A wrong desire

di eleCorti
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Alla ricerca di Shenron ***
Capitolo 2: *** Il ritorno dei sayan ***
Capitolo 3: *** Primi morti ***
Capitolo 4: *** Padre vs Figlio ***
Capitolo 5: *** Incontri piacevoli e spiacevoli ***
Capitolo 6: *** Broly ***
Capitolo 7: *** Gogeta vs Broly ***



Capitolo 1
*** Alla ricerca di Shenron ***


Erano passati dieci anni da quando Bardack era approdato nel futuro, e ormai si era abituato alla vita terrestre. Aveva sviluppato un bel rapporto con suo figlio Kakaroth, o meglio Goku, come veniva chiamato da tutti, aveva visto crescere i suoi nipoti Gohan e Goten, con i quali si era dimostrato sempre gentile, ed era anche diventato bisnonno (Gohan, sposato con Videl, aveva avuto una bellissima bambina di nome Pan di quattro anni).
Aveva anche imparato le abitudini terrestri, ma ovviamente non volle mai rinunciare alla sua coda, che gli ricordava la sua razza; proprio per questo non usciva mai quando in cielo splendeva la luna piena, per evitare di trasformarsi in oozaru.
Qualche volta indossava anche gli abiti terrestri, che a suo parere erano assai strani, ma molto spesso preferiva mettere la sua adorata battle suite, perché stava molto comodo.
Insomma Bardack era la persona più felice del mondo: aveva avuto la possibilità di conoscere suo figlio e di avere con lui un rapporto splendido; aveva ricominciato una nuova vita con la sua nuova famiglia, che lo aveva accolto a braccia aperte.
Ma dentro di sé provava una sensazione di vuoto: gli mancava sua moglie Seripa, la sua squadra, che aveva visto morire quel, ormai, lontano giorno per mano di Dodoria, suo figlio Radish, al quale non aveva potuto dire nemmeno addio; insomma gli mancava il suo popolo, i sayan.
Quanto avrebbe voluto rivederli almeno una volta, ma sapeva che ciò non era per niente possibile, pensava male, ovviamente.
Sentì bussare la porta, e fu riportato alla realtà: nella sua stanza buia, sdraiato sul suo letto a osservare lo scuro soffitto, costernato dalle ombre dei mobili.
“Avanti!” esclamò, volgendo lo sguardo verso la porta chiusa.
“Nonno scendi, è pronta la cena” disse il sedicenne Goten, facendo capolino dalla porta.
“Arrivo!” replicò il sayan, alzandosi dal letto e raggiungendo il nipote.
Sedutosi a tavola, il moro iniziò a divorare tutto ciò che era contenuto nel suo piatto: un gustoso pesce, pescato personalmente da Goku, grigliato al barbecue.  
Bardack mangiava con più ingordigia rispetto al solito, poiché voleva ritornare nella sua stanza a riflettere; aveva persino deciso di saltare l’allenamento serale con il figlio.
“Ho finito!” esclamò, alzandosi in piedi.
“Aspetta papà, non vieni ad allenarti con me?” domandò Goku.
“No, non me la sento stasera” rifiutò il padre.
Il moro sgranò gli occhi sorpreso: non era da suo padre rifiutare di allenarsi. Lui era un sayan puro ed era perciò nella sua natura il desidero di combattere.
“Qualcosa non va?” chiese, difatti, preoccupato.
“No” rispose il padre, dando le spalle al figlio.
Salì le scale che lo separavano dalla sua stanza, ansioso di ritornare nel suo letto, ma suo figlio lo aveva seguito; non era un tipo brillante e sveglio, ma capiva se c’era qualcosa che non andava, e secondo lui suo padre aveva un problema.
“Aspetta!” esclamò, afferrando la sua spalla e facendolo voltare per la sorpresa.
“Dimmi Kakaroth” disse, voltandosi totalmente verso il figlio.
“Dimmi cosa c’è che non va” lo esortò a confessare.
Il sayan sbuffò: non poteva più tacere, forse sfogarsi con suo figlio gli avrebbe fatto bene.
“Mi manca tua madre e la mia squadra. Mi mancano i miei amici” disse, con un tono triste, ma cercando di mantenere un’espressione indecifrabile.
Il sayan sorrise, allora era questo ciò che ossessionava suo padre. Ebbe compassione per lui, ma voleva anche conoscere sua madre.
Ne aveva sentito parlare dal genitore tempo addietro e aveva capito che era come lui: dolce e ingenua ed era proprio per questo che il padre se ne era innamorato.
“Beh un modo per farli tornare c’è” ammise Goku.
Sul volto di Bardack si dipinse un sorriso per la troppa gioia.
“E qual è?” domandò, impaziente di sapere la risposta.
“Esistono le sfere del drago che possono esaudire qualsiasi desiderio” rispose il figlio.
“Anche resuscitare i morti?” chiese speranzoso il moro.
Goku annuì.
“E dove sono?” domandò ormai avido di sapere.
“Sparse per il mondo. Ma le possiamo trovare facilmente, grazie al dragon radar che ha Bulma” spiegò il figlio.
“Perfetto, allora andiamo subito a cercarle, così riporteremo in vita il popolo sayan!” esclamò il moro entusiasta.
Goku sussultò: non era questo il motivo per il quale aveva deciso di aiutare il padre, e non poteva permettere di far risorgere i sayan, perché altrimenti le conseguenze sarebbero state troppo pericolose per la Terra.
“No!” esclamò, con tono deciso e che non ammetteva repliche.
“Cosa?” urlò, adirato, Bardack.
“No, non posso aiutarti, perché sarebbe troppo pericoloso per la terra!” replicò il figlio.
“Kakaroth ascolta, se sono cambiato io, possono farlo anche gli altri” cercò di fargli cambiare idea il sayan.
“No, non poso rischiare” restò fermo sulla sua decisione Goku.
Bardack si arrabbiò; dopo tutto questo tempo suo figlio non si fidava di lui? Non era ammissibile ciò.
Ma era sempre intenzionato a conseguire il suo obbiettivo, poiché gli mancava troppo la sua gente, per questo, colpì il figlio, che aveva abbassato la guardia, allo stomaco, facendolo piegare in due per il dolore, per poi alzarsi in volo e sfondare il tetto.
Goku si teneva l’addome dolorante, mentre dalla sua bocca uscì un rivolo di sangue che si riversò sul pavimento.
Era preoccupato per il padre e sperava che non commettesse sciocchezze per il bene della Terra.
Nel frattempo Bardack decise di andare nella città dell’ovest a prendere questo dragon radar, così avrebbe finalmente potuto cercare le sfere del drago.
Giunse davanti al grande edificio della Capsule Corporation in cui abitava il suo principe e vi atterrò.
Percorse il lungo giardino fino ad arrivare davanti all’ingresso, facendo aprire le porte scorrevoli, e vi entrò.
Non c’era traccia di Vegeta e di suo figlio, né tantomeno di Bulma e lui non sapeva dove andare a cercare quello strano oggetto.
“Bardack!” esclamò una voce a lui famigliare.
“Principe Trunks” disse, inginocchiandosi al suo cospetto.
“Dai ti prego alzati, sai che non lo sopporto” disse il ragazzo, imbarazzato.
E il sayan eseguì “l’ordine” del suo amato principino.
“Sto cercando il dragon radar” confessò, capendo che non aveva alcuna speranza di trovarlo da sé.
“Mmm.. non dovrei dartelo senza saperne il motivo, ma visto che ormai ti conosco da una vita, so che userai le sfere per scopi nobili. È nel laboratorio, vieni con me” disse il ragazzo dai capelli viola.
Poi scese le scale che conducevano al laboratorio di sua madre seguito da Bardack. Una volta giunti lì e dopo le innumerevoli ricerche di Trunks, finalmente il sayan stringeva tra le sue mani il famoso dragon radar.
E dopo essere ritornato all’ingresso, salutò il suo principe.
“Grazie principe” disse grato.
“Prego, ma chiamami Trunks” lo rimproverò il giovane.
Poi Bardack si librò in cielo, partendo alla ricerca delle sfere del drago. Quel misterioso oggetto funzionava davvero; lo condusse, infatti, da tutte le sfere.
Certo aveva percorso tutto il globo terrestre, foreste, ghiacciai, vulcani, persino il fondale marino, ma alla fine ce l’aveva fatta.
E aveva impiegato tutta la notte per prendere quelle magiche sfere, riposte in luoghi improponibili, come l’interno di un vulcano.
Riunì le sette sfere vicino a un lago, l’ultimo luogo che aveva ispezionato per trovare l’ultima sfera mancante.
Le sfere, messe una accanto all’altra, iniziarono ad illuminarsi, e Bardak, pensando che bastasse solo esprimere il desidero, iniziò a parlare.
“Ti prego esaudisci il mio desiderio: resuscita i sayan” disse, inchinandosi davanti ai magici oggetti.
Ma non successe niente, si sentì solo il soffiare del vento.
“Non funziona così!” esclamò una voce, il cui proprietario avanzava da dietro i cespugli.
Il sayan si alzò in piedi, dirigendosi verso il misterioso piccolo uomo che si stava avvicinando a lui.
“E tu chi sei?” domandò, scettico.
“Sono Pilaf” rispose il piccolo uomo.
“E tu sai come si usano queste sfere?” chiese Bardack.
“Sì” rispose.
Poi si avvicinò alle sfere ed alzò le braccia in alto, pronto per recitare la formula, che ormai sapeva a memoria.
“Appari drago Shenron!” gridò.
E le sfere s'illuminarono, il cielo si fece improvvisamente buio, come se fosse notte e davanti agli occhi dei due, appari un enorme drago verde e dagli occhi rossi.
“Sono qui per esaudire i vostri desideri” disse il drago, con una possente voce.
“Ti prego fa risorgere i sayan!” chiese Bardack.
“Sarà fatto” disse Shenron.
Poi i suoi occhi s’illuminarono e subito dopo, davanti a loro apparsero i sayan, tutti, nessuno escluso.
Il desiderio di Bardack era stato esaudito, ma aveva fatto bene a riportare in vita, uno dei popoli più spietati della galassia?
 
 

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Capitolo 2
*** Il ritorno dei sayan ***


Non ci poteva credere, il suo desiderio era stato esaudito, allora suo figlio non gli aveva detto una bugia, si disse, felice.
Vagò con lo sguardo in cerca di una figura a lui familiare: sua moglie Seripa. Squadrò tutti i suoi vecchi amici uno a uno fino quando non incontrò un paio di occhi neri, quegli stessi occhi che tanto tempo prima lo avevano stregato.
Sorrisero entrambi all’unisono e sempre in contemporanea avanzarono l’uno verso l’altro, aumentando il passo ogni qualvolta si avvicinavano, fino a quando la donna si buttò tra le braccia del suo uomo.
E Bardack la strinse a sé, abbracciandola strettamente, accarezzandole i lunghi capelli, che per anni aveva immaginato di poter ritoccare, cingendole la vita con l’altro braccio, che per anni aveva desiderato poter toccare di nuovo; e infine posandole un casto bacio sull’incavo della sua spalla scoperta, assaporando di nuovo la sua candita pelle, che era stata protagonista dei suoi tanti sonni tormentati.
“Seripa, quanto mi sei mancata” le disse, scostandosi un poco da lei, per poterla guardare negli occhi, che tanto amava.
“Anche tu Bardack!” replicò la sayan, abbracciando il marito.
“Ma dove siamo? Io credevo di essere morta!” domandò, guardandosi intorno, stranita.
“Siamo sulla Terra e ti ho riportato in vita” le ripose il moro.
“Sulla Terra? Ma non è il pianeta dove è stato mandato Kakaroth?” chiese.
“Sì proprio quello” le diede conferma Bardack.
“E lui dov’è? Sta bene?” domandò la sayan, desiderosa di vedere il figlio perduto.
“Sì sta bene, è a casa. Vieni con me, così te lo faccio conoscere” rispose il moro, sorridendo.
E stavano per avviarsi verso i monti Paoz, ma furono bloccati da un'esplosione: gli altri sayan avevano iniziato a distruggere l’ambiente circostante.
“Fermi!” urlò Bardack.
Una figura con dei capelli a punta e neri e con indosso un lungo mantello avanzò verso il sayan; Bardack lo riconobbe: era il suo re, re Vegeta, perciò s’inchinò al cospetto del suo sovrano.
“Bardack, dove siamo?” domandò il re.
“Sulla Terra, mio signore” ripose il suddito, alzando la testa per guardare il suo re.
“E dov’è Freezer? E il pianeta Vegeta?” chiese il sayan, curioso.
“Freezer è morto mio re, e il pianeta Vegeta è stato distrutto da Freezer” rivelò il moro.
Il re sgranò gli occhi. Com’era possibile che Freezer fosse morto? Eppure lui era l’essere più potente della galassia, voleva sapere chi era colui che era riuscito ad ucciderlo.
“Chi ha ucciso Freezer?” domandò, difatti.
“Mio figlio Kakaroth” replicò Bardack.
E il re si sorprese ancora di più: era sempre stato convinto che l’unico a poter tener testa fosse sempre stato suo figlio.
“Mmm… e mio figlio dov’è?” chiese, infine.
“Vive qui anche lui” gli rivelò il suddito.
“Mmm.. andrò a trovarlo! Nappa vieni con me! Voi altri invece ispezionate questo pianeta ed eliminate gli abitanti! Questo diventerà il nostro nuovo pianeta! New Vegeta!” ordinò il re.
Poi, insieme al suo suddito più vicino, si alzò in volo, dirigendosi dove il suo scooter lo portava: da suo figlio.
Bardack sussultò: che cosa aveva fatto? Si domandò.
Avrebbe potuto fermarli e ribattere al suo re, ma non lo fece per due ragioni: la prima era che non avrebbe mai disobbedito al suo re, la seconda era che era uno solo contro un intero popolo.
Ma decise di non starsene con le mani in mano, come si vuol dire, ma di agire; scelse di tornare da suo figlio e di raccontargli tutto e vedere se lui fosse in grado di aiutarlo.
“Seripa vieni con me!” ordinò a sua moglie.
“Dove andiamo?” domandò la donna.
“Da Kakaroth, forse lui può aiutarci!” replicò il moro.
“A fare cosa?” chiese, non capendo quale fosse il motivo di cotanta preoccupazione da parte del marito.
“A impedire che gli altri distruggano gli abitanti della Terra” rispose il sayan.
La mora annuì; voleva conoscere innanzitutto suo figlio che non aveva potuto mai vedere, e poi voleva aiutare il suo amato, perché lo voleva sostenere e stargli accanto.
Per cui si alzarono in volo e a tutta velocità partirono alla volta dei monti Paoz, luogo in cui abitava loro figlio.
Dopo alcune ore di volo, finalmente i due giunsero a destinazione.
Bardack era nervoso, si chiedeva se suo figlio fosse arrabbiato con lui per averlo colpito di sorpresa e per non averlo ascoltato, e sperava tanto che lo potesse perdonare.
Goku, intanto, ripresosi dal colpo infertogli dal padre, non aveva chiuso occhio quella notte, poiché temeva che suo padre potesse fare qualche sciocchezza.
E quando percepì la sua aurea, fu contento, ma non fu felice di sapere che non era solo; forse era venuto qualcuno con lui, e il sayan sperava che fosse Vegeta, che era riuscito ad avvertire qualche ora dopo che il padre se n’era andato.
Non appena uscì da casa, lo vide atterrare insieme a qualcuno, purtroppo, però, non era il suo amico, bensì una donna dai folti capelli lunghi e neri e una coda legata alla vita; ergo era una sayan.
Il moro corse in contro a loro, preoccupato per lui e per il destino della Terra.
“Papà finalmente sei tornato! Dove sei stato? E chi è questa?” lo bombardò di domande.
“Kakaroth, lei è Seripa: tua madre” gli rivelò il padre, sull’orlo di una commozione, che ovviamente nascose.
Goku spalancò la bocca, quella era sua madre? Non ci poteva credere, non era per nulla come se la immaginava.
La donna si avvicinò al sayan e lo abbracciò, scoppiando in un pianto di gioia; dopo tanti anni finalmente aveva l’occasione di abbracciare suo figlio.
“Kakaroth sono contenta che tu sia viva, credevo fossi morto” disse Seripa tra i singhiozzi.
Il moro sorrise; ora capiva perfettamente da chi aveva preso.
La scostò di poco da sé e le asciugò con il pollice le lacrime che, copiose, rigavano il suo dolce viso.
“Ciao mamma, benvenuta in famiglia” le disse, con un tono dolcissimo.
La sayan gli sorrise e lo abbracciò ancora, e stavolta il figlio ricambiò l’abbraccio.
Bardack li osservava, contento poiché finalmente la sua famiglia si era riunita.
Purtroppo, però, i momenti belli durano poco, per cui il moro fu costretto a spezzare quel momento magico.
“Mi dispiace interrompere il vostro momento, ma abbiamo un’emergenza” disse il sayan.
“E sarebbe?” domandò il figlio.
“Ho trovato le sfere del drago ed ho resuscitato i sayan” confessò il padre.
“Oh papà eppure ti avevo detto di non farlo!” lo rimproverò il moro.
“Lo so, hai ragione, ma vedi io pensavo che sarebbero cambiati, ma mi sbagliavo” ammise l’uomo.
“Quel che è stato è stato. Ora dove sono?” domandò Goku.
“Non lo so, prima eravamo tutti in un lago, ma re Vegeta ha dato l’ordine di ispezionare la Terra e di distruggere i suoi abitanti, vuole ricreare il pianeta Vegeta” spiegò Bardack.
“Questa è una cosa grave! Bisogna avvertire gli altri! Andiamo subito da Vegeta! Chiamo Goten e Gohan!” ordinò il moro.
Ritornò in casa e chiamò il figlio, per poi passare alla casa accanto a chiamare il suo primogenito.
“Non abbiamo molto tempo, per cui sarò breve. Il nonno ha chiesto al drago Shenron di resuscitare i sayan, e ora dobbiamo fermarli. Sono sparsi per il pianeta. Io e il nonno andiamo da Vegeta, voi invece avvertite gli altri e dividevi per il pianeta e fermateli” spiegò il padre.
“Dobbiamo ucciderli?” domandò Goten.
Il moro annuì.
“Ok papà, ma lei chi è?” chiese Gohan.
“Lei è Seripa, mia madre, quindi vostra nonna” rispose il sayan.
“Benvenuta in famiglia nonna!” dissero all’unisono i due fratelli.
“Grazie” rispose la sayan.
Non spesero tempo a conoscersi, data la gravità della situazione, ma sapevano che in seguito ne avrebbero avuto parecchio.
Per cui dopo essersi librati in volo, i cinque si divisero: Gohan e Goten si diressero al palazzo di Kami per avvertire Piccolo, mentre Goku, Bardack e Seripa partirono alla volta della città dell’Ovest, per avvertire Vegeta, sperando di arrivare in tempo e di riuscire ad evitare una tragedia.
 

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Capitolo 3
*** Primi morti ***


Ormai erano in volo da circa un’ora, il Sole era già alto nel cielo e splendeva, illuminando il paesaggio sottostante: una vasta foresta, ricolma di rigogliosi alberi verdi.
Il re e il suo suddito privato dei capelli, avevano seguito lo scouter, che indicava l’aurea più potente, e secondo le indicazioni non doveva mancare tanto.
Difatti, più avanzano, più il paesaggio sotto di loro cambiava: gli alberi diminuivano sempre più, diventando sempre più bassi, fin quando fu possibile vedere il terreno, dove vi erano coltivati degli ortaggi.
Ancora una volta il paesaggio mutò: se prima vi era una successione di alberi, ora ve ne era una di strani edifici, probabilmente delle case, molto strane a loro parere.
Lo scouter segnalò una potente aurea, poco distante da loro, per cui il sovrano e il servo aumentarono l’andatura, fino a giungere sopra una strana abitazione dalla forma sferica, sul cui davanti c’erano incise le lettere CC.
I due sayan vi atterrarono e si guardarono intorno, suo figlio aveva scelto un luogo molto strano, onde vivere, si disse re Vegeta, mentre con lo sguardo analizzava l’ambiente a sé circostante.
I due avanzarono a piedi, camminando con passo ritmato, stile soldati, fino a giungere davanti all’ingresso dell’imponente edificio.
La porta scorrevole si aprì al loro passaggio, permettendo ai due invasori di entrare.
“Buongiorno cercate qualcuno?” domandò gentilmente la receptionist avvicinandosi ai due nuovi ospiti.
Il re alzò lentamente la mano, tendendola verso la sua vittima, e da essa fece uscire un'onda d’energia, che colpì in pieno petto la povera sventurata, scaraventandola alla parete e sfondandola addirittura, provocando un terribile frastuono.
Tutti coloro che erano dentro quello strano edificio, sentendo il terribile frastuono, si accalcarono all’ingresso, per vedere cosa fosse successo.
E appena videro quei due strani individui davanti alla porta, si stupirono, possibile che fossero stati loro? Si domandarono, shockati.
Il proprietario della casa si fece largo tra la folla, per affrontare quel pazzo che aveva osato invadere il suo territorio, e quando vide chi era, o meglio chi erano, si stupì.
“Padre?” domandò, con un filo di voce: era senza parole, a causa dello shock.
“Vegeta figlio mio!” Esclamò il padre, tuttavia non sorridendo.
Era pur sempre il re dei sayan e non poteva sbilanciarsi troppo.
Il principe realizzò tutto: Kakaroth lo aveva avvertito qualche ora prima che suo padre voleva resuscitare il suo popolo e lo aveva pregato di andare a cercarlo, ma lui lo aveva rassicurato che non poteva farlo, perché non conosceva il rito.
Evidentemente, si disse, Bardack era riuscito a scoprire la formula per evocare il drago Shenron ed era riuscito nel suo intento.
Per lui era una gioia rivedere suo padre, quando era morto, non aveva nemmeno potuto dirgli addio.
Ma anche lui sarebbe cambiato come Bardack? Si chiese, dubbioso.
Un ghigno si fece largo tra la sua bocca; ovvio che non poteva cambiare, perché manco era tornato in vita e già aveva iniziato a distruggere tutto e a uccidere poveri innocenti.
“Seguitemi” disse solo per poi uscire.
I due, senza proferire parola, lo seguirono fuori, dove il moro si fermò e si girò di fronte a loro.
“Che cosa siete venuti a fare?” domandò il principe.
“A convincerti ad allearti con noi. Con il tuo aiuto potremmo ricostruire il pianeta Vegeta qui” spiegò il padre.
Il figlio sorrise, anzi, ghignò; chissà perché, ma sapeva che il motivo della visita da parte del padre era proprio questa proposta, che lui mai avrebbe accettato.
“Forse mio signore, vostro figlio si è rammollito ed è diventato come i terrestri” azzardò Nappa.
Vegeta alzò la testa e guardo il suo servo minaccioso, poi alzò il braccio destro e lo tese verso colui che un tempo era il suo suddito più vicino, e ne fece uscire una potente onda d’energia che colpì il suo suddito, scaraventandolo al suolo esanime.
Dopodiché abbassò il braccio molto lentamente e si concentrò sul padre.
Non avrebbe mai voluto affrontarlo, ma se fosse stato necessario, lo avrebbe fatto anche a costo di ucciderlo lui stesso, poiché la sua missione era quella di proteggere la sua famiglia.
Si guardarono incessantemente con uno sguardo duro, mentre il vento soffiava e faceva muovere i loro folti capelli, così simili ma così diversi tra loro.
Intanto la famiglia Son era già in volo e si era divisa: Goku e Bardack si diressero verso la città dell’Ovest, da Vegeta, mentre Goten e Gohan al palazzo di Kami per avvertire Piccolo.
Per tutto il tragitto, i due fratelli non si rivolsero la parola, rimanendo in un silenzio, carico di tensione; volevano arrivare a destinazione il più presto possibile per avvertire il loro caro amico.
“Guarda Gohan ecco il palazzo di Kami!” esclamò il più piccolo indicando una strana costruzione rotonda sospesa in aria.
Il più grande sorrise e aumentò la velocità, seguito dal fratello, così giunsero subito a destinazione atterrandovi.
Subito furono accolti da un Dende preoccupato e un Piccolo serio, ma dietro quella serietà si celava la preoccupazione.
“So già tutto! Sbrighiamoci!” esclamò il namecciano.
“Come sai già tutto?” chiese Goten, stupito dalle doti veggenti dell’amico dalla pelle verde.
“Ti ricordo che Dende è Kami, per cui può vedere tutto ciò che succede lì sotto!” lo apostrofò Piccolo.
“Vero hai ragione!” si scusò il moro.
In questo era simile al padre, si disse, il namecciano, mentre spiccava il volo.
A lui seguirono i due fratelli Son, che aumentata l’aurea, si alzarono in volo a tutta velocità.
Neanche percorsero qualche metro, che videro due figure avanzare verso di loro.
Si fermarono e si misero in posizione d’attacco, pronti allo scontro con il nemico.
Ma più le due figure avanzavano più si rendevano riconoscibili; erano Crilin e C18, i quali avvertendo le misteriose auree, avevano deciso di dirigersi da Kami per capire se Dende sapeva qualcosa.
“Crilin, ma che ci fate qui?” domandò Gohan all’uomo che conosceva fin da quando era un bimbo.
“Io e numero 18 abbiamo avvertito delle strane auree e stavamo andando da Dende per vedere se lui sapeva qualcosa” spiegò il moro.
“Ve lo spiego io. Mio nonno ha riportato in vita i sayan che stanno portando il caos e noi dobbiamo impedirlo uccidendoli” disse Gohan.
Crilin sussultò, non era una cosa facile per un terrestre come lui, ma mai si tirava indietro di fronte al pericolo, per cui annuì, dando segno che aveva capito la missione.
“Bene, ora ci dividiamo e ispezioneremo ogni angolo del Pianeta. Gohan tu vai con Goten, Crilin tu con tua moglie ed io da solo. A proposito dov’è Goku?” domandò Piccolo.
“è con il nonno nella città dell’ovest per avvertire Vegeta e Trunks” ammise Goten.
“Andiamo!” esclamò il namecciano.
E il gruppo si divise, andando in direzioni diverse. La loro missione era appena cominciata e non sarebbe stato facile, poiché loro erano in pochi contro un intero popolo, ma dovevano tenere duro per il bene della Terra.
I due fratelli subito s’imbatterono in due loschi sayan.
“E voi chi siete pidocchi?” domandò uno di loro.
“Non avete speranze contro di noi!” si prese gioco di loro l’altro.
I due Son si guardarono e sorrisero, sentendo quell’affermazione. Certo che i sayan erano proprio stupidi, pensarono.
Con la super velocità, si avvicinarono ai loro avversari colpendoli in pieno addome, facendoli piegare in due dal dolore e facendo uscire un rivolo di sangue dalle loro bocche.
Poi, sempre, in contemporanea, sferrarono un potente calcio all’altezza delle loro teste, scaraventandoli contro una parete di roccia.
Come colpo di grazia, lanciarono una kamehameha che spedì all’altro mondo i due avversari.
Anche Piccolo incontrò un gruppetto di sayan, erano tre per la precisione.
“Non hai alcuna speranza contro di noi namecciano!” ringhiò uno di loro, con tono beffardo.
“Mai giudicare dalle apparenze!” tuonò l’alieno.
Poi tolto il suo mantello bianco e, il capello incorporato, si avventò verso i suoi avversari; sferrando un calcio allo stomaco al primo, al secondo una gomitata in pieno volto, in fine al terzo gli lanciò una onda di energia.
Infine li uccise con la sua tecnica più potente il masankoseppo.
Anche Crilin e numero 18 avvistarono due sayan, uno maschio ed una femmina, di cui si occuparono.
Per fortuna non erano tanto forti, quindi due terrestri come loro riuscirono a tenerli testa, spezzandoli a metà con i loro kiezan, lasciando cadere le loro carcasse al suolo.
Lo scontro era appena iniziato e già vi erano alcuni morti, ma ancora mancava tanto alla vittoria.
Intanto Vegeta continuava a fissare suo padre, in silenzio. Aveva uno sguardo duro e impenetrabile, che avrebbe messo paura perfino al più coraggioso.
“Sei sicuro della tua scelta?” domandò il re.
“Sì padre” rispose il figlio.
“Allora in guardia!” tuonò il sovrano, mettendosi in posizione d’attacco.
Il principe lo imitò, mettendosi anche lui in posizione d’attacco, aspettando la prima mossa del padre.
Non sarebbe voluto arrivare a ciò, ma era l’unica soluzione.
 

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Capitolo 4
*** Padre vs Figlio ***


I due avversari erano entrambi in posizione d’attacco che attendevano entrambi la prima mossa; ci fu una potente folata di vento e il re ne approfittò, con la super velocità si avventò contro il figlio, cercando di colpirlo in pieno volto con un pugno.
Ma il principe non si fece soggiogare, capendo ciò che voleva fare il genitore, parò il colpo, scaraventando il padre qualche metro più in là; poi si avventò a sua volta sul re, sferrandogli un calcio in pieno volto, ma re Vegeta lo parò.
E il combattimento iniziò: Vegeta non stava dando il massimo, ed era proprio per questo che il padre riusciva a colpirlo con cotanta facilità.
Era il suo avversario, ma era pur sempre suo padre e perciò esitava nel sferrare i suoi colpi, perché era una persona orgogliosa, ma non era certo privo di sentimenti.
E lui verso il padre provava un sentimento di rancore per averlo venduto a Freezer, poi, però, sapendo la verità lo perdonò: il genitore lo aveva salvato da una morte certa.
Ma ora vederlo lì in quel momento, lo aveva scombussolato, avrebbe voluto corrergli incontro e riabbracciarlo, ma lui non era Goku: lui era l’orgoglioso principe dei sayan e non si sarebbe mai abbassato al livello del suo infimo suddito.
Nonostante volesse bene al padre, rifiutò la sua offerta, propostagli poco prima, perché lui ormai aveva una famiglia sulla Terra, pianeta che considerava come una casa, ed era suo dovere proteggerlo.
Per questo stava combattendo in quel momento, ma comunque, aveva deciso di non ucciderlo subito come aveva fatto con Nappa, poiché era pur sempre suo padre.
 
****
Intanto, i due fratelli Son, una volta sconfitti i loro avversari, continuarono il loro giro di perlustrazione, in cerca di altri sayan da annientare.
“Goten tieni gli occhi aperti, potrebbero essere dappertutto!” lo ammonì il maggiore.
“Tranquillo!” lo rassicurò il sedicenne.
Continuarono a volare, facendo scorrere sotto di loro il paesaggio: una rocciosa montagna, priva di alcun tipo di vegetazione, fino a quando si fermarono.
Entrambi avevano avvertito un’aurea a loro sconosciuta, che avanzava verso la loro direzione.
“Questa è l’aurea di un sayan! Goten tieniti pronto!” esclamò Gohan allarmato.
“Sì” annuì il moro, mettendosi in posizione d’attacco.
La potente aurea si avvicinava sempre di più, fino a quando i due sayan poterono vedere la piccola figura del nemico, che a mano a mano che avanzava si avvicinava sempre di più.
Gohan, non appena riconobbe la figura, sussultò; sebbene fosse molto piccolo quando lo aveva visto la prima volta, se lo ricordava molto bene, chi era.
“Ma quello è il nonno!” esclamò entusiasta Goten, scambiando il nemico per suo nonno.
“No, non è il nonno, quello è Turles. È uguale sia a papà sia al nonno, ma non sono parenti. I sayan d’infimo livello si possono assomigliare tra loro” spiegò il più grande.
“Accidenti, se non me lo dicevi, gli sarei corso incontro!” ammise il moro, grattandosi il capo.
Intanto Turles si avvicinava sempre di più; anche lui aveva notato i due sayan, grazie al livello di potenza segnalato dal suo scouter, per cui non era impreparato.
Si fermò di fronte a loro e li scrutò dalla testa ai piedi; uno di loro gli ricordava qualcuno che aveva incontrato tempo addietro, poco prima di morire, e questo individuo era un sayan come lui.
“E voi due chi siete?” domandò il sosia di Goku.
“Non mi sorprende che tu non ti ricorda di me, ero molto piccolo e ci siamo incontrati su questo pianeta” rispose Gohan.
Turles lo scrutò meglio e iniziò a riflettere, ripercorrendo i suoi ricordi; poi rimembrò: lui era il figlio di Kakaroth, evidentemente era passato tanto tempo da quando era morto ed ora lui era un adulto come lui. E a giudicare dalla somiglianza, colui che era accanto a lui, doveva essere suo fratello più piccolo, si disse.
“Sì ora ricordo, tu sei il figlio di Kakaroth” disse, per poi ridere.
“Non hai speranze contro di me!” tuonò, ricordandosi della debolezza del ragazzo.
Una cosa che non sapeva era che in tutti quegli anni il giovane Gohan era migliorato parecchio, raggiungendo livelli per lui irraggiungibili.
“Questo lo dici tu!” esclamò il moro, mettendosi in posizione d’attacco.
Goten restò a guardare, poiché sapeva che suo fratello aveva la vittoria facile. Se ce ne fosse stato bisogno, sarebbe intervenuto in suo aiuto, si disse.
Il sayan d’infimo livello attaccò il più grande dei Son, sferrandogli un pugno all’altezza del volto, che il moro evitò prontamente, colpendo il suo nemico allo stomaco, facendolo piegare in due dal dolore e causandogli la perdita di sangue dalla bocca.
Poi con un calcio lo spedì lontano da lui, per poi con la super velocità raggiungerlo e colpirlo ancora all’addome con vari pugni, mentre il sayan uguale a Goku gemeva dal dolore.
Dopo avergli sferrato un ultimo pugno, il giovane preparò il suo attacco più potente: la kamehameha, colpendo in pieno l’avversario e annientandolo.
 
****
Intanto anche Piccolo, dopo aver battuto il gruppetto di sayan, si era rimesso di nuovo in viaggio, pronto per affrontare altri nemici.
Anche lui vagò a lungo, percorrendo la foresta ed anche le montagne, fino a quando giunse sotto il mare, luogo perfetto per la tomba di un sayan, si disse.
Percepì delle auree, dovevano essere all’incirca dieci, si disse. Strinse i denti, doveva farcela, per la Terra e per Dende che considerava come una specie di famiglia.
Il gruppetto si avvicinava sempre di più, così il namecciano ne approfittò per togliersi il mantello e il capello bianco che erano solo un peso per lui, in modo tale da poter combattere al massimo livello fin da subito.
I nemici avanzavano sempre più, fino a quando furono abbastanza visibili agli occhi dell’alieno; erano tutti maschi e avevano tutti i capelli e gli occhi neri, aspetto tipico dei sayan.
I dieci si fermarono poco distanti dal namecciano, iniziandolo a squadrare dalla testa ai piedi; risero tutti, dal primo all’ultimo, che cosa poteva fare un misero namecciano contro di loro? Si chiesero, divertiti.
Non sapevano ovviamente con chi avevano a che fare.
“Che cosa vuoi pidocchio?” domandò uno di loro, probabilmente il più forte di tutti.
“Uccidervi!” ringhiò Piccolo, mettendosi in posizione d’attacco.
E tutti e dieci scoppiarono in una fragorosa risata, quel namecciano era davvero spiritoso, si dissero.
Ciò fece innervosire l’alieno dalla pelle verde, che iracondo si scagliò contro colui che aveva parlato, colpendolo in pieno volto e facendogli uscire sangue dal naso.
Non gli diede nemmeno il tempo di riprendersi, che gli sferrò un pugno in pieno addome, facendogli uscire dalla bocca un rivolo di sangue, infine lo colpì nello stesso punto con il suo masankoseppo, perforandogli lo stomaco e facendolo precipitare in mare.
Gli altri, vedendo la fine del loro compagno, si ricredettero su ciò che avevano pensato e cominciarono a tremare come foglie dalla paura.
Piccolo si concentrò anche su gli altri, sdoppiandosi, e affrontandogli tre alla volta e sconfiggendoli con molta facilità e non perdendo per sua fortuna molte energie.
Per cui tutti gli altri, fecero la fine del loro leader, cadendo in mare con lo stomaco perforato.
 
****
Crilin e numero 18 ancora non avevano incontrato nessuno e di ciò il terrestre ne era assai contento, poiché finora era stato abbastanza fortunato da incontrare sayan più deboli di lui. E ovviamente non sapeva quanto ancora potesse durare codesta fortuna.
Erano già in volo da un bel po’ di tempo e sotto di loro vi era un bellissimo paesaggio composto da verdi colline e da mandrie di pecore, capre e mucche.
Un paesaggio molto bucolico e idilliaco, e a loro doleva rovinarlo con degli spargimenti di sangue.
Percepirono delle auree, circa tre, stavano venendo verso loro a tutta velocità, quindi si fermarono pronti ad accogliere le loro prede.
I tre sayan avanzavano sempre più, fin quando furono ben visibili alla vista dei due terrestri; erano tutti e tre maschi e avevano l’aspetto tipico dei sayan (capelli neri ed occhi dello stesso colore).
Si fermarono di fronte alla coppia, osservandoli. Non erano terrestri comuni, ne erano certi, poiché i tipici abitanti della Terra possedevano uno scarso livello di combattimento, perciò non avevano abbastanza potenza da imparare la tecnica della lievitazione.
“Avete incontrato la morte, pidocchi!” ringhiò il più robusto di loro.
Crilin deglutì, forse l’energumeno non si sbagliava, poiché dato il suo aspetto, prevedeva che fosse abbastanza potente.
Ma sua moglie non la pensava affatto così, anzi strinse i pugni e perforò con lo sguardo quel sayan.
“Non ci sottovalutare!” tuonò la biondina.
“Fatti sotto!” gridò il sayan.
E si avventò sull’androide, cercando di colpirla con calcio, ma numero 18 predisse la sua mossa, bloccando il colpo con le mani e facendo girare la gamba del nemico, causandogli dei gemiti di dolore.
Poi lo scaraventò lontano, tranciandolo a metà con il suo kiezan e distruggendo le due parti con delle onde d’energia.
Crilin, presosi di coraggio, scagliò una kamehameha contro uno dei due, uccidendolo, poi si concentrò sull’altro tagliandolo in due con il suo kiezan e distruggendo le due parti, proprio come aveva fatto la consorte.
 
****
Ormai questo combattimento andava avanti da troppo tempo, si disse il principe dei sayan, doveva farla finita, stava anche iniziando a perdere energie.
“Ti credevo più forte” disse il padre, prendendo fiato.
“Non mi sottovalutare, finora non ho usato tutta la mia potenza” ribatté.
Poi, sotto gli occhi stupiti del genitore, si trasformò in super sayan, fissandolo con uno sguardo pieno di soddisfazione; sapeva che il padre non se lo aspettava.
Il re, infatti, esitò; sapeva di non poter competere contro un super sayan, ma ciò non lo fece tirare indietro, poiché troppo orgoglioso; non poteva sopportare di morire per mano del figlio.
Si scaraventò contro il suo primogenito, cercando di colpirlo in pieno volto, ma il figlio con un’incredibile agilità e velocità lo evitò.
Il sovrano non si diede per vinto, scagliò una serie di pugni verso il principe, che prontamente evitò, uno dopo l’altro.
Il padre iniziò a stancarsi per la fatica, per cui i suoi colpi iniziarono a diminuire; e Vegeta capì che era giunto il suo turno.
Sferrò un potente calcio all’addome del padre, spedendolo al suolo e facendo uscire dalla sua bocca un rivolo di sangue.
Poi si preparò a lanciare il suo colpo di grazia: il big bang attack, che colpì in pieno il padre, disintegrandolo.
Il moro ritornò allo stadio normale, fissando il punto in cui prima giaceva suo padre dolorante, con uno sguardo triste; non avrebbe voluto fare ciò, ma vi era stato costretto.
Sentì una mano posarsi sulla sua spalla, si girò e incrociò due occhi azzurri, quelli di suo figlio Trunks.
“Papà, tutto ok?” domandò il figlio, preoccupato.
“Sì. Dove sono tua madre e Bra?” chiese, preoccupato per la moglie e la figlioletta.
“Al sicuro nel bunker” rispose il ragazzo dai capelli lilla.
E il principe sospirò: per fortuna le sue donne erano al sicuro da quella violenta guerra.
“Vegeta!” si sentì chiamare dall’alto.
Padre e figlio si girarono e videro Goku e Bardack che si dirigevano verso loro, atterrando proprio di fronte a loro.
“Vegeta non so se hai saputo, ma…” non poté finire la frase.
“So già tutto Kakaroth, sbrighiamoci non abbiamo tempo da perdere!” lo interruppe il principe.
“Dove sono re Vegeta e Nappa?” domandò Bardack, guardandosi intorno, in cerca del suo sovrano.
“Sono stato costretto a ucciderli” replicò il moro.
“Mi dispiace Vegeta” gli disse apprensivo il suo amico, posandogli una mano sulla spalla.
“è tutto apposto” lo rassicurò il principe, guardandolo negli occhi, e ottenendo un sorriso da parte dell’amico.
Tutti e cinque si alzarono in volo, partendo alla velocità della luce. Si divisero: Trunks decise di raggiungere il suo migliore amico e suo fratello, mentre Goku e Vegeta rimasero insieme; infine Bardack partì con sua moglie, ormai loro alleata.
Ora che i due guerrieri più forti della Terra entravano in campo, forse la fine della guerra sarebbe giunta presto.    
 

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Capitolo 5
*** Incontri piacevoli e spiacevoli ***


Si era trasformato in super sayan per raggiungere i suoi amici, li aveva localizzati: si trovavano più a nord rispetto alla città dell’Ovest. Certo non era molto vicino il luogo, ma per lui, era uno scherzo percorrere tali distanze.
Ormai si era lasciato la sua città natale alle spalle e sotto di lui vi era un immenso manto verde, se avesse avuto più tempo si sarebbe fermato in quei boschi che gli ricordavano i giorni spensierati che aveva vissuto durante la sua fanciullezza insieme al suo amico di sempre, ma non era questo il momento adatto per perdersi nei ricordi.
Aumentò, quindi, la velocità, poiché percepiva chiaramente le due auree dei sayan, ormai poco distanti.
Un sorriso si dipinse nel suo volto quando li poté vedere chiaramente.
“Goten, Gohan!” urlò, sventolando la mano e avvicinandosi sempre di più ai due fratelli.
“Trunks! Finalmente! Allora papà è riuscito ad avvertirvi!” esclamò il più piccolo.
Sebbene fosse cresciuto ed era diverso fisicamente rispetto al padre (aveva cambiato pettinatura e di conseguenza non era più la copia di Son Goku) aveva mantenuto la tipica ingenuità e spensieratezza tipica del genitore.
“Sì, so già tutto! Sbrighiamoci, non abbiamo tempo da perdere!” disse, riprendendo a volare e seguito dai due fratelli.
Ormai si erano lasciati alle spalle il bellissimo bosco e ora al suo posto vi era la pianura che ospitava varie piantagioni; i due ragazzi si sarebbero divertiti ad immaginare che cosa si coltivasse in quella zona, ma ora non ne avevano tempo.
Avevano, infatti, avvertito una strana aurea a Satan City, e non era una terrestre, ma una sayan, su questo non ne avevano dubbio, ormai sapevano riconoscere auree simili alle loro.
Aumentarono l’andatura, in ansia per le sorti degli abitanti, il più preoccupato tra tutti era Gohan: lì ci viveva suo suocero Mr Satan, e lui mai avrebbe voluto che gli accadesse qualcosa, poiché la sua Videl, ma anche sua figlia Pan, ne avrebbe sofferto parecchio.
Quando giunsero a destinazione, il clima non era dei migliori, anzi era molto apocalittico: case distrutte o esplose, strade trapunte di crateri immensi, persone sepolte tra le macerie, alcune morte, altre agonizzanti, altre che miracolosamente erano scampate alla tragedia.
I tre si guardarono intorno per vedere chi fosse il responsabile di quella scempiaggine, e quando trovarono il colpevole, al giovane Gohan prese un colpo.
Era passato tantissimo tempo dall’ultima volta che lo aveva visto, ma ancora il ricordo era nitido nella sua mente, a causa del forte trauma che quell’essere gli aveva provocato.
“Radish!” ringhiò, a denti stretti, tanto da farli digrignare.
Il sayan dai lunghi capelli neri si girò, non appena sentì il suo nome. Lui a differenza del nipote, non lo aveva riconosciuto e non c’era da stupirsene, poiché l’ultima volta che l’aveva visto aveva solo quattro anni, e il tempo era passato, anche se per lui non sembrava, poiché nella morte non s’invecchia.
“E voi chi siete?” domandò, difatti, il fratello di Goku.
“Non mi sorprende che non tu non mi abbia riconosciuto, ma ci siamo incontrati quando sei venuto sulla Terra” rivelò Gohan.
Radish sussultò: possibile che lui fosse il figlio di Kakaroth? Si domandò. Lui se lo ricordava come un bambino frignone e fifone, quindi non poteva essere quell’uomo che in quel momento era di fronte a lui.
E quei due chi erano? Non poté fare a meno di chiedersi. Li scrutò meglio, ma non li riconobbe.
“Tu sei il figlio di Kakaroth?” si decise a chiedere, sapendo che la risposta era affermativa.
Infatti, il più grande tra i tre annuì, per poi guardarlo con sfida, come non aveva saputo fare all’epoca.
“Non è possibile! Tu eri solo un moccioso lagnone!” esclamò, con un velo di paura nella sua voce.
Chissà perché, ma aveva capito che dietro quella mansuetudine si celava un guerriero dall’incredibile forza, e forse aveva indovinato, si disse.
“Sono molto cambiato da allora!” ribatté il moro.
“Prego fatti avanti!” lo sfidò lo zio, riprendendo la sua arroganza.
E il giovane sayan non se lo fece ripetere due volte: con la super velocità colpì in pieno addome il suo stesso zio, verso il quale provava un grandissimo rancore per quello che aveva fatto a lui e a suo padre.
Dalla bocca di Radish uscì un rivolo di sangue e lui fu costretto a piegarsi in due, poiché non riusciva a sopportare il dolore.
Possibile che fosse migliorato tanto? Eppure suo padre non era così forte, quando l’aveva affrontato tanti anni fa.
Ma se il sayan d’infimo livello fosse rimasto in vita, avrebbe saputo che il suo fratellino in quegli anni era colui che era cambiato di più, sconfiggendo nemici del calibro di Freezer e Broly. Ma ovviamente, lui non era conoscenza di questi avvenimenti.
Il nipote gli diede un calcio al fianco destro facendogli perdere quota, ma, senza pensarci due volte, lo raggiunse, afferrandolo per la gamba destra e facendolo roteare a una super velocità, per poi lanciarlo lontano e rispedirlo all’inferno con una kamehameha.
“E così quello era lo zio Radish? Non pensavo fosse così debole!” disse Goten, spezzando l’aria di tensione che si era appena creata.
“Non è il momento di scherzare, aiutiamo i superstiti a mettersi in salvo, poi chiederemo a Shenron di resuscitare le vittime” ordinò il più grande.
E tra le varie macerie, i tre sayan recuperarono quanto più superstiti possibili, erano davvero pochi, e li misero in salvo in piccolo paese poco distante dalla città.
 
 
 
****
Per tutto il viaggio Bardack era rimasto in silenzio, c’era una cosa che desiderava ardentemente: riabbracciare i suoi compagni di squadra che non era riuscito a salvare quel maledetto giorno, e veniva attanagliato dai sensi di colpa per non aver impedito il loro crudele assassinio.
Voleva rivedere tutti: Toma, Toteppo e Pambukin. Questo era anche uno dei principali motivi per il quale aveva espresso quel desiderio, poiché voleva rivedere la sua squadra, con il quale aveva condiviso numerose avventure.
“Vedrai sono sicura che prima o poi li incontreremo” disse Seripa, che aveva intuito ciò che premeva di più al suo uomo.
“Già hai ragione” ammise, per poi allungare la mano verso quella della compagna e stringerla.
E la sayan sussultò: mai Bardack aveva dimostrato tanto affetto nei suoi confronti, ma anche negli altri.
Ma ciò che lei non sapeva era che il marito, duranti quei dieci anni sulla Terra e a contatto con il figlio si era intenerito, finendo talvolta per mettere da parte il suo orgoglio sayan.
Non ritrasse la mano, anzi ricambiò la stretta e ora volavano come due fidanzatini alle prime armi: mano nella mano.
A un certo punto il sayan avvertì delle auree (aveva imparato anche questa tecnica, quindi ormai non usava più lo scouter) ma non s’intimorì anzi fu invaso da un impeto di gioia nel costatare che erano i suoi vecchi amici.
“Sono loro!” esclamò, facendosi sfuggire un piccolo sorriso.
“Ne sei sicuro?” domandò la moglie.
“Sì fidati di me. Ho imparato a riconoscere le auree” spiegò il moro.
E Seripa si fidò, poiché sapeva che il marito non mentiva mai.
E quando poté vedere nitidamente le tre figure dei suoi compagni di squadra, non poté far altro che dar ragione all’amato.
Dall’altro lato anche gli altri tre, Toma, Toteppo e Pambukin avevano riconosciuto i loro vecchi compagni di squadra e ne gioirono, ma loro pensavo di poter distruggere con più facilità quello strano pianeta, però non sapevano che Bardack era loro nemico.
“Bardack, Seripa! Finalmente vi abbiamo trovato!” esclamò Toma, avvicinandosi un pochino al suo leader.
E il moro quasi non scoppiò a piangere nel rivedere il suo amico vivo e vegeto di fronte a lui: ancora ricordava quando lo teneva tra le braccia in fin di vita e lo aveva visto esalare l’ultimo respiro di fronte a lui; per fortuna il suo orgoglio sayan glielo impedì.
“Forza andiamo, questo pianeta è enorme ed ancora c’è tanto lavoro da fare!” esclamò Panbukin, proseguendo in avanti, insieme ai suoi due compagni.
Ma quando notarono che i due coniugi non si erano mossi nemmeno di un millimetro, i tre dovettero ritornare indietro, poiché erano troppo sorpresi da quello strano atteggiamento da parte del loro capo, al quale piaceva distruggere pianeti e sterminarne la popolazione, questo era risaputo tra i sayan di infimo livello.
“Bardack, qualcosa non va?” domandò Toma, preoccupato per l’amico.
“Noi non veniamo” disse solo, evitando di guardare in faccia coloro che un tempo lo consideravano come il loro capo.
“E perché mai?” domandò Toteppo, ingoiando un biscotto che aveva rubato in una città che aveva saccheggiato.
“Perché io sto con i terrestri. Vedete sono approdato in questa epoca dieci anni fa ed ho incontrato mio figlio Kakaroth, che è cresciuto qui, mi ci sono stabilito ed ho imparato le abitudini terrestri” spiegò, guardando i suoi compagni con uno sguardo duro e indecifrabile.
I tre s’innervosirono, ciò era evidente, tuttavia non levarono mano sul loro antico compagno di squadra: nutrivano troppa stima nei suoi confronti.
Ma una cosa impediva loro di allearsi con i due: la loro devozione al loro re Vegeta. Se avessero saputo che era stato ucciso per mano del suo stesso figlio, forse avrebbero cambiato idea.
“Bardack mi dispiace, ma non possiamo allearci con te, non possiamo fare questo al nostro re” disse Toma, con un tono triste.
“Il re è morto per mano di suo stesso figlio” rivelò Bardack, con una freddezza tale, da fare invidia alla regina delle nevi.
I tre si guardarono sorpresi e confusi: non sapevano se credere o no all’amico, ma erano certi che non gli avrebbe mai mentito, poiché lui diceva sempre la verità.
Allora decisero per una volta di mettere da parte il loro orgoglio sayan e di farsi spiegare ogni cosa da Bardack nel minor tempo possibile, data la guerra in corso.
 
 
 
****
Sia Goku sia Vegeta erano preoccupati per le sorti della Terra, in quegli anni avevano deciso di mettere da parte la loro rivalità per proteggere il loro pianeta e i loro cari.
O almeno era quello che cercavano di fare, ma loro erano come una coppia sposata da trent’anni: litigavano sempre anche per delle banalità.
Però sentivano che in questa occasione avrebbero dovuto sul serio collaborare, poiché temevano che l’avversario che avrebbero dovuto affrontare sarebbe stato potente, oltre il loro livello, e forse già loro sapevano chi era, un sayan che avevano incontrato anni fa, quando ancora nella loro epoca era presente Mirai Trunks.
Ma se c’era una cosa che amavano entrambi, erano le sfide, specie quelle impossibili, e questa suonava proprio come sfida impossibile.
“Kakaroth tu non fare niente, io me la saprò cavare da solo!” tuonò Vegeta, rompendo il silenzio.
“Suvvia Vegeta non essere egoista e lascia anche un po’ di divertimento anche a me” si lamentò il sayan con la sua solita voce che il principe odiava.
“Ti odio!” gli aveva urlato in faccia, scatenando le risate da parte del rivale.
Entrambi si zittirono quando sentirono uno strano olezzo: era come puzza di bruciato, ma come poteva bruciare qualcosa se erano all’aperto? Si domandarono.
Guardarono sotto di loro: la foresta era in fiamme, ma non vi era puzza di albero, ma uno strano odore.
Decisero di abbassare la quota per osservare meglio lo scenario e ciò che videro fu un ammasso di cadaveri carbonizzati, ma non erano terrestri, bensì sayan, poiché avevano la coda.
Chi poteva essere tanto crudele da uccidere brutalmente i suoi stessi simili? Si domandarono.
La risposta fu ovvia e immediata: Broly. Solo lui era così spietato da un farsi alcun tipo di scrupolo nell’uccidere i suoi simili e ne avevano avuta la prova anni fa, quando aveva assassinato il suo stesso padre, senza pensarci due volte.
I due amici aumentarono la velocità, localizzando il super sayan leggendario: volevano raggiungerlo il più presto possibile, onde evitare la distruzione totale della razza terrestre.
 
 
 
 

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Capitolo 6
*** Broly ***


Avanzavano e avanzavano in mezzo a quell’ammasso di putridi cadaveri, probabilmente lì da molto; ma non potevano saperlo, poiché a causa dell’enorme quantità di auree, non riuscivano a localizzarle tutte.
Dell’antica foresta non restava più niente, solo qualche resto di alberi ormai carbonizzati e l’erba arida coperta dai cadaveri.
Erano circa un migliaio, sennò anche di più, quindi probabilmente l’intera razza sayan, contando quelli che avevano ucciso i loro amici e che erano scampati alla tragedia.
Ma perché li aveva uccisi? Si domandarono, mentre osservavano quella macabra scena.
Anche questa risposta era assai ovvia: lui aveva sete di uccidere, solo così placava la sua furia da super sayan leggendario, poiché lui non possedeva il lume della ragione, anzi non aveva proprio senno.
Sentirono la sua aurea farsi più potente a mano a mano che si avvicinavano; ci siamo, si dissero, dovevano tenersi pronti, poiché il loro nemico non indugiava mai di fronte alle prede e non avrebbe dato loro tempo per comprendere.
Lo videro: stava sospeso a mezz’aria in mezzo ai corpi bruciati dei suoi simili, dove probabilmente c’era pure suo padre, ma a lui questo non importava, poiché il sentimento dell’amore a lui era più estraneo che a tutti i sayan.
Era proprio come se lo ricordavano: i capelli verdognoli alzati in alto, gli occhi completamente bianchi, in cui non era possibile scorgere le pupille, un sorriso malefico dipinto sul volto, da far invidia alla stessa Malefica, il petto muscoloso lasciato scoperto e infine l’aurea sempre verde che lo circondava.
Eccolo: il grande super sayan leggendario si ergeva di fronte a loro in tutto il suo massimo splendore.
Ma loro sapevano che non dovevano farsi prendere dal panico, poiché già in passato lo avevano battuto, anche se con tantissimi sforzi (addirittura Goku era dovuto scendere in terra per aiutare i suoi figli), ed avrebbero fatto lo stesso anche adesso.
Anche se erano migliorati, sapevano di non poter tener testa alla furia di Broly, ma dovevano tentare: c’era in ballo il futuro della Terra e dei loro cari.
Il super sayan leggendario alzò la testa e guardò i due nemici con uno sguardo agghiacciante da far ghiacciare pure Meramon*, ma i due amici non si scoraggiarono, ricambiarono lo sguardo.
Lo fissavano, infatti, con uno sguardo penetrante e senza far trasparire la paura che avevano, perché anche i sayan provano emozioni come la paura, seppur in modo ridotto.
“Broly! Non ti è bastata l’ultima volta?” tuonò Goku, rimembrando al resuscitato l’ultima sconfitta che aveva subito per mano di lui e dei suoi figli.
L’energumeno si adirò, anzi s'infuriò, strinse i denti, facendoli digrignare, la vena della tempia iniziò a pulsargli e strinse anche i pugni conficcandosi le unghie nella carne.
“Kakaroth!” urlò, aumentando l’aurea in modo spropositato.
 
 
 
 
****
Era in volo ormai da mezza giornata e ancora non aveva incontrato nessun sayan. Strano, si disse, possibile che avessero già ucciso tutti quei mostri? Si domandò anche.
Eppure, dopo aver affrontato quel gruppo di sayan, non aveva più percepito alcun tipo di aurea non terrestre e aveva vagato intorno al globo terrestre in cerca di nemici da sconfiggere.
Avvertì un’aurea potentissima, si spavento: aveva capito chi era, Broly.
Normalmente qualsiasi persona sapendo di non poter battere il proprio nemico, avrebbe evitato di andare proprio nella tana del lupo, ma per lui era diverso; sebbene sapesse che lui era infinitamente più debole rispetto al super sayan leggendario, non gliene importava, poiché amava le sfide e da bravo guerriero qual’era le accettava sempre.
Aumentò la velocità e si diresse verso nord, luogo in cui percepiva la potente aurea di Broly.
Ma durante la strada ebbe un incontro: poco dopo essersi messo in marcia, s’imbatté in Crilin e numero 18.
Anche loro due, come Piccolo, dopo aver affrontato l’ultimo gruppo dei sayan, avevano girato in lungo e in largo in cerca di nuovi nemici da affrontare, ma non trovarono nessuno.
Anche loro si fecero le stese domande del loro amico namecciano, ed anche loro avevano percepito la possente aurea di Broly.
E sebbene Crilin avesse deciso di rinunciare all’ardua impresa, sua moglie lo costrinse a venire con lui, poiché ancora si ricordava l’umiliante sconfitta da parte di Bio-Broly e voleva vendicarsi.
Il terrestre, perciò, non volendo lasciare la moglie andare da sola ad affrontare il mostro, la raggiunse, pregando di non perdere la vita, avevano una figlia che avevano lasciato a casa.
“Crilin, Numero 18! Che ci fate qui?” domandò il namecciano, sorpreso di vedere i due coniugi.
“Abbiamo percepito l’aurea di Broly e stavamo andando a controllare” rispose l’amico.
“Anche voi. Bene, sbrighiamoci! Non abbiamo un solo minuto da perdere!” intimò loro l’alieno, sfrecciando in volo.
I due lo seguirono a ruota, dirigendosi nel fatidico luogo e sperando di trovarci Goku.
 
 
 
****
Avevano finito di mettere in salvo i sopravvissuti e di scortali nel villaggio più vicino (Gohan si era tranquillizzato nel vedere il suocero vivo e vegeto) e si erano rimessi in viaggio per cercare altri sayan da uccidere.
Anche loro, come gli altri del resto, non ne trovarono e furono invasi da dubbi e domande circa la condizione dei loro nemici.
“Secondo me sono morti!” ipotizzò Goten.
“No, non può essere in così poco tempo, stiamo parlando di un intero popolo” lo smentì il fratello, ragionando.
“Secondo me papà e Vegeta li avranno battuti tutti! Tanto non avevano alcuna speranza contro di loro!” proseguì il minore, non rinunciando alla sua teoria.
“è vero ha ragione, potrebbe essere anche così” s’intromise Trunks, appoggiando la tesi del migliore amico.
Ma il più grande non ci credeva, sentiva che c’era dell’altro, poiché tutta quella storia era assai strana e quando percepì la potente aurea e la riconobbe, capì tutto: Broly.
“L’avete sentita?” domandò ai due, notando il loro cambiamento d’umore.
“Broly!” balbettarono i due all’unisono.
Sebbene fossero solo dei bambini, si ricordavano ancora le atroci sofferenze che avevano dovuto subire a causa di quel vile mostro.
“Andiamo!” ordinò il moro, dirigendosi verso il nemico.
I due lo seguirono, mai si sarebbero tirati indietro, anche se sapevano fin troppo bene di non poter competere con un colosso come il super sayan leggendario.
Ma anche se avevano abbandonato da tempo la passione per il combattimento, il loro onore gli impediva di ritirarsi.
 
 
 
 
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Aveva appena finito di terminare il suo racconto e, con sua grande sorpresa, i suoi vecchi compagni di squadra non dissero niente, anzi sembravano addirittura essere passati dalla sua parte.
“E sia Bardack, ora siamo dalla tua parte!” esclamò Toma.
“Ma ti avverto, noi non uccidiamo i nostri amici!” proseguì Pambukin.
E il sayan ne fu contento: sperava proprio in una conversione dei suoi vecchi amici, anche se non si stupì che non volessero uccidere i loro simili e amici, in fondo dava fastidio anche a lui stesso.
Iniziarono a girovagare per quello strano pianeta, in cerca dei loro simili, ma non ve ne trovarono.
Bardack, infatti, non percepiva nessuna aurea e i loro scouter non segnalavano presenze vicine.
Fino a quando il padre di Goku avvertì una potente presenza, e gli scouter esplosero, poiché non in grado di rilevare ulteriore potenza.
Chi poteva essere costui? Si chiesero. Possibile che ci fosse un sayan così potente, addirittura più potente del principe Vegeta? Si domandarono.
Non sapevano la risposta, poiché non avevano avuto l’onore di conoscere il super sayan leggendario, ma se avessero saputo, avrebbero preferito rimanere lì.
Invece decisero tutt’altra cosa: di andare verso quella misteriosa aurea per sapere chi fosse.
E Bardack, in particolare, voleva misurarsi con questo misterioso essere, in questo era come suo figlio, non vi era dubbio, anzi era il contrario: era Goku che era tale e quale al padre.
Tutti, quindi, si stavano dirigendo verso Broly, ma anche verso Goku e Vegeta, chissà se arriveranno in tempo?
 
 
 
 
 
Note dell’autrice: * riferimento all’anime Digimon Adventure, Meramon è, infatti, un Digimon ricoperto interamente di fuoco.
Voglio ringraziare chi ha messo tra le preferite e tra le seguite la mia storia e chi l’ha letta, anche se non ha recensito. Ci vediamo al prossimo e ultimo capitolo.

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Capitolo 7
*** Gogeta vs Broly ***


Vedendo il nemico aumentare la propria immensa aurea, i due sayan si erano entrambi trasformati in super sayan, aspettando che Broly si facesse avanti.
Il mostro leggendario, infatti, non aspettò nemmeno un secondo e, subito dopo aver dato sfogo alla sua ira, si avventò contro i due cercando di colpirli in contemporanea; per fortuna i due sayan si scansarono all’ultimo minuto.
Broly, però, essendo veloce, prese Vegeta per la testa e lo scaraventò contro una roccia, riducendola in frantumi, mentre l’altro nemico cercava di colpirlo da dietro all’altezza del collo, senza alcun esito.
Il super sayan leggendario, infatti, non aveva avvertito il benché minimo dolore e, dopo aver girato la testa verso il moro, lo buttò sul terreno incenerito colpendolo in pieno volto e facendogli fuoriuscire un rivolo di sangue.
Non finì qui il suo attacco: senza nemmeno dare il tempo al povero Goku di rialzarsi, si avventò su di lui, colpendolo con il gomito in pieno addome, facendogli sputare altro sangue.
Ma la sua crudeltà andava ben oltre: fece più pressione sull’addome del sayan, facendolo urlare dal dolore.
Le grida del povero Goku riecheggiavano in quella foresta di cenere, nessuno lo poteva sentire, o meglio nessuno tranne una persona: Vegeta, ripresosi dall’urto, si ritrasformò in super sayan, e si diresse verso i due iracondo.
Se c’era una cosa che detestava, era che un nemico facesse del male a Kakaroth, poiché solo lui poteva farlo.
“Kakaroth è mio!” gridò, per poi colpire con un pugno il super sayan leggendario.
Il mostro rise malvagiamente, sicuramente pensava che cosa potesse fare un moscerino come Vegeta contro un colosso come lui.
Si girò e colpì anche il principe in pieno addome, per poi spedirlo con un calcio contro un’altra roccia, riducendola in mille pezzi.
Goku, nel frattempo, da dietro si preparò a lanciare la sua kamehameha contro il super sayan leggendario.
Purtroppo la sua idea non ebbe successo: sebbene il colpo avesse colpito in pieno il suo bersaglio, quest’ultimo ne rimase indenne.
Il sayan non se ne stupì: si ricordava ancora che parecchi anni fa, quello stesso colpo non aveva avuto effetto.
Broly, allora, gli lanciò contro il suo colpo, spedendo il nemico al suolo esanime.
Non aveva il lume della ragione, ma sapeva che la vittoria era sua: era troppo potente.
 
 
 
 
 
 
 
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Tutti e tre non spiccicarono parola mentre volavano, poiché erano preoccupati di dover affrontare un avversario come Broly, perché ancora nelle loro menti era impresso il doloroso ricordo di quella lontana battaglia, che avevano affrontato su un altro pianeta.
Ma non potevano permettere che un essere mostruoso come Broly potesse distruggere la Terra e suoi abitanti, perché era loro dovere proteggere il mondo, per questo si stavano dirigendo verso una morte certa.
Speravano tanto che in quel luogo ci fossero già Goku e Vegeta, poiché solo con loro avrebbero avuto una fievole speranza di vincere contro il temibile super sayan leggendario.
“Forza, sbrighiamoci! Non dobbiamo perdere tempo!” esclamò Piccolo, aumentando la velocità.
I due terrestri, d’accordo con il loro amico dalla pelle verde, aumentarono l’andatura, seguendo il namecciano.
 
 
 
 
 
 
 
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Bardack era preoccupato: aveva paura che potesse succedere qualcosa a suo figlio, anche perché non riusciva a percepire bene la sua aurea.
Si domandò chi fosse questo nemico così potente da tener testa a suo figlio, il più forte, insieme al principe, tra i sayan.
Non osò nemmeno immaginarlo, poiché mai aveva sentito parlare di un sayan così forte.
Salvo che non fosse il super sayan leggendario, si disse. Scacciò, però, quest’assurdo pensiero, poiché sapeva benissimo che era Kakaroth a essere il super sayan leggendario, o almeno lo credeva lui, visto che il figlio non aveva mai smentito questa sua ipotesi.
“Bardack tutto apposto?” domandò sua moglie, notando la preoccupazione del sayan.
“Sì, è solo che non riesco a percepire bene l’aurea di Kakaroth” confessò, sapendo di non poter mentire all’amata.
“Speriamo non gli sia successo niente! Sbrighiamoci ti prego!” esclamò, preoccupata per le sorti di suo figlio.
Senza pensarci aumentarono la velocità, seguiti dai loro compagni di squadra.
 
 
 
 
 
 
 
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Ormai erano quasi giunti da Broly e la prova era che davanti a loro si ergeva un cumulo di cadaveri inceneriti.
Non riuscivano a guardare quel macabro spettacolo, poiché non potevano credere che potesse esistere un essere così crudele, da uccidere i propri simili.
Goten e Trunks chiusero gli occhi, in quanto non avevano mai visto una scena simile e sebbene avessero visto morti da un età tenera, non ebbero il coraggio di guardare.
Gohan aveva gli occhi aperti, ma il suo sguardo era ricolmo di tristezza e amarezza: sebbene avesse da sempre odiato i sayan, gli dispiaceva vederli in quello stato.
“Queste sono le auree di papà e Vegeta!” esclamò il più grande.
I due ragazzi annuirono, come segno che anche loro le avevano percepite.
“Sbrighiamoci sono in pericolo!” ringhiò il moro, aumentando la velocità, seguito dai due amici.
 
 
 
 
 
 
 
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Goku e Vegeta si erano nascosti dietro un vasto cespuglio al riparo dalla cieca furia di Broly, cercando di escogitare un piano.
In realtà Goku aveva un piano, e anche se sapeva che al suo amico non sarebbe piaciuta l’idea, decise comunque di esporla.
“Vegeta non ci resta che fare la fusione. È l’unico modo” disse il moro, con un tono calmo.
“Non se ne parla nemmeno!” esclamò il principe, girandosi di scatto verso l’amico, con un'aria molto contrariata.
“Lo so che non vuoi fare la danza, ma è l’unico modo! Lo sai che non abbiamo speranza!” tuonò il moro, cercando di convincere l’amico.
Il sayan sbuffò: sapeva che era inutile contestare, poiché la fusione si sarebbe fatta.
“D’accordo” asserì, sempre con il tono contrariato.
Uscirono allo scoperto, cogliendo di sorpresa il super sayan leggendario, e oltrepassandolo con la super velocità e mettendosi in posizione, pronti per effettuare i passi della fusione.
Broly, però, non li diede tempo di muovere un passo, poiché si avventò contro Goku spedendolo al suolo.
Fecero molti tentativi, tutti ovviamente falliti, a causa della furia del mostro, che non permetteva loro di effettuare la fusione.
Stavano per perdere la speranza, quando il super sayan leggendario fu colpito da dietro da tre persone: erano Gohan, Goten e Trunks, venuti in soccorso dei loro padri.
“Papà mentre noi lo teniamo impegnato voi fate la fusione!” riuscì a gridare il più grande, prima di essere colpito violentemente dal mostro.
Il sayan cresciuto sulla Terra annuì, per poi mettersi in posizione con le braccia tese, iniziando la buffa, a parere di Vegeta, danza della fusione.
Ciò che nacque fu un guerriero per metà Goku e per l’altra metà Vegeta, di nome Gogeta; era lui l’avversario di Broly.
Il super sayan leggendario, avvertendo l’immensa aurea, lasciò cadere al suolo il povero Goten, vittima delle sue torture, avventandosi contro il misterioso nemico.
Gogeta fece lo stesso: si scagliò contro il mostro, cercando di sferrargli un pugno.
Entrambi i loro pugni si scontrarono in una prova di forza; Gogeta cedette e fu scaraventato via.
Si riprese subito, come se non avesse subito alcun danno. In effetti, non aveva nessun danno fisico, nemmeno un graffio.
Si preparò a scagliare il suo attacco più potente: il frantumatore polverizzante.
L’enorme sfera color arcobaleno si diresse contro Broly, colpendolo in pieno.
Il mostro cercò di respingerla, ma l’attacco era molto potente e lo travolse facendolo esplodere in mille pezzi.
Ce l’avevano fatta, la loro missione era compiuta: tutti i sayan erano stati sterminati, ed ora potevano usare le sfere del drago per riparare i danni creati da quella cruenta guerra.
Gogeta sciolse la fusione e fecero la loro comparsa Goku e Vegeta con un sorriso dipinto sui loro volti, poiché avevano vinto.
I loro figli li raggiunsero e si congratularono con loro.
“è merito vostro. Se non foste arrivati, io e Vegeta non saremmo mai riusciti a fare la fusione” ammise Goku.
Li raggiunsero anche Piccolo e tutti gli altri, e Bardack ne approfittò per scusarsi con tutti e non solo con suo figlio per aver commesso quella sciocchezza che poteva esserli fatale.
“Tranquillo papà!” lo rassicurò Goku, sorridendogli.
“E quelli chi sono?” domandò, notando i tre dietro i suoi genitori.
“Sono i miei compagni di squadra. Sono dalla nostra parte” spiegò Bardack.
“Non so dove metterli! Chichi mi ammazzerà!” esclamò, pensando alla moglie furibonda nel vedere altri sayan in casa sua.
“Non ti preoccupare Kakaroth li terrò io con me. Sono sicuro che Bulma non si arrabbierà quanto tua moglie” propose il principe.
“Grazie Vegeta sei un amico” lo ringraziò il moro con un sorriso sincero.
Lasciarono quell’arida zona e andarono alla ricerca delle sette sfere del drago per esprimere il loro desiderio.
Ci impiegarono, ovviamente mezza giornata nel trovare i magici oggetti, e una volta riuniti non esitarono nell’invocare il drago Shenron.
“Shenron ti prego resuscita tutti i terrestri uccisi dai sayan” chiesero, stando attenti a usare le giuste parole, poiché se avessero sbagliato c’era il pericolo di riportare in vita quasi l’intera razza, poiché sterminata da Broly.
“Sarà fatto” disse il drago con la sua possente voce.
I suoi occhi rossi s’illuminarono e il suo desidero si avverrò: tutte le vittime tornarono in vita, cancellando lo spargimento di sangue effettuato dai sayan.
Poi il drago sparì e le sfere si sparpagliarono per il globo.
Anche questa minaccia era stata sventata e ora finalmente potevano godersi la pace e soprattutto Bardack avrebbe potuto stare con sua moglie e i suoi amici. 

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