Dear Madness.

di MerasaviaAnderson
(/viewuser.php?uid=383417)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I: L'Accusa. ***
Capitolo 2: *** Capitolo II: Il Processo. ***
Capitolo 3: *** Capitolo III: La Libertà. ***



Capitolo 1
*** Capitolo I: L'Accusa. ***





Dear Madness

Capitolo I:
L’ACCUSA
 
 
Nome: Peeta   ~   Cognome: Mellark.
Stato mentale: mentalmente instabile.
Accusa: Omicidio colposo    ~   di: Katniss Everdeen.
Precedente trattamento di Depistaggio.
“Pazzo”
 
In una sterile camera d’ospedale, seduto s’un letto dalle candide lenzuola, vi era un giovane uomo: gli occhi azzurri come il cielo d’estate erano persi nella bianca parete che s’ergeva dinanzi a lui, che rivolgeva le possenti spalle alla porta, nella vana speranza di non veder entrare nessuno.
Sulla fronte cadeva una cascata di ricci capelli dal color dell’oro, ormai puliti dal precedente sangue che li imbrattava.
Lei è morta.
Le sue grandi mani, con delle grosse vene sporgenti, stringevano i bordi del lettino scomodo, nel tentativo di calmare i tremori e di conseguenza la volontà di distruggere ogni cosa intorno a sé.
Lei è morta.
La porta alle spalle dell’uomo si schiuse lentamente, in un leggero rumore paragonabile al ticchettio di un orologio, e nella stanza fece capolino un altro uomo da un trasandato aspetto e con acquosi occhi grigi, i capelli biondi e leggermente unti ondeggiavano con il suo passo arrancante mentre si avvicinava al letto dove il giovane dalle occhiaie profonde e il volto magro era seduto.
«Peeta?» lo chiamò l’uomo appena entrato, non ricevendo tuttavia alcuna risposta «Peeta, ragazzo?»
Con dei passi lenti e moderati camminò fino all’altro lato della stanza, in modo da poter guardare negli occhi Peeta, nonostante l’uomo dai vestiti consunti non avesse il pieno coraggio di sostenere una conversazione a quattr’occhi con quel ragazzo, che ormai era diventato come un figlio.
«Peeta, sono Haymitch.» gli disse, inginocchiandosi davanti a lui per poterlo guardare in volto, in quanto – non appena era entrato nella stanza – Peeta aveva improvvisamente calato lo sguardo.
Vergogna.
«Dov’è Jake?» sussurrò flebilmente, ancora timoroso di guardare in viso il suo mentore, che per tanti anni era stato per lui una fidata figura.
«Senti, ragazzo, hanno avviato le pratiche del processo …»
«Non mi interessa il processo!» cercò di urlare, stavolta alzando il volto verso l’uomo che l’aveva cresciuto come un figlio, cercando di apparire un minimo timoroso … ma era solo follia quello che vi era nei suoi occhi «Voglio sapere di Jake! Voglio sapere con chi è, dove l’hanno portato?»
«Calmati ragazzo, Jake sta bene. È con Ellen Everdeen, la madre di Katniss.» rispose il mentore pacatamente, tentando di rilassare i nervi del ragazzo.
Ma quella risposta non fece che far divenir peggiore la situazione, Haymitch se ne accorse dagli occhi spalancati dell’uomo del Pane e di come le vene delle sue braccia fossero diventati sporgenti.
«Con Ellen Everdeen, Haymitch?» quasi sussurrò, non avendo più la forza neanche per un sussurro «Perché proprio con lei, Haymitch? Lei non merita, non lo merita!»
«Peeta, devi calmarti, d’accordo? Altrimenti se il dottor Aurelius ti sente vaneggiare in questa maniera ti sederà. E tu non vuoi che ti sedi, vero Peeta?»
«No.» No, perché rivedo lei.
«Bene,» proseguì il mentore, accarezzandosi la barba un po’ troppo lunga sul mento «Ellen Everdeen era l’unica parente che vi è rimasta e la Paylor ha valutato che è meglio che Jake stia con lei, d’accordo?»
«Mi proibirà di vederlo.» lacrime amare iniziarono a scendere sul volto del giovane mentre veniva aiutato da Haymitch a stendersi sul lettino «Io sono un assassino, Haymitch.» continuò, la sua voce era rotta dal pianto e della rabbia dei pochi secondi precedenti non vi era più l’ombra.
«Questo è tutto da valutare, ragazzo.» gli rispose Haymitch, toccandogli una spalla e rivolgendogli un amorevole sguardo paterno «In questi giorni si svolgerà il processo, okay? Si stanno svolgendo tante indagini al 12.»
«Io non ricordo nulla, Haymitch.» le lacrime bagnavano ancora le sue guance arrossate, la testa si riversava sul guanciale bianco per via della stanchezza «Io so solo di averla trovata piena di sangue nel bagno … e c’era Jake che piangeva ed io ero disteso sul pavimento del salotto e …»
«Basta, Peeta!» lo interruppe l’uomo, continuando a tenere le mani sulle sue spalle, nella speranza di infondergli quel coraggio di andare avanti che mancava a lui stesso. «Adesso pensa solo a riposarti, prometto che ti farò sapere tutto ciò che è giusto che tu sappia, va bene?»
Il giovane dai capelli color del sole era nuovamente sprofondato nel silenzio, preda delle urla che vi erano nella sua mente, di immagini distorte e lunghi capelli corvini legati in una treccia.
Amavo farle la treccia alla sera.
«Peeta!» lo richiamò Haymitch, scuotendolo non appena aveva intuito che sarebbe sprofondato nuovamente nel baratro nero «Guardami negli occhi, panettiere.» fece in modo da fargli alzare il viso, incontrando quell’azzurro sconfinato dei suoi occhi lucidi.
Haymitch non poté che sentire solo dolore nel vedere quello sguardo spezzato.
«Ho detto che ti farò sapere tutto, Peeta – rispondimi – va bene?»
«Va bene.» farfugliò, prima di tornar a calare nuovamente lo sguardo, cercando di evitare quegli occhi da Giacimento che troppo gli ricordavano lei.
Haymitch gli lasciò solo un’affettuosa pacca sulla spalla prima di alzarsi e dirigersi verso la porta della camera bianca, ma continuava a guardarlo con quello sguardo preoccupato che sempre aveva ingannato il suo menefreghismo.
Aveva già perso la ragazza, la sua Dolcezza … e molto probabilmente era stato il suo ragazzo ad ucciderla, preda dei suoi attacchi di follia.
Oh, quei due ragazzini che aveva tirato su come figli … Che appena sei anni dopo della guerra gli avevano inaspettatamente regalato un nipotino.
Nella migliore delle ipotesi Peeta sarebbe finito in un centro di recupero psicologico e Jake sarebbe rimasto con la nonna, che mai aveva potuto sopportare Peeta – glielo aveva sempre detto, a Katniss, che prima o poi le avrebbe fatto del male.
Ma lei era rimasta al fianco del suo Ragazzo del Pane, nonostante tutto; aveva portato in grembo suo figlio, lo aveva aiutato ad uscire fuori dalle peggiori confusioni mentali che l’avevano portato a mettere in dubbio la sua esistenza stessa.
Il dolce Peeta non riusciva a credere che Lei era morta, non riusciva a capacitarsi neanche del fatto che probabilmente era stato lui stesso ad ucciderla, con le sue mani macchiate di farina e troppi peccati.
Quanto avrebbe voluto raggiungerla, in quel presunto paradiso di cui suo padre gli narrava la sera e dove lui stesso adesso era finito, colpito da una bomba nemica insieme a tutta la sua famiglia.
Solo lui non era stato abbastanza buono da meritarsi quel paradiso?
Quanto tempo ancora avrebbe continuato a soffrire su quella vita terrena?

Peeta sapeva tante cose che né Haymitch, né nessuno voleva dirgli: aveva preso ormai la consapevolezza che non avrebbe rivisto Jake mai più, che non avrebbe potuto vederlo crescere se non in qualche fotografia che qualcuno gli avrebbe portato se l’avesse ritenuto degno di ciò.
Aveva troppi peccati da scontare, lui: l’assassino di Katniss Everdeen, la madre di suo figlio, l’unica donna che avrebbe mai potuto amare.
I medici gli avevano lavato il suo sangue di dosso, ma lui lo vedeva sempre lì, a sporcargli le grandi mani e le forti braccia, a ricordargli perennemente di non essere altro che uno sporco omicida, nient’altro che una scheggia vagante che avrebbe potuto far male a qualsiasi cosa lo circondasse.
Nella sua mente troppo contorta si fecero nitidi i frammenti di un episodio successo qualche anno prima: era da solo in casa, uno specchio davanti ai suoi occhi, la sua rabbia, i suoi occhi neri, lo specchio in frantumi, il baratro del flashback, le sue lacrime, un coccio di specchio, tagli sulle sue braccia, la voce di Katniss, della sua Katniss che lo rimproverava in lacrime per le sue azioni.
Le aveva giurato di non farlo mai più, di non aggrapparsi mai più ad un dolore fisico per uscire dai suoi incubi, e non lo fece.
Ma ora quel coccio, quel pezzo di specchio rotto era lui.
Era caduto, si era spezzato, aveva fatto del male, si era fatto del male.
Nella giovinezza dei suoi ventiquattro anni, Peeta Mellark mai si era sentito più vecchio come allora.
Si distese sulle lenzuola bianche, che tanto gli ricordavano quelle delle prigioni di Snow, quando veniva torturato fisicamente e psicologicamente, gli ricordavano il sangue, i veleni e le percosse … tutte le lacrime che aveva versato perché le frustate erano sempre troppe e non ci si abituava mai.
Tutte le lacrime che aveva versato per lei, il sollievo di saperla al sicuro quando gli era stato riferito che era nel distretto 13, prima del vero depistaggio, quando il suo amore per lei superava ogni ostacolo e ogni errore.
Ricordò solo che se lei fosse stata al posto suo, non sarebbe mai riuscito a darsene pace.
Ma ora, steso sul quel letto, non riusciva neanche più a pensare ad un qualcosa di concreto.
Jake. Jake. Jake.
Voleva solo il suo Jake, il suo bambino, poterlo vedere per un’ultima volta, stringerlo forte, dirgli addio e scusarsi con lui. Perché lo avrebbero certamente portato in prigione e Jake non l’avrebbe visto mai più, nelle mani di Ellen Everdeen, la donna vigliacca che da sempre l’aveva visto com’era realmente: un mostro.
Ma sapeva che Ellen Everdeen avrebbe amato comunque Jake, che se ne sarebbe presa cura e lo avrebbe tenuto lontano da ogni tipo di pericolo, compreso lui.
Cara follia, dove sei?




 
FINE CAPITOLO I
 



Angolo Autrice:
Ehilà, cari lettori!
Sebbene avessi promesso a me stessa di chiudere con le long dopo la bellissima e faticosa avventura con la serie Joshifer “Indelible”, non sono riuscita a resistere alla tentazione di scrivere questa mini-long.
L’ispirazione mi è venuta d’improvviso, durante un’esercitazione di matematica in cui (stranamente) avevo finito gli esercizi prima degli altri … Così presi carta e penna e “plottai” questa storia.
Tre capitoli scritti in davvero poco tempo, con solo il braccio sinistro perché anche questa volta la mia spalla destra ha deciso di fare i capricci, ma sono abbastanza soddisfatta del risultato, quindi direi che ne è valsa la pena.
Come avrete potuto notare, la storia è una grande “What if?”, in cui Katniss e Peeta hanno avuto un figlio, Jake, prima dei famosi “quindici anni” e Peeta ha nuovamente perso le staffe a causa del depistaggio, arrivando addirittura ad uccidere la compagna … O almeno così si presume.
Ho introdotto il personaggio di Ellen Everdeen, la madre di Katniss, che ho odiato fin da sempre, essendo per me il personaggio più vile e antipatico della saga.
Anche in questa storia ho voluto darle un ruolo abbastanza “oscuro”, infatti la dolce (si fa per dire) signora Everdeen detesta Peeta (Secondo me neanche nella saga originale alla madre di Katniss Peeta va a genio, visti anche i precedenti … Dopo il depistaggio, poi!), credendo che se davvero avesse amato sua figlia sarebbe rimasto lontano da lei a causa del “mostro” in cui il Presidente Snow l’aveva trasformato.
Su Haymitch non c’è molto da chiarire, solo che avrà un ruolo principale per tutta la storia (o almeno per i primi due capitoli).
Nonostante le tematiche un po’ forti e delicate che ho deciso di trattare, spero che la storia abbia iniziato ad entusiasmarvi un po’ e se il testo a tratti è un po’ “confuso”, diciamo che è una cosa fatta di proposito per rendere meglio la confusione mentale del Ragazzo del pane.
Detto ciò, non ho intenzione di dilungarmi ancora rendendo questo “Spazio autrice” più lungo del capitolo, spero che il capitolo vi sia piaciuto e ci sentiamo tra una settimana per il prossimo aggiornamento.
May the odds be ever in your favor!
_merasavia.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo II: Il Processo. ***





Dear Madness
Capitolo II:
IL PROCESSO

 
 
Il mentore era andato via da un pezzo, essendo obbligato a lasciare solo il ragazzo affidato alle sue cure. Né Peeta, né Haymitch avrebbero mai voluto che quel giorno arrivasse, perché prove schiaccianti erano puntate contro il ragazzo, che non aveva scusanti per giustificare l’omicidio di Katniss Everdeen, probabilmente commesso da lui durante uno dei suoi attacchi di follia.
Peeta era troppo debole e instabile per poter testimoniare, ma anche se fosse stato in condizioni di farlo ovviamente non avrebbe potuto raccontare nulla di certo: solo il corpo insanguinato di Katniss tra le sue braccia mentre la portava a casa di Haymitch e Jake che piangeva nella loro camera da letto.
Non lo vedeva da allora, Jake. Non sapeva quanto tempo fosse passato dall’omicidio, non sapeva esattamente da quanto non vedeva suo figlio. Sapeva solo che era troppo tempo, che lui era un assassino e che la sua amata Katniss era morta, quasi sicuramente per mano sua.
“Non far cazzate, ragazzo”.
Era la frase con cui il vecchio mentore l’aveva congedato prima di andare al processo, con indosso un vecchio vestito elegante che su di lui sembrava abbastanza buffo.
Nel giro di tre giorni Haymitch aveva beccato il ragazzo con una corda al collo per ben due volte, intento a raggiungere l’Amata e fuggire dalle poche certezze che avrebbe potuto ricevere. L’uomo l’aveva fermato appena in tempo, quasi con le lacrime agli occhi mentre lo tratteneva con le braccia per farlo sedare dagli infermieri.
Non poteva perderli tutti e due.
Ed entrambe le sere in cui Peeta aveva tentato il suicidio aveva ricominciato a trovare rifugio in una bottiglia di alcool, nonostante sapesse che doveva restare lucido e apparire il più sobrio possibile davanti alle autorità.
Quando Haymitch Abernathy uscì da quella camera d’ospedale, sapeva che quello che poteva fare il suo ragazzo era ben poco, non sapeva quasi nulla delle indagini che erano state svolte al Distretto 12 e non vi era nessuna prova che potesse affermare l’innocenza di Peeta. Neanche lui, infondo, ci credeva.
Avevano avvertito di tutto solo Ellen Everdeen, che anche quella volta si era tirata indietro … Era un bene, pensava Haymitch, non avrebbe certo agevolato la situazione di Peeta.
Da quando i problemi mentali del ragazzo erano iniziati e Katniss aveva scelto di stargli accanto, la donna aveva iniziato ad odiarlo con tutta l’anima, timorosa che avrebbe posto fine alla vita di sua figlia.
Ellen Everdeen aveva ragione.
Peeta lo pensava sempre, da quel giorno maledetto, in cui aveva desiderato solo poter raggiungere Katniss e domandarle scusa per ogni cosa che aveva fatto, per ogni peccato che la sua anima oscura aveva commesso inconsapevolmente.
Se fino a qualche ora prima pensava che il suo unico desiderio era rivedere Jake, adesso pensava che la soluzione migliore per il bambino sarebbe stata quella di non vederlo mai più, di vederlo crescere di nascosto, senza raccontare mai al piccolo di in che razza di mostro fosse stato trasformato suo padre.
Dovevano parlargli solo di Katniss, di quanto bella fosse quando si intrecciava i capelli o di quanto apparisse divertente alla mattina, quando posava il suo sguardo truce e buffo su ogni cosa che le capitasse davanti.
Voleva che Jake sapesse solo della dolcezza della sua risata, della sua bravura nel canto, di quanto fosse forte durante i suoi incubi, del suo sconfinato coraggio e forza d’animo.
Mai il suo bambino avrebbe dovuto sapere dell’uomo dagli occhi azzurri e dai riccioli dal color del sole, mai avrebbe dovuto sapere delle torture, degli Aghi Inseguitori, degli attacchi di follia … e neanche dello sconfinato amore con cui ogni giorno lo guardava mentre giocavano insieme nel grande letto.
Per Jake, Peeta Mellark non sarebbe mai dovuto esistere.
E molteplici lacrime calde scesero sulle sue guance pallide mentre affondava la testa sul guanciale scomodo, deciso ad abbandonarsi al suo destino, qualunque sarebbe stato … Rassegnato al fatto di non essere altro che una pedina, di aver la vita in pugno ad un gruppo di persone che avrebbero deciso della sua sorte.
Il freddo nelle sue ossa si irradiò prepotente e gli sembrò che ogni muscolo si fosse paralizzato, sperava anche che anche il suo cuore lo fosse: che si fosse bloccato, che l’avesse portato via di lì, in un mondo migliore.
Ma questo non accadde, e se ne accorse quando il giovane infermiere dal viso freddo entrò nella camera per inserirgli la flebo per la giornaliera dose di psicofarmaci che avrebbero dovuto curare la sua “malattia”.
Non sono malato, sono solo pazzo.
Sono solo un assassino.

Forse quell’infermiere si stupì, quando vide che il ragazzo non oppose alcuna resistenza, neanche sussultò, come generalmente faceva ogni volta che l’ago entrava nella vena della sua mano.
Troppi brutti ricordi che stavano scivolando via.
E l’infermiere andò via, chiudendo bene la stanza che poteva essere aperta solo dall’esterno, come una prigione, la cella di un carcere.
E forse per la prima volta dopo la fine della Guerra, Peeta sentì crescere dentro di lui il mostruoso bisogno della sua famiglia: non di Katniss, non di Haymitch, non di Jake o degli amici che si era fatto al distretto, ma di sua madre, di suo padre e dei suoi fratelli.
Sua madre: che da sempre aveva cercato di addestrarlo alla giungla che avrebbe trovato una volta uscito dal suo mondo, che gli aveva voluto bene in silenzio, lasciandogli un bacio sulla guancia e carezzandogli i capelli quando pensava che dormisse.
Se mi vedessi ora cosa faresti, mamma?
Suo padre: i suoi abbracci caldi come il pane che cucinava, i suoi sorrisi luminosi ogni volta che gli insegnava una nuova decorazione per i biscotti, il suo perenne odore di lievito e mandorle.
Mi abbracceresti ancora, papà?
Haylan e Donovan: i suoi due fratelli, quelli con cui aveva condiviso ogni momento della sua vita, quelli che lo avevano tirato su nei momenti peggiori, quelli con cui giocava nel vialetto di casa durante le giornate estive, che si complimentavano con lui per i suoi disegni e che lo andavano a prendere a scuola da bambino.
Haylan, Donovan, avreste ancora fiducia in me?
E Peeta cadde in un sonno profondo, ripensando a quelle quattro figure che aveva dipinto di nascosto nella speranza di ricordare ogni particolare del loro volto. S’addormentò cullato dai medicinali che scorrevano nelle sue vene e con la dolce voce di Katniss che nella sua testa continuava a cantare La Canzone della Valle.
***
Oramai la sera era calata da un pezzo, Peeta si era risvegliato, ma continuava a restare sdraiato sul letto con un’aria assente, squadrando ogni cosa che era presente nella camera come se la vedesse per la prima volta.
E all’improvviso la porta si aprì bruscamente, facendolo quasi sobbalzare dal suo stato di trance: un Haymitch abbastanza sudato ed affaticato entrava nella camera bianca, trascinandosi un mucchio di fogli scritti e gettando una vecchia borsa contenente altri fascicoli in un angolo della stanza.
Gli occhi grigi dell’uomo erano lucidi, ma avevano un’espressione diversa dal solito, quasi sollevata e una punta d’armonia si poteva notare sul suo viso ingiallito dal troppo alcool.
Ma Peeta non era riuscito a notare quell’espressione, troppo occupato a pensare alla fine che avrebbe fatto, perché se Haymitch era lì voleva dire solo che il suo processo era finito.
Cara follia, dov’è che vanno i pazzi?
L’uomo, dopo essersi allentato l’insopportabile cravatta nera e tolto la giacca pesante gettandola senza alcuna cura sul pavimento, si posizionò davanti a Peeta, non riuscendo quasi a trattenere le emozioni che giravano dentro il suo animo.
«Peeta, ora voglio che tu mi ascolti bene.» disse Haymitch al ragazzo, cercando la sua attenzione «Ti prego, ragazzo, guardami.»
Finalmente Peeta incrociò gli occhi con quelli del suo mentore, scrutandolo con un’aria rassegnata, ormai convinto che la sua fine fosse vicina.
È ciò che mi merito, d’altronde.
«Durante questi nove giorni» dunque erano passati solo nove giorni? «la Paylor ha ordinato di fare ogni tipo di indagine in casa vostra, cercare ogni prova che potesse risultare utile al processo.» continuò Haymitch, quando i suoi occhi ormai si erano fatti colmi di lacrime. Quando mai Haymitch aveva pianto? «Abbiamo autorizzato, io ed Ellen Everdeen, anche un’autopsia sul corpo di Katniss e …» a quel punto le lacrime si fecero evidenti sulle guance dell’uomo, che piangeva la ragazzina di cui per tanti anni si era preso cura come una figlia «Non sappiamo cosa le sia passato per la mente, Peeta, forse-» si fermò per tirar su col naso, mentre lo sguardo di Peeta ancora vagava assente sul volto dell’uomo «Forse solo tu puoi saperlo, ma … So che è difficile da accettare, ragazzo, ma tu non le hai mai torso un solo capello, quel giorno. Katniss si è suicidata.»
Katniss si è suicidata.
«Capisci, ragazzo?» continuò il mentore, stavolta con l’espressione sicura e deciso a non piacere altre lacrime davanti a Peeta «È stata lei a scegliere il suo destino, non c’era nessuna prova concreta contro di te, Peeta. Potrai rivedere Jake.»
Potrò rivedere Jake.
«Il Giudice ha confermato tutto, ragazzo, vedendo le prove sia la Paylor che il Dottor Aurelius sono stati i primi a difenderti da ogni accusa, le prove erano schiaccianti, si è trattato solo di una serie di coincidenze … e forse la nostra Dolcezza aveva approfittato della situazione.» e non appena pronunciò il nomignolo con cui apostrofava Katniss, il mentore calò lo sguardo sulla mano che Peeta gli aveva appena stretto, cercando in lui la forza per comprendere se quelle parole fossero solo un sogno o meno.
«Tu sei innocente, Peeta


 
FINE CAPITOLO II
 


Angolo Autrice:
Eccoci giunti al secondo capitolo.
Non ve lo aspettavate, vero? Ebbene sì, Peeta è innocente.
Nella mia mente contorta Peeta – neanche sotto gli effetti del depistaggio – sarebbe mai capace di uccidere Katniss, specialmente dopo aver messo un paio di cose in chiaro nella sua mente.
Ora, non so se sia stata per la bravura di Josh in Mockingjay part 1 (I titoli in inglese rendono meglio!c;), ma alla fine della scena in cui Peeta strangolava Katniss – poco prima di essere colpito da Boggs – ho notato una strana espressione sul viso di Josh/Peeta, come se all’improvviso si fosse reso conto di ciò che stava facendo, il che ha rafforzato la mia ipotesi sopracitata (oltre che farmi rendere conto sempre di più della bravura di Hutcherson e di quanto sia migliorato e cresciuto in campo recitativo in questi anni. Forse sono un po’  di parte, sì.)
Comunque, come avrete potuto notare Haymitch è un po’ (troppo) OOC, ma che ci volete fa’ … nella mia testa questa scena era strutturata proprio così, perché penso che in pochi sono consapevoli quanto il vecchio mentore tenga a Katniss e Peeta … ed essere in una situazione come quella non penso ce sia stato semplice, specialmente dopo che Peeta ha tentato per ben due volte il suicidio.
Ci tengo a precisare che l’unica ragione per cui Peeta avrebbe potuto provare a vivere era Jake e quando prendeva la consapevolezza che molto probabilmente non l’avrebbe potuto vedere mai più preferiva lasciarsi andare. Fortunatamente è stato salvato entrambe le volte.
Anche qui spero di aver reso l’idea dei pensieri confusi di Peeta e della sua definitiva voglia di non vivere neanche nei ricordi di suo figlio.
Ad ogni modo, aspetto qualche commento per questo capitolo, perché vorrei chiarirmi un po’ le idee su cosa ne pensate voi lettori, avendo io stessa alcune lacune sulla fattibilità della trama … Cioè, mi piacerebbe sapere da voi se è intricante e vi ha appassionato almeno un po’.:)
Anche stavolta mi dileguo o rischio nuovamente di scrivere un Angolo Autrice più lungo del capitolo.:’)
Alla settimana prossima con il terzo, ed ultimo, capitolo!
May the Odds be ever in your favor!
_merasavia.


 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo III: La Libertà. ***




Dear Madness
Capitolo III:
LA LIBERTÀ
 
 
I capelli scuri di Jake Mellark si muovevano con il vento che soffiava leggero in quella fresca giornata d’autunno.
Foglie marroni cadevano dagli alberi e Ghiandaie Imitatrici svolazzavano per il cielo grigio di metà novembre.
Peeta portava Jake nei boschi ogni giorno, consapevole di quando Katniss volesse che suo figlio conoscesse il mondo in cui lei stessa era cresciuta, insieme e Gale che qualche volta – quando faceva ritorno al dodicesimo distretto – andava a far visita alla sua lapide, costruita vicino alla pietra in cui erano soliti passare i pomeriggi.
Era stata una volontà di Peeta, quella di seppellirla nei boschi, farla sentire a casa almeno nel riposo eterno che le tanto aveva cercato dopo la morte della sorella.
Era passato una anno e mezzo dalla morte di Katniss Everdeen e Jake avrebbe compiuto tre anni a breve, evento per il quale Peeta stava già organizzando una festa.
Voleva che ci fossero tutte le persone a lui care, compresa Ellen Everdeen, con cui avevano acquisito un rapporto meno distaccato dopo il processo, anche se a Peeta sembrava sempre che i comportamenti della donna avessero sempre fini egoistici.
Ma sapeva che sarebbe stata una figura importante per Jake e si faceva forza anche davanti alle sue occhiate strane, che a volte erano parecchio sgradevoli. Fortunatamente, non stava sempre al Distretto 12.
Jake camminava un po’ goffamente verso il padre, tenendo in mano una manciata di sassolini bianchi che voleva mostrare a Peeta, incantato dalla straordinarietà che ai suoi occhi aveva semplicità.
Peeta sorrise, restando con la schiena appoggiata al tronco di un albero mentre Jake avanzava di qualche altro centimetro verso di lui e accoccolandosi contro la sua camicia bianca, per poi mostrargli i sassolini con un grande sorriso dipinto sul volto.
«Ti piacciono, papà?» disse in un innocente tono da bambino, storpiando un po’ qualche lettera.
«Certamente, Jake, sono bellissimi.» sorrise l’uomo, facendo una carezza amorevole sui capelli scuri del figlio che si poggiava sulla sua spalla.
«Puoi cantarmi la canzone, papà?»
«Sai che non sono bravo, Jake.» era tua madre, ad essere brava.
«Ma la canzone bella … La suoni sempre con il pianoforte.» insistette il bambino, lasciando cadere i sassolini che aveva in mano e sedendosi sulle gambe del padre, per guardarlo negli occhi identici ai suoi, della stessa tonalità di blu intenso.
Fortunatamente non ha i suoi occhi, non so come avrei fatto.
«Cantala per me, papà.»
Anche tua madre la cantò per me, Jake.
«Papà!» il bambino richiamò seccato l’attenzione di Peeta, picchiettandogli il piccolo pugno su una spalla, notando che era in sovrappensiero e quasi non lo ascoltava.
«Sì, scusami Jake.» rispose, mentre la vivida immagine di Katniss si allontanava dalla sua mente.
«Me la canti o no?» continuò ad insistere il piccolo, finché Peeta non cedette alle sue suppliche.
«D’accordo, Jake.» si convinse infine, facendo appoggiare il bambino alla sua spalla e iniziando a cantare in modo un po’stonato mentre accarezzava le guance rosse di suo figlio.
Non era certamente un buon cantante come Katniss, ma al piccolo Jake non importava.
 
«Là in fondo al prato, all'ombra del pino 
c'è un letto d'erba, un soffice cuscino 
il capo tuo posa e chiudi gli occhi stanchi 
quando li riaprirai, il sole avrai davanti. 
Qui sei al sicuro, qui sei al calduccio, 
qui le margherite ti proteggon da ogni cruccio, 
qui sogna dolci sogni che il domani farà avverare 
qui è il luogo in cui ti voglio amare. 

Là in fondo al prato, nel folto celato
c'è un manto di foglie di luna illuminato. 
Scorda le angustie, le pene abbandona. 
Quando verrà mattina, spariranno a una a una. 
Qui sei al sicuro, qui sei al calduccio, 
qui le margherite ti proteggono da ogni cruccio. 
Qui sogna dolci sogni che il domani farà avverare
qui è il luogo in cui ti voglio amare.
»
 
La solita dolce nenia che Peeta tante volte aveva ascoltato Katniss cantare, fin da quando erano bambini in quella piccola e umida classe.
Quel prato sicuro dove ogni persona non avrebbe dovuto temere nulla, dove ogni dolore sarebbe scivolato via; quel prato fatto di felicità e ricordi belli che nessuno mai al mondo avrebbe potuto distruggere.
Solo dopo, quando crebbe abbastanza, Peeta capì che quel Prato non era altro che il Paradiso.
Non appena finì di cantare quella ninna nanna, la risata cristallina di Jake si unì ai molteplici rumori del bosco … e Peeta non poté che pensare che sentirlo ridere fosse una delle cose più belle del mondo.
Si chiedeva come avesse potuto pensare, in ospedale, solo a rassegnarsi all’idea di non vederlo mai più, convincendo se stesso che sarebbe stato molto meglio crescere con Ellen Everdeen. Peeta capì di sbagliarsi solo nel momento in cui, appena uscito dall’ospedale senza più nessuna accusa addosso, vide Jake, al tempo ancora di un anno e mezzo, correre goffamente verso di lui per abbracciarlo. Capì solo allora di non poter far a meno anche del suo amore, che rinunciando anche all’amore di Jake non sarebbe stato altro che un mostro, togliendo al bambino la possibilità di crescere con l’unico genitore che gli era rimasto.
I medici gliel’avevano detto, quando aveva fatto l’ennesimo controllo mesi dopo il suicidio di Katniss: lui non era pazzo, era solo un uomo che ne aveva passate troppe durante la sua breve vita.
Mentre Jake era tornato a giocare con delle foglie secche lì vicino, Peeta guardò il cielo e vide che le nuvole che coprivano il sole autunnale si erano addensate ancora di più, assumendo una minacciosa tonalità grigiastra, segno che a breve sarebbe esploso un gran temporale.
La luce del giorno era quasi finita e il vecchio Haymitch li aspettava per la cena assieme al vecchio gatto Ranuncolo, che ancora dopo tutti quegli anni continuava a vegliare su di loro.
Così Peeta si alzò dal terreno, si pulì i pantaloni blu e richiamò a sé Jake per prenderlo in braccio e far ritorno a casa prima che facesse buio.
«Ci torniamo anche domani, papà?» domandò Jake, mentre si divertiva a torturare una ciocca di capelli ricci dell’uomo.
«Certamente, se non piove. Hai visto il cielo grigio?» gli disse Peeta, rivolgendogli un grosso sorriso mentre il piccolo alzava gli occhi verso il cielo e annuiva. «Ora andiamo a casa, nonno Haymitch ci aspetta per cena a casa sua, così potrai giocare con Ranuncolo.»
Jake annuì ancora una volta, rilassandosi tra le sue braccia mentre prendeva la via verso casa. Peeta pensava a qualche minuto prima, mentre stava seduto sotto l’albero con Jake tra le braccia … l’aveva sentita: gli era sembrato di sentire il dolce calore dell’Amata scomparsa al suo fianco, gli era sembrato di vederla accarezzare i capelli di Jake, intonare quella dolce melodia insieme a lui.
Se solo l’avesse potuta rivedere veramente, almeno una volta, per poterle dire quanto l’amava, di come Jake stesse crescendo sano e forte, magari raccontandole quegli aneddoti l’avrebbe convinta a restare al suo fianco e avrebbe evitato la grande Odissea di parole che ci sarebbe stata quando il suo bambino avrebbe iniziato a chiedergli dove di preciso fosse sua madre.
Ma Peeta sapeva già quale sarebbe stata la risposta da dare a Jake in quel momento: gli avrebbe detto che la sua dolce mamma era nel lontano Prato di cui la Canzone della Valle narrava e che per loro quel Prato era irraggiungibile.
Perché Peeta ne era certo, che Katniss fosse in quel Prato, proprio come era certo anche di aver sentito la sua presenza quel pomeriggio, come si stava formando nella sua mente la convinzione che lei fosse stata lì, a vegliare su di loro come sempre aveva fatto.
Il giovane dagli occhi blu ne aveva avuto la conferma solo alla fine della canzone, quando sentì chiaramente il lento ritmo ripetuto da una Ghiandaia Imitatrice.
E quella Ghiandaia Imitatrice non poteva essere che lei, che li proteggeva dall’alto con la sua voce armoniosa.
E poteva star certo di non essere un folle, nel sentir quella dolce presenza. Sapeva come fosse realmente la follia e quella strana sensazione non ci aveva nulla a che fare.
Era solo libertà, come il vento fresco sul viso.
Era solo libertà, come il cielo in cui la Ghiandaia Imitatrice sbatteva le ali.
Peeta Mellark era libero, proprio come l’Amore della sua vita.
Cara follia, ti ho sconfitto.
 
 
FINE CAPITOLO III
 

Angolo Autrice:
Finalmente, dopo due giorni di ritardo (per cui mi scuso, è un periodo infernale) mi ritrovo a postare il capitolo conclusivo di questa mini-long.
Sinceramente, pensavo che appassionasse di più e sono rimasta un po’ delusa, ma alla fine poco mi importa, scrivo per me stessa e dentro al cuor mio so che c’è qualcuno che l’ha apprezzata … E vi ringrazio.
Penso che sia di dovere dare voi dei piccoli “chiarimenti” su alcuni dettagli della storia, visto che da un lato sono stati fondamentali per la sua creazione.
Mi sono immedesimata in una lettrice di questa storia e mi sono fatta delle domande, che (spero) esaudiranno ogni vostra curiosità.


Perché non hai aspettato i famosi “15 anni” per il figlio?
La risposta è abbastanza semplice: l’età di Peeta.
Nella mia testa, il Ragazzo (Uomo) del Pane non raggiunge neanche i 40 anni, infatti ho sempre pensato che anche nella storia originale morirà verso 37 anni, visto che la sua salute psico-fisica è nettamente provata dai veleni di Capitol.
Semplicemente volevo che dopo questo tram tram Peeta potesse godersi di più suo figlio.
 
 Perché questo What if di un figlio invece di due?
Anche qui la risposta ha a che fare con Peeta: non penso che avrebbe mai retto ad accudire due figli piccoli da solo, anche perché è (e rimarrà) profondamente segnato dal suicidio di Katniss, infatti specifica che per lui è una fortuna che Jake abbia i suoi occhi e non quelli della madre.
 
Che fine fa Haymitch?
Okay, premetto che la fine di Haymitch in Mockingjay non mi convince per niente … Insomma, che cazzata è quella cosa delle oche?
Susanna, te prego, mi ha fatto cade’ le braccia.
Haymitch resta Haymitch, non smette assolutamente di bere, allenta solo il ritmo dopo la nascita di Jake e quando diviene consapevole di doversi prendere cura di lui e di Peeta.
Ma no, non smette, proprio come per me non smette nella saga originale.
 
Se avete altre domande, non esitate a chiedere, visto che penso che la storia lasci in sospeso tante cose, ma no, anticipo che non ho intenzione di continuarla visto che sto strutturando un’altra mini-long.
Vi ringrazio per aver letto, per aver commentato o meno questa storia, ringrazio – come sempre – a chi è piaciuta e a chi no, ringrazio chi ha rispettato questa trama un po’ insolita.
Ci si sente, gente!:)
May the Odds be ever in your favor!
_merasavia.

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3292456