Sei dichiarazioni

di Akemichan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Halloween ***
Capitolo 2: *** D'improvviso ***
Capitolo 3: *** Maledizione ***
Capitolo 4: *** L'anima gemella ***



Capitolo 1
*** Halloween ***


Halloween

 
Prompt: Franky/Robin, non avrebbe mai pensato che ad Halloween la sua creatura avrebbe preso vita


Anche essere super aveva i suoi problemi.
Questo pensava Franky, osservando dalla finestra del suo maniero il paese che si stava preparando alla festa di Halloween.
Si era sempre chiesto perché nessuno degli abitanti paresse apprezzarlo. Franky non era uno sbruffone, ma non poteva negare a se stesso che la definizione di "super" gli si addicesse. In un periodo in cui l'agricoltura era ancora il lavoro più redditizio e il cavallo il mezzo di locomozione più utilizzato, le sue invenzioni erano avanti mille anni.
Già solo il fatto che fosse sopravvissuto a un incidente mortale semplicemente ricostruendo il proprio corpo con parti meccaniche avrebbe dovuto farlo assurgere alla nomea di genio, di inventore che poteva rivoluzionare il mondo.
Invece, ben lungi da esserlo, gli altri abitanti tendevano a evitarlo, a considerarlo un outsider e ad additarlo come esempio negativo per i bambini: era importante studiare e trovare un lavoro e una famiglia, o si sarebbe finiti a vivere soli in un triste maniero, come dei pazzi.
Franky non si era certo perso d'animo e si era dedicato a creare sempre più invenzioni che potessero aiutare la popolazione nelle faccende quotidiane. Eppure, nulla sembrava essere apprezzato.
La gente aveva continuato a utilizzare i pozzi disseminati nella città, invece di utilizzare la fontana che aveva costruito davanti a casa sua, che permetteva anche di produrre acqua frizzante o cola.
Le coperte e il camino erano le maniere più semplici per scaldare una casa, nessuno che si fosse interessato alla sua stufa che funzionava con energia elettrica dopo essere stata caricata con una manovella.
E il cingolato che aveva creato per poter raggiungere facilmente i campi per il lavoro era stato snobbato in favore dei vecchi carri di legno trainati da buoi o cavalli.
Eppure Franky era certo che le sue invenzioni fossero rivoluzionarie. Non aveva senso fare solo semplici miglioramenti, bisognava essere super in quello che era il proprio talento. Quindi non aveva la minima intenzione di dare ragione al Fessoburg che gli diceva che le invenzioni andavano bene, ma dovevano essere più attinenti a ciò che serviva alla gente.
Un cingolato rovinava i campi, per quanto figo fosse. Nessuno era interessato all'acqua frizzante. E la manovella era più scomoda che tagliare la legna. Erano invenzioni geniali, ma inutili. Da freak.
E Franky capì che non gli dispiaceva essere considerato tale, perché voleva comunque continuare a fare le cose a modo suo, da pirata libero. Se prima o poi qualcuno l'avrebbe apprezzato, sarebbe stato per il suo essere.
Super, appunto.
Halloween non aveva fatto eccezione, né dall'una né dall'altra parte. Franky aveva addobbato il suo maniero in modo spaventoso, con finestre che si aprivano per far spuntare zombie robot, ragnatele su cui si muovevano luci scure che dovevano sembrare ragni, sangue finto che di tanto in tanto scivolava sulle mura facendo apparire scritte minacciose.
E forse era effettivamente troppo spaventosa, perché nessuno si era ancora avvicinato. E dire che aveva preparato biscotti appositamente per consegnare ai bambini, e allo stesso modo contro misure per eventuali scherzi. Un peccato che sarebbero andati sprecati.
Visto che nessuno suonava alla sua porta, Franky si recò nel suo laboratorio per continuare a lavorare sulla sua invenzione. Era un progetto che aveva immaginato per tutta la vita: un robot in grado di agire da solo, in completa autonomia. Non proprio un'intelligenza artificiale, perché non era ancora certo di poter creare dei sentimenti, ma qualcosa di molto simile.
Franky aveva già creato dei macchinari robot, come la casa addobbata per Halloween dimostrava, ma erano solo macchine, che eseguivano un compito prestabilito in eterno. La sua nuova invenzione sarebbe stata autonoma in tutto e per tutto, e avrebbe adeguato il suo comportamento agli stimoli esterni.
Fino a quel momento, i suoi sforzi erano stati vani, ma Franky non demordeva. Aveva raccolto abbastanza energia elettrica dai fulmini del temporale della settimana scorsa per tentare ancora. Collegò i fili al corpo metallico senza vita, la Battle Franky 32, e abbassò la leva per passargli l'energia che serviva a dargli vita.
Di solito, una volta terminato il crepitio dell'elettricità, il laboratorio tornava silenzioso e la Battle Franky restava senza vita, solo un po' bruciata e quindi inutilizzabile (non per niente era già arrivato alla numero 32). In questo caso, invece, il crepitio divenne un rombo e poi il laboratorio esplose in un lampo di luce.
Franky venne scagliato nel corridoio e atterrò contro il muro, attutendo l'esplosione e la botta grazie al suo corpo metallico.
«Wow...» mormorò, un po' confuso per quello che era successo, e poi gattonò fino all'entrata del laboratorio.
Era tutto distrutto, almeno quello che poteva vedere tra il fumo, ma una silhouette si stagliava al centro della stanza. Possibile che ce l'avesse fatta? Balzò in piedi e si avvicinò, rimanendo perplesso da quello che succedeva.
La sua idea di robot era simile a quella di se stesso, un enorme gigante con armi e tutto. Non ricordava di averlo costruito per essere identico a Nico Robin, la proprietaria della libreria alla periferia del villaggio. Né di averla vestita con un abito nero attillato adatto a Halloween perché decorato con ragnatele.
La Robin Robot si guardò attorno, con uno sguardo a metà fra il perplesso e il disgustato. Poi il suo sguardo si spostò su di lui. «Salve.»
«Non ci credo... Ce l'ho fatta! Ho costruito un super robot!»
«Robot?»
«Esatto. Ti ho creata io, grazie al mio genio. Per altro, sappi che sei dotata di missili direzionali che partono dal petto, razzi per il volo e puoi emettere raggi laser dalla bocca.»
Robot Robin fece un passo avanti. «No, grazie. Non farò mai qualcosa di così imbarazzante.»
Per quanto Franky non capisse cosa ci fosse di imbarazzante dei raggi laser, che a lui parevano una figata pazzesca (non per niente poteva emetterli anche lui), era troppo eccitato dall'idea che la sua invenzione fosse effettivamente indipendente come l'aveva pensata.
«Fammi un rapido calcolo: 2345 moltiplicato per 43529 diviso per 20.» Doveva verificare che il programma funzionasse in ogni parte.
Robot Robin lo guardò alzando un sopracciglio. «Non vedo perché dovrei farlo.»
«Be', in effetti...»
«Però, se vuoi, posso dirti l'elenco degli imperatori romani dal primo all'ultimo.»
Impressionante: il suo robot era talmente avanti che decideva da solo le materie che gli interessavano!
«Quindi...» Robot Robin passò una mano sopra uno dei macchinari di Franky, che servivano a pulire i corridoi dell'enorme maniero. «Io sarei una tua creazione?»
«Esattamente. E ti chiami Battle Franky 32.»
«Che brutto nome.»
«Non è vero!» protestò Franky, ma poi pensò che in effetti era più adatto a come aveva progettato il robot la prima volta che non al risultato. «Be', che ne diresti di... Robin?» Certo, non voleva pensare che cosa avrebbe detto la vera Robin, ma probabilmente anche lei lo considerava un freak e da quel momento probabilmente un maniaco.
«Già meglio» convenne Robot Robin. Era arrivata in cucina, per la sua esplorazione, e ammirò i pacchettini con dentro i biscotti a forma di zucca che aveva preparato. «Che cosa sono?»
«Oh, be', oggi è Halloween e mi piaceva l'idea di dare ai bambini qualcosa di artigianale. Non sono un gran cuoco, però...»
Robot Robin fece un piccolo sorriso. «Halloween... Nonostante le sue origini pagane in riferimento a maledizioni e esorcismi, non si può negare che sia diventato ora nient'altro che un modo per divertirsi» commentò. «Chissà se un giorno le vere streghe decideranno di vendicarsi di noi.»
«Mi piacerebbe incontrarla, una vera strega» si disse Franky. «Vorrei vedere se è più forte la loro magia o la mia tecnologia. Sarebbe una super sfida.» Ed era indubbio che le streghe sarebbero state freak tanto quando lui.
«Non sta suonando nessun bambino, alla porta» disse poi Robot Robin, dopo avergli riservato un sorriso divertito.
«Già, e non credo succederà.»
Robot Robin si guardò intorno, individuò una borsa e iniziò a infilarvi i sacchetti con i biscotti dentro. «Non ha senso sprecarli, usciamo a diamoli noi ai bambini» gli propose, notando che la stava guardando. «Non volevi provare a incontrare una vera strega?»
In effetti, poteva essere una buona idea. Franky non aveva l'abitudine di uscire, dato che la maggior parte delle volta la gente lo costringeva a rientrare in fretta, ma voleva sperimentare come si sarebbe comportata la sua creazione in una situazione simile.
«Sì, andiamo!» esclamò.
L'intero paese era in festa ed erano davvero in pochissimi a non essere travestiti; persino i genitori, o i negozianti, o gli anziani del villaggio avevano qualcosa per festeggiare. Si respirava un'aria a metà fra il divertimento e la paura. Certo, il suo maniero rimaneva il più spaventoso, ma non c'era male nemmeno nelle case degli altri.
I bambini, che di solito venivano trascinati via dai genitori quando osava uscire di casa, ora lo guardavano con gli occhi spalancati, ammirati. «Che figata di costume!»
«Ma veramente questa sarebbe la mia faccia...»
Robot Robin ridacchiò, ma in realtà Franky non era offeso. Un attimo dopo, era lì che si bullava del suo corpo da cyborg, mostrando ai bambini i suoi capezzoli brillanti, o lasciando che gli toccassero il naso per cambiargli pettinatura. Alla fine, trasformò le sue gambe in cingolati e trasportò un gruppo di bambini in giro per la piazza a velocità folle.
Robot Robin guardò le sue trasformazioni con sguardo apatico, quasi disgustato, ma poi sorrise. I bambini si stavano divertendo un sacco e lo stavano adorando. Lentamente, si avvicinò per consegnare loro i pacchetti dei dolci, per poter essere coinvolta in quel momento di gioia.
«Grazie, signora strega!» la ringraziarono tutti.
«Adorerebbero anche te, se mostrassi loro i tuoi razzi» gli fece presente Franky.
«No, grazie.» Poi lo afferrò per il ciuffo di cappelli blu e lo tirò giù, in modo da fargli evitare un uovo che era stato lanciato nella sua direzione.
«Ehi!» protestò Franky, in direzione di un gruppo di ragazzi più grandi che, forse, vergognandosi di chiedergli un passaggio, cercavano di colpirlo e lo deridevano da lontano. Allungò il braccio e puntò il palmo nella loro direzione: un attimo dopo, li schizzò con un getto d'acqua lanciato a tutta forza dal centro della mano. «Se volete la guerra, l'avrete!»
«Dai!» cercò di fermarlo Robot Robin, ma sorrideva.
«E ora, prendete questo» continuò Franky, lanciando questa volta i suoi sacchettini con i biscotti che aveva preparato. «Attacco magico dei dolcetti di Halloween!»
I genitori, invece di lamentarsi per quella pioggia improvvisa che aveva inondato i loro figli, ridevano e apprezzavano che venissero fatti scherzi l'uno verso l'altro, finché restavano non pericolosi, e allo stesso tempo potevano mangiare dolci tanti quanto volevano.
«È strano» commentò Franky, quando lui e Robot Robin ripresero la passeggiata, allontanandosi dalla piazza e dal centro della festa. «Per la prima volta, sono stato accettato dal villaggio. Anche per le mie invenzioni.»
All'inizio, Robot Robin non disse nulla, poi fece una riflessione importante. «Forse noi freak possiamo uscire solo per la notte di Halloween.»
Ed era una riflessione normale, per un robot, ma lei assomigliava in tutto e per tutto a Robin la Libraia, e appariva come una persona normale, a differenza sua e al suo corpo da cyborg. E Robin la Libraia era una persona normale, no?
Franky alzò lo sguardo e scoprì che si trovavano nella via della libreria. E se Robot Robin si fosse scontrata con Robin la Libraia? Forse sarebbe accaduta una strana congiunzione astrale e una delle due si sarebbe autodistrutta. Franky era indeciso se impedirlo o se voler scoprire il risultato di qualcosa di così strano.
Prima che potesse impedirlo, però, Robot Robin aveva già aperto la porta della libreria ed era entrata. Franky la seguì e si rese conto che era la prima volta che vi entrava. Era un negozio piccolo, scuro, con tutte le pareti completamente occupate da librerie stipate di libri. E a giudicare dalle copertine, erano libri molto vecchi. E dai titoli, decisamente eccentrici. Non quelli che si leggevano di solito.
«Mi piace questo posto» affermò. La preoccupazione per l'arrivo di Robin la Libraia non era scemata, ma era stata un attimo messa da parte per l'impressione di familiarità che aveva provato entrando.
«Davvero?»
Franky annuì. «Mi ricorda casa mia. Un posto strano, che per le persone normali non è adatto, ma che rispecchia una personalità. Qualcuno che si comporta come preferisce, senza omologarsi.»
«Qui non ci sono laser o razzi» gli fece presente Robot Robin. «Solo libri vecchi che nessuno vuole comprare.»
«Nessuno compra le mie invenzioni» replicò Franky, con un piccolo broncio. «Forse io e la proprietaria di questo posto siamo molto diversi» continuò. «Ma sento che potremo andare d'accordo.» Poi tornò a guardare la sua invenzione. «Se poi assomigliasse a te, credo che sarei decisamente in grado di innamorarmi di lei.»
Robot Robin alzò leggermente un sopracciglio. «Sì, sono d'accordo, siamo molto diversi, ma potremo andare d'accordo» affermò infine. «Era un po' presto per una dichiarazione, però... grazie.»
Franky la fissò, con la bocca spalancata, capendo. «Sei Robin la Libraia?» esalò.
Robot Robin la Libraia fece un piccolo sorriso, incrociando le braccia. «Sei un genio, ma non abbastanza per creare un androide. Ti ci vorranno ancora degli anni.»
«Perché allora hai fatto finta fino a questo momento?»
«È Halloween» alzò le spalle lei. «Travestirsi è d'obbligo, no? Per ora, sono il tuo robot.»
Franky scoppiò a ridere. «Hai ragione, è Halloween, e tu mi hai giocato un bello scherzo» commentò. «E visto che abbiamo stabilito che è la nostra sera, che ne dici di continuare a divertirci ancora per un po'?» E gli porse il braccio.
«Certamente» Robin sorrise e si appoggiò a lui. «Peccato però che questo tipo di evocazioni possa essere fatto una volta all'anno.»
«Inventerò un sistema perché ci si possa incontrare sempre» rispose allora Franky, perché ora che aveva conosciuto la vera Robin, difficilmente ci avrebbe rinunciato. «E dato che è Halloween, posso anche travestirmi da uomo romantico e dirti che mi sono decisamente innamorato di te.»
«Non avevamo detto che era un po' presto per le dichiarazioni?»
«Non avevamo detto che possiamo incontrarci solo una volta all'anno? Meglio approfittarne.»
E, a braccetto, tornarono in piazza a scherzare e divertirsi come persone normali, perché a Halloween tutti erano freak come loro due.

***

Akemichan parla senza coerenza:
Ehm... In realtà questa storia non avrebbe dovuto essere pubblicata. Sì, insomma, era prevista nel ciclo delle "sei" anche la raccolta Frobin, ma non ero ancora riuscita a scriverla e quindi era proprio in progress progress, anche perché fino a questo momento le storie venivano pubblicate una dietro l'altra fino a concludere la raccolta, e quindi aspettavo di averle concluse tutte. Poi però c'è stata la challenge sull'EFP Fandom Group, ho letto i prompt, m'è venuta l'ispirazione e questo è il risultato. E' solo la prima delle sei, le altre sono ancora solo nella mia mente quindi non so quando riuscirò ad aggiornare (e la prossima delle "sei", com'era previsto, sarà poi la raccolta Sabo/Koala) ma sì, in futuro verrà conclusa e intanto beccatevi l'anteprima.
Che poi non so quanto bella sia quest'anteprima. Con tutte le cose che avevo da fare, non ho avuto il tempo di pensarci per bene e quindi magari fa schifo XD Tra l'altro questi due li amo ma non me li so gestire, perché, boh, sono così semplicemente perfetti in canon che non vedo cosa riuscirei ad aggiungerci oltre. Però volevo partecipare, dato che era il primo evento organizzato, e così spero che non faccia proprio schifo schifo schifo.
Come al solito, mi trovate sul blog, sll'OPS, su facebook, su ask, su tumblr e su twitter. Alla prossima :)

 

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Capitolo 2
*** D'improvviso ***


D'improvviso

«Ti amo.»
Non so da dove mi uscì, così, per caso. E ovviamente mi maledii un attimo dopo per averlo detto, come un cretino.
Io sono un tipo romantico, ecco, pervertito ma romantico. E pensavo che una mia eventuale dichiarazione sarebbe stata super tanto quanto me. Immaginavo la luna piena, io che suonavo una serenata con la mia chitarra, regali e commozione generale. Di certo non mi aspettavo di farlo all'improvviso nel bosco dove eravamo a raccogliere la legna.
Mi era proprio scappato. Robin si era chinata appena, stringendo ancora al petto un gruppo di rami secchi, e stava sorvegliando con attenzione una pietra che non appariva scavata naturalmente. I suoi occhi erano fissi, concentrati, le labbra strette, eppure potevo perfettamente percepire la passione che la stava animando.
E in quel momento avevo pensato a quanto amo questa donna. Solo che non progettavo di dirlo, ecco. Un caso, non di certo un rischio calcolato.
Dopo la mia dichiarazione improvvisata, Robin voltò la testa di scatto verso di me. Non c'era la sorpresa che mi aspettavo sul suo volto, più perplessità. Mi stava studiando nello stesso esatto modo in cui poco prima aveva studiato la pietra.
«Dici sul serio?» mi domandò. Era ancora chinata a terra, la mano che stringeva i rami.
Non potevo più tirarmi indietro. Annuii. «Certamente.»
«E come ti è venuto in mente di dirmelo adesso?» Non c'era rabbia nella sua voce. Magari ci fosse stata. Si stava semplicemente informando di quello che era successo, come se non la riguardasse affatto.
«Sì, non è stata la mia performance migliore, lo ammetto» risposi. «Avevo voglia di dirlo, tutto qui.» Forse era proprio quella la verità. Non ricordo esattamente quando mi ero innamorato di Robin, certo molto prima di quel giorno e molto prima della separazione della ciurma. Erano quindi più di due anni che attendevo di dirglielo. Non è che cercassi un momento giusto, ma sì, forse dovevo farlo.
«Capisco» commentò Robin, asciutta. Si alzò, si risistemò la gonna viola e si voltò verso la foresta, dove il sentiero continuava. «Dobbiamo raccogliere altra legna, non credo che questa basterà per tutta la notte.»
Guardai il gruppo di legni che avevo sottobraccio e dovetti concordare con lei. Sanji avrebbe scaldato la cena con le pietre arroventate, ma poiché avevamo deciso di dormire sulla spiaggia avevamo necessità che il falò durasse per tutta la notte.
Non aggiunsi altro e la seguii. Continuammo a raccogliere legna così, in silenzio. Quando il mazzo che Robin aveva in mano si faceva troppo grande, faceva spuntare un altro braccio per sostituire quello occupato, e continuava la raccolta. Quanto a me, i miei arti meccanici erano grandi abbastanza da immagazzinare enormi quantità di legna.
A raccontare le cose così sembra che io l'avessi presa con filosofia, ma non è vero. Dentro di me ero preda di mille pensieri, che non mi si addicevano. Non era tanto l'atteggiamento di Robin che mi irritava, o il fatto che uno super come me fosse stato rifiutato. Dopo una dichiarazione così scarna, penso che persino io avrei detto di no.
La mia preoccupazione era un'altra, cioè di aver rovinato tutto. Robin non è solo la donna di cui sono innamorato, è una mia compagna, parte della ciurma a cui mi ero unito per una ragione ben precisa, che partiva dal rispetto per il mio capitano alla consapevolezza che il mio sogno si sarebbe potuto realizzare solo con loro.
Non mi sarei mai perdonato se avessi rovinato l'armonia che si era sviluppata fra di noi.
Quando finimmo di raccogliere la legna, tornammo all'accampamento provvisorio che avevamo piantato sulla battigia, ai limiti del bosco, la Sunny ancorata al sicuro, con il tramonto che la illuminava in tutto il suo splendore.
Gli altri avevano già acceso un piccolo falò in mezzo al cerchio di sacchi a pelo sulla spiaggia, per cui io e Robin posammo il nostro raccolto a fianco, in modo da poterlo alimentare ogni volta che fosse stato necessario.
«Ehi, Franky!» Era Sanji, che poco distante stava cucinando in un grande calderone. «Come hai osato far portare la legna a Robin-chan, eh?»
Prima che potesse rispondergli, Zoro aveva mormorato qualcosa da dietro di lui, attirando tutta la sua attenzione.
«State attenti a non bruciare il cibo» fece presente Nami, che stava studiando una carta nautica alla fioca luce del falò.
«Sì, Nami-san!»
«È pronto? È pronto?» venne invece la voce del capitano, da qualche punto nascosto dentro il bosco. Ne riemerse poco dopo, stringendo fra le mani un coleottero.
«E aspetta un attimo!»
Mi sedetti su uno dei sacchi a pelo, a fianco a Brook, e ignorai la bizzarra occhiata con le sue orbite vuote. Sapevo già da me di essere insolitamente tranquillo. Uno sguardo a Robin, che si era accomodata a fianco a Nami, e poi mi ripromisi di ignorarla per il resto della serata.
La notte stava lentamente scendendo e, quando Sanji servì la cena, l'unica fonte di luce era il falò che avevamo al centro, dato che le nuvole nere impedivano alle stelle di brillare nel cielo.
«Non preoccupatevi» disse Nami. «Il vento le farà disperdere presto, in questa baia siamo tranquilli per la nottata.»
«Come dice la mia Nami-san!»
«Ma taci!» intervenne Zoro.
«Siamo davvero al sicuro?» tremò Usop. «Voglio dire... Avete sentito questo suono?»
«Sì, è sicuramente un lupo» annuì Robin. «Quando il fuoco si spegnerà si avvicineranno per banchettare con noi.»
«Smettila!» piagnucolò Chopper.
«Sono buoni da mangiare?» commentò Rufy, la bocca ancora piena.
Poi Brook pizzicò le corde del suo violino e io mi lasciai cadere di schiena sul mio sacco a pelo, gli occhi chiusi ad ascoltare la melodia; anche il sottofondo delle voci stava pian piano scemando, tutti troppo concentrati sulla musica di Brook.
E dentro di me potevo accettare un rifiuto, se la ricompensa era il poter rimanere in quella famiglia. Robin sarebbe sempre rimasta la donna più incredibile che avessi conosciuto, ma quel gruppo era meraviglioso allo stesso modo.
Mi risvegliai al tocco di qualcosa che mi scuoteva la spalla. Ero ancora sdraiato di schiena così, quando aprii gli occhi, potei notare che Nami aveva avuto ragione, come sempre. Le nuvole si stavano allontanando e adesso la luna illuminava chiara la zona.
Mi alzai appena, puntellandomi con i gomiti. Del falò erano rimaste solo le braci, ma gli altri non sembravano farci caso, avvolti com'erano nei loro sacchi a pelo, profondamente addormentati nonostante i lupi che continuavano a ululare in lontananza.
Solo Robin mancava all'appello, e mi accorsi in fretta che la cosa che mi aveva svegliato era una sua mano fiorita dal terreno. Allora mi alzai in fretta e la vidi: mi dava la schiena, diritta, voltata verso la foresta. Sembrava quasi una figura mistica, così addentro la nebbia che si era alzata fra i tronchi degli alberi.
«Dobbiamo raccogliere altra legna» disse, quando mi avvicinai a lei. « Il fuoco di sta spegnendo del tutto.»
«Certo.»
Senza aggiungere altro, ci addentrammo assieme nella foresta.
Poi, senza alcun preavviso, Robin parlò ancora: «Pensavi sul serio quello che mi hai detto oggi?»
E capii subito quello a cui si stava riferendo. Non che fosse successo altro di particolare quel giorno da essere ricordato, a parte la mia idiozia.
«Sì. Lo penso sul serio.»
«Non so come sia possibile.»
Robin era davanti a me qualche passo e la sua schiena apparve quasi tremare, con le mani che si stringevano le spalle. Appariva fragile, esattamente come la prima volta che l'avevo incontrata.
E allora capii.
Una donna che era sempre stata rifiutata da tutti. Una donna che aveva sempre tradito per sopravvivere. Una donna che aveva accettato a fatica di aver trovato un suo posto nel mondo, e che l'avrebbe buttato via pur di non soffrire più. E per non far soffrire le persone che amava. Una donna forte, indipendente, intelligente, sognatrice, ma insicura quando si trattava dei sentimenti degli altri.
La donna di cui sono innamorato era tutte queste cose, e molto di più. Non potevo certo aspettarmi che bastasse una dichiarazione a far crollare tutti i suoi muri. Specie una dichiarazione del genere, che, diciamocelo, era proprio brutta.
Rufy e gli altri avevano dovuto assaltare una delle basi principali della marina, bruciare la bandiera del governo e mettersi contro la più pericolosa banda di assassini per riuscire a superare le sue difese. Mi aspettavano prove simili.
Ma era un rischio che ero pronto a correre. E forse quel "ti amo" detto così, all'improvviso, era il modo migliore di iniziare.
«Nemmeno io so come sia possibile» commentai allora. «Ma lo scoprirò. Vuoi farmi compagnia?» E allungai il mio enorme braccio meccanico verso di lei.
Lei mi fissò. Appariva così piccola, in confronto, ma non era tipo la lasciarsi intimorire. Allungò la mano in avanti e lasciò che altre braccia fiorissero sopra, fino a trasformarsi in un unico, enorme braccio che poteva perfettamente adattarsi al mio.
«Certo» sorrise, ed era la cosa più vicina a un "anch'io" che potessi avere.
A braccetto, ci immergemmo assieme nella nebbia.

 

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Capitolo 3
*** Maledizione ***


Maledizione

Robin alzò gli occhi al cielo e la vastità delle stelle si rispecchiò nei suoi occhi.
Era una notte tranquilla, senza nuvole né vento, e stare di vedetta era particolarmente noioso. Una persona normale si sarebbe addormentata da tempo, ma Robin non ne era in grado. Il dolore era così insopportabile da impedirle di riposare da giorni.
Riportò lo sguardo dal cielo, bellissimo ma distante e ignaro, a se stessa, e tirò appena la manica del suo vestito. Quel semplice gesto le provocò una scossa di dolore che si propagò in tutto il suo corpo.
Il segno della maledizione si era espanso quasi fino al dorso della mano, rendendo sempre più difficile nascondere quelle linee nere arzigogolate che si avvolgevano attorno alle sue membra, atrofizzandole i muscoli e rendendole difficile ogni movimento, come un'anziana persona.
Questa era la sua condanna, ciò che loro le avevano scagliato contro quando era scappata dal mondo demoniaco portando con sé una conoscenza che non doveva essere condivisa con gli umani. Era il loro modo di controllarla. Prima o poi si sarebbe arresa, e sarebbero riusciti a riprenderla, e i loro segreti sarebbero tornati al sicuro.
Robin non si era arresa. Non ancora. Eppure il prezzo da pagare era stato altissimo. Resistere alla maledizione, farla regredire prima che la bloccasse completamente e le fermasse cuore e polmoni, richiedeva l'estremo sacrificio di un'anima umana.
Erano anni che Robin sceglieva gruppi di uomini, attendeva che si fossero innamorati di lei, e poi ne divorava le anime per ritornare forte e sana. E continuava a cercare la verità, il modo per poter finalmente abbandonare il mondo demoniaco senza che loro potessero continuare a tormentarla.
E adesso era stanca dei continui tradimenti, e omicidi, e addii.
Incolpava Rufy e la sua ciurma, per questo, che avevano scoperto praticamente subito che era un demone e, invece di cacciarla, avevano semplicemente alzato le spalle e continuato a mangiare come se nulla fosse successo. Incolpava loro per il fatto di essere stata lei, questa volta, a innamorarsi.
Non era mai successo che la maledizione si spargesse così tanto, in media riusciva sempre a fermarla prima. In questo caso, aveva trascinato la decisione così a lungo che la situazione si era irrimediabilmente compromessa.
La scelta era tra il rubare a Rufy e agli altri le anime, come aveva sempre fatto, o lasciare che la maledizione la uccidesse. La prima opzione non era contemplabile: non sarebbe peggiorata tanto, se avesse potuto farlo subito. Non restava che la seconda.
Non voleva morire su quella nave: la adorava troppo per spargevi sopra umori demoniaci.
Doveva dire addio.
Con difficoltà, si alzò e prese un profondo respiro, prima di spalancare le sue ali dalle piume nere. Almeno quelle erano esenti dalla maledizioni, e le consentirono di prendere il volo con relativa facilità. Certo non riusciva a volare veloce come quando era in piena salute, ma si sarebbe allontanata dalla nave quanto bastava.
Volò a poca distanza dal mare, per annusarne un'ultima volta l'odore e ascoltarne il lento mugolio delle onde. Sentì qualcosa bagnarle il viso e si accorse che erano le sue lacrime. Non le era mai importato morire, ma era sempre sopravvissuta. Ora che aveva dei motivi per cui vivere, erano anche quelli che la costringevano a morire.
Che ironia.
«Nico Robin!»
Inizialmente, pensò che fosse un'allucinazione. La proiezione di un desiderio che ci fosse qualcuno a chiamarla per farla tornare indietro.
«Nico Robin!»
La seconda volta fu costretta a fermarsi, le ali sempre spalancate, fluttuando a filo dell'oceano. E si voltò. Franky la raggiunse in un attimo, con i suoi razzi posteriori. Robin aveva scordato che lui non si poteva definire veramente un umano, data la parte metallica che l'aveva strappato alla morte una volta.
«Dove stai andando?» le domandò, poiché lei non parlava.
«Lascio la ciurma.» Lo disse in modo casuale, come se non le importasse.
«Perché?»
«Non ho ragione di rimanere. Mi ero unita solo per scappare da Alabasta. Tu non c'eri all'epoca, non puoi saperlo.»
«No, ma so che a Rufy non piacerà. Pensi che gli vada bene che qualcuno lasci la ciurma senza la sua autorizzazione? Non è così che funziona.»
Il pensiero del Capitano la fece tentennare un attimo. «Allora porta tu i miei saluti» disse. «È tempo che questo demone abbandoni il mondo umano.»
Stare così ferma la stava facendo affaticare, e il dolore della maledizione le pulsava nel cuore, ma cercò di non farlo vedere. Inutilmente, dato che Franky le afferrò il braccio. Le alzò la manica e rivelò, alla luce delle stelle, le linee nere che apparivano come malvagi tatuaggi. Robin fece una smorfia di dolore.
«Che cosa sono?»
«Quando sono riuscita a scappare dal regno demoniaco, loro mi hanno maledetta» mormorò allora Robin. Alla menzione di loro, Franky sbuffò: avevano un conto in sospeso. «Quando tutto il mio corpo ne sarà ricoperto, morirò. A meno di non nutrirmi di un'anima, o di tornare da loro.»
«Che bastardi.»
«Ora sai perché me ne devo andare.»
«Non c'è proprio un altro sistema?»
«Be', sconfiggere loro. Ma sai bene che non è possibile.»
«Rufy ha già fatto cose impossibili.» Franky sorrise, come se fosse la cosa più semplice del mondo. Continuò a tenerla per mano e le diede una leggera spinta in avanti. «Su, torniamo indietro a dirglielo.»
«No!» Robin tentò di opporsi, ma il dolore le paralizzò i muscoli, rendendola come una bambola di pezza delle sue mani. «Non c'è più tempo!» tentò allora. «Mi resta al massimo un giorno, forse due. Anche volendo, non potremo raggiungere loro in tempo!»
Franky su fermò. «Come facciamo a far resistere la maledizione per più giorni?»
«...dovrei nutrirmi di un'anima» sussurrò Robin. Un tempo aveva vissuto con persone a cui non importava che fosse un'assassina, in fondo erano assassini quelli che sceglieva. Ora quasi se ne vergognava.
«Come?»
«Devono essere innamorati di me, e dirmelo.» Nel momento in cui pronunciò quelle parole, Robin si rese conto di aver commesso un grosso errore. Franky aveva allungato le labbra in un sorriso. «No! Non voglio. Non tu... o gli altri.»
«Non c'è problema» rispose Franky tranquillo. «Io sono un cyborg, non ho un'anima da molto tempo ormai.»
«Non puoi saperlo...» Ma la stretta sulla sua mano era ancora ferrea e lei non riusciva ad allontanarsi.
«Ti amo, Nico Robin.»
Per un lungo, lungo istante non accadde nulla. Robin respirò pesantemente, quasi iniziando a sperare che andasse tutto bene, che effettivamente i cyborg non avessero un'anima. Ma in tal caso, la maledizione non se ne sarebbe andata comunque.
E poi, la presa di Franky sulla sua mano si allentò, e il suo corpo iniziò a scivolare in basso.
«No.... No...»
«Nico Robin, dì agli altri di promettermi una cosa sola...» mormorò Franky, sempre con il sorriso sul volto. «Che prenderete loro a calci in culo anche per me.»
Il suo corpo impattò sulla superficie dell'oceano e scomparve al di sotto, con l'acqua che si cristallizzava per la forza della sua anima che lo abbandonava. Gocce di lacrime vi ticchettarono sopra, mentre Robin non poteva staccare gli occhi da quel corpo che affondava, e più affondava più la sua maledizione si ritirava e scompariva.
E quando visibili non furono rimaste che le stelle che si rispecchiavano sulla superficie cristallizzata, Robin si voltò e volò nuovamente verso la nave che credeva di aver lasciato per sempre.
Non poteva più scappare. E non potevano farlo nemmeno loro.

***

Akemichan parla senza coerenza:
Credo che questa storia abbia bisogno di un minimo di contestualizzazione. L'idea iniziare era quella di riportare il canon di One Piece in una versione Supernatural!AU, ma se avessi dovuto portare davvero tutto quello che è successo a Enies Lobby, ci avrei impiegato capitoli e capitoli XD E il contest mi chiedeva un massimo di 3k, quindi ho deciso di tagliare la storia e concentrarmi unicamente sull'importanza di quello che Franky ha fatto per lei. Certo, nulla voglio togliere a Rufy & Co, che sono stati magnifici, però è indubbio che a Enies Lobby Franky abbia detto e fatto molto per lei, ed è stato anche per questo che mi sono innamorata di questa coppia.
E il finale drammatico? Be', dovendo tagliare, mi pareva il finale più adatto. E' una storia comunque "incompleta", di fatto l'ho pensata così, per questo ho creduto che la morte di Franky desse in effetti una chiusura, la chiusura ai dubbi di Robin che ormai non può più tirarsi indietro. Spero che non sia troppo brutta, nonostante tutto XD

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Capitolo 4
*** L'anima gemella ***





Non era per niente super.
Questo era quello che pensava Franky dei sogni che aveva la notte, su quella donna misteriosa che di lavoro faceva la professoressa e la ricercatrice.
Non che Franky avesse dei problemi nei confronti di quel tipo di lavoro, o che gli interessasse in qualche modo giudicare la vita degli altri. Però doveva ammettere che quella donna era fin troppo meticolosa e precisa (il suo opposto) ed era decisamente troppo ordinaria. Ogni singolo giorno si alzava alla stessa ora, pranzava nello stesso locale e ordinava sempre le stesse cose.
In mesi in cui la sognava, Franky ricordava pochissime eccezioni alle sue regole e riguardavano comunque viaggi legati al suo lavoro di archeologa che, Franky doveva ammettere, non era così poetico come appariva nei film. Anzi, in genere era una ripetizione differente dei giorni ordinari: alzarsi, scavare, mangiare le stesse cose, scavare di nuovo, prendere appunti.
Insomma, non era per niente super sognare ogni notte la stessa solita, monotona vita.
Franky non si lamentava della sua, che si alternava tra la sua officina “Franky Family”, il suo volontariato all’asilo e le nottate fuori con gli amici, ma doveva ammettere che gli mancava la sregolatezza dei suoi sogni da bambino, completamente folli e senza alcun filo logico, mai banali.
Per questo non riusciva a condividere l’entusiasmo di Kiwi e Mozu, all’idea che una sua anima gemella esistesse, così come diceva la leggenda riguardo ai sogni. Anche se questa donna fosse esistita, Franky non riusciva a credere che potessero essere in qualche modo compatibili.
«Ehi, boss!» lo chiamò Zanbai. «C’è una visita per te!»
Franky alzò la testa dal cofano dell’auto che stava riparando. «Un cliente?»
«Una strafiga.»
Zanbai aveva gli occhi illuminati e be’, Franky non gli poté dare torto una volta che l’ebbe vista. La donna seduta nella poltrona del suo ufficio era decisamente fuori categoria. Super, nulla da dire.
Il problema era un altro. Quella non era una donna qualunque.
Era la donna dei suoi sogni.
Lei si accorse che era entrato nell’ufficio e lo beccò immobile sulla soglia, gli occhi e la bocca spalancati per la sorpresa. Un sorrisetto divertito e soddisfatto si allungò sulle sue labbra, ma lei non disse nulla. Continuò a osservarlo mentre Franky si riprendeva dal colpo.
«Come mi hai trovato?» esalò, alla fine.
Che lui sapesse, ritrovarsi con la persona che si sognava era sempre frutto del caso. Eppure, nella sua mente, aveva già chiaro che non era una casualità che quella donna si trovasse seduta nel suo ufficio, e di certo non aveva bisogno dei suoi servizi come meccanico.
Ancora, lei non disse nulla, ma si limitò a fare un cenno, invitandolo a sedersi di fronte a lei. Franky obbedì, senza toglierle gli occhi di dosso.
«Come mi hai trovato?» ripeté la domanda.
«Non è stato così difficile come pensavo» parlò lei per la prima volta. La sua voce risuonava decisamente differente rispetto a quella dei suoi sogni, ma era piacevole. «I sogni danno molti indizi, se si sa interpretarli.» Sorrise, un sorriso da gatto. «Sai come mi chiamo?»
Lui deglutì. «No, non lo so.»
«Lo immaginavo.» Non c’era condiscendenza nella sua voce. «Quasi nessuno lo sa, quasi nessuno fa attenzione ai piccoli particolari. Eppure ci sono tanti modi per scoprirlo…. Un amico che ti chiama, un post su Facebook, l’abbonamento della metropolitana passato ai tornelli…»
Franky scavò nella memoria per ricordarsi se avesse visto qualcosa di simile. Pensò alle mille volte in cui l’aveva vista apporre la sua firma sui libretti dei suoi studenti, ma non si era mai soffermato a vedere che nome fosse, men che meno ricordarsene al risveglio.
«Il mio come l’hai scoperto?»
«Quando sei stato al Game Stop a prenotare la nuova uscita di quel videogioco. Hai dovuto lasciare il tuo vero nome.»
«Quindi hai fatto una ricerca all’anagrafe per trovarmi?»
«Oh, no, quello sarebbe illegale.» C’era un tono divertito nella sua voce. «Una cosa molto più semplice: Facebook.»
«Non sono iscritto col mio vero nome» la corresse lui, sentendosi improvvisamente in vantaggio.
«No, infatti» acconsentì lei. «Il che ha reso la cosa più divertente.» Contò sulle dita. «Sapevo il tuo nome e la tua professione, cioè il chi e il cosa. Avevo bisogno del dove.»
«L’indirizzo della mia officina o di casa mia.»
«Sono partita da una cosa più semplice: la città. Non che non abbia provato ad avere direttamente l’indirizzo, ma non hai mai ricevuto pacchi nei miei sogni, né inquadrato bene le strade.»
«Come hai trovato la città, allora?»
«Una volta sei stato a un concerto, ma le persone con cui sei andato hanno dormito da te. Ho pensato che il concerto si fosse tenuto nel posto dove abitavi, quindi mi è bastato verificare su internet. Ho avuto fortuna: i Coldplay avevano una tappa sola qui da noi.»
«E dopo?» Franky si ritrovò a chiedere, preso dal racconto.
«Mi sono scaricata una lista di officine, poi sono andata su Google Maps e dalle foto del satellite ho cercato di individuare quella che più assomigliava a quella dei miei sogni.»
«Non ho mai contato il numero di officine qui a Milano, ma devono essere una marea
«Corretto. Ma sono abituata a questo tipo di ricerche, è il mio mestiere.»
«E non hai trovato noioso spulciartele una a una?»
«Per niente. Sapevo che avrei trovato quello che stavo cercando, che è più di quanto possa dire normalmente. E l’ho trovata.» C’era una punta d’orgoglio nella voce e, per la prima volta, gli occhi le brillavano. «Poi ho semplicemente chiamato per informarmi di chi fosse il proprietario, dato che su internet non c’erano notizie, così ho avuto la conferma definitiva.»
«E adesso sei qui.»
Lei scrollò le spalle. «Dopo tutte queste ricerche, pensavo che la degna conclusione fosse vederti di persona» gli spiegò. «Non ho granché interesse in tutta questa leggenda delle anime gemelle che si sognano alla notte, ma avendo avuto questi sogni… almeno ho cercato di renderli stimolanti.»
Franky sbatté le palpebre, incapace di staccare gli occhi da lei. Poi la sua bocca si mosse autonomamente e parlò senza nemmeno accorgersene.
«Mi sono appena innamorato di te.»

***

Akemichan Parla Senza Coerenza:
E' da un pezzo che non aggiorno questa raccolta (che, come sa che mi segue, dovrà essere composta da sei storie), quindi ho approfittato del Soulmate Day organizzato dal Naruto&One Piece Forum per trovare l'ispirazione. Non volevo fare una "semplice" storia di Soulmate, ma allo stesso tempo non avevo tempo di approfondire troppissimo l'AU di riferimento, quindi è venuta fuori questa storia. Nella mia mente suonava molto meglio di come alla fine è stata scritta, ma spero che vi piaccia ugualmente!
Alla prossima!

 

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