Se questo fosse il nostro cielo...

di Li_chan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Incontro d'Autunno ***
Capitolo 2: *** Riflessi ***



Capitolo 1
*** Incontro d'Autunno ***


Se questo fosse il nostro Cielo


Capitolo I


Incontro d’Autunno


Ginevra alzò una mano, nell’abituale gesto di scostarsi una ciocca di capelli fulvi dal viso e di sistemarli dietro l’orecchio. Alzò gli occhi al cielo: nelle sue iridi si rifletté la maestosa magnificenza della volta celeste, quel giorno perfettamente sgombro da ogni nuvola. Un impercettibile sorriso le aleggiò per un momento sulle belle labbra, e si strinse maggiormente i libri al petto.
Le piaceva fermarsi a osservare l’immensa cupola che sovrastava l’umanità intera, assistendo giorno dopo giorno al dispiegarsi degli anni e dei secoli, sempre uguale, eppur diversa, a se stessa. Trovava un che di consolante nel pensiero che il cielo c’era da sempre e che ci sarebbe stato sempre, immobile ma non immoto, pacato eppur tempestoso, e che ad ogni alba accogliesse nelle sue vesti millenarie la promessa di un nuovo giorno. Attentamente, ne seguiva ogni impercettibile movimento, le buffe figure che le nuvole sapevano disegnare sul suo manto, il variare delle sue tonalità dal celeste chiaro, all’azzurro cupo, all’indaco, il sole e le stelle che si alternavano alla sua corte come menestrelli davanti all’egemonia dell’imperatore.
Aveva preso la singolare abitudine di guardare il cielo, passando dieci minuti con il naso per aria e provocando la curiosità dei passanti, che l’additavano stupiti, durante l’ora di pausa per il pranzo.
Era l’unico momento della giornata in cui poteva stare da sola, con l’unica compagnia dei suoi pensieri. Il corso come Guaritrice Tirocinante al San Mungo la teneva occupata tutta la giornata, dalle otto di mattina alle sei di sera, per dieci ore cumulative, e casa sua sembrava ospitare più fratelli di quanti ne riuscisse in realtà a contenere!
Bill aveva infine deciso di non lavorare più in Egitto, la sede londinese della Gringott gli aveva offerto un eccellente posto di lavoro come Spezzaincantesimi in capo della sezione “Fortune & Tesori”, che comportava per lui la possibilità di continuare ad esplorare gli angoli più angusti del pianeta, oltre che uno stipendio notevolmente maggiorato. E ovviamente la vicinanza continua della bella Fleurs, stabilitasi almeno per qualche anno a Londra per studiare come interprete alla “Scuola Internazionale per le Amichevoli Relazioni nel Mondo Magico”, con la quale faceva ormai coppia fissa... una gran bella coppia, in tutta onestà.
Charlie era in riposo forzato dalla Bulgaria e dai suoi amati Draghi -Ginny non avrebbe mai capito come si potesse avere una tale passione per quei mastodontici e poco simpatici animali- in quanto Connor, un esemplare di Dorsorugoso Norvegese, aveva cercato di schiacciarlo con una poderosa zampata, e non contento gli aveva anche rivolto contro una rovinosa vampata, che per poco non si era rivelata letale. Sua madre aveva quasi avuto un infarto quando i colleghi di Charlie avevano telefonato a casa, e adesso suo fratello era in malattia per tre mesi a causa di una gamba rotta e diverse ustioni di primo e secondo grado sulle braccia e il tronco, che lo costringevano a prendere ogni giorno almeno cinque pozioni diverse, ma che non avevano scalfito il sorriso sul suo volto, la sua proverbiale allegria e il suo sincero amore per tutti gli animali... Draghi compresi.
Con il ritorno dei due maggiori, la Tana sembrava ancora più piccola, dato che i suoi sei fratelli sembravano riempirla interamente.
Ginny distolse a malincuore lo sguardo dal cielo, e sbuffando attraversò la strada, stringendosi maggiormente addosso cappotto e sciarpa di lana. Era una giornata stranamente fredda; era autunno inoltrato, ma le temperature erano decisamente invernali. Tuttavia a Ginny non dispiaceva, perché il vento aveva spazzato via tutte le nuvole e il cielo era terso e brillante. Mentre la borsa di tela le dondolava su un fianco, varcò i cancelli del parco che si trovava davanti al San Mungo, e nel quale aveva preso l’abitudine di trascorrere l’ora del pranzo. Addentava sommariamente un panino e disintossicava mente e membra dalla frenesia dell’ospedale, snobbando così la mensa dei tirocinanti, che, oltre a servire del cibo pessimo, era anche immersa in un alone di fumo e tanfo di pesce fritto; c’era stata una volta, ma era stata costretta a scappare dopo appena cinque minuti.
Il parco le offriva all’ombra degli alberi la tanto agognata serenità, con lo stormire delle foglie mosse dal vento, con i passi dei visitatori attutiti dalla ghiaia del selciato, con le urla entusiaste dei bimbi che giocavano. Aveva perfino una “sua” panchina, sotto la lussureggiante fronda di un’imponente quercia nel cuore del parco, in una posizione sufficientemente isolata da permettere il lento fluire dei suoi pensieri e al tempo stesso abbastanza centrale da permetterle una visuale completa dei dintorni.
Camminò lentamente, mentre il vento autunnale si divertiva a giocare con le fluenti ciocche che sfuggivano dispettosamente dal capellino di lana, i passi leggeri sull’acciottolato quasi annullati dal continuo sibilare delle raffiche. Aveva le gote e le labbra scarlatte per il freddo quando scorse il suo punto preferito e si lasciò cadere sopra la panchina, non curandosi di levarsi la borsa a tracolla.
Quel giorno c’era una novità: era già occupata. Di solito il parco era semivuoto: solo qualche mamma svagata con i suoi bambini e alcuni pensionati che si erano appisolati al sole si attardavano all’interno dei cancelli, vista l’ora; ma quella mattina un uomo, che stringeva tra le mani un grosso bastone nodoso, aveva scelto proprio quel punto dove sedersi. Per niente infastidita dal dover condividere il suo posto favorito con uno sconosciuto, estrasse dalla borsa la focaccia preconfezionata che aveva acquistato pochi minuti prima allo spaccio del San Mungo e gli sorrise amichevolmente. Le parve che l’uomo sussultasse impercettibilmente, incontrando distrattamente il suo sguardo; ma non diede peso a quella buffa sensazione, dato che egli abbassò quasi subito gli occhi, tornando a scrutare con insolita attenzione qualche punto imprecisato davanti a sé con i piccoli occhi scuri. Ginny scosse la testa e addentò con appetito il panino, giocando distrattamente con la ghiaia del sentiero con un piede, calzati da robusti anfibi di pelle di Drago. Il vento di ponente le scompigliava i capelli, intrecciandoli con rametti secchi e fogliame brunito. D’un tratto sentì una mano sfiorarle l’orecchio con delicatezza ed estrarre una foglia saldamente aggrappata alle belle ciocche fulve.
« Grazie» disse un po’ sorpresa, voltandosi ad osservare lo sconosciuto, il quale abbassò lo sguardo, rifuggendo il suo, ancora una volta.
Era un uomo di circa sessanta anni, di corporatura robusta ma non pesante, vistosi baffi grigi che spiccavano sul viso dalla carnagione olivastra e una fitta ragnatela di rughe attorno agli occhi scuri, ancora vividi e brillanti. Vestiva sobriamente di un completo grigio di tweed, un lungo cappotto nero di lana, una sciarpa scura e un cappello a tesa larga che lo riparavano dal freddo pungente, mentre le mani, lasciate scoperte, stringevano saldamente l’impugnatura di un bastone di legno massiccio, forse noce, e apparivano forti e vigorose, nonostante i segni dell’età. C’era qualcosa in lui che la incuriosiva, una sorta d’energia inespressa in quel corpo scalfito dal peso degli anni, che trovava una via d’uscita nella vivacità dello sguardo e nella presa sicura delle mani.
Ginny si scansò un ciuffo di capelli dal viso e gli rivolse un sorriso affabile.
« E’ la prima volta che viene qui?» chiese, tornando a concentrarsi sulla focaccia, ma osservando il suo taciturno compagno con la coda dell’occhio.
Egli sussultò, rivolgendole una fuggevole occhiata, ma tornando subito a scrutare fisso davanti a sé con espressione accigliata. Ginny sorrise tra sé e sé, notando che le folte sopracciglia grigie dell’uomo quasi si toccavano, manifestando apertamente il suo disappunto per essere stato scosso dalle sue meditazioni.
« No, non è la prima volta che vengo qui» mormorò a denti stretti, dopo qualche attimo di silenzio imbarazzato. « Qualche anno fa abitavo nelle vicinanze.»
Ginny ingollò frettolosamente un boccone, e replicò:
« E’ da molto tempo che non veniva? Io trascorro qua la mia pausa pranzo quasi tutti i giorni, e ho imparato a conoscere di vista i frequentatori abituali del parco.»
L’uomo scosse la testa in segno affermativo.
« Era un po’ che non passavo da queste parti. Sono stato lontano per qualche tempo.»
Improvvisamente l’uomo si voltò e la scrutò in volto; sembrava seccato.
« Ma perché perdo tempo a parlare con una ragazzina, poi? E le racconto anche fatti personali!» brontolò, rivolto più a se stesso che a lei.
« Oh, se è questo che la preoccupa, non me ne farei un cruccio, al posto suo» rispose Ginny allegramente, terminando il suo panino e pulendosi le dita con un fazzoletto di carta.
Le parole sgarbate dello sconosciuto non l’avevano infastidita, né tantomeno offesa. Era abituata ad avere a che fare con persone bisbetiche, il suo lavoro richiedeva una notevole dose di pazienza e ironia. Inoltre l’essere cresciuta con ben sei fratelli maggiori l’aveva preservata dal diventare una ragazza suscettibile, e avere passato parte della sua vita a contatto con una persona ombrosa e chiusa in se stessa, facile alle reazioni eccessive e agli attacchi di rabbia - del tutto giustificati, almeno secondo lei - l’aveva resa per contrasto ancora più solare e allegra. Lo doveva essere, e capiva perfettamente i suoi fratelli Fred e George, che avevano continuato ad inventare scherzi sempre più elaborati anche durante i giorni più cruenti della Seconda Guerra.
« Come, scusa?» le domandò l’uomo, la sorpresa palese nella voce.
Ginny sorrise, mentre afferrava una bottiglietta d’acqua dalla borsa.
« Ho ventun anni, non sono più una ragazzina. E dicono che il confidarsi con uno sconosciuto spesso sia più facile che con un membro della propria famiglia. Forse perché, non conoscendo, non può nemmeno giudicare.»
Lo sconosciuto non rispose; pareva costernato dalle sue parole. Il suo sguardo tornò a fissarsi in lontananza, ma il silenzio che interpose nuovamente tra loro non aveva più traccia d’imbarazzo.
Ginny bevve a piccoli sorsi, e richiuse la bottiglietta, sistemandola poi dentro la borsa; e fu sorpresa quando vide una robusta mano nodosa tendersi verso di lei.
« Mi chiamo... William Grant» disse l’uomo, con fare brusco ma cordiale.
Ginny tese la mano piccola e bianca, che parve quasi sparire nella stretta vigorosa di lui, e rispose, con un sorriso sereno:
« Ginevra... Ginevra Weasley.»
« Ginevra... Un bellissimo nome, ricco di storia e di fascino.
Conoscevo una Ginevra, tanti anni fa, ormai... Una ragazza deliziosa. La chiamavamo tutti Ginny.»
Sulle labbra piene della ragazza comparve un sorriso appena accennato.
« La mia famiglia e i miei amici mi chiamano tutti così» confermò.
Subito dopo aggiunse, con una risatina fanciullesca che colpì molto l’uomo:
« Scommetto che la Ginevra che conosceva lei non aveva i capelli rossi! Non sono adatti ad una regina!*»
« E invece si sbaglia!» replicò l’uomo, piegando le labbra in un sorriso quasi impercettibile, il primo che Ginny gli vedeva sul volto. « Aveva una cascata di bellissimi capelli rosso fiamma, e lo sguardo fiero di una vera regina.»
Nel volto della ragazza comparve un’espressione intenerita.
« Le doveva volere molto bene. Ne parla con una tale dolcezza nella voce...»
William parve rabbuiarsi; scelse accuratamente le parole prima di rispondere, e quando parlò la sua voce risuonò appena incrinata.
« Sì, le volevo molto bene... Era una ragazza straordinaria, sotto molti punti di vista.»
Ginny appoggiò la schiena alla panchina, stringendosi maggiormente addosso il cappotto, e tacque. Parve riflettere per qualche istante; quando tornò a guardare William, lui aveva ripreso a fissare un punto indefinito davanti a sé, con un’espressione seria e concentrata nel viso brunito. Scosse lievemente il capo, rinunciando a rivolgergli la domanda che le era salita spontaneamente alle labbra. Con un piccolo salto si rimise in piedi, sistemandosi sulla spalla la borsa di tela. Con un sorriso dolce che le rischiarò il volto, facendola sembrare più piccola dei suoi ventuno anni, tese una mano verso il suo compagno in segno di congedo.
« Arrivederci, William. La mia pausa pranzo è finita, e devo tornare al lavoro. E’ stato un piacere conoscerla... Spero di rivederla. Dico sul serio!»
William le strinse con energica cordialità la mano che gli porgeva, e le sorrise di rimando... Un vero, caldo, sorriso gentile.
« Il piacere è stato mio, mi creda. E scusi per i miei modi sgarbati... Sono solo un vecchio brontolone! Arrivederci, Ginevra.»
Con un ultimo, caloroso sorriso e un cenno della mano, Ginny si voltò, incamminandosi verso l’uscita del parco. William rimase solo, seguendo con lo sguardo la figuretta che si allontanava lentamente, le belle ciocche fulve agitate dal vento.
« Ginny...» mormorò. « Ginny...»

Era stata una giornata estenuante. Al San Mungo si erano verificati diversi casi di avvelenamento da Aconito durante il ricevimento di un matrimonio, e circa la metà degli invitati erano stati ricoverati con le pupille che sembravano piattini da tè e un inconsulto tremore in tutto il corpo. Tutti i tirocinanti erano stati richiamati ad assistere e dare una mano ai Guaritori che si affannavano con coperte e pozioni, stretti tra i gemiti dei pazienti e le veementi richieste di notizie dei loro parenti, che pigiavano contro la porta dell’accettazione minacciando di farla saltare, tanto che si era dovuto ricorrere alle minacce di incantesimi Pastoia TotalBody su larga scala per placarli un po’. Inoltre, dopo aver prestato le prime cure agli intossicati in mezzo a quel marasma di urla e accuse reciproche, sia guaritori che tirocinanti si erano dovuti trattenere ben oltre la scadenza del turno per rassicurare i parenti inferociti e rispondere alle domande specifiche degli Auror assegnati al caso, uno degli episodi di avvelenamento collettivo più consistenti da duecento anni a quella parte.
In poche parole... Una serata infernale. Erano passate le due di notte da poco più di cinque minuti quando Ginny mise piede nel salotto della Tana, scrollandosi dalle spalle e dal cappotto i residui della Polvere Volante. La casa era immersa nel sonno, si sentivano solamente i borbottii del fantasma della soffitta, che giungevano ovattati attraverso le scale. Ginny sospirò di sollievo nel non scorgere la madre che l’attendeva alzata, vigile e inquieta, come durante il primo anno del tirocinio, quando l’aspettava in piedi ogni volta che era trattenuta al San Mungo per un’emergenza. Con il tempo, era riuscita a convincere l’indomabile Molly Weasley che non era necessario fare le ore piccole e rinunciare al meritato riposo per prepararle l’abituale latte caldo, che aveva preso la consuetudine di bere ogni volta che era costretta a rientrare a tarda notte, specialmente nei giorni particolarmente freddi, quale era stato quello appena trascorso.
Era stremata, sentiva la stanchezza pesarle sulle spalle come un poltergeist dispettoso, e non riusciva a tenere gli occhi aperti; ma non avrebbe rinunciato al suo amato latte caldo, che le avrebbe ristorato le membra intirizzite e conciliato un sonno sereno.
Estrasse dalla tasca la sua bacchetta, e mormorò: « Lumos!»
La punta della bacchetta s’illuminò, ferendo l’oscurità e consentendole di vedere; si diresse cautamente verso la cucina, facendo attenzione a non provocare il minimo rumore, dato il sonno leggero di sua madre. Invece i suoi fratelli... Oh, loro non li avrebbe tirati giù dal letto nemmeno il terremoto!
Varcò la soglia della cucina, sempre tenendo davanti a sé la bacchetta. Era immersa nell’usuale ordine marca Molly Weasley, ma a Ginny bastò qualche passo per rendersi conto che qualcosa non andava.
C’era una sagoma scura davanti alla credenza... e stava rovistando con malagrazia nello stipo più alto. La reazione di Ginny fu fulminea.
« Expelliarmus!» gridò, afferrando al volo la bacchetta che era schizzata via dalle mani del malfattore.
Approfittò quindi dell’attimo di smarrimento del figuro per scagliarglisi addosso, colpendolo alla mandibola con un pugno; quello andò a sbattere di spalle contro la credenza, provocando un intenso fracasso di cristalleria, e Ginny lo fece cadere con un abile sgambetto. Si chinò infine sopra di lui, facendogli aderire le braccia al tronco con la forza delle gambe, e, puntandogli la bacchetta alla gola, sibilò:
« Cosa ci fai in casa mia? Cosa stai cercando?»
Improvvisamente le luci si accesero, e Ginny si voltò d’istinto.
Ron comparve sulla soglia della stanza, trafelato e con i capelli in disordine; dietro di lui fece capolino Molly, con una vestaglia rossa sopra la camicia da notte, e Bill, a petto nudo: tutti e tre levavano la bacchetta.
« Cosa diavolo sta succedendo, Gin?» domandò Bill, guardando stupefatto la sorella.
« Ho trovato questo farabutto che rovistava in cucina» spiegò lei, stringendo le ginocchia e strappando al suo ostaggio un gemito di dolore.
« Mio Dio! Lascialo andare, Ginny!» mugolò Molly, sconcertata.
« Mamma...? Cos...»
« Ginny, ma sei forse impazzita?» ruggì Ron, accostandolesi.
Sembrava furioso, e si chinò affianco a lei, lanciandole uno sguardo di fuoco.
« Tutto bene?» domandò... ma non era rivolto a lei.
Con un pessimo presentimento, Ginny abbassò gli occhi, fino ad incontrare quelli della persona sotto di lei. Le sembrò quasi che il sangue smettesse di fluire all’interno del suo corpo, e impallidì vistosamente. La bacchetta le scivolò via dalle dita, rotolando sul pavimento.
Era Harry.
« Ciao, Ginny» disse Harry, con un sorriso sulle labbra, nonostante il suo pugno gli avesse spaccato il labbro e un rivolo di sangue gli scivolasse lungo il mento.
« Potresti farmi alzare? ... Grazie.»
La sonora risata di Bill riecheggiò nella sala, e dovette poggiarsi allo stipite della porta per non cadere.


FINE PRIMO CAPITOLO.


* Ovviamente Ginny si riferisce alla sua omonima Ginevra, moglie di re Artù e regina di Camelot.

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Capitolo 2
*** Riflessi ***


Capitolo II

Riflessi

« Sensazionale! E’ stato memorabile!» ridacchiò Bill, prima di lanciarsi nel resoconto dell’accaduto a beneficio di Charlie, Percy e dei gemelli Fred e George.
Erano tutti seduti attorno al tavolo della cucina della Tana, tranne Molly, che armeggiava attorno ai fornelli per preparare il tè, con un sorriso indulgente e insieme divertito sulle labbra.
Percy aveva incrociato le braccia in segno di disapprovazione per essere stato svegliato a quell’ora inconsueta, però non riusciva a nascondere, sotto tutto il suo sussiego, una piega ironica delle labbra, e ascoltava con attenzione le parole del fratello, mentre Fred e George pendevano letteralmente dalle labbra di Bill; l’interesse che accendeva loro lo sguardo era pari solo al rammarico di non avere assistito in prima persona a quanto accaduto solo pochi minuti prima nella cucina.
Anche Charlie, seduto a capotavola, le stampelle poggiate accanto, ascoltava partecipe, e di quando in quando lanciava occhiatine maliziose all’altro capo della tavola, in direzione di Ron, Ginny e Harry, impegnati in una conversazione a tre piuttosto concitata. Ron appariva seccato, e guardava Ginny con sguardo accigliato; lei a sua volta era mortificata, il volto arrossato per la vergogna e la costernazione, e medicava il labbro di Harry non osando alzare gli occhi ad incontrare quelli di lui. Dal canto suo Harry era sereno, e sorrideva cercando di rincuorare Ginny... Peccato che lei, vinta dalla desolazione, non osasse guardarlo in faccia.
« Vorrei solo sapere cosa ti è saltato in mente!» sbraitò Ron, passandosi una mano sul volto in un gesto esasperato. « Poteva essere Fred, o io... o la mamma, accidenti! Avresti preso a pugni anche lei?! Pensare ad un ladro, con tutti gli incantesimi di protezione che abbiamo messo sulla casa! Potevi almeno sincerarti di chi fosse prima di scagliarti addosso a Harry!»
Il viso di Ginny assunse la stessa tonalità di colore dei suoi capelli.
« Ecco... Non ci ho pensato... Sapevo che voi tutti eravate a dormire e che papà avrebbe passato la notte al lavoro, e a tutto potevo pensare tranne che trovare Harry in cucina...» mormorò piano.
La sua mano tremò impercettibilmente mentre finiva di passare sul labbro gonfio di Harry un batuffolo intriso di Purvincolo, ed lui se ne accorse.
« Ha ragione lei, Ron» intervenne, rivolgendole un caldo e rassicurante sorriso... che Ginny non notò.
« Non poteva sapere che avrei dormito qui da voi. Non può essere biasimata per aver pensato di trovarsi di fronte un ladro.. o peggio!»
« Hai ragione! E infatti non sono arrabbiato con lei per questo... Ma per la sua assurda impulsività!»
« Andiamo Ron, ora stai esagerando!»
Il tono di Harry si era fatto improvvisamente serio.
« Non mi risulta che tu sia mai stato un modello di razionalità e autocontrollo... nemmeno io del resto! E’ Hermione quella pacata e assennata! E non ci ha mai fatto una ramanzina nemmeno lontanamente paragonabile alla geremiade che stai facendo tu adesso! Quindi, per favore, piantala qui!»
Ron gli rivolse uno sguardo furibondo.
« E così io starei facendo una geremiade, eh?» sibilò contro Harry.
« Esattamente... E anche di quelle memorabili!» replicò Harry, con un tono di voce altrettanto duro.
Ron fece per parlare, ma Ginny lo anticipò.
« Finitela, tutti e due! Ci manca solo che vi mettiate a litigare! Harry...»
Gli occhi vellutati di Ginny incontrarono timidamente quelli del ragazzo.
« Mi dispiace veramente tanto, sono mortificata... Ron ha ragione, avrei dovuto fare più attenzione...»
Charlie decise di darle una mano. Era troppo deprimente vederla così abbattuta... Proprio lei, sempre allegra e dalla vitalità incontenibile! In fondo era la sua unica, amatissima sorellina, e non nascondeva di avere per lei un affetto tutto speciale.
« Ehi, Harry!» lo chiamò.
Subito il ragazzo si voltò verso di lui, e anche Ron e Ginny lo guardarono, incuriositi.
« Doveva essere stato un gran bel diretto, se ti ha messo al tappeto così facilmente... D’accordo che ti ha preso di sorpresa, però come scusa mi sembra un po’ labile, no?»
Harry rise, e la sua risata sembrò riempire la stanza. Le labbra di Ginny si piegarono in un sorriso involontario, mentre Ron guardava costernato sia il fratello che il suo migliore amico.
« Tua sorella non ti ha mai rotto il naso, eh Charlie?» ridacchiò Harry.
Ginny arrossì furiosamente, e quando parlò la sua voce risuonò più alta del normale di almeno un’ottava.
« Harry!»
« Oh andiamo Gin, non c’è niente di cui vergognarsi!» intervenne Charlie, conciliante. « Guarda che riuscire a mettere K.O. un Auror è un’impresa degna di nota!»
« Specialmente poi se quest’Auror è Harry Potter!» puntualizzò Ron, che iniziava a vedere il lato divertente della vicenda.
« Ehi! Ginny non mi ha messo K.O.! » cercò di difendersi Harry, punto sul vivo. « Si può dire che stessi dormendo in piedi, e non ho avuto modo di reagire!»
« Valla a raccontare ad un altro, Potter!» sogghignò Ron. « Sappiamo tutti benissimo che l’addestramento vi prepara ad essere sempre vigili e sul chi va là, ventiquattro ore su ventiquattro! E che l’esame Velocità e Riflessi è uno dei fondamentali! Ah, quando lo saprà Hermione...!»
Harry sbuffò, indignato, mentre gli altri due erano scossi da un risolino irrefrenabile.
« Ora stai fermo, Harry, per favore» disse piano Ginny. « E voi due smettetela di ridere!»
Con un leggero tocco di bacchetta la lacerazione sul labbro di Harry si cicatrizzò perfettamente, ma il gonfiore non si attenuò.
« Ecco fatto, ora sei a posto!» affermò, con un’aria molto professionale, scegliendo con cura una pozione dai riflessi ambrati nella valigetta del Pronto Soccorso Magico. Gliela porse con un sorriso dolce.
« Metti questa due volte al giorno... Vedrai che tempo tre giorni la tumefazione si riassorbirà completamente!»
Parve riflettere qualche istante, quindi aggiunse, quasi in un sussurro:
« Scusami ancora, Harry.»
Harry le sorrise con dolcezza... e questa volta Ginny poté ben vedere il calore del suo sorriso.
« Tranquilla, Ginny... Non è successo niente di grave, dopotutto!» la rassicurò lui.
« Ecco qua, ragazzi!» esclamò Molly, posando sul tavolo un grosso vassoio carico di tazze. « Il tuo latte caldo, Ginny cara... Ron... Harry... Charlie!»
« Grazie mamma» rispose Ginny, lasciandosi cadere con un lieve sospiro sulla sedia accanto a Harry.
Lanciò un’occhiata distratta all’orologio della cucina, le cui lancette erano puntate ostinatamente su “è ora di andare a dormire”. Le palpebre le si facevano sempre più pesanti, e appoggiò pigramente la fronte sulla mano, mentre sorseggiava piano il suo latte caldo... che mai come in quella sera sentiva di meritare.
« Sei stanca, Ginny?» le domandò gentilmente Charlie.
« Stanca non è la parola giusta... Direi che esausta calza decisamente meglio!»
Soffocò uno sbadiglio e si stiracchiò come un gatto, allungando le membra indolenzite.
« Finisci il tuo latte, tesoro, e vai a dormire... E questo vale anche per voi! Tra dieci minuti non voglio sentire volare una mosca in questa casa, intesi?! Buonanotte!» intimò perentoriamente Molly, prima di lasciare la stanza e dirigersi verso le scale.
« Uff... Non perderà mai il vizio di trattarci tutti come poppanti, compreso papà!» sbuffò Ron, scostandosi dagli occhi un ciuffo di capelli e sporgendosi leggermente sulla tavola.
« Passano gli anni... Ma certe cose non cambiano proprio mai!» ridacchiò Harry, accostandosi la tazza alle labbra e bevendo un lungo sorso di tè.
Ginny intercettò il suo sguardo, e sorrise, abbassando immediatamente gli occhi.

Già... Certe cose non cambiano proprio mai...

Terminò velocemente il suo latte, e si alzò in piedi, portando la tazza al lavello.
« Beh, ragazzi, vado a dormire... Buonanotte a tutti!»
Varcò la soglia della cucina e attraversò il soggiorno, imboccando infine le scale.
Era stata una serata incredibile. Prima il San Mungo in subbuglio, poi quel trambusto in cucina... Non poteva quasi credere di aver tirato un pugno a Harry! E dire che c’erano stati tempi in cui non riusciva nemmeno a parlare in sua presenza... Da un estremo all’altro!
Quasi senza rendersene conto sbuffò, contrariata, sciogliendo con gesto deciso la coda che le legava i capelli, sciogliendoli sulle spalle.
« Qualcosa non va?» domandò una voce dietro di lei.
Si voltò e vide Harry fermo all’inizio delle scale, una mano poggiata sul corrimano, che la fissava con aria interrogativa.
« No, tutto ok!» rispose Ginny, con un sorriso.
Harry salì i gradini a due a due, e dopo pochi secondi le si affiancò.
« Uff... E’ stata una giornata estenuante!» riprese lei, passandosi una mano dietro il collo in un veloce massaggio. « Non vedo l’ora di infilarmi sotto le coperte e tirarmele su fin sotto il naso!»
Lanciò un’occhiata veloce al ragazzo che le camminava affianco... Erano già arrivati al primo piano, e avevano appena imboccato lo stretto corridoio che li avrebbe portati alla seconda rampa di scale.
« Piuttosto, Harry» esordì, giocherellando distrattamente con il ciondolo che portava al collo. « Non mi hai ancora detto come mai sei qui... Ron mi ha detto giusto ieri che sei molto impegnato con il tuo lavoro!»
« Hai ragione, Ginny» replicò serenamente Harry, iniziando a salire le scale che li avrebbero portati al secondo piano. « Ma oggi il mio turno finiva alle sei... E così ho pensato di fare un salto a trovare Ron! E tua madre ha insistito perché rimanessi a dormire qui!»
« Già... La mamma ha sempre avuto un debole per te, Harry.... » osservò Ginny, pensosa. « Ti considera come un ottavo figlio... Credo che se potesse ti adotterebbe!»
Gli strizzò l’occhio con fare complice, e Harry rise, divertito. Una risata fresca, da ragazzo. Ginny lo guardò, affascinata.
Erano rare le occasioni in cui Harry tornava ad essere quello che realmente era, cioè un ragazzo di appena ventidue anni, e non l’uomo dallo sguardo duro, segnato dal dolore troppo presto, che era diventato, nonostante fosse sempre gentile e premuroso con le persone cui voleva bene, Ron e Hermione sopra tutti.
« E Sirius?» domandò, con ancora sul viso traccia del sorriso che le era salito spontaneo alle labbra nel vederlo così sereno.
« E’ rimasto a dormire da Remus» rispose Harry, con un sorriso allegro. « E’ venuto qui alla Tana insieme a me per salutare tua madre e i ragazzi, ma poi è dovuto scappare via! Aveva appuntamento con Remus, e non voleva far tardi!»
Si chinò su di lei con aria da cospiratore, e aggiunse, in un sussurro quasi impercettibile:
« Sai, credo che sia un po’ geloso di Tonks! Remus è il suo migliore amico, e in questi ultimi anni la loro amicizia si è rafforzata. Ci sono stati periodi in cui sono stati solo loro due, l’uno poteva contare solo sull’altro... Solo Sirius poteva capire come si sentiva veramente Remus, e solo Remus poteva penetrare nell’animo tormentato di Sirius... Sai, il ricercato e il reietto...»
Nel pronunciare le ultime parole la sua voce si fece più sommessa, e vibrava d’amarezza.
Istintivamente Ginny lo guardò in viso. I suoi occhi brillavano nel buio, la mascella serrata... In ogni suo tratto era visibile la collera. Ma anche qualcosa che andava oltre la comprensibile ira, e che Ginny riconobbe con una stretta al cuore come una profonda sofferenza.
Sospirò impercettibilmente, e scosse il capo, mesta.
Per quanto la Seconda Guerra fosse finita ormai da tempo, lasciando dietro di sé i giorni cupi, le battaglie cruente, l’abiezione degli agguati, il terrore che ghiacciava il cuore ad ogni notizia di nuovo attacco, aveva lasciato in ognuno di loro cicatrici invisibili ma più profonde di quella che solcava la fronte di Harry... E lui custodiva in sé piaghe ancora aperte e sanguinanti. La guerra aveva inciso in lui ferite che non sapeva se sarebbe mai stato possibile rimarginare... E lo aveva cambiato, fin nel profondo dell’anima.
Salirono gli ultimi gradini e percorsero i pochi metri che li separavano dalla camera di Ginny nel più assoluto silenzio, ognuno immerso nei suoi pensieri. Fu solo quando si fermarono, quasi con sorpresa, di fronte alla porta della camera della ragazza, che si ridestarono, come da un sogno condiviso.
« Buonanotte, Harry» mormorò Ginny, sorridendogli dolcemente.
« Buonanotte a te, Ginny» rispose Harry, gentilmente. « E sogni d’oro!»
Si accomiatò con un gesto della mano, in un ultimo saluto, allontanandosi di pochi passi... Ma la voce di Ginny lo chiamò ancora una volta, facendolo voltare verso di lei.
« Harry!»
Ginny annullò i pochi metri che li separavano, fermandosi infine di fronte a lui, le gote rosse come ciliege mature. Harry le rivolse una lunga occhiata stupita.
« Al contrario di me, hai capito benissimo che ero io, prima... » esordì, con voce dolce. « E che non hai reagito per questo... Un Auror esperto come te avrebbe potuto aver la meglio su di me con estrema facilità, ma non hai voluto reagire intenzionalmente... Grazie, Harry...»
Si allungò sulle punte dei piedi e gli posò sulla guancia un bacio lieve come una carezza onirica, prima di voltargli definitivamente le spalle e scomparire dietro la porta della sua stanza.

« Buongiorno a tutti!» esclamò Ginny, varcando la soglia della cucina e sedendosi in tavola.
Indossava ancora il pigiama, che si intravedeva appena sotto la vestaglia blu notte, e i capelli scarmigliati le ricadevano in ciocche disordinate sulle spalle e attorno al volto leggermente pallido.
Soffocò uno sbadiglio e si strofinò gli occhi, lucidi per la stanchezza.
Attorno a lei Bill sorseggiava lentamente il suo caffè, Percy sembrava assorto nella lettura della “Gazzetta del Profeta” e i gemelli confabulavano fitto... Sicuramente stavano inventando qualche nuovo scherzo da vendere nel loro negozio, “Tiri Vispi Weasley”, che stava facendo una concorrenza spietata al rinomato “Zonko’s” di Hogsmeade, con loro grande gioia.
« Buongiorno Gin!» le rispose Percy, da dietro il giornale.
« Buongiorno cara!» gli fece eco sua madre, accorrendo a riempirle di caffè la tazza che aveva davanti.
Era impeccabilmente vestita come ogni mattina, e come ogni mattina svolazzava affaccendata in ogni angolo della cucina per far fronte alle mille piccole incombenze che comportava avere una famiglia numerosa.
« ‘Orno» mugugnarono i gemelli, non alzando neanche lo sguardo dalle pergamene che occupavano una buona parte del tavolo.
« Andiamo, voi due! Sgomberate tutto!» ordinò perentoriamente Molly, posando davanti ai figli due piatti ricolmi di uova strapazzate.
George estrasse la bacchetta dalla tasca dei jeans, e fece sparire le pergamene con un fluido movimento del polso; dopodiché, l’attenzione dei gemelli si concentrò tutta sulla colazione. Ginny sorrise di fronte alla voracità dei suoi fratelli e bevve un lungo sorso di caffè.
« Bill, mi passi il piattino del burro?» domandò, mentre contemporaneamente afferrava il cestino con i crostini di pane appena sfornati, ancora caldi e fragranti.
« Certo» rispose Bill, allungando un braccio alla sua sinistra e porgendoglielo attraverso la tavola. Ringraziando il fratello con un cenno del capo, Ginny iniziò a imburrare un crostino di pane... Ma improvvisamente una voce la fece sussultare.
« Buongiorno a tutti!» esclamò allegramente Harry, entrando nella stanza e trascinandosi dietro un Ron parecchio assonnato.
Il gomito di Ginny accidentalmente incontrò il piattino del burro.

Oh, accidenti! Non ancora! ...Mi ero completamente scordata che Harry stanotte ha dormito da noi... Dannazione!

Ron prese posto di fronte a lei, e Harry si sedette accanto a lui, addentando un crostino.
« Ginny... Che hai?» le domandò suo fratello, notando con stupore la tonalità vermiglia che le aveva colorito il volto.
« N...niente!» replicò lei, nascondendo il viso dietro la tazza di caffè. « Cosa dovrebbe esserci, scusa?»
« Hai la faccia tutta rossa» puntualizzò Ron, con uno strano sorrisetto.
« E’ perché... ho caldo!» si affrettò a puntualizzare lei, sollevandosi i capelli dal collo nel tentativo di sembrare più convincente.
Tentativo che fallì clamorosamente... Visto che udì in modo distinto la risatina mal trattenuta di Bill. Seccata, riprese ad imburrare meticolosamente il suo crostino, evitando gli sguardi divertiti di Ron e Bill. Lanciò un’occhiata circospetta a Harry, che parlava animatamente con Fred di scherzi magici, mangiando con gusto la sua colazione... per fortuna non sembrava essersi accorto di niente. Sollevata, addentò con appetito il secondo crostino, abbondantemente spalmato di marmellata, e bevve un bicchiere di succo d’arancia.
« Mamma, io vado» annunciò, alzandosi e accostando la sedia alla tavola.
« Ma cara... Ieri sei tornata così tardi...» obiettò Molly.
« Lo so, ma ho il turno di mattina» ribatté Ginny, rivolgendo alla madre un caloroso sorriso. « Ci vediamo a pranzo! Ciao ragazzi! Ciao Harry!»
Uscì dalla cucina per andare a cambiarsi, e quando scese nel salone per usare la Metropolvere, trovò Harry in piedi accanto al camino... Pareva aspettarla.
« Harry... Devi uscire?» gli domandò, prendendo il vaso da fiori contente la Polvere Volante dalla mensola del focolare.
« Sì, oggi sono di servizio» rispose pacatamente lui. « Devo andare nei dintorni del San Mungo, perciò ho pensato che potessimo fare un pezzo di strada insieme.»
« Volentieri» replicò Ginny. « Il tragitto fino al San Mungo è lungo e noioso... In tua compagnia sarà sicuramente più piacevole!»
« Allora siamo d’accordo!» sorrise Harry, prendendo anche lui un pizzico della Polvere Volante.
« Pronta Gin?»
« Prontissima!»
Ginny buttò la polvere scintillante nel fuoco, e subito un’imponente fiammata verde si sollevò dal camino. Ci saltò dentro, gridando ben chiaro:
« Diagon Alley!»
La lingua di fuoco l’avvolse, e Ginny trattenne il respiro fintanto che le fiamme non si diradarono e sentì sotto i piedi la solidità del pavimento di legno. Si scostò di qualche passo dal camino, giusto in tempo per evitare Harry, che, sbilanciato in avanti dalla forza centrifuga della Metropolvere, incespicava con foga, lottando per non cadere. Annullò in pochi passi la breve distanza che li separava e lo afferrò per un braccio.
« Ehi» mormorò con dolcezza. « Dove credevi di andare?»
« A conoscere intimamente il tavolato di questo pavimento, a quanto pare!» replicò sbuffando lui.
Ridendo sommessamente, Ginny lo lasciò andare, e gli raddrizzò gli occhiali, di traverso sul naso.
« Per quanto assurdo possa sembrare, a volte ho ancora difficoltà con questa dannata Polvere Volante!»
Ginny annuì, alzando il volto, sul quale il sorriso non si era ancora spento, verso il ragazzo. Incontrò gli occhi chiari di lui, e i loro sguardi s’intrecciarono per un fugace attimo. Le iridi brune della ragazza si dilatarono impercettibilmente di fronte a quelle di giada di Harry, e le distolse con rapidità, imponendosi di non arrossire.
« Allora, andiamo?» esclamò, voltandosi verso l’uscita.
Si morse il labbro inferiore con nervosismo, e lo anticipò di qualche passo. Harry la raggiunse in poche, rapide falcate, e le aprì la porta che dava sulla strada con fare galante.
« Prego, Miss Weasley» disse, rivolgendole un sorriso fascinoso.
« Grazie, Mr Potter» rispose lei, passandogli affianco con grazia.
« Grazie a lei, Miss» replicò Harry, accostandosi la porta alle spalle e fissando incantato le esili spalle di Ginny e i suoi capelli che catturavano i rari raggi solari e li riflettevano in bagliori infuocati.
Si avviarono insieme verso la metropolitana babbana, mescolandosi senza difficoltà a studenti e lavoratori. Sembravano due ragazzi qualunque, entrambi in jeans e cappotto di lana, le bacchette accuratamente occultate nella borsa per Ginny e nella tasca posteriore dei jeans per Harry... che non aveva mai perso questo vizio, nonostante i continui rimbrotti di Moody.
Tenendosi per mano per non perdersi tra la folla, salirono sul primo treno per il centro di Londra, trovando posto in uno dei vagoni centrali. Il caos impediva loro di parlare, quindi tacquero, tenendosi agli appositi sostegni per ovviare alle brusche frenate che il conducente dal piede un po’ pesante faceva ad ogni fermata. Per ripararla un po’ dalla ressa, Harry posò un braccio attorno alle spalle di Ginny, stringendosela al fianco, e lei istintivamente appoggiò la testa sul bicipite di lui, osservando i loro riflessi sul finestrino del treno.
Sapeva che era sciocco pensarlo, ma si meravigliò ancora una volta di quanto Harry fosse diventato alto... Era di appena una spalla più basso di Ron, che torreggiava su tutti gli altri fratelli.
Ricordava quando era stato in Irlanda per un anno intero per l’addestramento da Auror... Quando se l’era ritrovato davanti... Aveva a stento riconosciuto il ragazzino magro e pallido, quasi ridicolo nei pantaloni di cinque taglie più grandi, che aveva visto per la prima volta alla stazione di King’s Cross. Quello che aveva davanti era un ragazzone alto e forte, dal sorriso seducente e portamento fiero e agile. Solo i capelli nerissimi, sempre scarmigliati, con un ciuffo ribelle che scendeva a nascondere la cicatrice sulla fronte, e i magnifici occhi, sempre scintillanti dietro le lenti degli occhiali, erano rimasti gli stessi.
Represse un sospiro di frustrazione.
Possibile che le cose non cambiassero proprio mai? Si sorprese a chiedersi.
No.
No e ancora no.
Le cose cambiano, eccome. Al pari di Harry, era cambiata, non era più la ragazzina che per anni lo aveva seguito in silenzio, pregando per un suo solo sguardo. Quella Ginny non esisteva più. Aveva superato la cotta per il migliore amico di suo fratello da anni, quasi non se ne ricordava più, anche se non poteva nascondere un moto di tenerezza per la goffa Ginny che era stata.
Era una donna ora, una donna matura e indipendente. Una donna affascinante, aggiunse mentalmente, passandosi con civetteria una mano tra le belle ciocche fulve.
Aveva avuto esperienze d’amore, alcune positive, altre meno, ma tutte l’avevano aiutata a crescere.
Ora Harry era solo Harry, quasi un fratello per lei. Erano cresciuti insieme, avevano trascorso insieme il periodo della scuola, festeggiato insieme il Natale, la Pasqua, i compleanni; lui la trattava come gli altri suoi fratelli, a volte con gentilezza, a volte con pacata ironia, altre ancora era brusco e scostante. Proprio come Ron, Fred e George. Era anche capitato che litigasse furiosamente con lui, e che non si parlassero per giorni interi... Tutto nella norma.

Ehi... Ricordati il piattino del burro di stamattina! proruppe a un tratto una vocina maliziosa dentro di lei.

Oh... al diavolo!

Harry vide con la coda dell’occhio Ginny che sbuffava, infastidita sicuramente dalla folla, e non poté trattenere un sorriso. Quel particolare modo di sporgere la mascella, che tanto la faceva somigliare a Fred e George, gli ricordò un giorno di giugno di tanti anni prima, quando si erano avventurati con Ron, Hermione, Luna e Neville all’Ufficio Misteri.
Non avrebbe mai potuto dimenticare quel giorno e la notte che n’era seguita, quando aveva creduto di aver perso per sempre Sirius, l’unico padre che avesse mai conosciuto; ma adesso che lui era vivo e felice, riusciva ad essere obiettivo, e ora capiva che era stato proprio allora che aveva iniziato a rendersi conto del coraggio, della tenacia, della grazia di Ginny. Era per lui un’amica preziosa, le voleva bene come ad una sorella.
Lei, Hermione e la signora Weasley erano le donne più importanti della sua vita.
Le sorrise attraverso il riflesso del finestrino, e le gli restituì il sorriso con calore, fissandolo attraverso il finestrino rigato dalla brina.
Fu come ricevere una stilettata... Harry non aveva mai notato quanto fossero grandi, quieti e luminosi gli occhi di Ginny.

FINE SECONDO CAPITOLO.

Nota: so benissimo che Sirius Black alla fine de “L’Ordine della Fenice” è scomparso dietro quel velo misterioso... Però non credo che la sua storia sia finita, anzi credo che ci riservi ancora molte sorprese. Ci sono troppi aspetti che non hanno senso apparente, come lo specchietto magico che Sirius regala a Harry... Quasi sicuramente imparerà ad usarlo nel corso de “Il principe mezzosangue”. E anche il piccolo spoiler che dice che Harry passerà molto meno tempo a casa dei Dursley... O i Weasley lo prendono con loro come figlio putativo, oppure Sirius farà capolino da quel maledetto velo... Cosa che io spero vivamente... e con me credo anche quasi tutti i fan di Harry Potter! In ogni modo, anche se alla fine del settimo libro “Mamma Rowling” dovesse decidere diversamente, questa è solo una piccola fanfic! ^_-

Scusate se questo secondo capitolo arriva così in ritardo... Pensavo di riuscire a postarlo prima, ma tanti fattori, oltre il mio innato perfezionismo, ne hanno ritardato la lavorazione. Spero di essere più veloce con i seguenti, ma non posso dare garanzie. Come ho già detto, sono molto perfezionista, e in più non ho molto tempo da passare di fronte al pc, anche se mi dispiace molto.

E ora veniamo ai commenti... Grazie mille a tutti quelli che mi hanno lasciato le loro impressioni!

Lili : Grazie per le bellissime parole, mi hanno incoraggiato molto. Spero che il secondo capitolo non ti abbia deluso. William sarà un personaggio importante, adesso potrà sembrare slegato dal resto della storia, ma più avanti tutto sarà chiaro.

__Marty__ : Non so dirti quanto mi abbia fatto piacere il sapere che tu abbia trovato il finale del primo capitolo divertente, e che ti abbia fatto addirittura ridere! ^_^ Non sono molto sicura di riuscire a rendere le scene comiche^^ Grazie davvero per i complimenti! Sì, questa ff ha come ship Harry/Ginny, io l’adoro, è la mia preferita in assoluto! *.* Ed è vero, ci sono poche fic su questa coppia, e non capisco proprio perché! Per la tua curiosità su William, ti rimando alla risposta che ho dato a Lili! ^_^ Bacioni a te, e fammi sapere come hai trovato il capitolo 2!

Daffydebby : Sono molto contenta che il primo capitolo ti sia piaciuto! Grazie per gli incoraggiamenti!

Seeker : Anch’io adoro Harry e Ginny! Dici bene, il loro è stato veramente un incontro turbolento^^ Non ho mai visto Ginny come una ragazzina svenevole, come viene descritta a volte... anzi è molto determinata! Grazie per i complimenti, spero che man mano che la ff andrà avanti continuerai a trovarla interessante! Una curiosità... Ma tu sei per caso Seekerstar, che ha tradotto tante meravigliose one-shot su Harry e Ginny e la stupenda “It Sneaks up on you”?

Roby : Sì, la coppia è Harry/Ginny! Senza dubbio! ^_-

Edvige : Quando ho pensato un mestiere adatto a Ginny, la professione di Guaritrice è stata la prima che mi è venuta in mente! Ce la vedo proprio alle prese con pozioni e incantesimi di guarigione, ha tutte le qualità per essere una perfetta Guaritrice! ^_^

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