Turn up the lights

di ValorosaViperaGentile
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** In the dark I feel you close to me ***
Capitolo 2: *** When I'm out of love, I turn and I run. But only you can make it better ***
Capitolo 3: *** There is a lust you understand... ***
Capitolo 4: *** ...and I'm just the same ***
Capitolo 5: *** Blood, Tears & Gold ***



Capitolo 1
*** In the dark I feel you close to me ***


I

In the dark I feel you close to me[1]
 
 
 


 
 
Lei non è come nessuna delle donne da lui amate.

Lei e le sue scarpe basse, le sue gonne al ginocchio, che però diventano cortissime quando esce con le amiche – per farsi guardare le cosce, lo sa perfettamente[2].

È così femmina, come la stessa luna, anche se non apprezza troppo gli uomini, anche se non rade gambe e ascelle.

E gli piace carezzare quella peluria lieve, quasi trasparente – sa che le fa venire i brividi e gli piace, sì, gli piace essere l'unico che può toccarla così.

Lo fa quando sono seduti accanto, a tavola, mentre lei gli parla della sua nuova strana religione[3] ; sul letto, sdraiati sopra le lenzuola che profumano d'alloro[4], nella stanza che ancora dividono; in piedi, vicini, così vicini, quando scorre le dita appena sotto l'orlo della gonna, mentre ballano insieme[5].

Però non la tocca mai dove le altre arrivano, no – è ancora vergine, lei.

La bacia solo, mentre sono illuminati da quella sfera specchiata, che gira e gira sopra di loro.

Sono boschi e monti inesplorati, le sue labbra; è un buco profondo e nerissimo, il dentro della sua bocca che, sirena maligna, lo chiama.

È come perdersi nella notte, con Diana[6].

Ma sogna l'oro sotto gli abiti di sua sorella.

 



Note:

[1] Il titolo di questo capitolo non è altro che una delle strofe della canzone Lights, degli Hurts. Lo stesso vale per il titolo dell'intera raccolta.

[2] Tradizionalmente, Artemide era rappresentata col chitone che arrivava sopra il ginocchio. Ma quell'altezza, rispetto alla moda delle lunghe vesti delle donne greche, può essere paragonata ad una sorta di minigonna dei nostri giorni: ho pensato perciò di optare per un simile compromesso, per questa controparte moderna di Artemide. Le scarpe basse, invece, sono un riferimento ai tipici sandali antichi.

[3] Ho pensato che, qui, Artemide possa essere una wiccan.

[4] L'alloro, pianta sacra ai due fratelli, è anche un ottimo rimedio naturale per allontanare le tarme dagli armadi.

[5] Entrambi, in diversi modi, sono collegati anche alla danza: fanciulli danzano per Apollo durante le Gimnopedìe e le ragazze ballano un po' ovunque per Artemide; Apollo, poi, suona per creare musica adatta alla danza e la sorella balla spesso con le sue compagne
uno dei riti con cui veniva onorata era, per l'appunto, quello della danza, accompagnata dal canto delle sue vergini sacerdotesse. 

[6] Ho scelto il nome romano perché mi pare più moderno, più adatto rispetto alla versione greca.

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Capitolo 2
*** When I'm out of love, I turn and I run. But only you can make it better ***


II

When I'm out of love, I turn and I run. But only you can make it better[1]
 
 
 


 
 
Corrono.

Veloci, come avessero le ali ai piedi e il vento a favore.

Scappano via da quel macello rosso che hanno combinato – insieme, sempre e comunque.

Urlano come fiere, mentre le ginocchia si piegano e alzano le mani al cielo.

Perché li hanno picchiati forte, quei bastardi.

E forse li hanno ammazzati, a furia di colpi: i figli di Niobe alla fine non si muovevano più – li hanno pestati con le mazze da golf rubate al padre[2], e mentre Diana si occupava delle femmine, lui pensava ai maschi. È quanto succede a chi si azzarda a parlar male della loro madre.

Alla fine, stanchi, rallentano e si buttano a sedere sul marciapiede.

Ormai sono così lontani dal casino: attorno a loro, la città continua ad essere intontita, ancora avvolta nelle lenzuola, con l'aria viziata della notte che le pesa sopra gli occhi, pesante cappa che le impedisce di aprire le palpebre.

Nel silenzio che precede l'alba, si abbracciano teneramente, ansanti e sudati.

Ma non è l'adrenalina che fa battere veloce i loro cuori.

 



Note:

[1] Da Nothing Will Be Bigger Than Us degli Hurts.

[2] Poiché si tratta di un Morden!AU, era un po' difficile immaginare Apollo e la sorella con archi alle mani, intenti a prendere a frecciate i figli di Niobe: perciò mi sono concessa una simile libertà.

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Capitolo 3
*** There is a lust you understand... ***


III

There is a lust you understand...[1] 
 
 
 


 
 
Ne aveva avuti tanti, fra ragazzi e ragazze. 

Li amava tutti, fino a che durava. Col cuore, con la bocca e con le dita. Prendendoli e dandosi sino alla fine, con ogni buco – ma poi si spegnevano inevitabilmente, come piccoli fuocherelli, uno dopo l'altro. E di loro non restavano che ricordi di cenere, solo storie in affitto e corpi troppo usati. Amori facili.

E così fruga fra le sue cose, mentre lei è via – la dea della castità, lei che è complicata, invece; lei che è vergine e poi gioca a titillarsi sopra le mutande, con le amiche. È talmente lesbica da non avere nemmeno un paio di pantaloni, sua sorella; sono il suo manifesto, quelle gonne corte: non le interessano le cose degli uomini: è questo che grida al mondo intero, lei che vuole solo mostrare le sue belle gambe lunghe, incolte.

Uno dopo l'altro, esamina gli abiti di Diana, senza grazia, in cerca di un biglietto per il dentro della notte, e cerca fino a quando tira fuori lo straccio più decente di tutto l'armadio – un abito nero un po' lungo, che viene da chissà dove. Se lo mette contro, perché travestirsi non è un problema, per lui che è sopra certe cose, miseri dilemmi morali per poveri mortali.

A casa loro non esistono tabù, tutto è permesso. Perché sono i degni figli del loro padre, quel grande dio che ha la perversione, nelle vene. E neppure lui teme il limite: non c'è bellezza nei confini e l'istinto di superarli lo manda in calore.

Perciò libera i capelli dall'elastico e scuote la testa, gonfiandoli un poco con le dita, come fanno sempre le sue donne dopo il sesso, per rendersi più belle; poi leva tutto e infila quel vestito che calza come un guanto sui fianchi, che lo rende bello come è sua sorella nelle fantasie più ubriache – ma sposta i capelli sul davanti, quando si guarda allo specchio, per coprire ciò che non ha e ride divertito.

Se potesse, si scoperebbe.

Perché funziona così, fra gemelli, che sono una sola divisa in due, un unico corpo, con quattro gambe – umetta le labbra truccate con la lingua zuppa di vino buono, quello che gli ha dato Dionisio, e poi si butta sul suo letto, appena malfermo, respirando i loro odori intimi, prigionieri nelle lenzuola.

Sole e Luna un tempo erano sposi, pensa leccando piano la federa del suo cuscino, sessuale e osceno, lasciando tracce di rosso sul cotone bianco.

Appena torna a casa, magari, le offrirà un nuovo gioco fra ragazze.

 



NOTE:

[1] Come gli altri capitoli, anche questo prende il titolo da una canzone degli Hurts: stavolta tocca a Devotion.

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Capitolo 4
*** ...and I'm just the same ***


IV

...and I'm just the same[1] 
 
 
 


 
 
Una ragazza. 

Bella oltre la perfezione e oscena, con la lingua di fuori e mezza faccia macchiata di rosso.

La fissa, col solletico fra le gambe: è pura, ma non inesperta, e conosce a memoria quel vellichio, sotto le mutande.

Piano, leva i tacchi, una scarpa dopo l'altra, allontanandosi dal cielo una decina di centimetri – fa troppo caldo lì, per essere in Paradiso.


«Che cosa stai facendo?» domanda a quell'opera vivente di carne, modellata dagli orgasmi di un dio esageratamente generoso – una tale bestia prolifica, il loro padre così sessuale.

Chiedere è lecito. È un gioco fra vergini. È un elisir di incesto.


«Sono te» risponde Apollo-ragazza, mentre lei si libera pure della maglia, restando a petto scoperto.

«Puoi essere mia, se vuoi» allora gli concede – e sa quanto lo vuole.

«Per una notte.»

 



NOTE:

[1] Da Devotion degli Hurts: in particolare, è la frase che segue a quella usata nel precedente capitolo come titolo. Potete leggere qui, per intero e in lingua inglese, il testo della canzone.

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Capitolo 5
*** Blood, Tears & Gold ***


V

Blood, Tears & Gold[1] 
 
 
 


 
 
Al presuntuoso caprone ha tolto tutto – non era Pan[2], lui: ora tutti parlano di Marsia, della sua brutta fine: ridotto a un'unica grande ferita, uno strumento di tendini, muscoli e vene in evidenza, da pizzicare per celebrare il dolore.

Non si trovava lì e non ha saputo che a cose concluse, ma la mente vede quel suo corpo peloso, stracciato.

Sfidare suo fratello: che folle pensiero.

Era bravo il vecchio, dicono le ragazze[3], ma Apollo non può perdere: la superbia va punita, la superbia non può essere sconfitta.


Al vincitore spettava potere assoluto – i capelli biondi che ama, così hanno detto, tinti di rosso col sangue della vittoria.

 



NOTE:

[1] Titolo di una canzone degli Hurts, dall'albume Happiness del 2010.
[2] Anche Pan si misurò con Apollo, ma la loro fu una sfida amichevole, senza ripercussioni per Pan – l'unico a pagarne le conseguenze fu Mida, il famoso sovrano dal tocco d'oro, che ebbe per punizione due orecchie asinine. Qui potete brevemente leggere i miti relativi alle gare musicali di Apollo.
[3] Le Muse: in questa mia rivisitazione, a metà fra l'esser amiche e fan – in stile groupie – del divino protettore della musica, qui novello Mozart.

 
***

SPAZIO DELL'AUTRICE:

Questa drabble è stata scritta per Drabbleggiamo?, contest organizzato sul forum di Efp da Grazianaarena.

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