Forgiveness

di Avenal Alec
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** My Family ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Nuova vita? ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Dubbi ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** I can’t loose you too ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Vivere! ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24 ***



Capitolo 1
*** My Family ***


PARTE 1 -MY FAMILY


CAPITOLO 1
 
14 Ottobre
 
Il sole di ottobre era alto all’orizzonte, le fronde degli alberi cominciavano a prendere i vividi colori dell’autunno. Nel silenzio attutito del bosco si sentiva il fruscio dei passi di un viaggiatore solitario.
Spuntò da dietro un declivio.
Era un ragazzo, alto, moro.
Camminava concentrato guardando di fronte a se, un fucile a tracolla, uno zaino sulle spalle.
Uno del popolo del cielo.
La giovane guerriera nascosta fra i cespugli incoccò una freccia all’arco che portava con sé.  Da quella distanza avrebbe potuto centrare il suo petto e ucciderlo sul colpo. Ci pensò un istante,  un ricordo del prima, quando la gente venuta del cielo era solo un nuovo nemico da combattere. Ora le cose erano cambiate, forse ci sarebbero state altre battaglie, altre guerre, ma non in quel momento.
C’era una tregua alla quale tutte le genti si stavano attenendo in onore della ragazza dai capelli d’oro. Clarke del popolo del cielo, così si chiamava, aveva fatto perdere le sue tracce e, finché non fosse stata trovata, viva o morta, nessuno avrebbe fatto nulla. Se fosse stato per la giovane guerriera avrebbe attaccato subito gli uomini venuti dallo spazio e cancellato la loro presenza, ma il loro comandante aveva deciso differentemente. Solo quando fosse stata trovata Clarke la tregua sarebbe stata spezzata, con la guerra o con un alleanza non aveva importanza.
 
Il ragazzo camminava lungo un percorso che lo avrebbe portato a pochi metri dal suo nascondiglio.
Un sorriso di disprezzo si dipinse sul viso della guerriera, quei terrestri erano delle prede inermi, non si accorgevano nemmeno della presenza di un nemico vicino a loro.
La ragazza stava aspettando che il viaggiatore la superasse per uscire dal suo nascondiglio quando accadde qualcosa d’inaspettato che le fece ghiacciare il sangue nelle vene.
Il ragazzo aveva appena superato il suo rifugio quando si era voltato verso di lei; Due occhi neri avevano intercettato il suo sguardo,  un cenno di riconoscimento poi indifferente aveva continuato il suo cammino.
Un semplice contatto e la giovane comprese di non avere di fronte un inutile umano ma un guerriero pericoloso e letale che aveva scelto di non attaccarla. Con una semplice occhiata le aveva fatto capire che non era passata inosservata.  La guerriera sentì i battiti accelerati del cuore, conscia di aver sfiorato la morte quando aveva incoccato la freccia contro di lui. Si appoggiò pesantemente contro il tronco di un albero in attesa di calmarsi.
 
Bellamy continuava a camminare con passo costante, un mezzo sorriso sulle labbra ricordando la giovane Grounder appostata nel bosco. L’aveva notata molto prima che lei vedesse lui, ma l’aveva lasciata fare. Era certo che non gli avrebbe fatto niente e, anche se avesse tentato qualcosa, sapeva come difendersi.
Si era appostata fra i cespugli a ridosso di un albero, sorrise al ricordo del suo sguardo sbalordito quando era stata individuata.
Il sorriso morì sulle labbra ripensando alla giovane età della ragazza, probabilmente non aveva nemmeno superato la pubertà eppure era già armata come una guerriera. Il suo pensiero corse al passato, a un altro viso, ad altri occhi, a un’altra ragazzina che aveva scelto di uccidersi.
Charlotte.
 
Sentì il petto farsi pesante per i cupi pensieri che non gli davano tregua ormai da settimane, da quando Clarke era partita. All’inizio aveva tentato di accettare la sua scelta, ma quando aveva scoperto tutto quello che le era successo, le scelte fatte mentre lui era dentro Mount Wheater, erano cominciati gli incubi.
I visi di Wells, Maya, del piccolo Lovejoy, di Fox, Finn e tutti quelli che erano morti avevano cominciato ad apparire nei suoi sogni. Ogni singola persona, nemica o amica era venuta a trovarlo durante le lunghe notti. Ogni notte, sempre la stessa scena: s’inginocchiavano accanto all’albero della vita portato dall’Arca, sfioravano con le mani le foglie del Bonsai e lo osservavano in silenzio. Leggeva nei loro volti il rimpianto di chi non aveva più una vita da vivere o la serenità di chi aveva accettato il suo destino.  Le foglie dell’albero della vita cominciavano a ingiallire, ad accartocciarsi su se stesse. I fantasmi dei morti sparivano in una nebbia perlacea dalla quale emergeva Clarke, il viso segnato dalle lacrime, lo sguardo tormentato e vulnerabile. Sentiva parole sussurrate nel vento “Ho tentato. Ho tentato di essere tra i buoni”.
 A quel punto, ogni notte, Bellamy si svegliava madido di sudore, con l’impellente necessità di trovare Clarke, con la consapevolezza di aver sbagliato a lasciarla andare.
Ogni giorno, da quando tutto era cominciato, appena l’alba sorgeva, partiva alla sua ricerca. Non si sarebbe fermato finché non l’avesse trovata.
Non l’avrebbe lasciata sola, non di nuovo, non l’avrebbe lasciata a logorarsi per un fardello che non era solo suo. Insieme l’avrebbero affrontato. 


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NOTE: Non ho mai pubblicato su un sito qualcosa scritto da me. Questa FF inizialmente era nata come una One Shot ma non c'era abbastanza spazio per raccontare l'intera evoluzione di Bellamy e Clarke e del loro rapporto. Ho pubblicato inizialmente i capitoli in un gruppo FB dedicato a The 100 ed è stato il supporto delle ragazze che leggevano i miei capitoli che mi ha aiutato ad arrivare alla fine di quest'avventura. Ho deciso di pubblicarla su EFP perchè credo che questa storia possa essere un piacevole passatempo per le shipper Bellarke come me che non si arrendono al'idea di quel finale e che per lo meno leggendo possono avere più soddisfazioni di quante ce ne stiano dando gli sceneggiatori. Ho cominciato questa FF poche settimane dopo il termine della messa in onda della 2° stagione quindi non tiene conto degli spoiler sulla 3° stagione trapelati nelle ultime settimane. Durante la stesura ho cercato di cogliere, al meglio delle mie possibilità, lo spirito dei personaggi e le atmosfere. Sono stati inoltre introdotti due personaggi originali, quello femminile ve lo dovrete immaginare mentre per quello maschile mi sono ispirata all' attore Zach McGowan che interpreta Charles Vane in Black Sails e che presto lo vedremo vestire i panni di un Grounder in The 100....coincidenze che mi fanno ben sperare per il Bellarke insomma ahaha. Visto che l'intera FF è già completata riuscirò a aggiornarla con continuità cercando di lasciare pochi giorni fra la pubblicazione di un capitolo e l'altro....credo di aver detto tutto. Prometto non ci saranno altre note. Vi auguro buona lettura con la speranza che vi piaccia. Spero di sapere da voi come vi è sembrato ;)

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


CAPITOLO 2
 
Clarke uscì dalla caverna alle prime luci dell’alba.
Sogni tormentati non le davano mai pace e solo la luce di un nuovo giorno riuscivano a calmare l’ombra che riempiva il suo animo.
I primi giorni dopo la partenza aveva vagato senza meta ascoltando solo le urla e i gemiti che si  susseguivano nella sua mente, davanti agli occhi non i colori della natura ma il sangue che era stato versato.
Solo la pioggia l’aveva fermata quando il suo spirito di sopravvivenza aveva preso il sopravvento. Aveva trovato rifugio in un bunker abbandonato ma quel luogo le ricordava Finn.
La mattina dopo era scappata.
Aveva vagabondato fino a quando aveva trovato la caverna nella quale si era stabilita.
L’aveva trovata per caso.
 Stava camminando lungo l’antico greto di un fiume, una parete di roccia levigata del tempo e tappezzata da rampicanti incombeva su di lei. Alla sua base c’era un groviglio di alberi ad alto fusto e dei massi caoticamente abbandonati dalla furia di un’antica piena. 
Era stata distratta da un uccello che si era alzato in volo all’improvviso, qualcosa tra i massi si era mosso. Clarke aveva aspettato all’erta, la pistola fra le mani, fino a quando era sbucato un animale simile a un procione. Aveva abbassato l’arma, non l’avrebbe mai usata contro quell’animale, non era nemmeno certa che sarebbe stata ancora in grado di usarla. Si erano osservati un attimo poi il procione era scappato via e, in quell’istante, Clarke si era accorta di una fenditura nella roccia.
 Aveva alzato gli occhi, i colori rosacei del tramonto stavano cominciando a tingere il cielo. La necessità di un riparo l’aveva spinta a esplorare la fenditura, rivelando, per sua fortuna, una caverna dal soffitto a cupola abbastanza ampia per essere usata come un rifugio.
Ed era lì che ormai viveva da quando 8 settimane prima aveva lasciato il campo.
 
Le sue giornate susseguivano nel silenzio più completo, per lo più seduta fuori su un masso. Osservava il mondo che la circondava cercando di uscire dalla prigione in cui erano intrappolati i suoi pensieri, ma era un continuo loop che la incatenava sempre di più.
Non riusciva a perdonarsi, non riusciva a dimenticare, non riusciva a capire cosa fosse diventata.
Ogni tanto, al termine della giornata, si convinceva che era ora di tornare a casa. La sera cominciava a impacchettare le sue cose per il viaggio ma, la notte, gli incubi cominciavano a tormentarla e la mattina dopo si alzava, si sedeva sul masso, si faceva scaldare dal sole appena sorto e rimaneva immobile, senza più la forza di mettersi in marcia.
Mentre tutto attorno stava mutando e i colori dell’autunno cominciavano a fare capolino fra il fogliame, lei si sentiva bloccata in un limbo dal quale non riusciva a uscire.

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NOTA..mi rendono conto che questi capitoli sono un po' brevi, ma sono solo introduttivi, mi rifarò con i prossimi ;)..lo so, lo so, vi sto chiedendo di avere pazienza ;)

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


CAPITOLO 3

Quel giorno era seduta sul masso, lo sguardo nel vuoto, il suo piede in un movimento involontario batteva ritmicamente sulla roccia. Attorno risuonavano i placidi rumori della foresta. 
All’improvviso uno sparo aveva squarciato la quiete del posto, Clarke si era raddrizzata immediatamente all’erta, era un’arma della sua gente. Il primo sparo fu seguito a breve distanza da un altro e, con un istinto che sembrava sopito da troppo tempo, Clarke raccolse l’arma che teneva sempre accanto e si mise a correre verso il luogo dal quale sperava provenisse lo sparo.
Correva nel fitto sottobosco facendo attenzione a tutto quello che la circondava, l’esperienza con Anya prima e con Lexa poi, le aveva insegnato come muoversi nella foresta senza farsi sentire.
Sentì l’ennesimo sparo e un urlo.
Era vicino.
 Questo le diede l’energia per correre più velocemente, scavalcò un enorme tronco caduto che le sbarrava la strada e dall’altra parte vide un animale retto sulle zampe posteriori, un orso nero come la pece. Con gli artigli affiliati stava tendando di distruggere un ammasso di cespugli, rovi e alberi caduti.
Non riusciva a vedere chi fosse incastrato in quel luogo, di sicuro era umano. Mentre l’orso era impegnato nella sua opera di demolizione, Clarke ebbe tutto il tempo di prendere la mira e puntare alla testa.
L’istante successivo sparò, l’orso ondeggiò leggermente poi crollò di schianto. 
Clarke scattò in avanti verso il rifugio di fortuna. 
Si avvicinò, il cuore le si fermò in gola. 
Bellamy!
L’avrebbe riconosciuto ovunque. Non si muoveva. Fu assalita da un terrore accecante. 
“Bellamy” lo chiamò facendosi strada fra gli arbusti che lo avevano riparato dall’aggressione dell’orso. “Bellamy!” urlò. 
Sentiva i rami spezzarsi e ferirle la pelle ma non ci faceva caso per la foga di avvicinarsi a lui. 
Quando gli fu finalmente accanto, lo scrollò leggermente, sul suo volto sporco di terra non vedeva segni di graffi o sangue e questo le fece temere il peggio. Controllò il polso e il battito che sentì le permise lentamente di respirare.
Tentò nuovamente di scuoterlo. Questa volta ebbe più fortuna, Bellamy alzò lentamente il viso e aprì gli occhi.
A quella vista Clarke sentì un sollievo infinito riempirgli il petto e di slanciò l’abbracciò. 
Il ragazzo la strinse a sua volta, all’inizio esitante poi con più forza.
“Ti ho trovata finalmente” sussurrò  lui a quel punto.
Clarke si sciolse dall’abbracciò turbata, una domanda inespressa nel suo sguardo.
“Non potevo lasciarti sola qua fuori” rispose Bellamy senza smettere di guardarla negli occhi.
La giovane spostò lo sguardo e, come se non avesse sentito le parole di Bellamy, disse “Dobbiamo andarcene da qui, riesci a camminare?”
 “Certamente principessa” facendo finta di non aver detto nulla, ma non poté fare a meno di notare il mezzo sorriso che increspava le labbra della ragazza quando l’aveva chiamata con il nomignolo che le aveva appioppato appena scesi sulla terra.

Uscirono con cautela dal nascondiglio ma, una volta in piedi, Bellamy si rese conto che aveva parlato troppo presto. Una stilettata al ginocchio lo fece vacillare e il movimento non passo inosservato.
Clarke si avvicinò subito, diede un’occhiata al cielo, “Sta arrivando la sera ed è meglio non stare qua fuori, appoggiati a me”
“Ce la faccio” replicò piccato Bellamy
“Certo, ce la puoi fare, ma non è necessario e potresti fare peggio” rispose la ragazza avvicinandosi a lui per sostenerlo.
“Sempre la solita” mormorò il ragazzo ma grato di non dover forzare il ginocchio che stava cominciando a pulsare come un dannato “Fai strada!”.

Clarke sentiva il peso del corpo di Bellamy addosso e la cosa la faceva sentire strana. Non era certa del fatto che fosse legato ai due mesi passati senza un contatto con altri essere umani. Anche il silenzio fra loro era diverso. Avevano passato molto tempo insieme ma i silenzi erano sempre stati pochi. Avevano sempre qualcosa di cui parlare per lo più come sopravvivere.  Avevano litigato, discusso, preparato piani ma non avevano mai parlato di cose normali e ora, mentre stavano per raggiungere il rifugio, quelle parole che non si erano mai detti li dividevano.
“Come va al campo” chiese incerta Clarke. Le mancavano tutti, ma sperava che Bellamy non le dicesse che doveva tornare indietro, non era certa di avere la forza per farlo, per guardarli negli occhi e affrontare le domande che sicuramente ne sarebbero nate. Domande a cui nemmeno lei aveva ancora trovato risposta.
“Bene” ripose tranquillo Bellamy
“ I Grounders?” chiese allora Clarke.
“ Tregua, l’ha voluta Lexa e i clan sembrano averla accettata” a quelle parole la ragazza si fermò e lo guardò.
Bellamy le fece un mezzo sorriso “Per quanto possa sembrare assurdo si stanno narrando leggende sulle tue gesta e sul tuo coraggio”.
Clarke abbassò gli occhi turbata e ricominciò a camminare, il pensiero era subito corso a Lexa, al suo tradimento, a quel bacio.
“La situazione comunque è incerta” continuò Bellamy senza cogliere il turbamento della ragazza “presto arriverà l’inverno e al campo sono preoccupati, anche tra i Grounders c’è un po’ di movimento” il ragazzo aspettò una domanda da parte di Clarke, la conosceva abbastanza da sapere che avrebbe voluto sapere tutto.
E infatti, poco dopo, chiese il perché.
“Per molti Lexa è stata una debole quando ha deciso di fare un patto con la gente di Mount Weather e alcuni pensano che rompere l’alleanza con noi sia stato uno sbaglio.  Specialmente se poi ci ha lasciato vivere,”
Bellamy sospirò “Siamo una spina nel fianco per tanti. Altri ci vedono una risorsa interessante e hanno rispetto per te e per quello che abbiamo fatto”
“Rispetto per aver ucciso degli innocenti e aver lasciato morire 250 dei loro” replicò sconcertata.
“Si Clarke, per quello e per molto altro. Siamo ed eravamo in guerra ma hai fatto anzi, abbiamo fatto, quello che dovevamo per salvare i nostri e portali a casa dalle loro famiglie. I Grounders capiscono questo.” Rispose deciso Bellamy “Ricordi: Blood must have blood”

Un silenzio cupo calò fra loro. Bellamy avrebbe voluto chiederle come se la cavasse ma, la vulnerabilità che aveva letto nei suoi occhi, lo fece desistere. Non era mai stato bravo con le parole, era lei che lo faceva per entrambi. 
Il dolore che sentiva pulsare in diverse parti del corpo cominciarono a prendere il sopravvento. Pensava di essere ormai diventato un esperto nel muoversi in quei boschi eppure, come un’idiota, si era fatto sorprendere da quell’orso..
 Aveva tentato di sparargli ma lo aveva fatto solo infuriare di più. Se non avesse trovato quel riparo, se Clarke non fosse stata nei paraggi, sarebbe morto. 


 “Manca poco, siamo arrivati” le parole di Clarke lo distolsero dal tentativo di tenere a bada il dolore che sentiva anche al petto e al braccio. Probabilmente, quando l’orso lo aveva attaccato, era stato ferito più in profondità del previsto.
Alzò gli occhi dal terreno e vide solo una parete di roccia.
Guardò sconcertato Clarke.
“Di qua, attento a dove metti i piedi” disse la ragazza facendogli strada in uno stretto percorso fra i massi che terminava di fronte all’ingresso di una caverna mimetizzata dalla presenza degli arbusti
Clarke sparì dentro l’apertura della caverna e con una certa fatica la seguì.


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NOTE -Come promesso questo capitolo è un po' più lungo e ho aggiornato con una certa velocità ;) ...spero vi piaccia e che cominci ad essere più intrigante. Come vi sembrano Clarke e Bellamy in questa fase?....fatemi sapere. 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


CAPITOLO 4
 
Il ragazzo si sarebbe aspettato un antro buio ma, grazie alla posizione a sud e il fogliame rado che faceva filtrare più luce del previsto, c’era solo una lieve penombra.
“Siediti qua!” Clarke era di nuovo accanto a lui e lo spinse con cautela verso un giaciglio formato alla base da erba ormai secca sui cui era stesa una termocoperta.
Bellamy non se lo fece dire due volte e con un sospiro di sollievo si sedette.
“Hai portato con te un kit di pronto soccorso?”
“Si è nello zaino” rispose con una certa fatica Bellamy, sentiva il dolore sopraffarlo.
Clarke cercò quindi nel suo zaino fino a quando non tirò fuori la cassetta del pronto soccorso. Si allontanò poi da lui e cominciò a cercare fra le cose appoggiate contro la parete e sistemate su alcuni ripiani di fortuna. Prese una tazza di latta, la riempì di acqua da un otre Grounder e la mise a scaldare sul focolare di sassi accanto all’entrata della grotta.
Bellamy era concentrato su di lei, anche nella penombra della caverna riusciva a vederla. I suoi gesti, mentre aveva ravvivato il fuoco, erano stati sistematici. Sapeva sempre cosa fare, era quella la sensazione che dava eppure, per lui che la conosceva da più tempo, tutti quei gesti meccanici nascondevano la vera Clarke. 
C’era qualcosa di diverso in quel momento, il suo viso era concentrato eppure i suoi occhi sembravano spenti, vuoti.
La morte di Finn e i giorni in cui erano stati divisi mentre lui si era infiltrato a Mount Weather l’avevano cambiata e Bellamy si chiese se mai avrebbe rivisto la Clarke che conosceva.
Quando la ragazza si girò per tornare da lui i loro occhi si incrociarono, le sorrise, il suo solito sorriso sghembo, lei rispose con un mezzo sorriso di circostanza ma il suo sguardo rimaneva immoto.
Bellamy sentì qualcosa spezzarsi dentro, sembrava che Clarke non lo vedesse più, non come riusciva a fare un tempo.
Clarke alla fine si avvicinò a lui, s’ inginocchiò accanto al sua gamba, con attenzione lo aiutò a tirare su i pantaloni per controllare.
Un paio di movimenti, alcuni dolorosi piegamenti.
“Sembra una distorsione, niente di grave ma per un po’ non potrai poggiare il peso su questa gamba” poi con la manualità ottenuta dall’esperienza gli spalmò una pomata e fasciò con una garza elastica il ginocchio.
“Hai del sangue sulla maglia e la giacca” notò poi Clarke.
Bellamy sentiva il bruciore dei tagli e il sangue coagulato appicciarsi al tessuto della maglia “L’orso deve avermi ferito quando mi ha attaccato”
“Ok diamo un’occhiata, togliti  la giacca e la maglia” poi la giovane si allontanò a prendere l’acqua che si era scaldata, appariva  così impersonale, professionale, come lo era stata le prime volte che aveva dovuto rattoppare qualcuno di loro appena erano atterrati sulla terra.
Bellamy eseguì gli ordini e con una certa difficoltà riuscì a levarsi gli indumenti.
Clarke gli fu subito accanto, una ciotola fumante di acqua in cui sparse alcune erbe e cominciò a mescolare. Bellamy la osservava.
“Queste erbe me le hanno fatte conoscere i Grounders, dovrebbero avere un effetto disinfettate”.
Immerse poi un panno nell’acqua e cominciò a pulire le ferite, prima quella sull’avambraccio poi quella sul petto.
Bellamy si lasciò andare al tocco del panno caldo sulla sua pelle, era piacevole e leniva il bruciore che sentiva.
Chiuse gli occhi e poggiò il capo contro la parete dietro di lui.
Sentì le dita di Clarke sfiorare la sua pelle, un brivido corse lungo la spina dorsale.
Aprì gli occhi e vide gli occhi cerulei di Clarke pieni di lacrime, con le mani stava sfiorando le cicatrici lasciate dagli aghi quando lo avevano dissanguato. Gli bloccò la mano con la sua, “Non farlo” disse guardandola negli occhi “Non piangere per me”.
Clarke si liberò subito dalla sua stretta e voltò il viso dall’altra parte “Dovresti dormire” disse, poi si alzò.
Si stava dirigendo verso l’uscita quando si bloccò e, senza voltarsi, lo avvertì “Non tornerò al campo.”
“Non sono venuto per riportati al campo” replicò il ragazzo in un sussurrò mentre Clarke spariva oltre l’uscita.

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NOTA: Quando ho cominciato a scrivere questa storia pensavo di asciugarmela "presto "..insomma volevo tutti i momenti Bellarke che la serie non mi aveva dato ma...mi sono anche resa conto che il percorso e i traumi vissuti da Clarke erano troppo grandi per farglieli superare con un po' di eremitaggio :P...quindi diciamo che ho lavorato ai fianchi, piccoli momenti, in questo come in molti altri capitoli in cui entrambi diventano più consapevoli del legame che li lega. Come scoprirete ben presto amo il concetto di "vedersi"...ossia quella situazione fra due persone di riuscire a superare le barriere legate ai dubbi, le incertezze, fragilità e vedersi come realmente sono. Richiama un po' quelle che succede nella prima fase delle serie tv in cui imparando a conoscersi e cominciano a "vedersi" (a partire dal salvataggio dalla fossa - momento in cui per me è esplosa la ship, a quando parlano quando trovano le armi, e così via)...poi però la morte di Finn prima, Clexa poi e infine le scelte di Clarke la cambiano al punto che Bellamy, avendo vissuto esperienza diverse, non può capire creando un "divario" fra i due. Ecco perchè la citazione iniziale ;)

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


CAPITOLO 5
 
Bellamy dormiva già da diverse ore ma Clarke non riusciva a prendere sonno, seduta con le ginocchia raccolte osservava il ragazzo.
La luce del fuoco giocava con le ombre della caverna e sulla figura sdraiata.
Era un bel ragazzo, si trovò a pensare Clarke, specialmente in quel momento. I lineamenti cesellati rilassati, il baluginio del fuoco che giocava sulla sua pelle bronzea mentre i capelli scarmigliati gettavano ombre su suoi occhi chiusi. Le labbra distese in un dolce sorriso, mostravano il lato tranquillo del giovane che, durante il giorno, appariva sempre duro e concentrato per poi aprirsi raramente in qualche sorriso inaspettato.
Stranamente la presenza di Bellamy le dava un senso di serenità che non provava da settimane, sembrava che i pensieri più cupi rimanessero bloccati in profondità.  Lo osservava e si chiedeva: Chissà cosa sognava, chissà se anche lui viveva incubi simili ai suoi.
Conosceva Bellamy, il suo senso di responsabilità, la sua integrità e forza, la sua sensibilità mascherata da disinteresse e spavalderia. Si chiese come fosse riuscito a convivere con le cose che aveva dovuto commettere.
Lei sarebbe mai riuscita a fare altrettanto?.
Lentamente, accompagnata da quei pensieri si lasciò andare al sonno.
 
Bellamy si svegliò di soprassalto quando sentì urlare Clarke. Era accasciata in posizione fetale dall’altro lato della caverna, si muoveva convulsamente nel sonno mentre le lacrime bagnavano il viso.
Gli fu subito accanto, la prese fra le braccia anche mentre tentava di divincolarsi, la teneva forte accanto a se mormorandole parole di conforto con la speranza che riuscissero a superare la barriera dell’incubo in cui era immersa.
Lentamente i movimenti divennero meno sincopati fino a quando smisero e il respiro di Clarke tornò regolare, era crollata in un sonno profondo privo di sogni.
Bellamy si spostò cercando di trovare una posizione più comoda, si appoggiò alla parete tenendo la ragazza fra le braccia.
Non prese di nuovo sonno quella notte, aveva qualcosa di più prezioso da proteggere.
 
Clarke cominciò a percepire il calore che la circondava, un piacevole profumo di erbe mediche. Si lasciò sedurre da quelle sensazioni che la facevano sentire serena, un mezzo sorriso rilassato per quel sogno così reale. Si accoccolò con un sospiro soddisfatto, respirando a pieni polmoni l’odore delle erbe,  crogiolandosi in quel piacevole tepore quando, lentamente, prese consapevolezza di un cuore che batteva, delle braccia attorno a lei che la tenevano stretta.
Si irrigidì, aprì gli occhi, la caverna attorno a se.
Bellamy.
Scattò subito allontanandosi da lui.
“Buongiorno principessa”,
Clarke lo guardò a occhi sgranati leggermente stordita, lo sguardo portava ancora tracce di sonno.
“Hai avuto degli incubi stanotte” Bellamy lasciò in sospeso la frase, a parole sembrava così difficile spiegare che cullarla tra le sue braccia era l’unica cosa che gli era venuta in mente e che sembrava avesse avuto un effetto calmante su di lei.
“Eri molto agitata” replicò Bellamy.
Clarke abbassò gli occhi, prese un respiro.
“Ho bisogno di aria” disse alzandosi per uscire.
Bellamy la lasciò andare, sapeva che Clarke aveva bisogno di tempo, ma scappare non era la soluzione.
Con una certa difficoltà si avvicinò al giaciglio, durante la notte aveva cominciato a sentire il ginocchio pulsare per la posizione scomoda che aveva tenuto mentre Clarke si trovava fra le braccia, ma non si sarebbe mai allontanato da lei e ora ne pagava le conseguenze.
Si lasciò andare sul giaciglio con la speranza che lentamente il dolore si attutisse.
 
Clarke, uscita, cercò subito il sole, il suo masso. Il cuore che batteva all’impazzata.
Chiuse gli occhi sperando che il calore penetrasse in lei, che la tranquillità del luogo portasse pace anche nella sua anima, ma sembrava che nulla riuscisse a sostituire la serenità che invece aveva trovato per alcuni istanti fra le braccia di Bellamy.
In un'altra vita, un’altra Clarke sarebbe potuta stare per sempre fra quelle braccia.
Questa Clarke invece sentiva solo il senso di colpa per tutto quello che aveva fatto e ciò che era successo. Non riusciva a guardare più Bellamy negli occhi.
Lui diceva di averla perdonata ma, come poteva farlo se lei stessa non si era perdonata?
L’avrebbe perdonata lo stesso se Octavia fosse morta durante l’attacco?
L’avrebbe perdonata lo stesso se avesse saputo quanto Lexa le era entrata dentro fino a farle perdere la lucidità?
 
Clarke non seppe per quanto tempo rimase la fuori ma ben presto si accorse che aveva letteralmente abbandonato Bellamy a se stesso, come aveva fatto anche troppe volte in passato, presa continuamente dai suoi problemi, dal carico di responsabilità che non aveva mai voluto condividere con nessuno.
Era stata arrogante.
La comprensione di ciò che era stata la folgorò.
Da quando erano scesi sulla Terra aveva scelto, un passo alla volta, di farsi carico di ogni cosa, un peso che aveva condiviso per gran parte del tempo con Bellamy a partire dalla tortura di Lincoln, poi, ad un certo punto, lo aveva tagliato fuori, come tutti gli altri.
Aveva creduto fosse giusto caricarsi il peso di tutti loro.
Aveva ucciso Finn.
Aveva scelto di lasciare che Bellamy s’ infiltrasse nel monte.
Aveva scelto di credere a Lexa.
Aveva scelto di non ascoltare chi l’amava e capiva il carico che si portava sulle spalle.
Lentamente era scivolata in un baratro in cui aveva perso la sua umanità.
Eppure Bellamy le era rimasto sempre accanto, non l’aveva mai abbandonata, non  aveva mai visto nei suoi occhi uno sguardo di riprovazioni, non l’aveva mai giudicata ed era sempre stato pronto a condividere, quando lei gli e lo permetteva, il peso della responsabilità. Non aveva mai perso fiducia in lei.
Una lacrime solitaria scese dal suo viso, se l’asciugò spazientita poi scese dal masso.
Sentiva il bisogno di vederlo, troppi pensieri si rincorrevano nella sua mente.
 
Nella penombra vide il corpo disteso del ragazzo, un braccio a coprirsi il viso, un ginocchio sollevato. Vedeva il suo torace alzarsi con la regolarità di chi è caduto in un sonno profondo.
Lo osservò ripensando a tutto quello che aveva sempre fatto per e con lei, anche ora, non solo era venuto a cercarla ma l’aveva protetta dagli incubi che l’avevano assalita.
Bellamy c’era sempre stato per lei.
In silenzio cominciò ad accedere il fuoco e a mettere a scaldare dell’acqua, il lavoro forse l’avrebbe aiutata a capire e a rimettere in ordine nella confusione della sua testa.
Passo le successive ore cercando qualcosa da mangiare e preparando un bastone al quale Bellamy potesse appoggiarsi.
Ormai Clarke aveva capito, in un barlume di lucidità, che era ora di tornare a casa.
 
Lo doveva a Bellamy che aveva scelto di abbandonare gli altri di cui si sentiva responsabile quanto lei pur di cercarla.
Lo doveva a sua madre che aveva tentato di aiutarla in tutti i modi.
Lo doveva a Raven a cui aveva chiesto troppo.
Lo doveva a Octavia che l’aveva compresa più di quanto lei stessa immaginasse. Lo doveva a Jasper per Maya.
Lo doveva a tutti coloro che si erano appoggiati a lei e che avevano creduto in lei.
Lo doveva a se stessa perché aveva finalmente capito che la sua forza era l’amore che provava per ognuno di loro.
Lo doveva fare per non cedere più alla debolezza di credere di potercela fare decidendo per loro.
Lei non sarebbe mai stata una Grounder, non era più una degli Skypeople, lei era una dei 100 e loro erano una famiglia.


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NOTE: Here we are aahahh....finisce così la prima parte, quella che originariamente era una one shot ma, visto che 'sti due non avevano combinato ancora nulla, ho dovuto continuare ahaahhh. Spero che questa prima parte vi sia piaciuta, vedremo presto Clarke rientrare al campo Jaha, non ha ancora superato tutto ma è per lo meno un'inizio ;)

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Capitolo 6
*** Nuova vita? ***


Bentrovati cari lettori, finalmente comincia la parte seria della FF, all'inizio avevo pensato di creare dei semplici frammenti, momenti della vita di Clarke e Bellamy al campo Jaha durante il periodo invernale . Nella calma delle giornate speravo di far assapor loro la gioia della vicinanza, esplicitare quel alchimia che tutte noi Bellarke abbiamo visto in loro e, per alcuni capitoli la cosa si svilupperà così, ma il mio masochismo nei confronti di questa coppia che adoro non ha limiti per cui i momenti Bellarkosi saranno molto in stile The 100 arghh....spero comunque che questo capitolo come i successivi vi piacciano. Fatemi sapere, una cosa che mi preme particolarmente, oltre alla leggibilità della storia e sapere da voi Bellarke come li trovate questi due, per me era comunque importante rimanere sempre in sintonia con i personaggi della serie. Aspetto i vostri giudizi e vi auguro buona lettura.... 
 
PARTE DUE – NUOVA VITA?

CAPITOLO 6

27 ottobre

Bellamy stava uscendo dalla stanza del consiglio quando si sentì chiamare, si voltò al suono della voce di Clarke, vederla lì al campo Jaha gli faceva sempre uno strano effetto.
Erano passate una paio di settimane dal loro rientro, Clarke doveva ancora fare tanta strada ma intanto era lì con loro e per ora questo bastava.
I primi giorni li aveva passati parlando con sua madre, con lui, Raven e i ragazzi cercando di ricreare quei legami che si erano persi durante gli ultimi giorni prima dell’attacco a Mount Weather. 
La madre aveva capito, tutti avevano capito, eccetto forse Jasper ma quella era un’altra storia.
Da quando era tornata, molte cose erano cambiate. Tutta la gente dell’Arca era impegnata a rendere permanente il campo Jaha e il consiglio era stato nuovamente istituito formalmente. 
Abby era rimasta cancelliere ma attorno a quella tavola rotonda i volti erano cambiati perché il mondo era diverso.
Bellamy sorrise al pensiero. Quando aveva sparato a Jaha sull’Arca non si sarebbe mai immaginato di sedere a quel tavolo accanto a sua sorella e a Clarke.
Ora assieme agli altri dovevano discutere su come gestire i Clan e il nuovo mondo.  C’erano molte questioni da affrontare ma l’inverno ormai alle porte era il più impellente. 
Lincoln aveva chiarito che l’inverno era il nemico più grande per i Clan: le tempeste di neve, il ghiaccio e il freddo mettevano ogni anno a dura prova la gente della terra, non c’era spazio per faide, ritorsioni o guerre. Fino alla prossima primavera non sarebbero stati un problema e questo era un grosso pensiero in meno cui pensare. Molte cose erano rimaste in sospeso dopo Mount Weather e il ritorno di Clarke, ma nessuno era ancora certo di come affrontarle.
“Ehi ci sei?” chiese Clarke riscuotendolo dai suoi pensieri “Perché sorridi?” continuò poi.
“Niente” rispose “Stavo solo pensando che sono felice di vederti nella stanza del consiglio” 
Clarke gli sorrise di rimando, il suo viso era ormai segnato dalle esperienze del passato: i suoi occhi ogni tanto erano cupi e persi in qualche angolo buio ma finalmente, sempre più spesso, il sorriso che nasceva fra le sue labbra si apriva anche ai suoi occhi mostrando, come in quel momento, tutta la sua bellezza.
“Ecco che di nuovo ti sei perso!” lo richiamò Clarke
“Si scusa, cosa volevi?” chiese Bellamy
“Sei pronto per l’inaugurazione del -the 100-? ci andiamo assieme adesso?” 
“Ovvio” rispose Bellamy.
“Allora è ora di andare” Rispose allegra Clarke prima di spingerlo lungo uno dei corridoio della base.
La sala “the 100” era uno spazio che Clarke aveva chiesto esplicitamente a sua madre. Ne aveva poi parlato agli altri ragazzi e l’idea era piaciuta. 
Grazie al lavoro di tutti avevamo trasformato una vecchia area mezza distrutta della navetta in un luogo in cui loro potessero vedersi. Un’ampia stanza ricreatorio dove stare, divertirsi e mantenere saldi i legami; Trovare supporto dagli incubi e dalle esperienze che avevano vissuto. Un luogo che potessero sentire solo loro. 
Per quanto campo Jaha e gli altri abitanti fossero “casa”, nulla avrebbe potuto abbattere la barriera creata dalle esperienze che avevano vissuto da quando erano stati cacciati dall’Arca per andare a morire sulla terra.
Mentre camminavano lungo i corridoi salutavano la gente che li riconosceva, ogni tanto si fermavano a chiacchierare con l’uno o con l’altro ma non si trattenevano mai troppo.
Finalmente arrivarono al “The 100”.

Ad un occhio qualunque sarebbe sembrato semplicemente un magazzino, con casse appoggiate alle pareti, pareti d’acciaio e fili anneriti dal fuoco pendenti dal soffitto. 
Nessuna fonte di luce naturale. 
Una scatola di metallo che aveva visto tempi migliori eppure per Clarke e Bellamy quel luogo era bellissimo. 
Loro potevano notare i fogli appesi alle pareti con scritte colorate, nomi, poesie e disegni. Pezze di tessuti dai colori sgargianti poggiate su alcune casse che fungevano da tavoli e, cassette più basse da sedie. 
Un angolo adibito a “bar”- parola grossa in realtà- con qualche ripiano riempito di lattine, tazze e un paio di contenitori più grandi che, in tempi diversi, sarebbero stati riempiti di acqua e distillati alcolici.  
In mezzo a quei cavi pendenti, lampade alogene rischiaravano l’ambiente con una tenue luce color arancione nascondendo così l’effettiva desolazione di quel luogo.
Appena entrarono Clarke e Bellamy furono accolti da un divertito vociare. 
Tutti i ragazzi erano lì, chi a finire di appendere qualche festone per ravvivare l’ambiente, altri chiacchieravano in gruppetti fra loro, eccitati all’idea della festa. In sottofondo si sentivano strani suoni ritmici, tamburi ma anche qualche strumento a fiato.
“Ma che…” disse Clarke allungano il collo verso la fonte del suono.
“Abbiamo anche la musica dal vivo, bello vero?” 
Clarke si voltò verso la voce alle sue spalle
“Raven!, ciao..ma.., come avete fatto?”
“Visto che fare della musica con strumentazione più raffinata era impossibile, ci siamo arrangiati con quello che avevamo, qualche strumento l’ho costruito io.” Replicò soddisfatta Raven.
Clarke  sorrise felice di quella novità ma soprattutto era contenta di vedere la ragazza finalmente serena. Ne aveva passate tante durante quel periodo e sapere che aveva accanto a se una persona come Wick le riempiva il cuore di un inaspettato calore. 
Si voltò verso Bellamy, ancora accanto a lei, stava osservando i ragazzi con un sorriso soddisfatto. 
Probabilmente sentendosi osservato si girò verso di lei e il sorriso si aprì ancora di più. 
“Ce l’abbiamo fatta” disse
Clarke assentì, ce l’avevano fatta, era poco, ma era un passo verso la vita.
Vide Harper farsi largo e venire verso di loro.
“Finalmente siete arrivati!, dai venite è ora di cominciare”
“Perché? non abbiamo già cominciato?” chiese perplessa Clarke
“Andate di là” spingendoli verso il fondo della stanza e la musica “non si può inaugurare una sala e iniziare una festa senza un discorso”
Clarke e Bellamy si guardarono restii e un po’ sbalorditi dalla richiesta. Sorrisero e scoppiarono a ridere, entrambi probabilmente si erano resi conto dell’assurdità della cosa: erano stati in grado di fare discorsi in situazioni ben più difficili eppure l’idea di parlare ora li intimidiva ma si lasciarono trascinare verso il fondo della stanza. 
Sapevano che dovevano farlo.
Man mano che superavano i ragazzi sentivano appalusi, battute e fischi verso la loro direzione. 
L’atmosfera di spensieratezza permeava la stanza, tutti in quel momento avevano dimenticato cosa c’era là fuori godendosi solo l’attimo.
Per quella sera c’erano solo loro, poi la stanza sarebbe stata aperta anche agli altri ma sarebbe stata comunque in primo luogo la loro stanza.

Quando si ritrovarono in fondo alla stanza i ragazzi che stavano provando si fermarono. Nathan, che in quel momento si trovava dietro a quelli che in apparenza sembravano due tamburi, cominciò a farli vibrare attirando l’attenzione dei ragazzi.
Calò il silenzio.
Clarke si sentì osservata e intimidita. 
Da quando era tornata aveva cercato, per quanto fosse possibile, di vivere una vita defilata. Non riusciva ancora a vederli senza sovrapporre le facce di tutti quelli che non ce l’avevano fatta.
Istintivamente si spostò verso Bellamy cercando il suo sostegno con uno sguardo. Sentì la sua mano poggiarsi sulla sua schiena e quel contatto la calmò subito.
Prese un respiro e parlò:
“Ce l’abbiamo fatta. Siamo finalmente tutti qui riuniti.” Clarke si fermò un attimo, il pensiero di tutti era corso a chi non era più con loro “È stata dura, molti nostri compagni non sono fra di noi. Molte cose sono successe, altre ne succederanno perché non è finita.” Prese un respiro prima di continuare. Una parte di lei stava parlando a se stessa, cercando in quelle parole la forza di affrontare il futuro.
“Essere qui ora significa che possiamo farcela, per noi e per tutti coloro che sono con noi solo con lo spirito. “the 100” è stato creato per questo, per non dimenticare e per continuare a lottare. Questa è ora la nostra casa e, non ce la faremo portare via. “the 100” è il fulcro di ciò che siamo diventati, ogni volta che entreremo qui dentro sapremo che non ci faremo mai piegare ma soprattutto che noi siamo dei guerrieri e non molleremo. È ora di cominciare a vivere e costruire qualcosa di nostro.”
Un applauso spontaneo si librò nell’aria. Clarke sentì un nodo alla gola per la commozione, fiera dei suoi amici, la sua famiglia. Quando tornò il silenzio prese la parola Bellamy accanto a lei come una sceneggiatura preparata in precedenza. Ormai si capivano così profondamente che non avevano bisogno di parole.
“Prima di cominciare voglio ringraziare ognuno di voi per il lavoro svolto” cominciò Bellamy. Clarke in quel momento lo amò profondamente, lui avrebbe detto le parole che lei non sarebbe mai riuscita a dire. “Vi ringrazio per come avete lottato. Per i sacrifici e le ferite, per non aver mai ceduto. Grazie per aver fatto sì che oggi tutti noi potessimo essere qua a festeggiare e ora, se Monty e Jasper hanno fatto il loro lavoro, abbiamo qualcosa da bere e che la festa cominci” concluse Bellamy.
Furono investiti da uno scroscio di applausi e la musica cominciò.
Clarke  non applaudì, la sua mano era corsa verso quella di Bellamy stringendola. “Grazie” sussurrò.
Bellamy le sorrise, le strinse la mano a sua volta
“Sei stata Coraggiosa Principessa, sono fiero di te” Lui sapeva quando le era costato parlare ai ragazzi. Una parte di lei continuava ad sentirsi responsabile per tutto ciò che era successo, per non aver fatto abbastanza. “ora andiamo a goderci la serata” le sussurrò Bellamy prima di lasciare la sua mano e spingerla verso Octavia e gli altri che si trovavano poco distante.
Clarke lo guardò, guardò i ragazzi e si sentì felice di essere tornata a casa.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


CAPITOLO 7

15 novembre

Clarke aveva il respiro affannato, nuvolette di vapore uscivano dalla sua bocca nella fredda giornata novembrina. A dirla tutta anche il suo vestiario fumava a causa del contrasto tra la bassa temperatura e il suo corpo accaldato per l’allenamento. Da diverse settimane ormai e, fino a quando fosse stato possibile, ogni mattina nel piazzale di fronte all’ingresso della navetta del campo Jaha chi voleva poteva allenarsi: combattimenti corpo a corpo o con spade e coltelli, tiro con l’arco e tutto quello che poteva essere utile per tenerli in vita e diventare abili cacciatori.
Amava quei momenti quando l’unico pensiero era il colpo successivo o la parata migliore, anche il dolore delle botte aveva un effetto benefico, la faceva sentire viva e reattiva. 
Si era fermata dopo un combattimento particolarmente acceso con Caris , era più piccola di lei ma non si risparmiava e, quel calcio poco sopra il ginocchio, l’aveva fatta cedere di schianto mettendo fine al combattimento. Sentiva la coscia pulsare ma, invece di andare a farsi subito una doccia, aveva preferito sedersi su una delle casse e osservare gli altri allenarsi.
Era bello vederli così attivi, concentrati e l’atmosfera che si respirava era piacevole e serena.
“Ehi, finito presto oggi!” Clarke fu riscossa dai suoi pensieri dalla voce di Bellamy. Si voltò verso di lui, era appena uscito dalla navetta e ora stava osservando i ragazzi allentarsi.
“Caris non è stata molto clemente e ora sto riprendendo fiato” rispose Clarke tornando ad osservare il campo.
“Sta diventando forte sia nel corpo a corpo che nel combattimento con la spada” Confermò Bellamy osservando la ragazza castana intenta ad eseguire una serie di posizioni di parata e attacco contro un nemico immaginario.
“Si è brava ma tutti stanno migliorando molto, tu invece perché non c’eri?” chiese Clarke volgendosi verso di lui.
“Nel pomeriggio partiamo per un’altra battuta di caccia” ripose lui sedendosi poi accanto a lei.
“Esci praticamente ogni giorno ormai, come sta andando?” con l’inverno alle porte molti uscivano quasi ogni giorno a caccia, a pesca o a raccogliere tutto quello che sarebbe potuto essere utile per l’inverno. Bellamy spesso era a capo delle spedizioni, le lunghe perlustrazioni che aveva fatto nelle settimane precedenti gli avevano permesso di conoscere bene quelle zone boscose. 
“Abbastanza bene ma siamo in tanti e la cosa preoccupa un po’ tutti” rispose pensieroso Bellamy. 
Clarke lo osservò attentamente, negli ultimi tempi lo vedeva raramente. Il viso era segnato dalla stanchezza. La ragazza lo conosceva abbastanza da sapere che quei segni non sarebbero passati fino a quando non fosse stato sicuro di aver fatto abbastanza.
“Vedrai che ce la faremo, siamo sempre stati abituati a mangiare cibo razionato e, se ce l’abbiamo fatta noi a non morire di fame le prime settimane, di sicuro troveremo una soluzione anche per il campo Jaha”
Bellamy si volse verso di lei, sorrise facendo un lieve cenno del capo poi tornò a guardare i ragazzi allenarsi. 
Il silenzio fra loro era rilassato, ormai non avevano più bisogno di riempire i vuoti con le parole.
Clarke stava osservando Lincoln e Octavia, vederli la rasserenava sempre, ne avevano passate tante e, dopo ogni sfida, era diventati sempre più forti e uniti. Rappresentavano per lei la speranza in un futuro migliore.
“Sono contenta che Lincoln abbia deciso di farsi carico degli addestramenti e mia madre e Jackson sono felici di poterlo interrogare continuamente sulle sue capacità mediche.” 
“Si, è una fortuna averlo tra noi” rispose Bellamy “e vederli assieme” 
Clarke si volse verso il ragazzo.
“Non mi sarei mai aspettata queste parole da parte tua, non per la tua sorellina” 
“Non ho smesso di volerla proteggere ma ora so che posso condividere questo compito con Lincoln ma, non riferirlo a Octavia” concluse.
“Conoscendola ti risponderebbe che sarebbe in grado di battervi entrambi” replicò Clarke.
“Probabilmente ci riuscirebbe, è stata sempre testarda ma adesso è anche tenace e determinata. Una guerriera nata.” 
“Lei forse è l’unica che realmente ha capito questo mondo” osservò pensierosa Clarke.
“Clarke, lei è l’unica che per 17 anni non ha vissuto, questo è l’unico mondo che conosce”.
La giovane rimase in silenzio, il viso si era adombrato seguendo qualche cupo pensiero.
“Clarke torna da me” le sussurrò Bellamy avvicinandosi a lei.
La ragazza alzò gli occhi e assentì con il capo.
“Non è meglio godersi la mia presenza piuttosto che rimuginare sul passato?” 
Clarke scoppiò a ridere, Bellamy era diabolico quando faceva quel mezzo sorriso ironico. Sentiva la sua vicinanza. Sentì scorrere lungo il corpo la pelle d’oca. 
“È ora che vada a farmi una doccia” rispose scendendo dalla cassa e avviandosi claudicante verso l’ingresso della navetta.
“Ti serve un aiuto” chiese Bellamy avvicinandosi a lei.
Clarke si volse di scatto arrossendo.
“Scusa?”
“Una mano per raggiungere le docce, visto che zoppichi” rispose perplesso Bellamy osservando l’espressione imbarazzata di Clarke.
“Ehm, no, ce la faccio grazie”
Il ragazzo la osservò un’istante cercando di capire cosa fosse successo poi l’illuminazione e scoppiò a ridere.
“e così anche la nostra principessa coraggiosa può avere pensieri maliziosi” disse prendendola in giro.
“Taci!” rispose piccata Clarke.
Una parte di lui nascosta da troppo tempo si fece largo  “Se mai avessi bisogno di qualcuno che ti lavi la schiena potrei essere disponibile” la punzecchiò lui mostrando un sorriso sfrontato.
“Idiota” replicò Clarke prima di voltargli le spalle e andarsene per non mostrare il rossore che le colorava le gote.
Sentì dietro di se la risata divertita di Bellamy e istintivamente alzò il dito medio oltre alla spalla,.
“una vera principessa Clarke!” replicò il ragazzo al gesto.
Persino la giovane rimase interdetta del suo comportamento ma, a dirla tutta, trovava l’intera situazione sì surreale, ma per certi versi straordinaria per la sua normalità. Sull’Arca sarebbero stati comunque dei ragazzi, era la Terra che li aveva trasformati in adulti e quel gesto così infantile le aveva fatto proprio bene.
Voltò il viso verso Bellamy e replicò con una linguaccia prima di scoppiare a ridere. 
“A presto Bellamy”
Vide il ragazzo farle l’occhiolino prima di allontanarsi verso la zona degli allenamenti.
Clarke varcò la soglia della navetta distrutta con un sorriso divertito tra le labbra e con il cuore leggero come non le era mai capitato prima. 

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NOTA: visto che mi sto incasinando da sola ho deciso di mettere dei giorni fissi in cui aggiornerò la storia il martedì e il venerdì :)

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


CAPITOLO 8
 
20 Dicembre
 
Bellamy entrò dentro la navetta del campo Jaha, sbattè i piedi a terra per scrostare la neve.
Sebbene da giorni non nevicasse, le basse temperature stavano preservando quella caduta all’inizio del mese. Cacciare e procurarsi altro cibo stava diventando di giorno in giorno più difficile ma questo gli dava comunque l’occasione di esplorare meglio la zona.
Per fortuna i tecnici erano riusciti ad aggiustare i sintetizzatori di cibo e, anche se non era particolarmente gustoso, non sarebbero morti di fame quell’inverno.
Il ragazzo si osservò intorno, l’area antistante all’entrata era diventata la zona ricreatorio della nave e a quell’ora c’era parecchia gente e c’era fermento in ogni angolo. Con l’arrivo dell’inverno gli abitanti del campo avevano cominciato a dedicarsi a diverse attività al chiuso, c’erano laboratori artigianali e aree in cui continuare gli allenamenti tutto in vista dell’arrivo della primavera.
Non volevano farsi cogliere impreparati.
Bellamy sapeva che avrebbe potuto passare il tempo come loro ma i boschi lo chiamavano sempre. Era stato chiuso nell’Arca per così tanto tempo che il solo respirare l’aria pura dell’esterno e camminare in mezzo al silenzio della foresta lo ritemprava.
 Ora però desiderava solo una doccia calda, una bella tazza fumante di zuppa e una dormita.
Con la coda dell’occhio si accorse però che Abby stava puntando direttamente verso di lui. Avrebbe potuto prendere la direzione opposta, ma il senso del dovere lo spinse invece a girarsi verso di lei e farle un cenno di saluto.
“Bentornato, com’è andata là fuori?” chiese rispondendo al suo saluto
“Non molto bene, ma abbiamo trovato altri due bunker e inventariato quello che c’era dentro nel caso in futuro ne avessimo bisogno.” Rispose tirando fuori un foglio “lo porterò da Milton per aggiornare gli archivi”
“Grazie, non c’è fretta” rispose Abby
“Hai bisogno di altro? Sono stanco e vorrei andare nei miei alloggi.”
Per quanto Bellamy provasse un certo rispetto per il nuovo cancelliere, non riusciva a fidarsi completamente di lei. C’era qualcosa che non gli piaceva, si sentiva sempre scrutato e pesato in sua presenza e questo lo metteva a disagio.
Anche in quel momento Abby lo stava osservando senza proferire parola o lasciarlo andare
“Se hai bisogno di altro, sai dove trovami” disse a quel punto spazientito.
“Aspetta!, si tratta di Clarke”
“Cos è successo” chiese subito.
“Gli ultimi giorni al reparto medico sono stati difficili e ..” lasciò in sospeso la frase come se ciò che stava per dirgli le costasse fatica. “credo che abbia bisogno di te”.
Bellamy lo scrutò attento, cercando di capire esattamente cosa volesse dire con quelle parole, era chiaro che fosse turbata.
Attese.
Abby soffermò il suo sguardo oltre di lui, poi lo guardò
“Ho perso Clarke molto tempo fa e non sarò più la persona con cui vorrà confidarsi.” Inghiottì, una muta preghiera nei suoi occhi.
Bellamy rispose con un accenno poi si avviò verso l’alloggio di Clarke.
 
Bussò un paio di volte ma non rispose nessuno. Si allarmò.
Cominciò a cercarla al “the 100”, da Raven, nella mensa continuando a chiedere in giro se qualcuno l’avesse vista ma ad ogni risposta negativa l’ansia cresceva. Cercava di scacciare il pensiero che se ne fosse andata di nuovo, non l’avrebbe fatto in quel modo.
Stava superando un corridoio quando la vide oltre le vetrate. Camminava sul terreno accidentato, verso la recinzione esterna sul retro del campo.
Aprì una delle porte e uscì per raggiungerla.
Quando finalmente fu accanto a lei era già arrivata alla recinzione.
Lo sguardo rivolto alla collina di fronte al campo, il luogo in cui, mesi prima, Finn aveva perso la sua vita.
 
“Ciao Principessa” disse Bellamy affiancandosi a lei “Un po’ freddo per una passeggiata senza giubbotto”
Clarke si voltò, il viso rigido.
“Ti ha mandato mia madre” chiese poi
“Diciamo che ha pensato che incontrarti valeva più di una doccia calda e un buon riposo” rispose prima di continuare a osservare la collina di fronte a loro.
“Non voglio rientrare”
“Allora possiamo rimanere ancora un po’ qua, anche se dentro staremmo per lo meno al caldo” replicò Bellamy soffiando sulle sue mani infreddolite. “Dovrei darti la giacca, probabilmente hai freddo anche tu, ma poi avrei freddo io” terminò con un mezzo sorriso
“Sempre il solito!” Clarke rispose scuotendo la testa divertita. “Sento la mancanza dei boschi..” continuò poi.
“Facciamo così” disse Bellamy girandosi verso di lei, non gli piaceva vederla in quello stato “se rientriamo adesso, ti prometto che alla prossima occasione ce ne andiamo a fare un giro solo tu ed io, che dici”
Clarke lo scrutò un attimo “Promesso?” poi sorrise ma quel sorriso non raggiungeva gli occhi come se non credesse alle sue stesse parole.
“ Promesso” replicò Bellamy “allora rientriamo?”.
“ok” rispose la ragazza con un sospiro
Si incamminarono verso la struttura
“Hai mangiato” chiese Bellamy, osservò il cielo, il giorno stava lasciando lo spazio alla notte e si notavano le prime stelle nel cielo.
“Per la verità no” rispose Clarke.
“Ok, allora ecco il piano, doccia e poi ci incontriamo in sala mensa così ti racconto della spedizione e mi aggiorni su quello che mi sono perso qui al campo.”
Clarke alzò gli occhi verso di lui e fece un cenno d’assenso.
 
Bellamy si girava e rigirava ormai da ore fra le lenzuola.  Era stanco eppure non riusciva prendere sonno, il tepore umidiccio della stanza lo stava soffocando e non riusciva a scacciare il pensiero di Clarke. Durante la serata appena trascorsa aveva avuto l’impressione che non stesse bene e quella sensazione continuava a tormentarlo. All’apparenza aveva riso e scherzato eppure, qualcosa in fondo ai suoi occhi, era buio. Avevo provato a chiederle quale fosse il problema ma lei aveva semplicemente scosso il capo, risposto “niente” per poi tornare a scherzare con qualcuno o deviare il discorso su altro.
Si era sentito ferito dalla cosa, avevano condiviso così tanto insieme perché chiuderlo di nuovo fuori come se non si fidasse di lui. Questa cosa lo lacerava e allo stesso tempo lo faceva infuriare. Clarke non era “O” eppure sentiva nei suoi confronti lo stesso istinto protettivo.
Guardò l’orologio digitale nel ripiano accanto alla cuccetta, le 3 di notte. Insofferente decise che non ne poteva più di quelle lenzuola e quella stanza che lo soffocava. Era una stanza standard con un tavolo e due sedie imbullonate, un piccolo cucinotto e qualche ripiano. Sull’Arca sarebbe stata un’ottima sistemazione, ora tutto sembrava piccolo e lui doveva assolutamente uscire. Si sedette sul letto stizzito pronto per vestirsi e uscire, di certo avrebbe trovato qualcuno ancora sveglio quando sentì un sommesso bussare alla porta.
Prese una maglia che aveva buttato sullo schienale della sedia la indosso e aprì la porta.
 
Clarke era di fronte a lui, gli occhi segnati dalle occhiaie erano gonfi come se avesse pianto, lo sguardo sbarrato, confuso e intimidito.
Si allarmò vedendola in quello stato, fece un passo di lato e aprì di più la porta per farla entrare.
La giovane fece un lieve cenno d’assenso poi entrò andandosi a sedere sul letto.
Le mani in grembo erano seminascoste da un maglione sdrucito troppo grande per lei.
II suo sguardo vagava attorno posandosi ogni tanto su qualche oggetto posato sui ripiani.
Bellamy prese una sedia e si sedette di fronte a lei. I gomiti piantati sulle ginocchia, l’intero corpo proiettato verso di lei, distante quanto bastava per lasciarle spazio ma abbastanza vicino da farle sentire la sua presenza.
La guardava ma non diceva nulla, stava aspettando che lei parlasse.
Si assomigliavano in questo, avevano bisogno dei loro tempi.
“Posso stare qui stanotte?”
“Sei già qui” rispose lui facendo finta di non capire.
Clarke lo guardò con quella sua solita espressione, piegando leggermente il viso da un lato.
“Sai cosa intendo”
“Non prima di avermi spiegato cosa sta succedendo” replicò Bellamy.
“Non voglio stare sola” rispose Clarke con un sospiro, il ragazzo sapeva quando le era costata quell’ammissione.
“Perchè?” Chiese
“Gli incubi, sono tornati” rispose Clarke “avevo bisogno di un posto dove scacciarli” 
Bellamy si appoggiò contro lo schienale della sedia, nel suo intimo una voce urlò di gioia per quelle parole ma la scacciò subito. Troppe implicazioni.
“Cos’è successo in questi giorni?”
Sapeva che l’unico modo che aveva per aiutare Clarke era farla parlare ed esorcizzare ciò che sentiva, mettere un freno ai pensieri e al peso che portava. Non sentirsi più sola.
“Sono morte alcune persone in questi giorni. Altre si sono ammalate. Siamo impreparati e mi sento nuovamente impotente e in balia degli eventi. …” Clarke lasciò in sospeso la frase.
Bellamy non aveva bisogno di sentire il resto per sapere come la giovane si sentisse. L’accettazione che la morte e il dolore avessero un parte così importante nella loro nuova vita sulla terra era un tasto ancora molto sensibile.
Entrambi sapevano che anche sull’Arca la gente moriva, veniva ferita eppure sulla terra questa cosa aveva una risonanza mille volte più forte e Clarke ora si sentiva sempre responsabile di tutto. Il suo istinto di sopravvivenza aveva dato un impulso alla sua vita quando erano atterrati e ora, più di molti altri, doveva convivere con questa scelta.
Avrebbe  voluto abbracciarla, stringerla a se e dirle che tutto sarebbe andato per il meglio ma sapeva che non poteva farlo, lei si sarebbe ritratta spaventata alla solo idea di lasciarsi andare, di provare qualcosa.
La scrutò un istante poi le disse “Puoi rimanere qui a dormire”
Si alzò, aprì un piccolo sportello che si trovava in alto alla sinistra della cuccetta, poi tirò verso il basso la leva al suo interno. Una seconda cuccetta si abbassò sopra a quella già aperta.
“Vuoi dormire in quella sopra o quella sotto” chiese, avrebbe voluto fare una battuta maliziosa ma si rese conte che sarebbe stata fuori luogo. Sorrise al pensiero di una possibile reazioni sbalordita di Clarke, rimase poi di sasso quando si rese conto che una parte di lui cominciava a divertirsi a giocare con lei e ad aspettare le sue reazioni.
“Questa sotto andrà bene” rispose Clarke con un mezzo sorriso.
Bellamy fece un cenno d’assenso poi si arrampicò nella cuccetta sopra e chiuse le luce.
Sentì Clarke muoversi e distendersi nel suo letto.
“Grazie”
Bellamy sorrise nel buio “Di niente principessa”.
Il silenzio dei loro respiri, la consapevolezza dei loro corpi così vicini eppure così lontani, la serena sicurezza della presenza reciproca li accompagnò in un sonno tranquillo.
 
Clarke si svegliò. Per la prima volta dopo diversi giorni il suo risveglio non era stato brusco. Niente sudore che le imperlava la fronte o il cuore palpitante per un brutto sogno. Era solo un semplice piacevole risveglio.
Si osservò in giro, sopra di lei la seconda cuccetta, era consapevole di essere nella camera di Bell ma questo non lo mise a disagio. Sorrise invece per quel tranquillo risveglio.
Bellamy non c’era ma sapeva che l’avrebbe rivisto entro breve. Si sentì pervadere da una sensazione di serenità e un pizzico di aspettativa.
Solo lui sembrava conoscerla così intimamente, nemmeno Finn era riuscito a decifrarla bene quanto Bell.
Sorriso al pensiero che una parte di lei cominciasse, nei suoi pensieri, a chiamarlo Bell con la stessa intimità di Octavia. Si rese conto che non poteva avere amico migliore.
 
Sentì la porta dell’ingresso aprirsi e, come se fosse stato richiamato dai suoi pensieri, vide Bellamy entrare con un vassoio in biblico su una mano mentre con l’altra cercava di chiudere silenziosamente la porta.
Lo vide lanciare uno sguardo verso di lei e quando la trovò sveglia le sorrise
“Buongiorno Principessa, ho portato la colazione”
Clarke ripose al sorriso e con uno slancio uscì dal letto mentre il ragazzo appoggiava sul tavolo il vassoio.
Si sedettero uno di fronte scambiandosi ogni tanto qualche sorriso mentre mangiavano le gallette e una specie di zuppa liofilizzata.
“Ho incontrato Kane in mensa, a quanto sembra stanno pensando di fare un’altra spedizione, una paio di settimane questa volta. Sempre verso sud. Forse sarà l’ultima fino alla primavera. La tua richiesta è stata esaudita” disse Bellamy con un mezzo sorriso.
Clarke alzò gli occhi dalla poltiglia che stava mangiando, appoggiò il cucchiaio accanto alla tazza e lo osservò perplessa.
“Ieri ti avevo promesso che la prossima volta che fossi uscito saresti venuta con me, ecco l’occasione” replicò.
Clarke sentì un balzo al cuore, sarebbe uscita, avrebbe potuto finalmente uscire dal campo Jaha e da tutto quello che implicava.
“Sarebbe fantastico, quando partiamo?”
“Se tutto va bene domani mattina, il tempo di preparare l’equipaggiamento. Questa volta verrà anche Octavia e Lincoln ci farà da guida. L’idea è tentare di arrivare nei territori del popolo delle barche e provare un primo approccio con loro.”
Clarke si illuminò al pensiero. Ne avevano discusso molto in consiglio, il popolo delle barche era un popolo pacifico, distante dai normali territori controllati dai clan e il consiglio sperava di poter trovare un accordo con loro per poter spostare la gente del campo Jaha vicino ai loro territori, il più lontano possibile da quelli della gente delle foreste. Era un azzardo ma Lincoln aveva detto che forse Luna, la matriarca del clan, sarebbe stata disponibile a trattare e condividere i loro territori in cambio di conoscenze mediche e tecnologiche. Il periodo non era dei migliori per partire ma, la loro, era una corsa contro il tempo, in primavera avrebbero dovuto nuovamente confrontarsi con i clan  delle foreste e dovevano avere un piano di riserva.
La ragazza stava già mentalmente preparando tutto il necessario per quella spedizione quando il pensiero dei pazienti che avrebbe dovuto lasciare prese il sopravvento. Sapeva che altri si sarebbero presi cura di loro eppure, partire per quell’impresa, significava, una volta di più, abbandonare la gente di cui era responsabile.
Abbassò lo sguardo sul tavolo “Non posso venire” poi alzò il viso per guardare quello di Bellamy che sembrava confuso.  “devo rimanere qua per dare una mano nel reparto medico, per stare con gli altri ragazzi, continuare gli allenamenti, ci sono così tante cose da fare…”la voce si affievolì schiacciata dal peso di tutte le cose per cui si sentiva responsabile.
Bellamy la guardò un istante, annuì, avrebbe voluto che la ragazza prendesse un’altra decisione ma  comprendeva la sua scelta, si era appoggiata a lui nel momento del bisogno perché sapeva di poterlo fare  “Clarke, lo capisco, è lo stesso motivo per cui io sono sempre fuori, stiamo cercando di fare il meglio per la nostra gente. Stare qui è difficile lo so, spesso qui mi sento soffocare ma abbiamo delle responsabilità e tu non puoi fuggire.” Lasciò in sospeso la frase poi concluse “La primavera presto tornerà e tu dovrai essere pronta”.
Clarke annuì, capiva cosa intendesse Bellamy e lo apprezzò per questo. Si chiese una volta di più cosa avrebbe fatto senza di lui.
 
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NOTA : mi ero ripromessa di non rompere con le note ahaha...ma questa è una nota da "dietro le quinte"...quando ho finito di scrivere questo capitolo non sapevo se ridere o piangere. Mentre nella mente volevo un momento Bellarke di quelli da OMG, OMG...le parole prendevano un'altra strada...ho riso, anche se avrei preso il pc a testate, quando mi sono resa conto che mentre Bellamy è in fase brividi, gioia etcc...Clarke mentalmente l'ha frienzonato di brutto pensando che non poteva avere amico migliore. Ho tentato in tutti i modi di cambiare qualcosa ma nada...però sappiate che mi son in parte rifatta con il prossimo capitolo :)....p.s. non uccidetemi se 'sti due sono così lenti di comprendonio ...non è colpa mia...sono loro :P

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


CAPITOLO 9
3 gennaio
 
Come ci sono finita qui?
Perché le luci del the 100 mi sembrano così diverse dal solito.
Tutto è così cupo e nero
Vedo i ragazzi ballare in una danza sincopata
Io ho solo la solitudine che mi tormenta.
Il mio corpo è pesante, inanimato sullo sgabello del bar.
L’ansia mi attanaglia, ogni cosa comincia a vorticare attorno a me.
Le pareti sembrano tingersi di sangue e i volti dei ragazzi ruotare davanti ai miei occhi.
Ho bevuto troppo? eppure la mia tazza è ancora piena del suo liquido ambrato.
La musica si trasforma in uno strano rumore ritmato, un cuore che batte, un lamento lontano.
Devo fuggire ma il mio corpo è bloccato su questa maledetta sedia.
Il panico sta prendendo il sopravvento quando sento qualcosa dietro di me.
Un respiro solletica il mio orecchio, una mano si posa sul mio braccio.
Una carezza leggera e il mio cuore si placa.
Mi lascio andare e la mia schiena si appoggia al ragazzo dietro di me.
Non ho bisogno di vederlo per sapere chi è.
Un frammento passa di sfuggita davanti ai miei occhi, un’istantanea del suo viso, del suo sorriso che riesce a brillare fino ai suoi occhi scuri in parte nascosti da quel ciuffo ribelle.
Percepisco il suo calore.
 Sento le sue braccia circondarmi, il suo viso poggiarsi sul mio capo.
Respiro a pieni polmoni la sua fragranza e mi lascio cullare nella serenità del suo abbraccio.
“Sono qui principessa” la sua voce roca mi sussurra parole dolci che infiammano i miei sensi.
Le vibrazioni di piacere mi avvolgono fino a mozzarmi il respiro.
Sento la sua mano accarezzarmi delicatamente il seno, sento quel tocco come se fossi nuda fra le sue braccia, la sua mano continua lentamente sfiorandomi il fianco, la coscia.
Il respiro fino a quel momento trattenuto si trasforma in un gemito di piacere, i miei occhi chiusi non vedono nulla, l’unico suono che percepisco sono i nostri respiri.
Lascio che la mia testa si abbandoni sulla sua spalla dando libero accesso al mio collo.
L’attimo in cui le sue labbra sfiorano la pelle sensibile penso che non ce la farò più a resistere.
Le sensazione che sto cominciando a provare sono sempre più intense, il mio corpo desidera di più.
Sciolgo il suo abbraccio il tempo necessario di girarmi, intercettare il suo occhi offuscati dalla passione crescente.
Lo abbraccio.
Lascio che il mio corpo aderisca al suo.
I miei occhi corrono alle sue labbra.
Voglio toccarle,
Assaggiarle
Ghermirle
Devono essere mie
Mi avvicino lentamente a lui, i miei occhi incatenati ai suoi…
Le nostre labbra finalmente si sfiorano e un fuoco dirompente mi assale.
Quel tocco non mi basta
Voglio di più

…….
“Svegliati Clarke, tra poco inizia il tuo turno“ la ragazza si sentì strattonare, si sveglio di scatto. Il desiderio appena provato ancora in circolo. Le sue mani corsero subito alle labbra con la speranza di ritrovare in esse il ricordo di quello che era appena successo, di quello che aveva appena sognato.
Osservò la stanzetta senza vederla.
Un’unica immagine della sua mente: gli occhi pieni di desiderio di Bellamy. 



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NOTA: e così i sogni stanno dicendo qualcosa a Clarke...ma lei lo capirà??....non vi resta che aspettare martedì, poi venerdì, poi ancora martedì...e forse ancora un venerdì...oppure no...aahah ;)...spero di essermi rifatta dopo il capitolo precedente :P

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


CAPITOLO 10
7 gennaio   

Bellamy non riusciva a prendere sonno, sentiva poco distante Octavia e Lincoln ridacchiare e chiacchierare sottovoce.  Cercavano di non disturbarlo ma era inevitabile o lui era più suscettibile del previsto alle loro effusioni amorose. 
Ecco nuovamente i suoi pensieri prendevano una china pericolosa. Dopo tutti gli eventi successi da quando erano arrivati sulla terra ora, la relativa tranquillità delle spedizioni, i giorni morti in cui non succedeva nulla lo mettevano sempre più spesso di fronte alla sua nuova vita. Ormai non era solo mera sopravvivenza e adattamento. Tutto ciò che succedeva sembrava vita quotidiana, cominciavano ad avere una certa stabilità, non vivevano più sul limite del burrone e molte altre cose cominciavano a prendere il sopravvento.  L’incontro con il clan delle barche era andato meglio del previsto. Oltre al fuoco poteva vedere le sagome di Karel e Laudria, i due giovani del popolo delle barche che avevano scelto di lasciare la propria gente per seguirli al campo Jaha, una sorta di scambio culturale. Sorrise al pensiero. Si ricordava quando sull’Arca studiavano la storia della terra e quando aveva letto di re, imperatori, principi e comandanti che venivano spediti a studiare in altri paesi aveva pensato che fosse così strano, diverso. Per loro sull’ Arca il concetto di scambio era troppo distante. Ora, sulla Terra, tutto sembrava possibile. 
Karel era un guerriero, un giorno sarebbe stato un capo mentre Lauria era un’apprendista guaritrice. Kane e una delle infermiere avevano scelto di rimanere al campo del popolo delle barche. 
Quello era il primo scambio che avevano intenzione di fare. Se l’inverno lo avesse permesso avrebbero fatto una nuova spedizione in accordo con il popolo delle barche, altre persone sarebbero partire dal campo Jaha e  questa volta sarebbero stati ingegneri, costruttori, botanici. 
Le basi dell’alleanza erano state ormai sancite, ma una parte di lui temeva le ripercussioni da parte del popolo delle foreste. 
Sky people e Boat People potevano diventare un clan troppo forte. 
Un’altra risata di Octavia interruppe il filo dei suoi pensieri, sorrise a sua volta. 
Erano strano poter pensare al futuro specialmente per lui che per tutta la vita non aveva fatto altro che proteggere sua sorella prima e gli altri ragazzi dopo. 
Si era sempre sentito in balia delle decisioni altrui, delle responsabilità che altri gli avevano addossato o di cui si era fatto carico, un giorno alla volta aveva affrontato tutto ma ora, forse per la prima volta, voleva decidere per la sua vita. 
 Si alzò in silenzio, voleva prendere un po’ d’aria.
Avrebbe dato il cambio alla guardia, decise.
Notò Octavia sollevarsi poggiandosi sul gomito, Bellamy le fece un lieve cenno e la sorella si distese nuovamente vicino a Lincoln.
Uscì da un edificio semidiroccato dove avevano scelto di accamparsi. 
La notte stellata esacerbava il freddo fuori ma i vestiti lo tenevano al caldo.
Tocco la spalla della guardia appostata fuori “ti do il cambio Michael”
L’altro annuì felice di poter rientrare.
Si sedette lasciando che il suo sguardo vagasse tra le macerie della città in cui avevano trovato rifugio. La foresta ormai aveva preso il sopravvento sulle costruzioni ma ancora, in mezzo agli alberi, svettavano palazzi semidistrutti. Retaggio del vecchio mondo.
Non si accorse della presenza della giovane guaritrice fino a quando non si sedette vicino a lui. Rimaneva sempre colpito dalla silenziosità con cui si muoveva. Sembrava un’ombra, discosta da ciò che accadeva attorno a lei, osservava il mondo con disincantata attenzione, pronta a carpirne tutti i segreti. Nelle sue movenze una serenità e una pacata eleganza.
Nei suoi occhi la consapevolezza di appartenere alla terra che calpestava.
Se non fosse stato per la risata argentina che ogni tanto le sfuggiva, i sorrisi e le piccole smorfie quando sbagliava la pronuncia di qualche parola avrebbe avuto la sembianza di un essere generato dalla natura stessa.
Il suo aspetto raccontava di questo legame. 
La pelle color cioccolata come i tronchi degli alberi d’inverno. Gli occhi verdi come i germogli in primavera. I capelli castani ricchi di riflessi rossi e dorati come le foglie d’autunno. La voce melodiosa come il canto notturno della natura nelle sere d’estate.
Si voltò verso di lei, sapeva che non avrebbe detto molto, il suo viso rivolto verso il cielo, gli occhi chiusi, respirava a pieni polmoni l’aria fredda della notte. No, non avrebbe parlato. Sarebbe rimasta lì accanto aspettando che lui parlasse, che si aprisse ai dubbi che lo attanagliavano trasformando quel tormento in calma.
Ormai Laudria lo faceva ogni notte.
Bellamy, durante le lunghe camminate per arrivare al campo Jaha le aveva chiesto perché lo facesse, lei aveva risposto che era il suo compito, essere guaritrice significava guarire non solo le ferite del corpo ma anche quelle dell’anima.
All’inizio non ci aveva creduto, eppure, giorno dopo giorno, notte dopo notte,  lei si era seduta accanto a lui, aveva camminato al suo passo e la sua presenza lo aveva calmato. Non aveva trovato ancora risposte, non aveva trovato la serenità che cercava eppure vedere il mondo attraverso la presenza di quella giovane donna lo aiutava.
Fra un paio di giorni sarebbero arrivati al campo Jaha e tutto sarebbe cambiato probabilmente, forse non avrebbero più avuto tempo per quelle chiacchierate insieme.
“Grazie” sussurò Bellamy.
Laudria si voltò verso di lui, il suo viso in penombra eppure Bellamy riusciva a vedere un accenno di sorriso.
La giovane donna rispose con un accenno, di poche parole come sempre, pensò.
“io devo ringraziare te mi sono …ehmm” Laudria si fermò un’istante, Bellamy comprese che stava cercando la parola giusta da tradurre. Lo notò dalla smorfia che faceva con le labbra, sembrava si stesse mordendo l’interno della bocca sovrappensiero. 
Aspettò, era molto veloce ad imparare parole nuove e odiava, quando le conosceva, farsi suggerire. Una volta aveva tentato di aiutarla e si era arrabbiata. Era stato strano vederla così stizzita. 
Bellamy scosse la testa divertito. Quella ragazza era decisamente atipica nel suo modo di fare.
La sentiva mormorare sillabe che per lui non avevano molto senso, stava probabilmente cercando il giusto incastro fra le lettere. Poi la vide sorridere soddisfatta, aveva trovato la parola.
“Trovata” disse ad alta voce poi si volse verso di lui.
“io devo ringraziare te, mi sono trovata bene con voi” rispose.
Bellamy sorrise, “ È stato un piacere e spero ti troverai bene anche al campo Jaha”.
“Mi piace conoscere cose nuove, mi troverò bene” rispose annuendo compiaciuta.
Bellamy incuriosito ma soprattutto per imparare lui stesso nuove parole chiese: “Che parola usate voi per dire “trovarsi bene” ?”
“Cjatâsi ben” Rispose subito Laudria.
Bellamy annuì, cercando lui stesso di memorizzare la parola.
Provò a chiedere altre nuove parole e Laudria rispondeva contenta di potersi esercitare. 
Le ore passavano, chiacchiere tranquille sussurrate nella notte, la voce melodiosa di Laudria riuscì una volta di più a rilassarlo.

------

Mi sveglia una strana melodia
Metto una mano davanti agli occhi e lentamente li apro.
Il cielo è azzurro punteggiato da qualche nuvola bianca.
Sotto di me sento la terra e l’erba.
Il calore del sole mi scalda.
Mi sollevo perplesso, mi guardo attorno,
un prato costellato di fiori di campo,
 un’arena circondata da alberi ad alto fusto.
Mi volto verso la voce che sento di sottofondo, 
accompagnata dal vento..
Una giovane donna è seduta poco distante,
le sue gambe raccolte,
sta intrecciando una corona di fiori.
I lunghi capelli biondi le coprono il viso.
Non ho bisogno di vederla,
è diversa,
i suoi abiti sono diversi
ma so che è Clarke.
La sto per chiamare e in quel momento lei si gira,
mi sorride.
“dove siamo” 
“a casa” la sento rispondere,
le sue labbra non si muovono,
sembra abbia parlato alla mia mente.
“dove è casa?” 
Lei indica con la mano di fronte a se,
dove prima c’erano alberi adesso si apre una città in fondo ad un valle,
vicino ad un’ insenatura del mare.
Mi sento disorientato,
siamo su una radura, come tante viste fra le montagne.
“cosa facciamo qua?”
Lei mi sorride
“sciocco, abbiamo deciso di rilassarci un po’, di passare un po’ di tempo assieme”
Il mio cuore fa un balzo nel petto,
Clarke cambia sotto ai miei occhi, ora è diversa, una venere che seduce,
uno  sguardo malizioso,
si accarezza le labbra,
sento le sue labbra sulle mie,
le mie mani sulle sue labbra…
non capisco ma sento che è giusto.
Qualcosa ci blocca
Sento una presenza alle mie spalle,
mi giro e ai limiti del prato vedo ombre,
L’occhio della mia mente vede oltre,
il cuore comincia a battere forte nel mio petto,
il mio corpo si irrigidisce devo attaccare, devo dare l’allarme
la città verrà distrutta.
Là, tra gli alberi è pieno di guerrieri,
ci vogliono attaccare.
Mi alzo, Clarke, la chiamo.
Lei intreccia ghirlande di fiori.
Mi avvicino, le  scrollo le  spalle,
lei alza il viso e non è più lei, 
il suo viso è marchiato con i tatuaggi dei grounders
“Clarke chi sei?”
Il suo sguardo di ghiaccio mi trapassa,
“non mi hai lasciato scelta, dobbiamo sopravvivere” 
Un dolore acuto mi trafigge il petto,
Non respiro,
abbasso gli occhi.
L’impugnatura di un pugnale esce dal mio costato.
Il dolore invade tutto il corpo,
un velo nero davanti agli occhi.


Bellamy si sveglia di scatto boccheggiando, il dolore sembrava lentamente sparire, la mano del ragazzo corre nel punto in cui dovrebbe essere conficcato il pugnale, non c’è niente.
Lentamente prende coscienza del mondo che lo circonda, sente i rumori degli altri che si stanno svegliando.
Vede, attraverso la nebbia del sogno, Laudria venirgli incontro, una tazza fumante fra le mani.
“Bevi, scaccerà l’incubo” gli dice la ragazza accovacciandosi vicino a lui.
Poggia le sue dita sulla fronte del ragazzo fa un lento massaggio circolare.
“Presto gli incubi spariranno, è solo un segno”.
Lascia la tazza vicino al giaciglio poi si allontana.
Il tocco delle mani della guaritrice è riuscito a scacciare l’ansia, beve un sorso della tisana che gli ha dato eppure la sensazione che ben presto qualcosa accadrà non lo lascia in pace. 


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NOTA: Sono consapevole che nel testo ci possono essere dei refusi e degli errori di sintassi per quanto io cerchi di fare attenzione e per questo motivo vi avverto che in questa frase -“Presto gli incubi spariranno, è solo un segno”. Segno non è un refuso, non volevo dire Sogno ma proprio Segno :P
P.S. Come vi sembra Laudria, il primo dei due personaggi originali che ho creato proprio per la Long?, Karel lo conoscerete meglio un po' più avanti, spero vi piacciano :). Visto che sono una persona pigra e non avevo molta voglia di scartabellare nel vocabolario Grounder e visto che il popolo delle Barche è comunque un altro popolo e sto scrivendo la FF in italiano ho deciso di usare una lingua per loro che fosse parente con l' italiano ma diversa. La scelta è caduta sul Friulano :)

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Capitolo 11
*** Dubbi ***


PARTE TRE - DUBBI

CAPITOLO 11
9 gennaio

Clarke stava andando in refettorio dopo l’ennesimo massacrante turno nella piccola clinica del campo quando seppe che gli altri erano arrivati. Lo avvertì nell’aria, nel brusio delle chiacchiere, alcuni si stavano già alzando lasciando a metà il cibo nei piatti.
Tutti nell’arca sapevano che Bellamy e gli altri stavano portando con loro due giovani del clan delle barche, stavano portando con loro la speranza e la certezza di aver finalmente trovato un luogo che avrebbero potuto chiamare casa.
Non ci pensò un’istante lasciò lì il vassoio mezzo vuoto e come gli altri si diresse verso l’ingresso della navetta.
Quando li vide avvicinarsi alle porte del campo avrebbe voluto correre loro  incontro, abbandonarsi nell’abbraccio di Bellamy e sentirsi protetta. 
Nella sua mente immagini e sensazioni si ricorsero, le braccia di Bell attorno al suo corpo, il suo sguardo, il suo sorriso, quasi sicuramente l’avrebbe chiamata principessa, poi avrebbero subito parlato di tutte le novità accadute in quelle settimane dimentichi per un istante delle persone attorno a loro. 
Poi, come capitava così spesso nelle ultime settimane, il blocco alla bocca dello stomaco e l’angoscia serpeggiare nel suo corpo, molto era cambiato.
Lei era cambiata. 
Avrebbe voluto rientrare, non voleva vederlo eppure il suo sguardo corse alle figure che si stavano avvicinando cercando istintivamente Bellamy. 
Lo vide subito, sentì subito il cuore fermarsi per l’emozione, finalmente lo rivedeva dopo settimane eppure non si mosse, non gli andò incontro. Non doveva farlo e doveva rimanere ferma nel suo proposito.  
Accanto a lui notò una ragazza, era la guaritrice del popolo delle barche, capì immediatamente.
Non era solo per l’estraneità del suo vestiario ma la sua camminata sciolta, sembrava che nei suoi passi ci fosse un ritmo che solo lei sentiva. 
 La vide sussurrare qualcosa a Bellamy che rispose con un gesto d’assenso.
L’ansia che aveva sentito in quegli ultimi giorni divenne ancora più forte e la realtà di ciò che stava succedendo si abbattè su di lei: un nuovo clan si sarebbe mescolato con loro, una nuova minaccia, un popolo sconosciuto che avrebbe promesso salvezza ma che avrebbe imposto la sua etica e la sua morale. 
Clarke non riusciva più ad accettare di dover dipendere da altri per la loro sopravvivenza, non voleva rischiare nuovamente la vita dei suoi.
Avrebbe fatto buon viso a cattivo gioco e non si sarebbe fidata, se voleva proteggere i suoi non avrebbe più fatto lo stesso errore fatto con Lexa. 
All’inizio aveva pensato che contattare il clan della barche fosse una buona idea ma con il tempo aveva capito che era solo un modo per ripercorre gli errori del passato. Si era affidata a Lexa per combattere quelli di Mount Weather ora si affidavano al popolo delle barche per proteggersi dagli altri clan, cosa c’era di diverso? Era un circolo vizioso dal quale non sarebbero mai usciti se non avessero capito che l’unico modo per sopravvivere era dimostrare la loro forza e che potevano vivere in quel mondo quanto gli altri clan.
Clarke si concentrò nuovamente sulla ragazza, vedendo in lei un nemico, si era scostata da Bellamy e aveva rallentato il passo lasciandosi così superare da Lincoln e Octavia che camminavano affiancati tenendosi per mano.
Ora non riusciva più a scorgerla e focalizzò la sua attenzione sul gruppo del campo Jaha che si era diretto verso i compagni di ritorno dalla spedizione.
Sua madre era fra loro. 
Quando si incontrarono ci furono abbracci, strette di mano poi notò Bellamy presentare i nuovi arrivati.
Vide così per la prima volta anche il guerriero che accompagnava la guaritrice.
Era alto, molto alto, superava di alcune spanne anche Lincoln e anche a quella distanza sembra imponente. Come molti altri guerrieri aveva capelli lunghi e intrecciati, erano castani chiaro, quasi biondi, la carnagione chiara del viso era nascosta da tatuaggi tribali.
Sapeva di dover raggiungere subito il gruppo per dar loro il benvenuto ma non riusciva a farlo,  il suo corpo sembrava bloccato. 
Non aveva il coraggio di sorridere ed essere felice dell’arrivo dei due giovani ma soprattutto non aveva la forza di avvicinarsi a Bellamy.
Nella sua mente si rincorrevano le immagini dei sogni che aveva cominciato a fare. Non aveva mai sognato Finn in quel modo e Bellamy era Bellamy.
Clarke si volse di scatto e rientrò confusa. Se doveva proteggere la sua gente doveva prendere le distanze da lui. In quelle ultime settimane aveva realizzato per la prima volta che Bellamy era la sua vera debolezza, non i sentimenti che aveva provato per Finn, non il legame che la legava agli altri ma Bellamy.
Aveva capito le parole di Lexa “l’amore è debolezza”, per la prima volta, 
Nelle settimane in cui Bellamy era stato via, i sogni che aveva fatto su di loro, lo sguardo d’accusa di Jasper, la diffidenza che ancora sentiva da parte degli altri, avevano aperto uno squarcio sulla realtà e quello che aveva visto l’ aveva atterrita. 
Se doveva affrontare il futuro, la minaccia dei grounder, di quel mondo ostile doveva essere in grado di prendere le distanze da loro. Amare la sua gente non significava amare ognuno di loro, ne andava di mezzo la loro stessa sopravvivenza.
In quel mondo quella era l’unica strada da percorre ma, se riusciva a prendere le distanze da tutti, non valeva per Bellamy.
Più cercava di allontanare il pensiero da lui più questo ritornava e la tormentava.
Avevano lottato insieme, aveva percorso un lungo cammino, lui aveva scelto di proteggerla, difenderla e fare ciò che lei stessa non era in grado di fare. 
Sentiva che senza di lui non era niente eppure questo non poteva e non doveva accadere più. Sapeva che scegliere lui, la sua vita, non le avrebbe permesso di prendere le giuste decisioni.
Era già successo e ne era uscita distrutta, aveva sbagliato ogni cosa e non poteva ripetere gli stessi errori.
Appoggiò la testa contro la porta della sua stanza.
Lacrime cominciarono a scorrere sul suo viso.
Lentamente si accasciò a terra.

Bellamy si era guardato interno, il suo arrivo al campo Jaha era stato salutato con gioia da tutti gli abitanti ma fra loro non aveva visto Clarke e questo lo aveva turbato.
Aveva razionalmente compreso che poteva essere impegnata in cose ben più importanti, si sarebbero incontrati più tardi eppure, con un gesto di stizza, aveva pensato che sarebbe stato bello ricevere almeno un saluto, un sorriso da parte sua. 
Erano amici, perché allora non era lì?

Dopo le presentazioni di rito era riuscito a districarsi dal gruppo e ora si stava dirigendo verso l’alloggio di Clarke
Le ultime settimane erano state piene ma il ricordo di Clarke, dei suoi occhi, il suo sorriso non lo avevano lasciato in pace e ora l’unica cosa che desiderava era rivederla.
Sentiva che qualcosa era emerso negli ultimi tempi, forse era stato il sogno, forse le parole di Laudria, forse la consapevolezza che esisteva un futuro per tutti loro ma, ora, non più sospinti dall’urgenza del momento, dalle decisioni prese sul filo, desiderava conoscere l’altra Clarke, quella che aveva scorto in rare occasioni, quella che si era lasciata andare. Quella che era riuscita con un semplice contatto a fargli provare un fremito lungo la schiena.
Bussò esitante alla porta del suo alloggio, ci volle diverso tempo prima che si aprisse e rimase schioccato dalla vista della giovane.
Clarke sembrava stravolta, gli occhi spenti, occhiaie profonde le segnavano il viso e appariva emaciata.
Appena la giovane lo vide cercò di sorridere “Bentornato Bellamy, entra” spostandosi poi dall’uscio e voltandogli le spalle per andarsi a sedere “scusa se non vi ho raggiunto all’ingresso ma, come puoi vedere, non sono al massimo della forma”.
Bellamy si preoccupò subito
“cos’hai, devo chiamare Abby o forse meglio Laudria, di certo lei saprebbe come aiutarti”.
Clarke alzò la mano e con un cenno di diniego disse “Non è nulla, ci sono stati parecchi casi di influenza e infreddature varie. Il nostro sistema immunitario non era pronto per questo e la febbre ha letteralmente steso metà campo e, a quanto pare, l’ho presa anch’io, un po’ di riposo e fra qualche giorno sarò in piedi”
Bellamy non sembrava convinto. Abby aveva accennato all’epidemia d’ influenza, e la guaritrice si era resa subito disponibile a dare una mano ma, da come aveva parlato il cancellerie, non sembrava una cosa così pericolosa, molto diversa dall’epidemia che avevano dovuto affrontare appena arrivati sulla terra.
“Clarke sei sicura, hai una faccia orribile!”
“grazie” ribatté la ragazza con un mezzo sorriso “non avevo bisogno che tu lo sottolineassi, comunque niente che qualche giorno di riposo non curi anzi” continuò in sussurrò poggiando un’istante la mano sulla fronte “credo che sia il caso che tu vada, non voglio contagiarti e ho veramente bisogno di dormire”
Quelle parole furono come uno schiaffo per Bellamy, avevano già affrontato un’epidemia assieme e l’avevano superata, perchè questa volta lo stava allontanando in quel modo. 
Esitò un’istante, avrebbe voluto ricordarglielo ma desistette di fronte la faccia stremata della ragazza. Forse aveva ragione lei, il giovane si rese conto che aveva aspettato il loro incontro con trepidazione, certo di poter riconoscere negli occhi della ragazza la stessa connessione che lui stesso sentiva ma, ovviamente, non aveva fatto i conti con la realtà.
Sospirò poi si alzò in piedi seguito da Clarke.
Bellamy riuscì solo a dire alla giovane di riguardarsi e di riposare prima di uscire dalla porta.
Prima di andare si girò nuovamente “Se hai bisogno di qualcosa chiamami Clarke, per piacere!”.
La giovane annuì poi chiuse la porta.
Bellamy rimase alcuni istanti di fronte all’uscio ormai chiuso. 
Poggiò la mano sulla porta, un disperato tentativo di mettersi in contatto con Clarke, quell’incontro era stato freddo e impersonale e in cuor suo sapeva che non era dovuto alla malattia.

Bellamy non poteva sapere che Clarke, come lui, aveva appoggiato una mano sulla porta e nuove lacrime scorrevano sul suo viso. 
Non era stata la malattia a parlare per Clarke.
Se dovevano sopravvivere in quel mondo doveva uccidere quel sentimento che sentiva nascere dentro di lei. 

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


CAPITOLO 12

30 gennaio

La notte era buia, le nubi coprivano le stelle, un vento gelido giocava con la neve appena caduta facendola girare in vorticosi mulinelli. 
Bellamy osservava lo spiazzo antistante la navicella, in molti punti la neve caduta aveva già perso il suo candore ed era segnata dai solchi lasciati dagli scarponi degli uomini che andavano di ronda e dei pochi, come lui, che ancora si avventuravano fuori, anche solo per respirare un po’ di aria fresca. 
Sebbene lentamente l’epidemia stesse cominciando a scemare l’intero campo era ancora in tensione, alcuni erano morti e altri erano molto deboli.
Bellamy non voleva pensare alla gente dentro, voleva solo godersi la libertà della vista sterminata di fronte  e dimenticare l’incubo che lo aveva svegliato. Sempre lo stesso, Clarke che lo accoltellava dicendo che non gli aveva lasciato scelta.
In lontananza, lungo il perimetro del campo, poteva vedere le figure di due guardie che stavano pattugliando la zona. C’erano stati alcuni attacchi di predatori e la vicinanza ai grounder non li faceva stare comunque sicuri. 
Anche da quella distanza riconobbe la figura di Karel e probabilmente Nathan era l’altra guardia. Ero molto soddisfatto di come stesse procedendo quello scambio culturale, Karel e Laudria erano stati subito accettati. La facilità con cui si erano inseriti faceva ben sperare per lo spostamento di tutti gli abitanti del campo vicino al popolo delle barche.
Grazie a Raven erano riusciti a creare una rete di ricevitori stabile che permetteva un contatto quotidiano con Kane e Anne. A quanto sembrava anche da loro le cose procedevano bene.
Tutto sembrava perfetto ma Bellamy non riusciva a rallegrarsi della situazione.
Dal suo ritorno aveva incrociato Clarke diverse volte eppure aveva sempre avuto la sensazione che lei lo tenesse alla larga, non era una cosa marcata eppure non riusciva a togliersi quell’idea, non c’era più cameratismo  fra loro e gli incubi non lo aiutavano affatto.
Aveva tentato più volte di approcciarla ma, ogni volta, lei aveva risposto tenendosi a distanza usando gli impegni alla clinica e la stanchezza come scusa quando si sentiva troppo pressata.
Infastidito per il corso dei suoi pensieri decise di rientrare, gironzolò senza metà nelle varie aree ricreative della nave, chiacchierava con la gente eppure la sua mente era sempre distante. Come al solito conosceva una sola persona che lo avrebbe fatto stare meglio: Laudria.
Sapeva che molti stavano facendo illazioni su di loro, erano spesso insieme nelle sale comuni e da qualche battuta dei ragazzi aveva capito che era stato visto uscire o entrare nell’ alloggio della guaritrice. 
Aveva sorriso a quelle battute, alzato le spalle ed era andato avanti. All’inizio il suo pensiero era andato subito a Clarke, cosa avrebbe potuto pensare lei, poi aveva capito che apparentemente non le interessava. A ben pensarci non le era mai interessato con chi usciva o chi si faceva. Comunque, quando erano usciti i primi pettegolezzi, aveva deciso di parlare con Laudria. Non avrebbe mai voluto che lei si sentissi a disagio per quelle chiacchiere e, una volta di più, la giovane lo aveva sorpreso. Lo aveva ringraziato per la premura ma aveva risposto che la cosa non le interessava perchè l’unica con cui doveva fare i conti era la sua coscienza e fra loro c’era un sano legame d’amicizia.

Quando bussò sentì un ovattato “avanti”, aprì la porta e si avvicinò alla cuccetta dove si lasciò cadere, senza nemmeno far caso alla guaritrice, stanco di dover pensare, di nascondere la sua frustrazione. 
Laudria si accomodò su una sedia poco distante, lo osservava in attesa.
Le altre volte, quando si erano visti , avevano chiacchierato di molte cose ma Bellamy non aveva avuto il coraggio di affrontare l’incubo che lo stava tormentando ma ora sentiva che era giunto il momento.
“Cosa ne pensi di Clarke” chiese a bruciapelo Bellamy.
Laudria rise, con quella sua leggera risata cristallina.
“Mi chiedevo quando mi avresti chiesto di lei, so quanto è importante il legame che vi lega”.
“È così evidente?” ribattè Bellamy
“Per chi ti conosce, come ti ho conosciuto io, si!” rispose Laudria seria.
Bellamy rimase immobile, non sapeva che dire.
“Tu vuoi sapere cosa penso di lei vero?” chiese nuovamente Laudria.
Bellamy annuì, in cuor suo irrazionalmente sperava che Laudria riuscisse a chiarirgli le idee e comprendere cosa stesse succedendo a Clarke.

“Clarke è una persona ferita Bellamy” cominciò Laudria “Tormentata dai suoi demoni, è ancora bloccata nel passato e non riesce a trovare via d’uscita.”
Bellamy lo guardò perplesso e aspettò che la giovane continuasse a parlare.
“Ti faccio un domanda Bellamy: appena siete arrivati com’erano le tue giornate?”
Bellamy sbuffò, aveva già raccontato a Laudria molto di ciò che era avvenuto da quando erano scesi sulla terra. “lo sai, abbiamo combattuto contro i grounder, quelli di Mount Weather e persino contro alcuni del campo Jaha, abbiamo pianto i nostri morti e abbiamo continuato la nostra strada per sopravvivere,”
Laudria annuì poi chiese “ora invece, come passi le tue giornate?” Il ragazzo la guardò un’istante cercando di capire che attinenza con Clarke poi ripose “Beh, ogni tanto esco, sto con i ragazzi, mi alleno, imparo tutto quello che posso da te e Karel, assieme al consiglio stiamo cominciando a panificare lo spostamento del campo e cose simili.”
In quell’istante Bellamy capì: la Terra in cui vivevano ora era diversa da quella in cui erano atterrati, ora c’era un futuro, un progetto vero a portata di mano e un mondo che sembra cominciare ad appartenere anche alla sua gente non più il luogo ostile in cui avevano vissuto fino a pochi mesi prima. Forse per Clarke non era così: scottata dal tradimento, distrutta per i sensi di colpa di ciò che era avvenuto nei primi mesi sulla terra non aveva avuto ancora l’opportunità di vivere il mondo come aveva fatto lui, conoscendo gli altri, esplorando nuove zone e sentendosi realmente parte di quella nuova realtà eppure questo non spiegava la distanza che aveva messo fra loro. 
Guardò Laudria “ho capito cosa vuoi dirmi ma non mi aiutare a capire perché Clarke mi tenga a distanza”
“Bellamy non sono io la persona a cui devi chiedere queste cose ma, soprattutto, devi chiederti perché cerchi queste risposte”.
Il giovane scrutò la guaritrice senza capire la sua domanda. Era ovvio che cercasse di capire perché Clarke lo tenesse a distanza, avevano condiviso così tanto insieme e quella freddezza lo feriva, non avrebbe potuto vivere la sua vita senza Clarke al suo fianco.
Come se i suoi pensieri fossero stati espressi ad alta voce  Laudria chiese “Chi è per te Clarke?” ma prima che Bellamy potesse rispondere la giovane alzò la mano “no Bellamy, non devi dirlo a me ma a te stesso e a lei. Ora è meglio che tu vada, devi prendere le redini del tuo futuro.”
Bellamy si alzò confuso e diresse verso la porta.
 Era la prima volta che la guaritrice lo trattava in quel modo e in cuor suo si arrabbiò, sembrava che tutto l’universo femminile ce l’avesse con lui con quegli atteggiamenti criptici.
Uscì dall'alloggio stanco e frustrato.
Cercò nel sonno un oasi in cui rifugiarsi dai pensieri che lo attanagliavano.

Corro a perdifiato nella foresta,
rumori di rami spezzati dietro di me,
urla, luci di torce,
i polmoni mi bruciano per la mancanza di ossigeno
non ce la farò
perché l’ho fatto
perché non sono tornata indietro 
perché sta accadendo tutto questo?
in lontananza vedo una luce blu
istintivamente il mio corpo si dirige verso quel luogo
sbuco in una radura
ogni cosa è grigia
dov’è il buio della notte?
dov’è la luce del sole?
ogni cosa è cenere
sugli alberi deturpati dal fuoco
sulla terra immota
sugli scheletri dei morti
alzo gli occhi
la mia casa, la nostra casa
quanto tempo è passato?
un silenzio innaturale avvolge ogni cosa
solo il mio respiro affannoso riempie l’aria
la nave del nostro primo atterraggio
il portellone è abbassato
un ombra si muove
avanzo, 
scruto nell’oscurità 
una luce flebile
una voce sussurra
“ti ho perdonato”
 conosco la voce
Finn
“doveva essere fatto” 
Sono di fronte alle tombe
scavate per coloro che non ce l’hanno fatta
mi inginocchio 
accarezzo la terra ormai coperta d’ erba
una piccola campanula viola è fiorita.
Sento un flebile tintinnio
“il momento è ormai giunto”
mi volto di scatto
Lexa è dietro di me
Mi guarda
Sento l’odio montare 
Lei mi sorride
Stringo le mani a pugno
“stai imparando”
sento nuovamente quello strano tintinnio
“la campana dei morti” 
sussura sorridente Lexa
mi volto di scatto verso la tomba
è coperta dalle campanule viola
un pezzo di legno conficcato nel terreno
un nome è inciso
Bellamy
Urlo con tutto il fiato che ho in corpo.


Clarke si svegliò di soprassalto, la gola le faceva male come se avesse urlato veramente, il cuore batteva all’impazzata scandendo un terrore a cui non riusciva a dare il nome. 
Perché gli incubi la stavano perseguitando? Sapeva che stava facendo la cosa giusta ogni volta che vedeva Bellamy riusciva a controllarsi. 
-Stronzate – Pensò -Riesco a controllarmi solo perché non lo guardo negli occhi, perché non voglio vedere nel suo sguardo le mille domande che mi vorrebbe fare, solo perché non ho il coraggio di affrontarlo e dirgli a viso che..- Un nodo serrò la gola di Clarke, sapeva che se lo avesse affrontato a viso aperto sarebbe crollata cercando conforto fra le sue braccia.
La giovane si alzò di scatto, non poteva permettersi debolezze, cercò in se la forza, la rabbia necessaria per affrontare un altro giorno. Prima o poi sapeva che sarebbe riuscita a dimenticare Bellamy ed essere finalmente libera dal sentimento che la legava a lui. 
Si preparò e uscì dalla sua stanza, probabilmente avrebbe trovato gente per allenarsi.

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


CAPITOLO 13
 
1 Febbraio
 
 
Eccolo di nuovo lì in palestra, erano passate poche ore da quando aveva scaricato la frustrazione contro un sacco per gli allenamenti. Pensava di aver esaurito tutte le energie ma quando era rientrato nel suo alloggio, dopo la doccia, il sonno non era arrivato se non a notte inoltrata.
Un sonno senza sogni ma quando si era svegliato il malessere era tornato.
Si era preparato, era uscito dal campo Jaha, aveva vagato nelle vicinanze senza meta cercando di sentire l’energia del mondo che lo circondava, sperando di riacquistare la serenità che così tanto agognava.
L’aria e la camminata lo avevano aiutato ma appena aveva messo piede nell’accampamento aveva incrociato Clarke, un saluto, un paio di convenevoli poi lei aveva detto di dover scappare, in clinica l’aspettavano per un turno.
Bellamy avrebbe voluto fronteggiarla, chiederle cosa stava succedendo eppure il muro che si era creato fra di loro faceva sembrare ogni discussione vana.
Una parte di lui aveva ormai capito che Clarke non era solo importante come un’amica ma era qualcosa di più.
Ora si sentiva un vigliacco perché non sapeva come cambiare il freddo rapporto che si era instaurato. Avrebbe voluto tornare indietro ad alcune settimane prima quando chiacchieravano, ridevano e perché no, flirtavano assieme.
Quando qualcosa poteva accadere.
Lui era certo ormai certo di ciò che sentiva ed era altrettanto sicuro che anche Clarke provasse un sentimento simile e allora perché quella distanza?.
Bellamy diede un pugno al saccone infastidito dalla piega dei suoi pensieri.
Doveva affrontare Clarke, quella situazione non faceva bene a nessuno dei due.
A costo di trascinarla da qualche parte e obbligarla a parlare avrebbe capito cosa c’era sotto.
Con rinnovata fiducia continuò a prendere a pugni il saccone fino a quando non si sentì chiamare.
Si girò, era Octavia, sorridente come gli capitava di vederla sempre in quel periodo, una cartellina fra le mani.
“Bell ti iscrivi al torneo della settimana prossima?”
“Quale torneo?”
“C’eri anche tu al consiglio, ne abbiamo parlato sotto la voce –Altro-“ rispose spazientita Octavia “in questo periodo la testa c’è l’hai da un’altra parte, credo che la guaritrice abbia uno strano effetto su di te”.
Bellamy sbuffò, Octavia lo punzecchiava sempre e lui la lasciava fare, non sarebbe mai riuscito spiegarle che il suo pensiero fisso era Clarke.
Come se Octavia avesse capito qualcosa continuò “Ci sarà anche Clarke, si è iscritta per la lotta  a mani nude.”
Bellamy fece finta di nulla “Ok, ma non mi hai ancora spiegato cos’è questo torneo!”
Octavia sospirò “Visto che la gente si sta annoiando e cominciano a girare delle scommesse durante gli allentamenti si è deciso di fare un torneo” cominciò a spiegare “tre discipline, lancio dei coltelli, lotta con i coltelli e  lotta a mani nude. Alla fine del torneo si dichiarerà il vincitore e alla fine di tutto ovviamente faremo festa. Dicono in giro che Jasper e Monty stiano preparando un distillato straordinario per l’occasione e  Laudria abbia dato loro anche qualche erba delle sue.” Concluse ridendo.
Bellamy sorrise di rimando, l’idea di una bella sfida lo stuzzicava.
“Combatteranno anche Linclon e Karel?” chiese interessato
“Linclon non è ancora al massimo della forma dopo la lussazione alla spalla e Karel non credo, farà da arbitro.”
Bellamy la guardò confuso, non capiva perché non potesse gareggiare un guerriero forte come lui.
Octavia, notando il suo sguardo, tentò di spiegare “Sappiamo tutti quando bravo sia Karel, batterlo, ad oggi, sarebbe praticamente impossibile, non siamo pronti e non farebbe bene all’umore generale. Lo conosci anche tu, per lui sarebbe una questione di onore combattere al meglio e noi non ci faremmo una bella figura”
Bellamy si sentì punto nell’orgoglio, avrebbe voluto replicare che erano solo un mare di sciocchezze ma, dopo tutto quello che era successo da quando erano arrivati sulla terra, si rese conto che alla gente non sarebbe piaciuto vedere il guerriero  vincere le gare, sarebbe diventato nuovamente il nemico.
“Comunque sto cercando di convincere Laudria a sfidare Karel” continuò con fare cospiratorio Octavia.
Bellamy la guardò perplesso “Laudria è una guaritrice come potrebbe battere Karel”
“Non hai mai visto Laudria usare il suo bastone vero?” chiese la sorella.
“Quale?” chiese Bellamy “quello che usava per smuovere la terra per cercare radici e erbe?”
Quel bastone aveva accompagnato Laudria per tutto il viaggio. Durante il ritorno la guaritrice non aveva mai smesso di raccogliere erbe mediche che trovava sotto la neve, radici e molte altre cose commestibili. Usava il bastone come aiuto, era lungo 1 metro e settanta,  aveva il diametro di circa 2 cm e la punta con cui scavava era stata resa più dura con il fuoco. Bellamy si rese conto che, a tutti gli effetti, quel bastone poteva essere un’ottima arma difensiva.
“È brava?” chiese a quel punto il ragazzo.
“Molto da quello che mi ha detto Lincoln. Vorremmo fare una dimostrazione e mostrare alle donne del campo un nuovo strumento e una nuova arma da usare.”
Bellamy annuì comprendendo esattamente dove voleva andare a parare Octavia.
Molte donne del campo avevano apprezzato molto l’arrivo della guaritrice grazie al suo modo di fare sereno e la facilità con cui interagiva con loro e i più piccoli. Negli ultimi tempi aveva cominciato a insegnare loro come usare le erbe della Terra e come riconoscerle per quando sarebbero uscite dal campo ma, conoscere le erbe non era abbastanza: la Terra era comunque un territorio ostile e tutti dovevano imparare a difendersi. Se agli allentamenti c’era una buona partecipazione da parte degli uomini, le donne sembravano meno inclini. Vedere la guaritrice in azione probabilmente avrebbe dato loro la spinta per sentirsi più sicure e autonome in primavera quando avrebbero potuto uscire e cercare provviste da sole usando il bastone come arma di autodifesa.
“Allora che dici Bellamy? sei dei nostri?” chiese Octavia
“Certo, segnami pure!” replicò sorridendo “e ora lasciami tornare agli allenamenti, ho un torneo da vincere” concluse facendole l’occhiolino.
“Lo vorresti caro, ma non ce la farai” replicò sorridendo Octavia prima di andarsene.


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NOTA: Capitolo un po' moscio ma mi serviva per tutto quello che capiterà poi....infatti abbiamo appena superato la metà della Fan Fiction....non so se vi farà dire...che scatole...altri 12 capitoli per giungere a qualcosa...oppure se l'idea vi piace...:)...
 

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Capitolo 14
*** I can’t loose you too ***


PARTE 4 - I can’t loose you too
7 FEBBRAIO

CAPITOLO 14

Ore 9:30

Quando Clarke arrivò nell’Arena venne subito investita dalla luce che si riversava nell’enorme stanza che erano riusciti a ricavare da una zona della nave inservibile per altri scopi, la sua forma ad ovale aveva dato il nome alla struttura. Era una delle aree in cui, nello spazio, era posizionati i pannelli solari e le serre per le poche cose che riuscivano a coltivare. Gran parte dei vetri avevano resistito all’impatto e quelli che si erano rotti erano stati sostituiti con placche di metallo. Troppo fredda per un uso costante era nata come luogo per le riunioni collettive e ora era stata trasformata per la prima volta in una palestra. 
Due semicerchi di gradinate, fatte per seguire la forma della zona, occupavano i lati mentre al centro lo spazio era sgombro. In fondo erano già disposti i bersagli per il lancio dei coltelli.  I partecipanti al torneo non avevano aree adibite ma bivaccano allegramente dove capitava. 
Si respirava aria di attesa e divertimento. Il brusio delle voci era stranamente piacevole da sentire e il volto di Clarke si aprì in un sorriso. Sarebbe stata una splendida giornata e, con ancora più determinazione e voglia di divertirsi, si diresse verso la zona in cui Karel, Lincoln, Abby e Octavia stavano organizzando le ultime cose. Dietro di loro un tabellone per segnare punteggi e turni. 
La madre le sorrise appena la vide e le fece un cenno di saluto.
“Allora come ti sembra?”
“Beh direi che avete fatto le cose in grande” rispose Clarke.
“l’intenzione era quella” ribatté con un sorriso Octavia “e ci sono stati molti iscritti”
“fra quanto cominceremo?” chiese a quel punto Clarke. Era vero, si era iscritta ma poi si era disinteressata di come si sarebbe sviluppato il torneo, aveva preferito allenarsi e fare in modo di non incrociare Bellamy. 
Quel torneo per lei era un banco di prova, era diventata abbastanza forte e si era indurita abbastanza per lottare contro chiunque le si parasse di fronte compreso Bellamy? Credeva fermamente di potercela fare e quella determinazione in quella settimana non l’aveva mai abbandonata. 
Da quando aveva cominciato a concentrarsi sulla preparazione, era riuscita ad allontanare il pensiero di Bellamy e cominciava a sentirsi più sicura. Non aveva nemmeno più fatto incubi, stremata, dopo gli allenamenti, cadeva in un sonno profondo.
“Fra poco cominceremo con il lancio dei coltelli e la lotta con i coltelli, sono le discipline con meno iscritti e in qualche ora dovremmo cavarcela, poi ci sarà la dimostrazione con il bastone di Laudria e Keral ed infine, visto il numero di iscritti, concluderemo con i combattimenti a mani nude.
“combattimento con il bastone?” chiese perplessa Clarke. Con lo sguardo cercò la guaritrice. La trovò seduta sulle gradinate, stava chiacchierando con alcune donne mentre faceva saltellare sulle gambe una bimbetta di cinque forse sei anni. Distolse lo sguardo infastidita, irrazionalmente provò un moto di rabbia per la facilità con cui si era integrata nel campo e la confidenza che aveva con tutti. 
“Bellamy…”
Clarke si volse verso Octavia quando la sentì nominare il fratello. “Scusa dicevi?”
Octavia la guardò contrariata “Dicevo che Laudria è una brava combattente con il bastone e abbiamo deciso di mostrare anche questa disciplina.” continuò la giovane seccata “e che tu e Bellamy dovreste essere estromessi dal consiglio! in queste ultime settimane siete pressoché assenti e disinteressati. Senza parlare dell’ultima settimana, avete passato entrambi tutto il vostro tempo libero ad allenarvi”
“Si beh..” tentò di spiegare Clarke”
Ma Octavia le fece un breve cenno con la mano “non mi interessa,  ora ho altro da fare!” 
Clarke rimase interdetta dal comportamento della giovane, fece per voltarsi quando Octavia, senza alzare gli occhi dalla cartellina che aveva fra le mani, disse “vedete di farvela passare ‘sta cosa e risolvete qualunque problema abbiate” concluse alzando lo sguardo, nei suoi occhi si leggeva la determinazione di una guerriera.
Clarke non poté fare a meno di annuire istintivamente poi salutò con un cenno della mano. 
Allontanandosi Clarke si rese conto di essersi sentita intimidita dallo sguardo di Octavia. La ragazza era cambiata molto ma ora era una persona completamente diversa, per un attimo in quello sguardo aveva visto la fierezza di un grounder e non gli occhi di uno Skypeople. 
Passò le successive ore a chiacchierare con la gente, commentare le gare e i vincitori.
 Caris a sorpresa aveva vinto le gare con il lancio dei coltelli mentre, meno a sorpresa, Bellamy, anche se per un soffio, aveva avuto la meglio contro la sorella nella lotta con i coltelli.  Probabilmente Octavia avrebbe potuto vincere se un colpo involontario del fratello al viso non le avesse messo fuorigioco l’occhio. Ora Octavia sfoggiava un occhio già nero e quasi chiuso. 
Era stato divertente vedere Bellamy mortificato e Lincoln accorso preoccupato in soccorso della compagna.  In battaglia tutti avrebbero continuato a lottare, lì invece Lincoln aveva cominciato a prendersi cura di Octavia come se fosse un fragile fiore. Si vedeva chiaramente che alla ragazza tutte quelle attenzioni non davano fastidio comprese quelle del fratello maggiore che ronzava loro attorno sentendosi colpevole come un cane. 
Ben presto il brusio e il vociare si affievolì fino ad arrivare al silenzio più completo, la gran parte degli sguardi erano concentrati sull’arena. 
I due ragazzi del clan delle barche si stavano fronteggiando. 
Durante l’ultima settimana c’erano state parecchie illazioni su quel combattimento, la giovane guaritrice sempre cosi gentile e sorridente, sembrava non possedere le qualità per confrontarsi con il giovane guerriero che, in più di un’occasione, aveva mostrato le sue capacità.
Ora, negli sguardi delle persone sugli spalti e nei loro bisbigli, si poteva percepiva tutta la sorpresa e una certa deferenza nei confronti di quei ragazzi. La stessa che  Clarke sentiva. 
Karel era maestoso, quasi minaccioso, nel suo abbigliamento da guerriero. Per un attimo in quella sala ognuno dei presenti aveva rivissuto l’effetto del primo incontro con i grounder. In quel momento il giovane guerriero sembrava perfettamente bardato per andare in battaglia, dalla visiera che copriva metà del suo viso, al mantello di pelle d’orso gettato sulle spalle e alla mazza che portava come arma. Dall’altra parte la guaritrice sembrava ancora più straordinaria. In confronto al guerriero sembrava piccola ed esile, effetto sottolineato dall’ abbigliamento molto spartano. Portava semplici pantaloni di pelle e una fascia legata sulla schiena che le copriva il petto. L’abbigliamento non solo metteva in mostra il fisico snello e muscoloso della ragazza ma, cosa più inaspettata, rivelava un sorprendente e complesso tatuaggio che copriva l’intero torso. Il suo atteggiamento di pacata serenità, la postura elegante ma altera e lo sguardo determinato con cui osservava il guerriero facevano il resto. 

L’atmosfera nell’arena era cambiata, un brivido di attesa serpeggiava sugli spalti, consci che davanti ai loro occhi si sarebbe combattuto un incontro il cui risultato non sembrava più così prevedibile. 
Il combattimento cominciò.
 La giovane grounder si muoveva con leggerezza, sfruttava la sua corporatura minuta per spostarsi continuamente da un lato e dall’altro. Teneva il bastone al centro e lo ruotava di continuo creando archi e cerchi che tenevano a distanza il guerriero. Karel tentò diversi colpi ma Laudria riusciva sempre ad eluderli, usando poi il bastone per colpire le parti scoperte delle guardia del guerriero. Sembravano colpi leggeri, alcuni affondi verso le parti molli del corpo del giovane e fendenti alle articolazioni. 
La giovane, in continuo movimento, sembrava danzare attorno al guerriero disorientandolo, portandolo a presentare spesso un punto scoperto della guardia. Clarke era affascinata dallo spettacolo e si rese immediatamente conto che Laudria sembrava una cacciatrice che giocava con la preda sfiancandola ma, soprattutto, facendola innervosire. 
Keral non aveva ancora nemmeno sfiorato con un colpo la ragazza e Clarke capì che quello era l’intento di Laudria: se Karel avesse anche solo una volta superato la guardia micidiale del bastone l’incontro sarebbe finito. Qualunque colpo sferrato dal guerriero avrebbe potuto causare gravi danni alla giovane.
L’arena era nel più totale silenzio, la tensione del momento era vibrante. 
L’incontro sembrava alla pari, tutti avevano compreso che, finchè la guaritrice avesse tenuto le distanze, il guerriero non avrebbe potuto fare nulla ma, prima o poi, qualcosa sarebbe dovuto accadere.
Il combattimento era ormai in corso da alcuni minuti e nessuno dei due sembrava cedere alla stanchezza quando qualcosa nel ritmo e nel movimento della guaritrice cambiò. Si fece più veloce e vorticoso attorno a Karel,  una danza in cui il bastone era ormai diventato parte stessa del corpo della giovane. 
Fu un istante e l’attimo successivo l’imponente guerriero era a terra con la punta acuminata del l’arma a pochi centimetri dalla sua gola. 
Ci fu un istante di stordimento sugli spalti, poi la tensione accumulata durante il combattimento si spezzò in un istintiva espressione di giubilo.
Al centro Laudria sorrideva, abbandonata la maschera della guerriera letale vista fino a poco prima, riapparve la giovane donna che tutti conoscevano.  Si avvicinò a Karel e gli porse la mano per farlo alzare.
Lui accettò sorridendo di rimando poi ringraziarono il pubblico ancora incredulo per lo spettacolo appena visto. 
L’arena si riempì di un frastuono di voci concitate che commentava ciò che aveva visto.
Clarke stessa era rimasta sbalordita dalla bravura di Laudria, dalla bellezza dello spettacolo ma soprattutto dal potenziale di un semplice bastone.
Questo lo indusse a pensare, per l’ennesima volta, quando poco conoscessero gli altri clan e soprattutto quanto potessero diventare pericolosi.
Per l’ennesima volta si lasciò scivolare in cupi pensieri.


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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


CAPITOLO 15
 
Ore 18:30
 
Clarke stava riprendendo fiato, le mani poggiate sulle gambe, il viso rivolto al pavimento, il rumore della folla sugli spalti era solo un brusio di sottofondo mentre nella sua testa sentiva solo il rombo del sangue che scorreva.
Aveva vinto!, era in finale!.
L’ultimo incontro con Caris era stato durissimo ma ce l’aveva fatta e ora, anche se stanca, si sentiva pronta per affrontare anche la finale. Alzò lo sguardo, Caris era poco distante, seduta a terra, stanca quanto lei, apriva e chiudeva i pugni che in alcuni punti erano persino scorticati. Nessuno durante quegli incontri si era tirato indietro, c’erano stati degli infortuni, lei stessa sentiva dolore in diverse parti del corpo.
Si avvicinò alla giovane seduta a terra, le sorrise. Ricevette un sorriso radioso di rimando. L’aiutò ad alzarsi poi insieme ricevettero l’ovazione del pubblico.
Ora toccava alla seconda semifinale, Clarke sentì l’ansia attanagliarla quando i due giovani che avrebbero combattuto si avvicinarono a loro.
Clarke avrebbe dovuto sfidare il vincitore fra Nathan e Bellamy.
Quando i due le raggiunsero al centro dell’arena lo sguardo di Clarke si incatenò a quello di Bellamy.
Durante tutto l’arco della giornata si erano evitati, avevano entrambi fatto finta che l’altro non esistesse. Si erano concentrati sul resto ma la tensione fra loro permaneva e ora sembrava scoppiare. Clarke  leggeva nello sguardo di Bellamy la determinazione a vincere quell’incontro per poi confrontarsi contro di lei.
Il suo viso era serio, adombrato da una freddezza che non gli aveva mai visto. Per un attimo Clarke vi scorse il ragazzo arrogante e strafottente dei primi giorni sulla terra. In quel momento la giovane capì che qualcosa si era ormai perso fra di loro.
Ci furono cenni di saluto, qualche battuta poi le due ragazze lasciarono il campo libero ai due ragazzi.
Dalle urla del pubblico capì che il combattimento era iniziato, non voleva guardarlo. Si lasciò sedere scompostamente su una panca, un asciugamano sul viso per detergere il sudore e non vedere quello che accadeva davanti a lei cercando la concentrazione per quello che sarebbe avvenuto dopo.
Come sarebbe stato combattere contro Bellamy, ora!
Un’ immagine si formò nella sua mente, un altro incontro che si era svolto mesi prima, un attimo in cui per poco l’uno si era aperto nei confronti dell’altro.
Avrebbe voluto scacciare quel ricordo eppure il suo cuore voleva ricordare.
 
Era successo poco tempo dopo il suo ritorno al campo, quando ancora si allenavano all’esterno. Quel giorno Bellamy non era uscito per una spedizione di rifornimento e aveva deciso di partecipare agli allenamenti anche lui.
Erano una decina e si era deciso di sfruttare l’occasioni per combattere a coppie, niente di pericoloso, solo colpi, parate e prese per prendere dimestichezza con le mosse e i movimenti. Ognuno avrebbe lottato a rotazione con tutti gli altri. Tra chiacchiere, risate e battute avevano cominciato gli esercizi cambiando ogni 10 minuti partner. Durante una delle rotazioni Clarke e Bellamy si erano incontrati. Si erano sorrisi e avevano cominciato con le mosse, concentrati sui movimenti. Lavoravano bene assieme, c’era affiatamento fra loro e lentamente avevano cominciato ad aumentare il ritmo e la varietà dei colpi.
 
Entrambi si stavano divertendo, a volte si prendevano in giro se un colpo non andava a segno. Quando Bellamy l’aveva bloccata con una presa l’aveva stuzzicata mormorandole “ti arrendi?”. In quel momento un brivido le era corso lungo la schiena e tutto era cambiato. Una scintilla di desiderio sopito da tempo si era risvegliata. Si era allontanata assestandogli una gomitata sullo stomaco, gli aveva mostrato la lingua ribattendo “Non mi arrenderò mai!”, tentando in quel modo di mascherare l’attrazione che aveva sentito nei confronti di Bellamy. Avevano ricominciato a lottare ma Clarke non era riuscita più a concentrarsi, non riusciva a guardare più Bellamy come l’amico, il compagno in battaglia, il confidente che era. Vedeva un ragazzo dai profondi occhi scuri, dal ciuffo ribelle che era sempre pronto a donarle un sorriso o a porgerle una mano quando era in difficoltà.
La distrazione le era costata cara e in un attimo Bellamy l’aveva atterrata, bloccandole le braccia ai lati del viso.
Dalla posizione di dominio in cui si trovava le aveva sorriso e con voce ansante le aveva chiesto nuovamente “Ti arrendi?”.
Lo sguardo di Clarke era stato attratto dalla bocca del ragazzo desiderando ardentemente di poterla baciare.
Aveva sentito il suo cuore battere all’impazzata e le sue guance  accalorarsi,  istintivamente si era umettata le labbra.
Bellamy aveva abbassato lo sguardo sulla sua bocca poi lo aveva alzato incontrando i suoi occhi.
Entrambi consci che qualcosa in quell’istante era cambiato.
Gli occhi di Bellamy sembravano due pozze scure di desiderio. Clarke lo sentì respirare profondamente, la presa sulle sue mani allentarsi. Il volto di Bellamy avvicinarsi al suo. I loro corpi inesorabilmente attratti l’uno l’altro….
 

Clarke si riscosse da quel ricordo, mettendosi subito dritta sulla sedia e togliendosi l’asciugamano dagli occhi. Ricordò ciò che era successo dopo.
 Per un attimo erano rimasti sospesi, troppo concentrati su quello che stava succedendo fra loro per accorgersi di ciò che stava accadendo attorno. Solo il rumore del fischietto che segnava la fine del combattimento li aveva riscossi. Bellamy l’aveva aiutata ad alzarsi, l’aveva salutata prima di voltarsi per andare verso il successivo avversario. Clarke era rimasta immobile guardando la schiena del ragazzo che si allontanava ricordando nella sua mente la confusione che aveva letto negli occhi quando l’aveva aiutata. Dopo quell’allentamento Bellamy era partito, lei aveva continuato i suoi turni alla clinica, quando si erano rivisti entrambi avevano relegato quel momento nell’angolo più lontano della loro mente.
Mentendo a se stessi avevano fatto finta che nulla fosse successo.
Il rapporto che li legava era troppo importante per metterlo in pericolo da qualcosa di così labile, fievole come l’attrazione reciproca in un mondo in cui ogni giorno si poteva morire. Dove la responsabilità verso gli altri era l’unica vera cosa importante.
La sopravvivenza aveva richiamato loro all’ordine.
Con il passare del tempo poi tutto era cambiato e Clarke era contenta che fra loro non fosse successo nulla, tutto sarebbe stato più difficile.
 Una parte della sua anima però piangeva quella perdita.
Clarke strinse le labbra determinata. Bellamy non poteva far parte della sua vita, non in quel modo.
Se avesse vinto la sua semifinale lo avrebbe battuto e avrebbe dimostrato a se stessa che poteva farcela.
Alzò gli occhi verso il centro dell’arena, il combattimento sembrava ormai giunto al termine, Nathan stava facendo fatica a stare in piedi, zoppicava leggermente mentre Bellamy sembrava ancora in forma.
Dopo pochi istanti, prima che Bellamy potesse sferrare un nuovo colpo, Nathan alzò la mano e scosse il capo, era chiaro che non ce la faceva più.
Bellamy aveva vinto.
Clarke doveva battersi contro di lui.  Respirò profondamente preparandosi per ciò che sarebbe accaduto.
Inaspettatamente lo vide accasciarsi a terra stringendosi il fianco in una smorfia di dolore.
La ragazza scattò subito verso di lui e in pochi istanti gli fu accanto.
“cos’hai?” chiese mentre spostava la mano di Bellamy e gli alzava la maglia per toccargli il fianco.
“Le costole” riuscì solo a rispondere il ragazzo.
Clarke toccò con attenzione il costato in cerca di fratture. Non sembravano essercene ma alcune costole probabilmente erano incrinate.
Sentì attorno a se la presenza di Laudria, Octavia e Abby .
“Credo abbia un paio di costole incrinate” disse rivolgendosi alla guaritrice. Lei annuì accettando la sua diagnosi.
“Se è così non credo potrà disputare l’ultimo combattimento” disse quindi Abby.
Bellamy si lasciò sfuggire una nuova smorfia e questa volta non era di dolore.
“Beh, a quando sembra Principessa” disse il ragazzo rivolgendosi direttamente Clarke “hai vinto il torneo, sappi però che non mi arrendo” concluse guardandola negli occhi.
Clarke sentì il cuore sobbalzare, perché le ricordava ora quello che era successo.
Lo odiò.
Si rivolse Laudria “credo sia il caso di portarlo in clinica e fare un controllo”.
La ragazza la scrutò un istante poi annuì.
Clarke si alzò lasciando che fosse la guaritrice ad aiutare Bellamy.
In quel momento non sarebbe riuscita a fare nulla, sentiva un fuoco invaderle le vene, la rabbia montarle dentro.  
Alzò gli occhi e incrociò lo sguardo di Karel poco distante.
Il guerriero parve capire e annuì. Clarke fece un cenno d’assenso di rimando.
Lincoln le si avvicinò “a quanto pare abbiamo una vincitrice”
Clarke annuì, la sua faccia era una maschera, il suo sorriso una finzione ma era ciò che la gente voleva ed era quello che avrebbe dato per tutto il tempo in cui fosse stato necessario.
Dentro di sé la rabbia non si placcava.
Anche se il finale del torneo era stato diverso dal previsto l’intera giornata era stata un successo che aveva tenuto alto l’umore del campo Jaha. L’atmosfera era serena.
Lentamente la gente cominciava a defluire dalla sala, molti avrebbero concluso lì la giornata ma altri, molti altri, avrebbero continuato la festa, bevendo, ridendo, chiacchierando e ballando.
Clarke in quel momento aveva un solo obiettivo.
Raggiungere la loro palestra abituale.

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


CAPITOLO 16
 
Ore 19:30
 
Ci volle più tempo del previsto, venne fermata spesso per ricevere i complimenti per la vittoria. Dovette sorbirsi un mare di convenevoli e discorsi futili. La maschera non cedeva come la determinazione che sentiva in corpo.
Quando finalmente raggiunse la palestra Karel era già lì.
Un frammento di se rimase colpita dalla facilità con cui quel guerriero l’aveva capita.
“Così vuoi combattere allora?” chiese Karel
Clarke lo guardò e annuì.
“Sappi che questa non è la soluzione” rispose il guerriero
“Non mi interessa” rispose la giovane cominciando a riscaldarsi.
“Se questo è quello che desideri facciamolo pure” disse il giovane.“Cominciamo?”
Clarke fece solo un cenno d’assenso, sentiva scorrere l’adrenalina nel corpo.
“Combattimento a mani nude?” chiese il guerriero.
Clarke assentì e si incamminò al centro del tappeto.
Karel si posizionò di fronte a lei, le braccia in posizione di guardia, le gambe aperte e leggermente flesse. Cominciò lentamente a muoversi spostandosi lateralmente. Clarke seguiva lo stesso ordine di mosse. Il suo cervello entrò in azione, cominciò a pensare alla mossa da fare, avrebbe cominciato lui o doveva fare lei la prima mossa, si sentiva stranamente incerta in quel momento.
Non era il guerriero il motivo per cui era lì e una parte della sua rabbia sembrava scemata.
 Per un attimo pensò di rinunciare ma ci fu un movimento ripentito del braccio di Karel, sentì un bruciante dolore alla guancia mentre il suo viso ruotava a sinistra. Alzò la mano verso la guancia ferita “ehi, mi hai fatto male!”
“preferivi un pugno?” chiese Karel facendo seguire un diretto alla sua spalla destra. Anche se non caricato, l’impatto fu forte e Clarke barcollò all’indietro. Stava boccheggiando non tanto per il dolore ma perché non capiva cosa si aspettasse da quella cosa, era frastornata.
Rimase ferma di fronte a lui, paralizzata. Non riusciva nemmeno a mettersi in guardia. Lui le si avvicinò. Sembrava nuovamente pronto a colpire, il viso duro, gli occhi concentrati sui suoi. Sollevò le sopracciglia, una domanda inespressa cui lei non rispose. Un altro movimento repentino, lei alzò in ritardo le braccia in un tentativo di difesa ma senti perdere l’appoggio su un piede. Le aveva fatto uno sgambetto e subito dopo rovinò a terra battendo in malo modo il sedere.
Era impietrita.
A terra, indifesa e smarrita di fronte a un grounder.
Dov’era la rabbia che voleva sfogare? Sentiva solo il sapore dell’umiliazione.
Lui troneggiava su di lei, la sua ombra copriva le luci al neon sul soffitto, era vicino, troppo vicino.
“Già finito?” chiese beffardo.
Clarke sentì un fuoco palpitante salirle dallo stomaco e infiammarle le guance. Agì senza lasciar spazio ai pensieri, le sue gambe agganciarono a forbice quelle di Karel e con un veloce torsione del busto e del suo corpo gli fece perdere l’equilibrio. Il guerriero cadde ma la sua mossa non fu abbastanza decisiva. In pochi istanti si rimise in piedi e lei lo seguì.
Il fuoco imperversava nel suo corpo e attaccò nuovamente.

Non ricordò nulla di quello che successe dopo, il suo corpo agiva, la sua mente era focalizzata sul suo avversario su cui riversò tutta la rabbia che sembrava riempire il suo corpo. Dentro di lei qualcosa si era rotto e un fiume di dolore fuoriuscì. Davanti a lei non c’era più Karel, il guerriero  del clan della barche, c’erano i visi di tutte le persone che l’avevano tradita,  tutti i grounder che aveva incontrato, Lexa, tutte le persone che non c’erano più, vedeva gli sguardi di tutti coloro che l’avevano biasimata, giudicata e accusata. Vedeva Bellamy e il suo desiderio, il suo sorriso, il suo corpo e tutto quello che non avrebbe mai potuto avere.  Ogni cosa scorreva di fronte a lei e colpiva senza posa, continuamente. Ogni volta che si sentiva alle strette o bloccata, liberava una forza che non pensava di possedere. Ancora e ancora, colpi, parate. Era un flusso inesauribile come una diga distrutta dalla forza dell’acqua fino a quando si sentì sbattere a terra. Il colpo le mozzò il respiro, era pancia a terra, un braccio bloccato sulla schiena e l’altro di fronte a se trattenuto dalla mano di Karel. Sulla spina dorsale sentiva la pressione del suo ginocchio.
Non le stava facendo male ma non riusciva a liberarsi dal suo peso e dalla morsa delle sue mani sulle sue braccia. Era finita ma non si sentì sconfitta. Sentiva il suo respiro affannoso quanto quello del ragazzo sopra di lei. Il corpo fradicio di sudore, alcune goccioline le scendevano lungo la fronte appiccicando i capelli alla pelle. Gli occhi sbarrati non vedevano ciò che era loro di fronte.  La sua attenzione poi fu attratta da una piccola pozza rossa che si stava formando poco distante dal suo naso.
Sangue... quello era sangue.
Un istante dopo un’altra goccia si abbattè sulla pozza allargandola. Cos’era successo, possibile che lo avesse ferito così profondamente.
“Ti posso lasciare” sentì la voce di Karel da una distanza lontana. Il sangue rombava nelle sue orecchie saturando l’aria attorno a se. “Clarke, ci sei?”
La giovane rispose a fatica con un cenno del capo. “Sicura?”
“Si” gracchiò percependo nello stesso istante il sapore del sangue in bocca.
 
Quando Karel si sentì sicuro la liberò subito dalla pressione del ginocchio e sulle braccia. Si sedette accanto a lei senza guardarla. Si pulì con il dorso della mano il sangue che fuoriusciva dal naso. Al di là del dolore a cui era abituato e che normalmente dava sollievo ai suoi pensieri e problemi, sentiva un calore inaspettato. Non aveva mai combattuto in quel modo e la cosa lo aveva eccitato. Lei lo aveva eccitato. Per lui combattere era solo freddo calcolo, ottenere il massimo danno possibile nel minor tempo. Quando Clarke lo aveva finalmente attaccato si era solo difeso, lasciando che lei sfogasse ciò che aveva dentro. L’aveva vista per la prima volta: la sua forza, il suo dolore, il passato che l’aveva forgiata. Qualcosa gli si era spezzato dentro. Nella sua vita aveva visto molte atrocità, lui stesso aveva le mani lorde di sangue, ma non aveva mai percepito un tomento pari a quella giovane donna.
 Durante il combattimento si era lasciato colpire in un assurdo tentativo di lenire le sue ferite.
La Terra le aveva fatto questo e sentiva il dovere di pagare per tutto. Mentre Clarke si avventava verso di lui  sembrava avere un’energia e una forza inesauribile poi,  aveva sentito i suoi colpi farsi più deboli e i suoi movimenti scoordinati. Avrebbe voluto bloccarla, abbracciarla, tenerla vicino a se. Avrebbe voluto cullarla e trasformare quella rabbia in qualcosa di diverso. Voleva baciare le sue labbra. Sussurrarle parole d’amore cancellando il dolore che sentiva. Toccare e accarezzare quel corpo che appariva un involucro senza più calore ma non era riuscito a fare nulla di tutto ciò. La mente di Clarke era lontana, bloccata nei suoi tormenti e per riportarla indietro aveva dovuto usare le maniere forti.
Ora era lì, accanto a lui, immobile come l’aveva lasciata, ansimante.
 
Clarke tentò di respirare regolarmente, non si mosse dalla posizione in cui Karel l’aveva bloccata. La sua mente si stava lentamente schiarendo. Spostò lentamente il viso di lato. Non sentiva dolore, strano. Perché c’era allora quel sangue?. Con la coda dell’occhio guardò Karel seduto accanto a lei, le braccia appoggiate davanti a se a capo chino. Sentiva il suo respiro irregolare, gli occhi nascosti dai capelli sul volto. Goccioline di sudore scivolavano sulla sua pelle. Era immobile.
Clarke tentò di ripensare al combattimento ma ricordava solo il suo desiderio di scagliare la rabbia e il dolore che provava contro i volti che continuavano a imperversare nei suoi incubi. Un singulto le sfuggì dalle labbra, non doveva andare così, aveva fatto del male ad una persona che voleva aiutarla per punire dei fantasmi che esistevano solo nella sua mente.
Lentamente si sollevò e si mise in ginocchio.
“Scusa” era l’unica parola che riuscisse a dire.
Karel sollevò la testa, il suo viso era sporco di sangue quando aveva tentato di pulirlo “Non hai combattuto perché ti sentivi defraudata di qualcosa vero?” chiese il guerriero.
“No” rispose con il respiro irregolare e un tumulto di emozioni che si susseguivano.
“Perché allora?” chiese il giovane.
Clarke non sapeva cosa rispondere, non aveva le idee chiare, una parte della sua anima sembrava finalmente libera. Da cosa? non ne era certa. Scosse la testa, non voleva parlare in quel momento ma rifugiarsi nel suo alloggio cercando di mettere in ordine nel caos delle sue emozioni e dei suoi pensieri. Non poteva confidarsi con quel grounder.
“Non credo che possa realmente interessarti” rispose la ragazza alzandosi in piedi.
Karel la osservò un’istante.
“Verrai alla festa?” chiese quindi.
“Forse” rispose Clarke prima di lasciare la palestra e dirigersi verso il suo alloggio.

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


Ciao a tutti, un piccolo AVVISO, per cause di forza maggiore la prossima settimana non riuscirò ad aggiornare...Sorry...la storia, se tutto va bene, tornerà martedì 13 Ottobre...non mi abbandonate vero?...ringrazio di cuore tutti coloro che hanno messo la mia storia tra le seguite, preferite e ricordate. Un enorme grazie anche a tutti coloro che trovano un attimo per lasciare un loro commento, un loro pensiero per questa storia. Con la speranza che vi stia piacendo un Bacio, grazie e buona lettura :) . 

CAPITOLO 17

Ore 23:30

Bellamy sentiva la musica del The 100 rimbombare nella sua mente. Riuscire a creare un pensiero logico era un’impresa. Sperava che quella serata fosse diversa e invece si sentiva trascinato all’interno di un girone infernale, non era il dolore , anche se attenuato che gli dava fastidio,  né l’intontimento per gli antidolorifici che aveva preso ma una viscerale sensazione di inquietudine venata da tristezza. Sentiva che aveva perso qualcosa e che non lo avrebbe potuto avere più indietro. 
Clarke sembrava aver ormai, senza motivo reale, rotto i ponti con lui. Come si era comportata quando si era fatto male lo aveva ferito ma, ancora di più, averla vista poi in palestra lottare con Karel. Dopo essere stato curato era passato di fronte alla stanza perché era la via più veloce per tornare al suo alloggio. Si era soffermato sulla porta attratto dai rumori e dalle luci ancora accese. Quando li aveva visti qualcosa si era rotto, tutto quello che pensava di sapere, che aveva sperato di conoscere di Clarke era andato in frantumi. Era stato con lei sempre, aveva sperato che quel legame che lui percepiva fosse reciproco e, in un paio di occasioni ne era stato certo. Era rimasto un istante a guardarli, tanto bastava per capire che dietro a quel combattimento c’era molto di più e Clarke aveva preferito il sostegno di Karel, come quello di Lexa un tempo, piuttosto che il suo. Se ne era andato per non vederli. La sua prima reazione dopo quell’incontro era stata di rimanere nel suo alloggio, non aveva voglia di incontrarla alla festa poi, arrabbiato con se stesso, si era cambiato ed era andato al  The 100. 
Come Clarke era andata per la sua strada così avrebbe fatto lui.  
Ora era lì con il solo desiderio di andarsene e, questa volta, nemmeno la presenza di Laudria sarebbe stata d’aiuto.
Aveva bisogno di aria, forse, guardare l’immensità del mondo fuori lo avrebbe ritemprato come sempre era riuscito a fare. 
Prese la strada per una delle uscite laterali. 
Amava la vista dei boschi da quel lato della nave.


Clarke sentì il gettò d’acqua tiepida come mai le era capitato prima, da tempo ormai le scorte erano razionate e lavarsi non era tra le loro priorità. L’istante in cui lo scroscio d’acqua aveva colpito il suo corpo, un nodo che aveva sempre sentito si era sciolto. La giornata, il combattimento con Karel avevano aperto uno varco, dopo mesi poteva sentire il suo corpo fremere, non più il rigido automa che era andato avanti, sempre avanti in qualunque situazione. Non riusciva a riconoscere la sensazione che provava, sentiva calde lacrime liberatorie mischiarsi all’acqua della doccia, non era dolore o tormento. Nasceva da un luogo a cui non aveva mai permesso di aggrapparsi. 
Si sentiva viva per la prima volta dopo quel primo salto sulla superficie terrestre, quando il mondo che la circondava aveva assalito ogni fibra del suo essere. 
Per la prima volta sentiva veramente l’acqua sul suo corpo e per la prima volta aveva fatto qualcosa per se stessa e non perché era stata obbligata dalla situazione. 
Uscì dalla doccia ritemprata come mai le era accaduto prima. 
Voleva uscire dalla sua stanza e godersi la presenza degli altri. I suoi occhi vedevano il mondo con uno sguardo diverso.
Uscì e camminò senza meta fra i corridoio e le stanze comuni della nave. Conscia della vita che la circondava, delle piccole cose che prima non vedeva, troppo occupata ad andare avanti, resistere, lottare e preoccuparsi. Arrivò al The 100 e vide, come se fosse la prima volta, i volti sorridenti di chi la circondava senza vedere le ombre di chi non c’era più.
Sentì il cuore colmo di gioia per tutte le persone che erano lì in quel luogo, in quell’accampamento raffazzonato dal nulla che doveva dare speranza ad ognuno di loro. Quel combattimento con Karel e quella doccia come un insospettato incantesimo, avevano lavato via tutto il dolore che sentiva e che non era mai riuscita ad esprimere trincerato com’era dietro al muro della necessità e delle responsabilità.
Si guardò intorno salutando tutti e scambiando battute fino a quando non vide in uno dei tavoli i due ragazzi del clan delle barche. Si avvicinò a loro, sorrise ad entrambi. Karel fece un semplice cenno di saluto alzando la tazza che teneva in mano, Laudria le sorrise come se avesse capito. Quando fu abbastanza vicino sentì di dover parlare con loro. 
“Grazie” con un certo imbarazzo. Sapevano bene che Clarke non era mai stata particolarmente socievole con loro.
Laudria annuì passandole una delle tazze “Bevi con noi!” disse quindi.
Clarke accettò felice e si accomodò.
“Buono!” e ne era veramente convinta, Jason e Monty avevano superato se stessi,  quel distillato non aveva più il sapore di un lubrificante per motori ma ricordava il profumo dei boschi quando erano atterrati. 
Laudria sorrise “Sono stati bravi”
“Ma tu li hai aiutati” rispose Clarke con un mezzo sorriso
“Ho dato loro qualche erba, pino, mentuccia e qualche bacca, ma loro hanno trovato il modo perfetto per mescolarle”.
“Brindiamo allora alla loro bravura “ replicò Clarke alzando la tazza.
Karel e Laudria annuirono alzando i loro bicchieri poi, come se si fossero sempre conosciuti, cominciarono a chiacchierare. 
Karel parlava poco, notò Clarke ma si rese conto di quanto fosse piacevole parlare con la guaritrice e capì come mai tutti si trovassero bene con lei. 
Ad un certo punto si avvicinò a loro Octavia, Clarke l’accolse con un sorriso ma lei sembrava interessata ad altro.
“Avete visto Bellamy?” chiese “Mi hanno detto che è uscito un po’ di tempo fa, sono passata nel suo alloggio ma non ha risposto”
Clarke sentì subito un nodo alla gola poi sentì Laudria rispondere
“Probabilmente starà dormento, per quello non ti ha risposto: la tisana, gli antidolorifici e anche un po’ di distillato che ha bevuto potrebbero averlo steso per bene e dormire in questo momento è ciò che gli serve.”
Octavia annuì rinfrancata, augurò loro buon proseguimento prima di raggiungere Lincoln e un altro gruppo di ragazzi.
Clarke aveva sentito l’intera conversazione ma la sua mente aveva viaggiato ben più lontano, ricordando Bellamy, catturata dal suo mezzo sorriso beffardo e nuovamente aveva sentito il peso al cuore. Era diversa ora, si sentiva diversa ma sapeva che nulla era cambiato. Il suo proposito di dimenticare Bellamy rimaneva. Avrebbe tentato di vivere godendosi la vita ma non avrebbe permesso che le sue emozioni prendessero il sopravvento. Non si sarebbe permessa di provare qualcosa di profondo per qualcuno, aveva già sofferto abbastanza. Quel legame doveva essere reciso prima che qualcosa cominciasse.
Respirò profondamente, le sue mani ora giocavano con la tazza, una parte della gioia che aveva provato in quel momento era svanita ma non si lasciò trascinare decisa a divertirsi. Alzò gli occhi verso i due ragazzi del clan delle barche.
I due ragazzi parlavano fra di loro ma gli occhi grigi di Karel erano fissi su di lei.
Riuscì a sentire Laudria mormorare  a Karel nella loro lingua “Lasile, le Dee al ha decidut in un atre maniere”*. Lo vide annuire con un certo rammarico prima di bere un sorso di distillato e cominciare a guardarsi in giro come se lei e la guaritrice non esistessero più e fosse più interessato a quello che succedeva attorno.
Clarke guardò Laudria perplessa.
“Stavo dicendo a Karel che fra poco me ne sarei andata” disse Laudria. “la musica sta cominciando a farmi venire mal di testa”
“ti capisco” rispose Clarke rinfrancata “anch’io pensavo di prendere un po’ d’aria” 
In realtà la sua serata era terminata quando Octavia aveva nominato Bellamy e ora non riusciva a toglierselo dalla testa. 
“Si, credo che uscire ti farà bene, vai all’uscita del refettorio, la vista da quella posizione di rinfrancherà di sicuro” rispose Laudria scrutandola con attenzione.
Clarke sorrise perplessa del consiglio poi li saluto e uscì. L’uscita principale del campo era la più vicina ma stranamente i suoi passi la portarono all’uscita che le aveva proposto Laudria. La guaritrice sembrava vedere cose che gli altri non vedevano e se le aveva consigliato quel posto forse c’era un motivo.


Fuori si lasciò  investire dall’aria fredda della sera.
La volta era stellata e la luna illuminava con la sua pallida luce la coltre bianca a terra e il bosco. Si sentiva l’ovattato silenzio delle notti d’inverno. Stava respirando a pieni polmoni quando sentì una presenza dietro di lei. 
Si volse di scatto.
Poco discosto dalla porta dalla quale era uscita riconobbe Bellamy appoggiato alla parete.
“Ehi! Ciao, pensavo di essere l’unica a volere un po’ di tranquillità.” Riuscì solo a dire.
 “E invece ecco qui un seccatore” rispose lui con un mezzo sorriso
“Non sei un seccatore Bellamy” disse d’impulso Clarke guardandolo.
“dici davvero?” chiese il ragazzo “ a me non sembra!” continuò. 
Clarke sentì una punta di risentimento nella sua voce.
La ragazze volse lo sguardo verso l’orizzonte, un attimo sospeso “non è così Bellamy solo che è tutto così difficile” la sua voce era un mormorio basso che esprimeva una fragilità che non le apparteneva
“e allora perché mi eviti?” chiese con tono accusatorio. 
“è difficile Bellamy” ripetè ostinata la ragazza
“sai Clarke cosa ho imparato” disse quindi Bellamy.
La giovane si girò verso di lui, era ancora appoggiato alla parete della navetta, le mani dietro la schiena, lo sguardo rivolto alle stelle nel cielo.
“Le cose sono difficili solo quando non sono chiare” 
Clarke stava per ribattere quando Bellamy volse il capo verso di lei “Perché le cose fra di noi non sono chiare?” chiese 
La giovane non rispose, sentì una stretta al petto. Non aveva il coraggio di dirgli cosa la turbava, forse una parte di lei sapeva che, se avesse parlato, tutto sarebbe realmente cambiato e non avrebbe potuto tornare più indietro.
Si diede della stupida, era quello che voleva in realtà, andare avanti e pensare alle cose importanti.
Rimase in silenzio.
“Sai” disse Bellamy “Speravo che tu mi rispondessi. Qualunque risposta mi sarebbe andata bene. Ma ora credo di non sapere più chi ho di fronte.”
“Bellamy..” lo pregò Clarke.
Bellamy si spostò e le passò accanto “È tardi, è ora che rientri” mormorò andandosene
Clarke fece alcuni passi verso di lui e gli prese il braccio. Non poteva lasciarlo andare, non ce la faceva.
“Bellamy non posso” disse in un sussurrò.
Il ragazzo si fermò ma non fece cenno di voltarsi.
Clarke lasciò la presa.
“Se vogliamo sopravvivere, se vogliamo vivere in questo mondo” cominciò esitante “ non posso continuare ad appoggiarmi a te come ho sempre fatto. Tu sei la mia debolezza” terminò con un sospiro.
Bellamy volse lo sguardo verso di lei, c’era confusione nei suoi occhi. Una domanda che richiedeva una risposta.
Clarke prese un respiro “Potrei sacrificare tutto per la tua vita”
“Non lo faresti!” rispose Bellamy sicuro.
“L’ho già fatto” disse Clarke abbassando gli occhi, non riusciva a sostenere il suo sguardo.
“Non ti credo!”
“Ho scelto la tua vita a quella di altre 250 persone compresa mia madre, tua sorella, Kane e molti altri”
Bellamy sospirò “Clarke non è vero, credevi di fare la cosa giusta per tutti noi, ne abbiamo già parlato”
“Non capisci” rispose con vemenza la giovane “Ho scelto di rischiare le loro vite perché non potevo rischiare la tua”
“Perché era necessario che io non venissi scoperto” ribattè il ragazzo.
“No” rispose Clarke guardandolo negli occhi, una lacrima scintillava alla luce della luna “Perché non potevo vivere senza di te” 
Bellamy si avvicinò a lei, i loro sguardi incatenati, le loro anime messe a nudo per la prima volta.
Allungò una mano verso quella lacrima solitaria, l’asciugò poi si chinò verso di lei e la baciò.
Fu un bacio leggero, un contatto lieve fra le loro labbra.
Durò un istante poi Bellamy si allontanò da lei e si volse per andarsene “Buona notte Brave Princess” 
Clarke era stordita.
Fra le mille domande e le mille emozioni che si rincorrevano riuscì solo a chiedere in un sussurro “Perché”
Bellamy si fermò, si girò un’istante
“Per darti una scelta” disse prima di rientrare nella nave.
Clarke rimase immobile la sua mente era un caotico miscuglio di pensieri a cui non riusciva dare ordine.





*TRADUZIONE: “Lasile, le Dee al ha decidut in un atre maniere”=Lasciala, la Dea ha deciso in modo diverso

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Capitolo 18
*** Vivere! ***


Eccoci, dopo la pausa ci siamo....siete pronte per la parte finale di questa FF?....
Buona lettura a tutti


PARTE CINQUE – VIVERE
Who we are and who we need to be to survive are very different things.


CAPITOLO 18

8 Febbraio

Bellamy riprese conoscenza, un sapore amaro nella bocca riarsa dalla sete. Alcuni istanti per percepire il sommesso bussare che aveva interrotto il suo stato semi-comatoso dovuto al mix di antidolorifici e distillato.
Con una certa fatica aprì gli occhi, una stilettata esattamente dietro ai bulbi oculari lo fece desistere dall’impresa. 
Avrebbe voluto per lo meno aprire la bocca e rispondere in qualche modo a quel bussare, ma a quanto sembrava nemmeno le corde vocali volevano collaborare e ne uscì solo un flebile suono. 
Alzarsi era fuori dalla sua portata.
Decise che aveva la forza solo di continuare a vegetare nel letto con la speranza che, alla fine, le sue funzioni motorie e le sue sinapsi facessero il loro dovere.
Dalla porta non arrivava alcun suono, se fosse stato importante, avrebbero di certo usato le maniere forti, se fossero stati preoccupati per lui avrebbero potuto usare il passe-partout quindi fece l’unica cosa sensata: chiuse gli occhi e si lascio trascinare nel limbo del sonno.

Clarke sfiorò con la mano la porta dell’alloggio di Bellamy poi la lascio scivolare verso il fianco. 
Non aveva risposto, sapeva che Laudria gli aveva dato delle medicine molto potenti e forse Bellamy stava ancora dormendo.
Preso un respiro,  era meglio così, rifletté.
Dopo una notte insonne girandosi e rigirandosi nel letto con la mente confusa pensava che vederlo sarebbe stata la cosa migliore.
Vedere il suo viso, leggere nel suo sguardo una riposta che lei non riusciva a darsi.
Aveva paura di credere che quello che era avvenuto fosse stato reale.
Perché ora, perché in quel momento, perché Bellamy aveva voluto rompere quel muro che esisteva fra loro e che li teneva entrambi in salvo?.
Domande su domande a cui non riusciva a dare risposta.
Si sentiva lacerata, fino a quel momento aveva dovuto lottare solo contro se stessa, tentando di vedere in Bell solo l’amico fidato. Con quel bacio l’equilibrio si era rotto. 
Persa nei suoi pensieri non sentì Octavia fino a quando non le rivolse la parola.
“Anche tu sei venuta a cercare Bellamy?” 
Clarke sobbalzò, la guardò turbata, gli occhi cerulei sgranati..
Era rimasta davanti a quella porta per quanto tempo si chiese.
“No, si….volevo vedere come stava, ho provato a bussare” sussurrò “non ha risposto, credo stia ancora riposando.”
Octavia la osservò un’istante perplessa, cercando forse di capire cosa le stesse passando per la testa.
“Bell mi ha lasciato la chiave, in caso di necessità, possiamo controllare” disse estraendo da una delle tasche una chiave magnetica.
Clarke scosse la testa imbarazzata “No, no, devo andare in infermeria, controlla tu, di sicuro ci troveremo in giro.”
Fece un cenno di saluto e si allontanò senza voltarsi dietro.
Octavia sorrise. 
Quei due erano stati sempre cocciuti, decisi, coraggiosi pronti a tutto per gli altri ma, quando si trattava di loro, erano due testoni così ingenui.
La giovane sapeva che presto tutto si sarebbe risolto. 
C’era solo da capire quando sarebbe successo.
Chissà chi avrebbe vinto la scommessa. 
Non c’era membro dell’accampamento che non sapesse del profondo legame fra Bellamy e Clarke, una connessione, che, per sua stessa natura, doveva evolvere. L’unica domanda era quando questo sarebbe successo. Così erano fioccate le prime scommesse.
Octavia strusciò la tessera magnetica e silenziosamente entrò nell’alloggio del fratello.
Bellamy stava riposando, il respiro era regolare, il viso sereno.
Sorrise a quella vista. Da quando erano arrivati sulla Terra il loro legame era cambiato, qualcosa era andato perso ma avevano guadagnato molto altro. 
Per entrambi quel viaggio, la scoperta della Terra, era stata una rivelazione, ma soprattutto avevano potuto assaporare una libertà che sull’Arca era sempre stata negata loro.
In quel luogo, finalmente, potevano costruire un futuro che tra le stelle sarebbe stato loro precluso.
Sfiorò per un istante la fronte del fratello, scostandogli i capelli dagli occhi. 
Lo osservò, il cuore colmo di amore fraterno,  poi uscì lasciandolo riposare.

Clarke lavorò l’intera giornata cercando di concentrarsi ma la sua mente continuava a vagare tornando sempre ad un unico punto, al momento in cui avrebbe rivisto Bellamy. Aveva parlato con Laudria, probabilmente per il giorno dopo Bell si sarebbe rimesso quasi completamente, certo avrebbe avuto ancora qualche problemino con le costole ma grazie al riposo forzato la guaritrice aveva fatto in modo che per lo meno Bellamy non tentasse alcuno sforzo prima del previsto allungando così il tempo di convalescenza. Per Clarke quella notizia avrebbe avuto un unico significato: avrebbe rivisto presto il ragazzo e non sapeva cosa sarebbe successo.
In quel momento stava inventariando le scorte dei medicinali eppure non riusciva nemmeno a leggere correttamente le etichette e trascrivere i dati. 
Sbuffò infastidita non era da lei comportarsi. Durante la giornata era stata pressoché inavvicinabile rispondendo con mugugni o anche non rispondendo se non dopo essere stata chiamata diverse volte. 
Anche in quel momento le cose non andarono diversamente e si rese conto della presenza della madre solo quando sentì il lieve tocco sulla spalla.
“Acc…” per poco una bottiglietta di anestetico non le sfuggì dalle mani per il contatto inaspettato che l’aveva fatta sobbalzare.
“Clarke tutto bene” la madre la osservò perplessa, scrutandola attentamente. 
“Si, si sto bene, ero distratta e mi hai spaventato” Clarke rimise la confezione sullo scaffale e si finse impegnata a trascrivere alcuni dati.
Abby sospirò.
“Senti, mi hanno detto che oggi sei un po’ persa, hai bisogno di riposo?, di prendere una pausa? Non sei obbligata a stare qui ogni giorno, ci sono molte altre cose che potresti fare.” la madre era preoccupata per lei. Forse aveva paura che lei ora si estraniasse, una fuga diversa da quella di alcuni mesi prima ma non molto. Clarke rifletté. Avrebbe voluto dire alla madre di non preoccuparsi ma un tarlo non la abbandonava….e se ….
“Clarke, prenditi un giorno, un solo giorno in cui non devi pensare niente se non a te stessa. Questo è un ordine, domani non venire in clinica Ok?”
Clarke assentì, sapeva già dove andare. Una visita che rimandava da tempo. 
Ora era giunto il momento. 
Quando la madre la lasciò nuovamente al suo lavoro Clarke si concentrò lasciando che i tormenti della sua mente diventassero un rumore di sottofondo. 
L’indomani sarebbe andata alla loro vecchia navetta e forse, quel luogo in cui tutto era iniziato, l’avrebbe realmente aiutata a trovare un senso a quello che le stava succedendo e prendere una decisione.

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


CAPITOLO 19
9 febbraio

Bellamy si svegliò nuovamente, a differenza della volta precedente ora si sentiva meglio. Certo percepiva il corpo indolenzito e un cerchio alla testa ma nulla in confronto a prima.
Provò a sedersi per saggiare le sue condizioni. A quanto sembrava il corpo finalmente rispondeva ai suoi comandi, mosse le spalle, la schiena. L’intorpidimento sembrava passato e, anche respirando profondamente, il dolore alla gabbia toracica rimaneva solo in sottofondo.
Annuì soddisfatto.
Guardò l’ora, le nove del mattino. Si rese conto di aver perso un’intera giornata.
Nello stesso momento si accorse della brocca e della tazza poggiata su una sedia accostata al letto.
Si sentì subito assetato.
Versò il liquido di color ambrato nella tazza, era una delle tisane che preparava Laudria.
Si chiese se fosse il caso di berla ma poi la sete prese il sopravvento e la scolò in un sol sorso.
Era rinfrescante.
Si versò un’altra tazza che bevve più lentamente mentre tentava di liberare la mente dagli ultimi strascichi di torpore.
Si ricordava il torneo, la festa e Clarke.
I ricordi di Clarke lo sommersero, la sua confessione, il bacio. Per un istante pensò di esserselo sognato ma la sensazione che provava al solo ricordo era così intensa da essere ancora reale ed era una cosa con cui ora doveva fare i conti. 
Ma come?
Prese un profondo respiro.
Una doccia e mangiare qualcosa ecco le sue priorità, poi sarebbe passato in clinica per controllare le sue condizioni e solo dopo avrebbe pensato a Clarke e a quello che era avvenuto durante il loro ultimo incontro. 
Conoscendo Clarke avrebbe fatto domande, avrebbe tentato di razionalizzare ogni cosa.
Ebbene, pensò Bellamy, certo cose non avevano nulla a che fare con il cervello, chissà se Clarke avrebbe scelto di percorre una strada diversa.
Con una certa cautela si levò i vestiti prima di dirigersi verso il bagno. Il corpo sembrava rispondere ancora bene.
Lasciò poi che il getto dell’acqua gli scorresse addosso cancellando gli ultimi rimasugli di sonno. Il potere rigenerante della doccia si fece subito sentire e pochi minuti dopo, mentre si vestiva, cominciò a pensare di non presentarsi nemmeno in clinica per un controllo. Durante gli ultimi mesi aveva subito ben di peggio e una parte di lui, si rese conto, non voleva rischiare di vedere Clarke, non ancora, voleva darle tempo.
Si ricordava di aver sfiorato le sue labbra quando lei finalmente si era aperta con lui, ma sapeva anche che gli aveva dato spazio per scegliere come comportarsi. 
Credere in quello che entrambi avevano sempre celato nella parte più nascosta della loro anima o cancellare tutto per paura.
Perché lui era certo che qualcosa fra loro esistesse, lei lo aveva confermato, ma lasciarle quella scelta lo faceva sentire fragile come mai non gli era capitato prima. 
Bellamy uscì dalla sua stanza con la speranza di non incontrare nessuno, ma si rese conto che il tormento che sentiva non poteva avere pace fino a quando non avesse guardato Clarke negli occhi.
Sapeva esattamente quello che era avvenuto fra lei e Finn, aveva visto esplodere la passione fra loro. In quel periodo si era sentito uno spettatore esterno, interessato solo a capire in che modo il rapporto fra loro avrebbe condizionato la loro leadership nel gruppo. Aveva visto lo strazio di Clarke quando aveva scoperto di Raven. Il suo dolore quando lo aveva dovuto uccidere. Il rimpianto per non averlo potuto salvare. Quella morte aveva segnato Clarke in maniera inimmaginabile. In quel momento aveva chiuso il mondo fuori, compreso lui. Poi c’era stata Lexa, l’alchimia fra loro era stata potente, due spiriti combattivi affini. Lexa, una ragazza che avrebbe potuto conquistare l’anima di Clarke dilaniata dal dolore, una donna in grado di guarire le ferite inferte dalla  Terra, un capo che però aveva scelto di tradirla. Allontanandola ancora di più dalle emozioni umane.
Bellamy prese respiro profondo, il dolore alle costole, un salvagente cui aggrapparsi mentre tutte le sue paure venivano a galla.
Si sentiva sul ciglio di un baratro, cominciò a dubitare persino del rapporto che li legava. Non riusciva a capire cosa ci fosse fra loro esattamente, era una corrente elettrica che passava sotto la pelle, un’alchimia profonda nata e cresciuta dalle avversità con cui si erano dovuti confrontare, ma era reale o era qualcosa cui aggrapparsi per sentirsi vivi in un mondo in cui la morte si celava dietro ad ogni angolo? 
Lui sapeva quello che provava ma non era certo di quello che sentiva Clarke. C’erano stati momenti in cui sembrava esserci qualcosa fra loro, ma era abbastanza per superare il terrore di aprirsi nuovamente a qualcuno?. 
In quell’istante Bellamy sentì il desiderio di vederla, di sfiorarle il viso, guardarla negli occhi. 
La voleva, anche solo per un istante. 
Doveva capire cosa significava accarezzare la sua pelle, sentire il suo corpo contro il suo. 
Voleva sentirla fremere sotto il suo tocco, vedere il desiderio che si accendeva nei suoi occhi. Solo in quell’istante avrebbero capito cosa significava il legame che li univa. 
Presa la decisione Bellamy si diresse risoluto verso la clinica e se non l’avesse trovata l’avrebbe cercata ovunque al campo. 
Doveva trovarla, trascinarla da qualche parte, baciarla, sentire i loro corpi sfiorarsi. 
Non ci sarebbe stata nessuna scelta finché non avessero capito se il desiderio fra loro era qualcosa di reale o solo la necessità di riempire la solitudine in cui si erano chiusi a causa del loro ruolo di leader. 

Entrò alla clinica, il suo sguardo scandagliò la stanza nella speranza di vederla, ma non si trovava lì.
Gli venne incontro invece Mary, una delle infermiere.
“Bellamy, tutto bene?”.
Il ragazzo cercò di non farsi sommergere dalla frustrazione.
“Si sto bene, sono venuto per un controllo e vedere Clarke”.
Mary sorrise.
“Chiamo Laudria o Abby così vediamo a che punto sei con la guarigione. Con Clarke non posso aiutarti, non è di turno ancora.”
Bellamy stava per dire che sarebbe ritornato più tardi quando alla fine decise che era meglio risolvere subito il problema costole e potersi dedicare interamente a Clarke. Assentì docile all’infermiera e si andò a sedere su una barella.
Abby lo raggiunse, una cartellina fra le mani, sembrava molto concentrata e parecchio preoccupata. 
Gli passò accanto senza nemmeno vederlo e Bellamy fu costretto a chiamarla.
Lei si volse di scatto. Un sorriso le illuminò il viso.
“Bellamy, bentrovato, come stai”
“Me lo deve dire lei dottoressa”
“Beh, il fatto che tu sia seduto e in grado di parlare senza una maschera di sofferenza in viso mi sembra già una buona cosa.”
Poi gli si avvicinò, appoggiò la cartellina su un ripiano e gli controllò le costole.
Gli chiese di fare un paio di respiri, annuì soddisfatta.
“Ok, direi che il giorno e mezzo disteso e mezzo sedato ti ha fatto molto bene quanto le medicine che ti somministrato Laudria. Direi che sei in ottima forma, ma, nel caso tu senta troppo dolore, viene qua e vedremo di darti qualcosa.”
Bellamy annuì.
Abby sorrise di rimando e riprese in mano la cartellina che stava scrutando quando era arrivata. Lo sguardo nuovamente preoccupato.
“Abby va tutto bene?” 
Il cancelliere alzò gli occhi dalle tabelle che stava leggendo e Bellamy gli fece un cenno con il mento indicando la cartellina.
Abby lo scrutò, poi sembrò giungere a una decisione.
“Abbiamo fatto l’inventario delle scorte. Cominciano a scarseggiare parecchi medicinali e materiali come garze sterili, siringhe e cose del genere.  Stiamo lavorando per trovare dei sostituti ai medicinali. Grazie alle conoscenze di Laudria siamo a buon punto, ma la situazione con il materiale sanitario è più difficile perché ci serve subito e non siamo stati ancora in grado di trovare degni sostituti”.
Bellamy si rese conto che il problema era grave. Presto sarebbe arrivata la primavera e per allora dovevano essere già in grado di affrontare qualunque esigenza medica. 
Si ricordò dei bunker che aveva scoperto, in alcuni aveva trovato anche materiale medico. All’epoca l’aveva lasciato lì e inventariato, ora era arrivato il momento di recuperarlo.
Lo disse ad Abby che annuì. 
“Dovremo organizzare delle spedizioni. Te la senti di farne parte?” 
Bellamy stava per declinare, la sua priorità era Clarke in quel momento ma poi il senso di responsabilità prevalse.
“Certo non ci sono problemi, ci vediamo in sala operativa fra un’ora”.
Abby annuì e stava per andarsene quando Bellamy chiese “Sai dov’è Clarke?”
“No, le ho dato un giorno di riposo, ieri era parecchio distratta e ho pensato che un giorno fuori dalla clinica le avrebbe fatto bene” poi si allontanò.
E così Clarke era distratta ieri, pensò Bellamy con un mezzo sorriso, fremette all’idea che quella distrazione fosse dovuta a quello che era successo fra loro. 
Bellamy scese dal lettino con tutta l’intenzione di trovarla e di trascinarla con lui a recuperare il materiale sanitario, ricordo di una vecchia promessa che si erano fatti.

Bellamy era ancora intento a cercare Clarke quando si sentì chiamare da Lincoln.
Si volse verso di lui spazientito, possibile che nessuno avesse idea di fosse finita Clarke. Osservò Lincoln venirgli incontro. 
“Ci sei alla riunione” chiese
“Si certo, serve qualcosa?”
“Puoi chiamare Raven? dovrebbe essere ancora al laboratorio e abbiamo bisogno anche di lei.”
Bellamy lo guardò perplesso “Come mai?”
“Secondo Karel potrebbe avvicinarsi una tempesta di neve, forse l’ultima della stagione. Abbiamo i margini per passare in qualche bunker e abbiamo bisogno di parlare con Raven per vedere quante ricetrasmittenti sono disponibili”.
Bellamy annuì “Certo vado a chiamare Raven” doveva comunque passare da lei per scoprire se avesse visto Clarke.
“Hai visto Clarke oggi?” chiese a Lincoln.
“Si! si è allontanata stamattina, l’ho vista mentre stavo facendo un giro di perlustrazione. Ha detto che andava al vecchio campo perché?”.
“Niente, è da qualche giorno che non la vedo”. 
Lincoln annuì. Si salutarono ognuno preso dai propri pensieri.
Clarke era uscita, una tempesta sarebbe arrivata presto e la cosa non gli piaceva. La giovane non era mai uscita dal campo da quando era tornata e questo preoccupava parecchio Bellamy.
Trovò Raven al laboratorio, era intenta, come al solito, ad aggiustare qualcosa.
“Ehi Raven”
La giovane alzò la testa sentendosi chiamare.
“Guarda chi è resuscitato dalla tomba, come va?”
“Tutto ok!  Sta per iniziare una riunione e sono venuto a chiamarti”.
“Qual è il problema questa volta?” chiese sorridendo Raven, ormai abituata a essere chiamata solo quando di mezzo c’erano problemi meccanici da risolvere.
“Dobbiamo uscire per delle spedizioni, una cosa veloce ma dobbiamo essere certi che tutti quelli che usciranno potranno mantenere sempre i contatti.”
Raven annuì.
“Finisco questa cosa e arrivo” rimettendosi subito al lavoro.
“Hai visto Clarke per caso?” chiese a quel punto lui.
“Sì è passata stamattina, ha preso una radio e poi è uscita, saranno un paio di ore forse”. Rispose Raven senza alzare gli occhi dal bancone sul quale stava lavorando.
Bellamy annuì scontento. Sembrava che il mondo gli stesse remando contro.

Arrivò nella sala del consiglio fra gli ultimi, Lincoln, Octavia, Karel ed Abby erano già arrivati e stavano confrontando le posizione dei bunker con alcuni grafici e tabelle.
Jackson nel frattempo sembrava analizzare qualcosa da uno schermo. 
Abby lo vide, lo chiamò accanto al tavolo dove erano aperte le cartine topografiche della zona. 
“Karel ci ha avvertito di un’imminente tempesta in arrivo e stiamo cercando di capire quali bunker possiamo raggiungere senza rischiare che qualcuno rimanga bloccato fuori.” Cominciò a spiegare Abby.
“Come fate a sapere della tempesta?” chiese Bellamy.
Il guerriero del popolo delle barche rispose: “Da alcuni giorni il tempo è sereno, le temperature si sono alzate di parecchi gradi. È ancora troppo presto, quando avviene, di solito, subito dopo arrivano nuove tempeste, non intense come quelle degli scorsi mesi ma comunque pericolose.”
“Quando potrebbero arrivare” chiese a quel punto.
“In nottata al più tardi domani” si intromise Jackson “sto monitorando i dati barometrici, eolici e di umidità dell’aria. Le stime non possono essere esatte ma sono abbastanza attendibili”. 
Bellamy annuì e tornò a guardare Abby. 
“È proprio necessario che qualcuno esca?”
Il cancelliere annuì “Siamo a corto di fili per sutura, bende, garze, buste per le flebo e parecchie altre cose. Se dobbiamo rimanere bloccati per altri giorni questi materiali potrebbero finire da un momento all’altro.”
Bellamy guardò la cartina, cercando di ricordare il materiale che aveva inventariato nei bunker.
Indicò poi con il dito due diversi punti, erano distanti alcune ore di cammino dal campo Jaha, se fossero partiti subito, avrebbero potuto far ritorno nel tardo pomeriggio, un lasso di tempo sicuro.
“Credo che dovremmo puntare solo a questi due bunker, questo a nord” indicò poi il punto sulla carta “dovrebbe essere quello meglio rifornito, sembrava un vecchio deposito militare in disuso e c’era parecchio materiale utile. Si trova vicino alla zona est dei Tree people, sei persone dovrebbero andare bene comprese almeno un paio di guardie nel caso ci siano problemi con i nostri vicini, potremmo portare al campo parecchio materiale”.
Le persone attorno al tavolo annuirono e Lincoln prese la parola “Conosco la zona, è un po’ fuori dai sentieri di caccia, forse per questo nessuno l’ha mai scoperto” disse. 
Bellamy annuì “Ho trovato il bunker durante uno dei miei giri di perlustrazione” non disse ad alta voce di averlo trovato mentre stava cercando Clarke “La zona è parecchio accidentata e bisognerà fare attenzione ma ne vale la pena e, se le cose si mettessero male con il tempo, il rifugio mi sembrava solido e sarebbe un ottimo riparo” poi puntò il dito su un’altra zona della cartina topografica “questo invece si trova a un paio di ore di marcia da qui; a metà strada fra il campo Jaha e il vecchio campo base. Credo sia una cantina riadattata a rifugio, c’era parecchio materiale sanitario, facile da trasportare, potrebbe bastare una sola persona”.
In quell’istante prese una decisione che avrebbe risolto molti dei pensieri “Andrò io, conosco la zona, sarà più semplice. Il posto è molto difficile da trovare. Se non ci fossi finito sopra non l’avrei mai scoperto. È ben nascosto e quando me ne sono andato ho fatto attenzione a non lasciare tracce.”
“Avrai bisogno di qualcuno che ti accompagni” disse a quel punto Octavia.
Bellamy scosse la testa “No! già saremo in troppi fuori e non voglio rischiare di togliere troppa gente alle pattuglie. Conosco molto bene la zona e ci terremo sempre in contatto con le ricetrasmittenti. Non ci sono problemi Raven?” chiese quindi alla ragazza che era sopraggiunta poco prima.
“No, entrambe le zone sono coperte dalle antenne che siamo riusciti a sistemare ma non posso garantire con il brutto tempo.”
“Con le ricetrasmittenti possiamo comunicare fra noi” chiese a quel punto Bellamy.
Raven fece una smorfia “In linea teorica sì, ma non ne sono certa, ogni tanto hanno fatto cilecca”. Bellamy non era molto soddisfatto della risposta ma se la fece bastare. Ormai aveva preso la sua decisione: avrebbe raggiunto il bunker e poi avrebbe cercato Clarke. 

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Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***


CAPITOLO 20

Camminava a passo spedito ormai da diverse ore, l’aria frizzante le accarezzava la pelle. Stranamente non aveva alcun fiatone. Era felice, significava che l’allenamento aveva fatto il suo lavoro e il suo fisico sta diventando, giorno dopo giorno, più forte e resistente. 
Superò con facilità un tratto scosceso del sentiero e di fronte a lei si aprì la visione dell’intera vallata dove giaceva quel che rimaneva dell’Arca. Quella visione le riempì il cuore, anche a distanza, come piccole formiche, vedeva la gente muoversi, in alcuni punti esterni alla navetta vedeva il fumo dei fuochi da campo. Non era più il relitto di una nave che era stata la loro casa per generazioni ma l’inizio di una nuova vita. Le rare nuvole nel cielo terso giocavano alle ombre con il sole creando disegni e bagliori inaspettati sulla superficie metallica della nave.  
Si riempì i polmoni del dolce profumo della foresta. Il silenzio che la circondava le stava donando una pace raramente conosciuta da quando era tornata al campo Jaha. 
La bellezza di ciò che la circondava riusciva a tenere a bada i rumori molesti di sottofondo che la sua mente non riusciva a sedare mai del tutto.  Pensieri che si rincorrevano senza fine. Erano così impalpabili da non essere mai perfettamente identificati.
Scosse la testa, non voleva permettere che qualcuno di essi prendesse forza e rovinasse l’incanto. 
Osservò il sole, sentì uno strano gorgoglio allo stomaco e decise di prendersi una pausa per mangiare qualcosa, lasciando che il suo sguardo si beasse della vista di fronte a lei.
Spazzolò le gallette che aveva portato in pochi istanti poi ripartì. Ritemprata dal paesaggio, era pronta ad addentrarsi nella foresta e raggiungere il vecchio campo.
Non ci sarebbero volute più di un paio di ore di camminata.

Bellamy cercava di mantenere il passo che aveva sempre tenuto quando andava in perlustrazione, ma si era reso conto subito che aveva sopravalutato le sue condizioni di salute. Certo era abituato a ben di peggio, ma le situazioni erano diverse. Ora che la sua vita non era a rischio ogni istante, il suo corpo lo percepiva e rispondeva con meno vigore del solito. La cosa lo impensieriva, odiava sentirsi debole.
Si fermò nuovamente a prendere un respiro, operazione che risultò dolorosa.
Probabilmente sarebbe dovuto rimanere al campo, se fosse stato attaccato, se la sarebbe vista brutta. Infastidito pensò che Abby o Laudria, avrebbero dovuto trattenerlo. Poi sorrise all’idiozia di quell’idea, come se, uno come lui, si sarebbe fatto trattenere. Testardo com’era sarebbe uscito comunque. Non gli restava quindi che stringere i denti e andare avanti. Dubitava però di essere in grado di raggiungere Clarke prima dell’ora che si era prefissato per rientrare al campo. Per quanto desiderasse vedere la ragazza, non era in condizione di affrontare una notte fuori, non così ridotto.
Si fece forza e continuò a camminare, il rifugio non era molto lontano per fortuna. Era solo preoccupato che stesse impiegando così tanto tempo per raggiungerlo. 

Clarke cominciava a intravedere la zona in cui si trovava la navetta con la quale erano atterrati. Un grosso macigno cominciava a formarsi nel suo cuore, non era ritornata in quel luogo dalla morte di Finn. Nella sua mente scorrevano frammenti, fotografie di quel luogo da quando erano arrivati fino all’attimo in cui aveva visto Finn scomparire fra gli alberi. 
Si ricordò del sogno e il suo cuore si fece ancora più pesante.
Sarebbe stato ancora così grigio e desolato come lo ricordava?
Sbucò fra gli alberi e di fronte a lei apparve il vecchio campo o quello che ne rimaneva. 
Rimase senza fiato. 
Com’ era possibile che la natura in così pochi mesi si fosse riappropriata già di quel luogo?.
Un leggero strato di neve ghiacciata ricopriva la superficie nascondendo alla vista la distruzione creata dal combustibile bruciato durante l’attacco dei Grounders. Con l’arrivo della primavera quella stessa terra sarebbe stata coperta di erba. La navetta, in alcuni punti, era già coperta da qualche rampicante, chiazze verdi sulla superficie metallica. Un alberò abbattuto da qualche tempesta invernale era accasciato contro la navetta coprendone la sommità. La natura si stava riprendendo quello che gli apparteneva cancellando i pochi passi che la sua gente aveva fatto da quando erano stati espulsi dall’Arca. 
Sarebbe sempre stato così?  Si chiese Clarke, Una lotta solo per dire: noi esistiamo e questo mondo ci appartiene?
Per l’ennesima volta Clarke si chiese se realmente appartenessero a quel luogo, se la fatica di sopravvivere  e soffrire  valesse la pena. 
Scacciò quei pensieri troppo cupi per quella giornata che, fino a quel momento, era stata serena. 
Si spostò esitante verso la parte esterna del campo dove avevano seppellito i loro morti.
L’area era ancora coperta dalla neve, ma in alcune zone si poteva vedere la terra sottostante. Le tombe erano ancora visibili, dossi sul terreno, niente di più. 
“Polvere alla polvere” mormorò Clarke passando accanto a tumuli. 
S’ inginocchiò di fronte ad essi, cercando un legame con quel luogo. 
Non sentiva niente. Sconfortata, si rese conto che non riusciva nemmeno a ricordare esattamente chi fosse sotterrato e dove. Il ricordo di quei ragazzi non era sotto quelle zolle di terra ma sulle pareti del The 100 e nella sua mente. 
Si rialzò e si allontanò. Non riusciva a rimanere lì, le sembrava tutto così inutile.
Vagò per il campo fino a quando decise di entrare nella navetta.
In quel luogo cominciò a ricordare ma, quei ricordi, non erano dolorosi come aveva pensato. Niente cui aggrapparsi per trovare la forza ad andare avanti e lottare. Vedeva solo una stanza vuota. Immagini si rincorrevano eppure non riusciva a provare tormento o rabbia per quello che era avvenuto. 
Una profonda tristezza quello sì, ma non riusciva a sovrastare l’emozione di tutto quello che erano riusciti a costruire al campo Jaha.
Si sentì disorientata, dove era la rabbia che doveva trovare, dov’era la motivazione per sopravvivere e lottare?
Si rese conto che quel luogo apparteneva al passato.
 Un passato che l’aveva forgiata ma che ora, in qualche modo, non gli apparteneva più. 
Camminò all’interno della navetta, accarezzava le superfici ricordando non solo i momenti di terrore ma di gioia e condivisione che aveva provato con gli altri ragazzi. Degli estranei fino a quando non erano stati abbandonati sulla terra a morire. Nemmeno il pensiero di quello che aveva fatto loro il consiglio riuscì a farla arrabbiare. Se i 100 non fossero partiti, tutti, sull’Arca, sarebbero morti.  
Il suo sguardo fu attratto da un sacchetto abbandonato coperto di polvere accanto ad una parete. Lo riconosceva bene. Era pieno di noccioline. Sorrise al ricordo del loro effetto. 
All’improvviso un volto si fece largo nella sua mente, il suo cuore perse un battito, un nodo allo stomaco. 
Bellamy!
Il viso sporco di terra e ferito. I suoi occhi cupi pieni di sensi di colpa e rimpianti.
Bellamy che sentiva di meritare la morte, che si sentiva un mostro. 
Bellamy che ogni giorno aveva dimostrato il suo valore, lottando contro i suoi demoni.
Bellamy che le era sempre stato accanto, che l’aveva cercata e trascinata fuori dall’apatia in cui era crollata.
Bellamy che l’aveva baciata…


Bellamy era felice di essere finalmente arrivato al rifugio, si sentiva a pezzi, un paio di volte aveva persino avuto un paio di giramenti di testa.
Si sarebbe riposato una volta entrato nel rifugio si disse.
L’ingresso, ancora ben coperto dalla vegetazione, si trovava al livello della terra. Due sportelli di ferro, ormai corrosi dalla ruggine, chiudevano l’apertura. Sembrava costruito ai piedi di un lieve rialzo, quasi sicuramente le macerie della casa sopra alla quale il rifugio era stato costruito. 
Lo avevano trovato lui e Clarke durante il viaggio di rientro. Lo avevano esplorato insieme. Avevano preso un po’ di materiale che avevano scoperto e il resto lo avevano lasciato per recuperarlo in un altro momento. 
Appena scostò la vegetazione si accorse che le due porte non erano più in asse, una aveva ceduto lasciando uno spiraglio di diversi centimetri.
Il ragazzo non era molto soddisfatto della cosa. C’era il rischio che il materiale si fosse rovinato.
Con una certa cautela tentò di aprire i due sportelli. Uno, quello che aveva ceduto, era incastrato ma l’altro si aprì con facilità.
Gli scalini in cemento, una decina, portavano alla cantina mentre un corrimano in metallo era sistemato su un lato. Le scale erano pulite la prima volta che erano entrati, solo la polvere depositata nei decenni si era alzata sotto i loro passi. Si sentiva odore di chiuso ma l’aria era secca e asciutta. 
Ora, mentre scendeva con cautela, notava tracce di umidità, foglie secche, muschio, un sottile strato di ghiaccio baluginava in alcuni punti e l’aria puzzava di marcio.  
Scese con cautela, ma la fioca luce che proveniva dall’entrata e la sua ombra che si proiettava all’interno non gli permetteva di vedere molto.
Saggiava con i piedi ogni scalino, ogni passo.
Scivolò all’improvviso, il piede era slittato su una massa informe di terra, ghiaccio e foglie morte. Tentò, con una mossa disperata, di aggrapparsi al corrimano ma una fitta al fianco gli fece perdere lucidità. I suoi riflessi forgiati dalle passate esperienze non lo aiutarono e rovinò malamente a terra. 
Il contatto con il cemento del pavimento poi il buio.

Clarke era tentata di rientrare, in quel luogo, dove pensava di ottenere risposte, aveva invece trovato solo il passato. Un passato che non riusciva ad aiutarla a ritrovare la rabbia e l’istinto di conservazione che aveva contraddistinto tutti i suoi primi mesi sulla Terra. Un unico pensiero continuava a rimbombarle nella mente: Bellamy. 
Il suo pensiero rincorreva immagini in loop del ragazzo, il suo viso, il suo sorriso, il modo in cui piegava la testa o il suo abbraccio quasi controllato. Il suo modo di scherzare. A ogni ricordo sentiva il cuore, il corpo scaldarsi piacevolmente.
Aveva tentato di aggrapparsi al dolore per la perdita di Finn, al rimorso di averlo dovuto uccidere. Aveva scavato nel suo intimo ricordando il tradimento di Lexa, una persona con cui aveva sentito una profonda empatia. Voleva afferrare e stringere la paura della morte, del tradimento eppure, ogni volta, il sorriso di Bellamy, il suo volto sempre ferito s’insinuavano donandole la certezza di una speranza. 
La giovane volse un ultimo sguardo verso la radura del vecchio campo, quel luogo non aveva più nulla da raccontarle. 

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Capitolo 21
*** Capitolo 21 ***


CAPITOLO 21

Bellamy si destò sentendo un brusio di sottofondo, ma il dolore pulsante alla tempia sinistra prese il sopravvento. Aprì gli occhi lentamente mentre tentava di sollevarsi da terra.
Con una certa difficoltà si mise a sedere. 
Brutta idea, un istantaneo capogiro gli fece venire la nausea ma non cedette al desiderio di riappoggiarsi al pavimento, il corpo urlò in un paio di punti e Bellamy dovette respirare diverse volte per affrontare il dolore. 
Il rumore di sottofondo e la voce umana che lo aveva destato lo distrassero nuovamente.
La ricetrasmittente!
Era caduta poco distante da lui. Con attenzione cercò di rimettersi in piedi, il dolore alle costole sembrava solo un rumore di fondo e ne fu felice. Forse la situazione erano meno grave di quello che gli era apparso in un primo momento. Poi, una stilettata alla caviglia, l’obbligò immediatamente a sedersi. Tentò di muovere il piede a destra e a sinistra e il dolore fu ancora più forte. Non osava togliersi lo scarpone per timore che la caviglia potesse gonfiarsi. Forse era solo una brutta botta ma poteva essere anche una distorsione. Chiuse gli occhi e si accorse che anche il viso aveva qualcosa che non andava: era dolorante come tutto il resto. La sua mano sinistra corse subito a tastare la zona. La tempia sinistra e la guancia erano gonfie. Per fortuna non c’era sangue e sembrava, per ora, che il gonfiore non avesse raggiunto l’occhio. Non era di certo una bella situazione, rifletté il ragazzo. 
“Bellamy…” la voce di Raven interruppe l’inventario delle sue ferite. 
Doveva rispondere e avvertire del suo stato, sapeva che non sarebbe riuscito ad andare da nessuna parte in quel momento. Non ridotto così. 
Raggiunse la radio con una certa fatica. Le tempie imperlate dal sudore e il dolore pulsante alla testa e alla caviglia lo stavano martoriando. 
Attese un istante prima di schiacciare il tasto per la comunicazione per schiarirsi la mente, far tornare il respiro regolare con la speranza che il dolore si attenuasse.
Non sapeva da quanto era svenuto, ma dall’apertura filtrava ancora luce e questo gli fece ben sperare.  Forse la situazione era meno critica del previsto e avrebbe potuto chiamare i soccorsi prima dell’arrivo della notte. Prima dell’arrivo della tempesta.

Clarke camminava con passo spedito, era già uscita dalla foresta e in lontananza riusciva a vedere il campo Jaha. Il sole stava cominciando la sua parabola discendente. Se fosse stata fortunata sarebbe riuscita ad arrivare al campo poco prima dell’imbrunire. Si sentiva ritemprata da quell’uscita e decise che doveva rifare quell’esperienza più spesso. Amava il campo ma rimanere chiusa in quel luogo gli faceva perdere la prospettiva delle cose, creando paure e fantasmi dove non c’erano. 
Il rumore della ricetrasmittente la fece sobbalzare e perdere il passo.
Si fermò, la sganciò dalla cintura pronta a rispondere. 
Cliccò sul pulsante.
“Raven?, sono Clarke”
Fra le interferenze delle scariche elettrostatiche sentì subito la voce della ragazza.
“Clarke, dove sei?” 
“Sulle colline a poche ore di cammino dal campo Jaha” rispose Clarke.
“Bene, rientra il prima possibile, c’è una tempesta in arrivo e sarà qui prima del previsto”
Clarke alzò gli occhi al cielo, era sereno, ma alla sua sinistra, oltre la cresta delle montagne, notò il grigiore che le sovrastava. 
“Dovrei essere a casa fra un paio d’ore.”
“Perfetto, ci si vede a cena in sala mensa allora” rispose scherzando Raven.
“Certo! A dopo” replicò Clarke chiudendo la conversazione. 

“Raven?” chiamò Bellamy aprendo la comunicazione con il campo Jaha.
“Bellamy, finalmente, mi stavo preoccupando. Dove sei? molla tutto e rientra. La tempesta arriverà prima e Abby vi vuole tutti al campo con o senza Medicinali ”. 
Bellamy prese un respiro, di male in peggio.
“Sono al rifugio, ad almeno un paio di ore di cammino dalla base ma sono ferito e non credo di poter raggiungere in tempo il campo.”
“Stai bene adesso?” la voce gli arrivava distorta ma percepì la preoccupazione della ragazza.
“Sì! sono tutto intero ma ho una caviglia fuori uso.”
Non disse altro, le implicazioni erano chiare. Se i soccorsi fossero partiti subito sarebbero arrivati prima dell’ imbrunire, ma non era detto che sarebbero giunti prima della tempesta. 
Era bloccato lì. 
Anche Raven era silenziosa, erano giunti alla stessa conclusione.
“Raven, senti, il luogo è sicuro e ho riserve di cibo in abbondanza. Passerò qua la notte e domani, se la tempesta si sarà placata, potrete raggiungermi. Ho passato già notti all’addiaccio e in situazioni peggiori. Me la caverò” .
“Nei sei certo?” 
“Mi godrò una bella nottata di tranquillità lontano da voi, cosa potrei volere di più?” scherzò, sperava che la sicurezza che non provava si trasmettesse almeno a Raven.
“Sbruffone” rispose subito la ragazza.
La risata divertita di Bellamy risuonò nella stanza. Il ragazzo poi si guardò in giro e si reso conto che poteva realmente andargli peggio. I soccorsi sarebbero arrivati il giorno dopo, ne era certo. Era abituato a dormire fuori, nulla di preoccupante. Certo non avrebbe mai immaginato quella mattina, quando si era svegliato, di ritrovarsi solo e ferito in un rifugio. Aveva sperato in un finale diverso per quella giornata. L’immagine di una ragazza bionda fece subito capolino nella sua mente. 
Schiacciò subito il pulsante della trasmissione.
“Clarke? È rientrata? L’avete avvertita della tempesta?” sentì la tensione nella sua voce ma non poteva farne a meno. 
“Si! sta rientrando proprio ora” rispose subito Raven. 
“Grazie” replicò il ragazzo tirando un sospiro di sollievo. “Ci sentiamo domani Raven”
“Aspetta Bellamy! Clarke dovrebbe essere vicino al tuo rifugio. Siete usciti e andati nella stessa direzione. Potrebbe raggiungerti, magari con il suo aiuto ce la fate a rientrare. La chiamo!”
“No” il ragazzo quasi urlò “Non chiamarla, deve rientrare, se tentasse di venire  da questa parte potrebbe perdere del tempo e la tempesta potrebbe raggiungerla prima di arrivare al rifugio. Non facciamole correre questo rischio inutile, sono al sicuro qui.” 
La ragazza non risposte subito.
“Sei un testone e Clarke mi odierà quando lo verrà a sapere lo sai questo?” 
“Raven sai che è la cosa giusta da fare”
“Con voi due non lo so mai ! e il saperti là fuori ferito non mi piace” rispose Raven. 
Probabilmente Bellamy fraintese il rumore di sottofondo che sentì ma sembrava un sospiro. 
“Va bene” disse con voce più decisa  la ragazza “Ora la sento, vedo dov’è esattamente e se si trova abbastanza vicino, allora l’avverto altrimenti non le dirò niente”
“Raven…” cercò di dire Bellamy.
“Fidati, se non sarò certa che ti possa raggiungere in un breve lasso di tempo starò zitta. Mal che vada invece sarete obbligati a passare la notte insieme”
Che Raven lo stesse prendendo in giro. In quel momento? Pensò subito Bellamy, Le parole della ragazza gli avevano fatto pensare a ben altro. Aprì un paio di volte la bocca per rispondere. Il dito sull’interruttore della radio..
“Bellamy ci sei?”
“Si”
“Ok, allora la sento e poi ti faccio sapere” disse chiudendo la comunicazione.
Bellamy poteva solo aspettare, il pensiero rivolto a Clarke. Alla possibilità che lo raggiungesse e che potessero rimanere bloccati in quel luogo.
Soli. 
La certezza che non sarebbe mai potuto essere come le altre volte.


“Clarke?”, “Clarke?”
Era la voce di Raven, la ragazza prese subito in mano la ricetrasmittente senza smettere di camminare.
“Ehi! Che c’è?.” osservava le montagne e il cielo. Nuvoloni all’orizzonte stavano superando la cresta dei monti e si era alzata una lieve brezza. Per un istante pensò che non sarebbe arrivata in tempo. Mentalmente stava riflettendo.
“Dove sei di preciso?” chiese Raven.
Clarke tentò di spiegarglielo anche se, senza una cartina topografica e una bussola era difficile.
“Lì vicino ci dovrebbe essere un rifugio vero? una cantina o qualcosa di simile”.
Clarke annuì impercettibilmente, sapeva che Raven non poteva vederla e rispose subito “Si! l’abbiamo scoperto Bellamy ed io quando sono rientrata al campo mesi fa. Perché? pensate che non riuscirò ad arrivare in tempo al campo?” 
“Quanto è distante da lì” 
“Non saprei” Clarke riflettè “Forse un’ ora o poco più. Perché?”
Raven non rispose alla sua domanda. Sentiva solo le cariche elettrostatiche della comunicazione.
“Raven, cosa c’è, dimmelo!”
Qualcosa non le tornava e cominciava a preoccuparsi.
“Raven, cosa sta succedendo?”
Finalmente la ragazza le rispose
“Bellamy, è bloccato in quel rifugio, ferito. Sta bene ma non è in grado di rientrare alla base.” 
Clarke, sentì un tuffo al cuore, doveva raggiungerlo subito.
“Vado da lui!”
“Clarke, non riuscirete a rientrare in tempo” tentò Raven.
“Ho visto ben di peggio e là saremo al sicuro dalla tempesta” rispose Clarke risoluta mentre stava già cambiando direzione.
“Ci aggiorniamo quando arrivo al rifugio” avvertì la ragazza prima di chiudere la comunicazione e aumentare il passo.

Bellamy non era soddisfatto della conversazione con Raven ma, qualunque cosa ne sarebbe venuta fuori, come prima cosa doveva pensare a come passare la notte. Lo sportello aperto lasciava entrare l’aria che si era fatta più fredda, sentiva a distanza i rumori delle fronde degli alberi ghermite dal vento. La tempesta sarebbe arrivata e lì non era al sicuro, sapeva di non poter raggiungere lo sportello e richiuderlo. Si guardò in giro, la stanza in cemento aveva diverse scaffalature, sopra erano appoggiate scatole, le riserve di medicinali e altre cose necessarie alla sopravvivenza. Dietro di lui, di fronte alla scala una porta portava a un’altra dispensa. Alla sua sinistra, se ricordava bene, una pesante porta in ferro dava in un piccola stanza. 
Con una certa fatica si sollevò in piedi cercando di non forzare sulla caviglia che gli stava facendo un male d’inferno e si trascinò saltellando verso quella seconda porta. 
Lì dentro sarebbe stato per lo meno al caldo. Il rifugio sotterraneo aveva una temperatura superiore dell’esterno e gli avrebbe permesso di non soffrire troppo per il freddo.
Forzò la porta, sembrava non volersi muovere di un centimetro eppure, la prima volta, erano riusciti ad aprirla. 
La prima volta eravamo in due e io ero in forma, rifletté Bellamy. 
Il dolore non accennava a sedarsi e lo sforzo per aprire la porta lo acuiva ma non poteva rimanere lì fuori.
Si appoggiò un istante alla porta, il tempo di riprendere fiato e sperare che il dolore si attenuasse.
Passarono alcuni minuti, ore nella sua testa ma, lentamente, la sofferenza divenne abbastanza sopportabile per riprovarci.
Girò la maniglia e spinse appoggiando tutto il suo peso.
Questa volta la porta si mosse aprendo uno spiraglio.
Bellamy prese un altro respiro e spinse di nuovo. 
La porta si aprì di colpo, il movimento prese in contropiede Bellamy che, ferito, non riuscì a mantenere l’equilibrio e rovinò nuovamente a terra.
“Maledizione” sussurrò fra i denti mentre il dolore ricominciò a imperversare sul suo corpo.
Rimase disteso a terra, senza più energie. Una mano posata sugli occhi, il suo respiro ansante rimbombava nella stanza buia.
Per ora era al sicuro. 
“Bellamy?”
La voce di Raven lo riscosse.
Con una certa fatica recuperò la radio che aveva attaccato alla cintura.
“Si?”
“Clarke sta arrivando” 
Il silenzio che seguì fra loro era interrotto solo dal brusio della comunicazione aperta.
“Bellamy? Ci sei?”
“Fra quanto arriverà?”
“Una un’ora circa”
“Ok”
“Tu come stai?” 
“Vivo, ancora!” era irritato all’idea che Clarke stesse rischiando la sua vita per raggiungerlo e per una semplice storta. Se le fosse successo qualcosa non se lo sarebbe mai perdonato.
“Ok allora, non fare salti di gioia perché ti ho trovato un medico  e compagnia per la notte a portata di mano” rispose Raven. 
Bellamy non potè fare a meno di sorridere, la ragazza non gli aveva solo portato un medico ma molto altro.
“Ok, Grazie Raven, ci riaggiorniamo! Sto esplorando il rifugio!” sperando così di chiudere la comunicazione. Mantenere un tono fermo senza far trasparire la sofferenza stava diventando impossibile.
La ragazza non rispose subito poi dalla distanza sentì un saluto sussurrato prima di chiudere la comunicazione.
Bellamy appoggiò la radio accanto a se, si sentiva stanco, molto stanco come se il suo corpo non rispondesse più ai suoi comandi. 
L’adrenalina che avrebbe dovuto dargli forza era scemata nello stesso istante in cui aveva capito che qualcuno si sarebbe preso cura di lui, che non avrebbe dovuto passare quella notte solo e all’addiaccio. Chiuse gli occhi, il tempo di riprendere il controllo del suo corpo ma svenne di nuovo.

Clarke stava camminando a passo sostenuto, si ricordava la zona in cui avevano trovato il rifugio ma non se la sentiva di correre, non voleva rischiare di cadere lei stessa. Il vento stava diventando più forte e vedeva gli alberi attorno a se piegarsi sotto la forza delle folate di aria. Sentiva il freddo sulla pelle del viso e attraversarle i vestiti forse troppo leggeri. 
Sentiva il cuore battere a un ritmo forsennato per lo sforzo e per la paura. Per quanto Raven l’avesse rassicurata dicendo che era in contatto con Bellamy non poteva fare a meno di pensare che stesse peggio di quanto aveva detto, con tutte le sue forze tentava di sedare la paura irrazionale che tentava di sommergerla. 
Non poteva succedere, non poteva farcela senza Bellamy.
Quando arrivò nella zona in cui sapeva che si trovava il rifugio si fermò. Non riusciva a riconoscere con precisione i riferimenti. Era nel punto giusto? non riusciva a vedere nulla, venne presa dal panico: e se non fosse riuscito a trovarlo, se la zone era sbagliata?.
Un rumore attrasse la sua attenzione. Un clangore, un tonfo ripetuto. Chiuse gli occhi cercando di isolarlo in mezzo al frastuono del temporale che si stava avvicinando. Arrivava dalla sua destra. 
Si slanciò verso quel suono aggrappandosi alla speranza che la portasse al rifugio.
Era un suono irregolare. Clarke camminava con circospezione, osservando il terreno cercando di capire da dove provenisse. Poi vide con la coda dell’occhio un movimento, si girò di scatto. Un tonfo.
Finalmente vide l’ingresso del rifugio. Una delle due porte, mossa dalla violenza del vento, sbatteva ripetutamente contro il terreno. 
Si slanciò verso quella direzione.
Arrivata sulla soglia vide solo il buio oltre le scale.
“Bellamy!” urlo con tutto il fiato che aveva in gola. 
Non ottenne alcuna risposta, urlò di nuovo con lo stesso risultato.
Di nuovo il panico fece per sommergerla ma lo ricacciò in fondo con tutta la forza che aveva. 
Presa una torcia alogena dallo zaino e scese un paio di scalini. Trascinò dietro di se la porta e la bloccò con una fune. 
Saggiò con attenzione gli scalini. Avrebbe voluto scendere a precipizio ma poteva essere pericoloso.
Il fascio della torcia illuminava di una luce biancastra l’ambiente. Man mano che scendeva cominciava a notare le scaffalature e, alla sua sinistra, notò oltre una porta aperta le gambe di qualcuno.
“Bellamy” urlò di nuovo ma la figura non si mosse.
Tenendosi al corrimano, con il cuore in gola fece gli ultimi gradini.
Appena raggiunse il pavimento si slanciò verso di lui.
Lo riconobbe subito, era lui, si sentì attraversata subito da un moto di sollievo.
Vide il lato del viso del ragazzo gonfio. Sentì subito le pulsazioni accanto alla gola. Cercò il suo respiro e quando lo sentì delle lacrime liberatorie che non sapeva di aver trattenuto fino a quel momento si sciolsero sul suo viso. 
Era vivo.

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NOTA: Finalmente ci siamo….con il prossimo aggiornamento entriamo negli ultimi 3 capitoli, il centro di tutta questa storia, quindi è ora che ringrazi di cuore tutti quelli che mi hanno seguito fino ad ora, chi ha messo questa storia fra i preferiti, ricordati e seguiti, chi capitolo dopo capitolo ha scelto di lasciare un proprio commento. Vi ringrazio di cuore, sono contenta di essere riuscita a raggiungervi con la mia storia. Spero di ripagare la vostra pazienza proprio con questi tre capitoli dove la mia visione del rapporto fra Bellamy e Clarke mostrerà il lato che tutti aspettate. Mi rendo conto che rispetto magari ad altre Fan Fiction questo avvicinamento è stato lento ma il loro rapporto non è nato per essere “romantico”, è nato da un rapporto di fiducia e rispetto reciproco. Spesso, riuscire a scardinare determinate paure, accorgersi che c’è un’attrazione oltre all’amicizia, è difficile da accettare perché significa fare un salto nel vuoto rischiando di perdere ogni cosa…
spero con tutto il cuore che in questi ultimi capitoli troviate il Bellarke che vorreste vedere. 
Grazie ancora a tutti e scusate questa nota così lunga a questo punto ma non volevo che le mie fredde notarelle a fine capitolo vi distogliessero dalle sensazione post lettura ☺…spero di leggere i vostri commenti a fine storia soprattutto per capire, una volta arrivati alla fine, quali sono stati i punti deboli dell’intera FF e i punti forti per poter proporvi, magari in un futuro prossimo, una FF ancora più intensa ☺ 

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Capitolo 22
*** Capitolo 22 ***


CAPITOLO 22

Credeva di galleggiare, la percezione del suo corpo sembrava ovattata, aveva la testa leggera. Si sentiva cullato dal buio che lo circondava. Stava dormendo o era sveglio?
Era disorientato.
Lentamente aprì gli occhi, non riconosceva quel soffitto grigio rischiarato debolmente da una luce, non era simile a nessun luogo che conosceva. Dov’era?
Respirò lentamente, un leggero dolore sordo lo colse alle costole.
Cominciò a ricordare. Girò il viso verso la fonte di luce. 
Una figura era accovacciata vicino a lui, le ginocchia piegate, trattenute fra le braccia, il suo viso era in penombra eppure avrebbe riconosciuto quella corona dorata di capelli che le incorniciava il viso dappertutto. 
Clarke!
Era riuscita a raggiungerlo ed era lì con lui.
Un sorriso si aprì sul suo viso. 
Tentò di tirarsi su a sedere, ma il movimento allertò la ragazza che si avvicinò subito.
La ragazza gli sorrise anche se il suo volto era tirato dalla preoccupazione. 
Allungò una mano verso il suo braccio.
“Con calma!” 
Bellamy si lasciò aiutare mentre tentava di mettersi seduto. 
Provò a ringraziarla ma la sua voce non rispondeva ai suoi comandi, sentiva solo la bocca impastata.
“Bevi” disse Clarke porgendogli una tazza.
Bellamy rispose con un breve sorriso e bevve grato.
Era una tisana dal vago sapore di menta.
Ricordò Laudria e la tisana che aveva bevuto solo il giorno prima.
“Laudria?” chiese quindi mostrando la tazza.
Clarke sorrise e annuì. 
“Si! ho imparato da lei e mi sono portata dietro un po’ di erbe per ogni evenienza e a quanto sembra è servita. Come stai?”
“Per uno che, come un’idiota, è caduto dalle scale direi bene, stranamente non sento molto dolore” .
“Quello grazie a una generosa dose di antidolorifici” rispose Clarke sorridendo.
Bellamy annusò l’aria e sentì un odore pungente vicino al viso.
“Che odore è questo?” chiese
“Arnica, te ne ho spalmata un bel po’ sul bozzo in testa e sulla caviglia. Sempre un regalo di Laudria.” Rispose la ragazza.
“Quanto sono stato svenuto?”
“Un paio di ore”
“La tempesta?”
“Ha cominciato poco dopo che ti ho trascinato qui dentro.” Rispose Clarke.
Bellamy osservò la stanza, un paio di brande, un tavolino e poco altro. 
“Posticino carino” disse.
“Già” rispose la ragazza.
Si accorsero entrambi di quanto le loro parole fossero forzate. Erano chiusi lì dentro e tutto quello che era rimasto in sospeso stava creando un muro invisibile. 
Sarebbero stati in grado di abbatterlo?
I minuti scorrevano, la paura di parlare fra loro.
“Senti..”
“Clarke..”
Cominciarono in simultanea.
“Prima tu!” replicarono nuovamente insieme.
L’assurdità della cosa, il sentirsi quasi come due adolescenti impacciati, loro che avevano visto la morte in faccia più volte e avevano letteralmente guidato eserciti, li fece ridere.
La loro risata spezzò il silenzio, si guardarono negli occhi e dopo settimane si riconobbero di nuovo.
I loro sguardi rimasero incatenati, il silenzio carico di tensione scacciò il ricordo delle risate.
Bellamy allungò una mano verso il viso di Clarke, una carezza sul suo volto.
“Mi sei mancata” disse senza distogliere lo sguardo da lei.
“Anche tu” replicò Clarke trattenendo la mano sul suo viso.
Delle frasi mormorate che raccontavano del loro rapporto. Di tutto quello che erano stati l’uno per l’altro.
Un attimo sospeso, poi Clarke interruppe il contatto come se quella vicinanza fosse insostenibile. Si alzò in piedi e si diresse verso il fondo della stanza. Cominciò a cercare qualcosa e a parlare.
“Avrai fame, ti preparo qualcosa…” 
Bellamy non la stava ascoltando conscio solo di un fatto: era scappata, di nuovo. Questa volta non da se stessa ma da lui, da loro. 
Era un gioco cui non voleva più giocare, poteva accettare qualunque scelta da parte di Clarke, ma non la fuga. Non più. 
Bellamy cercò di alzarsi in piedi ma il dolore alla caviglia lo impedì, irritato si guardò in giro in cerca di un sostegno, dietro di se vide con la coda dell’occhio la brandina. Dopo qualche tentativo riuscì ad avvicinarsi quanto bastava per poter appoggiare la schiena alla struttura in metallo e alleviare la pressione anche sul torace.
Rivolse l’attenzione a Clarke, continuava a dargli la schiena, parlava di cosa avesse fatto quando lui era svenuto, di come l’avesse soccorso, di cosa avesse trovato nel rifugio e cosa avrebbero potuto portare via quando la tempesta si fosse acquietata e fossero arrivati i soccorsi, lui di certo non avrebbe potuto ritornare con le sue gambe al campo Jaha a causa della distorsione alla caviglia.
“Clarke Basta!” sbottò Bellamy stanco di quel chiacchiericcio. 
La giovane si volse di scatto, gli occhi sgranati, turbata di quel tono così fermo che Bellamy non usava mai con lei. 
“Parlami” le disse deciso.
La vide inclinare il viso, osservare a terra poi alzò lo sguardo e annuì. 
Si sedette sulla seconda brandina posta di fronte a quella cui era appoggiato Bellamy, meno di due metri di distanza eppure sembravano lontani miglia. 
Non avevano più bisogno di chiacchere inutili, non c’erano mai state fra loro, adesso era il momento di osare e affrontare il cambiamento che entrambi stavano percependo qualunque fosse stata la conclusione.
“Parlami” le sussurrò Bellamy, una preghiera nella sua voce. Un ordine in quella parola.
“Quando non sei con me” cominciò la ragazza esitante, non osava guardarlo negli occhi “ Ti sento sempre comunque vicino. Il pensiero di cosa tu faresti mi da la forza di agire, di andare avanti. Quando poi ti vedo mi sento protetta, al sicuro. Tu sei l’unica persona che ci sarà sempre, non vuoi niente da me, ma condividi le mie sofferenze. Lenisci le mie ferite e scacci le mie paure con la tua sola presenza.”
Clarke alzò gli occhi e scrutò il volto del ragazzo “Ho paura Bellamy. Ho paura di quello che succederà se…” lasciò le parole in sospeso, consapevole che stavano imboccando una strada senza ritorno.
“Ho paura che non ci sia futuro per noi, di perdere le poche sicurezze che ho trovato”. riprese, esitante “Ho paura che se mi aprissi a te, che se qualcosa dovesse accadere fra noi, sarebbe troppo grande. Mi sento come se, rischiando e amandoti, potrei ridurmi in mille fragili frammenti e perdere me stessa. In questo mondo non me lo posso permettere.” concluse abbassando gli occhi sulle mani. Mai come in quel momento Clarke era parsa così vulnerabile.
Bellamy avrebbe voluto alzarsi, raggiungerla e cullarla eppure era lì incastrato a terra. Come rispondere alle sue parole, come trasmetterle quello che lui stesso provava?
“Anch’io ho paura Clarke. Ogni giorno ho paura che quello che provo per te non sia altro che una scappatoia al quale mi aggrappo perché tutto il resto non ha senso. Eppure non possono arrendermi al fatto che noi siamo solo due anime che ruotano attorno ad uno stesso fato. Non posso arrendermi senza credere che siamo destinati ad altro. Io voglio vivere, non scappare da questa vita” Bellamy s’interruppe, nei suoi occhi la stessa fragilità di Clarke. 
Prese un respiro, si rizzò a sedere e continuò “Clarke, baciami, fai l’amore con me…” levò una mano verso di lei, un invito a raggiugerlo “Capiremo più di mille parole se il nostro destino è lenire la nostra solitudine, trovare conforto per le responsabilità che gravano sulle nostre spalle o, se questo legame, è l’unica cosa reale cui possiamo aggrapparci. E se le nostre anime si ridurranno in mille pezzi, forse si mescoleranno e diverranno una cosa sola.” Bellamy tacque, la sua mano ancora sollevata verso Clarke.
In attesa.
Gli attimi sembrarono minuti poi, la giovane, si alzò e si avvicinò.
Allungò la mano verso di lui, una stretta, una promessa.
Bellamy la guidò verso le sue braccia.
Un contatto così diverso ora, una consapevolezza che entrambi non avevano mai avuto. Si guardarono negli occhi, si videro, si sentirono per la prima volta da quando si erano conosciuti. Non più due estranei costretti dallo stesso destino. Ora erano solo due persone, due anime, due corpi e nient’altro.

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Capitolo 23
*** Capitolo 23 ***


CAPITOLO 23
Il tempo sembrò cristallizzarsi mentre i loro sguardi s’intrecciavano, consci di quella vicinanza. Una titubanza, un momento che nemmeno loro riuscivano a comprendere fino in fondo. 
Tra quelle braccia Clarke si sentiva protetta eppure, in quel momento, non era ciò che voleva provare. 
Bellamy gli aveva chiesto di baciarlo e maledizione l’avrebbe fatto.
Si sporse lentamente verso di lui fino a quando le loro labbra non si trovarono.
Quella vicinanza incendiò i loro sensi, fece fremere i loro corpi. 
Clarke cercò un contatto più profondo, Bellamy si aprì a lei, sentì le sue braccia cingerla e stringerla a se.
Intrecciarono le loro lingue, assaporarono le loro bocche liberando tutto il desiderio di cui, fino a quel momento, non erano mai stati del tutto consapevoli. 
Nessun pensiero razionale solo la travolgente tempesta dei loro sensi. 
Bellamy infilò una mano sotto gli strati dei vestiti di Clarke, le sfiorò la schiena. La ragazza emise in gemito, sciogliendo il contatto delle loro labbra.
Si inarcò a quella lieve carezza che, come una scossa elettrica, aveva squassato il suo corpo.
Bellamy sentì Clarke, aprì gli occhi divorati dal desiderio. Il collo reclinato di Clarke, il suo viso rivolto verso l’alto, le sue labbra tumide e semi aperte erano la visione più erotica che avesse mai visto.
Scostò la schiena dalla branda e avvicinò la sua bocca al collo candido della ragazza, lo sfiorò con la lingua, un percorso che fece sussultare Clarke.
Il corpo della ragazza cominciò a muoversi conto di lui.
Il ragazzo non ci pensò un istante, voleva Clarke sotto di se, voleva baciare il suo corpo nudo.
 La trascinò a terra. Infilò il ginocchio fra le sue gambe mentre si impossessava delle sue labbra.
Sentivano i loro cuori battere, i loro corpi vibrare.  
Lasciò scivolare la mano verso la cintura dei pantaloni di Clarke e oltre fino ad accarezzare il centro pulsante del suo piacere. 
Clarke si incurvò a quel contatto, il suo respiro si mozzò mentre assorbiva il calore che la invadeva.
Aprì gli occhi e incontrò gli occhi neri di Bellamy che si beavano della vista del suo corpo, del suo sguardo perso nel piacere di quel contatto. 
Il legame che li aveva sempre uniti deflagrò in tutta la sua potenza raggiungendo la loro anima. Seppero in quell’istante che non avevano più bisogno di nulla se non l’uno dell’altro. 
Bellamy fece scorrere lentamente la mano sul suo corpo. Una carezza che trasformava la tempesta che li aveva avvolti fino a quel momento in una tensione ancora più insopportabile perché ineffabile. 
La sua mano scivolò sulle labbra della ragazza, sfiorò le sue gote, allontanò una ciocca di capelli biondi dal suo viso. 
“Sei bellissima, principessa” sussurrò Bellamy “la cosa più preziosa della mia vita”
Lacrime di commozione spuntarono sul viso della ragazza.
Ecco come ci si sentiva ad essere amata e compresa. Parole le sgorgarono dal cuore
“E io ti appartengo Bell” bisbigliò Clarke prendendo il suo volto fra le mani.
Lo baciò. 
Un contatto dolce come una carezza, intenso come le emozioni che non riuscivano più a trattenere. 
Si baciarono con tenerezza facendo aderire i loro corpi sempre di più fino a quando Clarke si stacco da lui, il viso soffuso dal colore della passione, il respiro affannoso.
“Voglio assaporare il tuo corpo, vederlo, toccarlo” sussurrò sfrontata.
Bellamy sentì un brivido correre lungo il suo corpo.
“Dovrei esplorare io il tuo corpo sempre nascosto al mio sguardo, tu conosci il mio” le bisbigliò roco il ragazzo senza poter trattenere un sorriso.
Ogni disinibizione ormai sciolta.
Clarke non rispose subito, poggiò le sue mani sulle spalle di Bellamy forzandolo a distendersi. “Era diverso, noi eravamo diversi” gli sussurrò.
Bellamy si lasciò guidare fino a quando si trovò steso sulla schiena, i suoi occhi non riuscivano a smettere di osservare il viso di Clarke.
C’era qualcosa di magico nel modo con cui riuscivano a essere in connessione, non si erano lasciati trascinare dall’impellente desiderio fisico che turbinava dentro di loro.
 Non volevano la fuga nella pace dei sensi; volevano ogni cosa, la scoperta, il gioco e, solo alla fine, quando ogni barriera fosse crollata, ogni angolo della loro anima fosse stato messo a nudo, avrebbero lasciato esplodere la passione che li avrebbe uniti.
Clarke lentamente fece scorrere le sue mani su di lui, lo aiutò a togliersi la giacca e il maglione, solo una T-shirt ormai copriva il suo torace.
Le sue mani avevano cominciato a giocare con il bordo della maglietta, sollevandola quanto bastava per accarezzare l’addome sottostante e quel punto esatto in cui terminava il bordo dei pantaloni. 
Bellamy si sentì in apnea, mentre tutto il suo corpo fremeva da quel lieve, impalabile contatto. 
Credette di impazzire quando Clarke appoggiò le sue labbra su quella striscia di pelle, la sua lingua faceva lo stesso percorso delle dita. In quel momento Bellamy avrebbe voluto trascinarla verso di se assaggiare quella stessa lingua, entrare dentro di lei. 
Strinse le mani a pugno per non sfiorarla e la lasciò fare. Lo sguardo di Clarke concentrato sul suo viso, lo scrutava con malizia, era consapevole di ciò che stava facendo al suo corpo.
Gli sorrideva impertinente.
Per lunghi minuti continuò la sua esplorazione, dove prima passavano le mani ad alzare la maglietta poi passava la sua bocca.
Esplorò ogni centimetro del suo torso, tracciando con la lingua i solchi dei suoi addominali, la forma dei suoi pettorali.
Clarke si divertì facendolo ansimare quando le labbra prima, i suoi denti poi, cominciarono a giocare con i capezzoli.
Si stacco da lui solo il tempo di toglierli finalmente la maglietta. 
La ragazza si beò della vista del fisico scolpito di Bellamy. L’aveva già notato in passato, ma era stato uno sguardo disinteressato. Ora il solo godere di quella visione accendeva i suoi sensi. 
Bellamy notò la passione negli occhi di Clarke e il frenetico desiderio di toccarla superò ogni limite.
“Voglio toccarti” le disse mentre convulsamente le sfilava le maglie.
Bellamy rimase incantato dalla vista delle nudità di Clarke, era così perfetta in ogni sua forma. La luce fioca delle lanterne dietro di loro giocava con le ombre trasformando la pelle di Clarke in velluto. 
Lasciò che le sue mani scorressero sul corpo della ragazza, godendosi ogni fremito . Accarezzò i suoi seni ma ormai nulla bastava voleva baciarli come lei aveva fatto prima con lui. Circondò con le mani i fianchi di Clarke, la spostò sopra di se a cavalcioni.
I pantaloni erano ancora una barriera ma entrambi sentirono la potenza del contatto, promessa del piacere futuro.
Bellamy continuò la sua esplorazione, trasse a se Clarke per poter baciare le sue spalle, il suo collo e i suoi seni.
Ormai non avevano più controllo sulle loro azioni, toccavano, sfioravano, baciavano ovunque potessero arrivare, i loro respiri ansimanti e i loro gemiti rimbombavano fra le pareti del rifugio. 
Con febbricitante impazienza cominciarono a togliere gli ultimi indumenti che li separavano.
Ora ogni parte del loro corpo poteva sfiorare senza barriera il partner, toccare, saggiare, accarezzare in un tentativo folle di diventare l’uno parte dell’altro.
Il ritmico movimento del bacino di Clarke ormai persa nella passione stava portando Bellamy ogni oltre limite.
“Ti voglio Clarke” riuscì solo a sussurrare. Si avventò sulla sua bocca trascinandola di slanciò sotto di se.
Continuarono a baciarsi mentre il contatto fra i loro corpi si faceva sempre più intenso e appassionato.
Entrambi erano ormai stavano raggiungendo il culmine, non potevano più resistere al desiderio divorante che riempiva ogni fibra del loro essere.
I loro corpi caldi erano velati dal sudore, le loro carni bruciavano dal desiderio. 
Bellamy staccò la sua bocca da quella di Clarke, puntò i gomiti quanto bastava per poterla osservare nuovamente.
Si guardarono, videro le loro anime.
Bellamy fece scivolare la sua virilità fra le gambe umide di passione di Clarke, stuzzicando il nodo del piacere della ragazza.
Le dita di Bellamy s’intrecciarono fra i capelli di Clarke mentre quest’ultima si inarcava contro di lui. Le mani di lei si aggrappavano alla schiena di Bellamy intensificando il piacere che vibrava ad ogni movimento.
“Non scapperai Clarke?”  sussurrò roco Bellamy continuando quella lenta tortura.
“No, non scapperò” rispose in un singulto Clarke mentre sentiva la sua anima, il suo corpo riempirsi di un fuoco mai provato prima.
“Sarai sempre mia Principessa?” 
“Si Bell, sarò sempre tua” mormorò Clarke gettando il capo all’indietro, mentre il suo corpo si muoveva smanioso.
Bellamy intensificò quel contatto e lentamente lasciò che la sua virilità riempisse Clarke.
Le gambe della ragazza s’intrecciarono attorno ai fianchi di Bellamy rafforzando il contatto, lasciando che i loro corpi si unissero e si mescolassero in un tutt’uno.
I loro ansiti e gemiti riempirono la stanza mentre le spinte di Bellamy divennero sempre più ritmate e potenti.
Nulla avrebbe potuto fermarli, né il dolore del corpo di Bellamy, né le paure ormai spazzate via dalla bellezza di quell’unione che finalmente riusciva a riempire un vuoto che entrambi non sapevano nemmeno di avere.
Si erano trovati, le loro anime si erano incontrare e non si sarebbero mai più lasciate.
Vennero assieme e le loro anime si ruppero in mille frammenti.
I loro corpi non esistevano più. 
L’estasi del momento li aveva catapultati per alcuni istanti in una bolla nell’infinito. 
Giacquero inermi l’uno nelle braccia dell’altro, i loro respiri affannosi si mescolavano. Inconsapevoli del mondo che li circondava, proiettati all’interno di se stessi. 

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Capitolo 24
*** Capitolo 24 ***


CAPITOLO 24

Uno strano ronzio di sottofondo svegliò Bellamy, era la radio, un suono inconfondibile, una sveglia che aveva sentito spesso nelle settimane e nei mesi passati, ma ora tutto era cambiato. 
Sentì il peso di Clarke fra le sue braccia, sul suo corpo. 
Un peso che lo faceva sentire vivo e in pace con se stesso.
Reclinò di lato il capo per poterla ammirare durante il sonno.
La testa di Clarke era posata sul suo torace, un braccio cingeva il resto mentre una gamba piegata era stesa sulle sue gambe. Il calore del suo corpo lo riempiva di un dolce tepore. 
Scrutò il suo volto nel sonno, era così sereno, un velato sorriso era dipinto sulle labbra e i capelli incorniciavano il viso rilassato. 
Bellamy la strinse a se, un abbraccio leggero ma in cui si nascondeva tutto l’amore che provava e il suo desiderio di proteggerla per sempre.
La radio ricominciò a gracchiare, la voce di Raven in sottofondo.
Avrebbe voluto sbatterla contro il muro e far tacere quel rumore molesto, godersi il più a lungo possibile quell’attimo di pace, ma, se loro erano cambiati, nulla del mondo esterno era mutato.
Osservò Clarke, le accarezzò la schiena, un mesto tentativo di svegliarla ma sembrava che la ragazza fosse crollata in un sonno profondo.
Il suo cuore si allargò di piacere a quel pensiero. 
Cominciò a stuzzicarla, facendole il solletico, soffiando sulle ciocche dei suoi capelli e sul suo viso. Vide la ragazza arricciare il naso, scostare il capo per sistemarsi meglio nell’incavo del suo braccio, mosse la gamba cercando una posizione più confortevole che risvegliò il desiderio mai sopito di Bellamy.
La radio continuava a gracchiare in sottofondo. In quel momento avrebbe voluto che tacesse per poter continuare a dedicare tutte le sue attenzione a Clarke, ma il dovere, il fottuto dovere, chiamava.
“Principessa?” sussurrò Bellamy mentre la scrollava piano “Sveglia!”

Clarke mugugnò senza alcuna intenzione di spostarsi o svegliarsi. Beandosi il più possibile del calore e della vicinanza di Bellamy.
Si era svegliata sentendo la radio ma da subito era stata consapevole di essere fra le braccia di Bell. 
Nulla l’avrebbe spostata da lì. 
Aveva assaporato ogni tentativo di Bellamy di svegliarla, lei stessa aveva scoperto con lui un lato malizioso e giocoso che non sapeva di possedere. Aveva allungato la gamba sfiorando la virilità del ragazzo, aveva gioito dentro di se quando aveva percepito il cuore del ragazzo accelerare e il suo respiro farsi più pesante. 
Ma quella stronza di radio aveva di nuovo richiamato entrambi alla realtà, Bellamy la stava chiamando e, lei, seppure a malincuore, doveva svegliarsi.
La notte precedente aveva temuto che il loro rapporto si sarebbe incrinato se avessero lasciato spazio a quello che albergava nel profondo della loro anima. Era terrorizzata da quello che sarebbe successo dopo, l’impaccio, la consapevolezza che poteva essere stato un errore. Ora il suo unico desiderio era che quella radio la smettesse di disturbarli. 
Avevano appena cominciato a conoscersi, nulla di quello che avevano costruito nei mesi passati era andato perso. 
Qualcosa di ancora più profondo era nato fra di loro. 
Un legame dal quale entrambi potevano attingere la loro forza e che li aveva resi ancora più consapevoli di se stessi e della vita che volevano vivere.
“Sveglia pigrona” le sussurrò Bellamy.
Clarke bofonchiò, strofinò il suo corpo contro quello di lui, aprì gli occhi e sollevo il viso verso di lui.
Quando i loro sguardi s’incrociarono Clarke sentì le proverbiali farfalle nello stomaco, non era un sogno. Il desiderio che leggeva negli occhi di Bellamy, l’amore profondo nei suoi confronti, fece sussultare il suo cuore.
“Buongiorno” sussurrò Clarke lasciando che un sorriso si aprisse sul suo viso.
Bellamy rimase incantato da quella vista.
 Quel sorriso così franco e sincero era il regalo più bello che Clarke gli potesse fare. Non c’erano fantasmi in quegli occhi.
“Ben svegliata principessa” mormorò Bellamy accarezzandole il viso. 
Clarke si sporse verso di lui, un bacio leggero e un sorriso. Gesti impulsivi, che più di ogni altra cosa, evidenziavano la profondità del rapporto che ormai esisteva fra loro.
La radio ormai un ronzio che faceva da sottofondo ai loro sguardi, alle mille parole che i loro occhi e le lievi carezze dicevano. Parlavano di un’intimità trovata, non solo di corpi ma di anime. 
Sciolsero l’abbraccio che li legava quando si resero conto che orami non potevano snobbare la radio. 
Raven aveva tentato in tutti i modi di mettersi in comunicazione con loro, blandendoli, scherzando, canticchiando una canzone del risveglio ma quando il tono delle sue parole era virato verso il preoccupato avevano deciso a malincuore di rispondere.
Clarke si era spostata quanto bastava per recuperare la radio, subito dopo però si era nuovamente accoccolata fra le braccia di Bellamy.
“Eccoci Raven, stavamo dormendo” disse Clarke aprendo la comunicazione.
“Finalmente, mi stavo preoccupando” rispose subito Raven “Se avete dormito significa che state bene” 
“Si, si” rispose la ragazza mentre il suo respiro le si mozzò in gola. Bellamy al suo fianco era poggiato su un gomito e si stava divertendo a far passeggiare le  dita sulla pelle nuda Clarke, percorsi concentri sui suoi seni, attorno al suo ombelico e verso il basso ventre.
La ragazza allungò la mano e lo fermò guardandolo con occhi sgranati, tentavano di ammonirlo ma Bellamy le sorrise sfrontato, aprì la mano e appoggiò il palmo poco sotto l’ombelico. Sembrava una resa fino a quando Clarke non percepì la lieve carezza, più simile a un erotica tortura,  del dito medio del ragazzo al limite della sua femminilità.
Clarke si umettò le labbra aride, conscia delle sensazioni conturbanti di quel semplice tocco. Gli occhi di Bellamy si spostarono sulle sue labbra e fu la volta del ragazzo sgranare gli occhi.
Clarke si stava facendo passare la lingua sulle labbra pregustando un godimento che solo lei sembrava conoscere. 
Entrambi erano nuovamente dimentichi della radio e della comunicazione con Raven, consapevoli solo delle vibrazioni del loro corpo e della passione che si stava accendendo.
“Ragazzi ci siete?” la voce alla ricetrasmittente spezzò l’incantesimo che i loro sensi stavano tessendo.
Clarke osservò la radio fra le mani come un oggetto estraneo, avrebbe voluto gettarlo lontano. Cancellare qualunque comunicazione per potersi dedicare a Bellamy, ma il senso del dovere la riportò con i piedi per terra. 
Il ragazzo percepì il cambiamento e fermò il gioco sensuale sul corpo della ragazza senza però spostare la mano.
Un gesto d’intimo possesso che la fece fremere 
Gli occhi di Bellamy la scrutarono, una promessa nello sguardo.
La ragazza voleva interrompere la comunicazione il prima possibile per ricominciare da dove si erano interrotti.
“Si scusa Raven ci siamo, come va lì” chiese quindi.
“Qui tutto ok, la tempesta non ha fatto danni, per fortuna non ha nevicato, solo una forte pioggia, com’è la situazione da voi? Lincoln dice che i sentieri dovrebbero essere praticabili e in un paio di ore potrebbero essere su con la barella se serve a Bellamy”
Clarke si rese conto delle implicazioni delle parole di Raven e non seppe cosa rispondere.
Guardò Bellamy, anche lui aveva capito.
Con la distorsione non poteva camminare, non in un sentiero di montagna senza rischiare di farsi male seriamente quindi avrebbero dovuto chiamare i soccorsi, ma sarebbero arrivati in un paio di ore.
Troppo presto. 
Nessuno dei due era pronto a tornare al campo ma non riusciva a formulare una scusa plausibile per prendere più tempo. 
Clarke si sentì senza via di uscita, per l’ennesima volta. 
Da quando suo padre era morto, da quando era stata imprigionata non aveva più avuto una vita, una via di fuga e la Terra non le aveva lasciato scampo mettendola continuamente alla prova. Era stanca, non voleva più fare alcuna cosa per sopravvivere, voleva essere la persona che meritava di essere. 
Guardò negli occhi Bellamy e scorse nel suo sguardo la risposta che entrambi avevano trovato. Il ragazzo annuì impercettibilmente. Clarke sorrise e aprì la comunicazione con Raven.
“Sentì Raven, non servono i soccorritori” disse quindi
“Bellamy allora sta bene” chiese Raven.
“No, avrà bisogno di qualche giorno di riposo” poi Clarke prese un respiro “Abbiamo deciso di rimanere ancora un po’ qua, fino a quando non si sarà ristabilito”
“Siete sicuri, i soccorritori sono pronti a partire”
“No Raven, forse non sono stata chiara, noi vogliamo stare qui da soli, ci prendiamo una vacanza.”
Ecco l’aveva detto, pensò Clarke e non si tornava più indietro.
Il silenzio alla radio durò solo alcuni istanti.
“Beh, che dire, buon divertimento ma fatevi sentire ogni tanto, giusto per farci sapere che è tutto ok”
“Si certo”
“Ok e… ragazzi...sono contenta per voi”
Clarke sentì le lacrime pungerle gli occhi, Raven più di tutti aveva sofferto e per lungo tempo aveva guardato a Clarke con odio.
“Grazie Raven” riuscì solo a dire.
“Lo meritate Clarke, e ora vi lascio a quello che…beh voi sapete a cosa…io devo andare a riscuotere una scommessa” rispose la ragazza poi prima che la comunicazione si chiudesse del tutto Bellamy e Clarke sentirò Raven intonare la marcia nuziale.
Si sorrisero perplessi dalle parole di Raven, scrollarono le spalle disinteressanti.
Consapevoli che da quel momento avrebbero potuto vivere la loro vita e non solo sopravvivere ad essa. La terra era diventata per entrambi la loro nuova casa qualunque cosa questo implicasse.
Niente li avrebbe più fermati perché ormai erano diventati una cosa sola.
Clarke gettò la radio di lato, si avvicinò a Bellamy e lo baciò.
Fu il bacio di due anime che si erano trovate e non avevano più paura di affrontare il futuro.
 
FINE

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NOTA: credo che una nota sia doverosa, sopratutto perchè, con questo capitolo questa Fan Fiction termina. Sarà dura schiacciare il tasto "completa" ma è così. Vi ringrazio di cuore per aver seguito, settimana dopo settimana, questa mia storia. Spero che la lettura sia stata un piacevole svago dalla vita quotidiana e che i Clarke e Bellamy di quest'avventura vi abbiano richiamato alla mente quelli della serie TV... alla fine lo scopo di questa FF era anche questo. So che non ho finito con loro quindi c'è la possibilità concreta che vi stresserò ancora quindi questo è solo un arrivederci non un addio anzi...per dirla con parole più nostre "may we meet again"..un bacio a tutti e grazie ancora di avermi seguito. 

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