Anima Fantasma- Red Destiny

di Ledion Kaja
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** (1) ***
Capitolo 2: *** (2) ***
Capitolo 3: *** (3)- Quertram ***
Capitolo 4: *** (4) ***
Capitolo 5: *** (5)-Quertram ***
Capitolo 6: *** (6) ***



Capitolo 1
*** (1) ***


(1)
 

Stava guardando il soffitto buio di camera sua da cinque minuti ormai, sudava, si sentiva la schiena bagnata e fredda, come se fosse caduto in mare con i vestiti addosso anche se l'ultima volta che aveva nuotato in acque cristalline non se la ricordava nemmeno.

Era sempre lo stesso incubo che turbava le sue notti, uguale, che puntualmente tornava facendolo desistere dal dormire, era una scena che quasi gli pareva di aver già vissuto, parecchi anni prima o magari in un altra vita, ma non ricordava quando e soprattutto non sapeva di chi fosse quella voce femminile e triste, come ad una madre a cui tolgono un figlio; per quel che ne sapeva poteva anche essere sua madre o sua sorella, sempre se ne avesse una, questo lo turbava, non aveva conosciuto i suoi genitori ma il solo pensiero che qualcuno di loro potesse soffrire lo faceva stare male.

Non riuscii ad addormentarsi e come ogni volta uscì in balcone e si accese una sigaretta.

Rimase a contemplare le tenebre che grazie alla luna, qua e la, lasciavano affiorare qualcosa dell'ambiente che lo circondava. Tutto normale. Il giardino di casa sua. Lo stesso giardino che da piccolo di notte gli faceva paura. Ma che aveva imparato a conoscere con gli anni. Quella notte sembrava essere tornato indietro nel tempo a quando in mezzo a quei cespugli vedeva strane forme, sentiva strani rumori.

Mentre buttava via il mozzicone li vide, due grandi occhi rossi fiammanti che lo guardavano quasi a chiamarlo a se e lui rispose alla chiamata.

Passo svelto, occhi fissi sugli occhi rossi, quasi inciampò nel discendere dal terrazzino.
Pensava a mille cose in quel momento, aveva la testa pesante di pensieri : 'Chi è? Cosa vuole? Che ci fa a casa mia? Mi farà del male?' Ma comunque la sua voglia di sapere era troppa, doveva avvicinarsi.
A quasi due metri raccolse un ramo abbastanza grande e robusto da ferire, se lo passo tra le mani, quasi a provarlo ed infine lo strinse fermamente con la mano destra.

I due occhi si mossero verso destra di almeno mezzo metro, intravide una sagoma, una creatura grande la metà di un uomo normale ma oltre a questo non riconobbe altro.

Mentre cercava di avvicinarsi ulteriormente la sagoma si mosse ancora, poi ancora, sempre più veloce, finché i due occhi rossi svanirono del tutto.
Jackies si fermò di scatto cominciando a guardarsi attorno ma niente, non ne trovò più traccia, come se si fossero volatilizzati insieme alla creatura a cui appartenevano.
Troppo piccolo per essere un umano e troppo veloce per essere un nano pensò.

Tornò sui suoi passi, scrutando comunque l'ambiente circostante anche se le tenebre celavano quasi tutto, i suoi occhi da *Wismer non erano d'aiuto in quel frangente.
C'era il silenzio più totale, interrotto qua e là dal vento che muoveva le foglie in un ballo che sarebbe stato stupendo se non fosse autunno e quel danzare significava l'imminente caduta delle medesime; come si può gioire nel vedere della foglie cadere?

Si preannunciava una notte fredda, la prima delle tante che sarebbero susseguite nei giorni a venire.

Autunno oramai era iniziato da un pezzo, le giornate si accorciavano sensibilmente e le persone di conseguenza diventavano più fredde, più cupe, se c'era una cosa che a Jackies piaceva dell'estate era la voglia di vivere che possedeva le persone.

A *Willtram era consuetudine, ogni due settimane, organizzare grandi cene a cui partecipavano tutti, dal Re al popolo, dai cavalieri ai stallieri, dai buffoni di corte ai contadini.
Nessuno escluso perché tutti partecipavano all'organizzazione.
I cuochi cominciavano a cucinare due giorni prima, così come i falegnami preparavano le grandi panche e i tavoli servendosi della moltitudine di quercie che si trovavano poco fuori le mura della città.
I più eccitati erano i buffoni di corte che, per tradizione, non dovevano mai presentare lo stesso spettacolo due volte, per questo motivo c'era sempre qualche buffone nuovo in sostituzione di chi, non avendo più idee tornava a *Quertram a farsi aggiornare nelle scuole di musica dagli elfi, i soli a conoscere l'Intelligenza musicale.

È questo il grande dono degli umani, che non posseggono particolari abilità innate come elfi, nani od orchi, ma sono l'unico popolo che ha l'Intelligenza Interpersonale e Intrapersonale, il dono del quieto vivere, dell'andare tutti d'accordo, sopratutto del fidarsi ciecamente l'uno dell'altro.
Il re è la guida e loro il suo popolo, i suoi contadini, il suo esercito, la sua famiglia.

Era di nuovo dentro casa, lasciandosi alle spalle la notte, il freddo e sopratutto le sue domande. Sbattè violentemente la porta alle sue spalle tanto da far tremare i quadri. Spezzò il robusto ramo a metà e lasciò cadere i due pezzi nel cesto della legna adiacente al caminetto.

Era una modesta casetta la sua, situata poco fuori le seconde mura, quelle a protezione del Castello, fuori dal caos impossibile della corte ma comunque abbastanza vicino ad ogni qualsivoglia cosa gli servisse, abitando a dieci minuti a cavallo dal mercato.
Aveva tre stanze in totale, molto ampie, ben areate e luminose; la più grande era adibita a cucina, aveva un grosso tavolo al centro con quattro sedie, anche se ne usava solo una da molto tempo.
Sulla parete sinistra c'era qualche scaffale che lui stesso aveva costruito con piccole ceste in cui vi appoggiava la frutta e verdura, la pasta, il pane, qualche fiasco di *raki ed innumerevoli altre cose sparse ovunque. Una credenza di fianco agli scaffali conteneva le marmellate, il burro, gli insaccati, la farina e qualche altro fiasco di raki.
In basso, una di fianco all'altra, due anfore con l'acqua, riempite il giorno prima dal pozzo dei Kristen, la famiglia più vicina a lui dopo i Jinten, con cui non parlava da tempo ormai.
Un mobile ad angolo completava il tutto, anche questo costruito da lui, in cui teneva la carne conservata fresca nel ghiaccio.
Nella parete destra c'erano dei quadri raffiguranti scene di caccia, pesca ed altre normali gesta di vita quotidiana. Tutti apparte uno.
Il quadro più piccolo, messo esattamente al centro rispetto agli altri, aveva una cornice rossa, tutta la tela era colorata di rosso, un rosso omogeneo e compatto che non lasciava trasparire nulla, magari incompiuto, ma che sua nonna aveva voluto appendere lo stesso. Tutti i quadri erano stati dipinti da Etemh, suo nonno. Sotto ai quadri, una grande panca di quercia con grandi cuscini riempiti di paglia, faceva da divano. Poco più in là, il caminetto sempre acceso, riscaldava l'ambiente, creando il tepore giusto per grosse chiacchierate davanti al fuoco magari sorseggiando qualche bicchiere di raki. Era solito passare intere ore, la sera, quando fuori diventava buio e le tenebre scendevano soppraffacendo i colori, i rumori e le persone, con suo nonno a discutere, ridere o semplicemente a raccontarsi la giornata lavorativa.

Da quando è rimasto da solo, quel caminetto è solo un inutile conservatore di ricordi, tutta casa è intrisa dei loro gesti, del loro profumo, delle loro risate.

La seconda stanza è quella in cui dorme. Rude e spoglia. Un letto a due posti, con un materasso di paglia e due cuscini sempre di paglia. Da un lato un comodino su cui appoggia i vestiti, dall'altro un comodino uguale ormai impolverato ed impoverito di qualsiasi funzione, appartenuto a suo fratello, scomparso cinque anni prima e ormai dato per morto. Una ferita ancora aperta che mai potrà riasanarsi.

La terza stanza, un giorno appartenuta ai suoi nonni, era diventata il suo laboratorio.
Un grosso tavolo aveva sostituito il letto. C'erano utensili e strumenti da lavoro dappertutto. Pezzi di legno in fase di lavorazione e poco più in là un grosso armadio conteneva, in un disordine paradossalmente ordinato, i libri regalati dal nonno, sempre stato ferreo nel pretendere che il nipote avesse un livello di istruzione elevato rispetto agli altri. Dando le spalle al tavolo si poteva notare una grande finestra di circa un metro e mezzo di grandezza che di giorno, tenuta aperta, faceva entrare la grande quantità di luce necessaria alla decorazione dei mobili in legno.

Si avvicinò alle credenze della cucina, vi prese un bicchiere ed il fiasco semi-vuoto di raki, se ne versò fino all'orlo sedendosi sulla sedia.

Jackies era un ragazzo di diciassette anni, circa due metri di altezza, un po sopra la media degli uomini, capelli biondi tenuti corti ma non troppo e occhi gialli tipici dei Wismer. Di corporatura robusta, possedeva una forza che lo contraddistingueva dagli altri, suo nonno diceva sempre che aveva la forza di un *Dusten ma era troppo intelligente a differenza loro.

Al terzo bicchiere si alzò dal tavolo in direzione del caminetto il cui fuoco si assopiva lentamente ma inesorabilmente, prese un pezzo di legno e lo lanciò in direzione della fiamma.
Chiuse la porta a chiave e si diresse verso il suo laboratorio spegnendo man mano le candele della stanza apparte l'ultima che uso per farsi strada. Una volta dentro si diresse verso la finestra e la chiuse dando un ultima occhiata fuori ma non vide niente, solo buio. Tornò indietro, percorse il mini corridoio fino ad arrivare in camera sua. Una volta dentro si sfilò gli abiti appoggiandoli sul comodino e si adagiò sul letto. La coperta era troppo corta ma il freddo non gli aveva mai dato particolari fastidi quindi dormiva con buona parte del petto scoperto. Si umidificò la punta delle dita con un poco di saliva e spense la candela.

Buio.

Doveva essersi addormentato da un paio d'ore almeno. C'era il silenzio più totale. Si girò dall'altro lato cercando di riaddormentarsi ma niente, sentiva che c'era qualcosa che non andava.
Decise di alzarsi, prese le braghe e se le infilò. Conosceva casa sua a memoria ed era sempre stato bravo ad orientarsi, con passo deciso si diresse verso la cucina.
Trovò il fuoco spento. Tutto era come lo aveva lasciato, la porta chiusa a chiave, il bicchiere di raki ancora sul tavolo, tutto in ordine. Bevve un sorso d'acqua direttamente da una delle anfore e decise di ritornare a letto.

Quando passo davanti allo studio sentì qualcosa, un rumore secco, come un pezzo di legno che si rompe. Spalancò la porta immediatamente, cercando di capire cosa fosse successo. La finestra era spalancata. La luna entrava prepotente nella camera e illuminava tutto. Corse alla finestra per vedere se c'era qualcuno, magari la creatura dagli occhi rossi era tornata o semplicemente una forte raffica di vento l'aveva aperta. La finestra era stata forzata. Le due ante di legno erano state divelte dalla base. Qualcuno le aveva letteralmente sradicate, qualcuno molto forte, questo era sicuro. Fuori il silenzio regnava incontrastato e le tenebre lo assecondavano più forti che mai. Non sapeva cosa fare. Tornare a dormire non se ne parlava sicuramente, non avrebbe mai più ripreso sonno. Decise allora di riparare le due ante in maniera approssimativa almeno fino all'indomani, quando con l'aiuto della luce avrebbe risolto il problema definitivamente. Recuperò il martello e qualche chiodo dal tavolo e fece per tornare alla finestra quando un dolore lancinante lo assalì alla spalla destra.

Cadde in ginocchio.

Si tasto la spalla e vi trovò un pugnale conficcato, cercò di estrarlo ma niente, non riusciva ad afferrarlo. Dietro di lui sentì chiaramente dei passi, qualcuno si stava avvicinando. Cercò di rimettersi in piedi appoggiandosi allo scaffale dei libri ma una mano lo fermò tirandolo a se da un piede. Non riusciva ad opporsi, le forze lo stavano abbandonando, si sentiva svenire. Sempre la stessa mano lo afferrò per i capelli, alzandolo di peso, non riusciva ancora a vedere chi fosse. Trovò la forza per divincolarsi dalla presa e ci riuscì, cadde di nuovo a terra. Era la fine. Si giro per vedere in faccia il suo assalitore, se sarebbe dovuto morire voleva sapere almeno chi lo avrebbe ucciso.

Due occhi rossi.

Due occhi rossi fiammanti.

Gli stessi di prima ma la creatura era diversa, per corporatura sembrava un Wismer ma nessun uomo aveva gli occhi rossi, nessuna creatura, per quel che aveva appreso dai libri, nelle terre di Siniost aveva gli occhi rossi. Gli occhi scomparverò, di nuovo, come era successo in giardino. Passarono venti o trenta secondi. Riapparvero a pochi centimetri dalla sua faccia, poteva sentire il fiato della creatura sul suo viso.

Troppo vicino per non vedere.

Troppo vicino per non accorgersene.

Quella macchia rossa sulla guancia destra.

Non poteva essere.

'Mah?'

'Piacere di rivederti, fratellino. '

Buio.

 

 

 

 

 

 

 

 

Nota

* La razza umana è detta anche Wismer.
* Willtram è la più grande città degli uomini.
* Quertram è la terra degl'Elfi.
* Il raki è un forte alcolico distillato dall'uva.
* gli orchi sono chiamati anche Dusten.

 

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Capitolo 2
*** (2) ***


Stava guardando il soffitto buio da cinque minuti ormai, sudava, si sentiva la schiena bagnata e fredda, come se fosse caduto in mare con i vestiti addosso anche se l'ultima volta che aveva nuotato in acque cristalline risaliva a parecchi anni prima.

Ma stavolta non era un incubo. Era tutto reale.

Non riusciva a muoversi. Ogni singolo muscolo non voleva saperne di reagire agli stimoli. Doveva aver perso molto sangue a giudicare da quanto debole si sentiva. La testa pulsava quasi all'unisono col battito del cuore. Il respiro era affannoso. L'odore del sangue era dappertutto, se lo sentiva addosso, gli sembrava quasi di respirarlo.

Era sdraiato per terra con mani e gambe legate. Un filo di luce fioca penetrava dalla finestra che qualcuno doveva aver aggiustato frettolosamente, guardandosi attorno notò l'armadio dei libri; era ancora nel suo laboratorio.

Provò invano a sfilarsi la corda dai polsi ma niente, il nodo era troppo stretto e i suoi tentativi lo portarono solo ad escoriarsi ulteriormente le mani provocandogli altro inesorabile dolore.

Si rassegnò ad aspettare. Chi o cosa non lo sapeva nemmeno lui o almeno non voleva ancora ammetterlo a se stesso ma in realtà sapeva benissimo chi era. Quel viso, quella voce e quella voglia rosea sulla guancia destra. Perché?

Chiuse gli occhi e le lacrime cominciarono a rigargli le guance, non era il momento di piangere o forse si, forse doveva lasciarsi semplicemente morire, dopotutto non aveva senso combattere. Non in quelle condizioni. Nessuno sarebbe venuto a cercarlo, nessuno avrebbe sentito la sua mancanza. L'avrebbero trovato settimane o mesi dopo, sdraiato in una pozza di sangue con mani e piedi legati.

Dopo la morte di suo nonno prima e sua nonna successivamente, aveva tagliato i rapporti con tutti. Lo si poteva trovare nel bosco a tagliare la legna o al mercato in cerca di strumenti da lavoro. Silenzioso e cupo. La morte, oltre ai suoi cari, si era portata appresso anche la sua voglia di vivere.

Un rumore secco alle sue spalle lo fece sobbalzare.

La porta si aprì andando a sbattere contro il muro, la luce delle candele si impadronì man mano di quello che era stato fino ad allora posseduto dalle tenebre. Una figura si fece largo fino a posizionarglisi sopra.

'Sveglia fratellino'

Era di nuovo lui, Phelnis, suo fratello.

L'ultima volta che lo aveva visto risaliva ad un giorno prima della sua scomparsa. Era da poco finito l'inverno, il sole riscaldava timidamente dopo mesi di freddo gelo. La natura tornava a vivere, gli animali uscivano dal letargo in cerca di cibo e un pò di calore. Gli alberi tornavano a riempirsi di foglie e i fiori sbocciavano. Lui e suo fratello passavano la gran parte delle giornate nel bosco. Suo nonno si raccomandava sempre con loro di non andare troppo in là ma loro non lo ascoltavano mai, sognavano di arrivare al confine con bosco Sempreverde, dove stavano gli Esboni, per sentire uno dei loro famosi canti ma non c'erano mai riusciti. Una volta a Jackies parve anche di udirne uno cantare ma Phelnis aveva sempre negato, gli disse che si era confuso con una banale Civetta Songter, ma Jackies sapeva di non sbagliarsi.
Suo fratello portava i capelli raccolti in una coda, li aveva di un biondo leggermente più scuro del suo. Era molto gracile e stava sempre male, a differenza di Jackies che era robusto e l'ultima volta che era stato male non la ricordava. Aveva un voglia rosea sulla guancia destra dalla nascita che lontanamente assomigliava ad un triangolo. Una voce delicata faceva da sfondo ad un comportamento sempre educato e gentile. Non diceva mai una parola di troppo e sopratutto non si arrabbiava mai. Aveva quattordici anni quando se ne andò. Diceva di voler vedere tutta *Siniost, dalle montagne dei *Nentor ai boschi degli Esboni, dalle colline dei Dusten al grande Acquaviva, il mare più grande fino ad allora conosciuto. Voleva studiare con i nani, combattere con gli orchi, cantare con gli elfi e volare con le *Aquile Tar. Sognava ad occhi aperti Phelnis. Tutti sapevano che non sarebbe mai stato in grado di affrontare un viaggio del genere, era troppo debole. I medici della corte di Willtram, tra i più bravi del continente, avevano detto che non sarebbe resistito a lungo, addirittura gli davano dua anni di vita al massimo. Doveva averlo sentito da qualcuno. Per questo se n'è andato. Non voleva morire senza averci almeno provato, doveva realizzare il suo sogno.

Eccolo lì invece, più sano che mai. Avrebbe voluto abbracciarlo, anche se l'aveva pugnalato alle spalle, voleva stringerlo forte. Quanto gli era mancato! Tutti lo davano per morto, i suoi nonni avevano addirittura costruito una lapide dove poterlo piangere, lui no. Da qualche parte dentro di sé sapeva che era vivo, se lo sentiva. Il loro legame era forte, troppo forte per essere interrotto dalla morte.

Adesso portava i capelli in treccine legati dietro. Era molto più robusto di come lo ricordasse e anche più alto, era cresciuto anche se rimaneva di una spanna più basso di Jackies. La voglia rosea era ancora lì anche se sembrava si fosse ingrandita. Aveva gli occhi rossi. Rosso fiammante. Da entrambi scendeva una riga di sangue che culminava sul colletto di una tunica rossa che gli arrivava fino alle ginocchia.

'Quanto tempo è passato fratellino, quattro, cinque anni? ' esordi Phelnis.

'A marzo sono cinque anni' rispose con un filo di voce Jackies.

'Non sembri avere una bella cera, cosa ti succede?' Incalzò lui con tono sarcastico.

'Mi hai piantato un pugnale sulla spalla, ecco cosa mi succede. Perché l'hai fatto? Dove sei stato tutto questo tempo? I nonni sono morti e tu non c'eri.' disse Jackies notando un miglioramento delle sue condizioni, la testa aveva terminato di pulsare e il dolore alla ferita lentamente si affievoliva.

'Da cosa hai capito che sono cambiato? Dal pugnale che ti ho conficcato nella spalla o dal modo in cui porto i capelli?' Phelnis sogghignò. Estrasse il pugnale dal fodero e cominciò a gioccherellarci passandolo di mano in mano.

'Sai, ho saputo quasi subito dei vecchi, non sono tornato perché semplicemente non era più nel mio interesse. La vita è un ciclo ed il loro era finito, avevano vissuto anche abbastanza, ormai non servivano più a niente...'

'Smettila!' Tuonò Jackies.

'Come puoi dire questo? Ci hanno cresciuti, si sono presi cura di noi, eravamo come dei figli per loro e tu sminuisci il loro ricordo così? Che ne è stato di mio fratello? Quello sempre gentile e disponibile? Cosa ti è successo Phelnis? Cosa ti ha spinto a fare questo?'

'Ho visto cosa c'è la fuori fratellino, sono sopravvissuto a tu non sai nemmeno cosa. Avevo la morte che mi seguiva come un'ombra sempre in agguato aspettando che facessi un passo falso. Ma io non l'ho fatto quel passo falso. Quando tutti mi davano per spacciato io ho combattuto. Quando tutti credevano che sarei morto di lì a poco io ho resistito. Mi avete abbandonato Jackies, ecco cosa è successo.' Fece una pausa, rimise il pugnale nel fodero. Gli si avvicinò ulteriormente, quando fù abbastanza vicino gli squarciò la maglia e tastò la ferita. Jackies sentì la schiena in fiamme, il dolore era lancinante. Suo fratello continuò a premere, il dolore aumentò.

'Ti prego smettila, se devi uccidermi falla finita subito, abbi pietà. ' implorò.

'Oh ma non hai capito niente, io non sono venuto per ucciderti ma bensì per portarti con me, tu mi servi.' Aggiunse Phelnis, dopodiché si alzò e con passo spedito raggiunse la porta, poco prima di uscire però si girò nuovamente verso di lui.

'Sono venuto a prenderti perché il tuo destino è rosso come il mio, fratellino.'

 

 

 

 

 

 

*Siniost è il nome del continente.
*I nani sono chiamati anche Nentor.
*le Aquile Tar sono gigantesche e vivono in cima alle montagne dei Nentor.

 

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Capitolo 3
*** (3)- Quertram ***


'Devi concentrati Carnis, fissa l'obbiettivo in mente, canalizza il flusso sulla mano e poi rilascia, così!'
La mano cominciò a diventare sempre più rossa, Carnis poteva benissimo sentire il flusso che accelerava, le vene erano attraversata da quasi il doppio del sangue.
La mano prese fuoco. Ma il maestro non fece una piega, quasi non ne sentisse il calore.
Le fiamme diventarono sempre più ingenti, Bofoloor alzò la mano infiammata e con un gesto secco le lanciò verso l'albero prova, questo prese fuoco.
Si tastò il polso e la mano tornò lentamente ad essere normale.

Carnis l'aveva visto fare centinaia di volte, eppure ogni volta era magico come la prima. A Quertram di maghi ne erano rimasti pochi, e di questi Bofoloor era il più potente e vecchio. Doveva essere al termine della sua vita, aveva ancora una decina d'anni a disposizione, per questo non dormiva quasi mai, sempre pronto a tramandare i suoi insegnamenti a chiunque volesse apprenderli.

'Prova tu adesso Carnis, concentrati' le disse il maestro.

Chiuse gli occhi, regolò il respiro, fissò in mente l'albero prova, aprì gli occhi.
Cominciò a sentire il cuore accelerare, le vene di tutto il corpo cominciarono a riscaldarsi.

'Canalizza il flusso sulla mano' pensò alle parole del maestro.

Cercò di direzionare il sangue del suo corpo verso la mano sinistra. Stava funzionando. Sentiva il calore spostarsi verso sinistra, prima in tutta la parte del corpo, poi verso il braccio. Un ultimo sforzo. Richiuse gli occhi.
Il cuore martellava nel petto. La mano sinistra le faceva male, sentiva la pelle sciogliersi dal calore.
Riaprì gli occhi.
Le fiamme avevano preso possesso della sua mano, le poteva sentire benissimo, la carne stava cominciando a sciogliersi.

' Maestro, aveva detto che non avrei sentito alcun male, la mia mano sta bruciando, fa male, maestro le faccia smettere, maestro..' Non fece a tempo a finire la frase che le fiamme dalla mano passarono a tutto il corpo. Stava bruciando. I vestiti si erano ormai dissolti tra le fiamme, era nuda in balia della morsa del fuoco. Non riusciva più a vedere ne sentire niente, era la fine.
Le mancava il respiro o meglio stava respirando fuoco.
Poteva sentirsi i polmoni in fiamme, cadde in ginocchio.
Era sfinita.
O forse morta.

Buio.

Pioveva. Pioveva quasi sempre a Quertram e quando non succedeva, una nebbia densa ricopriva gli alberi di una lieve umidità.
Il sole, quando non era coperto dalle nuvole, non riusciva a penetrare tra gli alberi, se non in qualche raro caso, creando un gioco di luci ed ombre tanto bello quanto inquietante.

Gli elfi non erano molto socievoli.

C'erano quattro grandi settori in cui tutta la popolazione era divisa: Soldati, Pensanti, Stregoni, Allboni.

I soldati si occupavano della difesa del regno, delle operazioni di spionaggio, delle missioni speciali e dell'ordine interno. Una volta era l'ordine più importante del regno con ben cinque rappresentanti al tavolo dell'Amministrazione, dopo l'ultima grande guerra persa, il loro numero passo da cinque a tre per poi passare all'uno attuale.
Soldato nascevi.
Ogni neonato veniva accudito dalle balie fino al compimento del primo anno, per poi rinchiuderlo il giorno dopo in una stanza con dodici vipere a cui dei stregoni avevano fatto precedentemente il sortilegio del Excus, rendendole inoffensive fino a quando non si fossero sentite minacciate.
Un vero soldato le uccideva tutte. Gli altri semplicemente le ignoravano.

I Pensanti si occupavano dell'amministrazione generale, del preservare le risorse, dei rapporti diplomatici con gli altri regni e in generale dell'organizzazione interna. Contano il numero più alto di rappresentati con ben quattro seggi su dieci, essendo stati gli unici ad aver votato contro l'ultima Grande guerra, hanno acquisito un gran numero di elettori tra il popolo. Pensante lo diventi superando un gran numero di prove che possono durare anni ed anni, solo quelli dotati di una grande intelligenza e costanza riescono a farcela.

I stregoni alle ultime elezioni si sono aggiudicati due seggi, merito della ritrovata passione nelle arti magiche, grazie ai giovani Esboni che non essendo riusciti a diventare soldati si dedicano alla magia per poi entrare nel reparto speciale dell'esercito, i Fairytank, impiegati in attacchi a distanza o per prevalere sulla forza bruta degli orchi. Stregone lo diventi partecipando agli allenamenti dei vecchi maghi, e non tutti ci riescono. Deve esserci anche la predisposizione fisica e mentale per lanciare un incantesimo ma sopratutto una grande quantità di sangue.
Ogni giorno, per cinque anni, agli aspiranti vengono praticati tanti piccoli tagli alle braccia e sulle gambe, se non si sviene neanche una volta si passa alla fase dell'apprendimento degli incantesimi altrimenti no, l'allenamento finisce il giorno stesso.
Dopo altri due anni di studio e uno di pratica il corso finisce con l'esame finale.

L'ultimo settore è quello degli Allboni, il più umile sicuramente ma anche il più numeroso. Gli Allboni sono i tutto-fare della società, non essendo riusciti a superare nessuna prova. I più fortunati diventano cuochi, musicisti, falegnami, allevatori e via dicendo, i più sfortunati invece diventano schiavi dei più potenti senza speranza di diventare un giorno uomini liberi.

C'è solo una cosa che però accomuna tutti gli Elfi, l'odio e il totale disprezzo verso le altre razze, non sono mai intervenuti in un conflitto che non li toccasse da vicino.

Le bruciava tutto il corpo, per quel che ne sapeva poteva anche essere ancora avvolta dalle fiamme, la sensazione era la stessa.
Non riusciva a vedere niente, una benda le avvolgeva tutta la testa e tutto il corpo.
Aveva solo un foro per la bocca con cui respirare e ad ogni respiro i polmoni le mandavano di risposta una fitta lancinante.
Cercò di muovere le braccia, lentamente e dolorosamente vi riuscì, poi passo alle gambe ed anche queste risposero.

'C'è nessuno? Aiuto!' La sua voce era debole, ma abbastanza per essere sentita. Attese qualche minuto e riprovò.

'Qualcuno mi sente? Aiutatemi!' Anche stavolta parve non esserci risposta.

Le bruciava la gola dallo sforzo per cui decise di aspettare un paio di minuti per tentare un ennesima volta.
Ripensò a quello che le era accaduto. I ricordi erano impressi nella sua mente, il suo braccio in fiamme, la pelle della mano che cominciava a sciogliersi, poi tutto il corpo in fiamme ed alla fine il buio.
Sentì dei passi, poi la porta aprirsi.

'Carnis? Ti sei svegliata?' Era Bofoloor, che accelerò il passo in direzione di lei.

'Come stai? Riesci a parlare?' Domando lui.

'Sì...maestro...dov...dove sono?' Rispose lei con tono sofferente.

'Sei a casa mia Carnis, non credevo ce l'avresti fatta, le tue condizioni erano critiche ma il tuo cuore batteva ancora così ti ho applicato delle bende imbevute di camomilla per lenire il dolore, riesci a muoverti?' Disse il maestro.

'Riesco a muovermi ma...ma fa molto male'

Cercò di mettersi seduta sul letto, il maestro l'aiutò sostenendole la schiena.
Ci riuscì non prima di aver ansimato dal dolore.

'Sono stupefatto Carnis, saresti dovuta morire nelle tue condizioni, invece sei ancora viva.'

'Molto confortevole da parte sua, comincio a sentirmi meglio, il bruciore è diminuito, quanto sono stata addormentata?' Chiese lei.

'Due ore Carnis, erano due ore che dormivi' rispose Bofoloor.

'A me sembra passata un'eternità, mi dia una mano a togliermi la benda dalla faccia' Subito dopo cominciò a rimuovere le bende.

'Aspetta! Forse è troppo presto e non sono sicuro tu sia pronta a quello che vedrai, la tua faccia così come il corpo potrebbe avere subito dei mutamenti, non pensò sarà un bello spettacolo.'
Cercò di fermarla ma lei insistè così l'aiutò.

Prima di scoprire tutto il volto dovettero fare molti giri e man mano le bende diventavano sempre più bagnate e sporche di pelle morta e sangue, l'odore era nauseante.

Aveva gli occhi chiusi ma intuì dalle esclamazione del maestro che il suo viso non era più quello di un tempo.

'Accidenti! Forse è meglio che vada a prenderti uno specchio, non muoverti' Le disse lui, poi uscì dalla stanza per tornare qualche minuto dopo.

'Tieni.' Le porse lo specchio.

Carnis lo afferrò e se lo mise ad altezza volto, con gli occhi sempre chiusi.

Aprì gli occhi.

Vedeva sfocato, ma man mano diventò tutto più nitido.
Era irriconoscibile, i tratti delicati di una volta avevo lasciato il posto ad una pelle piena di vesciche grondanti pus. I capelli erano spariti, tutta la pelle del cranio era bruciata.
Il dolore stava scomparendo del tutto. Ma non era questo che aveva attirato la sua attenzione, erano i suoi occhi.

Rossi come le fiamme che l'avevano divorata.

Alzò lo sguardo verso Bofoloor, lo vide impaurito. Stava tremando.

'Ca...Carnis! Mi dispiace'

Alzò la mano destra e chiamo le fiamme. La mano dello Stregone era indirizzata verso di lei.

'Ma...ma...maestro cosa sta facendo?' Chiese lei alzandosi di scatto.

'Mi dispiace Carnis ma non posso lasciarti vivere.'

Scagliò la palla di fuoco verso di lei.

Carnis riuscì a spostarsi in tempo, il lettino prese fuoco.

Si sentì stranamente più veloce e sopratutto più forte.

Alzò la mano, chiuse gli occhi, canalizzò il flusso. La sua mano era infuocata ma stavolta non sentiva male.

'Dispiace più a me maestro ma io voglio vivere'

Il fuoco si impadronì della stanza.

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Capitolo 4
*** (4) ***



Non si era mai spinto così lontano da Willtram, erano partiti da circa cinque giorni ormai, dopo lo sconforto iniziale Jackies si era dovuto arrendere a seguirli, anche perché ancora dolente alla spalla e con le mani legate, non sarebbe stato in grado di scappare tanto lontano.
Phelnis non era da solo, dopo la sua ultima visita, per accertarsi delle condizioni di Jackies, aveva mandato da lui Ortung e Vertung, due grossi orchi gemelli con uno strano modo di parlare la lingua comune, il dialetto di Colltram era evidente, ma oltre a quello alla fine di ogni frase aggiungevano uno 'sdung' tanto fastidioso quanto inutile ed in udibile.
Erano uguali nel viso e uguali nel modo di vestire.
Avevano i capelli rasati in modo da creare vari effetti ondulati, tutte e due perfettamente uguali.
Due grandi occhi sembrava reggessero due sopracciglia cadenti altrettanto grandi e folte.
L'unica differenza che si poteva notare stava nella fronte, Ortung aveva una cicatrice a forma di luna mentre quella di Vertung ricordava tanto una stella a cinque punte. Come arma avevano due grandi asce tenute dietro la schiena,
Per due giorni si erano assicurati che non morisse di fame o sete senza però rispondere a nessuna delle sue domande; non avevano mai parlato in sua presenza, Jackies poteva sentirli discutere solo fuori dalla sua stanza e senza doversi nemmeno sforzare tanto urlavano.
Non si erano mai comportati male con lui, neanche durante i primi giorni di viaggio quando aveva tentato la fuga.
Tentò di scappare quando tutti dormivano ma non fu una buona idea, venne raggiunto e catturato qualche centinaio di metri più in là da Artes, un ex Elfa soldato Quertram, la quale, dopo averlo raggiunto, aveva deciso che una bastonata alla tempia sarebbe bastata per fermarlo e infatti così fù.
Artes aveva i capelli verdi tipici degli Esboni, raccolti in una lunga treccia che finiva sulla parte bassa della schiena, due grandi occhi e una bocca con labbra sottili. Era molto alta e magra, troppo forse. Sulla schiena portava un grosso arco e una faretra piena di frecce.

L'ultimo a comporre il gruppo era Tnosa, un elfo anch'esso.
Tnosa aveva i caratteri tipici degli elfi, un viso normale se non fosse per i suoi occhi, rossi ed inquietanti che facevano venire i brividi solo a guardarli. Come armi aveva due grossi bastoni, uno per mano. Uno era un semplice pezzo di legno con la punta arrotondata, tipico dei maghi, mentre il secondo aveva una lama alla fine.
Su entrambe le guance aveva tatuati due serpenti che terminavano poco sotto agli occhi.

In cinque giorni avevano percorso molti chilometri tenendo un ritmo di marcia molto elevato, si fermavano solo per fare abbeverare i cavalli, per un pasto veloce o per dormire.

Parlavano tutti molto poco; i più rumorosi erano i due gemelli orchi che però, al minimo cenno di Phelnis, si azzitivano all'istante per poi ricominciare quando questo non li badava più.
Portavano tutti la stessa tunica rossa, con il cappuccio sollevato per celare la testa e tutti avevano gli occhi rossi come Phelnis ma, a differenza sua, nessuno di loro perdeva sangue. Gli occhi di Phelnis avevano continuato a sanguinare per tutto il tempo senza smettere mai, un uomo normale sarebbe già morto dissanguato mentre lui sembrava stesse bene anche se non aveva avuto modo di chiederlo.
Non gli aveva più parlato dopo l'episodio del suo laboratorio, le sue ultime parole furono:

'Il tuo destino è rosso come il mio, fratellino'

Non faceva altro che pensarci Jackies ma non avevo ancora capito a cosa si riferisse, né tantomeno aveva un'idea di dove lo stessero portando.
Tnosa non aveva mai aperto bocca per tutto il viaggio, per quel che ne sapeva poteva anche essere muto, ma di sicuro gli incuteva più terrore di tutti, l'unica cosa che aveva avuto da lui erano un paio di occhiate compiaciute nel vederlo.
La ferita alla spalla si era pressoché rimarginata ed è questa la cosa strana, erano passati cinque giorni da quando suo fratello l'aveva pugnalato,
troppo poco tempo per ristabilirsi quasi del tutto, è vero che godeva di un ottima salute, ma questo era veramente strano, meglio così, sarebbe stato impossibile ottenere il loro ritmo di marcia col dolore lancinante del primo periodo.
Si erano appena fermati per far abbeverare i cavalli lungo il fiume che stavano costeggiando quando due passanti si avvicinarono.
Erano due uomini a dorso d'asino e dai vestiti e dalla legna caricata sui due animali, dovevano essere due falegnami di ritorno a Willtram.
Uno aveva una lunga barba bionda che gli arrivava abbondantemente sotto la metà del petto, sul fianco destro portava un'accetta e su quello sinistro una specie di frusta che doveva servire per smuovere gli asini nel caso si fermassero, aveva due piccoli occhi che a malapena si vedevano perché coperti da due folte sopracciglia bionde anch'esse così come dei lunghi capelli lasciati sciolti a coprire le spalle.
Il secondo, più giovane, aveva anche lui i capelli biondi, tipici degli umani, più corti, un viso regolare se non fosse per l'enorme naso ad unco, masticava del fieno facendolo girovagare all'interno della buca. Aveva anche lui un'accetta sul fianco destro molto più grande rispetto all'altra.

'Gardinga forestieri' esordì quello con la barba lunga.

Nessuno rispose, Jackies avrebbe voluto chiedere aiuto ma Tnosa non si toglieva gli occhi di dosso.

Phelnis ed Artes ripresero a far abbeverare i rispettivi cavalli in silenzio, mentre i due gemelli si girarono di spalle per poi sparire tra gli alberi.

'Non vi abbiamo mai visti da queste parti, chi siete?'
Ancora silenzio, l'unico a muoversi fù Phelnis che si girò verso i due tenendo il capo chino.

'Questa parte del bosco è privata quindi vedete di andarvene velocemente, non abbiamo tempo da perdere noi'

Proseguì l'uomo con la barba bianca mentre il secondo cominciò a tastare l'impugnatura dell'accetta.

'Noi ce ne andremmo molto volentieri vecchio, se non fosse che la tua barba mi urta fortemente i nervi, dico davvero, la tua barba mi dà proprio fastidio!'

Sempre con il capo chino celato dietro al cappuccio, Phelnis scattò in avanti con un movimento fulmineo che quasi non si notò, i due uomini fecero in tempo a prendere l'accetta e si avventarono anch'essi contro di lui.
Phlenis fu loro addosso, estrasse i due pugnali per pararsi dal colpo dell'accetta di uno e con un calcio allo stomaco spinse via il secondo.
Fece un passo, indietro il vecchio con la barba lunga era a terra dolorante allo stomaco mentre l'altro, in piedi, stringeva in pugno l'accetta ed era pronto a ricominciare.
Phelnis decise allora di anticiparlo avventandosi nuovamente contro di lui, schivò un fendente riuscendo conficcare un pugnale su una gamba dell'avversario che perse l'equilibrio e si inginocchiò dal dolore. Phelnis si posizionò alle sue spalle e con una mano lo afferrò per i capelli e con l'altra gli squarciò il collo.

Jackies si alzò di scatto, cercando di raggiungere il fratello, ma Tnosa gli si posizionò davanti impedendogli di raggiungerlo.

Phelnis pulì il sangue dal pugnale sugli abiti del cadavere e lo lasciò cadere, poi riprese il secondo pugnale dalla gamba e lo mise nel fodero.

Si abbassò il cappuccio scoprendo il capo.

'C-c-cosa...non può essere'

L'uomo anziano afferrò l'accetta e da terra cercò di lanciarla addosso a Phelnis il quale la schivò con estrema facilità.

'Lasciami andare, ti prego, non dirò niente, ti prego!' L'uomo implorava pietà, con gli occhi lucidi.

Phelnis era ormai davanti a lui.

'Sei un mostro, mostro! Non può essere, dovreste essere tutti morti, tutti!' Proseguì l'uomo, cercando di allontanarsi strisciando.

'Sai perché hanno paura di noi fratellino? Perché noi siamo diversi.
Il nostro destino è cambiato mentre il loro no.
Noi dovevamo morire invece abbiamo deciso di vivere.
Capisci Jackies? Noi abbiamo sfidato la morte e abbiamo vinto. Chi altro può vantare un successo del genere? Nessuno!' Phelnis stava parlando con Jackies.
Afferrò l'uomo a terra per la barba e con un colpo secco gli e la tagliò, poi aprì con la forza la bocca all'uomo e gli infilò la barba che aveva ancora in mano.

Estrasse l'altro pugnale, prese la mano all'uomo e vi conficcò il pugnale, poi prese l'altra mano e ripetè il tutto.

L'uomo aveva entrambe le mani conficcate, dai pugnali, a terra.

Stava piangendo.

'La loro paura è la nostra forza. Noi siamo i loro incubi, noi siamo ciò che loro non possono essere, noi siamo liberi.
Capisci adesso perché loro ci odiano? Ci odiano perché siamo dei vincenti. Ci odiano perché non ci conoscono, perché andiamo oltre i loro schemi.
Nani, elfi, umani e orchi. Guardati attorno. Siamo andati oltre alle razze, noi. Mentre tutto il mondo alimenta l'odio verso il diverso noi abbiamo abbattuto questi confini. Non esisteranno più regni. Noi siamo il futuro. Noi siamo il destino che ci siamo scelti.
Capisci adesso perché ci odiano, fratellino?'

Estrasse un terzo pugnale da sotto la manica della tunica, e lo conficcò sulla testa dell'uomo che non poté fare altro che guardare e continuare a piangere.

Anche Jackies stava piangendo, ma le sue non erano lacrime, era sangue.

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Capitolo 5
*** (5)-Quertram ***


Non si sentiva più i piedi. Il bruciore su tutto il corpo stava diminuendo anche grazie alla pioggia che l'aveva bagnata tutta. Stava correndo da ore ormai, dove non lo sapeva nemmeno lei, lontano da Quertram, lontano dalla casa in fiamme di Bofoloor, lontano da tutti.

Aveva ancora impresso nella mente le urla del maestro mentre il fuoco consumava la sua carne, i suoi spasmi mentre si dimenava dal dolore. L'aveva ucciso, era stata lei.

Si fermò a prendere fiato appoggiandosi con le mani sulle ginocchia, era sfinita, non poteva più proseguire, doveva nascondersi per riposare.

Era sicura che la stessero seguendo per questo non aveva smesso di correre. A quest'ora dovevano essere sulle sue tracce almeno una decina di *Servanti. Non aveva molto tempo, doveva trovare un riparo nascosto e asciutto. Cominciò a guardarsi intorno alla ricerca di un nascondiglio ma non vide nulla così ricomincò a camminare. Dopo un centinaio di metri individuò degli alberi che cadendo avevano creato uno spazio abbastanza piccolo ma secco in cui nascondersi, non ci pensò due volte e vi ci scivolo sotto.

Aveva il cuore che le martellava in petto, poteva sentirlo benissimo. Le bende che le coprivano tutto il corpo erano fradice e sporche, toccandosi la faccia poteva sentire rimasugli della pelle oramai bruciata che si staccava, stava guarendo in fretta. Si sentiva stranamente bene, più forte, più agile, sembrava come se fosse rinata dalle sue ceneri, un po' come facevano le leggendarie fenici dei racconti antichi. Lei che doveva morire, secondo Bofoloor, era lì che scappava e colui che doveva istruirla sui segreti della magia era morto per mano di un suo incantesimo, non aveva senso. Era confusa Carnis, cosa le stava succedendo? Perché i suoi occhi erano diventati rossi? Perché volevano ucciderla? Troppe domande cui non sapeva rispondere. Era stanca, sfinita quasi. La corsa le aveva tolto tutte le forze e la pioggia incessante di certo non aiutava.

Si sistemò in modo da potersi quasi sdraiare appoggiando la testa su delle foglie ammucchiate e chiuse gli occhi addormentandosi quasi subito.

Buio.

'Carnis!'

'Carnis vieni fuori!'

'Sono qui per aiutarti Carnis, sbrigati, dobbiamo andare, vieni fuori!'.

Era una voce maschile, profonda e talmente potente da confondersi con i tuoni che si stavano susseguendo da una decina di minuti. Era sveglia da quando aveva sentito chiamare il suo nome la prima volta. Era immobile, quasi non respirava per non far rumore. Cercò di guardare se riusciva a vedere chi fosse ma niente, stando li aveva la visuale limitata oltre ai movimenti. Se l'avessero trovata, non sarebbe stata in grado di difendersi ma allo stesso tempo non se la sentiva di uscire, l'avrebbero vista subito. Decise di rimanere nascosta e aspettare che chi l'aveva chiamata se ne andasse.

Sentiva i passi farsi sempre più vicini, la voce che la chiamava arrivava subito a lei, quasi sapesse dove andare a cercarla.

'Carnis sbrigati, stanno arrivando, dobbiamo andarcene subito!'.

Carnis impugnò i due pugnali che teneva legati ai polpacci e rimase immobile ad aspettare.

'Carnis, so per certo che sei qui! Ti sento!'

'Sei spaventata e confusa come lo ero io quando mi hanno ucciso e sono diventato ciò che sono adesso, ti capisco benissimo. Non vuoi delle risposte alle tue domande Carnis? Io posso aiutarti, posso esaudire i tuoi dubbi, posso dirti cosa ti è successo!'

I passi si fecero sempre più vicini, doveva essere ad almeno una decina di metri da lei, era vicino, troppo vicino. Perché diceva di volerla aiutare? Chi era? Soprattutto come faceva a sapere quelle cose? Non ci capiva più niente. Voleva quasi uscire per farsi aiutare, era tentata, ma non si fidava, non si fidava più di nessuno da quando il suo maestro l'aveva quasi uccisa.

'Carnis dai finiamola, esci e vieni con me!'

Silenzio.

'Non ti fidi, lo capisco benissimo. Esci e guardami negli occhi. Guarda i miei occhi, sono rossi, proprio come i tuoi.'

'Come fai a sapere che i miei occhi sono rossi?' Carnis era in piedi dietro di lui con i due pugnali stretti in mano appoggiati sul suo collo.

'Eccoti finalmente! Ad un certo punto ho quasi pensato di parlare da solo, ma come siamo amichevoli! Disse lui alzando le mani in segno di resa.

'Tranquilla, non sono qui per ucciderti o almeno non più dal momento che ci ha pensato il vecchietto, adesso devo chiederti di venire con me, abbiamo molto in comune io e te e ci sono tante cose che sono sicuro tu voglia sapere ma non è questo il momento adatto, che ne dici di mettere via i pugnali e di seguirmi, sono sicuro che diventi molto più simpatica dopo qualche bicchiere di raki, facciamo pace?' continuò soffocando a stento una risata.

'Chi sei?' incalzò Carnis se fare una piega.

'Andiamo Carnis, metti via i pugnali e ti dirò chi sono.' Seguitò lui.

'Prima dimmi il tuo nome e cosa vuoi da me, poi metterò via i pugnali.' Disse fermamente lei.

'Allora forse non ci siamo capiti mia testarda nuova amica. Io sono...' continuò lui afferrando con un movimento fulmineo i suoi polsi.

'Colui che...' le girò i polsi facendole cadere i pugnali.

'Ti porterà via da qui, mi chiamo Ionos, piacere di vederti' si dispose alle spalle di lei torcendole un braccio.

'Poiché io sono obbligato a portati via puoi scegliere come preferisci viaggiare, le possibilità sono due: o di tua spontanea volontà potendomi fare tutte le domande che vuoi oppure imbavagliata, legata ed incappucciata potendo fare domande solo al tuo cervello che chiaramente ti risponderebbe che sei stata una stupida ad opporre resistenza a quell'affascinante ragazzo che ha cercato in tutti i modi di trattarti bene, hai cinque secondi per decidere. Uno, due, tre, quattro...'

'Va bene va bene, verrò con te ma lasciami il braccio.' Carnis non aveva altra scelta se non quella di seguirlo.

Ionos le liberò le braccia e la spinse via. Si sistemò la lunga tunica rossa ed incrociò le braccia inclinando la testa da un lato mentre continuava a fissarla.

'Certo che sei presa molto male eh! Guardati, sembri una mummia!' disse lui ridendo di gusto mentre cercava di imitarla.

'Guardami, sono Carnis, ti ucciderò, chi sei, gne gne gne, sono una mummia, gne gne gne...' prosegui lui continuando a ridere.

'Smettila!' gridò lei, cercando di richiamare le fiamme sulla mano destra.

'Ok ok' disse Ionos alzando le mani come per pararsi.

'Scusa scusa, la smetto. Forse è meglio muoversi adesso, ho già incontrato due Servanti mentre venivo qua e non vorrei avere di nuovo a che fare con loro, sono duri a morire, come te d'altronde.' Si fermò a guardarla cercando una risposta positiva nel viso di lei ma niente.

'Voi elfi non avete il senso dell'umorismo da quello che riesco a capire. Sarà proprio un viaggio divertente immagino.' Proseguì lui.

'Andiamo, ci aspetta un lungo viaggio, raggiungiamo gli...' Prima che finisse la frase una freccia gli si conficcò sul polpaccio facendolo cadere. Carnis si girò di scatto per vedere chi fosse. Riconobbe l'uniforme verde dei Servanti.
Erano circondati.

 

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Capitolo 6
*** (6) ***


' A quest'ora Ionos dovrebbe già aver preso con se la ragazza e se tutto è andato come concordato si starà dirigendo verso l'accampamento. Mantenendo questo ritmo di marcia dovremmo essere li prima di lui anticipandolo di almeno un paio di giorni.' Disse Phelnis mentre con l'indice indicava un punto sulla mappa appoggiata al suolo.

' Se Ionos non commette qualche errore, cosa che non escluderei conoscendolo. Non mi è mai piaciuto quell'umano, troppo buono per i miei gusti e poi quella sua risata mi è sempre stata sui nervi.' Rispose Artes che se ne stava in piedi con le braccia incrociate di fianco a lui.

'E' stato uno dei primi a seguirmi in questo viaggio, sono sicuro che riucirà a portare a termine l'estrazione della ragazza in tempo, pensiamo a rimetterci in marcia piuttosto che la strada è ancora lunga.' Aggiunse Phelnis mettendo la mappa nel tascone della tunica.

' Andiamo Artes, ordina ai due orchi di preparare bene i cavalli, non ci fermeremo più fino a che non saremo arrivati.' ordinò Phelnis all'elfa.

' Li avverto subito ma sei sicuro che l'umano possa resistere? Da qui fino all'accampamento sono quasi due giorni di marcia, guarisce molto in fretta questo si ma non sono sicura possa farcela, è appena rinato quindi non conosce tutti i suoi poteri e anche se ne avvertisse la presenza non saprebbe come usarli, secondo me dobbiamo mantenere la stessa velocità che abbiamo usato fino ad adesso, siamo comunque in vantaggio rispetto a Ionos, tanto vale prendercela con comoda.' Replicò l'elfa visibilmente contrariata.

'Io non mi preoccuperei per lui se fossi in te, è molto più sveglio di quello che sembra e sono sicuro abbia già cominciato a conoscere le sue nuove abilità, dopotutto ha il mio stesso sangue, vero fratellino?' esclamò girandosi in direzione del fratello.

'Vedo con molto piacere che il tuo udito è migliorato a dismisura, questo è solo uno degli innumerevoli benefici dell'essere come noi, tu non puoi immaginare quante nuove abilità ha in serbo per te la Rinascita, è il momento adatto per ringraziarmi fratellino.' Continuò Phelnis.

Jackies era ad almeno una ventina di metri da loro ed era sbalordito tanto dalla possibilità di riuscire a sentire cosa i due potevano dirsi quanto dal fatto che Phelnis l'avesse capito. Era chiaro che il suo corpo stesse cambiando ma non riusciva a capire se in bene o in male. Se n'era accorto dal momento in cui i suoi occhi avevano cominciato a sanguinare cioè da quando suo fratello aveva ucciso i due falegnami e non avevano più smesso ma non stava male anzi, apparte una forte emicrania ogni tanto, si sentiva maledettamente bene. Aveva notato un miglioramento di tutti e cinque i sensi che diventava sensibilmente maggiore quando l'emicrania aumentava.

'Grazie fratello per avermi pugnalato alle spalle cercando di uccidermi' disse Jackies alzandosi.

'Grazie, davvero' continuò avvicinandosi ai due.

'Suvvia fratellino, ero costretto a farlo, dovevo mostrarti il grande potere che avevi dentro te, non vorrai dirmi che eri felice della tua vita, andiamo, ti meritavi di più di passare le tue giornate a colorare sedie. Questa è la via del sangue fratello mio, ma apprezzerai quello che ti ho donato eccome se lo apprezzerai solo che è troppo presto ancora.' Replicò il fratello con ghigno soddisfatto in volto.

Poi dando le spalle a Jackies si diresse in direzione dei due orchi.

'Ortung! Vertung! Sellate i cavalli che ripartiamo, non ci fermeremo più fino all'accampamento.' Ordinò Phenis e senza aspettare risposta se ne andò in direzione del bosco.'

Jackies accelerò il passo seguendo il fratello passando davanti ad Artes la quale si limitò ad osservarlo.

'Aspetta Phelnis! Devo parlarti!' Tuonò Jackies accelerando ulteriormente il passo.

'Non è ancora il momento fratellino, ti conviene riposare questi ultimi minuti prima della partenza.' Rispose Phelnis continuando a camminare.

'Ti ho detto di aspettare!' disse Jackies che aveva nel frattempo raggiunto il fratello.

' Non mi piace ripetere le cose e vale anche per te che sei mio fratello, adesso tornatene a sedere.' Replicò lui fermandosi di colpo.

In men che non si dica Jackies gli si piazzò davanti abbastanza vicino da poterlo colpire e cosi fece ed il suo colpo andò a segno dritto in faccia ma non di suo fratello piuttosto in quella di Tnosa il quale si era letteralmente materializzato in mezzo ai due. L'elfo era fermo che lo fissava sorridendo, il pugno di Jackies, ancora sulla faccia di lui, non lo aveva minimamente ferito anzi, sembrava provare piacere.

' Credevo di potermi finalmente fidare di te fratellino ma a quanto pare non è così. Dimmi non hai gradito l'enorme regalo che ti ho fatto? Forse non ti piace essere speciale? Preferivi continuare a vivere la vita di merda che stavi facendo? Ti piaceva colorare sedie come un qualunque schiavo per loro? A questo punto comincio a pensare che era quello che ti meritavi, avrei dovuto lasciarti in mezzo agli sterchi dei cavalli a morire di stenti, piccolo bastardo ingrato che non sei altro.' Esclamò Phelnis che intanto si era portato alle sue spalle talmente veloce che Jackies nemmeno se n'era accorto.

' Non sono stato io a chiederti di venire da me. Ero felice di quello che ero, un falegname, proprio come il nonno, una persona normale con una vita normale. Io non sono diventato speciale sono diventato un mostro. ' Replicò Jackies girandosi verso il fratello.

' Se solo non mi servissi fidati che non sarei venuto, se solo tu non avessi quell'enorme potere ti avrei lasciato morire nel buco in cui stavi. Vuoi picchiarmi o addirittura uccidermi? Allora accogli il tuo nuovo potere e sviluppalo, altrimenti non riuscirai nemmeno a sfiorarmi' Aggiunse Phelnis e prima di aver finito rifilò un pugno dritto allo stomaco del fratello per poi prenderlo per i capelli avvicinandosi con il viso a lui.

' La prossima volta che proverai a colpirmi devi essere sicuro di riuscire ad uccidermi perchè se non lo farai tu ucciderò io te, fratellino' Concluse Phelnis tirandogli una ginocchiata in faccia.

Jackies cadde a terra svenuto.

Buio.

 

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