Il pigiama col triangolo rosa

di giny
(/viewuser.php?uid=82051)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Incontri ***
Capitolo 2: *** Incubi ***
Capitolo 3: *** Incertezze ***
Capitolo 4: *** Paure ***
Capitolo 5: *** Non tradirci ***



Capitolo 1
*** Incontri ***


Il sole splendeva alto quel 14 maggio del 1944 a Cracovia. La primavera si era ormai affermata, prepotente e travolgente; tutto si era ormai risvegliato, creando un'atmosfera quasi surreale, come se le trasmissioni in codice via radio e i bombardamenti non esistessero.
Ma Klaus sapeva bene che esistevano. Aveva dovuto saperlo, fin dall'inizio. Fin da quando lui, Klaus Friedrich, era stato chiamato per prestare servizio per il führer. La sua famiglia era stata molto orgogliosa e anche lui lo era. Era nell'esercito tedesco da sei anni ormai ed era felice di essere stato scelto, tra tanti altri militari, per diventare ufficiale al servizio del loro capo.
Non aveva avuto alcuna esitazione quando aveva preso il treno da Berlino diretto in Polonia. Ora era lì, alla sede del Consolato tedesco, orgoglioso e felice.
Era in attesa di ricevere un ordine, quando un altro ufficiale entrò nella stanza dove si trovava. Non l'aveva mai visto prima.
''Dieci prigionieri devono essere liberati, hanno incaricato te di prenderli''
Il suo tedesco risentiva molto dell'accento polacco, ma Klaus non faticò a capirlo. Anche i suoi tratti e i suoi occhi mostravano chiaramente le sue origini. Quegli occhi grigio-azzurri che Klaus continuava a fissare.
''Avete compreso l'ordine?'' chiese quello, alzando leggermente la voce.
Klaus si riscosse.
''Sì sì, vado subito''
Il giovane polacco annuì lievemente e sparì. Klaus si diresse verso la ex caserma per prelevare i prigionieri. Quando uscì dall'edificio, avvertì il tepore primaverile e la luminosità accecante del sole. Nonostante i suoi occhi fossero ancora fortemente illuminati dal sole, comunque, non impedivano alla sua mente di focalizzare ancora quegli occhi che lo avevano fatto vacillare, anche se per pochi istanti.
Raggiunse la caserma. Altri militari avevano già portato i prigionieri fuori dalla caserma; toccava a lui portarli alla loro ambasciata, quella russa, che avrebbe permesso loro di tornare a casa.
Quando li vide, notò che erano emaciati, molto magri e con rade e deboli ciocche al posto dei capelli. Quello spettacolo fu troppo per lui, ma si fece forza. In quegli anni, aveva imparato a resistere, davanti a qualsiasi cosa. Doveva essere forte.
Così, insieme ad un altro ufficiale, scortò i prigionieri all'ambasciata e dopo tornò ai suoi alloggi.
Mentre si preparava per la cena, non poteva smettere di pensare a quegli occhi. Qual era il motivo? Perchè gli stava succedendo ciò? Decise che non era il momento di pensarci, altrimenti avrebbe fatto tardi a cena e sapeva quanto al Generale Von Kaulitz desse fastidio il ritardo.
Così, finì di prepararsi e scese per la cena.
Percorse le scale del sontuoso edificio di corsa; quando ormai era vicino alla sala, vide qualcuno affiancarlo.
''Anche tu vuoi evitare l'ira di Von Kaulitz?'' chiese sarcasticamente una voce a lui familiare.
Si voltò e l'ufficiale polacco camminava qualche passo dietro di lui.
"Johan Kowalski'' si presentò quello sorridendo e porgendogli la mano.
''Klaus Friedrich'' stringendo timidamente la mano che quello gli porgeva, parlando con la voce un po' traballante.
''Piacere di conoscerti, Klaus. Una volta ho sentito che ad un tizio arrivato in ritardo a cena Von Kaulitz abbia fatto fare venticinque giri di corsa dell'edificio sotto il temporale'' disse il polacco, divertito ''Ma non so se sia vero... Nel dubbio, meglio non rischiare'' facendogli l'occhiolino.
Klaus ascoltava tutto senza credere a ciò che stava succedendo.
''Come mai sei così gentile con me? Voglio dire, vi abbiamo invaso''
Johan abbassò lo sguardo e sorrise lievemente.
''Se non puoi batterli fatteli amici, no?'' disse, voltandosi verso Klaus.
Il tedesco annuì lievemente.
Arrivarono davanti alla porta della sala, la aprirono e notarono con sollievo che gli altri commensali non erano ancora seduti a tavola.
''Giusto in tempo!'' disse il panciuto generale, stretto nella sua divisa ''Accomodatevi. Vi conoscete già?'' chiese festante ai due ufficiali.
''Io e il signor Friedrich abbiamo già avuto modo di conoscerci'' disse Johan annuendo e guardando Klaus nei suoi occhi scuri.
Tutti si sedettero e la cena potè finalmente iniziare.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Incubi ***


La cena iniziò, fra la tavola riccamente imbandita e le chiacchiere dei commensali.
-Sapete che il nostro caro signor Friedrich- disse Von Kaulitz orgoglioso, rivolgendosi a Johan -È stato fra i più giovani soldati dell'esercito tedesco?- con una pacca amichevole sulla spalla del tedesco, il quale avvertì come una specie di morsa letale attorno al suo braccio e sorrise annuendo timidamente.
-No, non lo sapevo. Io e il signor Friedrich non abbiamo avuto molte occasioni per parlare- guardando Klaus e sorridendo con aria incuriosita.
C'era qualcosa di particolare, di luminoso e vivo in quello sguardo, qualcosa di indecifrabile.
La cena continuò e alla fine, approfittando della bella serata, Klaus e Johan uscirono nel parco attorno al palazzo.
-Non fumo- scuotendo la testa Klaus e rifiutando la sigaretta che Johan gli porgeva.
Il polacco sorrise annuendo e accese la sigaretta per sé.
Mentre Klaus lo osservava, in ogni suo minimo gesto, notò che sembrava uno di quei divi del cinema, così disinvolto, ironico, sicuro di sè e quella sigaretta fra le dita, il modo in cui la teneva confermò i suoi pensieri. Un po' lo invidiava, ma dall'altra parte lo ammirava.
-E così, sei fra i soldati più giovani- sorridendo compiaciuto.
-Già- rispose orgoglioso Klaus con un ampio sorriso -Ma ho avuto anche una grossa mano- ridendo e facendo ridere anche Johan.
-Sei sincero, Friedrich. Mi piace- continuando a ridere e colpendo bonariamente il braccio del tedesco.
-Tu invece? Quando sei entrato?-
Johan lo guardò un istante, per poi abbassare gli occhi grigi, velati da un'ombra di malinconia, leggera, impalpabile, ma presente.
-Cinque anni fa-
Klaus notò che qualcosa era cambiato, nel suo sguardo e nel suo animo.
-È successo qualcosa?-
Johan prese un bel respiro prima di parlare.
-Ero fidanzato con una ragazza, Monia. In quel periodo, avevo iniziato da poco come militare, io e lei ci saremmo sposati l'anno successivo, per questo avevo anche deciso di aspettare per entrare nell' esercito.
Ma poi, mentre ero fuori per delle esercitazioni, scoprii che aveva accettato la proposta di matrimonio di un conte- storcendo il naso -Si sarebbero sposati il mese successivo; decisi così di non aspettare e arruolarmi subito, per stare il più lontano possibile da lei e dalla mia delusione. Solo l'anno dopo venni a sapere che era morta di parto...- con la voce carica di tristezza.
A Klaus si strinse il cuore vedendolo in quel modo.
Fin'ora, aveva visto vari aspetti di Johan: quella mattina, quando era andato ad avvisarlo dei prigionieri, gli era sembrato il classico ufficiale, irreprensibile e ligio al dovere, poi a cena era mutato completamente, mostrando un ragazzo brillante, solare e carismatico.
Ora invece, trasmetteva solo tristezza e delusione.
-Mi dispiace-
Johan alzò le spalle con fare rassegnato e poi tornò a guardarlo.
-E tu? Hai una fidanzata ad aspettarti in Germania?- sorridendo.
-No, nessuna fidanzata- scuotendo la testa.
-Proprio nessuna?- sorridendo con aria sorpresa -Avrei scommesso il contrario-
-Mi dispiace deluderti- ridendo Klaus, con un' alzata di spalle.
La passeggiata durò a lungo, mentre i due ufficiali continuavano a chiacchierare in quel grande parco, sovrastato dal cielo carico di stelle.
Ad un certo punto, mentre tornavano indietro, vedendo l' orologio in cima al palazzo, si accorsero che era mezzanotte inoltrata e si affrettarono a rientrare.
-Allora, buonanotte- disse Johan, una volta arrivato davanti alla porta della sua camera, poco più avanti di quella dell' ufficiale tedesco.
-Buonanotte. A domani- rispose Klaus e Johan rispose a sua volta con un sorriso e un cenno del capo.
Anche l'ufficiale tedesco andò nella sua stanza e si mise a letto, ripensando, con un sorriso, alla particolare giornata che si era conclusa.




*****************************




Quando Klaus si svegliò, colpito in pieno volto dal caldo sole di maggio, si sentiva sfinito. Sfinito dallo strano sogno che aveva agitato quella notte che, a differenza della giornata, non era stata affatto tranquilla.
Aveva sognato infatti di essere con Johan nel parco, proprio come era successo dopo cena, a godersi il tepore primaverile.
All'improvviso, il cielo era stato invaso dalle nuvole, tutto era diventato freddo, triste, quasi angosciante e Klaus notò che Johan si stava a poco a poco allontanando da lui, sempre più, tanto che lui non riusciva a raggiungerlo, finchè il polacco si trovò avviluppato fra le spire di un fumo nero, denso e soffocante.
Prima di sparire del tutto, però, Klaus lo sentì pronunciare alcune parole: ''Non tradirci''. Poi, fu avvolto completamente dal fumo e sparì.
Mentre si preparava e usciva dalla camera, Klaus continuava a ripensare al sogno e a quelle parole, di cui, però, non riusciva a comprendere il significato.
Quando entrò nella sala per la colazione, vide che Johan era già arrivato.
Dopo essersi salutati, Klaus lo raggiunse a tavola e riempì un'enorme tazza di caffè, mentre Johan lo guardava attentamente.
-Dalla tua tazza e la tua faccia devo dedurre che hai dormito molto bene- esclamò ironicamente.
Klaus rise piano con un'espressione stanca alle parole dell'ufficiale.
-Solo un brutto sogno, nulla di che...-
Johan lo fissò a lungo, poi tornò a guardare dritto davanti a sè.
-Nei mesi successivi alla scoperta della morte di Monia feci dei bruttissimi sogni, quasi ogni notte, ma solo dopo che ebbi il coraggio di parlarne sparirono- si interruppe, voltandosi verso Klaus -Potrebbe aiutarti parlarne. Insomma... se ti va, io ci sono- con un'alzata di spalle.
-Lo terrò a mente- rispose il tedesco sorridendo e Johan gli rivolse a sua volta un sorriso.
Una volta terminata la colazione, ognuno si recò al proprio lavoro iniziando quella giornata, ancora carica di inquietudini e paure.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Incertezze ***


Le giornate trascorrevano lente e ordinarie all'ambasciata, mentre nei cieli e sui campi di battaglia la guerra imperversava ancora.
La sera del 25 maggio, dopo la consueta passeggiata nel parco, Johan e Klaus rientrarono e il polacco lo invitò a entrare nella sua stanza.
Klaus si sedette su una poltrona e osservò Johan versare un liquore limpido e ambrato in due bicchieri.
-Sembra si andata bene ai tedeschi in Francia- mormorò Johan con un tono non ben definito.
Quel giorno, infatti, anche Bordeaux aveva ceduto di fronte al potere nazista.
-Come mai me lo stai dicendo?-
Johan sorrise lievemente, con un'alzata di spalle, porgendogli il bicchiere.
-Non so, non dovresti essere contento? La tua nazione sta ottenendo buoni risultati-
Klaus lo osservò pensieroso. Doveva esserlo? O forse no?
-Non lo so...- rispose solamente,  mentre osservava il suo bicchiere, provocando una leggera risata di Johan.
-Sei un tedesco proprio strano, Klaus Friedrich- continuando a ridere e sorseggiando il liquore.
-Il fatto è che...- iniziò Klaus, forse cercando le parole adatte -È come se ci fosse qualcosa di sbagliato, tutto questo accanimento, quelle ''prigioni'', da cui solo alcuni vengono liberati, ma sono solo una piccola parte...-
Johan ascoltò attentamente quelle parole.
-Per caso stai ritrattando, Friedrich?- con sorriso poco convinto, cercando di smorzare la tensione.
Klaus lo guardò. Non capiva nemmeno lui perchè in quei giorni era arrivato a certe conclusioni, ma era come se tutto ciò in cui aveva creduto in quegli anni si stesse sgretolando.
-Forse- rispose atono, alzandosi e iniziando a camminare per la stanza -E' come se ciò in cui ho sempre crreduto e che mi è sempre stato impartito fosse improvvisamente avvolto da un'enorme incognita... un'incognita a forma di svastica e tutti agissero senza un motivo, solo perchè certe cose vanno fatte-
Quelle parole colpirono Johan, che per la prima volta non seppe cosa rispondere, ma si limitò ad osservare Klaus, il quale poi gli si avvicinò.
-So che posso fidarmi di te e che non ne farai mai parola con nessuno-
Il polacco sorrise con la sincerità a colmare i suoi occhi color nebbia e annuì.
In un tempo non ben definito, i loro occhi si unirono, poi le loro fronti, sospendendo il tempo per secondi, minuti, forse anni.
Si unirono poi i loro nasi, i loro respiri, poi le loro labbra, sospendendo il tempo per secondi, minuti, forse anni.
Poi, un bicchiere che arrivò con un tonfo sordo sul tappeto, ormai pregno di un liquido limpido e ambrato.



*********************



Le serate seguenti trascorsero così in quella camera del secondo piano, fra la passione, il desiderio e la noncuranza di ciò che stava accadendo fuori, perchè in quella stanza il tempo veniva sospeso, per secondi, minuti, forse anni.
Come quei brevi istanti, in un corridoio, o durante il pranzo o la cena, quando degli occhi scuri e degli occhi nebbia si incontravano, come animati da una nuova consapevolezza, una nuova luce.

-Continuo a fare quel sogno-
Johan e Klaus si trovavano, come ogni sera, nella camera dell'ufficiale polacco, sul divano marrone di pelle.
-Non posso aiutarti se non me lo racconti- disse dolcemente Johan, con un sorriso incoraggiante.
Klaus prese un profondo respiro e raccontò il sogno, che si ripeteva sempre uguale ogni notte da settimane, mentre l'altro lo ascoltava.
-È solo un sogno. non devi dargli importanza. E poi io sono ancora qui con te, no?- disse Johan sorridente col suo solito tono scanzonato, accarezzando il viso dell'altro, che annuì.
Perchè Johan era sincero, sempre e lui si fidava.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Paure ***


Era già mattina e Karl dormiva ancora saporitamente, quando un forte bussare alla porta lo svegliò.
Si alzò, ancora un po' intotito e preoccupato da tanta insistenza e aprì la porta. Era un ufficiale.
-Il Generale Von Kaulitz vi cerca. Richiede la vostra presenza immediatamente per una questione della massima urgenza- disse l'ufficiale atono e poi andò via a passo spedito.
Karl richiuse la porta come un automa e tante furono le idee che gli passarono per la testa.
Prima su tutte, ovviamente, Johan. Che avessero scoperto tutto? No, non poteva essere. Erano stato più attenti e discreti possibile, non poteva esser trapelato qualcosa.
Si vestì in fretta e furia e andò dal Generale.
Arrivato davanti alla porta dell'ufficio, si fermò un istante, fece un respiro profondo e poi bussò, entrando subito dopo aver sentito una voce dall'interno.
-Friedrich, finalmente!- tuonò il Generale, non appena lo vide.
Karl si avvicinò tremante alla scrivania. L'espressione di Von Kaulitz non prometteva nulla di buono: era teso, nervoso e aveva da subito alzato la voce, brutto segno.
-Pensate forse che il mio ruolo qui sia inutile?- chiese serio alzandosi dalla scrivania e camminando davanti alle alte finestre alle sue spalle.
-No, signore-
-E pensate forse che ciò che facciamo qui sia inutile? Pensate che ciò che lui fa sia inutile?- indicando la foto del fürer.
-Certo che no, signore- rispose Karl con tono incerto, aggrottando la fronte.
-Strano, avrei detto il contrario, Friedrich. Allora spero che ciò che è accaduto in questi giorni non si ripeta più, se ci tenete al posto- disse Von Kaulitz con tono irremovibile, poggiando le mani sulla pesante scrivania di legno.
Karl annuì, sempre più convinto che il Generale si riferisse di certo a loro due. Doveva ammettere, però, che non si sarebbe aspettato tanta magnanimità.
-Voglio fidarmi di voi Friedrich, sperando che non sbaglierete più la destinazione dei prigionieri, o l'unico posto da cui vedrete l'esercito tedesco sarà la finestra di casa vostra- puntando il grasso indice verso l'ufficiale.
Karl parve non capire, ma poi, all'istante, si ricordò subito dell'avvenimento di due giorni prima, quando aveva portato i prigionieri alla baracca sbagliata e si sentì enormemente sollevato. Cercò comunque di non darlo troppo a vedere, in fondo aveva comunque commesso un errore e non poteva mostrarsi contento dopo quella lavata di capo.
-Avete la mia parola, Generale- alzandosi ed eseguendo il saluto nazista e Von Kaulitz lo liquidò con un gesto scocciato della mano.
Quando uscì e si chiuse la porta alle spalle, spuntò un enorme sorriso sul volto di Karl. Aveva temuto il peggio, ma alla fine tutto si era risolto.
In quel momento, Johan stava imboccando il corridoio e, vedendo l'espressione del tedesco, lo guardò incuriosito.
-Che succede?- gli chiese sorridendo.
-Te lo dirò stasera dopo cena, nel parco- rispose Karl, con ancora un' espressione sollevata.
Johan annuì e ognuno tornò al proprio lavoro.





***********************





Come di consueto, una volta terminata la cena, Johan e Karl si recarono nel parco, che offriva un piacevole ristoro dalla calura di Giugno.
-Allora? Cos'è successo stamattina?-
-Von Kaulitz mi aveva fatto chiamare con urgenza e quando sono arrivato ho pensato che mi scannasse sul momento, tanto era nervoso. Alla fine, ho scoperto che si riferiva ad un errore che avevo commesso giorni fa, portando dei prigionieri in una baracca sbagliata, ma subito pensavo si riferisse a noi due...- aggiunse Karl mestamente, fermandosi e dando le spalle alle alte siepi del giardino -Dobbiamo stare attenti, Johan. Ho pensato che ci sarebbe successo qualcosa, che potessero farti del male, io voglio evitare tutto questo- avvicinandosi all'ufficiale polacco, con la voce che traballava.
Quello sorrise mestamente e prese il volto dell'altro fra le mani.
-Non ci accadrà nulla. Noi staremo attenti, useremo la massima discrezione e saremo liberi e tranquilli quando la guerra sarà finita, non devi preoccuparti- disse con tono rassicurante e accarezzando il volto di Karl.




**********************



Era mezzanotte inoltrata, il Generale Von Kaulitz si trovava come sempre nel suo ufficio a fumare il suo solito sigaro, quando sentì bussare. Strano, vista l'ora tarda. Di sicuro era qualcosa di importante.
-Avanti-
Un uomo dall'aria ambigua entrò nella stanza.
-Spero di non disturbarvi, Generale-
-Sergente Heimann, entrate, accomodatevi. Gradite un sigaro?-
-Vi ringrazio, Generale- disse l'uomo con un sorriso viscido e declinando l'offerta con un gesto della mano -La questione è della massima importanza e desidero andare subito al sodo-

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Non tradirci ***


Il caldo sole che apriva le porte a quell'estate polacca fatta di guerra, novità e qualche bello spavento entrò dalla finestra, posandosi sul bel viso di Klaus e facendo aprire i suoi occhi scuri.
Avvertiva una strana sensazione, come qualcosa di nuovo, di inaspettato, come quando si pensa ad una parola e la si ha sulla punta della lingua.
Si ricordò poi che quella notte aveva di nuovo fatto quel sogno. Era strano, perchè erano parecchi giorni, forse è meglio dire parecchie notti, che quell'incubo lo aveva abbandonato, ma adesso si era deciso a tornare, avvolgendo il cuore di Karl col leggero velo di tristezza e inquietudine che sempre portava con sè.
Si disse comunque che era stato probabilmente lo spavento preso il giorno prima nell'ufficio del Generale e scacciò quindi quelle preoccupazioni.
Così si alzò, si preparò e andò nella sala per la colazione.
Quando arrivò, trovò solo il Generale, il che gli risultò molto strano.
-Buongiorno, Friedrich- disse quello col suo solito tono goliardico, mentre mangiava.
-Buongiorno, Generale. Non vi vedo mai qui, a quest'ora- si azzardò a chiedere, sperando che quello non lo uccidesse subito.
-Diciamo che c'era un lavoro urgente da sbrigare stamani, ma dal momento che c'è chi se ne occupa mi sono preso qualche minuto libero- rispose, ridendo forte e Karl sorrise con circostanza.
-Dimmi figliolo, ti trovi bene qui?-
Karl ci pensò qualche istante e in effetti andava tutto abbastanza bene, anche se avrebbe voluto trascorrere un po' di tempo in più con la sua famiglia, ma probabilmente, si disse, non avrebbe conosciuto Johan, quindi andava bene così.
-Abbastanza, signore- annuendo convinto.
-Bene. E dimmi, c'è qualcuna, ad esempio fra le segretarie, o le addette all'amministrazione o, perchè no, fra le ragazze dell'esercito che ti interessa? A guardarle non sembrano male, con quelle divise addosso- ridendo ancora.
Karl fece l'ennessimo sorriso di circostanza; lui aveva Johan, non poteva fregargli di meno di tutte le segretarie del mondo. Ma dov'era finito Johan?
-Sapete, c'è sempre così tanto lavoro da fare e così poco tempo libero a disposizione...- cercando di sembrare il più dispiaciuto possibile.
-Eh lo so figliolo, ma che possiamo farci? E' la guerra e finchè dura non possiamo prenderci un attimo di riposo...- disse il Generale, scuotendo la testa.
Quella strana conversazione durò a lungo, finchè Von Kaulitz si diresse al suo ufficio e Karl alle baracche dei prigionieri che ogni giorno arrivavano sempre più numerosi.
Ancora però non riusciva a capire dove fosse Johan. Che fosse ancora a letto? Magari stava male, ma lui non poteva controllare, stava lavorando... O magari era impegnato in quel lavoro urgente di cui parlava il Generale, in fondo nemmeno i sergenti erano con loro a colazione.
Sì, era sicuramente impegnato con gli altri.





*********************





L'aria era stata irrespirabile tutto il giorno e Karl provò un immediato sollievo quando rientrò per il pranzo e la frescura della penombra lo investì.
Si concesse qualche altro minuto per riprendersi e si recò poi alla sala.
Quando entrò, a tavola erano già seduti il Generale e due sergenti tedeschi.
Karl prese posto e il pranzo iniziò.
-Allora è tutto risolto, Heimann?- chiese quasi con tono ovvio il Generale ad uno degli uomini che gli sedevano accanto.
-Tutto fatto, Generale. Come lei aveva ordinato- disse quello annuendo con uno strano sorriso e Von Kaulitz assunse un'espressione soddisfatta.
Quel discorso continuò e Karl lo ascoltò distrattamente; sentiva che parlavano di qualcuno che era stato trasferito, o portato comunque da qualche parte perchè aveva fatto chissà cosa la sera prima, anche se non capiva di quale luogo e, soprattutto, di chi stessero parlando.
Il pranzo poi finì e poichè era sabato, la sua giornata lavorativa si era conclusa, decise così di andare in camera di Johan.
Prima di andare via, Karl fu chiamato dal Generale.
-Ah Friedrich, volevo chiederle una cosa-
Karl annuì e si avvicinò.
-Era Johan Kowalski quello di cui parlavamo poco fa. E' stato trasferito poichè è stato visto ieri sera nel parco insieme ad un ufficiale in atteggiamenti... ''equivoci'' e mi chiedevo se lei ne sapesse qualcosa, visto che eravate molto affiatati- chiese il Generale, mentre lo scrutava attentamente, come per carpire ogni informazione e ogni singola emozione.
Klaus si sentì morire.
-No signore, non so nulla, mi dispiace...- scuotendo la testa.
Il Generale lo guardò un altro istante e poi annuì, sorridendo.
-Molto bene. Sapevo di potermi fidare di lei- e andò via.
Klaus aspettò che non fosse più nei paraggi e corse in camera di Johan.
Bussò più volte, e ancora e ancora, ma nessuno rispose. Aprì la porta e la camera era vuota. Si guardò attorno e vide che le cose di Johan non c'erano.
Notando poi un movimento oltre la finestra, si avvicinò.
Dalle enormi strutture oltre le baracche fuoriusciva del fumo denso e scuro, che si sviluppava in grandi spire che invadevano e oscuravano il cielo estivo.
''Non tradirci''.
Quella frase gli risuonò in testa come un monito, come qualcosa che non poteva evitare e allora capì.
Capì che l'unica cosa che gli restava da fare era soffrire in silenzio, lontano da tutti, affogare nel suo dolore senza farne parola con nessuno.
Perchè lui non doveva tradirli.





********************




All'interno del campo, l'estate sembrava non essere arrivata, come se quel freddo, quell'atmosfera cupa fossero come delle scenografie, messe lì e mai più tolte, fondali di un palco scenico che non sapeva offrire altro che spettacoli di orrore e sofferenza ad un pubblico fatto di morte soddisfatta e in divisa.
La stessa divisa che vestiva un gruppo di ufficiali intento a guidare malamente delle file ordinate di ragazzi verso un'alta struttura oltre le baracche, da cui fuoriusciva un fumo denso e scuro, che si sviluppava in grandi spire che invadevano e oscuravano il cielo estivo.
Fra quelli, c'era anche un ragazzo biondo, dagli occhi color nebbia e il corpo tappezzato di grandi lividi e ferite ricoperte da sangue ormai rappreso, che indossava un pigiama a righe con un triangolo rosa bene in evidenza a indicare l'amore, la sua unica colpa.
Arrivati dentro l'alta struttura, ai ragazzi venne detto di togliere i pigiami, che caddero accasciandosi al suolo, come corpi senza vita.
Era il momento della doccia.




Eccoci giunti alla fine di questa storia, romantica ma anche triste, iniziata a marzo durante una lezione di storia :)  non mi aspettavo che sarebbe stata abbastanza seguita, anche perchè fino all'ultimo ero molto indecisa se pubblicarla o meno e alla fine non ho resistito xD bhe, che dire, se non grazie a tutti coloro che l'hanno seguita, letta e recensita. Spero di ritrovarvi tutti in un'altra storia, alla prossima!!!!! :****

Note: la scelta del trinagolo rosa, che spiega anche il titolo di questa storia, è ricaduta sul fatto che nei lager nazisti ogni baracca riportava un simbolo, un trangolo, diverso a seconda dei prigionieri che ''ospitava'' e quello rosa era appunto quello destinato agli omosessuali.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3253892