la zingara di garakame (/viewuser.php?uid=54220)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** la zintara cap 1 ***
Capitolo 2: *** la zingara cap 2 ***
Capitolo 3: *** la zingara cap 3 ***
Capitolo 4: *** la zingara 4 ***
Capitolo 1 *** la zintara cap 1 ***
Desclaimer. I personaggi presenti in questa fanfic sono frutto
dell'immaginazione di Ryoko Ikeda, appartengono alla sua splendida
immaginazione. Io li prendo in prestito solo per far vivere ai protagonisti
quello che non è stato descritto nel fumetto e nel cartone animato.
Questa storia è anche stata pubblicata anche sul sito di Prisca. http://web.tiscali.it/prisca/
I personaggi di Christine e Jerardine gli ho inventati io. Buona Lettura
LA ZINGARA
01° Giugno 1789
"Morirai giovane, bella signora, ma amerai e sarai molto amata."
Oscar continuava a ripensare alle parole che la giovane zingara le aveva
sussurrato in quel caldo pomeriggio di giugno.
Lei e i suoi uomini avevano ricevuto l'ordine di scacciare un accampamento di
zingari alle porte di Parigi. La città era già piena di soldati, il popolo
poteva insorgere ad ogni momento, gruppi di persone esasperate, piene d'odio, si
aggiravano per la capitale.
Oscar lo sapeva bene, la brutta esperienza nella carrozza era solo un piccolo
assaggio di ciò che il popolo poteva fare.
Al ricordo rabbrividì, l'idea di perderlo la faceva impazzire.
"Sarai molto amata…." Non era certo la profezia di una zingara a turbarla.
Lei lo sapeva ormai, lo sapeva da tanto.
Erano anni che Andrè si era dichiarato, ma lei non era mai riuscita a capire
cosa fosse lui per lei.
Era difficile per lei ammettere di saper amare.
Le mancava il coraggio, non riusciva a farsene una ragione.
Aveva un carattere schivo, riservato, non pensava di riuscire a liberare i
propri sentimenti.
Erano rinchiusi nel suo cuore. Non aveva il coraggio di
liberarli come una colomba che vola libera nel cielo.
L'amore, i sentimenti….. Aveva provato a dichiararsi.
Ci aveva provato con Fersen, ma lo aveva perso per sempre come amico, amante lo
era stato solo nei suoi sogni.
Rivederlo non le aveva causato nessun effetto strano, nessun batticuore.
La prima cosa che le era venuta in mente era stata
"Sono viva, mi sento a pezzi ma sono viva. Andrè perché non è qui? Lo hanno
portato via?!" Il cuore le si era fermato, il sangue non scorreva più nelle
vene, il suo corpo era diventato di ghiaccio.
Aveva raccolto tutte le sue energie, per gridare in faccia a Fersen che doveva
andare a salvarlo. Finalmente lo aveva detto. "Il mio Andrè…"
Tre semplici parole. Le avevano fatto capire tutto. "Il mio Andrè è in pericolo,
lasciatemi" Era rimasta immobile, esterrefatta.
Rivedeva uno stranito Fersen che le diceva "Andrò a salvare io il vostro amico."
Chiuse gli occhi e respirò profondamente.
Finalmente dopo anni d'incertezze se essere o no un uomo e vivere come tale,
Oscar aveva finalmente ammesso a se stessa che era una donna e poteva amare come
una donna.
"Comandante il campo è stato sgomberato."
La voce alle sue spalle la fece trasalire, si girò.
I suoi soldati erano
perfettamente allineati sui loro cavalli.
Le armi in spalla, stanchi.
"Grazie Alain, torniamo in caserma."
Mandare via gli zingari non era stato semplice, ci avevano impiegato tutta la
giornata.
I gitani erano un popolo fiero e indipendente.
Non si facevano comandare da nessuno.
Sorrise al ricordo, Oscar incontrava sempre uomini che non si facevano comandare
da nessuno, ma finivano sempre per ubbidirle. Sorrise tra sé.
Girodel era uno di questi uomini, Alain anche.
Aveva parlato con il capo, un uomo sui cinquanta, con capelli e barba
brizzolati, la pelle scura, bruciata dal sole, il corpo solido e massiccio.
Un uomo imponente.
Oscar non aveva esitato, come sempre.
Era scesa da cavallo, lo aveva guardato negli occhi nocciola.
Gli aveva chiesto, in tono autoritario, non irriverente, di andarsene.
Gli altri zingari l'avevano circondata minacciosi, sguardi ostili, fucili e
pugnali in mano.
"Se mi attaccherete i miei uomini reagiranno. Nel vostro campo ci sono donne e
bambini. Collaborate, non ho nessun'intenzione di usare la violenza e spargere
il vostro sangue o quello dei miei uomini." Disse a voce alta e sicura.
Il capo alzò una mano, facendo segno ai suoi uomini di ritirarsi.
Quella donna in uniforme blu aveva coraggio da vendere.
Si giro verso i suoi compagni. "Ce ne andiamo, questa giovane donna parla come
un anziano." Prepariamoci a partire. Nessuno dovrà morire fuori dalle porte di
Parigi."
I soldati erano visibilmente sollevati. Contenti di non dover combattere.
Seduti sui loro cavalli guardavano il via vai di donne, uomini, bambini preparare le
loro cose per riprendere il viaggio verso sud.
Un bimbetto di tre anni si avvicinò incerto a uno dei soldati.
André gli
sorrise, vedendo che il bimbo cercava di allungare le manine verso il muso
dell'animale, scese da cavallo, lo prese in braccio e lo avvicinò.
Il bimbo tutto contento si mise a ridere. Non aveva mai visto dei cavalli così
grandi e tutti dello stesso colore.
Una donna minuta con gli stessi occhi nocciola del bimbo si avvicinò ad Andrè
ringraziandolo.
Il bimbo ritornò tra le braccia della madre tutto soddisfatto.
Era come se il tempo si fosse fermato e subito rimesso a scorrere.
Gli uomini sempre all'erta avevano smesso di attorcigliare corde, caricare
casse, smontare tende per vedere come reagiva il soldato.
Poi tutto era ripreso.
Anche Oscar aveva visto la scena, si sentiva onorata di essere amata da un uomo
così gentile.
La madre del bambino le si avvicinò:
"Dammi la mano, bella signora." Oscar voleva replicare, non credeva a certe
cose, ma senza rendersene conto gli e la porse.
L'espressione della zingara da serena diventò preoccupata.
Gli occhi tristi fissarono quelli di Oscar, per nulla sorpresi.
"Morirai bella signora, ma forse questo lo sai già."
Oscar le sorrise, sapeva di
avere la tisi, il viso pallido, spento, la tosse secca che non le dava tregua,
il sangue, la sensazione di avere sempre la febbre, la spossatezza che
l'accompagnava fin dal mattino quando si alzava per tutta la giornata.
Erano sintomi chiarissimi.
Per sicurezza sarebbe andata dal medico, appena avrebbe avuto un po' di tempo.
La zingara continuò.
"Ma in questa breve vita, ti sarà concesso di amare, amare molto e di essere
molto amata."
La zingara dai lunghi capelli corvini si voltò per guardare l'uomo che poco
prima aveva preso suo figlio tra le braccia. Poi guardò Oscar.
"Sarai molto amata."
Questa volta fu Oscar ad essere sorpresa, non si aspettava le parole della
donna, tantomeno che guardasse Andrè.
Distolse gli occhi dalla donna, imbarazzata. Proprio in quel momento arrivò il
capo degli zingari.
"Dei soldati che si fanno comandare da una donna, dovete essere una persona
speciale e un buon comandante. Ce ne andiamo, non perché ce lo avete ordinato
voi, sia ben chiaro. Su questa città si stanno addensando nuvole nere,
portatrici di morte e violenza."
Oscar guardò Parigi, da lontano si vedevano indistinti tetti e campanili; il
cielo era limpido, azzurro intenso.
Soffiava una lieve brezza che dava un certo sollievo a uomini e animali nella
calura del pomeriggio.
Mentre guardava la carovana allontanarsi lentamente, Oscar ripensava alle parole
della zingara: "Sarai molto amata."
Emise un sospiro profondo, trasalì, si rese conto che i soldati stavano
aspettando l'ordine di rimettersi in cammino.
"Tornati in caserma, per oggi sarete liberi. Niente esercitazioni. Questa sera
libera uscita per tutti…" Disse in tono serio, ma un sorriso le curvò le labbra
sentendo le ovazioni di gioia dei soldati.
Doveva parlare ad Andrè, voleva dirgli quanto lo amava, sentire il suo caldo
abbraccio.
Quella sera avrebbe provato a parlargli.
Aveva il coraggio di affrontare degli uomini armati, ma non riusciva a dire
all'uomo più importante della sua vita due semplici parole.
Dannata timidezza, avrebbe voluto essere spontanea come quel bambino gitano.
Avvicinarsi a lui, dirgli quanto era importante per lei.
Dirgli che senza di lui si sentiva persa, che la sua presenza le dava forza, la
rassicurava. Belle parole pensò, avrò mai il coraggio di dirglielo?
I soldati ritornarono in caserma. Attraversando la città incontrarono altri
reparti, vigili, ostili. Il popolo, gruppetti di persone, guardavano i soldati
preoccupati.
La tensione era palpabile, nell'aria. Ancora a nessuno era venuta la bella idea
di armarsi, la gente se ne andava in giro senza fucili, forconi, piccozze pensò
Oscar, ma quando sarebbe successo sarebbe stata davvero dura, calmare gli animi
cercando di non far del male a nessuno. Ma a gente aveva paura e ce l'avevano
anche i soldati.
Oscar sapeva bene a cosa portasse la disperazione, lei e André avevano rischiato
di morire. Ma per fortuna era passata.
Rientrando in caserma Oscar percorse il lungo corridoio, immerso nella penombra,
dalle vetrate entrava una luce arancione, il sole era una palla rosso fuoco,
arrivò nel suo ufficio. Sulla scrivania c'erano dei documenti da visionare e da
firmare.
Questa sera farò tardi, ma non sarebbe una cattiva idea tornare a casa con
André, pensò.
Prima di mettersi al lavoro decise di godersi gli ultimi istanti
di un tramonto magnifico, si avvicinò alla finestra e guardò fuori.
Il sole era uno spicchio rosso, all'orizzonte si vedevano il rosso, l'arancio
sfumando nel bianco, nell'azzurro sempre più scuro, nel blu notte.
Verso l'alto le prime stelle della sera iniziavano a brillare.
Rapita da questo spettacolo Oscar abbassò lo sguardo verso il basso. Notò che
nel cortile un soldato parlava a una donna.
Era André.
Andrè le sorrideva e le parlava, ogni tanto metteva una mano dietro la testa, in
atteggiamento imbarazzato.
Dopo poco tempo un altro soldato si aggiunse ai due, era Alain. Salutò la
giovane e le diede un pacchetto.
Anche Alain le sorrideva.
Sembravano entrambi rapiti da quella piccola donna.
La giovane era carina, aveva di sicuro meno di vent'anni. Minuta ben
proporzionata. Assomigliava a Diane ma aveva capelli rossi e un sorriso
dolcissimo.
Vedendo la scena ad Oscar si chiuse lo stomaco in una morsa, i battiti del cuore
accelerati.
Cosa mi sta succedendo, sono gelosa? Da quella distanza poteva sentire solo voci
indistinte e risate.
Oscar sospirò, allontanandosi dalla finestra, si sentì improvvisamente stanca.
Decise di far chiamare André più tardi, visto che ora era impegnato.
Anche se le era difficile concentrarsi, ci provò. Il lavoro riuscì a non farle
pensare l'episodio del cortile.
La sera era ormai calata, l'aria si era fatta più fresca, dando sollievo alla
calura estiva che quell'anno il 1789, si era già fatta sentire dai primi di
maggio.
Oscar sentì bussare, "Avanti" disse ad alta voce, ma il tono sembrava stanco.
Lo vide entrare e mettersi sull'attenti.
"André Grandier a rapporto. Come posso
esserle utile?" chiese Andrè.
Oscar stette al gioco e disse "Tornando con me a Palazzo Jarjayes questa sera."
Andrè stava per ribattere ma lei lo bloccò continuando: "Tua nonna è molto
preoccupata per te, e da mesi che non ti vede, mi ha chiesto di riportarti a
casa."
Alzandosi in piedi, si udì lo stridio della sedia sul pavimento. "Qui ho finito,
si parte tra cinque minuti, gli ordini del comandante non si discutono."
André era rimasto stupito, ma sapeva che quel tono di voce, anche se per gioco,
non ammetteva repliche.
"Sì signore" le disse sorridendole, si voltò e uscì dalla stanza.
Oscar si era riseduta, aveva appoggiato la schiena contro lo schienale. "Sarai
molto amata," ripensò alle parole della zingara per alcuni secondi. Controllò le
ultime scartoffie, aveva finalmente finito.
Si alzò, uscì dalla stanza.
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Capitolo 2 *** la zingara cap 2 ***
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Desclaimer. I personaggi presenti in questa fanfic sono frutto dell'immaginazione di Ryoko Ikeda, appartengono alla sua splendida immaginazione. Io li prendo in prestito solo per far vivere ai protagonisti quello che non è stato descritto nel fumetto e nel cartone animato.
Questa storia è anche stata pubblicata sul sito di Prisca. http://web.tiscali.it/prisca/
I personaggi di Christine e Jerardine gli ho inventati io.
Ringrazio tutte le persone che hanno letto questa fanfic.
La zingara cap 2
Il viaggio verso palazzo era stato tranquillo, entrambi erano rimasti in silenzio. Erano andati al trotto per non stancare i destrieri.
Arrivati a palazzo, André era rimasto nelle stalle ad occuparsi dei cavalli.
Oscar era andata in cucina.
"Ben tornata, Madamigella Oscar." La salutò la nonna. Prima che potesse dirle qualcosa di Andrè.
"Ciao nonnina, ci sono anche io." Una voce alle spalle della governante la fece girare.
"Tuu, e cosa ci fai tu qui? Ti hanno dato una licenza, o ti hanno sbattuto fuori dall'esercito perché sei un fannullone nato?" Andrè le sorrise in maniera birichina.
"No ancora mi tengono, ma tu non mi aspettavi? Non sei stata tu a chiedere a Oscar di….?"
In quel momento Oscar si vide gli sguardi di nonna e nipote puntati addosso.
Si sentì in imbarazzo, non sapeva come fare per salvarsi da quella situazione così assurda.
La nonna le venne in soccorso, "Ma giaa, avevo detto a Madamigella che volevo rivedere quel fannullone di mio nipote, ma non pensavo così presto."
La vecchia governante sorrise al nipote, lo trattava sempre male, ma in realtà gli voleva un bene dell'anima.
Era un ragazzo d'oro e lo sapeva.
Aveva cercato di essere severa con lui, perché crescere un bambino da sola era difficile, ma il suo nipotino era diventato un bravo ragazzo, onesto e ligio al dovere.
Andrè annusò l'aria, c'era un buon profumo di stufato.
"Nonnina, sono contento di essere tornato a casa anche per i tuoi piatti. Ero stufo della cucina della caserma. Che buon odore, fammi indovinare, stufato con patate al forno."
Andrè stava per aprire la pentola sul fuoco, ma la nonna gli si mise davanti bloccandolo, le mani sui fianchi.
"Non ti azzardare sai? Prima vai a cambiarti e a lavarti, poi si mangia, fila!"
"Sì signora, farò in un lampo, ho una fame." Poi aggiunse.
"Sembra proprio che io sia nato per ricevere ordini." Rise uscendo dalla cucina.
Oscar e la nonna lo seguirono con lo sguardo.
Rimaste sole, Oscar ringraziò l'anziana donna e le disse:
"Andrè ed Io non siamo più dei bambini, ormai siamo cresciuti. Ma ti devo ringraziare perché l'hai portato qui con te quando perse i genitori. Se non l'avessi fatto, la mia vita sarebbe stata diversa, forse più triste. Ormai lui fa parte della mia vita, non saprei cosa fare senza di lui e non avrei mai capito cosa significa essere amata. Ti ringrazio anche per questo." Alla nonna si riempirono gli occhi di lacrime:
"No, sono io che vi devo ringraziare perché mi avete permesso di portare mio nipote qui. Qui ha avuto una casa, del cibo dell'istruzione e ha avuto voi come compagna di giochi. Se è diventato la persona onesta che è, è anche grazie a voi."
Oscar prese un respiro profondo
"Allora sappi, ma che nessun altro venga a saperlo, che tuo nipote mi ha rubato il cuore con la sua dolcezza, con il suo amore, il suo coraggio. Lo ritengo migliore di tanti nobili che di nobile hanno solo il titolo e nient'altro."
Oscar sorrise all'anziana donna, stupita da una simile confessione, ma contenta per suo nipote.
"Ora è meglio che vada a cambiarmi anch'io se no André si mangia tutto lo stufato e a me non lascia niente." La giovane si congedò.
La governante ancora emozionata per la confessione, pensò: "Com'è strano questo mondo, nobili che s'innamorano di servi e servi che s'innamorano di nobili. Per me sta andando tutto storto, l'unica cosa che m'interessa è che i miei due ragazzi stiano bene."
Dopo mangiato Oscar era andata nella sua stanza, la finestra era spalancata per far entrare un po' d'aria. Le tende bianche mosse dal vento sembravano spiriti danzanti entrati nella stanza, attirati dalla musica.
Oscar si era seduta al piano, voleva rilassarsi, non voleva pensare a nulla.
La musica l'aiutava, si concentrava sulle note di Mozart e le sue dita magicamente sfioravano i tasti, veloci, iniziando una dolce melodia.
Oscar suonava da tanti anni, i movimenti erano mnemonici. Ma come le capitava spesso, all'inizio si concentrava sulle note riuscendo a non pensare, poi nella sua mente accanto agli spartiti di Mozart comparivano immagini.
Le immagini della giornata. La zingara che le diceva del suo destino. André che avvicinava il bimbo al cavallo. Andrè che sorrideva alla giovane donna nel cortile della caserma. Sbagliò una nota, poi un'altra.
Si fermò un momento per scacciare quell'immagine dalla sua mente. Un respiro profondo e riprese. La musica echeggiò in tutta la casa.
André seduto per terra, la schiena appoggiata al muro, aveva gli occhi chiusi, i capelli mossi dal vento.
Stava ascoltando la musica dalla torre di Palazzo Jarjares, il suo posto preferito da quando era piccolo.
Lì si godeva un panorama stupendo, in estate soffiava una leggera brezza, anche nelle ore più calde si stava bene. Andava lì quando aveva un po' di tempo libero, leggeva un libro, mangiava una mela, pensava.
In inverno anche se faceva freddo amava sedersi in quel posto, guardava il panorama e pensava. Anche se ormai la sua vista era peggiorata, riusciva a distinguere i colori.
E comunque erano talmente tanti anni che andava lassù che conosceva perfettamente ciò che lo circondava.
Quando Oscar sbagliò l'accordo André chinò il capo verso destra come per ascoltare meglio e aggrottò le sopraciglia.
Oscar non sbagliava mai in questo punto, chissà a cosa sta pensando, pensò.
Poi sorrise ripensando a quella sera in cucina. Si era accorto che Oscar si era inventata una frottola per portarlo a casa. Era uno strano comportamento da parte sua, ma questa piccola bugia gli aveva fatto un enorme piacere.
Era da tanto che non passava un po' di tempo con sua nonna e soprattutto con lei.
Pur facendo lo stesso lavoro si vedevano veramente poco, erano sempre in giro; A volte non si vedevano per giorni, o se si vedevano non avevano il tempo per salutarsi o chiaccherare.
Oscar riprese a suonare, André aprì gli occhi, appoggiò la testa al muro, continuando a pensare.
Anche se vivevano nello stesso luogo, sia in caserma sia in casa, era sempre difficile incontrarsi e parlare.
La vita era diventata troppo frenetica, troppi impegni, troppi doveri.
Era talmente assorto che non si accorse che Oscar aveva smesso di suonare. Sentì dei passi provenire dalle scale a chiocciola, passi leggeri, conosceva talmente bene quei passi. Li conosceva da più di vent'anni.
"Oscar sei tu?" le chiese. "Sì André sono io." In mano aveva una bottiglia di vino rosso e due bicchieri. Non riuscendo più a suonare era corsa in cucina e non facendosi vedere dalla nonna aveva preso il vino e i due bicchieri.
Poi aveva provato a bussare nella stanza di Andrè, ma non l'aveva trovato, aveva provato nelle stalle, ma non c'era neanche lì.
Infine si ricordò della torre e, infatti, lo trovò lì. Nel buio della notte aveva visto un uomo di profilo, guardare il cielo stellato, i capelli mossi dal vento, assorto nei suoi pensieri. Quando la sentì arrivare, trasalì e disse,
"Oscar." La ragazza sorrise, riusciva a riconoscerla anche dai passi.
"Che bel venticello, vieni sempre qui a prendere il fresco." Esordì, mentre gli si sedeva accanto.
André si scostò per farle posto.
"Qui si sta bene, fa fresco e c'è calma. Questa notte c'è una luna stupenda." La guardò.
"Non avevi più voglia di suonare?" Lei gli sorrise,
"Ho portato qualcosa di buono, senza farmi vedere da tua nonna. E no, non ero abbastanza concentrata, forse il troppo caldo." Mentì.
Gli porse un bicchiere e gli versò il vino, poi anche lei si versò da bere, si appoggiò al muro.
"Il troppo caldo o troppi pensieri?" André ora continuava a guardarla.
Sapeva che Oscar era turbata da qualcosa, gli e lo leggeva in faccia, voleva sapere.
Oscar lo guardò di traverso, sorseggiando il vino dolce.
Gli sorrise, "Non ti si può nascondere niente." Gli disse.
"Sono troppi anni che ti conosco…C'è qualcosa che vuoi dirmi, ma non riesci a trovare le parole." Oscar rimase a bocca aperta, ma che impertinente pensò, la cosa le dava parecchio fastidio, André la conosceva fin troppo bene.
"Si è vero. Ti devo dire e chiedere delle cose."
"Chiedi, sono qui apposta." André fissò il bicchiere di vino, sapeva che se l'avesse guardata, se ne sarebbe andata via.
Assaggiò un po' di vino e attese.
"Oggi ti ho visto nel cortile con una donna, volevo sapere…chi era" Oscar disse questa frase lentamente, un po' imbarazzata.
Andrè questa volta, la guardò. Oscar si sentì il suo sguardo addosso, si sentì arrossire, ma nella notte neanche lui poteva accorgersene.
Le sorrise. "Ah, la piccola Christine. Una ragazza molto dolce." Lo stomaco di Oscar si contrasse, il vino le si era bloccato sullo stomaco.
"Io e Alain l'abbiamo conosciuta, in circostanze poco felici." Oscar distese le gambe.
"E' successo in inverno un anno e mezzo fa, non ricordo bene quando. Una notte eravamo di guardia, avevamo visto una figura accanto a un ponte, si stava sporgendo un po' troppo. Era Christine, voleva suicidarsi. Si buttò nel fiume gelido, Alain fu il primo a buttarsi. Riuscì a prenderla per miracolo.
La riportammo a casa sua, quando si fu ripresa ci raccontò la sua storia e il perché del folle gesto. Si era sposata con l'uomo che amava da sempre, erano cresciuti nello stesso quartiere, si conoscevano da sempre. Il matrimonio era durato poco, in meno di un anno era diventata già vedova. Suo marito era morto in fabbrica, un incidente sul lavoro.
La cosa più straziante per lei fu lo scoprire di aspettare un bambino e non averlo potuto dire al marito."
Fu Oscar a parlare "Poveretta."
André continuò "Era da sola, non aveva un lavoro stabile e per di più, anche in cinta. Non era certo una bella situazione." Alain si era subito affezionato a quella ragazza, forse gli ricordava Diane. Si offrì di fare da padrino al bimbo quando sarebbe nato. E io non potevo certo tirarmi indietro." André sorrise ripensando agli avvenimenti di mesi prima.
"La cosa più strana è che dovrei essere io il padrino di Jerardine, perché l'ho fatta nascere io." Oscar lo guardò con gli occhi sbarrati.
"Coosa? Hai fatto nascere un bambino?" André si mise una mano dietro la testa, era imbarazzato, non voleva sembrare un eroe.
"Eh già, è accaduto tutto molto in fretta." Oscar appoggiò il bicchiere sul pavimento, era contenta, perché Christine non era importante per André o almeno lo era ma da un altro punto di vista.
Oscar si stava rilassando, per tutta la serata era stata sulle spine e gelosa, molto gelosa di quella donna. Ma non avrebbe dovuto.
"Racconta sono curiosa" Oscar aveva incrociato le gambe e lo guardava sorridendogli, più rilassata.
Andrè allungò il braccio per prendere la bottiglia che era accanto ad Oscar, le sfiorò il braccio, ma lei non disse niente. Il giovane si versò da bere e riprese il racconto.
"Circa sette mesi fa, eravamo andati a trovare Christine. Sapevamo che era quasi a termine. Ma a casa non c'era.
Eravamo ritornati in strada, c'eravamo diretti verso il mercato, speravamo di incontrarla lì. Infatti, dopo poco tempo la incontrammo. Era andata a fare la spesa.
Stavamo chiacchierando tranquilli Alain la stava sgridando in maniera bonaria perché i pacchi erano troppo pesanti, io gli e li presi, quando Christine fece una smorfia di dolore. Le si erano rotte le acque." Andrè rise al ricordo.
"Io e Alain non sapevamo cosa fare, sembrava che noi dovessimo partorire, non lei, ma la più tranquilla era proprio lei, continuava a dirci di stare calmi. Alain decise di andare a chiamare il medico, io mi occupai di Christine."
Andrè sorseggiò il vino, pensando alle parole da dire. "Ci dirigemmo verso casa lentamente, ma sempre più spesso avvertiva delle contrazioni molto forti."
Andrè guardò Oscar continuando.
"La gente per strada ci guardava, pensavano che fossi io il marito. Ma purtroppo non riuscimmo ad arrivare a casa. Il bambino voleva nascere a tutti i costi per strada."
"E allora?" Chiese incuriosita Oscar.
"Beh, devo dire di essere stato molto fortunato, perché il bambino, anzi no, la bambina si presentava giusta. Ha fatto tutto madre natura. Anzi Christine è stata molto brava. Sempre concentrata, spingeva nei momenti giusti. Pur essendo molto giovane, ha solo diciassette anni, era lei a dirmi di stare calmo, che sarebbe andato tutto bene. Si può dire che la bambina è uscita praticamente da sola. Io non ho fatto niente. Quando è uscita l'ho tenuta per i piedi le ho dato un colpetto sulla schiena e con mio grande sollievo ha cominciato a piangere. Una gran bella voce. Mi sono tolto il mantello l'ho avvolto attorno al corpicino, faceva freddo. Proprio in quel momento sono arrivati Alain e il medico. Io tenevo la bimba, Alain aveva preso in braccio Christine e le abbiamo portate in casa. Il medico aveva visitato entrambe. Dopo averci detto che stavano bene abbiamo tirato un sospiro di sollievo."
"Allora perché oggi Christine è venuta a trovarvi? Non era giorno di visite." Chiese Oscar.
"Oggi la piccola Jerardine ha compiuto sette mesi, Alain, io e Christine ci siamo ripromessi di vederci a ogni primo del mese. Per fare un piccolo regalo alla bimba e per rivederla."
Oscar era rimasta ad ascoltare, André sembrava davvero contento.
"Devi vederla Oscar, è una bimba bellissima, ha gli occhi azzurri della mamma e i capelli scuri del papà. Io e Alain sembriamo davvero i suoi papà. E' così buona, mangia e dorme, ora ha anche iniziato a conoscerci, quando ci vede ride sempre." Oscar stava ad ascoltarlo e lo guardava.
Al mio André brillano gli occhi di gioia, sarebbe un ottimo padre, pensò e gli e lo disse.
"Penso che saresti un buon padre, André. Severo quanto basta, ma non troppo."
André rise.
"Io invece penso che saresti una pessima madre, Oscar." Lei lo fulminò con lo sguardo.
"E perché sentiamo?" disse in tono semi arrabbiato.
"Perché sei troppo permalosa e non sai stare agli scherzi." André la guardava con il sorriso sulle labbra.
"In realtà penso che saresti un'ottima madre, attenta e premurosa." Oscar pensò alle sue parole, se anni prima gli avesse fatto un discorso del genere, di sicuro gli avrebbe mollato un pugno in faccia, dicendogli che lei era un uomo e quelle cose non facevano per lei.
Ma ora era diverso, lei era cambiata, si sentiva una donna, per la prima volta nella sua vita.
Ora era André stupito.
"Oggi sei proprio strana, Oscar. Sei sicura di stare bene? A te non piace quando ti dico queste cose."
"Le persone cambiano, André, io sono cambiata, non sono più la Oscar di una volta." Ora lo guardava.
"Se sono cambiata lo devo a te. Sai, oggi quella zingara mi ha letto la mano. Mi ha detto che morirò…" André la guardava, un po' stupito.
"Dai Oscar, tutti dobbiamo morire un giorno." Finì di bere il vino, appoggiò il bicchiere a terra.
"Non crederai mica alle parole di una zingara?" Oscar era rimasta zitta.
"Potrei leggerti anche io la mano." Gli e la prese, con l'indice della mano destra iniziò a sfiorarle il palmo.
"Ci sono tanti modi per morire, potresti morire a causa di una malattia o ti potrebbero uccidere in duello o in battaglia. Quella zingara ha visto che sei un soldato, il nostro lavoro è rischioso, sempre a contatto con le armi e la delinquenza. Non ci vuole certo un veggente per capire che siamo in costante pericolo."
"Allora sentiamo, cos'altro mi avrebbe detto quella zingara?" Oscar avvicinò il viso a quello di André.
Lui si scostò un po', non era abituato ad avere il corpo di Oscar così vicino. Le teneva sempre la mano.
"Non saprei, ma di solito dopo la morte, ci sono salute e amore." Oscar gli si era allontanata, tornando al suo posto.
"Bravo, hai un futuro da cartomante." La zingara mi ha anche detto che amerò, e sarò molto amata." Fece una pausa prima di ricominciare.
"Ma quello che non sai, è che la zingara dopo questa frase si è voltata e ha guardato verso te."
Andrè lasciò la mano di Oscar, il cuore aveva accelerato i battiti.
Lei gli appoggiò la testa sulla spalla.
"In questo avevi ragione, non ho certo bisogno di una zingara per sapere che sono amata, da un uomo meraviglioso come te."
Gli si avvicinò e gli diede un lieve bacio sulle labbra.
Dopo il bacio André si ritrasse, facendo cadere il bicchiere accanto a sé.
"No, Oscar. Ti prego, io non voglio più farti del male, o farti soffrire. Se ti tenessi tra le braccia, io perderei quel poco di controllo che ho…. E ti perderei per sempre. E' già capitato una volta. Non voglio perderti, ora che tra noi si è riaperto un dialogo."
Si era alzato in piedi.
Si stava allontanando da lei.
Oscar non capiva, ora era lui che fuggiva da lei, o non si era accorto di quanto lo amasse.
Ora era lui che fuggiva, ma perché?
Sentì un vuoto dentro di sé, freddo tanto freddo, non riusciva ad alzarsi, le tremavano le gambe, ma doveva fermarlo.
Per la prima volta nella sua vita reagì d'istinto
"Andrè, io ti amo." Oscar aveva finalmente trovato il coraggio di dirglielo.
Era la verità, lo amava da tanto, ma che fatica tirare fuori queste parole.
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