~ Paradise

di Symphoniies
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Desdemona. ***
Capitolo 2: *** Rosso pomodoro. ***
Capitolo 3: *** Attacchi animali. ***



Capitolo 1
*** Desdemona. ***














DESDEMONA

-Capitolo uno-












Il vento freddo che entrava dalla finestra spalancata e che si scagliava contro la sua pelle, fece svegliare Damon. Aprì lentamente gli occhi e si guardò intorno. Dalla finestra, oltre all’aria fredda, entravano anche alcuni raggi del sole mattutino. Accanto a lui, Elena, si mosse sotto le lenzuola.
«Buongiorno
» mugugnò, con la voce ancora impastata dal sonno, girandosi verso il vampiro per baciarlo.
«Buongiorno, Elena
» pronunciò il suo nome con un forte accento italiano, rispondendo al bacio e stringendola a sé.
«Che ore sono?
» chiese, sbadigliando.
Il ragazzo girò la testa verso il comodino dove, Elena, qualche settimana prima aveva posto una sveglia digitale di forma rettangolare e nera, «Le sette.»
«Fra poco dobbiamo alzarci..” borbottò lei, facendo un piccola smorfia.
«Possiamo rimanere a letto tutto il giorno, nessuno ce lo impedisce.» sussurrò suadente Damon, iniziando a mordicchiarle il lobo dell’orecchio sinistro.
«No che non possiamo, dobbiamo portare in soffitta gli ultimi scatoloni e iniziare a trasferire le mie cose nella tua stanza.»
Damon avrebbe voluto protestare, ma sapeva benissimo che quando la sua ragazza - sì, gli faceva un po’ strano dirlo o anche solo pensarlo – si intestardiva su qualcosa, era molto difficile farle cambiare idea. «Ok, come vuoi.» acconsentì quindi, «Allora vado a farmi una doccia. Se vuoi seguirmi...»
«Damon!» lo ammonì in modo affettuoso.
«Va bene, ho capito.» annuì, «Non abbiamo tempo.» le fece il verso.
Elena sorrise e lui, tutto felice,  si diresse in bagno. Appena entrato, accese l’acqua della doccia e, raggiunta la temperatura ideale, si infilò sotto. Mentre le gocce d’ acqua calda gli scorrevano lungo il corpo, Damon ripensò a tutto quello che era successo nell’ultimo mese, dopo aver sottratto Stefan dalle grinfie di Klaus.
Non era stato facile trovarli, ma alla fine ce l’avevamo fatta e, li doleva ammetterlo, grazie a Bonnie, erano riusciti a imprigionare Klaus in una specie di gabbia di ghiaccio e poi l’avevano nascosto nella cripta nel bosco, lì a Mystic Falls. Dopo un mese in cantina, Stefan era riuscito a riprendere il controllo delle proprie azioni e a ritornare il fratello buono, ma con grande sorpresa di tutti, non era ritornato a stare con Elena.
No, aveva lasciato tutti ed era partito per un viaggio, un viaggio che consentiva nel compiere opere buone per placare il senso di colpa nei confronti delle vittime che aveva massacrato, sottomesso dal desiderio di sangue.
Elena non l’aveva presa molto bene, ma alla fine se ne era fatta una ragione e sì, finalmente dopo tanto tempo, si era innamorata di lui. Il vampiro non ci poteva ancora credere. Molto spesso, di notte, si svegliava, semplicemente per controllare che lei fosse ancora al suo fianco, per controllare che tutto quello che aveva vissuto il giorno prima, non era stato semplicemente un sogno, ma la pura realtà.
Stefan era ancora in viaggio e per questo motivo Damon aveva colto l’occasione di chiedere ad Elena di trasferirsi alla pensione, insieme a quell’emo di suo fratello, purtroppo. Mentre Jeremy dormiva in una delle tante stanze della casa, Elena aveva deciso di trasferirsi nella sua di stanza. Il problema era che la camera di Damon era completamente piena di oggetti, collezionati in quegli ultimi 145 anni, perciò aveva deciso di portare alcuni oggetti non tanto importanti e ingombranti in soffitta, in modo che gli effetti personali della sua “nuova compagna di stanza” potessero essere messi al loro posto.
Damon spense l’acqua e uscì dalla doccia, si avvolse un asciugamano attorno ai fianchi e si posizionò davanti all’enorme specchio che sormontava il lavandino di marmo, pronto a farsi la barba ed iniziare una nuova giornata.
 
Elena
Elena si mise a pancia in su e iniziò a osservare il soffitto bianco della camera di Damon, anzi, si corresse, della loro stanza, mentre lui era ancora sotto alla doccia. Tutta quella situazione le sembrava così irreale. Fino a poco tempo prima, il suo cuore era appartenuto sempre e solo a Stefan. Era sicura dei sentimenti che provava, ma dopo il breve periodo passato affianco a Damon per cercare di ritrovarlo, il suo cuore si era diviso in due parti e infine avevo fatto la sua scelta, cioè, in realtà non l’aveva fatta proprio lei, l’aveva fatta Stefan al posto suo, lasciandola sola. Aveva davvero sofferto, ma Stefan aveva preso la sua decisione e lei aveva dovuto rispettarla. A dire il vero avrebbe dovuto ringraziarlo. Se non forse stato per lui non si sarebbe mai accorta di amare Damon, perché non avremmo mai avuto il coraggio di lasciarsi andare completamente e accettare i suoi sentimenti nei confronti del maggiore dei Salvatore.
Elena fece un respiro profondo e si alzò dal letto. Sbadigliando si diresse verso la grande scrivania di legno  posta al centro della stanza e iniziò ad esaminare alcuni scatoloni. Su ognuno di essi vi era scritta una data. Era impressionante come fosse riuscito a tenerli per tutte quegli anni. Probabilmente ogni oggetto era per lui un prezioso ricordo. Ce n’era uno del 1864, uno degli anni 30 e infine, la ragazza, ne trovò uno degli anni 50. La scatola era di un azzurrino chiaro e straboccava di oggetti. Curiosa, decise di esaminarne alcuni. Forse, in questo modo, sarebbe riuscita a scoprire qualcosa in più su di lui, visto che Damon sembrava sempre restio a raccontarle com’era la sua vita prima del loro incontro.
Aprì così la scatola e iniziò a guardare: una radiolina, una delle prime macchine fotografiche, delle vecchie riviste, un orologio e infine, sotto diversi vestiti, trovò una scatolina di latta rossa, con delle decorazioni argentee. Cercò di aprirla, ma purtroppo aveva una piccola serratura sul davanti e l’unico modo era trovare la chiave apposita. Elena rovistò ancora nella scatola e infine trovò una piccola chiavetta di ferro. Provò ad infilarla nella serratura della scatolina che aveva in mano e girandola questa scattò. Appoggiò la chiavetta appena usata sulla scrivania e facendo molta attenzione aprì il cofanetto. All’interno vi era uno specchietto, una fotografia e un ciondolino. Corrugando la fronte, prese in mano la fotografia per osservarla da vicino: era in bianco e nero e raffigurava Damon, con indosso dei jeans e una giacca di pelle - in effetti non era vestito tanto diversamente da adesso e anche la pettinatura era più o meno la stessa - e una ragazza. Carina, pensò. Indossava un abito lungo fino alle ginocchia e la parte sopra del vestito non aveva le spalline. Il punto vita sottile era evidenziato una cintura decorata con un grande fiore al centro e, da come si gonfiava, l’abito doveva essere realizzato in tulle. Peccato non poter vedere il colore. La ragazza era girata sia con il corpo che con il viso verso Damon, si trovava sulle punte e gli stava dando un bacio sulla guancia, mentre lui guardava in macchina sorridente. Sembra felice, notò.
«Si chiamava Desdemona.» Damon comparì alle sue spalle, facendola sussultare.
«Un nome un po’ particolare...»
Girando la foto, si accorse che sul retro vi era scritto qualcosa.
 
“Solo perché non brilli in questo mondo,
non vuol dire che non puoi brillare più di qualsiasi altra cosa
nel mondo di qualcun altro.
Baci Desi”
 
«Già, abbastanza. Sai cosa significa?» chiese lui, prendendole la foto dalle mani.
«Mh, no…» mormorò distratta, focalizzando la sua attenzione sul ciondolino a forma di cuore che si trovava sul fondo del cofanetto, prendendolo in mano. Da vicino poté notare una 'D' incisa in corsivo. Deve essere l’iniziale di Desdemona o di Damon, pensò.
«Significa destino avverso.» rispose.
«Non è un significato poi così…felice.» costatò, notando che il ciondolo si poteva aprire. Al suo interno vi era, da una parte la fotografia di una donna che non doveva avere più di quarant’anni e, dall’altra parte, un fiorellino un po’ essiccato. «Chi è questa donna?» gli chiese, mostrandogli la piccola fotografia in bianco e nero.
«La madre di Desdemona. Si chiamava Alejandra. E’ morta quando lei era molto piccola.»
Annuì, «E questo fiorellino essiccato?»
«Verbena…»
«Verbena!?» ripeté lei stupita, «Quindi sapeva che tu eri un vampiro?»
«No, quel ciondolo non era un mio regalo, l’ha sempre avuto.»
«Ma com’è possibile?»
«E’ una storia lunga, Elena. Magari un giorno te la racconterò. Ora abbiamo altro da fare.»
«Ma…»
«Un giorno Elena…» ripeté lui, interrompendola, rimettendo il ciondolo e la fotografia nella scatoletta, come a volerli proteggere.
«Almeno dimmi che fina ha fatto.»
«E’...» si avvicinò alla porta, poi si bloccò, «Lei è…morta.» sussurrò, uscendo dalla stanza.
Morta. Forse è per questo che non mi vuole parare di lei? Chissà magari erano stati grandi amici e lui aveva sofferto molto per la sua morte. No, mi sembra quasi impossibile. Stefan mi ha raccontato che Damon dopo il 1864 era diventato cattivo, che odiava gli umani e che li uccideva senza scrupoli. Vi era forse stato qualcosa tra loro? D’un tratto, Elena si accorse di volerne sapere di più e se Damon non voleva spiegarle niente, avrebbe fatto ricorso alle maniere forti.
Prese in mano la scatoletta e la richiuse, poi afferrò il cellulare, componendo il numero di Bonnie. Dopo qualche squillo, rispose, «Pronto?»
«Pronto Bonnie, sono Elena. Avrei bisogno di un favore, posso venire a casa tua?»
 
Circa venti minuti dopo, Elena stava percorrendo il vialetto che conduceva verso la casa dell’amica. Per liberarsi di Damon si era inventata che doveva correre al supermercato a comprare gli assorbenti - che alla fine non era del tutto una bugia, perché gli assorbenti le servivano davvero - perciò non aveva poi così tanto tempo. Dal canto suo il vampiro disse che anche lui aveva una cosa importantissima da fare, quindi la ragazza decise di passare prima da Bonnie e poi al supermercato.
«Elena.» Bonnie le si parò davanti prima ancora che potesse bussare alla porta.
«Mi hai spaventata!»
«Scusami.» le sorrise, «Vieni, entra.»
Le piaceva tantissimo la casa di Bonnie, era tutta colorata e profumava di camomilla.
«Allora, hai portato quello che ti ho detto?» le chiese, andando dritta al sodo.
«Sì, però sbrighiamoci. Ho detto a Damon che sarei andata a comprare degli assorbenti, quindi non ho molto tempo.» rispose, prendendo dalla borsa il cofanetto rosso.
Bonnie corrugò la fronte, ma evitò di fare domande sulla parte degli assorbenti, «Posso almeno sapere perché lo fai?» le chiese, iniziando a posizionare delle candele in cerchio sul pavimento.
«A dire il vero non lo so neanche io, ma lui non vuole parlarmi di lei e ho la strana sensazione che mi stia nascondendo qualcosa.»
«E tu vuoi capire cosa.»
«Già...»
«Ok va bene, allora passami la sua foto.»
Elena aprì il cofanetto e le passò la fotografia, «Che cosa intendi farne?»
«La userò insieme al ciondolo per invocare il fantasma di questa ragazza. Come si chiamava…?»
«Desdemona.»
«Sì, ecco, Desdemona. Potrai farle tutte le domande che vuoi.»
«Non si può evitare di bruciare la foto? Non credo che Damon ne sarebbe felice.»
«Non ti preoccupare, finito tutto ritornerà come nuova. Ora, per favore, mi puoi passare qualcosa che appartiene a Damon?»
La ragazza frugò nella borsa e ne estrasse una spazzola, «Tieni.»
«Bene.» annuì l’amica soddisfatta, sedendosi poi sul pavimento e incrociando le gambe. Mise tutti gli oggetti che Elena le aveva dato all’interno nel cerchio di candele accese, posto davanti a lei. Elena appoggiò la borsa sul divano e anche lei si sedette, mettendosi di fronte all’amica, dalla parte opposta del cerchio.
«Perfetto, sono pronta. Ti va di aiutarmi?»
«Certo, che devo fare?»
«Chiudi gli occhi e concentrati su di lei.»
Elena chiuse gli occhi e fece come le era stato detto. Non sia mai di contraddire un strega!
«Terra, ossa e lenzuolo funebre, lasciate che questo spirito venga a me. Inviatemelo in pace, o non lasciatelo oltrepassare le porte della vita.» sussurrò Bonnie, con quella voce così apatica da farle venire i brividi lungo la schiena. Non è che l’idea di richiamare un morto le facesse tanto piacere. Cioè, con tutti film sui fenomeni paranormali che si era guardata, sapeva benissimo che doveva avere almeno un po’ di timore. O, comunque, già il fatto di vivere a Mystic Falls avrebbe dovuto almeno farle venire il dubbio di praticare questo genere di magia. Era, però, la prima volta che Elena la sentiva recitare una formula in una lingua comprensibile e questo un po’ la tranquillizzò.
Ad un tratto un vento gelido entrò dalla porta - finestra del soggiorno, facendo spegnere tutte le candele. Elena aprì gli occhi per lo spavento. Ecco, lo sapevo, pensò con il cuore già in gola. Dopo poco le candele si riaccesero come d’incanto e una figura leggermente sbiadita apparve all’interno del cerchio. La giovane Gilbert alzò lo sguardo per osservarla meglio: davanti  a lei vi era una ragazza in tunica bianca a maniche lunghe, dai lunghi capelli neri e mossi, legati in una treccia, mentre gli occhi verdi, erano incorniciati da delle ciglia folte e nere.
Ci fu un attimo di silenzio, poi la figura parlò, «Tu devi essere Elena. E’ un onore per me conoscerti, io sono Desdemona.»
«Come…come fai a conoscermi?» le chiese, impaurita.
“Oh, io so tutto di te. Allora dimmi, perché mi hai evocato?»
“Pensavo sapessi tutto...» borbottò Elena, cercando di temporeggiare, in modo da riprendersi dallo shock.
“Bè, magari non proprio tutto.» forse fu semplicemente la sua immaginazione, ma le sembrò di vederla arrossire.
Quel gesto la fece sembrare più umana e iniziò a rilassarsi un po’. Dietro di lei, Bon teneva ancora gli occhi chiusi, come se stesse dormendo. «Io volevo sapere cosa è successo tra te e Damon.»
«Ahh, capisco. Quindi semplice curiosità?»
«Bè, sì.»
«Nessuna scintilla di gelosia?» scherzò.
«Perché? Dovrei esserlo?» domandò, scattando sulla difensiva.
«Vorrei ricordarti che tu sei viva, Elena, mentre io sono morta.» mentre le faceva notare l’evidenza, sul volto le si disegnò un’espressione triste.
«Come sei morta?» osò chiedere.
«Per parlarti della mia morte, devo farti vivere quei mesi con Damon come gli ho vissuti io.»
«Cosa intendi?»
«Prendi la mia mano.» allungò una mano verso di lei, ma vedendola tentennare aggiunse, «Ti puoi fidare di me, Elena.»
La ragazza si morse l’interno della guancia destra. Era molto combattuta: da un lato le sarebbe davvero piaciuto scoprire cosa aveva combinato Damon in quegli anni e magari scoprire qualche cosa di nuovo su di lui, ma dall’altro lato, la lunga esperienza dovuta agli incontri con creature sovrannaturali la faceva rimanere un po’ restia a fidarsi del fantasma. Scosse la testa. Non poteva davvero essere così fifona. Si era spinta fin lì per un motivo e ora doveva fidarsi di lei. Non poteva tirarsi indietro. “D’accordo.» Elena fece un respiro profondo e poi le afferrò la mano.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Angolo autore:
Salve a tutti!
Ho deciso di ripostare questa FF per sistemarla, non solo dal punto di vista grammaticale, ma anche per quanto riguarda la storyline. Per cui, se sei già un vecchio lettore, spero che questo ti invogli a rileggere la storia per vedere quali parti o particolari sono stati cambiati. Se, invece, sei un nuovo lettore, ti do il benvenuto e spero che questo primo capitolo ti abbia invogliato a continuare la storia:)
Un bacio!
 

 
 

 

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Capitolo 2
*** Rosso pomodoro. ***


ROSSO POMODORO
-Capitolo due-
 
 
 
 
 
 
 
 
 








Los Angeles, la città degli angeli.
Così dicono, almeno, pensò.
Era in un posto non completamente isolato dal mondo, ma appunto per questo la polizia non si sarebbe insospettita. Insomma, quale assassino sano di mente si sarebbe mai nascosto in un luogo affollato?
Dietro di lui, la sua cena, si stava svegliando.
«Dove sono?» chiese la ragazza, smarrita.
«Ciao, tesoro.» la salutò Damon, girandosi verso di lei e facendole un sorriso sghembo. Aveva paura e questo lo eccitava.
«Cosa vuoi da me?» domandò terrorizzata, alzandosi in piedi anche se con fatica.
«Mangiarti, mi sembra ovvio.»
«C - cosa?»
«Oh, andiamo hai capito benissimo.»
La ragazza non aggiunse altro. Quello che le aveva detto bastava e avanzava per farle capire che era in pericolo. Si girò di scatto e prese a correre. Non sapeva dove si trovava, ma non importava, l’unica cosa che voleva era allontanarsi il più possibile da quell’individuo.
Damon roteò gli occhi e sospirò esasperato. Ogni volta è la stessa storia, inizio a stancarmi, pensò. Anche lui si girò e in un secondo il viso della giovane si trovò a pochi centimetri dal suo. L’afferrò per le spalle e la strinse di più a sé. La vide sgranare gli occhi, mentre una gocciolina di sudore le scendeva lungo il collo. Sorrise. La ragazza continuava a fissarlo. Era davvero carina, doveva ammetterlo. I capelli corti e rossi risaltavano sulla carnagione chiara e sugli occhi color caramello; aveva persino delle lentiggini. Davvero carina, peccato doverla uccidere.
«Come ti chiami?» le chiese, guardandola negli occhi, ricorrendo alla soggiogazione.
«Penelope.» rispose con voce tremante.
«Penelope…troppo lungo, non trovi? Posso chiamati Penny?»
Lei annuì incerta e Damon le sorrise soddisfatto. «Bene, Penny, ora ti dirò cosa faremo. Tu starai qui buona, buona, io berrò il tuo sangue e poi morirai. Ti piace come idea?»
«Bè...»
«Shh.» si portò un dito alle labbra, «Non ti ho mica detto che potevi parlare. Comunque, ti prometto che non sentirai niente, o quasi.» la fece girare e poi le inclinò il collo di lato e lì la vide, vide la lunga vena violacea pulsare. Si inumidì le labbra, sentendo le proprie papille gustative iniziare a ballare la samba.
«Ti prego, abbi pietà.» piagnucolò  Penny, piangendo, «Domani mi devo sposare. Si chiama Eric, c - ci conosciamo da tre anni e ci amiamo. Lasciami andare e ti prometto che non dirò niente a nessuno.»
«Mi dispiace, dolce Penny, ma nessuno ha avuto mai pietà per me e per la storia del matrimonio e del fatto che vi amate, bè, te lo dico per esperienza: lui ti farà soffrire. Fidati, ti sto facendo un favore.» non le diede il tempo di aggiungere altro, aprì la bocca per permettere ai canini di scendere e poi li conficcò dentro il suo collo, iniziando a bere. Bevve come se fosse l’ultima volta che poteva farlo. Bevve fino a prosciugarla del tutto. Una volta sazio, lasciò cadere il corpo inerme della ragazza e si ripulì la bocca, poi si diresse verso la sua auto, prese un recipiente di plastica contenete della benzina e la sparse sul suo corpo ormai privo di vita, tirò fuori dalla tasca del giubbetto di pelle un accendino e con nonchalance diede fuoco al corpo. Rimase a fissare la scena.
La carne che bruciava emanava un odore terribile, ma non riusciva a distogliere lo sguardo dalle fiamme. Era come se stessero danzando ed lui ne era ipnotizzato.
Erano ottantasei anni che era un vampiro, ormai era abituato a uccidere le persone, era nella sua natura e non provava rimorso per quello che faceva. Aveva conosciuto persone, avevo visto luoghi, ma nessuno di quelli era mai stato veramente suo. Chissà, magari Los Angeles poteva diventarlo. Alzò gli occhi, guardando l'alba sorgere. Quante volte l'aveva ammirata, quante volte si ero sentito inutile in confronto a lei. Sì, perché è l’alba che da inizio al giorno, è lei che permette al sole di illuminare le vite umane. Peccato che lui non era più un umano e che ormai la sua vita, come il suo cuore, fossero dediti alle tenebre.
Guardò per l’ultima volta il corpo della ragazza, poi salì in macchina, infilò le chiavi e si accorse che, sul sedile di fianco al suo, vi era un portafoglio. Dove essere di Penny, pensò. Lo prese e iniziò a curiosarci dentro: bigliettini da visita, banconote e la carta d’identità che aprì. Professione: insegnante. A Damon mancava andare a scuola. Le insegnanti, i balli, le ragazze, ma soprattutto il sangue facile. Magari si sarebbe iscritto a una scuola, ma prima doveva trovare un posto dove alloggiare.
Rimise la carta d’identità nel portafoglio e poi lo buttò fuori dal finestrino. Girò le chiavi e mise in moto l’auto.
 
Desdemona
«Desi svegliati sono già le sette e mezza!»
«Mmh.»
«Desdemona, farai tardi a scuola!» urlò di nuovo suo padre.
«Ok, ho capito, sono sveglia!» urlò a sua volta, abbandonando con difficoltà il suo caro lettuccio, dirigendosi in bagno. Arrivata davanti al lavandino, si lavò i denti e la faccia e poi ritornò in camera, per scegliere cosa indossare. Era il dodici settembre, non che primo giorno di scuola. Il sole splendeva e faceva ancora molto caldo. Desdemona aprì l’armadio straboccante di vestiti, indecisa su cosa indossare. Possibile che non ho niente di decente? Già era difficile trovare qualcosa per uscire, per il primo giorno di scuola era pressoché impossibile. Dopo varie prove, decise di indossare dei pantaloncini di jeans chiari, una canottiera bianca, sopra di essa una camicia rossa a pois bianchi e, infine, ai piedi, indossò un paio di converse rosse.
La ragazza ritornò in bagno per spazzolarsi i capelli. Le sue amiche invidiavano la sua chioma nera. Lei, invece, non ci vedeva niente di speciale. Fin dall’età di sei anni, aveva portato i capelli lunghi, quasi fino al fondoschiena ed erano stati sempre mossi e il loro colore nero faceva risaltare i suoi occhi di un color verde smeraldo.
«Desi sei pronta?» chiese urlando suo padre, per l’ennesima volta.
«Sì, due secondi!»
Finì di spazzolarsi i capelli e decise di legarli con un nastro rosso in una coda alta, si mise un po’ di trucco, prese la borsa e poi, in gran fretta, si diresse in cucina. «Ciao papà!» esclamò, dandoli un bacio sulla guancia.
«Tesoro!» rispose lui, sorridendo.
«Adela e Andreas dormono ancora?» chiese, addentando una fetta di pane tostato con la marmellata.
«Sì, loro iniziano alle nove.»
«Ah, già, dimenticavo. Eva, invece? E’ già uscita?»
«Quindici minuti fa è passata a prenderla Josh.»
«Anche Leandro è già uscito?»
«No, eccomi qua.» rispose suo fratello maggiore, entrando in cucina.
«Leo!» esclamò Desi, andandogli incontro e abbracciandolo, «Vero che mi porti a scuola?»
«In realtà...» iniziò lui.
«Ti preeego.» lo supplicò, facendo gli occhi da cucciolo. Leandro sembrò tentennare un po’, così Desi insistette, aggiungendo agli occhi anche il labbro inferiore tremolante. Sapeva che non avrebbe resistito molto e, infatti, dopo poche cedette. «Bene! Ciao papà, ci vediamo questo pomeriggio.» lo salutò, prendendo Leo per il braccio, trascinandolo fuori fino alla macchina.
«Emozionata?» le chiese, mentre la sorella faceva scendere il tettuccio dell’auto.
«Per cosa scusa?»
«Bè, è il tuo ultimo anno di liceo. Mi ricordo che all’ultimo anno io ero tesissimo.»
«Leo hai solo due anni più di me, smettila di fare il sapientone.» lo rimproverò Desdemona, dandogli una pacca sulla spalla destra.
«Ok, hai ragione. Solo…solo non capisco come fai ad essere così tranquilla.»
«Forse perché sono sempre andata bene a scuola a confronto di qualcun altro di mia conoscenza.»
«Touché.»
Entrambi scoppiarono a ridere. Desdemona adoravo Leo, era sempre così gentile con lei. La cosa che le piaceva di più di lui era che in ogni occasione, in ogni situazione aveva sempre il sorriso. Tra loro due vi era un legame molto forte. Non poteva dire la stessa cosa però di sua sorella maggiore, Eva. Da quando loro madre era morta, a mala pena le parlava. Non riusciva proprio a capirla. Ma solo con lei si comportava così, perché con Leo, Andreas e Adela era la sorella migliore del mondo, amorevole e comprensiva. Dopo anni capì che il suo comportamento era dovuto al fatto che le ricordava tanto la mamma. Infatti, Eva, assomigliava molto di più a loro padre: capelli color del grano e lisci come dei fili di seta, occhi azzurri e corporatura abbastanza secca. Insomma, aveva più tette lei!
«Siamo arrivati.» le fece notare Leandro, distogliendola dai suoi pensieri.
«Grazie, Leo.» si sporse per dargli un bacio e poi uscì dall’auto.
«Aspetta un attimo.»
«Sì?»
«Come ti sei conciata?!»
«Cosa intendi dire, Leo?»
«Le camicie non andrebbero allacciate?»
Sorrise divertita, «Ma la tua ragazza non è la prima ma va in giro mezza nuda?»
«Non è la stessa cosa, tu sei mia sorella.»
«Sì e ho diciassette anni. Saprò come vestirmi, o no?»
«Ok, ma…stai attenta. Ci sono troppo ragazzi che ragionano con gli attributi in questa scuola, per i miei gusti.»
Rise, «Stai tranquillo, fratellone!»
Leandro sorrise e poi mise in moto l’auto. Desi ricambiò il sorriso, intenerita dal suo comportamento protettivo e poi si diresse verso l’ingresso, proprio mentre l’ultima campanella finiva di suonare. Guardandosi intorno notò che il cortile era deserto, perciò iniziò a correre. In tredici anni di scuola non aveva mai fatto un ritardo e oggi non poteva permettere che accadesse. Stava per raggiungere le scale che portavano all’ingresso della scuola, quando sentì un rumore di freni. Si girò di scatto e vide una macchina frenare a pochi centimetri dalla sua gamba destra.
«Ehi, ragazzina! Si guarda prima di attraversare!»  gridò il ragazzo che stava guidando l’auto.
«Punto primo: io non sono una ragazzina e punto secondo: sei tu che sei entrato in area pedonale!» urlò lei a sua volta, mettendosi le mani sui fianchi.
«Bè, dovresti stare comunque attenta quando cammini! Se non avessi frenato in tempo ti avrei sicuramente investito!»
Desdemona non rispose, sbuffò e entrò a scuola. Non aveva tempo per quelle cose, era fin troppo in ritardo. A gran velocità raggiunse la sua aula e, per sua fortuna, si accorse che la professoressa di poesia e letteratura non era ancora arrivata. Individuate le sue amiche, Desi si andò a sedere nell’ultimo banco affianco al loro.
«Come mai sei in ritardo?» le chiese Isabelle preoccupata, sistemandosi una ciocca di capelli rossi dietro l’orecchio. I suoi genitori erano entrambi francesi e a Desi piaceva molto il suo accento.
«Scusami Isa, ma mi sono svegliata tardi e, come se non fosse abbastanza uno stupido mi stava per investire. Ciao Fay.» aggiunse, salutando l’altra sua amica, intenta a scarabocchiare con una matita su un foglio di carta. Lei ricambiò il suo saluto con la mano.
«Sei stata quasi investita?! E da chi? Stai bene?»
«Ok, stai calma; una domanda alla volta. Sì, sto bene e no, non so chi sia stato. Dalla voce sembrava un ragazzo.» rispose, tirando fuori dalla borsa alcuni libri e l’astuccio.
«Era carino?» domandò lei, speranzosa.
«Non ne ho la più pallida idea.»
I loro discorsi furono interrotti dall’arrivo di Mrs. Smith, l’insegnate di letteratura e poesia, non che la più antipatica e scorbutica di tutto il corpo docenti. Durante le sue ore dovevi essere una statua: immobile e in silenzio. «Bene ragazzi, sono lieta di annunciarvi che da oggi avremmo in classe un nuovo studente, Damon Salvatore.» disse la donna, indicando un ragazzo alla sua sinistra, «Allora Damon, da dove vieni?» chiese, sedendosi dietro alla cattedra.
«Vengo da una piccola città dell’Oregon.»
Per Desi quella voce aveva qualcosa di famigliare. Dove l’ho già sentita?
«Ma il tuo cognome è di origini italiane, giusto?»
«Giustissimo. La famiglia di mio padre era di Firenze.»
«Capisco. So che ti sei appena trasferito e che quindi non hai ancora i libri, perciò potrai andare a sederti accanto a…a Desdemona. Signorina Coleman, le dispiacerebbe condividere il suo libro di testo per alcuni giorni con il signor Salvatore?»
«Affatto.» rispose, sorridendo.
«Prego, si accomodi.» Mrs. Smith indicò al nuovo arrivato la sedia affianco a quella di Desdemona. Lui le sorrise poi passò tra i banchi, finendo per sedersi affianco a lei. In quel momento, Desi vide Melissa Brown, la ragazza più popolare della scuola, guardarla con disgusto. E pensare che un tempo eravamo grandi amiche, pensò triste.
«Ancora tu?» esclamò il ragazzo, di punto in bianco.
Desdemona si girò verso di lui. Fino a quel momento non era riuscita a vederlo bene in viso. Damon aveva i capelli neri, proprio come i suoi e gli occhi di un azzurro molto chiaro, quasi fossero di ghiaccio. In effetti, però, sembravano davvero di ghiaccio. In quelle iridi non vi era calore, solo un gran gelo.
«Come prego?» chiese lei, confusa. Cosa cavolo stava dicendo? Lei non l’aveva mai visto.
«Non sei il pomodoro gigante che ho quasi investito questa mattina?»
«Cosa?! Tu sei lo strafottente?!»
«Bene ragazzi, silenzio che ora iniziamo la lezione.» disse Mrs. Smith, aprendo il libro di testo, «Oggi ci occuperemo di poesia. Vi faccio una domanda: secondo voi perché scriviamo poesie?»
Melissa alzò la mano, «Perché è carino?»
«Non proprio. Nessun altro?»
Desdemona roteò gli occhi e alzò la mano, «Credo che l’uomo scriva poesie per la stessa ragione per cui fa arte, scrivere libri o canzoni: ha bisogno di esprimere sé stesso. L’uomo è solo un involucro, la sua anima, la sua essenza non può essere non può essere contenuta. Ecco perché scriviamo poesie: per esprime noi stessi. Per essere capiti. Per non sentirci…soli.»
«Risposta esauriente, complimenti signorina Coleman.» la lodò l’insegnate, iniziando poi a scrivere alcune frasi alla lavagna.
«Secchiona.» le sussurrò Damon all’orecchio destro.
Come risposta la ragazza lo guardò male.
«Secchiona, secchiona.» ripeté lui.
«Ma la vuoi finire?!»
«Hey, voi due, fate silenzio!» li ammonì Mrs. Smith.
«Sì, scusi.» borbottò Desi. All’improvviso sentì qualcosa appoggiarsi sulla sua gamba destra e, quando abbassò lo sguardo, vide la mano di Damon fare su e giù sulla sua coscia. «Ma che cavolo stai facendo?!» urlò, alzandosi in piedi.
«Desdemona!» gridò sconcertata l’insegnante.
«M - mi scusi Mrs. Smith, ma…»
«Non voglio sentire altro. Oggi, tu e il signor Salvatore, resterete due ore dopo l’orario scolastico!»
«Ma…»
«Ma un bel niente!»
Desi era stupita. Mai, MAI in tutta la sua vita aveva preso una punizione e ora arrivava quel bell’imbusto e, non solo cercava di ucciderla, ma la metteva pure nei guai. Si girò verso il ragazzo e iniziò a fissarlo con odio. Damon Salvatore…TI ODIO!
In punizione. Io in punizione, pensò. Desdemona non ci poteva ancora credere. Guardò di sottecchi le sue amiche e loro ricambiarono il suo sguardo stupite. La causa dei suoi problemi, invece, se ne stava seduto, anzi oserebbe dire stravaccato, nel posto affianco al suo e stava ridendo, tutto tranquillo, come se non fosse successo nulla.
Decise di ignorarlo. Era l’unico modo per impedire alle sue mani di posarsi sulla sua gola e stringere forte. MOLTO FORTE.  Due minuti che lo conosceva ed era già riuscita ad inquadrarlo: era il classico ragazzo di bell’aspetto, ma marcio dentro. “Tutto fumo e niente arrosto”, avrebbe detto sua nonna.
Per fortuna la lezione passò abbastanza in fretta e, senza badare alle sue amiche, Desi si diresse nel bagno delle ragazze. Entrò sbattendo l’enorme porta blu e si rinchiuse dentro un gabinetto, abbassò la tavoletta e ci si sedette sopra. La ceramica fredda, contro la pelle delle sue gambe bollenti per via della rabbia, le  procurò un certo sollievo che subito scomparve quando ripensò a quello che era successo poco fa.
Tirò un pugno alla porta davanti a sé. Damon Salvatore, ripensò al suo nome, scandendoselo bene in testa. Come aveva potuto? Ok, magari lei era stata un po’ suscettibile e non si sarebbe dovuta arrabbiare così tanto - chissà quante volte si era sentita chiamare secchiona -  ma anche lui la toccatina alla sua coscia poteva evitarla! Odiava le persone viscide e lui era viscido! Cavolo! Quell’anno doveva essere perfetto, non poteva più permettersi scenate come quella di prima. Se voleva lasciare Los Angeles e ricevere una borsa di studio per Harvard, il suo comportamento, come i suoi voti ovviamente, dovevano essere impeccabili. Non che Los Angeles fosse una brutta città, anzi tutt’altro, era caotica, vivace e “colorata”, ma viverci  per lei era un incubo. Non era quel genere di ragazza che andava alle feste e si ubriacava e ballava tutta la notte, come sua sorella maggiore. Desi preferiva rimanere a casa a leggere un libro o a giocare a carte con la sua famiglia. Entrare ad Harvard era il suo sogno fin da quando aveva cinque anni e sua madre le mostrò un articolo di giornale su alcuni studenti. Lì si sarebbe concentrata prettamente sullo studio, in modo da poter diventare un avvocato o comunque una persona di alto livello. Suo padre, però, non era molto d’accordo sul fatto che lasciasse il “nido”, come lo definiva lui e le aveva proposto già diverse volte di frequentare un’università locale insieme alla maggior parte delle sue coetanee, come avrebbero fatto Isa e Fay.
«Desi, sei qui? Stai bene?» Isabelle comparve all’improvviso davanti alla porta del gabinetto.
«Sì, Isa, tutto bene. Non ti preoccupare.»
«Sicura?» chiese di nuovo, non vedendola uscire dal suo nascondiglio.
«Sì, sicura. Un secondo che esco.» chiuse gli occhi e immaginò che tutta la rabbia si trasformasse in un enorme budino al cioccolato, con panna montata e una spruzzatina di cacao e poi lo concentrò tutto nello stomaco. Ispirò profondamente e poi uscì dal bagno sorridendo, come se non fosse successo nulla. «Eccomi!» esclamò felice, cercando di essere il più convincente possibile, «Dov’è Fay?» chiese, provando a sviare la raffica di domande che presto Isa le avrebbe fatto.
«E’ andata a matematica.» le rispose scrutandole il viso in cerca di lacrime o alcuni segni di disperazione, «Cosa che dovremo fare anche noi se non vogliamo prendere un ammonimento dal signor Sulez.» aggiunse poi, rendendosi conto che stava realmente bene.
«No, grazie, quello di prima mi basta e avanza.» prese la borsa e uscì dal bagno, seguita dall’altra.
«Posso almeno sapere perché prima in classe sei scattata come una gazzella inseguita da un leone?» le chiese Isabelle, cercando di starle dietro mentre attraversavano il corridoio gremito di studenti.
«Ma niente di che, davvero. Sono io che sono un po’ nervosa questa mattina.» rispose Desdemona, evitando volontariamente lo sguardo dell’amica.
«Senti.» Isa si bloccò in mezzo al corridoio costringendo così gli altri studenti a girarle attorno per non travolgerla, «Ti conosco da quando non facevamo altro che strillare e farci la pupù addosso, credi che non mi accorga quando menti? Racconta o giuro che non mi muovo di qua!» allargò leggermente le gambe e incrociò le braccia all’altezza del seno.
Desi rimase a fissarla per qualche secondo. I capelli rossi e arricciati all’insù le ricadevano morbidamente sulle spalle, mentre gli occhi azzurri, simili a lapisluzzi, erano fissi nei suoi. La ragazza si guardò intorno notando che alcuni ragazzi si erano girati a fissarle, curiosi. «Ok, va bene, ma intanto andiamo in classe, ci stanno guardando tutti.» sbottò alla fine, prendendo l’amica per un braccio.
Poco prima di arrivare in classe, finì di raccontarle tutto.
«Cosa?!» urlò Isa, spalancando gli occhi, «Un belloccio come Damon Salvatore ci prova con te e tu lo rifiuti facendo l’isterica?!» le sue guance candide avevano lasciato il posto a due pallini rossi, mentre il respiro le era diventato affannoso.
«Lui non ci stava provando, lui...» Desi non completò la frase, incapace di trovare la parola adatta per descrivere il gesto del ragazzo.
«Mi sa che ti devo insegnare a rimorchiare i ragazzi.» dichiarò Isa, sedendosi tra Fay e Desdemona.
Per fortuna durante matematica ci si sedeva a gruppi di tre, quindi la ragazza non correva il rischio di ritrovarsi vicino persone non molto gradite. Mentre il professor Sulez iniziava la lezione, Desi si mise a perlustrare  ogni dettaglio dell’aula e si accorse, con suo grande sollievo, che Damon non seguiva il suo stesso corso, così si rilassò e si concentrò sulla lezione.
Hector Sulez, il suo professore si era trasferito nella loro scuola due anni fa, dopo il divorzio con la moglie. Era un uomo affascinante a suo modo. Ok, aveva cinquanta e passa anni e la pelle flaccida, però questo non voleva dire che da giovane non fosse stato un gran pezzo di ragazzo.
Abbassò lo sguardo sul foglio davanti a sé, poi prese una penna e iniziò a ricopiare quello che il professore aveva appena scritto alla lavagna. Sarebbe stato meglio concentrarsi sulla lezione o sarebbe rimasta indietro.
 
Qualche ora dopo, il primo giorno di scuola era finito e tutti stavano per tornarsene a casa. Tutti tranne lei, ovviamente.
Dopo aver salutato frettolosamente le sue amiche, si diresse verso gli armadietti dei ragazzi dell’ultimo anno per cercare sua sorella Eva, che aveva un anno in più di lei, ma l’anno precedente era stata bocciata.
«Eva!» urlò, fiondandosi al suo fianco.
«Shh.» le intimò, portandosi un dito alle labbra, «Quante volte ti ho detto di non parlarmi a scuola?»
«Ancora con questa storia? Ormai lo sanno tutti che sono tua sorella. Ah, ciao Josh.» girò il viso, salutando il ragazzo di sua sorella che nel frattempo si era avvicinato. Josh giocava a football e quindi era automaticamente un dei ragazzi più popolari della scuola, ma non solo, era anche uno dei più belli. I grandi occhi dorati risaltavano sull’abbronzatura, così come i capelli rossi.
“Ciao De.» ricambiò lui, avvicinandosi a Desdemona dandole un piccolo bacio sulla guancia. Era l’unico che la chiamava così e a lei piaceva. Lui e sua sorella stavano insieme dalla preistoria e per questo lo considerava come un fratello, anche se, doveva ammetterlo, fino a un anno fa era cotta di lui.
Eva circondò i fianchi di Josh con un braccio, possessiva. Come se io potessi portartelo via, pensò.
Anche lui era stato bocciato l’anno precedente, ma non perché andasse male a scuola, semplicemente aveva chiesto al padre di poter ripetere l’anno per stare con Eva. L’amore, proprio. In quel istante un pensiero iniziò a farsi strada nella sua mente: come poteva un ragazzo dolce come lui stare insieme a una scorbutica come sua sorella?
«Allora, mi vuoi dire cosa vuoi?» le chiese Eva spazientita.
«Oggi torno a casa alle quattro; potresti dire a Leo di venirmi a prendere, per favore?»
«E come mai?»
«Io…»e ora chi glielo dice che sono in punizione?
«Tu..?»
«Devo fermarmi, perché sono in punizione.» ammise poi, abbassando lo sguardo imbarazzata.
«Tu cosa?! Non ci posso credere! Miss. Perfezione in punizione!» esclamò sua sorella, tra lo stupore e il divertimento.
«Io non sono perfetta e neanche tu Eva, se è per questo.» alzò lo sguardo e punto gli occhi dritti nei suoi.
«Porta un po’ di rispetto.» pronunciò seria.
«Altrimenti? Cosa mi fai?» domandò Desdemona, provocandola.
Eva stava per replicare, ma Josh fu più svelto, «Forse è meglio se ti incammini verso la macchina, tesoro.»
Eva fissò la sorella con tutto l’odio di cui era capace e poi se ne andò, lasciandola sola con Josh.
«Sai com’è fatta.»
«Già.» scoccò la lingua, «Stai attento, oggi è peggio dell’acido muriatico. Credo sia arrivato quel periodo del mese.» gli fece l’occhiolino, tornando di buon umore.
«Non ti preoccupare De, farò in modo che tuo padre non venga a sapere niente. Gli dirò che ti sei fermata a scuola per un progetto.»
«E come credi di fare?» chiese, ormai rassegnata, «Eva ha la possibilità di infangarmi, non si lascerà scappare questa occasione.»
«Bè, ho i miei metodi.»
I loro sguardi si incontrarono e lui le fece uno strano sorrisetto.
«Oddio!» esclamò Desi, mettendosi una mano sugli occhi, come se avesse visto uno scarafaggio, «Non voglio sapere!»
«Non vuoi sapere cosa?»
«I vostri...» deglutì rumorosamente, «Dettagli INTIMI!»
«Dettagli intimi? De, non hai capito. Intendevo dire che volevo offrirle una cena.» rise Josh, divertito.
«Ah.» arrossì per la figura appena fatta.
«Non ti preoccupare. Ora vado, tua sorella mi sta aspettando e sai che a lei non piace aspettare.»
«Grazie Josh.» istintivamente lo abbracciò, appoggiando la testa sulla sua spalla calda e muscolosa.
Josh ricambiò, «Ci vediamo.» si sciolse dall’abbraccio e si diresse verso l’uscita.
«Oh, che carini.» commentò una finta voce mielosa.
Desi si immobilizzò all’istante.
«No, davvero.» continuò questa, «Se non fosse che lui ha la ragazza sareste proprio una bella coppia o forse siete già amanti?»
Ci fu un attimo di silenzio, in cui i nervi di Desdemona si tesero al massimo. Damon era dietro di lei, ed era sicura che sulle labbra aveva dipinto un sorrisetto compiaciuto. «Quello è il fidanzato di mia sorella Eva e tra noi non c’è proprio niente.» rispose, iniziando a camminare verso l’uscita posteriore della scuola.
«Davvero? Allora tua sorella dovrebbe guardarsi le spalle.» la seguì.
La ragazza strinse forte le dita della mano destra attorno alla spallina della borsa, fino a far diventare le nocche bianche. Non aveva voglia di discutere, così lasciò cadere l’argomento, continuando a camminare verso l’uscita. Era superiore a queste cose.
«Dove si va adesso?» chiese lui.
 «In biblioteca. E per colpa tua dobbiamo fermarci fino alle quattro.»
«Non sai quante ragazze vorrebbero essere al tuo posto.»
«Egocentrico.» sussurrò.
«Cosa?»
«Niente.» mentì, avvicinandosi alla porta della biblioteca. L’avrebbe aperta se Damon non le si fosse parato davanti.
«Ti conviene trattarmi bene, piccola.» disse serio.
I loro occhi si incontrarono e un brivido di freddo attraversò la schiena di Desi. Gli occhi del ragazzo erano diventati più chiari, sembrando quasi bianchi e si erano fatti più freddi, quasi ghiacciati. La ragazza strizzò un po’ gli occhi infastiditi. Era come guardare la neve illuminata dal sole: accecante. L’unica cosa che contrastava quella luce era un alone nero che li circondava.       
«Mi stai minacciando?»
Lui alzò semplicemente le spalle e, con movimenti fluidi e naturali, le aprì la porta. Una volta entrata, Desdemona si avvicinò al bancone dove Beth, la bibliotecaria che aveva qualche anno in più di lei, stava catalogando alcuni libri.
«Ciao Beth.» la salutò, avvicinandosi.
«Desdemona? Cosa ci fai qui?» domandò lei, evidentemente stupita.
«Emm, progetti scolastici.» mentì, cercando di restare sul vago.
«Ma siamo solo al primo giorno di scuola!»
«Eh, lo so.»
«Per me tu studi troppo.»
«E’ quello che le dico sempre anch’io.» disse Damon, intromettendosi nella conversazione.
«E tu saresti…?»
«Damon Salvatore.» con delicatezza prese una sua mano sulla quale poi posò le labbra, «Incantato.»
Bleah!, pensò Desdemona schifata. Schifo che aumentò quando notò che Beth stava lievemente arrossendo e che Damon stava sorridendo, quasi compiaciuto.
Dopo qualche momento di silenzio, la prima a parlare fu la bibliotecaria, «Lavorate insieme?»
«No!» rispose la ragazza velocemente, «E’ nuovo e visto che non ha ancora dei libri gli ho consigliato di venire qui, per iniziare a studiare qualcosina.»
«Capisco.» annuì Beth, continuando a fissare Damon, che nel frattempo si era fiondato sulla macchinetta delle merendine, posta infondo alla stanza. «Bè, allora buon lavoro e se avete bisogno di qualcosa, di qualsiasi cosa, io ci sono.» aggiunse subito dopo.
Chissà perché, ma credo che l’ultima frase non sia indirizzata del tutto a me, pensò. Anche Desdemona si avvicinò alla macchinetta e iniziò a infilarci delle monetine, per poi digitare il codice A-3, corrispondente alle patatine.
«Non sai che quelle vanno dritte sul tuo bel sederino?» le chiese Damon, poggiandosi con una spalla alla macchinetta, sorseggiando una bibita.
«Uno: non osare guardare il mio sedere, due: non credo che questi siano affari tuoi, Damon.» rispose secca.
«Ah, e così ti ricordi il mio nome.» disse compiaciuto.
Fece roteare gli occhi, «E come dimenticare il nome della causa dei miei problemi?»
«Capito.» annuì, come se la ragazza avesse detto qualcosa di giusto, «Lascia che mi presenti meglio. Sono Damon Salvatore, piacere” allungò una mano verso di lei. Desdemona lo guardò a lungo diffidente. «A questo punto tu dovresti dire: piacere mio, io mi chiamo…»
Sospirò, «Io sono Desdemona Coleman.» ricambiò la stretta di mano, «E, mi dispiace, ma dopo tutto quello che hai combinato, per me non è un piacere.»
«Vedo che siamo di pessimo umore.»
«Già...»
“Bè, con il nome che hai, non posso biasimarti.»
«E con questo cosa vorresti dire?» chiese, alzando il volume della voce, facendosi così rimproverare da Beth, che si portò un dito alle labbra. La ragazza le mimò uno “Scusa” poi riportò l’ attenzione su Damon, «Dici a me di nomi strani? Il tuo è un po’ contorto, non trovi? Il nome “Damon” è una variazione del nome “Demon” che equivale a demone, ovvero una creatura maligna, collocata generalmente nel inferno e per questo seguace del diavolo, chiamato comunemente Lucifero, mentre il tuo cognome “Salvatore” dovrebbe stare a simboleggiare una persona buona, che salva qualcuno, ovvero un essere opposto al demone.» Damon rimase zitto, probabilmente non sapeva bene cosa dire, così la ragazza colse l’occasione per toglierselo dai piedi, «Beeene, ora io andrò a sedermi là.» indicò un tavolo, posizionato vicino a una finestra, «Mentre tu andrai laggiù.» questa volta indicò un tavolo che si trovava nel lato opposto della sala, «Non ho niente contro di te, sia chiaro, ma non ti voglio tra i piedi. Non posso permettermi alcuna distrazione, quindi ciao.»
Senza dagli il tempo di replicare, si fiondò verso il tavolo, prese posto  e iniziò a leggere. Napoleone Bonaparte nacque ad Ajaccio, in Corsica, poco più di un anno dopo la stipula del Trattato di Versailles del 1768 con il quale la Repubblica di Genova lasciava mano libera alla Francia in Corsica, che fu così invasa dalle armate di Luigi XV ed annessa al patrimonio personale del Re. Continuò a leggere per altre due ore, finché non iniziò a provare una strana sensazione di disagio. Quel tipo di sensazione che si prova quando qualcuno ti sta fissando. Alzò lo sguardo verso Beth, che era tutta concentrata nel leggere una rivista di gossip, poi girò la testa verso Damon e incontrò il suo sguardo. Non stava sorridendo e continuava a fissarla con quei suoi occhi di ghiaccio anche se l’aveva colto sul fatto. Voleva disturbarla? Bene, non gli avrebbe dato alcuna soddisfazione. Sbuffò e ritornò a leggere. Ormai console a vita, Napoleone era…era in pratica sovrano…Doveva per forza continuare a fissarla? Assoluto della…Francia. Il 18 maggio 18…04 il Senato lo proclamò…imperatore dei francesi e…oh, al diavolo! Si alzò di scatto dalle sedia, chiuse il libro molto rumorosamente, guardò Damon e poi si diresse verso gli scaffali di letteratura inglese. L’unico modo per scacciare la rabbia era leggere Shakespeare. Già, aveva un disperato bisogno di Romeo e Giulietta.
Arrivata davanti allo scaffale, si rese però conto che il libro era stato sistemato su una mensola molto alta. Si guardò intorno e individuata la piccola scaletta di legno andò a prenderla, per poi la sistemarla per bene sotto lo scaffale. Ci salì sopra.  Uno, due, tre, quattro gradini. Desi si allungò un po’, ma non ci arrivò comunque. Possibile che fosse così bassa? Riprovò. Si alzò sulle punte e finalmente riuscì ad afferrare il libro. Quando però riappoggiò completamente un piede sulla scaletta, la sentì traballare. Oh, no! Se ora rimetto giù anche l’altro piede cadrò di certo.
«Serve aiuto?»
 La ragazza girò lentamente la testa, cercando di non muoversi troppo e incontrò lo sguardo divertito di Damon. «No, grazie, posso farcela ben...» non finì la frase. Il muscolo della gamba destra non era riuscito a sostenerla e si era lasciato andare. Per la paura, chiuse gli occhi, ma il suo corpo non toccò mai terra. Si ritrovò invece a mezz’aria, con i piedi sulla scala e con qualcosa che le premeva e la sosteneva sul fondo schiena. Era qualcosa di caldo e sembrava avesse come dei rami.
«Ok, credo che tu la debba smettere con le patatine.» disse Damon, soffocando una risata.
Oddio, pensò, spalancando gli occhi. Non ci poteva credere. Non ci VOLEVA credere. Quella cosa calda che la sosteneva era la sua mano! Aveva la sua mano sulle sue chiappe!
«TOGLI. IMMEDIATAMENTE. LE. TUE. MANI. DAL. MIO. SEDERE.» sibilò, cercando di non alzare la voce.
«Come vuoi.» lui l’accontentò, mollando la presa.
«Ok, rimetti! Rimetti!» gridò Desi, sentendo il suo corpo muoversi all’indietro verso il pavimento.
Per fortuna Damon fu veloce e rimise la mano dove prima l’aveva tolta. «Woow! E’ la prima volta che una ragazza mi chiede di toccarle il sedere.»
«Oh, taci!» disse Desdemona, «E ora aiutami a scendere.»
«Come vuoi, piccola.»
«Protesti smettere di chiamarmi così? Io ho un nome!»
«Va bene, Desdemona.» pronunciò il suo nome con uno strano accento italiano che le fece formicolare tutto il corpo. Ma cosa le prendeva?
Appena si ritrovò a terra, la ragazza si strinse al petto il libro, usandolo come scudo, poi abbassando lo sguardo bofonchiò un “Grazie” e ritornò a sedersi al suo posto, iniziando a leggere, cercando di far sparire il formicolio.
 
Due ore dopo, Desi stava uscendo dalla biblioteca con Damon alle calcagna.
«Vuoi un passaggio piccola?»
«No, grazie, laggiù c’è mio fratello.» rispose secca, indicando la macchina beige di Leo.
«Allora sarà per la prossima volta.» si mise le mani nelle tasche del giubbotto di pelle.
«Non credo proprio.» rise.
«Hai paura?» le chiese, prendendo tra le dita una ciocca di capelli sfuggitale dalla coda.
«No, ma non ci sarà una prossima volta.» allontanò la mano dai suoi capelli, «Ciao Damon.» lo salutò e se ne andò.
«Chi è quello?» le domandò Leo, appena entrata in macchina.
«Nessuno...» rispose lei, buttando un’ultima occhiata a Damon, mentre suo fratello schiacciava sull’acceleratore.
 
Damon
Quella Desdemona era proprio un tipetto tutto pepe. Gli avrebbe di certo dato filo da torcere.
Sarebbe stato divertente vederla cadere ai propri piedi e poi, PUFF, ucciderla.
Intanto, però, aveva bisogno di magiare e quella Beth, bè, lei avrebbe proprio fatto al caso suo.
 
 
 
 
 
 
 





Angolo autore
Buon pomeriggio! Spero davvero che il capitolo vi sia piaciuto.
Se avete qualche consiglio da darmi o nel capitolo trovate qualche errore che mi è sfuggito, fatemelo notare, mi raccomando!
Un bacio!

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Capitolo 3
*** Attacchi animali. ***


ATTACCHI ANIMALI
-Capitolo tre-










«Damon, sei qui?» chiese una voce che tradiva la paura.
«Eccomi Bettany.» rispose, uscendo dal suo nascondiglio, un sorriso sornione dipinto sul volto.
«Te l’ho già detto, chiamami pure Beth.» gli ricordò, accennando un lieve sorriso. Beth fece un passo avanti, spostandosi sotto la luce fioca di un lampione e, anche se vedeva benissimo al buio, Damon si sbalordì del cambiamento che aveva avuto, rispetto all’ultima volta che l’aveva vista in biblioteca. Il giorno prima era una normale bibliotecaria: capelli raccolti in una coda un po’ disordinata, occhiali dalla montatura molto grande, un vestito a quadri verde e blu e infine delle scarpe da ginnastica consumate. Quella sera, invece, si era agghindata proprio bene: i capelli biondo cenere erano stati acconciati in una 'banana' e l’orribile vestito era stato sostituito con un abito blu scuro, con le spalline allacciate dietro al collo, aderente fino alla vita e lungo fino alle ginocchia. Gli occhiali erano spariti, così come le scarpe consumate.
«Che c’è?»
«Niente.» le sorrise, mostrandole i denti bianchi.
«Posso almeno sapere perché ci siamo incontrati qui?» chiese lei, indicando con un gesto della mano il vicolo.
Il vampiro si concesse qualche minuto per osservare il vicolo, così stretto, puzzolente, buio e con la spazzatura ammontata sui lati. «Volevo rimanere solo con te.»
«E non potevamo rimanere soli in un parco?». Era nervosa, lo si poteva notare dal mondo in cui giocherellava con le dita e da come si dondolava sui talloni.
«In un parco non avrei potuto bere il tuo sangue. Non mi piacciono spettatori mentre mangio.»
«C- cosa stai dicendo?» balbettò, incredula.
«Che ti mangerò.»
«Questo è ridicolo! Io me ne vado!» esclamò, stringendo la borsetta al petto, dandogli le spalle.
In un secondo, il ragazzo le fu davanti. L’afferrò per le spalle e la guardò dritta negli occhi. Quella scena gli ricordò molto l’incontro di qualche settimana fa con la ragazza che doveva sposarsi. Come si chiamava? Pen…Pen…Penelope! Penny la carina, pensò.
«Non devi avere paura.»
«Non devo avere paura.» ripeté lei, automaticamente.
«Farai la brava finché non avrò finito.»
«Sì, farò la brava.»
«E poi dimenticherai tutto.»
“Sì.»
Sorrise soddisfatto e, mentre intorno agli occhi le vene iniziarono a gonfiarsi, aprì la bocca mostrando i canini. Poi addentò.
 
 Desdemona
«Buongiorno papà.» salutò la ragazza, sedendosi al tavolo della cucina.
«Ciao tesoro.» le passò una tazza.
«Eva è già andata, vero?”
«Si, ma Leo è in giardino e si è offerto gentilmente di portarti a scuola.» rispose, iniziando a lavare alcuni bicchieri.
«Si è offerto?» domandò scettica, alzando il sopracciglio destro.
«Diciamo che deve già portare Adela a Andreas a scuola e che quindi porta anche te.»
«Ah, ecco, mi sembrava strano.»
«Ciao papà!» i suoi fratellini entrarono in cucina già perfettamente vestiti e con lo zainetto in spalla, «Ciao Desi.» salutarono in coro anche lei.
«Giorno mostriciattoli. Come mai siete già pronti? Avete già fatto colazione?»
«Oggi è il secondo giorno di scuola, non vogliamo fare brutta figura con la maestra.» rispose Adela.
«Abbiamo mangiato dei Pancakes.» aggiunse poi Andreas.
Desdemona sorrise affettuosa ai suo fratellini. Quei due erano davvero “pappa e ciccia”. Era sicura, anzi sicurissima, che anche se non fossero stati gemelli, sarebbero comunque stati migliori amici.  Guardò prima la sua sorellina e poi il suo fratellino: la loro somiglianza era incredibile. Entrambi avevano i capelli biondi come quelli del padre e mossi come quelli della mamma. Avevano la carnagione pallida tipica del padre e gli occhi verdi di loro madre. Erano una combinazione perfetta, un miscuglio. Non come lei, Leandro o Eva.
Desi aveva i capelli scuri e mossi come quelli della madre, così come i suoi occhi verdi smeraldo, la sua stessa carnagione scura e le sue stesse curve. Eva aveva i capelli biondi come del padre, i suoi stessi occhi azzurri e un corpo magro e gracile. Infine, Leandro possedeva la carnagione scura della madre, ma gli occhi, i capelli e la corporatura muscolosa erano quelli del padre. Lei era l’unica della famiglia ad avere i capelli neri. Se non ci fossero state foto della mamma, avrei potuto benissimo pensare di essere stata adottata, pensò.
«Siete pronti?» chiese Leandro entrando in cucina.
«Si, ma se vuoi tu puoi andare a cambiarti.» Desdemona indicò la sua maglietta sporca di olio e terra, i pantaloni stracciati, le scarpe infangate e i capelli spettinati.
«Perché dovrei cambiarmi, scusa?»
«Bè, non so, forse perché sembri un minatore appena uscito da una miniera?»
«Vuoi arrivare a scuola in tempo?»
Sbuffò, «Ok, ma lasciamo giù il tettuccio, almeno l’auto non inizierà a puzzare.»
 
Damon
Devo assolutamente trovarmi  una sistemazione, pensò il ragazzo alzandosi dal sedile dove fino a cinque secondi fa stava dormendo. Si massaggiò un po’ il collo, poi balzò sul sedile anteriore.
Il vampiro sbirciò la propria immagine nello specchietto retrovisore. Sexy, pensò, facendosi l’occhiolino. Si scompigliò un po’ i capelli e poi mise in moto la macchina. Oggi sarebbe stato il suo secondo giorno di scuola.
Avrebbe rivisto la ragazzina tutto pepe, Desdemona. A Stefan sarebbe piaciuta. Sembrava proprio quel tipo di ragazza che avrebbe invitato a ballare in una di quelle feste che suo padre si ostinava a organizzare.
Stefan. Al solo pensiero di suo fratello, involontariamente, pigiò ancora di più il piede sul acceleratore, arrivando a scuola in pochi minuti. Uscì dall’auto sbattendo la porta, infilandosi poi la sua fedele giacca di pelle. La campanella non era ancora suonata, perciò la maggior parte degli studenti erano riuniti nel cortile dinnanzi alla scuola.
Il vampiro si appoggiò alla portiera dell’auto e si mise a osservare un le persone, in attesa di trovare il suo prossimo pasto. Si soprese un po’ di sé stesso per quanto potesse essere freddo e risoluto nella caccia. Trovare la preda, catturarla, ucciderla. Facile, veloce.
La sua attenzione ad un certo punto fu catturata da un luccichio. Girò la testa per vedere meglio e si accorse che a luccicare era un fermacapelli. La sua attenzione, però, non era per quel piccolo oggettino, bensì per il suo possessore. Desdemona, con quella camicia viola chiaro e la gonna celeste, gli ricordava un fiordaliso. La immaginò stesa su un materasso bianco, coperta da lenzuola di seta, con i capelli neri sciolti che risaltavano sul cuscino chiaro e il collo esposto. L’idea di bere il suo sangue lo eccitava parecchio. La gola, al solo pensiero, bruciava lasciandolo quasi senza la forza di poter parlare.
 
Desdemona
Era ora di pranzo e, come tutti gli altri studenti, la ragazza si diresse in mensa. Isa e Fay erano già sedute ad un tavolo.  Le salutò con un cenno della mano e poi si diresse verso il bancone, prendendo un vassoio e mettendosi in fila.
«Ma che meraviglioso fiorellino che siamo oggi.» disse una voce al di sopra della sua spalla.
A Desdemona si rizzarono i peli sulla schiena, «Ti avevo detto di non rivolgermi la parola, Damon.»
«Sì, sì, lo so, ma, ehy, non mi trovi troppo sexy per ignorarmi?»
«Io ti trovo solo estremamente irritante” rispose fredda, senza neanche girarsi per guardarlo.
«Uh, ma che caratterino. Adoro le ragazze sicure di sé.»
«E io adoro quando le persone ascoltano quello che dico.»
«Ma io ti ascolto, Desdemona.»
«Mmh, non credo. Ti do un consiglio: la mattina prima di venire a scuola lavati un le orecchie.» si mosse in avanti e dopo aver preso il suo pranzo e aver pagato il conto, si diresse verso le sue amiche.
«Fermati!» cercò di bloccarla Damon, mettendole una mano sulla spalla.
«Qualche problema?» chiese una voce.
Desi si girò e i suoi occhi incontrarono due enormi iridi dorate, «No, tutto bene, grazie Brayson.»
Il ragazzo annuì. Brayson era  il fratello di Josh, il ragazzo di sua sorella, e anche lui giocava a football. Entrambi avevano gli occhi dorati, ma Brayson aveva i capelli castani e non rossi come Josh.
«Chi sei?» chiese Brayson a Damon.
«Non sono affari tuoi.» rispose l’altro, secco.
«Voleva dire Damon! Lui si chiama Damon Salvatore, è nuovo e mi stava chiedendo un’informazione.» intervenne lei, «L’aula nove è infondo al corridoio, non puoi sbagliare.» aggiunse dopo.
Damon guardò prima la ragazza, poi Brayson e poi di nuovo lei, annuì e se ne andò.
«Sicura di stare bene?» le chiese Brayson.
«Sicurissima Bray. Te l’ho detto, gli serviva solo un’informazione.» gli sorrise.
«Sarà, ma a me quel tizio non piace.»
Lei e Brayson si conoscevano da sempre, ma non avevano mai parlato molto negli ultimi anni. Solo nell’ultimo periodo erano tornati a frequentarsi, visto che quell’estate aveva iniziato a dagli ripetizioni di matematica.
«Com’è sono andati i primi due giorni di scuola?» le chiese, gentile.
«Molto bene, grazie. I tuoi invece?»
«Bè, escludendo il nuovo programma di matematica che è davvero un casino, per il resto è andato tutto bene.»
«Ancora matematica?»
«E già, mi sa che mi dovrai dare altre ripetizioni questo inverno, se no addio diploma.»
Desi sorrise, «Va bene.» acconsentì, «Vuoi sederti con noi a mangiare?» gli propose dopo, indicando il tavolo dove le sue amiche la stavano ancora aspettando.
«Vorrei, ma i miei amici mi stanno aspettando.» rispose lui, guardando un punto oltre la sua spalla.
«Capisco…Allora, ciao.» E così dicendo si allontanò, un po’ dispiaciuta per il rifiuto.
«Desi, ma dov’eri finita?» le chiese Isa, una volta raggiunto il loro tavolo.
«Scusa, c’era una fila.» rispose sospirando.
«Hai letto il giornale questa mattina?»
«Mmh, no, cos’è successo?»
«Beth è stata trovato in un vicolo in fin di vita.» le spiegò.
«Beth? La nostra Beth?»
«Già, Beth.» rispose Fay fredda, intervenendo.
Desi sussultò. Non l’ho nemmeno notata, pensò. Fay era una ragazza carina: aveva gli occhi neri dove a volte sembrava quasi di poterci intravedere dei riflessi viola e portava i capelli anch’essi neri e corti, un taglio molto maschile, strano da vedersi su una ragazza, ma i suoi genitori sembravano non preoccuparsene. Neri erano anche gli indumenti che indossava, che solitamente erano pantaloni e magliette. Non credeva di averla mai vista con una gonna in tutta la sua vita. Forse era proprio per via del suo look che quasi nessuno la notava. Le voleva comunque in gran bene.
«E com’è successo?» domandò, tornando alla conversazione.
«Non si sa ancora bene, ma la polizia pensa sia stato un attacco animale, perché la pelle del collo era letteralmente stata squarciata.»
«E Beth? Adesso come sta?»
«E’ in ospedale in coma.»
«Oh, poverina. Non immagino come dovranno sentirsi i suoi genitori. Magari potremmo andare a trovarla, magari quando si sarà ripresa dal coma.»
«Certo.» acconsentì Isabelle, per poi cambiare subito argomento.
Desdemona, pur ascoltandola, continuava a pensare alla povera Beth e a quello che le era accaduto. Avevano detto che era stato un animale, ma quale animale avrebbe potuto fare una cosa simile ad una persona?
 
«Mia!» gridò Desdemona, con tutto il fiato che aveva nei polmoni. Con un agile scatto si alzò in aria e colpì la palla, facendola cadere proprio davanti a Stacia Knight, cheerleader  e migliore amica di Melissa Brown. Per lo spavento Stacia si spostò di lato, permettendo alla sua squadra di passare in vantaggio.
«Wow Desi, questa era davvero potente!» le sussurrò Isa, avvicinandosi.
«Tutto merito della mia tattica.» rispose lei, orgogliosa.
«Ovvero?”
«Immagino che la palla sia la faccia di MELISSA - APRO - LA - MIA - PORTA - CON - QUALSIASI - TIPO - DI - CHIAVE.» le spiegò, ma ormai la sua amica non la stava più ascoltando. Desi seguì il suo sguardo fino all’altra parte della palestra, quella utilizzata dai maschi, divertita, per poi accorgersi che stava fissando con aria adorante Damon Salvatore. Ma cosa ci trovava di tanto speciale in lui? Oltre ad avere degli occhi stupendi, dei capelli che, sotto tutto quell’ammasso di gel ,dovevano essere morbidi come seta, la labbra scolpite dal dio dell’amore e gli addominali simili a quelli di un adone greco, cosa aveva di così speciale? Oh, no, sto cadendo nella sua trappola da sciupa femmine!, pensò. Desi si impose di distogliere lo sguardo, ma non ci riuscì. I suoi movimenti, la concentrazione che metteva nel muoversi lungo il campo e nel saltare a canestro, le imposero di stare ferma. Ogni muscolo del suo corpo era  rilassato e pervaso da uno strano calore. L’unica cosa che si muovevano erano i suoi occhi. Questi correvano come saette, per non perdere nessuno dei suoi movimenti. Ma cosa mi sta succedendo?
Ormai era passata una settimana dall’inizio della scuola e Damon non le aveva più rivolto la parola da quel giorno in mensa e lei stava bene così, ma era preoccupata per Isabelle. A lei sembrava davvero interessare quel ragazzo.
 
Damon
Correre. Tutto quello che doveva fare era correre con una palla in mano e poi saltare per farla entrare in quel coso che tutti chiamavano canestro. Mentre cercava di far vincere la sua squadra, Damon si accorse di essere osservato. Spostò il suo sguardo a destra e incrociò gli occhi color nocciola della capo cheerleader, Melissa, che fino a qualche minuto prima si stava allenando in una doppia capriola. Gli sorrise maliziosa e lui ricambiò. Poi girò lo sguardo a sinistra e si accorse che a fissarlo era una ragazzina un po’ minuta, dai capelli di un rosso molto acceso, quasi fosforescente, e dagli occhi azzurri. Era uno sguardo di puro desiderio, e lui ormai ne era abituato. Quello che sorprese di più il vampiro, era che c’era una terza ragazza che lo stava fissando, ma non una ragazza qualsiasi: Desdemona, il dolce del suo pranzetto. La ciliegina sulla torta. La ragazza lo stava fissando in uno strano modo, come se dentro di sé stesse avvenendo una battaglia, glielo si leggeva benissimo negli occhi. Era come se non volesse provare qualcosa per lui, come se non volesse ammettere qualcosa, ma prima o poi anche lei avrebbe ceduto, tutte lo facevano. Nessuna ragazza poteva resistergli. Tranne una: Katherine.
Damon si distrasse un secondo e quando i suoi occhi ritornarono su Desdemona, questa era sparita.
Poi si sentì un urlo. Proveniva dalla rossa. Tutti smisero di giocare, perché la loro attenzione fu catturata da un ammasso di capelli neri disteso a terra. Ma che…?
 
Desdemona
Quando aprì gli occhi, Desdemona si accorse di essere circondata da della spesse mura, di un color giallo, simile a quello del piumaggio di un pulcino. Cercò di alzarsi, ma la testa iniziò a girare costringendola a sdraiarsi di nuovo. Dove mi trovo? E da dove proviene questo odore di ammoniaca?
«Bene, ti sei svegliata!» l’infermiera Lance le si avvicinò, porgendole un bicchiere d’acqua.
 «Cosa è successo?» domandò Desi, accentando il bicchiere un po’ confusa. L’unica cosa che ricordo era che stavo fissando Damon, pensò.
«Ti è arrivata una palla da pallavolo in faccia.»
«Cosa?!»
«Stavi giocando a pallavolo e una palla ti ha colpito, sei svenuta e sei stata portata qui in infermeria.» spiegò pazientemente la signora.
«Chi mi ha portato qui?»
«Un certo Salvatore...» rispose distrattamente, iniziando a compilare un modulo.
Desdemona sbarrò gli occhi per la sorpresa. Damon mi ha portato in braccio fino l’infermeria? Ma coma ha fatto?! Ok che non peso molto, ma la palestra si trova dall’altra parte del campus!
«Tutto bene?»
«Emm sì. Mi sa dire che ore sono?»
«Le sei.»
«Cavolo, sono in ritardo!»
«Non si agiti signorina Coleman, ho un messaggio per lei.» l’infermiera le porse un foglietto di carta.
 
Desi,
se stai leggendo questo bigliettino vuol dire che ti
sei svegliata e sei ancora in infermeria.
La tua borsa, con tutti i tuoi oggetti personali,
sono arrivati a casa sani e salvi.
Brayson si è gentilmente offerto (che cavaliere!) di darti un passaggio a casa.
Lui finisce gli allenamenti alle sei e venti. Ti aspetta in palestra.
 
Isa.
 
Ps. Quando incontrerai Damon SONO - UNO -  STRA - FIGO - ANCHE - IN - TUTA Salvatore
dovresti ringraziarlo per averti portata tutta intatta in infermeria
 
Desi si guardò intorno. Effettivamente la sua borsa non c’era.
Con fatica si alzò dal lettino e si lisciò con le mani la maglietta e i pantaloncini della tuta, si liberò i capelli dall’elastico e se li scompigliò un po’.
«Grazie mille signorina Lance” disse in fretta la ragazza, mettendosi a correre per raggiungere la palestra. Dopo dieci minuti di corsa, raggiunse l’enorme edificio. Con il fiatone, aprì la rugginosa e scricchiolante porta rossa. La palestra era illuminata dalle forti luci a neon e vi era puzza di sudore e le opzioni erano due:  

 
  1. Gli allenamenti della squadra di football erano appena finiti.
  2.  A puzzare era lei.
 
La giovane preferì credere nella prima opzione.
Attraversò il campo da gioco e si andò a sedere sugli spalti, in attesa di Brayson, che molto probabilmente si stava facendo la doccia.
«Vedo che ti sei ripresa.»
«Damon?»
«In persona.» rispose il ragazzo, raggiungendola e sedendosi vicino a lei. «Come ti senti?»
«Bene.»
«E..?»
Roteò gli occhi, «Grazie Damon per avermi portato in infermeria.»
«E’ stato l’insegnante che mi ha costretto a farlo, non sentirti speciale.» le fece l’occhiolino.
«Ah, bene.» mormorò, facendo vagare lo sguardo nella stanza.
«Desi?» per fortuna Bray uscì da quel momento dagli spogliatoi, evitando che tra i due potesse cerarsi una situazione imbarazzante.
«Eccomi Brayson!» si alzò per raggiungerlo.
«Aspetta!» esclamò Damon, prendendola per un polso, «Ti va di uscire questo fine settimana?»
«Non ci penso minimamente!»
«Ma...» sembrava stupito della sua risposta.
«Ma un corno!»
«Desi?» chiamò di nuovo Brayson.
«Devo andare.» si liberò dalla sua presa, «A mai più rivederci, Damon Salvatore.»
E così dicendo, Desdemona raggiunse Brayson. «Che voleva ancora quello?» chiese lui, mettendole un braccio intorno alle spalle con fare protettivo.
«Niente.»
 
Una volta a casa, la giovane raggiunse il bagno della sua stanza in gran fretta, facendo lunghe falcate, e quando finalmente arrivò allo specchio posto sopra il lavandino le venne quasi un infarto. Era orribile, quasi come il gobbo di Notre Dame. I capelli nella parte superiore erano tutti appiccicati alla nuca, mentre nella parte inferiore sparavano da tutte le parti, come se avesse infilato due dita nella presa della corrente. Quel poco di trucco che si era messa quella mattina era colato, facendola sembrare un panda. Sul labbro superiore vi era un taglietto, mentre sulla parte destra della sua fronte vi era un bernoccolo gigantesco, circondato da un livido bluastro.
Respirò rumorosamente e iniziò a togliersi la tuta da ginnastica. Annusò la maglietta, poi fece una faccia schifata. Sa di piedi, bleah! Buttò tutto nel cesto dei panni sporchi. Si avvicinò alla vasca, accese l’acqua e, con vigore, ci versò dentro un bel po’ di bagno schiuma, in modo da creare una soffice schiumetta. Una volta raggiunta la temperatura ideale, si immerse. Finalmente il paradiso, pensò beatamente.
La ragazza mandò un’occhiata alla sveglia posta sul ripiano di marmo vicino al lavandino. Le sei e trenta. Bene, ho ancora un mezzoretta per prepararmi prima di cena. Si massaggiò un po’ il collo e poi si immerse completamente nell’acqua, ritornando a pensare a quel pomeriggio. Ma come ha fatto? Come ha fatto Damon a portarmi in infermeria tutto da solo? Oh, piantala Desdemona! Tu non devi avere niente a che fare con quel ragazzo! Smetti di pensare a lui !Immediatamente! Insomma, lo ha fatto e basta!
 
Venti minuti dopo, Desdemona decise di uscire dalla vasca. Una volta fuori, si avvolse in un asciugamano e si diresse in camera. Prima di indossare il suo prezioso pigiamino, si pettinò per bene i capelli.
«Te lo ripeto Leo: devi tenere quel Salvatore lontano da tua sorella e se tu non vuoi collaborare ci penserò io.»
La voce di Brayson le arrivò chiara all’orecchio. Cosa ci faceva ancora lì?
«Bray, non capisco perché dovrei. Non lo conosco neanche.» rispose Leandro.
La giovane si avvicinò all’unica finestra della sua stanza, che dava su un piccolo terrazzino nel retro della casa. Si sdraiò sul pavimento e si mise ad ascoltare.
«Perché non mi fido!» rispose esasperato Brayson.
«Cosa le ha fatto? L’ha picchiata? Insultata?»
«No, ma…»
«Allora non posso farci proprio niente.»
«Ma...»
«Non è che sei geloso?» chiese Leo, ridendo sotto ai baffi.
«Geloso? Io? Di tua sorella?» domandò il ragazzo stupito.
«Sì, proprio tu.»
«Ma ti sei fumato qualcosa?! Io non sono geloso di Desdemona!»
«Ah, no?»
«No!»
«Sicuro? Non è che ti piace?»
Un attimo di esitazione. C’era così silenzio, che a Desi venne paura che potessero sentire il battito del suo cuore. Trattenne il respiro. Dai Brayson, rispondi! Un ricordo si fece strada nella sua mente.
 
«Tesoro, vieni, c’è Brayson!» urlò mia madre dalla cucina.
«Non voglio vedere nessuno!» risposi, dalle scale.
«Desi non fare la maleducata.»
«Io non faccio la maleducata! Non voglio vedere nessuno!»
«Desdemona Coleman, scendi immediatamente o giuro che ti vengo a prendere io!» mi minacciò.
«Ma...»
«Scendi. Subito.»
«Ok, va bene.» risposi sbuffando, «Un secondo.»
Corsi subito in camera, mi guardai un attimo allo specchio e quasi mi venne da piangere. Due settimane prima, all’asilo, avevo preso i pidocchi. Avevo i capelli così lunghi, che mia mamma fu costretta a tagliarmeli tutti a zero. Da quel giorno non ero più uscita da casa volendo evitare tutti, volendo evitare Brayson. Odiavo i maschi. La maggior parte di loro puzzava di terra e pipì, ma Bray no. Lui profumava sempre di biscotti.
A mala voglia afferrai la bandana viola che mia mamma mi aveva appena comprato e me la misi in testa, in modo da nascondere la grande chiazza nera che un tempo costituiva la mia chioma.
«Ciao Brayson.» bofonchiai, tenendo lo sguardo fisso sulle piastrelle della cucina una volta scesa.
«Ciao Desi.» rispose lui allegro, «Ti va di uscire a giocare?»
«Non proprio...»
«Sai, Brayson, Desdemona si vergogna un po’.»
«Mamma!» alzai lo sguardo, ormai appannato dalle lacrime.
Mia madre mi guardò con stupore e, senza darle il tempo di dire qualcosa, ero corsa in camera. Stavo ancora piangendo sul letto quando sentì la porta della mia stanza aprirsi.
«Vattene via, mamma!» gridai.
«Non suo tua mamma, Desi.» Brayson si sedette sul letto, affianco a me.
«Vattene pure tu.» sussurrai.
«Perché ti vergogni?» aveva chiesto innocentemente, ignorandomi.
«Perché sì!»
«La mia mamma dice che “perché sì” non è una risposta.»
Rimasi zitta. L’unica cosa che volevo era che Bray se ne andasse e mi lasciasse sola.
«Allora? Me lo dici?»
«Sono brutta, va bene?!» urlai tirandomi su per guardarlo in faccia.
«Bè, se prima non mi fai vedere, non posso capire se sei brutta o no.»
Ci ragionai un attimo. In effetti non aveva tutti i torti.
«Vuoi vedere?» chiesi.
«Ok.»
Lentamente mi sfilai la bandana. Brayson rimase qualche secondo a fissarmi e poi si mise a ridere.
«Visto! Lo dicevo io che ero brutta!” nascosi la faccia nel cuscino, imbarazzata.
«Io…non r - rido perché…perché s - sei brutta! M - a perché…s - sei buf - ffa!»
«Cattivo!» gli morsicai il braccio.
«Ahio!» si lamentò lui.
«Così impari!»
«Ti odio quando fai così!» disse Brayson con le lacrime agli occhi.
«Tu non puoi odiarmi!» dissi indignata, «Io ti odio!»
Ci fulminammo con lo sguardo per qualche minuto, poi scoppiammo a ridere.
«Desi?» chiese Bray, respirando a fatica.
«Si?»
«Io ti trovo bellissima anche così.»
In quel momento arrossì, ma non mi feci vedere da lui. Ecco, pensai, questo sarà il ragazzo che sposerò.
 
La voce di suo padre che la chiamava per la cena, la destò dai suoi pensieri. Si accorse che i ragazzi non c’erano più così velocemente scese in cucina.
«Dov’è Eva?» chiese la giovane.
«E’ uscita a cena con Josh, in compenso Brayson si ferma a mangiare.»
«Ah.»
“Andresti a chiamarlo? E’ nel capanno con tuo fratello.»
Desi annuì e si incamminò verso il retro della casa, ma si bloccò sulla soglia della stanza del capannone, che Leandro aveva trasformato nella sua officina personale.
«Non mi hai risposto...» Leandro si asciugò la fronte con uno straccio.
«Forse perché non ti posso rispondere.» mormorò Bray, passandogli una chiave inglese.
«Ragazzi?» li chiamò, schiarendosi la gola,  «La cena è pronta.»
«Desdemona!» Brayson sbiancò, «D - da quando sei qui?»
«Sono appena arrivata.»
«Oh.» tirò un sospiro di sollievo.
«Perché?» chiese secca, ricordandosi di quello che aveva sentito prima.
«Così.» rispose Leo, tagliando corto, «Ora andiamo sorellina, ho una fame!»
 
Durante la cena, la ragazza non staccò mai gli occhi da Brayson, non perché non avesse detto quello che provava per lei, sapeva che non poteva piacergli una come…lei, ma non sopportava l’idea che avesse intenzione di “pedinarla” per tenerla lontana da Damon. Insomma, sarà in grado di rifiutarlo da sola o no?
Quanto odiava le persone che decidevano per lei! E poi Damon non stava facendo niente…per ora.






Angolo autore
Buon pomeriggio, girls!
Ecco il nuovo capitolo - un po' in ritardo, mannaggia a me!
Spero che vi sia piaciuto, aspetto con ansia un vostro parere.
Un bacio! 

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