Unreal.

di skeletonflower
(/viewuser.php?uid=894381)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chapter zero. ( first prologue. ) ***
Capitolo 2: *** Chapter zero. ( second prologue. ) ***
Capitolo 3: *** Chapter One - The Demon Of London ***
Capitolo 4: *** Chapter Two ***



Capitolo 1
*** Chapter zero. ( first prologue. ) ***


| Piccola premessa, tanto per cambiare. Questa longfic è COMPLETAMENTE scritta a quattro mani. I personaggi citati, situazioni, luoghi e tutto il resto sono completamente frutto della mente ( malata ) delle due scrittrici. Inoltre, nella storia, è presente una relazione omosessuale con annessi rapporti e cose simili, quindi se vi da fastidio o comunque non siete interessati siete pregati di finire la lettura qui. 
Il prologo sarà diviso in due parti: la prima, quella qui presente, che introdurrà il primo protagonista.
la seconda, verrà pubblicata in seguito, ed ovviamente sarà scritta in modo diverso, un po' per evidenziare la differenza tra i due personaggi.
Infatti, se spesso vedrete dei cambiamenti nello stile di scrittura o comunque nello scorrimento generale, è perché SIAMO IN DUE, ci tengo a specificarlo. 
Prima di continuare con i capitoli, gradiremmo sapere cosa ne pensate, e se il prologo in generale piace. Quindi, se potete, lasciate una piccola e semplice recensione per farci sapere cosa ne pensate e cosa dovremmo sistemare, ci farebbe molto piacere. Teniamo tanto a questa storia,e consideriamo i due protagonisti e tutti gli altri personaggi un po' come i nostri 'figli.'

Perfetto, vi lascio alla lettura! Buon proseguimento!  :) 


______




Sytry, demone della lussuria. Famoso per la sua capacità di allentare qualsiasi freno inibitore e di annullare qualsiasi tabù sessuale e sociale, nella sua vibrazione sono engrammati ricordi e visioni, urla, risa, balli, lo schianto di vasellame distrutto, il riverbero della luce dei falò che si riflette su membra agitate, nude, sudate, avvinghiate.
Nessuno, prima, era riuscito a contrastare queste sue abilità ; tutti avevano ceduto, inermi, al piacere carnale che il demone scatenava in loro. Dalle anime facilmente corruttibili, a quelle più caste e radicali. E d'altro canto, lui, non aveva MAI ceduto alla purezza - occasionale, ovviamente - che l'umanità gli mostrava. 
Mai, prima di quel momento.
Viveva sulla terra ormai da millenni, a corrompere le anime, a sporcare tutto quello che la 'fede' tentava vanamente di lavare via, o comunque, di nascondere.
Ma certe cose.. certe cose non potevano essere sicuramente nascoste o addirittura cancellate da semplice fede. Era istinto, un incontrollabile istinto animale che tutti possiedono. C'è chi finge di non averlo, chi di averlo addirittura cancellato. Ma nessuno può rinnegare se stesso, per quanto forte la propria forza di volontà sia, e Sytry lo sapeva. O meglio, Ashley James Harvey lo sapeva bene.
Era così che si faceva chiamare, da circa due secoli a quella parte. E quando quell'identità diventava scomoda, faceva in modo che tutti dimenticassero, così da poter ricominciare, all'infinito.
Vantava qualsiasi tipo di rapporto con qualsiasi tipo di persona. Seduceva, intrappolava tra le proprie lussuriose membra, lasciava che si consumasse il rapporto migliore che quella vittima avrebbe mai potuto bramare, e spariva per sempre. Come il primo amore.
Sfuggente, intenso, ma per sempre impresso nell'anima e nella mente.
Un ragazzo piacente, dagli occhi azzurri saturi di sfaccettature, intensi e sensuali proprio come il resto del suo corpo. Pelle candida, statura imponente.
Il sogno erotico di qualsiasi essere vivente sulla terra. 

Londra vittoriana.

Era quello che Ashley bramava, e che finalmente aveva ottenuto. In tutti i modi, aveva spogliato quella città di qualsiasi velo essa avesse.
Ormai erano quindici anni che viveva lì, che frequentava qualsiasi tipo di ambiente vittoriano. 
In quel periodo, era la star del quartiere a luci rosse della città. Il più odiato dai politici ipocriti, ed il più amato dalle anime sole. In giro, si diceva anche che Ash si fosse addirittura avvicinato al fondoschiena del più vicino vicario della regina. Ovviamente, voci fondatissime.

L'omosessualità era vista come la peggior cosa esistente sulla terra dall'opinione pubblica, notevolmente ipocrita anch'essa.
Infatti, se fosse stato così, Ash non avrebbe MAI avuto quel successo. O almeno, non in quello specifico campo.
Amava scoprire quel lato proibito dell'umanità, quello che tutti odiavano perché la Chiesa lo credeva ignobile, ma che sotto sotto, faceva eccitare tutti al solo pensiero.
Ecco, Ashley era un po' come un oggetto, un tramite. Portava il fragile animo umano verso quello sporco obbiettivo che desiderava ma ripudiava allo stesso tempo. Era quello il suo compito, da circa tremila anni su quella terra.

Tutti lo avevano visto, ma nessuno lo aveva mai conosciuto.

Mai nessuno aveva solamente provato, o pensato, di vedere se anche quel demone avesse un'anima, dei desideri, addirittura dei sentimenti.
Nessuno, tranne lui. 
L'innocenza fatta persona. L'unica persona capace di dargli una speranza.
Una piccola speranza nascosta in un paio di occhi color zaffiro. 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Chapter zero. ( second prologue. ) ***


L'età vittoriana è un'epoca di luci ed ombre, misteri, segreti celati e nascosti da strati di trionfi, di stabilità, sicurezza. È il periodo della Regina Vittoria, il quale inizia a metà Ottocento e prosegue fino alla sua morte, nei primi anni del ventesimo secolo.

In quegli anni l'Inghilterra fiorisce grazie ad un periodo di stabilità, di espansione coloniale; il tutto, però, nasconde il degrado sociale dell'epoca: spopolano la povertà, il sovraffollamento, il lavoro minorile e la prostituzione, la droga. Il divario, la lacerazione tra le classi sociali è chiaramente percepibile.

---

Peter si era rinchiuso già da ore nella biblioteca del padre. Il suo corpo magro e sottile affondava nella poltrona su cui si era rifugiato, la sua preferita - quella più morbida delle altre e più vicina al camino, il quale era ovviamente acceso. Il fuoco scoppiettava allegro, illuminando con caldi bagliori il tappeto e parte della poltrona su cui Peter era seduto. Contrariarmente al fuoco, però, Peter non era felice. Soppesava il libro che stringeva tra le dita fingendo di leggerlo, oppure si sforzava di interessarsi all'inchiostro impresso sulle fragili pagine, fallendo miseramente.

In realtà, a Peter piaceva leggere. Passava intere giornate a studiare e amava affondare il viso in un libro, informandosi su qualsiasi parola gli sembrasse sconosciuta e scoprendo di giorno in giorno nuove curiosità riguardo le materie che preferiva. Quando finiva di divorare un libro ne cercava un altro tra gli scaffali della biblioteca, per poi tornare sulla sua poltrona. Talvolta le ore passavano tanto velocemente che nemmeno si rendeva conto di quanto si fosse fatto tardi. Ma non quel giorno.

Stump. La violenza con la quale Peter chiuse quel libro lasciò sorpreso pure lui. Continuava a gettare occhiate nervose al quadrante dell'orologio appeso alla parete, spiandone le lancette. Sperava potessero tornare indietro, sempre più velocemente. Non poteva innervosirsi, preoccuparsi così tanto per un evento come il ballo che ci sarebbe stato il giorno seguente. Non ne aveva nessuna ragione. O, almeno, nessuna scusante da utilizzare con qualcuno, nessun motivo che potesse solo sembrare credibile.

Si alzò dal morbido materiale su cui era adagiato fino ad un attimo prima, e avvicinandosi alla propria scrivania posò il libro che stava tentando di leggere sul legno scuro. La sua mente era, come al solito, un violento vortice di pensieri, idee, riflessioni. Qualsiasi cosa gli passasse davanti agli occhi diveniva oggetto di ragionamento. In quel momento, l'argomento principale, che continuava a vorticare senza sosta e a cui Peter stava dedicando particolari attenzioni da almeno due settimane, era il ballo. Nello specifico, come evitare il ballo. Il ragazzino aveva pensato a mille scusanti, e nessuna di queste poteva andare bene. Ripensò attentamente a quelle più probabili, tenendo il conto di quante fossero con le dita.

Prima scusa: Ho la febbre. Peter la scartò nuovamente, scuotendo il capo. Suo padre si sarebbe potuto preoccupare: anche una semplice febbre, o raffreddore, non era da prendere alla leggera. Avrebbe probabilmente chiamato un medico, e a quel punto si sarebbe ritrovato a confessare di aver mentito.

Seconda scusa: Non so tenere una danza. Un'evidente smorfia si presentò sulle labbra del giovane. Idiota, fu ciò che pensò subito dopo. Non poteva utilizzare una frase del genere per evitare di partecipare. Non poteva nemmeno dirla per scherzo. Uno dei problemi che gravavano sulle spalle di Peter era proprio quello, il non saper ballare. Peter non aveva mai partecipato ad un ballo, e nessuno gli aveva mai insegnato a danzare con una dama. Il secondo problema - probabilmente più grave, in base ai punti di vista - era la socializzazione.

A Peter non piaceva stare in mezzo alle persone. Quando si ritrovava circondato da troppi corpi gli mancava l'aria e desiderava solamente scappare e prendere una boccata d'aria fresca, da solo. Preferiva i libri alla gente. I suoi amati tomi non erano opprimenti, non parlavano in continuazione, non discutevano di argomenti frivoli e non lo facevano impazzire. Stava bene da solo. Da solo con i suoi volumi pieni di pagine di carta. Di certo non stava bene ad un ballo.

Con un leggero sbuffo si avvicinò nuovamente al camino, affascinato dalle lingue di fuoco che parevano poterlo scottare da un minuto all'altro. Avvicinò una mano al globo dalle sfumature rosse, calde, bollenti. Gli occhi si sgranarono mentre la mano si faceva più vicina al fuoco; il calore iniziava a sferzare con sempre più prepotenza contro il palmo roseo. A Peter non piaceva avvicinarsi al pericolo. A Peter piaceva osservarlo da lontano e immaginare, cosa lo sapeva solo lui. Il suo corpicino era accucciato vicino alle fiamme, abbastanza lontano da non farsi male, abbastanza vicino per potersi godere appieno quel calore che lo riempiva. Si irradiava dal palmo della mano, e lentamente saliva lungo il braccio, per poi arrivare alle spalle e scendere lentamente lungo il petto.

Forse, alla fine, Peter non si rendeva conto di ciò che davvero temeva. Cercò di ammetterlo a se stesso. Aveva paura del ballo. Ne era terrorizzato. Aveva paura di quell'occasione di festa così come quando aveva paura nel momento in cui il fuoco scoppiettava, facendolo balzare indietro per lo spavento. Era intimidito, il domani lo inquietava. Se avesse potuto, sarebbe rimasto tutto il giorno in biblioteca, accucciato nella sua poltrona bordeaux.

Pensa ai lati positivi, Peter. Una vocina fischiò nelle sue orecchie. Si sedette a gambe incrociate, sul morbido tappeto, cercando di allontanare i pensieri negativi per far spazio ai lati positivi della serata del giorno seguente. Ricominciò a contare.

Prima cosa: Nessuno mi costringerà a tenere una danza.

Seconda cosa: Non dovrò accompagnare nessuna ragazza, ci saremo solo io e mio padre.

Un sospirò fece tremare le labbra di Peter. Poteva superare le danze, poteva superare quella serata. Nessuna scusa, nessuna vergogna, nessuna paura. Avrebbe - cercato - di intrattenere una discussione con qualche fanciulla nel modo più rispettabile possibile, avrebbe conosciuto le due figlie dell'amico di suo padre. Sarebbe andato tutto bene.

Si ritrovò ad annuire da solo, tra sé e sé. Doveva solo pensare positivo. Gettò l'ennesima occhiata all'orologio, ricominciando improvvisamente ad udire il ticchettio delle lancette, il quale si era affievolito nel momento in cui aveva cominciato a pensare. Era tardi.

Quando Peter crollò sul materasso del suo letto, i suoi folli ragionamenti avevano ricominciato a tormentarlo. Passò almeno metà notte in bianco, continuando a rigirarsi tra le coperte, scalciandole e stringendosi ad esse, fino a sparire completamente sotto il caldo tessuto. Il cuore continuava a marterrargli in petto, lo stomaco si contorceva e i pensieri picchiettavano costantemente il suo capo.

Oltre che ad essere spaventato e intimidito, si sentiva strano. Aveva un presentimento, una sensazione. Non sarebbe andata bene.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Chapter One - The Demon Of London ***


CHAPTER ONE - The Demon of London



_________________________________________________________________




- Non ho intenzione di fare di più stasera, Joe. Dì a tutti che ho finito qui, ci vediamo.

Fu quella l'ultima frase che Ashley pronunciò, poco dopo essere uscito dalla stanza a lui dedicata in quel grande edificio abbandonato, nel bel mezzo del quartiere a luci rosse londinese. La sua stanza era l'ultima, all'ultimo piano, alla fine del corridoio; l'aveva scelta appositamente, come se fin dall'inizio sapesse che tutti gli uomini avrebbero fatto quattro rampe di scale solo per andare da lui.

E così, infatti, fu.

In meno di una settimana, tutti sapevano quanto Ashley fosse talentuoso, quanto le sue abilità andassero fuori dal livello umano. Riusciva a rendere chiunque schiavo del proprio corpo, del proprio volere, con un semplice sguardo o tocco.

Alcuni pensavano addirittura che non fosse umano, e che venisse da un altro mondo.

Ma, creduloni e non, tutti finivano per rimanere affascinati da Ashley James Harvey, il ragazzo più sensuale che Londra avesse mai conosciuto.

Salutò distrattamente tutti, e si incamminò verso le strade desolate della Londra notturna, quella che tutti conoscevano.
Ashley amava quella parte della città; i cittadini comuni credevano fosse l'unica faccia di Londra, quella pacifica, pulita. 

In realtà, era solo l'ennesima dimostrazione che niente è come sembra, un po' come lui. 
Forse era anche per questo che si sentiva quasi legato a quella grande città. 
Tutti la amavano, ne veneravano la facciata, credevano fosse l'unica via per eliminare i propri problemi.
Ma l'unica cosa che ricavavano era la distruzione, ed il ricordo di una speranza lontana.

Erano quelli i pensieri che torturavano la mente di Ashley mentre camminava, il freddo che gli sferzava il viso, le mani nascoste nelle tasche dei pantaloni. Non c'era anima viva in quel momento, era solo, con le sue riflessioni. 
Da quanto, precisamente, non riusciva a pensare liberamente? Sicuramente era passato più di un anno. Ma adesso, poteva concedersi un momento per se. O almeno, poco prima di arrivare alla solita taverna; di solito era sempre aperta, frequentata da un paio di persone contate - vagabondi, più che altro.
Si avvicinò al bancone e si sedette sul primo sgabello libero, gomiti poggiati sul massiccio legno, le mani a strofinarsi il viso; era stata una serata intensa, più del solito.

- Cosa c'è, Ashley? Quel cane di Joe ti ha mangiato la lingua, oggi? Oppure è stato uno di quei maniaci che frequenti sempre?

Fu Marcus a parlare, il vecchio proprietario di quel malandato locale. 
Per essere un uomo anziano, era notevolmente diverso da tutti gli altri. Mentalità aperta, saggezza infinita; Ashley, ormai, lo considerava un padre a tutti gli effetti. Non poteva metterci la mano sul fuoco, ma era quasi certo che quell'arzillo uomo avesse già capito chi era veramente Harvey.

- Giornata intensa, Marcus. Non che le altre giornate possano essere considerate una passeggiata.. Anche se alla fine, è stata soddisfacente. 

- Capisco, capisco.. Forse è meglio conservare le energie per il ballo in maschera di domani, figliuolo. Voglio che mi racconti tutto, dopo che sarai uscito da quell'antro pieno di vipere e politici..

Marcus emise un verso sbieco che doveva sembrare una vaga risata, che di solito avrebbe fatto ridere anche Ash. Ma non quella volta.
Era rimasto perplesso; il ballo? Perchè si era scordato di quell'avvenimento tanto importante? 

- Dio, è vero! Il ballo! come ho fatto a dimenticarlo!

Ash si alzò, sbattendo i palmi delle mani contro il bancone; non era né arrabbiato, né offeso, era solo immensamente entusiasta, ed il sorriso a trentadue denti dipinto sul suo viso lo dimostrava pienamente. Un ballo era proprio quello che ci voleva per rianimare quella vita monotona che ormai conduceva lì, a Londra. Tutte le sere ormai erano diventate uguali, le giornate passate solo a rubacchiare o a dormicchiare. Anche solo una notte passata diversamente avrebbe migliorato, almeno un po', l'umore di Ashley. 

Passarono tutta la notte a parlare di frivolezze, di come le giornate del giovane fossero ripetitive, e delle mille 'avventure' del vecchio Marcus ( per la maggior parte, ovviamente, tutte balle ), insieme a più di un boccale di birra.
Ash finì per addormentarsi lì, su quel bancone, quasi come ogni volta; il giorno dopo, avrebbe dovuto affrontare uno dei più grandi avvenimenti di quegli ultimi mesi; il tradizionale ballo d'inizio anno.

                                                           ---------


- E' stato fantastico, come sempre.

- Non resterete mai delusa da me, Miss Jane. Né la prossima volta, né l'altra ancora.

Un sorriso furbo si dipinse sulle labbra di Ashley, mentre lasciava vagare le dita sugli occhielli della sua candida camicia.
Ormai, Miss Jane era una 'cliente' abituale. Una tipica donna ricca sfondata con il marito banchiere, come sempre in attesa di ricevere una fruttuosa eredità, e che tanto per cambiare faceva tranquillamente - e regolarmente sesso con un vagabondo sul grande letto matrimoniale che la loro immensa reggia possedeva. 
Non che Ashley amasse particolarmente essere il giocattolino sessuale di una riccona adultera, ovvio, ma c'erano anche dei lati positivi. Ed essere l'unica valvola di sfogo di una grande fiamma dell'alta borghesia che solitamente disprezzava i tipi come lui era una lancia spezzata a favore del proprio ego.
Stava lì, elegantemente distesa sul grande materasso circondata da pacchiani cuscini foderati di morbida seta, un semplice lenzuolo a coprire il fiorente seno e l'intimità. Il suo volto circondato dalle disordinate ciocche rosse dei suoi capelli era rivolto verso il giovane, che non la degnava di uno sguardo, intento a rivestirsi con calma e pacatezza.

- Verrete al ballo in maschera di stanotte, Sir. Ashley? Sarei davvero dispiaciuta se non vi vedessi.

Quella domanda lo spiazzò. Ricordava perfettamente che quella stessa notte si sarebbe svolta un grande ballo in maschera in una vecchia magione non troppo lontana dal centro di Londra, ma non aveva la minima idea di come avrebbe fatto ad intrufolarsi, soprattutto perché non aveva nessuna maschera con sè. Non era certamente un principiante in quel campo, per carità, ma quando mancava la materia prima era leggermente in difficoltà. Vide Miss Jane scendere dal suo trono, trascinando con sè il lenzuolo, come per non mostrare al ragazzo ciò che quest'ultimo conosceva fin troppo bene. Fece per sistemare il colletto della sua camicia, lasciando così cadere il lenzuolo ai loro piedi, provocando la virilità dell'altro con la vista del proprio corpo senza veli.
Ashley non si scompose, lanciando un'occhiata apparentemente disinteressata ad ogni singolo lembo di pelle davanti ai propri occhi.

- Vorrei, Miss Jane, ma l'unico travestimento che possiedo è quello di gentiluomo, ed è davanti ai vostri occhi.

Queste parole intristirono il suo viso, che però, in men che non si dica, tornò ad essere radioso come qualche secondo prima. La vide fuggire dietro il paravento palesemente importato dall'oriente senza pronunciare parola, tornando solo dopo qualche minuto con dei vestiti sfarzosi e ben piegati - probabilmente, anch'essi, importati da chissà quale paese  - su cui primeggiava una stupenda maschera di ottima fattura candida come porcellana. Ne fu a dir poco affascinato, in quel preciso momento.

- E' un vecchio abito che quel grassone ignobile di mio marito non ha mai indossato perchè troppo stretto. Penso che a voi starebbe a pennello. Avete un corpo così bello, slanciato, perfetto.. Dio, vorrei non essermi sposata! 

Notò il rossore sulle guance di quella donna tanto perversa quanto devota alla lussuria, arrivata a tradire il marito senza un minimo di pudore. La scintilla che c'era nei suoi occhi era talmente palese da farlo sorridere; nelle sue iridi, infatti, si poteva leggere perfettamente il rancore e la voglia di fuggire da quella vita notevolmente stretta sulle sue esili ma formose membra.
Ringraziò con un cenno del capo e prese quei vestiti, infilandoli cautamente nello zaino che portava sempre con sè. Lasciò un ultimo e sfuggente bacio sulla gota arrossata di Miss Jane, e facendo un cenno di saluto fin troppo elegante, si avvicinò alla finestra, sgusciando fuori da essa come un agile felino in fuga dopo aver mietuto l'ennesima vittima.










Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Chapter Two ***


Pallidi raggi di sole filtravano dal nebuloso cielo di dicembre fino alla camera di Peter, centrando in pieno il volto ancora dormiente. Alla fine, si era addormentato insieme agli inquinati e spaventati pensieri che avevano continuato a torturarlo per gran parte della nottata. In realtà, non lo avevano abbandonato nemmeno nel mondo dei sogni: con persistenza avevano accompagnato Peter in un lungo e tortuoso sentiero saturo di incubi, di idee ibride ancora più spaventose delle originali. Solo quando era arrivato alla fine di quell'infinito percorso - o almeno, secondo lui era la fine, non poteva esserne certo - un'accecante luce, calda e allo stesso tempo rassicurante, aveva riportato la pace e l'armonia nella sua mente. Da lì, non aveva sognato più nulla: era caduto nel limbo eterno e senza tempo dei sogni, iniziando finalmente a riposare serenamente.

Peter emise un basso mugolio, appena udibile sotto la pesante massa di coperte. Sentiva il sole riscadargli il viso e intimargli di svegliarsi; gli diceva che non lo avrebbe fatto riposare ancora, non c'era più tempo. Storse le labbra, contrario a tutta quella luce di prima mattina, e si voltò lentamente verso la parte ancora fredda del materasso. Strofinando i polpastrelli delle dita contro le palpebre cercò di darsi una svegliata, per poi gettare una veloce occhiata al quadrante dell'orologio che primeggiava sulla parete. Erano appena le nove del mattino - sempre troppo presto, secondo lui. Non si poteva definire un tipo mattutino, anzi: Peter amava dormire. Se fosse stato per lui avrebbe dormito tutto il giorno. 
Strisciò fuori dalle coperte. Per prima cosa, diede una sistemata al letto - completamente disfatto dopo quella nottata tanto turbolenta -, e subito dopo s'infilò i vestiti posti ancora ordinatamente nel grande armadio della sua camera. Cercò di sistemarsi i capelli, e solo dopo quest'ultimo accorgimento varcò la soglia della stanza ed uscì.

Suo padre non era in casa. Probabilmente era uscito da poco più di mezz'ora, o un'ora. Peter non lo trovava spesso in casa, soprattutto la mattina e la sera. A volte tornava anche in piena notte dopo una giornata di completa assenza; non sapeva cosa facesse tutto quel tempo, e probabilmente non voleva scoprirlo realmente. Quando Peter era più piccolo, comunque, suo padre non era così: si prendeva cura di lui, lo portava in giro con sé. Era stato proprio lui ad insegnare a Peter a leggere in tenera età e ad appassionarsi ai tomi che riposavano sulle mensole in biblioteca. Semplicemente, non aveva idea di cosa fosse cambiato.

Stirò la schiena e le braccia mentre scendeva le scale per raggiungere la biblioteca dell'abitazione, tirando il più possibile le gambe mentre camminava. Si sentiva ancora intorpidito e voleva levarsi quella sensazione di dosso. Sembrava, anzi, era certo del fatto che il suo corpo cercasse di dirgli di tornarsene a letto e stare sotto le coperte tutto il giorno, ed evitare così di dover andare al ballo. Non si era affatto dimenticato dell'evento di quella sera. Aveva solamente tentato di farlo diventare estremamente piccolo e di farlo nascondere in un angolino della sua testa, in modo da non disturbarlo per un paio d'ore. Purtroppo sapeva che dopo quel "paio d'ore" quella piccola pallina avrebbe aumentato sempre di più le sue dimensioni, tornando a tormentarlo completamente.
Chiuse la porta alle sue spalle - non prima di aver ricordato al valletto di preparargli un bagno per quella sera -, ed avvicinandosi alla sua scrivania riprese il libro che aveva smesso di leggere la sera prima. Ovviamente andò a sistemarsi sulla sua poltrona preferita, dopo aver buttato nel camino la legna per il fuoco e averlo lasciato scoppiettare allegro ed euforico.

---

Un gridolino spaventato e mezzo soffocato fuoriuscì dalle labbra di Peter nel momento in cui sentì bussare. Si era perso così tanto nella storia che stava leggendo da essersi isolato completamente, rimanendo sbigottito non appena qualcuno - qualcosa - lo aveva riportato violentemente alla realtà.
«Sì?» la sua voce risuonò flebile nella stanza. Si rese conto di quanto potesse risultare debole e ancora stordito per lo spavento di pochi istanti prima, quindi si schiarì rumorosamente la gola, prima di riprendere a parlare: «Avanti, prego, cosa c'è?»
Nel frattempo si era alzato, e stringeva il libro - appena richiuso - tra le braccia. L'espressione incuriosita e interrogativa impressa sul suo viso si modellò velocemente quando vide la porta aprirsi, e il capo del valletto infilarsi in quel lieve spazio appena creatosi. Gettò un'occhiata alle lancette dell'orologio, ricordandosi improvvisamente di ciò che aveva richiesto al ragazzo qualche ora prima, e di cosa dovesse fare tra un paio d'ore. Bagno. Abiti. Ballo. Le tre parole si ripeterono continuamente nella sua testa, senza lasciargli capire cosa avesse appena detto il giovane, ancora fermo, nella stessa posizione di prima. 
«...Come?» Si sentiva davvero stupido. Nel giro di dieci minuti non aveva capito nulla. Ti distrai troppo facilmente, idiota, si disse frettolosamente nella sua testa. Avvicinandosi alla scrivania, sistemò il libro - perfettamente, come faceva ogni sera.
«Vi... Vi dicevo.» il ragazzino - immobile, sulla porta - si schiarì la voce, riprendendo poco dopo: «Vi ho preparato la vasca. L'acqua è calda, come piace a voi, e gli abiti per il ballo sono sistemati nella vostra camera. Vuole che vi accompagni e vi aiuti, o preferite fare da solo come l'ultima volta?»
«O-Oh- No... grazie, faccio da solo. Se avrò bisogno, chiamerò dopo per indossare gli abiti per il ballo. Solo... Avvisatemi, quando torna mio padre. E spegnete il fuoco, per cortesia.» Detto questo, Peter superò velocemente il valletto. Probabilmente, quel ragazzo era anche più piccolo di lui, e si ritrovava a lavorare per lui e suo padre. Non era il primo ragazzo della servitù che si allontanava dalla famiglia per guadagnare qualcosa senza aver nemmeno compiuto la maggiore età. Peter sapeva che la domestica dei vicini aveva all'incirca tredici, o quattordici anni. Era appena arrivata.

---

Teneva la maschera stretta tra le dita, lo sguardo fisso sui particolari sfarzosi. Quella maschera era davvero magnifica, ma soprattutto serviva a nasconderlo. Indossandola avrebbe evitato molte spiacevoli situazioni. La dama - le dame - con cui avrebbe ballato non avrebbero saputo con chi stavano tenendo una danza, e, di conseguenza, con chi stavano intrattenendo una danza imbarazzante e probabilmente odiosa, per tutte e due le parti.
«...la maschera, Peter.» una voce bassa, forte, ruvida, gli arrivò alle orecchie. Scosse il capo prima di sollevare il capo e ritrovarsi suo padre che lo guardava con uno strano - spaventoso - cipiglio impresso sul viso, prima che fosse nascosto dalla maschera che precedentemente teneva tra le dita anche lui.
«Può ripetere, padre, cortesemente? Ero assorto nei miei pensieri e senza volerlo non ho badato alle vostre parole. Vi chiedo scusa».
«Devi indossare la maschera, Peter. Siamo quasi arrivati, mancano solo pochi minuti». 

---

Sentiva un costante brusio di sottofondo. Caotico, nel suo insieme. Il gusto sontuoso della sala in cui si trovava lo faceva sentire strano, come se in qualche modo fosse troppo per qualsiasi persona. Fece schioccare la lingua contro il palato, mentre tentava di seguire una conversazione del padre con una - probabilmente - zitella. Il primo aveva appena presentato Peter alla donna, e dopo aver risposto con un sorriso ed un saluto cortese, aveva ripreso a pensare e a guardarsi intorno.
Tuttò ciò che gli si presentava davanti erano dame, accompagnatrici, gentiluomini. Moltissime persone stavano ballando, in quel momento. L'aria era satura della musica che proveniva dal fondo dell'enorme salone. Grandi lampadari - i quali brillavano costantemente - illuminavano completamente la sala, senza lasciare spazio all'ombra. Colori su colori, trame differenti, si alternavano velocemente, senza lasciargli il tempo di studiare i pomposi abiti delle signore e ragazze che danzavano.

Venne cautamente spinto dal padre qualche minuto dopo. La donna con cui stava parlando era sparita, e vedeva il capo del proprio genitore fargli un cenno e indicare una giovane ragazza seduta poco lontano. Lesse il labiale di suo padre, il quale gli stava dicendo qualcosa tipo chiedile un ballo.
Spalancò gli occhi. Non voleva, ma non aveva altra scelta. Venne spintonato leggermente per una seconda volta, fino a quando non dovette per forza avvicinarsi a quella giovane ragazza. I capelli mossi erano raccolti in un'elegante acconciatura, e una maschera color crema copriva gran parte del suo viso.
«Oso sperare che accetterete la mia proposta, Miss. Mi concedete questo ballo, cortesemente?» la voce gli uscì leggermente spezzata. Sperò con tutto se stesse che lei non se ne fosse accorta, o che non dicesse nulla per gentilezza. Quando accettò, ne fu sorpreso.

Si sentiva come se stesse andando terribilmente male. Anzi - stava andando male. Diversi pensieri negativi e non proprio carini furono indirizzati al padre, ed altri pieni di scuse alla ragazza con cui stava ballando. Sembrava che quel pezzo non volesse mai finire. Avevano anche provato a parlare, ad intrattenere una conversazione: nulla da fare. Ogni cosa era peggiore della precedente. La sua unica vera fonte di distrazione era una strana sensazione che aveva iniziato a sentire costantemente da quando si era unito alle altre coppie intende a muoversi nella sala. Ad ogni passo sentiva la nuca pizzicare e prudere. Si sentiva osservato costantemente, studiato, seguito. Poteva giurare di aver visto svariate volte due occhi azzurri, freddi e gelidi fissarlo. E Peter non poteva fare a meno di fissarli di rimando, di perdersi in essi senza volerlo.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3301937