A new start for us. (la storia)

di Lamy_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ci vediamo sul set. ***
Capitolo 2: *** La signora Downey. ***
Capitolo 3: *** Il segreto di Amira ***
Capitolo 4: *** Voglio raccontarti la verità ***
Capitolo 5: *** Ho bisogno di te. ***
Capitolo 6: *** Si parte! ***
Capitolo 7: *** Berlino. ***
Capitolo 8: *** Buon anniversario. ***
Capitolo 9: *** Signor Tempo. ***
Capitolo 10: *** Ti vengo a cercare. ***
Capitolo 11: *** Epilogo. ***



Capitolo 1
*** Ci vediamo sul set. ***


CAPITOLO PRIMO : Ci vediamo sul set.
Un mese. Era passato un mese da quando Robert era partito. Si erano scritti qualche messaggio, ma più che altro per lavoro e non per motivi personali. Erano rimasti il signor Downey e la signorina Taylor, il capo e la segreteria. Amira si rotolò tra le lenzuola, sbuffando e imprecando, e poi decise che era meglio alzarsi. Si mise seduta suo letto, totalmente avvolta tra le coperte, e lanciò uno sguardo alla sveglia, erano le 7,05. Afferrò il telefono e vide che la spia delle notifiche lampeggiava, c'erano due messaggi: uno era di Lola, la sua migliore amica nonché seconda coinquilina, che le ricordava a che ora sarebbe passato a prenderla l'autista e le augurava buon viaggio, l'altro era di Robert.
'Ci vediamo direttamente sul set.'
-Tutto qui? Ci vediamo sul set? Oh ma dai, ditemi che é uno scherzo!-
Non si vedevano da un mese e lui la trattava così, come se nulla fosse successo, come se non avessero mai passato quella notte assieme. Si lasciò nuovamente cadere sul cuscino e prese a sbattere piedi e mani sul materasso come in preda alle convulsioni.
"Che diavolo stai facendo?" Strillò Jeremy, l'altro coinquilino, entrando in camera sua e rimanendo allibito nel vederla agitarsi. Amira gli indicò il cellulare sul comodino. Jeremy lo prese per leggere il messaggio, aggrottò le sopracciglia e storse le labbra.
"Questo é un brutto segno, amica mia!" sentenziò l'amico, scuotendo il capo. Amira si alzò e fece un respiro profondo per poi sorridere.
"Non devo lasciare che le mie emozioni intralcino il mio lavoro. Sono pur sempre la sua assistente, e sono anche abbastanza in ritardo!"
La ragazza si infilò in bagno per una doccia che durò venti minuti e poi uscì con lo spazzolino in bocca per scegliere i vestiti.
"Fefemy!"
Jeremy non rispondeva e lei aveva un disperato bisogno di aiuto per scegliere cosa indossare e per stendere lo smalto sulle unghia. Sbuffò e scese al piano di sotto, trovando il suo amico che preparava la colazione e leggeva Vogue.
"Ferfé fof risponfi?" trillò Amira per poi raggiungere Jeremy, il quale la fissava con le sopracciglia sollevate.
"Togli lo spazzolino dalla bocca e magari capisco quello che dici!"
Amira tornò di corsa in bagno, finì di sciacquarsi i denti e ritornò in cucina con dei vestiti tra le braccia.
"Devi darmi una mano: uno, non so cosa indossare e due, devi aiutarmi a mettere lo smalto."
Jeremy scosse la testa e alzò gli occhi al cielo, quella ragazza era un disastro. Respirò a fondo e poi esaminò gli abiti proposti dalla sua amica, infine scelse l'outfit migliore.
"Allora, puoi indossare i pantaloni neri a sigaretta con quella camicetta beige e ci abbini scarpe col tacco beige e borsa nera. Robert cadrà sicuramente ai tuoi piedi!" esclamò Jeremy sorridente, facendole l'occhiolino. Amira gli lanciò un'occhiata torva e gli fece la linguaccia.
-Mica voglio che Robert mi cada ai piedi, voglio solo che mi sposi e mi porti a vivere a casa sua! No, ok, devo smetterla di pensare a queste cose.-
"Vieni qui che ti metto lo smalto. Che colore preferisci? Anzi, scelgo io: rosso."
Amira si sedette e lasciò che il suo amico le curasse le unghia.
 
 
Quaranta minuti dopo Amira era vestita e truccata, pronta a raggiungere il set di 'The Judge'. L'autista si fermò davanti a casa sua e attese che lei scendesse.
"Allora, è arrivato il momento." esordì Jeremy mentre aiutava Amira a portare giù le valige che poi vennero caricate in macchina.
"Sarà solo per due settimane, credo, e poi tutto dipende da come procedono le riprese. Ma tutte le sere faremo video chiamate, ovviamente!" rispose la ragazza, ridendo, anche se già sentiva la mancanza dei suoi migliori amici.
"Fate i bravi!"
Amira controllò l'orologio, era giunta l'ora di partire. Abbracciò Jeremy e qualche lacrima scese lungo le sue guance ma le asciugò in fretta per non far vedere al suo amico che stava per piangere. Jeremy le diede un bacio sulla fronte e la guardò compiaciuto.
"Io e Lola siamo fieri di te, piccola Ami, ora falli secchi!" le disse il ragazzo con voce allegra e poi le fece l'occhiolino. Amira inforcò gli occhiali da sole e, dopo aver dato l'ultimo sguardo al suo amico e alla sua casa, salì in auto diretta in aeroporto.
E adesso a noi due, signor Downey.
Il viaggio fu davvero un disastro: Amira era seduta tra un'anziana giapponese che parlava ininterrottamente dei suoi dodici gatti e un bambino che si divertiva a lanciarle palline di carta. Le ore che dividevano New York dal set furono drammatiche e solo la voce metallica che avvisava i passeggeri che il volo era giunto a destinazione fece tirare un sospiro di sollievo ad Amira. Non appena ebbe recapitato i suoi bagagli percorse l'aeroporto per raggiungere l'uscita e chiamare un taxi, ma notò che un uomo in completo scuro reggeva un biglietto con su scritto: 'Amira Taylor, sono il tuo uomo'.
-Questa è sicuramente un'idea di Robert.-
La ragazza si avvicinò al tipo a passo svelto, dato che era in ritardo, e per poco non gli cadde addosso.
"Mi perdoni, sono molto maldestra. Comunque, lei mi porterà sul set?"
L'uomo non ripose, annuì solamente, prese le valige e si avviò. Amira rimase immobile con un'espressione interrogativa sul volto e poi, come se un pizzicotto l'avesse svegliata, si mise a correre per raggiungere l'auto di servizio. Durante il tragitto si specchiò più volte nella telecamera del cellulare per controllare che il trucco non fosse sbavato e che i capelli fossero ancora ben legati in una treccia. L'uomo svoltò in una piccola traversa e un enorme edificio si stagliò contro il cielo azzurro. Amira dovette ammettere di essere agitata ogni volta che accompagnava Robert su un set perché era sempre una grande emozione: registi, fotografi, parrucchieri, truccatori, costumisti e persino gli stagisti lavoravano in armonia. L'auto si fermò e la ragazza, indossata una giacca per apparire più professionale e afferrata l'agenda di pelle rossa, scese e si fermò qualche istante ad ammirare il luogo dove avrebbe lavorato per due settimane o poco più.
"Il suo albergo è in centro, signorina, vuole che io attenda qui la fine del suo turno o preferisce che io porti le sue valige in hotel?" le domandò cortesemente Jeff, ossia il tipo che le faceva da autista lì.
"Porti le mie cose in albergo. Grazie."
Jeff annuì e poi ingranò la marcia, sparendo dalla sua visuale. Amira prese un respiro profondo e poi si avviò. Non appena mise piede all'interno dell'edificio venne accolta da Harold, colui che si occupava della sicurezza di Robert.
"Oh Amira, meno male che sei qui! Robert desidera un caffè ma sai che non sopporta che siano altri a portarglielo, devi essere per forza tu." la supplicò Harold, uomo sulla quarantina, alto, biondino, con la faccia simpatica.
"Che il lavoro abbia inizio."
Amira lasciò la sua borsa nelle mani di Harold, che in cambio le porse un bicchiere di Starbucks, e poi si diresse nella sezione 'riprese'. Mentre percorreva il lungo corridoi che l'avrebbe condotta da Robert, sentiva il cuore battere a mille e aveva un nodo a gola al solo pensiero che lo avrebbe rivisto dopo trentadue giorni esatti. Con un riecheggiare di tacchi giunse in un ampio stanzone, dove gli attori studiavano i copioni o si preparano a girare aiutati da parrucchieri e compagnia bella, e si guardò a destra e a sinistra in cerca di lui. E poi eccolo lì: maglietta nera a maniche corte, jeans, occhiali da vista e copione tra le mani. Amira fu tentata a tornare indietro, mollare il caffè ad Harold, scappare in Alaska e mettersi a costruire blocchi di ghiaccio con gli orsi polari...ma non poteva. Perciò scrollò le spalle, si aggiustò un ciuffo di capelli ribelle e si incamminò verso di lui con passo deciso e testa alta. Il rumore delle sue scarpe prodotto dal contatto col pavimento fece saettare gli occhi di Robert su di lei, il quale inclinò il capo per osservarla meglio. Quando furono abbastanza vicini Amira abbassò lo sguardo e le sue mani cominciarono a tremare.
-Cazzo, è ancora più bello di prima.-
"Buongiorno, signor Downey. Ecco a lei il suo caffè nero!"
Amira porse il bicchiere a Robert e nel farlo le loro dita si sfiorarono, la ragazza cercò di nascondere il rossore volgendosi ad ammirare il set: i registi stavano parlottando tra di loro, i costumisti correvano di qua e di là con abiti e scarpe in mano, getti di lacca impregnavano l'aria, e l'adrenalina pre-inizio era palpabile.
"Com'è messa qui la situazione?" chiese la ragazza al suo capo, concentrato sulle parole che avrebbe dovuto imparare a memoria, mentre leggeva gli impegni della giornata.
"Hanno assegnato le parti un paio di ore fa, però cominciamo a girare domani." rispose lui con la sua solita voce tranquilla, tornando poi a studiare le sue battute. Amira lo guardò di sottecchi: gli occhi scuri, quelle labbra che lei aveva avuto il piacere di baciare, quelle mani che l'avevano accarezzata, quei capelli che lei aveva toccato. Eppure, ora e in quella situazione, sembrava che le cose non fossero cambiate, sembrava che Robert non le avesse mai confessato di amarla, sembrava tutto un lontano sogno, o forse un incubo.
"Signorina, le ho chiesto come sono andate le cose durante la mia assenza."
Amira scosse la testa e si ridestò, accorgendosi di essersi persa nei suoi pensieri, quando Robert le sventolò una mano davanti agli occhi. Si schiarì la gola e provò a parlare.
"Mi sono trasferita dai miei migliori amici, Lola e Jeremy, ma questo a lei ovviamente non importa. Comunque, ho organizzato tutti i suoi impegni per questo mese e ho anche risposto a tutte le chiamate che lei rifiutava. Ah e le ricordo che tra due giorni le cambieranno il frigo della cucina e che le tende nuova sono già state appese."
"Ottimo lavoro."
-Cosa? Ottimo lavoro? Ma sei serio, Robert? Tu ora mi baci e mi stringi a te, altrimenti ti denuncio per mancata cura di animali domestici. No, aspetta, ma io non sono un animale domestico. Sono quei dannati occhi che mi stanno dando di matto.-
"Grazie, signore."
"Robert, vecchia ciabatta!"
Robert ed Amira guardarono verso la porta d'ingresso e spalancarono gli occhi, Robert Duvall stava percorrendo l'enorme stanza accompagnato da una bella bionda, tutta fisico e niente cervello.
"Oh Duvall, non perdi mai un colpo!"
I due uomini si strinsero la mano calorosamente. Robert Duvall, stando al copione, avrebbe dovuto fare la parte di Joseph Palmer, il padre di Hanc, ossia Robert nel film.
"E questa bella donna chi è? La tua ragazza?"
"Piacere, sono Amira Taylor. Sono l'assistente del Signor Downey."
Duvall baciò la mano di Amira e poi la squadrò sotto lo sguardo attento di Robert.
"E tu lasci che questa meraviglia ti scaldi il caffè e non il letto? Ragazzo mio, non hai capito niente della vita!"
Robert, in evidente imbarazzo, non sapeva che dire e cercava in tutti i modi di trovare le parole giuste, poi fu il regista a salvarlo da quella situazione.
"Duvall e Downey, venite qui!"
"Amira, può andare nel mio camerino a prendermi una penna? Per favore." le disse Robert con quello sguardo penetrante e quella voce dannatamente profonda. Amira annuì e si diresse al suo camerino.
-A cosa diamine gli serve una penna?-
Mentre attraversava il lungo corridoio che portava al camerino di Robert, Amira non faceva altro che pensare a quella assurda situazione: lui la trattava come aveva sempre fatto in tre anni, anzi sembrava più freddo e distaccato, e lei gli portava il caffè ed esaudiva ogni suo desiderio. Poco dopo vide in lontananza una porta grigia con un foglio azzurro attaccato sopra e la scritta a caratteri cubitali: 'R. Downey Jr'. La ragazza entrò con la chiave che le era stata affidata dal suo capo, dato che quello in parte era anche il suo camerino, e si mise a cercare un penna sulla scrivania. C'era di tutto, fazzoletti, carica batterie, i-pod, pc, agenda, chiavi, occhiali da sole, ma non c'era ombra di penne. Amira alzò lo sguardo sullo specchio e vide riflesso in esso un mazzo di rose arancioni poste su un tavolino. Si voltò con la bocca spalancata e gli occhi sbarrati, poi si avvicinò e lesse il biglietto attaccato alla carta che avvolgeva i fiori: 'Queste dovrebbero essere le tue rose preferite, se non erro. Bentornata a lavoro, Amira. -R'. Amira rimase a fissare il mazzo imbambolata, con le mani tremanti e le gambe che avrebbero potuto cedere da un momento all'altro se non si fosse seduta sullo sgabello accanto alla scrivania.
-Oddio, devo dirlo a Lola e Jeremy! AH MI HA REGALATO DEI FIORI E SI E' RICORDATO CHE AMO LE ROSE ARANCIONI. OH ROBERT, MA IO TI FACCIO UNA STATUA.-
Tirò fuori dalla tasca il suo cellulare, fece una foto ai fiori e al messaggio e poi la spedì ai suoi amici. Forse Robert stava fingendo che tra loro nulla fosse successo per dare l'idea che fossero legati da un rapporto lavorativo...ma, un attimo, avevano un altro tipo di rapporto oltre quello?
 
 
"Stop! Un'ora di pausa, ragazzi." esordì il regista nel bel mezzo delle riprese, sembrava stanco ma molto soddisfatto. Robert afferrò una bottiglietta d'acqua dal frigo del set e si recò nel suo camerino, dove trovò Amira concentrata a parlare al telefono e a prendere appunti sulla sua agenda rossa.
"Sì, gli dirò che ha chiamato. Buona giornata!"
Amira chiuse la chiamata con uno sbuffo e si lasciò cadere sulla sedia. Robert le si sedette di fronte, sul divano, e la fissava intensamente. Ricordava ogni momento, ogni bacio, ogni carezza, ogni parola sussurrata quella sera. Sorrise al pensiero di lei che tremava sotto di lui.
"Allora, hanno chiamato suo padre e la balia di Exton. Suo padre desidera invitarla a cena non appena le riprese saranno terminate, mentre Gemma mi ha detto che Exton ha bisogno che qualcuno paghi le sue rette dell'asilo. Apro un conto a favore del piccolo in modo che la scuola possa pren...."
"Mi sei mancata." disse lui all'improvviso, ancora perso nei ricordi della notte passata assieme. Amira si interruppe un attimo e fece un respiro profondo, poi ricominciò a parlare.
"Come le dicevo, se apriamo un conto intes...cos'è che tanto la fa ridere, signore?"
Robert si sollevò e, sorridendo, si avvicinò a lei e le mise le mani sui fianchi. La ragazza sentì i battiti del cuore aumentare e sentiva un formicolio lungo il corpo.
"Come stai?" le chiese lui, la voce bassa, il suo inconfondibile dopo barba, quei tatuaggi che si intravedevano sotto le maniche della maglia.
-Adesso non sto per niente bene. Qualcuno chiami il 118, non è una esercitazione. Ripeto, allarme rosso.-
"Lei intende come sto dopo che mi ha abbandonata qui per un mese, partendo per chissà dove, o la intende come una domanda di cortesia?"
Robert si allontanò, abbassando gli occhi, e tornò a sedersi sul divano. Amira scosse la testa, infastidita e delusa, per poi tornare a scrivere sulla sua agenda.
"Amira, ci sono delle cose che...che tu non conosci."
"Credimi, questo lo so. L'ho capito che il tuo viaggio nasconde qualcosa e sinceramente mi dispiace che tu ti sia tenuto tutto per te, credevo che ormai fossimo una squadra. Ma la vita è tua e così anche le scelte, non devi spiegarmi nulla. E non te lo dico perché abbiamo passato quella notte insieme, ma te lo dico da assistente."
Detto questo, Amira uscì dal camerino come un fulmine. Aveva bisogno di allontanarsi da lì. Credeva davvero di poter lavorare con lui come aveva sempre fatto ma di fatto era impossibile. Non si può lavorare con l'uomo di cui sei innamorata persa ma che, in fondo, sai di non poter avere. Una lacrime scivolò lungo la sua guancia e l'asciugò prima che altre tante facessero capolino, doveva dare l'impressione che tutto andasse bene. Alla fine anche lei aveva imparato a recitare la sua parte. Poco dopo anche Robert uscì in un quel vicolo deserto per raggiungerla. Amira lo vide correre verso di lei e alzò la mano.
"Lasciami stare! Voglio restare da sola."
"Tu non vuoi restare da sola, io lo so."
"Tu non sai quello che voglio, Robert."
"Allora dimmelo. Dimmi quello che vuoi, ma non mi allontanare per l'amore del cielo!" sussurrò Robert a pochi centimetri dalle labbra di lei, guardandola dritto negli occhi.
-Te, razza di imbecille. Voglio te.-
"Io...voglio solamente che tu renda tutto questo meno...come dire...ecco, complicato. Io non ce la faccio se continui così, perciò vorrei che tu mi trattassi come la tua segretaria almeno sul set." la voce di Amira era un sussurro, le sue dita erano intrecciate a quelle di lui, gli occhi fissi a terra a causa dell'imbarazzo. Robert rimase zitto e immobile per circa un minuti, poi scosse la testa e poggiò la fronte sulla spalla di lei. Amira non poté reprimere l'impulso e, liberatasi i polsi, lo abbracciò. Era passato un mese ma i suoi sentimenti per lui erano soltanto aumentati, erano diventati di dimensioni così esorbitanti che presto il suo cuore avrebbe ceduto. Ne era sicura.
"Stammi vicino, Amira."
Quella era una supplica, una chiara esigenza di aiuto, e lei gli sarebbe rimasta accanto nonostante tutto. Gli posò un bacio sul capo e lo strinse di più a sé.
"Sono qui."
 
 
"Questa è la mia stanza!" esclamò Robert non appena misero piede nella suite del loro hotel. La stanza era enorme, una sorta di appartamento, assortita di vasca idromassaggio, stanzino per fare sport, stanzino per i massaggi, TV satellitare e un enorme letto a baldacchino al centro. Robert lasciò le valige e si buttò sul letto, morbido e rassicurante. Amira rise, poi aprì la zip delle valige e prese a mettere in ordine i vestiti di lui nell'armadio.
"Che stai facendo, Amira?"
"Beh sto sistemando i tuoi vestiti nell'armadio, mi sembra ovvio!"
"Lascia perdere e vieni qui!"
Amira lasciò ricadere una camicia nella valigia, si voltò verso di lui e scosse la testa. Robert si mise seduto sul bordo del letto e con un gesto fulmineo l'attirò a sé e la fece sedere sulle proprie gambe, notando il lieve rossore sulle guance della sua assistente.
"Resti qui stanotte?" le chiese Robert mentre la stringeva a sé, dandole qualche bacio sul collo e sorridendo nel vedere che le provocava la pelle d'oca. Amira stava letteralmente morendo sotto il suo tocco ma cercò in tutti i modi di mascherarlo e sorrise a quella richiesta.
"Non posso. Non dovrebbero vederci insieme. Dovrai dormire da solo, signorino!" scherzò lei, facendolo ridere.
-La sua risata, la colonna sonora della mia vita. Oh no, sto dando i primi segni di schizofrenia.-
Amira si liberò dalla presa di Robert e, alzatasi, afferrò la borsa per avviarsi verso la porta.
"La tua camera è quella in fondo al corridoio? Sai, potrei avere problemi a prendere sonno!"
La ragazza rise di gusto e continuò ad avanzare, prima usciva meglio era. Strinse le dita sulla maniglia e si voltò un'ultima volta.
"Non hai mai avuto difficoltà nel prendere sonno, Robert."
La porta si chiuse con un tonfo, ora Robert era solo. Si abbandonò di nuovo sul letto e cominciò a fissare il soffitto. Avrebbe voluto baciare Amira ma l'unica cosa che era stato capace di fare era stato chiederle aiuto. La vita di Robert era cambiata in peggio in quel mese passato chissà dove, e adesso non sapeva come uscirne. Lo avevano incastrato. Susan lo aveva in pugno e lui non aveva alcuna via di uscita, poteva e doveva solo recitare la parte del marito felice. Ma come avrebbe fatto con Amira? Lui era innamorato di quella ragazza, ma la sua più grande disgrazia lo stava perseguitando. Poche ore e Susan lo avrebbe raggiunto sul set.
 
 
"Ti ha regalato delle rose arancioni? Davvero? Ma che dolce!" trillò la voce di Jeremy dall'altra parte dello schermo del pc. Amira, dopo essersi fatta una bella doccia fredda ed essersi sistemata a letto, aveva chiamato su Skype i suoi amici.
"Ti regala dei fiori e tu non ci vai a letto? Ami, stiamo parlando di Robert sono un dono di madre natura Downey Jr!"
"Oh Lola, non si tratta solo di contatto fisico. Voglio vedere fin dove si spinge. Voglio dire, stamattina a stento mi ha guardata e solo dopo si è addolcito."
Mentre attendeva una risposta acida di Lola qualcuno bussò alla porta, Amira posò il portatile sul letto e andò ad aprire. Harold.
"E' successo qualcosa, Harold?"
"Poso entrare?"
La ragazza si spostò di lato per mettere al suo collega di entrare e richiuse la porta. Harold, in evidente agitazione e confusione, si sedette sul letto con le mani premute sul volto. Amira chiuse la chiamata con i suoi amici, i quali avevano inteso la situazione, e si sedette su una poltrona di fronte ad Harold.
"Che succede? Stai bene? Robert sta bene?"
Harold la guardò negli occhi e una terribile sensazione le attanagliò lo stomaco, qualcosa nell'aria le suggeriva che le cose stavano precipitando.
"Tu hai idea cosa abbia fatto e dove sia stato Robert il mese scorso?"
Quella domanda allarmò Amira ancora di più, ora non era solo lei a chiedersi cosa fosse successo durante il viaggio di Robert ma anche Harold, la cui politica lavorativa consisteva nello svolgere gli ordini del signor Downey senza farsi troppe domande, si chiedeva cosa fosse successo.
"C-che intendi dire?"
"Amira, quell'uomo ci sta nascondendo qualcosa! E se sono qui a dirtelo vuol dire che la cosa è seria. Dove è stato? Che ha fatto? Con chi? Perché è sparito senza dire nulla? Che diamine è successo?"
La voce di Harold era nervosa, ansiosa e trapelava un forte senso di paura e preoccupazione. Amira strinse i braccioli della poltrona e sentì le nocche delle mani bruciare per la pressione che stava esercitando, poi si alzò di scatto non potendo reggere oltre. Tante volte si era chiesta cosa stesse combinando Robert ma adesso tutto le sembrava più misterioso e confuso.
"Harold, la vita è sua. Noi non siamo tenuti a sapere tutto."
Sto mentendo a me stessa, fanculo.
"Anche se lavoriamo con lui da tre anni e lo abbiamo seguito e aiutato in ogni situazione?"
Le faceva male la testa, quelle domande e quella tensione stava solo peggiorando le cose, non avrebbe retto un altro colpo. Respirò a fondo e cercò di essere convincente.
"Si tratta di una donna. Prima di partire il signor Downey mi ha fatto promettere di non farne parola con nessuno. Credo sia una donna di spettacolo, ecco perché si è nascosto."
Il viso di Harold sembrò rilassarsi a quelle parole, emise un fischio e rise. Amira fece un mezzo sorriso.
"Ma certo! Dovevo aspettarmelo che si trattasse di una donna!"
"Già, conosciamo Robert."
Harold si alzò e si avviò verso la porta, voltandosi ancora una volta e sorridendo alla sua amica, poi uscì. Amira chiuse la porta, si poggiò con la schiena sulla base di legno e si lasciò scivolare a terra fino a trovarsi seduta. Sospirò.
-Ci sono cose che non conosci.-
 

 
 
 
Salve! :)
Questo é il primo capitolo della storia che riprende la os 'A new start for us' (che in pratica é il prologo). Spero che vi piaccia.
Fatemi sapere che ve ne pare.
Alla prossima.
Baci x

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Capitolo 2
*** La signora Downey. ***


CAPITOLO SECONDO: La signora Downey.
 
 
Dove diavolo é finita quella maledetta maglietta?
Quella mattina sarebbero iniziate le riprese, tutti erano già sul set, attori e collaboratori, tranne Robert ed Amira. La ragazza non riusciva a trovare la maglietta che aveva scelto di indossare, la valigia era piena di vestiti, ma lei cercava proprio quella maglia. Voleva a tutti i costi fare colpo su Robert, perciò doveva avere un abbigliamento impeccabile. Già si era infilata i jeans e calzava un paio di ballerine blu, ma era alla strenua ricerca di una maglia a tre quarti blu che si abbinava perfettamente alle scarpe. Mentre si guardava attorno, al centro della stanza, la porta si spalancò rivelando Robert sulla soglia. Gli occhi di lui osservarono la figura sinuosa della ragazza, indugiando sul reggiseno bianco con accenni di pizzo, e le guance di Amira andarono a fuoco, poi si chiuse di corsa in bagno.
"Vieni vestita in quel modo?" le gridò Robert dalla stanza da letto, ridendo e dando un'occhiata in giro. Pochi minuti dopo Amira uscì con addosso una camicia a canottiera bianca.
"Stavo cercando una maglia, ma non l'ho trovata." si giustificò lei, nascondendo malamente il suo imbarazzo, e, prendendo borsa e agenda, uscì dalla stanza seguita da Robert. Si diressero in silenzio al parcheggio, dove l'autista li attendeva, ed entrarono in macchina. Jeff alzò il vetro scuro per concedere loro privacy e, dopo un breve sguardo alla strada, mise in moto. Robert sembrava stanco, lontano, quasi perso chissà dove. Amira non aveva chiuso occhio, il dubbio e la curiosità, e forse anche un accenno di timore, non le avevano dato tregua durante la notte.
Magari si tratta davvero di una donna.
Forse lui aveva realmente conosciuto una donna ed era partito per stare con lei, e solo al pensiero che questa fosse una possibilità plausibile sentì il cuore stringersi in una morsa dolorosa. Ma Robert non le avrebbe fatto un torto del genere, non avrebbe mai conosciuto un'altra, non le avrebbe dato false speranze per trentadue giorni, anzi le avrebbe subito detto la verità a brucia pelo come era solito fare.
-Pensa a lavorare, ragazza. Non lasciare che le emozioni ricadano sul tuo lavoro, devi essere un'assistente perfetta.-
Amira di sottecchi lanciò un'occhiata verso di lui, facendo finta di scrivere un messaggio. Robert aveva la fronte poggiata al finestrino, gli occhi erano coperti dagli occhiali da sole eppure le occhiaie erano evidenti, e aveva l'aria trasognata.
"Va tutto bene?" azzardò a chiedergli la ragazza con voce dolce e bassa per evitare che Jeff sentisse, poi gli poggiò una mano sulla spalla. Lui sospirò, scuotendo di poco il capo, e sorrise, il sorriso più finto di sempre. Annuì e poi tornò a guardare i palazzi e gli alberi scorrere veloci oltre il finestrino oscurato. Amira lasciò cadere la mano sul sedile, spostando lo sguardo su quelle stupide parole contenute nella sua agenda, delusa, ferita e amareggiata da quel comportamento. Chissà, forse desidera essere altrove, magari da solo, magari con la donna di cui si è invaghito.
"Oggi sul set arrivano anche i produttori." provò a dire Amira nel tentativo di farlo parlare, anche mezza parole sarebbe bastata, ma lui si limitò ad annuire una seconda volta e a perdersi nuovamente nei suoi pensieri. Il tragitto continuò in quel clima di tensione, imbarazzo e silenzio totale. Venti minuti dopo Jeff parcheggiò a pochi metri dall'ingresso dell'edificio dove si tenevano le riprese, e solo allora Amira si sentì alleggerita. Salutò l'autista e poi seguì Robert lungo il corridoi che conduceva al loro camerino, dove trovarono la costumista e la parrucchiera ad aspettarli. Robert le salutò cordialmente e si sedette davanti allo specchio della scrivania per lasciarsi preparare, mentre Amira prese posto sul divano alle spalle di lui e si rimise ad ordinare la sua agenda. Ogni tanto alzava lo sguardo allo specchio che rifletteva l'immagine di Robert, gli avevano tagliato i capelli e gli stavano aggiustando il ciuffo, avevano scelto per lui un completo adatto per un avvocato, dato che avrebbe interpretato tale personaggio, e gli avevano steso un po' di fondotinta qua e là.
"Permette, questa la indosso da solo."
Le aiutanti annuirono e si dileguarono, lasciandoli soli. Robert si avvicinò ad Amira con la mano tesa, stava reggendo una cravatta. La ragazza alzò gli occhi su di lui e lo guardò confusa.
"Mi aiuti?" le chiese con lo sguardo fisso su di lei, che annuì e si alzò per dargli una mano. Si posizionò di fronte a lui e gli avvolse la cravatta attorno a collo, passandola sotto il colletto della camicia, e poi cominciò a legarla eseguendo vari giri. Dopodiché la tirò per controllare che fosse messa bene e incrociò i suoi occhi. Sentiva una voglia irrefrenabile di abbracciarlo, di baciarlo, di sentirlo suo, di averlo tutto per sé. Gli occhi di Robert erano concentrati sulle labbra di lei, così morbide, colorate di rosa dal rossetto, così invitanti. Le mise una mano sulla schiena e si avvicinò a lei, le sfiorò la bocca quando la porta del camerino si aprì: il regista lo stava chiamando. Amira si allontanò subito ed uscì in corridoio, dopo aver preso la borsa, e si diresse al bar per evitare di peggiorare le cose.
"Amira!"
La ragazza si voltò quando udì il suo nome e agitò la mano in segno di saluto, Harold era seduto al bancone del bar e stava bevendo un caffè. Amira ordinò un thè bollente e prese posto accanto al suo amico.
"Robert è in scena?"
"Sì, lo hanno preparato e a momenti dovrebbero iniziare a girare."
Il barista le portò la tazza di thè che aveva ordinato e cominciò a sorseggiarlo in silenzio, con la mente persa a pochi momenti prima. Sentire la mano di Robert sulla sua schiena le aveva riempito il cuore di gioia e adrenalina, sentiva il sangue correre nelle vene, sentiva la testa girare. Voleva baciarlo, voleva riprovare le emozioni di quella notte, assaporare di nuovo quelle labbra, sentire il suo corpo avvolto dalle sua braccia.
-Sono un caso perso, ormai. Gli omini nella mia testa sono tutti morti ed ora sono in balia del mio autocontrollo, che di controllo ha ben poco.-
"Signorina Taylor, la vogliono sul set!" gridò qualcuno all'altoparlante.
Amira lasciò una banconota sul bancone per il thè e, salutando Harold, si diresse di corsa sul set. Afferrò la sua agenda per cancellare il primo impegno concluso, ossia trucco e parrucco, e si avvicinò alla postazione di Robert. L'agenda le cadde dalle mani con un gran tonfo, tant'è che tutti si voltarono a fissarla, e sgranò gli occhi: Susan stava risistemando la cravatta a Robert. La ragazza raccolse l'agenda, scusandosi per il baccano, e si voltò di spalle per non far vedere che era sul punto di scoppiare a piangere. Si asciugò una lacrima e si schiarì la voce.
-Questo è il tuo lavoro, e lei è solo una produttrice. E' qui per lavoro, solo per lavoro. Sta calma.-
Riprese a camminare verso il suo capo e tenne gli occhi bassi, non aveva il coraggio di vederli insieme.
"Oh ma che piacere rivederla, signorina Taylor!" esclamò Susan con voce allegra e un entusiasmo falso quanto il suo sorriso. Amira respirò a fondo e tentò di riprendere il controllo della situazione.
"Salve, signora Levin."
"Come mi hai chiamata, ragazzina?"
Amira sorrise e la guardò in faccia, stringendo il ciondolo della collana a forma di sole e con un coraggio che le venne dal profondo.
"L'ho chiamata col suo cognome di battesimo, Levin. Su Wikipedia non c'è più scritto Susan Downey, ed io mi fido. E poi ero presente quando ha ceduto il cognome del suo ex marito per riappropriarsi del proprio."
Beccati questo, stronza.
Susan sbuffò infastidita e poi le rivolse un'occhiata truce e, sprezzante e stizzita, le si avvicinò.
"Non funzionano i tuoi giochetti con me."
"Certo, signora Levin."
La produttrice si allontanò con un ultimo sguardo colmo di odio e si accostò al regista. Robert scosse la testa e rise.
"Tu sei un fenomeno, ragazza!"
"Che ci fa lei qui? Non compariva sulla lista dei produttori del film." la voce di Amira era fredda, tagliente e non lasciava spazio alle battute o all'ironia.
Robert non le rispose, abbassò soltanto il capo e si morse il labbro inferiore.
Ma certo! Il viaggio misterioso lo ha fatto con Susan. Che idiota senza speranze che sono!
"Amira..."
"Non c'è bisogno che aggiunga altro, signor Downey, mi è tutto chiaro.
 
 
"E' necessario che quella ragazza lavori ancora per te?" chiese Susan con la bocca contratta in una smorfia di disgusto. Robert si abbandonò sul divano con gli occhi chiusi e ripensò a quella mattinata terribile. Trovare Amira in reggiseno era stato un colpo al cuore e lui avrebbe voluto mollare tutto e rimanere lì, con lei, in quella stanza a dimenticare il mondo e ad accarezzarsi. Ma lui non poteva. Susan aveva fatto  carte false pur di farsi prendere dal regista come co-produttore ed ora lo controllava minuziosamente. Avrebbe voluto spiegare ad Amira del perché la sua ex moglie, ora non tanto ex, fosse tornata e avrebbe voluto rassicurarla riguardo ai suoi sentimenti, dirle che era pazzo di lei, che voleva solo lei, che la desiderava ogni momento della sua vita.
"Robert!"
La voce stridula di Susan lo costrinse ad aprire gli occhi e ad annuire, ricevendo uno sguardo rabbioso da parte di lei.
"Amore, lo so che sarà difficile far tornare le cose come prima ma noi, insieme, possiamo farcela. Dimentichiamo gli ultimi due anni e ricominciamo da capo." gli sussurrò Susan all'orecchio, sedendosi a cavalcioni su di lui, mentre le sue mani scendevano fino al bottone dei pantaloni. Robert sbuffò e cercò di allontanarla, ma qualcuno bussò all'improvviso e lui per un attimo rimase fermo. Susan biascicò un 'avanti' e poco dopo apparve Amira, con la sua agenda rossa stretta al petto, ormai consumata dagli anni e scolorita, che diventò pallida e abbassò lo sguardo mentre i suoi occhi erano lucidi. Robert sentì una leggera pressione sul cavallo dei pantaloni e sposto lo sguardo dalla porta alla sensazione che provava: la mano di Susan erano posate proprio lì.
"Scusatemi." sussurrò Amira per poi scappare lungo il corridoio, e Robert sapeva che sarebbe corsa a nascondersi da qualche parte per piangere. Allontanò le mani della sua ex e si alzò in tutta fretta, passandosi una mano sul viso e dandosi dello stupido mentalmente.
"Da quando ti preoccupi che qualcuno ci trovi in situazione così...intime?"
"Da quando non voglio trovarmi in queste cazzo di situazioni con te, Susan!" urlò Robert e poi, infilandosi in tasca il cellulare, uscì dal camerino. Attraversò l'intero stabilimento e alla fine andò incontro ad Harold.
"Signor Dow..."
"Hai visto Amira?"
Harold rimase di sasso e lo fissò torvo ma subito si guardò attorno per vedere se riuscisse a trovare la sua collega.
"Qui non c'è. Forse la può trovare dietro agli alloggi dei costumisti, c'è un piccolo giardino di rose."
Robert annuì e si incamminò a passo svelto verso i camper degli aiutanti, aveva la mente annebbiata dalla rabbia e voleva solo trovare quella ragazza e chiarire. Si ritrovò dinnanzi ad un piccolo arco di pietra bianca, lo oltrepassò e in lontananza vide la figura di Amira. Si avvicinò a lei, seduta su una panchina, e le si affiancò. Amira alzò gli occhi e nel vederlo tentò di scappare ma lui le strinse la mano e la tirò nuovamente a sedere.
"Non è come credi." esordì Robert con la voce affannata, lo sguardo catalizzato sulla sua mano che stringeva quella
piccola di lei.
"Non mi interessa! Non me ne frega un cazzo se te la scopi nel camerino, Robert!"
"Io non... sei una stupida!"
Amira si alzò e con un strattone si liberò dalla presa di lui, poi si allontanò con le mani tra i capelli.
Fa che sia tutto uno scherzo. Non può davvero capitare a me.
Robert la raggiunse, abbracciandola da dietro, e le lasciò un bacio sulla guancia con la speranza di farla calmare, ma lei tremava ancora e forse era per rabbia oppure era la sua vicinanza.
"Davvero non è come credi. Lei è stata mandata qui dalla sua casa di produzione e il regista è ben contento, non la manderà via. E riguardo a prima...è stata lei a prendere iniziativa, e non mi sto giustificando, senza che io le concedessi il permesso. Amira, dopo quella notte, la nostra notte, non mi sono avvicinato a nessun'altra."
La nostra notte.
La ragazza si voltò verso di lui, sempre tra le sue braccia, e gli posò dolcemente le mani sul petto per poi accarezzare il punto esatto in cui si trova il cuore. Batteva forte.
"Così non posso andare avanti. Ho bisogno di...di una situazione tranquilla per poter continuare il mio lavoro. Capisci?" disse Amira, tenendo gli occhi fissi su di lui, la voce bassa e controllata, le mani salde sul suo petto. Robert annuì, stringendola a sé. La ragazza si staccò di colpo, si avviò verso il set con le mani tremanti e un nodo alla gola.
"Amira."
Lei non si voltò e continuò la sua avanzata, poi si bloccò e sorrise tra sé amaramente.
"Andiamo, signor Downey, le riprese iniziano tra dieci minuti."
 
 
"Quindi lei é tornata?!"
Amira si era allontanata dal set per chiamare Lola e potersi sfogare un po' con qualcuno che capiva bene la sua situazione. Si poggiò con la schiena ad un muretto e prese a calciare dei sassolini.
"Sì, lei è qui. Robert dice che ha fatto di tutto pur di essere presa sul set, ed ovviamente ci é riuscita, e inoltre ha detto che non se ne andrà. Non so, credo che lui abbia fatto quel famoso e alquanto misterioso viaggio con lei." disse Amira con la voce bassa per non farsi sentire, qualcuno avrebbe potuto riferire tutto a quell'arpia, e si lasciò scivolare lungo la parete per finire accovacciata sulle ginocchia.
"Tesoro, secondo me ti stai facendo troppe fantasie! Mi ha sempre detto che Robert é un tipo che dice le cose in faccia senza alcun timore e adesso perché dovrebbe mentire? Forse con il viaggio c'entra il figlio, intendo quello grande, e non vuole che si sappia in giro. E sono convinta che sia stata Susan davvero e prendere iniziativa in camerino, anche perché Robert non é certo uno che si tira indietro dinnanzi alle attenzioni di una donna."
Amira sorrise, si sentiva più rincuorata ora che aveva parlato con Lola, e sapeva che doveva tornare sul set.
"Ora devo andare, Jeff mi sta aspettando da dieci minuti. Grazie di tutto, Lola, sei davvero un'amica."
"Oh figurati! Sono la migliore, lo so!"
Amira chiuse la chiamata, premendo sul tasto rosso, e tra una risata per le parole della sua amica e una maggiore sicurezza raggiunse il suo autista nel parcheggio.
"Signorina Taylor, mi sono preso la briga di recuperare la sua borsa." le disse Jeff non appena lei gli fu vicino, gli sorrise e gli diede una pacca sulla spalla. Le venne aperto lo sportello e, una volta accomodatasi, prese la sua agenda dalla borsa e controllò gli impegni:
Alle 15 ha un'intervista, e poi deve ritornare sul set fino alle 22. Oh mamma, io già non ce la faccio più.
"Signorina, siamo arrivati."
"Grazie, Jeff. Ora puoi andare, io torno con il signor Downey."
Amira scese dall'auto e si avvicinò ad Harold, che stava appartato per non dare fastidio, per poi osservare a scena: era ambientata a casa del Giudice, concentrata in giardino, ed era il momento in cui Hanc (ossia Robert) si rendeva conto che l'auto di suo padre aveva un fanale rotto.
"Guardala, si comporta come se comandasse." le disse Harold con un cenno del capo in direzione del regista affiancato da Susan. Amira alzò gli occhi al cielo e fece una smorfia di disgusto.
"Ora si crede la padrona del mondo come tutte le volte in cui ha accompagnato Robert sul set. Ti ricordi quando pretendeva di pilotare le domande a cui il cast de 'The Avengers" avrebbe dovuto rispondere?"
Harold rise e scosse la testa.
"Sì! E ha litigato con Chris Evans. É stato epico."
Amira soffocò una risata per evitare di disturbare gli attori e si perse ad osservare Robert a lavoro. Era un attore eccezionale, entrava nel personaggio, ne assorbiva ogni minima sfumatura, ogni espressione, ogni sentimento, che riusciva a trasmettere attraverso lo sguardo, i gesti e la voce. Le venivano i brividi ogni volta che lo vedeva all'opera. Si calava nei panni di qualsiasi personaggio per poi interpretarlo nei migliori dei modi.
"STOP! La scena era perfetta! Dieci minuti di pausa, e poi giriamo la scena nel bar."
Robert sorrise al regista e si allontanò, sedendosi sulla sua sedia con la scritta 'RDJR' stampata sullo schienale. Amira gli si avvicinò con una bottiglietta di acqua tra le mani. Stava tremando.
"Grazie." le disse Robert, lei annuì e aprì la sua agenda rossa per sbarrare l'impegno riguardante le riprese fuori in giardino.
-Oddio, come sta bene co questo taglio di cappelli. Mi sanguina il cuore, aiuto! Chiamate un dottore perché il mio cuore oltre non regge. Fanculo, Robert. Non potevi nascere brutto e antipatico invece di nascere così...così...-
"Sei stato davvero bravo, tesoro!" gracchiò la voce di Susan, che era accanto a loro, e rivolse un mezzo sorriso ad Amira. La ragazza sbuffò e restò immobile, guardando verso la villetta dove Robert avrebbe recitato, e poi agitò la mano per salutare Duvall, il quale ricambiò con un ammiccamento.
"Quell'uomo ti adora." esordì Robert sorridente mentre lanciava uno sguardo alla sua assistente che abbassò gli occhi in imbarazzo.
"E non é l'unico." sussurrò lui, facendole l'occhiolino e regalandole un sorriso luminoso. Amira sorrise a sua volta e poi tornò alla sua agenda.
"Signor Downey, le ricordo che oggi ha un'intervista. Chiedo a qualcuno dello staff di accompagnarci così le aggiusta i capelli e il trucco?"
"No, Amira, andremo solo io e lei. Mi basta."
"Come desidera."
Susan emise un verso di fastidio e poi si ricompose, cercando di mascherare la stizza ma con scarsi risultati.
Nonna 0, Amira 1. I'm too fab for you, bitch!
"Downey, sul set! Ora!"
Robert si cambiò d'abito, gli venne sistemato il ciuffo e ritoccato il trucco, e infine salì nella stanza dove avrebbe girato la scena con l'intera troupe, compresa la sua assistente. Amira ed Harold si fecero piccoli piccoli in un angolo.
"Robert, adesso apri quello scatolone, dove ci troverai una maglia dei Metallica, e la indossi davanti allo specchio."
L'attore annuì e si mise a lavoro. Amira fu travolta dai brividi quando Robert si tolse la camicia per indossare la maglia che il personaggio indossava da ragazzo e dovette scrollare le spalle per riprendersi da quella visione, avrebbe voluto accarezzargli gli addominali appena pronunciati, avrebbe voluto contornare i tatuaggi con la punta delle dita, avrebbe voluto...
"Ti vibra il cellulare." le disse Harold a bassa voce, la ragazza si scusò e abbandonò la stanza per rispondere. Sul display apparve 'Mamma'. Amira sospirò e poi si portò il cellulare all'orecchio.
"Pronto?"
"Bambina mia! Come stai?"
-Sono innamorata del mio capo, devo assistere alle sue riprese, devo accompagnarlo ovunque, devo sopportare la sua ex moglie, devo fingere che vada tutto alla grande, e devo anche rispondere a questa chiamata. Mi viene voglia di buttarmi sotto un camion.-
"Va tutto bene, mamma. Da voi?"
Amira si era allontanata molto dalla sua famiglia quando aveva capito che non l'avrebbero sostenuta a causa del suo lavoro, i suoi genitori avevano sempre scelto per lei e suo fratello Andrew e anche raggiunta la maggiore età avevano continuato a comandare la loro vita. Però, mentre suo fratello aveva deciso di seguire le orme di suo padre e diventare architetto, lei aveva rifiutato di lavorare come insegnante di lingue e aveva deciso di accettare il lavoro offertole da Robert. Voleva staccarsi dai suoi genitori e quel lavoro le aveva dato la libertà che tanto desiderava.
"Qui stiamo benissimo. Ti volevo dire che tuo fratello e Madison hanno scelto la madrina per il battesimo della piccola Anna. Hanno scelto te!" esclamò sua madre con voce stridula e entusiasta. Amira sbarrò gli occhi e il panico ebbe la meglio su di lei.
-HANNO SCELTO ME? MA QUESTO VUOL DIRE TORNARE A CASA...QUESTA ANDREW ME LA PAGA. SPORCO TRADITORE.-
"Ah...che bello. Scusami, ma adesso devo tornare a lavorare. Dopo chiamo Andrew e ne parliamo. Ciao, mamma."
Amira chiuse la chiamata senza aspettare che sua madre rispondesse e si mise le mani tra i capelli, con quale coraggio sarebbe tornata a casa dopo tre anni?
"Signorina Taylor!"
La ragazza si voltò e vide Robert farle cenno di avvicinarsi, e così fece. Jeff le aprì lo sportello e lei entrò in macchina senza dire una parola.
"Che succede?" le chiese Robert, la voce preoccupata, gli occhi fissi su di lei e una mano sulla sua spalla.
"Niente, signor Downey. Sono solo molto stanca."
 
 
Alle 23:30 la giornata lavorativa si era conclusa. Amira, dopo un pomeriggio di intensa fatica tra interviste, cambi d'abito, trucco, capelli e riprese, aveva cenato in fretta e si era congedata dallo staff per rintanarsi in camera sua. Si era infilata il pigiama ed ora era in bagno. Qualcuno bussò alla porta e lei, sbuffando, andò ad aprire: era Robert.
"Fhe fuffede?" chiese lei, allarmata e stupida, con lo spazzolino in bocca che deformava ogni parola pronunciasse. Robert rise dolcemente a quella vista: lei con un paio di pantaloni del pigiama grigi, una maglia con una stampa di Topolino di quattro taglie più, il dentifricio attorno alle labbra e i capelli legati in uno chignon improvvisato.
"Volevo fare un giro qui attorno e mi chiedevo se tu volessi accompagnarmi."
Amira sembrò pensarci su, forse era riuscito a convincerla, ma lei scosse la testa e tentò di chiudere la porta, azione che venne impedita dal piede di Robert che aveva bloccato la porta. La ragazza sbuffò e lo fece entrare.
"Amira, ti prego, vieni con me. Ho bisogno di staccare la spina."
-Se non colgo al volo questa occasione sono fregata, ne devo approfittare. Forse, anzi sicuramente, domani me ne pentirò. Ma domani è un altro giorno.-
La ragazza alzò l'indice come a dire 'un momento', raccattò i primi vestiti che le capitarono a tiro e si chiuse in bagno, dove finì di lavarsi i denti e indossò un paio di jeans, una canottiera grigia e le scarpe da ginnastica, poi si legò i capelli in una coda ed uscì.
"Sono pronta!"
Robert annuì ed insieme lasciarono l'albergo usando la porta della servitù per non destare sospetti. L'aria era calda, frizzante e la luna splendeva alta nel cielo come uno spicchio di luce argentea.
"Ti voglio portare in un posto!" esordì Robert dopo vari minuti di silenzio, le afferrò la mano e prese una scorciatoia. A quel contatto Amira sentì una scossa lungo il corpo, come se potesse sciogliersi da un momento all'altro, chiuse le dita attorno alla mano di lui e si lasciò guidare. Sbucarono in un ampia strada totalmente deserta, eccetto qualche ubriacone che usciva o entrava nei bar, e imboccarono un altro vicolo illuminato appena da un lampione mal funzionante.
"Se aveva intenzione di uccidermi potevi farlo nella mia camera eh!"
Robert scoppiò a ridere e si voltò verso di lei con un'espressione buffa.
"Non voglio ucciderti, voglio...fare un bagno!"
Solo quando arrivarono nei pressi di un cancello di ferro con tanto di catenaccio Amira capì che quella era la piscina comunale.
-Cosa? Vuole scavalcare e farsi un bagno? Cos'è la piscina dell'hotel gli fa schifo? Perché ho accettato? A cosa stavo pensando? No, okay, lo so a che stavo pensando e lo sai anche tu che stai leggendo!-
"Scavalco prima io, così ti apro il cancello...in qualche modo."
"Stai forse dicendo che non sono in grado di scavalcare? Si sposti, signor Downey!"
Robert si allontanò di qualche passo e, con le braccia conserte, si concentrò su Amira. La ragazza prese un respiro, poi incastrò un piede nel primo spazio disponibile del cancello e cominciò a salire, aggrappandosi di qua e di là, fino ad arrivare dall'altra parte.
"Beh devo dire che mi hai stupito!" esclamò lui sorridente, quella ragazza era una vera forza della natura. Amira lo invitò ad entrare, senza che il cancello gli venisse aperto, e così lui ripeté le stesse azioni per poi ritrovarsi a pochi centimetri da lei che, troppo imbarazzata, prese a camminare verso la piscina. Quando raggiunsero la vasca piena d'acqua, Amira si sedette sugli spalti mentre Robert si avvicinò subito alla piscina.
"Tu non vieni?"
"Sei tu che vuoi fare il bagno, non io!"
Robert rise e cominciò a spogliarsi, si sfilò la maglietta, poi le scarpe, a seguire calzini e pantaloni, rimanendo solo in boxer. Diede un'occhiata alla piscina e si tuffò, riemergendo alcuni secondo dopo, portandosi  i capelli indietro con entrambe le mani.
-Io sto per morire, me lo sento. ROBERT DOWNEY JR, IN MUTANDE, BAGNATO, CON QUELLO SGUARDO BEFFARDO, QUEGLI ADDOMINALE CHE...ODDIO, VI INVITO AL MIO FUNERALE.-
"Dai, Amira, lasciati andare e vieni qui!"
-Beh se me lo chiedi così...-
La ragazza lasciò la sua postazione, scendendo per raggiungere la vasca, e abbandonò i vestiti lì. Senza tener conto dello sguardo di lui che la stava studiando si immerse nell'acqua e si poggiò a bordo vasca. Robert la raggiunse e l'affiancò.
"Che avevi oggi? Hai avuto il muso lungo tutto il pomeriggio."
"Mi ha chiamata mia madre e mi ha detto che mio fratello e sua moglie mi hanno scelta per fare da madrina ad Anna il giorno del suo battesimo."
"Ma tu non vuoi tornare a casa."
Amira annuì e iniziò a nuotare mentre lui rimase lì a fissarla: non indossava chissà cosa, eppure quel semplice intimo azzurro la faceva sembrare terribilmente bella e sensuale.
"Già. Non torno a casa da tre anni e non ho voglia di ritornarci."
"E' la tua famiglia, Amira."
"Sì, ma hanno sempre voluto comandare in ogni aspetto e decisione della mia vita, e lo sai. Più volte hanno provato a convincermi a lasciare questo lavoro ma...io...io..."
Robert nel frattempo l'aveva raggiunta all'altro bordo vasca, mise le mani ai lati della sue spalle e si avvicinò tanto da sentire i loro petti combaciare. Le gambe di Amira si avvolsero attorno al bacino di lui e posò le mani sulle sue spalle, erano a pochi centimetri.
"Baciami." sussurrò lei con gli occhi incatenati a quelli di Robert che, con un sorriso, annullò la distanza baciandola. Il bacio dapprima dolce e casto si trasformò in un bisogno travolgente, urgente, desiderato. Si allontanarono con il fiato corto, gli occhi lucidi e un sorriso felice.
"Non sai da quanto desideravo farlo." disse Robert, accarezzandole la guancia, mentre la tirava più a sé in modo che i loro corpi fossero attaccati. Amira gli passò le mani tra i capelli bagnati, sentiva il calore emanato dal corpo di lui, si beava del suo tocco, si lasciava lambire da quelle attenzioni.
"Mi sei mancato." ammise lei per poi poggiare la testa sulla spalla di lui, che le lasciò un bacio sul collo, poi lo guardò negli occhi e sorrise sorniona. Si liberò dalla presa di Robert, raggiunse la scaletta, uscì dall'acqua e si voltò verso di lui.
"Venga un po' qui, signor Downey!"
Robert uscì dalla piscina e la raggiunse, afferrandola per i fianchi per avvicinarla nuovamente a sé. Lei rise piano e con l'indice cominciò a contornare i suoi tatuaggi, passando per il petto, e scendendo lungo l'addome. Poi lo baciò. Lui sorrise nel bacio, sentendo il cuore esplodergli di gioia nel petto, con le mani che correvano sulla schiena di Amira, finalmente aveva tutto ciò che desiderava tra le sue braccia.
"Dovremmo tornare in hotel."
Robert scosse la testa energicamente e l'abbracciò ancora di più, assaporando la sua pelle.
"No, restiamo un altro po'."
Amira dovette cedere agli occhi dolci di lui e annuì, abbandonandosi a quelle carezze che tanto aveva desiderato.
 
 
 
 
Salve a tutti! :)
Scusatemi se sono sparita ma la scuola mi ha tenuta impegnata.
Cercherò di aggiornare presto, promesso.
Che ne pensate della storia? E dei personaggi? Cambiereste qualcosa? Lasciate una recensione ;)
Alla prossima.
Baci xxx
 
Ps. scusate eventuali errori.
 
Ps.-à vi lascio il link della Os che ha dato inizio a questa storia J
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3302461&i=1

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Capitolo 3
*** Il segreto di Amira ***


CAPITOLO TERZO: 'Il segreto di Amira'.
 
 
La sveglia del cellulare squillò più volte mentre la luce del sole filtrava attraverso le fessure delle persiane. Amira con un lamento aprì gli occhi, sbadigliando rumorosamente, e disattivò quel rumore fastidioso per poi mettersi seduta e sorridere inconsapevolmente. Aveva passato un serata meravigliosa con Robert tra baci, risate e qualche argomento riguardo a lavoro, poi erano rientrati in albero verso le tre di notte, stanchi ma felici. Si erano dati una semplice buonanotte, fatto solo di parole, sguardi e dita intrecciate. La ragazza corse in bagno, era in ritardo, e dovette prepararsi in soli venti minuti. Decise di indossare una maglietta rossa e una gonna nera che arrivava fino al ginocchio, calzò un paio di Vans nere e si sistemò i capelli, ancora umidi a causa della doccia, meglio che poté e poi raggiunse di fretta la hall, dove trovò Robert, Susan e Jeff ad aspettarla.
"Buongiorno, scusate il ritardo." disse Amira non appena fu vicina ai tre con la sua agenda stretta tra le mani. Robert alzò gli occhi su di lei, nonostante fossero nascosti dagli occhiali da sole, e le regalò un sorriso ampio mentre Susan sbuffava e li guardava di sottecchi.
"Ha dormito poco, signorina Taylor?" le chiese Susan, scrutandola in viso, e poi lanciò un'occhiata anche al suo ex marito e parve scioccata.
"Sono andata a letto molto tardi, verso le tre. Ho lavorato, dovevo riorganizzare gli impegni del signor Downey."
Robert rise e si alzò, facendo segno alle due donne e all'autista di seguirlo, così si recarono sul set con una sola macchina: Amira era seduta accanto a Jeff, mentre dietro c'erano Robert e Susan.
"Signorina Taylor, ha saputo che stanotte qualcuno ha illegalmente fatto il bagno nella piscina comunale?" le chiese il suo capo, sorridendole nello specchietto, mentre digitava freneticamente sullo schermo del suo I-phone. Amira si trattenne dallo scoppiare a ridere e annuì solamente, mordendosi l'interno della guancia per timore che Susan potesse capire che erano loro ad aver fatto il bagno. Poco dopo il suo cellulare vibrò e lei intuì che era stato Robert a scriverle un messaggio, lo tirò fuori dalla tasca e lo lesse:
'Stamattina sei splendida, hai un sorriso che fa invidia alla luminosità del sole. É merito mio, forse? -R'.
'Merito tuo? Io ieri sera sono stata in camera mia a lavorare per te! -A'
'Quanto sei scema?! Si vede lontano un miglio che passare la serata con me ti ha messa di buon umore. -R'
'Beccata! -A'
'Ho voglia delle tue labbra. Ora. -R'
'Robert... -A'
'Sono serio. Voglio tornare a ieri sera, in quella piscina, con te, con i tuoi baci e le tue mani su di me. -R'
'Susan ci sta guardando. Ne parliamo dopo. -A'
Effettivamente gli occhi di Susan rimbalzavano come palline di ping-pong da Robert ad Amira con un'aria accigliata e infastidita. Robert la guardò e alzò le spalle.
"Era il regista, ci aspetta."
Era evidente che la sua ex moglie non gli credesse, ma per il resto del tragitto lui ed Amira evitarono qualsiasi contatto, sia visivo che telefonico. Arrivarono sul set dieci minuti dopo e subito si misero a lavorare. Quella mattina avrebbero girato la scena dell'aeroporto, quella in cui Hanc incontrava sua figlia per portarla a conoscere nonno Palmer. Quando ebbero finito di preparare gli attori la parte difficile iniziò: vennero sistemate telecamere, luci, effetti, fotocamere e il regista strillò un 'ciak' che diede moto all'azione. Amira si sistemò dietro al regista perché aveva deciso di godersi la bellezza di Robert a tutti gli effetti e non restando seminascosta in un angolino, aveva gli occhi totalmente persi ad ammirare le abilità recitative del suo capo, sorrise nel vedere con quanta dolcezza si rivolgeva alla piccola attrice che interpretava sua figlia e le si scaldò il cuore quando lui strinse la mano della piccolina e rimase stupita di come, ancora una volta, aveva reso speciale il suo personaggio e la scena. Le riprese proseguirono per tutta la mattinata e per buona parte del pomeriggio, solo all'ora di pranzo ebbero una breve pausa me tornarono subito all'opera. Amira si allontanò un attimo per fare una chiamata. Due squilli e la voce gentile di una donna rispose.
"Pronto, chi parla?"
"Signora Ross, sono Amira Taylor, l'ho chiamata la settimana scorsa. Ricorda?"
"Oh ma certo! Temevo non chiamassi più e sono sollevata che tu lo abbia fatto. Dimmi tutto."
La ragazza si guardò attorno per controllare che nessuno l'ascoltasse ma, non sicura, si allontanò maggiormente.
"Le volevo dire che stasera sono libera e quindi ho la possibilità di aiutarla alla mensa per la cena."
"Sarebbe perfetto! Sono arrivati tre nuovi ragazzi e abbiamo bisogno di tutto l'aiuto possibile."
"Allora ci vediamo per le 19,30?"
"Molto bene, Amira. A stasera."
"A stasera."
"Con chi stai parlando?"
Amira sobbalzò e si voltò con una mano sul cuore che batteva forte, poi si rilassò quando riconobbe Harold.
"E tu da dove esci? Comunque, stasera ho un impegno." rispose la ragazza, incamminandosi di nuovo verso il set assieme al suo collega.
"Dovevo svolgere delle commissioni per Robert. Non trovi divertente il fatto che tra di noi lo chiamiamo per nome?"
Amira si pensò su e poi, ridendo, annuì seguita da Harold. Giunsero presso la postazione del loro capo e lo videro seduto nel tentativo, per altro scarso, di sistemarsi la cravatta.
"Le serve una mano?"
Robert sollevò lo sguardo su di loro e fece cenno di sì col capo, sedendosi sulla sedia personale, per poi lasciare che le mani esperte della sua assistente lo aiutassero. Sentire le dita di lei sfiorargli il collo provocò una serie di brividi lungo la schiena, voleva stringerle i fianchi, baciarla, tenerla stretta a sé come avevano fatto qualche ora prima, voleva soltanto seguire la sua volontà e lasciar perdere le apparenze e gli obblighi che aveva verso quel mondo che odiava. Era stanco di fingere anche riguardo ai suoi sentimenti. Baciò il dorso della mano di Amira soltanto quando Harold si allontanò, stando attento che nessuno lo guardasse, e lei gli fece un sorriso ampio che lo fece sorridere a sua volta.
"Di nuovo in scena!"
 
 
Verso le 19:00 lo staff e gli attori si ritrovarono al ristorante dell'hotel, ovviamente seduti a tavoli diversi. I VIP con i VIP e la gente comune con la gente comune. Amira prese posto accanto ad Harold e a Mary, una delle makeup artist, e si accorse che da lì aveva una perfetta visuale su Robert. Vennero servite le pietanze e cominciarono a mangiare.
"Harold, ma da quanto tempo non tocchi cibo?" chiese Jeff dall'altra parte del tavolo nel vedere quanto fosse affamato il suo collega. Tutti risero e il diretto interessato alzò gli occhi al cielo. Amira puntò gli occhi sul tavolo del cast mentre portava il bicchiere di acqua e vino alle labbra, osservando Robert: stava parlando e gesticolava, facendo ridere tutti i presenti attorno a lui, sorrideva, accennava qualche occhiolino, ogni tanto dava qualche pacca sulla spalla di qualche attore, fino a quando sollevò lo sguardo e le fece un cenno con la mano. Susan seguì in mediamente il saluto e aggrottò le sopracciglia quando si sere conto che era per Amira. La ragazza abbassò il viso sul suo piatto di colpa e riprese a mangiare.
"Amira, quand'è che ci fai conoscere il tuo fidanzato?"
Amira tossì, stava per strozzarsi con un pezzo di carne, e mandò giù un sorso d'acqua.
-Ma perché diavolo devono farmi queste domande? Ma poi, quale fidanzato? Il massimo che ho è una vecchia agenda logora e piena di scarabocchi. Oppure io e Robert abbiamo una specie di...no, non abbiamo nulla.-
"Perché questa domanda imbarazzante? Comunque, non ho un fidanzato. Siamo solo io e la mia agenda." rispose lei con un filo di voce, ma avrebbe voluto tanto dire 'ehi gente, io e Robert stiamo insieme e siamo felicemente innamorati', ma quello era un pensiero che teneva solo per sé. La cena terminò tra uno scoop, una risata e qualche battuta piccante, poi ci fu chi si recò in camera e chi uscì a fumare. Amira ritornò nella sua camera per farsi una doccia velocissima, sciacquarsi i denti e sgattaiolare via, questa volta da sola. Scese nella hall e passò per il bar, raggiungendo la porta di vetro, e uscendo dal locale, ma una voce la richiamò: Robert stava comodo su uno sgabello al bancone del bar con uno scotch in mano e la guardava confuso.
"Salve, signor Downey."
"Dove stai andando alle 21.00?"
E adesso che faccio? Che gli dico? Non mi va di dirgli una bugia ma non mi va nemmeno di dirgli che sto andando alla mensa dei poveri della città per dare una mano a distribuire il cibo. Perché non è in camera sua a fare zapping tra i canali?
"Ehm...sto uscendo." disse Amira, dondolando sui piedi, mentre si mordicchiava un'unghia. Robert sembrò deluso da quella risposta, bevve un sorso del liquido contenuto nel bicchiere e si avvicinò a lei.
"Ti vedi con qualcuno?"
La ragazza aprì la bocca per dire qualcosa ma la richiuse subito, troppo sconvolta e infastidita.
"Come puoi solo pensare che mi veda con qualcuno dopo...dopo quello che abbiamo fatto?!"
Alcuni clienti si voltarono nella loro direzione perché attirati dal tono di voce di Amira, così Robert la afferrò una mano e la portò fuori, in una stradina laterale.
"Dove diamine stai andando?"
"Perché devo dirtelo? Non stiamo insieme!"
Quelle parole vennero cacciate fuori dal cuore e dalla mente con tutto il fiato che aveva in corpo, e alcune lacrime cominciarono a velarle gli occhi e lei si coprì il volto per evitare che lui la guardasse.
-Smettila di frignare, stupida ragazzina! Lo vuoi? E allora prenditelo! Non lasciare che le difficoltà ti abbattano e ti facciano perdere la persona che ami. Combatti!-
Amira si asciugò la lacrime e si gettò tra le braccia di Robert, che la strinse forte e le lasciò un bacio sulla guancia.
"Puoi venire con me, se vuoi." sussurrò la ragazza, la voce da bambina, la guancia premuta sulla spalla di lui, le mani strette alle sue spalle. Lui rise e poi annuì.
"Sì, mi farebbe molto piacere venire con te."
 
 
"Dove siamo?"
Erano sopraggiunti in una zona di periferia, senza-tetto che dormivano sui cartoni, donne che chiedevano l'elemosina ai passanti, bambini che giocavano scalzi e avevano facce beffarde. Amira gli prese la mano e lo condusse in fondo al vialetto, verso una struttura vecchia, usurata e umida, era il vecchio manicomio.
"Questa è la mensa dei poveri, se ne occupa Gemma Ross, una vedova, e ospita circa venticinque orfani oltre ad offrire i pasti. Io ho fatto delle ricerche e appena ho scoperto questo pos..."
"Lo sapevo."
"Cosa sapevi?"
"Lo so che il sabato e la domenica ti dedichi al volontariato ovunque ti capiti, in parrocchia, in ospedale, nei centri sociali, negli orfanotrofi, nelle case di cura per anziani. Quando hai cominciato a lavorare per me sembrava strano che tu il sabato pomeriggio e tutta la domenica sparissi, così ho mandato Harold a fare delle ricerche e ho scoperto questo tuo...segreto, diciamo."
Amira rimase allibita da quella confessione e non sapeva dove mettere la faccia, nessuno, eccetto Lola e Jeremy, sapeva del suo 'segreto' ed ora che qualcuno, anzi proprio Robert, lo avesse scoperto le metteva una certa ansia.
"Io...io..."
"Perché non ne hai mai parlato?"
"Io non volevo e non voglio che qualcuno lo sappia, ho sempre ritenuto che la gente mi avrebbe elogiata con ipocrisia. E poi mia nonna dice sempre 'fa del bene e scorda, fa del male e ricorda', perciò l'ho mantenuto per me. E' una cosa mia, che mi fa stare bene, che mi fa sentire in pace con me stessa, e non voglio sbandierarla."
Robert sorrise, mai aveva conosciuto una persona con un cuore così grande ed un'anima tanto pura, quella donna era meravigliosa. Si avvicinò a lei e stava per baciarla quando sentì qualcosa tirargli la maglietta, abbassò gli occhi e notò che un bambino, di sette anni circa, aveva la testa rivolta verso l'alto e lo stava fissando.
"Ma tu sei Ironman!" esclamò il bimbo con gli occhi pieni di entusiasmo e la voce squillante. Robert si abbassò per raggiungere la sua altezza e gli indicò il cuore.
"Ebbene sì, sono Ironman. Nessuno mi aveva mai scoperto in questi anni ma tu ci sei riuscito, ometto, non è che forse hai la supervista?"
Il piccolo annuì lentamente, troppo contento e stupito per aggiungere una parole, ed Amira scoppiò a ridere.
"Carlos!"
Gemma Ross gli stava andando incontro preoccupata e con il fiatone a causa della corsa, abbracciò il bambino e sorrise ai due.
"Tu devi essere Amira! Io sono Gemma Ross. E lui...oddio, ma lei è Robert Downey Jr!"
"La prego, signora, mi dia del tu e non si esalti."
Gemma sorrise imbarazzata e annuì.
"Vogliamo entrare?"
"Ma certo!"
Una volta entrati, un forte odore di minestra e pane caldo si diffuse nella stanza e i bambini, seduti su delle lunghe banche di legno marcio, ridevano e scherzavano tra di loro. Amira strinse la mano di Robert e insieme avanzarono verso la cucina, un enorme stanzone che puzzava di muffa e la pittura cadeva dalle pareti, dove trovarono altre due donne anziane che mettevano il cibo nei piatti.
"Ci mettiamo al lavoro, signor Downey?" gli domandò Amira con un sorriso, legandosi i capelli e indossando un grembiule verde.
"Assolutamente sì, signorina Taylor!"
"É sicuro di volersi sporcare quel bel completo che indossa?"
Gemma lo stava fissando e aveva intuito che quella giacca e quei pantaloni dovessero essere molto costosi, dato che lui era un attore, e gli passò un altro grembiule che Robert indossò senza tanti problemi. Poggiò la giacca su una sedia e si tirò su le maniche della camicia, così cominciarono a servire i piatti. I bambini sembravano davvero contenti che ci fossero due nuove persone e non si risparmiavano a sorridere e a dire gentilmente e timidamente 'grazie'. La maggior parte indossava abiti troppo grandi o troppo piccoli, lerci, strappati, e non tutti portavano le calze. Robert si sedette su una delle panche libere e si mise ad osservare Amira che si aggirava tra i tavoli con un sorrisone enorme e una luce negli occhi che la rendeva ancora più bella, e non era bellissima solo per il suo aspetto ma la sua era una bellezza che partiva dall'anima e si irradiava in tutto il suo corpo. Alzò gli occhi su di lui e gli fece l'occhiolino per poi servire gli ultimi piatti. Vederla sotto quella nuova luce gli fece capire che quella ragazza meritava qualcuno che l'amasse senza riserva, che le desse il meglio, che la rendesse davvero felice, ma lui si stava comportamento da perfetto egoista perché non respirava al solo pensiero che lei stesse con un altro.
"Lei ti piace?"
Robert si voltò e si ritrovò davanti agli occhi Carlos, il bambino di prima, che lo guardava con ammirazione e un pizzico di timore.
"Oh...beh sì, lei mi piace. Si nota molto?"
Carlos scoppiò a ridere e poi due braccia lo presero in braccio, era Amira che lo tenne seduto sulle sue gambe e gli stampò un bacio sulla guancia.
"Ti invidio, sai, perché lei a me non ha mai dato un bacio così grosso!" esclamò Robert con una faccia buffa che fece ridacchiare il bimbo e fece alzare gli occhi al cielo alla sua assistente.
"Perché io sono bello." rispose Carlos con tutta l'innocenza della sua età e una faccetta birichina. Robert rise e gli spettinò i capelli dolcemente mentre Amira sorrise per la semplicità con cui lui riusciva a farsi amare dai bambini, e  non solo perché lo vedevano come Ironman, ma era proprio il suo carattere così espansivo e disponibile che glielo permetteva.
"Ironman ha una cosa che lo rende...mmh...come si dice? Qualcosa che lo fa sbagliare?"
"Intendi se ha un punto debole?"
Carlos annuì e si mise in ascolto.
"Sì, la sua Pepper." rispose Robert, tenendo gli occhi fissi su Amira che diventò rossa e sorrise.
"Carlos, vieni a vedere cosa fa Caleb con la pasta!" gridò uno dei bambini e il piccolo, dando un bacio sulla guancia ad Ironman e alla sua amica, scappò via ma venne fermato dalla mano di Robert che si tolse un braccialetto blu e rosso e lo porse al piccolo.
"Adesso è tuo, sei ufficialmente l'aiutante di Ironman!"
Il bambino spalancò gli occhi per lo stupore, l'incredulità e la gioia, poi abbracciò Robert e corse a dirlo ai suoi amici.
"Sai, è una realtà difficile questa. Ad un certo punto ti dimentichi che i bambini soffrano così tanto, ed io sono abituato a vedere come vivono i miei figli. E'...straziante." disse lui mentre lasciava che lo sguardo vagasse in quella stanza, tra quei volti e quelle storie, tra la speranza e il dolore.
"Sì, stando a contatto con loro capisco quanta sofferenza provano ma non si lasciano abbattere, sorridono, ridono, sperano e cercano di estrapolare sempre il meglio dalla vita." replicò Amira, sentendo gli occhi inumidirsi, e poi si alzò e allungò una mano verso Robert.
"Tra dieci minuti vanno a dormire e non possiamo restare, facciamo una passeggiata prima di rientrare. Che ne pensi?"
"Penso sia un'idea fantastica."
 
 
"Prima, con Carlos e gli altri bambini, sei stato fantastico."
Erano seduti su una panchina nel piccolo parco della città e stavano mangiando un gelato, l'aria era fresca, il cielo coperto di stelle e gli alberi a tenerli nascosti.
"Aspetta, hai detto 'prima'? Io credevo di essere sempre fantastico, 24h/24!"
Amira proruppe in una risata cristallina e quasi stridula che fece ridere lo stesso Robert.
"Sei davvero pessimo, Downey!"
"Dai, faceva ridere! Sono simpatico!"
"Non ho mai detto una cosa del genere." disse la ragazza con un sorriso ampio dipinto sul volto mentre col cucchiaino di plastica mandava giù il gelato. Robert le fece la linguaccia e posò la coppetta vuota sulla panchina.
"Descriviti in quattro parole." le propose lui, Amira ci rifletté su e cercò di rispondere alla sua richiesta.
Sono innamorata di te. Rende l'idea? Peccato che io non te lo possa dire...
"Imbranata, timida, generosa e con la testa sulle spalle. Tu?"
"Sono bravo a letto."
Amira rimase un istante immobile, senza dire una parola, poi si abbandonò ad una risata spassosa, tenendo le mani sullo stomaco e con le lacrime agli occhi. Robert scosse la testa e sghignazzò.
"Non...p-puoi averlo detto sul serio!"
"Perchè? E' la verità!"
"Sei irrecuperabile..."
"Sei stupenda."
Amira alzò gli occhi di lui e smise di ridere, una strana tensione era calata su di loro, non scherzavano più, si avvicinarono e Robert la baciò. Dapprima lei rimase scossa ma si lasciò andare per assaporare quelle labbra che aveva desiderato per tutto il giorno mentre la mano di lui le accarezzava dolcemente la guancia e sembrava che il mondo attorno a loro fosse sparito, esistevano soltanto i loro sentimenti. Robert l'attirò a sé, facendola sedere a cavalcioni, e le strinse i fianchi per tenerla più vicino. Il bacio si era trasformato in una voglia di amarsi urgente, si stringevano, si accarezzavano, si trasmettevano ogni emozione e ogni desiderio, era così profondo il bisogno del contatto che rimasero lì a baciarsi fino a quando ebbero il fiato. Tutto intorno era magico, silenzioso e solo i loro sospiri spezzarono quel silenzio.
 
 
 
Salve a tutti!
Questo é il terzo e spero vivamente che apprezziate la storia e i personaggi.
Fatemi sapere cosa ne pensate con una recensione o un messaggio: cosa vi piace e cosa no, cosa vorreste di diverso ed eventualmente come cambiare gli eventi.
Alla prossima.
Un bacio.
 


 

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Capitolo 4
*** Voglio raccontarti la verità ***


CAPITOLO QUARTO : Voglio raccontarti la verità.
 
 
Il giorno seguente si ritrovarono tutti, attori e staff, sul set alle 7.00 precise non per girare bensì per le interviste. Tutti quanti correvano a destra e a sinistra per completare i lavori, i truccatori si dividevano tra due o più attori, la stanza odorava di lacca, gelatina, piastra e asciugacapelli, i vestiti venivano trasportati su dei lunghi porta-abiti e ciascuno prendeva il proprio capo d'abbigliamento per poi sparire nei camerini e prepararsi. Robert era seduto mentre Amira raccattava dei vestiti, poiché la sua stilista era malata, e non sapeva proprio dove mettere le mani.
-Fantastico. Oltre ad essere la sua assistente adesso devo anche occuparmi del suo outfit, questo lavoro mi sta uccidendo. Mannaggia alle capre!-
"Ecco a lei, signor Downey!"
La ragazza passò degli abiti al suo capo, jeans, maglietta a maniche corte bianca e giacca blu, che li prese e si tolse la tuta che indossava. Amira sgranò gli occhi e gli diede le spalle per evitare che il suo sguardo seguisse le sue forme.
"Avanti, Amira, non dirmi che ti vergogni! Mi hai visto anche senza mutande!" esclamò Robert, ridendo, mentre si abbottonava i pantaloni.
"Smettila di mettermi in imbarazzo! E non ti rivolgere a me così sul lavoro, lo sai."
"Va bene, mi scusi. Non volevo offenderla, signorina."
Lui si avvicinò ad Amira, abbracciandola da dietro, e poggiò il mento sulla sua spalla. Lei sorrise e si lasciò stringere mentre sentiva le mani di lui che le accarezzavano il ventre, aveva atteso tanto per passare momenti del genere con lui e voleva che non finissero mai. Lo voleva tutto per sé.
"Stanotte mi sei mancata."
"Lo dici perché vuoi che ti porti il caffè?"
Robert rise e le lasciò un bacio sul collo, lei rabbrividì e così gli stava dando potere, e decise di allontanarsi. Mosse un passo in avanti, sciogliendo l'abbraccio, ma Robert l'attirò di nuovo a sé e la baciò senza pensarci due volte. Amira sorrise nel bacio, le mani premute sulla sua nuca, le mani di lui sulla schiena, i sospiri tra un bacio e un altro. Lui la bloccò tra il muro e il suo corpo, baciandola con dolcezza, senza alcuna passione e senza fretta, voleva godersi quegli attimi in ogni minimo particolare. Le dita affusolate di Amira gli accarezzarono il petto, soffermandosi sul cuore, scesero lungo l'addome e lui sentiva i brividi dappertutto. Robert si avvicinò ancora di più a lei, le mani strette sui suoi fianchi, le labbra sul suo collo e i gemiti della ragazza che lo incitavano a continuare. Non avrebbe retto, stava cedendo.
"Robert!"
La voce di Susan giunse ovattata dal corridoio e Amira si staccò subito, rimettendosi la maglia e i capelli in ordine e sedendosi sul divano fingendo di scrivere sulla sua agenda rossa. Robert si chiuse nel piccolo bagno del camerino per finire di vestirsi. La porta si spalancò e si rivelò la figura della donna, capelli scuri, abito blu, sguardo accigliato. Entrò, chiudendosi la porta alle spalle, e diede un'occhiata in giro.
"Buongiorno, signora Levin." esordì Amira con un sorriso cordiale e la voce ancora un po' fuori tono a causa dei momenti appena vissuti. Susan fece una smorfia, neanche lontanamente simile ad un sorriso o ad una risata, e si mise con le braccia conserte davanti alla porta da cui uscì Robert, vestito, pochi minuti dopo.
"Susan."
"Dove sei stato ieri sera? Ti ho lasciato al bar e quando sono tornata tu eri sparito. Inoltre stanotte sei rientrano verso le 2.00, che diamine stai combinando? Anzi che state combinando? Vi ho visti salire insieme. Esigo delle spiegazioni!" strillò Susan in preda ad una crisi di nervi, e forse aveva capito cosa c'era sotto.
-Devo fare qualcosa altrimenti questa rovina tutto.-
"Signora Levin, é colpa mia. Dovevo andare in un posto e ho pensato che al signor Downey avrebbe fatto piacere venire con me, abbiamo passato la serata in una mensa per poveri. Purtroppo il tempo mi é scappato di mano e siamo tornati tardi."
-In realtà abbiamo passato un paio di ore a baciarci su una panchina e poi siamo tornati mano nella mano in albergo, ma tu questo non lo devi sapere.-
Robert le lanciò uno sguardo severo, aveva sbagliato a parlare e a proteggerlo, era lui che doveva affrontare Susan.
"Il suo lavoro consiste nel prendersi cura, attimo dopo attimo, degli impegni di Robert, signorina Taylor, e tra le sue mansioni figura il dovere di controllare che lui dorma e si riposi durante le riprese di un film invece di portarlo in giro fino a tarda notte. La stanchezza potrebbe compromettere il film!"
"Ma che stai dicendo?" sbottò Robert con tono incredulo e infastidito, allargando le braccia e scuotendo il capo.
"Me ne occupo io, Rob. Signorina Taylor, lei é sospesa dal suo incarico fino ad ulteriori aggiornamenti." sentenziò Susan, timbro autoritario, mani sui fianchi e atteggiamento severo. Amira aprì la bocca ma la richiuse perché sapeva che se avesse parlato quella donna avrebbe reso le cose ancora più difficili, così si limitò ad annuire e lasciò la stanza. L'ultima cosa che udì furono le urla di Susan e Robert.
Arpia 1, Amira 1.
-Siamo pari, é ancora tutto da giocare.-
 
 
"Amira?"
Amira spostò lo sguardo dal libro che stava leggendo alla persona che si trovava dinnanzi a lei, era Robert Duvall. Si tirò su e, sorridendo, strinse calorosamente la mano dell'uomo.
"Perché sei qui tutta sola? Non devi aiutare Robert?"
"Beh...La signora Levin, a dire la verità, mi ha sospesa dall'incarico perché io e il signor Downey siamo rientrati tardi stanotte." rispose Amira con voce incerta, bassa e carica di tristezza. Mai avrebbe pensato di essere sollevata dal suo lavoro e certo non si aspettava che fosse proprio quell'arpia a cacciarla dopo tutto quello che aveva fatto. I primi tempi erano stati duri, pieni di lavoro, nuove situazioni che lei non sapeva come affrontare, impegni da programmare, notti insonni per organizzare interviste e servizi fotografici, pranzi saltati per correre o in lavanderia o sul set o semplicemente Robert la cercava, senza nessun reale motivo. Perché lui non si era opposto? Perché non era lì a dirle che era la sua assistente a tutti gli effetti e che gli doveva rimanere accanto? Ad Amira non pesava la cosa sul piano sentimentale, bensì sul piano lavorativo per la fatica e la dedizione che aveva dimostrato in quei tre anni.
"Conosco Susan, é perfida quella donna. E mi stupisce che ci abbia messo così tanto tempo per allontanarti dati i rapporti tra te e Robert."
Gli occhi della ragazza guizzarono sull'uomo, il quale rise e le fece l'occhiolino, poi la prese a braccetto e si incamminarono verso l'uscita.
"Ho notato come vi guardate, non sono sguardi di intesa di un capo e una segreteria, sono gli sguardi di chi segretamente si ama." continuò Duvall con tranquillità e un tono divertito come se fosse normale quella cosa, come se stesse parlando di giardinaggio.
"Sono innamorata di lui da due anni e mezzo. Ho cominciato a guardarlo con occhi diversi quando, una sera d'inverno, bussò alla mia porta a notte fonda ubriaco. L'ho fatto accomodare e lui si é steso sul divano, siamo rimasti in silenzio e ad un certo punto mi ha raccontato la storia della sua vita."
Erano arrivati in uno spiazzale ampio, sempre all'interno della grande struttura di cui usufruivano per lavorare, e Amira notò alcuni cameraman e alcuni giornalisti, molti dei quali già conosceva.
"Amira, mi faresti l'onore di assistere ad una mia intervista?" le chiese Duvall con un sorriso e lei non poté che esserne entusiasta.
"Oh ma certo!"
Duvall si avvicinò ad una giornalista del Mirror e, dopo essersi sistemati all'ombra, cominciarono le domande. Amira si sedette in un angolino e rimase ad ascoltare l'intervista, ogni tanto rideva per le risposte dell'attore e altre volte si commuoveva o rimaneva stupita nell'apprendere cose nuove di quell'ambiente. Ad un certo punto la vibrazione del cellulare le fece perdere la concentrazione, lo tirò fuori dalla borsa e aprì il messaggio:
"Dove sei? Ho bisogno del tuo aiuto. -R"
Tutto qui? La cercava perché da solo non era capace? La ragazza sbuffò e senza rispondere infilò di nuovo il telefono in borsa, ma altri due tremolii la costrinsero a riprenderlo: 2 messaggi.
"Perché non rispondi? Ti ripeto che ho bisogno del tuo aiuto. -R"
"Amira, ti prego. -R"
Amira impostò la modalità silenziosa e finalmente tornò all'intervista di Duvall, che le sorrise quando la vide annuire come a dire 'va tutto bene'. Una quarto d'ora dopo Harold la raggiunse e la richiamò.
"Dimmi, Harold."
"Ma che fine hai fatto? Robert ha dato di matto perché non c'eri e ha saltato due interviste. Che succede?"
-Succede che tutto sta andando a rotoli, la mia famiglia, il mio lavoro e i miei sentimenti. Succede che sono stanza di fingere che vada tutto. Succede che vorrei solo piangere come se non ci fosse un domani perché a tenersi tutto dentro si finisce a stare male.-
"Momentaneamente non lavoro più per il signor Downey, sono stata sospesa."
Harold rimase a bocca aperta (letteralmente) non potendo credere alle sue orecchie. Amira gli diede una pacca sulla spalla e gli sorrise per evitare che il suo amico si sentisse responsabile per qualche motivo.
"Tranquillo, tornerò a lavorare. Forse già tra un paio di giorni!"
"Sì..."
"Dai, ora torna da Robert che sicuramente avrà bisogno di te."
Harold annuì incerto e con un'espressione mesta si allontanò per raggiunge di nuovo il suo capo. Amira si voltò di spalle e cominciò a singhiozzare: sentiva che stava per perdere tutto ciò che aveva e questo stata a significare che avrebbe perso la sua libertà se fosse stata del tutto licenziata. Dipendeva tutto da Robert.
 
 
"Signor Downey, ho trovato Amira. É in cortile con Duvall. Posso fare altro?"
"No, Harold. Puoi andare. Grazie."
Harold annuì e si dileguò, lasciando solo Robert nella sua stanza. Aveva saltato due interviste perchè non aveva voglia di incontrare gente, rispondere alle solite domande, stare lì e abbozzare sorrisi falsi come le banconote stampate male. Chiuse gli occhi e si passò una mano sul viso.
-Ma che sto combinando?-
Aveva permesso che Susan allontanasse Amira, che si era addossata una colpa non sua, e non aveva nemmeno provato a disobbedirle. Ho la tua reputazione nelle mie mani, gli aveva detto Susan. Essere ricattato dalla propria ex moglie era davvero terribile, non poteva compiere un passo senza che lei se ne accorgesse. Quel viaggio aveva solo peggiorato le cose a tutti ma lui era stato incastrato, era partito solo perchè suo figlio aveva bisogno di lui ma invece aveva trovato altro. Si mise seduto e sospirò, poi gli cadde l'occhio su un quaderno ma quando lo prese tra le mani si accorse che era un'agenda rossa: l'agenda di Amira. Aprirla o non aprirla? Tentennò un attimo ma la curiosità ebbe la meglio e sfogliò le pagine per poi sceglierne una, cominciò a leggerla. Non era dedicata al lavoro, anzi sembrava più uno sfogo:
«12-04-2015
Robert è partito da due settimane e mezzo. Mi manca come non avrei mai pensato che qualcuno mi potesse mancare. I primi giorni sono stati sereni perchè ho avuto molto da fare tra il trasloco a casa di Lola, la macchina dal meccanico e gli imbianchini in ufficio. Sì, due giorni fa sono andata in ufficio per controllare come fossero venuti  lavori: la mia stanza è stata dipinta di azzurro, mi ricorda il cielo e mi piace, e la stanza di Robert è gialla, che mi ricorda il sole e mi dà una sensazione di calore e splendore. Mi manca, ma credo di averlo già scritto. Mi manca il suo sorriso che mi rallegrava sempre, le sue pessime battute che a me fanno ridere e mi mettono di buon umore anche quando nulla va per il verso giusto, e mi mancano le sue carezze, le sue mani, le sue labbra, la sua voce, i suoi occhi che quella sera, la nostra sera, mi guardavano come se fossi la cosa più bella del mondo. E mi sono sentita bellissima, e mi sento così anche ora che con la mente ritorno a quei momenti. Ma ho anche paura che le cose siano cambiate, questo viaggio è pieno di mistero, nessuno sa dove sia andato, con chi, perchè e come. So solo che ritorna per iniziare le riprese di 'The Judge' e allora ci rivedremo. Mi amerà ancora come mi ha confessato la mattina dopo aver fatto l'amore? Lo spero con tutto il cuore.
-A. »
Robert aveva la gola secca e sentiva una morsa allo stomaco, quasi gli mancava il fiato. Nessuno aveva mai scritto qualcosa di così bello, profondo e sincero su di lui eppure quella ragazza lo aveva fatto. Lei lo aveva pensato, aspettato, scritto e amato sempre. Si maledisse mentalmente per tutto quello che le aveva fatto provare e si sentì uno schifo, doveva correre da lei e dirle tutta la verità, anche a costo che Susan andasse su tutte le furie. Si infilò il telefono nella giacca e uscì dalla sua stanza per raggiungere Amira nella zona riservata alle interviste. Una volta fuori, la vide seduta a leggere un libro seduta a terra e le si avvicinò a passi svelti.
"Amira!"
La ragazza alzò gli occhi su di lui di scatto e immediatamente rizzò in piedi, togliendosi gli occhiali da vista e aggiustandosi i capelli. Quando furono a pochi centimetri di distanza Robert non resistette e l'abbracciò, respirando il suo profumo alla lavanda. Amira non oppose resistenza, anzi si abbandonò alle sue braccia quasi stancamente e lui le diede un bacio sui capelli.
"Devo parlarti."
"Robe..."
"Voglio raccontarti la verità."
 
"Ti ricordi quando, dopo aver passato la notte insieme, abbiamo fatto colazione e poi ci siamo separati per raggiungere l'ufficio? Ecco, mentre guidavo Susan mi ha chiamato e mi ha detto che era alla centrale di Polizia di Miami perché Indio era stato trovato con della droga addosso. Ho fatto retromarcia e sono tornato in albergo per prendere le valige, ti ho scritto un messaggio dove ti dicevo che avevo avuto un imprevisto e che partivo, e poi ho preso il primo volo che mi è capitato. Ho vissuto quel periodo a casa di Susan con Indio, cercando in tutti i modi di convincerlo a farsi aiutare ma lui non voleva proprio capire. E' stato allora che Susan ha colto l'occasione per incastrarmi: se non fossi tornato con lei avrebbe detto a tutti che mio figlio aveva problemi con la droga e allora la stampa e la pubblica opinione si sarebbero scaraventate contro di lui come una tempesta con l'unico scopo di farlo cedere. Non potevo lasciare che Indio venisse trattato in quel modo. E poi lei si è presentata qui senza che io ne fossi al corrente, ha capito che tra di noi c'è qualcosa e ti ha allontanata. Lo so che avrei dovuto oppormi affinché non ti sospendesse ma...non potevo. Amira, perdonami. Ti prego."
Erano nella stanza di Robert, seduti uno di fronte all'altro, lei a terra e lui sul letto. Amira non aveva avuto la minima idea di cosa si celasse dietro a quel viaggio, non credeva che quella donna arrivasse a tanto e le doleva il cuore al solo pensiero di Indio in quelle condizioni. Era un ragazzo fragile, che si sentiva solo, escluso e aveva soltanto bisogno di qualcuno che lo seguisse passo per passo. Lei gli si sedette accanto, prendendogli le mani, e lo guardò comprensiva.
"Adesso capisco tutto, e credo di essermi comportata come una bambina. Avevo capito che Susan fosse qui per te e non per lavoro, ma non credevo che ti...ricattasse. Robert, scusami. Avrei dovuto restare al mio posto e invece non ho fatto altro che darti problemi."
"Non è vero! Solo i momenti che ho passato con te mi hanno dato il permesso di dimenticare tutto ed essere felice. Tu mi rendi felice, ragazzina."
Amira sorrise e abbassò il volto per mascherare le gote rosee ma lui le alzò il mento e rise, ogni pezzo forse cominciava a tornare al suo posto.
"Non sono una ragazzina, tra due settimane compio ventotto anni!" la ragazza mise un finto broncio ma poi scoppiò a ridere nel vedere l'espressione buffa che aveva assunto Robert.
"Hai ragione, sei vecchia oh!"
"Senti, ma noi..."
"Noi cosa?"
Amira si mise in piedi e prese a camminare nervosamente su e giù per la stanza, voleva sapere cosa ci fosse tra di loro, se fossero amici, se lavorassero solo insieme, se ci fosse una possibilità per...
"Noi che cosa siamo? Passiamo le serate assieme, ci baciamo, tu mi scrivi messaggi che un capo non scriverebbe alla sua segretaria...io...ecco, io non voglio false speranze, Robert. Ho bisogno di sapere se devo farmi da parte e attenermi al mio ruolo di assistente oppure...oppure se c'è una possibilità per noi."
Robert rimase stupito dalla schiettezza con cui Amira si era espressa, la voce tremanti, le mani sudate, la speranza che qualcosa cambiasse tra di loro.
Ma io che cosa voglio? Voglio stare con lei? La voglio amare? Voglio proteggerla? Io...
"Io voglio che sia tu a darmi una possibilità." esordì lui, avvicinandosi a lei al centro della stanza. Amira strabuzzò gli occhi e lo guardò confusa.
"Amira, io ho sbagliato tutto con te. Ed ora tu sei qui a chiedermi che cosa siamo ed io ti rispondo che non siamo niente ma che, qualora tu me ne dessi la possibilità, possiamo essere qualsiasi cosa ci renda felici. Io voglio te, e del resto non mi importa. Sarà difficile all'inizio perchè Susan non lo dovrà sapere, prima devo trovare il modo di aiutare mio figlio e poi mi sbarazzerò di lei definitivamente. Tu avrai pazienza?"
Mi sta chiedendo se sarò paziente? Davvero? Ho aspettato quasi tre anni per una dichiarazione così, a parte il riferimento a quell'arpia, e lui mi chiede se avrò pazienza. Ma io ti posso aspettare anche per il resto della mia vita.
"Sì, ti concedo una possibilità. Solo permettimi di essere la tua unica ragione. Ti supplico."
Robert sorrise ampiamente a quelle parole, lei era già la sua unica ragione e da quel momento sarebbe diventato dipendente da lei, lo sapeva, ma sapeva anche che era la persona giusta, l'unica che potesse renderlo davvero felice. Senza pensarci due volte la baciò con passione e con amore, sentiva che il suo cuore si stava aprendo e lasciava che si svuotasse di cose negative per riempirsi di dolcezza e serenità. Amira si lasciò avvolgere da quelle braccia e si abbandonò a quelle labbra che tanto desiderava, e che ora erano a sue disposizione sempre, lui era suo anche se in segreto, era nel suo cuore e da lì non se ne sarebbe andato. Sentì le mani di lui infilarsi sotto la maglietta e accarezzarle la pelle, lo stomaco le si contrasse, sentiva il sangue pulsare vivo nelle vene, le gambe tremavano perchè sapeva che lui voleva andare oltre quel bacio. Robert si rese conto che lei stava tremando e si scostò per guardarla negli occhi, sembrava impaurita.
"Va tutto bene?"
"Robert, io non sono pronta a...ora non me la sento di fare l'amore con te. Scusa."
Lui le posò un bacio sulla guancia e sorridente si mosse di due passi per aprire la porta.
"Signorina Taylor, le va di fare una passeggiata con me?"
"Molto volentieri, signor Downey!"
 
 
 
Salve a tutti!
Eccomi qui con il quarto capitolo.
Che ne pensate? Avevate già idea che Susan fosse l’artefice?
Lasciatemi una recensione.
Un bacio.
Alla prossima =)

 

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Capitolo 5
*** Ho bisogno di te. ***


CAPITOLO QUINTO: Ho bisogno di te.
 
 
"Secondo te le scarpe rosse vanno bene? Non saprei proprio. Accidenti, è importante questa intervista!" esclamò Amira mentre era in videochiamata con Lola e Jeremy, passando in rassegna tutti gli abiti appesi nel suo armadio, e poi si sedette sul letto con uno sbuffo. Erano passati due giorni dalla dichiarazione di Robert ma non aveva avuto nemmeno un attimo per parlarsi, troppo presi dalle riprese e dai servizi fotografici, si erano solo scambiati un bacio a stampo tra un cambio d'abito e una seduta dalla parrucchiera, e quella mattina lui aveva bisogno che la sua assistente lo accompagnasse ad un studio televisivo per essere intervistato da una giornalista coreana ed era una delle lingue che Amira parlava.
"Indossa quel vestito azzurro semplice che abbiamo comprato insieme per il compleanno di Vanessa e abbinaci i sandali con il tacco blu, lega i capelli in uno chignon e il tuo supereroe non avrà occh che per te!"
Lola scoppiò a ridere e la sua risata si diffuse dallo schermo del cellulare in tutta la stanza, Amira alzò gli occhi al cielo e sorrise divertita mentre Jeremy sembrava distratto.
"J, non è che hai qualcosa da dirci?" chiese Amira con un tono canzonatorio e Lola annuì per poi dare un pugno sul braccio dell'amico.
"Okay okay! Ieri al bar è venuto un tipo, alto, muscoloso, occhi chiari e capelli scuri, il mio tipo insomma, e abbiamo fatto subito comunella. Si chiama James, ha trentadue anni e fa il personal trainer...e si da il caso che mi abbia invitato a cena questa sera!" concluse il ragazzo, urlando per enfatizzare la parola 'questa sera', e anche le sue migliori amiche starnazzarono con lui, contente che finalmente Jeremy avesse trovato qualcuno. Aveva ventisette anni, pelle chiara, capelli biondi e occhi verdi, era un tipo tranquillo ma quando c'era da divertirsi non si risparmiava, al contrario Lola era più grande di loro, aveva trenta anni, capelli corti neri con ciuffi rossi e blu, occhi castani, esuberante e spericolata, con un matrimonio alle spalle e un lavoro da commessa che odiava.
"Ragazzi, devo correre a prepararmi. Vi chiamo stasera, ciao!"
Terminò il contatto e corse in bagno, ne uscì una mezz'ora dopo con indosso un abito azzurro di raso lungo fino al ginocchio, con le spalline sottili e lo scollo dritto, ai piedi un paio di sandali blu, un filo di ombretto e mascara, capelli raccolti in una treccia. Sorrise nello specchiarsi e nel notare che quel vestito le stava meglio rispetto a due anni prima e uscì dalla sua stanza con l'agenda tra le mani e la borsa in spalla. Le porte dell'ascensore si aprirono con un 'ding' e la hall si aprì dinnanzi a lei, si incamminò verso il bar dove trovò il suo capo e Harold chiacchierare allegramente. Amira fece un cenno con la mano e Robert, il quale smise di parlare e rimase meravigliato nel vederla, le si avvicinò con un sorriso a trentadue denti.
"Buongiorno, raggio di sole." le sussurrò lui all'orecchio e si allontanò quando Harold lo affiancò. La ragazza non perse la sua temperanza e sostenne il suo sguardo.
"Buongiorno, signor Downey. Harold, buongiorno anche a te!"
"Ciao, Amira. Direi che possiamo andare e dobbiamo anche darci una mossa perchè siamo in ritardo."
Robert annuì e lasciarono l'hotel accompagnati da Jeff e Harold. Il cellulare di Amira squillò e lo tirò fuori dalla borsa, la spia lampeggiava di giallo e capì che si trattava di un messaggio:
"Non mi pare di averti dato il permesso di essere così bella! Ti guarderanno tutti e non va bene. -R"
"Non essere ridicolo, Robert. -A"
"Questo vestito mette in risalto alcune parti del tuo corpo che fanno perdere la ragione. Io sto per perdere la ragione! -R"
"Smettila, non è il momento! -A"
Robert mise il telefono nella tasca interna della giacca, sospirando, e poi allungò la mano sul ginocchio di Amira che gli lanciò un'occhiata ammonitrice, ma lui non si mosse.
"Ti voglio baciare." le disse a bassa voce, la ragazza venne scossa dai brividi e respirò per non perdere la lucidità, ma le dita di Robert le stavano accarezzando la coscia ed era un vera tortura.
"Siamo arrivati, signore." esordì Harold e finalmente Amira poté liberarsi e tornare concentrata e professionale. Vennero accolti dalla giornalista che avrebbe fatto l'intervista e vennero condotti in una piccola stanza arredata essenzialmente, una poltrona e un divano troneggiavano al centro, agli angoli c'erano delle luci e una piccola scrivania in fondo. Robert ed Amira si accomodarono sul sofà rosso e la giornalista di fronte a loro sulla poltrona, e tutto intorno si erano disposti tecnici del suono e cameraman mentre Harold rimase a guardia della porta.
"Devo rispondere a lei o a te?" chiese Robert alla sua assistente a bassa voce per evitare di fare brutta figura.
"Lei fa la domanda, io te la traduco e tu comunque rispondi a lei nella tua lingua. Ah e ovviamente lei ha un'auricolare che le traduce le tue risposte, cosa che potevi avere anche tu invece di portare me." concluse Amira con un sorriso acido che lo fece ridere.
"E' più divertente se ci sei tu!"
La giornalista, una donna coreana di circa quaranta anni, passò un foglio ad Amira che scosse la testa quando lo lesse.
"Che succede?"
"Le domande che ti faranno sono già state predisposte da Susan."
 
 
Alle 16.00 la giornata di lavoro era finita, tutti si sarebbero rivisti a cena. Amira era in camera sua a leggere un libro quando udì qualcuno suonare il pianoforte. Stette in ascolto per un paio di minuti e poi, indossate le scarpe, uscì in corridoio e il suono diveniva sempre più chiaro: proveniva dalla suite 105, la stanza di Robert. Si avvicinò alla porta e l'aprì cautamente con il doppione della chiave elettronica, trovandolo seduto al piano con le dita che scorrevano sui tasti. In silenzio rimase lì ferma, sorrise nel vederlo e nel sentirlo suonare perché da molto tempo non si curava più della musica a causa del lavoro e dei suoi problemi personali.
"Lo so che sei qui. Sento il tuo profumo." esordì Robert, smettendo di suonare, e si voltò verso di lei per sorriderle.
"Scusa, non era mia intenzione disturbare. Ho sentito la musica e ho seguito la scia, poi ho la chiave della tua suite e non ho resistito, sono troppo curiosa e lo sai."
"Non mi hai assolutamene disturbato. Vieni qui!"
Amira prese posto accanto a lui sullo sgabello e sentiva il cuore in gola, non era abituata a quelle attenzioni, a quegli occhi che la cercavano sempre, a quella voce che la chiamava e a quelle mani che l'accarezzavano. Temeva che tutto potesse svanire come le nuvole dopo il temporale.
"Non so perché io abbia smesso di suonare. Un giorno, dal nulla, ho semplicemente dimenticato quanto mi rendesse leggero e libero la musica."
"L'ultima volta che hai suonato è stato tre anni fa, il giorno in cui mi hai assunta, eravamo ad una festa di beneficenza e la baronessa di Cornovaglia ti ha chiesto di eseguire il suo pezzo preferito al pianoforte. Mi sono commossa, ma tu questo non lo sai."
"Quante cose che non so di te, Amira."
Robert si alzò e sbirciò fuori attraverso le tendine verde acqua. A volte desiderava avere un vita normale.
"Che succede?"
"Mi sento soffocare da tutta questa vita. Devo sempre recitare una parte, non devo mai dire ciò che penso davvero, devo fare quello che gli altri ritengono giusto che io debba fare, sono solo una pedina nel grande gioco senza fine del mondo dello spettacolo. Se tornassi indietro non sceglierei mai di intraprendere la carriera da attore, a volte credo sia proprio stato un errore. Poi ho conosciuto Susan, una disgrazia proprio, e continua a tenermi in pugno. Io non ce la faccio più."
Amira si avvicinò a lui e gli afferrò la mano, costringendolo a voltarsi verso di sé, poi gli accarezzò una guancia e sorrise, era più un sorriso di incoraggiamento.
"Lo so che per te è difficile, ma possiamo trovare una soluzione. Purtroppo non so come aiutarti per quanto riguarda il recitare costantemente una parte perchè anche io sono dovuta a fare lo stesso, ma posso fare qualcosa per Indio. Ho trovato una struttura che lo può ospitare per rimetterlo in sesto, si trova a Baltimora, ed è una delle migliori. Attiri tuo figlio qui con una scusa e poi cerchiamo di convincerlo a farsi aiutare, dopodiché non resta che trovare un modo per insabbiare la storia ed evitare che Susan ti minacci ancora."
"Tu hai fatto cosa?"
Amira arrossì e tenne gli occhi bassi, non aveva la forza di sostenere il suo sguardo.
"Io cercavo solo un modo per aiutarti."
"Amira, tesoro, non ti sto rimproverando. Anzi, sono sinceramente e piacevolmente stupito dal tuo gesto. Sei speciale, davvero."
Robert allungò una mano verso di lei e l'attirò a sé per stringerla forte, facendole capire quanto le fosse grato, sorridendo perché quella ragazza era la sua salvezza. Le mani di Amira erano premute contro il suo petto, sentiva un calore gradevole diffondersi nelle vene, e la baciò con estrema foga, stringendole forte i fianchi, tanto che i loro corpi aderivano perfettamente, le accarezzò una spalla con irruenza e la spallina sottile del vestito cadde, lasciando la pelle chiara a disposizione. Robert vi posò un bacio e arrivò al collo, torturandolo con una scia di altri baci caldi, vogliosi, inarrestabili. Il desiderio stava avendo la meglio su di lui, lo percepiva anche Amira attraverso i vestiti e, per quanto amasse quelle carezze, si ritrasse.
"Scusami, s-sono andato o-oltre. Non era mia intenzione, anzi era proprio la mia intenzione ma é giusto che io rispetti le tue decisioni."
Nel frattempo aveva cominciato a piovere, la città era avviluppata nel grigiore tipico degli acquazzoni, le gocce battevano sui vetri e scivolavano silenziose e sinuose sulla superficie trasparente, gli automobilisti suonavano i clacson con insistenza poiché a causa del brutto tempo si era formato un ingorgo. Amira si sdraiò sul letto e picchiettò con la mano sul materasso per invitare Robert a raggiungerla, lui non se lo fece ripetere due volte e si sedette accanto a lei.
"Ho una richiesta."
"Tutto quello che desideri, signorina."
"Mi coccoli?"
Robert annuì e le sorrise, lei si accucciò sul suo petto e sentì delle mani calde accarezzarle la pelle prima di addormentarsi.
 
 
Quando Amira aprì gli occhi un calore gradevole l'avvolse, una coperta rossa era stata poggiata sul suo corpo e sicuramente era stato Robert non appena si era accorto che lei si era addormentata. Anche se aveva riposato era terribilmente stanca. Si alzò e diede un'occhiata fuori dalla finestra, aveva smesso di piovere ma l'aria si era rinfrescata. Raccattò i sandali e abbandonò la stanza, immaginando che tutti fossero scesi per la cena dato che erano le 20.00, entrando in camera sua per cambiarsi e raggiunge lo staff. Indossò un jeans, una maglia rossa a tre quarti e un paio di All Star bianche, si aggiustò i capelli alla meglio in una coda alta e corse in ascensore. Sorrise inconsapevolmente al pensiero di essersi addormentata tra le braccia di Robert e solo il suono metallico delle porte che si aprivano la distrassero. Raggiunse la sala del ristorante, guardandosi attorno per vedere se lui fosse sceso, ma non vide nulla, e così si sedette velocemente al tavolo riservato allo staff. Jeff le fece un cenno con la testa e poi tornò a concentrarsi sul suo filetto di salmone.
"Amira!"
La ragazza rivolse lo sguardo al tavolo degli attori e ricambiò con un gesto della mano e un sorriso il saluto di Duvall, il quale si avvicinò a lei e la prese a braccetto.
"Vorrei che tu cenassi al nostro tavolo."
"Oh no, signore, non posso. Non mi é permesso."
"Sciocchezze! Sei mia ospite."
Amira non ebbe il tempo di replicare poiché Duvall l'aveva già trascinata verso il gruppo degli attori, presentandola a tutti e facendola accomodare accanto a sé. Si accorse solo allora che la sieda di fianco alla sua era vuota. Qualche minuto dopo, mentre era impegnata a conversare con Leighton Meester, un profumo di colonia e una risata che avrebbe riconosciuto in qualsiasi momento, anche in mezzo ad una gran confusione, la fecero sorridere impercettibilmente. Il sorriso morì sulle sue labbra per dare spazio ad un'espressione infastidita quando vide Robert camminare mano nella mano con Susan.
"Buonasera a tutti e...buonasera a te, Amira." gracchiò la voce di Susan che era visibilmente stupita dalla sua presenza.
"Salve, signora Downey."
Susan sorrise compiaciuta a quelle parole mentre Robert gelò nel vederla lì, non sembrava fosse molto contento. Presero posto attorno al tavolo e lui ed Amira capitarono vicini, ovviamente era un'idea strategica di Duvall. Amira cominciava a sentirsi a disagio.
"Allora, ci stavi dicendo che hai una laurea in lingue." riprese a parlare Leighton con curiosità.
"Ehm...sì, sono laureata in lingue e ne parlo otto oltre alla mia: francese, spagnolo, tedesco, greco moderno, coreano, cinese, arabo e russo. E sto studiando per prendere una laurea in storia dell'arte."
I presenti rimasero meravigliati e lei sorrise nel tentativo di mascherare la tensione. Robert tossì e mandò giù un sorso di acqua, la situazione stava diventando davvero imbarazzante ma, a parte loro, nessuno sapeva il perché.
"Beh, Downey, hai davvero un'assistente fenomenale! Oltre ad essere bellissima é anche molto intelligente." intervenne Vera Farmiga, Samantha Powell nel film.
"Sì, é stata un ottimo acquisto."
La cena venne servita e il clima si stava rilassando pian piano, se solo Susan fosse stata al suo posto.
"Io e Robert abbiamo un annuncio da darvi: abbiamo deciso di organizzare una festa per il nostro decimo anniversario di matrimonio e voi siete invitati!"
Tutti i presenti, attori e staff, rimasero sbalorditi, chi sinceramente divertito, chi del tutto colpito, e chi del tutto indifferente. Amira si irrigidì e deglutì forte per evitare di urlare, sentiva le lacrime offuscarle la vista e sbatté più volte le palpebre per rimandarle giù. Robert abbassò gli occhi, aveva interpretato le facce dei suoi colleghi e aveva notato la reazione di Amira. A rompere quel silenzio pesante come tonnellate di macigni fu Harold, il quale si era alzato e stava tenendo un calice di vino in mano.
"Brindiamo ai signori Downey!"
Tutti lo imitarono. Amira rimase immobile, immobile di agire, e Duvall le strinse la mano e poi le mimò uno 'scusami' con le labbra. Lei scosse la testa e sorrise, doveva recitare la sua parte. Afferrò il suo bicchiere e bevve un sorso, sentendo il liquido bruciarle la gola come fosse fuoco. Robert le rivolse uno sguardo dispiaciuto e le strinse la mano sotto al tavolo, evitando che qualcuno li vedesse. Amira si calmò un pochino e lasciò che le dita scivolassero tra quelle di lui, mentre tutti erano tornati a mangiare e a parlare come se nulla fosse.
 
 
"Ragazzi, scusatemi ma stasera sono davvero stanca e proprio non riesco a chiamarvi. Mi addormenterei durante la conversione e voi sicuramente scattereste foto imbarazzanti di me che poi mandereste a mezzo mondo. Mi mancate, non è lo stesso senza di voi. -A."
Amira mise a caricare il cellulare e poi si infilò sotto le coperte ma durò poco la sua pace perchè qualcuno bussò ripetutamente alla sua porta. Sbuffò e, accendendo il lume sul comodino, andò ad aprire. Corrugò le sopracciglia.
"Che succede?"
"Ti disturbo?"
"No, entra."
Robert entrò e si accomodò sul letto mentre lei chiudeva la porta per poi raggiungerlo, però rimase in piedi.
"Va tutto bene?"
"Robert...?"
Lui finalmente la guardò negli occhi e il cuore di Amira perse i battiti quando si accorse che aveva gli occhi lucidi.
Non ti ho mai visto piangere.
"Che ti succede? Stai bene? Hai bisogno di qualcosa?"
Robert non rispose, spostò lo sguardo oltre le sue spalle e fissò il vuoto. Sembrava un'altra persona, perso nei suoi pensieri, quasi congelato, quasi inesistente. Amira gli si sedette accanto e gli prese le mani, stringendole forte e costringendolo a voltarsi verso di lei.
"Robert, guardami. Sta tranquillo, ci sono io. Sei al sicuro."
"Io..."
"Tu cosa?"
Robert le mise una mano sulla guancia e tenne gli occhi sulle sue labbra, poi la baciò. Quel bacio sapeva d'amaro, di tristezza, di amore, di aiuto, di una strana forma di dolore. Amira approfondì quel bacio, lo strinse a sé e gli passò le mani tra i capelli. Finirono sul letto, lui sopra di lei, le mani che si toccavano, labbra che si cercavano, occhi che si guardavano e che tacitamente si paravano nella poca luce della stanza. Lui non stava correndo, non voleva consumare quel momento, non le stava chiedendo più, ma solo di restare con lui. Amira lo baciò con tenerezza e con tutto l'amore genuino che provava per lui, trasmettendogli tranquillità.
"Ho bisogno di te, Amira. Solo di te." le sussurrò Robert per poi riprendere a baciarla. Lei sorrise e gli lasciò un bacio sul naso.
"E io ho bisogno di qualcosa di caldo con questo freddo! Che ne dici di farci un giro?"
Lui annuì e, dopo che Amira si fu vestita, scesero in strada diretti alla gelateria in centro mano nella mano.
 
 
"La cannella si sente proprio!" esordì Amira per cercare di spezzare quel silenzio soffocante. Erano seduti in una tavola calda e stavano bevendo un cappuccino, anche se Robert era da tutta altra parte. La ragazza sospirò e scivolo sulla sedia, quasi volesse scomparire.
Devo fare qualcosa per te, non posso vederti così. Mi si spezza il cuore.
"Sai cosa fa un infermiere in banca? Un prelievo!" disse lei con un tono di voce divertito, per quanto lo fosse in quella situazione, ma lui rimase a fissare il liquido scuro nella tazza.
"Hai ragione, fa proprio schifo come battuta."
Robert alzò gli occhi su di lei e scoppiò a ridere di gusto. Amira inarcò il sopracciglio e lo fissò, pensando che magari lo avesse fatto ridere con quella battuta ma poi lui le indicò col dito le labbra. La ragazza si passò le dita sulla bocca e si sporcarono di panna. Aveva i baffi bianchi.
"Non é da gentiluomini ridere di una signora!" disse Amira ma poi si abbandonò ad una risata sincera e divertita, pulendosi con un tovagliolo.
"Perdonami, ma eri davvero uno spettacolo!"
Lei gli fece la linguaccia e bevve un altro sorso del suo cappuccino, stando attenta a non imbrattarsi come prima.
"Domani Susan parte e starà via per il fine settimana, e non è l'unica. Il regista ha dei problemi a casa e deve lasciare il set per qualche giorno e, poiché non vuole che le riprese vadano avanti senza di lui, ci ha dato una specie di ferie."
Amira stava per strozzarsi e tossì, dandosi dei colpetti al petto, poi guardò incredula Robert. Magari potevano passare del tempo insieme. Ma non glielo chiese perché non voleva spezzare quello stato di quiete.
"Perdona la domanda, ma cosa pensa Susan del fatto che sparisci di sera?"
"Crede che io esca e vada a bere in qualche squallido bar."
"Ottimo."
Robert allungò una mano sul tavolo e le strinse la mano. Lei teneva gli occhi sulla tazza.
"Dai, andiamo."
Prima di uscire, lui lasciò una banconota sul tavolo e si incamminarono verso l'albergo; era davvero tardi.
"Domani mattina potremmo fare colazione insieme, se ti va. La pazza ha il volo alle 6.00!"
Amira annuì e gli sorrise, stringendosi di più a lui, spalla contro spalla, mano nella mano.
"Grazie. Adesso sto meglio rispetto a qualche ora fa, sei stata fantastica."
"Oh non ho fatto nulla, a parte sporcarmi col cappuccino!"
Robert rise di nuovo e lei con lui, entrambi volevano che momenti come quelli fossero per sempre. La facciata dell'hotel si stagliava contro il cielo scuro e le sue luci riflettevano spettrali nell'oscurità.
"Io entro dalla porta della servizio e tu prendi quella centrale." disse Amira e si allontanò verso una porticina laterale all'edificio. Lui non ebbe il tempo di richiamarla che il buio inghiottì la figura minuta della ragazza.
Devo fare qualcosa per lei, se lo merita
 
 
Salve a tutti :)
Scusate il ritardo.
Spero che la storia vi stia piacendo.
Siete #TeamAmira o #TeamSusan? Ahahaha
Alla prossima,
Baci <3.

 

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Capitolo 6
*** Si parte! ***


CAPITOLO SESTO: Si parte!
 
 
Un rumore svegliò bruscamente Robert, il quale aprì pigramente gli occhi e si stiracchiò. Il fastidioso rumore si ripeté e lui fu obbligato ad alzarsi. I piedi a contatto col pavimento freddo lo fecero rabbrividire nonostante le temperature fossero aumentate. Aprì la porta e sorrise: Amira era lì che si dondolava sui talloni con una busta in mano.
Robert si spostò di lato per farla entrare e poi la raggiunse nel salottino della suite.
"Prima di tutto, buongiorno! E secondo, ho portato la colazione!" esclamò la ragazza sventolando la busta che teneva in mano da cui poi tirò fuori due caffè, un cornetto al cioccolato e uno alla crema di nocciola e dei tovaglioli. Dispose tutto sul tavolino di vetro e si sedette sul divano opposto a lui.
"Perché mi guardi così?"
Robert sorrise e scosse la testa, poi afferrò il bicchiere di caffè e ne bevve un lungo sorso.
"Sei fantastica, lo sai questo?"
Amira arrossì, portandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio, e per smorzare l'imbarazzo prese a mangiare il suo cornetto.
"Hai avuto un'idea bellissima. Adoro fare colazione così: un caffè e tutto il tempo del mondo."
"A chi lo dici! Quando si sta sul set a stento si mangia a cena. E poi credo che la colazione vada fatta con calma per iniziare bene la giornata."
Robert annuì e poggiò il bicchiere sul tavolino, scivolando comodamente sul divano e concentrandosi sulla ragazza: indossava una semplice tuta grigia e una maglietta a maniche corte blu, scarpe da ginnastica bianche e aveva un piccolo graffio sulla nocca dell'indice.
"Come ti sei graffiata?"
Amira abbassò lo sguardo sulla sua mano e alzò le spalle. Quella mattina si era svegliata presto e si era recata da Gemma Ross per aiutarla a preparare la colazione per i bambini, aveva lavato a mano i loro vestiti aiutata da Cara, un'altra anziana che faceva la volontaria, ed infine aveva comprato il caffè per fare una specie di sorpresa a Robert.
"Odori di città, Amira. Sei stata da Gemma?"
Amira sbuffò e poi le sue labbra si aprirono in un sorriso. Robert sarebbe passato sui carboni ardenti per quel sorriso che gli faceva battere il cuore.
"Sì, le ho dato una mano. Anche perché le riprese entro la prossima settimana termineranno e non so quando potrò aiutarla ancora."
Robert spostò gli occhi verso la finestra, osservando con occhi assenti il sole che filtrava attraverso le tendine, e si immerse nei suoi pensieri. Si sentiva in gabbia, senza possibilità di uscita, si sentiva oppresso da quella vita che gli stava risucchiando la gioia,  recitava così tante volte che era arrivato al punto di chiedersi chi fosse davvero Robert Downey Rj, se fosse lui o se fosse solo l'ennesimo personaggio che doveva interpretare. Fingendo si finisce col perdere se stessi o si finisce con lo scoprire che si posso vivere tante vite?
"Robert?"
"Cosa?"
La ragazza osservò il suo volto e si incupì: aveva delle occhiaie marcate, segno che aveva dormito poco, aveva le labbra secche e gli occhi rossi, era stravolto. Si alzò e si sedette accanto a lui, abbracciandolo all'improvviso. Robert rimase un attimo perplesso ma poi avvolse le braccia attorno al suo corpo, avvicinandola a sé. Inspirò il suo dolce e solito profumo di lavanda e poggiò il mento sulla sua spalla, gli trasmetteva un senso di serenità.
"Idea!" strillò Amira, staccandosi dalla stretta e saltando in piedi. Batteva le mani eccitata e fece ridere Robert.
"Partiamo! Hai detto che abbiamo il fine settimana libero, giusto? Beh potremmo passare questi tre giorni da qualche parte, in un posto che ti rende felice. A me no che tu non abbia già altri impegni."
"No, non ho impegni. E' un'idea stupenda!"
Amira abbassò gli occhi e si fissò le scarpe in totale imbarazzo. Aveva avuto quel lampo di genio con la speranza che le cose tra di loro sarebbero potute cambiare e che lui si sarebbe ripreso perché il vecchio Robert sembrava morto e sepolto. Lui si avvicinò a lei e l'attirò se, stringendole i fianchi, e le stampò un sonoro bacio sulla guancia.
"Dove le piacerebbe andare, signor Downey?" chiese Amira con un sorriso che le illuminava il viso e un tono di voce divertito.
"Mi piacerebbe visitare Berlino, ci sono stato un paio di volte ma non ho mai avuto la possibilità di viverla davvero."
"Berlino sia! Preparati che tra poco si parte, mi occupo io di prenotare il volo e l'albergo."
La ragazza si allontanò e lo lasciò da sola dopo un ultimo sorriso.
Mi farai impazzire, ragazzina.
 
 
"Aspetta, mi stai dicendo che tu e il belloccio passerete il fine settimana a Berlino, una delle tue città preferite, da soli come una coppietta?" la voce di Jeremy dal cellulare si diffuse nella stanza attraverso il vivavoce mentre preparava una valigia.
"J, stai calmo! Te l'ho detto, lui è molto stanco e così ho deciso di portarlo in una bella città e poi a Berlino c'è il museo più bello dell'Europa!"
"Sì, certo, lo porti lì per visitare il museo! Ah ah, ci credo proprio!"
Sinceramente Amira non aveva minimamente pensato al museo ma il suo unico intento era quello di aiutare Robert a riprendersi, stava visibilmente male e lei doveva a tutti i costi aiutarlo. Infilò le ultime cose in valigia e fece correre la zip per chiuderla, poi si sedette sul letto e avvicinò il telefono all'altezza del viso per vedere Jeremy, il quale era a casa perchè era il suo giorno di riposo.
"Lasciamo perdere me. A te com'è andata col bel tipo del locale?"
"Pitt, intendi? E' andata bene, anche troppo. Abbiamo cenato in centro e poi abbiamo fatto una passeggiata in Hyde Park. Sono stato benissimo. Mi ha anche riaccompagnato a casa e mi ha dato un bacio sulla fronte. Ci rivediamo domani sera, mi porta in discoteca." Jeremy sorrideva e la sua voce era felice e squillante come non lo era da tempo, dopo la sua ultima relazione con un ragazzo che lo maltrattava. Amira sorrise soddisfatta e alzò il pollice come per dire 'perfetto'.
"Sono davvero contenta per te, J! Poi quando torno a Londra me lo fai conoscere."
Il ragazzo sorrise mentre un lieve rossore gli tingeva le guance.
"Lola come sta? Non la sento da ieri mattina."
"Non se la sta passando bene. Le hanno aumentato le ore di lavoro e diminuito lo stipendio, e per di più il suo ex marito si è presentato sotto casa ubriaco ieri sera. L'ha riempita di insulti e stamattina è andata a lavoro a pezzi. Temo che ricomincerà a bere."
Amira sapeva benissimo che attaccarsi alla bottiglia era l'unico modo che Lola conosceva per soffocare il dolore ma la riduceva al limite. Tante volte lei e Jeremy l'avevano trovata stesa a terra dormiente ed ubriaca in qualche vicolo buio, oppure in un bar che ballava sul bancone, ed ogni volta lei prometteva che sarebbe stata l'ultima ma non arrivò mai la fine. Un giorno, però, Amira la prese di forza e la portò in una clinica dove rimase per sei mesi per farsi aiutare. Fino ad allora non era successo più, aveva dimenticato l'esistenza dell'alcol, ma ora che Max aveva fatto la sua partaccia probabilmente ci sarebbe ricaduta.
"J, stalle accanto. Io purtroppo non posso tornare e mi dis..."
"Smettila! Amira, tu ci hai salvati e non immagini quanto ti siamo debitori. Non pensare sempre e solo agli altri. Anche tu sei una persona, hai una vita e la devi vivere al meglio. Perciò va a Berlino con Robert e fallo innamorare di te!"
Amira non ebbe la possibilità di replicare perchè qualcuno bussò alla porta.
"Ti devo lasciare adesso. Salutami Lola e state attenti. Vi voglio bene, ricordatevelo. Vi porto sempre nel cuore."
"Muovi il culo e conquistalo! Ti vogliamo bene anche noi, piccola peste!"
I due amici chiusero la videochiamata e Amira si precipitò ad aprire la porta: Robert le sorrise, gli occhiali da sola, la valigia e un sorriso più vero di quelli dei giorni passati.
"Andiamo?"
La ragazza prese il suo bagaglio e chiuse la porta, infilandosi la chiave in tasca, e si incamminò verso l'ascensore ma la mano di lui la bloccò per farla voltare. Robert la strinse a sé e la baciò con dolcezza, lentamente, assaporando attimo per attimo quei momenti e sapeva che non avrebbe resistito molto senza toccarla. Quando si staccò inforcò nuovamente gli occhiali e, prendendola per mano, lasciarono l'albergo.
 
 
L' hostess passò per la terza volta nel corridoio tra i sedili, offrendo bibite e giornali, dando indicazioni su dove fosse il bagno, e così Robert ne approfittò per ordinare un Martini che gli venne servito in un istante.
"Parlami un po' di te." esordì lui, bevendo un sorso del suo drink mentre sorrideva ad Amira. Lei staccò gli occhi dal libro e lo fissò perplessa.
"Che intendi?"
"Voglio dire che lavoriamo insieme da tre anni e posso dirti molto riguardo al tuo carattere, ma non conosco gli aspetti della tua vita quotidiana come i tuoi amici, la tua casa, il tuo tempo libero e la tua famiglia."
Amira rimase stupita e sinceramente contenta che Robert le stesse chiedendo della sua vita, significava che gli importava e che voleva che lei glielo raccontasse.
"Beh vivo in un appartamento non molto grande nei pressi del centro con i due miei migliori amici, Jeremy e Lola. Inizialmente alloggiavo in un residence quasi in periferia, ci ho vissuto per due anni e mezzo, poi mi sono trasferita cinque mesi fa nella mia attuale casa. Ha due piani: al primo abbiamo cucina e soggiorno, al secondo ci sono tre camere da letto e due bagni. Siamo fortunati perché la casa é di una zia di Lola che ci fa pagare poco d'affitto."
Robert osservava le sue labbra muoversi e sorridere, i suoi occhi emanavano uno strano luccichio e la sua voce era allegra, e capì che molto probabilmente nessuno le aveva mai chiesto di parlare di sé.
"E poi nel mio tempo libero adoro leggere, guardare serie tv o film, andare al parco, fare lunghe passeggiate, e adoro anche cucinare tanto da voler seguire un corso di cucina ma il lavoro impiega tutto il mio tempo."
"E aiuti chiunque." aggiunse Robert per lei, la quale arrossì ed annuì per poi sistemarsi gli occhiali da vista sul naso.
"E la tua famiglia? Non mi hai mai parlato di loro."
"La mia famiglia, già. A volte non so nemmeno se posso considerarla tale. I miei genitori e mia sorella, forse anche mio fratello, sono molto religiosi e per loro la fede è tutto. Seguono i precetti della loro religione in modo morboso ed è per questo che siamo in rapporti precari da quando sono bambina. Tendono a voler controllare ogni aspetto della mia vita, da come devo vestirmi a quale musica ascoltare, ed è davvero stressante. Ma io sono la figlia che ha sempre disubbidito, che ha sempre fatto di testa sua, insomma sono la capra nera della famiglia. Loro volevano che io rimanessi nella mia città natale, che facessi l'insegnante e che mi sposassi. Pensa che mi avevano già trovato un marito, un ricco impreditore inglese, Aaron Bell. E poi è  arrivato il momento della rottura ufficiale, tu mi hai assunta ed io sono scappata tagliando i ponti con loro del tutto. Mi chiamano una volta al mese. E solo qualche giorno fa mi hanno comunicato che sono stata come madrina al battesimo di mia nipote. Non voglio tornare lì, ma purtroppo devo."
Amira si sentiva svuotata dai suoi pensieri, dalle sue emozioni e il cuore sembrava essersi alleggerito ora che aveva condiviso la sua vita con Robert. Sapeva che lui lo avrebbe tenuto per sé e ne era felice.
"Questa è la mia vita, signor Downey!" disse la ragazza mentre un sorriso divertito aleggiava sulle sue labbra. Robert si sporse e le diede un semplice un bacio, un dolce sfiorarsi di labbra, che fece rabbrividire entrambi.
"Vita che praticamente sprechi per me e con me."
"Non la spreco! Semplicemente il mio lavoro mi impiega molto tempo, e lo sai che non mi pesa ma farei questo fino alla fine della mia vita. Non tutti hanno la possibilità di viaggiare, vedere posti magnifici, lavorare su un set cinematografico, conoscere attori e personaggi dello spettacolo, e soprattutto non tutti hanno l'onore di lavorare accanto a te."
Robert non poté fare altro che sorridere a quelle parole pronunciate con sincerità, dolcezza e un pizzico di timore. Si avvicinò all'orecchio della ragazza e vi posò le labbra, poi sussurrò:
"E nessuno può avere l'onore di averti nella propria vita."
Non le diede il tempo di replicare che avvolse le sue labbra in un bacio più profondi rispetto a quello di prima, che andava oltre il casto ma che si manteneva ad un passo dalla passione. Robert non avrebbe resistito molto.
"Un giorno vorrei che tu mi facessi conoscere Lola e Jeremy."
Gli occhi di Amira saettarono su di lui, sconcertata e confusa.
"Che c'è? Mi piacerebbe davvero entrare a far parte della tua vita."
Lei non rispose, anche perchè non c'era molto da dire a quelle parole, e si limitò ad annuire e ad immergersi nuovamente tra le pagine del suo libro. Robert lasciò scivolare le dita tra quelle della ragazza in una stretta forte.
 
 
"Mi sono dimenticata di dirti che non ho prenotato in albergo ma che ho trovato una casetta in un bel quartiere affittato da una signora, era troppo carina e l'ho fittata per tre giorni."
Amira e Robert, recapitati i bagagli, avevano preso un taxi e si stavano dirigendo nel loro alloggio. A Berlino l'aria era più fresca, gli alberi frusciavano producendo un sottofondo piacevole e i profili dei palazzi si stagliavano contro un cielo azzurro.
"Hai fatto bene. Così potrai farmi assaggiare qualche manicaretto preparato da te!"
Amira rise e annuì soddisfatta, aveva già pensato a tutto e non restava che godersi quel fine settimana.
L'appartamento era piccolo ma accogliente, si stendeva su un solo piano ed era arredato secondo il gusto rustico. Un camino di pietre grigie era in bella mostra a pochi passi da un lungo divano rosso in pelle e un tavolino di legno massello. Amira si voltò per osservare Robert e sorrise compiaciuta nel vederlo rilassato.
"É davvero fantastica! I miei complimenti, signorina Taylor." scherzò lui, poi la strinse a sé e la baciò. La ragazza si abbandonò alle sue labbra, lasciandosi lambire da quelle attenzioni, mentre le accarezzava la schiena e le stringeva i fianchi. Quando si allontanarono entrambi avevano un luccichio negli occhi che non lasciava spazio alle parole.
"Ora tu ti fai una bella doccia ed io preparo la cena."
"Non se ne parla, ragazzina. Ti aiuto a cucinare. Sarà divertente!"
 
 
 
"Ma le uova le avrei dovute mettere dopo a prima di aver impastato?" domandò ad un certo punto Robert fissando l'ammasso bruciato davanti ai suoi occhi. Amira scoppiò a ridere.
"Rob, fai davvero pena! Chi ti ha mai detto che dovevi metterci le uova? E meno male che questa sfida all'ultimo manicaretto l'hai voluta tu!"
"Oh avanti! Fammi vedere cosa hai combinato tu."
La ragazza posò una pirofila sul tavolo e il contenuto aveva un ottimo aspetto. Robert sbuffò e borbottò qualcosa come un 'sì, ma io cucino meglio'.
"Non ti sarai mica offeso!"
"Chi, io? No. Ma ritieniti disoccupata da...adesso!"
"Robert!"
Amira gli si avvicinò per tirargli un pugno amichevole sul braccio, ma lui le afferrò la mano e la bloccò tra il proprio corpo e il tavolo. Le risate morirono per dare spazio ad una strana atmosfera. Si fissavano in silenzio, non c'era imbarazzo ma soltanto voglia di stare vicini. Robert le accarezzò la guancia e scese lungo la mascella, le labbra, il collo e infine si fermò sul petto dove iniziava la scollatura della maglia. Lasciò indugiare lo sguardo e poi tornò a guardarla negli occhi.
"L-la cena si f-fred-da..." provò a dire Amira ma venne interrotta dalle labbra di Robert che dolcemente le stavano facendo dimenticare tutto. Le accarezzò la pelle liscia del ventre sotto la maglia, lei cercava di mantenere la lucidità senza risultai, poi le lasciò una scia di baci caldi, vogliosi sul collo e la passione stava aumentando.
"Va bene così?" le chiese Robert, la voce ridotta ad un sussurro, le dita che stringevano i lembi della sua maglia e gli occhi fissi su di lei.
"Sì."
Pochi attimi e lei si ritrovò seduta sul tavolo con le gambe avvinghiate ai fianchi di Robert, era solo in reggiseno e continuavano a baciarsi. La cena era stata totalmente dimenticata. Non riuscivano più a nascondere il desiderio, era evidente, e si spostarono in camera da letto. Trascorsero tutta la notte a fare l'amore, tra sospiri, gemiti e parole sussurrate a cuore aperto. Erano felici, almeno per quella sera.
 
 
 
Un profumo di lavanda e cocco stuzzicò il naso di Robert che aprì gli occhi e tastò la parte di letto accanto a sè, ma lei non c'era. Si mise seduta, ancora avvolto tra le coperte e le lenzuola, e si rese conto che Amira era sotto la doccia. Afferrò il cellulare e si rilassò nel vedere che nessuno lo aveva cercato. Si sdraiò di nuovo con le braccia incrociate dietro alla nuca e cominciò a fissare il soffitto fino a quando la porta del bagno non si aprì rivelando la sua assistente vestita e pettinata. Lei gli regalò un sorriso raggiante.
"Sei già pronta?"
"Perdonami, ma mi sono svegliata presto e sono scesa a fare colazione perchè stavo morendo di fame. Ieri la cena è saltata e stamattina avrei mangiato tutta la dispensa."
Robert rise e scosse la testa divertito. Si sentiva bene dopo un mese e mezzo.
"Hai fatto bene. Ma intuisco che abbiamo impegni per oggi, giusto?"
"Assolutamente sì! Dobbiamo visitare il museo e voglio portarti in uno dei ristoranti migliori della città. Si affretti, Signor Downey!"
 
 
 
Salve a tutti :)
Scusate il ritardo, ma la Maturità ha portato via tutto giugno.
Spero che la storia vi stia piacendo, fatemi sapere che ne pensate.
Alla prossima.
Baci.

 

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Capitolo 7
*** Berlino. ***


CAPITOLO SETTIMO: Berlino.
 
Robert doveva proprio ammettere che Berlino era una città magnifica, ricca di storia e di arte. Aveva sempre sottovalutato quella città, dato che non aveva mai avuto l'occasione di visitarla a causa del lavoro, e aveva deciso di godersi quel fine settimana appieno. E poi con Amira era tutto molto più emozionante. La ragazza, infatti, conosceva tutta la storia della città e gli aveva raccontato tutto nei minimi dettagli, dagli anni in cui la Germania non era ancora una Nazione degna di tale definizione fino alla storia attuale. Ascoltarla era un piacere, sentire la sua voce che allegramente spiegava un evento storico oppure descriveva un monumento, i suoi occhi vivaci che si illuminavano e la sua gioia nel camminare per quella città erano la cosa migliore che lui avesse vissuto nell'ultimo periodo. Avevano visto Friedrichswerdersche-Kirche, la prima chiesa neo-gotica di Berlino e nella quale era seppelliti alcuni personaggi illustri come Berthel Thorvaldsen,  Friedrich Tieck e Christian Daniel Rauch. Amira si era dilungata molto sulla storia e sull'architettura della chiesa e Robert aveva seguito tutto per filo e per segno. Poi si erano spostati per visitare il Dahlem Museen, ossia il museo Etnologico di Berlino dove erano conservati oggetti acquistati dalla Germania  nei viaggi di esplorazione e colonizzazione tra l'800 e il '900 e dove si può anche trovare una collezione di etnomusicologia. Infine avevano chiuso quella giornata da turisti con la visita al Muro, dove avevano trascorso circa due ore a parlare dell'accaduto e di come certe cose si sarebbero potute evitare. Verso l'ora di pranzo si erano recati in centro per mangiare in uno dei migliori ristoranti della città, al Dae Mon. Ora, seduti l'uno di fronte all'altro, stavano ridendo.
"Non ci posso credere! Hai davvero fatto il piercing alla lingua?"
Amira annuì e scoppiò a ridere.
"Avevo sedici anni e quando sono tornata a casa i miei mi hanno messa in punizione per sei mesi, potevo soltanto uscire per andare a scuola e in chiesa. E' stato terribile."
"Lei ha un'anima ribelle, signorina Taylor!" esclamò Robert con un'espressione divertita sul viso mentre cercava invano di nascondere un sorriso.
"Mi dispiace per lei, signor Downey, ma lei è in compagnia di una vera fuori legge."
Lui le regalò un sorriso sincero e poi si protese verso di lei con i gomiti poggiati sul tavolo e le mani sotto al mento; lei fece lo stesso.
"Sei assolutamente fantastica. Conosci davvero tante cose e parli così bene il tedesco che un estraneo potrebbe pensare che sei di qui e non inglese."
"Oh grazie, sei davvero gentile. Adoro le lingue e la storia, così mi impegno al massimo per cercare di eccellere in entrambe. E poi parlare altre lingue è il mio lavoro, il motivo principale per cui mi hai assunta."
Robert si tirò indietro, le spalle contro lo schienale in pelle bianca del ristorante, un sorriso malizioso sulle labbra e gli occhi puntati su di lei.
"Il motivo principale per cui ti ho assunta era quella camicetta adorabile che indossavi al colloquio. Era di velo e si vedeva praticamente tutto." rise lui mentre la ragazza arrossiva e poi lo ammoniva con lo sguardo.
"Robert!"
"Sto scherzando, anzi quello è il terzo motivo per cui ti assunta."
"E i primi due quali sarebbero?"
"Il primo è senza dubbio il tuo sguardo: così limpido ma anche fermo e risoluto. E in secondo luogo mi ha colpita la tua insicurezza perchè non la capivo dato le tue eccellenti referenze."
Amira abbassò gli occhi sulla tovaglia, che ad un tratto era diventata interessante, e rimase in silenzio. Era sempre stata insicura e non si era mai piaciuta nonostante tutti i complimenti che riceveva, ma lei diceva sempre che contava più l'anima che l'aspetto fisico e sperava che qualcuno potesse vedere la sua parte interiore. Robert allungò una mano e afferrò la sua, lasciando che le loro dita si intrecciassero. Solo allora lei alzò lo sguardo e fece un mezzo sorriso.
"Allora, dove mi porti adesso?"
"Mmm...potremmo fare una semplice passeggiata e poi stasera potremmo bere qualcosa da qualche parte, se ti va ovviamente."
"A Berlino c'è la migliore birra del mondo e tu mi chiedi se mi va? Certo che mi va!"
Amira rise e scosse la testa. Si sentiva leggera.
 
 
 
"Hai più sentito Indio?"
Amira era seduta in braccio a Robert su una panchina del Schlosspark Charlottenburg, dietro il castello di Charlottenburg ci sono un piccolo giardino barocco e un grande parco in stile inglese. L'aria era fresca ma piacevole e lei stava bene tra le sue braccia, la testa poggiata sul suo petto e le mani di lui che la tenevano stretta.
"Ieri l'ho cercato e mi ha detto che sta bene, è da sua madre e ha ripreso a suonare. Non so che pensare riguardo a questa situazione. Lui mi dice che sta bene e sembra essere sincero, ma poi Susan mi dà una seconda versione della storia dicendomi che lui mente perchè non vuole che io gli stia addosso. Ma comincio a pensare che sia una bugia che inventa lei per tenermi a bada."
"Dovresti raggiungere Indio e toccare con mano la situazione, perchè se stai alle parole di quella donna non so se saprai mai come stanno le cose. E non dico così perchè lei non mi piace ma perchè conosco Indio e so che è un bravo ragazzo, si sente tanto solo. Ha bisogno di una figura costante nella sua vita."
Robert poggiò il mento sulla spalla della ragazza, il tipico profumo di lavanda lo fece sentire al sicuro ma il loro discorso lo stava facendo vacillare. Amira gli stampò un sonoro bacio sulla guancia e lui sorrise a quel gesto, stringendola di più.
"Sai che con questo cappello e questi occhiali non ti avrei mai riconosciuto?! Sai mascherarti bene!"
"Hai visto? Tanti anni sul set stanno dando i loro frutti."
La ragazza rise e lui fece lo stesso. Stavano bene insieme, senza fare nulla di speciale, solo loro due e tutto il tempo del mondo.
"Ti va un Bethmännchen? E' un tipico dolce tedesco."
"Mi hai portato a Berlino per mangiare praticamente!"
Amira si alzò, gli strinse le mani e lo costrinse ad alzarsi. Si incamminarono per cercare una pasticceria. Camminarono mano nella mano senza rendersene conto.
"Viaggiare vuol dire anche assaggiare la cucina del posto che si visita. Comunque riguardo a questo dolce la eggenda dice infatti che il dolce sia stato inventato nel 1838 dal cuoco della famiglia Bethmann  in onore dei quattro figli. Quando uno di questi morì, il dolce, che inizialmente era decorato da quattro mezze mandorle, ne perse una, assumendo l'aspetto che ha adesso. Sono dei biscotti preparati con marzapane, zucchero a velo, giulebbe, e albume o mandorle tritate. Dicono sia delizioso."
Robert non poté fare altro che sorridere della genuinità di quella donna che gli stava facendo dimenticare i problemi e sentiva che il macigno sul cuore pesava di meno.
 
 
 
Quando tornarono a casa, dopo aver mangiato i Bethmännchen, erano le 19.00 e decisero di prepararsi per uscire e andare in un locale del centro. Robert fu il primo a farsi la doccia, poi toccò ad Amira. Quando uscì dal bagno lui si stava abbottonando la camicia e lei era solo avvolta da un asciugamano azzurro. Gli occhi di Robert guizzarono su di lei, osservando le spalle scoperte, il petto che si intravedeva e le gambe. Le si avvicinò e l'abbracciò da dietro, lasciandole un bacio sul collo. La ragazza si voltò e lo baciò con maggiore strasporto mentre gli infilava le mani tra i capelli e lasciava che le mani di lui le accarezzassero la schiena freneticamente. Robert prese a baciarle il collo con desiderio mentre le sue dita scivolavano al bordo dell'asciugamano ma Amira cominciò a tremare e lui dovette fermarsi. Si allontanò, lasciando la ragazza che teneva le braccia conserte, e si diede del cretino mentalmente.
"Perdonami, Amira. Mi sono lasciato andare. Spero di non aver rovinato tutto."
"Non hai rovinato niente, tranquillo. Sono io che...non sono abituata."
Robert le prese la mano e le baciò le nocche, poi le diede un bacio a stampo e le sorrise. Era così piccola.
"E' tutto okay. Adesso preparati altrimenti facciamo tardi."
Venti minuti dopo Amira, con indosso un paio di pantaloni neri, maglia a tre quarti grigia e scarpe rosse col tacco, si infilò la giacca di pelle ed insieme uscirono. Aveva lasciato i capelli sciolti e le ricadevano in morbide onde sulle spalle, aveva applicato solo un filo di matita e una passata di lucido sulle labbra.
"Vestita così metti a dura prova il mio povero istinto." le disse Robert mentre mano nella mano, per la seconda volta, si recavano in centro. Amira sollevò gli occhi al cielo e rise.
"Mi dispiace se il mio abbigliamento la mette a disagio, signor Downey."
"Oh e adesso fai anche la spiritosa!"
Risero entrambi ed era bello che per la prima volta potevano uscire come due normali persone, senza paura e senza doversi nascondersi.
"Ti sei mai ubriacata?" le domandò lui con noncuranza.
"No, mai. Sono una brava ragazza, io."
"Aspetta, vuol dire che qui l'unica persona brava sei tu? Mi stupisce la tua sfiducia nei miei confronti!"
Amira scoppiò in una risata cristallina, trascinando anche lui, e scosse la testa mentre poggiava la testa sulla sua spalla.
"Idiota! Tu ti sei mai ubriacato?"
"Più di una volta!"
"Appunto! Io sono io quella brava tra i due, non c'è ombra di dubbio."
Lui la guardò con allegria e le cinse un fianco, tenendola stretta a sè.
"Avrai anche tu i tuoi segreti, signorina."
Amira gli lanciò un'occhiata maliziosa e gli sorrise, voleva prenderlo in giro e sapeva quali tasti toccare.
"Non immagini quanti." gli sussurrò all'orecchio e lui rimase interdetto per un attimo, poi sospirò e cercò di mantenere la calma.
"Magari potrei raccontarti i miei segreti quando saremo a casa."
Robert la fulminò con lo sguardo e lei, ridendo di gusto, gli fece l'occhiolino per poi lasciargli un bacio sulla guancia.
 
 
 
Il locale era pieno di gente, chi ballava, chi stava seduto al bancone, chi chiacchierava e chi dava i primi segni di ebrezza. Amira e Robert presero posto ad un tavolino al secondo piano da cui si vedeva la pista da ballo ordinarono due birre.
"Almeno sai reggere l'alcol?" le domandò lui con un tono di scherno. Il cameriere portò loro l'ordinazione e lei afferrò la sua bottiglia con un sorriso di sfida.
"Stasera lo sapremo, signor Downey!"
Fecero cin-cin e poi mandarono giù un sorso di birra fredda che scendeva lungo la gola e dava un senso di adrenalina. Seguirono altre due birre e ormai stavano facendo discorsi senza nè capo nè coda, con il solo scopo di terminare il tutto con una risata.
"Come ti senti?"
"Sto bene, non sono ubriaca. Mi sento leggermente...brilla, ma poco. Tu?"
"Reggo benissimo, ragazzina."
"Ti riferisci all'alcol o..." lo sguardo della ragazza era carico di malizia e divertimento, appena lucidi e bellissimi sotto le mille luci del locale. Robert scoppiò a ridere e si portò una mano sul cuore.
"Sei terribile, Amira! Intendevo dire che reggo bene l'alcol. E non solo quello."
Adesso era lei che rideva a quelle parole e a quegli occhi che non lasciava spazio ad altre risposte.
"Credo che quel gruppo di ragazze ti abbia riconosciuto."
Robert si voltò appena e notò delle ragazza, sedute in fondo su un divanetto nero, che lo guardavano e ridacchiavano.
"Possiamo andarcene, se vuoi." propose Amira e lui annuì. Lei indossò la giacca e lasciò una banconota sul tavolo.
"Perchè stai pagando?"
"Rob, hai già pagato il pranzo e adesso lascia pagare me. Lo sai che non riesci a distogliermi da questa idea. E adesso muoviti prima che qualcun'altro ti veda."
Lasciarono in fretta il locale e si riversarono di nuovo in centro. Cercavano di mantenersi ai margini per evitare che qualcuno lo riconoscesse. Il cielo era limpido, la luna era grande e splendeva illuminando il cielo e l'aria s era rinfrescata. Camminavano vicini ma non con le mani intrecciate.
"Non è strano stare con me?"
"Che vuoi dire?"
"Voglio dire, hai solo ventotto anni e io sono molto più grande di te. Potrei essere tuo padre."
Amira non aveva mai fatto caso all'età di Robert e mai aveva pensato che potesse essere un problema. Lei era abbastanza adulta da decidere di stare con un uomo più grande, la scelta era solo sua.
"Non ho mai pensato alla nostra differenza d'età, ad essere sincera. Tu?"
"No. Hai quasi trenta anni e credo che tu possa permetterti di voler stare con uno di cinquanta anni. Non lo considero un problema. Credo solo che, essendo così giovane, potresti stare con un tuo coetaneo o con qualcuno poco più grande di te."
"Robert, stai cercando un modo per allontanarmi?"
Ora erano fermi, uno di fronte all'altro, lo sguardo risoluto di lei e la tensione che aumentava.
"No. Voglio che tu mi dica che non ti allontanerai."
"Non potrei mai farlo, Rob. Io ti amo."
Lui l'attirò a sè e la baciò lentamente e dolcemente, voleva dimostrarle che la voleva a tutti i costi.
"Ti amo anche io, ragazzina."
Amira sorrise e premette di nuovo le labbra sulle sue. Aveva sempre desiderato momenti come quello, poter vivere la loro relazione alla luce del sole, senza scuse e bugie. Ma su di loro pesava sempre quell'alone di ansia e paura di essere scoperti.
"Quando la smetterai di chiamarmi così? Lo odio."
"Per questo ti chiamo così. Adoro darti fastidio!"
"Potrei mollarti qui, sappilo."
Robert rise e le tirò un buffetto sul braccio, facendola sorridere, mentre tornavano a casa.
"Non lo faresti mai."
Amira non rispose e continuò a camminare sotto lo sguardo allibito e preoccupato di lui.
"Vero? Amira, rispondi!"
"Rob, muoviti!"
 
 
 
Quando tornarono a casa erano le due di notte passate. Fuori era buio, solo la luna come unica fonte di luce, e regnava il silenzio. Mentre Robert era in bagno, Amira aveva chiamato subito i suoi amici per fare il resoconto di quella giornata.
"É bella Berlino? Oppure il tuo supereroe é meglio?" la risata di Lola risuonò in tutta la stanza e la ragazza sperò che Robert non avesse sentito.
"É una città bellissima, e si mangia anche bene. Dovremmo venirci insieme!"
"Sì, e Jeremy porterebbe Pitt con sé!"
Jeremy, dall'altro capo dello schermo, affondò il viso nel cuscino e le sue amiche scoppiarono a ridere.
"J, mi devi raccontare qualcosa?"
"Ehm...io e Pitt abbiamo deciso di frequentarci seriamente. Ieri mi ha portato sulla Ruota e abbiamo mangiato un gelato lungo il Tamigi. É stato davvero romantico."
Amira sorrise nel vedere che il suo amico aveva trovato una persona che gli voleva davvero bene, e aveva notato che Lola stava meglio. Si era fatta un nuovo taglio di capelli e li aveva tinti, sembrava più giovane, e un sorriso allegro aleggiava sulle sue labbra.
"E il signor Downey come sta?"
"Sta bene."
"Oh avanti, non puoi liquidarci così, Ami! Parla."
Il quell'istante la porta del bagno si aprì e ne uscì Robert che ridacchiava. Si sedette sul letto accanto ad Amira e salutò i due ragazzi.
"Il signor Downey sta alla grande ed é merito della vostra amica. Voi siete Lola e Jeremy, giusto?"
Jeremy e Lola rimasero imbambolati per qualche momento e poi presero balbettare, facendo ridere Robert.
"S-sì, siamo noi. Oddio, stiamo parlando con Robert Downey Jr, J! Renditi conto!" trillò Lola in preda ad un attacco da fangirl.
"Prima che diventiate imbarazzanti é meglio che io chiuda. Buona serata!"
Amira chiuse il portatile e nascose il viso con le mani, troppo imbarazzata. Lola lo aveva fatto apposta. Robert scoppiò a ridere e si portò una mano sul cuore, gesto che, Amira aveva capito, faceva inconsapevolmente.
"Mi scuso per quei due. Sanno essere davvero..."
"Simpatici, sono simpatici. E si vede che ti vogliono davvero bene. Vorrei averli avuti io amici così quando avevo davvero bisogno di una mano." la voce di Robert era diventata improvvisamente triste e profonda, stava pensando al suo passato e a suo figlio. Aveva commesso troppi errori. Amira gli scoccò un bacio fragoroso sulla guancia e lui sorrise. E in una frazione di secondo la ragazza scivolò sotto di lui, si guardarono e tutto attorno sparì. Amira gli passò l'indice sulla guancia, poi sulla gola, scese sul petto e infine percorse i pettorali e l'addome. Robert respirò a fondo, cercando di mantenere il controllo, e lei continuava a fissarlo con sguardo innocente. Poi non resistette più e si protese per baciarla, un bacio urgente, tra i sospiri, e veloce, quasi famelico. Lui le strinse i fianchi con fare possessivo e solo allora si accorse che la ragazza aveva cominciato a tremare leggermente.
"Scusami."
Amira scosse la testa con un sorriso e gli diede un bacio, questa volta dolce e lento. Lui rispose al bacio con altrettanta dolcezza, assaporando quelle labbra che tanto amava, mentre le accarezzava le cosce e sentiva che lei si era un attimo irrigidita.
"Shh, farò piano. Promesso."
Non dissero più nulla, e passarono la notte ad amarsi.
 
 
 
L'indomani, alle sette di mattina, erano in aereo diretti sul set. Susan sarebbe tornata per le nove e loro sarebbero dovuti arrivare prima di lei per non destare sospetti.
"Sono stato davvero bene in questi due giorni con te."
Amira si tolse gli occhiali da vista e chiuse l'agenda di pelle rossa per sorridere a Robert.
"Sono contenta che tu ti sia divertente. E anche io sono stata alla grande."
Robert le strinse la mano e le fece l'occhiolino.
"Qualunque cosa accada, Amira, ricorda che ti amo e non te lo dimenticare."
La ragazza sorrise e gli lasciò un bacio a fior di labbra, che lui però approfondì.
"Ti amo anche io. Sempre."
 
 
 
Salve a tutti! ;)
Sembra che per Amira e Robert le cose vadano bene.
Ma sarà così anche quando torneranno da Berlino? Cosa li aspetta sul set?
Lo scoprirete nel prossimo capitolo ahahaha
Alla prossima.
Un bacio.
 
Ps. Perdonate eventuali errori di battitura.
Ps.2: tutti i riferimenti a Berlino, ai dolci e ai luoghi è vera. Mi sono informata su internet per scrivere il capitolo (nel caso pensaste che abbia inventato tutto).

 

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Capitolo 8
*** Buon anniversario. ***


CAPITOLO OTTAVO: 'Buon anniversario!'
 
 
Tornare a lavorare dopo quel weekend a Berlino era veramente un dramma per Amira. Erano tornati dieci minuti prima che Susan bussasse alla porta di Robert per salutarlo. Lei li aveva spiati dalla porta mezza aperta della sua stanza e un macigno le era caduto sul cuore, era gelosa. Poi si era chiusa in bagno per una lunga doccia e il resto della giornata l'aveva trascorsa a leggere, aggiornare la sua agenda rossa e verso le 18.00 era andata da Gemma per darle una mano con la cena. Al suo rientro, verso le 22.00, era passata per il bar per comprare una bottiglia di acqua e aveva visto che ad un tavolo erano riunito tutto il cast, Susan e regista compresi. Quando poi era ritornata in camera aveva chiamato Jeremy e Lola. Solo verso l'1.00 aveva preso sonno.
L'indomani si preparò in tutta fretta, indossando un jeans ed una camicia verde acqua, si era infilata un paio di Vans nere e si era legata i capelli in uno chignon, senza trucco. Aveva afferrato la sua borsa nera, nella quale era custodita la sua agenda, e Jeff l'aveva accompagnata sul set. Tutti erano già a lavoro.
"Amira, porta il caffè a Robert. Ora!"
Harold le passò una tazza di caffè e il giornale, lei sbuffò e si incamminò verso il loro camerino. Quando bussò udì una voce gracchiante che la invitava ad entrare. La ragazza mise piede nella stanza e lanciò un'occhiata interrogativa al suo capo. Infatti il piccolo Exton era seduto in braccio al suo papà e, quando si accorse di Amira, agitò le braccia verso di lei. Lei con un sorriso dolce lo prese in braccio e gli lasciò un bacio sulla manina paffuta.
''Ciao, tesorino!" esclamò Amira al bimbo con voce buffa. Robert alzò lo sguardo su di lei e sorrise, amava i bambini. Gli occhi di Susan guardarono prima suo marito e poi la sua segretaria come se assistesse ad una partita di ping-pong, poi sbuffò.
"Signorina Taylor, si attenga a fare solo la segretaria." le disse con tono sprezzante e la tensione era palpabile.
"Mi scusi."
Amira lasciò Exton alle braccia di sua madre e porse il caffè e il quotidiano a Robert con gli occhi bassi e in silenzio.
"Può andare." trillò di nuovo la voce di Susan. La segretaria annuì e fece per andarsene quando Robert parlò.
"Vengo con te, Amira. Dobbiamo rivedere alcuni impegni."
I due uscirono sotto lo sguardo perfido e pieno di odio della signora Levin. Non appena furono abbastanza lontani, Robert strinse la mano della ragazza e le baciò una guancia ma lei non ricambiò.
"Che succede?"
Amira non rispose e continuarono a camminare, poi lo spinse in un angolo abbastanza nascosto e premette le labbra su quelle di lui. Robert sorrise nel bacio e l'attirò di più a sé.
"Buongiorno, signor Downey." sussurrò lei sulle sue labbra, poi un bacio  a stampo e si allontanò.
"Buongiorno, ragazzina."
"Come mai Exton è qui?"
Robert le cinse un fianco e si incamminarono di nuovo verso il set.
"Sinceramente non ne ho idea. L'ho trovato in camera di Susan, ma non so perchè sia qui."
Amira si irrigidì e sospirò. Tutta quella situazione non le andava giù. Nascondersi, far finta di nulla, sopportare la presenza di Susan era troppo. Anche lei meritava di stare bene, meritava la serenità che non aveva mai avuto in vita sua. In famiglia le cose erano sempre state difficili, molte persone erano entrate nella sua vita, l'avevano distrutta e l'avevano abbandonata come fosse un giocattolo rotto. Era stanca.
"Amir..."
"Lascia stare. Sono solo stanca di questa faccenda."
Robert la fece voltare nella sua direzione e le baciò la fronte. C'era dolcezza e amore in quel semplice gesto.
"Ce la faremo, ne verremo fuori. Dammi tempo."
"Ho dato troppo tempo e l'ho perso."
Detto questo, la ragazza prese a camminare da sola verso il regista lasciandolo solo a rimuginare su quella storia. Amira aveva ragione: stavano perdendo il tempo.
 
 
 
"Duvall e Downey, in posizione. Uno, due, tre...azione!"
La scena prevedeva una conversazione tra Hanc e suo padre per decidere quale versione proporre in tribunale. Amira, come sempre, si era ritagliata un piccolo spazio per osservare le riprese. Continuò a fissare meravigliata come Robert e Duvall recitavano quando lo schermo del suo cellulare si illuminò: Andrew. Si allontanò con discrezione e sgattaiolò fuori. Fece un respiro profondo e rispose.
"Pronto?"
"Finalmente! Mi stavi evitando? Ah no, non rispondere. Comunque, sono dal prete con Madison e vogliono la conferma per quanto riguarda il nome della madrina. Posso dare il tuo? In realtà, lo abbiamo già dato ma solo perché mamma mi ha detto che avevi accettato con entusiasmo, ma tu non hai risposto alle mie chiamate o ai messaggi ed é rimasto tutto in sospeso."
Amira non aveva mai detto esplicitamente di non voler battezzare sua nipote ma sua madre aveva finto che le avesse accettato ed ora nei guai. Non voleva tornare dalla sua famiglia, preferiva che le cose restassero così. Ma Andrew, Madison e la piccola Anna non avevano colpe ed era ingiusto reclinare l'opportunità di fare da madrina alla sua unica nipote. Sospirò.
"Amira, lo so che odio tornare qui e che odio stare con noi ma Anna merita che sua zia sia presente. E poi tu e Maddy andate piuttosto d'accordo." la voce di suo fratello era dolce, persuasiva e carica di speranza.
"Io..."
"Parlerò con mamma e papà, se vuoi! Dirò loro di non darti fastidio e anche io me ne starò buono."
Tuo fratello non c'era nulla con questa storia, si disse Amira.
"Va bene, accetto." esordì alla fine mentre un sorriso le illuminava il viso. Sentì Andrew ridacchiare ed esultare.
"Perfetto! La celebrazione si terrà domenica, ti aspettiamo eh!"
"Questa domenica? Cioè, fra quattro giorni? Oh...okay, nessun problema. Allora ci si vede domenica."
Fundo chiuse la chiamata il cuore le salì in gola, sbuffò e sfregò le mani sulle cosce. Poteva affrontare la sua famiglia, era diventata così forte da farcela. Doveva farcela.
 
 
 
Le riprese terminarono giusto in tempo per il pranzo. Il cast e la troup si riunirono al solito tavolo mentre dall'altra parte della sala era collocato lo staff come sempre. Robert si sedette al solito posto, tenendo in braccio Exton, e Susan prese posto accanto a lui. Alzò lo sguardo soltanto quando entrarono Amira e Jeff. Lei sorrideva e scherzava con tutti come se li conoscesse da una vita, con la sua allegria animava quel tavolo e faceva ridere tutti. Robert sorrise e scosse la testa.
"Amira è davvero una donna straordinaria." esordì Duvall, seguendo lo sguardo di Robert. Susan contrasse le labbra in un'espressione di disgusto.
"E' solo una ragazzina che crede di potersi permettere tutto. E comunque, caro Duvall, se l'ammiri tanto potresti invitarla stasera!"
Tutti gli attori e i registi portarono la loro attenzione su di lei. La donna si alzò, sorridendo, scosse il bicchiere con un coltello e produsse un rumore che attirò anche lo staff; ora tutti la stavano fissando, anche Amira.
"Voglio fare un annuncio: domani io e Robert festeggeremo il nostro anniversario di matrimonio e lo passeremo fuori città, perciò stasera siete tutti invitati alla festa che ho organizzato per l'occasione. Grazie!"
Tutti batterono le mani, sorridevano, facevano gli auguri agli sposi ed erano esaltati per via della festa. Robert guardò di traverso Amira: lo stava fissando a sua volta e gli rivolse un'occhiata priva di sentimento, vuota e fredda. Dopo la prima euforia tutti tornano seduti ordinatamente e Robert si allontanò dal tavolo per seguire Amira, che si era alzata e aveva lasciato il ristorante, con la scusa di dover andare in bagno. Ma quando si ritrovò nello spaziale dietro all'hotel non vide nessuno. Amira era sparita.
-Maledizione!-
 
 
 
Alle 21.30 Amira scendeva le scale che conducevano alla sala dove si sarebbe tenuta la festa. Era stata invitata da Duvall e non si poteva tirare indietro, d'altronde era la segretaria di Robert. Per l'occasione aveva indossato un abito lungo con un spacco laterale non molto esagerato a stampa serpente e aveva optato per dei semplici sandali neri col tacco. Mentre percorreva la sala si specchiò allo schermo del cellulare e si tirò indietro una ciocca di capelli (che aveva lasciato sciolti) e si assicurò che il trucco non si fosse sbavato. Duvall l'attendeva dinnanzi alle porte della sala con un sorriso incoraggiante.
"Sei meravigliosa, Amira."
La ragazza alzò con gli occhi al cielo e sorrise.
"Ed é solo merito del mio cavaliere."
Entrambi consegnarono l'invito e furono ammessi alla festa. Duvall la teneva a braccetto e sorrideva e salutava di qua e di là, abituato a quel tipo di occasioni. Amira era tutto un fascio di nervi: avrebbe retto tutta la serata? Sarebbe riuscita a non guardare Robert? Quelle erano le domande che si era posta tutto il pomeriggio e che ancora continuavano a darle noia. Prese coraggio e, a testa alta, accompagnò Duvall.
"Posso lasciarti un momento da sola? Devo salutare un vecchio amico."
Amira annuì e si sedette al bancone nella speranza che quella serata terminasse subito. La sala era stata addobbata assolutamente secondo i gusti di Susan: rose bianche ai quattro angoli della stanza, champagne costoso, un lungo tappeto rosso correva lungo le scale e terminava alle porte che conducevano sul retro dell'albergo, in giardino. Tutti gli ospiti erano persone importanti, attori, registi, modelle e tutti indossavano abiti eccessivamente costosi e appariscenti. Amira rise al pensiero che il suo abito costava solo cinquanta dollari. Improvvisamente sentì due mani che le coprivano gli occhi e le venne un colpo al cuore.
"Indovina chi sono."
Avrebbe riconosciuto quella voce dovunque, simile a quella di suo padre ma più dolce e sottile.
"Davvero credi che non ti riconosca, Indio?"
Quando la ragazza si voltò un enorme sorriso spuntò sul viso.
"Sei stupenda, come sempre."
"Stai facendo l'adulatore perché vuoi che nasconda a tuo padre tutte le gare clandestine di auto a cui hai preso parte?"
Indio rise e scosse la testa.
"Non puoi solo rispondere 'grazie' come tutte le persone normali?"
"Ma io non sono normale."
Tutti gli invitati si fermarono e presero a fissare le scale. Anche Amira e Indio fecero lo stesso. La ragazza sentì lo stomaco contorcersi dalla rabbia. Susan e Robert, mano nella man, stavano facendo la loro entrata tra sguardi di ammirazione, fischi e applausi. Lei, nel suo plateale abito rosso rubino, sorrideva e Amira temeva che il suo lifting non durasse a lungo. Poi spostò l'attenzione su Robert; era bello come sempre mentre sfoggiava il suo sorriso migliore e stringeva le mani degli invitati. Stranamente non indossava un completo abbinato come suo solito, e sicuramente Susan lo aveva assillato perché lo indossasse, ma al contrario era in maniche di camicia azzurra.
"Sono contento che siano tornati insieme." esordì Indio e Amira si voltò a guardarlo. Chissà cosa avrebbe pensato di lei se avesse saputo la verità. Non poteva fargli del male, pensava, mentre il sorriso di Indio si allargava man mano che vedeva Robert e Susan avvicinarsi.
"Indio!" esclamò Susan e corse ad abbracciare il ragazzo. Amira tenne gli occhi fissi sul pavimento. Sentiva lo sguardo penetrante di Robert su di sé e allora decise di allontanarsi. Non poteva resistere un minuto di più.
 
 
 
"Scappi sempre. Cos'è, a mezzanotte ti ritroverai vestita di stracci?"
"Non sei divertente."
"Davvero? Ho sempre creduto di essere la simpatia in persona!"
"Che vuoi?"
"Che ti prende, Amira?"
Robert poggiò la schiena contro la ringhiera dell'enorme terrazzo e infilò le mani in tasca. La sua assistente sembrava brillare sotto la luce opaca della luna.
"Non va bene così. Io non ce la faccio." disse Amira.
"Lo so che sono troppo bello e non resisti più!" Robert avrebbe voluto farla ridere ma quando notò gli occhi tristi della ragazza capì che era seria.
"Che intendi dire?"
"Che intendo? Guardati attorno, siamo alla festa per il tuo decimo anniversario di matrimonio, Susan é splendida con quell'abito e Indio non fa altro che sorridere. Io non c'entro nella tua, nella vostra vita. Non più. Stiamo rovinando tutto. Abbiamo sbagliato quella notte, tu dovevi rimanere al tuo posto e io anche...invece abbiamo dovuto stravolgere le cose. E non é giusto. Hai una moglie e due figli, un lavoro e un'immagine da mantenere. Ed io ho la mia vita da trascinare avanti. Non va bene."
Robert rimase immobile, lo sguardo inchiodato dinnanzi a sé, la postura rigida.
"Vuoi dire che é finita?"
Amira si avvicinò a lui, lo guardò e sorrise tristemente.
"Voglio dire che non è mai cominciata. E mai comincerà." la voce della ragazza era ferma e risoluta, era colpita dalla forza che aveva in quel momento.
"Signor Downey, mi licenzio."
"No. Non te lo permetto!"
Robert le strinse la mano e la costrinse a voltarsi. Era così bella e così maledettamente lontana. Così letale.
"Lasciami andare. Fallo per me."
Quelle parole furono la spada di Damocle ed ogni possibilità fu spazzata via. La mano di Amira scivolò via e con lei tutta la speranza.
 
 
 
Si dice che quando si chiude una porta si apre un portone, ed è così per tutti? Si chiese Amira mentre attendeva il volo che l'avrebbe riportata a casa, in Inghilterra. Aveva trovato un'altra segretaria per Robert perchè non lo avrebbe mai lasciato da solo ad organizzarsi. Ed ora, mentre sedeva su una panca in aeroporto, non sapeva da dove ricominciare. Tre anni prima sapeva che avrebbe lavorato per il signor Downey e non si era mai chiesta cos'altro avrebbe potuto fare nel caso quell'impiego fosse fallito. Credeva che sarebbe rimasta accanto a lui. Ma il destino aveva scelto un'altra via per loro. Aveva lasciato tutto ad Harold: la sua agenda rossa, oramai inutile, la penna che lui le aveva regalato per il primo anno di lavoro insieme, il cerca-persona, il badge e tutti gli accessori che le spettavano per lavorare. Quella stessa mattina le era giunto la liquidazione e le dimissioni firmate: il suo cuore aveva fatto un balzo quando aveva visto la sua firma. Era l'ultima volta che l'avrebbe vista. Aveva sospirato ed era scesa a salutare tutto lo staff, lasciando un regalo ad Harold e a Jeff. Erano stati ottimi colleghi.
Quando, diverse ore dopo, raggiunse casa sua capì che era davvero tutto finito. Bussò e sentì dei passi svelti dall'interno. La porta di aprì e sua madre la strinse in un abbraccio.
"Peter, vieni qui! Nostra figlia è tornata!"
Suo padre sorrise nel vederla e le diede un grosso bacio sulla fronte. Poi si accomodarono in salotto dove Madison ed Andrew giocavano con la piccola Anna. Suo fratello aveva gli occhi lucidi mentre stava lì impalato a fissarla. Non si vedevano da tre anni. Amira allungò la mano ma Andrew la tirò a sè e l'abbracciò forte.
"Mi sei mancata, sorellina."
La ragazza non disse una parola, sopraffatta da troppa tristessa e rimpianto, delusione per come la sua vita stava cambiando, sollevata che almeno lì il lavoro non l'avrebbe raggiunta. Non appena si sedettero cominciarono le domande a cui non avrebbe voluto rispondere.
"Quanto ti fermi, cara?" le chiese dolcemente sua madre e Amira dovette trattenersi dallo scoppiare a piangere. Tentò un sorriso.
"Sono tornata per restare."
La sua famiglia esordì in un 'oh' di sorpresa e lo shock era palpabile. Lei abbassò gli occhi e sperò di sostenere il resto della giornata.
"E il tuo lavoro? La tua libertà?" la voce di suo padre era severa e sarcastica.
"Papà, non mi sembra il caso di insist..."
"Lascia stare, Andrew. Volete la verità? Finite le riprese il signor Downey - e a pronunciare quel nome le venne il magone - ha deciso che non aveva più bisogno del mio servizio. Sapevo che restare  a NewYork senza lavoro sarebbe stato difficile e così ho deciso di tornare qui e trovare un impiego. Non sono qui per voi, tranquilli."
 
 
 
Quella notte prendere sonno fu un'impresa ardua. Amira si mise seduta sul suo vecchio letto e sospirò. Tornare a casa era stata una sciocchezza ma era l'unico modo per riprendersi. Lola e Jeremy le avevano detto che era meglio allontanarsi da tutto ciò che le faceva pensare al suo passato e lei aveva concordato. Non versò una lacrime, forse perchè non c'era più nulla per cui piangere, forse perchè non soffriva, oppure stava semplicemente tenendo a mente che non si piange sul latte versato. Scese in cucina perchè aveva sete e trovò il vino un’ottima soluzione. Si sedette e mandò giù un sorso di vino, subito sentì la gola bruciare e i nervi rilassarsi. Poi la luce si accese.
"Adesso ti dai all'alcol?" scherzò Andrew. Amira non rispose e bevve un secondo sorso.
"Che ti prende, Amira?"
La ragazza alzò gli occhi su di lui e il suo sguardo si incupì: erano le stesse paroe di Robert.
Lei fece spallucce e si versò altro liquido color sangue nel bicchiere. Si aspettava una ramanzina da parte di suo fratello, invece Andrew si sedette accanto a lei e si versò la bevanda nel suo bicchiere per poi buttarlo giù in un colpo. Amira poggiò la testa sulla spalla di suo fratello.
Pianse.
 
 
 
Salve a tutti! :)
La storia sta volgendo al termine, purtroppo.
Cosa ne pensate del ritorno a casa di Amira?
Tornerà da Robert?
Lo scoprirete nel prossimo capitolo ahaha
Alla prossima.
Un bacio.

  P.S. perdonate eventuali errori di battitura.

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Capitolo 9
*** Signor Tempo. ***


Capitolo nono: 'Signor Tempo'
 
 
Tre mesi dopo...
 
Alice: “Per quanto tempo è per sempre?”
Bianconiglio: “A volte, solo un secondo”.
(Lewis Carrol)
 
 
 
Il tempo è un gioco a massacro. A volte passa troppo velocemente e a volte sembra congelarsi. Amira si sentiva bloccata tra il passato e il presente. Erano passati tre mesi da quando aveva abbandonato il suo lavoro ed era tornata dalla sua famiglia. Il suo rapporto con suo fratello e sua moglie era migliorato dopo il battesimo della piccola Anna ed ora Amira aveva qualcuno su cui contare lì, lontano dalla sua vecchia vita e dai suoi amici. Aveva preso in affitto una casa con due stanze e un bagno in centro, lontano dai suoi genitori e vicino al suo nuovo posto di lavoro: l'orfanotrofio della cittadina. Una sua vecchia amica delle superiori aveva bisogno di una mano e lei aveva bisogno di un lavoro, perciò fu più facile dimenticare il passato fatto di viaggi, set, attori, abiti, registi e spettacolo. Ora tornava alle origini, alla vita di tutti giorni, una vita comune. Eppure Amira non aveva interrotto del tutto i contatti con i tempi andati: sentiva Harold due volte a settimana per sapere come lavorava la nuova segretaria e per darle consigli utili e una volta al mese Indio la chiamava da Baltimora, dove era in riabilitazione. Alla fine, Robert aveva ascoltato il suo consiglio. Robert, già. Non lo aveva più sentito, anche perchè la ragazza aveva cambiato numero ed era sparita senza lasciare tracce. Non chiedeva mai di lui nè ad Harold nè a suo figlio, non cercava notizie sul web, non parlava di lui o della sua vecchia vita con nessuno. Credeva che tenendo tutto dentro prima o poi avrebbe dimenticato, che il dolore sarebbe passato o che almeno facesse meno male. Le prime notti erano state un vero e proprio incubo: continuava a sognare quella fatidica notte che aveva fatto crollare tutto, sentiva la voce di Robert, vedeva i suoi occhi e allora si svegliava, si metteva seduta con le ginocchia rannicchiate e aspettava che passasse. Ma non passava mai. Però quella mattina una strana sensazione allo stomaco le diceva che qualcosa stava per accadere, bisognava accertarsi se fosse bella o brutta. L'aria autunnale cominciava a farsi sentire, le prime foglie cominciavano a staccarsi dai rami e così Amira si strinse nella giacca di pelle nera mentre camminava verso l'orfanotrofio. I bambini erano la sua unica gioia. Quando superò la cancellata notò due uomini in giacca e cravatta che bussavano al portone.
"Buongiorno. Posso fare qualcosa per voi?" esordì Amira alle loro spalle. Uno dei due sconosciuti si voltò e riconobbe la faccia, giallastra e arcigna, del signor Peterson, l'assistente sociale meno socievole del mondo. Ed era con il suo tirapiedi, Anderson.
"Oh Peterson, quale cattivo vento la porta da noi?"
L'uomo sorrise maligno e le regalo un'occhiataccia.
"Signorina Taylor, sono qui perchè una chiamata anonima ha segnalato un mal funzionamento del riscaldamento. Sa, non vorrei mai che quei piccoli marmocchi muoiano di freddo."
La ragazza stava per ribattere quando il portone si aprì e la testa bionda di Emma, la sua amica, fece capolino.
"E voi due arpie che ci fate qui?"
"Sono qui perchè qualcuno sostiene che il riscaldamento non funzioni."
Emma si spostò di lato e fece accomodare i due assistenti sociali. Amira, invece di scortare i due uomini in giro per l'edificio, raggiunse i bambini in mensa e venne accolta subito da abbracci e baci.
"Ciao, raggi di sole! Avete già fatto colazione?"
"Sì, Emma ci ha preparato il latte e la torta di mele." rispose una bambina dagli occhi gentili e i capelli neri. Amira le accarezzò dolcemente una guancia e si sedette in mezzo alla folla.
"Sedetevi tutti a terra, su. Oggi vi parlo di una cosa che tutti amano..."
"La famiglia?" chiese una vocina dal fondo, era Jason. Forse usare quelle parole era stata una pessima scelta. La ragazza scrollò il capo con espressione affranta. Voleva che tutti quei bambini avessero una famiglia, voleva che fossero amati sopra ogni limite.
"Amira, sveglia! Di cosa ci vuoi parlare?"
"Meglio cambiare attività oggi. Facciamo così: andiamo in biblioteca e vi leggo un libro su una città. Che ne pensate?"
I bambini esultarono e in tutta fretta si radunarono in biblioteca. Presero posto sul tappeto rosso e discutevano su quale libro leggere. Amira prese posto su una vecchia sedia rossa imbottita al centro della stanza.
"Di quale città parliamo oggi? Abbiamo letto di Roma, Londra, Mosca e Dubai. Hans, tu che dici?" chiese al piccoletto seduto in fondo, grandi occhi azzurri e capelli biondi a caschetto. Hans arrossì e prese un libro dalla pila che era ordinatamente posta a terra.
"Possiamo leggere un libro su Berlino?"
Amira spalancò gli occhi e sentiva le lacrime appannarle la vista. Berlino. La loro città. Un weekend che mai avrebbe dimenticato. E poi, come se nulla fosse accaduto, i ricordi tornarono a galla. Il cuore prese a battere forte, le mani sudavano, e lei non riusciva ad allontanare quelle sensazioni. Si sentiva strozzare. Di scatto si alzò e corse a sciacquarsi il viso. Si tenne forte al lavandino e respirò a fondo. Doveva mandare il dolore indietro.
 
 
 
"Come ti senti adesso?"
Amira si voltò ed Emma le sorrise incoraggiante. Alla fine non era riuscita a stare con i bambini e si era rifugiata in giardino con una tazza fumante di the. Si era calmata.
"Sono più tranquilla."
L'amica le posò una mano sulla spalla e sospirò. Anche Berlino era un ricordo da rimuovere.
"Senti, che voleva Peterson?"
A quella domanda gli occhi di Emma si velarono e alcune lacrime scapparono seguite da forti singhiozzi.
"Emma..."
"Vogliono chiudere la struttura perchè non è idonea. Abbiamo solo due settimane per trovare i soldi necessari per fare i lavori ed evitare che chiudano. E dove li troviamo tutti questi soldi?"
Amira sentì la rabbia prendere piede e strinse la tazza che aveva tra le mani, le nocche bianche e il cervello che pensava in fretta. Si alzò di scatto, abbandonò la tazza sulle scale e tirò in piedi Emma.
"Potremmo mettere in piedi una serata di beneficenza. Di solito funziona sempre e soprattutto quando si tratta di bambini!"
"Ami, è un'idea fantastica ma non abbiamo i mezzi per metterla in pratica. Ci servono i costumi, addobbi, bevande..."
"Lascia fare a me. So chi chiamare."
Lo sguardo di Amira era risoluto e determinato, nessuno avrebbe messo le mani sull'orfanotrofio. Emma la fissò allibita.
"No, Amira. Non puoi."
"Susan è l'unica che ci può aiutare."
 
 
 
"Ti voglio sul set per martedì prossimo, credi di farcela?" gli chiese Susan mentre controllava il cellulare. Robert annuì distrattamente e rimase a fissare il panorama che si vedeva da casa sua: la spiaggia, scogliere, cielo azzurro, ombrelloni colorati. Alla fine, lui e Susan avevano ufficialmente chiuso ogni tipo di relazione sentimentale ed erano rimasti ottimi colleghi. Lei avrebbe continuato a proporlo come attore e lui avrebbe accettato i ruoli. In quei tre mesi molte cose erano cambiate, oltre al rapporto con la sua ex moglie: Indio si era deciso e si era fatto ricoverare a Baltimora, aveva la possibilità di passare più tempo con Exton dato che le riprese di 'The Judge' erano terminate e la sua nuova segreteria, ragazza adorabile, era davvero un buon supporto. Non certo quanto Amira. Già, Amira. Non la sentiva dalla sera in cui avevano messo un punto alla loro storia, sempre se così possa essere definita. La colpa era la sua: era riuscito a perdere l'unica donna che gli aveva fatto sentire il cuore in gola e l'anima in fiamme. Aveva lasciato scappare l'amore della sua vita. Perché ne era certo, Amira era la donna giusta. Smettila di pensarci, si disse.
"É straordinario il modo in cui ti perdi nei tuoi pensieri. Voglio dire, per pensare serve un cervello e non credevo che tu ne avessi uno. Sono sinceramente stupita." squittì Susan con ironia. Robert rise e scosse il capo.
"Sei davvero gentile, come tuo solito. Peccato per te che io abbia un,cervello altrimenti a quest'ora saremmo ancora sposati!"
La donna scoppiò a ridere e avrebbe risposto se non fosse entrata Stephanie, la nuova assistente.
"Perdonate il disturbo, ma la signora Levin é desiderata sulla linea 2."
"Grazie, signorina Mark. Può andare."
La ragazza uscì dalla stanza con un riecheggiare di tacchi e una scia di profumo nell'aria. Susan lanciò un'occhiata confusa a Robert, che le fece segno di prendere la chiamata.
"Sono Susan Levin, chi parla?"
"Amira Taylor."
"Amira? Allora é vero che chi non muore si risente."
Robert spalancò gli occhi e fece cenno a Susan di mettere il vivavoce. Quella voce gli fece accelerare i battiti del cuore. Le mancava.
"Non sono in vena di scherzi. Anzi, voglio parlarle di una faccenda seria."
"Dimmi tutto."
"Da un po' di tempo lavoro in un orfanotrofio ma rischia di chiudere e per mantenere la struttura aperta abbiamo bisogno di soldi. Purtroppo io e la mia collega non disponiamo del denaro necessario, così ho pensato ad una serata di beneficenza ma ho bisogno che lei mi finanzi."
La voce di Amira era fredda, affilata e controllata, e Robert non credeva alle sue orecchie. Di solito la sua voce era piena di dolcezza, rilassata e calda ma sembrava aver perso tutti i colori. Era spenta. Ed era solo colpa sua.
"E chi ti dice che ti darò una mano?" ribatté acida Susan. Amira emise una mezza risata amara.
"Stammi bene a sentire: sarai anche una stronza patentata, ma so che non lasceresti mai soffrire dei poveri bambini. Perciò, mi aiuterai?"
Susan guardò Robert che era sbiancato, gli occhi sbarrati e l'espressione di uno che ha appena visto un fantasma.
"Va bene, Amira, ti aiuterò. Ad una condizione."
"Sarebbe?"
"Prenderò personalmente parte alla serata."
"Va bene."
"Abbiamo un accordo a quanto pare, signorina Taylor."
Amira non rispose e chiuse la chiamata. Nell'ufficio era calato il silenzio, ad interromperlo solo il 'bip' del telefono.
 
 
 
Quella sera Amira si ritrovava nell'unico bar della cittadina con suo fratello, Madison, la piccola Anna e un quarto invitato. Quando la ragazza entrò nel locale si affrettò a raggiungere il tavolo dove Andrew stava già dando sfoggio della sua profonda conoscenza di barzelletta.
"Buonasera. Scusate il ritardo, ma ho dovuto mettere i bambini a letto."
"Ami, questo è un mio collega: Aaron Bell." esordì Andrew.
Lo sconosciuto alzò gli occhi su Amira e le tese la mano con un sorriso, ma lei non ricambiò. Prese posto accanto a Madison e rimase zitta.
"Credo che la mia presenza non sia gradita." disse Aaron e Madison cercò di salvare la serata.
"Ma no! E' solo che Amira è molto timida."
"No. Amira non vuole nessun matrimonio combinato." disse Amira accigliata, lo sguardo duro e le braccia incrociate. Andrew guardò confuso prima sua sorella e poi il suo amico. Aaron sorrise e scrollò le spalle.
"Tua madre voleva che io e tua sorella ci sposassimo. Quindi comprendo benissimo la reazione di tua sorella."
"Io non lo sapevo..." sussurrò Madison quasi spaventata.
Amira si alzò, si infilò la giacca e uscì dal locale senza salutare. Ed ecco che di nuovo la sua famiglia decideva per lei. La sua vita sembrava già stabilita: come la mettesse si ritrovava sempre a dover fare ciò che i suoi avevano deciso per lei. Si incamminò verso il piccolo parco della città e si sedette sull'era, accanto al ruscello sormontato da un ponte. Voleva stare da sola.
"Non volevo rovinare la tua serata."
Aaron era alle sue spalle, un sorriso imbarazzato e gli occhi fissi a terra.
"Non è colpa tua. Adesso va' a casa, Aaron."
"Uh non mi avevano detto che tu fossi così fredda."
-Sono così perchè mi hanno ferita.-
"Bene. E ora che lo sai puoi benissimo tornare da dove sei venuto. Grazie."
Pochi secondi dopo, il ragazzo si sedette accanto a lei e prese a guardare la fila di alberi dinnanzi a loro.
"Perchè sei tornata?"
Una domanda che Amira non si aspettava e alla quale sperava di non dover rispondere.
"La vita di prima non mi andava bene più." mentì, più a se stessa che allo sconosciuto.
"Sì, infatti girare il mondo, vivere il lavoro di un set, conoscere le celebrità, partecipare a feste incredibili e a eventi V.I.P è una vita che non va giù a nessuno." ironizzò il ragazzo con un cenno del capo. Amira ridacchiò.
"Devo dartene atto."
"Una relazione finita male?"
La ragazza si voltò di scatto verso di lui e inclinò la testa: era l'unico che le aveva fatto quella domanda. Nessun altro aveva capito.
"Sì."
"Anche io sono tornato poco fa. Ho vissuto in Giappone negli ultimi due anni."
"Come mai in Giappone?"
"La mia azienda mi aveva mandato lì per un semestre per controllare che le nostre filiali lavorassero bene, ma ho conosciuto una donna e sono rimasto là. Ci siamo sposati in gran segreto cinque mesi fa perché la mia famiglia non avrebbe mai accettato. E sono tornato per dare la notizia a tutti i miei parenti, così spezzerò le speranze di tutti."
"La speranza che tu mi sposi."
Aaron annuì sorridente, poi strinse le dita attorno alla spalla di Amira e le regalò uno sguardo comprensivo.
"E tu? Qual è la tua storia, Amira Taylor?"
"Tre anni fa ho accettato di lavorare per uno degli attori più gettonati del momento e ho sacrificato tutto. Ho lasciato questa città, la mia famiglia e le mie paure. Ho conosciuto il mondo, Aaron. Ho visto posti da sogno e cose straordinarie, quelle cose che tutti sognano ma pochi vedono. Sono stata felice. Poi mi sono innamorata di lui. E beh...non è finita bene." gli occhi le erano diventati lucidi, teneva le mani in grembo e con la mente ritornava a quei tempi in cui era riuscita a stare bene.
"E' un uomo fortunato chi possiede il tuo cuore."
Amira gli sorrise, era stato davvero gentile con lei.
"Grazie, Aaron."
 
 
 
"Signore? Va tutto bene?"
Robert sbatté le palpebre e si rese conto che la sua segretaria lo stava chiamando con insistenza.
"Ehm...stavo pensando, scusami. Dimmi tutto."
"Le volevo parlare di una cosa importante. Ecco, ieri la governante ha trovato questa agenda e credo che debba tenerla lei."
Stephanie tirò fuori dalla borsa un'agenda malconcia di pelle rossa e la porse al suo capo. Robert rabbrividì e sentì il sangue scaldarsi nelle vene: era l'agenda di Amira.
"G-grazie."
L'auto si fermò davanti all'ufficio ma Robert non se la sentiva di scendere. La sua assistente sembrò capire e scese senza dire una parola. Quando la portiera si chiuse, il silenzio era diventato pesante, soffocante.
"Dove la porto, signore?" domandò Harold con discrezione. Robert cercò di riprendersi e arrancò qualche parola.
"Fa' un giro per la città."
"Va bene."
Anche l'autista aveva capito che era il momento di tacere e lasciare che il silenzio riprendesse il sopravvento. Robert alzò il vetro scuro per avere la giusta privacy e decise di leggere l'agenda. Sentiva ancora l'odore di lavanda.
 
GIOVEDI' 24:
- parrucchiere.
- estetista.
- spesa.
- pagare le bollette.
- accompagnare Robert sul set.
- ordinare la cena.
 
SABATO 26:
Da una settimana siamo sul set. Il lavoro è frenetico ma va bene così. Essere di nuovo al fianco di Robert è fantastico. Mi diverte troppo vedere le facce dell'intero staff quando io e lui raggiungiamo il set, quando discutiamo degli impegni i quando decidiamo cosa ordinare a pranzo. Qui sto bene, credo sia proprio il mio mondo. Jeff, il mio autista, è un uomo riservato ma mi sembra proprio una brava persona e, poi, ha riso ad una delle mie battute. Oggi Robert mi ha sorriso, il suo primo sorriso per me da quando è tornato dal misterioso viaggio. Non so che pensare. Sono piena di dubbi.
-Amira.
 
DOMENICA 2:
Stasera sono davvero distrutta, è stata una giornata pesante. A cena mi sono rimpinzata di cibo ed ora sono al caldo nel mio letto, aspetto che Robert venga a dormire. Sta parlando al telefono con Indio. Già, io e Robert abbiamo deciso di trascorrere questo fine settimana a Berlino. Ho intenzione di farlo rilassare e divertire, voglio che si allontani dalla sua solita vita da star e che viva alcuni giorni con assoluta normalità. Voglio renderlo felice. E' rientrato, adesso vado. A presto.
-Amira.
 
MARTEDI' 4:
Le cose sembrano andare bene: le riprese procedono senza intoppi, Harold e Jeff sono ottimi compagni di viaggio e con Robert pare essere nato qualcosa. A Berlino siamo stati benissimo, ci siamo divertiti e per un po' abbiamo dimenticato i problemi.
Ora è ufficiale (anche prima lo era!): sono follemente innamorata di lui.
Il lavoro mi chiama, scappo. A presto.
-Amira.
 
SABATO 8:
Caro Robert...
In realtà non leggerai mai questa lettera ma comunque sento il bisogno di scriverti.
Sto per lasciarti. Me ne vado.
Me ne vado da questo lavoro, me ne vado dal set, me ne vado dal mondo dello spettacolo, me ne vado dalla falsità, me ne vado dal dolore, me ne vado dall'amore, me ne vado da te, che sei un po' come il cioccolato: tanto buono quanto pericolo per la salute. I greci direbbero 'PHARMACOS', che vuol dire sia antidoto che veleno. E tu per me sei così: una cura ma una malattia. Mi fai bene ma mi fai male. Non è colpa tua, nemmeno mia, è il Fato che ha tracciato un percorso diverso per noi. Va bene così. Sei stato il mio desiderio di libertà, la mia seconda occasione, il mio inizio ma non puoi essere il mio lieto fine. Anzi, credo che per me il lieto fine non esista. Tra pochi minuti accompagnerò Duvall alla festa per il tuo anniversario di matrimonio. Va bene così. Susan sarà bellissima, l'ho intravista dalla finestra. Il piccolo Exton sembrerà un principino come sempre. E tu...tu sarai meraviglioso come sempre. Va bene così.
Adesso, però, ti devo lasciare. Va bene così.
Buon viaggio e che il vento spinga la sua vela in alto, capitano.
Va bene così.
Ti amo.
Tua per sempre.
Amira.
(Va bene così).
Quella era l'ultima pagina dell'agenda. Robert la richiuse con una nuova consapevolezza: doveva a tutti i costi tornare da lei.
 
 
 
"Mi stai dicendo che non chiuderemo?" chiese Emma, troppo entusiasta della buona notizia. Amira sorrise.
"No, non chiuderemo. Susan ci darà tutto l'aiuto possibile. Ora, però, ci dobbiamo mettere a lavorare sodo: abbiamo una settimana per preparare i bambini e addobbare il giardino."
"Oh ma per questo ci sono anche loro!" esclamò la biondina con un sorriso sornione. La ragazza gettò uno sguardo alle sue spalle: Madison, Andrew, Paul (il marito di Emma, i bambini, Aaron, Jeremy e Lola erano lì per aiutarle.
"Allora non c'è che dire se non tutti a lavoro!"
 
Salve a tutti! :)
Sembra proprio che la nostra Amira abbia abbandonato Robert per sempre…ma sarà davvero così?
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima.
Un bacio.
 P.S. perdonate eventuali errori di battitura.

 

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Capitolo 10
*** Ti vengo a cercare. ***


Capitolo decimo:’Ti vengo a cercare'
 
 
Una settimana era passata, una settimana di intenso lavoro. Fortunatamente Amira ed Emma avevano avuto un enorme supporto da parte di amici e bambini: tutto era pronto. I bambini avevano preparato una recita basata sulla favola di Pinocchio, il catering aveva già organizzato tavoli e sedie, i festoni, fiori e addobbi erano stati sistemati e anche la playlist era pronta. Mancava solo l'abito giusto.
Quella mattina Amira si era svegliata presto per preparare una sostanziosa colazione per Jeremy e Lola che erano ospiti a casa sua. L'odore della torta di mele e di caffè impregnava l'aria, ma nonostante questo quella non era casa sua nel profondo.
"Hai deciso di farci ingrassare?" esordì J mentre si sedeva a tavola con espressione meravigliata.
"Oh sta zitto! Non mangiamo qualcosa di decente da quando sei andata via, Ami." disse Lola con le mani entente ad inzuppare nel caffè biscotti alla cannella e a bere succo. Amira rise col cuore, quei due le erano proprio mancati. Le mancava la sua vecchia vita: passare le giornate tra il lavoro e le serate in giro per la città con i suoi amici. Allontanò quei pensieri dalla mente e addentò un pezzo di torta.
"Sì, sono decisamente brava."
Jeremy, che nel frattempo aveva spazzato quasi tutti i pancakes, convenne con la sua amica e rise.
"Allora, come passate il tempo qui?"
"Io lavoro tutto il giorno e quando ho del tempo libero lo passo a casa di Andrew o leggo."
"Non guardi la tv? I film sono una delle tue più grandi passioni." insistette Lola. Amira mando giù un sorso di caffè e si ripulì le mani e la maglia dalle briciole.
"Alla tv danno solo notizie stupide. I giornali sono molto meglio."
"In traduzione vuol dire che hanno finito di girare 'The Judge' e hanno trasmesso le riprese, le interviste per tutto il mese"
Amira non rispose, si alzò e uscì in terrazza. Lola aveva compreso bene il motivo ma ammetterlo ad alta voce era diverso dal tenerlo solo nella propria mente. Faceva meno male tenerlo per sè, come un segreto oscuro da non rivelare.
"Tesoro, lascia perdere Lola."
Jeremy le cinse le spalle con un braccio e le baciò la fronte. Le lacrime inevitabilmente (e finalmente) uscirono, calde, pesanti, dolore.
"Posso solo provare ad immaginare come tu ti senta. Solo io so cosa davvero provi per lui, ricordo quando passavamo il sabato sera sul divano a parlare di lui e a prenderlo in giro. Faceva tutto meno male. Però, tu sei cambiata. Hai abbandonato tutto e non avrei creduto che tu potessi fare una cosa del genere. Non pensavo quanto ti potessero distruggere i tuoi sentimenti per lui. Ho sottovalutato la situazione. Sei così fragile adesso, così ferita, così...distante. Noi siamo qui per aiutarti, non allontanare anche noi."
"Ti prego, Ami, noi ti vogliamo bene."
Anche Lola si unì a loro e i tre amici si strinsero in un abbraccio di gruppo.
 
 
 
"Dimmi che stai scherzando. Non puoi indossare dei semplici jeans!" sbraitò Jeremy mentre stavano raggiungendo l'ennesimo negozio della città.
"J, smettila. E' già tanto se stasera vengo."
Lola e Jeremy la fulminarono con gli occhi e ricordò la loro promessa: aveva promesso loro che si sarebbe ripresa. Non voleva deludere anche loro.
"Okay okay! Vada per un abito."
"Un abito sexy, sia chiaro. Vediamo di trovarti un uomo degno di essere definito tale!" Amira rise a quella infelice battuta di Lola e si fece trascinare dai suoi amici davanti ad una vetrina: oltre il vetro un manichino indossava un meraviglioso tubino nero, corto, senza spalline e con un nastro di raso nero sotto il seno.
"Questo è perfetto!"
I tre entrarono nel negozio ed Amira corse in camerino a provare l'abito.
"Piacerà a Robert?" chiese Lola sottovoce a Jeremy che annuì energicamente.
"Agli uomini piace tutto ciò che mette in mostra un bel corpo."
"Se solo Amira sapesse..."
"Lola, no. Ami non deve sapere che Robert sta venendo qui a prendersela. E' un segreto. Facciamolo per lei."
"Come sto?" esordì Amira: il vestito le calzava a pennello, sembrava cucito su di lei.
"Sei magnifica."
 
 
 
"Non ti credevo capace di una cosa così...eroica."
Robert portò l'attenzione sulla donna seduta di fronte a lui e rise.
"Eroica? Davvero non trovi un'altra parola, Susan?"
"La definirei una stupidaggine, inutile, priva di razionalità e scopo ma ovviamente tu non mi ascolteresti."
"Credi che io sia pazzo?"
Susan lo guardò a annuì. Erano in viaggio per l'Inghilterra, alla fine Robert era riuscito a convincerla ed ora lei faceva da cupido tra lui e Amira.
"Non avresti mai fatto una cosa del genere per me." disse Susan dal nulla, sembrava una semplice constatazione eppure aveva una vena di delusione.
"Suzie, io ti ho amato davvero per dieci anni ma le cose finiscono. Finisce il mare, figuriamoci l'amore. Con Amira è diverso ma non ne devo parlare con te, non credo sia decoroso."
La donna dovette dargli ragione ma mantenne il tiro e decise di prenderlo un po' in giro.
"Almeno a letto è brava?"
Robert le lanciò un'occhiata tra l'imbarazzo e lo sconcerto, lei alzò le spalle e aggiunse:
"Voglio dire, è molo giovane e non so quale esperienza possa avere a riguardo."
"Sa il fatto suo la ragazza."
"Oh Robert, non puoi liquidare la cosa con parole misere."
"Ti posso dire che un suo bacio equivale e dieci minuti di ottimo sesso e che tutte le volte che siamo stati insieme ha superato ogni mia aspettativa lasciandomi senza parole. Contenta ora?"
Susan scoppiò a ridere e poco dopo anche lui la seguì.
"Adesso ti riconosco, Downey!"
 
 
 
"Quindi, stasera ci sarà anche tua moglie?" chiese Amira entusiasta ad Aaron mentre finivano di disporre le sedie attorno ai tavoli. Lui annuì e sorrise.
"Sì. Voglio che la mia famiglia la conosca e voglio farle capire che sono stato uno stupido a tenere nascosto il nostro matrimonio dato che l'hanno presa tutti bene."
La ragazza sistemò l'ultima sedia e vi si sedette, era stanca e aveva solo voglia di un bagno e di un bicchiere di vino.
"Amira, che c'è?"
"Pensavo. Sei stato davvero coraggioso ad ammettere a tutti che sei sposato, che vuoi restare in Giappone e ammiro che tu difenda la tua relazione. Non tutti ne sono capaci."
Aaron la raggiunse, prese posto di fronte a lei e poggiò i gomiti sulle ginocchia.
"Intendi dire che tu non ne sei capace?"
Amira sorrise.
"Forse."
"Cosa vuoi? Avanti, siamo solo io e te. Dimmi cosa desideri davvero."
"Aaron..."
"No, Amira. Lo so cosa si prova a tenersi tutto dentro, a far finta che nulla sia successo, sbattersi un sorriso sulla faccia, verso o falso che sia, pretendere che la vita proceda e aspettare che il dolore passi. Beh, novità: il dolore non passa. Lo so che hai Lola e Jeremy, ma non sempre si riesce a lasciarsi andare con chi ci sta accanto. Io mi sono sfogato in un bar, mezzo ubriaco, con un omone che nemmeno capiva la mia lingua. Eppure mi sono sentito subito meglio. Parlami."
La ragazza si mise in piedi voltandosi verso la strada e alcune lacrime le velarono la vista; forse sfogarsi  non le avrebbe fatto male, riportare tutto a galla sarebbe stato positivo e poi, una volta a casa, avrebbe richiuso il dolore in una parte del suo cuore.
"Io sono innamorata di Robert, ma sono scappata. Ho dovuto farlo. Lui e sua moglie un paio di anni fa avevano divorziato e lui era a pezzi. Una sera ha suonato alla mia porta, si è buttato sul divano e dal nulla ha cominciato a raccontarmi la sua vita. I difficili rapporti col padre, le lezioni di danza e recitazione, i problemi con la droga, il suo primo matrimonio, e ha continuato fino a quella sera. Io più lo guardavo e più me ne innamoravo. Le sue parole, la sua vita, mi hanno mandato il cuore in gola, avevo i brividi e capì che ne sarei diventata dipendente. Le cose tornarono stabili. Non parlammo mai di quella notte, anche perchè forse lui non ne ha nemmeno memoria. Sta di fatto che una sera facemmo l'errore di andare a letto insieme e il giorno dopo è partito per un misterioso viaggio. In breve: è tornato con la sua ex, hanno un bambino bellissimo e il figlio maggiore di lui è in riabilitazione. Io non posso interferire con la loro vita, sebbene io lo ami tanto, e preferisco soffrire io. E poi eccomi qui, l'unico luogo nel quale speravo di non dover mai tornare, lontana dal lavoro che amo e dalla mia libertà. Quando si ha tutto lo si dà per scontato, si crede stupidamente che sarà nostro per sempre, e invece tutto ti viene portato via in un attimo. Nulla è per sempre, forse solo il dolore lo è."
La sua voce tremava, si sfregava le mani nervosa, a volte sorrideva e a volte temeva che le lacrime potessero avere la meglio. Fissò il vuoto e come una secchiata di acqua ghiacciata i ricordi la trafissero: le mani di Robert che la stringevano, la sua voce calda, la sua risata e quel sorriso che sapeva farle tremare le gambe, le sue labbra che un tempo l'avevano baciata, amata, guarita e che ora le mancavano. Sbatté le palpebre e sentì un nodo serrarle la gola.
"Sei molto più coraggiosa di me, sai. Io non avrei sopportato tutto questo."
"Poi ci si abitua." ribatté Amira con un mezzo sorriso, stava cercando di non crollare del tutto.
"No, al dolore nessuno si è mai abituato. Impari solo a condividere con esso le tua giornate."
Amira alzò gli occhi su di lui e lo abbracciò per una manciata di secondi. Aaron ricambiò la stretta e le sorrise.
"Oh mamma, è tardi. Tra poco dobbiamo essere alla festa!" esclamò la ragazza puntando gli occhi sul quadrante dell'orologio. Aaron scoppiò a ridere ed insieme lasciarono l'istituto.
 
 
 
Quanto sei disposto a fare per riaverla?, era la domanda che Susan gli aveva posto non appena giunti in Inghilterra e da allora non aveva smesso di pensarci. La verità era che non aveva la minima idea di cosa fare e dire quando l'avrebbe affrontata.
"Robert, muoviti!"
Robert prese un respiro profondo, si sistemò meglio la camicia nera e raggiunse Susan.
"Stavi ammirando il tuo riflesso nell'acqua, Narciso?"
"Non scherzare, Suzie. Sono un fascio di nervi."
"Fatti un bicchierino."
Lui alzò gli occhi al cielo e la sua ex scoppiò in una fragorosa risata. L'ascensore li lasciò al piano terra e si avviarono velocemente verso l'orfanotrofio, erano in ritardo. La serata era abbastanza calda per essere settembre, poche foglie erano cadute e le caratteristiche urbanistiche della città la rendevano davvero graziosa la grande piazza. Al centro torreggiava un imponente fontana da cui zampillava acqua azzurra illuminata dai fari e da lontano brillava la luce dell'istituto. Robert si fermò a due metri circa e Susan fu costretta a fare lo stesso e a voltarsi.
"E adesso che c'è?"
"Non ce la faccio."
La donna fece una smorfia di disgusto e scrollò le spalle.
"Io devo entrare per forza, tu...fa quello che ti pare. Non combinare guai."
Lui annuì e vide Susan sparire all'interno del tendone.
"Ce la puoi fare, anzi ce la devi fare!"
"Scusi, si sente bene?"
Robert si voltò e si accorse un ragazzo in compagnia di una donna asiatica che lo fissava. Stava facendo una pessima figura.
"Lei é Robert!" esclamò lo sconosciuto con eccessiva incredulità e meraviglia.
"Sì. Lei è..."
"Sono Aaron Bell, un amico di Amira. É qui per lei?"
Robert annuì.
"La può trovare sulle scale d'ingresso dell'orfanotrofio. Si dia una mossa!"
"O-okay. Grazie mille!"
I due si strinsero la mano e Aaron gli rivolse un sorriso di incoraggiamento. A grandi passi raggiunse il cancello di ingresso, lo aprì ed entrò. Apparentemente non c'era nessuno. All'improvviso un sospiro, Robert fece saettare gli occhi verso il portone e vide una sagoma seduta sullo scalino: Amira era lì, stava scarabocchiando su un taccuino, era totalmente assorta nei suoi pensieri e Robert colse l'attimo per ammirarla; gli era mancata troppo. Sotto l'opaca luce del lampione uno alone quasi magico l'avviluppava, come se fosse intrappolata in una teca di vetro, il capo chino, i capelli mossi che splendevano, il viso nascosto, quel vestito troppo corto per essere stata una sua scelta e la sua solita aria da eterna bambina.
"Shall I compare thee to a summer’s day? Thou art more lovely and more temperate. Rough winds do shake the darling buds of May, and summer’s lease hath all too short a date. Sometime too hot the eye of heaven shines, and often is his gold complexion dimmed;" Robert cominciò a recitare parole che la ragazza conosceva bene. Il sonetto di Shakespeare che la faceva commuovere sempre. Amira alzò gli occhi e si portò una mano alla bocca per lo stupore. Tremante cercò di mettersi in piedi e solo allora i suoi occhi lucidi furono messi in risalto dal chiarore del piccolo cortile.
"And every fair from fair sometime declines, by chance, or nature’s changing course, untrimmed; But thy eternal summer shall not fade, nor lose possession of that fair thou ow’st, nor shall death brag thou wand’rest in his shade..." riprese Robert con un sorriso mentre muoveva qualche passo verso di lei.
"Dai, Amira."
"When in eternal lines to Time thou grow’st. So long as men can breathe, or eyes can see..." e le parole non ebbero più il coraggio di uscire, le stringevano la gola e bruciavano come fuoco.
"...so long lives this, and this gives life to thee." terminò Robert. Aveva raggiunto il portone ma restava a una  manciata di centimetri di distanza. Amira lo fissava terrorizzata, sorpresa e contenta al tempo stesso. I suoi occhi erano fissi su di lui, sgranati e profondi, quasi alieni, lo guardava come se fosse un miraggio. Forse sto sognando, si disse. Troppo stanco e troppo contento, Robert allungò un braccio e le afferrò la mano, la strinse e le lasciò un bacio delicato sul dorso. La ragazza ebbe la pelle d'oca a quel contatto. Lui la tirò a sé, le cinse la vita e la strinse piano. Amira, inerme, poggiò la fronte sulla sua spalla e silenziosamente cominciò a piangere.
"Shh, non piangere. Basta soffrire, amore mio." le sussurrò dolcemente mentre aveva preso a dondolare leggermente sui talloni per calmarla.
"Non dovresti essere qui."
"Invece, sono proprio dove dovrei essere e dove sempre sarei dovuto stare. Accanto a te."
Amira raccolse la forza e lo allontanò con uno strattone.
"Amira..."
"No! Tu devi sparire. Adesso. Torna a casa e sta con la tua famiglia. Non saresti mai dovuto venire." la sua voce era un ringhio, aggressiva, disperata.
"Non credere di essere l'unica a soffrire! Da quando te ne sei andata é diventato tutto più difficile, però mi ha insegnato molto questa storia. Ed ora ti dico che ho avuto il coraggio di cambiare le carte in tavola: ho lasciato Susan a tutti gli effetti ed ora siamo solo colleghi, ho difeso Indio quando i mass media gli hanno dato addosso per la sua dipendenza, l'ho portato a Baltimora per farlo riprendere, e ho avuto il tempo di stare con Exton. Tutto questo é un punto positivo nella mia vita e lo devo solo a te. Ho sbagliato tutto con te, Amira. Ho cercato di mantenerti nell'ombra, non volevo che l'unica cosa bella degli ultimi anni venisse contaminata e alla fine ho distrutto tutto con le mie stesse mani. Volevo proteggerti ma l'ho fatto nel modo sbagliato. Ora le cose sono diverse, sono disposto a metterci l'anima. Io ti amo. Te lo giuro."
"Perchè mi hai lascito andare?"
"Credevo che fosse l'unica possibilità che tu avessi di stare bene lontana da me, dal dolore che ti ho provocato."
"Non è colpa tua, Robert. Non hai fatto niente. La verità è che abbiamo sbagliato entrambi convinti, però, che stessimo facendo la cosa giusta. Avremmo dovuto aspettare e parlare di più. Io non ce l'ho fatta ad un certo punto. La tua famiglia ti voleva ed io non ero nessuno per tenerti con me, non sono egoista e lo sai."
Robert scosse la testa e le sorrise.
"La mia famiglia sono Indio, Exton...e tu, se lo vuoi."
Ora erano di nuovo vicini, Amira alzò lo sguardo su di lui e gli toccò la parte sinistra del petto con l'indice.
"Ammettendo che io lo voglia, cosa succede ora?"
"Ora succede che ti prendo e non ti lascio più. Basta cazzate e comportamenti infantili, adesso si fa sul serio. Ci stai?" Robert sussurrò quelle parole sulle sue labbra, un semplice sfiorarsi. Amira sorrise.
"Ci sto."
Finalmente, dopo tre mesi, le loro labbra si toccarono di nuovo. Lei gli accarezzava la nuca con le dita e lui le stringeva la vita mentre dal giardino giungevano risate, musica e grida di gioia.
"Questo vestito è troppo corto, signorina."
Amira rise a annuì.
"Concordo, ma J e Lola mi hanno costr...No, non dirmi che loro sapevano..."
"Sì, ho chiesto loro di non dirti nulla e sono davvero contento che abbiano scelto questo abito!"
La ragazza gli assestò una gomitata nelle costole e scoppiò a ridere, anche il cuore le esplodeva di gioia.
"Anche se credo che sarai più bella quando te lo toglierò."
"Beh scopriamolo!"
 
 
 
La porta venne chiusa con un tonfo e Amira ebbe qualche secondo per accendere la lampada sulla scrivania prima che Robert l'abbracciasse da dietro e le baciasse la spalla. La ragazza si voltò verso di lui e lo baciò lentamente mentre le mani di lui cercavano la lampo del vestito. L'indumento scivolò lungo il corpo di Amira, che con un calcio spinse via, poi si tolse le scarpe. Prese a sbottonare la camicia di Robert e lui le stava accarezzando le cosce, i fianchi, le mani, le braccia lasciandole una scia di baci vogliosi sul collo. Quando si liberarono di tutti i vestiti, si abbandonarono alla passione, a quei sentimenti a lungo nascosti, che ora esigevano disperatamente di liberarsi. Fu la notte piu bella che passarono fino ad allora. Il silenzio spazzato da sospiri, gemiti e parole sussurrate, risatine sommesse.
Quando il sole fece capolino sulla cittadina, una flebile luce illuminò la stanza. Robert accarezzava dolcemente la schiena nuda di Amira e sorrideva. Poco dopo la ragazza si svegliò e, sbadigliando, si mise seduta. Era così bella.
"Buongiorno, Ami."
Lei ridacchiò e gli sorrise.
"Buongiorno a lei, signor Downey."
"Cercherai di scappare anche questa volta?"
"No. Ho intenzione di restare."
Robert l'abbracciò e lei poggiò la testa sul suo petto.
"Lo sai che ti assumerò nuovamente, vero?"
"E Stephanie?"
"Pensavo potesse 'badare' a Indio non appena uscirà di lì."
"Credo sia un'ottima idea."
"Amira."
"Dimmi."
"Io ti amo."
"Ti amo anche io, Rob."
 
 
Salve a tutti! :)
Questo è l’ultimo capitolo, all’appello manca solo l’epilogo.
Il #TeamAmira ha trionfato e noi siamo felici.
Fatemi sapere che ne pensate.
Alla prossima.
Un bacio.
 
Ps. Il sonetto è ‘’Shall I compare thee to a summers’s day?’’ di William Shakespeare.
(https://it.wikipedia.org/wiki/Sonnet_18)

 

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Capitolo 11
*** Epilogo. ***


Capitolo undicesimo: Epilogo- 'La famiglia Downey'.
 
 
Due anni dopo.
"Perché non mi hai detto che Susan é stata invitata a pranzo?"
"Perché non ci saresti più voluta venire e questo avrebbe rattristato mio padre, lo sai che ti adora!"
Amira sbuffò e dovette, a malincuore, dare ragione a Robert. Erano sposati da un anno ormai, lei e Rob erano una famiglia, insieme a Exton e a Indio (che alla fine era riuscito ad accettare la relazione). Quel giorno avrebbero festeggiato il compleanno del padre di Robert ed erano stati invitati molti parenti, tra cui Susan per cui il signor Downey aveva tanto insistito. Certo, Amira aveva dovuto accettare Susan nolente o volente per vari motivi: lavorava ancora con Robert, Exton si divideva tra la madre e il padre, e la famiglia Downey era particolarmente legata a lei.
"Secondo te dovremmo dirlo oggi?" chiese dopo un po' Amira, ora più tranquilla e sorridente.
"Non so, non vorrei che la notizia rubasse la scena a mio padre. Sai quanto sia megalomane, soprattutto il giorno del suo compleanno."
"Hai ragione, troveremo un'altra occasione."
Robert le fece l'occhiolino e le regalò un sorriso luminoso. Dietro, il piccolo Exton stava canticchiando la sigla del suo cartone preferito, 'Due Fantagenitori'.
"Siamo arrivati!" annunciò Robert. Dopo aver parcheggiato nel vialetto, corse ad aprire la portiera a sua moglie e fece scendere Exton.
"Zio!" strillò una voce dal giardino: era Rebecca, la nipote di Robert che stravedeva per lui. Quando raggiunsero la veranda, Amira fu accolta con un abbraccio da suo suocero e da sua cognata.
"Sei meravigliosa come sempre, Amira!" le disse il signor Downey e lei sorrise imbarazzata. La straordinaria capacità di mettere a disagio le persone era una dote innata della famiglia Downey. All'improvviso Amira si oscurò in viso e per un momento ebbe un forte capogiro, Robert le cinse la vita e la guardò preoccupato. Lei sorrise e accettò il bicchiere d'acqua che Rebecca le aveva gentilmente porto.
"Va tutto bene?" le sussurrò suo marito all'orecchio.
"Sì, tranquillo. Sto bene. Credo siano gli effetti collaterali."
Robert rise e poi la fece accomodare sull'amaca che albergava lì da quando era bambino. Tutti si erano riuniti attorno ad Amira: il suocero, Rebecca ed Allison, gli zii e la cugina di Robert, suo zio e suo cugino Harry.
"Lo sapete che Amira ha un bimbo nella pancia?" esordì Exton seduto a terra mentre strappava fili d'erba e se gli attorcigliava attorno alle dita. Amira spalancò gli occhi e  automaticamente portò una mano sul ventre.
"Grazie per averci anticipato, Exton. Ecco, sì, Amira é incinta. Aspettiamo un bambino...o una bambina, dipende!" disse Robert emozionato ed entusiasta. Lì per lì tutti rimasero basiti ma, non appena compresero appieno la notizia, schiamazzi, fischi e risatine spezzarono il clima d'imbarazzo.
"Allora sono arrivata in tempo per festeggiare la bella notizia!"
Tutti si voltarono e Susan fece la sua entrata con un sorriso e una bottiglia di vino che spuntava dalla borsa.
Amira annuì e sorrise.
 
 
 
Nove mesi dopo.
"Non dovresti affaticarti, tesoro mio."
Quello era il decimo ammonimento nell'arco della mattinata. Amira si sistemò sul divano e riprese ad aggiornare la sua agenda di pelle rossa.
"Sono incinta, Rob. Non sono malata."
"Lo so, ma mancano tre settimane al parto e vorrei che tu prendessi una pausa dal lavoro. Inoltre, ti spetta da contratto."
"Se non ci sono io, chi ti aiuta?"
Robert prese posto accanto a lei, le tolse l'agenda dalle mani e tornò a guardarla.
"Da adesso sei in maternità. E te lo dico come capo, non come marito."
Amira gli fece la linguaccia e sbuffò. Poco dopo, però, poggiò la testa sulle sue gambe e lasciò che lui la coccolasse.
"Come la vogliamo chiamare questa principessina?"
La ragazza sorrise a quel nomignolo tanto adorabile.
"Pensavo ad un nome originale: vorrei chiamarla Shamsi, è un nome marocchino. Significa 'mio piccolo sole'. Che ne pensi?"
"E' assolutamente perfetto."
 
 
 
Un anno dopo.
"La piccola è crollata."
Amira finalmente si sdraiò sul letto e sentì il corpo dolerle, la stanchezza la stava massacrando. Per fortuna Shamsi non era una bambina problematica, ma quando decideva che voleva fare i capricci nulla la dissuadeva. Robert la raggiunse e provò una morsa allo stomaco nel vederla così sbattuta, sembrava non dormisse da anni.
"Mi dispiace." esordì Robert e sua moglie aprì di scatto gli occhi mettendosi seduta.
"Amore, di che parli?"
"Sei stanca, terribilmente. Ed è colpa mia. Non ci sono mai e in questo periodo passo più tempo fuori che a casa con voi. Sono anche due settimane che non vedo Exton e Indio. Sono un disastro come marito e come padre!"
"Non ti permetto di dire certe cose! E' il tuo lavoro, non è che te ne stai in giro per passare il tempo, Rob. I tuoi figli ti adorano comunque. Exton viene qui ogni fine settimana ed è contentissimo di passare del tempo con sua sorella, lo stesso vale per Indio. Shamsi per loro rappresenta un filo conduttore con te, siete una famiglia. Ed io sono qui per te, ti amo tantissimo e ritengo che tu sia un marito straordinario."
Senza cedergli la parola, Amira baciò Robert con passione. Ogni volta era come fosse la prima. I loro sentimenti non era diminuiti, anzi crescevano ogni giorno di più.
"Sono fortunato ad averti nella mia vita."
La ragazza sorrise e gli stampò un bacio sonoro sulla guancia.
"Non è che il signor Downey mi mostrerebbe le sue doti?"
Robert le lanciò un'occhiata maliziosa e le accarezzò la guancia.
"Lei intende le doti recitative?"
Sua moglie scoppiò a ridere e lui la seguì.
"Assolutamente no." sussurrò Amira sulle sue labbra per poi baciarlo lentamente e con passione.
 
 
 
Due mesi dopo.
"Secondo te, c'è qualcosa tra Stephanie e Indio?"
Amira strinse tra i denti la cannuccia con la quale stava bevendo la sua aranciata e scosse la testa.
"Rob, non mi starai mica dicendo che non te ne sei accorto?! E' chiaro come il sole che stanno insieme!"
Robert lasciò scivolare gli occhiali da sole sul naso e fissò il puntò in cui suo figlio grande e la sua ex segretaria stavano facendo il bagno. Quella domenica aveva deciso di prendersi una bella vacanza e si erano diretti in spiaggia.
"Sto invecchiando."
"Questo era chiaro, amore."
Amira scoppiò a ridere all'espressione scioccata di suo marito e gli tirò un buffetto sul braccio.
"Lo sai che questo costume ti sta divinamente?"
Gli occhi di Robert percorsero il corpo della ragazza: aveva recuperato in fretta la forma dopo il parto, la pelle olivastra e liscia rendevano tonico il suo fisico, e il costume rosso la illuminava di più.
"Smettila, Downey!"
"Sei maledettamente sexy."
"Robert!" gridò Amira in preda all'imbarazzo mentre lui ridacchiava e ammiccava.
"Ti amo, Amira."
Lei si voltò verso di lui, allungò il braccio e gli strinse la mano, per poi sorridergli.
"Ti amo anch'io, tanto."
Si godettero il sole in quella calda giornata di luglio, Exton e Shamsi costruivano castelli di sabbia, Indio e Stephanie segretamente si tenevano per mano e il mare coronava quel clima di serenità.
 
 
E fu così che la famiglia Downey fisse per sempre felice e contenta.
 
 
 
Salve a tutti! :)
Siamo giunti alla fine di questa storia.
Vorrei ringraziare tutti coloro che mi hanno accompagnata in questa avventura, che hanno amato Amira e Robert e che hanno creduto in me.
GRAZIE DI CUORE A TUTTI.
Un bacio.
-La vostra Lamy_
 
ps. perdonate eventuali errori di battitura.

 

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