Pitch and green

di koralblu
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 8: *** capitolo 9 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 10: *** AVVISO ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***



Capitolo 1
*** capitolo 1 ***


Sono di nuovo in ritardo, -come sempre- aggiungo mentalmente. Corro a perdifiato per raggiungere l'autobus dopo aver accompagnato Caleb alla fermata del suo. "Ti prego, fa che sia in ritardo oggi" continuo a ripetere mentalmente sperando che qualcuno lassù mi ascolti. Ma è chiedere troppo. Vedo l'autobus sfrecciare via, e con lui anche le mie possibilità di non prendere una strigliata da Christopher. Arrivo dopo solo quindici minuti, ma l'espressione arrabbiata dell uomo cinquantenne che mi sta di fronte mi suggerisce che non sono sufficienti per non prendermi una strigliata. -Sei in ritardo- sibila fra i denti. -Lo so, scusami- Non provo nemmeno a giustificarmi, poichè tanto non servirebbe a nulla con il mio capo. E' un maniaco della puntualità, che odia anche solo un minuto di ritardo. Sospira piano,e dopo avermi guardata di sbieco torna spolverare gli scaffali. Vado dietro al bancone, e riprendo il lavoro che ieri  avevo interrotto. Mentre inizio ad elencare tutto il materiale da ordinare, inizio a perdermi con la mente.  Sono passati tre anni da quando ho messo piede in questo negozio per la prima volta. Ricordo ancora di essere entrata quì insieme a mio padre, grande amico di Chrisopher, e di aver accettato con enorme entusiasmo il lavoro che mi era stato offerto. Sapevo però che in realtà Christopher l'aveva fatto più per accontentare mio padre, che per altro. Con il tempo però mi sono dimostrata una degna aiutante, e in pochi anni sono diventata l'unica dipendente di questo piccolo negozio di fiori. Amo i fiori. Sono una delle poche cose che ancora mi fa sorridere.  Mamma infatti ha deciso di chiamarmi Cloe per la freschezza e la giovinezza che questo nome porta con se. Proprio come i fiori. Solo ripensare a mia madre mi provoca un dolore al petto, ma cerco di ingnorarlo. Lo assorbo, come una spugna, e in pochi minuti torna a farsi spazio in me il solito vuoto con cui ormai ho imparato a vivere. "L'ho voluto io,dopotutto" penso.  Dopo la morte dei miei genitori ho pianto per interi giorni senza mai muovermi dal letto. Dopo aver finito la riserva di lacrime però ho sentito uno strano vuoto che in un primo momento mi ha terrorizzata. Ricordo ancora di essere corsa in bagno e di essermi guardata allo specchio. Vuota. Ecco com'era la mia espressione. Nonostante gli occhi rossi e lucidi e le profonde occhiaie nei miei occhi non ho visto nulla. Nessuna emozione. Questa è stata la mia medicina. Soffocare ogni emozione ad eccezione dell affetto per il mio fratellino Caleb. A soli cinque anni ha dovuto sopportare la scomparsa di ben due genitori, e la mancanza di emozioni di sua sorella maggiore. Non ha più parlato da allora. Abbiamo due modi diversi di affrontare il dolore: io soffoco tutte le mie emozioni, lui non parla. Ho fatto molta fatica all inizio per mantenerci. Il lavoro da assistente non mi permetteva di pagare tutte le bollette e tutte le spese di quella casa. Così, dopo pochi mesi dalla morte dei miei genitori ci siamo trasferiti in un appartamento piccolo e poco costoso. Ho trovato un secondo lavoro, come cameriera, e grazie ai risparmi e al duro lavoro sono riuscita a finire la scuola e a permettere a Caleb di iniziarla. In un primo momento le maestre insistevano nel farlo partecipare alle lezioni, ma dopo molti tentativi falliti hanno deciso di lasciar perdere. In compenso però, compensa la sua mancanza di loquacità con il talento per il disegno. Passa ore e ore a disegnare, riuscendo così ad esprimere le sue emozioni. Almeno lui ci è riuscito in qualche modo. Mi risveglio dal mio torpore quando sento il campanello della porta. Dev'essere entrato qualcuno, così mi stampo in faccia il sorriso più finto che riesca a fare ed alzo la testa. Sono spiazzata. Non riesco a muovermi di un centimetro e sono sicura di aver smesso di respirare. Il cuore accelera il suo battito, e per un solo secondo sento il vuoto dentro scomparire totalmente. Due occhi verdi come lo smeraldo mi fissano con un'intensità disarmante, quasi volessero cancellare totalmente il dolore che alberga nel mio cuore. Non riesco a decifrare questa improvvisa emozione che è nata in me.  Sono così rapita da quello sguardo e dalla mia confusione che mi accorgo dopo troppo tempo di un particolare non insignificante che velocemente mi fa abbassare il viso, mentre la realtà si fa strada in me: è compassione. Lui è su una sedia a rotelle  
 

Ciao a tutti! Innanzitutto voglio presentarmi e ringraziare in anticipo tutti coloro che, spero, leggeranno questa storia. E' la mia primissima fanfiction, quindi vi prego di essere clementi. So che questo capitolo è un po' corto, ma ho bisogno di prendere la mano. Vi prometto però che il prossimo sarà più lungo e degno di essere letto. Parola di scout. Cercherò di aggiornare un paio di volte alla settimana (poichè le vacanze me lo permettono) e farò del mio meglio per scrivere a meglio questa storia. Grazie ancora a tutti! Alla prossima.

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Capitolo 2
*** capitolo 2 ***


Non riesco ancora ad alzare lo sguardo. Il mio corpo è come bloccato, a differenza del cuore che continua a battere come un tamburo. ''Calmati Cloe'' continuo a ripetermi ''Datti un calmata!'' Perchè mi sto comportando così? - Buongiorno, possiamo aiutarla in qualche modo?- Che Christopher sia benedetto! Rialzo a poco a poco lo sguardo, e di nuovo quell'ondata di benessere che avevo provato prima torna a farsi strada in me. Scaccio quel pensiero, e torno a concentrarmi sulle carte che stavo compilando prima. Ci penserà il mio capo. ''Sei una vigliacca'' mi dice la coscienza. Si, lo so. Non ascolto nulla della conversazione, concentrata come sono a cercare di regolarizzare il battito cardiaco - Cloe per favore puoi prendermi due girasoli, una decina di rose bianche, qualche giglio e un paio di fiori selvatici?- Ci metto qualche secondo prima di capire, ma subito mi alzo per prendere i fiori. Sono appena tornata al bancone, quando sento il telefono squillare. Sto per andare a rispondere, ma Christopher mi precede. Maledetto! Dopo aver imprecato mentalmente usando ''piacevoli'' parole e aver progettato il suo omicidio, mi giro per affrontare il ragazzo. - E così ti chiami Cloe- Le mie mani, che stavano lavorando con la composizione, si bloccano. Ha davvero parlato con me? E perchè il mio nome detto da lui sembra così bello? ''Basta stupida, questi non sono pensieri da fare''. Devo concentrarmi sulla composizione. La composizione. La sua voc...la composizione! -  Il gatto ti ha mangiato la lingua?- Alzo di scatto la testa, infuriata per quella provocazione. Sto per dirgliene quattro, quando ancora una volta, nell'arco di dieci minuti, mi blocco. E' così bello con quel sorriso angelico, da togliere il fiato. ''Di un po', da quando hai iniziato a fare pensieri tanto sdolcinati?'' - Si, mi chiamo così. E no..odio i gatti- dico con risolutezza, forse anche un po' troppo duramente. Speravo che, con il mio tono, capisse che il discorso è chiuso. Invece mi stupisce. Pensavo se le sarebbe presa, per i miei modi sgarbati..ma lui ride. Ha una risata talmente bella.. NO. Basta. - Allora quali animali ti piacciono Cloe?- Lo fisso, confusa su dove voglia arrivare. -Nessuno. Odio gli animali.- rispondo con tono secco, in modo da far capire che per me la conversazione è veramente chiusa. Ma lui sembra non capire..o forse, non vuole capire - E cosa ti piace?- mi chiede con un sorriso ancora più largo di prima.  Ma dov'è Christopher quando serve? Se continua a sorridermi così rischio l' infarto. - I fiori- rispondo con tono nervoso - Oh lo immaginavo..e dimmi Cloe, quale di questi fiori ti piace di più?- non rispondo..non ho intenzione di proseguire il discorso. - Scommetto che i tuoi fiori preferiti sono i girasoli- Mi irrigidisco all'istante. Come caspita fa a saperlo? lo guardo confusa, cercando una spiegazione e lui alza  gli occhi al cielo, sogghignando - Hai una forcina con un girasole, e prima quando hai tirato fuori i girasoli ti brillavano gli occhi. Ho immaginato ti piacessero- Sono sconcertata. - Sì, lo sono- dico con tono forse anche troppo secco, ancora sotto schock. Mi fissa per qualche minuto, in viso un espressione talmente concentrata che sembra stia risolvendo un difficilissimo problema di matematica. - Non sei una a cui piace parlare di se, eh?-  - No- taglio il discorso, stavolta facendogli capire che il discorso è veramente chiuso - la tua composizione è pronta, ti piace? Va bene così? possiamo fare delle modifiche se vuoi- parlo in fretta, e ho paura che non mi abbia capita- E' bellissima.- Mi si blocca il cuore. Mentre l'ha detto stava guardando me.. non la composizone. ''Ok, no..non è possibile. Sei solo visionaria. Non ti ha detto che sei bella. No, no, no. Dimentica questa assurda idea'' Sto per rispondere quando Christopher torna al bancone, osservando con cura la mia composizione. -Cloe, è veramente bellissima. Tu si che ci sai fare- mi fa pure l'occhiolino lo sfacciato. Mi sentirà dopo..oh se mi sentirà. -Lo penso anche io signore- -Oh ti prego chiamami Christopher. Molto piacere di conoscerti ragazzo.-gli porge la mano, e il ragazzo la stringe.Che stretta forte e decisa. '' Sei da prendere a schiaffi''  Li osservo distrattamente, persa con il mio monologo interiore, ma non mi sfugge la frase del ragazzo- Il mio nome è Peter, molto piacere- Peter. Peter. Peter. Una sensazione di puro calore mi attraversa tutta la spina dorsale non appena formulo nella mente i suo nome . -Cloe, per favore il conto- Mi risveglio immediatamente, imbarazzata da quell'occhiata ammonitrice del mio capo, come se volesse dire ''Smettila di sbavare, e concentrati sul lavoro. Eseguo gli ordini a testa bassa e gli passo meccanicamente la composizione. -Ecco a te Peter. Mi auguro di vederti presto- gli sorride, gentile solo come lui sa essere. E' davvero affezionato ai suoi clienti. Se fosse per lui, non farebbe pagare nulla a nessuno di loro. -Oh senz'altro Christopher. Grazie per la bellissima composizione Cloe.- Eh? Parla con me? Sbatto qualche volta le palpebre, per assicurarmi di non aver immaginato l'ultima frase, e subito dopo arrossendo mormoro un biascicato ''grazie'', rossa come un peperone. Lo vedo andarsene poco dopo, aiutato da Christopher, con un piccolo ghigno stampato sulla faccia. Varcata la soglia smetto di trattenere il respiro e mi accascio sulla sedia con la grazia di un elefante -Un bravo ragazzo eh? anche molto carino...- Sbuffo per la stupida insinuazione e torno al mio lavoro,cercando di regolarizzare il battito del cuore. Il resto della giornata trascorre tranquillo, senza più ''spiacevoli sorprese''. Dopo aver salutato Christopher, che, con un largo sguardo ammiccante, mi augura di fare bei sogni, corro per prendere l'autobus. Questa volta qualcuno ha avuto pietà di me.  -Sono a casa- urlo, dalla porta d'ingresso. Poso le chiavi sul tavolo e in meno di due secondi mi ritrovo un piccolo koala con i capelli castani attaccato alle gambe. Caleb. -Ciao piccolo. Hai fatto il bravo con Carmen?- Lui annuisce, e mi trascina in sala, dove vedo mille disegni sparsi sul tappeto. Carmen è sul divano, e si strofina gli occhi con foga, alzandosi appena mi vede. -Ciao Cloe, bentornata..Caleb è stato bravissimo. Abbiamo fatto tantissimi disegni, e non vedeva l'ora di farteli vedere- Faccio un piccolo sorriso a Caleb, e tiro fuori dalla borsa i soldi - Grazie mille Carmen. Ecco a te- dico con tono neutro. Ormai più nessuno se la prende per le mie risposte senza vuote. Sanno che sono fatta così. Le porgo i soldi, e torno a concentrarmi sul mio fratellino. Continua a sorridermi, con quegli occhi che farebbero tenerezza a chiunque e mi chino a vedere quei piccoli capolavori. Sento la porta chiudersi, e poco prima un biascicato ''buona serata''. Non ci faccio nemmeno caso e inizio a guardare i disegni. Mi stupisco ancora oggi di quanto sia bravo. Le linee sono pulite e diritte, e non c'è una sola sbavatura del colore. Sebbene sia piccolissimo, penso sia già un giovane talento. Per questo motivo sto iniziando a mettere da parte i soldi per la sua futura iscrizione alla scuola d'arte. So che sarà questo il suo futuro, e sono sicura che i miei genitori approverebbero. Sospiro per l'ennesima stretta al cuore, e mi alzo velocemente, sparendo in cucina. -Chi ha fame?-urlo per farmi sentire. Vedo Caleb arrivare, saltellando con la mano alzata, e dopo una piccola risatina inizio a preparare la cena. Dopo aver mangiato, vengo obbligata a vedere uno stupido film per bambini, che dopo  soli 10 minuti mi fa desiderare di avere una corda per potermi impiccare. Ma a Caleb sembra piacere, perciò sopporto..per lui.  - Vuoi che ti legga una storia prima di andare a letto?- lui annuisce, con il sorriso sulle labbra. Mi prende la mano, e corriamo -letteralmente- nella sua stanza. Inizio a leggere, e a poco a poco lo sento addormentarsi. Mi fermo a guardarlo, e una piccola lacrima scappa al mio controllo. No, non posso piangere. Devo essere forte. Non devo lasciarmi trasportare dalle emozioni, altrimenti questa notte in sogno verranno a tormentarmi i volti moribondi dei miei genitori, incastrati in quella maledetta auto. Non ci devo pensare. Eppure quando guardo Caleb, non posso fare a meno di pensare che ormai lui è tutto ciò che mi è rimasto.E' tutta la mia famiglia.  E io devo essere forte, per lui. Devo proteggerlo, perchè è ciò che farebbero i miei genitori. Devo amarlo, perchè dopo tutto ciò che ha passato è questo che merita: amore. Mi butto sul letto sfatto della mia camera, ripercorrendo mentalmente tutti gli avvenimenti di questa giornata. Prima di addormentarmi però, un' immagine mi ritorna in mente: due occhi smeraldini accompagnati da una dolce parola: Peter. 



 


Beh, avevo promesso un capitolo più lungo ed ecco qua! Che dire, il 
primo dialogo fra Cloe e Peter *^* Non sono dolci? Anche se Cloe cerca di soffocare le sensazioni che prova, non ci riesce.. e non si spiega il perchè. E il nostro Peter *^* aww. Okei, la smetto. Spero che questo capitolo vi sia piaciuto. Mi impegnerò al massimo, e darò il mio meglio per questa storia. Alla prossima! (scusate per la divisione fra questo commento e ma storia, ma il computer fa le bizze. Chiedo venia)

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Capitolo 3
*** capitolo 3 ***


Dal giorno del mio primo incontro con Peter sono passate due settimane. I primi giorni sono stati traumatici. Me ne stavo seduta, talmente tanto tesa che, più volte, quando Christopher mi ha toccato una spalla per dirmi qualcosa o risvegliarmi dai miei pensieri, sono scattata come una molla. Avevo i nervi talmente tesi, che ho dovuto prendere un giorno di malattia per riposarmi. Tutto questo solo per uno stupido ragazzo seccente che ho incontrato una sola volta. Non riesco ancora a credere a come mi sia ridotta. Purtroppo però non è bastato nemmeno il duro lavoro a farmi dimenticare quei meravigliosi occhi color smeraldo, poichè tutte le notti sono tornati a tormentarmi in sogno. Se qualcuno me lo chiedesse, potrei descriverli in ogni specifico dettaglio. Ho cercato di distrarmi con qualsiasi mezzo: facendo gli straordinari, cucinando ricette complicatissime, e perfino guardando ore e ore di stupidi programmi per bambini insieme a Caleb. Ma nulla. La seconda settimana però è andata decisamente meglio. Ho accantonato il pensiero, e sono tornata alla mia routine quotidiana. Ero quasi riuscita a dimenticarmi della sua esistenza, e finalmente tutto era tornato normale. Quasi, appunto.. Quella mattina mi ero svegliata prima del solito, a causa del solito incubo in cui i miei genitori bruciavano in un incendio. Mi ero fatta una doccia veloce, per poi vestirmi con i primi indumenti che avevo trovato. Non avevo per niente voglia di rendermi presentabile. Non più del solito. Non mi ero nemmeno preoccupata di coprire le tremende occhiaie, ormai le mie migliori amiche. Ero scesa a preparare la colazione a Caleb, e in tutta calma l'avevo lasciato davanti alla fermata dell autobus, salutandolo con un bacio, e facendogli promettere che mi avrebbe aspettata davanti a scuola. Ero quasi di buon umore quel giorno. La primavera stava tornando, e con essa anche qualche timido raggio di sole, che mi colpiva il viso color porcellana. Entrai nel negozio fischiettando, cosa che non sfuggì al mio capo. - Siamo di buon umore oggi?- mi disse guardandomi intensamente. Conoscevo quello sguardo: stava cercando di capire cosa mi passasse per la testa. Alzai le spalle, ed andai al bancone, per mettere a posto le carte che vi erano sopra. Nel negozio avevo molteplici compiti: servivo i clienti. pulivo, facevo consegne, ma per lo più mi occupavo della contabilità. Ero molto brava con i conti, e naturalmente Christopher sfruttava al meglio questo mio '' talento'', come lo definiva lui. - Oggi c'è da fare una consegna.- mi porse il foglietto con l'indirizzo e i fiori da consegnare. -Vedi di ritornare entro un'ora. Ho bisogno di te per l'inventario..sai che sono una frana con i numeri- Oh, se lo sapevo. Una volta, un anno fa, dovevamo spedire circa tre dozzine di fiori d'arancio e fresie per un matrimonio. Purtroppo però, vista la pessima scrittura di Christopher, ha confuso l'indirizzo, mandando questi fiori ad un funerale. Non credo di aver mai riso tanto in vita mia. Dopo quell episodio, sono sempre stata io ad occuparmi delle consegne. Giustamente. Non credo  voglia passare altri  tre giorni a rispondere a minacce o insulti. - Certo capo. Non vogliamo di certo rischiare di fare resuscitare i mori con l'odore delle fiori d'arancio, vero?- e dopo questa mia piccola frecciatina uscii dal negozio, dove sentivo sbuffi e biascicate giustificazioni. Avevo un vittorioso ghigno stampato in faccia.. finalmente ero riuscita a mettere in imbarazzo Chritopher. Ero ancora allegra quando entrai nella via in cui avrei dovuto fare la consegna. Davanti a me vi erano sei villette gialle, con il tetto rosso. Ognuna era divisa dall' altra tramite un grazioso steccato bianco. Tutte avevano un piccolo giardino, con meravigliosi fiori che rendevano l'aria fresca e profumata. Mi avvia verso la seconda casa da sinistra, com'era scritto sul foglietto, e suonai al campanello su cui vi era scritto: Natalie Jonson e Robert Howne. Già dai nomi, immaginavo che razza di ricconi vivessero in quella casa. Magari un medico ed un avvocato, oppure un ingegnere ed una dentista. Chissà. Quella casa, però, ad una prima vista, doveva essere molto costosa. Nulla a confronto con il mio piccolo appartamento da settanta metri quadrati. Sentii dei rumori provenire dall'interno e avevo ancora il sorriso sulle labbra, quando la porta si aprì, ed il mondo mi crollò addosso. Se fino ad allora la giornata era stata più che decente, da quel momento in poi sapevo che si sarebbe trasformata in un disastro. Davanti a me, due occhi che conosco fin troppo bene mi scrutano con sorpresa, dolcezza e divertimento. Divento immediatamente rossa in viso, e farfuglio una specie di -Ho portato i tuoi fiori-. Lo sento ridere piano e sospirare poco dopo. Ma cosa avevo fatto di male per ritrovarmelo davanti proprio ora che l'avevo -quasi- dimenticato? e soprattutto, perchè riesce ad avere questo effetto su di me? Dov'è finita la Cloe senza emozioni di poche settimane fa? Concentrata come sono a trovare una risposta a queste domande non mi sono nemmeno accorta  dello sguardo intenso di Peter. Perchè mi guarda così? devo sembrargli davvero una stupida, incapace di parlare senza arrossire o farfugliare parole sconnesse. Cerco di darmi una controllata, e, dopo aver fatto un bel respiro, dico con tono deciso - Ho portato i fiori.- lo sento ridere - di nuovo- e mi chiedo cosa possa aver detto di male - Si lo vedo. Non credo tu sia quì per prendere un caffè- lo prenderei a schiaffi per le sue continue provocazioni. Cerco di calmarmi, e ignorando totalmente la sua frecciatina gli dico che devono essere messi subito nell'acqua, per evitare che appassiscano. -E io che pensavo bisognasse metterli nell'aceto- inizio veramente ad irritarmi, e lo nota anche lui poichè il ghigno che ha stampato in faccia si allarga ancora di più. Vedendo che non aggiungo altro sospira, sempre sorridendo e mi invita ad entrare. Devo? posso? voglio? Christopher si è sempre raccomandato di rifiutare ogni invito con gentilezza, per evitare ''inutili sprechi di tempo''. Ma qualcosa nel sorriso del ragazzo che mi sa di fronte mi induce ad accettare, ancora prima che il mio cervello abbia elaborato la gravità della mia stupidità. Entriamo in casa, e la prima cosa che noto è la semplicità e il tocco moderno con cui è arredata la casa. Le pareti sono tutte color panna, in netto contrasto con il parque color mogano. L'arredamento è molto semplice, ma ben curato, e appena arrivati in sala non posso fare a meno di notare il bellissimo tavolo intagliato nel legno, e le sedie di vetro che gli stanno attorno.Credo di avere gli occhi a forma di cuoricino, poichè Peter mi si avvicina con uno sguardo dolce e mi chiede -Ti piace?.- Annuisco distrattamente, ancora persa nella contemplazione di quella meraviglia. - Mia madre lo ha fatto intagliare da una vecchia quercia che avevamo vicino casa. L'albero doveva essere abbattuto, così mia madre ha fatto intagliare questo tavolo dal suo tronco, come ricordo. Un po' strano eh?- Sorrido, concordando con lui, e mi costringo a togliere gli occhi da quel tavolo, per non correre il rischio di imbrattarlo con la mia bava. -Siediti, intanto ti vado a prendere qualcosa da bere. Cosa preferisci? Acqua, coca, un succo, un thè, un caffè, oppure un bell' alcolico?- dopo la parola alcolico, lo vedo ammiccare nella mia direzione, e senza rendermene conto alzo gli occhi al cielo, soffocando un sorrisetto. -L'acqua andrà benissimo.- Lo vedo sparire alla velocità della luce in cucina, cosa strana per uno nelle sue condizioni. Non mi ero quasi accorta della sedia a rotelle. In realtà sono sempre distratta da quegli occhi smeraldini, per ricordarmi del suo '' problema''. Mi siedo sul divano ed inizio ad osservare la stanza. Noto solo ora il corridoio molto più largo del normale, e l'arredamento posto in modo da lasciare molto spazio libero per muoversi. Il divano, su cui ora sono seduta, è ad almeno un metro e mezzo dalla televisione, che è posta davanti a questo, in modo perpendicolare. Ai lati di questa vi sono due librerie basse, stracolme di ogni sorta di libro o cd. Alla mia destra, vi è il meraviglioso tavolo intagliato su cui prima ho rischiato di sbavare. Tre sedie di vetro gli fanno da cornice, lasciando uno spazio vuoto sul lato sinistro. Quello dev'essere in posto di Peter. Mi soffermo a guardare i ritratti appesi alle pareti, e noto -con mio sommo stupore- che da piccolo Peter era moro, i capelli tendenti al nero. Sono ancora concentrata a studiare quel ritratto quando sento un colpo di tosse che mi richiama alla realtà. Mi volto nella sua direzione, rossa come un pomodoro per l'imbarazzo, cercando di giustificare la mia maledettissima curiosità. -Non ti preoccupare. Anche io sono piuttosto curioso. Ti capisco- abbasso la testa, colpevole, e cerco di riacquistare un po' di contengo. -Lui era mio fratello Josh. Era un anno più grande di me, e in effetti, a parte i capelli, siamo due gocce d'acqua. Tutti ci scambiavano per gemelli, e lui ogni volta spiegava che io ero il marmocchio più piccolo, e lui il fratello grande.- Pendevo dalle sue labbra. Mi accorgo di voler sapere di più della vita del ragazzo con gli occhi color smeraldo. Il suo sguardo però ha un qualcosa di nostalgico e di sofferente. Sembra quasi il mio quando mi ritrovo a pensare ai miei genitori. - Era un ragazzo sempre allegro. Non si lasciava mai abbattere da nulla. Negli ultimi attimi di vita, mi hanno detto di averlo visto sorridere, e dire che mi voleva bene. E' morto circa un anno fa- Sono ghiacciata. Sto provando la stessa sensazione di smarrimento e vuoto che ho provato dopo aver pianto la morte dei miei per giorni. So cosa prova lui. Lo so molto bene. Per questo, non so cosa dire, ne tanto meno cosa fare. Così me ne sto ferma, a guardarlo, cercando di trasmettergli il mio dispiacere con lo sguardo. Non compassione, ma comprensione. Perchè anche io so cosa significa. Anche io condivido il suo stesso dolore. -Ecco la tua acqua. Oh a proposito, devo mettere i fiori in un vaso!- sta per tornare in cucina, ma sono più veloce e lo fermo. -Ci penso io, dimmi solo dove posso trovare un vaso- - Non c'è bisogno che ti disturbi tanto, davvero.- insiste, vagamente irritato per la mia insistenza -Dimmi dov'è il vaso, altrimenti non ci muoveremo da quì- il mio tono è irremovibile - Sei testarda eh? Sotto il lavandino- sparisco in cucina alla velocità della luce, così da evitare che mi segua. Tutto inutile. -Beh Cloe, sai dove abito, sai il mio cognome, sai che sono su una sedia a rotelle, e sai perfino una parte del mio passato. Io però di te conosco solo il nome, i tuoi fiori preferiti, e il tuo odio verso gli animali. Mi sembra che non sia giusto, non ti pare?- - Beh credo che il penultimo punto sia piuttosto evidente. Quindi puoi toglierlo dalla lista.- Ride di gusto, a quella che doveva essere una constatazione ovvia e quando si riprende mi guarda in attesa. Fa sul serio? -Fai sul serio?- Mi giro per mettere i fiori nel vaso, e lo riempio d'acqua. Dopo averlo appoggiato al bancone della cucina, mi volto, e noto - con mio sommo dispiacere- che non ha ancora cambiato espressione. E' sempre in attesa. Sospiro rassegnata e gli dico la prima cosa che mi viene in mente- Mi piace la primavera- ma non sembra bastare, così aggiungo - Amo la cioccolata,  il cocco, e ODDIO SONO IN RITARDISSIMO- Spalanco gli occhi, dopo aver notato con orrore che è passata più di un'ora da quando Christopher mi ha mandata quì. Mi ucciderà, per poi vendere i brandelli del mio corpo ad una macelleria. Peter mi guarda, piuttosto scocciato, ma fa segno di uscire dalla cucina e mi dice di aspettarlo davanti all'entrata. Sono così nervosa che saltello sul posto per qualche minuto, considerando l'idea di andarmene, e inventarmi una scusa con il mio capo..'' un ladro mi ha rubato i fiori e mi ha colpita in testa'' no, si capisce che è una scusa; ''sono passata davanti ad un cimitero, ed ho dato i fiori ad una vecchietta in lacrime'' nemmeno questa va bene..Christopher sa che non sono un tipo compassionevole. Sto elaborando altre mille scuse, quando vedo comparire Peter con in mano i soldi dei fiori. -Ecco a te. Tieni pure il resto- normalmente ribatterei, ma ho troppo fretta ora, così dopo un frettoloso ''grazie'' esco velocemente dalla porta ed inizio a correre -letteralmente- verso il negozio. -ORA MI DEVI SPIEGARE, DOVE SEI STATA NELLE ULTIME DUE ORE, E SPERO PROPRIO CHE LE SCUSE SIANO CONVINCENTI, ALTRIMENTI PASSERAI GUAI MOLTO SERI.- appena varcata la soglia del negozio vengo sommersa da una valanga di rimproveri, nella quale vengo descritta come immatura ed irresponsabile. La fortuna infatti ha deciso di voltarmi le spalle, e dopo aver perso ben due autobus, ho dovuto fare circa un chilometro di corsa, zigzagando tra i passanti e urtando più volte donne ed anziani. Non mi sono nemmeno preoccupata di chiedere scusa o di voltarmi per assicurarmi che stessero bene. Sono insensibile, lo so. Dopo circa dieci minuti di urla assordanti, vengo rispedita a casa, poichè ''PER OGGI NE HO AVUTO ABBASTANZA DI TE''. Non ci penso due volte, e piombo fuori dal negozio, camminando verso la scuola di Caleb, e decidendo di aspettare lì. Mancano ancora un po' di ore, ma ho bisogno di schiarirmi le idee su quanto successo questa mattina. Ripenso all'incontro con Peter, alla sua bellissima casa ed alla storia di suo fratello. A questo ultimo pensiero una stretta al cuore mi assale, e sono costretta  sedermi, per calmare il respiro e non mettermi a piangere. Mi chiedo come sia morto quel ragazzo così simile a Peter. Se per una malattia, un'incidente, oppure un' aggressione. Mi ritrovo a pensare a quello che debba aver fatto Peter quando gli è stata riferita la morte del fratello. Alla parola ''morte'', un'altra fitta allo stomaco, più violenta della prima, mi assale. Capisco benissimo tutto il dolore che ha provato. Capisco che cosa abbia passato, e questo mi fa sentire in colpa per come l'ho trattato le volte in cui ci siamo visti. Ho provato compassione per lui quando l'ho visto entrare in sedia a rotelle. Ma quel sentimento è stato subito sostituito da irritazione, imbarazzo e confusione. Oggi però mi sono totalmente ricreduta su di lui. E' simile a me. Entrambi sappiamo cosa sia il dolore, e cosa si provi nel conviverci ogni giorno. Questa nuova scoperta, mi porta a considerare Peter in modo diverso..quasi con ammirazione.  Scuoto violentemente la testa, per eliminare quei pensieri dalla mia testa. Lui non ha perso entrambi i genitori dovendosi occupare di una casa e di un fratellino piccolo. Non sa cosa voglia dire sentirsi vuoti e infinitamente soli. Lui ha avuto accanto la sua famiglia. Io nemmeno quella. Non siamo simili per nulla. Siamo totalmente diversi l'uno dall'altra. Non abbiamo nulla in comune, se non la perdita di persone care. Eppure..-CLOE- Alzo la testa di scatto, accorgendomi che ho passato le ultime tre ore immersa nei miei pensieri. Trovo due manine che mi salutano e vedo i due bimbi venirmi incontro per poi saltarmi addosso. - Ehi- Caleb mi guarda preoccupato, intuendo il mio stato d'animo irrequieto, mentre la bimba che gli tiene la mano sembra non accorgersi di nulla,  continuando a sorridermi. -Ciao Sofia, ciao Caleb. Avete fatto i bravi a scuola?- Entrambi annuiscono e sorridono, anche se in modo diverso: uno è un sorriso preoccupato, l'altro è un sorriso spensierato. Sofia è la migliore amica di Caleb. Fin dal primo giorno hanno stretto una fortissima amicizia. Lei non ha mai preso in giro Caleb per il suo ''problema'', anzi. Lo ha sempre difeso dai bambini che lo schernivano . Dal giorno in cui poi lei ha dato un pugno al bullo della classe per difenderlo, sono diventati inseparabili. Molto spesso Caleb dorme a casa sua, oppure lei viene a giocare a casa ( i pochi giorni in cui sono a casa anche io). Sono felicissima che abbia trovato un'amica. Almeno lui non è solo.- SOFIA. VIENI- ci giriamo tutti e tre nella direzione della voce,  vedendo la madre della bimba salutarci, e fare segno alla figlia di raggiungerla. Sofia sbuffa, per poi salutarci e correre dalla madre. Quando torniamo a casa Caleb si precipita in sala, e su un foglio bianco, disegna una faccia triste insieme ad un punto interrogativo. Sorrido, grata per la preoccupazione del mio fratellino e scuoto la testa, dicendo che sono solo stanca per il lavoro. Sembra crederci, anche se, per tutto il resto della serata, mi resta appiccicato, senza mai perdermi di vista. Quando arriva l'ora di andare a dormire, sembra non voglia lasciarmi sola, così lo faccio dormire con me. Si addormenta poco dopo, mentre io mi perdo a guardarlo. Prima di addormentarmi però una domanda aleggia nella mia mente, accompagnando il mio sonno agitato: ''Cosa avrei fatto se invece che i miei genitori fosse morto mio fratello?''.

      


Eccomi quà, con un altro capitolo ( questa volta molto più lungo dei precedenti). Mi è dispiaciuto moltissimo scrivere della morte del fratello di Peter, ma purtroppo è necessaria ai fini della storia. La nostra protagonista, anche se non lo vuole ammettere, sembra sempre più coinvolta dal nostro Peter. Anche se forse non lo vuole ammettere. Adoro ogni giorno di più Caleb. Vorrei poter avere anche io un fratellino così. Tornando al capitolo, voglio dire che è stata un'eccezione quella di scrivere due capitoli nel giro di due giorni. Oggi mi sono sentita ispirata, così ho deciso di scrivere. Vorrei inoltre aggiungere che non vi è nessun tipo di discriminazione o insulto nei confronti di quelle persone che hanno le caratteristiche di alcuni miei personaggi, anzi. Provo una grande ammirazione per queste persone. Quindi vi prego di scusarmi se alcune persone si sono sentite offese per alcune parole che ho aggiunto nel capitolo. Vi prego davvero di scusarmi e segnalarmi eventuali correzioni. Spero con tutto il cuore che il capitolo vi sia piaciuto. Alla prossima! un bacio
(aggiungo inoltre che il cambio di tempi verbali non è casuale..c'è un motivo per cui l'ho fatto) 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Mi rigirai nel letto, ancora profondamente addormentata. Quella notte era stata tremenda. Gli incubi erano tornati a farmi visita, questa volta però in modo così reale e vivido da farmi svegliare di soprassalto, madida di sudore e con gli occhi intrisi di terrore. Avevo imparato a non urlare più quando questi arrivavano; avrei svegliato Caleb, e non avevo nessunissima intenzione di farlo preoccupare vedendomi in questo stato. Riuscii a prendere sonno sono verso le cinque, quando ormai la stanchezza aveva preso il posto della paura.
Un fastidioso rumore continuava a rimbombare nella stanza. Sembrava quasi il suono di una sveglia. -Smetterà prima o poi.- pensai. Ma quella non smetteva di ronzare. A tentoni, presi la sveglia, e la scaraventai a terra. Ora tutto era - finalmente- ripiombato nel silenzio.
Quel giorno era sabato. Caleb non andava a scuola, ed infatti, sarebbe passata la baby sitter alle 9.30, poichè la sottoscritta aveva comunque da lavorare..lavorare. O cavolo! Mi alzai di soprassalto, sbattendo la testa contro la finestra aperta sopra il letto. Arrancai, scivolando giù dal letto fino al comò, e con orrore constatai che erano le 9.15. Morta..ero morta. Christopher mi avrebbe uccisa. Forse potevo chiamarlo per dirgli che non stavo bene... No, non era possibile. Il sabato era il giorno in cui si lavorava di più. Non potevo abbandonarlo. 
Corsi nella camera di Caleb, saltellando come una posseduta e gridandogli di alzarsi e vestirsi. Appena si svegliò, mi lanciò uno sguardo colmo di confusione, ma appena vide l'ora, si precipitò in bagno a lavarsi e vestirsi. Con tutta la calma del mondo -ovvero correndo ed inciampando più di una volta- volai in cucina, e preparai la colazione. Appena sentii la porta de bagno aprirsi, dissi a Caleb di mangiare e sbrigarsi. Impiegai 5 minuti contati per fare ciò che avrebbe richiesto almeno 30 minuti di preparazione. Appena sentii il campanello della porta, corsi ad aprire. Che questa donna sia fatta santa! Era arrivata anche prima del solito. Le rivolsi un sorriso genuino, quelli che mi uscivano solo poche volte, e lei rimase visibilmente confusa. Senza ulteriori indugi, diedi un bacio a Caleb e salutai entrambi. 
Ma si sa..se la giornata è partita nel peggiore dei modi, non può che andare peggio. Perso l'autobus per un pelo, mi toccò correre per quindici minuti buoni. Arrivata davanti al negozio, sudata e impaurita, feci per almeno cinque volte il segno della croce. Mi avviai verso la porta, come se stessi andando al patibolo. Anzi; il patibolo era dieci volte meglio. Ero sicura che e urla si sarebbero sentite perfino dall'altra parte della città per quanto sarebbero stati alte. Ci avrei esso la mano sul fuoco. L'unica cosa che Chris non sopportava erano i ritardatari, ed io in quel periodo non stavo facendo altro che arrivare in ritardo. 
Arrivai davanti alla porta del negozio, tremando e sudando freddo. Ma rimasi impietrita. Era chiuso. Che cosa? nella mia mente mille ipotesi presero vita. In tutti gli anni che avevo lavorato lì, il negozio non aveva mai chiuso la mattina presto. Era strano..troppo strano.
 Provai a chiamare Chris almeno un centinaio volte. Nulla. Partiva la segreteria dopo il quinto squillo. Iniziavo a preoccuparmi seriamente. Se fosse successo qualcosa?Aprii il negozio, provando a chiamare dal telefono fisso. Niente. Sempre quella stupida segreteria telefonica. Dopo dieci minuti di inutili tentativi, stavo andando nel panico. E se fosse successo qualcosa di grave? un'incidente? La mia mente vagava da una scena terrificante, ad un'altra. Mi figurai un furto, un'incidente, un infarto, una botta in testa, e perfino un omicidio. Di fantasia ne avevo, non potevo negarlo. Stavo per chiamare a casa sua, quando il mio cellulare squillò. Fu un sollievo vedere comparire il nome ''CAPO ROMPIPALLE'' sullo schermo. Accettai la chiamata, pronta fargli un discorso con i fiocchi sull'importanza del rispondere al telefono per non far venire un'infarto alla gente. 
-Prima che tu inizi a rompere con i tuoi soliti discorsi melodrammatici, sono al bar di fronte. Raggiungimi- e senza dire altro, riattaccò. Tutta la preoccupazione di pochi minuti prima, si trasformò in un batter d'occhio in rabbia incontrollata. Senza pensarci due volte mi catapultai fuori dal negozio, e rischiai seriamente di rompere la chiave nella serratura per tutta la foga che ci misi. Una volta chiuso il negozio, mi avviai a passo spedito verso il bar. Oh, se prima pensavo che gli fosse successo qualcosa,  ora ero sicura che gli sarebbe capitato. Qualcosa di brutto..molto brutto. Arrivai al bar e spalancai la porta, pronta a fare una strage. Non mi importava delle occhiate seccate e incuriosite che mi lanciarono le persone; volevo solo spaccare la testa a quel citrullo. Guardai a destra, non trovandolo, e poi a sinistra. Lo trovai. Ed era in compagnia. Come avrei potuto non riconoscere quel ragazzo dai capelli d'oro? Sembrava perseguitarmi. Negli ultimi tempi me l'ero ritrovato dappertutto. Non avevo nessunissima voglia di parlargli, o vederlo. E allora perchè le mie gambe mi stavano portando proprio nella sua direzione? Quando arrivai al tavolo, due paia di occhi si posarono su di me. Mi sedetti sulla sedia vuota, di fronte al mio capo, ignorando bellamente il ragazzo alla mia destra. No, non potevo farmi distrarre. 
-Mi dici perchè cavolo non hai risposto alle mie chiamate? Mi è preso un colpo, Santo cielo!- Strizzai gli occhi il più possibile, sperando che con la mia occhiataccia prendesse fuoco. In compenso però, la sua reazione fu solo quella di alzare gli occhi al cielo,evidentemente scocciato.
-Voglio ricordarti che sono io il capo. Quindi posso aprire il MIO negozio quando voglio!- Ricambiò il mio sguardo, ancora più rabbioso del mio. Alla mia destra, sentii un risolino. Mi girai di scatto, rivolgendo il mio sguardo furente verso Peter. Vedendo la mia reazione, alzò le mani in segno di resa, sghignazzando ancora di più. Questo non fece altro che farmi indispettire maggiormente, portandomi a stringere i pugni sotto il tavolo. Dovevo trattenermi, o l'avrei preso a pugni. Lo vidi però fissarmi intensamente negli occhi. Era lo sguardo che usava quando voleva leggermi dentro. Tutta la collera di quel momento, venne spazzata via e sostituita da una nuova e strana sensazione. Mi sentivo accaldata, e maledettamente vulnerabile, eppure non riuscivo a distogliere lo sguardo.
-Sbaglio, o vedo una certa tensione sessuale tra voi piccioncini?- disse l'idiota, ammiccando senza ritegno. Arrossii immediatamente a quelle parole, e vidi Peter fare lo stesso. Diedi un calcio alla gamba di Chris e dal piccolo gemito di dolore che uscì dalle sue labbra, capii di aver fatto centro. Un sorriso di pura soddisfazione si allargò sul mio viso. Ah, le soddisfazioni della vita. 
-Ricordati che sono sempre il tuo capo. Potrei licenziarti sedutastante- il suo tono, che doveva apparire minaccioso, era divertito. Non mi avrebbe mai buttata fuori. Ero come una figlia per lui, e la maggior parte del lavoro veniva svolta dalla sottoscritta. Sarebbe impazzito senza di me. 
-Te lo sei meritato- dissi solo, sprofondando nella sedia. 
Lo vidi alzare le spalle, e poi tornare a bere il suo caffè. Peter, che fino a quel momento aveva mantenuto la bocca chiusa, si girò verso di me, e mi dedicò uno dei suoi sorrisi più raggianti. -Devi perdonarmi se ti abbiamo fatto prendere uno spavento. Non era nostra intenzione.- si scusò lui. Riusciva sempre a lasciarmi senza parole. Annuii, incapace di pronunciare una sola parola, poi mi rivolsi di nuovo a Chris. -Mi spieghi perchè il negozio è chiuso alle dieci di mattina?- Il mio tono era accusatorio, ma lui non ci fece caso, e continuando a sorseggiare il suo caffè mi rispose - Si è rotto un tubo nel bagno. Alle undici arrivano gli idraulici per ripararlo. Strano che tu non te ne sia accorta- All'improvviso, mi ricordai di un particolare a cui prima non avevo fatto caso; vi era dell'acqua vicino alla porta del bagno. - Okay- dissi semplicemente. Avevo fatto un'altra figuraccia davanti Peter. Mentre continuavo a darmi della stupida, vidi Chris alzarsi, e farci un cenno con il capo. -Vi saluto ragazzi, ho delle faccende da sbrigare. Cloy, cara, prenditi la giornata. Oggi teniamo chiuso.- detto questo si avviò verso la cassa a pagare.  Solo dopo, quando Chris uscì dal bar,  mi resi conto della situazione: eravamo solo io e Peter. Soli. Sentivo il suo sguardo trapassarmi la pelle, e non sapevo se essere felice o infastidita dal suo comportamento. 
-Beh...ehm..ti va di fare qualcosa?- Mi girai di scatto verso di lui, gli occhi spalancati e la bocca semi aperta. Mi stava chiedendo di uscire? -Si ecco, sempre se ti va. Insomma, se non hai altro da fare- borbottò, arrossendo come un peperone. Lo trovai estremamente dolce, e non potei fare altro che sorridere alla sua timidezza. -Perchè no- Oh merda. Che avevo fatto. Alzò la testa di scatto, il viso raggiante e gli occhi che luccicavano. Come si poteva dire di no a quel faccino? Ci dirigemmo alla cassa, dove lui pagò, e poi uscimmo dal bar. Un vento fresco ci investì non appena varcammo la soglia. Si sentiva l'arrivo della primavera: il canto degli uccellini, i raggi del sole che spuntavano dalle nuvole, il profumo dei fiori.. Chiusi gli occhi, e mi concedetti qualche secondo per sentire appieno quegli odori. -Ti piacciono proprio i fiori eh?-
-Si. Mi piacciono proprio tanto.- iniziammo ad incamminarci lungo il marciapiede, restando in un imbarazzante silenzio. 
-Allora, che ti va di fare?- Gli fui grata di aver spezzato quell'aria così tesa. 
-Mmm..- riflettei sui posti che avremo potuto raggiungere in fretta. Non potevano prendere l'autobus e altri mezzi pubblici, per ovvi motivi, ma non era un problema. - C'è un parco qui vicino. Credo che sia la giornata ideale per andarci- Si, il parco era un'ottima idea. Lo vidi annuire, ed affrettare l'andatura - E parco sia- 
Quando arrivammo, sentimmo subito le urla dei bambini. Era l'ideale portarli in quel posto. Il sole era caldo, ma non troppo. C'era un leggero vento fresco che raffreddava l'aria, ma non era fastidioso. Mi sedetti su una panchina, e lui si mise di fianco a me. Sentivo il suo sguardo su di me, e io facevo di tutto per non guardarlo. Iniziava a darmi fastidio.. -Che ce?- dissi un po' stizzita - Perchè continui a guardarmi?- si sorprese che lo avessi beccato, ma con il tono più naturale del mondo mi rispose che tutte le cose belle vanno guardate. O cielo! Aveva detto che ero bella? Girai la testa, per non fargli vedere che ero arrossita, e balbettai un grazie. 
-Non ricevi molti complimenti- la sua non era una domanda, ma bensì una constatazione. 
-N..o. Io non ci sono abituata.- mi ritrovai ad ammettere.
-Beh, allora credo che dovrai abituartici- tornai a guardarlo, confusa, e stranamente eccittata dalle sue parole. 
-Che intendi dire?- 
-Voglio essere tuo amico Cloe.- Quella confessione rimbombò nella mia testa, facendo aumentare il mio battito cardiaco. Voleva essere mio amico? No, io non avevo amici. Non potevo permettermi distrazioni. Ero solo lavoro, e Caleb. Non doveva esistere nient'altro. Allora perchè mi sentivo -stranamente- così eccitata ed euforica? -Io..ehm..- Che idiota ero. Non facevo altro che balbettare, e rendermi sempre più ridicola.
 -Io non posso-. Mille emozioni stavano facendo a pugni fra loro. Rabbia, dispiacere, eccitazione, tristezza, felicità.. Sentii uno strano nodo al petto, mai provato prima. Erano anni che non provavo così tante emozioni insieme. Presi la testa fra le mani, e cercai di rilassarmi. Inspira, espira, inspira ed espira.
 - Perchè no?- il dono deluso della sua voce fece stringere ancora di più il nodo nel mio stomaco. 
- Perchè io non posso avere distrazioni. Devo occuparmi del lavoro e di Caleb.- mi ritrovai ad ammettere.
-Caleb?- La sua voce uscì stridula, e mi parve di percepire una punta di gelosia . No, sicuramente mi sbagliavo. 
-Caleb, il mio fratellino.- lo vidi fare fare un sospiro, e le sue spalle si rilassarono. 
-Ma scusa, i tuoi genitori? Non se ne possono occupare loro?- Mi rabbuiai all'istante. No, tutto ma non doveva nominare i miei genitori. Capì subito di aver toccato un tasto dolente e si affretto a scusarsi -Cloe, scusami. Non avrei dovuto. Davvero scusami- Gli feci un piccolo sorriso per tranquillizzarlo, ma la mia espressione rimaneva la stessa. -Ehi senti, che ne dici di prenderci un gelato?- Propose all'improvviso. 
Mi ritrovai stupidamente a ridere -Un gelato alle undici di mattina?- 
-Perchè no?- 
Passammo il resto della giornata al parco, ridendo e scherzando su ogni stupidaggine che ci passava per la testa. E per la prima volta dopo anni, mi sentii di nuovo leggera. Me stessa. Quanto mi era mancato il suono genuino della mia risata. Senza nemmeno accorgercene, si fecero le sei di pomeriggio. Il sole iniziava a calare. Tristemente, ci incamminammo verso l'uscita del parco. 
-Come farai a tornare a casa?- gli chiesi, cercando di nascondere la preoccupazione dalla mia voce. 
-Non ti preoccupare. Chiamerò mia madre. Tu invece?- 
-Farò due passi- dissi semplicemente. 
-Non voglio che tu vada a casa da sola a quest'ora. Possiamo accompagnarti noi- Gli fui grata per quelle premure, ma avevo bisogno di riordinare le idee e stare sola.  
-No ti ringrazio, devo andare in un posto- Il tono della mia voce gli fece capire che volevo stare sola. 
-D'accordo-. Prese fuori dalla tasca il cellulare, e me lo porse. -Se ti va, scrivi il tuo numero di telefono. Mi farebbe piacere risentirti- Alzi una mano, indecisa sul da farsi..poi mandai al diavolo il mio cervello, e scrissi il mio numero. 
-Bene, ci sentiamo presto. Grazie della giornata.- Detto questo, lo vidi allontanarsi. 
Ed io me ne restai li, con stampato in faccia il più raggiante dei sorrisi. Sono fottuta, pensai. 


 

Ehila! Innanzitutto voglio dire che d'ora in poi scriverò non più al presente. Per me è molto più facile così, e sperò di non aver creato problemi a voi lettori.  Sono ben due settiane che non aggiorno, cavoli. Mi dispiace tantissimo, ma purtroppo l'altra storia mi ha presa totalmente. Beh, che dire. Da una parte sono contenta di aver scritto questo capitolo; dall'altra però non sono affatto contenta di questo capitolo. Spero sia solo una mia sensazione. Voglio ringraziarvi, per tutto il sostegno che mi avete dato, e per tutto il tempo che avete speso leggendo questo capitolo.  Alla prossima! un bacio

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Capitolo 5
*** Capitolo 6 ***


Quando tornai a casa, la mia testa era in un altro mondo chiamatosi  'Mondo-Peter''. Ero stata talmente bene quel giorno, che per un attimo mi ero sentita una ragazza normale, senza pesi sulle spalle, o vecchie ferite non ancora rimarginate. Sbattei la schiena contro la porta e mi accasciai a terra. Cosa mi stava succedendo? Non mi ero mai comportata così. Non mi sentivo così da tanto, troppo tempo..avevo quasi dimenticato cosa volesse dire sentirsi leggeri, felici.. Mi alzai di scatto e corsi in bagno. Si, era come temevo; occhi lucidi, sorriso a trentadue denti, guance rosse.. NO!
 Che forse, piacesse Peter? No, ma che andavo a pensare.Non poteva piacermi uno stupido muscoloso,dolce, affascinant..NO! Vidi la ragazza davanti a me sgranare gli occhi, e spalancare la bocca, come un pesce fuor d'acqua.
 ''Ok Cloe, ripeti insieme a me; non mi piace Peter, non mi piace Peter, non mi piace Peter..andai avanti così per oltre cinque minuti, una parte della mia testa stava continuando a dire che ero una bugiarda. ''Ok, chiudi gli occhi e fai un bel respiro profondo'' Ero irrecuperabilmente pazza, se iniziavo anche a parlare con me stessa...
Mi piaceva Peter? ''Si'', pensai inconsciamente, senza nessun tipo di esitazione. 
Crack. Sentii uno strano suono, e ci misi qualche secondo a capire che era una crepa nella mia corazza. Avevo impiegato anni per erigerla, e ora tutti i miei sforzi stavano crollando per colpa di un sorriso, e due occhi color smeraldo. ''Sei fottuta'' mi dissi. All'improvviso,sentii la suoneria del telefono diffondersi nell'aria, e senza perdere un solo secondo mi precipitai a rispondere. Il mio -ormai- decerebrato cervello, sperò che a chiamarmi fosse Peter; speranza vana. 
-Buonasera padrone- Feci una voce buffa, e sentii dall'altra parte del telefono un risolino. 
-Buonasera dipendente- replicò lui, con il medesimo tono di voce.
-A cosa devo l'onore di questa telefonata?- In realtà, era davvero insolito che mi avesse chiamato a quell'ora,e soprattutto così di buon umore..doveva essere successo qualcosa. Mi irrigidii all'istante e mi affrettai a chiedergli - E' successo qualcosa?- Dal mio tono di voce ora traspariva solo preoccupazione; il divertimento di poco prima era sparito totalmente. 
-Ma perchè la tua mente bacata deve pensare sempre il peggio? Non si può più neppure  fare una telefonata?- sbuffo lui dall'altra parte del telefono. Mi rilassai all'istante, rincuorata dal suo solito atteggiamento da ''dolce''vecchio burbero. 
Qualcosa, però, non quadrava. Era troppo strano che mi chiamasse a quell'ora, e sopratutto così di buon umore. 
-Sputa il rospo- dissi sospettosa e acida come un limone acerbo.
-Tengo io sta sera Caleb. Non accetto un no..anche perchè è già qui con me- Ero totalmente allibita. Come si permetteva!? Urlai con tutto il fiato che avevo in gola.
-MA COME TI SEI PERMESSO?! COME TI SEI PERMESSO DI RAPIRE MIO FRATELLO?- ero fuori di me dalla rabbia. Se lo avessi avuto sotto mano gli avrei strappato le budella, per poi frullargliele e fargliele bere. 
-Fai troppo la melodrammatica. Rapito poi..non esageriamo. Guarda che è stato ben contento di venire a stare dallo zio Chris, non è vero Cali?- sentii dall'altra parte del telefono un ''Mh mh'' e la mia rabbia crebbe se possibile ancora di più. 
-CALEB, TORNA SUBITO A CASA. ADESSO!- E se non me l'avesse portato, sarei andata a prenderlo io stessa, trascinandolo se necessario. 
-Non provarci. Goditi la serata, e cerca di non farti venire in testa strane idee, come per esempio piombare qui con un bazuka e ucciderci tutti e due. Chiamerò la polizia, non scherzo.- e detto questo, riattaccò. 
Che cavolo era quella congiura? Stavo veramente per uscire ed andare a ucciderli entrambi, quando la vibrazione del telefono mi avvisò dell'arrivo di un messaggio. Quando lo lessi, per poco non mi venne un infarto. 
Sono da te alle 21. Fatti trovare pronta mia dolce regina dei fiori. Il principe in carrozzella non ha un briciolo di pazienza. Peter
Rilessi il messaggio circa duecento volte, credendo che fosse uno scherzo di pessimo gusto. Ma quello era il suo numero, non c'era dubbio. Me l'ero imparata memoria durante il viaggio verso casa, sorridendo come una povera scema. Prima di ripensarci e capire la gravità di ciò che stavo per fare, chiamai il numero da cui era arrivato il messaggio, attendendo per pochi squilli. 
-La regina dei fiori era forse ansiosa di parlarmi?- Oddio, cosa non era la sua voce...''Ricomponiti per la miseria! Niente distrazioni. Concentrati sul tuo obbiettivo'' ed il mio obbiettivo era scoprire che cavolo di congiura ci fosse dietro tutta questa storia. 
-Perchè il mio capo mi chiama dicendomi che avrebbe tenuto mio fratello per tutta la sera, e due secondi dopo la sua chiamata mi arriva un tuo messaggio con scritto che mi devo far trovare pronta per stasera? Cos'è? Un complotto!?!- potevo fare la cantante lirica con questa voce stridula..dovevo appuntarmelo. 
Dall'altra parte del telefono sentii un risolino, e mi indispettii ancora di più. Che cavolo aveva da ridere? -Smettila di ridere, e spiegami che cavolo succede!- Alzai la voce, più di quanto avessi voluto; stavo iniziando seriamente ad arrabbiarmi, e non era un bene. Per lui. 
-Okay, Okay- si affrettò a rispondere - Ho chiesto a Christopher di.. Beh ecco, volevo uscire con te e beh..non sapevo come fare..così gli ho chiesto aiuto, e lui mi ha detto che ci avrebbe pensato lui. Mi dispiace, io non volevo innervosirti..sul serio.- Tutta la spavalderia di poco prima era stata completamente spazzata via e sostituita da una timidezza incontrollata, accennata anche dalle frasi sconnesse e dal balbettio della voce. Ecco, quel Peter mi piaceva di più. Ma che andavo a pensare? Però sembrava seriamente mortificato, e per un attimo mi sentii in colpa della mia scenata. Lui voleva solo uscire con me, ed io non ero certo la simpatia fatta a persona. Sapevamo benissimo che gli avrei detto di no subito, pentendomene subito dopo, ma non lasciandolo trasparire. Poi lui aveva chiesto solo aiuto a quel pazzo del mio capo, senza sapere cos'avrebbe fatto lui. All'improvviso tutta la rabbia scemò, trasformandosi nel solito calore che solo Peter riusciva a farmi provare. 
Sorrisi, arrossendo immediatamente, e ringraziai tutti i santi del paradiso che quella conversazione stesse avvenendo per telefono e non di persona. Era stato quasi..dolce. No, non quasi. Era stato dolce. ''Sono fottutamente cotta'' pensai
-Ehi, ci sei?- mi riscossi dalle mie riflessioni, osservando che avevo passato troppo tempo immersa nei miei pensieri. 
-Si, si scusa- dissi mortificata - Mi ero persa a pensare. Comunque c'erano altri modi di chiedermi di uscire e..- mi bloccai. Solo in quel momento capii veramente che di che cosa stavamo parlando; Peter voleva uscire con me. Per qualche strano motivo nella mia testa la parola ''appuntamento'' e ''Peter'' non potevano stare nella stessa frase. Già di per se la prima mi faceva letteralmente terrore; se poi ci si metteva dentro anche la seconda, potevo direttamente chiamare l'ospedale per farmi riservare un posto.
-Cloe se non ti va non sei costretta..- la sentivo. Ogni sua parola trasudava di delusione. Mi si strinse il cuore a sentirlo parlare in quel modo, tanto che fui tentata di dirgli subito che avrei accettato. Sicuramente ogni fibra del mio corpo agognava la sua compagnia; ormai non si poteva più negare. Ma ero davvero pronta per un'appuntamento? Erano anni che non uscivo con nessuno, e temevo le conseguenze che ne sarebbero derivate. Tutti sanno che dopo gli appuntamenti, c'è inesorabilmente la tappa ''relazione''. Mi gelai sul posto solo a pronunciarla nella mia testa. Mai e poi mai avrei avuto una relazione. Mai. 
-Va bene..ho capito. Scusami per il disturbo. Dirò a Christopher di riportarti a casa Caleb..- 
-ASPETTA!- Quasi urlai, un secondo prima che riattaccasse -Puntuale alle 21. Neppure io sono un tipo paziente- e riattaccai, senza sentire la risposta. E ora arrivava il problema più grosso: cosa avrei messo?
Un'ora e quindici minuti dopo suonarono al campanello. Guardi l'orologio, e vidi che erano le 21 spaccate. ''Che puntualità'', osservai stizzita. Cavolo, dovevo ancora scegliere le scarpe. Andai a rispondere, saltellando da una mattonella all'altra a causa del freddo che vi era su queste. 
-Sali, c'è l'ascensore''. La casa -ovviamente- era un porcile. Disegni e giochi di Caleb dappertutto, la colazione ancora sul tavolo, e i piatti sporchi ancora da lavare. Riordinai, tutto con mia grande soddisfazione, in pochi minuti; avrei potuto vincere le olimpiadi se ci fosse stata una gara per questo genere di cose. Sentii bussare alla porta, e in dieci secondi questa era già aperta. Il mio cuore, senza che potessi controllarlo, era già partito per infarto-landia, mentre la mia testa aveva fatto pluff, confermando la morte celebrale. Era una visione. I capelli biondi erano tirati indietro da un pizzico di gel, lasciandoli comunque morbidi e leggermente disordinati. Era vestito con una camicia bianca, che andava a risaltare i suoi -a mio dire- magnifici muscoli. I jeans chiari che aveva scelto poi, risaltavano le sue lunghe gambe. Doveva essere molto alto. Stavo facendo la figura della stupida, con la bava alla bocca e gli occhi fuori dalle orbite; ma non me ne importava nulla. In quel momento il mio cervello era impegnato a contemplare tutto quel ben di Dio.
-Sei bellissima Cloy- Al suo complimento sentii il sangue affluire sulle guance, e sapevo di essere arrossita come un pomodoro. L'effetto delle sue parole era davvero una scocciatura. Dovevo smetterla di lasciarmi influenzare così. 
-Gr..azie- biascicai. Cotta; ecco cos'ero. Ero stramaledettamente cotta di lui, e questa volta era impossibile negarlo a me stessa. 
-Andiamo?- mi chiese, con quel sorriso che avrebbe fatto sciogliere gli ice-berg.
 Annuii pronta a chiedere la porta, quando mi ricordai di un piccolo particolare: LE SCARPE. Avrei fatto una figura di merda, lo sapevo, ma non potevo uscire scalza in mezzo alla strada. Sentivo già il familiare rossore fare capolino sulle guance
-Ehm, veramente io..devo ancora finire di prepararmi.- Ecco buttandola così magari non avrebbe indagato e guardato in basso. Prima aveva fissato solo la parte alta del mio corpo, con mia grandissima fortuna, e non si era soffermato a farmi una radiografia completa. Non sarei uscita viva da quella situazione.
-Ma come? Sei perfetta così- Un'altro complimento, e sarei veramente morta di crepacuore. Il suo sguardo da cucciolo confuso poi, era veramente qualcosa di meraviglioso. Come avrei voluto riempirlo di bac...Basta!
-Ehm, non posso uscire così- Via il dente, via il dolore. Gli mostrai i piedi nudi, e dopo appena un millesimo di secondo una fragorosa risata spezzò quel silenzio imbarazzato che si era creato. Il cretino si stava letteralmente scompiscinando dalle risate, con tanto di lacrime. -Stavi veramente uscendo senza scarpe?-  Entrai a casa come una furia, precipitandomi in camera per prendere le scarpe; non mi ero nemmeno preoccupata di far accomodare Peter in casa..tanto sapevo che avrebbe fatto da se, senza il mio consenso. Ed infatti, quando scesi giù lo trovai nel salotto, intento a guardare alcuni disegni di Caleb che avevo messo sul tavolino. 
-Sono davvero belli- mi disse, esaminando con cura ogni centimetro di carta. Sorrisi, perchè sapevo che aveva ragione; erano davvero stupefacenti.
-Sono di mio fratello- Ero orgogliosa di poterlo dire. Ero fiera del mio fratellino.
-Ha del talento. Tanto talento- disse, riposando i fogli dove li aveva presi. 
-Andiamo oppure hai dimenticato qualcos'altro? C'è le hai le mutande vero?- mi schernì, sul punto di tornare a ridere come un pazzo. Sbuffai, cercando di tenere le mani a posto per non picchiarlo. ''Sarà una serata mooolto lunga'', pensai. 
Il ristorantino che aveva scelto Peter era veramente magnifico. Non era uno di quei ristoranti super chic, dove persino una bottiglia d'acqua costava l'equivalente di due stipendi.  Aveva scelto un posto molto semplice ma ben curato. Un cameriere ci venne incontro, e notai nei suoi occhi ciò che sapevo Peter odiava: la compassione. Me lo aveva rivelato quello stresso giorno; odiava quando la gente lo guardava con compassione. Lui voleva essere trattato come una persona normale. Scherzando gli dissi che non poteva essere trattato così, poichè lui era diecimila volte più irritante della media. Mi aveva lanciato uno sguardo di fuoco, per poi scoppiare a ridere seguito da me. Ma ora avevo la conferma delle sue parole e lo capii dal tono duro con cui si rivolse al cameriere. 
Ci fecero accomodare ad un tavolo appartato, lontano da occhi indiscreti, ed io non potei che essere grata per quella scelta. Il buon'umore di Peter tornò in un battito di ciglio
-Allora, ti piace il ristorante?- trillò tutto allegro. 
-Si è veramente bellissimo- E lo pensavo sul serio. Era veramente il posto più bello in cui fossi mai stata
-Sai, io e la mia famiglia ceniamo sempre quì durante le occasioni speciali. E beh, visto che questa è l'occasione più speciale di tutte, come potevo non scegliere questo posto?- ed eccolo il mio cuore traditore fare le capriole per l'emozione. No altro che ospedale; presto avrei fatto un viaggetto direttamente al cimitero. Senza dubbio. 
Sorrisi -l'ennesima volta- non sapendo cosa rispondere. Non ero abituata a tutti quei complimenti; era tutto nuovo per me. 
-Te l'ho detto che dovrai abituarti ai complimenti d'ora in poi- mi paralizzai. Mi leggeva nella mente? 
Dopo un primo momento di imbarazzo, la cena trascorse tranquilla e rilassata, al contrario di come me l' ero aspettata. Una cosa era, infatti, trascorrere una giornata al parco, in abiti smessi e all'aria aperta; un'altra era un appuntamento con la A maiuscola, vestiti elegantemente, e in un ristorante. Peter era fantastico. Assolutamente fantastico. Mi parlò della sua infanzia, della sua famiglia, tralasciando deliberatamente particolari su suo fratello, e mi parlò delle sue passioni. 
-Amo leggere. E' una delle poche attività che mi svuota totalmente la mente, portandomi in un'altro mondo. Quando leggo mi immedesimo nei personaggi, e mi sento una persona normale. Una persona che può fare tutto, e non è limitata ogni giorno da una stupida sedia a rotelle.- Mi sentii male a sentire quelle parole. Perchè pensava di non essere normale? Lui era un ragazzo come tutti gli altri; anzi. Lui era molto di più di qualsiasi ragazzo normale che vivesse sulla faccia della terra. Per una volta, ignorando i richiami del mio cervello, parlai con il cuore, lasciando che tutte le emozioni tenute sotto chiave per tanto tempo venissero fuori. 
-Peter, tu sei una persona eccezionale. Non sei un ragazzo normale, ma non per il motivo che pensi tu; tu sei mille volte meglio di qualsiasi altra persona io abbia mai incontrato. Ti invidio. Tu sei forte, nonostante tutto ciò che ti sia capitato, e non puoi assolutamente reputarti una persona limitata. Non lo accetto- Parlai di gettò, lasciando che a parlare per una volta fosse il cuore, e non più la mia mente fredda e calcolatrice. Non riuscivo a sopportare che lui si reputasse limitato. No, non potevo accettarlo. 
Peter mi guardò a lungo, con uno sguardo così intenso che, anche se solo per un attimo, sentii toccarmi l'anima. Il calore che solo lui riusciva a trasmettersi mi pervase completamente, facendo scuotere il mio corpo dagli spasmi. 
-Grazie-. Puntai i miei occhi nei suoi, e li vidi lucidi. Di niente Peter; ti meriti questo ed altro. 
Uscimmo dal ristorante cinque minuti prima della chiusura. Eravamo stati così presi dalla nostra conversazione che ci eravamo completamente estraniati dal mondo intero. Insistetti affinchè pagassi la mia parte; non ne volle sapere nulla. Arrivai perfino a minacciarlo, ma nemmeno quello funzionò. Con un sospiro mi rassegnai, ringraziandolo di cuore 
Mentre camminavamo, diretti verso casa mia, intorno a noi aleggiava uno leggero silenzio. Non era uno di quei silenzi pesanti ed imbarazzati dove nessuno dei due sapeva cosa dire. Eravamo immersi nei nostri pensieri, in due mondi diversi, ma in armonia l'uno con l'altro. 
Arrivati davanti a casa mia insistette affinchè mi accompagnasse su. Non volevo creargli altro disturbo, ma temevo che si sarebbe offeso. Quella sera, infatti, avevo scoperto che era anche un inguaribile permaloso. Aprii il portone, facendogli spazio per lasciarlo entrare, alzando gli occhi al cielo per la battuta che mi riservò -Non dovrebbero essere gli uomini  tenere aperta la porta alle signore?-. 
Il viaggio in ascensore fu un'agonia. Un silenzio pesante aveva spazzato via tutta la leggerezza di poco prima, e rendeva l'aria praticamente irrespirabile. Quando le porte si si aprirono, ci mancò poco che mi catapultassi fuori. 
-Beh, allora grazie della serata Peter; sono stata benissimo- Ed era vero. Avevo fatto bene a uscire con lui quella sera
-Grazie a te, Cloe. Per tutto.- e sapevo a cosa veramente si riferiva; '' grazie per avermi fatto sentire una persona normale''. 
Stavo per aprire la porta, quando Peter mi tirò per un braccio, facendomi finire fra le sue braccia. Quando ci staccammo, mi sentii spossata e maledettamente vuota. Tra le sue braccia mi ero sentita completa. E fu con questi pensieri che entrai in casa, e mi accasciai per terra con un'unica consapevolezza: tra le sue braccia, mi ero finalmente sentita completa.


Ehilaaaaaa! Si si lo so. Avevo detto che sarebbe passato tanto tempo per il prossimo capitolo; ma si sa, nella doccia vengono le idee migliori. Non volevo aspettare troppo per pubblicare questo capitolo, anche perchè mi sembra cosa buona e giusta farvi leggere il primo appuntamento tra Cloe e Peter. Beh credo che il capitolo parli da solo. Cloe finalmente, sta capendo che il suo guscio non può più tenere fuori Peter dal suo cuore. Inoltre HA AMMESSO DI ESSERE COTTA DI LUI *^* I miracoli esistono! Per quanto riguarda Peter stanno venendo fuori i due lati di lui che più lo contraddistinguono: la sua timidezza, e la sua spavalderia. So che sembrano cozzare l'uno con l'altro, ma credo che in realtà possano essere due parti di una stessa moneta. Rendono il personaggio unico, ma anche vario, senza annoiare i lettori. Ringrazio, come sempre, tutte le persone che hanno speso del tempo a leggere questa storia. Voi siete incredibili, e non fate che regalarmi gioia ogni giorno, anche solo per il fatto di dedicare un po' del vostro tempo alla mia storia. Ora non dirò più quanto aspetterò per pubblicare il prossimo capitolo. Abbiamo appurato che la mia testolina elabora le idee quando pare a lei. Cercherò però di regolarmi. Ve lo prometto. Ancora un grazie immenso a tutti quanti. Vi prego di farmi presente se qualcosa non vi convince, e i consigli sono sempre ben accetti. Sempre. Un grosso bacio a tutti! a presto

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Capitolo 6
*** Capitolo 7 ***


Il giorno dopo ''il fatidico appuntamento'', quando andai a riprendere Caleb a casa di Christopher, per un attimo ebbi veramente la tentazione di spezzargli il collo e seppellirlo nel giardino di casa; quando, però, mi ricordai del motivo per cui mi aveva ''sottratto'' il mio fratellino per una notte, gli sorrisi apertamente, lasciandolo completamente stupefatto.
-Non sapevo che una scopata ti avrebbe risollevato così tanto l'umore- se ne uscì tutto bello tranquillo, davanti ad una me irrimediabilmente imbarazzata e allibita, e ad un Caleb oltremodo confuso. Altro che spezzargli il collo..sarebbe stato troppo indolore. Doveva soffrire.
-Noi non...non abbiamo fatto...OH MA CHE DIAMINE! NON DIRE MAI PIU' CERTE PAROLE DAVANTI A CALEB! E' SOLO UN BAMBINO!- Chris sghignazzò, sempre più divertito, pronto a ribattere e fare una battutina sul mio imbarazzo, quando il suo cellulare prese a squillare, e la suoneria ''we are the champions'' risuonò in tutta la stanza. 
Rispose, facendomi prima la linguaccia come il più idiota dei bambinoni.
-Pronto?- iniziò, la voce lievemente divertita dal battibecco di prima. -Come?- Mi irrigidì all'istante, sentendo la sua voce cambiare radicalmente, e diventare seria e ricolma di preoccupazione. -Ora come sta?-  A quelle parole, un campanello d'allarme suonò nella mia mente, stordendomi a tal punto da cercare appiglio alla parete vicina. E se fosse successo qualcosa di grave..a Peter? -Arrivo subito- Sentii quelle parole ovattate, lontane anni luce da me e dalla mia lucidità. Lo guardai, negli occhi una muta domanda. Era lui?
 Al suo cenno affermativo, vidi la stanza prendere a girare convulsamente, e mi ritrovai nelle braccia di Christopher prima che mi schiantassi a terra. Mi fece sdraiare sul divano, e ordinò a Caleb di andare a prendermi un bicchiere d'acqua. 
-Ecco piccola, prendi- Ma io non volevo bere. Volevo solamente correre e raggiungere Peter, ovunque egli fosse. Sentivo un enorme nodo nello stomaco, così stretto da togliermi il fiato. Le lacrime minacciavano di uscire, ma vedendo Caleb di fianco a me, con il briciolo di autocontrollo che mi era rimasto, le ricacciai indietro.
-Portami da lui- dissi a Chris, fissandolo diritto negli occhi. -Portami da lui!- ripetei, questa volta quasi urlando. 
-Cloe, sarebbe meglio che tu ri....- ma non fece in tempo a finire la frase che mi alzai di scatto in piedi, puntandogli un dito contro 
-Tu, mi porterai da Peter. Ora.- sibilai, con voce talmente perentoria da farlo sussultare. 
-Andiamo- si arrese alla fine, correndo per prendere la giacca e le chiavi di casa. -Caleb?- 
Mi gelai all'istante, maledicendomi per essermi scordata che insieme a noi c'era anche lui. E ora? Non potevo di certo lasciarlo solo, questo era sicuro, e ormai non facevamo più in tempo a passare per casa, prendere la cartella e portarlo a scuola. Avremo perso troppo tempo. Non potevo nemmeno chiamare la baby sitter, poichè mi aveva avvisata pochi giorni prima di aver contratto una brutta malattia, e che si sarebbe ripresa nel giro di poche settimane. 
Mentre stavo pensando ad una soluzione, sempre più impaziente di raggiungere Peter, vidi Caleb andare in sala e scrive qualcosa su un foglio. Ce lo porse dopo appena un minuto e leggemmo la frase ''voglio venire anche io. Ce la faccio'' scritta in minuscolo, con calligrafia piccola e tremante. Guardai negli occhi quel bambino che ormai era diventato un ometto, e lo abbracciai forte. So cosa voleva dire. Se Peter era in ospedale, avremmo dovuto raggiungerlo lì; sapevo che Caleb aveva iniziato ad odiare gli ospedali dopo l'incidente, e così evitavamo come la peste quel luogo, ancora ricolmo di troppi ricordi, che non avevo nessuna intenzione di rievocare; e soprattutto non avevo intenzione di fare rievocare a Caleb. 
-Sei sicuro?- era un passo importante per tutti e due. Avevo bisogno di concentrarmi totalmente su Peter, e se lui avesse avuto una crisi o altro non avrei potuto aiutarlo come dovevo. Lui annuii, senza nessuna traccia di esitazione. Gli sorrisi, e facendo un cenno a Chris, uscimmo tutti e tre per dirigerci in ospedale. 
Tutto era esattamente come lo ricordavo: le pareti bianche e spoglie della sala principale, le poltrone ingiallite della sala d'aspetto, l'odore pungente di disinfettante, le infermiere scontrose e sfuggenti, e lo stesso opprimente silenzio di quella stramaledettissima notte. La mia mano era convulsamente stretta a quella del mio fratellino; aggrapparmi a lui con tutte le mie forze, era l'unico modo per non lasciarmi scivolare via. 
Corsi verso il banco di informazioni appena varcai la soglia dell'ospedale, seguita da un Caleb sempre più affannato 
-Peter Howne. Dov'è?! Me lo dica santo cielo! Dov'è?!- ero sull'orlo delle  lacrime, e la mia voce stridula non faceva che tradirmi. ''Maledizione Cloe, datti un contegno'' mi rimproverai. 
-Stanza 479. Quarto piano- Non risposi nemmeno, facendo la figuara della maleducata, ma corsi alla velocità della luce sulle scale, saltando i gradini a due a due. Avevo lasciato la mano di Caleb, lasciandolo insieme a Christopher che era appena entrato nell'edificio. Speravo solo non si arrabbiasse, e che capisse. 
Quando arrivai davanti alla sua stanza, avevo il fiatone per la corsa, e il viso rosso e sudato. Presi un bel respiro, e bussai piano, timorosa di svegliarlo nel caso stesse dormendo.
-Avanti- sentii la sua voce, e non seppi grazie a quale santo il mio cuore non esplose dalla gioia di saperlo vivo.
Quando entrai, sul suo viso comparve un sorriso smagliante, il più bello che io avessi mai visto in vita mia. Senza nemmeno riflettere sulle mie azioni, mi precipitai fra le sue braccia, stringendolo come se potesse sparire da un momento all'alto. E, se questo non era abbastanza, scoppiai in un pianto isterico; troppe erano le lacrime che avevo trattenuto, e che esigevano di essere versate.
-Ho..ho avuto così tan...ta paura, Peter. Non farmi..prendere mai più uno spavento del genere-  dissi fra i singhiozzi, stringendo ancora più forte quel ragazzo nelle mie braccia. 
-Te lo prometto piccola. Scusami- a quelle parole, e soprattutto dopo il nomignolo con cui mi aveva chiamata, le lacrime cessarono di uscire, e staccandomi, gli sorrisi, felice come non mai di saperlo al sicuro. 
Fu lui però, a stringermi di nuovo, ancora più forte, questa volta tremando convulsamente. Sapevo che qualcosa non andava. 
-Va tutto bene Peter?- lo staccai da me, delicatamente, e gli alzai il mento con due dita per far incontrare i nostri occhi. I miei dovevano essere arrossati e ricolmi di paura, mentre nei suoi vedevo il senso di colpa. 
Non riusciva a sostenere il mio sguardo, e abbassò il capo. Che aveva combinato?
-Peter guardami.- dissi con tono perentorio - dimmi che cos'è successo. Per favore- Si morse un labbro, sul viso un espressione combattuta, come se fosse in atto una battaglia nella sua mente. Sii arrese, e con un sospiro di sconfitta iniziò a parlare
- Io, sono inutile Cloe. Sono inutile. La mamma mia ha chiesto di fare una cosa, ma subito si è ricordata in che condizione ero e ha detto che non faceva nulla. Ma io volevo sentirmi normale per una volta, capisci? Fare qualcosa di buono, per una volta..senza l'aiuto di nessuno. Ho provato ad alzarmi, facendo leva sulle braccia, ma sono caduto, sbattendo la testa contro il mobile. E sono svenuto. Capisci Cloe? Non riesco a fare più nulla. Sono una nullità, un fallimento. Io non riesco nemmeno a reggermi in piedi; come posso sperare di vivere una vita normale? Non l'avrò mai! Mai! Quello stupido incidente non mi ha portato via solo mio fratello, ma anche la mia vita! Avrei dovuto morire io, non lui! E' tutta colpa mia, Cloe. Mia, mia, mia. Io mi odio! MI ODIO!- Sentii il cuore raggelarsi, e nuove lacrime solcare le mie guance. Presi immediatamente Peter per le spalle, scuotendolo quasi con rabbia.
-Non puoi dire certe cose! Non puoi, dannazione! Non puoi odiarti Peter! Non puoi incolparti per la morte di tuo fratello, non puoi! Stai pagando abbastanza, non vedi? Sei su una maledetta sedia a rotelle, ma sei vivo. E devi solo essere grato di questo! Peter, Peter guardami.- gli presi il viso fra le mani e lo costrinsi  guardarmi. -Sei il ragazzo più speciale che io abbia mai conosciuto- rivelai, addolcendo il tono della voce. Per una volta, dovevo abbassare il mio guscio, e dimostrare a questo ragazzo quanto valesse - Non è vero che sei una nullità. Tu sei forte. Sei coraggioso, perchè combatti ogni giorno stando su questa sedia a rotelle. Ma ti prometto che un giorno tornerai a camminare, se ciò ti rende felice. Ti starò vicino, e ti aiuterò io. E non guardarmi così, non lo faccio per pena. Lo faccio perchè...- Il guscio si rialzò immediatamente, impedendo di rivelare quel piccolo segreto nascosto nel profondo del mio cuore 
-Perchè?- mi chiese lui, facendo trasparire una nota di impazienza nella voce. 
-Perchè ti voglio bene, Peter- una mezza verità; poteva bastare. 
In men che non si dica, mi ritrovai fra le braccia di Peter, che, come un bambino, si mise a singhiozzare disperatamente. Presi ad accarezzargli la nuca, sperando così di farlo calmare. -Calmati tesoro. Ti prego, calmati. Ci sono io ora- appena pronunciai quelle parole, quasi fossero magiche, vidi Peter calmarsi all'istante. Persi completamente il senso della realtà, e sentii una bolla chiudersi intorno a noi, quasi a volerci proteggere da tutto, e da tutti. 
-Ti prego, non mi lasciare Cloe- mi supplicò lui, potando il viso troppo vicino al mio -Non te ne andare- La distanza fra le nostre labbra era davvero minima, e, per un attimo, desiderai colmarla, per assaporarne, anche se solo per una volta, la loro consistenza, e il loro sapore. I nostri fiati erano corti, spezzati, nervosi.. sapevamo entrambi che quel bacio avrebbe cambiato tutto, portando il nostro ''rapporto'' oltre la linea di un confine invisibile che avevamo tracciato. Ma forse, quel confine non aspettava altro che essere scavalcato. Fu così che, lievemente, poggiai le mie labbra su quelle di Peter, beandomi della loro morbidezza, e del loro sapore di fragole. Sapeva di buono, il mio fragile Peter. Un sapore che mi riportava a casa, indietro di anni e anni, quando la mia vita poteva considerarsi perfetta. Ed fu così che mi sentii quando approfondimmo il bacio: a casa. Perchè anche se continuavo a negarlo a me stessa, quel ragazzo si era inesorabilmente radicato nella mio cuore, e si rifiutava categoricamente di lasciarlo andare. Perchè non avrei potuto mai fare a meno di lui, ormai era chiaro. Lui era la luce della speranza che da troppo tempo mi aveva abbandonata alle tenebre. Per troppo tempo ero stata solo una spettatrice della mia vita, lasciando che il dolore e il vuoto prendessero il controllo della mia vita. Questo mi aveva resa una macchina, un'automa; e io non avevo fatto nulla per impedirlo, anzi. Mi ero lasciata trascinare giù, sempre più in profondità, fino ad arrivare al punto di non ritorno. Ma Peter, comparso come un fulmine a ciel sereno nella mia vita, senza nemmeno accorgermene, aveva costruito dei gradini per permettermi di risalire dal baratro in cui ero caduta. Mi aveva dato una via di fuga dal mio dolore. Mi aveva dato un'ulteriore motivo per vivere; per vivere davvero, smettendo di essere una spettatrice, e rendendomi finalmente la protagonista della mia vita. E per questo motivo, per la speranza che mi aveva ridato, non avrei mai permesso che anche lui cadesse in quel baratro da cui mi aveva salvata. L'avrei salvato dal dolore, e sopratutto da se stesso. Sarei diventata la sua speranza. 
Dopo essermi resa conto di tutto ciò, fu naturale rispondere alle sue parole -Mai Peter. Non me ne andrò. Resto con te, fino a quando tu mi vorrai con te.- Ed era vero. Era maledettamente vero che sarei rimasta. E quando lui mi fissò negli occhi, visibilmente shoccato dalle mie parole, ciò che vide fu solamente una cosa: amore.

Scrivere questo capitolo è stato veramente un parto! Però, alla fine, eccolo qua! Ci sarebbero tante cose da commentare, forse anche troppe. Bhe, che dire. FINALMENTE. So che mi state odiando, ma alla fine al nostro Peter non è successo nulla, anzi. Secondo me è stato ben felice di trovarsi li ( mi riferisco ad un certo avvenimento che tutti noi aspettavamo con ansia). Inoltre, finalmente qualcosa è cambiato nella nostra Cloe; d'ora in poi dovremo dire addio ad una parte del suo carattere ( quello freddo e senza sentimenti), perchè dopo questo capitolo qualcosa è completamente cambiato in lei. E credo che sarà ancora più interessante questo personaggio d'ora in poi. Che dirvi, se non che sono troppo pucciosi? *^* E' stato bellissimo poter finalmente scrivere del loro primo bacio, perchè d'ora in poi il loro rapporto evolverà per il meglio. Spero di avervi emozionato, anche solo un po', e di aver allietato i vostri cuori con un po' di romanticismo. Voglio ringraziare tutti voi che seguite, commentate e leggete questa storia. Perchè siete voi, con il vostro sostegno, a darmi la forza di scrivere, e scrivere. Grazie ancora a tutti, e ripeto che se avete qualunque cosa da dirmi, anche critiche, i vostri commenti sono sempre ben accetti. 
Alla prossima! un grosso bacio <3 Koralblu
p.s quasi me ne stavo dimenticando, il prossimo sarà un pov Peter ;) Spero possa venire bene

 

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Capitolo 7
*** Capitolo 8 ***


Pov Peter

Da quella maledetta notte in cui Josh mi era stato portato via, la mia vita era crollata inesorabilmente in un buco nero, da cui non esisteva alcuna via d'uscita. Non mi importava più di nulla, nemmeno di essere finito in sedia a rotelle; era il prezzo da pagare, perchè è tutta colpa mia. Se lui è morto, è solamente colpa mia. 
Non passo un solo giorno in cui io non pensai che, forse, la cosa migliore da fare fosse mettere fine una volta per tutte alla mia inutile vita. Inutile almeno come lo ero io. Non c'erano altri aggettivi per descrivermi; solo ''disabile'' e ''inutile''. Non riuscivo nemmeno più a fare le cose più semplici, come prendere il cibo dagli scaffali alti, guidare o addirittura farmi un bagno caldo. La cosa peggiore dopo aver perso mio fratello, infatti, credo sia stata proprio la perdita della mia autonomia. Io, Peter Howne, il ragazzo che non chiedeva mai aiuto a nessuno, costretto su una sedia a rotelle a dipendere quasi totalmente dagli altri. Inaccettabile.
Pena. mi faccio solo pena e schifo. Non dovrei essere io quello vivo. Dovrebbe essere Josh; lui che era troppo buono e gentile per questo mondo infame. Lui che aveva dei sogni, una fidanzata, e tantissimi progetti che aspettavano solo di essere portati a termine. Lui che era la mia roccia, il mio migliore amico, l'unico che mi abbia mai capito veramente. Lui che mi manca ogni giorno, sempre di più. Lui che non c'è più.
 E mi faccio schifo per questo. Mi faccio schifo perchè dovrei essere io quello morto; perchè io non merito di vivere. Perchè è colpa mia se lui è morto. E mi faccio schifo perchè sono solo un'egoista; perchè da quando ho incontrato un paio di occhi neri come la pece, tanto tristi quanto belli, la morte non è più un' opzione accettabile. Perchè da quando lei è entrata nella mia vita, ho riscoperto un po' di quella serenità che avevo creduto persa per sempre. E io non mi merito nemmeno un grammo di felicità dopo quello che è successo. Ma anche se volessi, non riuscirei mai a rinunciare a lei. 
La prima volta che l'ho incontrata, in quel negozio di fiori, ho sentito per la prima volta dopo la morte di Josh, il cuore risvegliarsi da una sorta di coma ed iniziare a battere all'impazzata, quasi volesse uscire fuori dal petto. Mi ricordo di essermi completamente estraniato dal mondo; avrebbe potuto scoppiare una bomba vicino a me e non me ne sarei minimamente accorto. E in quel momento capii di essere totalmente fottuto. Sapevo che d'ora in avanti, quasi ci fosse un filo invisibile a legarci, mi sarei sentito completamente dipendente da quella ragazza. Compravo e ordinavo decine di fiori solo per avere la scusa di andare in quel negozio e vederla.
 Lo so, sembro pazzo. E forse lo sono. Ma da quando c'è lei, ho avvertito una sensazione nuova, quasi di rinascita; senza volerlo, sto iniziando a vivere di nuovo. Ed è tutto merito suo.
 E forse ne sono irrimediabilmente innamorato. Forse ho iniziato ad amarla dal primo momento in cui ci siamo guardati negli occhi. Sono irrimediabilmente pazzo. Ormai ne sono certo. Io che in vita mia ho sempre schifato l'amore da parte delle ragazze, evitando di farmi spezzare il cuore un'altra volta. Dagli errori si impara; ed io ho imparato a non farmi coinvolgere più. A non mostrarmi più vulnerabile per poi rimanere fregato e ferito. Una volta basta e avanza. 
E allora perchè con lei sento di essere completo? Perchè sento che non ci sia posto più bello se non tra le sue braccia? Perchè sento che la mia vita ormai dipende dalla sua felicità? ''Perchè sei un fottuto coglione innamorato'' continua a ripetermi la mia testa. 
Ma è possibile? Si, è possibilissimo. Perchè di ragazze come Cloe non ne esistono. Lei è un pezzo unico, speciale, ma anche irrimediabilmente spezzato dai dolori della vita. 
Si, anche lei è spezzata. Lo vedo nel suo sguardo quasi perennemente triste; lo vedo quando i suoi occhi si perdono, e vagano in un altro mondo in cui c'è solamente un incolmabile vuoto. 
Amore mio, non essere triste. Io non posso sopportare di vederti così spenta. Farò di tutto per farti sempre sorridere; per ridarti tutto ciò che ti ha tolto il dolore. E forse, forse ci cureremo a vicenda. Perchè noi non siamo nuovi. Noi siamo rotti in talmente tanti pezzi che è impossibile contarli. Siamo vulnerabili, e abbiamo paura di soffrire di nuovo, perdendo così tutta la precaria stabilità che abbiamo raggiunto con il tempo. Ma non puoi più essere passiva e limitarti a sopravvivere; devi andare avanti, qualunque cosa sia successa, e mettere a posto i cocci rotti. Devi ricostruire ciò che è spezzato dentro di te. Devi tornare a vivere Cloe. 
E forse, è ciò che dovrei fare anche io. Tornare a vivere. Ma io non posso. Io non posso perchè la punizone che mi merito è di soffrire fino al giorno della mia morte. Condividere il senso di colpa fino a quando esso non mi avvolgerà completamente e mi porterà via ogni grammo di forza e di vita che c'è nel mio inutile corpo. 
Inutile. Sei totalmente inutile. 
Basta, basta, basta! Non sopporto più nulla! Basta. Voglio solo farla finita. Non sopporto più questo peso. 
Sentii un leggero colpo alla porta, e dopo il mio ''avanti'' vidi un viso preoccupato fare capolino nella stanza. Cloe. Oh dannazione, perchè mi fai questo effetto? Perchè appena ti vedo il mio cuore prende a battere più forte?
Nel giro di un secondo mi strinse in un abbraccio fortissimo, e la sentii scoppiare in un pianto isterico. No Cloe, ti prego. Non posso sopportare di sentirti piangere.
-Ho..ho avuto così tan...ta paura, Peter. Non farmi...prendere mai più uno spavento del genere- le sentii dire, le parole spezzate da strazianti singhiozzi.
-Te lo prometto piccola. Scusami- a quelle parole, smise immediatamente di piangere, e puntò i suoi occhi nei miei. Mi sorrise, e in quel momento il mondo sembrò fermarsi. Dio, ma cosa mi fai Cloe? La strinsi in una morsa d'acciaio, felice di saperla li accanto a me, e senza nemmeno rendermene conto iniziai a tremare convulsamnete. Perchè non mi sentivo solo quando c'era lei. E la paura di perderla, di sentirla scivolare via da me era talmente forte che non riuscivo a separarmi dal suo corpo. E li, in quelle braccia, il senso di colpa per non aver saputo accettare i miei limiti tornò prepotentemente a farmi visita. 
-Va tutto bene Peter?- mi chiese, alzando il mio viso con due dita. Come potrebbe andare bene Cloe? Va tutto bene solo quando ci sei tu. Ma ho paura. Ho la costante e fottutissima paura di perderti da un momento all'altro, e soprattutto ho paura per te. Perchè io non voglio che tu debba sprecare tempo con un disabile come me. Perchè tu meriti di più. Meriti tanto di più.
 Non riuscii a sostenere il suo sguardo, e così, da bravo vigliacco qual'ero, evitai accuratamente di incontrare i suoi occhi.
-Peter guardami.- disse con tono perentorio - dimmi che cos'è successo. Per favore- Mi morsi un labbro, combattuto su cosa dirle. Dovevo rivelarti i miei sentimenti e lasciarti andare, o raccontarti che cosa fosse successo?
- Io, sono inutile Cloe. Sono inutile. La mamma mi ha chiesto di fare una cosa, ma subito si è ricordata in che condizione ero e ha detto che non faceva nulla. Ma io volevo sentirmi normale per una volta, capisci? Fare qualcosa di buono, per una volta..senza l'aiuto di nessuno. Ho provato ad alzarmi, facendo leva sulle braccia, ma sono caduto, sbattendo la testa contro il mobile. E sono svenuto. Capisci Cloe? Non riesco a fare più nulla. Sono una nullità, un fallimento. Io non riesco nemmeno a reggermi in piedi; come posso sperare di vivere una vita normale? Non l'avrò mai! Mai! Quello stupido incidente non mi ha portato via solo mio fratello, ma anche la mia vita! Avrei dovuto morire io, non lui! E' tutta colpa mia, Cloe. Mia, mia, mia. Io mi odio! MI ODIO!-  Le parole scivolarono dalla mia bocca senza che nemmeno me ne accorgessi. Avevo scelto di essere egoista e vigliacco per l'ennesima volta. Perchè non posso lasciarti andare Cloe. Ne morirei.
Nuove lacrime solcarono il suo viso, e quando me ne accorsi mi sentii morire dentro. Ti ho ferita piccola mia?
 Fu un attimo; mi prese per le spalle, scuotendomi malamente, ed iniziò ad urlare -Non puoi dire certe cose! Non puoi, dannazione! Non puoi odiarti Peter! Non puoi incolparti per la morte di tuo fratello, non puoi! Stai pagando abbastanza, non vedi? Sei su una maledetta sedia a rotelle, ma sei vivo. E devi solo essere grato di questo! Peter, Peter guardami.- mi prese il viso fra le mani e mi costrinse a  guardarla. Oh Cloe, se solo sapessi -Sei il ragazzo più speciale che io abbia mai conosciuto- mi rivelò, addolcendo il tono della voce. E in quel momento, sentii uno strano calore invadere ogni fibra del mio corpo - Non è vero che sei una nullità. Tu sei forte. Sei coraggioso, perchè combatti ogni giorno stando su questa sedia a rotelle. Ma ti prometto che un giorno tornerai a camminare, se ciò ti rende felice. Ti starò vicino, e ti aiuterò io. E non guardarmi così, non lo faccio per pena. Lo faccio perchè...- Ed eccolo lì il mio cuore esplodere dalla gioia. Ora si che posso morire felice. Dopo queste parole posso davvero morire felice. Ma quel perchè continuava a vorticare nella mia mente, procurandomi un forte mal di testa. Non potevo accontentarmi. Dovevo sapere.
-Perchè?- le chiesi ingenuamente, facendo trasparire una nota di incontrollata impazienza nella voce. Datti un calmata idiota!
-Perchè ti voglio bene, Peter- E io, in questo preciso istante, dopo queste tue parole, ho avuto la conferma di amarti come non ho mai amato nessuno. 
Senza potermi controllare scoppiai in lacrime come un poppante, aggrappandomi a lei come se fosse un salvagente in mezzo ad un mare in tempesta. E lo era. Lei era l'unica speranza che avevo di poter ancora vivere un briciolo di felicità. Di poter finalmente lasciarmi alle spalle il dolore, per iniziare una nuova vita. Prese ad accarezzarmi la nuca, cercando in tutti i modi di calmarmi 
-Calmati tesoro. Ti prego, calmati. Ci sono io ora- e a quelle parole, quasi fossero magiche, il mio corpo ubbidì all'istante. Tutto intorno a noi aveva perso significato; mi sentii trasportare in un altro mondo, dove il dolore e la sofferenza erano estranei. Un mondo in cui esistevamo solo io e lei, e nulla oltre a ciò aveva importanza. Ma la paura di perderla si fece violentemente strada in me, insinuandosi malignamente come un serpente nei meandri del mio cuore. 
-Ti prego, non mi lasciare Cloe- mi ritrovai supplicarla disperatamente, potando il viso a pochi centimetri di distanza dal suo -Non te ne andare- ''Resta come me, per sempre'', avrei voluto aggiungere. Ma non lo feci. Non potevo essere egoista fino a questo punto. 
Mi persi nei miei pensieri, e non mi accorsi minimamente del suo fiato delicato a pochi centimetri di distanza dal mio viso. Guardavo le sue labbra come un pellegrino disperato in cerca di acqua nel deserto. Avevo un disperato bisogno di un contatto con quelle labbra; esigevo di saggiarne la consistenza e la morbidezza. Ma avevo paura; paura di un suo rifiuto. Paura che se l'avessi baciata lei non avrebbe mai più voluto saperne nulla di me. Perchè com'era possibile che uno come me, piacesse ad una come lei? Non scherziamo. 
Ma non feci nemmeno in tempo a finire di formulare le mie solite paranoie che un paio di morbidissime labbra si posarono sulle mie. In quel momento sentii tutto il dolore scivolare via dal mio cuore, e lasciare spazio ad una felicità smisurata. Perchè in quel momento, mentre dischiusi la bocca per approfondire il bacio, mi sentii finalmente completo. Perchè due pezzi arrugginiti e vecchi insieme possono farne uno buono. Perchè due anime distrutte, insieme, possono comunque sentirsi vive. E io, mai come in questo momento mi sentii più vivo. Mai provai una sensazione del genere. E finalmente, vidi nella nebbia che mi avvolgeva una piccola e fioca luce, che, però, mi donava il calore più forte che avessi mai sentito. Perchè lei, seppur spezzata e distrutta, era in grado di donarmi ciò che nessun'altro poteva darmi. Ed inconsapevolmente, il mio cuore aveva scelto un'alternativa che mai avevo preso in considerazione: tornare ad amare. Ed io ne ero ormai completamente sicuro: amavo questa ragazza con tutte le mie forze, e soprattutto con tutto il mio cuore. Si staccò a malincuore dalle mie labbra, e la tentazione di baciarla ulteriormente fu talmente forte, che solo le sue parole riuscirono a fermarmi, gelandomi totalmente.
-Mai Peter. Non me ne andrò. Resto con te, fino a quando tu mi vorrai con te.- La guardai negli occhi, cercando di capire se quella fosse la verità. Ma non trovai nessun tipo di esitazione e bugia, anzi. Nei suo sguardo c'era qualcosa che mai avrei sperato di scorgere. Qualcosa che risvegliò ogni parte della mia anima. Perchè nel suo sguardo c'era solo una cosa: amore.

Ehilà! Non vi aspettavate di vedermi così presto vero? Beh tutto ha un suo perchè, e in merito a questo ho due notizie da darvi; una buona e una cattiva. Partiamo subito da quella cattiva così ci togliamo il pensiero. Purtroppo fra due giorni partirò per il mare, e non tornerò prima della metà di agosto. Sono veramente dispiaciuta di non poter aggiornare fino a quel momento, ma purtroppo non posso portare con me il pc. La notizia buona è che però, durante, queste settimane scriverò due bei capitoletti, e li pubblicherò il giorno stesso che ritornerò. Parole mia.
Ma torniamo al capitolo. Questo pov Peter è stato a dir poco angosciante da scrivere. Abbiamo scoperto il lato nascosto del nostro protagonista; quello tormentato che non riesce a darsi pace. Chissà che cosa sarà successo. Nei prossimi capitoli *e qui fa giurin giurello* lo scoprirete. 
Inoltre il prossimo capitolo sarà un'autentica sorpresa. Ve lo garantisco. Vi lascio, ringraziandovi per il vostro sostegno, e per il tempo che dedicate a leggere questa storia. E vi invito a farmi sapere se questo capitolo vi è piaciuto, se ha toccato il vostro cuore o se ci sono delle cose che non vanno bene. Sono sempre felicissima di sapere cosa pensate, e sempre più grata per le bellissime recensioni. Mi mancherete tantissimo, e spero di poter tornare al pi presto. A presto! Un grosso bacio a tutti voi! <3 Koralblu

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Capitolo 8
*** capitolo 9 ***


Pov Peter

Appena Cloe uscì dalla porta, con la promessa di ritornare a breve, questa venne aperta di nuovo. Pensai che si trattasse della mia famiglia, dato che ancora non avevo ricevuto nessuna visita da parte loro, ma appena abbassai lo sguardo restai totalmente di sasso. Davanti a me, infatti, con lo sguardo basso e le mani congiunte, se ne stava un bambino dell'età di circa sette anni. Aveva un che di familiare, come se lo avessi già visto da qualche parte..
E all'improvviso mi venne un' illuminazione: era Caleb, il fratellino di Cloe.
Chiuse la porta, e alzò lo sguardo verso di me. L'espressione dipinta sul mio viso doveva essere davvero buffa, poichè lo vidi ridacchiare prima di sedersi sulla sedia vicino al mio letto.
Restammo in silenzio per diversi minuti. Io ancora troppo shoccato per parlare, e Caleb immerso nei suoi pensieri. Non sembrava avere l'espressione di un bambino, ma quella di un adulto; lineamenti duri e concentrati, e una posizione rigida che non si addiceva per nulla ad un bambino di quell'età. I capelli erano di un colore strano, tra il rosso e il biondo, ma gli occhi era gli stessi di Cloe: neri e profondi come un buco nero. 
Erano proprio fratello e sorella, pensai.
-Tu ami mia sorella?- se ne uscì dopo minuti di silenzio che parvero interminabili. Di pietra. Ecco com'ero diventato in quel momento. Una statua di pietra. Il respiro si era fatto irregolare, e sentii i ''bip'' della macchina a cui ero attaccato farsi sempre più veloci e acuti. Aveva parlato. Caleb aveva parlato. 
Durante il pomeriggio passato al parco Cloe mi aveva confidato che suo fratello, dalla morte dei loro genitori, aveva smesso di parlare. Completamente. Nessuno aveva più sentito una parola uscire dalla sua bocca. 
Ed ora, sentirsi rivolgere una domanda da quel bambino, e soprattutto una domanda di quella portata, mi aveva lasciato completamente sconvolto. Puntai il mio sguardo nel suo, per cercare di capire se tutto questo era vero o frutto della mia immaginazione; ma fu un errore. Un madornale errore. Perchè non appena punti i miei occhi nei suoi, una sensazione di impotenza e sottomissione si fece largo in me. Perchè non si poteva mentire a quegli occhi. Non si poteva non restarne sottomessi. 
Perchè il suo nero, ora che ci facevo caso, era diverso da quello di Cloe. Era più liquido, senza quella punta di vuoto e disperazione che caratterizzava quello della sorella. Il suo nero esprimeva ingenuità e dolcezza, e non gli si poteva mentire o fargli qualcosa di male. Non era possibile. Allo stesso tempo però, nonostante fosse solo lo sguardo di un bambino, la serietà che i suoi occhi esprimevano mi fecero sentire impotente. 
Lui era il leone, e io la gazzella. Lui l'adulto, e io il bambino. 
E senza nemmeno rendermene conto, la risposta a quella spiazzante domanda uscì dalle mie labbra. 
-Si, amo tua sorella- e il sorriso che subito mi rivolse, mi fece sentire ancora più piccolo.
Gli feci spazio sul lettino, invitandolo con lo sguardo ad avvicinarsi, e lui non se lo fece ripetere due volte. Si sedette vicino a me, e subito si buttò fra le mie braccia. 
-Grazie Peter. La stai facendo vivere di nuovo- Poteva un bambino di sette anni lasciarmi completamente sconvolto per ben due volte nel giro di pochi minuti? E poteva il mio cuore reggere a colpi così forti?
Lo abbracciai. Mi venne spontaneo, com'era un tempo abbracciare Josh. 
Spontaneo, come abbracciare un fratello. 
Un fulmine sembrò attraversare la mie mente, e quella familiare sensazione che sembrava ormai persa per sempre tornò prepotentemente a farmi visita. 
Lo sentii scoppiare in lacrime, e allora, senza volerlo o poterlo controllare, piansi anch'io. Piansi perchè quello sguardo colmo di ingenuità e dolcezza io lo conoscevo. Perchè quello sguardo mi aveva accompagnato fino a un anno fa, e lo credevo perduto per sempre. Credevo che non lo avrei mai più rivisto. E invece era qui.
 Era lo sguardo di Josh. 
Mi aggrappai a Caleb come avevo fatto poco fa con Cloe, senza curarmi di sembrare un pazzo per quello che stavo facendo. Non mi importava. Volevo solamente illudermi, anche solo per un secondo, di poter riabbracciare mio fratello. Di poterlo sentire di nuovo parlare, ridere, e rimproverarmi per le marachelle commesse. 
Perchè volevo sentire ancora una volta mio fratello. 
E lo sentii. Lo stesso calore, lo stesso affetto che sentivo per Josh, li provai in quel momento abbracciando Caleb. Ed ora, potevo considerarmi davvero felice. Perchè oltre ad avere l'affetto di Cloe, avevo ritrovato una parte di mio fratello. 
Sentendo un leggero colpo alla porta ci staccammo. gli occhi ancora rossi per le lacrime versate. Entrò nella stanza un'infermiera che vedendoci, ci rivolse un piccolo sorriso. Dopo avermi visitato e avermi detto che mi avrebbero dimesso l'indomani, ci lasciò nuovamente soli. 
Lo sguardo di Caleb però non era più sorridente come lo avevo visto prima dell'arrivo dell'infermiera; si era rabbuiato, e ciò non fece che rendere anche me irrequieto.
-Non devi dire a mia sorella che ho parlato. Nessuno deve saperlo Peter- mi disse con tono grave. Non capivo la sua richiesta. Il fatto che avesse ricominciato a parlare era meraviglioso. Sua sorella ne sarebbe stata felicissima. Avrebbe fatto i salti di gioia. 
Lo guardai, confuso per quell'assurda richiesta.
-Perchè? Tua sorella sarà felicissima di sapere che hai ricominciato a parlare- gli risposi, sempre più confuso dallo sguardo severo che mi stava rivolgendo. 
-Lei non deve sapere nulla. Non devi dirle nulla Peter. Promettimelo- Nel suo tono c'era una vaga nota di rimprovero. Capii che per lui era davvero importante non farle sapere nulla, e per questo motivo mi ritrovai ad annuire alla sua assurda richiesta.
-Però voglio sapere il perchè Caleb- se voleva il mio silenzio, almeno dovevo sapere le sue motivazioni.
Il bambino sospirò, e mi chiese se avevo voglia di ascoltare una storia. Annuii, aguzzando le orecchie per non perdermi nemmeno una sillaba del suo racconto.
-Circa due anni fa, il giorno del compleanno di Cloe, io e i miei genitori avevamo organizzato una bellissima festa. C'erano palloncini, piatti colorati, festoni e luci colorate. Sapevo che a Cloe queste cose piacevano, anche se era ormai grande. Ci accorgemmo però che mancavano le sue caramelle preferite. Così i miei genitori mi dissero di tenere occupata mia sorella in camera sua, mentre loro uscivano per comprare quello che avevano dimenticato. Mi dissero che avrebbero fatto presto; ma loro non sono più tornati. Sono morti in un incidente d'auto mentre tornavano a casa. Mia sorella non mi ha mai voluto dire com'è accaduto. So solo che che sono morti sul colpo.
 Quando ho sentito il campanello suonare mi sono precipitato ad aprire la porta, pensando che fossero i miei genitori. Ma quando ho visto la polizia ricordo di aver urlato, avendo paura che volessero farci qualcosa di brutto. Cloe è scesa di corsa dalla sua camera, preoccupata dopo avermi sentito urlare. Quando l'agente di polizia ci ha guardati con sguardo triste, dopo avergli chiesto cosa fosse successo, abbiamo capito tutto. Non sono nemmeno servite le parole che ha detto dopo per capire quello che era successo. I nostri genitori erano morti. 
Da quel giorno ho visto Cloe spegnersi a poco a poco. I primi giorni sono stati orribili. Sono venuti degli zii lontani ad occuparsi di noi per un po', e si sono trasferiti a casa nostra. Cloe è stata tutto il tempo nella sua stanza. Non ha mangiato per tre giorni, e gli zii si sono parecchio arrabbiati per questo. Loro non hanno mai capito il nostro dolore. Stavano tutto il tempo a dirci che loro erano con noi, e che dovevano sorridere perchè la vita andava avanti. Per lo più hanno sfruttato le comodità della nostra casa. Non c'è la facevo più. Avevo bisogno di mia sorella. Avevo bisogno che si riprendesse, perchè lei era l'unica famiglia che mi era rimasta. Così feci una promessa. Promisi che se si fosse ripresa avrei smesso di parlare, per poi ricominciare quando lei sarebbe stata di nuovo felice. E due ore dopo eccola spuntare fuori dalla sua camera, con lo sguardo perso nel vuoto; completamente spento. Non sembrava più nemmeno una persona, ma il fantasma di quello che era stata un tempo. Dopo aver cacciato via i miei zii, vedendo che non gli importava nulla di noi ma solo delle nostre comodità, si rimboccò le maniche. Aveva un lavoro, e aveva appena compiuto diciotto anni. Richiese il mio affidamento, e dopo aver venuto la casa ci trasferimmo in un appartamento più piccolo. Finì la scuola con ottimi voti, lavorando di pomeriggio e studiando di sera e a volte anche di notte. E io non le ho mai chiesto nulla. Perchè lei ha rinunciato a tutto per me.
 Ho sempre ammirato mia sorella, Peter. Lei non si è mai lasciata piegare da nulla. E' sempre riuscita ad andare avanti, senza l' aiuto di nessuno. Ma non poteva continuare così Peter. Stava veramente diventando un fantasma, limitandosi a fare quello che doveva per me, e lasciando completamente da parte se stessa. E ho avuto paura molte volte. Di averla persa per sempre; di non avere più una famiglia. Ho avuto paura di essere rimasto davvero solo. Ma da quando sei arrivato tu Peter, lei è cambiata. Sta tornando ad essere pian piano quella di un tempo. Ho rivisto nei suoi occhi quella scintilla di vita che non vedevo da oltre due anni. E non puoi immaginare quanto io ti sia grato per questo. Tu stai riportando indietro mia sorella. Tu la stai facendo rinascere. 
Per questo ho deciso di parlare con te. Perchè mi fido di te, e so che tu sei l'unico che può farla felice. Ma lei non lo è ancora del tutto. Ci vuole molto tempo per ricucire la sua ferita. Tempo, pazienza, e soprattutto amore. Ecco perchè ti ho fatto la domanda di prima.
Perciò, Peter, non devi assolutamente dire a mia sorella che ho parlato, e soprattutto che ti ho raccontato la nostra storia. Si chiuderebbe di nuovo nel suo riccio, e non ne uscirebbe più. Dev'essere lei a decidere di raccontartelo. Perciò ti prego, non dirle nulla. Ti prego. Io mi fido di te Peter.- e detto questo, mi abbracciò di nuovo. 
Ma questa volta non riuscii subito a ricambiare l'abbraccio. Ero troppo scosso da ciò che mi aveva raccontato per poter formulare anche solo un pensiero coerente. La miriade di informazioni che mi erano state date negli ultimi dieci minuti vorticavano nella mia testa come un tornando, creandomi un fortissimo mal di testa. 
Morti. I loro genitori erano morti. Il giorno del suo compleanno. Lei aveva rinunciato a tutto per Caleb; anche a se stessa. 
In quel momento mi ricredetti su tutto. Perchè esisteva qualcuno in grado di comprendermi. Esisteva qualcuno che aveva provato il mio stesso dolore, la mia stessa disperazione..
Perchè fare la finita non era possibile. Perchè perfino un bambino come Caleb era riuscito a superarla. Ad andare avanti. E io glielo dovevo. Lo dovevo a Josh, che non avrebbe mai voluto vedermi sconfitto; A Caleb, che a cinque anni aveva trovato la forza di superare il dolore e vivere di nuovo, ma soprattutto a Cloe. Lo dovevo alla ragazza dagli occhi neri così simile a me. 
Lo dovevo a lei perchè nonostante non fosse andata avanti, aveva trovato la forza per far andare avanti suo fratello. Perchè lei non era forte per se stessa, ma per suo fratello. Perchè ora avevo capito di cosa aveva bisogno. 
-Te la riporterò indietro Caleb- dissi al bambino di fronte a me - sarò forte io per lei. Tornerò a farla vivere di nuovo- 
E ora avevano anch'io uno scopo per andare avanti: rendere felice l'unico essere umano che avrebbe potuto far tornare a battere il mio cuore.

Taaaaaaaaaa daaaaaaaaa! Eccomi di nuovo qui! Ne è passato di tempo eh? Non sapete quanto mi siete mancati. 
D'ora in avanti sarò sempre operativa. Non vi abbandonerò più. U.U
Allora, parliamo un po' DEL capitolo. Il nostro Caleb. Io semplicemente lo amo. Come potrei non fare altrimenti? E' dolcissimo. E vi avevo promesso una sorpresa no? Beh, che c'è più di una dialogo di questa portata fra lui e Peter? 
E inoltre, d'ora in avanti vedremo il loro rapporto intensificarsi sempre più.
Non voglio aggiungere altro. Sono troppo commossa. 
Ancora grazie per tutte le recensioni, le visite e per tutti coloro che semplicemente dedicano del tempo nel leggere questa storia. 
Vi invito a farmi sapere cosa ne pensate di questo capitolo, o della storia in se, e a segnalarmi eventuali errori o cose che non vi sono piaciute. Sono sempre disponibile e felice di potermi migliorare grazie ai vostri consigli. A prestissimo! un grosso bacio

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Capitolo 9
*** Capitolo 10 ***


-Quindi dottore, è fuori pericolo?- mi informai, per la milionesima volta. Volevo essere certa che stesse bene. 
-Si signorina, è in perfetta salute- mi assicurò il medico con tono dolce. Doveva aver capito il mio interesse verso Peter, poichè intravedevo nei suoi occhi un piccolo accenno di malizia. 
-E dove sono i suoi genitori?- chiese Christopher, dando voce ai miei pensieri. 
Mi ero chiesta infatti perchè non li avessimo mai intravisti.
-Loro sono venuti quando voi non c'eravate. Ma il ragazzo li ha mandati via quasi subito, assicurando che stava bene e che aveva solo bisogno di riposare. Li ho tranquillizzati, dicendogli che le condizioni del paziente erano stabili, e sono tornati a casa- ci riferì il dottore, con voce gentile. 
Tutto tornava. 
Il dottore si scusò gentilmente, dicendo che aveva dei pazienti da controllare, e ci lasciò soli. Io, Christopher, e il mio piccolo fratellino che aveva un'aria pensierosa. 
Non avevo nessuna intenzione di andarmene. L'avevo detto anche al medico che non mi sarei schiodata da li sino a quando Peter non fosse uscito dall'ospedale. Ma ero combattuta. Era stata una giornata stancante per Caleb, e sapevo che stava resistendo alla stanchezza per me. 
Un piccolo sorriso si dipinse sulle mie labbra. -Chris, ti ringrazio per avermi portata qua. Posso chiederti un ultimo favore?- Chris annuì, un sorriso tirato che esprimeva tutta la sua stanchezza
-Potresti tenere Caleb fino a domani sera quando lo dimetteranno? So che ti chiedo un favore enorme, ma non saprei a chi altri lasciarlo. Sei l'unico di cui mi fidi- e dovevo confessare che era vero. Lui era come un secondo padre sia per me, che per Caleb. Quei due andavano d'amore e d'accordo e sapevo di potermi fidare totalmente.
-Nessun problema- mi assicurò lui.
-A te va bene Caleb?- gli chiesi. 
Lui annuì e mi abbracciò, per salutarmi. In quella stretta percepii un amore fraterno che non percepivo da tanto tempo, e che ora lui stava cercando di trasmettermi. Lo abbracciai fortissimo a mia volta, una muta promessa che non aveva bisogno di essere pronunciata; io ti starò sempre accanto. In qualsiasi momento. 
Bastava un solo gesto fra noi. Non c'era bisogno delle parole. 
E li capii che Caleb, in quegli anni, era stato il salvagente che mi aveva permesso di non annegare. Il mio punto fermo. 
Ma ora lui non bastava più. Per quanto bene gli volessi era un'altro il tipo di amore di cui avevo bisogno; un amore che solo Peter poteva darmi. 
Ed è con questa consapevolezza che salutai la mia piccola famiglia, e aprii la porta della sua stanza.
-Ciao- mi disse vedendomi entrare
-Ciao- risposi guardandolo negli occhi. Ma come avevo fatto ad essere così cieca?
Mi avvicinai al suo letto, e lui mi fece posto. Senza pensarci due volte mi stesi affianco a lui, senza mai staccare lo sguardo dal suo. 
Passammo così un tempo che sembrava infinito. Io con le mani rigide, e le parole incastrate in gola, e lui con la mano appoggiata sulla ia guancia, in una delicata carezza che mi stava facendo incendiare. 
Poi proprio quando avevo trovato il coraggio di parlare, lui iniziò il suo discorso
-Senti Cloe, è inutile girarci intorno. Tu mi piaci. Mi piaci dal primo momento in cui ti ho vista, in quel negozio di fiori. 
Prima di conoscerti nella mia vita non c'era nient'altro se non il dolore e il rimorso. Mi corrodevo l'anima giorno e notte, incubo dopo incubo, incapace di tornare a vivere una vita normale. Perchè io pensavo di non meritarla la vita. Ho pensato più e più volte che forse farla finita sarebbe stato meglio; che la mia esistenza fosse inutile. Ho pensato che magari, togliendomi la vita, avrei tolto un peso ai miei genitori. Non sopportavo di vederli sempre stanchi e tristi. Sai cosa vuol dire vedere negli occhi delle persone la pena? Sai che cosa si prova, Cloe? Te lo dico io. Si prova ribrezzo per se stessi. Per la propria esistenza. Perchè pensi che non sei più una persona normale. Perchè ero arrivato davvero al punto di pensare che fossi un nulla. Un nulla che non aveva più nessun scopo di vivere. 
E sai perchè ero venuto in quel negozio di fiori quel giorno?- fece una piccola pausa, riprendendo fiato per parlare nuovamente, mentre il mio cuore si sgretolava sempre più in mille pezzettini, in attesa di sapere la risposta alla domanda che aveva posto 
-Ero venuto li per scegliere i fiori del mio funerale. Buffo come il destino ti dia un'altra possibilità quando avevi deciso di lasciarti cadere definitivamente nel baratro, non ti pare?- e detto questo mi fissò con aria grave, l'aria di un sorriso triste stampato in faccia. Mi accarezzò nuovamente la guancia, e questa volta vidi che le sue dita erano bagnate. Mi toccai una guancia, e costatai ciò che sospettavo: stavo piangendo. Di nuovo; davanti a lui. Questa volta, però, non me ne importava nulla. Anzi. Doveva vedere che la sua sofferenza toccava anche me; che io soffrivo perchè lui era stato male. Che non lo avrei mai lasciato solo. 
Lo rassicurai con un timido sorriso, incoraggiandolo con lo sguardo ad andare avanti. 
E lui continuò -Il giorno che ti ho vista, è stata come una rinascita per me. E so che posso sembrare totalmente pazzo; e forse lo sono. Forse sono totalmente pazzo. Ma non mi importa. L'unica cosa di cui mi importa sei tu. E so che forse io non sono la persona più indicata per curare le tue ferite. Sono profonde tanto quanto sono profonde le mie; sono radicate nel profondo delle nostre anime. E il tormento Cloe, quello non ci abbandonerà mai. Ci accompagnerà fino al giorno della nostra morte. 
Ma forse possiamo curarci a vicenda. Forse due cuori rotti ne fanno uno sano. Forse possiamo scacciare uno gli incubi dell'altro. Forse è questo il nostro destino. 
Io non so nulla Cloe. Non sono sicuro di nulla nella mia vita; tranne una cosa. 
Sono sicuro che mai, mai e poi mai potrò fare a meno di te. Perchè tu sei tutto per me ora, Cloe. Tu sei ciò che mi permette di non affondare nel mare di dolore da cui sto risalendo pian piano. Resta con me. Non mi lasciare.- E ora era lui a piangere, gli occhi intrisi di disperazione e paura. Paura che possa lasciarlo annegare di nuovo. Paura di perdermi. Paura che gli possa scivolare via dalle mani.
E lo baciai. Lo baciai con urgenza, con possesso, con disperazione. 
Perchè finalmente avevo capito. avevo capito che ormai non potevo più fare a meno di lui. Non potevo più scappare dai miei incubi; dovevo affrontarli, una volta per tutte. E non potevo affrontarli da sola. 
Torneranno, questo è chiaro. Torneranno ogni notte della mia vita a farmi visita; a farmi ricordare quella notte. A farmi ricordare che il dolore di quella perdita non mi abbandonerà mai.
Non ci sarà sollievo nei miei sogni. Solo dolore. 
Ma al risveglio non sarà così. Voglio che non sia così. Perchè non sarò più sola. Perchè avrò Peter, al mio fianco.
E non ero mai stata più sicura di qualcosa in vita mia. Ed era per questo che le parole che mi uscirono dalla bocca partirono naturali, senza bisogno di essere controllate
-Sempre. Io resto. Ci sono. Anche tu mi piaci Peter; da star male. Al solo pensiero di non averti più sento la disperazione invadermi totalmente. Non sei più solo. Non più-
E non lo sono nemmeno io. Non siamo più soli.
E così scoppiai in lacrime, senza nemmeno sapere il perchè. Forse per la gioia, forse lo sfogo di pianti da anni trattenuti. 
Non lo sapevo.
Ci stringemmo ancora più forte, quasi a toglierci il fiato. Ma nessuno dei due se ne lamentò. Avevamo bisogno di una conferma; di verificare che tutto questo non fosse reale.
 E questa volta fu lui a staccarsi da me e baciarmi. 
Era un bacio amaro e dolce allo stesso tempo questo. Un bacio che sapeva di paura ma allo stesso tempo di sollievo e felicità.
Non lo fermai. Nemmeno quando, dolcemente, fece scontrare la sua lingua con la mia, dando via ad una danza a cui non avevo mai e poi mai partecipato prima. Una danza che non avevo mai provato, ma che mi faceva desiderare sempre di più. 
Persi contatto con la realtà. 
Dove mi trovavo? Non lo sapevo. Che ore erano? E chi se ne frega.
Bastava che non smettesse mai di baciarmi. ''Non smettere mai'' avrei voluto sussurrargli. Ma era troppo sdolcinato. Non affatto da me. 
Quando staccò le sue labbra dalle mie, quasi provai un dolore fisico. 
Lo guardai con gli occhi da cucciolo bastonato, e a lui scappò una risatina. Ah si? Si divertiva lo scemo?
Gli tirai una pizzicotto giocoso sul fianco, seguito dai suoi fintissimi lamenti di dolore
-Ah è così che tratti un povero malato? Questa me la segno- si lamentava lui, fintamente indignato e mettendo su il broncio.
-Ma se non ti ho nemmeno toccato!- sbottai divertita
La sua espressione divenne ancora più buffa mentre cercava di accentuare la sua espressione offesa.
-Bene bene, vedo che non c'è più rispetto per noi poveri bisognosi di cure- mi rispose, girandosi dall'altra parte del letto.
Non sapevo se essere divertita o seccata da questo suo comportamento da bimbo giocoso. Così, per smascherarlo, decisi che avrei fatto la bambina cattiva.
-Va bene, se non mi vuoi parlare allora me ne vado- gli dissi, facendo per alzarmi dal letto. Ma in meno di due secondi mi ritrovai sdraiata su di lui, intrappolata nelle sue braccia muscolose
-Dove credi di andare? Guarda che sei mia prigioniera- mi disse con un tono giocoso, imitando la voce grossa. 
Sghignazzai, ormai totalmente rassegnata all'idea di aver scelto come mio ragazzo  un bambinone.
Un momento. Ragazzo? Che significava, ''scelto come mio ragazzo''? 
Mi rabbuiai all'istante, e Peter intuendo il mio cambio di umore, mollò la presa
-Perdonami Cloe. Stavo solo schlerando, io non vole..- lo interruppi con un bacio, il miglior modo, a mio dire, per far tacere un uomo. 
Ero ancora scombussolata da ciò che avevo pensato, e spaventata dalle conseguenze di quella frase che avevo pronunciato solo nella mia testa. 
Ma ora era il momento di dormire. Era stata una giornata davvero stancante, e iniziavo a sentirmi a poco a poco sempre più spossata. 
-Dormiamo- mi disse in tono dolce Peter, quasi mi avesse letto nella mente. 
-Dormiamo- concordai, assopendomi a poco a poco
- Sogni d'oro amore- E quando pronunciò questa frase, non seppi mai se era stata solo frutto della mia fantasia o era reale, poichè il sonno mi aveva portato nel suo oscuro mondo.


Buonaseraaaa! Non farò un commento stavolta. Credo che il capitolo parli da sè <3 
Grazie per il vostro sostegno e per le bellissime recensioni. Grazie di tutto cuore. A presto! Koralblu

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Capitolo 10
*** AVVISO ***


Buonasera a tutti. So che è un bel po' che non aggiorno, e immagino non sia stato rispettoso nei vostri confronti. Ma per tutto ce una spiegazione, e l'ha pure questo ritardo. Mi scuso infinitamente con tutte le persone che seguono e attendono i capitoli di questa storia, ma questo periodo è per me difficilissimo. Sto attraversando un periodo davvero buio e difficile, e non mi sento per nulla ispirata. Davvero dovete scusarmi, ma per me non è facile parlarne, e tanto meno darvi questa delusione. Spero che con il vostro supporto almeno troverò un po' di quella forza che mi è venuta a mancare. Vi voglio bene. A presto -Koralblu

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


-Dovresti andare a dormire Cloe. Davvero, sto bene, e tu devi dormire- mi ripete quel noioso biondino per la milionesima volte. Non sapevo più come farlo cedere; era più testardo di un mulo quando ci si metteva.
-Eddai Peter, fai il bravo su- lo scongiurai,sfoggiando il mio faccino da cucciolo, a cui nessuno era mai riuscito a resistere. Un lampo di tentennamento passò negli occhi divertiti del ragazzo di fronte a me; ma subito si riprese, scuotendo la testa in senso di diniego.
-Ho detto no furbetta. E non provare ad usare quel muso con me, che tanto non attacca-
Antipatico. -Antipatico- gli risposi, facendogli la linguaccia. Davvero molto maturo.
Feci per andarmene, ma una mano mi blocco il polso, e mi spinse dolcemente nella direzione opposta a quella presa.
-Bambina permalosa. Cloe, Cloe, come devo fare con te?- mi disse lui, abbracciandomi la vita con le braccia.
Mi girai lentamente, volendo godere fino in fondo di quel piacevolissimo contatto, e della nuova sensazione che mi scaturiva; dire che avevo le farfalle nello stomaco era un'eufemismo. Piuttosto era più corretto dire che avevo un intero branco di elefanti che ballavano la samba.
Quando mi voltai completamente, rimasi disarmata dalla bellezza di quegli occhi. Limpidi e profondi, come non li avevo mai visti. Erano ricolmi di dolcezza, spensieratezza e qualcosa che non avrei mai più creduto di saper riconoscere; amore.
Era meraviglioso sentirsi guardare in questo modo. Qualcosa di indescrivibilmente bello, che rende la mente e il cuore liberi e leggeri. Una sensazione che toglie il respiro, la razionalità, e sopratutto toglie ogni cattivo pensiero. Una sensazione talmente rara che si ha paura di lasciarsi scappare. 
E io avevo paura di questo. Paura di dipendere totalmente da qualcosa che possa sfuggirmi, o, peggio ancora, distruggermi. Perchè l'ho imparato; ''sono le cose che amiamo di più, a distruggerci''.
Ma più guardo negli occhi questo ragazzo, più sono sicura che non troverò mai nulla di simile. Perchè non ce ne sono più di ragazzi come lui. Perchè lui è l'unica persona che possa capire il mio dolore; l'unica a cui racconterei la mia storia. 
Così, guidata solamente dall'istinto, gli presi il viso tra le mani e lo baciai. 
Tutto di quel bacio gridava sì.
Sì, ho deciso di lasciarti entrare.
Sì, voglio lasciarti entrare.
Sì, mi piaci come non mi è mai piaciuto nessuno nella mia vita.
Sì, mi fido totalmente di te.
Sì, voglio donarti tutto ciò che sono.
E lui lo capii. Lo capii dalle lacrime che rigavano le nostre guancie. Lo capii dalla dolcezza che misi in ogni singolo movimento. E soprattutto lo capii dalla mia mano stretta nella sua e posata sul mio cuore.
-Grazie Cloe. Grazie.- mi disse fra i singhiozzi, continuando a baciarmi come un disperato. E io non ero da meno. 
Eravamo due disperati, spezzati dalla vita e con il cuore ricolmo della speranza di una vita migliore, felice.
La sua mano, preso dalla foga del momento, arrivò al mio fianco e mi spinse totalmente contro di lui. Ma non mi staccai come sicuramente avrei fatto se fossi stata più lucida. 
Gli buttai le braccia al collo, immergendo le mani in quella soffice nuvola d'orata. Le sue mani sembravano impazzite; quasi non credesse veramente a tutto questo. Vagavano dalla base della mia schiena alla nuca; movimenti che diventavano sempre più passionali e che mi stavano incendiando dall'interno.
E ne volevo di più. Sentivo una stranissima voglia di avere di più. 
Non avevo mai provato nulla di più forte. Nemmeno il dolore per la scompara dei miei era arrivato a tanto. Ero completamente impazzita, incapace di fermarmi.
Ma fu il rumore di una porta che si chiudeva a farci staccare immediatamente l'uno dall'altro.
-AH, vedo che non avete perso tempo! Ma dico, non vi sembra un po' esagerato darci dentro su un lettino d'ospedale? Insomma, pensa a cosa poteva pensare Caleb se fosse entrato- 
Non osavo girarmi. Guardavo un punto fisso del muro, completamentrìe bloccata e nel imbarazzo più totale. Era bastato mettere in sequenza nella mia mente le parole Christopher, letto, bacio, Peter, per mandarmi in black out.
Ancora una volta fu Peter a salvarmi, impedendo così il mio suicidio per il troppo imbarazzo. 
-Hai ragione Christopher, ci siamo lasciati prendere dalla foga. Non succederà più- lo rassicurò lui, sfoggiando un sorriso che avrebbe convinto perfino il presidente degli Stati Uniti a comprare spazzolini usati.
Però l'idea che non sarebbe più successo mi dava fastidio. In un certo senso non ero soddisfatta di quel bacio; ne volevo ancora. Oddio stavo diventando pazza. O ancora peggio una drogata! Dovevo darmi una regolata prima che la situazione diventasse pericolosa.
-Ehm..si. Scusaci- dissi. E appena aprii bocca mi pentii subito: AVEVO UNA VOCE DA HOT-LINE, PER LA MISERIA. 
Tossì più volte, per cercare di riacquistare un tono di voce normale. 
-Si, dicevo che ci dispiace..- Niente. Peggio di prima. E le risate di quei due idioti non migliorava certo il mio imbarazzo. Mi stizzi, incrociando le braccia al petto e indurendo lo sguardo.
-Oh oh l'abbia fatta arrabbiare- disse il primo scemo all'altro scemo, avvicinandosi al lettino, e prendendo un sorso d'acqua dalla bottiglietta che vi era sul tavolo vicino.
-Taci vecchio!- gli sibilai contro.
-Sono sempre il tuo capo; dovresti cercare di portarmi un po' di rispetto!- ribatte lui, per nulla convinto.
-Ma ciò non toglie che tu sia sempre un vecchietto- gli dissi, lanciandogli addosso un'occhiata che avrebbe tagliato in due perfino un diamante.
-E questo non giustifica il fatto che tu stia insultando il tuo capo- mi rispose lui, restituendomi la mia stessa occhiataccia.
Peter si godeva lo spettacolo, spostando la testa da destra a sinistra come se stesse assistendo ad un torneo di ping pong. 
-Siete uno spettacolo- se ne uscì lui, tutto bello tranquillo. E rise. Una risata roca, seducente. Era veramente bellissimo con quel camice bianco, spettinato, gli occhi lucidi e le labbra rosse per i baci di poco prima.
 Tutto in lui gridava: ''SALTATEMI ADDOSSO''
E non resistevo più. Volevo un bacio e subito.
-Chris, dobbiamo parlare di una cosa importante; ci puoi lasciare un attimo soli?- dissi, guardando Peter intensamente. 
-Va bene, ho capito piccioncini. Vi lascio finire le vostre zozzerie. Volevo solo avvisarti Cloe che partiamo fra 10 minuti. Ti voglio giù all'ingresso, e niente scuse. Saluta il ragazzo come si deve e poi raggiungici.- mi disse, alternandosi fra il ridere e l'ammiccare. Poi tornò serio e si rivolse a Peter
-Ragazzo, mi raccomando. Di qualunque cosa tu abbia bisogno, il mio numero ce l'hai. Ci vediamo presto.-
 Si salutarono con una stretta di mano fraterna ed io non potei fare a meno di intenerirmi; Peter era riuscito  ad entrare anche nel cuore di quello scorbutico.
Non appena quello sfrontato chiuse la porta, non dopo averci lanciato un'occhiata piena di significati, mi tuffai su Peter, baciandolo con una passione che non sapevo di possedere. 
Lui, dopo un'attimo di esitazione, rispose con altrettanta foga, portandomi a cavalcioni su di lui.
-Dio quanto mi piaci Cloe- mi sussurrò roco all'orecchio, mordicchiandomelo leggermente. Tanto bastò per mandare completamente in tilt il cervello. 
Totalmente in balia della follia più cieca, mi mossi su di lui, facendo aderire completamente il mio bacino al suo. Gememmo entrambi, completamente senza fiato e guidati da quella che sembrava follia allo stato puro.
Sembravamo davvero fuori controllo. Le sue mani scorrevano senza sosta sulla pelle nuda della mia schiena; il corpo ormai era irrefrenabilmente scosso da spasmi sempre più forti e violenti. Le mie mani erano saldamente ancorate a suoi capelli. Probabilmente gli stavo facendo male, ma lui non se ne stava lamentando. Anzi. Più io perdevo il controllo, più lui diventava passionale. 
Se Christopher non ci avesse interrotti prima...
CHRISTOPHER. 
Mi staccai controvoglia da Peter, quasi provando dolore fisico. Lui mi guardò stranito, gli occhi ancora lucidi per la foga di pochi minuti prima. Avevo davvero la tentazione di mandare tutto al diavolo e riprendere a baciarlo. 
-Devi andare vero?- mi chiese con voce bassa. 
''Non puoi tentarmi così'', avrei voluto dirgli.
-Si..-  risposi, abbassando il capo. Perchè mi sentivo così persa al solo pensiero di lasciarlo? 
-Ehi, guardami- Mi prese il mento fra le dita, e mi costrinse a guardarlo negli occhi.
-Ci vediamo domani, d'accordo? Non credere di liberarti di me così in fretta- mi disse lui, inchiodandomi sul posto con lo sguardo. 
''E chi ti lascia più'', avrei voluto dirgli
Annuii, incapace di formulare una singola parola. Mi sorrise, baciandomi dolcemente, quasi avesse paura a toccarmi. Davvero paradossale dopo aver passato parecchi minuti a giocare ad ''esplorando il corpo umano''.
Quando ci staccammo non mi accorsi nemmeno di essere già fuori dalla porta.
Scesi le scale con il cuore leggero e un sorriso enorme stampato in viso, visto il dolore ai muscoli facciali.
-Oh ce l'hai fatta ad arrivare. Pensavo di dover chiamare la polizia per denunciare la tua scomparsa- Ovviamente non poteva mancare il commento pungente del vecchio.
-Taci vecchio!- gli risposi stizzita, facendolo imbronciare come un moccioso
Caleb invece, ancora seduto sulle seggiole dell'entrata, se la rideva alle nostre spalle. Era bello vederlo rilassato in quel posto. Anzi, era bello vederlo rilassato e basta. Mi faceva felice saperlo stare bene. E in quegli occhi, in quel momento, lessi felicità.
Era strano; davvero strano. Ma ero troppo distratta per farci caso più di tanto. 
Dopo parecchie occhiatacce, minacce e risolini divertiti, riuscimmo finalmente ad entrare in macchina.
-Allora, ora com'è la situazione?- mi chiese cauto Chris. Sapevo a cosa si riferiva; voleva sapere che cosa eravamo io e Peter.
Sospirai. -Non ne ho idea- e davvero non lo sapevo. Ma ne avremmo parlato. Per il momento, però, volevo godermi quella nuova sensazione fino a consumarla. 
Con la testa fra le nuvole, non mi accorsi nemmeno della risposta di Chris. Continuai a guardare fuori dal finestrino, ripercorrendo con la mente tutto quello che era accaduto poco prima.
Quando sentii il telefono vibrare nella tasca, per poco non saltai sul sedile.
Non riuscivo a prenderlo, talmente mi sudavano le mani. Davvero una brutta fine stavo facendo.
Finalmente, dopo disperati tentativi e contorsioni varie, riuscii a prendere in mano il telefono, e ad aprire il messaggio arrivato
-Non vedo l'ora che arrivi il terzo round. Lo sapevi che non esiste due senza tre?- Oh si che lo sapevo. Desideravo quel ''terzo round'' più dell'aria; ma non poteva avere lui in mano le redini del gioco.
-No non lo sapevo... e poi chi dice che io lo voglia questo terzo round?- Brava Cloe! Non devi cedere.
-Dal fatto che non appena mi vedrai mi salterai addosso. E posso assicurarti che non vedo l'ora...- Dov'è che stiamo andando? A casa? No, perchè mi sembra di aver dimenticato i fazzoletti in ospedale.
Calma Cloe, ti sta solo provocando. Non puoi cedere. Tu devi riprendere il controllo.
-E' tutto da vedere caro il mio biondino..- 
-Mi piaci quando fai la difficile. In realtà mi piaci sempre.-
Colpo basso. Questo era davvero un colpo basso. Non sapevo davvero come rispondere.
Scrissi e cancellai la risposta almeno un centinaio di volte. Quando finalmente avevo trovato cosa scrivere, un rumore strano mi fece drizzare le orecchie. 
Il mio sesto senso mi grido di proteggermi, di proteggere Caleb e chiudere gli occhi. 
Ma io li alzai. Alzai gli occhi e quello che vidi mi fece gelare il sangue nelle vene.
Una macchina, infatti, aveva sbandato e veniva nella nostra direzione. Stavamo per scontrarci. 
Non sentii nulla. Ne il grido di Caleb, ne l'imprecazione di Christopher.. Nulla.
Tutto ciò che sentii furono solo i battiti impazziti del mio cuore.
Chiusi gli occhi, facendo scorrere nella mia mente i volti di tutte le persone che avevo amato.
Li avrei portati con me per sempre, custoditi nella parte più profonda della mia anima. 
Il colpo arrivò senza che nemmeno me ne rendessi conto. Tutto si fece confuso, strano..
E poi, solo il buio.

OK, calmi calmi calmi. Non disperatevi e soprattutto mettete via i forconi. C'è una spiegazione a tutto.
Partiamo dal primo punto: questo finale. Voglio dire fin da subito che nessuno dei protagonisti morirà in questo incidente. Abbiamo avuto abbastanza perdite, e non potrei mai uccidere uno dei miei personaggi. Non me lo perdonerei mai. Quindi tranquilli. Fate un respiro pronfondissimo, e deponete le armi
Secondo punto: FINALMENTE UN CAPITOLO. Beh, devo dire 
che non me lo aspettavo nemmeno io. Diciamo che mi è arrivato come un flash, e non sono riuscia a controllarmi. Mi è venuto fuori di getto. E in parte è merito vostro.
Terzo punto: i nostri piccioncini. Si, diciamo che in questo capitolo si sono lasciati prendere dalla foga. Ma che cavolo, sono giovani! Lasciamoli divertire! Almeno loro che possono! Poi voi non adorate quel vecchio scorbutico di Chris? Io semplicemente non posso fare a meno di amarlo. 
Quarto punto: la citazione. Come qualcuno avrà notato, ho inserito la citazione '' Sono le cose che amiamo di più, a distruggerci'' tratta dalla saga di Hunger games, che io amo con tutto il cuore. Non ho potuto fare a meno di inserire questo particolare. 
Quinto punto: i ringraziamenti. Voglio ringraziare tutte le persone che mi sono state vicine, che mi hanno scritto, rassicurata e incoraggiata. Senza di voi, io non avrei la forza di scrivere. Per tutto quello che fate per me, grazie. Grazie infinite davvero. A tutti quelli che leggono la mia storia, che recensiscono e che mi supportano. Grazie di tutto cuore. Ci vediamo senz'altro presto.
Fatemi sapere cosa ne pensate, se vi fa piacere. Io sono sempre felice di ascoltarvi e di leggere anche vostri consigli.
Vi voglio un mondo di bene. Grazie ancora. Koralblu

 

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


 Pov Cloe
Il dolore che penetra nelle mie ossa fa male. Tanto. E mi sta scoppiando dentro. 
Non sento nulla. Non vedo nulla. Non provo nulla. 
Mi sento come se fossi separata dal io corpo. Posso vedermi, stesa sulla barella, mentre mi trasportano in sala operatoria. Urgenza. Ecco l'unica parola che sono riuscita a comprendere da quando ho ripreso conoscenza. Sono un'urgenza. E' strano, tutto questo. E' davvero strano come in poche ore tutto possa trasformarsi così tanto. E' buffo come la vita mi metta sempre davanti il dolore. Forse me lo merito. Forse sono destinata a vivere nel dolore. 
Ma va bene. Va bene perchè me lo sono meritato. Perchè è colpa mia se loro sono morti. Perchè forse la vita mi sta facendo pagare la mia colpa. 
E va bene così. La morte non è un problema. Va bene; basta solo che questo dolore smetta. Che tutto questo dolore smetta di squarciarmi le ossa. Basta solo che tutto questo finisca.
 E forse sto per morire. Sto finalmente per morire. Forse posso finalmente rivederli. Rivedere la mia famiglia
La mia famiglia. 
E' come un lampo, mentre varie immagini appaiono nella mia mente, scomparendo subito dopo. I suoi occhi. I sui meravigliosi occhi verdi. Il bacio di poche ore prima. E poi lui. L'unica parte dei miei genitori che ancora mi è rimasta. Caleb. 
E tutto è troppo veloce. Nella mia mente, altre immagini irrompono, facendomi quasi saltare giù dal lettino su cui sono sdraiata. Caleb era in macchina con me. La luce, i sui occhi, il rumore, il ricordo.
E solo pensare che lui potrebbe...
-Signorina, la prego, stia ferma. Non può agitarsi. La prego, mi ascolti- continua a ripetermi il dottore, il viso segnato dalla preoccupazione.  Ma non lo faccio. Non lo ascolto e inizio a scalciare come una pazza. Forse lo sembro, lo sono, ma poco m'importa. Devo sapere come sta la mia famiglia.
-Dov'è? Lu..i, lor..o?- Provo a chiedere, la gola in fiamme per lo sforzo. Stento a riconoscere la mia voce, troppo e rauca e bassa. Fa paura. Sembra quella di un moribondo.
-Stanno bene. Stanno bene. Ma ora deve stare tranquilla. Deve...stare tranquilla- la sua voce è ormai lontana, mentre continua a parlare, ripetendomi di stare tranquilla e che tutto andrà per il meglio, come se fosse una cantilena. E mi lascio andare, chiudendo gli occhi, e immaginando che quelle parole siano sussurrate da un'altra voce.
Lo sento li con me. Sento Peter stringermi la mano e sussurrarmi che tutto andrà per il meglio, che c'è lui li con me. E gli credo. 
Ti credo, amore mio.. posso lasciarmi andare ora; ci sei tu con me.
  


POV PETER
Ho ancora questo maledettissimo sorriso sulla faccia. Non riesco a farlo andare via. Nemmeno le domande insistenti di mia madre riescono a farmi irritare.
-Tesoro della mamma, vuoi spiegarmi perchè sono dieci cazzo di minuti che continui a fissare il muro sorridendo come un cretino?-sbotta mia madre, incrociando le braccia sotto il seno.  La solita finezza della mia mammina. Sospiro, per l'ennesima volta da quando i miei genitori sono entrati in questa stanza, mezz'ora minuti fa.
-Cara, lascia stare il nostro ragazzo. Avrà adocchiato qualche bella infermiera- e dicendo ciò, si gira a farmi l'occhiolino. Ah il mio dolce paparino. Il mio salvagente in quella famiglia di pazzi scatenati. 
-Rob, ti prego di non immischiarti in queste conversazioni madre-figlio- dice mia madre, lanciando uno sguardo truce al mio povero paparino, totalmente sbiancato dopo l'occhiata raggelante di mia madre. 
-Più che conversazioni, sembrano interrogatori..- sussurra mio padre, coprendosi la bocca due istanti dopo essersi reso conto di ciò che ha appena detto. Ahia. L'ha fatta grossa il mio eroe. Urla in arrivo fra tre...due...uno...
-Puoi ripetere Robert Howne!?- Urla mia madre fuori di se.
-Ripetilo se hai il coraggio. Vediamo se vuoi rischiare di andare in bianco per due mesi..- sibila lei, guardando mio padre con aria di sfida. No. Non può averlo detto sul serio. Non davanti a me
-Mamma ti prego..- supplico, il volto rosso per l'imbarazzo, così come quello di mio padre. Siamo uguali io e lui.
-Posso eccome tesoro della mamma. Anzi ti dirò di più...-  fa una pausa, grattandosi il mento, un gesto che fa sempre quando sta per spararne una grossa. Una molto grossa - Potrei raccontarti come sei stato concepito, nel bagno del pub, dopo dei fantastici preli....-
-NATALIE!- urliamo all'unisono io e mio padre, completamente rossi dall' imbarazzo. Ma la mamma è così; senza peli sulla lingua. Mai. Non si è mai fatta problemi a raccontarmi di come nascessero i bambini, o di cosa fossero tutte quelle cose che più andavo avanti con l'età, più imparavo. E' stata lei a darmi dei consigli su come conquistare le ragazze, come comportami o cosa dire. E' stata una mamma speciale, completamente diversa da qualsiasi altra. Anzi, lo è tutt'ora. Neppure la morte di mio fratello l'ha cambiata. Nulla. Lei è stata la roccia della famiglia, la donna che ogni giorno mi buttava giù dal letto, anche se sapeva benissimo che non sarei potuto alzarmi. Mi urlava contro, dicendomi che dovevo reagire, vivere, e poi mi aiutava a rialzarmi, a lavarmi, a farmi forza; per sopravvivere. Sono sempre sopravvissuto per loro. Solo per loro. Ma ora ho un motivo per vivere. Un motivo che mi sta facendo sorridere come un coglione, mentre ripenso ancora al suo corpo sul mio, ai baci di poco prima. 
Un motivo che si chiama Cloe.
-Come siete pudici voi due.- sbuffa lei, alzando la mano come per scacciare una mosca -Siete adulti, eppure non volete sentire parlare di una cosa così comune come il ses...- Ma la frase di mia mamma viene interrotta da una porta che si spalanca, facendoci sobbalzare. 
Per un attimo, mi illudo che possa essere lei. Solo un'attimo, prima di scorgere gli occhi pieni di terrore di Christopher. Solo un'attimo, prima che il mio mondo crolli inesorabilmente. E solo un pensiero continua a rimbombare nella mia mente, urlando un nome che ora ho paura a pronunciare. Perchè ho capito il suo sguardo, ora riflesso del mio. Ho capito che le è successo qualcosa. 
Ma le parole restano incastrate in gola, mentre cerco di ricordare come si faccia a respirare. 
Inspira.
Espira.
Inspira.
Espira.
Ma non riesco. Tutto sembra incastrato in gola, mentre cerco di parlare, di chiedere ciò che non ho il coraggio di affrontare.
-Ragazzo..- inizia Christopher, gli occhi annebbiati dal dolore. E non credo di potercela fare. Crollerò. -Abbiamo avuto un'incidente. Una macchina..- si ferma, respirando forte, per darsi coraggio. Sto per crollare... - è venuta conto la nostra. Caleb sta bene, è al piano di sotto, in sala d'attesa per..- Un'altra pausa, un'altro respiro e una lacrima che scende. - Ha sbattuto la testa e un pezzo di vetro le ha perforato la spalla. La stanno operando e..- Questa volte un singhiozzo, seguito da altri, mentre il mio mondo sta attendendo la botta finale per crollare, sta volta per sempre. -E' grave. Non sanno se potrà farcela-
Ed eccolo. Ecco il ''crack'' finale. Ecco la mia anima che annega, definitivamente. 
Non ragiono. Non ragiono più. E il dolore inizia a dilaniarmi, a risalire dal profondo della mia anima e ad uccidermi dall'interno. Sto morendo insieme a lei..
E urlo. Urlo come un disperato, quasi non riconoscendo la mia voce da folle. E' acuta, stridula, rotta dal pianto che sembra ormai irrefrenabile. Sento il dolore continuare ad avvolgermi, stritolandomi in una morsa che spero mi uccida. Perchè se lei muore, io non avrò più alcun motivo per continuare a vivere. Se lei muore, io muoio con lei. 
Mia madre urla, cercando di sovrastare le mie grida, piangendo anche lei, cercando di tranquillizzarmi, di dirmi che andrà tutto bene. Nulla andrà bene! Nulla. Vorrei poterlo dire. Vorrei poter urlare qualcosa che non sia il suo nome. 
Se muore sarà colpa mia. Solo colpa mia. 
Perchè lei sta pagando le mie colpe. Lei sta pagando perchè io sono vivo, mentre Josh è morto. 
Vorrei poter morire con te amore mio. Si, lo farò. Se tu morirai io ti seguirò.
Non mi importa del dolore che causerò alla mia famiglia. Non importa. Il solo pensiero di una vita senza Cloe è impossibile. Ho deciso. Morirò, con te amore mio.
-Tenetelo fermo- ordina una voce che non riconosco, una figura che sembra solo un'ombra, annebbiata dalle mie lacrime. Sento due braccia bloccarmi, mentre continuo a muovermi come un pazzo furioso, senza smettere di urlare. No, no, no. Non capite. Lasciatemi morire. Lasciatemi andare da lei. 
"Lasciatemi andare da lei" penso, prima di cadere nel buio della mia anima
***
Quando mi risveglio, tutto è immerso in un silenzio tombale, soffocante. Risento ancora le mie grida, i miei pianti, il suo nome urlato con tutta la voce che avevo in corpo, rimbombare tra queste pareti. E vorrei fosse un incubo. Uno stupido, inutile incubo. 
Ma si. E' tutto un sogno. Ora mi sveglierò per davvero, e vedrò la mia Cloe entrare nella stanza, sorridermi dolcemente, per poi tuffarsi tra mie braccia. 
Si andrà così. Devo solo aspettare. 
E aspetto. Aspetto che la porta si apra, e che lei entri. Aspetto, e più i minuti passano, più la rabbia dentro di me cresce perchè lei non arriva. Che altro avrà da fare? Aveva promesso che sarebbe tornata. Mi mancano i suoi baci, il suo corpo sul mio, le sue mani nei miei capelli. Voglio tutto questo, sempre.
La porta si spalanca e il mio cuore perde un battito, perchè alla fine lei è venuta. E' venuta de me, è tornata. Ma non appena scorgo Caleb camminare verso il mio lettino, ecco il dolore che torna. La verità che mi ero negato che mi scuarcia in due. 
Lei non può venire. Lei sta morendo. 
Caleb si arrampica sul letto, senza smettere di puntare i suoi occhi nei miei. 
''Non guardarmi così Caleb. Non guardarmi''vorrei potergli dire, urlare. Perchè se lui mi guarda così, significa che tutto questo non è un'incubo. E' la realtà. Una realtà che non ha più senso.
Ma lui lo fa. Continua a guardarmi, il dolore che rende il nero dei suoi occhi buio, come la morte. Come la mia anima.
E non posso reggere. Non più. Non davanti a questi occhi così simili ai suoi, seppure completamente diversi. Vorrei piangere, singhiozzare, strapparmi via la pelle dal corpo, perchè brucia. Le scie che lei ha lasciato sul mio corpo bruciano come carboni ardenti. Ma è Caleb a precedemi, iniziando a piangere come un disperato e tuffandosi tra le mie braccia. Piange, urlando il nome che ho paura a pronunciare, per paura che scivoli via; via per sempre. 
E lui continua, per quelle che sembrano ore, senza smettere di stringere il mio camice, e staccarsi dal mio abbraccio. In questo momento sono la sua ancora. Sono il suo salvagente. Lui non ha nessun'altro. E questo pensiero, mi risveglia dalla sorta di trance in cui ero caduto.
Lui ha bisogno di me. Lei non vorrebbe vederlo così. Per questo motivo lo abbraccio. Lo stringo fortissimo, accarezzandogli i capelli, e cullandolo contro il mio petto. 
-Caleb, andrà tutto bene. Tutto bene.- gli sussurro nell'orecchio, cercando di tranquillizzarlo. Ma non ci crede. Come potrebbe, se nemmeno io credo a quello che dico? 
Cloe sta pagando i miei errori. E la vita riscuote sempre ciò che gli è dovuto. Sempre. Una vita, per una vita. Così funziona. Questo è la realtà. 
Ma non posso sopportare che sia toccato a lei. Che sia toccato a lei pagare questo prezzo. Non lo posso accettare. Non posso accettare una vita senza di lei. Non posso. 
Ma lui ora ha bisogno di me. Ha bisogno che sia forte io per lui stavolta. 
-Asciugati quelle lacrime ometto, lei non vorrebbe vederti così- provo a dirgli, cercando di staccare le sue bracine dal mio collo. Voglio vederlo in viso. Deve sapere che io non lo lascerò. -Tua sorella è testarda. Ce la farà. Se no chi farà arrabbiare Chris? Un Chris non arrabbiato non è più un Chris; e tua sorella si diverte immensamente a farlo arrabbiare.- Vedo Caleb fare una leggera risata, e il mio cuore si alleggerisce, almeno un po'. -Ci sono io con te. Non ti lascio- Gli dico, abbracciandolo di nuovo, sempre più forte.
-Mi aveva presso un gelato alla frutta. Il mio preferito! Me l'aveva promesso Peter!- inizia il bambino, alzando la voce. -Dobbiamo andare a fare la spesa, perchè ormai il frigo è vuoto. Dobbiamo pulire la mia stanza, perchè ho nascosto tutti i calzini puzzolenti sotto il letto, e lei non vuole. Si arrabbia sempre, Peter. E poi io devo fare i disegni per lei, per farla sorridere. Lei non può lasciarmi da solo Peter. Non può..- Ed ogni parola è una pugnalata al petto. Ogni parola è uno squarcio ancora più profondo nella mia anima. E piange, il bimbo stretto fra le mie braccia. Ricomincia a piangere disperato, invocando il nome della sorella, ripetendo che non può lasciarlo da solo.
No, Caleb. Non può. Non può lasciarci da soli. Perchè entrambi, se lei morisse, saremmo persi. Distrutti. 
Questo bambino ha perso tutto. Ha perso i suoi genitori, la sua casa, e adesso sta perdendo perfino la sorella, l'unica famiglia che ha. Non può perdere anche lei. Non può andarsene anche lei.
Ne morirebbe, così come ne morirei io.
Ma continuo a cullarlo, cercando di stringerlo a me più forte che posso. Inizio anche a cantare una vecchia ninna nanna, per farlo tranquillizzare

                                                                                                                                                                      Non piangere, non farlo sai
                                                                                                                                                                           Non sei solo, non lo sei più
                                                                                                                                                                          Sono qui, vicino a te
                                                                                                                                                                         Non me ne andrò, non lo farò mai
                                                                                                                                                                        Calmati, tesoro mio
                                                                                                                                                                       Non posso sentirti così
                                                                                                                                                                      Sono qui, vicino a te
                                                                                                                                                                     Non me ne andrò, non lo farò mai

Mentre finisco la canzone, sento il respiro di Caleb regolarizzarsi. Lo stacco dolcemente da me, riponendolo al mio fianco, e sistemando meglio la coperta sul suo corpicino. Gli accarezzo i capelli, sorridendo nel vedere che questo gesto lo rilassa. Lo sento, mentre respira più dolcemente, quasi cullato da questo tocco. 
E lo sento. Sento un piccolo calore invadere il mio corpo, ma solo per un attimo. Tutto il dolore che risiede nel mio corpo lo soffoca all'istante, quasi incenerendolo. Ma l'ho sentito. Ho sentito quello strano calore, così differente da quello che provo per qualsiasi altra persona. Un'amore diverso, nuovo..quasi, paterno. Tolgo la mano dalla chioma di Caleb, posizionandola lungo il mio fianco. Voglio bene a questo bambino: gliene ho voluto dal primo momento che l'ho incrociato. E lo proteggerò, a qualunque costo. 
Sento la porta aprirsi, mentre sono ancora immerso nel mio mondo di dolore. Lasciatemi morire così..
Scorgo gli occhi di Chris scrutare la stanza, e fare un sospiro di sollievo, osservando il bimbo sdraiato vicino a me.
-Non riuscivo più a trovarlo. Ero preoccupato; ho corso per tutto l'ospedale, ma in qualche modo sapevo che era qui.- Non rispondo nulla all'uomo di fronte a me. Poso lo sguardo sul soffitto, cercando in qualche modo di non lasciarmi scivolare via . Devo proteggere il bambino.
-Come stai ragazzo?- mi chiede esitante. Sa, come mi sento. Lo può vedere benissimo nei miei occhi, ormai specchio del dolore che mi dilania dentro. 
Non rispondo, perchè farlo comporterebbe tirare fuori la rabbia, per un destino che è ingiusto. Un destino che si sta portando via la persona sbagliata. Ma non posso prendermela con Christopher. Lui non c'entra  nulla. Non ha fatto nulla, lui.
E' solo colpa mia; solamente colpa mia.
-Ragazzo..- mi richiama Chris, l'urgenza che trapela dalla sua voce. -E' uscita dalla sala operatoria. E' viva- 
Viva. Viva. Viva. Le mie orecchie registrano solamente questa parola.
La mia Cloe, viva. 
Non posso fermare le lacrime che iniziano a scendere dai miei occhi. Non riesco a frenare il battito del cuore che sembra impazzito. 
Lei è viva. E io la amo. 
E' viva e io la amo. 
Sento il dolore che ho dentro assopirsi a poco a poco, sparendo lentamente. 
E' viva. Solo questo importa.
-Ragazzo..- mi richiama lui, guardandomi intensamente negli occhi. -E' in coma-
E' viva. Ed è in coma. 
E io voglio solo morire.

Fa male. Fa davvero molto male scrivere questo capitolo. Perchè c'è dolore. E rabbia. Un mix micidiale.
Vi prego, non uccidetemi per questo capito. E' stato difficile, molto. E purtroppo ha richiesto tempo, che la scuola mi ha negato. Sono riuscita a pubblicarlo solo oggi. 
Beh, cosa dire. Io ho i brividi. Ho avuto i brividi quando ho scritto lo stato d'animo di Peter, e ancora nella scena di Peter e Caleb. Non credo ci siamo parole per esprimere tutto questo. Io non le trovo. 
Ma state tranquilli. Cloe non morirà. La sua vita è ancora troppo lunga, e poi deve comprare il gelato a Caleb.
Passiamo all'unica nota divertente nel capitolo u.u

Finalmente conosciamo la famiglia di Peter! E che famiglia. Nemmeno tutta al completo. E chi, come me, vorrebbe una mamma come quella di Peter alzi la mano. 
Credo ci riserveranno tantissime sorprese.

E vi ringrazio. Vi ringrazio per aver atteso, pazienti. Per le recensioni e per aver seguito, e letto questa storia, che va avanti solo per voi. 
Spero davvero che questo capitolo vi sia piaciuto. 
Aggiornerò al più presto, ora che le verifiche sono diminuite; non temete, non mi fermeranno! Un grosso bacio a tutti. A presto! <3
 

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