene,
insomma. Che diavolo vado a pensare, accidenti, non è il momento. Calma Sakura,
concentrata. Ritorna al mondo materialmente esistente”. Probabilmente avrebbe
dovuto pensarlo prima; non appena si riscosse dai suoi pensieri captò il suo
corpo steso languidamente sul letto, le mani di Sasuke accarezzarle i fianchi,
alzandole di volta in volta la maglietta, la sua bocca rovente sulla pelle
dell’addome liscio, lui completamente padrone sopra di lei, sovrano di quella
situazione.
«e questo? Settimana scorsa non l’avevi» bisbigliò l’Uchiha
alzando la testa dalla sua posizione, guardandola dal basso. Sakura alzò di
poco la testa, giusto per vedere il ragazzo alternare lo sguardo dai suoi occhi
al piercing all’ombelico. Fece spallucce, nonostante fosse stesa.
«fatto oggi, avevo voglia di cose nuove».
«che cosa stupida. Spero tu abbia voglia anche di
qualcos’altro» borbottò rocamente lui, riabbassandosi e concentrandosi a
torturarle la pelle con la lingua, scendere, fino ad arrivare al bordo dei
pantaloni. Senza pensarci troppo li abbassò, premurandosi di far scivolare
anche l’intimo sotto, continuando il suo lavoro.
In quel momento le sembrò di vivere il momento più bello
della sua vita. Probabilmente una settimana era formata da troppo poco tempo
per potersi innamorare, e per potersi concedere così ad uno che neanche
conosceva bene e che le aveva confessato fin da subito ciò che [non]
provava. Ma in quella settimana aveva imparato anche a fregarsene di ciò che
era giusto e ciò che era sbagliato, seguendo solo quello che la testa le diceva
di fare. Socchiuse gli occhi, osservando pigramente la penombra della stanza ed
intravedendo fiocamente il soffitto di un losco grigio senza luce. Li chiuse
del tutto poi, avvertendo il tintinnio della cintura dei suoi pantaloni che
s’accasciavano a terra, accompagnati dalle mutandine. Sentì Sasuke risalire
velocemente lungo il suo corpo, alzandole del tutto la maglietta e
sfilandogliela completamente.
«ehi» la chiamò scocciato, facendole battere ciglio
interdetta, fino a farle aprire le palpebre. Sporse un poco il labbro inferiore
in avanti, imbronciandosi in una tipica espressione seccata. Dal brillio che
intravedeva nel buio della stanza, capì che ciò che stava guardando erano gli
smeraldi puri incastonati in quel viso sottile e dalle sembianze di porcellana.
Si abbassò, sfiorandole le labbra, premendo la stoffa del reggiseno contro il
suo petto nudo. Dal sospiro che Sakura trattenne, comprese che solo in quel
momento la ragazza si era accorta di averlo svestito sopra di sé. Ghignò
divertito, prendendole gentilmente i polsi e portandoli alla vita, lì dove
ancora i pantaloni lo coprivano. Aspettò qualche secondo, attendendo che la
giovane facesse quello che doveva fare.
«se non mi spogli tu, mi spoglio da solo» minacciò sensuale
sulle sue labbra, costringendola così a slacciargli i pantaloni e a stringerlo
a sé, ancora incredula.
Le parve sciocco realizzare solo in quel momento cosa stesse
succedendo fra lei e Sasuke Uchiha – colui che non chiamava per nome, colui che
si credeva superiore e tutti e a tutto, colui di cui nessuno conosceva la
storia, colui che tutti amavano giudicare corrosi dall’invidia – stavano per farlo.
Okay, il nome vero e proprio di ciò che stavano per fare la metteva ancora in
imbarazzo, ma non le impedì certo di arrossire e a nascondere il viso
nell’incavo del collo del ragazzo.
«che fai?» sbottò Sasuke, la voce strozzata dall’eccitazione
ed il corpo fremente completamente nudo, sopra al suo. Sakura alzò le mani, le
fece scorrere lungo la schiena calda e levigata del ragazzo, arrivando alla
nuca ed inoltrandola nei capelli scuri come l’inchiostro. Le iridi verdi erano
appannate, non riuscì a capire se le cause fossero eccitazione, euforia,
felicità. Riuscì solo a capire che, mentre incontrava quelle corvine di Sasuke,
sentì un dolore improvviso scuoterla sia fuori che dentro [la stava facendo
sua, sua e basta], ed imparò ad associare il nero di quegli occhi alla
sofferenza; ma ad una sofferenza limitata.
Dopo, si aprirono le porte del [suo] Paradiso.
Ricordò tutto fino a lì, poi, tutto quello che avvenne dopo,
fu affogato nelle urla e nel furore.
Il lieve spiffero d’aria che passava attraverso la finestra
lo strappò con prepotenza dalle braccia di Morfeo. Batté ciglio, assonnato,
riuscendo a riacquisire abbastanza lucidità per fare un veloce riepilogo di ciò
che era successo quella sera. Ancora intontito dal sonno, non aveva
riconosciuto quella stretta possessiva sul braccio, riconducendola solo ad una
carezza del lenzuolo che lo copriva fino a poco più su del ventre. Si girò
accigliato, alzandosi malamente sui gomiti e girando la testa verso la sua
sinistra. Sentì distintamente il cervello sbattere poco gentilmente contro il
cranio, e non riuscì a trattenere un gemito di dolore. Avrebbe voluto stupirsi
nel vedere quella zazzera incolore giacere nel suo letto, sul cuscino accanto a
lui, ma non ci riuscì. Erano chiari i ricordi di qualche ora prima,
probabilmente, e vedere Sakura dormire placidamente, voltata verso di lui, non
lo fece meravigliare. Sasuke osservò con attenzione il viso della ragazza: i
ciuffi di capelli le nascondevano un poco il volto, adombrandolo più di quanto
già non lo fosse, gli occhi erano chiusi delicatamente, mentre le labbra
lasciavano trapelare dei sospiri calmi a ritmo del respiro di chi dorme. Il
lenzuolo la copriva a metà, lasciando i seni piccoli e sodi scoperti, semi
nascosti dalle braccia piegate in avanti. Sbuffò, ancora vagamente assonnato,
costringendosi ad alzarsi dal letto.
Per quanto fosse allettante rimanere in quel giaciglio di
coperte ad elemosinare calore da quel corpo minuto quanto femminile, poggiò un
piede sul pavimento freddo, seguito dall’altro.
Non si premurò di coprirsi, semplicemente si alzò in piedi
ed afferrò con disinvoltura carta e carboncino, dirigendosi a passo lento verso
la poltrona accanto al letto. Vi si lasciò cadere senza troppa grazia,
poggiando il foglio sopra la cartelletta rigida sulle gambe e facendo scivolare
da una mano all’altra il carboncino. Altalenò lo sguardo da Sakura al foglio e
viceversa, stringendo le labbra pallide – gonfie – e mordicchiandosi l’interno
della guancia, indeciso.
Poi, come se avesse preso istintivamente una decisione,
cominciò a tracciare morbide linee sul foglio, arrotondandole nei punti giusti
e cancellandole in quelli sbagliati.
Sasuke Uchiha era sempre stato un ragazzo molto scettico
riguardo qualsiasi cosa. Per questo, quando qualcuno affermava l’esistenza di
un “mondo proprio” lo sbeffeggiava cinicamente. Eppure sentiva che, quando
disegnava, anche lui si ritirava in un mondo comprensibile solo alla sua mente,
escludendo chiunque altro. Non lo definiva un “suo mondo”. Era solo un modo per
sentire proprio qualcosa che ti appartiene. In quel momento ciò che gli
apparteneva era Sakura, ignara delle sue attenzioni, il foglio ed il
carboncino. Neanche il tempo poteva scalfirlo dal suo impegno, nemmeno la
parziale assenza di luce. Vedeva appena, ma gli bastava per ciò che voleva
disegnare.
«Sasuke…? Che fai?» borbottò una voce assonnata nella semi
oscurità della camera. L’Uchiha alzò lo sguardo, distraendosi momentaneamente,
per dedicare una veloce occhiata a chi aveva parlato.
«disegno» mormorò atono, riabbassando gli occhi sul foglio e
continuando il suo operato. Sakura inarcò le sopracciglia chiare, trattenendo a
stento un sonoro sbadiglio.
«e cosa? Posso venire a vederlo?» chiese curiosa.
«no, non sono affari tuoi» sbottò di tutta risposta il moro,
facendola indignare.
«beh, allora mi alzo e…».
«non muoverti» ordinò secco Sasuke, alzando per la seconda
volta lo sguardo, scocciato. Incontrò quello di Sakura e vi lesse un misto di
curiosità e impazienza. Dall’espressione sembrava avesse capito quale fosse il
soggetto di quel disegno, ma non pareva in procinto di rivelarlo. Gli sembrò
strano, ma a volte Sasuke si chiedeva cosa pensasse quella ragazza. Non era una
domanda esistenziale – insomma, non gli era mai importato nulla – ma non poteva
negare che gli sarebbe piaciuto saperlo. Batté ciglio, imbronciandosi.
«sono io?» sussurrò infine, timidamente, Sakura.
«forse».
Essere beccato con le mani nel sacco non gli era mai
piaciuto, ed affermare un convinto “sì” gli sapeva di una sconfitta fin troppo
amara. Lei sorrise, senza muoversi, e lo fissò con lieve imbarazzo.
«dopo me lo fai vedere?».
«Sì, Sakura, sì. Adesso stai ferma e soprattutto zitta».
La sentì ridere, per nulla offesa.
«come posso stare ferma e zitta se ho voglia di urlare e
spaccare tutto per la felicità?».
So che questo capitolo è ancora corto, ma il prossimo sarà l’ultimo
prima dell’epilogo. E lì finalmente scopriremo perché c’è ‘angst’ nell’introduzione,
e perché ho dovuto tagliare.
Vi ringrazio ancora, tutti coloro che hanno recensito mi
hanno resa felice.
Spero che questa 4° parte possa ancora piacervi.
Grazie davvero a Hika_chan; kry333; noemiemi; deliaiason88;
lalyblackangel e sasusakuxxx.
Come un ladro in una villa completamente d’oro, come un
leone che trattiene fra le zampe una possente gazzella, Sakura, gioiosa,
affrettò qualche passo nella stanza di Sasuke Uchiha.
Ad occhi esterni sarebbe potuta non sembrare questa grande
cosa, ma il sopraccitato Sasuke Uchiha non era in casa. E quella si trattava di
violazione di domicilio, per quando potesse sembrare esagerato. La ragazza si
muoveva furtiva, saltellando da un punto della stanza all’altro, rovistando nei
cassetti di colui che… con molte probabilità, era divenuto il suo ragazzo. Non
ne avevano parlato in quei giorni, non avevano mai aperto bocca riguardo la
questione sentimentale: quando ne sentivano bisogno si recavano l’uno
dall’altra, e quello che accadeva nelle loro camere non era un segreto solo per
loro, al contrario degli altri, ancora perplessi per lo strano attaccamento di
Sasuke alla nuova arrivata. Di certo era la prima volta che lo vedevano così
disinvolto con qualcuno.
“dove lo hai nascosto!?” pensò implorante Sakura, cercando
con frenesia il ritratto che Sasuke le aveva fatto qualche giorno prima. Le
aveva promesso di farglielo vedere, ma evidentemente non se n’era ricordato, in
quanto quel disegno era nascosto chissà dove fra quei cassetti.
L’Haruno diede una veloce controllata all’orologio. Alle
dieci Sasuke avrebbe smesso di lavorare, e dieci minuti ci avrebbe impiegato
per tornare a casa. Ergo, le rimanevano solo altri venti minuti per poter
cercare quel dannato ritratto e, finalmente, vederlo.
«qui no… qui neanche…» sibilò atterrita, maledicendolo per
non aver messo quel ritratto nella cartella con tutti gli altri disegni. Non
riuscì a non pensare al fatto che Sasuke lo aveva fatto apposta. Aprì
l’ennesimo cassetto dell’ultimo scaffale, seminascosto fra il letto e
l’armadio.
«sembra che lo voglia nascondere, ‘sto cassetto. Magari è
qui» proclamò solennemente, certa di aver trovato il bottino di quella caccia
al tesoro. in quel piccolo cassetto stavano impilate alcune riviste di medicina
e, fra una di queste e l’altra, alcuni articoli di giornale.
Scandalo nella famiglia Uchiha:
La polizia ha condotto un’indagine seria ed approfondita
riguardo alla prematura ed improvvisa scomparsa dei famosi medici Fugaku e
Mikoto Uchiha. I corpi dei coniugi sono stati rinvenuti nella camera da letto,
straziati da colpi di arma bianca. Le apparenze parlano chiaro: il figlio
maggiore dei due, Itachi Uchiha (17), sotto gli effetti di cocaina sembra aver
avuto un raptus di rabbia, accoltellando entrambi i genitori ma lasciando in
vita il fratello minore, Sasuke Uchiha (12), che in quel momento dormiva nella
sua stanza. Si riconduce l’omicidio dei genitori al suicidio del maggiore dei
figli, mentre il piccolo Sasuke è stato portato via dagli assistenti sociali…
L’articolo di giornale proseguiva, ma a Sakura bastarono
quelle poche righe per isolarsi dal mondo, e sentire il cuore che batteva
inferocito. Sgomenta, non si accorse di aver spalancato gli occhi per la
sorpresa e del lieve tremore delle mani. Capiva bene, in quel momento, il
motivo per il quale Temari non si era mai permessa di rivelare qualcosa in più
riguardo al taciturno e misterioso Sasuke. Con una tragedia alle spalle come quella,
era naturale rintanarsi in se stessi. Lo aveva studiato all’università, nei
suoi libri di psicologia criminale.
Deglutì, mesta, rimettendo quell’articolo di giornale
vecchio e logoro al suo posto, sotto le numerose riviste. E poi, trovò quello
che non avrebbe mai voluto trovare. Sentì la nausea impossessarsi del suo corpo
e l’incredulità inibirle i sensi. In fondo al cassetto, contenuta in un
sacchetto relativamente piccolo, vi stava della polvere bianca. Avrebbe voluto
fare la finta tonta, rimettendo tutto in ordine e, con tranquillità, ignorare
il tutto. Ma si trattava di Sasuke.
Respirò, tentando di assumere un comportamento consono alla
situazione. Vedere ciò che Sasuke nascondeva la stava uccidendo, e non provò
minimamente a trattenere le lacrime che, insidiose, le appannavano la vista,
quasi a volerle proibire di vedere la roba.
Ricacciò indietro le lacrime come spinse nel fondo del
cassetto il sacchetto, chiudendolo con velocità ed alzandosi da quella
posizione scomoda; tutto era divenuto scomodo, improvvisamente.
Senza badare troppo al tremore delle gambe instabili, uscì
più veloce che poté dalla stanza di Sasuke, come se ne avesse abbastanza. Si
diresse nella sala comune, e proprio in quel momento vide entrare l’Uchiha,
trafelato dal lavoro ed infreddolito. Il cervello completamente annebbiato
dalla recente scoperta le impedì di reagire razionalmente: a grandi falcate
raggiunse l’ingresso dove Sasuke si stava togliendo il giubbotto, gli posò una
mano sulla spalla, girandolo.
La mano libera lo centrò con invidiabile precisione sulla
guancia sinistra, già arrossata dal freddo, facendogli voltare di poco la testa
di un lato. Non lo avrebbe mai fatto, né voluto fare. Ma per la prima volta si
sentì in dovere di seguire l’istinto, e non trattenne le lacrime dettate dalla
rabbia e dalla frustrazione nel vedere quegli occhi neri scrutarla con
stupore.
«che… che diavolo fai?» sibilò Sasuke, voltandosi a
guardarla dopo aver deglutito silenziosamente, ancora stupido dall’atto estremo
– non si sarebbe mai permessa di farlo – di Sakura.
«che diavolo fai tu!» strillò la ragazza, visibilmente
isterica. Sasuke batté ciglio, spostando lo sguardo oltre le spalle di lei.
Vide Naruto, Kiba e Shikamaru osservarli con un cipiglio perplesso,
preoccupato, sgomento ed incredulo al tempo stesso. Strano quanto tre persone
che non aveva mai ritenuto capaci di esprimere altre espressioni se non quella
idiota e seccata, potessero esprimerne così varie. Riportò la concentrazione
sulla giovane, sospirando rassegnato.
«okay, andiamo in camera mia, così mi dici che cazzo hai».
Passò senza degnare di uno sguardo gli inquilini, che al
loro contrario, li osservavano sbigottiti. Poi, aprì la porta di camera sua ed
aspettò che Sakura entrasse, per poi richiuderla velocemente, stanco di tutte
quelle attenzioni rivoltegli. Udì i gemiti di pianto di Sakura, e si preparò ad
una scenata secolare: non aveva mai sopportato vederla piangere, forse per il
troppo disturbo arrecatogli, forse perché, infondo, gli dispiaceva.
«parla» disse solo, appoggiandosi alla porta a braccia
incrociate. Sperò che Sakura avesse delle buone motivazioni per averlo umiliato
in quel modo davanti a tutti, altrimenti sarebbe stato costretto ad
allontanarla definitivamente sul serio – troppo orgoglioso.
La vide tentennare un po’ e gli sembrò di poter leggere nei
suoi occhi annacquati dalle lacrime l’indecisione. A quanto parve però, infine
si decise a parlare.
«lì. Io…». Alzò lentamente il braccio, quasi avesse paura
che con quel gesto potesse suggellare la sua condanna, ed indicò tremante il
cassetto nascosto fra il letto e l’armadio. Sasuke seguì la sua indicazione con
lo sguardo. Al contrario di ciò che Sakura s’aspettava, rimase impassibile.
«cosa hai visto».
Non era una domanda. Era un ordine chiaro e tondo, senza
alcun timore di risultare scortese o di far tremare maggiormente la ragazza.
Non era stupido, sapeva perfettamente ciò che Sakura aveva visto. Ma piuttosto
che ammetterlo, voleva vederla in difficoltà, distruggersi per rinfacciargli
quanto fosse idiota e, al contrario delle apparenze, disperato ed impulsivo.
«lo sai cosa ho visto. Lo sai».
«no, non lo so».
«Ti droghi».
Dirlo ad alta voce fece tutto un altro effetto. Pareva
surreale, quasi impossibile. Rimase ferma, a fissarlo come se sperasse in qualche
spiegazione. Invece lui la guardava e basta, senza muovere un muscolo, senza
smettere di osservarla dritto negli occhi. Sakura non poteva sapere che la
mente machiavellica di Sasuke stesse andando in panne, non poteva sapere che
gli prudevano le mani, quasi la volesse picchiare, non poteva neanche
lontanamente pensare che, anche uno calmo e riflessivo come Sasuke, potesse
perdere il controllo.
«cos’altro hai visto. O sai». Stesso tono, stesso ordine.
Quel “sai” finale le fece presupporre che Sasuke si aspettava di sentirla
balbettare sulla sfortunata vicenda della sua famiglia. Pensò seriamente di
negare tutto, di non sapere nulla. Invece, sentì di volerlo urlare… ma non ci
riuscì.
«so della tua famiglia» disse in un sussurro, mordendosi le
labbra ed avvertendo le guance inumidirsi a causa delle lacrime che, questa
volta, non si fermarono e attraversarono le guance.
«perché ti stai rovinando? Perché fai ciò che ha fatto tuo
fratello?» urlò in preda al furore, alla rabbia, a tutte le emozioni che aveva
provato quando aveva scoperto tutto.
Se ne pentì un istante dopo aver pronunciato quelle parole.
Se prima Sasuke sembrava aver assimilato la notizia in
maniera relativamente buona, le domande di Sakura lo irritarono a tal punto di
farlo innervosire visibilmente e fargli stringere le labbra, imbestialito.
L’Haruno si ritrovò a pensare ancora una volta ai suoi studi – strano come si
rifugiasse nelle sue conoscenze in quei momenti – e le venne in mente dei
diversi modo d’arrabbiatura.
C’è chi diventa rosso in viso, inferocito come non mai, ma
particolarmente innocuo a fatti.
C’è chi impallidisce, e quello non è un buon segno.
Sakura osservò il biancore delle guance dell’Uchiha, ed
indietreggiò spaventata, il cuore in gola.
«Tu non sai niente»sibilò il moro,
allontanandosi dalla porta e avvicinandosi con passi lenti e cadenzati alla
ragazza, i ciuffi di capelli corvini gli adombravano gli occhi e le impedivano
di vedere un guizzo irato in questi.
«non ti permettere di parlare, non ti permettere di giudicare.
Tu non sai niente e non pretendere di saperlo. Devi stare solo zitta, zitta
e basta, altrimenti ti uccido. Giuro che lo faccio». Si fermò a pochi
centimetri da lei e la guardò dall’alto in basso. Solo in quel momento a Sakura
parve enorme la differenza fra le loro altezze, solo in quel momento le parve
enorme la differenza fra loro.
«Sasuke…» sussurrò, implorante, senza trovare il coraggio di
guardarlo negli occhi e continuando ad osservare quasi ossessivamente la felpa
nera di lui. Si morse il labbro, ancora, sentendolo bagnato ed assaporando le
lacrime che lo inumidivano.
«quando ci siamo conosciuti… eri sotto gli effetti della
droga, vero? Nessuno lo ha mai notato, ma io sì, si vedeva dalle pupille e dal
tuo colorito pallido» lasciò in sospeso la frase, mangiandosi qualche parola,
temendo in una reazione violenta.
Improvvisamente le venne voglia di urlare, svuotarsi i
polmoni fino a farsi male e di picchiare qualsiasi cosa, di sfogare la paura e
la rabbia in pugni che forse non avrebbero fatto male a nessuno.
«perché. Perché fai così? Puoi uscirne, puoi ricominciare»
soffiò esitante, trovando la forza di alzare lo sguardo e di guardarlo. Notò
che lui la stava già fissando, con la sua aria austera e fredda.
«lo stavo facendo. Ci stavo provando, concentrandomi solo su
di te – sebbene fosse quasi calma, la voce tremava chiaramente – ma non mi
basti. E smettila di pensare che tutto si può risolvere. Non è così. Non mi
interessa manco più. Sono più i giorni in cui non capisco niente che quelli in
cui ragiono. Ti do un consiglio; lasciami perdere. E vattene» concluse senza un
particolare tono, senza distogliere l’attenzione da quella figura minuta che
aveva ridotto in un tremolio unico.
Inarcò un sopracciglio scuro vedendo la mano della ragazza
allungarsi verso di lui, afferrargli la felpa e stringerla più forte che
poteva, quasi avesse paura che, lasciandola, avrebbe potuto perderlo per
sempre.
«No. No. Stai scherzando. Non puoi mandarmi via» balbettò
incerta, tirando sulle labbra sottili un sorriso amaro. Le guance avevano perso
tutto il loro colore, rimanendo solo mortalmente bianche.
«Sakura» la chiamò Sasuke, gonfiando il petto dopo un
sospiro particolarmente profondo.
«non puoi! Ci conosciamo da poco, è vero, ma io ti posso
aiutare! Io farò tutto ciò che vuoi e che vorrai, farò il possibile e
l’impossibile, ma non puoi mandarmi via, mi stai chiedendo di… di dimenticare
tutto quello che c’è stato fra di noi e…».
«non esiste un noi. Forse prima esisteva, adesso non esiste
più. Lascia perdere, ci sono troppo dentro» “…non ho intenzione di
trascinarti giù con me” avrebbe voluto dirle, per riparare forse ad un
danno morale troppo profondo; ma l’orgoglio lo fece tacere, come gli proibì di
stringerle quella mano che lo tratteneva vicino a lei.
Sentì Sakura scoppiare in una risata isterica, e la vide
ridere fra le lacrime.
«stai parlando così perché io ho visto quelle cose. Okay,
farò finta di nulla, non preoccuparti. Fin quando non sapevo niente andava
bene, no? Dimenticherò tutto, posso farlo. Voglio stare con te, posso farlo,
no?» domandò con voce acuta, senza attendere una risposta. Scrollò le spalle,
come se si fosse convinta con le sue stesse parole, e lo guardò negli occhi,
sperando di sentirlo approvare quella decisione, aspettando che lui facesse qualcosa.
Tutto quello che fece Sasuke fu prenderle la mano, calda e
sudata, nella sua, fredda e liscia, e sciogliere quella presa sulla sua felpa.
La strinse un po’ più del dovuto prima di lasciarla andare.
«non immischiarti in cose più grandi di te. Adesso esci,
prima che io perda totalmente la pazienza» l’avvertì, stringendo i denti.
Avrebbe voluto distogliere lo sguardo per evitare di vedere la disperazione e
lo smarrimento in quello di lei. Ma lo tenne fisso nel suo, per rendere più
vivida e imponente quella decisione, per straziarla fin nell’interno.
Sakura abbassò lo sguardo, le lacrime scivolavano senza
alcuna difficoltà lungo le sue gote e si perdevano sotto al mento o negli
angoli della bocca. La gola arida e le corde vocali secche le impedirono di
dire qualsiasi cosa, le risparmiarono di umiliarsi ancora e di implorarlo.
Deglutì, schiudendo le labbra per respirare decentemente
dopo tutto il tempo in cui aveva trattenuto il respiro, e mosse qualche passo
incerto verso la porta di quella stanza divenuta improvvisamente troppo piccola
per contenerli entrambi.
Sasuke sentì la porta aprirsi e chiudersi, velocemente.
Non si era mosso, né si era girato per guardare Sakura
uscire.
Era rimasto fermo a guardare il pavimento, dopo che gli
occhi verdi che aveva scoperto di amare erano spariti. Si ritrovò a sospirare,
portando una mano fra i capelli.
Alzò la testa, rivolgendo tutta la sua attenzione sul letto
– che lo aveva visto felice, se così si poteva definire, dopo tanto tempo – e
gli si avvicinò, sferrando un pugno sul cuscino.
Continuò a prendere a pugni quel cuscino e ad urlare,
urlare, urlare.
S&S
24 Dicembre 2008; ore 18.03
Da quando non aveva più l’opportunità di vedere Sasuke,
Sakura non si affrettava, come spesso faceva, a tornare a casa. Rimaneva in
giro a Parigi, divertendosi in maniera piuttosto lugubre a pensare a ciò che
era accaduto fra lei e lui, immaginandosi altre parole da dire, altri gesti da
fare.
Tenten, che faceva ormai i suoi stessi turni, la guardava
con preoccupazione ma non riusciva a dire niente sebbene avesse tanto da dirle,
come ad esempio “Te lo avevo detto che ti avrebbe rovinato l’esistenza,
sciocca”. Ma non le sembrò il caso. Sakura non le aveva raccontato nulla sul
come era “finita” fra lei e Sasuke, perciò non poteva conoscerne i dettagli.
«Saku… pensavo di volermi fare un tatuaggio sulla spalla,
sai. Una ‘T’ come Tenten» cominciò con voce fioca, quasi avesse paura di
distrarla dai suoi pensieri.
«mh». Evidentemente la sua iniziativa pazza, come lo era
stata l’idea del piercing dell’Haruno, non le interessava poi così tanto.
Sbuffò, desolata, facendo trapelare dalle sue labbra le classiche nuvolette di
vapore. Si morse il labbro arrossato dal freddo e scrutò l’amica dall’alto in
basso.
«senti, perché non gli parli? Okay, potrebbe mandarti via,
ma almeno ci hai provato. Sai meglio di me che Sasuke non è uno che si spreca
tanto, però tu ci hai provato. Almeno non vivi con il rimorso di non averle
provate tutte. Toh, siamo vicino a casa. Dai, vai» insistette la castana,
rassicurante, poggiandole una mano sulla spalla. L’altra le scoccò un’occhiata
di traverso, languida.
«Grazie Ten, ma non credo lo farò. Non… non è il caso»
mormorò senza alcuna emozione nella voce. Tenten sospirò, svoltando l’angolo
che non le permetteva di guardare l’imponente palazzo che ospitava la loro
casa. Una volta arrivate lì, entrambe spalancarono la bocca, inorridite.
«ma che…TEMARI!» urlò spaventata la giovane castana,
osservando un paio di poliziotti parlottare in fitto francese fra loro, correndo
velocemente verso il palazzo già pieno di poliziotti.
Parcheggiata accanto all’auto della polizia, un’ambulanza.
Appena le vide, Temari corse verso di loro, tenendo fra le
mani una busta sottile.
«Tenten… - si voltò, notando con orrore la presenza
dell’Haruno - …Sakura» sibilò, avanzando decisa, gli occhi di smeraldo
appannati da un velo di lacrime. Il mascara che un tempo rendeva il suo sguardo
più profondo grazie alle ciglia allungate, le macchiava la parte sotto agli
occhi, facendola sembrare un vampiro incapace di dormire.
Altalenò lo sguardo da Sakura, Tenten ed il palazzo,
sentendo il dovere di dare loro una spiegazione, soprattutto delle sue lacrime
trattenute. Prima di parlare porse con un gesto veloce e secco la busta a
Sakura, ficcandogliela fra le mani il più rapidamente possibile.
«loro… - indicò la polizia – sono qui… Sakura, Sasuke…
accanto a lui c’era questa e… overdose».
Tenten si portò una mano alla bocca, sgomenta.
Sakura rimase impassibile, osservando il colorito bronzeo
della Sabaku, e poi il suo sguardo. Temari la fissò, perdendo tutta la sua
spavalderia e sicurezza, la fissò e basta.
«Sasuke è morto, Sakura».
…e ci fu solo l’urlo, il pianto, la fuga e il furore.
Uhm. Ehm.
Adesso capite le tracce angst? XD
Questo è il penultimo capitolo, l’epilogo – cortissimo, vi
avviso – verrà fra qualche giorno.
Spero che vi sia piaciuto, che vi abbia commosso, che vi
abbia suscitato qualcosa, insomma! XD.
Hele91: Grazie mille, cara <3.
Kry333: oh *///* sono felice che ti piaccia il mio modo di
scrivere u.u grazie, davvero tanto <3.
Deliaiason88: Delia-sama, che onore *//* sì, diciamo che
il tocco di erotismo non è tanto quella scena, ma più Sasuke che disegna
Sakura. Oh sì, io lo trovo così… =ç=. Ci siamo capite, vero? <3.
Nomiemi: eheh, la scena in cui Sasuke disegna Sakura è
piaciuta a molti, vedo! Sono davvero contenta che ti abbia entusiasmata questa
fic. Ma dopo questo capitolo mi devo sentire in colpa? XD.
Juliettina: tranquilla, l’importante è che le mie fic ti
piacciano. Poi, quando trovi il tempo, ti aspetto eccome XD.
Vorrei ringraziare anche le persone che hanno messo questa
fanfic nei preferiti.
Mi rendete davvero molto felice, sì.
Aspetto però un vostro commento, specialmente ora che le
cose si sono mosse – e di tanto, dai! XD – e che siamo verso la fine. Ricordate
che il SasuSaku è Power! XD
L’orologio scandiva lentamente i secondi, i minuti, le ore.
Si era fatta la doccia con calma, perdendo più tempo
possibile sotto l’acqua bollente.
Un anno prima si trovava a Parigi, nella sala comune a
studiare, a scambiare qualche chiacchiera con Tenten, a ridacchiare per le
strigliate che Shikamaru si beccava da Temari, ad osservarlo di
nascosto. Sorrise amaramente a quei ricordi, pensando che nonostante fosse
passato solo un anno, quell’anno era divenuta una vita. E quella che stava
vivendo, non le apparteneva più.
Dopo quel giorno era scappata da Parigi, non
sopportava più nulla di quel posto, né della Francia in particolare. Non aveva
dato il tempo a nessuno di chiederle spiegazioni: aveva afferrato bagagli e
libri ed era scappata verso la stazione, a piedi. Non erano più di venti minuti
di cammino.
In un anno aveva distrutto progetti di una vita.
I libri di medicina erano impolverati, nascosti in chissà
quali cassetti di quell’anonimo appartamento dove si era rifugiata prima di
andare a Parigi. Aveva promesso che ci sarebbe ritornata lì, in quel paesino
vicino a Monza, e quella promessa l’aveva mantenuta. Da quando era scappata
aveva cambiato numero: oltre al lavoro aveva perso i contatti con tutti, anche
con Tsunade.
Si asciugò alla bell’e meglio i capelli senza un preciso
taglio, camminando con passi lenti e morbidi verso l’armadio nella sua stanza.
Scelse i vestiti più belli che aveva e li indossò. Nell’angolo più remoto
dell’armadio, avvistò la piccola busta sottile che Temari le aveva consegnato
quel giorno.
Non aveva mai avuto il coraggio di aprirla, sebbene sapesse
cosa conteneva. Per guardare il suo ritratto aveva voluto aspettare il giorno
in cui avrebbe trovato il coraggio di dare una svolta alla sua vita. Ed
era quello, il giorno.
Come una ninfa nel bosco, a piedi nudi, s’avviò verso la
larga e luminosa finestra della camera da letto, spalancandola. Otto piani
sotto, l’erba era bagnata dalla brina notturna. E, finalmente, sfilò quel
disegno dalla busta, osservandolo con occhi vuoti.
I suoi stessi occhi – luminosi e dall’espressione contenta e
appagata – la ricambiavano delle sue attenzioni, immobili su quel foglio
bianco. Ricordava perfettamente la sua posizione, perciò non si vergognò di
osservare i suoi seni nudi, piccoli e rotondi, né di guardare con interesse il
lenzuolo coprirla appena poco più su delle gambe. All’angolo del ritratto, come
al solito, stavano le iniziali del suo nome; SU.
Deglutì, sentendo una lacrima abbandonare l’occhio destro,
toccare appena la guancia per poi cadere sul pavimento di marmo chiaro. Con i
piedi, abbandonò quel pavimento per trovare sostegno sul marmo del davanzale.
Guardò giù, per nulla impaurita.
Aveva visto quel ritratto, aveva avuto il coraggio di
decidere, e aveva deciso di seguire Sasuke, in qualunque posto egli se ne fosse
andato.
«guardami Sasuke. Lo faccio per noi. Per te.
Guardami».
Un lieve sussurro rubato via dal vento.
La stretta sul ritratto divenne ferrea, stringendolo con tutta
la forza che aveva in corpo sul petto.
– fece combaciare perfettamente quel disegno al suo cuore –.
Un passo, e abbandonò il davanzale [la vita] per
andare incontro al nulla [la morte].
E poi, fu solo urla e furore.
Fin.
Non me lo ricordavo così corto l’epilogo =)
Comunque ho dovuto dividerlo dal capitolo prima; ho
indorato la pillola xD.
So che adesso mi vorrete tutti morta per aver fatto finire
così questa storia… però, “L’urlo e il Furore” mi ha dato un’ispirazione da non
happy ending.
Chiaramente questo è il continuo – fine – del piccolo
prologo all’inizio.
Potrebbe anche non c’entrare nulla con la mia fic. Però è
troppo bella per non farvela vedere <3.
Grazie a BrideOfTheWind: diciamo che no, non volevo
ti venisse un infarto, però sono felice che ti abbia “suscitato qualcosa” xD.
Grazie mille a te, invece, per aver recensito e per avermi reso un’autrice
soddisfatta ed orgogliosa della sua ‘opera’ con un commento ç.ç baci!
Hele91: suvvia, suvvia. Ci sono altre fic in cui Sasuke e
Sakura si sposano e hanno pargoletti, perciò non disperare! Grazie mille del
commento, spero ti possa piacere anche questo corto epilogo.
Kry333: beh, spero che l’epilogo sia stato all’altezza
delle tue aspettative. Grazie mille del commento <3.
Piccola992: grazie mille del complimenti
^w^ il lieto fine come vedi non c’è, ma magari puoi intenderlo così: Sasuke e
Sakura, adesso, sono insieme =).
Nomiemi: “Una freddezza d'amore” direi che hai trovato le
parole giuste per descrivere, in parte, il comportamento di Sasuke xD. Hai
ragione, lui anche se non lo vuole dare a vedere, è molto protettivo nei
confronti di Sakura. È così che mi piace immaginarlo =) svelato il contenuto
della busta, spero che non ti abbia deluso. Grazie mille del commento, un
bacio! <3.
Deliaiason88: ahem, ghiandole lacrimali, non
vogliatemi male. Dopotutto è stato meglio così, Sasuke e Sakura adesso sono
insieme, no? Oh Delia-sama, grazie mille del suo commento, sono onorata ç.ç e
grazie mille ancora per i complimenti. Mi ha resa felice <3.
Hika_chan:
ahem. Dai, non te la prendere con Sasuke, lui amava Sakura, solo che ha
imboccato la brutta via della droga e ha voluto proteggere la sua bella. Cosa
che non è servita a molto, a dire il vero. Spero che l’epilogo ti abbia
soddisfatta in ogni caso, anche se non è “sistemato”. Rory rimane sempre una
brava ragazza! XD
Così, questa storia è conclusa.
Ci tengo a ringraziare tutti coloro che la hanno messa fra
i preferiti, e con mio stupore, non sono pochi! Grazie davvero, spero che ora,
alla fine, mi facciate sapere che cosa ne pensate.