Project: New Childrend

di lollyyyy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** capitolo 1: Il piano di riserva ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***



Capitolo 1
*** capitolo 1: Il piano di riserva ***


Una gocciolina d’acqua ha una sua vita e una sua fine, come quella degli umani, ma c’è una cosa che gli umani posseggono e non le goccioline. UN’ ANIMA. Qualcosa che li distingue fra loro, qualcosa che li fa unici, era così che la pensavo…..
 

                                                       Capitolo 1

                                                 

 
Mille goccioline di pioggia, un cielo nero come il fumo, come la tristezza che si prova nel profondo dell’anima. Questo era quello che vedevo da quella maledetta finestra cupa, oscura e misteriosa della mia scuola. La tipica finestra Italiana, una di quelle con l’introno metallico grigio topo, con un vetro gigante, pieno di graffi vecchi quanto lui.
A portarmi via dai miei pensieri oscuri fu il suono  della campanella che significava la fine delle lezioni. Pian piano, il rimbombo delle voci dei miei compagni di classe si diffuse nell’aula. Non sapendo cosa fare, rimasi seduta a guardare fuori dalla finestra, aspettando che tutti quelli rimasti se ne andassero. Quando furono usciti tutti, decisi di prendere anch’io la mia roba e di uscirmene. Uscita, mi ritrovai un ammasso di studenti carichi di ombrelli decisi ad uscire facendo casino e confusione , mentre le bidelle stridulano per calma e silenzio. Non volendo far parte di quella confusione umana, cercai un rifugio dove potermi sedere e mettere ad aspettare con calma. Localizzai un piccolo spazio tra i distributori e mi ci incamminai. Fu molto difficile arrivarci, dato che c’erano almeno un centinaio di persone tutte appiccicate l’una  all’altra e dato che nessuna di esse aveva l’intenzione di lasciarmi passare. Arrivata, scivolai e sprofondai sul posto con le braccia indolenzite dallo sforzo usato per farmi passare tra le persone. Quando inizia a mettermi in una posizione più confortevole iniziai anche a osservare le persone: C’era chi se ne andava subito, chi rimaneva a chiacchierare con gli amici, quelli che si baciano con la propria ragazza, le tante vipere che sparlano e quelli che prendono in giro il più debole. Vedevo tutto ma allo stesso tempo non vedevo nulla, era come se stessi guardando un mondo a me incomprensibile e estraneo. Mentre pensavo, il mio sguardo si incrociò con un paio di occhi verdi. Li e ci fisammo per pochi minuti, ma per me durò quasi un secolo. Era come se quei occhi chiari lucenti come il mare all’ora del mattino mi avessero assorbita e portata in un altro mondo. Alla fine distolse lo sguardo, e fu allora che mi accorsi che non avevo fatto altro che guardargli gli occhi. Dall’imbarazzo, distolsi anch’io lo sguardo e fu allora che mi accorsi che mi era venuta la pelle d’oca e che il mio cuore batteva come se fosse impazzito; era come se il mio corpo fosse stato attraversato da milioni di piccole scosse nel momento stesso in cui ci siamo guardati. Accertatami che il mio cuore avesse riiniziato a battere normalmente, cercai il proprietario di quei occhi con lo sguardo. Lo trovai nello stesso punto in cui l’avevo visto, ma ora, invece di soffermarmi ai sui occhi, cercai anche di vedere le altre sue caratteristiche. Biondo come il grano e muscoloso. Non l’avevo mai visto a scuola, forse l’avevo ignorato come facevo con la maggior parte dei ragazzi o non mi ero semplicemente mai accorta di lui fin ad ora; ma, guardandolo, c’era una parte di me che avvertiva un non so che di famigliare. Ero così concentrata su di lui e su quello che stavo provando che non mi accorsi di qualcuno che stava venendo nella mia direzione.  
“Che c’è? Chi o cosa è riuscito ad attirare la tua attenzione?” Disse qualcuno per ottenere la mia attenzione.
Alzando la testa, ritrovai davanti a me la mia migliore amica: Emily.
“Ehi,non ti avevo notata…” replicai distogliendo lo sguardo da lui.
“Quello lo avevo capito. Allora,che stavi guardando?” Mi chiese avendo notato il mio sguardo di prima e sedendosi accanto a me.
“Guarda” dissi facendole segno con la testa verso il biondo. “Chi è?”
Si girò e guardò nella direzione opposta alla nostra. Ebbe quasi un sussulto, ma poi esclamo a voce abbastanza alta da fare girare alcune persone vicine: “Non lo so, ma è sexy!”
 “Trovi?” mormorai in imbarazzo dato che alcuni ragazzi ci stavano guardando come se fossero loro la persona di cui stiamo parlando.
“Si, già da me lo trovo un bel bocconcino, ma è  riuscito persino ad attirare la tua attenzione! Non molti ne sono capaci, anzi è la prima volta che ti vedo fissare un ragazzo.” Mi dice tutt’ad un fiato come per rivelare qualcosa di imbarazzante. Non aspettando quell’osservazione, mi ci volle un po’ per replicare, ma alla fine dissi in mia difesa:“ Non è che non mi piace guardare i ragazzi, è che non mi piace fissare la gente, dato che so cosa si prova quando ci si sente fissati.”
“Lo so, ma dovresti staccarti un po’ dalla tua timidezza e affrontare le cose con testa alta” Mi dice con uno sguardo affettivo ma allo stesso tempo duro in viso.  
 “Si, certamente. Scusa, ma ora me ne devo andare, sai com’è fatta mia nonna, se ritardo anche solo di un minuto mi ammazza.” Dissi per cambiare argomento. Dato che i miei genitori (divorziati) sono spesso occupati in viaggi di lavoro da cui vengono trattenuti avvolte settimane, mesi o anni io sono costretta a vivere con mia nonna, non che mi disturba, mia nonna è una tipa in gamba, ma a volte ti servono i genitori accanto. Presi la mia borsa, qualche libro e l’ombrello e inizia a camminare verso il cancello della scuola con calma, dato che la maggior parte degli studenti, nel frattempo se nera già andata. Appena attraversato il cancello dell’entrata della suola, Emily mi raggiunge e riiniziamo a parlare del più e del meno, finché, tutt’un tratto dei brividi mi salirono lungo la schiena. Qualcuno mi sta osservando.
Cercai quello sguardo che mi stesse fissando, ma alla fine non lo trovai. Sembrava proprio che nessuno mi stesse osservando, ma quel presentimento non voleva lasciarmi.
 “Ehi, che c’è?” Mi chiede Emily preoccupata, vedendomi sbianchire.
“No, non è niente.” Dissi ricominciando a camminare, facendo finta di niente.
“Sicura che non sia niente? Sei un po’ pallida…” Mi chiese incerta per accertarsi che fosse davvero così.
“Si, ho soltanto fame. Andiamo a mangiare qualcosa da Besenghi?” Replicai per cambiare argomento e anche perché, infetti, avevo davvero fame.
Al pensiero di mangiare, Emily sorrise e mi rispose che le andava bene, ma che prima doveva informare i suoi genitori. Mentre Emily chiamava ai suoi, decisi di chiamare a mia volta mia nonna per informarla di non aspettarmi per il pranzo, ma, come al solito, non rispose al telefono, così decisi di mandarle un messaggio e di andarci comunque.   
Ci mettemmo poco ad arrivarci, dato che Besenghi si trovavo proprio difronte alla nostra scuola. Appena entrate fummo travolte dall’aria calda del riscaldamento che ci avvolse e ci risaldò in un batter d’occhio. Trovammo subito un posto vicino alla grande finestra che, nelle giornate di sole, illuminava tutto il negozio, ma che in giornate acquose come queste rendeva il posto un po’ tetro. Erano le luci che risplendevano il negozio che rendevano il posto accogliente in queste generi di giornate. Scelto quello che volevamo mangiare, aspettammo che la cameriera finisse quello che stava facendo e poi ordinammo. Aspettando le nostre ordinazioni, iniziammo a parlare del più e del meno, finché la nostra conversazione non finì sul ragazzo biondo di prima.
“Secondo te chi era?” Mi chiese Emily per la millesima volta.
“Non lo so..” Replicai a mia volta per la millesima volta.
“Guarda che se rispondi così sembra che non ti importa nulla di lui” Controbatté come se m’importasse davvero.
“Infatti è così. Non m’interessa.” Controbattei a mia volta a mia difesa.
“Se è davvero come dici tu, allora perché prima lo guardavi come se avessi visto un’angelo?”
Beccata……
“Non m’interessa, è soltanto che non avevo mai visti occhi come i suoi e ne sono rimasta talmente stupita che non mi sono resa conto di aver iniziato a fissarlo..” Persino alle mie orecchie sembravano scuse banali, pensare a quelle di Emily. Ma, alla fine, fece un sospiro e cambiò  argomento come se avesse capito che non avevo intenzione di darle retta.
Finito di pranzare, facemmo un tratto di strade insieme sotto gli ombrelli ma poi fummo costrette a separarci in diverse direzioni. Mentre camminavo lungo la strada, pensavo alla pioggia, al fatto che, anche se non mi piacciono gli ombrelli, mi tranquillizzasse così tanto da sperare che ogni giorno piovesse. Guardando le goccioline d’acqua cadere dall’albero accanto alla scuola elementare, ormai abbandonata, sentì di nuova la sensazione di essere osservata, così mi girai. E, proprio qualche metro in più dietro di me, c’era lui. Goccioline d’acqua gli cadevano dai capelli bagnati dalla pioggia, dalla camicia bagnata si potevano vedere i suoi muscoli muoversi al suo respiro, ansimava, come se avesse corso fino a qui senza rendersi conto che glia mancasse il fiato e aveva gli occhi bagnati. Si stava avvicinando, a ogni passo che faceva verso di me il mio cuore batteva sempre più forte, ma all’improvviso sentì qualcosa di metallico nell’aria e qualcosa che assomigliava ad uno sparo. Presa alla sprovvista chiusi per un attimo i miei occhi, ma quando li riapri lui era a terra. Buttai a terra l’ombrello e corsi subito da lui. Mi buttai accanto a lui, aveva il sangue che gli colava dal fianco sinistro, pensando a quello che avrei dovuto fare, lui riapri gli occhi. Quei occhi color del mare, ora sembravano in tempesta e quasi pronti per spengersi. Decisi che era meglio portarlo all’angolo della scuola, così da evitare altre sparatorie. Presi il suo braccio destro(dalla parte dove non aveva la ferita) e me lo misi sulle spalle. Decisi di correre il più veloce possibile così che da evitare il più presto possibile le eventuali pallottole e così da fargli soffrire per il meno tempo possibile, anche se si trattava di tanto dolore in una sola volta.
“Scusa, ma è meglio  sentire subito tutto il dolore che tenerlo prolungato, no?” Dette le mie sincere scuse, inizia a correre verso l’angolo della vecchia scuola. Sentì il suo corpo irrigidirsi dal dolore e, a ogni mio passo, lo vidi mordersi le labbra, in modo da soffocare i gemiti di dolore. Arrivati all’angolo, cercai di appoggiarlo delicatamente al muro. Assicuratami che quella posizione non gli procurasse dolore, inizia a cercare nella mia borsa la mia maglietta di educazione fisica e la mia bottiglietta d’acqua. Mentre stavo per prendere la bottiglia, lui afferrò la mia mano e la strinse con tutte le forze che gli erano rimaste.
“S…Sa...”Cercò di accarezzarmi il viso con la mano libera, ma stava iniziando a faticare a respirare.
 “Non parlare, devo pensare alla tua ferita e a come portarti via di qua.”  Giusto, qualunque cosa mi dovesse dire, ora non era importante.   
“Sabrina…”Sussurrò tutt’an fiato, svenendo. Al suono di quel nome, il mio corpo fu sovrastato da un’onda calda, ma ,allo stesso tempo, confortevole. Era come provavo una sorte di nostalgia mentre ripensavo a quel nome. Perché quel nome mi è famigliare?  Eppure non l’avevo mai sentito. Più mi sforzavo a ricordare dove l’avessi sentito, più mi faceva male la testa. Abbassai gli occhi e vidi che dalla sua ferita stava uscendo sempre più sangue. Non era il momento per queste cose, così respinsi ogni mio dubbio e decisi concentrarmi sulla sua ferita. Per vedere le condizioni della ferita, fui costretta a sollevare la sua camicia e fui scioccata da quello che vidi; la ferita era più profonda di quello che avevo previsto e stava anche perdendo troppo sangue. Per un attimo, fui assalita dal panico e da pensieri negativi, ma li caccia via subito. Ripresi in mano la bottiglia e la maglietta, ripiegai su se stessa la maglietta e ci versai un po’ d’acqua della bottiglia. Quando premetti la maglietta sulla sua ferita, gli uscì qualche grugniti di dolore; mi sentì sia in colpa che rassicurata, in colpa perché gli stavo facendo male, rassicurata perché così ero certa fosse ancora vivo. Cercai qualcosa che avrei potuto usare per tenere ferma e stretta la maglietta sulla ferita, ma l’unica cosa che riuscì a trovare fu una scatola di cerotti, ma decisi di utilizzarla comunque. Appiccicai gran parte dei cerotti sui contorni della maglietta così da non farla cadere, anche se non servì molto, dato che decisi di premerci sopra con la mano, così da fermare un po’ il circolamento sanguigno. Prima di metterlo di nuovo sottobraccio, decisi di andare a vedere se ci fosse qualcuno di sospetto nei paraggi o che ci fosse qualche rumore metallico dall’altra parte della strada. Accertatami che non ci fosse nessuno e nessun rumore di nessun tipo, lo presi e inizia a trascinarlo insieme a me.
Fu molto difficile trascinarlo con me sotto alla pioggia, dato che era pesava quasi il doppio di me e dato che dovevo anche sbrigarmi a portarlo velocemente in un posto dove poteva essere operato il più presto possibile. Molte volte rischiai di scivolare sul fango, ma oramai ero abituata a cadere, quindi riuscì, ogni volta, in qualche modo a frenare le cadute e, prima che me ne accorsi, mi ritrovai davanti alla porta di casa mia a suonare al citofono.
“Pronto? Chi è?” chiese un voce secca e roca con un tono sospettoso.
“Sono io nonna.” Le risposi in modo dolce, così da assicurarla.
Sentì un clic e il cancello iniziò ad aprirsi. Il rumore metallico e rustico  del cancello si diffuse tra il rumore confortevole della pioggia che iniziava a scagliarsi sempre più velocemente sul terreno. Non riuscendo ad aspettare che tutto il cancello si aprisse, lo sorpassai appena vidi che era abbastanza aperto da farci passare entrambi. In quel momento fui grata che mia nonna aveva deciso di lasciare il cancello principale a pochi passi dalla porta di casa , dato che ormai mi stavo anch’io trascinando. Quando salì il primo gradino di legno della piccola scaletta davanti a casa mia, sentì la porta aprirsi seguita dal rumore dei piedi di mia nonna sul piccolo balcone di legno.
“Lisa, che cos’è successo?” Mi chiese mia nonna appena arrivata di corsa verso di me. Quando mia nonna vide che stavo trascinando con me una persona profondamente ferita ebbe quasi un sussulto, ma appena vide la faccia di chi trascinavo, per un attimo sembrò sia sorpresa che terrorizzata, ma si ricompose quasi subito, quindi non ne fui molto sicura.
“Vado a prendere il kit del pronto soccorso, tu , intanto portalo dentro.” Disse dirigendosi verso la porta di casa. Sorpresa della sua collaborazione senza essere stata persuasa, iniziai anch’io a dirigermi verso la porta, ma, ormai stanca, ad ogni mio passo le gambe mi si facevano sempre più pesanti e mi iniziava ad annebbiare sempre di più la vista, così decisi di focalizzarmi sulla porta di casa mia e lasciando stare le altre cose che mi circondavano. Concentrandomi soltanto della porta, non mi accorsi che ero già arrivata dalla scaletta e inciampai. Ma qualcosa mi blocco dall’impatto, qualcosa di duro e solido, ma allo stesso tempo morbido e piacevole.
“Sempre la solita goffa, eh?” Alzando lo sguardo incrocia quello di un paio di due occhi neri come la notte. Il mio viso era di pochi centimetri dal suo, quindi potevo vederlo più chiaramente. Lineamenti duri, ma allo stesso tempo dolci, labbra piccole e sottili, sopracciglia folte nascoste dai capelli neri un po’ troppo cresciuti; ma la cosa che mi attirava di più di tutto il viso erano i suoi occhi, erano neri come il carbone, eppure in loro c’era una specie di scintilla, un qualcosa che rendeva vivo quel nero cupo. Avendo la testa confusa, mi lasciai sfuggire  una frase dalla bocca: “Chi sei?”
Per un attimo mi sembrò di sentire il suo corpo irrigidirsi, ma durò per pochi secondi, quindi non ne fui certa.
“Non importa ora chi sono. Tranquilla, ora ci penso io a lui, tu vai dentro a riposarti.” Prima che potessi protestare, prese sotto braccio il ragazzo che, ormai, mi stava schiacciando e si diresse verso la porta. Non capendo quello che stesse succedendo, rimasi per un po’ sotto la pioggia gelida piena di domande. Chi era quel ragazzo? Perché  era dentro casa? Perché sembrava che conosceva il biondo? Ma, soprattutto, perché hanno sparato al biondo?.  Non trovando risposte a queste domande, decisi di entrare in casa per riceverle e per vedere come andasse la situazione. Ma appena entrai, fui il centro di attenzione di centinaia di sguardi sconosciuti. Chi erano e cosa ci facevano in casa mia non lo sapevo, ma sapevo soltanto che la risposta alle mie domande ce l’aveva solo una persona: mia nonna. Il problema però era trovarla, così pensai alle varie opzioni dove potesse operare una persona ferita e così arrivai ad una soluzione; si doveva trovare in cucina dato che lì era l’unico posto in cui avevamo un tavolo abbastanza lungo per posarci sopra una persona. Al mio primo passo verso la cucina, all’improvviso sentì una porta aprirsi e sentì uno strettone provenire dal braccio, ma prima che potessi reagire, mi ritrovavo schiacciata contro il muro dello scantinato di casa mia. Prima che potessi protestare, sentì una mano ruvida e sudata sulla bocca.
“Prima che ti metti ad urlare, guarda in faccia con chi parli.” Era una voce roca, ma profonda allo stesso tempo e, anche se l’avevo sentita solo una volta, riuscì subito a capire di chi fosse. Capendo che mi ero tranquillizzata, pian piano iniziò a mollare la presa fino ad toglierla tutta. Alzando il viso, le mie supposizioni furono accertate.
“Non eri andato a portare al sicuro il biondo, Tahiti?” Per un attimo sembrò sorpreso, ma subito dopo un grandissimo sorriso gli si stampò sul viso per poi scoppiare un una fragorosa risata. Imbarazzata dalla situazione, non sapendo cosa fare, rimasi lì a guardarlo un po’ sconvolta. Dopo un po’ si ricompose e tornò serio, ma con ancora un sorriso stampato in volto.
“Perché mi hai dato il soprannome di un paese tropicale?” Mi chiese appoggiando la mano destra sul muretto alla mia spalle. 
“Non intendo Tahiti il paese, quello che dico io sta per Tahiti le perle nere. Dato che oggi incontro persone che non hanno il tempo di dirmi il loro nome, devo pur arrangiarmi in qualche modo.” Replicai in mia difesa cercando di essere il più spensierata possibile, dato che al momento non ci riuscivo. Per un po’ sembrò ripensare sulle mie parole, per poi aprire la bocca e dire: “Vai in camera tua e non uscire finché non ti viene a chiamare qualcuno.” Detto questo, toglie la mano dalla parete e inizia ad incamminarsi verso la porta, per poi fermarsi di colpo. 
“ Tra l’altro mi chiamo Alex e, il biondo di prima, si chiama Francesco.” Finita la frase, apre la porta e se ne va nel corridoio. Il mio corpo fu travolta dalla rabbia. Mi stava prendendo in giro. Si stava divertendo stuzzicandomi, proprio in un momento del genere! Se pensava che l’avrei ascoltato e avrei eseguito il suo consiglio, si sbagliava di grosso, anzi, aveva avuto l’effetto contrario, oramai sfrenavo dalla voglia di scoprire quello che stava succedendo.
Decisa di scoprire quello che stava succedendo, usci dallo scantinato e iniziai a incamminarmi verso la cucina, ma arrivata sulla soglia della porta mi fermai di colpo. In quel momento mia nonna era ad occuparsi della ferita da fuoco di Francesco nel fianco. Ma non fu il sangue o la ferita ad sconvolgermi, bensì altro. Tutto il suo corpo era ricoperto da tantissime cicatrici di tutte le dimensioni. La maggior parte di esse sembravano ferite da arme da fuoco, mentre le altre da oggetti affilati. Come si lì è procurati? Ma cosa più importane, perché li aveva? Mentre stavo accostata sul muro accanto alla porta a pensare, sentì provenire dalla stanza in cui avevo visto dozzina di persone dei mormori. Curiosa di sapere di cosa stessero parlando, mi accostai affianco alla porta chiusa e rimasi in silenzio per ascoltare. Anche se non si sentiva molto bene, le uniche parole che ero riuscita a scovare furono: Scappare, memoria, rifugio, bambini, sicurezza. Queste furono, tra tutte le parole che vennero utilizzate molte volte da tanti di loro. Ma, prima che potessi pensare al significato di tali parole, sentì qualcuno che aveva messo la mano sulla mia spalla. Mi girai e trovai mia nonna con in viso uno sguardo triste e malinconico. Ebbi il presentimento che mi stava per sgridare dato che stavo origliando, ma non lo face, anzi aprì la porta ed entro nel salotto. Appena mia nonna mise piede in salotto tutti si azzittirono. All’inizio tutti gli occhi erano fissi su di lei, ma poi, alcuni, iniziarono a notarmi e così si ritrovavano a guardare me. 
“Ho una cosa molto importante da dirvi miei cari amici e compagni.” Disse all’improvviso mia nonna tra il silenzio tombale. “Ormai noi non riusciamo più a nasconderli e a proteggerli come una volta, è giunto il momento. È giunto il momento per il piano di riserva.” A quella parola, tutti iniziarono a parlare tra di loro coi visi preoccupati ed, alcune signore, persino a scoppiare in lacrime. Il piano di riserva? Cosa sta succedendo? Prima un ragazzo viene sparato, poi trovo migliaia di persone in casa mia e ora questo!  Vedendomi confusa, mia nonna si girò verso di me e disse: “ è giunto il momento della verità. È giunto il momento del piano di riserva: Restituire la memoria e cancellare il blocco ai bambini, ai New Childrend.” 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


“Cosa intendi? Chi sono i bambini?” Prima ancora che potessi finire la frase, mia nonna mi prese la mano e mi portò fuori dalla stanza, lasciando tutti perplessi e pensierosi. Salimmo le scale e entrammo in camera mia. “Nonna cosa sta succedendo?” Chiesi allarmata. “Non è niente…almeno per ora…Comunque io ora torno giù, tu resta qui. Quando avrò finito ti spiegherò tutto, quindi aspettami.” Detto questo uscì da camera mia, chiuse la porta e tornò dagli altri. Tutte le mie forze ad un tratto se ne andarono e mi ritrovai seduta sul pavimento. Alquanto pare ero più stanca del previsto e se prima ero confusa, ora lo ero di più. Cosa stava succedendo? L’unica cosa di cui ero certa era che tutti mi stavano nascondendo qualcosa e su quel qualcosa avevo uno strano presentimento. Però non sapevo di che presentimento si trattasse e ciò mi rendeva ancor più nervosa. Più pensavo e più sembrasse che il tempo scorreva, anche se era al massimo passato qualche minuto. A riportarmi alla realtà fu il rumore di qualcuno che bussava alla mia porta e che aspettava il mio consenso ad entrare. “Entra pura” Replicai nemmeno pensando chi fosse. La prima cosa che sbucò dalla porta era una mano che teneva un cestino con dentro della frutta, poi una chioma nera, per poi entrare completamente il ragazzo di prima. Se non mi sbaglio il suo nome dovrebbe essere Alex? “Ehi là! Sono venuto a fare visita alla principessa rinchiusa nella torre.” Mi disse appoggiandomi difronte il cestino e mettendosi a sedere per terra dall’altra parte del cestino e difronte a me. “Non sei molto bravo a mentire sai? Più che a uno che viene fare una visita sembri colui che deve tenere d’occhio il carcerato così che non scappi.” Replicai scocciata a mia volta. “Beh visto che sai come stanno le cose non facciamo sceneggiate e arriviamo al sodo: Non provare a fare stupidaggini, non cercare informazioni dagli altri prima che Evelyn (Il nome di mia nonna) venga a parlare con te, anzi non muoverti proprio da cui, e, per ultimo, non chiedere nulla sui bambini ne a me ne ad nessun altro. Sono stato chiaro?” Come faceva a sapere quello che avevo in mente di fare? Beh.. in fondo me lo aspettavo…se finora non mi era stato detto niente perché proprio ora? Comunque non riesco ad togliermi questo strano presentimento, è come se ci fosse qualcosa che dovrei sapere ma che non riesco ad ricordare….Ma chi mi credo di essere? Sarà sicuramente niente o qualcosa di inutile. “Riemaneremo al lungo qui dentro quindi ti consiglio di mangiare qualcosa o vuoi rimanere senza cena?” Mi chiese riportandomi ai miei sensi. “Si, si, ora mangio. Deve essere dura per te fare il poliziotto al carcerato e anche accertarsi che mangi e stia bene, vero?” “Allora sei proprio irritata. Comunque per me non importa, basta che fai quel che ti è stato detto e il resto non conta.” Detto questo ci silenziammo tutti e due. Dopo qualche minuto, stanca e affamata, decisi di dare retta al suo consiglio e presi dell’uva dal cestino e mi alzai per andare a prendere un piatto in cucina per metterci i semini, ma appena mi mossi verso la porta, lo vidi davanti a me. “Che vuoi?” Chiesi irritata. “Non ti preoccupare per i semi, ho preso l’uva che non li ha. E non serve manco lavarli, l’ho già fatto.” Da poliziotto a balia? Li piacciono proprio i giochi di ruolo… Ancor più irritata di prima mi rimisi a sedere per terra. Finita l’uva, avendo ancora fame, decisi di prendere una mela, ma appena sfiorata, gli sentì chiedere: “Com’era l’uva?” Sentita la domanda, mi ritrovai a fissarlo. Perché cercava di fare conversazione con me? Ora che lo guardavo meglio era un tipo abbastanza attraente. Occhi e capelli tendenti al nero, corpo abbastanza robusto. Indossava una maglietta bianca a v, dei jeans e un giubbottino a pelle. Sembrava il tipo da motociclista. Ma ci fu una cosa in particolare che attirò la mia attenzione. Vicino alla scollatura della maglietta si potevano intravedere delle cicatrici, sembravano le stessa del ragazzo biondo, Francesco. Ma perché tutti e due possedevano delle cicatrici così simili e perché le avevano? Mentre pensavo, non accorgendomi che continuavo a fissarlo lo vidi per un attimo arrossire, ma si girò subito, chiudi non ne fui certa. Ricordandomi che mi aveva fatto una domanda, mi ritrovai a dire velocemente: “Era buona…” Non so perché, ma mi ritrovai anch’io per una strana ragione ad arrossire. Restammo così per un bel po’, finche non gli sentì mormorare: “Mi ricordavo bene allora…” Ma prima che potessi chiedergli cosa intendesse, sentì bussare alla porta. Nemmeno aspettando il mio consenso, entrò mia nonna. Tipico di mia nonna. “ Si è svegliato e ti vuole parlare. Finisci di mangiare e vieni giù.” Finita la frase ed era già andata via. Si vede lontano un miglio che è nervosa da tutto quello che ha da fare, ma infondo come posso giudicare io non sapendo nulla? Sarà meglio però non irritarla ulteriormente dato che è una bestia quando lo è. Finto di pensare, decisi di lasciar stare la mela e di invece avviarmi subito verso la cucina. Quando camminavo, sentivo che Alex mi stava seguendo e la cosa un po’ mi irritava dato che significava che per qualsiasi cosa avessi dovuto fare avrei avuto lui in mezzo. Passata la porta, ritrovai Francesco intento a mettersi in piedi. Appena Alex lo vide, gli corse subito in contro per aiutarlo. Senti che mormorò un grazie verso Alex, ma appena si accorse di me gli si stampò un sorriso in faccia e mi rimase a fissare. Era come se si fosse completamente dimenticato di Alex. Al contrario di offendersi, Alex utilizzò questo momento di debolezza e lo rifece sdraiare. Io rimasi lì, sulla soglia della porta, a guardare Alex che si prendeva cura della ferita di Francesco. “Avvicinati Lisa. Sei venuta perché Evelyn ti ha detto che ti volevo parlare, no? Se vuoi ascoltare quello che ti ho da dire, avvicinati.” Mi disse mormorandolo dolcemente. Non so il perché ma ero molto interessata su quello che mi aveva da dire. Era come se lui aveva la chiave a tutti i miei problemi e che solo nel momento giusto le avrebbe utilizzate. Attirata dalla voglia di sapere mi avvicinai a lui. “Lo so che sei venuta da me solo e soltanto per sentire la verità, quindi non mi metterò a chiacchierare con te e inizierò a raccontarti subito e tutto. Iniziamo con il fatto che il tuo vero nome non è Lisa Limoni, ma è Sabrina Bloodstar e tutto quello che ricordi di quando eri piccola o tutte le foto che hai di quando eri piccola sono false, diciamo che ti hanno tolto i ricordi e te ne hanno dato degli altri. Ma questa non è la parte in cui inizi ad avere paura, ora arriva il peggio. Ma per raccontartelo non mi devo concentrare sulla tua di storia, ma anche su quella di molti altri come te, come me. E, se ne sei pronta, te la racconterò. Ti racconterò la storia sui New Childrend solo se tu lo voglia. ” Non ancora formulate le informazioni sconvolgenti nella mia testa; non so come, ma la mia bocca si mosse da sola e ,prima che ci potessi pensare, dissi che volevo sapere. “Bene. Allora iniziamo. Undici anni fa dei scienziati, finalizzati dal governo, si misero all’opera per un nuovo progetto, volevano trovare delle cure per ogni sorta di male che potesse soffrire l’uomo. Inizialmente si servirono di rane, scimmie e altri animali del genere. Ma trascorsero i mesi e non riuscirono ad trovare nulla, ma per loro non era quello il problema. Diciamo che non gli interessava nemmeno trovare delle cure per l’uomo. Loro avevano un solo e unico desiderio. Volevano il potere sugli uomini e volevano il dono dell’immortalità. Alla fine, affamati di trovare questo potere, decisero di abbandonare gli animali e di, invece, concentrarsi su colui che alla fine doveva controllare questo potere: l’uomo. Ovviamente non erano così tanto impazziti da utilizzare una forma umana adulta che, se scappata, avrebbe potuto spifferare tutto al governo, all’oscuro di tutto ciò. Quindi si concentrarono su un’altra forma di vita umana, i bambini. Ma con loro non trovarono quello che stavano cercando, bensì un’altra cosa. Qualcosa di ancor più mostruoso e terrificante, ma essa cambiava da bambino a bambino, quindi ora non ti saprei dire che cosa fosse o che cosa fossero. Alla fine tutti gli esperimenti sui bambini andarono a buon fine per gli scienziati e nessuno per ben cinque anni non si accorse di nulla di quello che stava succedendo. Ma poi, appena trascorso il sesto anno un gruppo di scienziati che, quando si erano accorti di quello che stavano facendo e quello che stavano facendo i compagni se ne andarono, fecero un’imboscata e riuscirono a far sfuggire tutti i bambini e a nasconderli. Ma per proteggerli bisognava proteggerli da una cosa ancor più importante, da se stessi. Per farlo crearono un cip che fosse in grado di trattenere i poteri e i ricordi dei bambini. E per far si che nessuno lo utilizzasse in mal modo, diedero la chiave a tutti i cip a una persona sola, la diedero ad uno dei bambini. Però non poteva essere uno qualunque di loro, doveva essere il più forte, il più temuto che, in questo caso, era il primo bambino che era stato creato. Infatti il primo bambino era una femmina, per specificare, era proprio figlia di uno degli scienziati. Questa bambini sei tu, Sabrina Bloodstar.” “…..Eh? IOOO?! Non è possibile! Guarda che io non so manco uccidere una mosca!” “Le tue capacità umane non centrano nulla colla storia, ma la tua capacità data si.” Mi disse serio. Non può essere vero…Non è possibile una cosa del genere… “Invece è vero, Lisa.” Sentì dire da una voce vicina. Mi girai e vidi che accanto alla porta c’era mia nonna. “Tutto quello che ti ha raccontato Francesco è vero. Tu non sei una umana qualsiasi e, per sino tra i tuoi simili, sei quella più temuta. Hai sempre avuto questo peso sulle tue spalle senza mai saperlo o ricordarlo. Ma ora è giunto il momento che tu inizi a ricordare e ad occuparti delle tue responsabilità.” Non sapevo cosa dire. Non sapevo se crederle o no. Ormai il mondo mi sembrava sconosciuto, ma la cosa peggiore, mi sembrava di non avere più una identità. Sentendo il peso degli sguardi delle persone che mi stavano intorno, non riuscivo ad guardarli e rimasi zitta a guardare il pavimento. Alla fine, mia nonna emise un sospiro e mi consigliò di tornare in camera mia a riflettere su quello che mi era stato detto. Senti mia nonna bisbigliare ad Alex di accompagnarmi, ma appena si chinò per aiutarmi, lo scansai e me ne andai da sola in camera mia. Non riuscivo a pensare.. era come se la mia testa fosse vuoto ma allo stesso tempo troppo piena. Una volta entrata in camera mia mi buttai sul letto. Non sapevo come reagire…. L’essere non imparentata coi miei genitori non mi era tanto doloroso, ma quello che mi faceva più rabbia è che ero stata ingannata per ben undici anni. Poi dicevano che questi bambini, che era, come me, saranno diventati grandi, avevano delle doti speciali e che io ero la più potente. Come se io li avessi….. ma se li avessi sul serio? Cosa dovrei fare?...... Aspetta un attimo.. perché mi hanno raccontato tutto? Perché non hanno finto per sempre che ero normale e che i miei genitori erano effettivamente i miei genitori? Ci deve essere qualcosa sotto, mia nonna non farebbe mai nulla per caso o per gentilezza ma allora perché? Prima che potessi formulare altre domande nella mia mente, sentì di nuovo qualcuno bussare alla mia porta. Questa volta, avendone abbastanza per una giornata, decisi di fingermi addormentata. Sentì qualcuno aprire la porta e, guardando di soppiatto, vidi che erano Evelyn e Alex. “Sembra che si sia già addormentata..” Disse Evelyn. Ora mi era persino difficile pensarla come nonna. “Alquanto pare.. deve essere stata una giornata dura per lei.” Le rispose Alex. Come se volessi la sua compassione… Mi ritrovai a pensare. All’improvviso mi sembrò sorpreso, ma poi mi sembrava che tra un momento all’altro era pronto ad esplodere nelle risate. “Che succede Alex?” Chiese Evelyn preoccupata. “Niente. Mi è solo venuto in mente una cosa buffa.” Disse facendo una smorfia divertita. “Ora non è proprio il momento per divertirsi Alex. Sia tu, che gli altri in questo momento dovete essere il più seri e più decisi di sempre. Soprattutto Lisa. Se si è già esausta da sola questa giornata, non voglio sapere delle prossime che verranno. Dovrà diventare più forte e più decisa se vorrà realizzare il suo scopo.” Detto questo, richiuse la porta e se ne andarono. Stanca, decisi di non farmi delle domande su quello che avevano detto e, invece, di andare a dormire. Ma anche se avevo deciso di dormire, non ci riuscivo a causa di tutti gli avvenimenti successi in giornata. La cosa che mi ritrovavo a pensare di più, erano i paia di occhi verdi color del mare e i paia neri come le perle nere dell’oceano. Quando mi addormentai, infatti, il giorno dopo non mi ricordai più a quale paio di occhi avessi pensato all’ultimo.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Mi svegliai col mal di testa per colpa della mia sveglia che sembrava suonasse per ore. Era strano, di solito mi svegliavo sempre prima che suonasse la mia sveglia. Cercai sulla superficie liscia del tavolino accanto al mio letto il mio cellullare. Ma quando lo sfiorai finalmente, tutti i ricordi della giornata precedente mi ritornarono in mente. Se prima mi ero svegliata con un leggero mal di testa, ora sembrava che la mia testa scoppiasse dal dolore. Più pensavo alle bugie che mi avevano detto negli anni, più la rabbia mi assaliva. E, ad un certo punto, mi sembrava che i miei occhi bruciavano. Li sentivo in fiamme! Ma non era possibile.. Decisa a vedere se avevo qualcosa nei occhi, mi avvicinai al mio specchio. Appena guardai il mio riflesso, fui traumatizzata da quello che vidi. “C-cosa mi sta succedendo?!” Davanti a me ritrovai me riflessa. Ma c’era qualcosa di differente. Quella nel mio riflesso aveva gli occhi rossi come il sangue ma con la pupilla come quella dei gatti! Ero completamente terrorizzata. E più cercavo di concentrarmi, più sembrava che la mie pupille diventassero più fini. Passarono alcuni minuti e i miei occhi non avevano l’intenzione di tornare come prima, così, invece di rimanere a fissarmi nello specchio, decisi di sdraiarmi sul letto e di tranquillizzarmi. Dopo già due minuti mi riaddormentai subito, dimenticandomi che dovevo andare a scuola. E, all’improvviso, senti la porta della mia camera sbattere contro il muro e qualcuno che entrava. Io, ormai nella fase rem, non me ne curai molto, anzi mi girai dall’altra parte del letto come se non fosse successo nulla. “Ehi bella addormentata, è ora di svegliarsi!” Disse qualcuno rubandomi le coperte. Aprì gli occhi dall’improvvisa arietta fresca che mi trapassò il corpo. Appena misi a fuoco che fosse, rimbalzai, sorpresa, un'altra volta dall’altra parte del letto. “A-A-Alex??!” Mi ritrovai a gridare il suo nome. “Abbassa la voce o vuoi svegliare tutti di sotto?” Disse mettendo la sua mano grande e calda sulla mia bocca. Ora basta, mi sono stancata che ogni volta che ci dobbiamo incontrare mi debba zittire. Scansai la sua mano dalla mia bocca e gli chiesi: “Potresti smetterla di in zittirmi ogni santa volta che ci incontriamo, per favore?” “Vedo che siamo freddi come sempre, piccola addormentata. Certo che il tempo passa e te non cambi mai.” Cosa voleva dire? Che ci eravamo già incontrati? Ora che ci penso non è la prima volta che si riferisce al passato con me. “Ti vedo un po’ confusa, quindi ti schiarisco le idee. Anch’io facevo parte del progetto nuovi bambini e per un lungo tempo io, te e Francesco siamo stati amici. Possiamo all’incirca dire che siamo amici d’infanzia.” Io che sono stata fin da quando ricordo un asociale, avevo dei amici d’infanzia?! Però non mi pare proprio che stia scherzando o mentendo, poi perché mentire su un argomento del genere? Ora che ci penso, quando ho visto gli occhi di Francesco e di Alex mi parevano famigliari, però non il loro corpo. Sarà perché, crescendo, il loro fisico è cambiato, ma i loro occhi no. Per trovare certezza nei miei pensieri, mi ritrovai a guardare negli occhi Alex che contro cambiava il mio sguardo. Dopo un po’ sembrò che gli venne in mente una cosa. “ è meglio sbragarci O faremo tardi a scuola.” È vero! Aspetta, cosa? Faremo?! Vedendomi di nuovo confusa, mi spiegò la situazione. “Dato che è rischioso mandarti a scuola con i tuoi poteri che potrebbero risvegliarsi da un momento all’altro e che Evelyn vuole che sfrutti fin che puoi la scuola, mi hanno incaricato di prendere il posto di Francesco e quindi di sorvegliarti.” Quindi era questo quello che stava facendo Francesco la prima volta che l’avevo visto… Mi stava sorvegliando. Ma non avevano detto che i nostri poteri sono stati repressi grazie ad un cip? Perché mi dovrebbero tenere d’occhio se ho i miei poteri ancora controllati? Di nuovo, capendomi al volo, Alex mi rispose: “ Per alcuni di noi i cip sono stati impostati con una durata di tempo. Uno di questi è il tuo che è stato impostato per undici anni, un altro è il mio che è stato impostato per sei. È più o meno questo di cui si occupa Evelyn, cerca i bambini con il cip impostati con una durata, aspetta che il tempo scada e poi si prende cura di loro.” Ecco perché a volte mia nonna scompariva senza dirmi niente e poi riappariva come se non fosse successo niente. Certo che sarebbe stato tutto più facile per lei se mi avesse raccontato tutto e se non fosse stata zitta. “Aspetta, hai detto che anche il tuo era impostato su una durata e, precisando, hai detto che era impostata per sei anni. Vuoi dire che hai già riavuto indietro i tuoi poteri?” Appena mi sentì, lo vidi sorridere come se mi volesse prendere in giro. Si avvicinò sempre di più alla mia faccia, finché i nostri visi non erano pochi centimetri l’uno dall’altro. Gli vidi alzare una mano e posizionarmela sulla mia spalla. C-cosa vuole fare?! Mi vuole baciare?! Sentì le mie guance arrossirsi e dall’imbarazzo chiusi gli occhi nervosamente. Ma la prima cosa che sentì, non era qualcosa di morbido sulle labbra, ma bensì una mano che mi pizzicava la guancia. Dolorante, gli supplicai di smetterla e di lasciarmi in pace. “Sei molto curiosa ragazzina. Sta attenta che se metti il muso in affari che non ti riguardano ti troverai in guai seri. Non che per me è una cosa privata quello che hai chiesto, ma per altri lo potrebbe essere.” Finita la frase si diresse verso la porta spalancata. “E comunque se vuoi sapere il mio potere te lo dirò. Diciamo che so che ieri sera eri sveglia mentre ci ascoltavi e che so esattamente quello che stavi pensando.” E così se ne andò. Capendo che potere possedesse, la mia faccia andò in fiamme. Un attimo fa, prima che potessi fare una domanda, riusciva a rispondermi manco a sentirla, sapeva che la notte scorsa ero sveglia mentre ero girata con la schiena rivolta verso la porta. Il suo potere è la telepatia. Rimasi di nuovo per un po’ con la mente sopra le nuvole, finché non mi ricordai che dovevo andare a scuola e che, sicuramente, avrei fatto tardi. Appena scesi dal letto mi accorsi che ero ancora in pigiama( Il mio pigiama era semplicemente una canottiera e dei pantaloncini elastici con disegnatoci sopra dei cuoricini) e che per tutto il tempo ero rimasta così a parlare con Alex. Però, non avendo più tempo per pensarci e per imbarazzarmi, presi i primi vestiti che mi capitarono di mano(che erano semplicemente i vestiti dell’altro giorno. Cioè una maglietta larga bianca e dei leggins neri) e corsi subito fuori camera mia con lo zaino in mano. Quando passai per il corridoio, notai che tutta la gente che c’era la sera prima era diminuita e, quelli che erano rimasti, erano tutti addormentati o in terra o sui divani con dei fogli e delle penne addosso. Uscita dalla porta principale, trovai Alex ad aspettarmi. Ma appena mi vide si mise a camminare. Feci una piccola corsetta per raggiungerlo, dato che volevo delle risposte su alcune cose in particolare. “Perché stai camminando come se non fossimo in ritardo?” Gli chiesi confusa e per iniziare una conversazione. “Non serve che fingi con me, so quello che pensi. Ma so anche che ti interessa davvero una risposta alla tua domanda quindi te la darò. Non mi metto a correre come una smidollato perché anche se corressimo arriveremo comunque in ritardo, quindi teniamoci a noi le nostre forze.” Disse serio manco parlandomi in faccia. Un po’ mi offesi per la sua risposta diretta e fredda, non ero abituata a essere io quella scansata dagli altri, ma non mi arresi e decisi di arrivare al sodo. “Arriviamo al punto. Quali sono i miei poteri e come li controllo?” Resto di stucco, era come se non si aspettasse che gli lo avrei chiesto direttamente. “Certo che passa il tempo e tu non cambi mai. Se continui così rimarrai per sempre una ragazzina.” Mi disse con occhi di sfida. Se sperava che con questo era riuscito a farmi innervosire, ci è riuscito eccome, ma se crede che gli do la soddisfazione di fare una sceneggiata da isterici per suo puro divertimento se lo scorda. Così decisi di rimanere seria e di richiedergli in cosa consistevano i miei poteri. “Non ho voglia di scherzare. È di una cosa importante di cui stiamo parlando, quindi parla.” Dissi più acida di quel che avevo programmato. Vedendomi seria mi rispose: “Cosa cambierebbe se te lo raccontassi ora? Non voglio spaventarti con racconti che ero sono inutili. Dovrai aspettare finché i tuoi poteri non si risveglieranno, allora ti dirò tutto quello che vorai sapere, anche se dubito che mi chiederai qualcosa dato che il cip del bloccamento dei poteri è collegato al siero della memoria e, una volta disattivato il cip ti dovrebbero tornare tutti i ricordi.” “Ma alcuni poteri si possono manifestare prima che il cip si sia disattivato?” Chiesi senza volerlo con un tono di urgenza. Fu alloro che Alex ebbe uno scatto e, da alla mia destra, lo ritrovai davanti a me con le sue mani sulle spalle che già aveva iniziato a scuotermi. “Perché lo chiedi?! È successo qualcosa?!” A quelle domande, involontariamente, pensai a quello che era successo la mattina. Pensai al mio riflesso coi occhi rossi e con le pupille come quelle da gatto. Sorpreso da quello che vide, mi lasciò le spalle e mi guardò con perplessità. “Oddio…Ma come è possibile? Non avresti dovuto riavere i tuoi poteri fino alla prossima settimana, eppure quei occhi.. Aspetta! Ti sono anche tornati i ricordi?!” Mi chiese tutt’un tratto riprendendomi e stringendomi le spalle. “No, è successo tutto all’improvviso senza che sentissi nulla o ricordassi qualcosa.” Vidi nei suoi occhi delusione, ma come al solito, si girò verso la strada e iniziò di nuovo a camminare. Arrivati a scuola tutti e due andammo in loghi opposti e non ci vedemmo fino al suonare della campanella di ricreazione. “Ehi, c’è un ragazzo stra sexy che ti sta fissando da ore.” Mi disse ad un certo punto della ricreazione Emily. Guardai nella direzione in cui Emily puntava e vidi Alex. “Quello non mi sta fissando, sta soltanto fissando un punto qualsiasi della scuola e pensando a cosa prendere dal distributore.” Dissi per tagliare corto sul discorso Alex. Infondo lui non mi fissava per sua volontà, doveva tenermi d’occhio, era il suo lavoro. “Di quello che vuoi, ma per me ti sta fissando. Certo che sei fortunata… Ieri che ti fissava quel biondo figo della madonna ora questo super stra sexy.” Sapendo che Alex poteva leggerci nella mente e quindi ascoltare i nostri discorsi lo guardai. Appena i nostri sguardi si incrociarono vidi che la sua bocca e i suoi occhi erano messi in una sotto specie di smorfia vincitrice. Disgustata, mi negai persino di guardarlo, mi girai verso Emily e le dissi: “Chi? Quello? Ma se sembra che non si è lavato da una settimana. Non dovresti frequentare un tipo del genere, chissà che malattie avrà.” Emily mi guardò confusa, ma quando riguardai nella direzione di Alex fui molto soddisfatta di vederlo stupito. All’improvviso giunsero delle voci che due ragazzi stavano facendo a botte e, trascinate dall’entusiasmo della folla, sia io che Emily ci trovammo a guardare i due che combattevano. All’inizio sembrava che quello più robusto aveva la meglio, ma poi la situazione si ribaltò parecchie volte. Ad un certo punto, più interessata a che vincesse, mi ritrovai a osservare attentamente ogni movimento che i due facevano e a calcolare quanto movimento impegnassero entrambi a fare. Alla fine mi ritrovai persino, basandomi su questo calcoli, a indovinare che mosse avrebbero fatto e, ogni volta, azzeccavo. Alla fine mi concentrai ancor di più, finché non mi sembrò di vedere qualcosa di diverso, ma, all’improvviso, una mano mi coprì gli occhi. “Non dire nulla e seguimi.” Disse una voce roca e forte. Alex. “Ma devi sempre avere queste entrate da duro o poi per una volta anche salutarmi?” Chiesi sarcasticamente, sorprendendomi d’essermi già abituata a situazioni del genere. “Ciao.. ora vieni con me, ma copriti gli occhi!” Pensando che scherzasse, appena lasciò la presa aprì gli occhi senza pensarci. “Ti ho detto di tenerteli chiusi! Non importa se chiudi gli occhi o tieni una mano su essi, ma non farli vedere a chi ti sta intorno. Ti guiderò io, ma tu fai quello che ti ho detto.” Detto questo, tolse la mano dai miei occhi e, capendo che non dovevo discutere, chiusi gli occhi. Una volta chiusi, mi prese la mano e mi guidò finché non trovo un posto desolato. Finalmente, quando mi diede il consenso di aprire gli occhi, guardai dove mi aveva portata. Sacchi della spazzatura e pavimento pieno di piccole sigarette finite. Mi aveva portato nella parte della scuola dei strafatti. “Perché mi hai portato nella zona degli strafatti?” Gli chiesi dubbiosa. “Perché è l’unico posto in cui a quest’ora non c’è nessuno e anche se ci fosse qualcuno che ci sentirebbe ci prenderebbe per strafatti. Comunque mi potresti dire quello che ti sta succedendo? Perché all’improvviso hai gli occhi così?” Non vedendomi capire, prese il cellulare, lo mise su fotocamera interna e vidi di nuovo me stessa con gli stessi occhi di stamattina. “Perché dovrei saperlo io?! Sono l’unica che non sa niente di tutta la faccenda e me lo vieni proprio a chiedere a me?!” Dissi ormai arrabbiata della situazione. “Quindi non lo sai manco tu…. Le cose si mettono difficili. Le cose si stanno mettendo troppo rischiose, per ora è meglio tornare a casa e riferire tutto quello che è successo a Evelyn e vedere cosa ci dirà di fare. ” Disse serissimo. Lo guardai nei occhi e capì che era inutile protestare e che era meglio fare quello che mi stava dicendo. “Prendi le tue cose e ritorniamocene a casa tua. Ci dovremmo far spiegare molte cose…” Disse iniziando a camminare, non avendo una destinazione fissa.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Erano ormai ora che erano rinchiusi la dentro. Una volta avuto il permesso speciale per tornare a casa prima ci siamo subito diretti verso casa e arrivati, Alex parlò in privato con mia nonna per almeno un quarto d’ora. E, una volta finito, sentì mia nonna urlare a tutti che vi sarebbe stata subito un’ assemblea. È da mezzo giorno che si sono riuniti in salotto, sono le tre e nessuno ancora è uscito. Nervosa, mi ritrovavo ad andare in avanti e in dietro nel corridoio e a guardare di continuo l’orologio. Gli occhi mi erano ormai tornati come prima, cioè di un verde brillante e ancora non riuscivo a spiegarmi quello che stava succedendo. All’improvviso sentì qualcosa di vetro rompersi, mi girai e vidi Francesco affannato che si reggeva in piedi grazie all’aiuto del comodino. Appena lo vidi così dolorante, scattai e prima che me ne accorsi ero già accanto a lui ad aiutarlo. “Grazie, sei molto gentile come al solito, me ce la faccio anche da solo.” Disse fra una pausa all’altra. “Ma se non riesci manco a reggerti in piedi.” Replicai cercando di aiutarlo e vidi che, mentre si sarà aggrappato al comodino, aveva fatto cadere uno svaroschi di mia nonna. “Lo so, ma ciò mi renderà più forte. Se ora mi facessi aiutare mi farebbe indebolire ancor di più. Voglio diventare un uomo forte in grado di proteggere le persone che ama.” Disse mentre una goccia di sudore gli rigò la fronte. “Gli uomini forti non sono solo quelli che riescono a proteggere i loro amati solo con la forza. Sono anche quelli forti e gentili di cuore. Quelli che con una sola frase riescono a dar fiducia a speranza alle persone. Quelli che non si arrendono mai. Sono anche quelli che nel momento capiscono di aver bisogno di aiuto e si lasciano aiutare. Quelli sono uomini forti in grado di proteggere le persone a cui vogliono bene. Se pensi che la forza per proteggere i tuoi cari sia solo nella forza fisica ti sbagli di grosso.” Dissi tutt’un fiato irritata. Odio le persone che pensano che il potere è solo nella forza, mi scocciano e mi irritano. Quanto ci vuole a capire che l’unica forza è quella del cuore?! “Scusa, hai ragione. A volte sono troppo accecato dalla rabbia e dalla tristezza che mi dimentico della cosa più importante. La forza del cuore. Avevo deciso che non ti avrei mai più fatto ridirmi quella frase, eppure questa è la seconda volta che me lo dici e sembra proprio che io non abbia proprio imparato niente in questi anni.” Disse con un tono triste, ma ricominciò subito a parlare, combinando discorso. “Sembra che io ti abbia innervosita un po’. Prima stavo bevendo del tè e me né rimasto un po’, ti andrebbe di andare in veranda e bercelo insieme?” ….. Questa è la prima volta che vedo un ragazzo chiedermi di prendere un tè. Anzi, questa è la prima volta che vedo un ragazzo così educato! “S-si, va bene.” Dissi sorpresa e anche un po’ imbarazzata. “Allora io intanto vado in veranda, tu potresti andare in cucina e prendere il tè? Si trova sul tavolo, quindi non credo che tu abbia problemi a trovarlo.” Disse sorridendomi dolcemente. Preoccupata, lo guardai dubitante e insicura. “Lo so che sei preoccupata, ma ce la faccio. Lasciami andare da solo, così avrò ancora almeno un po’ d’onore per me stesso.” Replicò al mio sguardo. Non volendolo privare del suo onore, decisi di lasciarlo andare. Così mi recai in cucina e, come aveva detto lui, trovai un tazza e una caffettiera sul tavolo. Presi dalla mensola superiore di una comodino un’altra tazza e presi anche un vassoio da rendere il trasporto di tutta la roba più facile. Una volta che stavo per mettere la tazza mezza piena di tè e la caffettiera piena di tè sul vassoio, notai vicine ad esse una foto. A distanza non si vedeva molto a fuoco chi erano le persone fotografate, dato che la foto era anche in bianco e nero e che sembrava fosse stata stropicciata diverse volte, ma si potevano distinguere diversi bambini e pochi adulti e dietro di loro sembrava che ci fosse una specie di scuola con intorno diversi alberi. Presi la foto tra la mani per vedere più chiaramente e, appena lo avvicinai vidi che, uno dei bambini, una bambina, aveva il viso sfigurato dal colore di una penna indelebile. Questa bambina si trovava in mezzo a due altri bambini, maschi, uno dai capelli neri e l’altro dai capelli biondi. Entrambi guardavano la bambina, che sembrava sorridesse. Per curiosità, guardai anche tra gli adulti. E, fra essi, ce n’era un’ altro che non si vedeva bene il viso, ma a differenza della bambina, era come se il proprietario della foto ci avesse passato sopra con una matita tantissime strisce più e più volte e poi cancellate tutte per rendere irriconoscibile il volto. Non so il perché, ma più guardavo quel uomo, più l’ansia mi saliva. Con le mani fredda dal sudore, misi in fretta la foto in tasca, presi la roba e me ne andai in veranda. Appena arrivai vicino alla porta vidi dalla finestra accanto Francesco strofinarsi le mani. Così decisi di mettere tutto un attimo su il primo comodino che avevo affianco e di andare a prendere una copertina. Dato che mia nonna era ormai anziana, in tutta la casa, da qualsiasi parte, si potevano trovare coperte e medicinali, quindi non fu difficile trovare una coperta. Presa la prima che capitava, tornai in corridoio, presi il vassoio e uscì finalmente fuori. “Scusa se ti ho fatto aspettare al lungo, ma ho visto che faceva un po’ freddo qui fuori così ho pensato di portare una coperta.” Dissi appoggiando il vassoio sul tavolino di legno. “Non fa niente, infondo è vero. Fa un po’ freddo qua fuori..” Disse rivolgendo lo sguardo verso il cielo. Distratto, colsi l’attimo e gli avvolsi la coperta intorno. Stette per protestare, ma lo fulminai subito con lo sguardo così da fargli capire di non contraddirmi. “Va bene, accetto la tua bontà.. però soltanto se dividiamo la coperta. Infondo questa è troppo grande per una persona e mi sentirei in colpa, con il freddo che fa qui fuori a lasciarti senza nulla.” Al solo pensiero di dividere con lui la coperta, tutto il mio viso andò in fiamme, sapendo però che se non avessi accettato si sarebbe tolto la coperta decisi di accettare la offerta. Non guardandolo in faccia, giocando un pochino con le mie mani dissi: “V-va bene…” Detto questo, mi sedetti accanto a lui sulla panchina di legno gli lascia coprirmi con una parte della coperta. Nervosa, presi la mia tazza(che nel frattempo avevo già riempito con tè) ne bevvi un sorso e me la tenni con le mani gambe. Per non diventare ancor più rossa, decisi di concentrarmi su qualsiasi cosa che non fosse lui o la coperta. Mi concentrai sul calore della tazza che si diffondeva nelle mie mani gelide, mi concentrai sui disegni tagliati sulla panchina di legno, ma niente riusciva a togliermi il nervoso che sentivo stando così tanto vicino a Francesco. Curiosa di sapere cosa stesse facendo, mi ritrovai a guardarlo di nascosto. I nostri sguardi si incrociarono e, un’altra volta, mi ritrovai immersa nei suoi bellissimi occhi verdi puro. Quando mi fece un timido sorriso, realizzai che mi stava guardando da tutto il tempo e, ancora una volta, mi ritrovai a schivare il suo sguardo ancor più rossa di prima. Subito dopo aver distolto lo sguardo lo sentì ridere un pochino, ma ero troppo imbarazzata per guardarlo così mi riconcentrai sulla mia tazza bollente. Sentì la porta aprirsi, così, d’istinto, scattai in piedi, rovesciando la tazza. Vedendo la tazza infrangersi in mille pezzi, mi chinai nervosa a raccoglierli senza guardare chi fosse uscito. “La riunione è finita. I membri del consiglio la vogliano parlare, signorina Bloodstar.” Disse una voce fredda e distaccata. Appena alzai il viso vidi dei capelli neri chiudersi dietro alla porta. “Per caso quello che era qui un attimo fa era Alex?” Chiesi dubitante a Francesco. “Si, non l’hai capito dal ‘signorina’? Infondo ti ha sempre chiamato così.” Ma se questa è la prima volta che lo sento chiamarmi così! Poi perché mi dovrebbe chiamare signorina? Pensai mentre raccoglievo i frammenti della tazza. Prendendo un pezzo mi tagliai un dito. Sentì Francesco dire qualcosa, ma non ci badavo molto, ero più concentrata sul dolore che la ferita mi dava. E, a un certo punto, il sangue smesse di uscire. Vedendolo smettere, mi alzai e mi diressi verso la porta. “Scusa, come hai sentito mi aspettano. Non preoccuparti dei pezzi di tazza. Una volta finita la discussione trono a pulire.” Finita la frase, non aspettai nemmeno che aprisse bocca. Aprì la porta e mi diressi in salotto. Arrivata davanti alla porta del salotto girai la maniglia e trovai mia nonna ad aspettarmi. “Finalmente sei arrivata…” Disse distogliendo lo sguardo dai documenti che aveva in mano e guardandomi. “Ho avuto un contrattempo..” Replicai in mia difesa. Avevo un brutto presentimento. Avevo il presentimento che quello che mi voleva dire non mi sarebbe piaciuto per nulla. “Dobbiamo parlare… Potresti chiudere la porta dietro di te?” Deve essere una cosa seria… non vuole nemmeno che la nostra conversazione sia ascoltata… Pensai mentre chiudevo la porta. “Vieni a sederti qui accanto a me e al fuoco. Deve essere stato freddo fuori dato che l’inverno è alle porte. Vieni a riscaldarti accanto al fuoco.” Disse guardandomi affettuosamente indicando il divanetto davanti a lei. Seduta accanto al fuoco le si potevano intravedere meglio le rughe che la vecchiaia le stava rigando la faccia. Erano soltanto quelle a far capire alla gente quanti anni avesse, ma erano solamente ben visibile vicino a una luce. I capelli biondi vicino al fuoco le diventavano di un biondo fuoco e gli occhi color nocciola. Anche il resto del suo corpo poteva sembrare giovane; non aveva la gobba come il resto dei suoi coetanei, non era così macchiata dalla vecchia e non si comportava come tale. L’unica parte che avevo visto che era più macchiato erano le sue mani rugose e piene di calli dovuti ai lavori che durante la sua vita doveva fare. Quando mi sedetti davanti a lei mi preparai mentalmente su cosa avesse voluto parlarmi. Alzato lo sguardo, la vidi fissarmi. Non l’avevo mai vista fissare qualcuno. I suoi occhi erano concentratissimi su di me, sembravano non voler staccarsi dal guardarmi. Questa era la prima volta che la vedevo guardare qualcuno così intensamente eppure non mi dava noia. A una ragazza della mia età sarebbe stato scocciante essere vista in quel modo da un parente ma a me non dava. Era la prima volta che mi guardava con affetto paterno e ciò mi rendeva felice, mi sentivo per la prima volta in vita mia protetta da qualcuno che mi volesse veramente bene. “Di cosa mi volevi parlare?” Dissi ponendo fine a quel bellissimo momento. Non era abituata a così tanto affetto.. Non sapevo cosa fare. Più che altro non sapevo cosa pensare su cosa mi avrebbe detto se le faceva un tale effetto. “Giusto, torniamo alle faccende serie..” Disse risposando lo sguardo sui documenti che prima aveva in mano, che ora si trovavano sul tavolino che ci divideva. “Prendi quel documento, leggilo.” Mi disse guardandomi. Guardai i documenti che erano sul tavolino. Non li avevo mai visti, eppure perché mia nonna voleva che li leggessi? “Tranquilla, leggilo con calma.” Continuò lei vedendomi preoccupata e confusa. Avvicinai la mano ai fogli e appena li sfiorai fui travolta da milioni di brividi. Impaurita indietreggia la mano, ma quando lo feci, sentì una stretta sulla mia mano. Guardai in alto e trovai Francesco accanto a me che teneva la mano con cui stavo per prendere i documenti. Da quando era là? Anzi quando è tronato? Lo guardai diritto negli occhi e vidi per un attivo la me riflessa, impaurita e spaesata. “Francesco quando ti ho dato il permesso di entrare?!” Chiesi mia nonna infuriata. Anche se non sembra il tipo, anche se è confusionaria, mia nonna era una che all’educazione ci teneva e quando qualcuno non aveva almeno un po’ di educazione andava di matto. “Non me lo hai dato, ma ho sentito che c’era il bisogno del mio aiuto….” Replicò guardandomi. Che intendeva? Al contrario mio mia nonna sembrava avesse capito a cosa si riferisse e strinse la bocca come per silenziarsi. “Dato che ora ho fatto il mio dovere, me ne vado e vi lascio alla vostra discussione. A dopo.” Disse uscendo dalla stanza. Non capendo di nuovo a quello che si riferiva, guardai nella direzione di mia nonna che stava guardando ancora nella direzione dove Francesco scomparse. Sembrava stesse riflettendo, non so su cosa, ma sembrava che le richiedeva un po’ di tempo. Così mi misi comoda a la aspettai. Durante che lei pensava, io guardavo il fuoco. Osservavo il suo susseguirsi di colori caldi, osservavo le lunghezze di ogni fiamma, osservavo come il fuoco bruciava ogni pezzo di legna. Avvicinai la mano per sentire meglio il calore che si diffondeva in me. Mi attraeva come una calamita. Dato che, da quando ne ricordo, ho sempre avuto le mani gelide sono stata sempre attratta dal calore che emana il fuoco e, d’inverno, quando si accendeva il camino, mi ritrovavo sempre a rivolgere le mani al fuoco . “Ritorniamo a noi.” Disse all’improvviso mia nonna guardandomi seria. Nel frattempo aveva tolto il documento dal tavolino e messo non so dove. Però decisi di non chiederli che fine avesse fatto. Se l’aveva messo via c’era un motivo no? “Avrai capito che i tuoi poteri stanno tornando che il cip si sia disattivato, vero? La verità è che manco noi sappiamo perché ti si stiano riaffiorando i poteri o perché non ti stiano tornando i ricordi. Non sapendo quello che ti potrebbe accadere, abbiamo deciso di mandarti comunque dove saresti comunque andata. Alla A.N.C.” Disse guardandomi dritta negli occhi. Rimasi sorpresa. Sapevo che era rischioso andare in giro con i miei poteri ( che ancora non sapevo quali fossero, oltre a farmi venire gli occhi rossi con la pupilla simile a quella di un gatto) che si risvegliavano non so quando o dove, ma non mi aspettavo che mi manderanno da qualche parte. Anche se, vendendomi sorpresa, lei continuò a parlare: “A.N.C significa Accademia New Childrend. Questa accademia è stata creata per i bambini i cui poteri si risvegliano ma non sono in grado di controllarli. All’inizio, quando ai bambini si risveglino i poteri , nessuno di questi è in grado di trattenere i loro poteri, per questa è stata creata la A.N.C. per addestrare i bambini con i poteri. E tu da domani la frequenterai se tu lo voglia o no.” Non riuscì a reagire. Non perché ero rimasta di stucco( anche se lo ero) ma perché pian piano, stavo predandole forze e la vista, per poi sentire la mia faccia schiacciata al pavimento. Ma non era come se fossi svenuta, anzi ero completamente sveglia. Soltanto non riuscivo a muovermi o a vedere nulla. Sentì mia nonna dirmi scusa nell’orecchio e poi sentì qualcuno sollevarmi da terra e portarmi da qualche parte, per poi essere messa come una statua in una macchina. Non riuscendo a vedere nulla, sentendo il rumore del motore che si metteva in azione.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Sono in questa dannata macchina da un ora, e non riesco ancora a muovermi! Era ormai passato molto tempo da quando mi avevano fatto entrare in una macchina, ma alquanto pare non riuscivo ancora a muovermi o vedere dove mi stessero portando. Non era, però che mi avessero disattivato tutti i miei sensi. Sembrava che non potevo soltanto muovermi o vedere, gli altri sensi erano in perfetta funzione. Quindi, per tutto il tempo che mi trovavo la dentro, avevo cercato di concentrarmi sull’udito e sul tatto. Da quel che sentivo eravamo in quattro in macchina. E non era un mistero chi fossero quelli che mi stavano portando via. Lo dedussi dal fatto che stavano parlando liberamente dall’inizio del viaggio e quelle voci non mi erano sconosciute. Si trattava di Alex, Francesco e di Marco( Un vecchio amico di mia nonna che molte volte si ritrovava a mangiare con noi nella domenica). Conoscendoli fisicamente, m immaginai, udendo la direzione delle voci, Alex e Marco davanti a me seduti a discutere. Immaginavo Alex( Avendo capito le posizioni delle voci) che guidando guardava verso la strada e allo stesso tempo parlava con Marco, che lo ascoltava e gli rispondeva. Al contrario di mia nonna, a Marco si vedeva l’età. Tutto il suo viso era marchiato dalla vecchiaia e dai una grossa cicatrice che andava dalla sua sopracciglia sinistra fino a quasi il mento, trapassando l’occhio sinistro. Però non si era affatto accorciato, anzi era abbastanza alto e robusto. Spesso si vestiva con dei abiti militari, quindi me lo immaginai con questi. Non avevo mai capito perché lui e mia nonna fossero amici, dato che lui era un ex militare e mia nonna una ex infermiera, ma ora le cose erano molto più chiare. Invece Francesco non aveva smesso per tutto il viaggio a cercare di parlarmi provando a farmi parlare, ma io, innervosita di quello che mi avevano fatto, avevo deciso di ignorarlo e anche quei altri due. “Non hai capito che non ha intenzione di aprire bocca?” Disse Alex scocciato dopo un po’. Sentì Francesco sospirare alla mia destra, per poi sentirlo rispondere: “L’ho capito. Ma questo non mi costringe a non parlarle.” Non mi sta piacendo la cosa… la situazione sta diventando tesa…. “Ragazzi smettetela! State mettendo me e Lisa in difficoltà. Tra l’altro, ho capito il vostro tentativo di farle parlare, ma se fate così rendete la cosa ancor più difficile!” Disse la voce dura e severa di Marco. In quel momento era grata a lui, ma allo stesso tempo un po’ innervosita e arrabbiata. Pensavano che così sarebbero stati perdonati per quello che mi avevano fatto?! O che mi avrebbero calmata?! Se è così sono degli sciocchi, stanno avendo l’effetto contrario! “Ha ragione Marco. E, alquanto pare, stiamo avendo l’effetto contrario. Lo capisci anche tu, vero Alex?” Disse Francesco con un tono calmo. “Guarda che se continuiamo a parlare così, dopo ci spezza l’osso del collo sul serio.” Disse Alex trattenendo le risate. Ho voglia di ucciderli. Mi stanno facendo infuriare, anche se Francesco non lo fa apposta, sono sicura che Alex invece si! “Sei molto intuitiva, soltanto molto lenta. Comunque non dare la colpa solo a me, ti sei già dimenticata che non sono l’unico in questa macchina a avere dei poteri? Guarda che il colpevole di tutto è Francesco. Come credi se no che in questo momento non riesci a muoverti o a vedere?” Quindi è colpa sua…. Ma come fa? Comunque questo non è il momento per chiederglielo. All’improvviso sentì la macchina andare sul freno, facendo fare alle gomme della macchina un orribile suono. Sentivo qualcuno mettere le sua mani calde e grandi sulle mie orecchie per aiutarmi e glie ne fui molto grata. Dopo che ci eravamo fermati completamente, Francesco, dato che era l’unico a essermi accanto, tolse le sua mani dalle mie orecchie e iniziò a lamentarsi della fermata a Alex. Alquanto pare ci siamo finalmente fermati…. Ma quando hanno intenzione di ridarmi il completo funzionamento del mio corpo?! “Okay, okay. La prossima volta starò più attento.. Comunque per quanto tempo ancore hai intenzione di lasciarla in quello stato?” Replico Francesco ai rimproveri di Alex e chiedendogli quello che volevo chiedergli io da un po’ di tempo. “Tranquillo, avevo l’intenzione di farlo proprio ora, ma qualcuno mi ha distratto con il suo pessimo stile di giuda.” Lo sentì girarsi verso di me per poi sentire qualcosa di caldo e morbido sulla guancia destra. Lentamente riapri gli occhi e vidi Francesco pochi millimetri lontano dalla mia faccia. D’istinto mi allontanai di scatto capendo quello che mi aveva fatto. Alex, vedendo la mia reazione, scoppiò a ridere. Arrabbiata e imbarazzata, mi si tinsero di rosso le guance. “Aspetta ti aiuto io…” Disse Francesco riavvicinandosi. Prima ancora che potessi domandare cosa intendesse, mi prese il braccio e mi aiuto a uscire dalla macchina. Appena mi toccò mi senti calma e tranquilla. “Ora va meglio, vero?” Mi disse sorridendomi. Anche se prima lo stavo odiando per quello che mi aveva fatto, ora non so il perché ma mi sento al mio agio e serena. “Francesco così non vale! Metterla dalla tua parte senza che lei lo voglia.” Disse Alex mettendo sottobraccio Francesco che era ancora un po’ dolorante dalla ferita. Preso e trascinato via da Alex, Francesco mollo la presa dal mio braccio e, subito dopo che lo fece, tutti i miei sentimenti di prima, rabbia, imbarazzo e tristezza, ritornarono tutti. Riguardai nella direzione di Francesco e finalmente capì. Capì quale fosse il suo potere. Capendo finalmente tutto vi avviai verso i due che stavano ancora chiacchierando (bisticciando?) e mi fermai proprio davanti a loro. Mi guardarono incuriositi per quello che stavo facendo e io gli ricambiai sorridendogli. Prima ancora che potessero reagire, alzai entrambe le mani e li schiaffeggiai. Soddisfatta di vederli sconvolti, girai su me stessa e andai da Marco. “Andiamo? Dovete farmi da accompagnatori turistici, no? Sono stanca del viaggio facciamo le cose in modo veloce.” Dissi per poi rimettermi a camminare. Quando li sentì iniziare a camminare, guardai un attimo indietro per vedere se mi avrebbero risposto. Manco trascorso mezz’ora che sentì qualcuno urlare Sabrina e venirmi addosso. Guardai chi mi fosse venuto addosso e trovai una bambina di dieci anni intenta a stringermi fortemente. “Non sai quanto mi sei mancata! Appena ho saputo che saresti tornata da noi a stento non riuscivo a trattenere le lacrime! Non sai quanto sono felice….” Stava piangendo…. A ogni sua parola, come se per realizzare che fossi davvero io, mi stringeva sempre di più. Chi è? Finalmente realizzato che non sapevo chi fosse, mi ritrovai circondata da ancora più gente. Quasi tutti ripetevano le stesse frasi: Ben tornata, ci sei mancata, quanto sei cresciuta ecc.. Non capendo la situazione, mi ritrovai a guardare nella direzione di Alex, Francesco( con ancora il viso un po’ rosso a causa del mio schiaffo) e di Marco. Alex si stava guardando in torno un po’ annoiato, mentre gli ultimi due guardavano nella mia direzione sorridendo. Sembrava che quei due fossero felici, anzi sembrava che se lo stavano aspettando una cosa del genere. Vedendo che non avevano la minima intenzione di aiutarmi, mi rimisi a guardare dubbiosa la ragazza che mi stringeva così forte. Più tempo passava, più stringeva più forte, fino che a un certo punto iniziava a fare male. Ma prima che potessi protestare del dolore, senti qualcuno che mi separò con uno scatto dalla ragazzina. “Rina finiscila, non vedi che le stai facendo male?” Disse un voce calma dietro le mie spalle. Mi girai per vedere in faccia il mio salvatore e mi ritrovai davanti a un uomo che aveva all’incirca vent’anni, alto almeno due metri con dei occhiali tondi che coprivano metà del suo viso. La bocca, invece, era ricoperta da una specie di fazzoletto con due fili che li andavano dietro le orecchie ( come quelli giapponesi che indossano quando stanno male.) Poi con i capelli che gli ricoprivano l’unica parte visibile della fronte. Infatti, oltre ai occhi, non riuscivo a vedere nulla della sua faccia. “Bene. Ehi tutti! Tornate a fare quello che stavate facendo prima! Io e Sabrina abbiamo delle cose da sistemare e da compilare quindi non toglieteci più tempo.” Disse rivolgendosi verso tutta la massa che ci era intorno. Per un attimo ci fu un andata di lamenti però tutti alla fine fecero quello che gli era stato detto. “Finalmente se ne sono andati… Allora andiamo?” Chiese rivolgendosi a me e ai altri tre che erano rimasti a guardare tutta la scena. Vedendo che se ne stava andando senza dare spiegazioni, mi ritrovai, ormai d’istinto a seguirlo. Aspetta. Ma da quando mi viene così naturale seguire le persone?! Per lo più sconosciute?! Come il solito mi abituo troppo presto alle situazioni…. Pensai mentre camminavamo nel percorso tra quelle che sembravano dei campi di calcio, di basket e di tennis. Mentre camminavo, iniziai a guardare tra le verdi foglie degli alberi che ci circondavano. Era bellissimo l’armonia dei suoi colori con quella brillante del sole. Anche se il giorno prima aveva piovuto, ora si poteva rispirare aria fresca di mattina. Pensando al cielo e all’aria fresca, non mi accorsi che il signore di prima si era fermato e finì per sbattere la testa sulla sua schiena. Ahia! Anche se è magro e altro, rimane lo stesso duro da sbatterci contro. Confusa sul perché si fosse fermato, guardai oltre a lui e quello che stava facendo. Si era fermato davanti a una porta di ferro e stava piagando dei numeri su una specie di quadrato. E sembrava che non si fosse affatto accorto che gli ero andata addosso. Per non so quante volte pigiava diversi numeri e, verso la fine, salto fuori un altro aggeggio elettronico che, però questa volta, non aveva nessun pulsante o roba del genere. Ci mise sopra la mano e una linea verde andò in su e in giù. Fatto al massimo cinque volte l’operazione, una grande scritta in verde coprì l’apparecchio, con scritto: Bentornato Tommaso-sama. Vedendo la situazione, credo che Tommaso sia il nome di quello che mi è davanti, ma cos’è sama?? Finito manco di pensare e la porta si aprì. Dietro a essa si trovava una sale piene di mobili con, al centro, una scrivania. Dall’aspetto si direbbe una specie di ufficio, ma perché tenerlo così protetto? “Entrate pure e sedetevi dove volete. Volete che vi prepari qualcosa? Uno spuntino o del tè?” Chiese il signore di prima che si chiamava Tommaso. “No, grazie. È meglio per tutti fare le cose velocemente e quindi arriviamo al sodo...” Replicò Marco con un tono un po’ duro. “Peccato… E io che avevo preparato i biscotti preferiti di Sabri.” Contradisse Tommaso mettendosi, all’improvviso ad abbracciarmi. “C-c-che stai facendo?!” Urlai imbarazzata e sorpresa. “Che ti prende? Ti sto abbracciando, non è ovvio? Ah! Ho capito! Ora che sei cresciuta ti imbarazzi facilmente se ti abbracciano! Ma non dovresti esserlo con me, dopotutto ti abbracciavo spesso quando eri piccola!” Disse allegramente. Ecco, ci riusciamo! Perché devono esserci così tante persone che mi conoscono fin da piccola ma di cui io non mi ricordo per nulla?! Non sapendo cosa rispondergli, rimasi per un po’ a guardarlo, ma per via delle varie cose che aveva in faccia, anche a questa distanza, non riuscivo a vedere chiaramente come fosse il suo viso. Vedendomi che non rispondevo, si silenziò e mi iniziò a fissare. “Ehi, Che c’è?” Mi chiese con un tono un po’ preoccupato. “Al dire il vero è di questo di cui le volevamo parlare signore. Ma prima, come ha detto lei è meglio sederci.” Rispose Marco attirando l’attenzione di Tommaso. “Va, bene, sediamoci tutti.” Replico Tommaso serio mettendosi a sedere dietro alla scrivania. Marco, Francesco e Alex si sedettero sui divani davanti alla scrivania, mentre io, che non avevo nulla da fare nel discorso che avrebbero incominciato, mi misi su una sedia nell’angolo accanto alla porta. Prima di sedersi, Alex vedendomi nell’angolo, si rimise in piede e venne accanto a me, dove però non cerano altre sedie e dove fu costretto a rimanere in piedi. Volendo chiederli perché fosse venuto vicino a me, ma sapendo che non era il momento, decisi di concentrarmi sul discorso che tra un momento all’altro sarebbe iniziato. “Arriverò subito al punto. Il motivo del perché siamo arrivati prima del previsto è che i poteri di Sabrina si stanno risvegliando ma i suoi ricordi no. Tra l’altro sembra che i suoi poteri si riattivano in qualsiasi momento, senza che lei lo voglia.” Disse tutt’un fiato Marco senza fare manco una pausa. Non potendo vederlo in viso, non riuscivo a vedere la reazione di Tommaso che era rimasto tutto il tempo in silenzio. “Ho capito la situazione. Evelyn vi ha mandato da me perché non sapeva cosa fare, vero? E, oltre a quello, ha pensato che mandarla qui una settimana prima l’avrebbe protetta e resa sicura ancor di più e non ha tutti i torti. Infondo qui abbiamo l’attrezzatura per allenare i suoi poteri e a trovare il problema che ha causato tutto. Il problema che mi preoccupa di più ora è che la maggior parte degli studenti che è in questa scuola ha un passato con lei e non saprei cosa farebbero se lo venissero a sapere. Quindi non ne faremo parola a nessuno oltre a noi cinque e gli altri all’esterno.” Capendo l’intera situazione, mi alzai dalla sedia e inizia ad avviarmi verso la porta. Vedendomi muovere all’improvviso, Alex si girò di scatto verso di me, prendendomi dal polso e disse: “Dove vai?!” Scocciata girai poco la testa per guardarlo. “Mi potresti lasciare andare? Sai mi stai facendo un po’ male..” Dissi acidamente. Dopo aver sentito la mia contesa, lasciò subito il mio polso e mi guardò interrogativo, anche se non era l’unico a farlo. Guardando nella direzione degli altri, anche loro, nel frattempo, si erano alzati. E, sembravano confusi quanto Alex. “Non fate quelle facce…. Sembrate degli scemi…Sto andando a guardare in giro, okay?! Dato che abiterò qui per un po’ ho pensato di andare a vedere un po’ come è questo posticino, mica dovete reagire così però..” Replicai vedendo le loro facce. Per un attimo ci fu un minuto di silenzio. Poi vidi il signor Tommaso fare un salto e venirmi addosso. Presa alla sprovvista e dal suo speso, caddi a terra. “Questo si che è moe!!!! Ecco quello che mi aspettavo da te Sabrina! Questo è il vero moe!” Disse Tommaso strusciando la sua guancia contro la mia. Moe? “Scusa, ti dobbiamo tane spiegazioni vero? Partiamo dal fatto che quel imbecille lì è il preside di questa scuola ed è un otaku. Vedendo la tua reazione, sicuramente non sai cosa significhi… per metterlo in parole povere si tratta di persone che guardano cartoni per bambini in stile adulta e anche fumetti del genere.” Mi spiegò Marco avendo uno sguardo compassionevole. “Non chiamarli cartoni o fumetti! Si chiamano anime e manga! E sono l’inera vita di noi otaku!” Contradisse Tommaso arrabbiato, ma non lasciandomi ancora andare. “Abbiamo capito, ma ora lascia andare Sabrina!” Si intromise Francesco tra il battibecco di Marco e Tommaso. Sentendo il rimprovero di Francesco, entrambi smisero di parlare e Tommaso si staccò da me. “Tornando alle cose serie, per capire tutto il regolamento scolastico di questa scuola dovrai leggere in tutto trenta documenti, ma di cui esiste un documento che riassume tutto e quindi ti verrà dato quello.” Continuò Tommaso. “E quanto riguarda dove dormirò?” Chiesi. “In realtà la scuola è disposta per l’occupazione di più di duecento persone, ma sono in pochi quelli che si riattivano i poteri, all’incirca una ventina, e quindi questi si ritrovano in stanze enormi da soli e questo fa proprio comodo nel nostro caso. Così riusciremo a tenere meglio il segreto. Comunque, dato che tanti di questa scuola ti conoscono, ti verrà restituito il tuo diario, cioè il diario che tenevi quando avevi all’incirca sei anni. Con esso ti verranno anche restituiti altre cose della tua infanzia che si trovano in questo scatolone.” Disse Marco prendendo uno scatolone tenuto in ottima forma da sotto la scrivania di Tommaso. Incuriosita mi avvicinai verso la scrivania. Fina da quando ho memoria, mi era sempre stato detto che tutte le mie cose della mia infanzia o si erano perdute o che le avevano buttate, quindi, in quel momento, la scatola suscitava in me una specie di attrazione. Appena arrivai vicino alla scrivania, allungai la mano come per realizzare che ci fosse davvero, ma prima che potessi persino sfiorarlo, una mano fredda mi blocco. “Non credi che sarebbe meglio portarla e aprirla nella tua nuova stanza?” Mi chiese gentilmente Francesco. Riflettendoci, ritirai la mano e guardai nella direzione del preside. “Mi potresti indicare dove sarebbe la mia stanza, per favore?” “Mi piacerebbe tanto l’idea di portartici io, ma devo fare cose da preside, quindi sono costretto a farti accompagnare dai tuoi compagni di viaggio” Mi rispose facendo segno ai altri tre. Capendo quello che dovevano fare, Marco riprese lo scatolone e inizio ad avviarsi insieme ai altri due e io li segui. Quando mi rigirai per rivedere un attimo indietro vidi il presidente salutarmi, ma decisi di far finta di nulla e mi riavviai.

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