Un altro giorno senza te. [SOSPESA]

di Axelle_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. ***
Capitolo 2: *** 2. ***
Capitolo 3: *** 3. ***
Capitolo 4: *** 4. ***
Capitolo 5: *** 5. ***
Capitolo 6: *** 6. ***
Capitolo 7: *** 7. ***
Capitolo 8: *** 8. ***
Capitolo 9: *** 9. ***
Capitolo 10: *** 10. ***



Capitolo 1
*** 1. ***





 
1.
 
Un piccolo alone bianco si creò sul vetro davanti a Eleonora, che rannicchiata sulla vecchia poltrona rossa osservava i fiocchi di neve volteggiare come farfalle nell’aria.
“Non puoi stare seduta lì davanti tutto il giorno” la rimproverò la madre, guardandola sottecchi.
Eleonora non rispose, non perché voleva ignorarla ma perché non sapeva cosa dire.
In pochi giorni si era vista portar via tutta la sua vita e ora non poteva far altro che stare lì, inerme, a vederla scomparire. Esattamente come quei fiocchi di neve che osservava incantata che una volta arrivati a terra, semplicemente smettevano di essere. Ecco, Eleonora aveva smesso di essere da quando aveva lasciato la sua città.
Lo aveva fatto per sua madre. Le era bastato entrare nella camera di Eleonora, quel giorno, con un sorriso che andava da orecchio a orecchio e gli occhi che brillavano e la ragazza non aveva saputo dire di no.
Era passata da: “Mi hanno dato una promozione, non è fantastico?”
“Ci divertiremo.”
A: “Comunque non hai scelta. Partiamo domani”.
E all’inizio Eleonora era davvero convinta che ce l’avrebbe fatta. Londra era sempre stata il suo sogno, si sarebbe tenuta in contatto con le sue amiche tramite pc e cellulare e si fidava ciecamente del suo ragazzo. Era stato il suo primo amore, e Eleonora pensava che sarebbe stato anche l’ultimo.
Questo quattro giorni fa, quando lui l’ha mollata con la scusa del: “La distanza è troppa.” Per poi non aggiungere altro, nonostante tutti i tentativi di Eleonora.
Neanche le innumerevoli telefonate della sua migliore amica erano riuscite a strappare un sorriso da quelle labbra a forma di cuore.
Eleonora si convinse che non avrebbe sorriso mai più. Non senza di lui.
E smise di parlare, perché le uniche parole che aveva erano per lui.
E smise di dormire, perché sognava solo le sue mani che la accarezzavano.
E smise di rispondere alla sua migliore amica, invidiosa del fatto che lei lo vedesse tutti i giorni.
 
“Eleonora” riprovò la madre, questa volta con tono più arrendevole. “Ti prego.”
E dato che non poteva reggere anche sua madre, decise di accontentarla.
S’infilò gli stivali, arrotolò la sciarpona intorno al collo sottile, infilò il cappotto e uscì di casa.
Non si controllò allo specchio, come tutte le altre volte, se la linea dell’eyeliner fosse sbavata o se i suoi capelli non fossero arruffati. Ormai non valeva la pena darsi tanto da fare, se non c’era nessuno da cui farsi vedere.
La fredda aria londinese le sferzò il viso all’istante, facendole lacrimare gli occhi, ed Eleonora si pentì all’istante della sua scelta.
Forse avrebbe fatto meglio a rifugiarsi in camera sua, sotto le coperte, in compagnia dei suoi pensieri. E pensò sul serio di farlo, ma fu fermata dal suo orgoglio.
 
Camminò senza meta, anche perché molte delle strade non le conosceva, e decise di fermarsi solo quando i piedi le implorarono di farlo.
Puntò un bar, ma era troppo affollato e c’era già abbastanza casino nella sua testa, non ne voleva anche fuori. I suoi occhi saettarono da una parte all’altra in cerca di una alternativa, finchè i suoi occhi non scorsero un parchetto abbandonato in lontananza.
Fece un ultimo sforzo e, una volta raggiunta la meta, si abbandonò con un sospiro di sollievo su un’altalena decisamente-
“Non è troppo piccola per te, questa?” qualcuno espresse i suoi pensieri ad alta voce.
Eleonora si voltò, stizzita, e osservò il ragazzo che l’aveva importunata.
Un cappellino rosso gli copriva la testa, anche se dei ricci ribelli gli sfuggivano. Degli occhi castani la osservavano curiosi da sotto  le lunghe ciglia, aspettando che Eleonora rispondesse alla sua provocazione.
“Non sei troppo piccolo, per queste?” ribattè infatti, indicando con un cenno del capo la sigaretta che il ragazzo si rigirava fra le dita.
“Questa dici?” la alzò e accennò a un sorrisino. “La porto sempre dietro, nel caso succeda qualcosa, qualcosa di veramente brutto. In quel momento penserò: ecco, sono arrivato alla fine. E la accenderò perché saprò di non avere più niente da perdere” confessò lui con disarmante tranquillità, tanto che lasciò Eleonora a bocca aperta.
“Scusa” disse poi il ragazzo accorgendosi della sua espressione.
“Beh, credo proprio che serva a me allora” disse Eleonora con convinzione, dopo essersi ripresa. Infatti lei era convinta di non aver più niente da perdere, proprio come aveva detto il ragazzo poco prima.
“Mmh, credo di non poterlo permettere” mugugnò il ragazzo, occupando il posto dell’altalena accanto al suo, ma Eleonora quasi non se ne accorse tanto che era offesa.
“Puoi fare un monologo sulla tua vita ma non puoi passarmi una sigaretta?” chiese.
“Non se non mi dai una buona ragione” sorrise provocante il riccio.
“Io non ti devo niente” borbottò stizzita Eleonora, alzandosi, convinta ad allontanarsi il più possibile da quell’irritante ragazzo.
“Aspetta Eleanor” la richiamò lui, con pesante accento inglese.
“Come fai a sapere il mio nome?” chiese sospettosa, guadagnandosi un risolino dal ragazzo che afferrò impertinente un lembo della sciarpa dove effettivamente il suo nome era cucito in lettere d’oro.
“Io sono George” si presentò il ragazzo senza che lei glielo avesse chiesto.
“Buon per te” rispose sarcastica Eleonora, riprendendo a camminare.
“Lo sapevo” il ragazzo le arrivò di fianco.
“Non che mi interessi qualsiasi cosa che ti riguardi, ma cosa sei così convinto di sapere?” sbuffò Eleonora dato che non riusciva proprio a toglierselo dai piedi.
“Tu non la volevi davvero la sigaretta.”
“Ho cambiato idea” alzò gli occhi al cielo.
“No, intendo che non eri determinata a volerla. Lo hai detto d’istinto. Pensavi che per te non ci fosse più speranza e volevi darci un taglio, ma hai realizzato inconsciamente che non è così.”
“Non ho capito una parola di quello che hai detto” ammise Eleonora, ma trascinata dalla foga di quel discorso non riuscì a trattenere un sorrisino. Gli occhi verdi di George si spalancarono lievemente, contento di aver ottenuto quella reazione.
“Tieni” George le afferrò delicatamente la mano e vi posò la sigaretta ancora intatta.
“Decidi tu cosa farne” disse prima di dileguarsi.
Mentre Eleonora si concentrava per ritrovare la strada di casa, iniziò a giocherellare con la sigaretta.
Arrivata fuori casa minacciò di buttarla via, ma poi ci ripensò e se la infilò in tasca.
L’avrebbe restituita a George.
 


 
 
author’s wall.
Beh, non so proprio cosa dire.
Non so perché sto scrivendo questa ‘cosa’, né perché in questo fandom.
O forse sì. Eleonora.
Questa minilong è tutta sua, letteralmente. Spero di non aver scritto cavolate e che le piaccia abbastanza. Se non ci riuscirà nella realtà voglio che viva accanto al (o per meglio dire, uno dei) suo idolo almeno in questa piccola storia.
P.s. ha anche fatto il banner, ceh <3
Spero di non deluderti.
-
ask: TheFredek.
Facebook: Axelle efp (già, l’amministrazione non mi ha ancora cambiato il nome qui c.c)

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Capitolo 2
*** 2. ***




 
2.
 
I capelli di Eleonora creavano un’aureola intorno alla sua testa, che era appoggiata sul morbido materasso del suo letto. Lo sguardo era rivolto verso l’alto, sul soffitto blu che le ricordava tanto il cielo di una notte stellata.
Voltò il viso e osservò la sigaretta, spenta, tra le sue dita.
Inconsciamente si era trovata tra le mani, letteralmente, un’occasione per rivedere George.
George. Le sue labbra accarezzarono quel nome ancora una volta. Quell’irritante, invadente e con un cespuglio al posto della testa ragazzo.
Eleonora si sentiva come se loro due avessero lasciato una questione in sospeso, anche se non sapeva esattamente quale.
 
 
~
 
 
Eleonora si sfregò le mani intorpidite dal freddo e si sedette sull’altalena. Non sapeva perché ma era piuttosto convinta che se avrebbe voluto rivedere George, l’avrebbe dovuto aspettare lì, in quel parchetto.
Aspettò per diversi minuti, ma lui non arrivava. Che diavolo le era venuto in mente? Si rimproverò.
Chiuse gli occhi, sconsolata e pronta ad andarsene. Sospirò scocciata, ma quando sentì il cigolio del sedile dell’altalena accanto alla sua fu invasa da un briciolo di speranza.
Si voltò lentamente, per ritrovarsi faccia a faccia con George.
Il suo cuore aveva aumentato notevolmente il battito, probabilmente perché l’aveva spaventata.
“Ancora qui?” ruppe il silenzio il ragazzo.
“Anche tu, vedo.”
“Beh, questo è il mio posto. L’intrusa sei tu” la provocò George, che strinse le labbra per evitare di cacciare una grossa risata alla vista della faccia offesa di Eleonora.
“Ah sì?” chiese lei, scostandosi un ciuffo di capelli che l’era caduto per l’ennesima volta di fronte agli occhi.
George annuì convinto.
Eleonora alzò gli occhi al cielo e si alzò, facendo per andarsene, quando Georgè la fermò.
“Non ho detto che non puoi restare.”
Eleonora sorrise tra se e se.
Senza aggiungere altro, frugò tra le tasche del suo cappotto e tirò fuori la sua sigaretta.
“Credo che questa sia tua” disse Eleonora, porgendogliela.
George guardò prima quella poi riportò l’attenzione ad Eleonora.
“Tienila” disse semplicemente. Eleonora inarcò le sopracciglia, ma prima che potesse chiedere spiegazioni per quel gesto George parlò di nuovo.
“Considerala una seconda possibilità” George sfoderò un sorriso al quale Eleonora non poteva ribattere. Così decise di sedersi nuovamente accanto a lui.
“E poi io ne ho altre” aggiunse tirando fuori un pacchetto di sigarette semi-intatto.
Eleonora rimase insolitamente sorpresa da quella rivelazione.
Inclinò la testa e assottigliò gli occhi.
“Quindi tu fai così? Appena trovi una ragazza da sola , decidi di abbordarla e le fai un discorso sul senso della vita , sperando che ci caschi?”
“Ha funzionato?” chiese allora George.
Eleonora esitò per un secondo, prima di dire: “No.”
Rimasero in silenzio per un po’, fino a quando George decise di riprendere la parola.
“Non ti ho ‘abbordato’” mise in chiaro, sottolineando la parola “abbordato” tra virgolette.
“Stavi praticamente gridando aiuto, e io ero lì” alzò le spalle, guardando in basso.
“Io non ho detto niente” ribattè confusa Eleonora.
“Ma i tuoi occhi sì.”
“D’accordo, la cosa sta diventando strana” aggiunse Eleonora accennando una risatina, per sferzare la tensione che andava creandosi.
George la guardò sottecchi, rendendosi conto che forse aveva esagerato.
“Allora” iniziò a dire, sporgendosi di più verso la ragazza con fare interessato.
“Perché ti sei trasferita a Londra?”
“Come fai a sapere che mi sono appena trasferita?”
“Beh, ti chiami Eleonora.” Lei  cercò di non arrossire quando realizzò che le piaceva particolarmente il modo in cui George diceva il suo nome, con accento inglese.
“Che è un nome italiano. Lo so perché una volta ci sono stato in vacanza. E questo si capisce anche dal tuo accento” continuò George che era riuscito a catturare la sua totale attenzione.
“Poi non ti copri abbastanza, se fossi di Londra andresti in giro sommersa tra maglioni e cappelli, soprattutto ora che è inverno.”
Eleonora lo fissò, sorpresa che in così poco tempo aveva capito tutte quelle cose di lei.
“E poi non ti ho mai vista in giro. E nessuno viene più in questo parco, quindi…” George sorrise, cosciente della reazione che aveva provocato in Eleonora.
“Non so se essere spaventata o ammirata” ammise Eleonora, ridendo.
“Oh, in effetti sarebbe più facile ammirarmi” scherzò George, guadagnandosi un pugno sulla spalla.
 
 
~
 

Eleonora rientrò in casa con il sorriso ancora sulle labbra.
A dispetto di ciò che pensava, si era davvero divertita con George.
E infatti avevano deciso che si sarebbero visti ancora il giorno dopo.
“Finalmente sei a casa, pensavo di averti persa” la accolse calorosamente la madre.
Eleonora alzò le spalle e fece per andare in camera sua, ma venne fermata.
“Sei uscita due volte in due giorni e sorridi anche. L’aria di Londra ti ha proprio fatto bene eh?” commentò la madre.
“Già” rispose nervosamente Eleonora, per poi salire frettolosamente le scale che la dividevano dalla zona sicura.
“Proprio l’aria di Londra” continuò sarcastica, una volta al sicuro tra le mura della sua stanza.

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Capitolo 3
*** 3. ***


 

 

 
3.

 
Eleonora era seduta a gambe incrociate al centro del suo letto, lo sguardo rivolto verso il cellulare di fronte a lei.
Erano passati giorni da quando la sua migliore amica aveva rinunciato a contattarla, dato che da parte di Eleonora non c’era stato che silenzio.
Sapeva di essersi comportata da stronza, ma le faceva male pensare che lei fosse lì, in Italia, a casa con i loro amici mentre a lei era stato portato via tutto.
Sospirò ansiosamente, senza cambiare posizione.
“Eleon-“ la madre entrò nella sua camera senza bussare, ma si bloccò osservando stranita quello in cui la figlia era impegnata.
Spostò più volte lo sguardo dal cellulare alla figlia, che la ignorò,  prima di chiudere silenziosamente la porta borbottando un: “Non ne voglio sapere niente.”
Eleonora si morse il labbro inferiore e emise un mugolio frustrato.
“Tutto questo è ridicolo” affermò poi e colta dall’impeto del momento, digitò il numero della sua migliore amica, che sapeva a memoria.
Tuut.
Eleonora sbuffò tremolante.
Tuut.
Quel suono la innervosì ancor di più. Cominciò a torturare il bordo della sua maglietta color cioccolato.
Tuut.
Stava per riattaccare, quando la sua migliore amica rispose.
“…Pronto?” disse esitante.
“Ehi” mormorò Eleonora.
“Ciao.”
“Mi dispiace” sospirò prendendosi la testa tra le mani.
“Lo so.”
“Mi manchi” confessò Eleonora.
“So anche questo.”
Seguì una piccola pausa.
“Non hai intenzione di dirmi niente?” provò allora Eleonora, col timore di aver mandato tutto a puttane quella volta.
La sua migliore amica sospirò profondamente prima di rispondere.
“Non so cosa aggiungere. Anche tu mi manchi. E ti capisco. E se te lo stessi chiedendo, sì, sei perdonata per avermi ignorato” la rincuorò.
Chi hai conosciuto?” le chiese poi, facendo rimanere Eleonora sbigottita.
“Come fai-“
Deve essere successo qualcosa di importante dato che hai trovato il coraggio di chiamarmi” gongolò la sua migliore amica, che conosceva Eleonora fin troppo bene.
“Si chiama George” ammise alla fine Eleonora.
“Lo sapevo, lo sapevo, lo sapevo!” trillò la voce dall’altra parte. Quella reazione strappò una risatina alla ragazza.
“E a dirla tutta sono anche in ritardo. Sai, dobbiamo veder-“
Uscite già insieme? Wohoo, qualcuno qui ha fatto colpo eh!”
“Non usciamo insieme!” Eleonora quasi urlò, sgranando gli occhi e arrossendo lievemente.
Beh, non farlo aspettare. Anzi, chiamami quando torni a casa, voglio i dettagli!”
Eleonora scosse la testa divertita e dopo averla rassicurata che avrebbe fatto tutto ciò, chiuse la chiamata e si ritrovò con un peso in meno sul cuore.

 

~

 
“Cosa vedo? Un sorriso spontaneo.” Così la salutò George quando la vide arrivare.
“Spero che sia importante dato che” lanciò un’occhiata al suo orologio da polso e ci picchiettò sopra l’indice.
“Sei in ritardo” finse di rimproverarla. In realtà era sollevato di vedere Eleonora così di buon umore, per una volta.
La ragazza alzò le spalle, ancora sorridente.
S’incamminarono, Eleonora che seguiva George che per quel giorno aveva deciso di farle da guida di Londra.
“Posso sapere il motivo di tutta questa allegria?” chiede poi il giovane.
Eleonora sospirò impercettibilmente.
“Diciamo solo che ho messo a posto le cose con una persona.”
“Un ragazzo?” si azzardò a chiedere George, mordendosi il labbro inferiore.
La ragazza sentì scivolare via la felicità per un secondo, poi si riprese e rispose con un secco: “No.”
Accortosi di quella reazione, George decise di rimanere zitto.
“Beh, non dovevi farmi vedere Londra? O stiamo camminando a vuoto?” scherzò Eleonora dopo un po’.
George sfoderò un sorriso e annuì.
 
 
 
 
“Oddio, sono stanchissima” ansimò Eleonora, guardandosi intorno alla ricerca di un posto dove sedersi.
George era stato di parola: l’aveva portata al Museo delle cere, sotto il Big Ben e alla Torre di Londra.
Certo, si era divertita, ma tutto quel camminare si faceva sentire, adesso.
“Scansafatiche” la prese in giro George, guadagnandosi un’occhiata stralunata da Eleonora.
La ragazza individuò un muretto e senza pensarci due volte ci saltò sopra, e sospirò felice una volta seduta.
George la seguì a ruota.
“Non ti conviene rilassarti troppo, credo che fra un po’ verrà a piovere” esordì George alzando gli occhi al cielo che era coperto di nuvole grigie.
“Ma se non ha fatto altro che nevicare, in questi giorni” minimizzò Eleonora con un gesto della mano.
“Mmh” mugugnò George non molto convinto.
Il tempo di dire quelle parole che, senza neanche un tuono o un lampo come preavviso, delle piccole gocce d’acqua iniziarono a scendere dal cielo.
George sbarrò gli occhi, rinunciando alla soddisfazione del: “Te lo avevo detto” per cercare riparo.
Trovò rifugio sotto un tettuccio di lamina che manteneva all’asciutto alcune bici.
Solo una volta all’asciutto si accorse che Eleonora non si trovava dietro di lui, bensì a ridacchiare sotto la pioggia.
George la osservò attentamente, quasi incantato, da sotto le ciglia umide: gli occhi di Eleonora era semichiusi e rivolti al cielo, le braccia era morbide lungo i fianchi e un sorriso le solcava il viso.
“Eleonora! Vieni sotto, ti ammalerai!” la richiamò leggermente preoccupato.
Eleonora, soddisfatta, lo raggiunse.
“Maledizione Eleonora” imprecò George vedendola fradicia.
Senza pensarci due volte si sfilò la felpa e la aiutò a infilarla.
“Ti piace proprio la pioggia, eh?” chiese mentre le sfregava le braccia per trasmetterle calore.
Eleonora annuì con un sorriso sbarazzino.
“Rain” sospirò poi George, guadagnandosi un’occhiata confusa dalla giovane.
“Credo proprio che ti chiamerò Rain, d’ora in poi” spiegò, osservando che la pioggia andava via via fermandosi.
Eleonora sorrise, pensando al magnifico pomeriggio che aveva passato e che si era concluso in bellezza.
“Rain again” pregò silenziosamente il cielo, mentre il profumo di George le avvolgeva il corpo.
 

 








Author’s wall.
Aloha <3
Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto! Personalmente, è quello che preferisco <3
Scrivo questa nota perché mi dispiacerebbe non farvi capire il gioco di parole: come ho esposto nel primo capitolo, questa ff è dedicata a Eleonora, che su efp si chiama Rainagain, o più semplicemente io la chiamo Rain.
Quindiiii niente è lasciato al  caso :D
Ringrazio voi che avete recensito e messo la storia nelle preferite/seguite/ricordate, ma anche voi lettori silenziosi :)
Mi farebbe piacere leggere una vostra recensione e sapere cosa ne pensate <3
Adios,
Axelle.

 

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Capitolo 4
*** 4. ***



 
4.
 
George alzò di scatto la testa, scompigliandosi ancora di più i ricci, accorgendosi di essere osservato.
“Che c’è?” chiese al suo migliore amico Josh, che lo stava scrutando attentamente. Questo si stiracchiò e infilò una mano nei jeans scuri che gli avvolgevano le gambe prima di rispondere.
“Sei diverso oggi” affermò.
George lo guardò e basta, non sapendo cosa rispondere.
“Forse centra il fatto che sono giorni che sei praticamente sparito dalla faccia della Terra: non ti trovo più nei soliti posti, il tuo cellulare è quasi irraggiungibile…” continuò Josh, mascherando l’offesa di essere stato ignorato con il tono più noncurante che riuscì a tirare fuori.
“Scusa” disse allora George, guardandolo sottecchi.
Nonostante questo però non riusciva proprio a sentirsi in colpa.
“Hai conosciuto una ragazza” affermò allora Josh dopo una breve pausa.
George si irrigidì all’istante, ma cercò di non darlo a vedere.
Delle piccole gocce della pioggia appena passata picchiettavano dal bordo di un tetto che copriva il vicolo dove si trovavano i due giovani, spezzando di tanto in tanto il silenzio che andava crescendo.
Quando se ne accorse, George non riuscì a trattenere un sorrisino, cosa che non sfuggì a Josh.
“Dove vai?” chiese il riccio all’amico quando si accorse che se ne stava andando.
“Ho da fare” lo liquidò Josh. Si passò una mano sulle labbra e pensò a cosa fare. E anche se cercò di non pensarci, notò che per la prima volta George non lo aveva seguito.

 
~
 
 
“Odio Londra” borbottò Eleonora infilandosi una felpa presa dall’armadio.
Odiava Londra perché odiava indossare strati di vestiti perché odiava il freddo.
Sì, quel giorno Eleonora era di cattivo umore.
Non sapeva esattamente il perché. Probabilmente la febbre non aiutava. Ma oltre a quello una sensazione di angoscia le attanagliava lo stomaco, un brutto presentimento.
Il campanello di casa suonò e Eleonora si precipitò ad aprire, inciampando addirittura sui suoi stessi piedi.
Con un velo di occhiaie sotto agli occhi e il viso scarlatto nascosto nella felpa accolse George.
“Permes-“
“Entra, prima che ti ammali pure tu” lo interruppe la ragazza.
“Te lo avevo detto” ribattè George senza perdere il sorriso e entrando in un casa stranamente silenziosa.
“Siamo da soli” anticipò Eleonora notando la sua espressione.
Il lavoro della madre  portava via alla più tempo di quanto desiderasse, ma infondo non poteva avere tutto, lo sapeva.
Un po’ le doleva lasciare Eleonora a casa da sola, dato soprattutto che sarebbe entrata ufficialmente a scuola solo dopo le vacanze invernali, ma non aveva altra scelta.
“Oh, okay” mormorò George lievemente imbarazzato, togliendosi di dosso il giubbotto.
Eleonora fece per prenderlo per appenderlo ma il ragazzo la ammonì con una sola occhiata.
“Faccio io, tu sei malata, vai a stenderti” le ordinò burbero.
Eleonora gonfiò le guance, irritata.
“E’ solo un po’ di febbre.”
“Rain, non costringermi a portarti a letto” disse George senza pensare all’effettivo significato delle sue parole.
Quando se ne accorse, sbarrò gli occhi e arrossì vistosamente.
“Cioè, volevo dire…” balbettò, ma Eleonora era già scappata in salotto, a nascondersi sotto una grossa coperta.
George la raggiunse all’istante.
“Allora, che vuoi fare?” le chiese George cercando di dimenticare ciò che era appena successo.
“Non ne ho idea, per questo ti ho chiamato” sospirò Eleonora.
Per un secondo George rimase incantato a fissare il viso arrossato di Eleonora, illuminato lievemente dalla luce della lampada lì accanto.
“Vogliamo stare tutta la sera a guardarci nelle palle degli occhi?” spezzò la ragazza la tensione, che si sentiva a disagio sotto quello sguardo.
“Uhm sì, no. Decisamente no” disse George distogliendo l’attenzione da lei e grattandosi una guancia imbarazzato.
L’espressione di George strappò una breve risata alla ragazza, che sfumò quando il cellulare di lui gli interruppe.
George si scusò e rispose velocemente alla chiamata senza neanche guardare chi li aveva disturbati.
“Pronto?”
“Dove sei?” chiese la voce irata di Josh. In realtà lui sapeva esattamente dove si trovava. Lo stava solo testando. Accortosi che George era con la testa tra le nuvole era sicuro che si sarebbe dimenticato che quella sera dovevano andare alla festa di JJ.
Così aveva deciso di seguirlo.  
“Dove sono?” cercò di prendere tempo George che, a sentire quel tono, sapeva di star dimenticando qualcosa.
“Sono a casa!” esclamò poi, colto da un colpo di genio.
“Non mi sento bene… Cohf?” simulò una pessima tosse.
“Capisco” rispose Josh a denti stretti, prima di chiudere la chiamata.
Fissò la casa davanti a sé per un secondo e se ne andò amareggiato.
George rimase stupito da quella reazione ma decise che se ne sarebbe occupato più tardi. Ora doveva occuparsi di Eleonora.
 

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Capitolo 5
*** 5. ***



 
5.

 
 
“Stammi lontano” farfugliò per l’ennesima volta Eleonora quando George le se avvicinò.
“Ti ho già detto che non mi interessa di ammalarmi” confessò George, imbronciandosi.
Con un gesto veloce tirò i lembi della coperta nei quali la ragazza era avvolta, la avvicinò a sé e la abbracciò.
Eleonora sentì il sangue fluirle alle guance, ma quel rossore si confondeva benissimo con la febbre.
Ma George, che da pallido com’era il rosso non gli donava, nascose il viso nel collo di Eleonora, facendola inevitabilmente ridere.
“Che c’è?” le chiese allora George.
“Mi fai il solletico” rispose Eleonora sperando che si allontanasse.
Al contrario, George iniziò a strofinare delicatamente il naso sul collo di Eleonora.
La ragazza iniziò a dimenarsi, ma George era senza dubbio più forte.
“Dai smettila” gli intimò, spronandolo maggiormente a farle il solletico.
“No” dichiarò il ragazzo. Mentre Eleonora annaspava cercando di riprendere fiato dalle risate, George si incantò nuovamente a guardarla.
Erano così vicini, i loro volti, le loro labbra, se solo si fosse sporto leggermente in avanti…
“Perché mi fissi così?”
“Perché sei bellissima.” George colse l’occasione, ricevendo un’occhiataccia da parte di Eleonora.
“Non citare Colpa delle Stelle, grazie, o potrei mettermi a piangere all’istante” lo rimproverò, riuscendo ad allontanarlo leggermente ora che aveva mollato la presa. George abbassò il capo e sorrise colpito dalla sua schiettezza.
“Beh, allora io rimarrò ad asciugarti le lacrime” sussurrò.
“Che hai detto?” chiese Eleonora distrattamente.
“N-niente.”
 
***

 
Alla fine, i due avevano deciso di guardarsi un film scaricato sul computer. Non senza prima avere litigato, ovviamente: Eleonora voleva assolutamente guardare “Kick Ass” e dato che la malata era lei era sicura che George la avrebbe accontentata. Invece questo preferiva nettamente “I passi dell’amore”.
Alla fine, per scendere a patti, erano arrivati a guardare un film che non interessava a nessuno dei due. Tanto che George, che doveva essere di compagnia, si era addormentato sulla spalla della ragazza.
“Maledizione.” Sbuffò Eleonora, dato che era scomoda.
Però aveva paura di muoversi e quindi per non svegliare George, si rassegnò a rimanere incastrata tra lui, il bracciolo del divano, la coperta e il computer che teneva sulle ginocchia.
Il campanello di casa suonò all’improvviso, facendo sobbalzare entrambi.
All’inizio Eleonora si agitò, pensando subito che fosse la madre. Poi realizzò che era sera tardi, lei sarebbe tornata la mattina, e soprattutto non avrebbe suonato al campanello dato che aveva le chiavi.
“Vai tu” borbottò George appena sveglio.
“No, vai tu. E’ così che iniziano i peggiori film horror.”
“Forse ‘vai tu’ diventerà il nostro ‘sempre’ .” Eleonora schiaffeggiò George sul braccio, facendogli perdere quell’espressione divertita che si era stampato in viso.
“Okay, andiamo insieme” decise la ragazza.
Si alzò poggiando il computer a terra e afferrò una rivista per poi arrotolarla.
“Cosa vuoi fare con quella?” chiese George divertito.
“E’ un arma” borbottò Eleonora.
“Guarda che i ladri non suonano al campanello.”
“Zitto” borbottò Eleonora stizzita.
Il campanello trillò di nuovo.
“Se moriamo, io ti uccido” continuò poi la ragazza, facendo ridere George che non era affatto preoccupato. In realtà era convinto che fosse solo uno scherzo e che Eleonora era eccessivamente paranoica.
Dopo un profondo sospiro, Eleonora strinse la rivista nella sua mano e con l’altra girò lentamente il pomello della porta.
All’inizio rimase di stucco. Davanti a lei, nei suoi jeans stretti e con uno zaino in spalla, la fissava JJ, il suo ex-ragazzo.
Quando lui aprì bocca per parlare, Eleonora gli lanciò il faccia la rivista e richiuse la porta. A chiave.
“Chi era quello?” chiese corrucciato George dopo aver notato l’espressione della ragazza.
“Forse sarebbe stato meglio un ladro” borbottò invece lei tra se e se.
 

 

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Capitolo 6
*** 6. ***



 
6.
 

George sospirò. L’unico rumore che riempiva la casa era il ticchettio dell’orologio appeso alla parete.
Eleonora era braccia conserte, lo sguardo fisso nel vuoto.
George sospirò.
Tic tac.
George sospirò.
“Hai finito?” gli chiese Eleonora alterata.
George sospirò un ultima volta. “Sì. Non ti senti nemmeno un po’ in colpa?” chiese indicando con un cenno del capo la porta appena sbattuta.
Eleonora sbuffò e si alzò di malavoglia dal divano mugugnando qualcosa tipo: “Inglesini perfettini fissati con le buone maniere.” Ma George non sentì bene.
La ragazza aprì nuovamente la porta di casa, un guizzo di speranza attraversò gli occhi scuri di JJ, che ancora attendeva fuori.
Eleonora non gli rivolse neanche uno sguardo. Bensì, si chinò per raccogliere la rivista e rientrò in casa.
“Fatto” disse a George che la fissava stupefatto.
Una ragazza come Eleonora…Quel ragazzo doveva sicuramente averle fatto qualcosa di orribile per scatenare una simile reazione da parte sua.
I  pensieri di George furono interrotti dagli ennesimi colpi alla porta.
“Rain?” chiese George corrugato quando la vide bloccarsi per un secondo.
“No, no Rain!” si alzò di scatto dal divano e la afferrò da dietro quando vide che la ragazza era partita nuovamente a passo di carica con la rivista stretta tra le mani.
“Dai Nora, aprimi! Ho fatto un lungo viaggio per venire qui!” La voce di JJ arrivò sfumata alle orecchie di Eleonora. Un po’ perché veniva da dietro la porta e un po’ perché sentiva di star perdendo le forze.
L’arrivo di JJ non aveva fatto altro che peggiorare la sua condizione di malattia.
“Ehi, ehi” sussurrò con dolcezza George all’orecchio della mora quando se la sentì quasi svenire tra le braccia.
Le tolse la rivista di mano, che lanciò su un mobile lì vicino e la prese tra le sue braccia a mo’ di sposa.
La portò al piano superiore, in camera sua, dove sarebbe stata più tranquilla.
“Stai qui okay? Me ne occupo io. “ George si premurò di rimboccarle le coperte e Eleonora si affievolì.
“Okay.”
“Okay” ripetette George. Sorrisero entrambi.
Poi scese i gradini a due a due e aprì di slancio la porta.
L’unico motivo per cui non aveva ancora cacciato via quel ragazzo a suon di pugni, e sì, lo avrebbe fatto data la reazione che aveva avuto Rain, la sua Rain, alla sua vista era perché era fin troppo educato.
“Spostati” disse arrogante JJ cercando di sorpassarlo per entrare in casa.
George caricò la mano sul suo petto e lo spinse indietro, facendo cadere a terra lo zaino che teneva in spalla.
“Tu non vai da nessuna parte” gli ordinò con un tono che non sapeva di possedere.
JJ inarcò le sopracciglia e socchiuse le labbra.
“Devo parlare con Nor… Eleonora” disse in tono duro.
“Non quando ci sono io.”
Stanco e scocciato dalla situazione, JJ decise di fare retromarcia. Raccolse lo zaino e dopo aver mandato un’ultima occhiata di fuoco e George fece per andarsene. Per quella notte, decise, si sarebbe dovuto accontentare di stare in hotel.
“Beh, non sarai con lei per sempre, no?” commentò sarcastico prima di sparire nel buio delle strade londinesi.
“Se è necessario lo farò” sussurrò George, come una promessa fatta a se stesso.
 
***
 
Dei rumori proveniente dalla cucina svegliarono Eleonora dal suo sonno profondo.
Si stiracchiò, la testa che le doleva un po’. Stava decisamente meglio del giorno prima, almeno.
Notò un bicchiere con una bustina sul comodino accanto al letto. Non ci pensò due volte prima di ingerire la medicina, non sopportava essere malata.
Strano, pensò mentre la buttava giù, sua madre non si era mai premurata di fare una cosa del genere.
Decise allora di scendere a fare colazione ma a metà delle scale sentì delle risatine.
Scese il resto degli scalini sbattendo i piedi, giusto per annunciare la sua presenza nel caso la mamma avesse deciso di, beh, trovarle un nuovo papà. E Eleonora non voleva trovarsi davanti situazioni spiacevoli.
Per questo rimase piuttosto sorpresa, letteralmente a bocca aperta, quando trovò George a chiacchierare amorevolmente con sua madre.
Una serie di brividi le spaccarono la schiena.
“Buongiorno Bella Addormentata” la salutò lui, e solo allora Eleonora notò gli occhi lucidi, i capelli scompigliati e il fatto che indossasse gli stessi vestiti della sera prima.
“Hai dormito qui?” balbettò sorpresa, mentre la madre aguzzava le orecchie fingendo di asciugare i piatti.
“Stavi male, non volevo averti sulla coscienza” fece spallucce lui.
“Buongiorno mamma” disse poi Eleonora.
“Che ore sono?” chiese avvicinandosi alla credenza per tirare fuori la scatola dei cereali.
“Appena l’una. Direi che ieri sera avete fatto tardi” rispose la donna con finta nonchalance, facendo arrossire entrambi i ragazzi.
Eleonora era sconvolta. Lei stava…insinuando qualcosa?
“A che ora sei tornata tu?” le chiese per cambiare discorso.
“Le cinque e mezza del mattino. E ho trovato Georgey a sonnecchiare sul nostro divano.”
“Georgey?” mimò con le labbra al ragazzo, che fece spallucce imbarazzato.
“Vuoi restare a pranzo, caro?” chiese allora la madre di Eleonora.
“No.”
“Certo.”
Risposero in coro Eleonora e George.
“Volevo dire no” si corresse poi il giovane. “In realtà pensavo di portar Rain, ehm, Eleonora a pranzo fuori” disse sfoderando il suo miglior sorriso da bravo ragazzo.
“Un appuntamento?” chiese maliziosa la donna.
“Mamma!”
“Lo spero” mormorò George, che però non fu udito.
“Comunque meglio così. Io vado a riposarmi” si dileguò, togliendosi di dosso il grembiule a quadri e appoggiandolo su una sedia.
George e Elenora si guardarono stupiti per un secondo.
“Mia madre è impazzita.”
 
“George” lo richiamò Eleonora, mentre il ragazzo era impegnato ad aiutarla a infilare la giacca.
“George” riprovò poco dopo mentre il soggetto in questione le stava tirando su la zip del giubbino.
“GEORGE” sbuffò infine mentre il riccio era impegnato ad avvolgerle la sua sciarpa rossa intorno al collo.
George la ignorò per l’ennesima volta, concentrato nel suo lavoro.
“Credo di essere abbastanza coperta, ora” si lamentò Eleonora.
“Mmh, può andare” commentò George con le labbra arricciate in un sorrisino.
Eleonora alzò gli occhi al cielo, metà scocciata e metà divertita. E forse, anche se non lo avrebbe mai ammesso, anche imbarazzata da tutte le attenzioni che George le stava dedicando quel giorno.
Era talmente presa da lui che gli eventi del giorno prima non le erano ancora passati per la mente.
Ora c’era solo George.
“Hai intenzione di starmi attaccato così tutta la mattina?”
“Come se ti dispiacesse” ribattette George aprendole la porta di casa.
Eleonora rimase in silenzio, perché una parte di lei sapeva che, infondo, George aveva ragione.
 
 







 
Author’s note.
I’m here. Ringraziate Nightjngale e Rainagain per avermi spronato a scrivere il capitolo, sennò col cavolo che oggi postavo. Lol.
Anywaaaay, il capitolo è anche più lungo e fluffoso del solito <3
Ringrazio voi che avete la pazienza di recensire ad ogni capitolo, voi che avete messo la storia tra le preferite/seguite/ricordate e anche voi lettori silenziosi, che usate il vostro tempo per leggere questa cacchetta <3
Okay, le note finiscono qua.
Adios,
Axelle.

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Capitolo 7
*** 7. ***



 
7.
 
Il locale brulicava di persone, ma in quel momento per George esisteva solo Eleonora.
Prese un lungo sorso dalla cioccolata calda che aveva ordinato e si decise a porre la domanda fatale.
“Chi è JJ?”
Eleonora alzò di scatto il viso, che fino a un attimo prima era concentrato sul suo cappuccino.
Sospirò e decise di sfogarsi con lui.
“Jamie Paul Hamblett, nato il venticinque maggio 1997, si è trasferito in Italia dopo il divorzio dei genitori. Primeggia in educazione fisica, il suo colore preferito è il nero ed è allergico alle fragole.
E mi ha lasciato poco prima che partissi per Londra con la scusa ‘la distanza è troppo grande’. Il giorno dopo sul suo profilo facebook c’erano delle foto di lui con un’altra ragazza” spiegò la mora tutto d’un fiato, scostandosi dal viso una ciocca di capelli castani.
“Certo che parli un sacco eh” George la fissò da sotto le lunghe ciglia.
“Scusa” Eleonora arrossì.
“Stavo scherzando. Mi piace sentire il suono della tua voce.”
Accorgendosi di averla messa decisamente in imbarazzo, George riportò l’attenzione sul contesto principale.
“Certo che questo Jianni Paolo Huglett è proprio un coglione.”
Eleonora si lasciò andare in una breve risatina. “Non immagini quanto.”
“Non permetterò che si avvicini a te” il ragazzo allungò una mano verso quella di Eleonora e la strinse con dolcezza.
E in quel momento alla ragazza venne voglia di baciarlo. Di assaggiare quelle labbra rosee e perennemente screpolate. Immaginò che sapessero di cioccolato. E di poggiare una mano sulla sua guancia calda, mentre l’altra affondava nei suoi ricci.
“E’ tutto okay? Sei un po’ rossa” l’affermazione di George la fece risvegliare dai suoi pensieri.
Incapace di formulare una frase di senso compiuto, Eleonora annuì semplicemente.
Il cellulare vibrò prepotentemente all’interno della tasca dei jeans sformati di George. Lui lo ignorò semplicemente, i suoi pensieri direzionati verso una brillante idea.
“Sai qual è il miglior modo per allontanare un ex?” chiese con gli occhi che luccicavano.
La mora scosse la testa, inarcando un sopracciglio.
“Essere fidanzata con un altro.”
“E dove lo trovo un ragazzo disposto a fingersi il mio fidanzato?”
“Tesoro” George si aggiustò con una mossa studiata il colletto della sua giacca “Ce l’hai davanti.”

 
***
 
 
“Pronto, Josh?” George si decise a rispondere al suo telefono, mentre era sulla via di casa dopo aver riaccompagnato Eleonora alla sua.
Si erano messi d’accordo che, dato che JJ la tempestava di messaggi per incontrarla, lei avrebbe accettato di vederlo. Avrebbero parlato per un po’… poi sarebbe entrato in scena lui.
“Finalmente hai risposto, cazzo!” sbraitò l’amico dall’altro capo.
“Calmati. Che c’è?”
Che c’è?” lo scimmiottò Josh senza riuscire a contenere il tono iroso.
“C’è che da un anno a questa parte, il sabato lo passiamo insieme a casa mia, George. C’è che ieri mi hai dato buca e oggi non rispondevi alle mie telefonate. Ti sei dimenticato del tuo migliore amico?” sussurrò l’ultima frase.
George era mortificato. Stando con Eleonora aveva dimenticato tutto il resto.
“E’ complicato” cercò di giustificarsi il riccio, senza risultati.
“Complicato un cazzo. Ti ho visto insieme a quella morettina, sai? Pensavo di essere più importante di una scopata, però.”
L’indignazione accecò George.
“Non chiamarla così!” sbottò con la mascella serrata.
“Vaffanculo George” Josh gli riattaccò in faccia, lasciandolo a bocca aperta.
 
 
***
 
 
Josh si prese la testa tra le mani e si tirò i capelli frustrato. Non doveva piangere, non doveva cedere.
Ma i pensieri incessanti di George e quella morettina lo stavano facendo impazzire.
“Ti ha dimenticato” mormorò il suo subconscio.
“Proprio come tutti gli altri. Sei solo. Di nuovo.”
“No” protestò Josh cadendo sulle ginocchia, che sfregarono contro il pavimento duro.
Non si sentiva al sicuro nemmeno tra le mura della sua casa.
“Lasciati andare Josh” lo stuzzicarono le voci nella sua testa.
“Lasciati andare.”
E il ragazzo cedette.
Buttò fuori l’aria con un sospiro profondo, insieme a tutto quello che rimaneva del suo orgoglio.
Non si accorse nemmeno di aver stretto il cellulare tra le dita.
Le sue mani si muovevano velocemente sui tasti componendo un numero che Josh conosceva fin troppo bene, purtroppo.
“Tesoro, è un sacco che non ti fai sentire.”
“Ho bisogno di vederti.”
“Ti aspetto.”
Josh era sicuro che sì, lo stava aspettando, all’ingresso dell’Inferno.

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Capitolo 8
*** 8. ***



 
8.
 
Josh si addentrò in quella spessa nuvola di fumo che gli impediva quasi di vedere dove stava andando. Una sensazione di familiarità lo accolse con un abbraccio, facendolo sentire quasi a disagio.
“Jaymi” pronunciò solenne una volta aver trovato il ragazzo, che sorrise malizioso e con una luce famelica negli occhi.
“Joshua” sogghignò appoggiandogli una mano sulla spalla.
“Pensavo che non ti avrei più rivisto in questo posto” continuò, roteando l’indice nell’aria indicando il posto.
“Neanche io” mormorò Josh, ma la musica era troppo alta e Jaymi non lo sentì.
“Che ne dici se andiamo a parlare fuori?” chiese Jayimi passandosi il pollice su un sopracciglio e guardandolo da sotto le ciglia.
Josh annuì, sapendo di non poter rifiutare.
 
“Te l’ho detto che non sarebbe durata col tuo amichetto” Jaymi si appoggiò al muro del vicolo nel quale si erano rifugiati, buttando fuori un rivolo di fumo dalla bocca. Stuzzicava con le dita la canna, azzardandosi a chiedere: “Vuoi fare un tiro?”
Josh annuì.
“Un anno. E’ passato un anno. Non ti sono mancato nemmeno un po’?” continuò.
Josh voleva rispondere che no, non gli era mancato affatto. Non gli era mancato fare la puttana per ricevere un po’ di soldi e non gli mancava perdere i suoi guadagni in alcol e erba che dovevano aiutarlo a dimenticare lo schifo di vita che conduceva. Non gli era mancato alzarsi ogni mattina con uno sconosciuto che dopo l’avventura della notte passata, tornava alla sua vita felice.
Tantomeno gli era mancato Jaymi, che l’aveva trascinato a fare tutto questo.
Erano amici, una volta. Poi lentamente avevano cominciato a perdere i contatti, fino a che Jaymi non lo aveva chiamato disperato dicendo di aver bisogno di aiuto. Josh era corso da lui, ovviamente, e aveva saputo che era finito nei casini con alcuni spacciatori e doveva loro dei soldi.
Già a quei tempi Jaymi lavorava il quello strip club, il Red, cioè dove si trovavano ora.
Lentamente, per ottenere dei soldi in fretta per aiutare l’amico, era caduto in quel baratro oscuro, e quando i genitori lo avevano scoperto l’avevano sbattuto fuori di casa.
Per due anni aveva distrutto se stesso, concedendo il suo corpo come se fosse una pezza, fino a che non aveva incontrato George.
Senza saperlo lo aveva spinto a provare ad avere una vita migliore. Una vita nella quale si sarebbe meritato la sua amicizia. Josh aveva mollato tutto, con i risparmi si era comprato un appartamentino lontano dal Red e aveva iniziato a fare qualche lavoretto.
Aveva trovato il modo di incrociare più volte George e quando finalmente si era deciso ad parlargli aveva scoperto che non era difficile amarlo.
Ma George se ne era andato così come era venuto, e se non aveva lui, a Josh non rimaneva più niente.
“Questa sera non ho niente da fare” rispose invece il ragazzo con un'occhiata eloquente.
 
 ***
 
“Solo perché ho deciso di incontrarti non significa che sia disposta a tornare con te” mise in chiaro Eleonora sedendosi davanti a JJ, nel piccolo bar dove lui aveva insistito per vederla.
Le labbra del giovane si arricciarono in un sorriso, pensando che Eleonora stesse chiaramente mentendo.
Quanto era passato da quando si erano lasciati? Tre settimane?
Eleonora era innamorata, glielo si leggeva negli occhi. E JJ era convinto che quel sentimento era dovuto a lui.
Si umettò le labbra e partì all’attacco. “Mi dispiace per il modo in cui ci siamo lasciati.”
“In cui tu mi hai lasciato” lo corresse lei. JJ allungò la mano per coprire quella di Eleonora, che la ritirò in fretta, stizzita. Il ragazzo non si diede per vinto.
“Sono stato male, non ne hai idea. Ho capito di aver sbagliato con te…”
“Già, dalle foto su Facebook con quella biondina sembravi proprio a pezzi.”
“Hai intenzione di farmela pagare eh?” ammiccò JJ, nel tentativo di farla cedere. Neanche quello funzionò.
Poi arrivò George, che presa un’altra sedia si sedette accanto a Eleonora circondandole le spalle con un braccio.
“Ehi” mormorò dolcemente a lei, che ricambiò.
“Hambocoso” continuò poi in direzione di JJ.
“E’ Hamblett.”
“Come ti pare” George liquidò la cosa con un gesto della mano, facendo corrucciare JJ.
“Hai qualche problema?!”
“Sì. Tu” rispose secco, sorridendo ironicamente e passandosi la mano libera tra i folti capelli ricci.
“Nora?” chiese poi JJ cercando appoggio.
“In realtà lui è George, il mio… ragazzo” Eleonora arrossì.
JJ inarcò le sopracciglia e si fece sfuggire una risatina di scherno.
“Lui? Non è il tuo tipo” commentò semplicemente scuotendo la testa.
“E chi sarebbe il mio tipo?”
“Io, ovviamente” JJ scrollò le spalle.
“Se tu sei il suo tipo” s’intromise allora George “Perché sta con me?”
Detto questo, non diede all’altro la possibilità di ribattere che posò le sue labbra su quelle di Eleonora. Lei all’inizio rimase sorpresa, ma si lasciò andare quasi subito. Socchiuse gli occhi mentre si godeva quel contatto intimo con George. Il ragazzo poggiò la mano libera sulla sua guancia dapprima accarezzandola lievemente e poi le spostò i capelli dietro l’orecchio. George non riuscì a trattenere un sorrisetto ed Eleonora gli mordicchiò il labbro inferiore per dispetto di averla presa così all’improvviso.
George si staccò per un secondo, i loro sguardi si incontrarono e decise di depositare un secondo, piccolo e veloce bacio sulle labbra rosse e –si accorse- estremamente invitanti della mora.
Entrambi rivolsero nuovamente la loro attenzione a JJ, scuro in volto.
Eleonora si stava strofinando le labbra l’una contro l’altra ricordando la scossa che l’aveva accesa quando George l’aveva baciata.
Il riccio, dal canto suo, si stava stuzzicando il labbro inferiore con l’indice, senza farci caso.
“Ma vaffanculo, Nora. Sei una stronza” scoppiò JJ, alzandosi e andandosene a passo pesante. Quando sentirono la porta chiudersi dietro di lui, entrambi i ragazzi si scambiarono un’occhiata complice.
“Grazie” se ne uscì Eleonora, lasciando finalmente l’imbarazzo scorrere sulle sue guance.
“Belle labbra” rispose invece George.
 
 

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Capitolo 9
*** 9. ***



 

9.

 
 
Nove giorni. Erano passati nove giorni da quando George aveva baciato Eleonora (certo, era per togliere di mezzo il suo fastidioso ex, ma questi erano futili dettagli, per lui). Erano nove giorni che non riusciva a scordare il dolce sapore delle sue labbra e che era deciso a rivelarle ciò che provava per lei. Erano nove giorni che aveva perso i contatti con Josh.
 
George era riuscito a convincere Eleonora a uscire di casa, quel pomeriggio, anche se faceva più freddo del solito.
Aveva finalmente deciso di confessarle tutto ciò che si teneva dentro da quando aveva posato per la prima volta gli occhi su di lei e non aveva intenzione di avere come sfondo il divano di casa sua.
No, avrebbe scelto un posto speciale. Il posto dove si erano incontrati per la prima volta.
“Ho freddo” borbottò infatti la mora stringendosi nelle spalle e arricciando le labbra.
Nonostante abitasse a Londra già da un po’ non aveva ancora imparato a coprirsi come si deve.
Senza dire niente George le circondò le spalle con un braccio e iniziò a sfregare sulla pelle di Eleonora però coperta dal cappotto e dal maglione.
Nonostante questo la ragazza sentì un brivido e fu quasi certa che non fu dovuto al freddo.
“Meglio?” soffiò il riccio sulla guancia di Eleonora, non riuscendo a impedire a se stesso di avvicinarsi di meno.
Le guance della mora erano deliziosamente scarlatte e George si ritrovò a desiderare di sfregarci sopra le labbra per poi tempestarle di baci per farle diventare ancora più rosse.
Si trattenne e distolse lo sguardo.
Imbarazzata, Eleonora annuì.
La vicinanza con George le provocava uno strano effetto, che le faceva perdere il controllo. Quando si era avvicinato aveva potuto godere del suo profumo che le era salito alla testa mandandola momentaneamente in tilt.
Si schiarì la voce cercando di darsi un contegno. “Come mai tutto questo mistero oggi?”
“Vedrai che ne varrà la pena” rispose George cercando di convincere anche se stesso.
Non aveva ancora pensato a cosa sarebbe successo de Eleonora lo avrebbe rifiutato. Preferiva tenere lontano quel generi di pensieri negativi.
Camminarono in silenzio, entrambi colti un po’ dalla trepidazione e un po’ dall’ansia, anche se per motivi differenti.
Eleonora allacciò le mani dietro la schiena e vagò con lo sguardo. Ancora non conosceva bene Londra e magari qualche negozio le sarebbe potuto essere d’aiuto in futuro.
Un’insegna rossa come il nome che portava attirò la sua attenzione.
L’edificio che la portava era piccolo e varie bottiglie erano depositate accanto all’entrata e lei si chiese se non fosse un locale abbandonato.
“Red” mormorò tra se e se.
“Mmh?” fece George a labbra strette.
“Cos’è quel locale?” chiese allora Eleonora indicandolo con l’indice e fermandosi di botto per osservarlo meglio.
George divenne cupo. Josh gli aveva parlato di quel posto, di come lo aveva portato sull’orlo del precipizio e a lui non piaceva affatto.
“E’ un brutto posto, devi starci lontana” rispose infatti seccamente, sorprendendo Eleonora che non l’aveva mai sentito così serio.
“Andiamocene” le intimò poi ma la mora non si mosse.
Anzi, strizzò gli occhi notando una figura in lontananza.
“Ehi, lì c’è qualcuno!”
George strinse i denti. “Dobbiamo andare.”
“No.” Eleonora si sfilò dalla presa del ragazzo e si corrucciò. “Magari ha bisogno di aiuto.” E prima che lui potesse ribattere qualcosa, corse verso quel buio vialetto.
George imprecò sotto i denti e la seguì.
Un ragazzo con gli occhi socchiusi e solo una felpa a coprirlo era seduto con le spalle al muro. Un paio di bottiglie gli facevano compagnia assieme a vari mozziconi usati e schiacciati sulla strada.
“Ehi” gli scrollò la spalla Eleonora inginocchiandosi di fronte a lui.
Il ragazzo mugugnò infastidito, ancora dormiente ma pericolosamente pallido.
“Che diavolo ti è saltato in mente, Rain?!” la rimproverò George quando la raggiunse, più duro di quanto volesse.
Lei lo ignorò, imbronciandosi.
“Dici che dobbiamo chiamare un’ambulanza? Non ha una bella cera.”
Istintivamente gli occhi scuri di George si posarono sulla sagoma accasciata a terra e divenne di ghiaccio.
“Josh” sussurrò con la preoccupazione che gli attanagliò di stomaco di colpo.
 
***
 
La testa gli pulsava, si accorse Josh con fastidio. Si sentiva intorpidito e faceva fatica ad aprire gli occhi.
“George” gli sfuggì dalle labbra come una richiesta d’aiuto.
Una mano strinse la sua.
“Sono qui.”
E la sua voce bastò per dare la forza a Josh di svegliarsi completamente.
Quando se lo ritrovò davanti quasi si mise a piangere. Era tornato.
Ma durò solo un secondo. I ricordi di come si era sbarazzato di lui lo fecero intristire di colpo. La rabbia era passata e aveva lasciato spazio alla rassegnazione.
Per quel motivo in quei nove giorni aveva permesso a Jaymi di tenergli compagnia. A lui e ai suoi amichetti.
Era un circolo vizioso e probabilmente Josh sapeva fin dall’inizio che ci sarebbe ricaduto. O almeno così presumevano le voci nella sua testa che cercava di zittire perdendo lucidità grazie all’alcol e alla droga.
“Sei qui” dichiarò infatti sorpreso.
George strinse le labbra e solo in quel momento Josh si accorse che i suoi bellissimi occhi castani era velati di lacrime.
“Che è successo? Perché sono qui?” chiese confuso accorgendosi di essere rinchiuso nelle quattro mura bianche di un ospedale.
“Josh tu… sei quasi morto di freddo, avevi bevuto un sacco e-”
“Oh” rispose semplicemente il diretto interessato arricciando le labbra.
“Oh? E’ tutto qui ciò che hai da dire?” s’infuriò George alzando la voce.
Josh tentennò. Quella improvvisa attenzione da lui gli riempiva il cuore e quasi cedette, di nuovo, per lui.
Quasi.
“E’ tutto okay?” la testa di Eleonora sbucò dalla porta. Preoccupata dalle urla aveva deciso di intromettersi, ma a quanto pare aveva fatto male dato che Josh la trucidò con lo sguardo intimandole di tornare da dove era venuta.
Eleonora sparì di nuovo in corridoio.
Era bastata la sua vista per ricordargli tutto quanto. Probabilmente George non era lì perché gli mancava, ma perché gli faceva pena.
“Vattene” gli intimò rigido raccogliendo le forze.
“No” s’impose il riccio.
“Non ti voglio qui.”
“Non ti credo.”
“Fai bene” annunciò allora rassegnato Josh. E con uno slancio si avvicinò a George e depositò un casto bacio sulle sue labbra rosee.
Il riccio s’immobilizzò, preso alla sprovvista, ma non si ritrasse.
Lo lasciò fare sperando che almeno in quel modo avrebbe lenito le ferite che Josh si portava dentro.
“Grazie” disse quest’ultimo arrossendo e appoggiando nuovamente la testa.
George annuì semplicemente.
“Non voglio più che torni in quel posto” asserì.
“Io non-“
“Promettimelo” insistette.
“Non posso” sospirò Josh sapendo di essere senza speranza.
“Per me?” George giocò la sua ultima carta.
“Per te potrei fare di tutto” il moro non riuscì proprio a trattenere un sorriso quando pronunciò quelle parole.
E sapeva benissimo che George se ne stava approfittando, lo stava illudendo.
Ma per quel poco che gli restava, Josh voleva crogiolarsi in quell’angolo di felicità che aveva ritrovato quando George gli aveva stretto la mano.
 







 
 

Aloha!
Quanto mi odiate da uno a dieci per questo capitolo? :,)
Giuro che li farò mettere insieme George e Eleonora… un giorno.
E per i Gosh… in mia difesa dico solo che Rain mi ha contagiata uwu
Probabilmente ci sono degli errori o alcune frasi sono sconnesse ma ho scritto il capitolo all'una stanotte e non ho proprio voglia di riguardarlo cwc
Vabbè, ora mi dileguo che è meglio hahaha.
Xx
Axelle.
 
P.s. preparatevi, perché non credo che ci saranno molti altri capitoli dopo questo…

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Capitolo 10
*** 10. ***


 

10.



Da quel giorno in poi, George non aveva più lasciato Josh da solo neanche per un secondo.
Quest’ultimo dopo aver passato diversi giorni in ospedale per ovvie ragioni, si era accampato a casa del suo migliore amico.
Il bacio non era più stato tirato in ballo, ed entrambi pensavano fosse meglio così.
George lo aveva interpretato come una ricerca di affetto, Josh non aveva più avuto il coraggio di confessarsi.
E poi, c’era Eleonora.
La situazione con lei sembrava essere tornata come all’inizio: sporadici incontri che portavano tornadi di emozioni.
L’unica cosa che avrebbe voluto fare George era stare tra le sue braccia, sentire le sue dita scompigliargli i capelli e le sue labbra accarezzargli la pelle. Ma aveva altro a cui pensare, e si era ripromesso più volte che non avrebbe più lasciato Josh da parte. Era difficile però conciliare le sue cose. Soprattutto dal momento in cui era chiaro come il sole che al suo migliore amico Rain non andava proprio giù.


 


 
“Pizza, Cinese o Indiano?” domandò Josh seduto sul largo divano blu di casa Shelley e avvolgendosi una coperta sulle spalle.
George si sfilò il cappellino dalla testa e lo fissò mentre si ravvivava i capelli che, constatò, stavano crescendo decisamente troppo.
“Che ne dici se, tanto per cambiare, stasera uscissimo?” azzardò.
Josh mollò di colpo la barretta di cereali che stava sgranocchiando e sgranò gli occhi.
A quella vista, George non potette resistere e si arrese come da routine. “Oppure potremmo stare a casa e guardarci la nuova puntata di Law & Order.”
“L’hai detto tu, non io” si affrettò a concordare il moro, tornando alle sue attività e felice di aver raggiunto il suo obiettivo.
George sapeva che l’amico non era ancora pronto ad affrontare nuovamente il mondo esterno. Era troppo fragile, la sua mente era andata completamente in pezzi e rimetterli insieme avrebbe richiesto tempo.
Ma lui stava uscendo pazzo. I giorni iniziavano a confondersi tra loro, tutti uguali, tutti sprecati davanti a qualche programma spazzatura e cibo altrettanto pessimo.
L’unica cosa che riusciva a tirarlo su erano i profondi occhi di Eleonora, che si illuminavano ogni volta che riusciva a farla ridere. Ormai viveva solo di lei, e rispetto al tempo che aveva l’opportunità di vederla, viveva decisamente poco.
“Comunque, dove sei andato?” riprese Josh, questa volta senza voltarsi verso di lui ma smanettando col cellulare.
In realtà, conosceva benissimo la risposta, ma voleva sentirla ugualmente. Quel piccolo dolore che gli trafiggeva il petto ogni volta che sentiva nominare quel nome lo aiutava a rimanere lucido, a ricordare che si sarebbe dovuto tenere stretto George, ma solo come amico. Non voleva neanche provare a pensare come sarebbe il mondo senza di lui un’altra volta. Non poteva rischiare.
“Con Rain.”
Eccolo, pensò Josh. Eccolo quel sorriso che non sarà mai per me, eccole quelle guance scarlatte piene di sentimento e quelle labbra capaci di fargli scatenare guerre.
“Carino. Avete fatto qualcosa di interessante?...”
Di solito erano quelle le domande di routine. Da quel momento in poi Josh cercava di imporsi di ascoltare il suo migliore amico, nonostante il dolore che gli provocavano certe parole.
“Abbiamo parlato” sospirò George ancora sorridente, spaparanzandosi accanto a lui.
“Ho detto interessante.”
“Con Eleonora tutto lo diventa. Riesce a rendere speciale persino una foglia che cade da un albero, un’impronta impressa nella neve.”
Quella barretta stava minacciando di uscire e tornare direttamente al supermercato, pensò Josh.
“Non capisco proprio perché non andiate d’accordo” sbuffò George, imbronciandosi in modo adorabile e scuotendo frustrato il braccio dell’amico.
Josh alzò semplicemente le spalle. “Non abbiamo avuto occasione di parlare normalmente, tutto qua.”
Si pentì di quella frase nel momento stesso in cui finì di pronunciarla.
“Possiamo farla venire qui stasera, allora, se questo è il problema!” con uno slancio George si buttò su Josh, rosso in viso un po’ per l’imbarazzo un po’ per la rabbia.
Non ti azzardare neanche, pensò.
“Ma certo!”
“Vado subito a chiamarla allora” George si dileguò in men che non si dica, lasciando l’altro in preda a se stesso e ai suoi pensieri contrastanti.
Non la sopportava, come non sopportava il pensiero di vederla appiccicata al suo migliore amico.
Ma non voleva deludere George. Questa volta si sarebbe sacrificato per lui.
Sarebbe morto dentro un po’ di più ogni giorno pur di vedere quel sorriso sempre più grande.
 

 


 

 
“Ah, le due persone a cui tengo di più al mondo sotto lo stesso tetto!” esclamò George eccitato come un bambino, aiutando Rain a sfilarsi il cappotto.
Allungò le mani verso di lei e le sistemò i capelli scompigliati dal vento, per poi esitare quando le dita scesero sul suo viso.
In quel momento scese Josh.
“Ehi” salutò Rain imbarazzata, scostandosi lievemente e sorridendo con calore.
“Ehi. Elaine, giusto?”
Squallido persino per me, riconobbe Josh.
George gli lanciò un’occhiata stranita, ma tenne la bocca cucita.
“Ehm, Eleonora a dire il vero. Direi che questo secondo-primo incontro è iniziato meglio dell’ultimo” rise nervosamente la ragazza.
“Non ho la minima idea di cosa tu abbia appena detto” borbottò mortalmente serio Josh, squadrandola dall’alto in basso e facendola sentire a disagio.
“Io chiamo il take-away. Cosa volete?” s’intromise George, ponendosi fra i due e richiamando l’attenzione su di se.
“Italiano.”
“Indiano.”
Risposero all’unisono Josh e Rain, per poi scambiarsi un’occhiata sospettosa.
“Sì, okay” George si mosse nervosamente sul posto, prima di decidere di defilarsi. “Vedo di fare un po’ di pop-corn.”
“Certo.”
“Perfetto.”
“Perché, ehm, non la accompagni in salotto e decidete che film guardare?” insistette George, ricevendo un secco cenno d’assenso da Josh, che non evitò di sorridere un po’ troppo acidamente.
“Pensavo ci fossimo decisi su Law & Order.”
“Oh, io non, ehm, amo molto quel genere di show” rispose Eleonora seguendo il moro un po’ insicura.
“Figuriamoci. Scommetto che tu sei il tipo alla ‘The Notebook’ e ‘Titanic’” rise sarcastico Josh, indicandole poi il reparto dove venivano tenuti i DVD.
“Perché, cosa ci sarebbe di male, comunque?” Rain si mise sulla difensiva, cercando di concentrarsi sui titoli dei cofanetti e non su quelle frasi chiaramente provocatorie.
“George ha sempre detestato quel genere di ragazze. Troppo frivole, dice sempre.”
Rain si bloccò e strinse le labbra per evitare di dire qualcosa di cui si sarebbe sicuramente pentita in futuro.
Si umettò le labbra e cambiò discorso. “Vedo che ti sei ripreso bene. L’ultima volta, in ospedale…”
“George mi ha aiutato.”
Per un secondo, quella maschera di gelo gli scivolò dal viso e passò alla pura verità.
“Sì. Lui è quel genere di ragazzo che… Mette sempre gli altri al primo posto. E’ questo uno dei motivi per cui-“ si bloccò all’improvviso, realizzando cosa stava per confessare a chi.
Ma ormai il danno era fatto.
Quando si voltò con occhi sgranati, Eleonora notò l’espressione contratta di Josh, segno che aveva capito perfettamente come stava per concludersi la frase.
“Non so che intenzioni hai. Ma tu fallo soffrire e io farò soffrire te. Molto, molto lentamente. E mi godrò ogni momento.”
Eleonora tremò all’improvviso come se colpita da un fulmine. Josh era diventato incredibilmente cupo all’improvviso e avrebbe mentito se avesse detto che quelle parole non l’avevano spaventata nemmeno un po’.
Ci mise qualche secondo per schiarire la gola e rispondere.
“Non lo farò.”
Josh sorrise quasi maligno. “Ti conviene.”
George arrivò con le braccia cariche di pop corn e lattine qualche minuto dopo, trovandosi in un’atmosfera silenziosa e tesa.
“Ahem, avete deciso?”
Per fortuna, in caso di necessità Eleonora era proprio una brava attrice.
“Questa serata è proprio adatta a ‘Fight Club’ non trovi?” sorrise lei, tenendo tra le mani la custodia e sventolandola.
“Oh, ma certo! Anche se pensavo avresti puntato su qualcosa di più soft, oggi pomeriggio sono andato apposta a noleggiare qualche film romantico…”
“Oh, non sono il mio genere” Eleonora si strinse nelle spalle, lanciando un’occhiata di nascosto a Josh. Entrambi sapevano che si era appena guadagnato un punto.
“Da quando?” insistette George, infilando il DVD nel lettore e premendo play.
“Da stasera.”
Quando abbassarono le luci, nessuno intravise il sorriso soddisfatto di Josh.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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Author’s wall.
Che vergogna. Lo so. E’ passato quanto… un anno?
L’unica cosa che posso dire in mia difesa è che il blocco dello scrittore è una brutta bestia. Ma proprio orrenda.
Però l’importante è vincerla, no?
Per quanto riguarda il capitolo, non ho la minima idea di dove sia uscito. Ho aperto word per scrivere il secondo capitolo di un’altra mia work in progress e improvvisamente sono spuntati Eleonora e George.
Quindi li ho riportati in vita!
Ho ri-dato un occhio ai precedenti capitoli e non mi pare ci siano incongruenze con la storia, ma se qualche dettaglio mi fosse sfuggito vi chiedo perdono.

Molte di voi mi hanno scritto nel corso di questi mesi, chiedendo quando avrei aggiornato e sono felice di potervi soddisfare anche se in ritardo. Spero di non avervi deluso.
Ora, non prometto che i prossimi capitoli saranno regolari ma di sicuro non vi farò aspettare di nuovo così tanto, promesso.
Detto questo, spero di leggere qualche vostro commento!
Ci vediamo al prossimo capitolo,
Axelle.

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