L'assurdo

di Amarida
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cappotto vs trench 1 - 1 (indagine al centro) ***
Capitolo 2: *** Piani di battaglia (in mancanza di hamburger) ***
Capitolo 3: *** Prove di volo e di convivenza (in uno sgabuzzino) ***
Capitolo 4: *** Di occhiate torve e scaffalature troppo alte (e qualche imprecazione) ***
Capitolo 5: *** Di angeli momentaneamente spennati e aspiranti angeli (che ignorano di esserlo) ***
Capitolo 6: *** Uomini d'acciaio, vasi di cristallo (e potenziali campioni di baseball) ***
Capitolo 7: *** Di cuccioli e pulcini (se così si può dire) ***



Capitolo 1
*** Cappotto vs trench 1 - 1 (indagine al centro) ***


“Assurdo!” esclamò il consulente investigativo fronteggiando con una delle sue migliori espressioni di superiorità l’uomo in trench, il quale, sorprendentemente, non si scompose.
“Affatto” rispose pacato, la voce più bassa di un’ottava: “il mastino esiste ed è un demone, uno tra i più pericolosi della sua specie. E se glielo dico deve credermi, perché io sono un angelo del Signore e non dico mai bugie! Beh, quasi mai…”
Il consulente gli rivolse un’occhiata feroce, mentre al limite del suo campo visivo vide l’americano biondo darsi una manata sconsolata sul viso.
Era evidente che l’uomo che gli stava davanti gli aveva appena raccontato una valanga di assurdità, ma, dannazione: era davvero bravo a mentire! Lo stava osservando da quasi venti minuti e non aveva colto in lui alcun segno di dubbio o di disagio: era forse un mitomane, che credeva veramente in quel che diceva?

Eppure anche i due giovani che l’accompagnavano sembravano convinti e, a differenza dell’uomo in trench, che sembrava un poco spaesato con gli enormi occhi sgranati, i capelli arruffati e quel ridicolo soprabito, avevano l’aria di essere persone serie e razionali.
Fratelli, dedusse, molto legati tra loro, un’infanzia difficile alle spalle, segnati da un lutto terribile in tenera età e da una vita raminga: senza una casa, senza una patria. Il maggiore aveva un’aria più rude e scorbutica, ma i suoi rari sorrisi e la luce chiara negli occhi verdissimi rivelavano un animo nobile, coraggioso e generoso; il più giovane era più colto, riflessivo, ma non meno pronto ad affrontare all’occorrenza ogni sorta di pericolo: non poteva non ammirarli per questo, ma da lì a credere alle loro parole, beh, era un’altra faccenda.

“Certo che il mastino esiste! Ma abbiamo dimostrato essere un normalissimo cane reso demoniaco dai condizionamenti psichici operati nei laboratori di Baskerville: ho risolto io stesso il caso giusto un paio di ore fa e ora, credetemi, non vedo l’ora di tornarmene a Londra” disse Sherlock glaciale, quindi si avvicinò in due falcate a John e lo afferrò per un polso, deciso a trascinarlo via.
“Hai avuto paura, vero?” disse l’uomo in trench in tono basso e pacato, inchiodandolo sul posto.
“Co… come diavolo?!” John sentì le dita dell’amico fremere sul suo polso assieme alla sua voce.
“Ed è una cosa che non ti capita spesso. E sei turbato perché non riesci a capirne il motivo…”
John si ricordava bene la scena a cui aveva assistito la sera precedente: per la prima volta si era trovato davanti uno Sherlock fragile, umano e… spaventato di esserlo. Fissò prima Sherlock e poi l’altro, decisamente impressionato.

“Mmmmh, complimenti: devo ammettere che anche tu sei piuttosto ferrato nell’arte della deduzione” disse il consulente ricomponendosi.
“Non l’ho dedotto: te l’ho visto nell’anima” rispose l’altro impassibile: “un’anima molto profonda e tormentata, ma molto bella, se posso permettermi…”
“Ora basta! Non pretenderete che creda a queste sciocchezze? Cacciatori di mostri? Che razza di mestiere è?” sbottò Sherlock.
“Da che pulpito…” si lasciò sfuggire John, scoccando un’occhiata divertita all’unico consulente investigativo al mondo.
“E ora venite a dirmi che sapete leggere l’anima delle persone che, tra parentesi, ha le stesse possibilità di esistere che hanno draghi, fantasmi, vampiri e altre cose del genere…”.
“Esistono sia l’una che gli altri, credimi” disse il più giovane dei fratelli con un sorriso mesto.
“E noi non siamo capaci di guardar dentro le anime: solo lui può” aggiunse il maggiore indicando il terzo uomo.
“Ah, già, perché lui è un angelo…” sbottò Sherlock stizzito.
“Lo so che è difficile crederlo vedendolo così, ma ti assicuro che in lui c’è molto più di quanto non appaia” disse il fratello maggiore, posando una mano protettiva sulla spalla dell’uomo in trench, che lo guardò con un misto di stupore e gratitudine. A Sherlock venne naturale voltarsi verso John in una muta richiesta di aiuto. E John, ovviamente, capì.

“Facciamo così, Sherlock” propose il dottore in tono pratico: “dato che non sapevamo quanto tempo avremmo impiegato a risolvere il caso e avevamo prenotato la stanza alla locanda fino a sabato, possiamo concederci un paio di giorni di vacanza. Se nel frattempo i nostri amici americani riusciranno a portarci qualche prova un po’ più concreta di quello che dicono li aiuteremo: potrebbe essere interessante. Non sei tu che dici che una volta eliminato l’impossibile quello che rimane, per quanto improbabile, è la verità?”
“Ma John, i mostri non esistono!”
“Due giorni, detective, e se non riusciremo a convincerti potrai vantarti per tutta l’Inghilterra di aver sputtanato due truffatori americani: ti piacerebbe, vero?” disse il biondo con un sorriso sornione facendogli l’occhiolino.
“Consulente investigativo, prego…” rispose Sherlock piccato, prima di voltarsi per ritornare ad ampie falcate verso l’albergo. “Direi che è un sì” disse John cortese, apprestandosi a inseguirlo come al solito, poi aggiunse: “A proposito, come avete detto di chiamarvi?”
“Io sono Sam Winchester, lui è mio fratello Dean e lui è Castiel” rispose il più alto.
Diamine se era alto! Pensò John prima di fare cenno loro di seguirli. Sarebbe stata una lunga giornata.


Ok, ok, una long e pure una crossover: due domande sorgono spontanee: - Chi me l'ha fatto fare? Nessuno, ovvio, se non il piacere di avere a che fare con questi deliziosi personaggi per i quali ho una cotta che manco avessi quindici anni (e non li ho!). - Ci arriverò mai in fondo? Non lo so - e me ne scuso in anticipo - ma non sarò né la prima né l'ultima a lasciare una storia a metà. Dunque, tentiamo l'impresa. Grazie a chi leggerà. L'attempata autrice.

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Capitolo 2
*** Piani di battaglia (in mancanza di hamburger) ***


“In pratica voi sostenete che i ricercatori di Baskerville siano riusciti a procurarsi chissà come qualcosa di soprannaturale e ci stiano facendo esperimenti?” riassunse John pratico, zittendo con un’occhiata Sherlock, prima che cominciasse a riversare offese – nemmeno troppo gratuite in questo caso – sui loro interlocutori.

Da un paio d’ore avevano trasformato il tavolo più defilato della locanda dove alloggiavano nel loro quartier generale. Sam aveva estratto dalla sua sacca il portatile e mostrato decine di documenti e s’era lanciato in una lunga e dettagliata spiegazione. Il fratello lo osservava con uno sguardo decisamente compiaciuto, mentre il presunto angelo s’era seduto zitto e rigido in un angolo con un’espressione indecifrabile.

“In pratica sì” disse Sam. “Sospettiamo che quel mastino sia, in realtà, un cerbero: un cane infernale che viene inviato ad uccidere le persone che vendono la loro anima a un demone. Di solito sono invisibili, ma è possibile che siano riusciti a catturarne uno, a intrappolarlo e a renderlo in qualche modo corporeo…”
“Andiamo John, non puoi credere a queste cose!” sbottò Sherlock irritato e fece per alzarsi, ma due mani solide lo bloccarono per le spalle e si ritrovò a guardare in un paio di iridi verdi troppo vicine e decisamente arrabbiate.
“Ascoltami bene, amico” disse Dean in un sussurro basso e pericoloso: “Uno di quei cuccioli che secondo te non esistono anni fa mi ha sbranato e sbattuto all’inferno e se non fosse stato per lui ci sarei ancora!” concluse accennando a Castiel.
“Dean, per favore…” disse questi pacato, inclinando appena il capo; e l’uomo si risedette, lasciando andare il detective.
John, impressionato, prese in mano la situazione: “Va bene, va bene. Diteci solo cosa avete intenzione di fare e come possiamo aiutarvi, poi decideremo insieme il da farsi: d’accordo?” concluse, guardando Sherlock.
“Va bene” concesse lui, “ma non ti azzardare più a toccarmi né a chiamarmi amico: io non ho amici!” disse rivolto a Dean.
“Oh, questo non è vero…” intervenne Castiel, guardando più a lungo del lecito prima Sherlock e poi John, che arrossì leggermente distogliendo lo sguardo.
“Vogliamo soltanto entrare là dentro e dare un’occhiata” disse Sam.
“E se troviamo qualcosa di pericoloso, vogliamo portarcelo via e distruggerlo per evitare che faccia altri danni” aggiunse Dean.
“E, di grazia, come avreste intenzione di entrare? Noi ci siamo riusciti solo sfruttando il pass di mio fratello, che beh, diciamo, è piuttosto intimo coi piani alti del governo, e la nostra copertura è saltata: dubito che se rivedessero le nostre facce nei dintorni ci lascerebbero avvicinare ancora…” disse Sherlock.
“Entrare non è un problema” rispose Sam, “ci occorre solo una mappa del luogo e tutte le informazioni che avete raccolto quando siete entrati voi”.
“Questo possiamo farlo” concesse Sherlock, “ma vorrei proprio sapere come farete ad entrare”.
“Oh, non ti preoccupare ami… ehm, Sherlock: abbiamo la nostra personale arma segreta!” sorrise Dean puntando l’indice contro Castiel.
“D’accordo, allora, venite” concluse John, guidandoli al piano di sopra nelle loro stanze per recuperare i materiali di cui avevano bisogno e proseguire la conversazione in privato.

“Come sarebbe a dire che non avete hamburger?” chiese Dean squadrando con aria omicida il cameriere della locanda.
“Po… posso portarle delle salsicce nostrane con uova e verdure” balbettò lui intimidito.
“Va bene” concesse il cacciatore.
I cinque strani compagni erano scesi a cena dopo un intero pomeriggio passato a pianificare le prossime mosse: s’erano accordati di agire quella notte stessa. Era rischioso, perché il clamore dei fatti accaduti aveva sicuramente fatto aumentare la vigilanza sia all’interno sia all’esterno, ma dovevano fare in fretta se non volevano che i ricercatori della base segreta avessero il tempo di far sparire tutte le prove.
“Speriamo non venga loro la malsana idea di liberare qualunque cosa tengano chiuso là dentro per disfarsene o potrebbe accadere di tutto!” aveva osservato Dean tra una boccata e l’altra di salsiccia scura e speziata: non male, doveva ammetterlo. Poi, senza chiederglielo, aveva allungato a Sam il suo piatto perché lo liberasse della fastidiosa presenza delle verdure.
Il fratello sorrise alzando lo sguardo sugli altri commensali.
John mangiava tranquillo una bistecca con patate, mentre Sherlock e Castiel, seduti uno di fronte all’altro, si fissavano con insistenza da sopra i loro piatti intonsi.
“Non mangi?” chiese ad un tratto Sherlock.
“Nemmeno tu” osservò l’altro impassibile.
“Mangiare è noioso e, durante un’indagine, mi rallenta” disse l’investigatore.
“Io non ne ho veramente bisogno: sono un angelo” spiegò con naturalezza Castiel: “non mangio, non dormo e non vado in bagno”.
“Mmmmh, hai trovato un’anima affine!” intervenne allora John, infilzando con la sua forchetta una patata dal piatto di Sherlock e avvicinandogliela alle labbra. Sherlock sbuffò, ma si lasciò imboccare, senza smettere di fissare l’uomo che gli stava di fronte. Era seccato perché non riusciva a dedurre niente di lui e gli era capitato solo un’altra volta in tutta la sua vita.
Finita la cena, i tre americani uscirono subito con la scusa di fare una passeggiata digestiva, che non era nemmeno del tutto una scusa, viste le due porzioni di cheesecake ingurgitate da Dean a velocità sorprendente.
I due inglesi si sedettero una mezzoretta vicino al camino con John che tentava con scarso successo di fingere una normale conversazione tra amici, mentre Sherlock gli rispondeva a monosillabi perso nei suoi pensieri, la luce incerta delle fiamme che gli danzava negli occhi chiarissimi.
Poi anche loro uscirono.
S’erano accordati con gli altri di ritrovarsi in un punto riparato da rocce e alberi vicino alla recinzione della base di Baskerville.


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Capitolo 3
*** Prove di volo e di convivenza (in uno sgabuzzino) ***


Quando li raggiunsero, i due fratelli stavano estraendo dai loro borsoni una quantità incredibile di oggetti strani, sotto lo sguardo attento di Castiel.
John e Sherlock riconobbero vari tipi di coltelli e diverse cartuccere con munizioni per fucili e pistole, ma c’erano anche una specie di ampolla di vetro con incisi strani simboli e chiusa da un tappo d’argento a forma di stella a cinque punte e una rete sottilissima a maglie larghe che Sherlock ad occhio riconobbe essere fatta di seta: Sam la stava bagnando con cautela con l’acqua contenuta in una vecchia borraccia d’alluminio.

Prima che potessero chiedere spiegazioni, Dean consegnò a ciascuno di loro una pistola e una manciata di munizioni.
“Grazie, ma ho la mia” disse John gentilmente, mostrando il calcio della pistola che spuntava dalla cintura dei pantaloni. “Fidati, amico, questa è molto meglio: proiettili di ferro imbottiti di sale e polvere d’argento con sigilli anti demone incisi sul corpo” spiegò: “dovrebbe fermare quasi tutto quello che potrebbe uscire da là dentro o, almeno, rallentarlo.
“Ah” disse il medico perplesso accettando l’arma. Sherlock, invece, teneva le mani ostinatamente affondate nelle tasche del cappotto squadrando la pistola come se non ne avesse mai vista una.

“Ehi, ami…, Sherlock, dai, prendila: se abbiamo ragione noi hai tutto da guadagnare, se abbiamo torto, beh, è una pistola e può sempre servire…” cercò di convincerlo, ma il detective non si mosse. Allora John allungò la mano e prese l’arma, porgendola all’altro.
“Per favore, Sherlock” disse. E il detective, finalmente si mosse, accettando l’arma e ficcandosela in tasca senza una parola. John sorrise. Poi, un po’ per curiosità un po’ per allentare la tensione si avvicinò a Sam – ancora alle prese con la rete – chiedendogli cosa stesse facendo.

“Questa è una rete tessuta dalle Parche in persona con tela di ragno. La sto imbevendo d’acqua santa: è l’unica cosa che, a quanto sappiamo, può intrappolare un cane demoniaco” spiegò Sam senza scomporsi.
“Ah” disse di nuovo John e non sapeva se essere pentito o no di aver chiesto spiegazioni: la cosa gli sembrava sempre più assurda, ma quei ragazzi gli piacevano si rifiutava di credere che fossero solo dei folli visionari. E il fatto che Sherlock, pur non credendo loro, chissà perché, non li avesse scacciati a male parole deponeva a loro favore.

“Pronti?” chiese pratico Dean appena vide che il fratello aveva finito con la rete e l’aveva riposta, assieme all’ampolla, nelle tasche del suo giaccone.
“Certo!” Esclamò Sherlock. “E adesso sono proprio curioso di sapere come avete intenzione di entrare”.
“Oh, questo non sarà un…”
“Ehm, Dean, chiedo scusa ma…” lo interruppe Castiel avvicinandosi.
“Che c’è?” sbottò il cacciatore fissandolo negli occhi.
“Mi dispiace, ma non credo di essere in grado di trasportarvi tutti e quattro” rispose abbassando lo sguardo con aria colpevole. Il cacciatore s’addolcì: “Ehi, ehi, non importa: era meglio se ce lo dicevi prima ma possiamo organizzarci. Allora, chi di voi due viene con me?” concluse accennando agli inglesi.
“Dean…”
“Eh, no, Sam, scusa ma io voglio esserci: ho un conto in sospeso con quelle bestiacce e catturarne una sarebbe davvero un bel colpo!”
“Va bene, allora; ma se vuoi un consiglio è meglio che ti porti Sherlock: senza offesa, John, ma da quel che ho capito ha praticamente memorizzato la mappa di quel luogo e potrebbe esserti molto utile…”
John fece un gesto vago come a dire “non c’è problema” e tutti gli occhi si fissarono su Sherlock. Lui sbuffò e fece un’alzata di spalle: “È un’assurdità, ma… va bene, va bene!” disse.

Quanto Castiel avvicinò due dita al volto di Sherlock, questi si scostò, rivolgendogli un’occhiata seccata. “Ehi, tranquillo” disse Dean con un ghigno: “Non sta cercando di palpeggiarti. Si limiterà a toccarci la fronte e ci porterà dentro: è strano, lo so, ma non fa male”. “Cos…?!”
Sherlock non riuscì a finire la frase che si ritrovò catapultato in un mondo buio e freddo che odorava stranamente di… di polvere, muffa e detergente per pavimenti? Si accorse di avere chiuso istintivamente gli occhi quando l’uomo in trench lo aveva toccato. Li riaprì e si rese immediatamente conto di non essere più nella brughiera, ma in uno sgabuzzino ingombro di attrezzi per la pulizia e detersivi. Una sottile striscia di luce filtrava da sotto la porta e da fuori s’udiva il ronzio di macchinari e i versi piuttosto disperati di alcuni animali: scimmie e cani, dedusse, e forse topi e conigli.
Dovette far ricorso a tutto il suo autocontrollo per soffocare un’esclamazione di stupore. Si ritrasse infastidito verso la porta quando udì una bassa risata di scherno troppo vicina al suo orecchio e percepì la presenza dei due uomini praticamente appiccicati ai suoi fianchi per lo spazio angusto.
Anche Dean era a disagio: da quella distanza Sherlock riusciva a percepire il battito del suo cuore; mentre l’altro sembrava tranquillo: come se quello che era appena accaduto fosse perfettamente normale. Ma non lo era affatto, diamine se non lo era!
“Lo so, lo so, la prima volta è strano, ma poi ci si fa l’abitudine” sussurrò Dean con un tono accondiscendente che lo rese, se possibile, ancora più irritato. “Per favore, ragazzi, abbiamo poco tempo!” intervenne Castiel a voce bassissima riportandoli entrambi allo scopo della loro missione.

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Capitolo 4
*** Di occhiate torve e scaffalature troppo alte (e qualche imprecazione) ***


Nonostante l’addestramento militare e il notevole autocontrollo, indispensabile per non strozzare il suo coinquilino a ogni uscita balzana, quando John vide sparire nel nulla i tre uomini fece un salto indietro e non gridò soltanto perché si ritrovò sulla bocca una manona di Sam.
“Scusami” mormorò il ragazzone un po’ imbarazzato, lasciandolo non appena fu certo che non avrebbe urlato.
“No, scusa tu” rispose John pratico: un grido nel mezzo di un bosco silenzioso non era l’ideale per mantenere la segretezza della missione. “Ma è… è… impossibile! Dove sono finiti? Come hanno fatto? Dove sta il trucco?”
“Mi dispiace John, ma non c’è alcun trucco: Castiel è davvero un angelo e teletrasportare la gente fa parte, beh, delle sue doti soprannaturali.”
Il dottore scosse il capo: “Sherlock dice che, eliminato l’impossibile, quel che resta, per quanto assurdo, dev’essere per forza la verità. Quindi, suppongo che debba crederci” disse, sollevando lo sguardo per fissare Sam negli occhi, poi, inaspettatamente sorrise: “E, sai una cosa? Temo sarà costretto a crederci anche Sherlock e darei non so cosa per poter vedere adesso la sua faccia: mister scetticismo in persona alle prese con angeli e demoni!”
Anche il cacciatore, allora, sorrise: “Cas e Dean faranno di tutto per proteggere il tuo amico, John: te lo assicuro”.
Il dottore annuì: “Bene. Allora vediamo di fare anche noi la nostra parte!”

Nella poca luce dello sgabuzzino gli occhi di Dean e Sherlock – che si fissavano in cagnesco da una manciata di secondi per stabilire chi dei due avrebbe avuto l’onore, si fa per dire, di aprire la porta – sembravano quasi neri. Per questo, quando videro la luce azzurra che illuminava dall’interno le iridi di Castiel, che li osservava torvo, emanando una forza che anche lo scettico detective poteva percepire, decisero di sospendere le ostilità.
Dean socchiuse lentissimamente la porta e sbirciò all’esterno, lasciando poi a Sherlock lo spazio per fare altrettanto. Il laboratorio sembrava deserto.
“Telecamere” grugnì il detective nell’orecchio di Dean, occhieggiando alle lucine rosse intermittenti che s’intravedevano ai quattro angoli della stanza.
“Merda!” rispose il cacciatore, voltandosi poi verso Cas con aria interrogativa.
L’angelo capì quasi subito: “Forse posso fare qualcosa: se mi starete abbastanza vicini posso deviare un po’ della mia grazia attorno a noi per proteggerci”.
“Come prego?” domandò Sherlock trattenendo una delle sue imprecazioni creative.
“Hai un’idea alternativa, genio?” chiese Dean con un ghigno. Sherlock chiuse gli occhi e, dopo una rapida visita al suo palazzo mentale, settore “allarmi, antifurti e sistemi di sicurezza” fu costretto a scuotere il capo.
“Bene, allora fidati e stacci incollato alle chiappe” disse Dean soddisfatto aprendo del tutto la porta.

I tre uomini avanzarono cautamente al centro della stanza, spalla a spalla, poi presero a guardarsi attorno. Per il momento sembrava tutto tranquillo.
Castiel piegò la testa di lato, serissimo e concentrato, socchiuse gli occhi, poi, dopo qualche secondo, li spalancò puntando il dito verso lo scaffale di destra.
Il ripiano più alto era colmo di barattoli di vetro di varie dimensioni chiusi da coperchi ermetici e colmi di un liquido oleoso nel quale galleggiavano sinistramente rane, serpi attorcigliate, topi e altre creature – e brandelli di creature – non bene identificabili, tutti rigorosamente morti e immobili.
Tutti tranne uno.

All’estremità del ripiano, infatti, i tre uomini videro chiaramente che c’era un contenitore più grande degli altri, fatto d’un vetro più spesso. Il coperchio era fissato al contenitore con una fitta gabbia di fili metallici. All’interno sembrava non ci fosse altro che un liquido nero, ma, osservando meglio, era chiaro che quel liquido si muoveva: increspature, bolle, piccoli vortici da cui emanava un bagliore rossastro si formavano di tanto in tanto all’interno per poi scomparire e quietarsi.
“Il mastino?” domandò il cacciatore all’angelo, che si limitò ad annuire.
Dean trattenne un’imprecazione e si limitò a chiedere: “Come diavolo hanno fatto a ficcarlo lì dentro?!” Castiel allargò le braccia con espressione decisamente sconsolata.
“Qualunque cosa voi dite che sia chiusa lì dentro, non credo che ci resterà a lungo…” intervenne allora il detective indicando i piccoli sobbalzi che ad ogni movimento interno stavano portando il vaso sempre più vicino al bordo dello scaffale; mentre sulla superficie, a un’osservazione più attenta, si vedevano piccole incrinature allungarsi e allargarsi sul vetro.
“Cavolo! Dobbiamo prenderlo prima che cada e si spezzi, o saremo in guai davvero grossi”. Esclamò Dean accostandosi in due passi ai piedi dello scaffale. “È alto!” brontolò poi allungando una mano che si fermò solo a metà del ripiano sottostante.

“Cas, puoi farlo scendere in qualche modo?” chiese.
“No, Dean, mi dispiace: se distogliessi anche solo per un momento la mia attenzione e la mia energia dalle telecamere, credo che nel giro di pochi secondi verremmo visti e catturati”.
“Va bene, vorrà dire che ci arrangeremo noi due” disse pratico il cacciatore allungando le mani per afferrare i fianchi di Sherlock, che si scansò oltraggiato e allibito: “Cosa diavolo?!”
“Ehi, ehi, calma! Volevo solo sollevarti: a occhio direi che sei tu il più leggero”.
“Non ci pensare neanche!” esclamò l’inglese. Detestava essere toccato. Tollerava giusto le mani di John sulle sue ferite quando gliele medicava di ritorno da un caso. E anche quella, a pensarci, era una ben curiosa eccezione.
“Per favore…” li interruppe la voce roca e preoccupata dell’angelo, senza voltarsi a guardarli.
“Va bene, va bene!” disse allora Sherlock, sbottonandosi il cappotto per esser più libero nei movimenti e dando le spalle all’americano con l’espressione di chi stia andando al patibolo.
Dean sbuffò, poi lo prese saldamente per i fianchi e riuscì a sollevarlo quanto bastava perché l’altro arrivasse con le sue lunghe dita ad afferrare il barattolo in cima allo scaffale.
“E’ caldo!” esclamò il detective appena riguadagnato il suolo, stringendo il vetro tra le mani con gli occhi illuminati dalla torbida luce rossastra che vorticava all’interno. Anche Dean allungò una mano, ma stava per posarla sulla superficie quando questa scricchiolò sinistramente.

“No!” gridò allora Cas precipitandosi ad afferrargli il polso.
“Che succede?” chiese il detective rinsaldando la presa.
“Ecco la prova che qui dentro c’è davvero un mastino infernale” spiegò l’angelo: “anzi, probabilmente proprio ‘quel’ mastino infernale. Credo ti abbia riconosciuto: dobbiamo sbrigarci a portarlo fuori da qui.” Concluse sospirando e fissando il cacciatore con una delle sue lunghe, indecifrabili occhiate.
Dean lo assecondò per un attimo, poi fu colto da un dubbio: “Cas, scusa, se tu stai guardando me chi si sta occupando delle telecamere?”
“Oh…”
In quel momento un allarme suonò, tutti gli animali si misero a gridare all’unisono e il laboratorio deserto prese a riempirsi dell’eco di molti passi pesanti in rapido avvicinamento.
“Ca**o!” gridò Dean. E Sherlock pensò che, in quel particolare caso, l’americano avesse perfettamente ragione.

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Capitolo 5
*** Di angeli momentaneamente spennati e aspiranti angeli (che ignorano di esserlo) ***


“… era morto da quattro mesi – quattro! – quando ho aperto la porta del motel e me lo sono ritrovato davanti, fresco e strafottente come se ci fossimo lasciati il giorno prima. Ti giuro, in quel momento non sapevo se ridere o piangere, abbracciarlo o dargliene di santa ragione…”
Rannicchiati dietro una roccia, il più vicino possibile alla recinzione, con lo sguardo fisso alla mole squadrata della base di Baskerville e una mano sul calcio delle rispettive armi, Sam e John cercavano di far passare il tempo e allentare la tensione raccontandosi storie a bassa voce.
Vedere il metro e novantaquattro di Sam scomodamente ripiegato su se stesso per celarsi nell’ombra della roccia fece al soldato una strana tenerezza e lo invidiò un po’ meno per l’altezza.

A quanto pareva Dean era morto davanti ai suoi occhi, sbranato da una bestia simile a quella che ora stavano cercando di recuperare, e Castiel lo sarebbe andato a riprendere addirittura all’inferno.
Rabbrividì pensando all’assurdità della storia – un po’ meno assurda a dire il vero, dopo che aveva visto tre uomini scomparire nel nulla in un nanosecondo – ma più che altro pensò a quanto sarebbe stato orribile veder morire Sherlock.
E non era nemmeno suo fratello…

“Quando sono andato ad abitare con Sherlock, che tiene pezzi di cadaveri in frigorifero, dorme e mangia il minimo indispensabile, ha abitudini malsane e una mente geniale al limite dell’incomprensibile, credevo di averle viste tutte, ma…”
Sam sorrise, comprensivo, allargando le braccia: “Se sei capace di sopportare lui, sopporterai anche noi, allora…” disse.
“Sherlock dice che sono attratto dal pericolo” replicò il dottore; “mi sono sempre rifiutato di credergli, ma a questo punto suppongo abbia ragione”.
“Noi, invece, il pericolo lo attraiamo proprio: è il nostro mestiere e la nostra maledizione, però…”
“Poi diventa difficile farne a meno?” chiese John.
L’americano annuì passandosi una mano tra i capelli troppo lunghi.

Fu allora che, all’improvviso, udirono una sirena squarciare il silenzio ovattato della brughiera.
Contemporaneamente la base di Baskerville fu illuminata a giorno da decine e decine di potentissimi fari e cani, molti cani, si misero a latrare sinistramente.
“Cosa accidenti?”
“Cavolo: li hanno scoperti!”

“Portaci fuori di qui… subito!” esclamò Dean serrando con forza la mano su una spalla di Castiel, che subito fece lo stesso con quella di Sherlock, poi chiuse gli occhi.
E non successe nulla.
“Cosa diavolo?!”
“Non lo so, Dean, non lo so: sono bloccato. Forse è colpa di quello” disse indicando la creatura che si dibatteva nel barattolo: “indebolisce i miei poteri”. Concluse frustrato.
Sherlock sbuffò tra i denti qualcosa che poteva somigliare a: “Angeli, sì, certo!” poi decise di prendere in mano la situazione.

“Di là, americani: per fortuna mi ricordo a memoria la mappa di questo posto!” gridò mettendosi a correre verso una porticina defilata dalla parte opposta della stanza.
“Tecnicamente io non sono ameri…”
“Corri, Cas!”
Fecero appena in tempo a chiudersi la porta alle spalle che udirono chiaramente un notevole numero d’uomini fare irruzione nel laboratorio: non ci avrebbero messo molto a capire da che parte erano fuggiti.
Sherlock si muoveva sicuro nel labirinto di stanze e corridoi, precedendoli di qualche passo.
Il suo cappotto nero e svolazzante diede all’angelo una vivissima impressione di ali: quell’uomo all’apparenza scontroso e inaccessibile sarebbe stato un bellissimo angelo – pensò – e, forse, a suo modo, lo era.

L’inglese imboccò deciso una scala che saliva al piano superiore: “Dobbiamo raggiungere le cucine” spiegò trafelato: “c’è una porta di servizio per la consegna delle provviste che dà direttamente all’esterno e sembra meno blindata e sorvegliata delle altre”.
Erano a metà della prima rampa quando videro aprirsi la porta che dava sul pianerottolo che s’intravedeva sopra le loro teste; e pesanti scarponi chiodati apparvero nel loro campo visivo, seguiti dai loro robusti proprietari.
Una mezza dozzina di militari della base stava scendendo le scale; mentre almeno altrettanti – Sherlock giudicò dal rumore – erano appena entrati dalla porta che si erano chiusi alle spalle poco prima e in breve avrebbero cominciato a salire.
“Opporca… siamo circondati!” esclamò Dean.
“Non c’è bisogno di constatare l’ovvio”. Disse Sherlock glaciale.

Dopo un solo istante d’indecisione, i tre sfoderarono le armi e continuarono a salire finché non si trovarono faccia a faccia con i soldati.
“Saaaalve!” disse Dean sfoderando contemporaneamente sorriso e pistola, entrambi micidiali.
Sherlock non poté non ammirare il suo coraggio. Impugnò a sua volta l’arma e rimase sorpreso quando vide che anche Castiel s’era armato, estraendo da chissà dove un lungo pugnale d’argento dalla forma mai vista.
“Fermi siete in arr…” l’arcigno ufficiale in mimetica che guidava la squadra di soldati non riuscì a finire la frase perché Dean gli aveva rifilato una notevole testata, sbalzandolo indietro di un paio di metri, e l’aveva poi tramortito con un colpo ben assestato del calcio della pistola.
Sherlock sparò un colpo in aria centrando la luce al neon che pendeva dal soffitto e approfittò del buio e della pioggia di vetri per infilarsi nel varco creato da Dean e guadagnare la porta.

Solo allora i soldati rimasti presero a sparare senza tanti complimenti. Castiel, che veniva per ultimo, non poteva non essere stato colpito, giudicò Sherlock, eppure continuava a correre come niente fosse; e quando due uomini stavano quasi per agguantargli l’orlo del trench fece una cosa… una cosa che lo lasciò assolutamente esterrefatto: si girò di scatto e, mentre trafiggeva uno dei due con il suo lungo pugnale, posò due dita sulla fronte dell’altro, troppo vicino per potergli sparare, e questi si accasciò a terra senza emettere suono.
Come se non bastasse, ora che poteva vedergli la schiena, Sherlock constatò che l’altro era davvero stato colpito come immaginava: tre – tre! – macchie rosse s’andavano allargando sulla sua schiena sconciandogli il soprabito già sufficientemente sgualcito, ma lui pareva non curarsene minimamente. Anzi, terminata l’opera fece in tempo a rivolergli un piccolo sorriso, prima di ricominciare la sua fuga.
Sherlock fece uno sforzo su se stesso per rimettersi a correre a sua volta, serrando più stretta la presa sulla teca di vetro.

“Di là!” gridò di nuovo il detective sorpassando Dean e riguadagnando la testa dei fuggitivi.
Ora anche Castiel aveva estratto una pistola e si girava di tanto in tanto a sparare ai soldati.
Quando oltrepassarono una porta tagliafuoco, infilandosi in un altro corridoio, alzò un braccio, ruotò la mano e la porta si chiuse senza che la toccasse.
Dall’altra parte si udirono dei tonfi e le imprecazioni ovattate dei soldati che ci erano andati a sbattere contro ed ora, a quanto pare, non riuscivano ad aprirla.
Si fermarono un momento a prendere fiato.

“Ah, allora t’è rimasto un po’ di tocco angelico!” esclamò Dean soddisfatto avvicinandosi all’altro.
“Per fortuna sì” rispose Castiel con modestia: “non occorre molto sforzo per questo, mentre per trasportare qualcuno in volo, purtroppo…”
“Non fa niente, Cas, ce la caveremo ugualmente” disse, battendogli un’amichevole pacca sulla schiena.
Solo allora si accorse del sangue: “Oddio, Cas, sei ferito!” disse il Winchester con apprensione.
“Non importa” replicò l’altro con un’alzata di spalle.
Nel frattempo Sherlock era riuscito a rimettere in sesto i suoi poveri neuroni scompaginati dagli eventi abbastanza da tentare di formulare una teoria: “Ah, capisco!” intervenne con sollievo, “siete in contatto con i servizi segreti o qualcosa del genere, che vi forniscono armi avanzate e giubbotti antiproiettile di ultima generazione… probabilmente il sangue è finto e serve per ingannare il nemico e…”
Le sue elucubrazioni furono interrotte da una robusta e scomposta risata di Dean e da un’occhiata allibita di Castiel, che chiese: “Servizi segreti? Non capisco…”
Diede loro le spalle indignato e riprese a correre.

Fecero in tempo ad arrivare in vista delle cucine quando un’altra mezza dozzina di soldati sbarrarono loro la strada.
Stavolta fu l’inglese a lasciarsi sfuggire una colorita imprecazione, che fece sorridere l’americano.



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E adesso sono cavoli, perché il resto della storia - a parte qualche scena clou - è ancora da scrivere e, in parte, anche da inventare. Chiedo venia e spero bene...
Grazie, intanto, a chi mi ha seguito fin qui.
Un abbraccio,
la fangirl attempata ;-)

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Capitolo 6
*** Uomini d'acciaio, vasi di cristallo (e potenziali campioni di baseball) ***


“Qualcosa non quadra” disse Sam irrequieto: “a quest’ora Castiel avrebbe dovuto averli già riportati qui!”
Soprassedendo sull’irrealtà della cosa, John chiese, pratico: “Cosa possiamo fare per aiutarli?”
“Entrare ora è impossibile” rispose Sam, “ma almeno possiamo provare a favorir loro la fuga”.

“Ci sono!” esclamò l’ex soldato battendosi una mano sulla fronte: “Sherlock ha detto che l’uscita meno sorvegliata era quella delle cucine: potremmo avvicinarci il più possibile e coprirgli le spalle quando usciranno.”
“Bravo John! Da quella parte!” disse Sam, consultando la mappa della base disegnata da Sherlock.
Cominciarono ad avanzare carponi, da un albero a una roccia, nei rari momenti di buio che seguivano al passaggio delle fotoelettriche che frugavano dentro e fuori dai confini della base di Baskerville.

Giunti in vista della porticina delle cucine si resero conto che, a dividerla dalla salvezza, c’erano almeno 50 metri di terreno scoperto e una rete alta tre metri con abbondante filo spinato sulla sommità e, ciò non bastasse, anche elettrificata.
Senza dire una parola, Sam cominciò a frugare nel borsone che s’era portato appresso e ne estrasse una pinza, una cesoia, del nastro isolante e dei cavi elettrici, sotto lo sguardo vagamente perplesso di John.
“Forse posso isolare una parte della rete senza bloccare il flusso d’elettricità: così potremo tagliarla senza far scattare l’allarme”, spiegò serio.”
John sorrise debolmente: “Allora ha ragione tuo fratello: sei proprio un secchione!”
Sam arricciò il naso sorridendo di rimando: “Beh, se ci riesco ci servirà un diversivo per tenere occupate le sentinelle e permettere a Dean e agli altri di arrivare vivi fino alla rete…”
“Mmmmh, forse posso inventarmi io qualcosa” sussurrò John: “dopotutto tu sei un secchione, ma io sono un ex soldato… Posso frugare nella tua borsa?”
L’americano annuì ed entrambi si misero febbrilmente ma silenziosamente al lavoro.

“E’ questa che volete?” Sherlock fermò all’improvviso la sua corsa e si voltò, brandendo alto davanti al viso il grosso vaso ormai palesemente incrinato.
“Cosa diavolo?!” Dean fece ancora qualche metro prima di rendersi conto della mossa del detective. Quindi si fermò lui pure di scatto, ruotando sul posto per poter tenere sotto tiro gli inseguitori.
Cas, che lo seguiva da vicino, per poco non gli rovinò addosso. Il cacciatore lo acchiappò rudemente per una spalla, poi con una sola lunga occhiata, gli spiegò dove avrebbe dovuto posizionarsi per coprirgli le spalle. L’angelo, ovviamente, capì.

Anche i soldati della base si fermarono, accerchiandoli, ma non osavano avvicinarsi.
“Sì. È quella” ringhiò l’ufficiale che comandava il piccolo drappello, piantato a gambe larghe di fronte a Sherlock, che lo fissava impassibile: “se ce la darete con le buone ve la caverete con qualche mese di prigione, altrimenti…”
“Altrimenti?” chiese Sherlock con una calma innaturale. I bagliori rossastri della sostanza che vorticava nel vaso si riflettevano sinistramente nei suoi occhi.
Sì, ora sembrava davvero un angelo, pensò Cas: uno dei suoi fratelli così come li aveva visti millenni prima sui campi di battaglia del Cielo, meravigliosi e terribili. Poi guardò Dean.
Sotto l’apparente durezza della sua espressione, Castiel vide facilmente i pensieri che agitavano il cacciatore: progettava possibili vie di fuga, cercando di prevedere le intenzioni del detective e chiedendosi se ce l’avrebbe fatta anche stavolta oppure no.

“Altrimenti vi faremo tanto male” spiegò con calma il soldato: “siamo il doppio di voi e presto arriveranno rinforzi: non uscirete vivi di qui.”
“Probabile” constatò Sherlock senza scomporsi. “Al momento, però, noi vi teniamo sotto tiro: è una perfetta situazione di stallo, che potrebbe protrarsi a lungo, a meno che…”
“A meno che?” sbottò allora Dean, incapace di trattenersi.
Il detective gli rivolse un sorriso sghembo, poi tornò a fissarsi sull’ufficiale: “Mmmmh, non so, pensavo che potrei lasciar cadere il vaso: così, giusto per vedere cosa succede…”
Il cacciatore rivolse a Castiel uno sguardo atterrito, non poté evitarselo, ma per fortuna le guardie non se ne accorsero: erano troppo impegnate a guardarsi tra loro, ancora più atterrite di lui.

Sherlock sorrise, pregustando il trionfo, e sollevò un po’ più in alto il contenitore, come se si stesse preparando a schiantarlo a terra con forza. Tutti gli occhi erano puntati su di lui.
E allora Dean capì. Indietreggiò impercettibilmente verso la loro via di fuga, avvicinandosi ai due soldati che la presidiavano. Poi gridò: “Ora!”
Sherlock annuì e fece oscillare pericolosamente il vaso sopra la testa. Tutti e sei i soldati scattarono verso di lui, compresi quelli vicino a Dean, che si trovò momentaneamente sguarnito.

Il vaso volò, ma, anziché schiantarsi a terra, oltrepassò le guardie per atterrare nella presa salda del Winchester, che scattò indisturbato verso la porta della cucina.
“Merd…auuuuu!” l’ufficiale abortì l’imprecazione in un grido: nell’istante in cui s’era distratto a seguire la perfetta parabola del lancio, Sherlock gli aveva sparato a un piede, lasciandolo a terra a contorcersi, poi si diresse indisturbato verso la porta.
Fece in tempo a vedere Castiel, rimasto indietro, che si di dosso in un lampo di luce ben tre soldati che gli si erano avventati contro.
Si rese conto di essere rimasto a bocca aperta solo quando l’uomo in trench – l’angelo?! – oltrepassò la porta sigillandosela alle spalle come aveva già fatto poco prima.

Erano nelle cucine. Le attraversarono senza tanti complimenti, scostando carrelli portavivande e mandando a fracassarsi al suolo diverse decine di piatti.

Fu il clangore delle stoviglie, udibile fin dall’esterno, a mettere in allarme sia Sam e John sia – ovviamente – le sentinelle che facevano la ronda all’esterno della base di Baskerville.
“Sei pronto?” chiese l’ex soldato, brandendo nella sinistra quella che aveva tutta l’aria di essere una bottiglia molotov.
“Sono pronto!” rispose il giovane Winchester con in mano una cesoia, guardando speranzoso il semicerchio di cavi elettrici e morsetti che aveva disposto con pazienza sulla rete di fronte a sé.
“Bene, allora, si comincia!”

La prima boccata d’aria notturna fu per Dean un vero sollievo, anche se sapeva bene che la faccenda non era ancora finita.
Ci aveva messo 15 secondi netti a scassinare il portoncino blindato che si apriva sul cortile: un record anche per i suoi standard.
Per lavorare più agevolmente aveva riconsegnato il vaso a Sherlock: “M’hai fatto prendere un colpo, amico! Però, cavoli, bel lancio: hai mai pensato di giocare a baseball?”
“Noioso” aveva risposto il detective, riprendendosi lo scomodo fardello sotto lo sguardo preoccupato di Castiel.

Davanti alla porta una pila di casse d’acqua minerale offrivano un minimo di protezione ai fuggitivi, ma tra una bottiglia e l’altra videro le sentinelle avvicinarsi. Un paio trattenevano a stento grossi cani, che presto li avrebbero fiutati.
Perlomeno non erano mastini: registrò Sherlock in un angolino della sua mente, mentre il resto era impegnato a ideare un piano.
I suoi pensieri, però, furono interrotti da Dean: “Ah, fratellino, ti adoro!” disse a voce un po’ troppo alta, indicando un punto oltre la recinzione.
“Ma cos…?” Poi anche Sherlock lo vide: il breve baluginare di una torcia tra i cespugli, un segnale per loro.
“Il piccolo Sammy ci ha preparato una via di fuga: dobbiamo solo raggiungere la recinzione”.
“Ti pare facile? Abbiamo di fronte 52 metri e 25 cm di terreno scoperto” sibilò Sherlock, “e i cani ci fiuteranno tra meno di… “ si udì un sordo brontolio e poi un guaito: “Adesso!” concluse il detective, e sembrava quasi soddisfatto dell’esattezza delle sue previsioni. Dean lo guardò bieco.

“Ragazzi, per favore!” intervenne allora Castiel con un lungo sospiro. Estrasse la lama angelica e li superò, con l’intenzione di uscire allo scoperto, attirando su di sé l’attenzione delle guardie.
Dean lo afferrò per un polso: “Non ci provare!”
“Sono immune alle loro armi Dean, lo sai: vi farò da scudo.”
“Ma…”
Fu allora che, secca e improvvisa, risuonò la prima esplosione.

“E questo è John!” esclamò Sherlock con palese orgoglio, uscendo da dietro il riparo e mettendosi a correre, subito seguito dagli altri.
Fecero in tempo ad arrivare in vista del varco nella recinzione prima che le sentinelle si rendessero conto che le bombe erano un diversivo, li vedessero e tornassero indietro ad inseguirli, liberando i cani; ma John, l’ex soldato, l’aveva previsto.
Sbucò fulmineo dalla recinzione, lanciò un’altra molotov e uscì di nuovo.
La bomba volò con precisione sopra le teste dei fuggitivi ed esplose tra loro e le guardie, che si gettarono a terra.
“Anche lui ha un futuro nel baseball!” gridò Dean a Sherlock, prima di tuffarsi letteralmente nel pertugio.
Quando anche Sherlock e Castiel furono fuori, Sam comparve dall’ombra.
Con due colpi di cesoia spezzò i cavi che tenevano scostati i lembi della rete e l’elettricità riprese a correre, sfrigolando tra le maglie metalliche.
“Grazie” ansimò il maggiore dei Winchester intercettando lo sguardo del fratello.
“Sì, va bene, ma ora corri: dobbiamo allontanarci da qui il più in fretta possibile” rispose Sam, gettandosi in spalla la sacca e precedendolo a lunghe falcate.
“Coglione!” rispose Dean sorridendo, ma accettò il consiglio.

Rallentarono solo quando arrivarono nella radura oltre la quale s’intravedevano già le luci della locanda.
Solo allora John riuscì a raggiungere Sherlock e gli si affiancò, notando con sollievo che era tutto intero. Poi vide la teca: “Oddio: è il mastino infernale?”
“Non essere assurdo John! Ma qualunque cosa sia è di sicuro qualcosa di potente e pericoloso e spero proprio che quei tre sappiano cosa farne.”
“Ehm, Sherlock, è normale che esca del fumo?”
Il detective abbassò lo sguardo sul vaso e impietrì: una delle crepe sul fondo s’era allargata e approfondita tanto da lasciar colare una melma scura da cui si levava un filo di fumo rossastro.
“Ragazzi: abbiamo un problema.”

I Winchester si girarono insieme, subito seguiti da Castiel.
Ancora una volta Sherlock sollevò davanti a sé il contenitore. E ancora una volta ne ricevette in cambio sguardi atterriti.
“Sam, l’ampolla e la rete, presto!” esclamò Dean, mentre Cas si avvicinava col pugnale sguainato.
“Ora posalo a terra, piano, e allontanati. Anche tu, John!”
Sherlock ubbidì senza protestare. Quando una minuscola voluta di quello strano fumo gli aveva sfiorato una mano era stato scosso da un brivido mai provato prima.
Fece cenno a John di scostarsi, ma questi non si mosse di un centimetro.
Quando il vaso toccò terra Sherlock smise di trattenere il respiro. E fece un errore.
Là dove il suo alito caldo raggiunse il coperchio, appannandolo, la melma nera parve prendere vita, vorticando e fiammeggiando e il vaso si sbriciolò.

Il detective fu investito da una nebbia scura e bollente, che lo fece cadere all’indietro.
“Sta lontano da lui!” gridò John, sparando un paio di colpi di pistola proprio al centro dell’ammasso informe. Questo, intanto, aveva oltrepassato Sherlock e si andava ingrossando e addensando alle sue spalle.

In un attimo l’ammasso nero era diventato un cane: un enorme mastino dagli occhi rossi, che si avventò sul dottore puntando dritto alla gola.


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E' passata una quantità vergognosa di tempo. E' un'ora assurda e mancano ancora un paio di capitoli tutti da inventare. Perlomeno questo è un po' più lungo degli altri e ha un bel (?) cliffhanger. Sarà un'impresa, ma mi ci sto divertendo. Spero anche voi!
Grazie!
L'autrice attempata.

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Capitolo 7
*** Di cuccioli e pulcini (se così si può dire) ***


“No!” gridò Sherlock correndo verso John.
“Fermo!” lo bloccò Castiel, trattenendolo per un polso con una forza inaspettata.
“Ma io… lui… devo…” balbettò l’investigatore, perdendo la sua corazza impassibile.
Castiel ne ebbe pietà: “Lascia fare a loro” disse, allentando la presa e indicando i Winchester che, nel frattempo, si erano posizionati di fronte al mastino, il più vecchio davanti, il più giovane a guardargli le spalle.

“Ehi, brutto bastardo, ti ricordi di me?” disse Dean sguainando un pugnale.
La bestia ringhiò, sollevando il muso insanguinato dal petto del dottore.
“Oh, Sam, guarda: si ricorda!” esclamò compiaciuto, strizzando l’occhio al fratello, che alzò lo sguardo al cielo: un teatrino ben collaudato, che anche stavolta funzionò.
La creatura, infatti, calpestò senza tanti complimenti il corpo di John, che scricchiolò sinistramente, e si diresse verso il cacciatore.
“Sì, bello, sì, da bravo, vieni qui: abbiamo un conto in sospeso noi due…” lo incitò Dean, senza scomporsi.
Il mastino avanzò ancora, abbandonando del tutto la sua preda e fissando gli occhi rosso fuoco in quelli di Dean, che sorrise: “Che c’è, cucciolone, hai paura?”

Il mastino allora ringhiò e spiccò un poderoso salto. Dean si scansò, lasciando spazio al fratello che, con un solo movimento del polso lanciò la rete delle Parche dritta sulla belva.
Questa tentò di divincolarsi, ma invano: i suoi poteri erano indeboliti. Subito lo videro rimpicciolirsi e perdere consistenza. “Presto, imbottiglialo!” gridò Dean al fratello.
“Con piacere.” Rispose Sam avanzando con la teca di cristallo aperta davanti a sé. Raccolse con circospezione i lembi della rete. Attese qualche istante che il mastino – che ora guaiva - rimpicciolisse ancora e poi li aprì, facendo rotolare la bestia nel vaso e tappandolo immediatamente.

Solo allora Castiel mollò la presa sul polso di Sherlock, che corse ad inginocchiarsi accanto a John.
Cercò con due dita la giugulare costatando che c’era ancora battito, poi i suoi occhi scorsero gli enormi squarci d’artigli sulla gola e i morsi sul petto dell’uomo, che sanguinavano copiosamente.
D’istinto si tolse la sciarpa tentando di tamponarli con quella: “No, no, no, no, John, no! Ti prego: resta qui, testa con noi… resta… con… me!” ripeteva ossessivamente.
Anche gli altri nel frattempo s’erano avvicinati.
“Opporca!” esclamò Dean.
Sam, invece, se ne stava zitto e impietrito ad occhi spalancati.
L’altro lo guardò e comprese: “Come me?” chiese al fratello.
“Come te…” sussurrò l’altro pianissimo.

Dean fu preso da un brivido, ma si riscosse puntando un dito verso Castiel: “Ma stavolta abbiamo il nostro asso nella manica! Avanti, bello, che aspetti, dagli una mano!”
“Come mi hai chiamato? Oh, sì, certo!” rispose questi inginocchiandosi lui pure accanto a John e facendo il gesto di posargli le mani sul petto; ma Sherlock, inaspettatamente, reagì: piantò i suoi occhi chiarissimi, palesemente velati di lacrime, in quelli blu dell’angelo e strinse a sé John, nascondendolo tra i lembi del cappotto.

“Lascialo stare! Cosa credi di fare? Presto! Chiamate un’ambulanza!”
“Voglio… posso curarlo, Sherlock” disse Castiel con voce incerta, ma senza distogliere lo sguardo.
“Tu cosa?!”
“Sono un angelo, ricordi? Forse sono ancora in tempo per…”
“Piantala con queste scemenze!” gridò il detective. “Non toccarlo, non… I soccorsi, ora!”
Castiel si ritrasse sconcertato e toccò a Dean intervenire.

“Ascolta, zuccone di un inglese! Sei troppo intelligente per non capire che sta perdendo molto sangue: i soccorsi non arriveranno mai in tempo! Se non vuoi vederlo morire tra le tue braccia, fidati di Cas!” disse il cacciatore, guardando ora lui ora l’angelo, ora il fratello, che annuì, rassicurante.
Sherlock lesse sincera preoccupazione in quegli sguardi, fiducia reciproca e affetto: proprio come quando guardava negli occhi di John. E cedette.

“Va bene” sussurrò, scostandosi un poco dal corpo del dottore, ma continuando a tenergli sollevata la testa, posandola delicatamente sulle sue ginocchia.
Sherlock vide gli occhi di Castiel illuminarsi della stessa luce azzurra che aveva già osservato quando erano nello sgabuzzino della base di Baskerville; ma ora la luce pareva uscire anche dai suoi palmi aperti, con i quali sfiorava il viso, il collo e il petto di John.
E ovunque il suo tocco, insieme gentile e deciso, si posava, il detective vide le ferite chiudersi e scomparire.
Sentì, prima ancora di vederlo, il corpo di John rilassarsi e il suo respiro farsi più regolare.

Castiel si rialzò e s’allontanò di due passi, barcollando leggermente: le ferite erano tante e profonde e aveva dovuto impiegare una buona dose di grazia per sanarle; ma prima che potesse incespicare in un sasso o in un cespuglio di quella radura selvaggia si ritrovò accanto i due Winchester.
“Stai bene?” gli chiese Dean.
“Sì, sì: ora che il mastino è di nuovo rinchiuso i miei poteri sono tornati.”
“Così mi piaci, pulcino!”
“Come, prego?”
“Niente, Cas, niente: era una specie di complimento.”
“Ah, beh, grazie”.

Sam si diede una manata in fronte. Poi si mise a ripiegare con cura la rete impalpabile.
Raccolse da terra la teca di cristallo e la osservò con cura: della solida belva pelosa, tutta denti, artigli e occhi feroci non era rimasto che un vapore nerastro, che vorticava sempre più lentamente, intervallato di tanto in tanto da bagliori rossi e bluastri.
Il cacciatore saggiò la tenuta del coperchio e sospirò, soddisfatto.

Appena Castiel s’era allontanato, Sherlock s’era messo ad esaminare John, sollevandogli senza tanti complimenti maglione e maglietta e constatando che la pelle del suo dottore era effettivamente intatta.
La sfiorò persino con le dita, ripetendo senza rendersene conto i gesti di Castiel.
Poi alzò lo sguardo.
“Ma come è possibile?” esclamò sbalordito.
“Angelo” disse Dean serrando una spalla di Cas e guardandolo con un sorriso pieno d’orgoglio.
L’altro si limitò a inclinare il capo senza dire nulla.
“Gli angeli non…”
“Sherlock?”
La voce flebile di John lo distolse all’istante da una delle sue filippiche.
“Oh, John, John, John, stai bene?” disse stringendolo a sé in un abbraccio senza nemmeno pensarci.
“Sì, sì, Sherlock, se non mi strozzi…”
“Scu… scusa.”
“Cosa diavolo è successo? Il mastino ti stava attaccando e io…”
“Tu hai fatto l’idiota, come al solito!” disse Sherlock, scoccandogli un’occhiata severa: “Non riprovarci mai più!”
“Dovevo lasciarti sbranare?”
“Sì: meglio un detective sociopatico in meno che un dottore morto”.
“Non dirlo neanche per scherzo!”

I due uomini si rivolsero un sorriso sghembo. Poi il detective aiutò l’altro a rialzarsi.
John oscillò un poco e fu scosso da un lungo brivido.
Senza dire una parola Sherlock si tolse il cappotto sgualcito e insanguinato e glielo mise sulle spalle; quindi gli passò un braccio attorno alla vita per sostenerlo.
Appena si fu ripreso sia dallo shock subito sia dall’inedita gentilezza di Sherlock, John rivolse la sua attenzione a Castiel.
Nel delirio della sofferenza era certo di averlo visto avvicinarsi a lui, con una luce azzurra negli occhi, e di aver sentito le sue mani posarsi sul suo petto, altrettanto luminose e calde.

“Sei stato tu?” chiese incredulo.
L’altro annuì.
“Allora sei davvero un angelo!”
Altro cenno del capo di Cas, seguito da un breve sorriso stupito di John.
“Oddio, beh, che dire? Grazie.”
“Prego.”
“Ah, menomale che qui c’è qualcuno che ragiona!” sbottò allora Dean con un sorriso che dalle labbra gli si allargava agli occhi.
Sorriso che diventò una risata quando vide l’espressione assolutamente sbalordita e oltraggiata del detective: “Tu, tu gli credi?”
“Perché non dovrei? L’hai visto anche tu: mi ha salvato la vita!”
“Ma John, gli angeli non…”
“Sherlock, piantala! Un’altra parola e non andrò mai più a fare la spesa al tuo posto!” disse John deciso.
“Ma…”
“Zitto ora. E torniamo in albergo”.

Il broncio infantile che si dipinse sul lungo viso del detective era quanto di più buffo avesse visto da molti giorni a questa parte e Dean non poté proprio trattenere un’altra risata.
Anche Sam, dopo una breve occhiata di rimprovero, si unì a lui. E un piacevole senso di sollievo li invase.
Persino Castiel sorrise, dimentico per un attimo del fardello oscuro che ancora avevano con loro e di cui, presto, avrebbero dovuto decidere cosa fare.



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Nel caso a qualcuno interessi, questo dovrebbe essere il penultimo capitolo. Per l'ultimo... si vedrà. Perché, come dice il buon Chuck: "I finali sono difficili!"
Nella speranza che vi sia piaciuto almeno un pochino, vi auguro la buonanotte e... sogni piumati! ;-)
L'attempata autrice.

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