On my Skin

di NightWatcher96
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Tutto così Superficiale ***
Capitolo 2: *** Il Crampo ***
Capitolo 3: *** Declino ***
Capitolo 4: *** Pizza Gyoza! (Parte I) ***
Capitolo 5: *** Pizza Gyoza! (Parte II) ***
Capitolo 6: *** Preparativi Affrettati ***
Capitolo 7: *** Ivan Jefferson ***
Capitolo 8: *** L'Incubo Comincia ***
Capitolo 9: *** Eutanasia ***
Capitolo 10: *** A Casa ***
Capitolo 11: *** Ultimi Momenti ***
Capitolo 12: *** Attimi ***
Capitolo 13: *** La Luce nel Buio ***
Capitolo 14: *** Pochi Istanti ***
Capitolo 15: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Tutto così Superficiale ***


N/A  Prima di cominciare, vorrei gentilmente consigliare la lettura accompagnata da una canzone che amo, ossia "I Try" by Simple Plan. E' perfetta, a mio parere, per questa lunghissima One Shot suddivisa in vari capitoli. Potrà sembrarvi l'ennesima storia fluffosa ma ho deciso di scriverla per capire cosa provano coloro che sono i Prescelti dei mali incurabili. E' molto più dettagliato sia in termini medici (non sono una dottoressa, ma amo la medicina!) sia nelle cose che affronteranno gli Hamato. A proposito, c'è anche una buona dose di Azione, quindi, buona lettura!
Dedico questa fic a tutti coloro che mi seguono, in particolare a LaraPink777, Helen_The_Dark_Lady, CartoonKeeper 8, Gru e infinite...



Protezione.
Che buffa parola, a volte. In altre, poteva davvero fare grande differenza e per Raphael Hamato, fiero ninja di quasi vent'anni di giovinezza il significato era proprio il secondo verso la sua famiglia. O meglio, verso un piccolo fratellino chiamato Michelangelo.

Dall'ultima volta che aveva pescato l'album dei ricordi nello sgabuzzino a soqquadro per le consuete pulizie di primavera, la sua mente aveva sempre riprodotto scene terrificanti come specchio del continuo terrore che a distanza di anni Mikey potesse essere di nuovo preda della leucemia.

Raph ricordava chiaramente lo scatolo polveroso nascosto sotto tanti altri di Donatello; all'interno, infatti, aveva pescato un bianco referto medico proprio del suo fratellino rimbalzante.
Era stato scritto al momento del ricovero di Mikey e giorno per giorno erano stati segnati migliorie o peggioramenti fino all'attimo infernale della crisi respiratoria.

Ma non sarebbe stato il referto in sé ad alimentare, se non far nascere, l'idea di una ricaduta nel focoso della famiglia Hamato bensì una nota in grassetto stampata all'ultima pagina, appena sopra la firma del maestro Splinter quando Mikey fu dimesso.
 

"Il bambino è un soggetto ad alto rischio di contrarre nuove infezioni dalla Leucemia Linfoblastica Acuta. Si prega di accertarsi con controlli vari ogni anno."
 

Anche adesso che Raph si dondolava sulla sua amaca con le mani dietro la nuca e gli occhi spalancati nel buio, verso il soffitto, ripensava a quella stringa dannata. Sorgeva spontaneo chiedersi da quanto tempo, se non anni, Mikey non si sottoponeva a specifici controlli.

Forse per dimenticanza o per l'abitudine di vederlo sano e forte. O per mancanza di denaro, altra intensa ipotesi e brutta bestia. Come per gli umani, anche la loro famiglia lottava quotidianamente contro la scarsità dell'unico salvadanaio custodito da Donatello.

I fondi non bastavano neanche per un solo giorno, purtroppo.

Raphael improvvisamente sospirò e si alzò dall'amaca, stringendo meglio il nodo della maschera proprio dietro alla nuca. Pensare a Mikey gli aveva fatto venir voglia di vederlo...
 

Trovarlo non fu così difficile.
Il piccolo ninja era spaparanzato sul divano, con un sacchetto di patatine ancora stranamente integro e l'aria assonnata. Il tutto prima di cena.
"Mikey a quest'ora dovrebbe essere ai fornelli..." pensò Raphael, spalancando gli occhi. "Vuoi vedere che... la malattia...! NO!".
Spinto dal pensiero terribile, si piazzò giusto davanti alla televisione ma così facendo si guadagnò solo un ringhio proveniente dalla gola di Mikey.

"Mi stai oscurando il film... togliti...!"- borbottò con evidente malumore.

Raphael obbedì ma solo perché il suo istinto fraterno gli chiedeva di accomodarsi accanto al fratellino e fissarlo intensamente, alla ricerca anche del più piccolo segno di ricadute.

Con un tale sguardo intenso addosso, il piccolo Mikey non poteva fare a meno di spostare l'attenzione dalla tv a Raph e mantenere, così, il contatto visivo senza troppa fatica. Quel momento sembrava un gioco dove il meno forte avrebbe ceduto abbassando gli occhi!
Contrariamente a questo pensiero, ciò non avvenne affatto e la sfida si concluse in un pareggio.

"Mikey, ti senti... bene?"- chiese Raph, con fare vago.

"Sì, perché me lo chiedi?".

"Beh, solitamente a quest'ora sei ai fornelli."- spiegò il rosso, palpandogli la fronte.

Mikey sbatté semplicemente le palpebre, nella più totale confusione; da quando suo fratello si preoccupava della sua salute? C'era forse qualcosa che non andasse? O semplicemente i Kraang avevano scambiato il cervello di Raph con qualcuno di più zuccheroso?

Fermo dell'ultima ipotesi, Mikey balzò in piedi e fissò trucemente un Raph sbigottito.
"Dì un po'... tu chi sei?"- borbottò con sfiducia.

Al che, Raph roteò gli occhi con esasperazione e lo abbracciò semplicemente, tirandogli le corte codine della maschera arancione. Il giovane Michelangelo gridò nella sorpresa di quel gesto ma subito scoppio a ridere e si accoccolò il più possibile contro il petto possente del fratello maggiore.

"Mi vuoi bene, vero?"- chiese il minore.

"Nient'affatto!"- replicò sarcastico il secondogenito.

Per il più piccolo questa risposta fu migliore di tante parole cariche d'affetto. Raph era fatto a modo suo e non riusciva a esprimere i suoi sentimenti con facilità, eccetto per la rabbia, da sempre sua unica compagna di vita.

Comprendere cosa volesse dire dietro a bruschi gesti anche mal interpretati o parole sempre a sfondo di minaccia, era una sfida del tutto piacevole, dove il trofeo era semplicemente l'intuizione dell'emozione contenuta in ogni sua singola parola.
 

"Il bambino è un soggetto ad alto rischio di contrarre nuove infezioni dalla Leucemia Linfoblastica Acuta. Si prega di accertarsi con controlli vari ogni anno."
 

Raph, però, si tese come una corda di violino... la frase di Mikey non chiedeva silenziosamente di piangere per lui, vero? Il bambino era forte e sano, giusto?
"Mikey, da quand'è che non facciamo più dei controlli sulla tua salute?"- domandò di getto.

Ancor prima che il piccolo potesse rispondere con una delle sue, un altro fratello lo anticipò: Donatello era entrato in quel momento con le mani sporche di olio per motori. Probabilmente aveva trovato piacevole dedicare tre ore allo Shell Raiser, in veste di meccanico.
"Direi che oggi fanno sette anni."- rispose con nonchalance.

Dal dojo, neanche fosse stato telecomandato, sopraggiunse Leonardo. Il suo corpo brillava di sudore sotto ai fasci colorati della tv accesa nel salottino e il suo viso, per una volta, appariva stanco dal troppo allenarsi. Testa dura, il leader.
"Come mai quest'insolita domanda?"- formulò Leo.

Parlare o non davanti al più lentigginoso della famiglia? Raphael era davvero indeciso sul da farsi, purtroppo.
"Beh... ecco..."- farfugliò, avendo cura di non guardare nessuno.

"Per la leucemia!"- esclamò, d'un tratto, Mikey. "Vero?".

Donatello e Leonardo si tesero alla menzione della malattia che era riuscita quasi a strappar loro il fratello eternamente bambino ma non profferirono alcuna parola. Dopotutto, era Raph a dover rispondere, giusto?

"A dire il vero, durante le pulizie di primavera ho trovato un referto medico, dopo l'album di foto e mi sono chiesto da quanto tempo Mikey non si sottoponeva a un check-up accurato".

Donatello spalancò gli occhi, indietreggiando un po'; era troppo tempo che non si preoccupavano più del loro adorato fratellino, ormai troppo presi da una vita quasi perfetta e priva di malattie.
"Dimmi una cosa Raph..."- soffocò tremante. "Che cosa c'era scritto nel referto?".

A malincuore, il mutante dalla maschera rossa rivelò la maledetta stringa che senza fermarsi un instante gli ronzava nella mente.
A sentire quella frase, il gelo piombò nella stanza.

Il giovane Mikey, sinceramente, non comprendeva esattamente il motivo delle facce sbiancate con bocche e occhi sbarrati come gallerie e per questo sbatté una sola volta le mani e sorrise ampiamente.
"Non so voi, ma io non mi faccio tanti problemi. La malattia è stata battuta con il trapianto del midollo osseo ed io non sono stato più male. E' obsoleto quel referto".

Un lampo di rabbia attraversò lo sguardo bordeaux di Donatello: il suo fratellino non aveva affatto compreso la pericolosità della malattia che anni addietro erano riusciti a sconfiggere per un soffio.
"Tu non lo sai, Mikey... ma i bambini che sono stati malati di leucemia, se colpiti a distanza di tempo, possono non essere così fortunati. Non vuoi capire che la malattia di cui stiamo parlando potrebbe attaccarti in un momento qualsiasi e aggravarsi in poco tempo? Non hai mica capito che tu per noi sei troppo importante e mai e poi mai vorremmo vederti soffrire in un letto d'ospedale, vero?"- mitragliò Donnie, in un crescendo di voce.

La parte finale era un rimprovero in piena regola e un'esplosione di tristezza non certamente passata inosservata al piccolo Mikey, ora ammutolito.
Non pensava che i suoi fratelli prendessero tanto seriamente la sua situazione...
Mikey abbassò lo sguardo e senza dire una sola parola si ritirò in cucina, affinché affogasse un po' di risentimento per essere stato quasi rimproverato nella cottura di un po' di pasta.

La giovane tartaruga non si accorse degli sguardi addolorati dei suoi fratelli rivolti al suo guscio sfumato ai bordi dalla luce bianca della cucina e nemmeno del silenzio glaciale piombato dopo lo sfogo di Donatello.
A quest'ultimo furono necessari tre minuti affinché comprendesse cosa gli avesse provocato rabbia, dolore e angoscia messi insieme: il disgusto gli serrava la gola, una morsa di colpevolezza attanagliava lo stomaco, gli occhi si riempivano di calde lacrime che mai sarebbero rotolate sulle guance davanti alla famiglia.
"Forse ho esagerato..."- mormorò, infine, carico di sensi di colpa.

"No. Anche Mikey lo sa e ha voluto scherzare per alleggerire la tensione."- rispose Leo.

L'unico a non concordare era solo Raphael: continuava a fissare intensamente la parte del corpo di Mikey fra il lavello e l'angolo cottura che non era stata offuscata dalla tendina color salmone collocata al posto di una semplice porta.
"Tu non lo sai... ma ci preoccupiamo per te..." fu il suo ultimo pensiero.
 

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Capitolo 2
*** Il Crampo ***


N/A  Buonasera! Rieccomi ad allietarvi con un po' di sano straziante fluff, in tono a "Lucky One" by Simple Plan. Vorrei ancora una volta ringraziare tutti quelli che mi seguono e la dolcissima Helen_the_Dark_Lady e anche se non scrivo altri nomi (a causa della mia scordosa memoria!) sappiate che abbraccio tutti quanti! Detto questo, enjoy!





Nei giorni seguenti, Michelangelo non avrebbe profferito molto.

Non era arrabbiato con la sua famiglia né con Donatello ma lo sfogo di quest'ultimo gli avevano aperto un varco nella mente che cominciava a impensierirlo un po'. Dubitava di continuare a vivere una vita perfettamente sana.

"E se morissi? Potrebbe anche essere una liberazione per i miei fratelli; dopotutto sono io l'ultima ruota del carro, la palla al piede, il moscio, il cervello di gallina..." pensava, anche quando scriveva sul suo diario segreto.

I suoi pensieri, le sue emozioni, le sue giornate, li annotava su un'agenda senza numeri o date che il sensei gli aveva portato tempo addietro da uno dei soliti viaggetti nelle fogne alla ricerca di cibo e di oggetti riutilizzabili.

E anche adesso, in una notte in cui proprio non riusciva a dormire, scriveva e ripensava attentamente al malefico anno in cui si ammalò da piccolo.
"Dolori dappertutto... e in più c'era anche Raph a torcermi inizialmente..."- sussurrò.

Mikey gettò uno sguardo alla sua sveglia: erano le tre del mattino!
"Caspita! Ho passato la notte a scrivere!"- ridacchiò, alzandosi.

Si stiracchiò il più possibile, nascose il diario in un cassetto della sua piccola scrivania e raggiunse il lettino. Improvvisamente, però, guaì.
Un crampo si era appena impossessato del suo magro polpaccio sinistro e il muscolo sembrava contorcersi con anima propria e con un dolore vivo, bruciante come il fuoco.
La giovane tartaruga perse l'equilibrio ma fortunatamente riuscì a gettarsi sul letto, attutendo così la caduta. Sul morbido, il giovane palpò la gamba dolorante e in un attimo trovò la risposta al dubbio sulla provenienza del crampo.

"Abbiamo sudato come caprette con gli allenamenti di tonificazione delle gambe... che dire... il sensei ci è andato giù davvero pesante!"- commentò.

In un attimo, i suoi occhi si sarebbero chiusi e l'ultimo pensiero che avrebbe custodito fino al mattino sarebbe stato il volto morbido del maestro Splinter.
Come tutti gli altri, Mikey era molto affezionato al suo sensei...
 

Qualche ora più tardi, il giovane Mikey era stato l'ultimo a unirsi al primo pasto della giornata. Quattro ore di sonno non erano state sufficienti, purtroppo e a malincuore si era dovuto alzare quando la sveglia aveva scoccato le sette e trenta.

Appena fece capolino in cucina, camminando come uno zombie con occhi chiusi e busto pendente un po' in avanti, Raph fu il primo a commentare.
"Ce l'hai fatta ad alzarti dal letto, eh?!".

Acutezza uguale Donatello: il crampo alla gamba di Mikey aveva lasciato una leggerissima zoppia temporanea a causa di un irrigidimento del polpaccio ancora in parte dolorante che al genio in questione non era passata inosservata.
“Che sarà accaduto?” pensò in quell’attimo.
Smesso di sorseggiare il suo caffè mattutino con la relativa ciambellina, si concentrò sul suo fratellino a un passo dal sedersi fra Raph e Leo.

"Buongiorno..."- sillabò l’ultimo citato in un lungo sbadiglio.

"Buongiorno, Michelangelo. Cosa ti porta a ritardare molto, figlio mio?"- domandò Splinter, servendogli la consueta scodella di latte e un paio di biscotti.

"Non sono riuscito a dormire molto bene... continuavo a pensare."- rispose Mikey.

"A cosa?"- chiese Leo, interessato.

L'arancione era indeciso se rivelare o no le sue preoccupazioni circa la leucemia; così, infilatosi un biscotto in bocca mentì a fin di bene.
"Ho pensato al prossimo disegno da fare!".

"Non si parla con la bocca piena, Mikey!"- rimproverò dolcemente Leo.

Inghiottito il boccone, il giovane si scusò: "Ovviamente per me è importante".

Il sensei scosse giocosamente il capo, poi si alzò, posando la sua tazzina di te ormai vuota nel lavandino e dirigendosi verso il dojo annunciò: "Ricordate che vi attendo tutti e quattro fra cinque minuti".

"Hai, sensei!".

L'uno dopo l'altro terminarono e sparecchiarono alla meglio; quest'oggi, sarebbe toccato a Don fare i piatti per l'intera giornata.

"Ricorda di sciacquare tutto per bene!"- sogghignò Raph, diretto al dojo.

"Non farmici pensare..."- si lamentò l'altro.

Leo gli batté una mano sul guscio e commentò: "Suvvia, non fare quel muso. Non sono tanti piatti, in fondo. Prova a vedere il bicchiere mezzo pieno, ok?".

"Ehi! Quello è compito mio!"- si difese Mikey, intento ad asciugarsi le labbra sporche.

Non fece neppure in tempo a sgattaiolar fuori che Donnie lo bloccò per un polso e lo costrinse a restare, con un contatto visivo davvero arduo da mantenere. Leonardo era neutrale, invece.
"Ti fa male la gamba?"- chiese acutamente.

"Cos... n... no!"- farfugliò l'altro.

"Io non ci conterei. Zoppichi un po'. Che è successo?".

Troppe domande... troppi fastidi!
Mikey si strattonò via con violenza inaudita e con la rabbia bruciante negli occhi soffiò infastidito: "Un crampo. E non siate così soffocanti con me!".

Don socchiuse semplicemente gli occhi.

“Vado nel dojo. Sono sicuro che non ci saranno interrogazioni lì!"- borbottò Mikey.

Quando fu lontano abbastanza, Leonardo guardò semplicemente un Donnie ancora preoccupato, con la curiosità più morbosa che potesse persuaderlo in quel momento.
"Il primo sintomo della leucemia è il dolore a una delle gambe."- commentò atono il ninja in viola. "Sarò anche soffocante ma è per il suo bene"...
 

Mossa del Drago Invisibile.
Kata di livello avanzato.
Meditazione.
Tre minuti di corsa.
Mezz'ora di sollevamento pesi.
Michelangelo non ne poteva più..!

La sua gamba era dolorante, a malapena poteva muoverla liberamente come le altre volte e la fatica si stava facendo sentire. Questo non era normale.

"Figliolo, stai bene?"- domandò, improvvisamente, Splinter.

Il bambino di anni quindici sobbalzò a quella domanda improvvisa e si affrettò a rispondere con una scrollatina in positivo della testa.
"Sì, sensei. Sto bene. Forse... un leggero crampo, ma nient'altro!"- ridacchiò.

Raphael fu il primo a socchiudere gli occhi per analizzare quella frase che sapeva quasi di falso; il suo fratellino non diceva molte bugie ma era solito ondeggiare con il corpo, muovere freneticamente le dita e saltellare sul posto quando si trovava sotto pressione soprattutto davanti al maestro, difficile da ingannare.
"Sei sicuro? Perché a me sembra che tu stia spostando il peso sull'altra gamba."- rivelò.

"Non è così!"- si difese il più giovane.

A quel punto, il genio s’intromise: già prima di allenarsi aveva notato la zoppia della gamba sinistra e sebbene avesse provato a chiederne il motivo al diretto interessato non era riuscito a cavarn3+6e un ragno dal buco.
Ora, però, non ci sarebbero state più scuse.
"Suvvia, Mikey. La gamba ti fa male e necessiti di riposarti!"- sogghignò con aria sinistra.

"Sto bene!".

In quel momento il sensei analizzava silenziosamente tutta la scena, focalizzato soprattutto sul suo allievo più giovane. Come spiegato da Don, Mikey era molto più sudato degli altri, stanco, a malapena in grado di reggersi in piedi; la gamba incriminata appoggiava al suolo solo sulle punte delle dita del piede e al polpaccio compariva un piccolo bozzolino.
Probabilmente era qualche nervo talmente accavallato da risultare visibile anche sotto il tessuto endocrino.

"Michelangelo, vieni qui."- profferì l'anziano topo.

Lo fece sedere in terra, sul tatami del dojo e lui stesso gli s’inginocchiò davanti, afferrando piano la gamba. Con la sapienza acquisita in svariati anni e segreti carpiti dalla memoria del maestro Yoshi che era un tempo, le sue dita rosee palparono il bozzolo.

Mikey non trattenne un gemito addolorato e per questo fu scoperto.

"Lo dicevo io!"- enfatizzò Donatello.

"Non mi faceva tanto male! E poi il crampo è arrivato stanotte!"- rivelò Mikey, arrabbiato.

"Acido lattico."- confermò ancora il genio.

Raph, Leo e Mikey sollevarono semplicemente un sopracciglio: Donatello fu costretto a spiegare dettagliatamente la secrezione prodotta dai muscoli dopo uno sforzo piuttosto intenso e solo quando concluse con un "capito, adesso?" costatò felicemente che gli altri lo avessero non solo seguito ma anche compreso.

"Mi spiace di averti spinto oltre, Mikey..."- mormorò colpevolmente Leo.

"Ma... ma che dici? Tu non hai fatto nulla...!"- replicò un Mikey sbigottito.

L'azzurro gli appoggiò la mano sulla nuca e negò; nelle sessioni di allenamento delle scorse serate era stato troppo duro nei suoi confronti e pur di vedere il suo reale potenziale sopito da anni, aveva ignorato la pausa, necessaria per evitare strappi, contusioni e crampi.
Leo era stato incaricato dal maestro Splinter di seguire Mikey perché sarebbe stato impegnato ad allenare una bella kunoichi pel di carota chiamata April.

"Ma smettila! E' capitato, no?"- borbottò Mikey, agitando una mano.

Raphael indurì lo sguardo, poi si alzò in piedi e restò quasi in disparte a quello scambio di battute sebbene un orecchio avrebbe continuato a prestare attenzione. C’erano troppe informazioni da analizzare nel suo cervello e non poteva fare più cose contemporaneamente, come sentire, vedere, ascoltare, pensare, dire la sua ed elaborare.
Non era un MetalHead!

Come aveva spiegato Mikey, tutta quella storia era stata opera di un crampo.
"Generalmente durano sì e no una decina di minuti, poi basta il riposo e vanno via" pensò il mutante secondo in comando. "E il dolore non si sparge per tutto l'arto".
Ieri sera, poi, il suo fratellino era rimasto sul divano, stanco, senza nemmeno toccare l'abituale sacchetto di patatine.
"Non è da lui. La stanchezza è anche un altro sintomo" rifletté ancora.

Raphael non voleva formulare quel pensiero.
Non riusciva neanche a pronunciare quell'orribile parola di otto lettere.
Semplicemente non era giusto farlo.

"Ragazzi, ve l'ho già detto. Sto bene. Quindi, basta pensare al male!"- tuonò Mikey.

"Riguarda la tua salute, Michelangelo!"- riprese Leo, alquanto arrabbiato.

Il più piccolo si ritrasse: la menzione completa del suo nome avveniva solo nei rari casi in cui Leonardo si arrabbiava sul serio per qualche marachella.
"Mi vogliono davvero bene se si agitano per nulla..." pensò Mikey, tristemente.

Intanto, il sensei si era occupato di massaggiare appositamente la gamba per sciogliere quel nodulo; il suo udito aveva percepito tutto, anche la tensione sempre più crescente tra tutti i suoi figli. Quando terminò e si ritenne soddisfatto del suo lavoro, si rimise in piedi.
"Il nostro allenamento è concluso, ragazzi miei."- disse.

Don e Mikey si rialzarono in piedi e insieme a Leo e Raph s’inchinarono rispettosamente, come sempre erano abituati a fare per ogni ordine dettato dal loro padre e maestro.

"Continueremo nel pomeriggio."- aggiunse.

E ancora una volta i suoi figli non obiettarono nulla.

"Eccetto te, Michelangelo. Tu sei esonerato dalla pratica pomeridiana e da quella serale".
Il più giovane spalancò gli occhi ed esclamò: "COSA?! Perché, sensei?!".

"Non posso rischiare di indebolire ulteriormente il muscolo. Il nodulo che ho sciolto potrebbe tornare nuovamente se sforzato il muscolo. Una giornata di riposo aiuterà, vedrai e preferirei che non discutessi, ragazzo mio."- spiegò, poggiandogli una mano sulla spalla.

"Quindi questo vale anche per la ronda di stasera?"- domandò Leo.

Il maestro lo guardò semplicemente con intensità e per il maggiore dei quattro fu un "Sì" piuttosto convincente. Spesso, il saggio Yoshi preferiva affidarsi al profondo linguaggio del corpo perché sapeva che valeva più di mille parole e non c'erano errori di interpretazione.

Il giovane Michelangelo era completamente appassito.
Sperava di divertirsi con lo skateboard fra i tetti, con Casey ed April, magari con Mondo Gecko e anche Leatheread... e invece sarebbe dovuto restare seduto sul divano a guardare i suoi fratelli lasciare la tana dopo cena.
Che ingiustizia!

La mano di Donatello appoggiò sulla sua magra spalla: Mikey sollevò occhi carichi di lacrime ma non gli diede il tempo di aprir bocca... sparì in un lampo verso la sua meta, o meglio, la sua cameretta.
La sua famiglia lo seguì silenziosamente con lo sguardo finché il suo guscio era visibile nel corridoio; poi, appena furono certi che si fosse rinchiuso nella stanza, iniziarono a parlare.

"Che sintomi avete incontrato?"- cominciò Splinter.

"Stanchezza, inappetenza e dolore alla gamba."- elencò Raphael, ancora con lo sguardo fisso sul corridoio.

"Voi altri?".

"I medesimi."- risposero Don e Leo, all'unisono.

Il sensei si lisciò semplicemente la barbetta; non era proprio sicuro di allarmare un'intera famiglia per nulla, sebbene una parte del suo cuore di padre gridasse già di non sottovalutare tali sintomi. Così, mormorando qualcosa in giapponese, si ritirò nella sua stanza.

I tre rimanenti erano anche certi che Mikey non si sarebbe fatto vivo per salutarli e fu esattamente ciò che avvenne quando le ventuno in punto scoccarono.
Nonostante tutto, prima di superare la gradinata che divideva la vecchia metropolitana in rosso dall'ingresso alla tana, si voltarono verso il corridoio nella speranza di scorgere un paio di occhi azzurri accompagnati da una maschera arancione.
Attesero per qualche minuto ma alla fine, arresi alla realtà che Mikey non li avrebbe salutati, uscirono con il cuore pesante d'angoscia...
 
   

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Capitolo 3
*** Declino ***


N/A  Sera, tartamondo! Ed eccomi qui ad aggiornare sempre in serata con questo terzo capitolo. Il nostro Mikey lentamente sembra aver imboccato un declino inesorabile ma il bello, se così possiamo definirlo, deve ancora arrivare. Sì, perché Helen_the_Dark_Lady, LaraPink777, Zoey_Charlotte_Baston e nuove lettrici aggiunte che mi conoscono, sanno che "Il meglio" corrisponde sempre a tragedie, guai a non finire e avventure con azione! Quindi, ringraziando sempre tutti quanti voi, vi lascio il capitoletto, più breve rispetto al precedente. Sto cercando di giocare un po' sulla lunghezza dei testi.
Ops... testi, ho detto. Beh, sappiate che più di una metà di questa One-Shot ce l'ho completa. :) 
Enjoy!




Giorni seguenti...
 
Mikey era davanti allo specchio.
Era da qualche giorno che durante la riflessione mattutina si era accorto di una leggerissima differenza di peso, alquanto impercettibile ma presente.

Gli sembrava che la solita cintura marrone si abbassasse troppe volte sulla pancia e lui era costretto a rialzarsela al solito punto. Si sentiva più leggero, con meno fame e un po’ vuoto.
Inoltre i pad di protezione alle gambe strisciavano delicatamente via dalle piegature delle gambe, rischiando di afflosciarsi sul collo dei piedi.

Era tutto una supposizione? Mikey non lo sapeva proprio.

“Potrei togliermi il dubbio controllando il mio peso."- si disse convinto.

Tempo di raggiungere il bagno senza destar nessuno che si posizionò cautamente sulla gialla bilancia meccanica accanto alla lavatrice riparata da Donnie.
Le iridi di Mikey si restrinsero per qualche secondo, attentamente, mentre l’ago correva inesorabilmente verso un numero alquanto strano.

Il ronzio della vecchia lampadina ciondolante dal soffitto ronzava nelle sue orecchie e infastidiva leggermente; piccole gocce d’acqua cadevano dal lavandino e accompagnavano la sinfonia mattutina.
Mikey sospirò, infine. Allora non si era immaginato tutto... aveva proprio visto bene.

“In due giorni ho perso due chili... e senza la mia volontà. Accidenti!"- commentò.

Allo specchio realizzò la nuova forma del suo corpicino; come poteva dimagrire se mangiava anche più razioni di pizza?

“Mi sto allarmando inutilmente. Forse mi sta capitando questo perché ho un buon metabolismo e poi mi alleno tre volte al giorno per due ore nette! Sfido io qualsiasi culturista!"- sogghignò.

Canticchiando una canzoncina in giapponese, la tartaruga iniziò la consueta pulizia mattutina del suo corpo e quando si ritenne abbastanza pulito oltre che soddisfatto marciò dritto verso la cucina.
Eppure, qualcosa gli fece cambiare idea.

Sotto la porta della cameretta di Leonardo filtrava un fascio di luce bianca e un leggero brusio ne proveniva indistinto. Curioso, Mikey si mise a scrutare attraverso la fessura della serratura.
“Ci sono i miei tre fratelli..." pensò. “Ma che ci faranno insieme?”.
Forse parlavano male di lui.

Mikey deglutì quell’aspro pensiero e appoggiò l’orecchio sulla fredda superficie bianca della porta, pronto per assicurarsi se davvero ci fossero state parole offensive sul suo conto.

Nella camera, però, avveniva ben altro discorso da quasi mezz’ora.

Leonardo aveva dato appuntamento sia a Raph sia a Don perché durante la notte una moltitudine di pensieri oscuri lo avevano avvolto, impedendogli di prendere sonno e allora aveva preferito destare i due fratelli per una conversazione molto importante.

“Ragazzi, allora è deciso. Gli staremo con il fiato sul collo.”- disse.

“Non possiamo permetterci fallimenti."- continuò Donnie.

“Appunto. La pulce è fastidiosa, è vero, ma gli voglio troppo bene e non voglio assolutamente che gli capiti qualcosa."- aggiunse perfino Raph.

Si era seduto sulla sedia di legno con una gamba sull’altra, dove Leo prendeva posto alla scrivania per esercitarsi sugli hirigana o i vari kanji della lingua natale del sensei. A braccia conserte, Raph manteneva un volto inespressivo.

“Molto bene. Potete andare."- concluse l’azzurro.

Il giovane Mikey trattenne un gridolino: non poteva assolutamente restare accovacciato come una rana fuori la porta! Fece per balzar via quando un dolore accecante esplose nella stessa gamba malconcia dei giorni addietro.
“Non di nuovo!"- ringhiò a denti stretti.

Il suo corpo che faceva un leggero tonfo sul pavimento gelido ci impiegò troppo tempo: Mikey non poté rialzarsi al momento opportuno e diventò purtroppo il bersaglio dei suoi Aniki.
Ovviamente, vedendolo riverso su un fianco, con una mano sulla coscia rappresentò un campanello d’allarme sia per Donnie sia per Raph, i primi a uscire dalla stanza di Leo.

“MIKEY!"- esclamarono i due ninja, soccorrendolo.

Il broncio tenero sul viso di Mikey era quasi ironico ma in quel momento rispecchiava la rabbia nel suo petto. Per quanto il suo obiettivo fosse stato quello di non impensierire inutilmente i suoi fratelli, alimentando la paura del ritorno della leucemia, aveva già fatto l’esatto contrario.

Non per sua scelta, però.

Il dolore improvviso lo aveva colto di sorpresa e la caduta era sorta da un blocco, un autentico collasso, alla gamba sinistra. A differenza del crampo, questa volta il dolore era localizzato al femore e parte della tibia.

“Otouto!"- esclamò perfino Leo.

“Sono inciampato..."- gemette il più piccolo.

“Ti fa male la gamba, fratellino? La stessa?"- domandò Don, sbiancato.

“Un crampo... un altro...”.

Raphael ruggì così sonoramente che sembrò un’autentica bestia selvaggia. Si era ripromesso di diventare l’ombra del suo fratellino e invece quest’ultimo gli era caduto davanti senza che lui lo avesse impedito.
Nella morsa della più violenta e letale collera, stoppò sia Don sia Leo con le braccia premute sui loro pettorali affinché Mikey sarebbe stato la sua preda. I due Aniki non obiettarono il suo intervento e lo lasciarono compiere il suo dovere nel sollevare tra le braccia il piagnucolante fratellino.

Raph, in pochi attimi, lo avrebbe già disposto sul lettino dell’infermeria, o meglio, il laboratorio di Donatello.
“Fagli tutti i controlli che devi."- ordinò con voce gelida.

Al viola saltò quasi il cuore in gola nel ritrovarsi un alito caldo di rabbia ad accarezzargli il suddetto Pomo d’Adamo e parte del viso e obbedì senza discutere. L’ultima cosa che voleva, in quel momento abbastanza drammatico, era una ramanzina con una scarica di pugni.
Al solo pensiero di una moltitudine di lividi rabbrividì.

Le mani del genio si muovevano nervosamente verso gli strumenti da prendere per risolvere il problema del piccolo Mikey dal broncio più carino che avesse mai manifestato; aveva bisogno di uno stetoscopio, un martelletto, una pomata e chissà, molto probabilmente di un antidolorifico.
“Sfortunatamente non dispongo di strumenti per prelevare dei campioni di sangue."- mormorò.

“Non c’è bisogno di pensare al peggio. E’ stato un altro crampo. Punto!"- replicò Mikey.

Sia Raph sia Leo lo fulminarono all’istante con un’occhiataccia e a malincuore il più giovane serrò la bocca.
Nel silenzio quasi assoluto che si venne a creare, Donatello avrebbe impiegato solo una manciata di minuti per risolvere la situazione, sotto gli sguardi sempre vigili di Raph e Leo.

Logicamente, il primo passo era quello di sfilare dolcemente il pad di protezione dal ginocchio: appena eseguì quest’operazione, un leggero gonfiore che contrastava con la normale temperatura dell’intero corpo non gli passò inosservato.

Raph socchiuse automaticamente gli occhi smeraldo, mentre Leo si focalizzò sullo spettacolo poco gradevole.

Mikey gemeva al semplice tocco contro la pelle sensibile della gamba e ciò alimentava più dubbi negli altri.

“Vediamo come te la cavi a camminare."- mormorò Donnie, pazientemente.

Il più giovane assunse un’aria sprezzante e scese tranquillamente dal lettino... ma nell’attimo in cui compì il primo passo con la gamba malconcia si ritrovò sbilanciato in avanti, giusto in direzione di Leonardo.
Quest’ultimo, rapido come non mai, gli tese le braccia e così facendo gli attutì una dolorosa caduta con schianto assicurato sul pavimento piastrellato del laboratorio. Il piccolo Mikey sussurrò qualcosa d’incomprensibile ma non osò staccarsi dal fratello maggiore; in quel momento, quelle braccia verde foresta d’acciaio erano un supporto morale, oltre che fisico.
“G... grazie..."- sussurrò sconvolto.

“Mikey, ascolta..."- s’intromise Donnie, titubante. “La tua gamba è momentaneamente fuori uso. C’è un accavallamento multiplo di nervi che ostruiscono gli impulsi elettrici dal cervello alla fitta rete di nervi e per tanto dovrai almeno usare una stampella”.

“Cosa?!"- esclamò il più giovane. “Assolutamente no!”.

Il ruggito frustrato di Raphael non resto inascoltato: il ninja in questione non assecondava certamente le lagne del fratello minore e le sue continue opposizione non facevano altro che alimentare la rabbia già bruciante nel suo petto per tutta questa dannata situazione.

“Ascolta per una volta, dannazione! Mikey, forse non ti è chiaro, ma Don sta cercando di aiutarti in tutti i modi e il minimo che tu possa fare è ascoltarlo!"- tuonò a denti stretti.
Il giovane spalancò semplicemente gli occhi nella paura.
Eppure...

“Che cosa sta succedendo qui dentro?”.

I quattro ninja si tesero come una corda di violino...

Avevano dimenticato di informare il maestro Splinter e non provavano altro che disgusto per l’ignobile atto. Speravano solo di risparmiarsi una ramanzina coi fiocchi.
Avendo sentito l’ultima parte del rimprovero di Raphael, dal piano inferiore, il sensei aveva optato per un sopralluogo, soprattutto perché la zona giorno era stata troppo silenziosa per troppi minuti, quasi interminabili.

Una volta che aveva raggiunto il luogo di proveniente del grido, e cioè il laboratorio, non aveva esitato a zittire la più che probabile rissa.

“Figlioli che sta succedendo qui?"- chiese, mentre passeggiava verso di loro.

I quattro si scambiarono un’occhiata preoccupata, ognuno sperando che l’altro avesse taciuto o perlomeno inventato una scusa ma l’enorme fedeltà di Raphael verso Splinter prese il sopravvento e vuotò il sacco.

Quando finì di raccontargli come effettivamente stavano le cose, il topo guardò preoccupato il più giovane ma quest'ultimo abbassò automaticamente lo sguardo. Come poteva essere? Cosa stavano ignorando nella salute declinante di Mikey?
 

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Capitolo 4
*** Pizza Gyoza! (Parte I) ***


N/A  Buonasera! Eccomi puntuale (?) come al solito a straziarvi un po'. E con questo capitolo vi anticipo che rientra nella fascia azione/avventura di cui vi avevo già parlato inizialmente. Suggerirei di ascoltare qualche canzone incalzante come Outta My Sistem o In by Simple Plan (ci vado pazza per questo gruppo, lo so!). Questo capitolo è la prima parte, quindi, bando alle ciance e ricordando un Mega Abbraccio a coloro che mi seguono sempre in numerosi (siete magnifiche, Imooto!!!) enjoy!



Qualche settimana più avanti...

Un leggero rumore raspante proveniva da una porta alla fine del corridoio della zona notte sfumato da una leggera luminescenza bluastra. 
Era la stanza del giovane Michelangelo.

Il disordine regnava lì dentro più del solito; tante cinture elasticizzate di differenti tonalità di marrone giacevano abbandonate sul letto e sul pavimento pad di protezione più o meno rovinati di varie misure, usati nel corso degli anni.

La tartaruga generalmente felice non era in vena di rimodernare il guardaroba: da qualche tempo il suo normale equipaggiamento ninja gli era diventato troppo largo e lo intralciava durante le sessioni di allenamento quotidiane.

Almeno di quelle in cui non era costretto a patire un crampo alla gamba e poteva permettersi di abbandonare la dannata stampella.

Rovistava nel suo cassetto, sotto al letto e in un box di plastica da una mezz’ora, ormai e solo un completo ninja gli era sembrato quello giusto.
“Indossavo questi quando avevo dieci anni!"- ridacchiò, mentre si specchiava.

Improvvisamente, al giovane, un dettaglio ben definito saltò all’occhio: si avvicinò con sguardo curioso e diteggiò l’avvallamento evidente appena sotto la linea di congiunzione dei piastroni superiori con quelli centrali e due bozzoletti duri poco sotto ai fianchi.

Mikey inclinò il capo con perplessità; la durezza che stava palpando rappresentava senza ombra di dubbio parte del costato e soprattutto il suo minuto bacino.
Poteva essere? Addirittura mostrare le proprie ossa così?

Un po’ sconcertato, il giovane osservò attentamente tutto il suo corpo e numerose altre differenze gli comparvero. La clavicola era piuttosto evidente, le sue braccia più piccole di spessore, le sue gambe meno spesse del solito e alle cosce mancavano i suoi soliti centimetri.

Il piccolo ninja spalancò gli occhi, stupefatto e per non gridare si premette entrambe le mani sudate e tremanti sulla bocca.
Non poteva essere! Non stava perdendo troppo peso così velocemente!
“Devo mangiare di più... devo mangiare di più!"- sussurrò con lieve isteria.

Mikey era spaventato e voleva solo qualche fratello accanto che riuscisse a consolarlo.

Ironia o non, in quell’attimo di pura angoscia, l’udito fine del mutante catturò un rumore leggero fuori dalla porta della sua stanzetta.
“C... chi... è?"- disse, con lievi balbuzie.

“Sono io. Ora della pattuglia, Mikey!".
La voce di Donatello sembrava la più angelica che avesse mai udito; il piccolo ninja si asciugò frettolosamente una lacrima randagia di paura dal suo occhio e si precipitò fuori dalla stanza troppo fredda e silenziosa per lui.

Donnie era quasi di spalle quando per poco non si ritrovò in terra, soggiogato da un tornado arancione chiamato Mikey. Quest’ultimo, pur di liberarsi dell’angoscia nel suo stomaco, gli era saltato sul guscio e si teneva aggrovigliato con le gambe agganciate in vita e le braccia ciondolanti sulle spalle dell’altro.
“Si può sapere che ti prende?"- rimproverò Don, giocosamente.

“Sono una tigre io!"- esclamò l’altro, felice. “E sei la mia preda!”.

Donatello sbuffò una risatina e riuscì a coglierlo di sorpresa correndo verso l’uscita della tana, dove sia Leo sia Raph stavano parlando con il maestro Splinter. Appena questi ultimi si accorsero di Mikey in groppa al genio, l’orrore dipinse i loro volti precedentemente incupiti.

“Non gli è successo nulla. In questo momento, io, il cacciatore Donatello, ho appena catturato una rara specie di tigre verde e arancione con occhi azzurri!"- ridacchiò.

Il genio aveva scherzato con quella battuta perché non gli era passato inosservato il terrore della sua famiglia verso il più giovane, del tutto ignaro e beatamente sulle sue spalle.

“Dico, non ti stanchi, adesso? Mikey, si sa, pesa!"- sogghignò Raphael.

D’un tratto, il sorriso del giovane genio si spense e al suo posto crebbe un’espressione del tutto indefinita. Era vero ciò che aveva profferito suo fratello; generalmente, le altre volte in cui Mikey gli saltava in groppa, poteva rimanere al massimo per qualche minuto e non di più... ma ora gli sembrava leggero come una piuma.

“Non ho sottoposto il mio fratellino a una dieta...” pensò Don, sconcertato.

“Ho fame!"- squittì, improvvisamente il più giovane. “La mangiamo una pizza, vero?”.

Un palpito di sollievo per un’esclamazione tipica di Mikey e il sorriso inarcò nuovamente le labbra di Donnie che, ovviamente, annuì vigorosamente.

“Evviva! Pizza! Pizza!"- esclamò il più giovane.

Ben presto, però, un feroce colpo di tosse lo fece quasi trasalire. La famiglia si ammutolì e rimase con il fiato sospeso per dodici secondi netti.

“Leonardo, prendi la giacca di Michelangelo. Ne avrà bisogno."- ordinò subito il maestro.

“Sensei, non ce n’è bisogno! Mi è solo andata la saliva di traverso!".

L’ex maestro Yoshi lo penetrò con lo sguardo, mentre Leonardo attendeva il consenso finale per obbedire all’ordine e invece giunse una leggera negazione con il capo.

“Andiamo."- disse, infine, Leonardo...


La luna era meravigliosa. Bianca e pallida, rasserenava la notte scura, cosparsa di una miriade indefinita di stelle. Sotto di essa, New York viveva tranquilla e beata.
Riflessi argentei increspavano il fiume sotto al Brooklyn, risaltavano la corona acuminata della Lady Liberty e allungava dolcemente ombre nette erte fieramente su un cornicione, appena sulla 39esima.
Quattro ninja osservavano in silenzio l’ammaliante paesaggio notturno, ascoltando le storie che il maestro vento raccontava in vari sussurri. Era tutto così incredibile...

“Non mi stancherei mai di vedere questo bocciolo urbano!”- sospirò felice Mikey.

“Caspita che poeta!”- ridacchiò Donnie.

Il più giovane era seduto sul cornicione, con le gambe penzolanti nel vuoto; era stranamente silenzioso, con lo sguardo fisso nel vuoto e di tanto in tanto si mordicchiava le labbra quando dalla gola partiva il solletico tipico di un colpo di tosse.
Questi particolari non erano sfuggiti ai suoi fratelli, però.

“Non è proprio una serata adatta a massacrare teppisti, sapete? E’ più per amoreggiare.”- fece Donnie, mentre pensava ad April.

“Disse il Romeo.”- sogghignò Raphael.

Il mutante in viola arrossì vistosamente e si vendicò con una bella linguaccia ma per il rosso mascherato fu un motivo in più per ridere.

Il giovane Mikey si alzò in piedi, traballando: purtroppo la gamba aveva ricominciato a dolere e da come pulsava sicuramente correre gli sarebbe diventato complicato; nonostante tutto, cercò in tutti i modi possibili di mascherare il problema con un’aria sprezzante e un ghigno di sfida.
Perché una corsa in stile ninja era proprio quello di cui aveva bisogno.

Ricordava chiaramente di quando soffriva di crampi e ammazzava il dolore con del sano allenamento ninja; nei movimenti che compieva, precisi o non, la sua mente imbottigliava la sgradevole sensazione di malessere e il suo corpo tornava perfettamente sano.
Chissà se anche adesso poteva fare la medesima cosa.

La sua idea era riferita a crampi leggeri, dopotutto, non veri e propri dolori articolari, perché da qualche tempo aveva riscontrato che non si trattava di semplici crampi bensì di traumi ossei.

“Che c’è, Mikey?”.

Per poco, il piccolo non si trovò a sbattere il naso contro i pettorali di Leo; il fratello gli era comparso davanti come un fantasma e dal suo tono basso, cupo e teso intuiva che ancora una volta stava impensierendo per nulla.

“Sono pensieroso, tutto qui. Per il disegno, intendo...”- rispose mogio.

“Sei sicuro? Come va la gamba?”- formulò l’azzurro, guardandola.

Il più piccolo negò debolmente e fece per replicare quando un aroma gustoso cominciò a insinuarsi nelle sue narici. Mikey dimenticò in pochi attimi la risposta secca da dare al primogenito... quell’odore era un richiamo forte e ipnotico!

“Pizza...!”- farfugliò con aria sognante. “Succulenta, gustosa, pizza!”.

I tre maggiori sghignazzarono mentre si avvicinavano al bordo del cornicione: in basso c’era il negozio ormai famoso di Mr. Murakami e a giudicare dall’invitante aroma, aveva appena sfornato la sua gustosa invenzione...

“La Pizza Gyoza!”- esclamarono in perfetto sincrono.

“Non so voi, ma preferisco mangiare piuttosto che restarmene qui ad aspettare che piombino nemici da pestare!”- sogghignò Raphael.

“Io lo seguo!”- esclamò perfino Mikey.

Scavalcato il cornicione con balzi degni di felini di media taglia, le due tartarughe si calarono nel vicoletto oscuro proprio a fianco al ristorantino di Murakami: una volta assicurati, poi, che non vi sarebbero stati occhi curiosi ad osservarli, sgattaiolarono fulminei nella loro meta finale.
Ancora dall’alto, sia Don sia Leo si scambiarono un’occhiatina curiosa, poi li imitarono...


Nel negozio di Murakami l’odore della Pizza Gyoza era ancora più forte.

La bianca pasta morbida a forma di piccolo ventaglio, con bordi ondeggianti di croccantezza ben cotta galleggiava nel ristorante. La succulenta salsa di pomodoro risaltava i bocconi di pasta al forno con quel pizzico perfetto di sale e il ripieno di formaggio, mozzarella, prosciutto, funghi e basilico ammaliava perfino lo stomaco.
Un ringhio unisono dalle pance dei quattro fratelli fu un campanello di sorpresa del cuoco cieco, di ritorno dalla cucina con una teglia di scuro legname zeppa di Pizza Gyoza.

“Salve, amici miei. Che gioia risentirvi qui nel mio modesto negozio”.

“Abbiamo sentito l’odore succulento e abbiamo pensato di venire a fare una capatina... ovviamente anche per salutarti!”- esclamò il più giovane, già seduto su uno degli alti sgabelli marroni al bancone.

“Un pensiero veramente gentile.”- sorrise Murakami. “Voi credete alla telepatia?”.

I quattro si fecero perplessi e per un solo attimo dimenticarono la lauta cenetta.

“Io sì.”- rispose Donnie.

“Pensavo a voi mentre sfornavo la Pizza Gyoza e voi siete venuti. Questa è telepatia nella tradizione cinese ma... sono certo che anche nella cultura americana si tratti della medesima cosa. Il pensiero è forte. L’amicizia altrettanto.”- spiegò il mite uomo.

I fratelli con il guscio si guardarono l’un l’altro con uno sguardo addolcito: Murakami era come un altro padre per loro, anche uno zio orientale; poi, con un piccolo ringraziamento com’erano soliti fare al momento del pasto, iniziarono voracemente a mangiare.

“Oggi userò le bacchette!”- esclamò il piccolo Mikey.

“Sempre se le sai usare, ovvio!”- schernì Leonardo. “Sai che è complicato, Otouto”.

La tartaruga in arancione fece una sonora pernacchia e si cimentò subito nella consumazione del pasto muovendo abilmente le minute bacchette. Leo si sorprese non poco dell’abilità del fratellino ma non replicò nient’altro perché l’acquolina era ormai troppa da contenere in bocca e l’attesa un vero oltraggio.

“Buon appetito, amici miei!”- augurò Murakami, tornando in cucina.

Il piatto era sublime, una vera delizia per il palato e un vero toccasana per l’umore.

Per i quattro ninja, la Pizza Gyoza aveva effetti del tutto diversi; per Leonardo rappresentava un calmante per i suoi pensieri più profondi. I nervi di Raph e il relativo temperamento venivano curati per ogni boccone deglutito. Il cervello di Donnie funzionava meglio e idee schematiche di futuri progetti prendevano in esso forma.
Per il giovane Mikey era una soave melodia per la sua mente fantasiosa e un sollievo alla fame dentro la pancia sempre più piena.

Eppure, dopo il terzo Gyoza, dallo stomaco crebbe una forma ingente di nausea, la quale cominciò a insidiarsi nell’esofago, eliminando la fame e oscurando la bontà di quel piatto cinese tanto fantastico. 
Mikey spalancò gli occhi, mentre si fermava col mangiare; adesso non si sentiva molto bene, aveva freddo e l’idea di un bagno cominciava a prendere il sopravvento nel suo conscio.
“Devo... vomitare...!” pensò la tartaruga.

Poiché il vomito fu imminente, si trascinò indietro con lo sgabello ferocemente e i piedi di legno strigarono odiosamente sulle toghe altrettanto lignee del pavimento del locale.
Michelangelo si fiondò verso la porta della cucina bianca e successivamente nella porta a soffietto nera per il bagno; non appena si chinò sulla toilette, rigettò più e più volte, a colpi di tosse anche, tutto quello che aveva mangiato.

E intanto i suoi fratelli rimanevano nella completa perplessità.
Il gesto dell’Otouto rappresentava un seme che sbocciato avrebbe intrecciato le piccole radici del dubbio nella già ramificata pianta della preoccupazione. 
Perché il giovane si era rinchiuso in bagno? 

Nel momento in cui Donnie era pronto a dire qualcosa per spezzare l’imbarazzante silenzio piombato nel caldo negozio, una serie di conati di vomito riecheggiarono dalla porta a soffietto semichiusa.

“Andiamo a vedere...”- propose Leonardo.

Improvvisamente, però, un boato sembrò rallentare il tempo: le tre tartarughe ebbero solo il tempo di guardare una vetrata del locale frantumarsi in mille pezzi a causa di un proiettile.

“Dietro al bancone!”- gridò Leo.

Abilmente, i tre Aniki scavalcarono il marmo ampio del bancone e si acquattarono sul pavimento, mentre il cuore batteva all’impazzata nel petto. Potevano quasi percepire i battiti dentro le orecchie e le guance riscaldarsi d’adrenalina pura.

Nel locale, ben presto, quattro Purple Dragon e un orientale con Ray Ban sugli occhi chiamato Hun fecero tranquillamente irruzione, scavalcando quel che rimaneva della vetrata con affaccio sulla strada.
“Cercateli. So che sono qui.”- ordinò con freddezza.

Leonardo ringhiò e pregò con tutte le sue forze che il suo fratellino non si fosse deciso a uscire dal bagno e tornare da loro proprio in quel momento. Guardò poi sia Don sia Raph, facendo loro cenno di rimanere in silenzio.

Purtroppo, rimanersene nascosti lì dietro non fu un’idea felice: un‘ombra possente si allungò su di loro e a quel punto la copertura saltò definitivamente.

“Attenti!”- gridò Donatello, saltando dall’altra parte del bancone.

Uno dei Purple Dragon teneva puntato contro loro tre un mitra ben carico e da come faceva pulsare l’indice sul grilletto moriva proprio dalla voglia di scaricare tutte le munizioni, spaccando anche tutto il resto.

“Non ci pensare nemmeno!”.

Raphael balzò con un felino dal suo nascondiglio, atterrando a piedi uniti sulla testa pelata dell’energumeno tutto muscoli e senza cervello; con i suoi Sai riuscì a infilare le lame più lunghe sia nel grilletto sia nella cintura di munizioni che il nemico teneva sulla spalla sinistra e a scaraventarli fuori il negozio.

“NO!”- gridò il Purple Dragon, con il terrore evidente stampato sul volto.

Donatello fu altrettanto rapido a disarmare il suo avversario più minuto: evitare pugni gettati alla cieca e guidati dalla paura di un aspetto umanoide gli avevano già visualizzato il punto cieco del nemico.
Il genio eseguì una piroetta e con il suo Bo colpì seccamente la noce del collo dell’avversario, spedendolo, così, al tappeto. Don se la rise ma qualcosa gli catturò l’attenzione; Hun non era più nell’area destinata a mangiare!

Mentre il cuore pulsava nuovamente nell’ansia, guardò la porta socchiusa della cucina e solo allora si rese conto che erano stati giocati!

“Hun è andato da Murakami e Mikey!”- gridò nel terrore.

La frase così cruda e spinosa raggiunse completamente Raphael che, abbassando la guardia per guardare il genio in escandescenze, ricevette un pugno violento nella guancia e nel perdere l’equilibrio crollò su Leonardo, impegnato a combattere il terzo Purple Dragon.

“Urgh...”- gemette il rosso, palpandosi la guancia.

“Scusa, Raph!”- sorrise il genio, nervosamente.

In quell’attimo di apparente calma otto ombre nere piombarono nel negozio, armati fino ai denti, anche se non li avevano, dopotutto; scaltri, oscuri, silenziosi e con un simbolo ben in mostra sulla fronte o sul petto...

“Oh, no...”- sussurrò Leo, per poi gridare: “Foot Bots!”.

“E da quando i Purple Dragon si sono schierati con Shredder?”- esclamò Donnie, sbigottito. 

“Perché Hun è il gorilla di Shredder.”- rivelò Raph mentre si tirava faticosamente in piedi e aiutava anche l’azzurro. “Almeno questo è quello che mi ha detto Casey, quando si infiltrò a China Town!”.

Adesso la sfida si faceva molto più dura... alle tre tartarughe premevano solamente Mikey e Murakami, in grossi e sicuri guai a causa di Hun.

“Questo complicherà un po’ le cose...!”- ruggì Raphael...

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Capitolo 5
*** Pizza Gyoza! (Parte II) ***


N/A  Salve, tartarughine! Rieccomi puntuale (come il mal di denti! XD) con un nuovo capitolo, ringraziando affettuosamente la dolce Abyss e ovviamente Zoey_Charlotte_Baston, mie grandissime lettrici che mi fanno sempre arrossire con i loro complimenti! Voglio sempre ringraziare calorosamente la mia Onee San LaraPink777 e Gru. Ovviamente non mancano i biscotti alle mie altre lettrici! :)
Eccovi la seconda parte del capitolo, più intenso! Spero godiate dell'azione e ci rivediamo domani a quest'ora su WatchyChannel (Mio canale personalizzato inesistente!)



Il rumore dello sciacquone era diventato molto più forte delle altre volte.

Mikey era inginocchiato sulla toilette, senza un briciolo di forze per tirarsi su e tornare dagli altri. Ovviamente aveva sentito chiaramente lo schianto dall’area principale e voleva andare a vedere ma come se i suoi guai non bastassero, la gamba sinistra aveva ricominciato a dolere.

“Non ho... la mia stampella...”- sussurrò raucamente, con un ultimo colpo di tosse.

A denti stretti e una lentezza a lui estranea, si aggrappò al bordo della toilette e al tubo che correva sulla parete, raggiungendo lo sciacquone per issarsi su.
Di colpo, la sua visione lampeggiò di macchie nere, il sudore freddo gocciolò dalla fronte e per poco non si ritrovò di nuovo in terra.

“Non ce la faccio...”- gemette.

Forse il suo corpo era stanco ma il suo udito molto più forte: i suoni erano così nitidi, così puliti che un tonfo di una pentola che cadeva in terra, rovesciando il suo contenuto bollente catturò la sua attenzione poco lucida.

Improvvisamente, Mikey guaì in sottovoce, ritirando una mano che aveva appoggiato sul pavimento: un brodo bollente si era fatto strada sotto la porta a soffietto e aveva scottato il palmo.
“Qualcosa non va!” pensò la tartaruga, issandosi ancora una volta in piedi.

Quando si aggrappò alla maniglia e aprì piano la porta per vedere, il suo cuore si fermò: Hun era davanti a Murakami e quest’ultimo giaceva seduto sul pavimento, con aria impaurita e spalle al muro!
“No...!”- mormorò sottovoce la tartaruga, mentre la rabbia gonfiava il suo petto.

Hun era un uomo che non conosceva l’onore. Se per arrivare ai suoi scopi doveva combattere donne, bambini e anziani, li percuoteva senza pietà.

E tale orribile regola valeva per Murakami; anche se il cuoco orientale era affetto da cecità, per Hun era un fantoccio da eliminare soprattutto perché poteva fornirgli numerose informazioni sulle tartarughe.
Del resto, Shredder gli aveva promesso una ventiquattr’ore zeppa di bigliettoni se avesse compiuto egregiamente la missione. I fallimenti non sarebbero stati tollerati, poi.

Quando aveva fatto irruzione in cucina, aprendo piano la porta affinché il suo cigolio fosse più incisivo, Murakami di spalle davanti ai fornelli si era irrigidito. Un pugno ben assestato contro la guancia lo aveva spedito contro al muro e l’aveva anche spaventato per bene.

“Dimmi di quei rettili miserabili!”- sibilò a pugni stretti.

“Te l’ho già detto, io non so di cosa tu stia parlando...”- replicò piano l’altro.

Hun si rabbuiò in volto e immediatamente torse il busto per colpire in pieno viso il povero Murakami che, nonostante non vedesse, chiuse ugualmente gli occhi, impaurito.
Eppure, il dolore non arrivò mai.

Per quanto non potesse contare sul senso primario, cioè la vista, Murakami aveva affinato gli altri quattro sensi. Il suo udito captava qualsiasi rumore, il tatto lo aiutava a decifrare che tipo di background lo circondasse...

Neanche stavolta poteva dire di essersi sbagliato: davanti al suo viso era arrivato un freddo vento che odorava di pizza e di un retrogusto acido, probabilmente di vomito.
E allora la risposta arrivò.

“Michelangelo!”- mormorò sottovoce, esterrefatto.

La giovane tartaruga era in modalità Stealth: i suoi occhi ora ciechi erano due piccole falci bianche trasudanti di rabbia e collera; la mano rigorosamente mancina teneva egregiamente bloccato il pugno di un Hun stupito a rischio frattura, tanto forte pressava.

“Il quarto rettile è venuto fuori, finalmente!”- sogghignò Hun.

Mikey ruggì come un animale impazzito: tirò il braccio della mano bloccata a sé e stordì l’avversario con una serie di ginocchiate nello stomaco.

L’umano dai neri capelli era del tutto sconcertato da una simile potenza, dettata dalla collera. No, forse si sbagliava; in tutta la sua vita aveva conosciuto molti avversari e studiato numerosi stili di combattimento, dai più prevedibili ai più complessi.

Però soltanto due lo avevano sempre ammaliato; lo stile di lotta dettato dalla rabbia che aveva riscontrato in Raphael e quello indotto dalla paura. Il secondo era più funesto e del tutto imprevedibile, perfetto per una tartaruga chiamata Michelangelo.

Sì, il piccolo dolce sole adesso era una furia perché aveva paura di fallire.
Paura di ferire involontariamente Murakami.
Paura di essere considerato un fallimento.

Hun sputò un grumo di sangue dalla bocca: il dolore allo stomaco e al costato era insopportabile e la violenza con la quale Mikey attaccava era spaventosa.

Improvvisamente, il suo mondo si tinse di nero e una pioggia di vetro esplose sul suo volto, sfregiandolo con tagli di diversa grandezza e profondità: Mikey lo aveva scaraventato contro il muro piastrellato di bianco, proprio alla sinistra di Murakami che aveva girato la testa per sentire meglio le vibrazioni prodotte sulla parete.

“Malede... maledetto...!”- mugugnò Hun, afflosciandosi sulle proprie gambe.

Mikey non era soddisfatto, però: lo afferrò per i capelli impomatati e corse con fulminea foga nell’area principale del negozio, gettandolo giusto fuori dalla vetrata del negozio.
Emise un ruggito talmente animalesco che interruppe momentaneamente la lotta dei suoi fratelli contro le forze violente del male.
Hun provò a rialzarsi in piedi ma costituì un autentico errore: una macchia cremisi era sbocciata sotto la sua camicia viola, scurendola e un dolore terrificante lo fece crollare miseramente sul marciapiede, incapace di muovere un solo muscolo.

Il suo viso sanguinante avrebbe creato una pozza sul freddo e abrasivo asfalto sicuramente.

Raphael si girò lentamente verso il suo fratellino fieramente irto in piedi, al centro della sala e riconobbe la foschia della paura.
“Oh, no...!”- mormorò sottovoce.

Infilzò i Sai nel ventre del settimo Foot Bot, stese un Purple Dragon con una ginocchiata al petto perché gli ostruiva il passaggio breve verso il suo fratellino dagli occhi ciechi e infine lo avvolse in un abbraccio.
Il contatto delle mani calde e morbide sul suo corpo rigido e freddo lo risvegliò: Mikey si tese come una corda di violino, sbatté più volte le palpebre affinché le iridi zaffiro tornassero a brillare nei bulbi paurosamente candidi e ormai guidato dalla lucidità mentale il dolore puro e bianco esplose nella sua gamba malconcia.

Il piccolo ninja emise un gemito, un autentico lamento e sicuro che di lì a poco sarebbe inciampato miseramente, si aggrappò con entrambe le braccia intorno al collo taurino del suo fratello secondo in comando.
“Raph...”- sussurrò con voce incrinata e bambina. “La gamba... mi fa male...”.

“Shhh, fratellino. Andrà tutto bene...”- mormorò Raph, i cui occhi erano sbarrati. “Finiamo insieme questa partita”.

Il rosso si staccò dall’abbraccio ma tenne un braccio agganciato intorno alla magra vita dell’arancione, mentre si aggrappava anche con un braccio ciondolante sulla spalla dell’altro: ancora un Foot era in piedi per loro.

Leo e Don avevano il medesimo ma già mezzo stordito da una serie di botte di Bo e sferzate di katana gemelle.

Il Foot partì velocissimo con una fulminea corsa verso rosso e arancio, sguainando una lama circolare dal petto, otto coltelli nel braccio sinistro e una mazza ferrata nel destro.
I due fratelli erano di nuovo in modalità stealth.

Raph e Mikey si spostarono verso destra e colpirono con un calcio nato dall’unione del piede destro dell’Otouto e quello sinistro dell’Aniki la schiena del nemico.
Il Foot Bot si schiantò contro un tavolino circolare e la lama si incastrò al centro di questo, in un odore intenso di legno tagliato.

“Mossa del Drago Invisibile!”- gridò Raphael.

Il tempo sembrò rallentarsi ancora una volta: la corsa normalmente veloce dei due fratelli abbracciati era lenta e facile da seguire con lo sguardo.
Raph e Mikey si fermarono all’ultimo istante, saltarono, eseguirono un salto mortale e piombarono la punta del Sai e la kusarigama nel pannello di controllo del Foot, sulla schiena.
Scintille candide, avvolte da aloni azzurrati e violacei esplosero come fuochi d’artificio; i volti dei due ninja silenziosi brillarono per un flebile attimo... poi, tutto tacque.

Leonardo e Donatello circondarono l’ottavo Foot Bot e contemporaneamente lo infilzarono con la lama di una katana e quella segreta della naginata, spedendolo al tappeto.
Avevano vinto.

“Questo posto avrà bisogno di una piccola manutenzione...”- mormorò Donatello, strappando brutalmente la lama dal petto del nemico spento per sempre.

Leo corse verso la vetrata per vedere Hun ma quando vide solo la pozza di sangue ancora fresco sul marciapiede non si stupì molto; qualcuno era stato lì e l’aveva portato via, sicuramente nel covo di Shredder.
Il punto era capire chi fosse stato. Shredder era attorniato da tanti esseri infami.

“Leo, vieni con me. Dobbiamo aiutare Murakami.”- propose Donnie.

Gli diede un’occhiata significativa che a Leo parve più di un’intera frase; bastò guardare Raph e Mikey che parlavano sottovoce per comprendere ancora di più. I due dovevano restare un po’ da soli. Così, silenziosamente, si dileguarono nella cucina, dove Murakami si era rialzato e cercando di raggiungere la porta si aggrappava ai bordi della cucina.

“Tutto a posto, signor Murakami?”- domandò subito Don, prendendogli una mano affinché potesse guidarlo senza problemi.

“Sì. Michelangelo mi ha salvato la vita e gliene sono grato.”- rispose l’altro.

Un leggero livido sulla sua guancia non passò inosservato a Leo che, con un semplice cenno del capo lo fece notare anche a Donnie.

“Permette di aiutarla con un livido?”- domandò il genio, dolcemente.

“Certo. Fai pure, Donatello.”- rispose l’altro. “Se cerchi la cassetta del pronto soccorso la trovi nel bagno dietro di noi”.

“Vado io, allora. Don, aiuta il signor Murakami a sedersi un po’.”- profferì Leo.

Quando l’azzurro aprì la porta a soffietto, quasi indietreggiò all’odore acido ristagnante lì dentro, in quel buco piccolo abbastanza per il wc, una finestrella sopra lo sciacquone e alcune scope ammassate in un angolino.

“Sembra vomito...”- mormorò sottovoce.

“E lo è, infatti. Michelangelo ha rigettato la Pizza Gyoza.”- spiegò a malincuore Murakami, avendo perfettamente sentito. “Spero che non gli abbiano fatto male i miei ingredienti”.

“No. Sicuramente no.”- rincuorò Donnie, mentre gli offriva un bicchiere d’acqua.

Il leader in blu guardò il fratello e quest’ultimo, avvertendo lo sguardo penetrante sul collo, ricambiò con un’occhiata angosciata. Da dove veniva quella nausea se Mikey era stato sempre uno stomaco d’acciaio dove nemmeno la febbre poteva guastarlo?
Poi, a entrambi tornarono in mente i colpi di tosse... forse, l’Otouto era influenzato?


 
Il potere della paura era straordinario, più micidiale e violento della rabbia.
Più potente della collera stessa.
Più oscuro dell’ira più funesta.
Troppo grande per Mikey, il suo corpo ospite.

Raph aveva sempre saputo che quando si lasciava accecare dalla rabbia si trasformava in un autentico tornado e faceva paura, soprattutto perché non aveva più autocontrollo ma ugualmente tornava in se stesso con un abbraccio o da solo, al termine del pompaggio dell’adrenalina nel corpo.

Però, quello che aveva visto stasera lo aveva stupito non poco; Mikey aveva martellato senza alcuna forma di pietà Hun e senza un aiuto. Da solo, era riuscito a dargli una lezione che non si sarebbe dimenticato tanto presto.

Era stato violento, abile e veloce.

Tutto il contrario di come appariva nell’abbraccio di Raph: debole, piccolo, ingenuo e ignaro quasi della foschia nerastra dov’era finito poco fa.
“Mikey, come ti senti...?”- domandò piano.

Il piccolo gli diede un’occhiata perplessa, fece per rispondere ma il dolore accecante avvampò nella sua povera gamba sinistra. Guaì, a denti stretti ancora una volta.

“Mikey, che succede alla gamba? Sei stato ferito?”- domandò il focoso.

“No... Hun non è riuscito a nuocermi... ma la gamba duole da sola...”- piagnucolò l’altro.

Poiché il giovane era troppo stanco anche per zoppicare, Raphael pensò di issarlo sul suo guscio e non fu estremamente difficile. Proprio come accaduto a Donatello, però, si accorse di una netta differenza di peso dall’ultima volta che l’aveva preso in braccio per gioco.

Mikey era leggerissimo... poteva dire che mancavano più di sette chili di massa grassa, muscoli e anche massa magra!

“Non si è sottoposto a una dieta. Mangia sempre come deve... anche di più...” pensò il rosso.

Talmente stanco da non riuscire neanche a tenere gli occhi aperti, Michelangelo rilassò la testa sulla spalla di Raphael e le sue braccia ciondolarono lungo il collo taurino.
E ancora una volta il cuore del mutante in rosso mancò un battito; gli arti superiori del fratello minore erano sottili, più di quanto ricordasse. E le gambe due stecchini.

“Mikey, che ti sta succedendo?” pensò Raph, spaventato.

In quel momento, dalla cucina fecero finalmente capolino Murakami con un cerotto sullo zigomo destro e sia Leo sia Don che lo accompagnavano sorridendo un po’ ma bastò uno sguardo a Mikey per farli incupire ancora.

“Sto bene, amici. Per ringraziarvi, permettetemi di regalarvi in abbondanza la mia nuova Pizza Gyoza fatta con funghi e salame.”- sorrise il cuoco.

“Non si preoccupi! Lei lo sa, essere ninja e assicurarci che le persone siano al sicuro fa parte del nostro lavoro di ninja!”- rispose bonario Leonardo.

“Insisto!”- ripeté fermamente l’umano e si mise all’opera per incartare numerosi sacchetti di carta con quella nuova specialità.

Lasciato Murakami a lavorare in tranquillità, sia Don sia Leo si avvicinarono ai due fratelli rimanenti e li studiarono per bene.

“Che cosa è successo? E’ stato ferito?”- farfugliò il viola, accarezzando una guancia di Mikey.

Raph negò debolmente e a malincuore raccontò dell’oblio oscuro che aveva fatto dell’Otouto un’autentica bestia selvaggia. Quando terminò con il relativo notare del dimagrimento eccessivo, i fratelli azzurro e viola indietreggiarono come spaventati.
“Io non so voi, ma... si stanno manifestando troppi sintomi!”- sussurrò spaventato.

Donatello deglutì; in effetti, Raph non aveva il minimo torto. Erano settimane che Mikey era nel mirino di strani malesseri e conseguenze che riportavano alla mente quel ricordo bastardo.
E se davvero stavano commettendo un madornale errore ignorare i sintomi così?
E se davvero contribuivano a spedire Mikey in un viaggio di non ritorno?
Non volevano neanche pensarci!

“Che si fa?”- domandò Raphael, tremando un po’. “Non voglio che...”.

“No, non pensarlo. Mikey è forte, ricordarlo!”- stoppò Leo, poggiando la mano sulla spalla.
Raph scosse semplicemente il capo.

“E’ una malattia che se torna è più forte, Leo...”- soffocò Don, in un sussurro.

In quell’attimo nefasto, il piccolo mutante dalla maschera arancione aprì leggermente i suoi occhi stanchi e vitrei di sonno arretrato; si guardò confusamente intorno, cercando di riagganciarsi agli ultimi ricordi scolpiti nella memoria.

Bastò una manciata di secondi per ricordarsi della sua furia di paura. Però era contento di aver salvato la vita di Murakami.

“Ehi!”- salutò festosamente Donnie, accarezzandogli ancora la guancia.

“Come ti senti, Mikey?”- domandò anche Leo, gentilmente.

“Stanco...”.

“Ti ringrazio per ciò che hai fatto per me, Michelangelo. Per ricompensarvi tutti, come ho già detto, vi incarto questi quindici sacchetti di Gyoza ai funghi e salame!”- cinguettò felice Murakami, spingendo anche l’ultimo avanzo vicino ai già numerosi ammassati sul bancone.

“Non doveva...”- ridacchiò il più giovane, quando fu colto da un nuovo eccesso di tosse.

I presenti gelarono sul posto: spasmi duri e dolorosi risuonavano attraverso la mano del piccolo Otouto, mentre cercava di placare quella tosse tanto strana ad insorgenza improvvisa.
Dal petto sibilava qualcosa di appiccicoso e catarroso che stringeva il petto e soffocava l’interno della gola, spegnendo la brillantezza delle corde vocali stesse.

“Non p... può essere...!”- piagnucolò d’un tratto Donatello, sbiancato.
Leo e Raph guardarono nella direzione del fratello e capirono all’istante: un rivolo cremisi stava delineandosi attraverso le dita di Mikey e gocciolava senza fermarsi lungo la spalla del focoso.
Il sangue era caldo, dall’odore ferroso e si mischiava ad alcune lacrime salate del minore.

“Non è così... dimmi che non è vero... per favore...”- mormorò Don.

Due lacrime calde gocciolarono lungo le sue gote scarne, il suo corpo iniziò a vibrare e si irrigidì a tal punto che non poté nemmeno più avvicinarsi al suo fratellino.

“Sangue!”- esclamò Raph, rabbrividendo.

“Che significa?”- domandò subito Leo, rivolto per lo più al viola.

“Che ciechi... che ciechi...”- sussurrò Donatello. “La malattia... no, non è affatto così! Il midollo aveva funzionato e perché no?”.

Il genio stava chiaramente sprofondando in uno shock temporaneo con deliri continui e inutili erano le scrollate di Leonardo per le spalle; tanto quegli occhi bordeaux parlavano da soli, mentre continuavano a spalancarsi, riempirsi di lacrime e fissare Mikey.

“Vorrei... andare a casa...”- sussurrò quest’ultimo.

I tre maggiori non se lo fecero ripetere...
 
 

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Capitolo 6
*** Preparativi Affrettati ***


N/A   Buonasera, amici virtuali! Rieccomi puntualissima ad aggiornare una storia che mi ha davvero preso, con il sesto capitolo! (Wow! Già al sesto? Ammazza!) 
Voglio ringraziare, come sempre e col cuore, le mie dolcissime Abyss, Gru, LaraPink777 e la suprema Zoey_Charlotte_Baston che mi ha affibbiato un nome veramente incredibile! E sia! Per te sarò come tu mi chiami! :) Detto ciò, qui c'è un capitoletto corto ma essenziale. E' un anello importante per il prossimo capitolo.
Buona lettura!




Splinter si malediceva. Era solo colpa sua perché non si era fidato dei suoi istinti di padre. Si odiava come non mai mentre guardava i suoi figli inginocchiatogli davanti guardando di tanto in tanto il piccolo Mikey, disteso su un futon fra lui e gli altri.

Era così tranquillo, ignaro della terribile deduzione al quale erano arrivati.

Il topo era stato informato e ancora non poteva esporsi, tutto il cuore doleva come immerso nel fuoco assassino... aveva miseramente fallito.

Preso un respiro angosciato, si rivolse al rosso: “Raphael, per favore, portami il referto che hai trovato nel ripostiglio. Vorrei accertarmi di alcune cose”.

Il secondo in comando si alzò, si inchinò rispettosamente com’era solito fare e obbedì in fretta e furia al semplice comando. Mentre correva verso la sua meta, il suo cuore pulsava nella trachea, il sudore gocciolava lungo i lati del suo viso di un verde intenso dalla paura di conoscere nefaste risposte.

Buttò tutto all’aria nello sgabuzzino, senza neanche preoccuparsi di accendere la luce o di fare attenzione a non inciampare e farsi del male; in quel momento troppo veloce perfino per lui non pensava che al suo fratellino, a come aveva assistito ciecamente a un declino inesorabile in tutti quei dannati giorni e a poco a poco la sua visione si sfocava di lacrime calde.
“Mikey... perdonami...”- sussurrò, scavando in uno scatolo polveroso.

Nella foga, per poco non scaraventò qualcosa verso un vecchio vaso di porcellana rifinito a mano che il sensei aveva portato lì per evitare che potesse frantumarsi. Non era di grande valore, anzi, era uno di quei comuni vasi venduti anche nel reparto casalingo dei grandi centri commerciali; di un brillante bianco, con fiori blu e petali di pesco, aveva ugualmente una piccola crepa sulla bocca del vaso e un’incrinatura al collo stretto.

Chissà, forse, in passato aveva già avuto la sfortuna di sbattere contro qualcosa.

Raph scosse leggermente il capo, mentre stringeva tra le dita sudate il referto dalle pagine leggermente gonfie d’umidità e si avvicinò, senza un motivo, al vaso. Lo fissò con apatia per qualche istante, poi decise di afferrarlo e di vuotarlo verso il pavimento.

Non sapeva nemmeno lui perché lo stesse facendo ma quando vide sbucare un giornaletto arrotolato, ridivenne più lucido. Con il referto che passò sotto l’ascella, tirò fuori quello che rivelò essere un quadernetto dalla vivace copertina arancione.

“Questo è...”- sussurrò sconcertato. “E’... di Mikey...”.

Esattamente. Era il diarietto che il suo fratellino custodiva dal sesto anno d’età e che al compimento del dodicesimo anno svanì misteriosamente.

Raph lo sfogliò velocemente: c’erano tanti disegnini buffi, un po’ tremolanti, altri più definiti, sicuri e con l’esperienza nel campo del disegno in continua evoluzione pagina dopo pagina. Fra le righe nere, c’erano frasi scritte con una penna rigorosamente blu, a volte anche con numerose sbavature.
“Mikey è mancino...”- fece Raph, con un sorriso sornione.

Quando giunse alla penultima pagina, la sua espressione, però, cambiò.
 

Caro Diario,
mentre spolveravo nello sgabuzzino ho trovato una cosa che mi ha dato estremamente da pensare... parlo del referto medico di quando fui ricoverato a quattro anni a causa della leucemia. Non so esattamente se quello che ho letto segnerebbe un ritorno alla malattia e non voglio neanche chiederne conferma a Donnie. Conoscendo mio fratello, credo che allarmerebbe tutti quanti per nulla.
Io mi sento benissimo, non ho sintomi. Forse dovrei semplicemente nascondere quell'ammasso di carte inutili e darmi alla bella vita.
A proposito, non riesco a capire chi possa aver messo te, amico diario, dentro quel vaso di porcellana dimenticato da tutti. Spero non sia stato Raph!
Adesso vado. Mi stanno chiamando per la cena e se non mi presento nessuno mi evita una bella batosta verbale!
                                                                                                          Mikey
 

Gli occhi di Raphael erano ormai ampi e lustri come smeraldi puri e incontaminati: allora era stato il suo dolce Otouto a nascondere in un posto improbabile quel dannato referto, nella remota possibilità che nessuno lo trovasse!.

"Mikey, ma perché... perché non ne hai parlato subito con noi?"- mormorò a bassa voce, mentre la rabbia lo faceva lentamente sua preda.

"Raph!".
La voce proveniente dalla stanza del maestro era di Leo.

"L'ho trovato!"- esclamò il rosso, ancora abbastanza scosso.

In un lampo tornò dalla sua famiglia e mentre consegnava il referto a suo padre guardava il suo fratellino. In quell'attimo notò un leggero movimento della testa sul cuscino e avvolto dalla gioia, Raph fece segno con un dito puntato sull'Otouto di rimandare momentaneamente la discussione.

"Ehi..."- salutò dolcemente Leo, accarezzandogli la testa. "Come va?".

Il piccolo Mikey osservò la sua famiglia per qualche istante per cercare gli ultimi ricordi nel baule della sua memoria momentaneamente in stand-by.
Ricordava ancora della sua furia verso Hun, l'istinto protettore per Murakami e la disfatta dei Foot Bot Ninja e poi il buio del dolore.

"Non proprio bene... la mia gamba mi sta uccidendo..."- ammise con un sorriso sbilenco.

"Mikey, è arrivato il momento di parlare di qualcosa che per anni abbiamo quasi scordato ma che adesso è imminente ripristinare. Ti chiedo solamente di essere forte."- parlò Leonardo, con calma glaciale.

Il giovane inclinò la testa da un lato, non avendo perfettamente capito il nocciolo di quel velo di dolore intrappolato a malapena nella voce piatta del maggiore.
"Che vorresti dire, Leo?"- chiese, mentre cercava di mettersi seduto.

Quel gesto, però, gli accese una tremenda fitta bruciante giusto al femore. Mikey si arricciò in una palla stretta, stringendo il muscolo incriminato mentre il suo respiro si faceva incostante e lui stesso diventava l'oggetto di paura della famiglia.

"Figliolo, ricordi questo?"- cominciò Splinter, mostrandogli il referto.

"Sì. Certo".

Il topo annuì e guardò Donatello affinché legasse quella domanda introduttiva all'esauriente filo del discorso con le varie ramificazioni chiamate ipotesi.

"Mikey, siamo stati ciechi e come anni fa ti abbiamo trascurato. Tutto ciò che ti ha caratterizzato fino ad ora, parlando dei sintomi e dei dolori ch-".

"Nononononono!"- sbottò il giovane. "Non mi starai dicendo che potrei avere di nuovo la malattia? Donnie è impossibile! Forse mi sarò slogato la gamba durante una corsa o il mio solito rimbalzare!".

Il giovane Donnie scambiò un'occhiata rammaricata con il resto della famiglia: Mikey si era appena rifiutato di capire e questo non faceva altro che complicare le cose.

"Mikey, i tuoi sintomi indicano che dobbiamo intervenire!"- provò, allora, Leonardo.

"Non ho la leucemia, capito?!"- gridò l'altro, tremando come una foglia.

A quel punto, Raphael Hamato lo afferrò per le spalle e guardandolo fermamente negli occhi, esclamò: "Adesso ti portiamo sul Nexus e ti faremo fare tutti i controlli necessari per toglierci anche il più piccolo dubbio. Mikey, dannazione, cerca di capire! Tutti noi vogliamo proteggerti ma se i tuoi sintomi equivalgono a quelli della leucemia, dobbiamo fare in fretta. Se malauguratamente dovresti essere nuovamente la vittima della malattia, sarebbe più difficile batterla, capito, sì o no?!".

Il giovane allargò gli occhi nel terrore puro e guardò il maestro Splinter ma quest'ultimo chinò lo sguardo... e allora per l'allievo tutta la sua convinzione crollò miseramente.
"Ho... la leucemia, allora...?"- mormorò con un filo di voce.

"Non stiamo dicendo proprio questo ma vogliamo solo capire se questi tuoi costanti malesseri fungano da campanello d'allarme. Mikey, devi fidarti di noi."- fece Donnie, appoggiandogli una mano sulla magra spalla. "Per favore...".

La tartaruga con le lentiggini chiuse gli occhi per un breve lasso di tempo, mentre rifletteva cautamente sulle circostanze strane che avevano fatto protagonista il suo corpo negli ultimi tempi.
Convincersi che stava bene era una menzogna; mentire a se stesso era impossibile per lui, empatico allo stato puro. Michelangelo sapeva che non poteva assolutamente sperare di continuare a vivere pacificamente, non con quel seme oscuro di preoccupazione, così, preso un sospiro pesante, allungò timidamente le mani verso i tre fratelli che gli stavano seduti davanti.

"Io... mi fido di voi..."- disse.

"Bravo, fratellino."- sorrise Leo, prendendogli la mano destra.

"Siamo orgogliosi di te!"- seguitò Donnie, poggiando entrambe le mani su quelle di Mikey.

"E ti aiuteremo anche stavolta. Almeno non ho fatto il dispettoso, no?"- sogghignò Raphael, stringendo la mano sinistra.

Commosso almeno interiormente per preservare una certa dignità, Splinter avvolse i suoi tre figli in un abbraccio di gruppo molto forte, dolce, potente e familiare.
"E' il momento di andare."- sussurrò.

"Che dobbiamo fare?"- domandò Mikey, sbattendo i suoi grandi occhi azzurri.

"Prepararti lo zainetto con quello che più ti servirà. Non si può mai sapere. Se hai bisogno di un ricovero, allora saremo anche avvantaggiati."- spiegò Donnie.

"Ma se mi ricoverano... poi non ci vedremo sempre?"- piagnucolò il piccolo.

Raph scosse leggermente il capo e lo abbracciò strettamente, strofinandogli il mento sulla testa con dolcezza: "Come ti viene in mente, Otouto? Ti staremo vicino anche se l'orario delle visite si concluderà!".
L'arancione ridacchiò, mentre si strofinava sul petto del secondo in comando; Raph era morbido, caldo ed essere inglobati dalla sua aura forte apportava un sottile strato di protezione su tutto il corpo.
Mikey non poteva chiedere di più.

D'un tratto, però, nel suo calore percepì un mano fredda contro la sua fronte: era ancora il rosso che stavolta lo stava tenendo nella piegatura del braccio e con l'altro arto misurava la sua temperatura corporea.
Perché?

"Mikey, sei un po' troppo caldo."- profferì, con una linea di preoccupazione.

"Sbrighiamoci."- mormorò Leo, in piedi. "Don, prepara lo zainetto di Mikey. Io prenderò i relativi documenti. Raph, aiuta il nostro Otouto a infilarsi la giacca".

"Io mi occuperò del portale."- fece Splinter, estraendo dall'ampia manica del suo kimono un gessetto bianco...
 
 

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Capitolo 7
*** Ivan Jefferson ***


N/A  Salve, tartapopolo! Prima di postarvi il capitolo, ci tenevo a dirvi che mi fa davvero piacere avere tanta considerazione da parte vostra e questo fa di me una bambina felice... sì, perché nella scrittura non si cresce mai, giusto? La vena poetica di questo momento è nata dopo aver visto alcuni episodi dell'anime "Clannad" che apprezzo davvero tanto.  Inoltre è doveroso un abbraccio forte e intenso alla "Grande Famiglia Dango" per le dolcissime Abyss, Zoey_Charlotte_Baston, LaraPink777, Gru e tante altre!
Detto questo, buon corto capitolo sul dottore di Mikey! 
P.S: Anticipazioni - Nel prossimo episodio, Michelangelo comincerà a sperimentare le Chemio. Molto Feels, Tears e Brotherly Moments!



Al Padiglione Medico...
 
Un vero deja-vu.
Un'autentica nuotata nel mare dei ricordi più tristi.

Per gli Hamato camminare sui corridoi affollati dal personale medico del miglior ospedale del Nexus era come rivedere se stessi da bambini, quando Mikey non era che un fagottino avvolto in un golfino vaniglia e restava tra le braccia protettive di Splinter.

Adesso, a malapena sulle proprie gambe, la tartaruga padrona dei nunchaku fissava ogni singola stanza, ogni cartellone informativo e ogni Guaritore dal volto variopinto, secondo le usanze del Nexus, con una certa apatia.

Non gli sembrava vero essere lì, in un mondo dove l'onore era essenziale come l'acqua per ogni singola creatura vivente, pronto per immergersi quasi in un altro calvario. L'unica cosa che lo sollevava era non ritrovarsi da solo.

"Chissà se..." pensò, mentre seguiva silenziosamente la sua famiglia. "Chissà se davvero ho la leucemia...".

"Guarda, guarda chi si vede!".

Gli Hamato si voltarono verso un ascensore, alla fine del corridoio ospedaliero dove l'argentea luna bianca irradiava il suo bagliore attraverso i finestroni disposti sul lato sinistro e offrivano una vista mozzafiato.
L'ospedale sembrava galleggiare quasi perpendicolarmente all'Arena, illuminata da fuochi e luci azzurrate, frutto della magia degli stregoni del Daimyo e avvolto da un mare blu chiamato cielo, stelle luminose spolveravano l'orizzonte dando l'impressione di ritrovarsi nel cosmo.

Un vero spettacolo.

Un uomo dai capelli rosso fuoco, con punte ispide rivolte verso l'altro, un ciuffo ribelle che solcava il setto nasale, toccando apparentemente lo zigomo sinistro; occhi smeraldo, un fisico palestrato nascosto sotto l'abituale camice bianco da dottore, un sorriso davvero gentile e professionale.

"Chiedo scusa, ma ci conosciamo?"- fece Leonardo, sospetto.

"Non mi sorprende che non vi ricordiate di me. In fondo eravate così piccoli..."- rispose bonario l'uomo, guardando poi Mikey.

Raphael scoprì leggermente i denti bianchissimi e fece spostare il fratellino avvolto nella sua solita giacca arancio tenue dietro il suo guscio: non si fidava molto!

"Un momento... io mi ricordo!"- espirò Michelangelo. "Sì! Lei è Ivan Jefferson, il dottore che si è preso cura di me in sala operatoria al momento del trapianto del midollo osseo! Sì, non ho dubbi!"
.
L'uomo si infilò semplicemente le mani in tasca e sorrise con maggior felicità: "Allora ti ricordi di me? Mi fa piacere. Michelangelo, cosa ti porta qui?".

"Beh, un problema grosso."- rispose Donatello.

Ivan si rabbuiò per qualche istante: dagli sguardi degli Hamato intuiva qualcosa inerente a un possibile ritorno della malattia.

"Eri solo una tartarughina all'epoca... povero bambino..." pensò, indicando poi il suo studio poco prima dell'ascensore. "Su. Venite con me ed esponetemi il problema"...
 


La stanza leggermente azzurrata era calda, ornata con qualche pianta finta vicino al balconcino proprio dietro la scrivania ampia e ordinata. Dietro una porta si celava il bagno, dietro l'altra un macchinario per le radiografie.

Lo studio di Ivan era davvero molto accogliente ma avendo ascoltato la storia di Mikey si era notevolmente raffreddato.

"Per questo siamo venuti qui. Abbiamo il sospetto che, considerando i sintomi di Mikey, la malattia possa essere tornata e vorremmo impedirlo a tutti i costi, dottore."- concluse Donatello.

Ivan annuì piano, rigirando una penna tra le dita con fare pensieroso, poi rispose: "Ovviamente, per accertarci di questo sono necessarie le analisi. Però, suggerirei immediatamente un ricovero di tre giorni per, appunto, accertamenti".

Donnie allargò un ghigno soddisfatto per essersi precedentemente premunito dello zainetto di Mikey, che adesso teneva sulle ginocchia.

Il giovane ninja in arancione chinò lo sguardo, sospirando un po'; non poteva scampare, purtroppo, al ricovero.

Notato l'alone di cupezza, Raph urtò leggermente il gomito del minore e quando ricevette uno sguardo di confusione, gli sorrise amorevolmente. Il piccolo ninja lo imitò, anche se la tristezza albergava nel suo cuore.

"D'accordo. Datemi almeno un documento di riconoscimento e avvieremo il tutto."- spiegò Ivan, afferrando un modulo da compilare da un cassetto della sua scrivania.

Il sensei tirò fuori dal suo kimono un piccolo libricino nero in giapponese e appoggiò sulla scrivania un tesserino bianco molto simile a una patente.
Sopra c'era la foto del sensei in ologramma e sotto i relativi dati brillava un cip d'argento, tempestato di mezzelune ologrammate.
Dietro, una banda nera magnetica e un altro cip dorato facevano capolino.

"Sensei! Sei un cittadino nexusiano a tutti gli effetti, forse?"- esclamò Don, stupito.

"No, figliolo. Ma ho comunque qui la residenza, avendo partecipato anni addietro all'Interduello."- spiegò il topo.

"Michelangelo, la tua stanza e al piano trentadue, numero cinque. Aspettatemi tutti lì."- profferì Ivan.
 


La stanza del padroncino dei nunchaku era di un tenue verde acqua, con un solo lettino bianco, una coppia di tendine bianche, un comodino candido e un armadietto di ferro. C’era anche una pianta ammosciata in un angolo della stanza che sembrava proprio chiedere un po’ d’acqua.

Mikey si era seduto sul lettino e guardava solo le sue mani intrecciate insieme nervosamente, mentre il suo cuore batteva furiosamente nel petto, riecheggiando nelle sue orecchie ronzanti. Probabilmente era la febbre, ma si sentiva piuttosto stordito.

“Quanto dobbiamo aspettare ancora?”- sbuffò improvvisamente Raph, arrabbiato.

“Cerca di portare pazienza, fratello. Sono certo che Ivan arriverà tra poco.”- lo riprese Leo ma per tutta risposta ricevette un ringhio di rabbia.

Forse per sarcasmo del destino, in quel momento di tensione, alla porta bussarono e l’uomo che stavano aspettando entrò con urgenza, dicendo: “Chiedo scusa, ma ho preparato varie stanze che ci serviranno per tutte le analisi”.

Mikey spalancò semplicemente gli occhi, deglutendo un po’ di paura.

“Bene."- mormorò semplicemente Splinter.

"Non fare quel muso, Mikey! Sei in buone mani!"- ridacchiò Donnie, con la paura vivida negli occhi sapienti.

Il piccolo annuì semplicemente, senza neanche guardarlo.

"Per adesso non faremo nulla. Domattina, a digiuno, preleveremo un campione di sangue e di urine."- spiegò Ivan. "Le stanze di cui ho parlato mi servono per le varie radiografie e referti del passato".

Il cuore di Mikey svolazzò di sollievo; per un attimo aveva davvero temuto di doversi sottoporre a chissà quali angherie!

"Immagino che nostro fratello dovrà per forza rimanere qui, giusto?"- azzardò Donatello.

Ivan annuì, poi si diresse verso la porta: "Bene. Vi lascio da soli. L'orario delle visite si conclude alle 20:00, quindi abbondate con la compagnia!".

Rimasti da soli, la famiglia si focalizzò sulla situazione per nulla favorevole.

"Io voglio andare a casa..."- biascicò Mikey, arricciando un lembo delle lenzuola.

"Mikey, hai sentito il dottore. Quindi è inutile lagnare."- lo riprese Leonardo, anche se tuttavia il suo cuore spremeva nell'angoscia.

Voleva molto bene al suo Otouto e forse non era così aperto come Donnie o estremamente fedele come Raph ma a modo suo lo dimostrava. Immaginare la tana senza le sue allegre risatine, i profumini invitanti o le scorribande con il secondogenito dopo essere stato la vittima di qualche pasticcio, già gli doleva al centro del petto.
L'idea di farsi ricoverare gli balenò in mente per qualche secondo ma il suo forte onore la cancellò immediatamente; dopotutto, era Mikey la priorità assoluta. Non lui.

"Non voglio restare da solo... ho paura..."- squittì nuovamente l'arancione.

In merito a ciò, Donnie frugò nello zainetto del suo fratellino e gli si avvicinò con un sorriso furbetto.

"Chiudi gli occhi!"- ordinò giocosamente.

L'arancione obbedì.

"Riaprili!".

Quel musino dolce, il tessuto logoro, tanti bei ricordi rispecchiati in teneri occhietti realizzati con due bottoni neri... Mikey per poco non si commosse nello stringere il suo adorato Orsetto, il panda cucito dal maestro Splinter anni addietro.

"Pensavo che non l'avrei più visto qui!"- esclamò il piccolo ninja, commosso.

I tre maggiori allargarono un enorme sorriso, poi lentamente si incupirono e il ninja Leonardo prese subito la parola.

"D'accordo, ragazzi. Domani sarà il momento della verità. Dobbiamo essere forti in qualunque caso, per qualsiasi notizia. Io spero con tutto il mio cuore che sia qualcosa di leggero, come un malessere generale ma in caso contrario...".

"In caso contrario, niente. Saremo più uniti e forti che mai, giusto?"- continuò determinato Raph.

"Eh, già!"- concordò Don, guardando a sua volta Splinter.

Il saggio topo annuì bonariamente, mentre accarezzava la testa del suo figlio bambino.

"Noi siamo tutti con te."- sussurrò...

 

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Capitolo 8
*** L'Incubo Comincia ***


N/A  Buonasera, ragazzi! Dopo un breve periodo di stallo per mancanza di tempo (Potere del tempo, vieni a me!), ecco finalmente qui un nuovo capitolo, forse quello davvero più importante e "medicinoso", sì perché troverete molti termini medici che conoscevo in questo campo (P.S. Non sono una dottoressa! :P). Un grazie sempre e comunque a tutte le mie fan è d'obbligo, così, oggi ho pensato di postare prima il capitolo! Quindi, bando alle ciance e buona lettura!




Emocromo con formula leucocitaria, ore 07:00.
Tac dell'addome, ore 08:30.
Radiografia del torace, ore 09:00.
Dosaggio delle immunoglobuline nel sangue, ore 09:45.
 

Mikey era un'adorabile macchiolina sbiadita nel mare bianco delle lenzuola pulite della sua stanza. Era stanco, un vero relitto immobile nel suo lettino e dolorante ovunque. Sulle sue braccia capeggiavano alcuni batuffoli di cotone tenuti fermi da cerotti color carne.

E lui già sapeva che nell'arco di alcuni giorni si sarebbe trovato la pelle bucherellata nonché striata di un viola stonante con il suo abituale verde .
"Avevo quasi dimenticato cosa significasse restarsene nelle amorevoli mani dei dottori!"- mormorò sarcastico.

Non vedeva l'ora di rivedere la sua famiglia, che tra l'altro gli aveva promesso di venirlo a trovare ogni santo giorno, anche nelle ore più bizzarre!

Il solo pensiero dei suoi fratelli gli allargò un leggerissimo sorriso sulle labbra pallide. Se solo non si fosse sentito tanto schifosamente male, l'umorismo sarebbe pure rimasto.
Improvvisamente, il giovane scoppiò in una leggero colpo di tosse ma in pochi attimi si trasformò in un autentico incendio nella gola; la cosa peggiore fu una sensazione ferrosa proveniente dall'esofago scavalcare la bianca dentatura e schiantarsi contro il palmo della mano mancina.

Sangue.

Mikey era nauseato, disgustato e inorridito.
Come di riflesso, con l'altra mano si strofinò la fronte e quasi subito si ritrovò i polpastrelli appiccicosi dal sudore tipico di febbre. Forse l'aveva più alta.
Mikey gemette rumorosamente, frugando sotto al cuscino per trovare l'asciugamano che Don gli aveva suggerito di tenere in questi casi.
"Mio fratetello è incredibile..."- sussurrò soddisfatto.

Ripulire il sangue era più difficile, Mikey lo sapeva, per questo continuò a strofinare anche spellacchiando i polpastrelli fino a quando il rosso non divenne un rosato sbiadito. Per il sudore fu un giochetto sbarazzarsene.

Un improvviso rumore contro la porta lo fece distrarre dal conteggiare i suoi nuovi problemi mattutini. Mikey non fiatò, leggermente curioso oltre che perplesso e lasciò entrare.

"Buongiorno!".

Era la sua famiglia.
Era qui, per lui! Mikey non poteva esserne più orogoglioso.

Immediatamente fu sommerso di abbracci, carezze e baci contro la fronte.

"Come stai, pulce?"- chiese immediatamente Raph, mentre cercava goffamente di celare uno zainetto marrone dietro al guscio.

"Insomma... potrei star meglio...".

"E sei anche piuttosto caldo, più di ieri."- aggiunse Leo, preoccupato, mentre gli tastava la fronte.

Donnie, acuto come sempre, adocchiò l'asciugamano impastricciata di sangue mal nascosta sotto il cuscino. Appena la aprì di fronte a tutta la famiglia, il buonumore si sfumò in un solo attimo in una cupa preoccupazione morbosa.
"Mikey..."- fece, non sapendo cosa dire.

"Ho tossito poco fa. Tutto qui".

Raph e Leo si scambiarono uno sguardo straziante in merito alla situazione... loro fratello era peggiorato nella notte, probabilmente.

"Hai fatto degli esami?"- domandò curioso il genio, vagando con lo sguardo alla ricerca di cartelle cliniche.

"Sì! Mi hanno torturato, te lo dico io!".

Una risatina per quel broncio adorabile si levò forte nella stanza del minore. Mikey era un'autentica forza della natura, anche una malattia non lo fermava mai del tutto!

"Nello specifico?"- continuò il viola, con le dita a sorreggersi il mento.

"Beh, hanno parlato con termini non comprensibili per un comune mortale come me! Posso, però, dirti che mi hanno preso il sangue, fatto una radiografia... no, anzi due! Sì, due radiografie al petto e poi mi hanno pure iniettato qualcosa nel braccio!".

Nessuno notò l'abbaglio di terrore nello sguardo del genio.

Era l'unico a rendersi conto che tutti quegli esami facevano parte di una fascia particolarmente pericolosa e aggressiva; quando i pazienti erano già abbastanza gravi, si usavano abbinare questi anche a Biopsie Midollari per scoprire il numero esatto dei linfociti nel midollo. In casi speciali, si eseguivano anche esami di Biologia Molecolare, per studiare eventuali alterazioni genetiche delle cellule tumorali.
Un pronto intervento, per farla in breve. O per riassumere un po'.
Forse avevano scoperto quello che non volevano.

"Ivan è già venuto?"- chiese Splinter.

Mikey scosse il capo: "No. Forse verrà più tardi. Sapete? Quel dottore è in gamba ed è anche dolce e gentile! Pensate che ieri mi ha anche offerto delle deliziose caramelle alla fragola a forma di perle!".

"E fammi indovinare... le hai mangiate tutte tu, vero?"- schernì il rosso.

"Ti piacerebbe, eh? E invece no! Le ho conservate per tutti noi!"- ridacchiò l'altro, afferrando la generosa manciata rossa dal cassetto del suo comodino bianco.

Raphael spalancò gli occhi, il suo fratellino lo aveva proprio stupito. Lui pensava che, come al solito, si fosse rimpinzato senza lasciare nulla agli altri.

"Io non posso ancora mangiare. I dottori mi hanno detto di non farlo fino a quando non mi avrebbero servito la colazione!"- aggiunse il minore.

Senza profferire una parola, Donatello abbracciò il suo fratellino e lo tenne a sé per un lungo lasso di tempo, mentre un silenzio dolce scendeva tutt'intorno. Aveva già intuito.
Erano arrivati troppo tardi.

Quegli esami compresi dietro le paroline confuse di suo fratello rappresentavano lo Stadio 3. Don non sapeva l'esatta classificazione dei tumori, ma riconosceva la gravità del problema.

"Don, perché mi abbracci?"- domandò dolcemente il piccolo Mikey.

Il viola spalancò gli occhi, sorpreso, poi li abbassò e chiudendoli strinse maggiormente quelle magre spalle pallide a sé.

"Figliolo, hai un pallore piuttosto spaventoso..."- mormorò piano Splinter, mentre gli sollevava leggermente il mento per osservarlo. "E non è certamente un fattore causato dal neon bianco".

Mikey era così pallido che le labbra e le occhiaie erano gli unici aspetti più accentuati, rispetto al verde sbiadito del corpo magro e debole.
"Sarà perché mi hanno preso tanto sangue!"- ridacchiò ma la sua battuta non contagiò nessuno.

In quel momento, un colpetto alla porta anticipò finalmente Ivan, con due cartelle cliniche gialle e verdi sotto al braccio destro.

"Buongiorno."- salutò.

"Salve, dottor Ivan. Allora, passando subito al sodo, com'è la situazione?"- domandò immediatamente Donatello.

L'umano si alzò leggermente gli occhiali sul naso e si avvicinò al piccolo paziente, guardandolo quasi con rammarico e dolore. Quei penetranti occhi scuri e tristi erano una terribile risposta per il viola.
"Come medico, è mio dovere spiegare ogni cosa."- introdusse, aprendo la cartellina verde.

Mikey rimase semplicemente coricato, soggiogato dal peso della febbre, della stanchezza e dalla mancanza di sangue. Era talmente debole che faticava a tenere gli occhi aperti e perfino la fredda luce del neon lo infastidiva.
Però doveva sapere.

"Ho subito avviato un gruppo di analisi specifiche, più accurate perché i sintomi annotati mi hanno insospettito e purtroppo avevo ragione. Emocromo con formula leucocitaria, l'ecografia dell'addome, la radiografia del torace e il dosaggio delle immunoglobuline nel sangue mi hanno portato alla conclusione che a distanza di anni, nonostante il trapianto di midollo osseo, si è sviluppata ancora..."- spiegò Ivan, senza guardare nessuno. "Si tratta di Leucemia Linfatica Cronica e cosa peggiore è a uno stadio già avanzato".

Mikey sbatté le palpebre, confuso da tutti quei termini medici uditi in mattinata e guardò subito la sua famiglia. I suoi fratelli... suo padre... avevano lo shock dipinto sul volto.
C'era da preoccuparsi.

"In queste lastre, è chiaramente visibile la metastasi allargata a macchia d'olio dal midollo, causando una splenomegalia, ossia, un aumento di volume della milza che va curato immediatamente."- continuò il dottore, illustrando i risultati corvini raccolti nella cartella gialla. "Mi dispiace molto tutto questo, ma la situazione è molto grave. La metastasi è molto grande. Da oggi pomeriggio cominceranno le Chemioterapie".
Il piccolo Mikey chiuse gli occhi, ormai troppo stanco. Era stato uno stupido a pensare che sarebbe vissuto sano e felice per sempre. Quando una malattia colpisce, rimane immancabilmente il segno e lui era stato un prescelto della morte già a tre anni.

"M... ma..."- balbettò Raph, mentre la vista gli si sfocava di lacrime.

"Mi dispiace molto, ragazzi ma qui c'è in gioco il tempo. Prima interveniamo, maggiori saranno le possibilità di salvezza per Michelangelo".

Leonardo si mordicchiò le labbra, abbassando il capo; il suo fratellino era sprofondato nel mondo dei sogni e sembrava un angelo.
Come morto.
Non poteva essere. Si rifiutava di crederlo! Il suo piccolo Otouto era soltanto influenzato, non malato.
"Mikey..." pensò, trattenendo le lacrime. "Perché lui? Perché proprio lui? E' solo un bambino!".

"Come funzionano le chemioterapie?"- domandò Splinter, con un filo di voce.

La notizia lo aveva talmente distrutto che a malapena si sorreggeva ancora in piedi; sperava solo di non cadere in terra, svenuto. C'era già suo figlio in cima alle preoccupazioni e non voleva assolutamente aggiungersi.

Ivan si infilò le mani in tasca e guardando il faccino cadaverico di Mikey, rispose: "Beh, somministreremo dei farmaci con o senza cortisonici. Ovviamente questo avverrà ciclicamente, per alcuni giorni con intervalli tra un ciclo e l'altro. Se non dovessero dare risultati sperati, aumenteremo l'intensità con combinazioni di altri farmaci, sempre a cicli intervallati e poi si vedrà".

Gli Hamato annuirono, mentre fuori il temporale rombava di dolore.

Sarebbe stato un nuovo calvario, se lo sentivano...
 

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Capitolo 9
*** Eutanasia ***


N/A  Salve, ragazzi! Finalmente ho ritagliato un po' di tempo per aggiornare questa fic, anche se avevo detto che era quasi completa e sottolineo "quasi". In questo nono capitolo ci occuperemo di una pratica nel nostro Paese giudicata illegale in quanto è come se sovvenzionerebbe la morte stessa. Vediamo cosa accade nella famiglia Hamato, però. Detto questo, voglio sempre ringraziare calorosamente la dolce Abyss, la mia cara Zoey_Charlotte_Baston, la mia Onee-San LaraPink777 e tutte le altre affezionate lettrici, sia nuove sia vecchie! :)
Enjoy!

P.S Nelle prime righe ho raccontato un'esperienza leggermente diversa provata sulla mia pelle quando andai a fare una radiografia polmonare e anche una alla mano destra. Le sensazioni descritte erano le mie.



Giorno 1, ore 16:40
 

Un corridoio grigio, dove su varie porte facevano capolino il classico simbolo giallo delle Radiazioni. Brusii di dottori provenivano da altri tunnel ospedalieri fatti di scale e ascensori.
Questo era il reparto di Radiologia varia e dove si sarebbe sottoposto ai cicli di chemio.

Mikey non ci fece granché caso comunque, troppo spaventato dal seguire silenziosamente Ivan verso la sua camera in penombra.

"Accomodati, piccolo."- aggiunse l'umano, richiudendo la porta.

La tartaruga obbedì, straiandosi su le classiche sedie scomode dei dentisti, mentre una luce calda gli si proiettava sul viso.

"Come ti senti?"- domandò Ivan.

"Una schifezza, onestamente...".

Un leggerissimo sorriso strisciò sulle labbra del dottore ma ben presto divenne parte di un'espressione impassibile, degna di un uomo con grande sapienza e professionalità.
Alle sue spalle, su un carrello di metallo, si infilò dei guanti di lattice, poi prese un batuffolo di cotone e cominciò a strofinarlo sul bicipite magro e puntinato di macchioline invisibili al giorno precedente.

"Hai paura degli aghi, Michelangelo?"- chiese Ivan.

La tartaruga annuì leggermente ma non batté ciglio quando Ivan gli iniettò il Cortisonico nel braccio sinistro e uscì dalla stanza, rientrando in un gabbiotto schermato dalle radiazioni che avrebbe azionato tramite una console.

Tutto quello che sentì l'arancione fu un ronzio profondo a premere sui poveri nervi acustici e un tremare nel corpo. Forse era l'effetto della Chemio.

Mentre il suo fisico cominciava a mostrare gli effetti del liquido, nella sua mente cresceva una canzone che gli aveva fatto ascoltare tempo fa Raphael. I Try di un gruppo che amava.
Ogni singola parola aveva senso per lui.
Doveva provare, lottare ancora una volta e se sarebbe morto, ci avrebbe provato seriamente ad affrontare quel male infido completamente da solo.
Chiuse gli occhi.
Attraverso le palpebre si delineavano i volti felici della sua famiglia, i sorrisi, le risate, la gioia e l'affetto puro. Una lacrima riuscì a colare lungo la guancia ora così sudata; non era giusto soffrire ancora, né coinvolgere così tanto gli altri.

Perché lottare se era un Prescelto? Era uno spreco di denaro, tempo!

"Forse dovrei semplicemente arrendermi..." pensò Mikey, schiudendo gli occhi opachi.

Il sudore dalla fronte gocciolava lungo il viso stanco, annidandosi nell'incavo del collo e mischiandosi alle lacrime salate. Era una sofferenza tutto questo. E lui non la meritava.
Mikey guardò la sua pelle pallida, così tale da poter vedere la ragnatela di vene dilatate e le ossa sottili... ieri sera non aveva quei puntini rossastri.
Poi si ricordò, anche da bambino li aveva avuti, però.
E mentre soffriva, tremando e completamente sudato, prendeva forma un'idea che avrebbe ferito la sua famiglia...

 
Alla tana...
 

Raphael era davanti alla cameretta di Mikey da un po'.
Leo era al centro del dojo a fissare il soffitto, con le katana abbassate verso il tatami.
Donnie era seduto al suo banco da lavoro, fissando il monitor con uno screen saver corvino.
Splinter riguardava la fotografia dei suoi figlioli felici, nella sua stanza.
Il vuoto, il silenzio, l'angoscia regnavano nella tana da quando Mikey era stato ricoverato.
Com'era triste.

Raph inspirò profondamente e finalmente entrò, osservando il lettino vuoto, l'album dei disegni appoggiato sulla scrivania e uno zainetto rosso zeppo di consumati astucci con matite ridotte alla grandezza di un mignolo umano.

Improvvisamente si tese: si era dimenticato di consegnare il suo regalino a Mikey!

"Oh, no!"- ringhiò, fuggendo nel dojo. "Leo! Dobbiamo andare da nostro fratello!".

"Ci andremo, ma fra un'oretta. Ivan ci ha pregati di non andare all'orario abituale, perché Mikey, dopo la chemio, sarà profondamente addormentato...".

"Tu non capisci!"- riprese il rosso, disperato. "Non gli ho dato il regalo!".

"Quale regalo?".

A parlare era stato un Donatello dagli occhi spenti di tristezza e l'aria quasi apatica.

"Io... ecco, ero riuscito a trovare un kit per disegnare... so che Mikey ha degli autentici spezzoni di matite e spesso si lamentava di non poter colorare come voleva. Così, beh, gli avevo regalato un album nuovo e dei pastelli..."- spiegò il rosso, tremando di disperazione.

Lo stomaco gli faceva così male che una sensazione acida gorgogliava in gola.

"Raph, è davvero carino da parte tua..."- sorrise Donnie.

"Come uno stupido, ieri ho dimenticato di portarglielo..."- soffocò il rosso.

Leo e Don non esitarono ad avvolgergli le braccia intorno alle spalle sempre più tremanti, in quel momento potevano solo dargli un po' di conforto. Anche i loro cuori, dopotutto, piangevano disperatamente, in simbiosi alle parole gravi di Ivan.

La leucemia si era sviluppata troppo precocemente e il suo stadio non era nulla di rassicurante. Avevano troppa paura di pensare al peggio.
Quel pensiero era troppo orribile per essere sfornato dalla mente.

"Andrà tutto bene..."- sussurrò Leonardo, sorridendo, mentre alcune lacrime gocciolavano lungo le guance.

Raph restrinse gli occhi e per la prima volta si lasciò andare, seppellendo il viso nel petto del maggiore, mentre gettava via tutto il suo dolore.
Erano come tartarughini, in quell'attimo così lungo, così intenso, così fraterno.

"Ho paura! Ho paura che Mikey possa lasciarci, questa volta!"- gridò contro la gola di Leo, mentre piangeva con maggior impeto.

"Sii forte, Raph... esattamente come lo è il nostro Otouto..."- aggiunse piano Donnie, abbracciandolo sul guscio.

Anche lui piangeva mentre si sforzava di tenere il sorriso.

Nessuno dei tre si accorse dell'amorevole nonché umido sguardo paterno dietro le shoji, aperte solo un po'; Splinter li osservava, mentre una lacrima si insinuava nel suo pelo nel tono del cacao.
"Michelangelo..." pensò, richiudendo piano le porte.

Ricordava ancora le parole di Ivan, dopo una richiesta di parlare in privato. Proprio lo scorso giorno, l'uomo aveva spinto gentilmente i suoi ragazzi a far compagnia a Mikey per non renderli partecipe alla terribile notizia nascosta dietro a falsi sorrisi.

"Yoshi San, voglio essere franco con lei. Questa volta la leucemia si è espansa quasi al trenta per cento del suo corpo e temo che questi cicli prescritti non potranno che rallentare una dura agonia. Quand'era un bambino siamo intervenuti con il trapianto, ma questa volta non possiamo contare sulla possibilità remota di trovare un altro donatore compatibile. Il linfoma è troppo grande, è una metastasi che spaventa perfino me...".

Yoshi si sentì quasi soccombere.

"Ivan, quanto tempo ha da vivere mio figlio?"- chiese con coraggio crudo.

Il suo cuore inviò una palpitazione dolorosa contro lo sterno.

Infilate le mani in tasca, il dottore rispose piano: "Approssimativamente circa quattro mesi e mezzo ma speriamo ancora in un miracolo. La nostra medicina è avanzata, più di quella della Terra".

"La prego soltanto di non informare di questo i miei ragazzi. Conoscendoli, sarebbero capaci di compiere pazzie..."- chiese il topo, con un fil di voce e un accenno di sorriso.

Ivan gli appoggiò la mano sulla spalla e quando entrambi sentirono le risate contagiose delle tartarughe, cercarono di rendersi neutrali a quanto detto e si lasciarono avvolgere dalla loro calda aura.

Splinter era l'unico a comprendere che era un count down sempre più vicino alla fine. E non poteva sopportarlo. Doveva essere lui a morire per prima, non il suo angelo più giovane, il suo sole d'alba d'oro, il suo cuore.
"Michelangelo..."- mormorò, diteggiando una sua fotografia.

E intanto, i suoi altri figli si tenevano ancora stretti in un abbraccio, cercando di sopprimere il dolore di quella situazione.

"Andiamo da Mikey, ti prego..."- sussurrò Raph.

Leo non rispose e meccanicamente volse gli occhi arrossati dal pianto verso le shoji del padre; percepiva come una fredda aura carica di disperazione.
"Sì. Andiamo."- mormorò con voce distaccata...
 

Michelangelo era come un cucciolo splendente nel mare bianco delle lenzuola del suo letto. Dalla finestra filtrava l'arancio intenso del tramonto e gli sfumava dolcemente i tratti del suo viso libero dal dolore.
Gli Hamato lo vegliavano, seduti intorno a lui e pensavano a quante cose belle avrebbero fatto insieme una volta che l'avrebbero dimesso.

"E' proprio un bambino..."- espirò dolcemente Leonardo.
Stringeva un piccolo pacchettino azzurro contenente qualcosa che sicuramente sarebbe piaciuto a Mikey.

"Puoi ben dirlo, Leo!"- ridacchiò Donnie, diteggiando una busta viola con un fiocchetto bianco.

Raph sorrise leggermente, senza pronunciarsi, mentre stringeva un po' lo zainetto marrone contenente il suo prezioso regalo artistico per suo fratello. Doveva solo avere pazienza. Mikey si sarebbe svegliato tra poco e glielo avrebbe consegnato.

Splinter era combattuto interiormente; voleva disperatamente far conoscere quella terribile sentenza emessa da Ivan ma temeva le conseguenze, soprattutto per Raphael, visibilmente debole di psiche.
Improvvisamente, in un piccolo gemito, occhi azzurri si riaprirono piano.

"Mikey!"- esclamò felice e disperato il rosso, balzando in piedi dal suo sgabello di metallo.

L'arancione gli rivolse un caloroso sorriso ma rimase in silenzio. Aveva male dappertutto, era nauseato e si sentiva talmente debole che il semplice aprir bocca gli sembrava un'impresa troppo difficile.
Suo padre gli baciò la fronte, accarezzandogli dolcemente il volto cadaverico, mentre inviava segnali con gli occhi ai suoi ragazzi di consegnare i doni.

"Mikey, come stai?"- fece timidamente Leonardo, prendendogli una mano.

Il suo fratellino era meno bollente ma ancora in parte febbricitante.
"Stanco..."- sussurrò piano l'altro. "Volete sapere com'è stata la chemio?".

Nessuno rispose.

"Un ago nel braccio e tante radiazioni. Nonostante la sofferenza, in parte ho avuto modo di pensare a voi, la più bella famiglia che potessi desiderare...".

Un abbaglio di orrore scolorì i volti degli Hamato.

"Mikey... c... che cosa stai cercando di dirci...?"- deglutì Leonardo, spaventato.

"In tutta la mia vita mi sono sempre sentito amato, colmo d'affetto e nonostante gli alti e bassi, tutto è stato perfetto."- continuò Mikey, cercando di mettersi seduto. "Ma adesso questa battaglia è difficile... sono troppo stanco e ho capito che questo tentativo di strapparmi dalla morte si rivelerà perfettamente inutile".

"Non dire stupidaggini!"- scattò Raphael.

"Raph, fin da quando avevo tre anni, sono diventato un..."- fece il minore, affievolendosi un po' dallo scatto iniziale. "... prescelto".

Splinter spalancò gli occhi mentre Leo si premeva una mano contro le labbra. Allora il piccolo angelo già sapeva di tutto questo mondo, così definito nella cultura nipponica.
Il focoso scosse energicamente il capo e lo strinse al petto con una tale violenza che lo zainetto prezioso crollò sul pavimento con un tonfo morbido.
Gli altri erano pronti a intervenire ma rimasero immobili, straziati dalla scena. Raphael si dondolava assieme a suo fratello, mentre piangeva come un bambino senza la sua mamma. Le lacrime avevano l'aspetto di essere molto pesanti e colavano lungo la testa di Mikey, diffondendosi nel cotone della stoffa della maschera arancione.

"Non voglio dirti addio, Mikey! Sei troppo importante!"- esclamò tremante.

"Raph, ragazzi, maestro..." fece l'altro, con calma glaciale. "Io non voglio più farmi curare. Rinuncio a tutto".

"NO!"- urlò Raphael, scuotendolo violentemente per le spalle.

Il giovane Mikey gemette alla stretta eccessiva delle dita contro le sue stesse ossa così fragili ma annuì piano.

"Figliolo, cosa ti porta a dire questo? Possiamo curarti anc-".

"No."- stoppò l'altro. "Riconosco i miei limiti. Questo cancro mi sta consumando velocemente e so per certo che Ivan avrà già emesso un ultimatum. Dimmi, maestro, quanto mi resta da vivere?".

Il topo ebbe un mancamento e se non fosse stato per la prontezza di riflessi di Leo, sarebbe crollato sul pavimento. Il suo figlio bambino aveva intuito ogni cosa e a questo punto non ne valeva la pena mentire.
"Sì, Ivan e io abbiamo già parlato di questo."- ammise.

"Cosa?!"- espirò incredulo Donnie. "E perché noi non ne sappiamo nulla?! Perché siamo stati tagliati fuori da una cosa del genere?".

"Per evitare inutili discussioni, D."- rispose calmo Mikey, mentre accarezzava il capo di un Raph inginocchiato accanto al suo letto, incapace di smettere di piangere.

Il topo annuì piano, poi spiegò: "Ivan mi ha espressamente detto che questa volta è tutto complicato. Non possiamo contare su un nuovo trapianto e nemmeno sulle chemioterapie. La metastasi è così grande che non lascia speranze. E purtroppo, anche se mi strazia, devo dirvi che il tempo da vivere di Michelangelo è di soli quattro mesi...".

Donatello premette una mano sul cuore: lo shock era violento, nefasto e tutto correva anche troppo per la sua mente geniale. La vista gli si snebbiava, il sudore gocciolava e non riusciva a parlare.
Quello che non voleva udire... e l'aveva appena sentito.

"Don!"- esclamò Leonardo, soccorrendolo, prima che potesse crollare con il guscio in terra.

Anche lui piangeva, non così apertamente come Raph, ora a rischio di una crisi di pianto, sebbene si limitasse a lasciar trasparire le familiari gocce salate.

"Era tutto così perfetto..."- sussurrò Donnie, appoggiato al leader.

"Donnie..."- chiamò il primogenito, preoccupato.

"Mi rifiuto di crederlo! Non è possibile! Mikey era perfettamente guarito!"- urlò con tutta la rabbia e il dolore di quel momento.

"Il linfoma era comunque rimasto, solo che nessuno se ne era accorto nelle varie analisi. Era annidato in alcune cellule ed è rimasto sopito per molto tempo ma comunque ha avuto la forza di rigenerarsi e amplificarsi in modo aggressivo".

Gli Hamato alzarono semplicemente lo sguardo a Ivan, fermo sull'uscio della porta con le solite mani in tasca e l'aria terribilmente arresa. Aveva ascoltato ogni cosa fin da quando gli Hamato avevano cominciato a interagire con Mikey.

Non era stata sua intenzione origliare ma appena aveva sentito gridare, era rimasto in ascolto con il cuore pesante.

"Dottore, io mi rifiuto di farmi curare. Voglio trascorrere i miei ultimi mesi a casa, con la mia famiglia, se non le spiace."- chiese Michelangelo, sbattendo le palpebre.

Ivan lo guardò a lungo ma negò piano: "Questa è Eutanasia. E' un reato, come l'aborto. Mi dispiace, ragazzo mio ma non posso accontentarti".

"Voglio morire di mia spontanea volontà, seneramente!"- ripeté con voce più alta Mikey, stringendo le dita sulla coperta.

Ivan guardò gli altri. Erano distrutti dal dolore.

"Perché volete curarmi, perché?!"- scattò la tartaruga. "Non c'è nulla da fare per me! Queste terapie sono uno spreco di soldi, tempo e di cure! Voglio soltanto andare a casa!".

Il suo sfogo sfociò inesorabilmente in un eccesso di tosse con sangue.
Gli Hamato e Ivan non espressero neanche una parola; solo Donnie, ripresosi un po' dallo shock, gli sfregò amorevolmente la mano sul guscio, mentre gli asciugava il sangue con la solita asciugamano sotto al cuscino.

"Volete curarmi e poi un giorno tornerò vittima! Io sono un Prescelto e non posso sottrarmi! A tre anni ho avuto il marchio dello Shinigami, che si è semplicemente divertito a farmi illudere! Poi ha colpito!"- continuò il ninja, respirando a fatica, mentre i suoi occhi si riempivano di lacrime. "Voglio andare a casa mia...".

Ivan fece segno a Splinter di seguirlo, lasciando il piccolo paziente in balia degli Aniki visibilmente corpi vuoti e deteriorati dal dolore puro. Una volta fuori, iniziò.

"Teniamo qui ancora per qualche giorno, poi decideremo."- aggiunse. "Quello che mi sorprende è la foga con la quale chiede di lasciarsi morire".

"Conosco il mio bambino. Si rifiuterà di farsi curare... come ha sentito, farà di tutto per spuntarla".

"Mi perdoni, Yoshi San, ma non posso firmare la volontà di Michelangelo. Questo è un reato, un tabù per il nostro Giuramento. Se proprio non vuole curarsi, firmerò la sua uscita ma questo non vuol dire che se vorrà ripensarci io negherò l'aiuto. Anzi, sarò ancora il primo a curarlo!".

Yoshi sorrise debolmente. Ivan era un grand'uomo. E lui non stava facendo altro che assecondare il suo quartogenito, spingendolo verso le braccia dello Shinigami.
Che razza di padre era?!

"Sarà una dimissione temporanea. Non definitiva."- continuò Ivan, avviandosi verso l'ascensore in fondo al corridoio. "Mi aspetti pure nella stanza. Tornerò con il cartaceo da firmare obbligatoriamente".

Yoshi annuì come un burattino...
 

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Capitolo 10
*** A Casa ***


N/A  Nuovo capitolo sfornato, corretto e postato! Gioia, vero? Spero di sì e che sia di vostro gradimento, intanto! Vi consiglio di ascoltare in successione I Try, Untiled e Freaking Me Outby Simple Plan, si sposa bene. Vorrei come al solito ringraziare le mie carissime lettrici e ispiratrici con un mega abbraccione di cuore. Enjoy!



Qualche giorno dopo...
 
La tana non era la stessa.
Era così vuota, fredda, quasi raccapricciante e terribilmente silenziosa.
Michelangelo Hamato era tornato a casa, dimesso volontariamente dall'ospedale per vivere i suoi pochi mesi di vita nel calore familiare ma non era certamente lo stesso.
Sedeva sul divano, con una coperta bianca addosso e gli occhi fissi sul diarietto che Raph aveva miracolosamente trovato nel vaso di porcellana dello sgabuzzino.

Sul suo viso non c'era alcun sorriso, anzi, da come si mordicchiava le labbra era evidente la sua sofferenza verso una vita passata a ridere, scherzare e godersi una vita perfetta.
Come aveva gridato in ospedale, lo Shinigami gli aveva risparmiato la vita solo per illuderlo ma essendo un Prescelto era proprio vero che sarebbe morto. E Mikey si era rassegnato, tanto da rifiutare le cure.
Ora il suo corpo era arrivato a una fase di stallo; nelle prime due mattine fuori dall'ospedale aveva sofferto atroci dolori ossei, sbocciati alla gamba che aveva sempre riscosso il suddetto "campanello d'allarme", successivamente la debolezza cronica lo aveva costretto a restare a letto, senza nemmeno dargli la forza per mangiare.

Mikey si era sentito un oggetto inutile, fragile e vecchio. Dopotutto aveva sempre avuto la fama di tartaruga iperattiva e rivedersi costretto in un letto ora storpiava questa memoria.
Verso sera aveva cominciato a vomitare senza sosta, anche sangue e bile e durante la notte era salita la febbre abbastanza alta ma che sarebbe diventata febbricola mattutina.
Mikey non vedeva l'ora di farla finita.

Non sopportava tutto questo dolore e nemmeno quello vivido negli sguardi della sua famiglia. Quello che forse, in merito a ciò, gli doleva era la volontaria noncuranza di Raph.
Il rosso faceva finta di nulla, come se non esistesse.

"E' buono, in realtà. Almeno si abitua per quando non ci sarò più..." pensava il minore e anche adesso questo pensiero tentennava, mentre sfogliava il suo diarietto.
Quanti ricordi felici, lì.

Michelangelo non poteva fare a meno di sorridere ai pensieri impressi nella carta un po’ ingiallita, scritti dal suo io bambino. Era un tuffo nei ricordi, una dolce sinfonia e una scorpacciata di risate. Poi, però, i suoi occhi spenti si imbatterono nell’ultima pagina del diario, in una nota scritta in blu.

“Il giorno in cui ho scoperto quell’ammasso di carte inutili…” pensò, richiudendo subito il libricino.

Stanco di poltrire, il giovane ninja si alzò in piedi, con l’aiuto della stampella vicina al divano e si diresse verso la cucina, spinto dal richiamo del soddisfare la sua sete. Appena entrò con un’espressione apatica, notò con la coda dell’occhio suo fratello Raph seduto al tavolo con in mano un panino al formaggio.
Lo guardò un po’ ma Raph lo ignorava, mentre addentava il suo spuntino. Mikey non ci fece caso e aprendo il frigo optò per un po’ di succo di mela, tra l’altro il suo gusto preferito. In altri casi un biscotto ad accompagnare il dolce liquido era doveroso, se non un obbligo ma adesso no, o meglio, non sapeva se il suo stomaco avrebbe retto.
Mikey impiegò quasi lo stesso tempo di Raph per terminare il suo succo e una volta riposto il bicchiere nel lavandino lasciò la stanza. In quel momento, camminare si fece stranamente più lento e difficile; la gamba gli inviava segnali di dolore dal polpaccio, nel complesso sembrava che le sue gambe erano gelatina e tremava tutto.

“Non voglio vomitare…!” implorò nel pensiero, chiudendo gli occhi.

Un movimento dal tavolo e una leggerissima brezza di vento li fecero riaprire; il cuore di Mikey ebbe quasi un battito mancante nel ritrovarsi il panino al formaggio vicino alle labbra e brillanti occhi verdi specchiati nei suoi. Raph gli era vicino.

La tartaruga malata aprì e chiuse la bocca, incapace di spiccicare una sola parola; il gesto di Raph non gli era così sconvolgente bensì familiare, un deja-vu progredito nel tempo.

“Vuoi un po’ del mio panino, Mikey?”- fece Raph, senza l’ombra di un sorriso.

…papà ha detto che non mi odi e io non odio te. Quindi siamo pari, no?”- completò Mikey, mentre alcune lacrime colavano sul suo viso pallido.

Raphael, a quel punto, sorrise talmente radiosamente che lo strinse a sé dolcemente. Gli era mancato il suo fratellino. Davvero. Così tanto.
“Mi dispiace. Io non riesco più a capire come comportarmi qui dentro…”- soffocò contro la sua spalla magrissima e pallida. “Vorrei tanto trovare qualcosa che ci aiuti a riportare tutto com’era un tempo e… come dovrebbe essere”.

Preso un respiro tremante, Mikey si staccò docilmente e lo guardò dritto negli occhi velati di lacrime, scuotendo leggermente il capo. Era inutile rimuginare, da parte del rosso, su un cambiamento di decisione, tanto non sarebbe servito a nulla se non a prolungare dolorosamente l’agonia.

“Raph, sii sempre forte.”- disse, accarezzandogli una guancia. “Sai meglio di me che non c’è proprio nulla da fare per le mie condizioni. Quindi, ti chiedo solo di agire… normalmente”.

Il padroncino dei nunchaku non si stupì di notare il labbro inferiore del secondogenito vibrare e lui stesso afflosciarglisi sulle ginocchia davanti, abbracciandogli la vita con entrambe le braccia.

“Non voglio dirti addio! Mikey, sei la cosa più bella nella nostra vita! Assecondare il tuo desiderio di morte è come aiutarti a morire!”- gridò contro il suo stomaco.

Mikey deglutì, guardandolo dolcemente, nonostante un leggero abbaglio di dolore nello sguardo, uno che significava sensi di colpa per distruggere giorno dopo giorno anche il più forte della famiglia. Raph non piangeva ancora, però, una lacrima riuscì a sfuggire dalla palpebra sinistra stretta nel dolore emotivo.

“Mi dispiace.”- riuscì a mormorare colpevolmente Michelangelo, appoggiandogli la mano sulla testa.

Improvvisamente, il suo mondo si oscurò. Raph spalancò gli occhi nella realizzazione di un peso più consistente gravare sulle sue braccia e quando la curiosità gli fece sollevare il viso verso l’alto, il suo corpo agì meccanicamente, come manovrato dal pilota automatico.
Balzò in piedi con violenza, raccolse il fratellino tra le braccia in stile sposa e si spostò meglio sotto la luce fredda del neon ronzante sotto al soffitto pieno di crepe a ragnatela.
Mikey era cadaverico, visibilmente stanco di lottare, di soffrire e troppo magro.

Raph restrinse leggermente gli occhi, poi si incamminò verso il divano per adagiarlo il più delicatamente possibile. Notò con la coda dell’occhio una coperta afflosciata sul bracciolo e la usò per coprire il suo piccolo Otouto.
“Quando non ci sarai più, io morirò di dolore…” pensò, inspirando profondamente, nel tentativo di spezzare la nuova ondata di lacrime pizzicanti nel naso e nei canali lacrimali.

Michelangelo era tranquillo nel suo riposo di stanchezza ma anche rilassato.

“Senza di te…” rifletté, ma poi lasciò il pensiero a metà.
Il rosso non voleva lasciarlo da solo, così si accomodò sulla poltrona accanto al divano e accese la tv a volume zero. Non era in vena di guardare spettacoli, documentari o telegiornali ma almeno poteva tenersi sia la mente occupata sia vegliare su Michelangelo…
 


Leonardo era fermo davanti al piccolo altarino accanto alle shoji della stanza di Splinter.
Guardava da un tempo indeterminato le foto incorniciate sulle mensole di truciolate fissate al muro, dove spiccavano il volto allegro di Michelangelo, in varie età e la piccola Miwa.

“Quando non ci sarai più, allora guarderemo una tua foto dal fiocco nero posta qui tutto il tempo…” pensò, deglutendo un magone pesante giù per la gola.

Non poteva credere che dopo aver sconfitto la malattia, questa era ritornata più aggressiva che mai e intenzionata a strappar via ancora più velocemente il dolce Michelangelo. Era un tormento per il cuore, un chiodo rovente nel cranio e un fiume di lacrime per gli occhi.

Leo chinò leggermente il capo, mormorò qualcosa in giapponese a proposito dello Shinigami, poi si diresse verso il salottino, stupito di intravedere i caratteristici lampi colorati della tv muta.
Man mano che si avvicinava a passo tranquillo, poteva vedere per brevissimi lassi di tempo immagini felici dove il suo fratellino ne era il protagonista.

 
Mikey spaparanzato sul puff blu con in mano un fumetto o un controller di gioco.
Mikey seduto sul pavimento, a piedi uniti con una fetta di pizza in mano.
Mikey sdraiato a pancia in giù su un cuscino a guardare un film.
 

Non era pronto per questo. Non poteva perderlo così.
“Perché rinunci, Mikey? Finché c’è vita, c’è speranza!” pensò con un cipiglio di rabbia.

A parlare era il suo cuore palpitante. Leonardo non era per niente infuriato, no, era semplicemente in collera. Ce l’aveva con tutto il mondo ma mai lo avrebbe ammesso.
D’un tratto, tutta la sua rabbia si convogliò al centro del petto e svanì, lasciando un senso di vuoto, una fase di stallo e una mente intorpidita. Lentamente, le sue labbra si piegarono in un leggero sorrisino.

Raph era appisolato con una mano a sorreggere la testa e l’altra aggrappata saldamente a quella di Michelangelo, in un sonno profondo. Erano così carini che l’idea di svegliarli sembrava pessima.
“Quando te ne sarai andato, io non sarò più il leader…” pensò, mentre la vista gli si annebbiava di lacrime e si trascinava verso la sua stanza…
 


Nel laboratorio, Donatello era seduto sulla sua sedia in similpelle corvina a leggere un libro sui malati terminali di cancro. Era ormai a pagina settantanove e la sua mente si era notevolmente arricchita di tante informazioni utili.
Per lui completamente inutili.

Non poteva metterle in pratica, era un qualcosa che andava ben oltre la sua conoscenza di ingegnere e in parte dottore. Il cancro non poteva essere trattato dal suo genio.
Inoltre, dolorosamente poi, aveva scoperto che negli stadi avanzati non c’era nulla che si potesse fare… quindi, in altre parole, il suo fratellino non aveva più speranze a cui aggrapparsi.
Donnie chiuse gli occhi, voltando la testa verso il vuoto, poi chiuse quel maledetto libro nero che si era scelto fra tanti nella sua piccola libreria personale. Non poteva sopportare l’idea di dire addio all’unico piccolo fratello che aveva.

Non voleva essere considerato lui il più giovane, non se erano nati in quell’ordine sotto il numero quattro.
“Mikey, fratello mio…”- borbottò in un fil di voce, mentre si strofinava il divario tra gli occhi. “Io non voglio credere che te ne andrai sul serio…”.

Anche se la sua mente correva inarrestabile, fulminea e incontrollata, non poteva fare nulla. Era del tutto obsoleto il suo intervento.
Nel silenzio del laboratorio, un leggero singhiozzo riecheggiò. Il dolore era talmente intenso che piangere nasceva spontaneo. Donatello teneva gli occhi dietro la mano destra, le sue spalle tremavano e lui stesso stringeva talmente tanto i denti che poteva quasi sentire un pericoloso scricchiolio.

“Mikey… non fare lo stupido, ti prego…”- articolò a denti stretti.

Il libro cadde in terra, scivolato dolcemente dalle sue gambe. Donatello lo guardò per un po’, poi, in uno sfogo di rabbia lo prese a calci. Odiava quel libro! Quell’infame ammasso di carte così crudo!
Nella foga di alzarsi dalla sua sedia, inciampò in una treccia di fili, ritrovandosi carponi sul pavimento. Il suo cuore pulsava con tanto impeto che lentamente il suo fiume di lacrime si trasformò in una crisi isterica fatta di urla di disperazione e singhiozzi.

Poiché la camera di Leo era proprio di fronte, quest’ultimo scattò fuori dalla sua meditazione e rimase con il fiato sospeso, con aria stupita. Il suo udito registrava ogni spasimo, ogni parola anche incomprensibile, abbinandoli a un solo timbro vocale fin troppo familiare.

“Donnie!”- espirò il leader, balzando in piedi, correndo verso la porta chiusa del laboratorio.

Non appena entrò, vide il fratello in posizione carponi, incapace di smettere di piangere, mentre sbatteva i pugni duramente sul pavimento.

“Donnie!”- chiamò, avvicinandoglisi.

Il viola non lo guardò né riuscì a smettere di gridare o piangere.

“Donatello, ti prego, basta…”- mormorò gentilmente l’azzurro, bloccandogli i polsi prima che potessero raschiarsi contro una serie di abrasioni del pavimento.

“Che sta succedendo qui?!”-.

Leonardo si voltò verso la porta del laboratorio, dove lì c’era un Raphael con occhi spiritati, pugni stretti e gambe leggermente divaricate. Quella posa la diceva lunga, voleva significare una fortezza, un cuore di ghiaccio, un’apatia verso quello strazio. I suoi occhi lucenti tradivano, però.

“Donnie, smettila!”- abbaiò duramente.

L’azzurro restrinse leggermente gli occhi, tornando poi a Donatello. Solo lui si era accorto del leggero sforacchiamento che aveva rilasciato la voce di Raph.
Il ringhio del rosso attirò come una mosca verso la ragnatela perfino il maestro Splinter ma quest’ultimo, anziché esprimere anche una sola parola, rimase perfettamente in silenzio e appoggiò semplicemente la mano sulla spalla di Raph per calmarlo.

“Che gli prende?”- domandò il rosso, rivolto all’azzurro.

“Ero in meditazione quando ho cominciato a sentire questo…”- spiegò il maggiore, cercando di abbracciare il suo fratellino, ma quest’ultimo comunque si rifiutava, dibattendosi ferocemente.

“E tu?”- riprese Leo.

“Bah, credo di essermi addormentato prima. Attraverso il sonno, ho comunque sentito questo piagnisteo.”- rispose l’altro, senza staccare gli occhi di dosso al genio.

“Donatello, figlio mio…”- sussurrò Splinter.

Una debole mano si avvolse contro quella analoga di quest’ultimo; il topo non sussultò nemmeno, tanto riconosceva l’aura affievolita e non più brillante come sempre si era figurato attraverso il piano astrale o la meditazione.
E così il quartetto si era riunito in un unico posto.

Quando Donatello alzò gli occhi verso la piccola sagoma seminascosta dietro al maestro, i suoi occhi si restrinsero fino a diventare puntini minuti e scintillanti di collera. Adesso la tristezza si era mutata in rabbia cieca.

“Sei solo uno stupido! Godi a farci soffrire, non è vero? Vuoi che assistiamo in questa tana la tua agonia perché non vuoi farti aiutare, giusto? Perché fai l’egoista, perché non capisci niente? C’erano le cure, potevi farti curare!”- urlò Donatello, balzando in piedi con una tala forza da spintonare perfino Leo.

E pensare che quest’ultimo cercava di bloccare l’avanzata verso Mikey in tutti i modi!

“Ti odio, hai capito? Stai distruggendo questa famiglia! Sei solo uno stupido! Se proprio vuoi morire, fallo lontano da qui!”- ruggì, afferrando il piccolo per le braccia. “Apri gli occhi, guarda che cosa siamo diventati per causa tua!”.

D’altro canto, il giovane Michelangelo non disse neanche una parola. Donatello aveva cercato di reprimere tutto il dolore di quel calvario per troppo tempo e adesso lo stava liberando. Ogni insulto, ogni parola cattiva non gli faceva né caldo né freddo.

Anzi, alzò semplicemente una tremante mano per accarezzargli la guancia amorevolmente.

Donatello spalancò gli occhi, respirando affannosamente, mentre i suoi occhi si ingrandivano e diventavano scuri di lacrime. Guardò il suo fratellino, quel volto pallido e quando intravide un dolce sorriso, riprese a piangere ma stavolta in silenzio.

“Mikey, resta qui…”- sussurrò, in un puro controsenso verso il discorso precedente. “Ti prego… nessuno di noi è pronto a dirti addio. Sei troppo giovane, sei troppo piccolo, sei solo… solo…”.

“…un bambino.”- continuò Leonardo, i cuoi occhi traboccavano di lacrime, per la prima volta.
Sì. Per una volta, perfino il leader piangeva.

“Per favore…”- mormorarono in simbiosi il leader, il muscolo e il genio, inginocchiandosi davanti al minore.

“No.”- rispose semplicemente quest’ultimo.

I tre lo fissarono sconcertati.

“Non cambierò decisione. Ve l’ho già detto…”- mormorò.

Improvvisamente, accadde l’orrore. Il viso del piccolo padrone dei nunchaku si contrasse in una smorfia di puro dolore e il suo corpo si mise a ondeggiare, poi, le sue ginocchia cedettero e lui, con entrambe le mani premute sul petto, sul cuore, crollò in mezzo ai suoi fratelli.

“MIKEY!”- gridarono spaventati.

Sangue caldo, bollente, rosso colava dalle sue labbra violacee.

“Don, che gli sta succedendo?!”- urlò Leo, terrorizzato.

“Sta avendo una crisi di rigetto, probabilmente dovuta ai cicli di chemio sospesi! Il suo corpo aveva bisogno di quei cortisonici, vedeva un valido aiuto contro la malattia!”.

“Non… v… voglio… cu… curarmi…”- ripeté ostinatamente il giovane. “Vi prego…”.
Chiuse gli occhi, crollò inerme.

E i ragazzi guardarono il maestro per una risposta. Quest’ultimo abbassò lo sguardo, poi la determinazione accese il suo color cannella delle iridi in netta simbiosi a un pensiero più che intenso.

“Ricoveriamolo. Michelangelo è troppo accecato dal dolore per vedere speranze!”.

“Hai, sensei!”.

Quello che non sapevano era che l’arancione non aveva perso del tutto conoscenza; quando si sarebbe risvegliato in ospedale, ci avrebbero pensato le sue mani a farla finita…
 

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Capitolo 11
*** Ultimi Momenti ***


N/A E finalmente riecco ad aggiornare questa lunga storia, con ormai solo un altro capitolo per il finale prima di scrivere la parola "Fine". Per tanto, non mi dilungherò e vi auguro Enjoy!


Raphael era sempre più arrabbiato, forse più verso Michelangelo. Erano quasi sei giorni interi che l'avevano fatto ricoverare e il piccolo Otouto si era ribellato, spezzando flebo, scappando più volte dal suo letto o rifiutandosi di mangiare.
Era costantemente apatico, senza alcun sorriso e nemmeno parlava più.
Il tramonto che s'irradiava sui tetti convessi del villaggio del Nexus era spettacolare e sfumava d'oro qualsiasi cosa. La lieve brezza fredda di tanto in tanto rassomigliava a una carezza dolce contro la pelle fredda.
Restare seduti sul condizionatore del terrazzo scoperto dell'ospedale era un ottimo pensatoio; ogni riflessione veniva processata lucidamente e archiviata anche con una risposta più che valida.
Raph non aveva più lacrime, le aveva già versate tutte in queste svariate settimane di calvario. Ora provava solo rabbia per tutti e tutto, collera per vedere solo sofferenze e paura nel realizzare ad occhi aperti le braccia dello Shinigami farsi sempre più vicine a Michelangelo.

Quando aveva iniziato a fumare non lo sapeva neanche lui, probabilmente qualche annetto fa, dopo averlo visto fare in televisione. Inizialmente inspirare il fumo di diverse sostanze nocive in combustione gli avevano strappato l'anima propria ma alla fine ci aveva fatto l'abitudine.
Fumava una sigaretta nei periodi di stress ma adesso era la quinta della giornata. Non gli importava molto rovinarsi i polmoni, sentiva solo che lo aiutava molto anche a pensare meglio.
Il suo fratellino stava morendo e lui non poteva farci un bel niente.

Raph chiuse gli occhi, inspirando un avido tiro della sigaretta, poi cacciò una nuvoletta di fumo dalla bocca. Il sole filtrava attraverso le sue palpebre chiuse, in una sfumatura verde e dorata.
"Sei solo un dannato testone…! Perché diavolo ti ostini a morire così? A chi dimostri di essere forte? A noi ciò fa solo soffrire!” - mormorò sottovoce.

Raph si mise a ridere amaramente, mentre le code della sua maschera fluttuavano verso le sue tempie. Il bel tramonto si stava lentamente spegnendo in un colore freddo, quel classico violaceo-cobalto della prima sera.
Mentre aspettava che la sigaretta diventava sempre più corta e bruciacchiata, non poté fare a meno di notare un movimento rapido farsi strada sui terrazzi delle varie palazzine bianche e marroni, mirando verso nord.
Era una macchiolina verde acqua, rapida, con addosso un giubbotto nero e una sfumatura arancione all'altezza della testa, quasi a ricordare una maschera ninja.
Gli occhi di Raph si spalancarono tanto che perfino il suo corpo balzò in piedi, con ancora la sigaretta stretta tra le dita. Quello era...

"Quello è matto!"- espirò incredulo, stropicciando quel che rimaneva della sua sigaretta nel pugno, senza preoccuparsi minimamente del leggero pizzicare del fuoco del filtro in combustione. "Ma non ti lascerò evadere dalla tua Alcatraz!".
Un piccolo ghigno stirò le sue labbra, poi come solo un ninja sapeva fare, svanì in una folata di vento...
 

Era l'ennesima volta, in quella settimana, che tentava di fuggire per liberarsi di quell'oppressione, di sorrisi falsi e di abbracci tendenti a scegliere la salvezza.
Mikey era stanco, stufo e tutti i suoi tentativi finivano sempre a prendere una piega sbagliata. Era riuscito ironicamente a spazientire perfino "Leonardo il perfettino" rifiutandosi di mangiare. In ogni passo svelto che compieva in quella corsa aggressiva per il suo corpo indebolito, rivedeva le vene pulsanti di rabbia sulle tempie di suo fratello quando spingeva la testa lontano dal cucchiaio.

Leo insisteva e lui si divertiva quasi a spingerlo verso l'isteria, cosa che avveniva dopo cinque tentativi a vuoto. Era incredibile che anche il leader perdesse le staffe e anche nel modo più ironico.
Infatti, l'azzurra tartaruga sbatteva la ciotola con la zuppa insapore sul comodino, dava uno sguardo corrucciato al fratello minore nel letto e lo lasciava da solo, senza neanche una parola.

"Grazie... per preoccuparti di me... sempre..." pensò l'arancione mentre si catapultava da un tetto più alto a uno più basso, con un piccolo sorriso impresso sulle labbra.

E che dire di Donatello? Quel geniaccio era ancora più facile da infastidire senza poi fare chissà cosa. Se gli giungeva all'orecchio o vedeva mancanza di collaborazione sia nel mangiare sia nella somministrazione di medicine, gridava, ringhiava e sbatteva i piedi sul pavimento! Mikey doveva mordersi ferocemente le labbra pur di non scoppiare a ridere.
Risate... davvero una vaga parola ora.

"Tutto è passeggero. Avrei voluto vivere qualche anno in più, magari raggiungere la maggiore età ma sono felice di una cosa... almeno non vedrò la morte di mio padre. Morirà prima il più debole e il suo sacrificio permetterà al più forte di sopravvivere" continuò nel pensiero, con una lacrima gocciolante lungo la guancia pallida.

Improvvisamente, mentre fuggiva verso una meta non precisa, un sibilo metallico gli sopraggiunse nitido all'orecchio destro, facendolo sobbalzare. In un attimo, nonostante il dolore alle ossa, si destreggiò in una verticale splendida, atterrando sul cornicione del nuovo tetto.
I suoi occhi sconvolti fissarono incerti il paesaggio urbano, alla ricerca del nemico ma non vide nessuno. Le sue mani, come abitudine, volarono alla cintura stringendo l'aria ermeticamente... purtroppo, i suoi nunchaku non l'avrebbero aiutato stavolta.

"Dannazione..."- borbottò a denti stretti.

Un nuovo sibilo lo allarmò ma stavolta non ebbe sufficiente tempo a schivare il nuovo proiettile d'acciaio e non poté fare altro che eseguire una spaccata per evitarsi una dolorosa ferita al volto.
Finalmente il nemico gli si fece vivo, fieramente erto in piedi davanti ai suoi occhi.
La pioggia intanto cominciava a cadere fitta. Il temporale era già pronto a fare di un semplice acquazzone serale un vero e proprio diluvio.
Era risaputo che sul Nexus le piogge normali erano dei veri e propri forti diluvi. Le persone non avevano la benché minima idea di cosa fossero effettivamente le pioggerelline di mezza stagione!

“Dov’è che fuggi?”- ironizzò la muscolosa figura di Raphael.

“Guarda che potevi uccidermi!”- scattò l’altro.

Per tutta risposta, Raph sogghignò: certamente non era sua intenzione!
Aveva le braccia conserte, il peso spostato sulla gamba sinistra e un ghigno pressato sulle labbra. I suoi occhi dorati spiccavano di un dorato ammaliante anche nei colori bui della sera.

“Perché non vuoi farmi avere una morte in pace?”- sbottò Michelangelo.

“Perché ti voglio bene e non accetterò mai l’idea di perderti!”.

Scuotendo il capo, il più giovane continuò piano: “Guardami. Il mio corpo è giunto a una fase critica; ho macchie gialle e rosse sulla pelle che sembro un cuscino a pois! Sono uno scheletro vivente, a malapena riesco a reggermi in piedi e i miei polmoni sono riempiti di massa tumorale, sangue e altre cose!”.

Il viso del mutante in rosso si scurì di risentimento e di angoscia, il suo fratellino, al contrario, tremava di rabbia, stanchezza e di freddo ora che l’adrenalina aveva smesso di pomparsi nelle sue vene più che visibili.
“Ascolta. Noi siamo i tuoi fratelli e-“.

“NO!”- gridò Mikey. “Non farmi ancora quel dannato discorso, Raph! Se davvero ti sto a cuore, permettimi di realizzare un mio ultimo desiderio! Voglio essere felice con la mia morte!... Per favore…”.
Sussurrare l’ultima parola serrò il cuore del mutante con i Sai.

Forse stavano davvero sbagliando tutto. Se davvero non c’era più nulla da fare, tanto valeva accontentare il più piccolo della famiglia.
D’un tratto, sobbalzò al tocco gentile delle mani bagnate di pioggia di Mikey sulle sue gelide guance. Il suo Otouto gli sorrideva dolcemente mentre cancellava le gocce d’acqua con i pollici.

“Non piangere…”- sussurrò.
Da quando stava piangendo? Raphael Hamato solo allora si accorse delle lacrime che copiose solcavano le sue guance e si mischiavano alla pioggia.
“E non fumare che ti fa male!”- continuò il più giovane, notando il pacchetto di sigarette nella cintura del fratello.

Raphael sorrise debolmente e finalmente lo strinse a sé, tenendolo così stretto tanto quanto dolore provava in quel momento. Come poteva dire addio all’unico fratellino che davvero sapeva capirlo? Come poteva accettare di vederlo riposare in pace se era il suo piccolo compagno di giochi fin dall’infanzia? Come poteva restarsene a guardare senza fare nulla?

“Raphie, ti voglio bene.”- proseguì Mikey.

Il rosso non batté ciglio quando l’Otouto scivolò dolcemente dalla sua presa, ormai allo stremo delle forze… e della vita stessa. Prese un respiro tremante, lo issò in stile sposa e guardò un’ultima volta il panorama del Nexus.
Ormai era tempo…
 

Ivan regolò per l’ennesima volta un sacchetto di plasma, anche se sapeva che non ce ne sarebbe stato bisogno davvero ma in quanto medico era suo dovere rendere il miglior servizio per il piccolo Campione.
Si rifiutava di chiamarlo “Malato Terminale”, anche se il termine era più che appropriato.
“Va bene. Michelangelo per ora riposa.”- mormorò, guardando gli Hamato accanto al piccolo.

“La ringraziamo per il suo aiuto.”- rispose vagamente Splinter.

“Se notate qualcosa di anomalo, sapete cosa fare.”- e detto ciò, l’umano lasciò la stanza silenziosa, chiudendo piano la porta alle sue spalle.

Leonardo appoggiò la mano sulla spalla di un Donnie miseramente seduto su uno sgabellino a torcersi distrattamente le mani pallide e si avvicinò a Raph, con una coperta verdina e rivolto verso i vetri appannati dal calore del fiato.

Quando era tornato in ospedale, completamente fradicio e con Mikey tra le braccia, non avevano detto nulla; anzi, gli avevano offerto la coperta per asciugarsi e una tazza di latte bollente per rianimarsi almeno un po’ dalla rigidità del freddo.

Però, contro l’apatia che lo avvolgeva in quel momento, l’azzurro dubitava che potesse veramente offrirgli il conforto di cui aveva silenziosamente bisogno.

“Come hai fatto a trovarlo?”- chiese piano.

“Ero uscito a prendere una boccata d’aria quando l’ho visto scorrazzare di tetto in tetto.”- spiegò l’altro, fissando sia il fratello sia la famiglia intenta a guardarlo attraverso i vetri della stanza.
Fuori tutto era di un noioso blu-nerastro e la pioggia batteva violenta.

“E’ sempre stato così. Mikey non può fare a meno di darci grattacapi!”- ironizzò debolmente Donnie, raccogliendo una mano del minore.

Secondo l’amico dottore, il fratellino necessitava di molto riposo ma vederlo così in un letto, con il petto che s’alzava con irregolarità doleva con quell’immagine bastarda creata dal cervello. Mikey non poteva morire…

“Cerchiamo di vegliarlo.”- propose Splinter.

“Già! Sono d’accordo! Così se si sveglia o cerca di scappare, glielo impediremo!”- confermò Raph.
Per un attimo il suo sé impavido e focoso trasparì ma un semplice sguardo a piccolo addormentato lo fece appassire nel dolore e tornare a fissare il vuoto attraverso la finestra.

“Ragazzi, uscite un attimo fuori, per favore.”- fece improvvisamente Splinter.

“Perché, sensei?”- domandò Leonardo, parlando anche per i suoi fratelli.

Il topo mosse semplicemente il naso mentre guardava Michelangelo. Donnie fu il primo a comprendere che il loro piccolo Otouto aveva bisogno di essere pulito e annuendo piano spinse delicatamente i fratelli verso la porta.

Con uno strattone, però, Raph si rifiutò: “Io non voglio lasciare Mikey!”.

“Non fare lo stupido! Vuoi davvero che ti dica che cosa sta succedendo?!”- scattò il viola.

“Spiegamelo, avanti, genio!”.
“A causa del tumore, la zona pelvica di Michelangelo ha subito un rilassamento dei muscoli e di conseguenza non è in grado di gestire feci o urine!”.

“Mi stai dicendo che… il nostro fratellino si è…?”- espirò il focoso, stupito.

“Non è più in grado di trattenere i propri escrementi, Raph.”- riprese atono Donnie. “Ora, usciamo”.

“Sensei, non possiamo aiutarti?”- riformulò Raphael.

Voleva fare di tutto per essere ancora al fianco di suo fratello, anche resistere al tanfo di escrementi! Notando tutta questa determinazione brillare nei suoi globi smeraldo, Splinter espirò con un sorriso.
“Vuoi davvero aiutarmi?”.

“Sì!”- fu la risposta convinta.

“Molto bene. Voi altri andate anche a farvi un giro. Non abbiamo bisogno di infermieri, in questo momento. Non appena abbiamo finito, Raphael  verrà a chiamarvi.”- specificò il maestro.
I due ninja annuirono e lasciarono la stanza.

“Raphael, riempimi la bacinella nel bagno e portami una spugna. Dopodiché, prendimi le lenzuola pulite nell’armadietto di metallo dietro di te.”- elencò Splinter, scoprendo il corpicino del figlio bambino.
Il rosso obbedì e alla fine si mise al fianco di Michelangelo, non potendo fare a meno di porre una domanda: “Sensei, come mai non hai chiesto aiuto agli infermieri?”.

“Perché da bambino Michelangelo è stato vittima di malasanità. Non qui, almeno, ma in un altro piano e reparto. Ricordo che quando venivo a trovarlo, tuo fratello era sempre impaurito, triste e inappetente. Un giorno mi sono trovato praticamente testimone di alcune disonorevoli infermiere che con il loro modo di fare avevano provocato un’infezione intima al nostro piccolo Michelangelo!”- raccontò il topo, frusciando la coda in rabbia.

Raphael spalancò enormemente gli occhi con fare incredulo, non lo sapeva!
Mentre osservava affascinato il maestro pulire alla meglio Michelangelo, non poté fare a meno di notare qualcosa di insolito: le urine erano di un colorito piuttosto scuro e forse poteva dipendere dalla poca sete che presentava il minore. Inoltre le estremità del suo corpo erano bluastre, fredde, quasi cianotiche.

“E’ a causa del tumore…”- si affrettò a rispondere Splinter.

Per un attimo, Raph giurò di aver sentito la sua voce tremolare… ma come poteva dargli torto, sapendo che in quale situazione si trovava il più giovane?

“Raphael, potresti sollevare Michelangelo? Devo cambiargli le lenzuola.”- specificò il maestro Splinter e il rosso immediatamente obbedì.

Con dolcezza incredibile sollevò tra le braccia il suo fragile fratellino, appoggiandogli il mento sul capo. Era incredibile vederlo in quello stato quando la mente mostrava anni di giocose lotte, risate e momenti fraterni indissolubili. Nel momento in cui percepì le lacrime negli occhi, pronte a cadere, chiuse gli occhi e rimase il più forte possibile per non mostrarsi debole.
“Mikey è ancora vivo!” pensò con rabbia ma il suo cuore non era così d’accordo.

Dopo qualche minuto, Splinter gli fece segno di rimettere il fratellino a letto.
“Mettiamogli una coperta sulle gambe e un’altra sul corpo. Anche se Michelangelo non avvertirà probabilmente il freddo, il suo corpo sì.”- propose il topo.

Dall’armadietto tirò fuori una sola coperta marrone di lana: a quanto pare mancavano!
“Aspetta, maestro…”- stoppò Raph, poggiando sulle gambe del minore la coperta verde che aveva avuto sulle spalle fino a quel momento.

Splinter sorrise dolcemente anche se lottava pur di non commuoversi. La famiglia unita da un legame incredibile sarebbe stata presto un ricordo…
 

Donatello aveva insistito di passare un po’ di tempo da solo con Mikey, il pomeriggio seguente.
Durante la piovosa mattinata erano stati tutti insieme ma non avevano avuto un vero momento fraterno perché il piccolo non si era svegliato una volta. Fortunatamente, durante la notte Ivan gli aveva fatto mettere un catetere per ovvi motivi e un sacchetto a parte per gli escrementi.

“Mikey…”- chiamò sottovoce il giovane genio.

Avevano girato il minore su un fianco perché aveva manifestato problemi respiratori, tra cui gorgoglii e rantoli. La cosa più grave erano stati picchi di respiri veloci con altri talmente lenti che sembrava che di lì a poco il cuore si sarebbe  davvero fermato. Del resto, diminuzione del consumo di liquidi, accumulo di sostanze di rifiuto nell’organismo e/o dalla diminuzione della circolazione diretta agli organi provocavano proprio questo.

“Piccolino…”- sussurrò, mentre la vista gli si annebbiava di lacrime.

Erano più di dodici ore che dormiva profondamente, rilasciando il contenuto della zona pelvica come nella scorsa serata. Non poteva vederlo così.

“Mikey…?”- chiamò, scuotendogli piano una spalla ossuta.

Il piccolo non si svegliò, né batté ciglio. Donnie prese un profondo respiro nella speranza di allontanare la paura e il batticuore per il tarlo fisso della morte e riprovò, ma stavolta sussurrandogli il nome nell’orecchio e accarezzandogli la testa.
Dopo svariati tentativi, finalmente, il giovane Hamato riaprì debolmente gli occhi, rimanendo a fissare una lampada a luce fredda appoggiata sul comodino. A Donnie non sfuggì l’evidente stato confusionale in cui nuotava suo fratello minore.

“Mikey, sei sveglio?”- riprovò.

Il più giovane spostò finalmente i globi nuvolosi verso i suoi bordeaux ma non parlò, anzi, assunse un’espressione torva.

“Ritiro psichico, rifiuto della socializzazione… sì. Questi sono altri sintomi, proprio come mi ha spiegato Ivan. La causa è il minor afflusso di sangue al cervello e anche la convinzione della morte sempre più vicina…” pensò Donatello, prendendogli una mano.

Mikey non si strattonò, almeno ma si rifiutò di guardarlo.

“Visto? Come promesso, al tuo risveglio hai trovato qualcuno vicino a te. Come ti senti, piccolo mio?”- fece Donatello, dolcemente.

“A che serve? Tanto fra poco morirò…”- borbottò Michelangelo, ritirando la mano sotto la coperta verde di Raphael.

Donnie non si scompose, in fondo non era proprio il vero “io” di Mikey a parlare veramente. Erano come risposte meccaniche.

“Non vedo cosa ci sia di male nel trascorrere un po’ di tempo con te. Sai, se hai bisogno di qualcosa, io e tutti gli altri siamo proprio accanto a te. Anche se hai bisogno di parlare di qualcosa”.

“Ma io sono fastidioso quando parlo…”- rispose Mikey, nascondendosi sotto la coperta.

“Esci di lì o potresti soffocare!”- ridacchiò Donatello.

Mikey sorrise come un bambino e con l’aiuto dell’altro si spostò in una posizione supina, un po’ più rialzato per poter stendere meglio il corpo. Come su una sdraio, era decisamente meglio che una posizione da bara.

“Vuoi mangiare qualcosa?”- chiese Donatello, mentre avvisava gli altri con un messaggio sul cellulare del risveglio del fratellino.

Mikey scosse il capo: “Non ho fame… non credo che riuscirei a tenere qualcosa nello stomaco. O meglio, non vorrei vomitare!”.

Donnie annuì, poi afferrò una piccola bottiglia di succo di mela appoggiata sul comodino e gliela avvicinò alle labbra. Mikey ne assaggiò un pochino prima di allontanare il capo.
Tanti sintomi della morte ormai vicina, troppo dolore vivido negli occhi di Donatello. Mentre si sforzava di sorridere, notò il fratello minore rannicchiarsi a pallina con un’espressione addolorata.

“MIKEY!”- esclamò, tremante.

“Mi fa male tutto il corpo…!”- gemette.

Il giovane genio fu costretto a chiamare Ivan tramite il pulsante collocato sul muro e lo attese nervosamente stando accanto al fratellino piagnucolante. Non avrebbe mai potuto immaginare tutto quel dolore infame.
Appena Ivan entrò, seguito dagli Hamato, il suo volto si scurì nel vedere Mikey fissare la lampada bianca con aria assente. Ormai non c’era più tempo… ormai, lo Shinigami era imminente…

Dette un’occhiata addolorata a tutti i familiari, poi, iniettò un antidolorifico nel magro braccio di Mikey e rimase in silenzio a godersi le braccia dei fratelli premute sul corpicino del piccolo Campione del Nexus.
Non era giusta un’agonia del genere…
 

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Capitolo 12
*** Attimi ***


Angolo dell'Autrice
Salve, popolo! Dopo un'eternità riaggiorno questa fanfiction, proprio perché finalmente so come concluderla. Penso che ci saranno ancora un capitolo o due in modo soft e strappalacrime. Diciamo che mi dispiaceva lasciare così questa storia; dopotutto è una a cui tengo particolarmente. Quindi, buona lettura! Consiglierei anche di leggere ascoltando: How to Train your Dragon 2 Soundtrack - 02 Together we Map the World per sentire maggior feeling. So che essendo breve, la musica andrebbe ripetuta all'infinito. 
Beh, enjoy!



Ancora una volta pioveva sul Nexus. Gocce d'acqua salata umidivano il bellissimo paesaggio fantastico di quel mondo che sono pochi, oltre la Terra stessa, conoscevano. Il cielo era tinto di un colore scuro, un bluastro mixato al nero; di tanto in tanto da enormi nubi minacciose s'irradiavano lampi biancastri, con una luminescenza violacea o talvolta dorata e subito dopo tuoni potenti rombavano nell'immensità.

Michelangelo, da giorni ormai, guardava oltre la finestra chiusa della sua stanza, con una mano stretta sul petto, l'espressione vuota e vagamente malinconica e da leggeri tremori di quello che rimaneva del suo corpo morbosamente magro la sua vestaglia di flanella bianca, con puntini azzurrati frusciava appena.

Alcune flebo pendevano dalle sue braccia scheletriche, il catetere faceva capolino vicino ai suoi piedi, eccetto il sacchetto per gli escrementi. Ivan, infatti, aveva ritenuto opportuno rimuoverglielo da quando il giovane era apparso più lucido, abbastanza da andare da solo al bagno.

Alle sue spalle, Leonardo era fermo fuori la porta, con una mano che stringeva dolorosamente lo stipite e l'espressione umida di rabbia. Quante lacrime era riuscito a versare in tutto questo tempo di agonia?
Sospirò un po' ed entrò, avendo cura di non fare troppo rumore. Mikey sembrava così assorto nei suoi pensieri oscuri che sarebbe bastato un nulla per spaventarlo.

Contrariamente a questo pensiero, il giovane sbatté le palpebre violacee e osservò il riflesso dello spadaccino attraverso il vetro tempestato esternamente dalla pioggia aggressiva.

"Mi hai notato quindi"- mormorò Leo, con l'ombra di un sorriso.

Mikey rispose con un'alzata delle sopracciglia, tornando a fissare il buio panorama. Leonardo sospirò pesantemente e si mise a braccia conserte al suo fianco: i suoi occhi però, anziché del triste mondo esterno, si spostarono sul corpo esile del fratello bambino così "surrealmente" silenzioso.

"A che pensi?"- chiese improvvisamente Mikey, senza guardarlo.

Leonardo abbassò per un attimo lo sguardo ma poi lo rivolse solo alla pioggia. "In realtà, sono tante le cose a cui sto pensando ultimamente. Tutte si ricollegano a te".

Mikey sorrise leggermente e gli prese la mano, stringendola un po'. Leonardo non si ritrasse: al contrario, ricambiò la stretta e non si mosse neanche di un millimetro quando l'altro appoggiò la testa sulla sua spalla. La sua pelle era ancora piuttosto calda.

"Dovresti rimetterti a letto, Mikey".

Mikey lo guardò attentamente, mentre si strusciava leggermente contro quella forte spalla che da sempre era riuscito a infondergli il coraggio che cercava: senza dire nulla gli batté affettuosamente una pacca sul guscio e si infilò stancamente a letto. Gemette un pochino quando allungò le gambe nel freddo letto.

Leonardo sbatté incredulo le palpebre, stupito: il suo fratellino gli aveva obbedito senza storie! Si voltò, con un buffo sopracciglio alzato dove Mikey non trattenne un sorriso compiaciuto.

"Ho pensato che la tua fosse una buona idea. Tutto qui"- confermò Mikey, facendogli cenno di avvicinarsi e di accomodarsi sul suo letto.

Leonardo non se lo fece ripetere una seconda volta e appena la sua pelle leggermente infreddolita percepì il caldo solletico della coperta verde di Raphael rilassò le spalle tese. Spostò pigramente una gamba più verso l'interno del letto e la utilizzò come un sostegno per il gomito e avambraccio sinistro.

"Leo, non è così male"- disse Mikey, mentre arrotolava la coperta con occhi bassi.

"A cosa ti riferisci?".

"Sai, continuo a pensare che qui non posso proprio dare il mio contributo ma quando sarò uno spirito sì e sono sicuro che potremo incontrarci tante volte"- spiegò Mikey.

Un piccolo tintinnio gli catturò l'attenzione: la tartaruga malata sollevò lo sguardo e rimase congelata. Leonardo lo guardava con occhi ampi, l'espressione sconvolta fra rabbia e dolore; sulle sue guance capeggiavano due striature trasparenti calde. Lacrime.
Mikey si chiuse in un silenzio pesante, mentre si appoggiava di guscio ai cuscini e si lisciava entrambe le braccia con leggero senso di colpa. Non voleva certamente far piangere il suo grande fratello. Poi, in un rapido lasso di tempo, fece un minuscolo sorriso, con gli occhi chiusi: era riuscito a far piangere il perfezionista!

Di nuovo sospirò amareggiato... non era qualcosa di cui vantarsi.

Leonardo deglutì un paio di volte, inspirando e gli prese una mano, stringendola tra le sue.

"Come puoi essere così rassegnato? Così calmo? I... io davvero non lo capisco...!"- mormorò con voce bassa, ricurvo in avanti, come per non far sentire a nessuno.

Mikey lo imitò e prese le sue guance fra le mani premette la sua fronte contro quella dell'altro che, silenziosamente, rimase in attesa di risposte.

"Sono rassegnato. Tutto qui. E' un qualcosa che non vi augurerò mai di provare ma è così difficile da spiegare. Mi sembra che tutto ciò in cui credevo, o ritenevo importante è stato tutto un'illusione. Per questo, Leo... ti chiedo di far capire anche agli altri che la smettessero di preoccuparsi o di rodersi per trovare una soluzione. Non c'è. Ivan non vi ha spiegato che sono nell'ultima fase e che è solo un conto alla rovescia? Stanotte potrebbe essere che chiuda gli occhi e non mi sveglierò più".

Leonardo lo zittì, poggiandogli due dita sulle labbra. Non voleva più sentire nulla.

"La tua spiegazione è stata piuttosto esauriente ma no, Mikey. Sfortunatamente non potrò mai dire alla nostra famiglia di far finta che tutto vada meglio perché sai che non è così"- gemette Leonardo, mentre la vista gli si annebbiava ancora.

Strinse le palpebre pur di non farle cadere di nuovo ma non fu così rapido e di nuovo Mikey si ritrovò a fissare quello spettacolo poco piacevole.

D'un tratto, il piccolo ninja malato strinse i denti e si accovacciò in qualche modo a pallina: portò le ginocchia al petto, s'incurvò in avanti, con le braccia avvolte intorno allo stomaco e nascose il viso dietro le cosce.

Il leader protesse una mano verso di lui e aprì la bocca per dire qualcosa: Mikey sollevò debolmente una mano come per fermarlo e assistere dolorosamente a quella prova di resistenza insensata. Non fece dunque nulla, se non chiudere gli occhi e chinare il capo, pregando che quella triste immagine finisse quanto prima.

Una sensazione calda si appoggiò sulla sua spalla: Leo riaprì gli occhi umidi e li rivolse verso la porta, dove c'era un Donatello dal volto impassibile, e la bocca chiusa. Notò solo allora anche Raphael e il sensei che stavano entrando in quell'attimo agonizzante.
Improvvisamente, con voce camuffata, Mikey cominciò a cantare un motivo che da sempre gli era piaciuto. Da quando tutti insieme avevano visto un noto film di vichinghi e draghi insieme, il sequel per l'esattezza, la colonna sonora iniziale dove il protagonista disegnava il paesaggio che avrebbe inserito nella nuova mappa chiamando l'isola simpaticamente "Ascella che Prude" gli si era conficcata nel cervello tanto da svegliarsi con quella splendida melodia per diversi giorni.

La famiglia rimase a guardarlo semplicemente, fino a quando Mikey non si sentì un po' meglio.

"Quando finirà tutto questo...?"- sussurrò alla fine, con gli occhi chiusi. "Fa troppo male. Eppure non credo di aver fatto soffrire qualcuno...?".

Leonardo quasi guaì quando Donatello aumentò la stretta sulla sua spalla, scavando quasi le unghie nella carne: teneva chiusi gli occhi mentre si mordeva ferocemente le labbra pur di non singhiozzare.

"Non hai mai fatto del male a nessuno"- intervenne calmo Raphael, avvicinandoglisi.

Mikey gli rivolse uno sguardo confuso.

"Che ne dici di andare a casa?"- seguitò il focoso, sedendoglisi accanto, sul letto solo per agganciargli un braccio intorno al collo e tirarlo a sé.

"Davvero?"- espirò incredulo Mikey, guardando tutti. "Davvero posso andare a casa?".

"Sì, certamente. A patto, però, che continui a prendere gli antidolorifici".

I presenti si rivolsero alla porta dove Ivan, con le mani in tasca e un calmo sorriso aveva appena parlato con semplicità.

"Ok. Questo compromesso si può fare"- schernì Mikey, poggiando una mano sul petto per darsi maggior enfasi. "Ragazzi, mi aiutereste a fare i bagagli?".

"C'è da chiederlo?"- ridacchiò Leonardo, rialzandosi.

Quando si voltò di spalle per raggiungere l'armadietto ebbe un ripensamento: bastò guardare l'espressione apparente felice di Ivan diventare uno sguardo intenso che chiedeva di essere forte negli ultimi istanti di vita a fargli nuovamente storcere il naso nella speranza di evitare che nuove lacrime colassero sulle sue guance.

-Maledizione...- pensò.

Raccolse lo zainetto di Mikey per riempirlo di affetti personali quando non riuscì a impedire a un piccolo album di cadere sul pavimento, seguito da alcune matite.

Mikey si sporse leggermente dal letto, facendo scostare di lato sia Splinter sia Donatello per guardare l'azzurro raccogliere l'album di Raphael e metterlo nello zainetto.

"Aspetta"- intervenne Mikey, gettando di lato le coperte.

"Non muoverti, Otouto. Te lo porto io"- stoppò l'azzurro.

Mikey roteò esasperato gli occhi e fece di testa sua: non appena si rimise in piedi la stanza prese a girare come una trottola e a farlo ondeggiare pericolosamente. Per poco non inciampò ma velocemente Raph lo aiutò, facendo del suo corpo uno scudo.

"Niente movimenti bruschi... Già. L'avevo scordato..."- mormorò Mikey, camminando verso il maggiore.

D'un tratto, il ninja si fermò davanti all'armadietto e fissò la finestra senza un apparente motivo. La sua famiglia si scambiò uno sguardo perplesso e perfino Leonardo fece spallucce. Ivan annuì leggermente con il capo e fece un passo avanti, con le mani ancora in tasca.

"Chi c'è qui?"- chiese.

Mikey sorrise distrattamente, mentre allungava la mano verso il punto vuoto. "C'è la mamma...".

Splinter deglutì, spalancando gli occhi.

"Mamma, perché piangi?"- continuò Michelangelo, rattristandosi. "Sai che non è bello se tu versi lacrime per me. Stiamo per incontrarci, no?".

Il maestro Splinter nascose gli occhi dietro una mano e scosse leggermente il capo, prendendo un respiro traballante.

Mikey abbassò il braccio lungo il fianco e rimase ben presto con aria assente. Ivan fece cenno a Leonardo di sollevarlo tra le braccia e infilarlo nel letto. Il minore, infatti, sembrava dormire con gli occhi aperti e non rispondeva agli stimoli.

"Molti pazienti in fase terminale menzionano, vedono o addirittura parlano con dei presunti cari. Per molti anziani questo rappresenta la loro ora: in pratica, le persone a cui hanno tenuto più in vita vengono per accompagnarli oltre la morte"- spiegò il dottore, abbassando le palpebre di Mikey che ancora respirava.

Donatello fu costretto a voltarsi altrove: per un attimo si era figurato che il suo fratellino aveva lasciato il mondo terreno con gli occhi aperti e quindi quel gesto di Ivan... Scosse il capo, non volendoci pensare ulteriormente.

"Dorme"- mormorò Splinter, più calmo.

Ivan annuì piano, poi parlò: "Voglio che Michelangelo trascorra i suoi ultimi istanti con la voi che siete la sua famiglia. E' molto importante che non gli si faccia pressione; in questo momento è davvero fragile e ha bisogno di assoluto riposo".

Raphael fu il primo a lasciare silenziosamente la stanza, marciando verso il corridoio che lo avrebbe portato sul tetto dell'ospedale. Pioggia o no, aveva bisogno di una boccata d'aria.

Quando aprì la porta ignifuga fu accolto da una pioggia arrogante e fitta. Raphael non se ne curò e raggiunse il parapetto di ferro, volgendo il suo sguardo apatico verso l'infinito.
Dopo qualche istante, una mano volò verso la cintura per prendere una sigaretta: ne portò una quasi alle labbra quando si fermò.
 
"E non fumare che ti fa male!".
 
Raphie rise leggermente e in un gesto secco scagliò il pacchetto nel vuoto. Un tuono rombò alle sue spalle. Nella pioggia sempre più forte, il suo sorriso si ruppe: scivolò sulle ginocchia, con lo sguardo perso alle nuvole, incurante di quella doccia gelida sul suo corpo e ben presto un singhiozzo lasciò la sua gola.

Si decise a farlo. Non frenò la prima lacrima, né la seconda e mentre il diluvio cresceva, così come il suo pianto addolorato lasciò la sua bocca come un grido di un cavaliere caduto eroicamente in battaglia.
Non si sarebbe mai accorto di Don e Leo che assistevano tristemente alle sue spalle, al riparo dal diluvio. Anche loro piangevano silenziosamente...
 

Il giorno dopo...
 
Leonardo si svegliò, sbadigliando stancamente. Rimase a fissare con aria vuota il buio nella sua stanza fino a quando non si alzò e si diresse, come sua abitudine, verso il bagno per una buona doccia calda.
Con la coda dell'occhio, però, notò una luminescenza provenire dalla zona giorno e un profumino invitante. Inclinando leggermente il capo in preda al dubbio, decise di andare a controllare.

Scese le scale il più silenziosamente possibile, come solo un ninja avrebbe saputo fare e si acquattò dietro la porta della cucina, esattamente dove la luce filtrava e un buon profumino.

Quando Leonardo comprese chi era ai fornelli intento a preparare la colazione congelò sul posto, con occhi spalancati. Il suo giovane fratellino era di guscio, cucinando sapientemente dei pancake con sciroppo d'acero; la teiera fumava, così come la moka per il caffè e sul tavolo già facevano capolino ben cinque piatti, stoviglie e un barattolo di marmellata alle fragole.

"Buongiorno, Leo"- sorrise Mikey, senza neppure voltarsi.

L'azzurro entrò piano, incredulo e dopo un attimo rispose: "Buongiorno anche a te, Mikey. Posso chiederti che cosa stai facendo qui?".

"Ehm... non saprei... forse cucinare?"- schernì l'altro, voltandosi.

Leo lo squadrò con occhi apprensivi e bocca dischiusa per un attimo: la pelle più verde del solito, sempre puntinata di macchie gialle e rosate, l'espressione viva. Mikey era meno dolorante del solito.

"Non intendevo questo. Che cosa ci fai fuori dal tuo letto?!"- ripeté l'azzurro, gesticolando con una mano nella speranza di essere un po' più autoritario.

"Leo, guarda che sto meglio. Davvero. Se non lo fossi, starei a lamentarmi nel mio letto"- fece l'altro, tornando giocosamente a rigirare i pancake nella padella antiaderente.

L'azzurro chiuse la bocca e con un lieve sorrisetto gli si avvicinò, guardando la pastella bionda assumere un leggero colorito bruno. Mikey ridacchiò semplicemente e con una piccola spatolina di silicone la depose sul piatto.

"Come la condisco?"- chiese il minore, facendosi strada verso il tavolo.

"Marmellata"- rispose Leonardo, con un dolce sorriso.

"Ehi, che profumino!".

I due si voltarono verso la porta dove facevano capolino sia Raphael, pulito e fresco di doccia, Donnie, un po' zombie per la mancata assunzione di caffeina quotidiana e il maestro Splinter.

"Buongiorno a tutti!"- salutò festosamente Mikey, facendo loro cenno di sedersi.

I tre mattinieri si scambiarono uno sguardo d'intesa e fu Don a parlare: "Vedo che questa mattina sei radioso. Mi fa piacere!".

Avevano segretamente deciso di non far pesare alla tartaruga dai nunchaku la sua situazione. Si sarebbero comportati normalmente fino alla fine.

"Già. Sono solo felice di passare il tempo con voi e di fare quello che più mi piace!"- cinguettò Mikey, sedendosi fra il sensei e Leonardo. "A proposito, dopo possiamo allenarci insieme, vero?".

I quattro guardarono subito Splinter che, deglutendo un magone pesante di varie emozioni, annuì gentilmente.
Ben presto, Mikey fece una smorfia addolorata, tanto da scaraventare la forchetta sul tavolo, in un tintinnare di stoviglie. Si incurvò in avanti, stringendosi lo sterno e ansimando fissò il pavimento, mentre dalla sua bocca si faceva strada un familiare sapore ferroso.

"Maledizione... e pensare che prima stavo benissimo...!"- borbottò Mikey.

Leonardo lo aiutò a sistemarsi di nuovo seduto, Raph a versargli un bicchiere d'acqua e Donnie si diresse in laboratorio per prendere un flacone bianco con degli antidolorifici. Non appena Mikey lo inghiottì la smorfia di dolore sul suo viso svanì.

"Ho un'idea"- mormorò calmo Leo, spostando il fratellino sul suo petto.

Splinter prese le gambe e le depose in grembo. Ora Mikey era come appoggiato su una branda.

"Vi prego. Mangiate. Io mi rilasserò così"- mormorò Mikey, con voce un po' impastata e gli occhi chiusi.

Leonardo fece cenno di esaudire quel desiderio e mentre tentavano di non soccombere alle lacrime, mangiarono una colazione che forse mai più avrebbero avuto...

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Capitolo 13
*** La Luce nel Buio ***


Leonardo aveva rinunciato a meditare, dopo almeno otto tentativi a vuoto. Di solito, per lui era piuttosto semplice inoltrarsi sul piano astrale e abbandonare il suo corpo immobile nella posizione del loto. Stavolta no, però.

Ogni volta che chiudeva gli occhi, respirando profondamente, rivedeva la sofferenza del suo fratellino e allora, impercettibilmente, stringeva i denti e serrava i pugni sulle cosce, ringhiando la collera per il non poter combattere.

Era un'angoscia terribile che riusciva a strangolare anche la più impavida delle anime.

Leonardo espirò pesantemente, deglutendo l'ultimo pezzo di mandarino che chissà quando si era sbucciato, poi. Ultimamente, la sua mente era così confusionaria che dimenticava tutto il resto.
-Spero non si tratti di qualche malattia sulla memoria...- era il suo pensiero vagamente ironico.

Improvvisamente sentì due voci familiari combinarsi in una risata, provenienti dalla seconda porta in fondo al corridoio.

-La stanza di Raph?- pensò, inclinando il capo con fare dubbioso.

Si avvicinò con passo felpato per poggiare delicatamente un orecchio e una mano sulla superficie logora dalle troppe sbattute per rabbia o i pugni di una furia incontenibile. Socchiuse gli occhi, cercando di focalizzarsi sul discorso.

Dentro la stanza del secondogenito c'erano sia lui sia Mikey, seduto sull'amaca con una coperta addosso e un orsacchiotto tra le braccia magre e pallide.

"Qualcuno ci ascolta..."- sussurrò d'un tratto l'Otouto, indicando la porta con un cenno del capo.

Raph, che si era accomodato su una vecchia cassetta di legno usata dai fruttivendoli della superficie, lo fissò dubbioso ma si voltò ugualmente verso la porta, tenendo le mani salde sulle cosce divaricate.

"Ma davvero..?"- commentò con un risolino sinistro, tornando poi a guardare Mikey che fece spallucce. "Ok, allora. Perché non fare accomodare il nostro ospite?".

Raphael si alzò con nonchalance per raggiungere la maniglia; gettò prima un'occhiata maliziosa al suo Otouto che cominciava a ridacchiare, poi con uno scatto seccò aprì la porta.
Il grido spaventato di Leo precedette una buffa caduta sul pavimento ma in compenso la risata cristallina di Mikey fu meglio di qualsiasi rimprovero.

Se fossero stati i mesi precedenti, sicuramente Leo si sarebbe teso abbastanza da evitare di essere sorpreso da quel trucco così infantile ma così negatività si erano susseguite che i sensi ninja da sempre allenati si erano offuscati.

"Il nostro ospite ci bacia i piedi?"- commentò Raphael, cercando di contenere la sua risata. Portò un piede vicino al suo viso mentre sogghignava con fare quasi antipatico e si sistemava a braccia conserte.

"Nei tuoi sogni, forse"- sbuffò giocosamente l'altro, mentre si rialzava e si riaggiustava la ginocchiera sinistra. "Beh? Che mi sono perso?".

"Non lo sai che è sbagliato origliare?"- riprese il focoso, richiudendo la porta.

"Quest'oggi faremo un'eccezione, allora"- replicò Leo, con le mani sulla cintura.

Michelangelo se ne stava in silenzio, dondolando piano le gambe intorpidite, a godersi l'affetto che univa Leonardo e Raphael, ancora impegnati a scambiarsi qualche battuta. Per nulla al mondo li avrebbe lasciati ma il corpo dove viveva la sua anima era ormai troppo debole per continuare a permettergli di restare in quel mondo.
Tutto il suo mondo.

Una lacrima si fece strada lungo la sua guancia, nonostante avesse stretto duramente le palpebre violacee per frenare il frizzante formicolio che da naso si era diramato ai condotti lacrimali. Odiava piangere, specie se rovinava un momento epico.

Sentì un calore sulla sua spalla e sulla mano. Leo era alla sua sinistra e lo guardava con un leggero sorriso che sapeva di disperazione; Raph, invece, gli trasmetteva la sua forza in quella stretta alla mano destra.

"Stavamo parlando dei bei tempi"- mormorò Mikey, tentando di controllare il tremolio nella voce. "Di quando eravamo bambini e ne combinavamo di tutti i colori...".

Leonardo lo abbracciò teneramente, chiudendo gli occhi. Non c'era proprio nessuna speranza per quel bambino? Dov'erano gli Avi che Splinter spesso nominava e li descriveva come entità in grado di fare miracoli?
Non avevano pregato abbastanza?

"LEO!".

L'azzurro riaprì improvvisamente gli occhi, guardando Raphael che stava esclamando qualcosa. Subito non comprese; sembrava che suo fratello avesse perso la voce, poi bastò un semplice sguardo all'espressione di dolore sul viso di Mikey a investirlo come acqua gelida.

"MIKEY!"- si affrettò ad aggiungere, senza lasciargli le spalle.

Il minore si era rannicchiato appena per soffocare dei colpi di tosse intensi, tremando. I due fratelli rimasero per un attimo a contemplare la malattia come si era impadronita del corpo di Michelangelo. La magrezza che aveva costruito in svariate settimane era tale da leggere le costole attraverso i piastroni più ruvidi del solito e le vene bluastre s’intrecciavano nitide sugli arti, serpeggiando intorno al minuscolo collo dove s'intravedeva il suddetto pomo di Adamo salire e scendere per fame d'aria.

Mikey s’incurvò maggiormente in avanti e un fiume scarlatto piombò sul pavimento, schizzando appena i piedi dei fratelli maggiori completamente gelati. La tosse, lentamente, si fece meno persistente ma il sangue ancora fuoriusciva, ora anche dal naso.

"MICHELANGELO!".

I due ninja tremarono, guardando senza comprendere effettivamente quel nome gridato con tanta disperazione, due figure entrare rapide nella stanza.

Donatello fu davanti all'Otouto per prenderlo tra le braccia e portarlo di corsa in laboratorio... lo stesso che era diventato un minuscolo ospedale per le emergenze.

"Stavamo davvero parlando dei bei tempi..."- mormorò piano Raphael, fissando il vuoto. "Io non so cosa fare... non più...".

"E' difficile, Raphael. Non ci sono parole che stavolta possono offrirci un conforto morale. La loro interpretazione potrebbe farci ancora più male"- parlò piano Splinter, tirandolo al petto con gentilezza.

Il secondogenito preferì schiacciare la testa nella morbida pelliccia castana, agganciando una mano alla cintura paterna e liberare il suo dolore con un pianto silenzioso. Aveva bisogno di suo padre in quel momento, non era abbastanza forte da salvare anche se stesso.

Splinter guardò Leonardo che continuava a fissare la chiazza ferrosa sul pavimento con aria assente.

"Vieni, Leonardo"- invitò, tendendogli un braccio.

Il leader gli volse occhi lucenti e grandi, quasi da bambino spaurito. Splinter ne rimase ammaliato perché erano ormai anni che non aveva visto quell'espressione bisognosa da cucciolo.
Nel premere il viso, come Raph, sul kimono sentì una costrizione al petto che non poté controllare e per la prima volta, incurante della stoica corazza che aveva costruito in anni di leadership, cominciò a piangere rumorosamente, incapace di fermarsi.

"Papà! Non voglio che Mikey muoia! Ci dev'essere qualcosa che possiamo fare! Siamo mutanti! Sopravviviamo a tutto! Perché non a questo?! Perché non potevo essere io al suo posto? Mikey è il nostro fratellino, merita di vivere!"- urlò con voce camuffata dalla veste di cotone.

Raphael, a quello sfogo, si staccò di quel poco dal calore di Splinter per fissare sconcertato il lato più fanciullo del fratello che da sempre gli era parso un adulto intrappolato nel corpo di un ragazzino.

"Leo..."- riuscì a espirare.

Splinter cominciò ad accarezzare le loro corazze affettuosamente, voltando appena la testa verso la porta della stanza di Raph, come avesse voluto vedere gli altri due figli.

Quando aveva sentito le grida spaventate di Raphael, Don si era alzato dal suo sgabello con una tale foga da trascinarsi alcune provette sul pavimento in un suono secco. Inizialmente non si era subito mosso, come in attesa ma qualcosa lo aveva spinto ad avventarsi sulla porta e a raggiungere la stanza del rosso.

Era bastato vedere il suo fratellino soffrire atrocemente a spegnere la sua razionalità e a portarlo in modo meccanico verso l'infermeria per battere il tempo stesso. E ora, dopo che lo aveva disteso sul lettino, controllato il suo battito accelerato e somministrato degli antidolorifici a base di morfina, cominciava a sentire un vuoto immenso crescere intorno.

Mikey respirava a fatica con gli occhi socchiusi dando l'illusione che di lì a poco se ne sarebbe davvero andato.

Don si guardò le mani rossastre del sangue di suo fratello, le chiuse a pugno, distogliendo lo sguardo addolorato. Si rese a malapena conto di essere seduto sul pavimento, appoggiato ai piedi della barella che sorreggeva il minuto materasso grigio. Non c'erano delle sedie?

"Mamma...".

Il genio, per la seconda volta, si drizzò in attesa ma non si mosse subito. Improvvisamente si sentì come osservato e un alito gelido gli serpeggiò sulla testa e sul collo.
Ebbe paura.

"Mamma... mamma..."- chiamò Mikey, protendendo una mano debolmente verso la sua sinistra, esattamente dov'era Donnie. "Sei qui per me? Andiamo?".

Il cuore di Donatello spremette di dolore e pulsò di rabbia, tanto che si alzò in piedi con fervore e premette al petto Mikey, ancora in uno stato confusionale.

"NO!"- urlò con rabbia. "Non puoi averlo! Mikey deve restare qui con noi, hai capito?! Non puoi portarcelo via!".

Il suo cuore prese a battere all'impazzata sotto i piastroni, risuonando nelle orecchie. Don continuava a guardare la stanza ma non vedeva nulla.

"Donnie, non essere così cattivo. Farai piangere la mamma..."- pronunciò Mikey, chiudendo gli occhi arrossati.

"Non m'importa, Mikey! Tu devi restare qui con noi, hai capito?!"- abbaiò Donnie, aiutandolo a distendersi con la testa sul cuscino. "Tutti noi stiamo lottando per te"- sussurrò con voce più morbida.

Gli aggiustò una coperta sul corpo e gli prese una mano, baciandone il dorso con affetto.

"Non portarcelo via, per favore..."- sussurrò, mentre le lacrime cadevano una dopo l'altra, silenziose e calde. "Se davvero sei la mamma, fai qualcosa per noi...".

Donatello si sedette a peso morto sulla poltrona nera che giaceva accanto alla barella dove Mikey riposava con respiri incostanti. Era ancora più stanco e non desiderava caffè, per una volta.
Schioccò due dita: le luci nella stanza si spensero. Gli bruciavano gli occhi, voleva solo un po' di buio e silenzio per riprendersi.

"Ivan... facci un miracolo..."- sussurrò, abbandonando la testa sullo schienale. "Mamma, avi, qualcuno...! Ascoltate la preghiera di un fratello disperato...".

Borbottò quelle parole fino a quando la sua coscienza spense tutto e vide il buio assoluto...
 


"Mamma... sono qui... Sono felice che tu sei venuta a prendermi! E quello è Klunk?".

Donatello aggrottò la fronte, schiudendo piano gli occhi stanchi. Si raddrizzò leggermente sulla poltrona, grattandosi la testa. Si era addormentato, allora?

"Klunk! Che bello!".

La sua stanchezza di accese nella fiamma del terrore. Don artigliò le mani sui braccioli, alzandosi piano per cercare di vedere attraverso il buio.

Notò Mikey seduto sulla barella a parlare con un punto indefinito, armeggiando con una mano come se stesse davvero accarezzando qualcosa.

Klunk era un micio vissuto con tutti loro per almeno quattro anni. Una polmonite lo aveva ucciso.

-Sono sei anni che Klunk non c'è più...- pensò Don, deglutendo. -Com'è possibile?!-.

Il genio si leccò le labbra, cercando alla cieca il suo T-phone: sentiva che di lì a poco sarebbe successo qualcosa. Senza quasi rifletterci, cercò la modalità fotocamera e selezionò la videocamera, cominciando a filmare.

"Non voglio più soffrire... quand'è che posso venire con voi?".

Il viola cercò di vincere la tristezza e la paura, rimanendo in perfetto silenzio. Era grato solo di aver installato un filtro speciale alla lente della fotocamera per filmare o fotografare anche attraverso le tenebre, come un visore notturno.

Notò Mikey appassire un po', cercando di scendere dal letto. Barcollò un po' ma riuscì a rimanere in piedi, nel tentativo di avvicinarsi al muro dove c'erano sicuramente delle presenze.

"Fa male, mamma..."- continuò, alzando una mano verso il vuoto. "Io ho paura, però...".

-Non sai io quanta...- pensò Donatello, avvicinandosi un po'.

"Va bene"- concluse tristemente Mikey, rimanendo fermo.

Trascorsero alcuni minuti: l'Otouto non si muoveva né parlava più, Don che non sapeva nemmeno come comportarsi. Una cosa fece, però... interruppe la registrazione, rinfoderando il cellulare nella cintura.

Schioccò due dita, socchiudendo gli occhi per abituarli alla luce che inondò la stanza poi si avvicinò cautamente a Mikey per guardarlo.

L'Otouto sembrava in catalessi e faticava a tenere gli occhi aperti.

"Vieni. Torniamo a letto"- invitò dolcemente Don, prendendogli una mano.

Sentì Mikey tentennare appena sotto il suo tocco e non si pronunciò nel ritrovarsi i suoi occhi su di lui.

"Dov'è Klunk?"- chiese con voce debole.

"Tornerà, tranquillo"- rispose semplicemente l'altro, aiutandolo a coricarsi. "Resterò io con te. Ti farò compagnia".

Mikey sorrise e sprofondò nel sonno.

Donnie sospirò pesantemente, scuotendo appena il capo. Che diavolo era successo? Era stato testimone di qualche cosa soprannaturale? Certamente sì.

-Il video!- esclamò nel pensiero, brandendo il cellulare. -Vediamo di analizzarlo-.

Collegò il cellulare al notebook, aprì un software e importò il video. Pensò di mettersi una cuffia per non dar fastidio al suo Otouto e di spegnere di nuovo le luci.

Per alcuni minuti non trovò nulla di strano, se non Mikey che si comportava in modo strano ma a un fotogramma, quasi verso la fine del video, notò qualcosa.

Donnie selezionò la traccia e la tagliò per analizzarla meglio a schermo intero. Decise di scorrere pigiando un tasto della tastiera per proseguire molto lentamente.

"Che cos'è...?"- sussurrò, fermandosi.

Una strana figura dalle sembianze di donna, fatta di una flebile luce bianca, con una piccola cosa accanto.

Don applicò un filtro per invertire i colori del filmato in negativo e rivedendo la sequenza rimase stupito. Mikey aveva parlato davvero con un'entità!

"Devo mostrarlo agli altri!"- esclamò a voce bassa, afferrando il portatile per correre dagli altri.
 


Leonardo e Raphael erano stati messi a dormire nel futon del maestro Splinter, dopo i loro pianti disperati. Non erano stati in forze per tornare normali, si erano lasciati consumare dal dolore.

-Bambini miei... vorrei davvero avere una speranza e tagliare di netto questo conto alla rovescia che ci sta distruggendo...- pensò il sensei, inginocchiato accanto al futon con una foto di Mikey bambino tra le mani.

Il suo fine udito catturò una serie di passi veloci che si muovevano, però, scoordinati, come se cercavano qualcosa.

"Entra, Donatello"- pronunciò nel momento in cui sentì una presenza dietro le shoji.

Una delle porte in carta di riso si aprì con uno scatto leggero: Don s'inchinò rispettosamente, poi aprì il computer e rimase in silenzio, in attesa.

"Hai scoperto qualcosa, figlio mio?".

"Sì, maestro. Ho bisogno di mostrarvelo!".

"Molto bene"- aggiunse l'altro, poggiando una mano sulle spalle dei suoi figlioli. "Svegliatevi, figli miei. C'è qualcosa di molto importante da conoscere".

Leonardo fu il primo a schiudere gli occhi e a mettersi seduto, strofinando il viso stanco. Si guardò intorno con aria confusa poi riconobbe Don e un senso di panico lo assalì.

"Mikey riposa. Sta un po' meglio"- aggiunse il viola, troncando sul nascere un terribile malinteso.

"Che succede?"- mormorò Raph, con voce impastata.

"E' successa una cosa strana nel mio laboratorio e la cosa buona è che ho filmato tutto"- introdusse Don, narrando la storia e scorrendo il filmato.

Quando si fermò sulla strana presenza nel video anche la sua famiglia rimase attonita.

"Che cosa diavolo è quella cosa?"- gemette Raphael.

"Suppongo che sia la mamma che menziona Mikey"- rispose Don. "O, in questo caso...".

"Tang Shen!".

All'esclamazione del maestro Splinter, i tre ninja lo guardarono; Don annuì mentre Leo e Raph si scambiarono uno sguardo incredulo.

"Che sia venuta per portarci via Mikey?"- chiese Leonardo, deglutendo.

"O per darci una speranza?"- provò Raphael, con lo sguardo basso.

Splinter si alzò, ponderando una risposta. Se davvero sua moglie era tornata dall'aldilà, c'erano speranze o era solo l'ora?



Angolo dell'Autrice

Buone fatte feste, tartamondo! Non ho più aggiornato questa storia non perché avevo perso l'ispirazione bensì perché non volevo e volevo far morire Mikey, essendo una di quelle fic che narrano per filo e per segno la malattia. Ho letto alcune incredibili testimonianze di persone che davvero sono guarite ma ancora navigo nel dubbio di come proseguire. Fintanto ho postato, finalmente! E spero di continuare a farlo, avendo tempo. 
Un bacio e un abbraccio coccoloso!

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Capitolo 14
*** Pochi Istanti ***


Angolo dell'Autrice

Questa storia è rimasta ferma per tantissimo tempo perché ero indecisa su come concluderla. Alla fine, ho deciso. Scrivere questo capitolo è stato uno sfogo al dolore provato per l'improvvisa scomparsa di un uomo a me molto caro, un perfetto sconosciuto che ha saputo scavarsi un posticino nel mio cuore apparendo come il nonno che non ho mai avuto. Per questo, dopo il seguente capitolo scorrerà l'epilogo. La maggior parte di cosa prova Mikey è legato a un racconto del calvario di una mia zia scomparsa anni fa. 
Detto questo, buona lettura.




"E' successa una cosa strana nel mio laboratorio e la cosa buona è che ho filmato tutto"- introdusse Don, narrando la storia e scorrendo il filmato.

Quando si fermò sulla strana presenza nel video anche la sua famiglia rimase attonita.

"Che cosa diavolo è quella cosa?"- gemette Raphael.

"Suppongo che sia la mamma che menziona Mikey"- rispose Don. "O, in questo caso...".

"Tang Shen!".

All'esclamazione del maestro Splinter, i tre ninja lo guardarono; Don annuì mentre Leo e Raph si scambiarono uno sguardo incredulo.

"Che sia venuta per portarci via Mikey?"- chiese Leonardo, deglutendo.

"O per darci una speranza?"- provò Raphael, con lo sguardo basso.

Splinter si alzò, ponderando una risposta. Se davvero sua moglie era tornata dall'aldilà, c'erano speranze o era solo l'ora?
 


Quel fenomeno paranormale, alla fine, non si era più verificato e con esso erano andati a vuoto i tentativi di Donnie di catturare qualcosa di strano intorno a Mikey.

In circa quattordici giorni, niente era riuscito a scombussolare ulteriormente la vita della famiglia Hamato, tranne qualche frequente peggioramento delle condizioni del giovane malato. Per l'appunto, Michelangelo aveva cominciato a vomitare sangue con maggior frequenza e spesso si era addormentato per periodi così lunghi che gli altri avevano seriamente rischiato l'infarto nell'incarnazione della loro peggior paura.

Eppure, malgrado questo, c'erano dei momenti in cui il piccolo Hamato era se stesso e sebbene a letto la maggior parte del tempo, si dedicava a ciò che più lo faceva stare bene: disegnare sul suo amato blocco da disegno che Raph gli aveva regalato assieme a un set di matite nuove.

Per ogni linea tracciata, riviveva silenziosamente un suo momento e a volte, nel sentirsi pizzicare il naso e vedere la vista annebbiata di calde lacrime, si fermava anche per non permettere a quelle gocce salate di rovinare la sua arte.

Ci teneva molto e stava lavorando su un piccolo progetto che avrebbe lasciato un'impronta dopo il suo trapasso.

Fu in un momento di quiete come quello che un colpetto alla sua porta lo fece destare dalla trance artistica. Era suo fratello Leonardo.

"Ehi, fratello!"- salutò quest'ultimo, avvicinandoglisi con passo fiero e deciso. "Cosa fa qui da solo il mio fratellino preferito?".

Mikey sorrise appena ma negò, richiudendo il suo album e poggiandoselo sulle gambe sotto il piumone aranciato. Inoltre, sapeva benissimo che quell'introduzione vagamente allegra del suo Aniki celava ben altro.

"Che succede, Leo?"- domandò con un ghignetto pressoché adorabile.

Leo si sgonfiò e imbarazzato per essere stato smascherato senza alcun problema cominciò a massaggiarsi il collo per poi espirare gravemente e tornare incredibilmente serio. Mikey si stupì quasi quel cambio radicale, addirittura negli stessi pigmenti cobalto di quelle iridi che si erano ingrandite per una singola emozione.

Il dolore.

"Che tu voglia o no oggi hai una visita con Ivan ed è molto importante. Fino ad ora ne hai saltate sette e tutti noi vogliamo solo conoscere l'esito della tua salute. Per cui, per favore Otouto, non rifiutare!"- rivelò Leonardo, marcando l'ultima frase con una voce leggermente più alta e un inchino quasi per implorare.

Lo stesso Mikey si ritrovò ad incupirsi ma anche se avrebbe voluto negare con tutto il cuore quell'immagine del suo Aniki prostratogli dinanzi lo fece demordere e accettare. Mise il suo album sotto al cuscino e prese lentamente ad alzarsi dal letto.

"Va bene"- disse semplicemente.

Leo sobbalzò, colto alla sprovvista da quel timbro chiaro e rassegnato. Gli venne perfino da sorridere ma si concentrò al massimo pur di non lasciar trasparire quello scoppio di gioia. Preferì aiutare suo fratello alla fine.

Mikey si era talmente indebolito negli ultimi tempi che anche un solo passo gli avrebbe provocato affanno e dolore. Della muscolatura perfetta avuta in svariati anni non c'erano che degli arti piccoli e scarni, ricoperti da una pelle carica di venature bluastre e pallida.

Dov'era quell'Otouto sempre pieno di energia, pronto sempre a combinare guai?

A un leggero guaito il suo istinto lo allarmò e guidò il suo corpo per prendere tra le braccia Mikey e anche la solita coperta ripiegata sul suo letto per coprirlo.

"Grazie"- fece il minore, appoggiando la testa sulla spalla del maggiore. "Oggi non riesco proprio a muovermi".

"Non devi neppure dirlo. Sai che ci saremo sempre per te. Non dimenticarlo mai".

A quelle parole, un'ondata di lacrime sottomise Michelangelo, in un fiume di lacrime che raccontavano la sua paura di tutto ormai e di lasciare un padre e tre fratelli che erano il suo mondo. Leo si ritrovò a imitarlo silenziosamente mentre entrambi lasciavano la stanza e si portavano verso il salotto.

"Prima o poi..."- sussurrò Leo, tentando di riappropriarsi di un tono di voce fermo. "... mi dirai cosa nascondi in quell'album".

Mikey ridacchiò tra le lacrime ma negò ancora. Era una piccola sorpresa.

"Lo scoprirai fra poco. Non manca molto"- rispose il minore, asciugandosi le lacrime.

"Non manca molto a che cosa?".

"Che cosa state confabulando voi due?".

Al suono di quelle due voci i due fratelli si fermarono, a un passo dal divano. Sghignazzarono un po', furbescamente complici prima di voltarsi verso Don e Raph.

"Beh?"- punzecchiò Donnie.

"Beh fanno le pecore, fratello"- ricordò Leonardo, ancora sorridendo.

Ai due non sfuggirono certamente i suoi occhi lucidi ma preferirono non dire nulla. Notarono allora l'ovattato strascico del kimono di Splinter che cominciava a uscire dalla sua camera, portando una borda marrone ciondolante dalla spalla.

Fece un lungo sorriso al suo figlio più giovane, riservandogli una docile carezza su una guancia scarna poi espirò, tirando fuori dalla sua cintura un piccolo cristallo rosato.

"E' ora di andare, figli miei"- disse e i ragazzi poterono semplicemente annuire, aspettando che quel cristallo brillasse di una luce azzurra e permettesse l'accesso al Nexus...
 


La sedia a rotelle. L'aveva usata almeno un mesetto fa, quando si era reso conto di essersi indebolito a tal punto che un singolo passo lo avrebbe fatto crollare in terra.

Aveva pianto, attesa l'oscurità e la solitudine perché non credeva affatto che la situazione si sarebbe mutata in quel modo e con essa tutta la sua vita, o quel che rimaneva ormai.

Michelangelo, ora non aveva voglia di rimuginare troppo su quanto gli desse fastidio stare su quell'aggeggio nero con cromature argentee che creava un suono rotatorio e meccanico.

A spingerla era Donatello e mentre lo faceva aveva lo sguardo fisso sull'ultima porta a sinistra di quel corridoio bianco, tempestato di porte di stanze occupate da malati e poster che ricordavano come prendersi cura della propria salute.

Mikey sospirò pesantemente, con un broncio, mentre si appoggiava con la testa sullo schienale nero e univa le dita, muovendo appena gli avambracci poggiati sui braccioli imbottiti. Ancora una volta spingeva la famiglia verso un baratro depressivo; sentiva di essere peggiorato, anche se, stranamente, il suo corpo era arrivato a una fase di stallo e oltre ai soliti dolorini non era accaduto nulla di allarmante.

-Chissà se potrei mai guarire...- si ritrovò a pensare, guardando i suoi piedi che sbucavano sotto una coperta marroncina e aranciata.

"Eccoci qui"- pronunciò Donnie, destandolo dal suo pensiero.

Mikey chiuse gli occhi, stringendo le dita unite... come poteva pensare di guarire? Voleva solo che tutto si concludesse e basta.

Non fece certamente concretizzare questa riflessione a parole e si abbandonò alla spinta che Don fece per farlo accomodare nello studio di Ivan.

Il dottore s’illuminò visibilmente quando lo vide, anzi, si alzò addirittura per stringergli una mano ossuta. Gli fece una piccola stretta sulla spalla e gli osservò gli occhi lucidi per qualche secondo. Mikey sorrise di riflesso, invece.

"E' un piacere avervi qui"- disse, tornando alla sua scrivania cosparsa di carte. "Devo dire che sono anche sorpreso che Michelangelo abbia voluto essere un buon paziente, stavolta".

"Ha perfino sorpreso me, devo dire"- fece eco Leonardo, con un ghigno.

Mikey scosse la testa ridacchiando mentre si godeva qualche altro scambio di battute dei suoi fratelli che lo punzecchiavano.

"Secondo le ultime analisi che risalgono a circa due mesi fa, il cancro era avanzato a un ritmo allarmante ma sono fiducioso e mi aspetto che sia almeno arrivato a una fase di stallo. In tal caso potremo bombardarlo fino a distruggerne una buona parte"- spiegò Ivan, esaminando la cartella clinica di Mikey con eccessivo entusiasmo.

"Dice davvero? Quindi c'è possibilità che Mikey possa guarire?"- esclamò Raphael incredulo.

Ivan annuì prima indicare di accomodarsi in altre stanze per un check-up completo al piccolo paziente.

-Quante bugie... Ivan è un pessimo bugiardo...- pensò Mikey, con occhi socchiusi.

Quasi non si rendeva conto che la sua famiglia si stava mobilitando sotto gli ordini del loro amico dottore e per lui sembrava solo una foschia a rallentatore. Si destò solo quando si ritrovò ad essere sollevato da Raph e posto sul lettino delle radiografie.

"Sii fiducioso, Mikey! Siamo tutti con te!"- gli disse, pizzicandogli leggermente una guancia.

"Certo, non dubitarne..."- rispose l'altro con finta allegria.

Raph lo fissò ancora per qualche secondo mentre gli prendeva una mano e la stringeva affettuosamente. Infine lo lasciò, a malincuore.



E di nuovo sentì il ronzio tipico dell'accensione dei macchinari per bombardare il suo corpo con le radiazioni. Mikey sbuffò un po', contrariato a quello spreco di tempo; inoltre, era fermamente convinto che Ivan gli avesse mentito.

Come poteva essere in possesso di una presunta cura per la sua condizione grave?

Si mise a guardare il dottore attraverso la vetrata alla sua destra e comprese che, in realtà, quel simpatico dottore si stava illudendo e che ora, mentre la macchina sotto al suo comando cominciava a stilare alcuni risultati il suo ottimismo cominciava a svanire.

-Io lo avevo detto- pensò Mikey, chiudendo gli occhi.

"Abbiamo finito, Mikey. Riesci a metterti in piedi da solo e a venire qui?"- gli disse Ivan.

"Chissà"- rispose il minore, alzandosi lentamente.

Gemette al dolore che esplose nel suo corpo a quel singolo movimento di farsi leva sulle braccia per mettersi seduto. Era un ninja, poteva combattere! E così fece: quando scese da lettino si focalizzò sulla porta e trascinò i suoi passi lentamente.

Sudò sette gusci solo per quella manciata di metri e quando aprì la porta inciampò nei suoi stessi piedi e rovinò in terra, sotto gli sguardi attoniti della sua famiglia poco più avanti. Leo e Raph lo issarono immediatamente in piedi, chiedendogli come si sentisse o se stesse bene.

"Ragazzi, sono inciampato! Non fatene una tragedia! Non mi sono fatto niente!"- ammonì, anche se il pulsare al ginocchio destro e allo sterno gridava il contrario.

"D'accordo, tu torni sulla sedia"- tagliò corto Raph, facendo segno a Don di portarla al minore e appena fu seduto quest'ultimo espirò sollevato.

A volte quella cosa non era tanto male.

"Dottore, allora, quando possiamo conoscere i risultati?"- chiese bonario Leonardo.

"Anche subito. Potete accomodarvi nel mio studio, torno fra qualche secondo"- rispose Ivan, agitando una mano.

-Smettila di mentire- pensò Mikey, guardandolo attentamente.

Come gli Hamato ritornarono nella precedente stanza, Mikey solo si accorse che Ivan si era fermato fuori al corridoio e si martoriava i capelli nelle dita. Quelle veneziane calate non gli impedivano di leggere il dolore in quei movimenti disperati.

"Sono così ansioso di sapere!"- esclamò Don, prendendo una mano di Mikey.

"Puoi ben dirlo! Qui la tecnologia fa passi da gigante in poche settimane e confido in un miracolo!"- aggiunse Leonardo, sorridente.

A Mikey venne quasi da ridere; fra poco quelle speranze sarebbero state schiacciate e allora il vuoto avrebbe artigliato lo stesso cuore, raffreddando ogni cosa come il più gelido ghiaccio.

Pochi istanti dopo, anche se con i capelli leggermente scompigliati, rientrò Ivan con alcune lastre in una cartellina gialla. Prese posto, si schiarì la voce e fissò tutti.

"Forza, dottore! Non ci tenga sulle spine!"- incitò Donnie.

-Tre, due, uno...- pensò Mikey, apatico.

"E' molto grave, anzi, è fuori controllo"- rivelò Ivan, mostrando ben tre lastre agli Hamato.

C'erano, in tutti quei fogli neri, grosse masse grigio-bianche dai polmoni all'intestino, al midollo. Gli organi erano completamente invasi da più metastasi.

Donnie si nascose la bocca dietro le mani, tirandosi indietro da quelle radiografie come fosse stato scottato. Negava, incredulo ed afflitto, svuotato completamente dalla speranza di poco prima.

-Visto? Lo sapevo!- pensò Mikey, mentre la vista si annebbiava di lacrime. -Perché allora fa male? Ero a conoscenza che con questa visita si sarebbe tutto trasformato in un pasticcio di dolore! E allora perché per un secondo ho davvero sperato?-.

La mano di Leo gli strinse una spalla: ora era al centro dell'attenzione di tutti. Si erano accorti del suo pianto silenzioso. Mikey si sentì perfino morire d’imbarazzo... odiava piangere davanti a tutti in quel modo, era come essere vulnerabili.

"Preleviamo almeno un campione di sangue per ultimi controlli"- propose Ivan, munendosi dell'occorrente giusto dal suo armadietto.

Mikey allungò un braccio, se lo lasciò disinfettare e quando l'ago penetrò la sua pelle non batté ciglio al colore rosato di quello che appariva acqua colorata e non sangue. Ivan imprecò a denti stretti sottovoce, Don si morse le labbra, Splinter deglutì.
Il tumore aveva distrutto quasi tutti i globuli rossi e le piastrine.

La tartaruga malata appoggiò una mano fredda su quella umana di Ivan, attirando la sua attenzione.

"Grazie per tutto quello che ha fatto per me. Penso che sia finita. Non ci sia più nulla da fare"- mormorò Michelangelo, con un piccolo sorriso.

Ivan non aveva mai pianto davanti a un suo paziente e Mikey c'era riuscito... a fare breccia nel suo cuore. Sorrise a sua volta, togliendo la siringa per applicare un cerotto sul braccio. Si sporse per abbracciarlo delicatamente.

"Sei stato un campione fino alla fine. Hai fatto commuovere perfino me"- disse, mentre gli occhi gli si riempivano di lacrime calde. "Sono orgoglioso di te, Otouto".

Michelangelo si ritrovò a sua volta sorpreso: Ivan lo aveva chiamato fratellino e non avrebbe potuto esserne che onorato.

"Vuoi andare a casa o stare qui?"- chiese l'umano, cercando di ricomporsi.

"Preferisco casa mia. E' quello il luogo dove voglio stare per gli ultimi attimi di vita"- rispose Mikey, felice.

"Molto bene, Campione. Hai combattuto fino alla fine. Sei veramente un eroe"- commentò l'altro, firmando alcune scartoffie...

 

Ivan non aveva detto quanto tempo avesse da vivere Michelangelo ma tutto sommato a nessuno degli Hamato avrebbe fatto piacere saperlo.

Quand'erano rincasati, si erano riuniti in salotto ed erano rimasti in silenzio per molto tempo, incapaci anche di aprire bocca.

Tutte le loro speranze erano crollate miseramente con una semplice visita e solo ora comprendevano perché Mikey era contrario.

Aveva sempre reagito così per proteggerli.

Leo si ritrovò a stringere i pugni sulle cosce, colpito dalla realizzazione di quando il suo piccolo Otouto fosse stato un vero eroe e aveva realmente combattuto fino alla fine. Ora, però, era tutto finito.

Quel magone era talmente pesante da digerire che gli faceva male tutto l'esofago. Anche lo stesso Raphael, che si rifiutava di distogliere lo sguardo da Mikey seduto sulla sedia a rotelle fra la tv e il divano, era devastato da una miriade di ricordi.

Possibile che non poteva risvegliarsi da quell'incubo?

Donnie stringeva la sua stessa testa fra le mani. Ora odiava il suo cervello affamato da sempre di conoscenza. Tutto il suo genio non era servito a un bel niente e beffardo gli faceva rivivere il calvario del suo innocente fratellino.

Tang Shen aveva presagito la fine e Splinter si era illuso del contrario perché confidava che sua moglie era stata una messaggera di speranza. Invece no, il suo bambino sarebbe partito per sempre e il suo cuore già cominciava a incrinarsi dolorosamente.

"Leo, puoi portarmi in camera mia, per favore?".

Il maggiore lo guardò come se gli fosse appena cresciuta un'altra testa ma obbedì e lo prese in braccio, lasciando il salotto che era diventata la blanda forma di un obitorio.

"Grazie"- sorrise l'Otouto, quando l'altro lo appoggiò nel letto e gli rimboccò le coperte. "Ho quasi finito il mio progetto. Sii paziente ancora un po'".

Leo annuì distrattamente, poi non ce la fece più e cominciò a piangere rumorosamente, artigliato al letto del fratellino, incapace di essere forte. E come poteva ormai?

"Avevo sperato che saresti guarito, ci avevo creduto con tutto il mio cuore! E invece il destino, quel maledetto bastardo, ci ha sconfitti!"- urlò fra le coperte. "Vorrei essere io al tuo posto! Tutti abbiamo bisogno di te, non possiamo accettarlo!".

Mikey intanto aveva preso l'album sotto al cuscino e iniziava a disegnare, ascoltando quell'esplosione di collera senza dire nulla.

Gli faceva così male ma tutto quello che aveva da dire era inutile.

"Ti voglio bene, Leo. Lo sai"- disse. "Per favore, non piangere. Non essere triste".

"E come posso non esserlo? Non sarò mai pronto a dire addio al mio fratellino!"- gridò Leonardo, abbracciandolo in un impeto di foga.

"Io sarò sempre con voi e questo in parte mi rassicura"- ammise Mikey. "Avrei voluto fare tante cose ma forse, quando rinascerò in un'altra vita potrò farle".

Leo lo strinse maggiormente a sé.

Era tutto finito. Non c'era più voglia di lottare. E tutta la sua anima era pronta a morire con Mikey...
 

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Capitolo 15
*** Epilogo ***


Angolo dell'Autrice

Ho finalmente finito questa storia e come nel capitolo precedente, anche qui ho pianto nel ricordare chi ho perso senza neanche potergli dire addio. E fa male. Avevo dimenticato questo dolore, credevo che sarei stata forte ma nulla potrebbe mai prepararmi. E allora, permettetemi tutto il mio sfogo in questo capitolo. Anche stavolta è un riferimento a un racconto di mia zia, reale, combinato con un po' di fluff fraterna.
Grazie, miei lettori. Per ogni commento lasciato, per ogni tempo che vi siete dedicati per leggere le mie avventure. Concludo qui questa storia ma mai abbandonando il tmnt fandom. 





"Dai, Mikey...! Queste le abbiamo prese per te! Sono quelle cioccolate con la nocciola che tanto volevi!".

"Per favore, almeno una! Prova a mangiarla!".

Questa era l'ennesima richiesta esaudita di Michelangelo che non soddisfaceva le aspettative dei suoi tre fratelli. Del resto, ora che la sua vita si apprestava a concludersi drasticamente, non potevano arrabbiarsi o fare scenate come un tempo.

"Raph, Leo... vorrei mangiare ma il mio stomaco proprio non ce la fa..."- ammise il piccolo Michelangelo, tossendo un po'.

Era a letto, come da ben cinque giorni e tutto si era mutato in una tranquillità gelida che avrebbe inquietato chiunque avrebbe messo piede nella tana. Per gli Hamato era solo un countdown inesorabilmente più vicino e il peso di quell'aria ammantata di troppo dolore era diventato un peso comune sulle loro spalle.

"Mi dispiace fare richieste così assurde..."- espirò il minore, guardando Donatello seduto sul suo letto e Splinter ai piedi con un broncio teneramente infantile.

Ogni giorno, da quando avevano compreso che non ci sarebbe stato più nulla da fare, si erano decisi a radunarsi nella cameretta di Mikey per non lasciarlo più solo, fino alla fine. Ogni sera si sarebbero muniti di futon per accompagnarlo nel mondo dei sogni, con la paura che non si sarebbe mai più svegliato.

"Ma va!"- rimbeccò dolcemente Don, dondolando una gamba accavallata sull'altra. "Non dovresti affatto preoccupartene. Sai che faremmo qualunque cosa per te".

Il minore annuì, poi voltò lo sguardo un po' spento ai due fratelli alla sua destra, in piedi con il viso talmente calmo da rasentare la finzione pura. Chi avrebbe potuto biasimarli, del resto?

"Ho quasi finito il mio progetto, comunque"- mormorò Mikey, vago.

"Dovrai assolutamente dirci di cosa si tratta, Otouto. La stai facendo piuttosto lunga"- schernì Raphael, appoggiandogli la mano sulla testa. "Hai capito o no che siamo curiosi?".

"Raph ha ragione. Perché non ci dai almeno un indizio?"- continuò Leo, ridacchiando.

Mikey ci pensò su, tamburellandosi il mento e nel farlo non poté fare a meno di notare che le sue falangi ossute e il suo polso scheletrico non erano passati inosservati. Don prese l'iniziativa di sistemargli un po' meglio i cuscini dietro il guscio e avvolgergli il torace con la coperta.

"D'accordo. Ho un indovinello"- commentò Mikey, ringraziando il genio con il pollice alzato.

"Ahhh! Ma così non vale!"- sbuffò Raph. "Lo sai benissimo che daresti un vantaggio a Don!".

"Ehi! Non è colpa mia se sono un genio!"- si difese giocosamente il viola.

Mikey sventolò una mano con nonchalance, poi inspirò e chiuse gli occhi, creando una suspense degna di qualsiasi film avvincente. Per un attimo gli balenarono dei flash bianchi che non riuscì a decifrarne il significato, poi comprese senza neanche chiedersi quale custode gli avesse fornito la risposta.

Tutta la sua vita. In un attimo.

Dalla prima volta passata sulla neve di un tetto in braccio a suo padre mentre i fratelli creavano un cerchio giocoso intorno a loro.

La prima volta che aveva preparato da solo un dolce e aveva finito per spiaccicarlo involontariamente in faccia a Raph, scatenando una guerra di cibo.

La prima volta che aveva sconfitto Leo in un combattimento a corpo libero sfruttando la tecnica del Drago Invisibile, utilizzando il manichino di paglia come trampolino per saltare all'indietro.

La prima volta che aveva aiutato Don a creare uno skate volante ed erano sfrecciati insieme nelle fogne in una corsa da capogiro.

La prima volta che aveva capito che questa volta, tornando nel mondo dell'Ospedale, non sarebbe mai più tornato a vivere.

Era il suo momento, ormai e finalmente il suo dolore era pronto a svanire.

Si sentì mancare le forze, le sue mani caddero mollemente sulla coperta e si afflosciò sui cuscini, con il cuore che batteva più lentamente.

Splinter fu il primo a comprendere: alzò una mano per evitare ai suoi figli di gridare il dolore nuovo e famelico, preferendo avvicinarsi per piantare un bacio sulla fronte del suo bambino eterno.

Donnie distolse lo sguardo un paio di volte per non soccombere alle lacrime. Raph deglutì più volte, Leo sospirò e si fece coraggio, perché essere leader era soprattutto affrontare e mai cedere, in qualunque situazione.

"Mikey, allora, il tuo indovinello?"- chiese, tentando di celare il tremolio della sua voce.

Il più giovane dischiuse gli occhi rivolti al soffitto, quasi vuoti e sorrise un po'. Se ne stava quasi dimenticando.

"Nel vento dell'inverno, il tempo si congela nelle tue mani"- disse con molta fatica.

Donnie sbuffò una brutta copia di una risatina, mentre gli prendeva dolcemente una mano sempre più fredda.

"Questa volta mi hai proprio spiantato. Sono bravo con gli indovinelli, eppure questo è il più difficile che abbia mai sentito. Sai quanto mi ci vorrà per trovare la risposta?"- gli disse.

Michelangelo ebbe la forza di fargli la linguaccia, poi cercò Raph con lo sguardo socchiuso. Per un secondo, il secondogenito non seppe cosa fare, tutto era troppo da sopportare e non riusciva a comprendere perfettamente cosa davvero stava accadendo. Anzi, faticava proprio a tenere il passo con la realtà.

La mano di Leo sul suo guscio lo risvegliò come una secchiata d'acqua gelida. Raph sobbalzò, guardò confuso il maggiore che lo incitò con un sorriso triste.

"Sono qui"- mormorò, avvicinandoglisi piano.

Vide Mikey tentare di alzare la mano mancina verso la sua guancia e allora lo aiutò, supportandolo delicatamente. Lo vide finalmente e ne restò abbagliato come la più intensa delle luci. Sprofondare nell'oscurità e respirare magicamente.

L'unico rimpianto dell'Otouto era il suo tempo scaduto. Avrebbe dato qualunque cosa per rimanere con la sua famiglia ma no.

Nessuno avrebbe esaudito il suo desiderio.

"Sei ancora forte, Mikey. Anche se hai paura, sei il più forte di tutti noi. E non hai bisogno di mostrarmelo, so che ce la farai"- disse Raphael, premendo insieme le fronti. "Se davvero ti rincarnerai, allora ti verremo a cercare. Tu non dimenticarci, hai capito?".

Mikey sorrise, sempre più stanco. Raph, in un brivido di rabbia e pianto, afferrò la mano di Leo protendendo il suo braccio all'indietro e guardò Splinter e Don per chiedere un abbraccio di gruppo per il più piccolo.

Obbedirono. E cercarono duramente di non piangere.

Quando si staccarono videro la pace sul quel volto segnato dalla malattia che aveva osato impadronirsi del suo corpo e allora si sentirono appagati. Mikey era meno addolorato ma il suo rimpianto ancora c'era.

Seguì il silenzio fino a che il piccolo dischiuse le palpebre e puntò lo sguardo al muro davanti a sé. Non disse nulla, un po' perplesso ma si sciolse in un sorriso fanciullesco ed annuì piano. Era pronto ormai.

"Siete venuti a prendermi? Non posso proprio restare? Mamma, nonno, Klunk... va bene, allora...".

Tang Shen, il padre di Yoshi e il gattino erano tornati per scortarlo verso il paradiso.

Lo videro rattristarsi un attimo ma tornò ancora a sorridere e di nuovo annuì a chissà cosa. Espirò, muovendo una mano come avrebbe voluto afferrare qualcosa.

"Ora..."- pronuncio piano.

La sua famiglia era vicino a lui, non aveva niente da temere.

"Ora mi sento meglio"- disse.

Il suo viso si voltò lentamente verso Raph e Leo con un sorriso radioso sulle labbra. Il suo petto prese l'ultimo respiro, in un'ultima salita e la luce nei suoi occhi scomparve.

Alla mezzanotte di quel venticinque novembre un angelo era volato nel cielo.

"Mikey!"- chiamò Raphael, scuotendogli un braccio.

"Non serve a nulla. Ora è finalmente in pace"- gli disse Leonardo, con una mano sulla spalla.

Splinter accompagnò la sua mano sugli occhi del suo bambino per chiuderli con una preghiera in giapponese. Quelle parole avrebbero condotto il suo spirito verso la luce.

"Mikey..."- sussurrò Donnie, chiudendo gli occhi.

Sentirono un freddo scuotere le code delle maschere e compresero che il loro Otouto li aveva salutati un'ultima volta.
Il maestro abbracciò il suo tre figli e piansero, anche se il peso nel loro cuore sarebbe durato in eterno...
 


Era fredda quella sera del cinque dicembre e il vento giocava fra gli edifici più alti della Grande Mela, strappando poi le ultime foglie più resistenti che avevano deciso di rimanere ai rami degli alberi più spogli.

Si respirava aria di festa; dopotutto in una manciata di giorni sarebbe stato Natale, uno da non festeggiare. In lontananza si scorgevano già delle prime grandi decorazioni di alberi e insegne che ad intermittenza creavano parole natalizie.

Donatello aveva sempre amato la solitudine, il silenzio e il freddo perché si era sempre concentrato egregiamente ed era riuscito in più occasioni a stupire perfino se stesso in qualche creazione.

Ora, con quel vuoto immenso al centro del petto, non sarebbe riuscito a risolvere nemmeno la più elementare delle equazioni e la cosa più sorprendente era che non solo non gli importava ma gli veniva perfino da ridere.

Probabilmente il dolore lo stava portando sull'orlo della follia.

Sentì uno schizzo umido sulla guancia e si destò dalla sua trance di pensieri, portando le dita di una mano sulla pelle del viso.

Stava di nuovo piangendo senza rendersene conto.

Sospirò, alzandosi in piedi. Era infreddolito, aveva solo una sciarpa al collo e il suo respiro si mutava in nuvolette... e ancora una volta era uscito senza coprirsi.

Infilò la mano nella cintura ed estrasse una piccola foto di Mikey, che lo raffigurava insieme a lui in un abbraccio frenetico di gioia. Don si ritrovò a combattere le palpebre di nuovo pesanti di lacrime e a fronteggiare il magone nella gola che premeva per uscire in mille singhiozzi.

"Sarà il primo Natale senza di te"- disse, accarezzando la foto dolcemente. "Sai che sto ancora pensando al tuo indovinello? Certo che l'hai pensato proprio bene, mi compiaccio. Nel vento dell'inverno, il tempo si congela nelle tue mani. Che cosa avrai voluto dire?".

Era ora di tornare a casa, ormai il peso del freddo e la stanchezza per sopportare ogni giorno senza il suo unico fratellino si faceva sentire in modo opprimente. Don baciò la foto e la rimise nella cintura, saltando fra due gole oscure di alcuni palazzi per raggiungere un tombino...
 


La tana era buia, come la notte della superficie. C'era troppo silenzio e troppi ricordi. Don era fermo sulle tre gradinate che separavano la vecchia metropolitana dal salotto dove spiccavano divano, pouf e televisore.

Non sapeva cosa fare, se provare comunque a dormire in camera sua, buttarsi in qualche progetto per non sentire più nulla o restare chiuso in laboratorio.

"Dove sei stato?".

Sobbalzò un po' a quella voce sconfitta ed improvvisa, proveniente dalla stanza del maestro Splinter. Don subito intuì che non poteva trattarsi dell'ultimo perché dopo che Mikey era volato in cielo, si era deciso a condurre Mikey sul Nexus per una degna sepoltura e ancora doveva tornare.

Anche il sensei si era preso del tempo per se stesso.

"Sei tu, Leo"- disse, avvicinandoglisi piano. "Sono stato in superficie a pensare".

Lo spadaccino non lo stava guardando direttamente, anzi, era perso in qualche pensiero e date le circostanze nefaste, non era difficile immaginare in quale.

"La prossima volta avvisami prima"- disse, portandogli una mano prima sulla spalla poi sulla guancia per strofinare una lacrima randagia.

"D'accordo"- rispose Don, per nulla convinto. "Sai, stavo pensando all'indovinello".

Leo parve illuminarsi un po'.

"Sono giorni che provo e riprovo ma la soluzione non mi arriva"- ammise il viola, strofinandosi la nuca nella sconfitta.

"E tu, Raph? Hai pensato a qualcosa?".

Don subito sollevò lo sguardo nella direzione dove lo spadaccino si era rivolto con quella domanda. Nelle ombre della zona notte s'intravedevano gli occhi smeraldo di Raphael che sembrava un guscio vuoto, svuotato perfino dalla capacità di parlare.

Scosse il capo, avvicinandosi piano, con passi trascinati. Fra tutti, era lui che aveva preso la perdita di Mikey molto duramente.

Dopotutto, quel piccolo raggio di sole aveva sempre avuto un legame speciale con lui.

"Mikey è sempre stato in gamba a creare suspense"- ricordò Leo, facendo due passi avanti a Don, verso l'uscita della tana.

"Non mi stupisce che abbia sempre avuto un talento del genere che ha sviluppato nell'arte stessa".

"Già. Mikey ha sempre creato dei capolavori autentici!"- sorrise morbido Donnie.

D'un tratto, Raphael alzò lo sguardo ai due fratelli e lentamente prese un'idea nella sua mente, qualcosa richiamato dalla parola arte. Rimase immobile per qualche attimo, poi si batté una mano sulla fronte e corse a perdifiato fino alla cameretta del suo Otouto.

Quando arrivò dinanzi a quella porta bianca, con il cuore martellante nel petto, ebbe voglia di non varcare quel mondo perché si sarebbe illuso che facendolo avrebbe ritrovato Mikey felice e vivo.

Strinse le palpebre rabbiosamente, sbuffando tra i denti. In dieci giorni aveva sperato che il suo fratellino fosse comparso, colmando il vuoto lasciato nel team. E per dieci giorni aveva capito che la realtà non gli avrebbe mai restituito quel piccolo tesoro che tanto rimpiangeva.

Due mani poggiarono sulla sua, girando quella maniglia che aveva solo stretto nella rabbia. Don e Leo erano al suo fianco e lo incitavano silenziosamente a varcare quella soglia.

Appena lo fecero vennero accolti dall'oscurità. Fu Don ad accendere la luce e a rassegnarsi immediatamente a quel letto cambiato e ordinato, i fumetti messi in ordine e all'orsacchiotto preferito di Mikey seduto sul letto. Orsetto si sentiva solo senza il suo padroncino.

"Ho pensato che la soluzione potesse essere solo una quando avete parlato del talento di Mikey nel disegno"- ammise sconfitto il focoso, avvicinandosi al letto.

Anche Leonardo parve illuminarsi. "Sì, hai ragione! Mikey è stato ultimamente sempre con il tuo blocco in mano, quindi vuol dire che...".

"Nel vento dell'inverno, il tempo si congela nelle tue mani"- pronunciò Don, comprendendo. "Ho capito! Michelangelo ha voluto lasciare un'impronta per noi nel suo album! Dobbiamo trovarlo!".

Lo cercarono in ogni posto, dalla scrivania, alla piccola libreria fissa al muro, sotto al letto.

"Ricordo che l'aveva sotto al cuscino"- fece Leonardo.

"Sì, ma il letto lo abbiamo cambiato e non abbiamo trovato nulla"- sospirò Don.

"No, forse non abbiamo guardato bene"- mormorò Raphael, che intanto fissava il timone di una barca di legno incastonato sulla testiera del letto.

Spinto da una forza invisibile, Raphael afferrò il timone e lo tirò via facilmente, facendo cadere un album da disegno chiuso da un filo intrecciato. Era quello!

"Sapeva che il dolore era freddo e che non avrebbe passato quest'inverno, allora ha pensato di ricordarci che esisterà sempre disegnando su un qualcosa che potremmo sempre tenere fra le mani"- sorrise Leonardo.

Il progetto di Mikey era uno spettacolo, un regalo stupendo di Natale. In ogni pagina, Mikey aveva disegnato i suoi stati d'animo durante il calvario e aveva inserito anche disegni appartenuti ad altri album per idealizzare al meglio cosa aveva combattuto fino alla fine.

Un disegno raffigurante loro cinque insieme li fece riempire di lacrime. Era il disegno più bello che avessero mai visto e Mikey era riuscito a immortalare perfettamente la sua gioia nell'aver potuto essere al loro fianco per tanto tempo.

Vi amerò sempre e il miglior regalo di quest'anno è l'aver avuto una famiglia che si è presa cura di me fino alla fine. Con affetto, Mikey

"No, piccolo. Il nostro dono sei stato tu soltanto e noi siamo stati onorati di aver combattuto al tuo fianco fino alla fine"- pronunciarono Leonardo, Raphael e Donatello, inchinandosi appena dinanzi all'album che aveva portato l'essenza di Mikey.

Andare avanti avrebbe richiesto una forza incredibile, ora che avevano perso un fratello ma ci avrebbero provato. Mikey aveva sempre voluto vivere al massimo ogni singolo giorno della sua vita e loro avrebbero mantenuto sempre fede a quel desiderio.

Chissà, magari il destino era prossimo a compiere qualcosa di straordinario nelle loro vite, magari riportando Mikey nella loro vita e loro avrebbero sempre atteso, perché la vita era come un album bianco.

Ogni giorno avrebbero colorato un foglio per realizzare un film di carta chiamato vita.
 
 
The End

 

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