InFAMOUS: The Darkness's Daughter (prologue)

di edoardo811
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Welcome to Empire City ***
Capitolo 2: *** The Reapers ***
Capitolo 3: *** Sometimes they come back ***
Capitolo 4: *** Pain ***
Capitolo 5: *** Sharing ***
Capitolo 6: *** Good and Evil ***



Capitolo 1
*** Welcome to Empire City ***


ATTENZIONE: La Rachel o Corvina o Raven che dir si voglia, che viene presa in considerazione in questa storia è una versione leggermente più ingenua ed immatura di quella che siete abituati a conoscere, perciò se noterete presenza di OOC saprete il motivo.

Buona lettura!



I

Welcome to Empire City

 

Camera sua non era mai stata un granché. Era piccola, buia e spoglia. Non aveva mobili, eccezion fatta che per il letto. Non c’erano armadi, specchi, comodini, nulla che lasciasse intendere che quella era la stanza di una ragazza.

Qualche pigro raggio di luce filtrava nella stanza passando per le persiane chiuse. Era ancora pomeriggio.

Rachel sospirò e si mise a sedere sul bordo del letto. Un'altra giornata era trascorsa. Un'altra manciata di ore e anche quella sarebbe passata. Si era addormentata dopo mezzogiorno, all’incirca. Aveva riposato fino a quel momento, eppure si sentiva ancora uno straccio. La testa le faceva un male lancinante, era esausta e dolorante. Probabilmente si era ancora una volta agitata durante il sonno. Questo avrebbe anche spiegato le perle di sudore sulla sua fronte. La ragazza dai capelli corvini inspirò profondamente, esasperata da quella situazione. «D’accordo Rachel... puoi farcela... forza... puoi farcela... manca poco...»

Una fitta di dolore più forte la colpì alla testa. Gemette, serrò le palpebre e la mascella e strinse la presa sulle lenzuola, fino a farsi male alle mani. Il cuore accelerò all’improvviso i suoi battiti, il respiro si fece irregolare, cominciò ad andare in iperventilazione.

«No...» mormorò, tra una breve boccata d’aria l’altra. «No... non ora...»

Con il fiato sempre più corto e il cuore che sembrava in procinto di esploderle nel petto, la ragazza si premette le mani sulle tempie con estrema forza. «Ti prego, ti prego, non farlo, non farlo...»

Riaprì gli occhi, trattenne il respiro per qualche istante, poi lo rigettò fuori. «Puoi farcela Rachel, puoi controllarlo, devi solo calmarti, devi rilassarti Rachel, rilassati... devi... devi... agh!»

Allontanò di scatto le mani dalle tempie, emettendo un grido strozzato. I palmi avevano cominciato a bruciare terribilmente. Abbassò lo sguardo per controllare e vide entrambe le sue mani cominciare a tremare. Impallidì. «No, no, no, no...»

Di nuovo, trattenne il fiato e serrò gli occhi, contraendo la mascella. «Posso farcela, posso controllarlo, posso farcela, posso controllarlo...»

Ci mise tutta la sua forza di volontà. Sentì venire risucchiato via quel poco di energie che ancora poteva avere. Continuò a ripetere a sé stessa di potercela fare, di essere forte, di non lasciarsi sopraffare. Il cuore continuava a martellarle nel petto ed era ancora in iperventilazione. Dopo attimi interminabili, tuttavia, percepì il proprio battito cardiaco stabilizzarsi, e anche la respirazione tornò regolare, come se il suo corpo stesse davvero ascoltando le sue parole. Riuscì a trovare il coraggio di riaprire gli occhi. Vide i suoi palmi e con suo enorme sollievo non notò alcun tremore. Tutto era normale.

Sospirò rumorosamente di sollievo, poi si accasciò sul materasso. Il rumore del suo respiro regolare giunse alle sue orecchie, mentre osservava il soffitto incrostato, rimuginando su quello che le era appena accaduto e sul disastro che aveva appena evitato per miracolo. C’era riuscita, di nuovo. Per almeno un altro giorno non avrebbe più dovuto combattere. Forse.

Non poteva andare avanti in quel modo. Erano giorni interi ormai che se ne stava segregata in camera sua, a lottare con sé stessa. A cercare di reprimere il suo stesso corpo, per timore di quello che avrebbe potuto fare. Si sarebbe consumata da sola, continuando di quel passo. Doveva fare qualcosa, doveva trovare il modo di tenere la mente occupata, di non restare ferma troppo a lungo. Restare in casa non funzionava, aveva smesso di farlo già due giorni prima.

D’altronde, la situazione in città si era calmata. Non aggiustata, ma quantomeno calmata. Il che era un gran passo avanti. Inoltre, l’atmosfera di camera sua aveva cominciato ad opprimerla. Quelle pareti scrostate e piene di aloni di muffa in quella camera microscopica, la irritavano.

L’odore stantio della stanza giunse all’improvviso nel suo naso, sgradevole come un visitatore indesiderato. Rachel fece una smorfia. Non aveva appena represso sé stessa per l’ennesima volta solamente per tornare a preoccuparsi di quello schifo di posto.

 Quello era troppo, perfino per lei. Doveva uscire.

Annuì a sé stessa. Afferrò la felpa nera con cappuccio che aveva lasciato al bordo del materasso e la indossò sulla canotta che aveva usato per dormire, poi si alzò dal letto e si diresse alla porta.

Il pavimento di legno cigolò sotto i suoi passi, così come la porta quando la aprì.

Uno spoglio corridoio la condusse in salotto. Qui Tara era stravaccata sul divano, intenta a guardare la televisione. Come facesse a passare il tempo guardando la spazzatura che veniva trasmessa, per Rachel era un mistero. Da quando c’era stata l’esplosione in tv non avevano trasmesso altro che notiziari, vecchi film prelevati da chissà quale discarica e spot contro il terrorismo. Inutile dire che non aveva mai guardato nessuna di quelle cose.

Ignorò la ragazza bionda e si diresse alla porta. Tara non sembrò fare caso a lei fino a quando non afferrò la maniglia. «Che stai facendo?» domandò spostando pigramente lo sguardo verso di lei, apatica. Non sembrava davvero interessata, probabilmente lo aveva chiesto solamente per scaramanzia.

«Esco» replicò Rachel aprendo la porta.

«E i Mietitori? Lo sai che è pericoloso uscire.»

Rachel sorrise, cercando di apparire sicura. Sollevò una mano. Il palmo le si illuminò di una fioca luce nera. «Loro non mi fanno paura.»

Tara la soppesò con lo sguardo ancora per un momento con i suoi occhi azzurri privi di qualsiasi emozione, poi scrollò le spalle e riportò la sua attenzione alla televisione. «Come ti pare.»

Il sorriso svanì dal volto di Rachel quando udì quella risposta. Abbassò la mano. Sospirò ed uscì, per poi richiudersi la porta alle spalle.

 

***

 

Fuori la situazione era anche peggio di come la ricordava.

Empire era una città situata sulla costa East che sorgeva su tre isole diverse, una per distretto. C’era il Neon, dove abitava lei, poi il Dedalo e il Centro Storico. Il Neon era sempre stato il più bello dei tre. Era più bello del Dedalo, che in ogni caso avrebbe fatto sembrare una discarica un resort a cinque stelle, ed era anche più bello del Centro Storico, dopo che quest’ultimo era stato mezzo distrutto dall’esplosione in particolar modo.

Ma in quel momento, sotto ai suoi occhi, anche il Neon sembrava il fantasma del vecchio sé stesso. Un luogo oramai costituito da edifici dismessi e mendicanti. Le insegne luminose che un tempo rendevano quelle strade uno sfavillante miscuglio di colori adesso erano spente. Cinema, bar, discoteche, locali che fornivano ogni genere di intrattenimento, ora erano chiusi, con le sbarre alle porte e alle finestre. La gente rovistava nei bidoni della spazzatura per cercare qualcosa da mangiare, cadaveri di automobili, e anche di persone, stavano sul ciglio della strada, questi ultimi in attesa che qualcuno andasse a rimuoverli prima che si decomponessero. Una cosa macabra, effettivamente, ma purtroppo era la triste realtà.

Alcune auto passavano per la strada, ma erano poche, e tutte quante ammaccate e con la carrozzeria arrugginita.

Rachel si strinse nelle spalle ed incassò la testa sotto al cappuccio della felpa, per celare il suo volto pallido da sguardi indiscreti. Si impose con la forza a proseguire tenendo gli occhi violetti bassi, ad ignorare quei poveracci che chiedevano l’elemosina e, soprattutto, a non guardare nessuno di quelli che camminavano accanto a lei.

Era uscita per respirare un po’ di aria nuova, pulita, e per cercare di distrarsi un po’, ma tutto quello che aveva respirato fino a quel momento era la desolazione di un luogo oramai morente. E le uniche distrazioni che aveva trovato erano stati i morti di fame accasciati sul marciapiede zeppo di crepe.

L’esplosione aveva apportato profondi cambiamenti a quella città.

La gente viveva ognuna nel suo mondo, c’era freddezza nell’aria. Nessuno parlava con nessuno, tutti quanti si comportavano esattamente come lei. Tutti avevano paura.

«Aiutatemi...» Una voce si sollevò in aria all’improvviso. Il tono era flebile, sembrava stesse per spegnersi da un momento all’altro. Fu seguita da tutta una serie di orribili lamenti, versi di dolore e colpi di tosse.

Un uomo era sdraiato sul marciapiede a poca distanza da lei, si stava contorcendo. «Mi... mi fa male dappertutto...»

Rachel pietrificò. Rimase ad osservarlo mentre sguazzava nel suo dolore, non sapendo minimamente come comportarsi. Quello era ferito su più punti del corpo, come se fosse appena stato picchiato crudelmente. Cosa che poteva benissimo essere successa per davvero. Poteva essere stato scippato da qualcuno, o anche peggio.

«Aiu... ta... temi...» rantolò ancora l’uomo, tendendo una mano verso i passanti, i quali facevano di tutto per non guardarlo.

La ragazza rimase immobile, ad osservarlo. Aveva bisogno di aiuto. Stava soffrendo e nessuno sembrava disposto a dargli importanza. Doveva fare qualcosa. Ma cosa? La sua mano uscì quasi in maniera autonoma dalla tasca. Abbassò lo sguardo e la osservò. Deglutì, poi si concentrò e il palmo si illuminò di nuovo di quella luce nera. Guardò la mano, poi l’uomo a terra, poi ancora la mano. Un pensiero le attraversò la mente.

Forse... forse posso...

«Resista!» un’altra voce, questa volta dal timbro più acuto, la fece trasalire e nascondere di nuovo la mano nella tasca.

Una donna si era appena chinata accanto all’uomo, e gli stava esaminando le ferite. Rachel riconobbe all’istante la sua camicia verde acqua e i suoi jeans azzurri. «Stia tranquillo, sono un medico.»

L’uomo rantolò qualche parola incomprensibile, poi si lasciò controllare dalla donna.

Rachel rimase ancora immobile, ad osservare la scena.

I medici. Probabilmente gli unici eroi che potessero ancora esistere in quella città dimenticata da Dio. Gli unici a cui ancora importava qualcosa delle altre persone, gli unici che avrebbero continuato a svolgere il loro lavoro, con il sole e con la pioggia. Gli unici individui altruisti rimasti, di cui ci si poteva fidare.

Una folla di persone si radunò attorno al medico e all’uomo all’improvviso, ognuno dicendo la propria sottovoce.

Rachel fece una smorfia. Ipocriti. Persone che prima se ne sarebbero infischiate di quel poveretto, ora fingevano interesse semplicemente perché c’era già qualcun altro ad occuparsi di lui. La ragazza scosse impercettibilmente la testa, poi proseguì per la sua strada, aggirando il gruppo.

Forse era un bene che fosse andata così. Non era molto sicura di ciò che avrebbe potuto fare con i suoi poteri in quel momento. Inoltre non voleva rischiare di farsi vedere da qualcuno mentre li usava. Già una volta l’avevano vista all’opera, e le cose non erano andate affatto bene. Rabbrividì a quel pensiero. Affrettò il passo. Voleva solo allontanarsi da là e al più presto.

Proseguì per la sua strada. Cominciò a pensare che forse l’essere uscita in quel modo non era stata una grande idea. Alla fine, non aveva fatto nulla di che, né visto, nulla di che. L’unica cosa che aveva ottenuto uscendo era stata la conferma dell’autodistruzione di quella città.

Incontrò altri feriti per strada. Altri mendicanti, altra gente che rovistava tra i rifiuti. Altri cadaveri.

Vittime. Vittime su vittime.

Tutte causate, chi direttamente, chi no, da un solo avvenimento, accaduto in un terribile giorno lontano ormai un mese. L’esplosione, così era stato chiamato. Ed era stata proprio un’ esplosione di proporzioni gigantesche nel cuore del Centro Storico ad aver sconvolto la città.

Migliaia di persone erano morte, quel giorno, e ancora in quel momento i suoi effetti si ripercuotevano sulle persone.

Quando la gente si era resa conto che nessuno di loro avrebbe ottenuto aiuti dal governo dopo la distruzione di un intero distretto, erano arrivati i tumulti. Furti, rapine, stupri. Nessuno aveva fatto nulla per fermare tutto ciò. I poliziotti, gli unici che avrebbero ancora potuto fare qualcosa, non avevano mosso un dito. Erano tutti morti, o troppo spaventati per combattere.

Come se non fosse bastato, in giro aveva cominciato a correre la voce che un’epidemia si fosse abbattuta sulla città. Che fosse vero o no, Rachel non lo sapeva, dopotutto era impossibile capire chi fosse davvero malato e chi no. In ogni caso, quello era stato il pretesto che il governo aveva usato per sigillare la città, ovvero l’impedire che l’epidemia si diffondesse in tutto lo stato. Avevano tagliato ogni contatto tra Empire e l’esterno, istituendo posti di blocco pattugliati da centinaia di federali su ogni strada o ponte che conducesse verso il confine con le altre metropoli. I mari invece erano controllati da decine di cacciatorpedinieri e le contraeree abbattevano qualsiasi aereo o elicottero non autorizzati. Non c’era nessun modo per andarsene. Erano in quarantena.

Gli abitanti del luogo erano stati letteralmente chiusi in gabbia, assieme a tutti quegli psicopatici che avevano approfittato della situazione già disagiata per poter commettere ogni qualsivoglia di crimini.

L’unica cosa che veniva fatta per loro, forse per misera pietà, era lo sganciare delle casse di provviste, cibi e medicinali, a periodi discontinui. Potevano arrivare dieci casse a settimana, come due casse ogni tre mesi. E quando ciò accadeva, non sempre si assisteva ad una spartizione equa di questi beni tra le persone.

E per finire c’era lei. Non voleva nemmeno pensare a ciò che le era successo.

«Attenzione, cittadini del Neon District di Empire City.» Quella voce esplose all’improvviso dalle decine di altoparlanti sparpagliati per la città. Rachel alzò lo sguardo, verso il grande schermo retto da un alto traliccio. Questo era acceso, il che significava solo una cosa. Un annuncio importante stava per essere trasmesso. E in genere accadeva per un motivo solo. Un uomo con il volto oscurato apparve sullo schermo. Cominciò a parlare, mentre l’immagine sfarfallava di tanto in tanto. «Ci hanno appena riferito che i federali hanno appena sganciato una scorta di viveri ad Archer Square. I bugiardi al potere hanno anche detto che ognuno avrà la sua parte e che arriverà altro cibo. Facile parlare, quando non sei tu a dover vivere in questo inferno! La verità e che ci hanno abbandonati! Nessuno verrà a salvarci, quindi andate ad Archer Square e prendete quelle provviste prima che arrivino i Mietitori!»

Rachel osservò ed ascoltò sbigottita il tutto. Lo schermo si spense di nuovo. «Wow...» commentò, meravigliata dalle parole di quell’uomo. Lo sapeva che erano spacciati, lo sapeva che erano stati abbandonati e che nessuno li avrebbe mai salvati, ma non lo aveva mai detto apertamente. Né lei, né tutti quelli che proprio come lei lo sapevano. Quelle erano cose che non si dicevano, per non gettare nel panico chi ancora era abbastanza folle da sperare in qualche aiuto dal cielo. Nemmeno al governo faceva piacere sapere che c’era qualcuno che lo diffamava, giustamente tra l’altro. A quanto pare, qualcuno che invece non aveva paura di dire le cose come stavano c’era ancora.

Non avrà vita lunga..., pensò con amarezza guardando quello schermo ormai nero.

Ma non poté pensare a quell’agitatore più di tanto, perché l’argomento viveri fece il giro per tutta la strada. La gente che dapprima rovistava nei rifiuti, ora si era messa a correre, insieme a tutti gli altri, ognuno con una meta comune: Archer Square.

«Spostati ragazzino!» esclamò un uomo che per poco la urtò al proprio passaggio.

«Non sono...» provò a rispondere lei, ma quello era già distante anni luce. Rachel grugnì di rabbia, poi sospirò rassegnata.

La gente continuava a correre accanto a lei. Pensò a quei viveri. Un po’ di cibo non le avrebbe certo fatto schifo, a dire il vero. Inoltre, se ne avesse portato un po’ anche a Tara, magari le cose tra loro si sarebbero aggiustate.

Magari.

Archer Square. Non era molto lontano. Rachel annuì a sé stessa. Poteva farcela. Sistemò meglio il cappuccio sui capelli neri, poi cominciò a correre.

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Capitolo 2
*** The Reapers ***


 

II

The Reapers

 

Prese una deviazione. Conosceva bene il posto, sapeva che se fosse passata per quella fitta rete di vicoli avrebbe battuto sul tempo gran parte delle persone che invece cercavano di raggiungere la piazza per strada.

Il rumore dei suoi passi risuonò in quell’ambiente desolato e maleodorante, sguazzò in diverse pozzanghere mentre correva. Fece una smorfia quando i suoi jeans già malridotti si sporcarono ulteriormente a causa dell’acqua.

Non c’era nessuno in giro. A quanto pare era stata l’unica ad avere quell’idea. L’unica abbastanza stupida.

I vicoli erano praticamente la casa dei Mietitori. Entrare in un vicolo equivaleva a farsi sparare addosso, o a farsi rapinare. La gente se ne teneva alla larga, semplicemente.

In poche parole, lei non avrebbe dovuto trovarsi lì. Ma doveva correre il rischio. Morire di fame sarebbe sicuramente stato peggio che morire a causa di un proiettile. Era la prima vera occasione che aveva per procurarsi un po’ di cibo e non essere costretta a mangiare quelle poche schifezze che lei e Tara riuscivano a racimolare, e doveva lasciarsela scappare? Quel vicolo era solo una scorciatoia, né più né meno.

E comunque, nessun luogo era davvero sicuro, oramai, ad Empire. Ogni giorno quando ci si svegliava al mattino si ringraziava in silenzio il cielo per non essere stati accoltellati nel sonno.

Insomma, era la prima volta che entrava in un vicolo, non avrebbe mica davvero avuto così tanta sfortuna da incontrare proprio i Mietitori, no?

E per finire, lei non era una persona come le altre. Forse avrebbe avuto una piccola possibilità di sopravvivenza, in caso di incontri spiacevoli. Forse.

Quel pensiero le infuse un po’ più di coraggio. Sarebbe arrivata ad Archer Square in tempo zero. Inoltre, quel vicolo semi buio le infondeva una strana sensazione. Se ne avesse parlato con qualcuno probabilmente avrebbe fatto la figura della psicopatica, però sentiva che quel posto le infondeva... tranquillità. Benessere. Non come le strade luminose e in bella vista, in quelle si sentiva infastidita, in bella mostra, nonché esausta. In quel momento, invece, si sentiva piena zeppa di energie.

Affrettò il passo. Entrò in uno spiazzale in cui diverse automobili erano parcheggiate. Calcolò mentalmente la propria posizione, e dedusse di essere quasi a destinazione. Inspirò profondamente. C’era quasi, questione di attimi, di pochi metri, nessuno l’aveva vista, nessuno l’avrebbe...

Urla. Rachel sentì il cuore schizzarle in gola e si fermò di scatto, pietrificata. Alzò lo sguardo, cercò in ogni direzione, con il battito cardiaco alle stelle, un po’ per via della corsa, un po’ per via dell’ansia che quelle grida avevano trasmesso in lei. Non erano umane. Qualunque creatura avesse sbraitato in quel modo, di umano possedeva solo il ricordo.

Poi li vide. Si sentì morire dentro. Due uomini incappucciati al fondo dello spiazzale, vestiti di rosso dalla testa ai piedi, entrambi armati di fucili. Agitavano le armi, gridavano e saltavano sul posto come delle scimmie impazzite. Riconobbe quelle grida, riconobbe quelle giacche rosso sangue, riconobbe i loro mitra. Mietitori. La gang di tossici dipendenti che dopo i primi tumulti di Empire City aveva preso il controllo del Neon. Fu la prima volta che li incontrò di persona. Fu un attimo solo, ma bastò a segnare la sua esistenza. Quelle grida disumane, quei loro aspetti minacciosi, quei volti impossibili da scorgere sotto i cappucci, li avrebbe rivisti nei suoi incubi peggiori, ne era certa.

Le gambe le diventarono di burro. Si sentì impotente di fronte a loro. Avrebbe dovuto scappare, sparire da lì il prima possibile, correre fino a quando i polmoni non le sarebbero esplosi nella gabbia toracica. Ma non ci riusciva. Forse per la paura, forse per lo shock.

Finché quelli non le puntarono contro le armi. Quando le prime esplosioni si udirono e le prime fiammate illuminarono le bocche da fuoco, una voce nella testa di Rachel impazzì. Una sola parola disse: corri.

E Rachel corse. I proiettili fischiarono accanto a lei, la ragazza gridò di terrore. Vide un’auto parcheggiata li vicino. Non esitò un solo istante. Si gettò a terra, proprio dietro di lei. I proiettili si schiantarono brutali contro la carrozzeria arrugginita del veicolo. Il rumore che si generò ricordò parecchio quello della grandine, solo dieci volte più intenso.

La corvina si rannicchiò a terra e si tappò le orecchie, gridando a squarciagola per la paura. Quel rumore le stava facendo esplodere la testa.

Scorci di immagini della sua vita popolarono la sua mente, una dietro l’altra. Rivisse tutti i momenti più importanti della sua vita. Sua madre, il collegio, i suoi amici.

La sua vita non era mai stata un granché, a conti fatti. E ora sarebbe morta nella maniera più stupida che si potesse conoscere. Un’idiota, ecco cos’era. Altro che poteri, altro che coraggio, quei Mietitori le avrebbero fatto la pelle, era solo questione di tempo. Almeno la sua esistenza fatta di delusioni finalmente sarebbe finita. Forse era un bene. Anzi, era senz’altro un bene.

Chiuse gli occhi e attese. Attese che i proiettili la raggiungessero, o che uno dei Mietitori aggirasse la macchina e la catturasse. Inspirò profondamente e si preparò. E fu solo in quel momento che realizzò che... che gli spari erano cessati.

Ci volle tutta la sua forza di volontà per permetterle di sollevare di un centimetro la testa e guardare cosa fosse accaduto ai due Mietitori.

Sgranò gli occhi. Una figura vestita di nero era comparsa praticamente all’improvviso, e stava combattendo contro i due criminali rossi. Sferrava calci e pugni con estrema ferocia, senza mai sbagliare un colpo. Un Mietitore cercò di colpirlo con il calcio dell’arma, ma quello bloccò il colpo e lo disarmò, per poi colpirlo lui stesso con l’arma allo stomaco, piegandolo in due. L’altro Mietitore aprì il fuoco, ma l’individuo fu più veloce e lo disarcionò, per poi colpire anche lui con un calcio.

Gettò il fucile a terra ed estrasse un’ asta telescopica dalla cintura, poi colpì entrambi i criminali, il primo sotto il mento, ribaltandolo, il secondo in pieno volto, scaraventando anche lui a terra. I Mietitori cercarono ancora di rialzarsi, ma l’individuo li colpì ancora con estrema violenza, lasciandoli a terra.

Rachel lo guardò atterrita. Si era rimessa in piedi senza nemmeno rendersene conto, mentre guardava quel tizio. SI allontanò lentamente dalla macchina e lo osservò con attenzione. Era girato di spalle, ma non riconobbe comunque la sua uniforme. Di sicuro non era un Mietitore, ma non era neanche un poliziotto.

L’uomo si voltò all’improvviso verso di lei, facendola trasalire. Quando lo vide meglio, rimase in parte meravigliata e in parte intimorita dal suo aspetto.

La tenuta da combattimento nera era aderente, rendeva ben visibile il suo fisico ben definito. Aveva degli stivali alti fino a metà stinco e guanti, ginocchiere e copri avambracci grigi metallizzati. Diverse righe rosse scendevano lungo le placche grigie sulle cosce e lungo le spalle fino ai gomiti, una grande X del medesimo colore era invece ricamata sul petto.

Ma il volto era la parte più sorprendente. Era coperto da pittura facciale, i colori bianco e nero combinati sulla sua pelle gli davano le sembianze di un teschio. I capelli erano scompigliati e neri opachi come il carbone, gli occhi blu emanavano freddezza a dismisura. 

I due si guardarono per un istante. Rachel per un attimo temette che avrebbe attaccato anche lei, quando l’espressione di quello mutò radicalmente all’improvviso, facendosi preoccupata. Indicò verso la sua direzione e gridò: «Alle tue spalle!»

I nervi di Rachel saltarono all’improvviso e la ragazza si voltò.

Altre grida provennero dal vicolo indicato dall’uomo. Un altro individuo incappucciato girò l’angolo e corse verso di loro, sbraitando come un pazzo e brandendo due bottiglie molotov accese, una per mano.

«Quello è un kamikaze!» esclamò ancora l’uomo vestito di nero. «Allontanati!»

Rachel gridò. Cercò di nuovo di scappare, ma perse l’equilibrio e ruzzolò a terra. Il Mietitore era sempre più vicino, il cappuccio illuminato dalla luce degli stracci infuocati delle bottiglie e le sue grida gli davano un’aria quasi indemoniata.

«Alzati, presto!» gridò l’uomo truccato cominciando a correre verso di lei.

Le grida la fecero voltare. Il Mietitore correva ad una velocità sorprendente, non sarebbe mai riuscita a scappare da lui in tempo.

Fu a pochi metri da lei. Gridò più forte e sollevò entrambe le molotov, pronto a farsi saltare in aria solo per ucciderla. Rachel urlò di nuovo e sollevò una mano. Agì d’istinto. Chiuse gli occhi. Sentì una forte scossa elettrica percorrerle il corpo, per poi raggiungere la mano e disperdersi nel palmo.

Udì un altro grido disumano, seguito da un’esplosione. Il calore la raggiunse. Pensò di morire.

Poi riaprì lentamente gli occhi. Rivide lo spiazzale, le auto parcheggiate, i vicoli. Abbassò lo sguardo, vide il suo corpo, realizzò di essere ancora tutta intera. Aveva il respiro pesante, il battito cardiaco accelerato. Poi alzò di nuovo lo sguardo e strabuzzò gli occhi. Dove poco prima c’era il mietitore, ora c’era solo più un corpo carbonizzato, circondato da diverse fiamme.

Rachel rimase interdetta. Spostò ancora lo sguardo e vide la sua mano ancora sollevata. «N-No...» mormorò, sempre più incredula. «Non... non può essere...»

Il suo respiro si fece ancora più affannato. Abbassò lentamente la mano, senza staccare gli occhi da quel cadavere di Mietitore. Non riusciva più a pensare.

«Mio dio...» disse qualcuno alle sue spalle. Rachel si girò, vide l’uomo truccato ancora in piedi dietro di lei, la guardava ancora più atterrito. «La... la tua mano...»

I loro sguardi si incrociarono. Rachel non sapeva cosa dire. Dalla sua bocca non usciva altro che aria.

Altre urla provenienti in lontananza costrinsero entrambi a spostare lo sguardo. Da altri vicoli giunsero altri Mietitori, altri kamikaze, anche in cima a palazzi cominciarono a sbucarne fuori come funghi. Probabilmente quella era una zona calda.

Nel giro di pochi attimi ne arrivarono almeno una dozzina. La ragazza pietrificò di nuovo. Finalmente riuscì a sbloccare il proprio cervello e si ricordò come provare paura.

«Merda...» rantolò l’uomo truccato, per poi voltarsi verso di lei e fissarla quanto più severo possibile in volto.

«Corri.»

Rachel non se lo fece ripetere.

 

***

 

Andarono avanti fino allo stremo. Fino a quando le gambe avrebbero retto, fino a quando i polmoni non sarebbero più riusciti a pompare aria.

Per tutto il tempo, Rachel non fece altro che seguire l’uomo. Non era in grado né fisicamente né psicologicamente di rimanere da sola in quel momento, confidava che il suo precedente salvatore potesse ancora proteggerla, almeno durante la loro fuga dai Mietitori.

Attraversarono così tanti veicoli che finì col perdere l’orientamento. Calcolò, comunque, che oramai Archer Square fosse lontana anni luce. Quando, alla fine, furono sicuri di averli seminati, si fermarono per riprendere fiato.

Rachel non aveva mai corso così tanto, sentiva i polmoni bruciare, la milza dolerle terribilmente e le gambe in procinto di cederle. Ogni boccata d’aria le sembrava quasi vitale. Si appoggiò ad un muro con una mano e si piegò, per riprendere fiato. Quando abbassò lo sguardo, si rese conto di avere il palmo illuminato da un bagliore nero. Sussultò, poi scrollò la mano, pregando in silenzio che se ne andasse. Quando la luce opaca svanì, la ragazza tirò un sospiro di sollievo.

Accanto a lei, l’uomo non sembrava messo tanto meglio. Anche lui era piegato, anche lui cercava di riprendere fiato. Il sudore che gli imperlava la fronte aveva perfino cancellato alcune tracce di trucco. Era molto pallido, anche senza la pittura facciale bianca che gli copriva la pelle.

Fu in quel momento, guardandolo con più attenzione e da più vicino, che si rese conto che quell’uomo... non era affatto un uomo. Era un ragazzo, come lei, come Tara. Potevano perfino avere la stessa età.

Quello sembrò rendersi conto dello sguardo indiscreto di Rachel posato su di lui, e si voltò di scatto. La ragazza trasalì, ma non distolse comunque gli occhi. Nessuno dei due parlò, rimasero entrambi ad osservarsi e a studiarsi in silenzio. Il volto di lui era davvero inquietante. Chiunque fosse il suo truccatore, aveva fatto un ottimo lavoro.

«Sei... sei una Conduit» disse infine lui, raddrizzandosi.

«Una che?» domandò lei, con voce acuta per la sorpresa.

«Hai i poteri...» spiegò quello, con il fiatone.

«Beh... e-ecco...» Rachel esitò.

«Sei sopravvissuta all’esplosione.»

La ragazza sgranò gli occhi. Osservò incredula l’interlocutore. Arretrò, come colpita da uno schiaffo, in parte intimorita da quelle parole. «E... e tu come lo sai che sono sopravvissuta?»

«Da cosa pensi derivino quelli?» ribatté lui, accennando con il mento alla mano di Rachel, che nel frattempo si era di nuovo illuminata.

La ragazza sobbalzò quando se ne rese conto e di nuovo scrollò la mano, concentrandosi, tentando di far sparire quella stramaledetta luce. Sospirò ancora una volta quando ci riuscì. Era stata una stupida patentata ad entrare in quel vicolo, incapace com’era a controllare i suoi poteri. Non aveva mai avuto una vera chance contro quei Mietitori.

«Allora?» la incalzò ancora il ragazzo, con tono calmo, come se stessero discutendo sulla cosa più banale di quel mondo.

«I-Io... io...» Rachel ammutolì. Osservò con attenzione gli occhi glaciali del ragazzo, più il suo volto raccapricciante. Non sapeva cosa rispondere. Tutti quelli che avevano visto i suoi poteri erano scappati via terrorizzati, additandola come un mostro, un demone. Lui no. Lui era rimasto, la osservava con attenzione, per nulla spaventato e anzi, faceva perfino domande a riguardo. E sapeva anche che lei era sopravvissuta all’esplosione. Sapeva da dove derivavano i suoi poteri. Era la prima volta in assoluto che incontrava qualcuno che forse sapeva qualcosa, che forse poteva perfino aiutarla.

«Sì, sono... sono sopravvissuta.»

Mentre lo disse, le tornò in mente quel giorno. Quel terribile, fatidico giorno, di a malapena un mese prima.

Lei e i suoi compagni del collegio in gita nel Centro Storico, a vedere qualche museo di cui nemmeno ricordava il nome. Gar e Victor che come al solito si comportavano da buffoni, divertendo il gruppo. Richard e Kori, che ovviamente si tenevano per mano, Jennifer, Jade, Wally e tutti gli altri. Poi un enorme boato, la terra che aveva cominciato a tremare, i lampadari che avevano cominciato ad oscillare e gli oggetti in mostra che cadevano a terra, in frantumi. Poi vi era stata una luce azzurra e tutto era stato spazzato via.

Un attimo prima era lì, a vivere la sua vita in tutta tranquillità, in una pallosissima gita, un attimo dopo era in mezzo ad un enorme cratere, circondata da edifici in fiamme e macerie, ricoperta di ustioni e con i vestiti a brandelli. Si era rimessa in piedi e prima che fosse riuscita a formulare il più basilare dei pensieri, un elicottero l’aveva illuminata con un riflettore e un uomo con un megafono le aveva sbraitato di allontanarsi da lì, di raggiungere il ponte che univa il Centro Storico con il Neon.

Non ricordava di essersi mossa o altro. Sapeva che poco dopo il ponte era stato distrutto a seguito di altre esplosioni. Poi si era svegliata in ospedale, una settimana dopo. Avevano controllato le sue condizioni ed era uscito fuori che era perfettamente in forma. Un po’ ammaccata, ma sana con un pesce.

In un primo momento non ci aveva capito molto, ma non erano bastate che poche ore per permetterle di scoprire la agghiacciante verità. Lei era viva. Era in forma. Migliaia di persone, inclusi i suoi amici, incluso il ragazzo che amava, erano morti, per colpa di un’enorme esplosione che aveva distrutto mezzo Centro Storico. Un attacco terroristico, avevano detto ai notiziari. E lei era sopravvissuta. Nessun dottore si era chiesto il perché. Non ne avevano avuto il tempo, a causa degli avvenimenti successivi. Forse era appena avvenuto un miracolo, ma per lei non fu altro che l’inizio di una maledizione.

E dopo era successo tutto il resto. Mentre lei era in coma, la città aveva assistito alla sua stessa distruzione. I tumulti, la quarantena, l’ascesa dei Mietitori. Un processo lento ma progressivo.

Il mondo le era letteralmente crollato addosso. Non solo era rimasta in coma, non solo i suoi amici erano morti. L’intera città era morta. E quando aveva scoperto che Tara si era salvata dall’esplosione, beh, non aveva proprio fatto salti di gioia. Si era sentita come se al danno fosse stata aggiunta la beffa. E lo stesso doveva aver valso per la sua attuale coinquilina.

E per finire si era ritrovata quei poteri. Usciti praticamente dal nulla, senza motivo, senza spiegazioni. Erano apparsi fin dal primo giorno in cui si era svegliata. Ne era rimasta terrorizzata fin dal primo momento. Non era mai riuscita a controllarli e, anzi, a volte erano perfino loro a comportarsi in maniera autonoma. Ma forse, finalmente, qualcuno avrebbe potuto aiutarla.

«Tutto bene?» chiese il ragazzo, dopo diverso tempo.

Rachel drizzò la testa. Sicuramente era rimasta imbambolata di fronte a lui, in preda a quei tristi ricordi. Sospirò, poi annuì. «Sì, sì, sto bene...» Prese una piccola pausa, per raccogliere le idee, poi lo guardò. «Come mi hai chiamata, poco fa’? Con... Cond...»

«Conduit» rispose lui. «Si chiamano così le persone come te. Quelle sopravvissute all’esplosione, quelle con i poteri.»

«V-Vuoi dire che ce ne sono altre? Ci sono altre persone come me?!» domandò lei, basita.

«Più di quante tu possa immaginare.»

La corvina dischiuse le labbra. La notizia la sconvolse. Era convinta che lei fosse l’unica così, l’unica che era stata colpita da quella maledizione che erano i suoi poteri, l’unica sopravvissuta dell’esplosione. Si era sempre sbagliata. Pensò a coloro che dovevano trovarsi nella sua medesima situazione, intrappolati in una vita con addosso un fardello troppo grande per loro. E pensò anche a quelli che invece dovevano riuscire a padroneggiare i loro poteri con estrema facilità. Perché era ovvio che esistevano, a quel punto. «Q-Quindi i miei poteri... derivano dall’esplosione?» domandò, titubante.

Il ragazzo annuì ancora.

«Com’è possibile?!» strillò lei, sempre più incredula. «Come può un attacco terroristico aver...»

«Questo non lo so» la interruppe lui. «Non so come quell’esplosione possa averti fatto quello che ha fatto, tantomeno come tu abbia fatto a sopravvivere. So solo che le persone che sono sopravvissute all’esplosione ora hanno dei poteri come te e si chiamano Conduit.»

«E come fai a sapere queste cose, allora?»

Al ragazzo scappò un sorriso tirato, poi spostò lo sguardo e lo indirizzò verso il tetto di un palazzo. «Non hai la minima idea di quanti messaggi via radio si scambiano gli agenti federali infiltrati in Empire e il governo. A me è bastato solo tenere le orecchie aperte. Piuttosto...» Il suo sguardo tornò su di lei e si fece serio. «Perché non ti sei difesa da sola, da quei Mietitori?»

Rachel abbassò gli occhi, affranta. Si guardò le mani e sospirò. «Non... non sono brava, con i miei poteri. Non riesco ancora a controllarli bene. Inoltre quella era la prima volta che incontravo dei Mietitori, sono rimasta... sconvolta...»

«Mh, capisco. Beh, allora che ci facevi qui? Lo sai che i vicoli sono pericolosi.»

La ragazza sospirò. «Quella era una scorciatoia... volevo andare ad Archer Square per prendere qualche provvista. Peccato che ormai saranno finite...»

«Ah, già, le provviste. Mi spiace che tu non ce l’abbia fatta.»

 Non sembrava molto sincero, ma Rachel apprezzò comunque. Sorrise timidamente, poi tornò a guardarlo. «Beh, poteva andare peggio. Avrei potuto restare uccisa. Grazie per avermi salvata. Ti sono debitrice.»

Il moro ricambiò il sorriso. «È sempre un piacere per me malmenare i Mietitori.»

«Anche... anche tu sei un... un Conduit?»

«No, io no» rispose lui scuotendo la testa. «Sono solo bravo a menare le mani. E odio i Mietitori da morire.»

Rachel annuì, ancora profondamente grata.

Tra i due calò il silenzio. La ragazza si massaggiò un braccio, spostando il peso da una gamba all’altra, imbarazzata. Il ragazzo continuava a fissarla, non sembrava per nulla intenzionato a lasciarsi sfuggire dal suo campo visivo la corvina.

«Beh...» ricominciò lei, non riuscendo più a sopportare la situazione. «... se c’è qualcosa che posso fare per sdebitarmi...»

«A dire il vero sì...» disse lui, per poi accennare con la testa alla rete di vicoli accanto a loro. «Non molto lontano da qui i Mietitori hanno allestito una specie di base. Tu hai dei poteri, e non sembrano niente male da come hai steso quel kamikaze, poco fa. Potresti aiutarmi a distruggergliela.»

«Cosa?!» La ragazza rimase ancora una volta senza parole. Aveva chiesto se poteva sdebitarsi solo per scaramanzia, per dimostrargli che gli era davvero riconoscente. Di certo non lo fece aspettandosi una risposta affermativa. Di certo non aspettandosi una proposta del genere. «Per poco non ci uccidevano e adesso tu...»

«Hanno delle provviste» la interruppe lui, sorridendole complice. «Non è quello che ti interessa? Provviste? Beh, loro ce l’hanno. E hai anche detto di essere in debito con me. La questione è semplice, tu mi aiuti e ti sdebiti, in cambio ti puoi tenere le loro provviste, tanto a me non servono. A me sembra piuttosto ragionevole.»

Rachel rimase in silenzio. Una parte di lei era davvero interessata a quelle provviste, l’altra invece avrebbe voluto scappare via, tornare a casa e rintanarsi in camera a piangere. L’idea di quel tizio rasentava i limiti della follia. Una come lei non sarebbe mai sopravvissuta se si fosse imbarcata in quell’impresa impossibile. «E come potrei aiutarti? A malapena so usare i miei poteri, per poco quelli di prima non mi uccidevano, non posso farcela...»

«Hai detto che eri sconvolta, per quello non sei riuscita. Ma a me è sembrato che dopo tu sia riuscita a controllarli bene.»

Rachel fece una smorfia. Non riusciva proprio a capire perché quel tipo fosse così insistente. Si erano appena incontrati! Cercò di mantenere la calma, e rispose in maniera tranquilla: «Ho solo avuto fortuna. Secondo te se ci riprovassi ci riuscirei di nuovo?»

«C’è solo un modo per scoprirlo» insistette ancora lui, per poi prendersi il mento e rimuginare. «Mh... vediamo... ecco, colpisci quel cassonetto» disse, accennando con il capo ad un cassonetto poco distante da loro.

La ragazza si mordicchiò l’interno della guancia, osservando il bersaglio datole. Abbassò lo sguardo e lo indirizzò verso la propria mano. Guardò di nuovo il ragazzo e lui le sorrise, rivolgendole un cenno del capo. «Provaci, forza.»

Rachel sospirò.

Al diavolo.

Se proprio quello non voleva mettersi in testa che lei era un’incapace, che non sarebbe mai riuscita ad aiutarlo in quel modo, glielo avrebbe fatto capire. Puntò il palmo verso il cassonetto e si concentrò. Inspirò profondamente, così da azzerare qualunque tipo di tremolio della mano. Non seppe cosa fare con esattezza, perciò immaginò semplicemente un raggio di luce nera partire da quel palmo e dirigersi esattamente verso il bersaglio. Nulla accadde.

La corvina sbuffò, irritata. «Ecco, visto?! Niente di nient...»

Si interruppe all’improvviso, quando una strana sensazione, ma neanche troppo estranea, la colpì. Avvertì di nuovo la scossa elettrica dentro di lei, la sentì percorrere tutto il corpo e disperdersi proprio nel palmo. Un raggio di luce nero partì da quel punto, sfrecciò come una saetta in mezzo al vicolo e si abbatté con precisione millimetrica sul cassonetto, facendolo saltare di diversi centimetri da terra.

Rachel rimase a bocca aperta, incredula. Abbassò lentamente il braccio.

«Visto? Sei in gamba» disse il ragazzo, sorridendo compiaciuto. «Sai fare altro?»

«C-Cosa?» Rachel esitò. A malapena sapeva come aveva fatto a sparare quel raggio e lui le chiedeva se sapeva fare altro?!

Stava per rispondere con una secca negazione, ma poi si bloccò. Le tornò in mente un vecchio aneddoto riguardante lei e le splendide quattro settimane che aveva trascorso con i poteri. In effetti, c’era un’altra cosa che forse sapeva fare, ma le sembrava una follia talmente grossa che non era davvero sicura di potergliela dire. Ma dato che lui era lì ad osservarla, dato che lei detestava essere sotto i riflettori in quel modo e dato anche il fatto che quel tipo era tremendamente inquietante, decise di rispondere. Sentendosi quasi stupida, mormorò: «So... so volare...»

«Cosa?!» esclamò lui interdetto, sorriso e calma spariti nel nulla all’improvviso.

Rachel incassò la testa nelle spalle. Quella era proprio la reazione che temeva da lui. «N-Non è così semplice» si affrettò ad aggiungere. «È successo solo una volta, una ventina di giorni fa’, quando... stavo... beh, litigando con una persona, e ad un certo punto il mio corpo è stato investito da una luce nera, le mie braccia si sono... ecco... trasformate in ali, e mi sono ritrovata a levitare da terra. Non è durato molto, non appena me ne sono resa conto sono stata assalita dal panico, la luce è scomparsa e sono caduta a terra. Non mi è mai più successo dopo, e di sicuro io non ci ho più riprovato di mia spontanea volontà...»

«Mh...» mugugnò lui, ritornando serio. Rachel percepì gli ingranaggi del suo cervello mettersi in moto per elaborare qualche diavoleria. Pensò che l’avrebbe mandata al diavolo. Sinceramente, lei lo avrebbe fatto. Nessuno sapeva volare, era impossibile. Probabilmente quelle ali di cui aveva parlato se le era sognate.

Quello invece la sorprese ancora una volta. «Beh... cosa stiamo aspettando allora?» disse, dopo quell’attimo di riflessione.

Rachel dischiuse le labbra. «Che... che intendi dire?»

Lui per tutta risposta sorrise diabolico. Assomigliò per davvero ad un teschio, in quel momento. Fu ancora più inquietante.

«Oh sì, sarà uno spasso. Forza, seguimi!»

 

 

 

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Capitolo 3
*** Sometimes they come back ***


 

III

Sometimes they come back

 

Ormai doveva essere pomeriggio inoltrato. Il cielo era grigio, ricoperto da nuvole. Faceva anche piuttosto freddo, a causa della brezza che si era sollevata quasi all’improvviso.

Soprattutto sul tetto di quel palazzo, l’aria era gelata e scompigliava i capelli di Rachel.

Mentre si stringeva nelle spalle per scaldarsi, la ragazza sbuffò. Ma chi gliel’aveva fatto fare di salire la sopra insieme ad un ragazzo inquietante di cui tra l’altro nemmeno sapeva il nome?

Lo stomaco le brontolò all’improvviso. Fece una smorfia. «Ecco perché...» mugugnò infastidita.

«Hai detto qualcosa?» chiese il ragazzo, poco lontano da lei. Era girato di spalle ed osservava con attenzione il panorama di fronte a loro, un miscuglio di tetti grigi, finestre, antenne, parabole e ventole d’areazione.

«No, no, niente...» borbottò lei, con i denti che battevano per il freddo. «P-Piuttosto... non mi hai ancora detto il tuo nome...»

«X» ribatté lui, senza voltarsi.

«Cosa?» Rachel pensò di aver capito male, ma il ragazzo ripeté pazientemente: «Puoi chiamarmi X. O Red X, come preferisci.»

«Red X?» domandò ancora lei, con una lieve venatura di divertimento nella voce. «Ma che razza di nome...»

Si interruppe di colpo, quando il ragazzo si voltò per fissarla truce. «Prego?»

«Ehm... niente... bel nome!» Rachel cercò di sorridere per sembrare convinta delle proprie parole, ma il risultato che ottenne fu una mezza smorfia beffarda.

Lui la soppesò con lo sguardo, socchiudendo le palpebre, poi grugnì e si voltò. La ragazza smise di trattenere il respiro.

E Red X sia..., pensò. Era ovvio che quello fosse solo un nome fittizio. Si domandò quale potesse essere, dunque, la sua vera identità.

«Il tuo?» chiese X.

«Rachel» rispose la corvina, continuando a cercare di scaldarsi.

«Bene Rachel, è ora di far spuntare quelle ali di cui mi hai parlato» disse lui, voltandosi, rivolgendole un mezzo sorriso complice.

«C-Cosa? Ma ti ho detto che...»

«Che ti è successo solo una volta, sì. E ricordi cosa facevi quella volta?»

«Beh... stavo... litigando...»

Red X annuì, con un’ espressione soddisfatta un volto. «Esattamente. Stavi litigando. E quando ti sei accorta di cosa ti stava succedendo, ti sei spaventata e sei tornata normale.»

«Quindi??» Rachel lo soppesò con lo sguardo, corrucciando la fronte. Non riusciva proprio a capire dove volesse andare a parare.

«Ma non è chiaro?» chiese lui. «Durante il litigio eri arrabbiata e quindi ti sei trasformata, ma quando ti sei spaventata poco dopo, la rabbia è sparita e così le ali. Devi arrabbiarti, Rachel. Provaci, forza!»

La ragazza dischiuse le labbra. «Vuoi dire che i miei poteri funzionano in base alle mie emozioni?!»

X scrollò le spalle. «Tu hai altre spiegazioni?»

«Ma com’è...»

«E io lo so secondo te?» la zittì lui. «Il corpo è tuo, i poteri sono i tuoi, non i miei! Sei tu che in primis devi capire come funzionano, come usarli e, soprattutto, come sfruttarli al meglio. Io posso aiutarti, certo, ma la maggioranza del lavoro spetta a te. Non posso capire cosa stai pensando in questo momento, né cosa stia accadendo dentro di te. Sei tu che devi saperlo.»

Rachel rimase in silenzio, a riflettere sul significato di quelle parole. Spesso si era sentita una bomba pronta ad esplodere, a causa dei suoi poteri. I primi giorni, soprattutto. Aveva poi imparato a tenerli un minimo a bada, ma spesso aveva avuto paura di implodere dall’interno, a furia di tenerli segregati dentro di sé. Aveva paura di ciò che poteva  fare, di come le persone potevano reagire vedendola, aveva paura del mostro che rischiava di diventare.

Aveva bisogno di imparare ad usare quei poteri. Non tanto per lei, quanto più per le persone che la circondavano. Ma soprattutto, aveva bisogno di imparare a conoscere sé stessa, come X aveva detto. Inspirò profondamente, poi guardò il ragazzo, seria in volto. «Perché fai tutto questo? Perché sei così intenzionato ad aiutare una ragazza che hai appena conosciuto, una... Conduit, per giunta?» Le fece uno strano effetto autodefinirsi con quella parola.

«Perché potresti darmi un grande aiuto con i Mietitori» rispose lui, scrollando le spalle.

«Perché li odi così tanto?» chiese allora lei.

«Non sono affari tuoi» ribatté il ragazzo, freddamente.«Sappi solo che vorrei vederli bruciare dal primo all’ultimo. E comunque, se non ti do una mano io con i tuoi poteri, allora non lo farà nessun altro. La gente ha il terrore di quelli come te.»

La corvina si morse un labbro. Sapeva che la gente si teneva alla larga da lei, ma sentirselo dire le fece comunque male. Si fece coraggio e cercò di allontanare quel pensiero, poi sollevò lo sguardo. «Mi aiuterai, quindi?»

«Ci proverò» ribatté lui, accennando un sorriso.

Udendo quelle parole, anche alla ragazza venne da sorridere. Quel tipo misterioso era davvero il primo che sembrava intenzionato a darle una mano, proprio come lui stesso aveva detto. A nessuno sarebbe mai venuto in mente di aiutare una bomba ad orologeria come lei. Bisognava essere davvero coraggiosi, oppure stupidi, dipendeva dai punti di vista. Gli rivolse un cenno del capo, riconoscente. «In tal caso... sono doppiamente in debito con te.»

Red X grugnì di nuovo, voltandosi ancora verso i palazzi. «Allora vedi di sbrigarti, che non abbiamo più molto tempo. Forza, fai come ti ho detto, arrabbiati.»

Quell’ordine lasciò un po’ perplessa la ragazza. «E come dovrei fare?»

«Non capisco se ci sei o ci fai.» X sospirò esausto. «Davvero devo essere io a spiegarti cosa fare? Pensa a qualcosa che odi, santo cielo, pensa... all’esplosione e a come la tua vita è stata sconvolta! Ci sarà pur qualcosa che ti faccia incazzare come una belva!»

Rachel fece una smorfia. «La mia vita... già...»

Una montagna di delusioni, le cui fondamenta erano state gettate da praticamente il giorno della sua nascita fino a quel momento. Fin da quando era bambina la sua esistenza era stata un continuo susseguirsi di alti e bassi. Più ci pensava, più si sentiva triste, anziché arrabbiata.

I suoi genitori non c’erano più. I suoi amici non c’erano più. Le uniche persone che come lei avevano avuto dei problemi e l’avevano compatita, l’avevano capita e accettata tra loro, nonostante la sua enorme riservatezza e apatia, non c’erano più. Così come non c’era più l’unico ragazzo che era stato in grado di far smuovere qualcosa dentro di lei. Quel ragazzo che era sempre riuscito a farla sorridere con un niente, a cui bastava solo la sua presenza per farla stare meglio. Uno che al tempo era riuscito a capirla molto più degli altri, con il quale si era sempre sentita davvero bene, che le aveva fatto battere il cuore.

Lo aveva conosciuto quando era poco più che una bambina, ed erano rimasti insieme per tutti gli anni seguenti. E quando aveva capito che la loro non era più semplice amicizia e che avrebbe potuto sfociare in qualcosa di più, al collegio era arrivata lei. E glielo aveva portato via, sotto i suoi occhi.

Quella ragazza era gentile, solare, apprezzava gli scherzi e le battute, era l’esatto opposto di Rachel. E lui se n’era innamorato fin dal primo sguardo. E Rachel era caduta nel dimenticatoio. Aveva sofferto, e molto anche. Il suo cuore era andato in frantumi, ma non lo aveva mai dato a vedere. Aveva sofferto in silenzio, nascondendosi sotto la sua maschera apatica. L’unica cosa che era cambiata nella sua vita fu che da quel giorno non aveva più sorriso in compagnia di quel ragazzo. Mai più.

E poi l’esplosione lo aveva portato via. Rachel avrebbe voluto essere felice, infischiarsene alla grande di lui, di quel traditore, ma la verità era stata ben diversa. Aveva sofferto. Di nuovo. Per la morte di colui che le aveva spezzato il cuore e che non l’aveva considerata altro che un’amica.

Rachel sentì un labbro tremolare. Lei non aveva mai fatto nulla di male, a nessuno. Era sempre stata una persona riservata, tranquilla, che si faceva gli affari suoi e non amava gli impiccioni. Anche quando era bambina si era sempre comportata in maniera educata e gentile. Aveva collaborato con tutti gli adulti che avevano avuto a che fare con lei, era sempre stata obbediente, non euforica come tutti gli altri. Non si era mai lamentata di nulla, aveva sempre ringraziato per quel poco che aveva avuto, ed ecco cosa aveva ottenuto.

Niente. Niente di niente, solo dolore, tristezza e sofferenza.

E quei poteri. Quei maledetti poteri di cui non sapeva che farsene, che ogni giorno la costringevano a lottare con sé stessa, per avere la supremazia su di loro. Perché anche quando aveva pensato che forse il peggio aveva raggiunto il suo apice, aveva dovuto ricredersi. Anche quando aveva creduto che con l’esplosione tutto fosse finalmente finito, che la sua vita non potesse peggiorare ulteriormente dopo quel così alto picco di dolore, era stata costretta a ricredersi e a convivere ogni giorno con quella maledizione che non sembrava voler collaborare con lei in alcun modo.

Strinse i pugni senza rendersene conto. Una lacrima solcò la sua guancia. Serrò la mascella e fissò il pavimento grigio. Una sola domanda le sorgeva spontanea: perché? Perché tutto quello, perché a lei? Lei che non aveva mai fatto del male nemmeno ad una mosca? Il karma si era sbagliato e stava punendo lei al posto di qualcun altro?

Non lo sapeva, non lo avrebbe mai saputo.

Sapeva solo che era stanca. Stanca di quella vita. Non ne poteva più. Anche prima, quando aveva cercato di combinare qualcosa di utile tentando di andare a prendere quelle provviste, per poco non era stata uccisa da degli squilibrati. La vita aveva di nuovo cercato di punirla anche quando aveva agito pensando al bene non solo di lei, ma anche a quello di un’altra persona, che oltretutto da lei non meritava proprio un bel niente.

Era così, dunque, che avrebbe proseguito la sua esistenza? L’avrebbe passata vivendo nella paura di ciò che la vita le avrebbe ancora riservato? Avrebbe dovuto vivere temendo tutte le possibili angherie che quel karma maledetto le rifilava?

Sollevò lo sguardo, osservando l’orizzonte. Quel luogo dove qualcuno gongolava per essere riuscito nel suo intento di colpire Empire con chissà quale bomba, e dove gli agenti del governo se ne stavano seduti a poltrire, mentre quella città cadeva a pezzi.

E lei, stupida, se ne sarebbe rimasta lì, sotto quella pioggia di tormenti e delusioni che cadeva torrenziale su di lei?

«No...» sussurrò a denti stretti. «Ora basta...»

«Mh? Hai detto qualco...»

X cercò di parlare, ma questa volta fu Rachel ad interromperlo, gridando a pieni polmoni. Rovesciò la testa all’indietro, serrò gli occhi e allargò le braccia, rigettando tutta la sua frustrazione fuori dal proprio corpo. Ne aveva abbastanza, di tutto e tutti. Ora era tempo di rispondere per le rime alla vita stessa.

Sentì un’ondata di energia travolgerla. La stanchezza accumulata poco prima svanì, rimpiazzata da una scarica di adrenalina. Il cuore accelerò i propri battiti, il suo corpo fu percosso da decine di brividi e convulsioni. Avvertì ancora quella scarica elettrica dentro di lei, solo che questa volta anziché disperdersi nei soli palmi sfociò in ogni centimetro di pelle.

Riaprì gli occhi. Gli edifici e il cielo riapparvero davanti a lei, ma questa volta erano diversi. Erano rossi. Tutto quanto era rosso. Gridò ancora più forte, inarcò ulteriormente la schiena e sentì il suo intero corpo venire avvolto dall’energia nera. Una sensazione che le infuse un gradevole tepore, si sentiva come avvolta da una calda coperta. Ma soprattutto, sì sentì incredibilmente forte. Si sentì potente.

Il suo corpo si sollevò lentamente da terra, oramai stava assumendo sempre di più le sembianze di un rapace nero come l’oscurità più profonda. Le braccia erano diventate ali, le gambe erano svanite, lasciando posto alla coda da volatile, anche il suo volto stava venendo nascosto dalla luce nera, da cui, tuttavia, spiccava il rosso sangue dei suoi occhi.

Si era trovava a diversi metri di altezza, oramai. Da lì vedeva meglio le strade, la gente che camminava e chi si era accorto di lei e la additava, urlando spaventato. Sembravano tutte formiche ai suoi occhi. Avrebbe potuto schiacciarli con estrema facilità, avrebbe potuto essere lei quella a dettare legge, ma soprattutto avrebbe potuto dare a tutte quelle persone che l’avevano additata come un mostro, un ottimo motivo per temerla. Era forte, era potente, nulla e nessuno avrebbe potuto toccarla in quel momento.

Un sorriso maligno apparve sul suo volto. Da tempo immemore non si sentiva così... bene. Le sembrava di essere appena rinata.

 Era intoccabile, una dea, poteva radere al suolo quel quartiere schifoso, era...

Degli schiamazzi attirarono la sua attenzione. Si voltò, irritata, pronta a distruggere chiunque fosse stato così folle da infastidirla. Abbassò lo sguardo e vide un ragazzo con il volto truccato sbracciarsi e gridare, con un sorriso di trionfo stampato in faccia. «Hai visto Rachel? Ci sei riuscita!»

Rachel lo guardò, perplessa. Quel tipo lo aveva già visto da qualche parte. Aveva un nome strano, con un colore ed una lettera...

Mentre si concentrava si di lui, sentì qualcosa di anomalo accadere dentro di lei, una specie di scossa sismica che la percorse lungo tutto il corpo. Poi avvertì un forte dolore alle tempie. Gridò di nuovo, sbatté le palpebre con forza e chinò la testa in avanti. Avvertì la coperta attorno a lei dissolversi lentamente, fino a che non percepì di nuovo l’aria fredda che tempestava sulla cima di quel palazzo. Riaprì le palpebre e gemette sorpresa quando si rese conto di non vedere più tutto quanto tinto di rosso, ma con i colori di sempre.

Poi vide il mondo alzarsi di fronte a lei all’improvviso. Rachel sgranò gli occhi, sorpresa, e fu solo allora che si rese conto che non era il mondo ad alzarsi, ma lei ad abbassarsi. Stava precipitando. Nessuna luce nera l’avvolgeva più, niente ali, niente coda. Gridò e si sbracciò disperatamente, cercando di aggrapparsi ad un appiglio che naturalmente non avrebbe mai trovato. Sotto di lei vide X sgranare gli occhi, poi correre verso la sua direzione.

Quando fu in procinto di trasformarsi in una frittata sul tetto, il ragazzo riuscì ad arrivare in tempo per afferrarla al volo, ma non aveva fatto i conti con il peso e la velocità nella caduta di Rachel. Entrambi grugnirono di dolore e si ritrovarono sdraiati a terra, una sopra l’altro.

Era tutto finito. Quel momento così... tanto irreale quanto meraviglioso era finito.

«Ahia...» mugugnò Rachel, strisciando via dal corpo del ragazzo per poi ritrovarsi sdraiata accanto a lui, ancora mezza dolorante.

Da X, invece, giunse una goffa risata strozzata, che sorprese parecchio Rachel. «Beh, ti devi allenare ancora un po’...»

La corvina si drizzò a sedere, poi lo guardò ancora mezza spaesata. «Ahm...»

Anche lui si sedette, per poi guardarla. «Comunque, è stato pazzesco. Sono invidioso di te, sappilo.»

«I-Io...» Rachel abbassò la testa, per poi sorreggerla con una mano sulla fronte. «Ci... ci sono riuscita davvero?»

«Oh sì. Puoi dirlo forte.»

La ragazza dischiuse le labbra e fissò il suolo. X stava dicendo di sì, eppure lei stentava a crederci. Anzi, faticava proprio a ricordare cosa avesse appena fatto. Si massaggiò una tempia, rimuginando. In effetti, sì, si era sollevata da terra. Anzi, il suo corpo aveva subito una vera e propria metamorfosi. Eppure, sentiva i ricordi annebbiati. Dopo che il mondo era diventato rosso all’improvviso aveva... no, un momento. Il mondo era diventato rosso?

... No... no, non era diventato rosso. Forse aveva usato troppe energie e adesso aveva la mente un po’ affaticata e che le giocava brutti scherzi. Sì, era sicuramente così.

Dei colpi di tosse la fecero girare di scatto. X si era rialzato, massaggiandosi le spalle, poi si voltò verso di lei. «Bene, direi che qui abbiamo finito. Pronta per prendere a calci qualche Mietitore?»

«Ecco...» Rachel esitò. Si sentiva strana, stordita, la testa le ciondolava ancora. Sollevò entrambe le mani e le guardò. Deglutì, poi espirò e si concentrò profondamente su di esse. Entrambe si illuminarono quasi istantaneamente, obbedienti.

Alla ragazza tornò un barlume di tranquillità. Allargò le braccia e questa volta inspirò, poi si concentrò di nuovo profondamente. Molto lentamente, la luce nera avvolse entrambi gli arti, prendendo le conformità di un paio di ali. La corvina sorrise tenuamente. Li controllava. Aveva appena controllato i suoi poteri. Riprovò diverse volte. Li attivò e li disattivò. La luce nera appariva e scompariva ad intermittenza, obbedendo ad ogni suo comando. Rachel si sentì sicura. Sicura come non mai. Forse averli scatenati come aveva fatto poco prima aveva funto da interruttore. Ora erano accesi, pronti, disponibili, prima invece no.

Un sospiro di sollievo uscì dalla sua bocca, poi guardò Red X, determinata. «Io ti aiuto e tu mi lasci le provviste?»

«Come da accordo» annuì lui.

La ragazza allargò il suo sorriso. Stava per andare a suicidarsi, ne era certa. «E allora cosa stiamo aspettando?»

 

***

 

La loro fu un’accoglienza piuttosto calorosa. Nel senso che non appena arrivarono i Mietitori li investirono con una scarica di proiettili, razzi e granate.

Rachel volava libera nell’aria, racchiusa nella sua forma da rapace oscuro.

I Mietitori cercavano di colpirla con ogni mezzo, ma lei era troppo veloce anche per le loro armi. Red X, a terra, attaccava chiunque gli capitasse a tiro. Anche Rachel di tanto in tanto rispondeva al fuoco con qualche raggio di luce nera, ma il suo ruolo era perlopiù quello da esca. Lei distraeva i nemici, X li stendeva.

La base dei Mietitori alla fine non era nemmeno una vera e propria base, ma una specie di casupola di cemento dismessa e situata in mezzo ad un altro spiazzale tra i vicoli. Era circondata da reti di ferro e sacchi di sabbia ammassati gli uni sugli altri, a mo’ di trincee. Non c’erano nemmeno poi tanti nemici alla fin fine. Una decina, all’incirca.

Un Mietitore aprì il fuoco su di Red X, che fu costretto a nascondersi dietro una delle trincee improvvisate. Rachel vide il compagno in difficoltà e scagliò un raggio di luce contro il nemico, spedendolo dritto al tappeto.

Altri provarono a colpire lei, a quel punto, ma la ragazza fu ancora una volta più veloce e si spostò in tempo per evitare la scarica di proiettili. Fu Red X questa volta a salvarla dai Mietitori, approfittando della distrazione. La tattica continuava a funzionare egregiamente. Forse era anche dovuto al fatto che i criminali che stavano affrontando non brillavano certo di arguzia.

Mentre volava, schivava e attaccava, Rachel sentiva la paura provata poco prima farsi sempre più lontana. Ed era una sensazione divina. Riuscire a controllare i suoi poteri in quel modo era un sollievo tale che si sentiva come privata dal peso del mondo sulle sue spalle. Finalmente era lei quella che infieriva e soprattutto, finalmente non era costretta a scappare o a subire i colpi degli altri.

A quel pensiero, si sentì travolgere da un’altra ondata di energia e proseguì il combattimento con molta più intensità.

Non andarono avanti per ancora molto. Dopo una decina di minuti, lei ed X erano gli unici rimasti in grado di reggersi in piedi.

Rachel atterrò, ritornando in forma umana. Quando ritoccò terra con i piedi, si sentì pervadere da un brivido di eccitazione. Guardò X, non riuscendo a non sorridere come una bambina in un negozio di giocattoli. «Ce l’abbiamo fatta!»

Il ragazzo abbozzò un mezzo sorriso, riponendo nella cintura l’asta telescopica. «Beh, che ti aspettavi? Che fallissimo? Te l’avevo detto Rachel, con i tuoi poteri sei forte. Ed io... beh, sono io. Era ovvio che avremmo vinto.»

«Tiratela di meno, spaccone» ribatté Rachel senza smettere di sorridere. Il suo sguardo si spostò poi sulla casupola dei Mietitori. Vide alcuni dispenser con stampati sopra i simboli della città e del governo. Li riconobbe all’istante. Allargò ulteriormente il sorriso. Se si fosse vista ad uno specchio con quell’espressione non si sarebbe mai riconosciuta. Non credeva di essere mai stata così felice per una cosa banale come del cibo. Ma d’altronde, la felicità si trova sempre nelle piccole cose. Cominciò a correre verso le casse, entusiasta come non mai.

«Io uno spaccone?» domandò Red X, mentre lei si allontanava. «Tsk... dovresti solo ringraziarmi...»

Rachel nemmeno lo sentì. Raggiunse le casse e le guardò da vicino. Erano quelle, non c’erano dubbi. Vide un piede di porco per terra lì vicino e lo raccolse. Probabilmente i Mietitori stavano per banchettare prima di essere interrotti da loro due.

Mangerò anche alla loro salute, si disse Rachel, piantando il piede di porco sotto al coperchio del dispenser. Stava per aprirlo, immaginandosi già la sensazione divina che avrebbe provato rimettendo sotto i denti qualcosa di commestibile, quando una voce di sollevò in aria, paralizzandola: «Ora basta, Rachel.»

La ragazza sentì il respiro mozzarsi all’improvviso. Il cuore smise di battere. La felicità svanì nel nulla, come una bolla che scoppiava. Qualcuno l’aveva appena chiamata per nome. E non era stato X. Quel tono di voce non apparteneva al ragazzo in nero. Ma l’avrebbe comunque riconosciuto fra mille. Calmo, serio, posato e talvolta autoritario. Si voltò lentamente, pallida come un lenzuolo, ripetendosi mentalmente fino allo sfinimento che tutto ciò non poteva essere vero, che quella voce non apparteneva davvero a chi credeva.

Sussultò. Un Mietitore era apparso dal nulla ad una ventina di metri da loro, ma questo era diverso da tutti gli altri. Aveva indosso dei pantaloncini neri, un lungo cappotto bianco gli arrivava all’altezza delle ginocchia, le quali erano coperte fino ai sandali da delle fasce del medesimo colore. Lungo i bordi del cappotto erano disegnate delle linee nere, che nella regione toracica di diramavano in più direzioni. Il cappuccio alzato impediva di scorgere il suo volto, e su una specie di visiera aveva disegnato un cranio con dei denti sporgenti e affilati. Sembrava avere indosso un costume da scheletro. «Ti sei divertita abbastanza» disse ancora, con quella voce.

Rachel rimase immobile. Il suo cervello si resettò e rifiutò categoricamente di aiutarla in quel momento. Non sapeva né cosa dire, né cosa fare. Quella voce... non poteva essere vero. Non poteva essere.

Red X accanto a lei si irrigidì. «Merda...»

I due ragazzi rimasero immobili, ad osservare il nuovo arrivato, a studiarlo in silenzio in ogni suo minimo particolare. Eccezion fatta per i vestiti, era identico a tutti gli altri Mietitori. Aveva perfino il loro classico fucile in mano. Tuttavia emanava un alone di forza e mistero ben più grande di quello dei suoi colleghi.

«Non ho nulla contro di te, Rachel. Lascia stare quelle casse di cibo e vattene da qui. E ti prometto che farò finta di non averti mai più rivista.»

«Come fa quel tipo a conoscerti?!» sussurrò X a Rachel, mentre estraeva di nuovo la sua asta telescopica e si preparava.

Rachel non rispose. Le parole non le morirono in gola, non le arrivarono proprio. Il compagno si accorse del suo silenzio e si accigliò. «Ehi! Ci sei?»

Ancora silenzio. La corvina non proferiva parola, in alcun modo.

«Direi che oggi vi siete divertiti abbastanza» disse ancora il Mietitore, camminando verso di loro con estrema calma. Il rumore dello scalpiccio dei suoi sandali di legno sul cemento si sollevò. «Ma ora basta. Andatevene. O dovrò passare alle maniere forti.»

«Rachel? Rachel!» X la chiamò ancora sottovoce, ma lei rimase in silenzio. Non riusciva a staccare gli occhi da quel Mietitore e non riusciva non a pensare ad altro che alla sua voce. Voleva disperatamente sapere chi fosse. Avrebbe voluto chiederglielo lei stessa, per vedere se si era sbagliata oppure no, ma non ci riusciva. Era paralizzata.

Un verso frustrato di Red X la fece riscuotere. Il ragazzo aveva cominciato a roteare l’asta, ringhiando furibondo. «Allora faccio da solo!»

Partì alla carica. Fu quello il segnale che permise alla corvina di sbloccarsi dalla trance in cui era entrata. Tese una mano verso di lui e cercò di fermarlo, di dirgli che quello era un avversario ben oltre la sua portata, ma ormai era tardi.

Red X corse verso il Mietitore, puntandogli contro l’arma e gridando in segno di sfida. «Ti sistemo io!»

Il criminale vestito di bianco smise di camminare e rimase immobile mentre il ragazzo si fiondava su di lui. Non alzò l’arma, non mosse un solo dito, niente di niente, attese e basta.

X lo raggiunse e gridò ancora più forte, poi abbatté il bastone su di lui. Rachel trattenne il fiato. Il tempo sembrò rallentare. L’asta arrivò a pochi centimetri dal volto incappucciato del Mietitore... e li si fermò. Red X fece un verso incredulo. Anche Rachel rimase a bocca aperta. Il Mietitore aveva bloccato l’attacco con l’ausilio di una sola mano, quella non occupata dal manico del fucile. Il ragazzo faceva forza con entrambe le braccia sull’asta, grugnendo per lo sforzo, tentando di vincere la contesa, ma l’arma non si muoveva di un millimetro.

«Vi avevo avvertiti» disse il Mietitore, facendo rabbrividire Rachel. Poi quello si mosse con una velocità allarmante. Lasciò cadere il fucile a terra e colpì X con un pugno in pieno volto, scaraventandolo a decine di metri di distanza da lui. Il ragazzo truccato urlò di dolore, poi stramazzò al suolo, e li vi rimase. La corvina osservò la scena impotente, inorridita dalla forza mostruosa di quel criminale in bianco. Una parte di lei avrebbe voluto andare ad aiutare Red X, ma un’altra le impediva categoricamente di muoversi.

Il Mietitore poi si voltò verso di lei, facendola trasalire. Afferrò con entrambe le mani le estremità dell’asta di X, poi strinse la presa con forza e la spezzo in due, come se fosse stata un ramoscello di legno sottile. Gettò entrambi i monconi a terra, senza schiodare il suo volto celato da quello della ragazza. «Te lo ripeto ancora una volta Rachel. Vattene. Non essere sciocca come il tuo amico.»

La ragazza fece vagare lo sguardo tra il Mietitore ed X. Voleva chiedere al primo chi fosse, avere la conferma delle sue teorie, e voleva anche aiutare il suo amico. Ma non riusciva a fare nessuna delle due cose. Il Mietitore mosse altri passi verso di lei. La ragazza lo osservò in silenzio, poi deglutì. Capì che se non si fosse decisa, avrebbe solo finito con il peggiorare la situazione. Inspirò profondamente, raccolse le forze, poi riuscì finalmente a domandare: «C-Chi sei tu? Chi diavolo sei?! Come fai a conoscermi?!»

Il Mietitore si fermò di nuovo. La scrutò in silenzio. Rachel pensò di avere appena firmato la sua condanna, invece quello la sorprese. «Mh. Immagino sia giusto rivelartelo.»

Afferrò i bordi del cappuccio con entrambe le mani e lo abbassò con un lento e straziante movimento. Più centimetri del suo volto entravano in contatto con la luce naturale del sole calante, più Rachel spalancava le palpebre. Quando, infine, il volto pallido e cadaverico del Mietitore apparve ai suoi occhi, la ragazza si sentì morire dentro.

Indietreggiò, incredula, incapace di accettare ciò che stava vedendo. Non poteva essere vero, non poteva essere davvero lui, non riusciva a capacitarsene. Lui era morto. Morto insieme a tutti gli altri suoi amici. Quando finalmente parlò, a malapena udì le sue stesse parole:

«R... Richard!»

 

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Capitolo 4
*** Pain ***


 

IV

Pain

 

Rachel indietreggiò terrorizzata. Non credeva a ciò che vedeva. Non poteva essere vero. Richard era morto davanti ai suoi occhi, insieme a tutti i suoi altri amici. Insieme a Kori, Victor, Wally, Garfield...

La luce blu aveva cancellato ogni cosa. Nel cratere c’era solo lei. Lei e lei soltanto. Non aveva visto nessun’altro in mezzo a quella landa desolata. Tantomeno lui.

Eppure... i suoi occhi non mentivano. Il volto del ragazzo era pallido, molto di più di quello che ricordava. Era scarno, prosciugato, coperto in più punti da macchie nere simili a piaghe. I capelli un tempo neri e lucenti ora erano grigi scuri, come ricoperti da cenere. Sembrava invecchiato di dieci anni, ma i suoi occhi azzurri erano comunque gli stessi. Quello sguardo apparteneva solo a lui. E quello era il suo volto, non c’erano dubbi. La sua voce, l’intonazione, il fatto che lui conoscesse Rachel. Era impossibile da credere, ma era lui.

«Sono Robin adesso» disse Richard all’improvviso, guardandola severo.

La ragazza trasalì, riscuotendosi dai suoi pensieri. «C-Cosa? R-Robin?»

«Richard è morto nell’esplosione, insieme a tutti i nostri amici. Ora sono una nuova persona.» Sollevò una mano, mettendola in bella mostra davanti a Rachel. Dal suo palmo si scaturirono decine e decine di scintille nere, blu e bianche, simili a quelle dei fuochi d’artificio. «Sono un Conduit. Proprio come te.» Chiuse la mano e le scintille svanirono.

Rachel rimase esterrefatta. Ancora non credeva ai suoi occhi, o forse semplicemente era lei a non volere ciò, ma era comunque impossibile negare la verità.

Era vivo. Richard era vivo, di fronte a lei. Era sopravvissuto all’esplosione. Era un Conduit. E quel che era peggio, era un Mietitore. Non le sembrava possibile. Uno come lui, come Richard, un ragazzo che aveva sempre lottato per avere giustizia anche nelle cose più banali, uno con simili e nobili ideali, non poteva appartenere al più schifoso gruppo criminale che il mondo potesse aver mai visto. Era impossibile.

Come se non bastasse, sapeva che lei era una Conduit. E da come aveva reagito quando l’aveva rivista, era perfino probabile che sapesse che lei fosse viva da settimane. 

«Ora che hai avuto ciò che volevi, devo chiederti di andartene, di nuovo. Contro di te non ho assolutamente nulla. Eri mia amica, la mia più cara amica, non voglio farti del male, Rachel. Se te ne vai farò finta che qui tu non ci sia mai stata. Te lo prometto.»

Quelle parole ferirono a morte la ragazza. Dopo tutto quello che avevano trascorso, vederlo schierato contro di lei, udire simili parole, la uccideva. Come poteva comportarsi in quel modo?

«Perché, Richard?!» gridò, prossima al pianto. «Perché lo stai facendo?! Perché sei un Mietitore, perché dopo l’esplosione non mi hai cercata?! Avremmo... avremmo potuto...»

«Non avremmo potuto fare un bel niente.» Richard strinse i pugni, mentre il suo volto si oscurò. «Lei è morta, Rachel. Davanti ai miei occhi. L’ho persa per sempre, l’esplosione me l’ha portata via. Mi ha portato via Koriand’r. Quando mi sono svegliato in mezzo a quel cratere ci ho messo un po’ per capire cosa fosse successo. E quando ci sono riuscito, quando ho capito di averla persa per sempre e ho scoperto di avere dei poteri, ho giurato che il responsabile di tutto quello avrebbe pagato a caro prezzo ciò che aveva fatto. Mi è stata offerta un’opportunità, dai Mietitori, e l’ho sfruttata. Ora sono uno dei loro migliori uomini. Non condivido per niente ciò che fanno, ma se voglio trovare e uccidere colui che ha ucciso la mia Kori, ho bisogno del loro aiuto.»

Risollevò lo sguardo. Rachel rimase paralizzata di fronte al suo sguardo severo. Sembrava quasi lei la causa di tutto ciò che era successo al ragazzo.

«Te lo ripeto un’ultima volta, Rachel. Non voglio farti del male, ma non esiterò a farlo se mi costringi. Vattene da qui. Non hai speranze contro di me.»

«Cosa te lo fa pensare?!» ribatté Rachel, sollevando entrambe le mani, ordinando ad esse di illuminarsi di nero. Le parole del ragazzo... l’avevano fatta imbestialire. Come poteva dire tutte quelle cose a lei? In quel modo? Le aveva detto di essersi unito ai Mietitori solo per vendicare Kori. La sua Kori, la ragazza che amava. E non aveva pensato a tutti gli altri? A tutte le persone che avrebbero sofferto vedendolo comportarsi in quel modo?! Non aveva pensato... a lei?

«Abbassa quelle mani, Rachel» disse Richard, con tutta calma. «Tu non sai controllare nemmeno un quinto dei tuoi poteri.»

«Sì che li so controllare! E ora te lo dimostrerò!»

«Sicura che non siano loro a controllare te?»

Rachel si bloccò all’improvviso. Sgranò gli occhi, esterrefatta.

«Tu non hai la minima idea dell’energia che si cela dentro di te» proseguì il Mietitore. «Se pensi solo di poter volare, o sparare raggi dalle mani, allora ti sbagli di grosso. Potresti distruggere l’intera città con uno schiocco di dita. Pensi davvero di essere in grado di controllare un simile potere?»

Il ragazzo cominciò ad incamminarsi verso di lei, inquietante come un vero scheletro. «Più li userai, più li risveglierai, più si impossesseranno di te. Immagino che stia già succedendo. È solo questione di tempo. Diventeranno sempre più forti, fino a quando tu non riuscirai più a tenerli a bada. Tu non hai né la forza fisica, né quella psichica, per fermali. Tu non sei come me, come Kori, o come tutti i nostri defunti amici. Tu sei molto più debole. I poteri ti avveleneranno la mente. E a quel punto finirai con l’autodistruggerti.»

Le mani di Rachel si erano abbassate in maniera autonoma, mentre ascoltava quelle parole. Spesso era stata definita debole. Più e più volte. Lei era sempre stata l’ultima della classe, in quel genere di cose. Non era forte fisicamente, non lo era mai stata. Ma sentirsi dire certe cose da lui, da Richard, la ferivano. La ferivano nel profondo. Una delle poche persone di cui aveva sempre pensato di potersi fidare, non solo l’aveva tradita, ma ora la stava umiliando. Letteralmente. E faceva male. Faceva molto male.

La ragazza abbassò la testa. Diverse lacrime fuoriuscirono dagli occhi e solcarono le guancie.

«Ora vattene. Non ho ricevuto ordine di combattere, ma se non te ne vai sarò davvero costretto a farlo.»

Rachel non rispose. Non se lo fece nemmeno ripetere. Cominciò a camminare. Passò accanto a Richard, o Robin, come voleva farsi chiamare, e non lo degnò nemmeno di uno sguardo. Singhiozzò. Sperò di non averlo fatto troppo forte, non voleva che quel bastardo la vedesse ridotta in quelle condizioni. Solo con delle parole, era stata sconfitta. Richard era più forte di lei, l’aveva capito fin dal primo momento, però essersi arresa in quel modo, senza nemmeno provare a combattere o a prendere qualche provvista, la faceva sentire peggio di quanto già non stesse.

Raggiunse Red X, ancora sdraiato a terra, dolorante. Si accovacciò su di lui e lo aiutò a mettersi a sedere. Il ragazzo drizzò la schiena, ciondolando con la testa. Gemette di dolore e tossì un paio di volte. Rachel lo abbracciò, poi si voltò un’ultima volta verso di Richard. Il Mietitore la stava fissando, sempre con la stessa espressione severa. La ragazza distolse lo sguardo, strizzando le palpebre per pulire gli occhi dalle lacrime, poi usò i suoi poteri e si trasformò di nuovo nel rapace nero.

Si alzò in volto, portando con sé Red X, e si allontanò da quel luogo alla svelta, sperando di dimenticare al più presto quella conversazione che invece l’avrebbe probabilmente segnata a vita.

 

***

 

Atterrarono sul tetto di un palazzo. Rachel ritornò in forma umana e lasciò andare Red X, facendolo cadere a terra in maniera non proprio delicata. Il ragazzo emise dei versi di protesta, ma lei non lo sentì nemmeno. Si allontanò da lui, con in testa un solo pensiero, ossia il voler stare alla larga da tutto e tutti. Si sedette per terra, appoggiando la schiena contro la superficie di un comignolo, e sospirò rumorosamente, incassando la testa fra le spalle. Aveva così tanti pensieri diversi per la testa che era impossibile catalogarli con ordine.

Red X tossì ancora, e si rimise a sedere, massaggiandosi la schiena. «Quel bastardo... giuro che se lo ribecco...» Spostò lo sguardo e vide Rachel. Si interruppe, per poi domandarle: «Cos’è successo? E quel tipo dov’è? L’hai conciato tu per le feste?»

La ragazza non rispose. Pizzicò un labbro con i denti, ma rimase comunque immobile, a testa bassa.

«Ehi, Rachel» la chiamò ancora lui, perplesso. «Che hai? Cosa diamine è successo?»

Rachel ancora non rispose. Questa volta, però, pensando alla risposta alla domanda di X, si lasciò scappare un gemito. Al che il ragazzo dovette intuire che ci fosse davvero qualcosa di serio sotto. Si alzò in piedi, lamentandosi ad ogni minimo movimento, poi si diresse verso di lei. «Rachel... cosa... che ti prende? Prima spaccavi culi a destra e manca, e adesso...»

«C-Conoscevo quel ragazzo...» mormorò infine Rachel, vinta dalla sofferenza. Forse parlandone con qualcuno sarebbe riuscita a placare il dolore che cresceva inesorabile dentro di lei. Lo sperava, almeno. «Era... era mio... era mio amico...» Le fece uno strano effetto definirlo con quel termine, dopo tutto quello che tra lei e Richard era successo. «E... adesso... è un Mietitore...»

Uno dei tanti mostri che avevano messo in ginocchio il Neon District e che causavano guai su guai. Lui, Richard, uno con degli ideali, uno che avrebbe voluto fare grandi cose per il mondo intero, uno che lottava contro le ingiustizie. Richard. Un Mietitore.

Raccontò la storia. La breve discussione avuta poco prima. Tralasciò la parte dei poteri, quella di cui sinceramente nemmeno Rachel sapeva darsi una spiegazione, ma per il restò non risparmiò i dettagli. Forse ne diede fin troppi. A racconto concluso, la ragazza tirò su con il naso, e altre lacrime scesero in risposta.

«Oh...» fece X, in bilico tra l’imbarazzo del non sapere cosa dire e la perplessità. «Mi spiace...»

«É... è sopravvissuto all’esplosione...» continuò Rachel, singhiozzando e abbracciandosi con forza le gambe. «... credevo fosse morto... e adesso è un Mietitore...» ripeté, come una cantilena.

Red X si sedette accanto a lei, mugugnando ancora di dolore. Allungò le gambe e si appoggiò sulle braccia, poi sospirò. «Ascolta... posso capire come ti senti. È duro vedere qualcuno di cui ti fidavi... beh... voltarti le spalle. Ma vedrai che...»

«È colpa mia» lo interruppe Rachel, all’improvviso. La ragazza sollevò lo sguardo appannato dalle lacrime, volgendolo in un punto imprecisato di fronte a lei. «È stata solo colpa mia...»

«Cosa? Che stai dicendo?»

La corvina singhiozzò ancora, poi si prese il volto fra le mani. «Non avrei dovuto ascoltarlo... non avrei dovuto andarmene... avrei dovuto restare là, parlare con lui, cercare di... di farlo rinsavire... forse... forse... avrei potuto...»

«Non dire idiozie» disse Red X, freddo. «Non avresti potuto fare niente.»

Rachel drizzò la testa all’improvviso e folgorò il ragazzo con lo sguardo. «Ma che stai dicendo?! Certo che avrei potuto! Noi eravamo...»

«Ma non capisci?» la anticipò ancora una volta lui, per poi sospirare. «Il tuo amico è andato ormai. Nulla può farlo tornare come prima.»

La ragazza strinse i pugni, furibonda. Le parole di X cancellarono la sua tristezza e la rimpiazzarono con la rabbia. «Sei tu che non capisci! Solo perché odi così tanto i Mietitori non significa che...»

«Davvero credi che ci sia un modo per poter ragionare con loro?!» X si alzò in piedi, fissandola dall’alto. Altre tracce di trucco erano sparite, lasciando sempre più spazio al suo vero volto, ma nonostante ciò sembrava comunque minaccioso. «Quelli non sono più esseri umani, Rachel, dovresti averlo capito da sola!»

«Non puoi fare di tutta l’erba un fascio!» gridò la ragazza, alzandosi in piedi a sua volta e fissandolo con sempre più rabbia. «Richard era diverso dagli altri Mietitori, te ne sei accorto anche tu!»

X la osservò in silenzio per ancora un attimo, poi dalla sua gola uscì una fredda risata. La ragazza si irritò ancora di più. «Che hai da ridere?! Smettila! Smettila!!»

«Quanto sei ingenua...» borbottò lui per tutta risposta, per poi farsi serio all’improvviso. Rachel sussultò quando lo sguardo del ragazzo si posò di nuovo su di lei, ma mantenne i nervi saldi. «Credi che il tuo amico sia speciale? Che lui non si ritroverà mai a grugnire e saltellare come tutti quegli altri porci vestiti di rosso? Ti sbagli. È solo questione di tempo. Dagli un mese o due, e poi i liquami fotteranno anche il suo cervello.»

«I... liquami?» domandò Rachel, per un attimo spaesata.

Red X annuì. «L’hai visto in faccia, giusto?»

La ragazza fece cenno di sì.

«Ed era ricoperto di macchie nere, ho ragione?»

«Beh... sì...» mormorò Rachel. Non capiva dove X volesse andare a parare, ma ad un certo punto non fu nemmeno più tanto sicura di volerlo sapere per davvero.

«Esatto. Pensi che fosse sporcizia? O tatuaggi?»

«Ecco...»

«Tutti i Mietitori hanno addosso quello schifo» sbottò X, indicando la città che si estendeva per chilometri e chilometri accanto a loro. «Solo che non te ne sei mai accorta a causa dei cappucci. Non ho idea di cosa sia con esattezza. So che però viene usata dal capo dei Mietitori, proprio per avvelenare le menti delle persone e piegarle al suo cospetto.»

«I Mietitori hanno un capo?!» domandò la ragazza, esterrefatta. Credeva che fossero solo un branco di zoticoni senza ragione, non che fossero addirittura guidati da qualcuno.

«Sì, hanno un capo. Chi credi che abbia dato origine a tutto questo? Non conosco la sua identità, ma pare che anche lui sia sopravvissuto all’esplosione come te, diventando un Conduit di conseguenza.»

Rachel inorridì. Sapere che non era sola era stata una bella sorpresa all’inizio, ma sapere anche che c’erano Conduit come lei che avevano approfittato della situazione per darsi alla malavita la faceva sentire in colpa. Sapere soprattutto che una di queste persone era la causa del male maggiore del Neon District.«E... come funziona il liquame?»

«All’inizio i neo-Mietitori vengono colpiti da allucinazioni, dolori ed eccetera. Nel momento stesso in cui questa fase finisce, per loro non c’è più niente da fare. Diventano totalmente dipendenti dal loro capo e negherebbero fino alla morte di essere infetti, anzi, si auto convincono di fare la cosa giusta. Poi comincia la fase due, quella in cui sentono la voce del loro capo nella testa e che gli ordina cosa fare.»

Rachel sgranò gli occhi. Le parole di Richard rimbombarono nella sua mente: Non ho ricevuto ordine di combattere. La ragazza rabbrividì. X stava dicendo il vero.

«La fase due è quella in cui ancora possono parlare e comportarsi da persone civili, ma non dura a lungo. Dipende dalla forza del neo-Mietitore in questione. Nel caso del tuo amico, visto che è un Conduit, probabilmente la fase due durerà ancora per un po’, ma non credere che sarà per sempre, perché presto o tardi arriva la fase tre. E non serve che ti dica cosa succede in questa fase, giusto?»

«Q-Quindi... come... "nasce" un Mietitore?» domandò Rachel, a metà tra il disgusto e la meraviglia.

«Un gruppo di Mietitori già formati rapisce un altro gruppo di persone qualsiasi, le portano alla loro base supersegreta, dal capo che gli spruzza addosso quei liquami, e qui comincia il ciclo.»

«Ma allora... Richard è stato rapito dai Mietitori?!» domandò ancora Rachel, questa volta inorridita.

«Questo non te lo so dire» rispose X scuotendo la testa. «Ma se lui ha detto di voler vendicare la morte della sua ragazza... potrebbe anche darsi che abbia davvero agitò di sua volontà quando si è lasciato infettare.»

«Ma non può averlo fatto!» insistette Rachel, tornando rabbiosa. «Lui non avrebbe mai potuto...»

«Mettiti nei suoi panni, Rachel. Lui ha perso la ragazza che amava, e si è ritrovato per le mani dei poteri di cui non aveva mai saputo l’esistenza. Ha visto che in città le cose si mettevano male, che i Mietitori stavano lentamente sorgendo. Ha visto un’opportunità. Si è schierato insieme al lato vincente, sperando di avere più possibilità di trovare colui che cercava, colui che aveva ucciso la sua ragazza. Una scelta stupida, codarda, probabilmente nemmeno sapeva di essere fottuto dal momento stesso in cui quei liquami lo avevano toccato, ma comunque una sua scelta. Non puoi decidere tu per gli altri. L’unica cosa che si potrebbe fare per lui, è farlo fuori.»

«No! Questo no!» gridò la ragazza. «Non possiamo ucciderlo! Io non ti credo, è impossibile che non ci sia un modo per farlo uscire dall’infezione! Se provassi a parlare ancora con lui...»

«Maledizione, Rachel!» sbraitò X, afferrandola per le braccia e scuotendola. «Te lo vuoi ficcare in testa o no che il tuo amico è spacciato? Non c’è nessun modo per salvarlo, perché non vuoi...»

«NO!» Rachel si dimenò dalla presa, poi allontanò il ragazzo con una goffa spinta. «Deve esserci un modo! C’è sempre un modo! Io mi rifiuto di credere che un semplice liquame possa distruggere la mente di un ragazzo sveglio come lui! È fuori discussione! Non potremmo... per esempio...» La ragazza si illuminò all’improvviso.«Togliergli il liquame di dosso!»

«Oh, certo» ribatté X, sarcastico. «Gli facciamo un bello shampoo! Vedrai come tornerà sano di mente dopo!»

«Io almeno ci provo a trovare una soluzione, non come te che credi che solo uccidere e picchiare lo siano!» tuonò Rachel, stringendo i pugni. Aveva cominciato a credere che X fosse un bravo ragazzo. Beh, si era sbagliata in pieno. Era un criminale come tutti gli altri. Combattere i Mietitori non lo rendeva affatto migliore di loro. Avere un cervello e non sapere come usarlo era l’equivalente di non averne uno.

«Ma di quale soluzione stai parlando?!» protestò ancora il ragazzo truccato, pestando un piede a terra con rabbia. «Ma ti rendi conto che quel tipo lo conoscevi solo tu?! Cosa diavolo me ne frega a me di salvare una persona che nemmeno conosco?! Ogni giorno di persone ne muoiono a centinaia, perché uccise da Mietitori come il tuo caro Richard, perché dovrei sbattermi per salvare una persona che non conosco, Mietitore per giunta, in una causa persa?!»

«Richard non uccide le persone!»

«Perché, tu lo sai? Te l’ha detto lui?!»

«No, però lui...» Rachel esitò. Era vero, non lo sapeva. Richard in quel mese avrebbe potuto uccidere migliaia di persone, lei come avrebbe potuto saperlo? Se erano vere le parole di X, se i liquami lo obbligavano ad obbedire ad ogni ordine...

«Un momento!» esclamò ancora, ostinata. «E tu come fai a sapere tutte queste cose sui Mietitori? Chi mi dice che in realtà tu non mi stia mentendo?!»

«E perché dovrei mentirti?» X storse il naso, anche lui sembrava ai limiti della sopportazione. «Ti ho già detto come funziona qui. Se tieni le orecchie aperte e intercetti le giuste comunicazioni radio puoi scoprire l’inimmaginabile. Senti, posso capire che tu sia sconvolta, ma non puoi andare avanti così. Mi sembri una mocciosa capricciosa.»

«Non sono una mocciosa capricciosa!» Rachel serrò la mascella, per poi ripensare a tutto l’accaduto e abbassare la testa, la rabbia svanita nel nulla. «È... è solo che... che...» Si strinse nelle spalle, tirando su con il naso senza nemmeno rendersene conto. Sentì la vista appannarsi nuovamente. «Che... che...» Non riuscì a portare avanti il litigio. Le faceva male al cuore parlare in quel modo di Richard. Non era giusto. Non era giusto che tutto fosse finito in quel modo. Avrebbe tanto voluto...

«Lo amavi, vero?»

Quelle parole la fecero saltare, letteralmente. «Woah, cosa?!» trillò, con la voce più alta di un’ottava.

Red X incrociò le braccia e ripeté pazientemente: «Richard. Non era solo un amico. O sbaglio?»

La ragazza dischiuse le labbra. «Ma che stai dicendo?! Certo che era solo un amico!»

«Credi davvero che non l’abbia capito?» domandò lui, calmo. «Il modo con cui lo hai descritto poco fa’, la storia che hai raccontato, il modo in cui lo hai difeso fino allo stremo. Non sarò una cima in certe cose, ma solo un idiota non lo avrebbe capito. E comunque sei arrossita.»

Rachel si portò d’istinto entrambe le mani sopra la bocca, per celare il rossore delle goti che aumentò a dismisura. Quell’affermazione la spiazzò, completamente. Cercò ancora di parlare, di negare, ma dallo sguardo di X intuì che non se la sarebbe mai bevuta. Aveva capito. Forse era colpa sua, aveva detto troppo, aveva cercato di difendere quasi ossessivamente Richard. Fatto stava che ormai era impossibile nascondersi. Abbassò lentamente le mani, sospirando rumorosamente. «I-Io... io...» Si morse un labbro. La vista le si appannò ancora.

Indietreggiò, con lo sguardo perso nel vuoto, come in trance, poi si sedette di nuovo pesantemente a terra, contro il comignolo. «Richard... è stato l’unico ragazzo con cui sia mai riuscita ad andare d’accordo...»

Era da troppo tempo che si teneva tutto dentro, in tutti quegli anni non aveva mai raccontato a nessuno cosa provasse e per chi. Aveva bisogno di parlarne con qualcuno. Sentiva che sarebbe esplosa continuando a tenersi tutto dentro.

Sospirò profondamente. Poi cominciò a raccontare.

 

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Capitolo 5
*** Sharing ***


 

 

V

Sharing

 

Partì dal principio. Raccontò di non aver mai conosciuto suo padre, che lui era sparito prima della sua nascita. Aveva vissuto con la madre Arella per qualche anno, poi anche lei aveva detto addio la figlia, iscrivendola ad un collegio, che in realtà non era altro che una specie di orfanotrofio. Rachel non aveva mai capito il perché di tale decisione. Sapeva solo che Arella l’aveva abbandonata. E quella era stata la prima vera batosta emotiva che avesse mai ricevuto.

Gli anni erano trascorsi. Al collegio aveva avuto modo di conoscere decine di ragazzi come lei, ma non aveva mai fatto amicizia con nessuno. Al mattino andava a scuola assieme a tutti loro, al pomeriggio e alla sera se ne stava per i fatti suoi, per poi andare a dormire nella sua camera e ricominciare il ciclo il giorno dopo. Non aveva nemmeno mai avuto un compagno di stanza. Poi era arrivato Richard.

All’inizio lei non lo aveva nemmeno considerato. Lo aveva semplicemente ritenuto un novellino che, proprio come lei, avrebbe fatto fatica ad ambientarsi a quel posto, che probabilmente avrebbe piagnucolato di continuo come tanti altri facevano ed eccetera.

Invece no. Tutt’altro. Richard era parecchio taciturno, ma non era mai apparso a disagio in quel luogo. E dopo un paio di giorni, la prima persona con cui aveva parlato era stata proprio lei.

Era successo durante un’ora libera pomeridiana, quando i dormitori ancora erano chiusi. Rachel era seduta ad un tavolo, intenta a leggere un libro, poi era arrivato lui e le aveva chiesto se poteva sedersi con lei. Rachel era rimasta spiazzata da tale domanda, dopo parecchi attimi di esitazione si era praticamente vista obbligata ad accettare. E lì avevano avuto la loro prima vera discussione.

Erano poco più che bambini, entrambi sui dodici, tredici anni, ma Rachel non l’avrebbe mai dimenticata. Avevano cominciato con il presentarsi, poi avevano parlato delle lezioni che frequentavano, e per finire si erano raccontati le rispettive storie.

Richard aveva detto di essere un ragazzo rimasto orfano, la cui custodia era passata a più persone, da amici di famiglia a semplici uomini che lo avevano adottato per pietà. Ma per un motivo o per l’altro, nessuno era mai riuscito ad accudirlo a lungo. Così si era ritrovato anche lui in quel collegio, insieme a Rachel. E lei, dopo aver saputo la sua storia e aver scoperto di non essere l’unica rimasta senza genitori, lo aveva visto sotto tutt’altra luce. Aveva capito che il male poteva colpire chiunque e si era sentita vicina a lui, molto più di quanto non fosse mai stata con nessun altro.

E così era nata la loro amicizia. Entrambi erano sempre stati riservati e taciturni con gli altri, ma quando erano insieme avevano tutta un’altra intesa. Discutevano, si capivano, si divertivano anche. Le poche volte che Rachel si lasciava scappare un sorriso o una risata erano solo per merito di lui. Era sveglio, intelligente, avevano una mentalità molto simile. Per lei era sempre un piacere parlarci.

Quando si erano parlati la prima volta, era successo perché Richard aveva creduto che con lei sarebbe andato d’accordo, viste le loro simili abitudini. E aveva avuto pienamente ragione.

Gli anni erano trascorsi ulteriormente ed erano diventati adolescenti. La loro amicizia aveva continuato a gonfie vele. Entrambi nutrivano un enorme rispetto nei confronti dell’altro, si intendevano, si fidavano ciecamente, si volevano bene. Vedevano film insieme, salivano sul tetto della scuola a guardare le stelle di sera, talvolta avevano perfino dormito nella stessa stanza, insieme. Con lui Rachel si sentiva sicura, non solo verso sé stessa ma anche verso gli altri. Aveva fatto tesoro di ogni loro abbraccio, ogni loro carezza, ogni loro pacca amichevole o anche solo dei più banali sguardi.

Grazie a lui aveva fatto amicizia con tanti altri ragazzi arrivati chi prima chi dopo al collegio. Garfield, Victor, Jennifer, tutti ragazzi che come lei o erano rimasti orfani o avevano avuto problemi famigliari tali da costringerli ad andare in quel luogo.

Ma comunque, con nessuno era felice e aperta come con Richard. In compagnia di altri non sorrideva praticamente mai, non parlava, era fredda e distaccata. Con lui no. Con lui tirava fuori un lato di sé che non sapeva nemmeno esistesse.

Grazie al corso del tempo Rachel era cresciuta, si era sviluppata, ed era diventata molto più bella di quanto lei stessa avesse potuto immaginare. Diversi ragazzi le avevano fatto la corte diverse volte, pure lo stesso Garfield.  Ma comunque, Rachel non si era mai stata interessata a nessuno di loro. L’unico che contava per lei era e sarebbe sempre stato Richard. Ed era stato in quel momento, grazie alla corte ricevuta da altri, alla sua crescita e al suo sviluppo, che aveva capito che per lei, Richard, era molto di più che un amico. Era una persona che era cresciuta insieme a lei.

Con lui aveva festeggiato, aveva riso, aveva anche pianto la scomparsa dei suoi genitori. L’aveva sostenuta nei momenti difficili, aveva gioito assieme a lei in quelli felici, anche in quelli più banali come l’aver preso un bel voto a matematica. Le aveva fatto vivere momenti indimenticabili, per quanto banali ciascuno di essi fossero stati. Aveva realizzato di dovergli molto più di quanto potesse immaginare. Aveva capito che se c’era un ragazzo da cui mai e poi mai avrebbe rifiutato dei complimenti, quello era lui.

E a quel punto lo aveva amato con tutta sé stessa. Aveva amato il suo sguardo, il suo sorriso, il suo volto, la sua mentalità, ogni sua caratteristica.

E aveva pensato che forse quel sentimento potesse essere ricambiato.

Finché non era arrivata Kori. Koriand’r nella sua lingua, Stella se tradotto nella loro. Una ragazza straniera, anche lei rimasta orfana insieme alla sorella maggiore e al fratello minore, mandata al collegio da un amico di famiglia sia per avere un’istruzione adeguata, sia per essere tenuta al sicuro dalle terribili condizioni di vita del Dedalo, già disagiate ancor prima dell’esplosione.

Capelli rossi come il fuoco, occhi grandi e verdi come smeraldi, alta, abbronzata, ben definita, bella come un raggio di sole. Dolce, gentile, aggraziata, l’incarnazione vivente della ragazza perfetta, ragazza che Rachel mai sarebbe stata. Una stella nel vero senso della parola.

Nel giro di pochi giorni attrasse a sé come una calamita tutti i ragazzi, e fece dimenticare di Rachel Richard. Non molto tempo dopo, lui, bello, atletico, intelligente, si fidanzò con Kori, infliggendole la seconda batosta morale.

Ma lei non disse mai nulla. Fece finta di niente. Tenne il dolore dentro di sé, soffrendo come un animale bastonato. Nessuno, nemmeno Richard, si rese mai conto di cosa stesse provando. Dell’atroce agonia che solamente dopo l’abbandono di Arella aveva sentito. Rimasero amici, certo, ma non più come prima. I sorrisi sparirono dal volto di Rachel e apparvero solo più raramente.

E poi era arrivata l’esplosione. E aveva portato via tutti quanti, tranne colei che più di tutti avrebbe voluto essere portata via.

L’unica che si era salvata oltre a lei era Tara, semplicemente perché lei, nonostante fosse la fidanzata di Garfield, non viveva al collegio. La ragazza bionda, infatti, aveva un appartamento nel Neon, finanziato dai genitori che vivevano all’estero, e di conseguenza non si era ritrovata nel Centro Storico al momento dell’esplosione. Le due non erano mai andate molto d’accordo, per via delle loro molteplici differenze, ma con la crisi che imperversava avevano deciso di mettere da parte le divergenze e collaborare.

E infine, l’aver rivisto Richard, aver scoperto che pur di vendicare la morte di Kori era diventato un Mietitore, aveva inflitto a Rachel l’ennesima batosta. Le aveva fatto capire che lui non l’aveva mai amata, o se sì, quel giorno ora era lontano e non sarebbe mai più tornato. Per lui ormai esisteva solo più Kori. Rachel non era nessuno. Non era mai stata nessuno. E non lo sarebbe mai stata neanche in futuro.

«Avrei... avrei dovuto morire anche io nell’esplosione...» sussurrò la corvina, mentre altre lacrime scivolavano lungo le sue guancie. «Avrei finalmente potuto smettere di soffrire... e invece... sono un’incapace... non sono nemmeno stata in grado di morire quando era ora di farlo...»

Abbassò la testa, incassandola fra le ginocchia. E pianse. Pianse come una fontana, inondandosi le gambe non solo di lacrime, ma anche di dolore e sofferenza. Esplose fuori tutto il malessere che si teneva dentro da anni e anni. Pianse per il momento in cui Richard l’aveva dimenticata per mettersi con Kori, pianse per l’abbandono di sua madre, pianse la morte di tutti i suoi amici, pianse per l’esplosione e ciò che era successo dopo.

«Coraggio Rachel...» X cercò di consolarla, con voce molto più calma e morbida di poco prima, ma fu tutto inutile. Come poteva avere coraggio in quel momento? Dopo aver ricevuto l’ennesima batosta morale?

Non poteva farcela, era impossibile.

«Hanno ucciso i miei genitori» disse all’improvviso il ragazzo.

Rachel drizzò la testa di colpo, credeva di aver sentito male. «E-Eh?»

Immaginò di essersi sognata quelle parole, ma X ripeté ancora una volta, sospirando e guardando i palazzi. «I Mietitori. Hanno ucciso i miei genitori. Per questo... ce l’ho a morte con loro. Per questo vorrei vederli bruciare sotto i miei occhi dal primo all’ultimo.»

La ragazza rimase interdetta, con le labbra dischiuse e gli occhi ancora gonfi di pianto. «Ma... p-perché me l’hai detto?»

«Perché...» X si sedette di nuovo a terra, incrociando le gambe. «... tu mi hai raccontato di te. È giusto che io ricambi il favore. Se favore possiamo chiamarlo.»

Rachel tirò su con il naso. Sollevò un braccio e si pulì il volto dalle lacrime, poi tornò a guardare il ragazzo. «N-Non è il caso... Se per te è difficile parlarne...»

«Non c’è problema, davvero» disse lui, sorridendole solidale. «Sono stato io a convincerti a venire con me, è causa mia se hai rivisto Richard e hai sofferto. È giusto rimediare.»

La corvina rimase sinceramente stupita. Non gli aveva chiesto di parlare di lui, a dire la verità quello era un pensiero che ormai era uscito dalla sua mente da un po’, però se lui era disposto a parlarne, lei avrebbe ascoltato, proprio come avevano fatto poco prima a ruoli invertiti. Almeno si sarebbe distratta un po’.

«Io sono nato e cresciuto nel Dedalo» cominciò lui. «E non serve che ti dica che da quelle parti vivere era un autentico inferno.»

Rachel non ne aveva affatto bisogno. Il Dedalo era il quartiere peggiore che mai fosse esistito ad Empire. Erano i bassifondi della città, anzi, peggio ancora. Erano i bassifondi per antonomasia. Era impossibile credere che ci fossero solo dei ponti a separare quel distretto da altri molto più ricchi come il Centro Storico e il Neon.

«I miei genitori non erano affatto brave persone. Erano criminali, proprio come il resto degli abitanti del Dedalo. Fin dai miei primi anni di età sono stato addestrato da loro a rubare. Ho imparato a combattere, ad usare armi, ad arrampicarmi sui palazzi e a muovermi in modo furtivo. Dato che non ero un figlio desiderato, hanno comunque trovato il modo di farmi andare bene nelle loro vite.

«Ho conosciuto la peggior feccia che possa aver mai messo piede su questo mondo. Criminali incalliti e poveri come non ne hai mai visti. Nel Dedalo la legge era una sola: o tu, o gli altri. Ho visto persone morire, altre venire rapinate, altre venire picchiate selvaggiamente. Ho dovuto combattere tante di quelle volte per salvarmi la pelle che ormai ho perso il conto. Crescendo in quel posto sono diventato un buon combattente, un ottimo arrampicatore e ladro. E sono cresciuto così, in questo ambiente malsano, che ha segnato la mia vita.

«Poi è arrivata l’esplosione. Il Centro Storico era a pezzi, l’intera città lo era. Sono cominciati i tumulti, le rivolte. Nel Dedalo la situazione è degenerata completamente. Il poco ordine che a malapena era tenuto dai poliziotti è andato a farsi fottere. E anche là, come qui nel Neon, è nato un gruppo di criminali, gli Spazzini. Un branco di barboni e tossici che, come i Mietitori, si sono uniti sotto il comando di un unico individuo, un Conduit, e hanno conquistato il Dedalo.»

«Quindi ci sono altre organizzazioni criminali?» domandò Rachel, stupita.

Il ragazzo annuì. «Esatto. Anche nel Centro Storico un gruppo di persone ha preso il comando. Si chiamano Primogeniti. Inutile dirti che sono l’uno peggio dell’altro. E quando la situazione nel Dedalo è diventata insostenibile, i miei genitori ed io abbiamo deciso di andarcene. Loro erano ormai troppo vecchi per combattere, io invece non avrei mai potuto proteggerli da solo. Siamo venuti nel Neon sperando che qui la situazione fosse quantomeno accettabile, e invece...»

Un  sorriso amaro si dipinse sul volto di X. «... ci siamo ritrovati addosso gli ennesimi psicopatici, i Mietitori. Non avevamo idea che attraversando i vicoli ne avremmo incontrati alcuni. Quando sono apparsi è stato troppo tardi. Hanno sparato non appena ci hanno visti. Io sono riuscito a scappare, ma non i miei genitori. Sono morti davanti ai miei occhi. Ti sembrerà strano, ma non sono triste. Non mi avevano mai voluto bene per davvero, non avevano mai voluto un figlio. Io sono solo stato un incidente. Non mi è affatto dispiaciuto vederli morire.

«Ma erano comunque i miei genitori. Mia madre e mio padre. Coloro che bene o male mi avevano dato un tetto, una casa, cibo e vestiti. Forse non mi amavano, ma era comunque grazie a loro se ero vivo. Perciò ho giurato a me stesso che li avrei quantomeno vendicati. Erano dei bastardi, ma erano comunque delle persone. Ti ho detto che odio a morte i Mietitori, ed in parte è vero, però alla fine non sono loro quelli con cui devo prendermela davvero. Se c’è una persona che devo odiare, allora è quella che ha dato il via a questo delirio, ovvero il loro capo.»

Red X strinse i pugni con forza. «Lui è il responsabile di tutto. E lo troverò, fosse l’ultima cosa che faccio, e lo ucciderò. Porrò fine al regno dei Mietitori.»

Rachel aveva ascoltato il racconto a bocca aperta, in parte tra l’incredula e la meravigliata. A confronto con quella di X, la sua vita sembrava una passeggiata nel parco. Certo, anche lei aveva perso i suoi genitori, ma non letteralmente, e inoltre aveva vissuto in un luogo in cui bene o male era accetta, era istruita ed era al sicuro. Lui no, lui era cresciuto con una famiglia che non lo amava, in un ambiente per nulla adatto ad un ragazzo, potendo contare solamente sulle proprie forze.

Apparve sotto un’altra luce ai suoi occhi. Era molto più tosto di quello che quel suo look minaccioso dava a vedere.

«Quindi... hai deciso di diventare... Red X per cercare il capo dei Mietitori e mettere loro i bastoni tra le ruote?»

«Esattamente» annuì lui. «Ho deciso che i Mietitori avrebbero pagato. Sono diventato Red X, un giustiziere, un vendicatore, una persona che loro dovranno temere anche solo sentendone pronunciare il nome. Se eliminerò il capo, i Mietitori crolleranno come un castello di carte. Senza una guida, finiranno con l’uccidersi a vicenda.»

Quelle parole fecero balenare un pensiero per la mente di Rachel. Sgranò gli occhi. Sembrava una follia, ma forse un fondo di speranza c’era. O meglio, ci sperava, ci sperava con tutto il cuore. «Eliminando il capo dei Mietitori... non potremmo interrompere il controllo mentale che esercita su tutti loro??»

X corrucciò la fronte. «Non vorrai mica...»

«Richard potrebbe salvarsi!» esclamò lei, saltando in piedi, incredula lei stessa delle sue parole. «Potremmo farlo rinsavire! Senza il suo capo ad ordinargli cosa fare nella sua testa, non sarà più costretto ad essere un Mietitore, e potrebbe tornare da...»

«Da te?» la anticipò X, guardandola con un sopracciglio inarcato.

Rachel esitò. «Beh, ecco...»

Ammutolì. Si era di nuovo fatta prendere dall’emozione, era stata ancora una volta troppo precipitosa. Solo in quel momento si rese conto di quanto stupide fossero le ultime parole da lei pronunciate. Richard avrebbe potuto rinsavire, vero, ma da lei non sarebbe tornata. Lui amava Kori, l’aveva detto apertamente. Rachel era un’amica, e basta. Abbassò di nuovo la testa, sconsolata. Il buon umore svanì veloce com’era apparso. Non poteva gioire per dieci secondi che l’ennesima delusione le veniva scodellata in faccia.

«Beh, non possiamo saperlo se non proviamo.»

La voce di X le fece di nuovo drizzare la testa. Il ragazzo la guardava dal basso. «Hai ragione, forse potremmo interrompere il controllo mentale sui Mietitori e di conseguenza salvare Richard. E chissà, magari è davvero intrappolato contro il proprio volere, perciò se lo salvi potrebbe davvero apprezzare il tuo gesto, se capisci cosa intendo...»

Rachel spalancò la bocca, incredula. «L-Lo pensi davvero?»

«Ehi, ripeto, non possiamo saperlo finché non proviamo.»

Un lento sorriso si dipinse sul volto di Rachel, udendo quelle parole. Anche X sorrise e i loro sguardi si incrociarono.

Forse non tutto era perduto. C’era una possibilità, una remota possibilità, che Richard potesse tornare da lei. Minuscola, insignificante. Ma c’era. E dopo tutto quello che era successo, a Rachel andava benissimo così.

«Quindi... mi aiuterai?»

«Io voglio il capo dei Mietitori per vendicare i miei genitori, tu lo vuoi per salvare Richard. Quindi... sì, direi che abbiamo un accordo.» Red X si alzò in piedi e tese una mano, allargando il sorriso. «Socia.»

Anche Rachel allargò il sorriso. Non tutto era perduto. Aveva una possibilità. Doveva imparare ad usare meglio i poteri, doveva stare attenta, doveva fare un mucchio di cose, ma non era spaventata. Perché non era sola. Non più. Strinse la mano. «Socio.»

Le mani si separarono. X le rivolse un cenno del capo, poi si voltò. «Va bene allora. Ti dico solo una cosa, non sarà affatto facile. Io faccio questo genere di cose da tutta la vita, tu invece sei nuova in questo campo. Avrai anche i poteri, ma senza l’esperienza non te ne fai nulla. Perciò mettiamo in chiaro il fatto che se ti rivelerai un peso morto, ti scaricherò all’istante. Chiaro?»

«Chiaro» convenne Rachel, non riuscendo a smettere di sorridere malgrado il tono nuovamente rigido di X.

Il ragazzo intanto annuì, sempre dandole le spalle. «Bene, allora... agh!»

Quel verso di dolore la fece sobbalzare. X si premette una mano su un fianco, e si piegò, gemendo ancora più forte. «Merda... mi fa un male cane...»

La ragazza socchiuse le labbra, poi lo aggirò e si parò davanti a lui, aiutandolo a raddrizzarsi. «Che ti prende?»

Il volto di X era un’unica, grande smorfia di dolore. «Quel Richard... picchia duro...» mugugnò, indicandosi il fianco e un livido sulla guancia dapprima sfuggito alla vista di Rachel, a causa del trucco.

La corvina si mordicchiò l’interno della guancia, perplessa di fronte a quella vista. Poi ebbe un sussulto. «As... aspetta.»

Si mosse in automatico. Aveva perso il conto ormai di quante volte ciò era successo, quel giorno. Allungò una mano verso di lui e gliela posò sul ventre duro e freddo. Non sapeva nemmeno lei cosa stesse facendo, era il suo corpo a comandare in quel momento. La mano si illuminò di nero. Ma non fuoriuscì nessun raggio di luce da essa. X gemette, mentre la luce nera si scaturiva fuori dalla mano come una nuvoletta di vapore e si avvolgeva punti diversi del suo corpo. I fianchi, le gambe, anche la guancia colpita da Richard.

Rachel sentì le proprie energie diminuire all’improvviso e anche lei sussultò spaventata, ma non durò a lungo. Dopo pochi attimi, allontanò la mano dal ventre del ragazzo e fissò incredula cosa stava accadendo. X guardava il vapore nero circondarlo, altrettanto stupido e perplesso, poi esso si diramò nell’aria, svanendo alla vista. E quando ciò accadde, il ragazzo si palpò i punti toccati da esso. Sgranò gli occhi, poi guardò Rachel. «Come diavolo hai fatto?»

«C-Cosa?» domandò lei, altrettanto basita.

«Mi hai... mi hai guarito...» mormorò lui, dapprima incredulo, poi meravigliato. Si dipinse un altro sorriso sul suo volto. «E meno male che eri un’incapace! Cavolo Rachel, questo è... è fantastico! Puoi guarire le persone! Ti rendi conto di quanto sia importante?»

La ragazza batté le palpebre diverse volte, ancora intenta ad assimilare le informazioni appena ricevute. Abbassò lo sguardo, controllò la propria mano. Non sapeva come aveva fatto, non ne aveva idea. Ma l’aveva fatto. Deglutì, si concentrò, e la mano si illuminò ancora una volta di nero. Dopodiché, guardò di nuovo X. Il ragazzo le diede una pacca sulla spalla. «Te l’avevo detto che eri in gamba!»

Rachel non rispose. Faceva fatica a credere a ciò che stava succedendo. Poi le tornarono in mente le parole di Richard. Non sapeva usare nemmeno un quinto dei suoi poteri. Poteva fare ben di più che volare e sparare raggi. Che si riferisse a quello? A quello e a chissà quanti altri poteri incredibili? Rachel non sapeva se sentirsi elettrizzata o preoccupata a quel pensiero. Quante altre cose poteva fare, da Conduit quale era? Ma soprattutto... in base a cosa i suoi nuovi poteri si rivelavano?

La risposta a quelle domande avrebbe dovuto attendere ancora un po’, visto che X parlò di nuovo. «Beh, è stato bello giocare al dottore. Però ora è meglio che vada. Si sta facendo tardi. Che ne dici di rincontrarci domani a mezzogiorno proprio qui? Così potremo cominciare le nostre ricerche.»

Rachel richiuse la mano, poi annuì. «Va bene. A domani.»

Aveva bisogno di riposare un po’. Di riordinare le idee. E poi X aveva ragione, stava facendosi tardi e faceva un freddo cane.

«A domani allora, Corvetta» disse ancora lui, per poi allontanarsi e raggiungere il bordo del palazzo.

«Corvetta?» domandò lei, abbozzando un mezzo sorriso. «Che significa?»

X sollevò una mano, continuando a camminare. «Assomigli ad un corvo quando ti trasformi in uccello. I corvi sono neri, no? Tu sei una ragazza, ma non potevo mica chiamarti Corva, non si può sentire.»

«Beh... Corva no...» rispose Rachel, per poi allargare il sorriso, colta da un’illuminazione. «... ma Corvina sì. Che te ne pare?»

Una risata provenne dalla gola del ragazzo. Si voltò appena per guardarla con la coda nell’occhio. «Penso che facciano pena tutti e tre.»

«Disse il ragazzo senza nome» ribatté lei.

«Mh. Touché. Mi chiamo Lucas.»

«Piacere di conoscerti, Lucas.»

«Piacere mio, Corvina» disse lui accennandole un sorriso. «Fatti una bella dormita. Domani sarà una giornata dura.» Detto quello, saltò all’indietro, oltre il bordo, e sparì dalla visuale.

«Sarò pronta, vedrai» rispose lei sottovoce, rivolta ormai al nulla.

Sollevò lo sguardo e lo volse al cielo nuvoloso, ormai quasi buio. Allargò il sorriso. «Sarò pronta. Aspettami, Richard.»

Allargò le braccia, e poco dopo un gigantesco corvo fatto interamente di luce nera si allontanò dal tetto di quel palazzo, svanendo nel buio della notte calante.

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 6
*** Good and Evil ***


 

 

VI

Good and Evil

 


Non avrei mai pensato che un giorno mi sarei ritrovata a fare questo.

Ho passato gli ultimi anni della mia vita credendo che non avrei fatto altro che soffrire, pensando che non avrei fatto altro che continuare a subire le angherie che il destino mi riservava. Sono cresciuta con la convinzione di essere un’incapace, una persona dalla quale tutti gli altri si sarebbero tenuti alla larga.

In parte avevo ragione.

Ma non posso negare il fatto che, forse, l’esplosione non abbia portato solo elementi negativi nella mia vita.

In queste ultime settimane ho avuto modo di crescere profondamente, sia fisicamente che mentalmente.

Sto cambiando e con me stanno cambiando i miei poteri. Li sento crescere dentro di me, diventano sempre più forti ed è impossibile negarlo. Ma allo stesso tempo anch’io sto migliorando notevolmente. Sto finalmente imparando a controllarli, ad usarli quando e come voglio, a mio puro piacimento. Ho scoperto che per non avere crisi come quella di diversi giorni fa’ mi basta rimanere ferma per un paio di ore ogni giorno e concentrarmi profondamente. In questo modo, grazie a queste piccole meditazioni, riesco a reprimerli prima che emergano all’improvviso e cerchino di assumere il controllo del mio corpo.

È dura sapere che il mio corpo può ribellarsi contro di me in qualsiasi momento, ma ho imparato a convivere con questo pensiero. Finché continuerò con le meditazioni, non avrò problemi.

Lucas è quasi sempre rimasto con me durante questa mia crescita. Nessuno di noi due ha dimenticato qual è il nostro scopo.

Stiamo setacciando ogni centimetro del Neon alla ricerca del capo dei Mietitori. Ci siamo ritrovati più e più volte combattere con loro ed esaminandoli da vicino ho avuto la conferma delle parole di Red X. Tutti i Mietitori sotto il cappuccio celano volti prosciugati, pallidi e ricoperti da quel liquame nero. Qualsiasi tentativo di rimuoverlo è stato vano, così come cercare di interrogare gli stessi Mietitori per scoprire qualcosa sul loro capo. È impossibile ragionare con loro.

Non abbiamo più rivisto Richard, o Robin, da nessuna parte. Forse il suo superiore ha altri progetti per lui. Spero solo che la sua fase tre non sia ancora cominciata.

In compenso abbiamo avuto modo di conoscere molti altri Mietitori vestiti di bianco. Hanno quasi tutti gli stessi poteri, ovvero supervelocità, super resistenza e forza e sanno generare sfere di energia con le mani. Sono tosti da battere, la prima volta che sono rimasta coinvolta in un vero combattimento contro di loro me la sono vista parecchio brutta, ma in un modo o nell’altro io e Lucas siamo sempre riusciti a spuntarla. E devo ammetterlo, Red X è davvero molto più forte di quanto pensassi. Non è un Conduit, ma sa il fatto suo. Sono felice di avere un "socio" come lui.

Con Tara le cose sono rimaste quasi del tutto invariate. Sono felice di avere un tetto sulla testa grazie a lei, però mi dispiace che nonostante tutto l’accaduto dopo l’esplosione, tra noi le cose non sembrano intenzionate a migliorare. Siamo totalmente estranee. Ma forse è meglio così. Se anche lei decidesse di aiutare me e Lucas finirebbe solo con il rischiare la vita e se addirittura morisse finirei con il ritrovarmi un enorme peso sulla coscienza. E di pesi ne ho già fin troppi.

Diverse persone ci hanno visti mentre lottavamo contro i Mietitori. Non è un grosso problema per noi, sapevamo che prima o poi alcuni innocenti sarebbero rimasti coinvolti, è ciò che sta succedendo in questi giorni che mi sta sorprendendo parecchio.

La voce si è sparsa, quasi tutto il Neon ora sa che ci sono due ragazzi che cercano di estirpare la minaccia Mietitori dal distretto.

Ci siamo fatti una certa fama, da queste parti.

La maggior parte delle persone quando ci vede continua a scappare via terrorizza. Hanno paura di noi, di me soprattutto, a causa della mia natura Conduit.

Altri ancora, invece, ci ritengono degli eroi. Più volte abbiamo ricevuto ringraziamenti dalle persone che abbiamo incontrato.

Mi sento quasi egoista a pensare che in realtà tutto quello che stiamo facendo non è altro che per un nostro tornaconto.

Io voglio salvare Richard, Red X vuole vendicare i suoi genitori, non stiamo cercando di salvare il mondo. Ma se le nostre azioni daranno un contributo ancora più grande al distretto, ben venga.

Ci sono giorni però in cui penso che essere Corvina, un’eroina che vuole salvare la città, non sia una cattiva idea. Non ho la certezza che una volta salvato Richard lui accetterà il mio sentimento. Non ho nemmeno la certezza di poterlo salvare, a dire il vero. Sapere dunque che cacciando i Mietitori avrò comunque modo di essere apprezzata dalle persone comuni, mi fa’ sentire leggermente meglio con me stessa. Se non altro, le mie azioni non saranno state vane.

Ci sono altri giorni, invece, in cui ripenso a tutto quello che mi è successo in passato. Penso al dolore a cui sono andata incontro e poi mi ricordo di avere dei poteri. E a quel punto non vorrei fare altro che elevarmi in cielo, osservare la città dall’alto e raderla al suolo mattone per mattone.

Penso a ciò che potrei fare se Richard non mi accettasse per davvero, o peggio, se non riuscissi a salvarlo. Immagino che quella, forse, sarebbe la batosta definitiva per me. Immagino che potrei davvero essere in grado di sprigionare tutta la mia furia in un colpo solo. Ed è in questi momenti che sento i miei poteri muoversi dentro di me. Li sento crescere, farsi più intensi. Li sento implorarmi, letteralmente, di lasciare loro il controllo.

Vogliono farmi vedere il mondo tinto di rosso come già mi è successo, con l’unica differenza che, questa volta, nessuna distrazione potrà impedire loro di compiere stragi.

Ci sono giorni in cui penso. Penso a quale schieramento io appartenga. O meglio, a quale schieramento mi piacerebbe appartenere una volta conclusa la nostra missione.

Lucas mi ha più volte detto di smettere di pensarci, che sono tutte idiozie, che ormai in questa città non esistono fazioni di quel genere. Eppure io continuo a pensarci.

Penso che essere un’eroina sarebbe bello, che tutti vorrebbero essere amati dalle persone.

E poi penso che quelle persone per me non hanno fatto nulla, quando mio padre mi ha abbandonata prima che io nascessi e quando lo ha fatto anche mia madre. Penso che dopo aver vissuto una vita schifosa come la mia sfogarsi un po’ non sarebbe affatto male. Penso a quanto sarebbe bello per me dettare le regole, far vedere alla vita che anche se mi ha piegata non mi ha spezzata e che, anzi, sono pronta per ripagarla con la sua stessa moneta.

Non ho idea di cosa ne sarà di me in futuro. Non ho nemmeno idea di cosa accadrà ad Empire. Le provviste continuano ad arrivare. Irregolarmente, ma arrivano.

La gente comunque si sta stancando. Lucas – non io, io sono negata in certe cose – ha sentito diverse voci a proposito di una ribellione, di un attacco ad uno dei numerosi posti di blocco allestiti per impedire la fuoriuscita delle persone dalla città, con conseguente fuga dal Neon e dunque da Empire.

Se questa rivolta avverrà mai, mi è impossibile saperlo.

E nel frattempo, mentre i Mietitori se la vedono con noi, nel Dedalo e nel Centro Storico Spazzini e Primogeniti continuano i loro regni del terrore. E sembra che l’unica con un potere abbastanza grande da poterli fermare sia io, visto che tutti gli altri Conduit o si sono uniti a loro, o non sono intenzionati a mostrarsi come io invece ho fatto.

Credo che forse potrei scappare io stessa, da questa città. Volando, tramutata nel corvo da cui deriva il mio soprannome, non dovrei avere problemi. La contraerea non riuscirebbe mai a prendermi. Ma non posso andarmene così, non ora che ho saputo che Richard è ancora vivo.

A volte mi ritrovo da sola, seduta in cima ad un palazzo, ad osservare il cielo. E mi chiedo:

Quando questa storia finirà, quando scoprirò se Richard potrà mai essere salvato o meno, che cosa farò?

Lascerò la città, insieme a lui se per caso accetterà di restare insieme a me?

Oppure rimarrò?

E nel caso in cui Richard non possa essere salvato, cosa farò?

Alcuni mi definiscono una salvatrice. Altri l’ennesimo mostro che vuole comandare il distretto come un tiranno.

Per alcuni sono buona, per altri sono cattiva. Quando la mia missione finirà, quale schieramento sceglierò?

I miei poteri, il mio intero corpo, sono come una bomba pronta ad esplodere. Riuscirò a controllare questa gigantesca quantità di energia, o mi lascerò corrompere da essa, magari per la mia stessa volontà?

Ricordo che quella volta che era quasi successo mi ero sentita dannatamente bene...

Oppure cercherò di restare per sempre in me stessa, e tenterò di tenerli a bada con le meditazioni?

 

 

 

Sarò la salvezza della città ... o la sua rovina?

 

 

 

La scelta, è solo mia.

 

 

inFAMOUS: The Darkness’s Daughter





E questa, gente, è la conclusione del Prologue.

Perché sì, questa storia non è altro che la base per un qualcosa di ancora più grande. Qualcosa che però non so dirvi se arriverà mai, anche perché non è mia intenzione farla arrivare. Cosa succederà ad Empire? Cosa farà Rachel? Salveranno Richard? Sta a voi decidere ciò. Io la mia parte l’ho fatta.

Ma comunque, per inciso, la mia coppia preferita è la RobRae, e odio, anzi no, DETESTO PROFONDAMENTE la BBRae. Quei due hanno un’alchimia pari a quella di cactus e un palloncino (citazione semicasuale).

So cosa starete pensando in questo momento, questo finale è il nulla e rende il nulla l’intera storia. Beh, forse è vero, ma vi posso garantire che ci sono finali ben peggiori. Come quello di Bioshock Infinite. Quello ti svuota completamente. Non dico che sia brutto, anzi, non lo è affatto, però ti lascia con un senso di nulla per le mani. Come lacrime nella pioggia (eh?)

E a proposito di Bioshock Infinite, non sia mai che un giorno, magari, arrivi un altro cross-over...

Ora arriviamo ai ringraziamenti.

Ringrazio Victus Mors, Calimetare, Rosa Verde Blu e Nanamin per le recensioni. In particolare quest’ultima per averla anche preferita, grazie davvero.

Lo so, non sono stato sdolcinato come lo sono stato in HoS, ma non credo vi servi un poema come quello dell’altra volta per farvi capire quanto vi sono grato. Perché qualcosa ha bisogno di sostenitori per poter nascere, crescere e concludersi continuando a vivere nei ricordi. Ok, sono stato sdolcinato.

E poi ringrazio i lettori e tutti quelli che ora stanno leggendo queste righe.

Basta. Ho finito. Non so che altro scrivere. Non volevo nemmeno farla questa nota. Ma purtroppo dovevo per correttezza nei vostri confronti.

Io vi saluto, alla prossima!

 

p.s. leggetevi questo. Vi prego.    Teen Titans (serie animata)

 

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