The queen and the wolf

di _Nephilym_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un'ombra a Drassol ***
Capitolo 2: *** All hail the queen ***



Capitolo 1
*** Un'ombra a Drassol ***


L'opera di once upon a time non mi appartiene, nè mi appartengono i personaggi rappresentati in questa storia.

Il cavallo avanzò lentamente con noncuranza tranciando con le lunghe gambe la foschia mattutina che aleggiava in ogni estremità della piana.

Il sentiero si intravedeva appena nella semioscurità ma il cavaliere non vi badava troppo: teneva tacitamente le redini con la mano destra, senza però adoperarle realmente, così che il destriero andasse quasi a briglia sciolta, l'altra mano riposava sul ruvido bordo della logora sella nera, imbrigliata in un pesante guanto in pelle.

I suoi occhi vagavano vacui per la rada vegetazione di sterpaglie disseminata tutt'intorno al sentiero.

Occhi vuoti, spaventosi li definivano in molti.

Per lei erano sempre e solo stati occhi tristi, specchio e simbolo di un destino che le era stato imposto, ma che non era mai veramente stato suo.

Si domandò dove fosse.

Aveva da tempo superato il dormiente e silenzioso villaggio di Bruma, affiancato a quello stretto ruscello che aveva seguito sin dalla cima dei monti arborei, oramai da un'ora buona, quando ancora il regno era immerso nel beato silenzio e buio tipico delle poche ore che precedono l'alba.

Di lì in poi i cartelli si erano fatti sempre più radi, fatto insolito per un sentiero posto a condurre ad una città, specialmente se la città in questione era di grande fama e importanza come quella in cui era diretta lei.

Ciò l'aveva portata a dubitare di aver intrapreso il cammino errato.

Sorrise scrollandosi quel pensiero di dosso.

Lei non si perdeva mai.

Per anni, decadi, aveva viaggiato per le sconfinate terre di Normeria, dalle fredde e barbariche regioni montuose dei territori di occidente, alle calde isole del sud, centro di qualsiasi attività marittima, fino ad arrivare al regno centrale ad oriente del grande oceano, cuore e fulcro del nuovo impero.

Tutto in quel mondo le era noto, dal più piccolo fiumiciattolo al più insignificante cespo di bacche di ginepro.

Ma il suo sorriso si increspò.

Era anche vero, che erano passati anni dall'ultima volta che aveva attraversato l'oceano per recarsi in queste terre, avendo preferito rimanere isolata dal mondo, forzandosi in un esilio spontaneo sulle montagne del Nord, in un vano tentativo di sfuggire ai suoi doveri.

I suoi occhi si spostarono quasi autonomamente su un leggero bagliore in lontananza.

-Almeno un miglio- pensò osservando comparire un grappolo di luci a ovest.

Dopo poco più di dieci minuti di cammino poté scorgere allo stesso modo delle alte mura protettive, scure come la notte che stava lentamente abbandonando la piana.

Per lo meno sapeva di non essersi persa; il suo sorriso si allargò minimamente, senza però raggiungere gli occhi, che continuarono a brillare di quel tetro giallo felino, mentre la stretta della mano destra sulle redini si faceva più salda e il suo piede andava a picchiare con decisione sul largo fianco dell'animale, ridestandolo da quello stato di torpore e portandolo a galoppare animatamente lungo il sentiero ancora invaso da un leggero strato di nebbia, affondando sempre più gli zoccoli nel terriccio bagnato.

Quando giunse dinanzi il lungo ponte in massiccia pietra antecedente la città, il cielo si era ormai da tempo tinto di una lucida sfumatura di grigio, che, si ritrovò a pensare, una volta rimosso il cappuccio, avrebbe donato alla sua pelle un pallore maggiore persino a suo già naturale colorito perlaceo.

Fece rallentare il cavallo facendolo avanzare lentamente su per il ponte, mentre gli zoccoli risuonavano a contatto con la pietra in un sonoro battito regolare, e si assicurò maggiormente il cappuccio sul capo, così da oscurare totalmente il volto.

Spinse il petto infuori, così che lo sfavillante medaglione accostato al lungo mantello desse sfoggio di se.

Le guardie semi appisolate ai lati dell'imponente cancello, si spostarono quel tanto che bastava per impedirle a lei ed alla sua cavalcatura il passaggio attraverso i bastioni.

Arrestò il cavallo senza una parola, dando l'opportunità ai due di analizzarla.

Quello alla sua sinistra appariva giovane, troppo a suo giudizio, con i capelli tagliati di netto alle spalle, segni di un'acne non ancora superata e una beata espressione ebete dipinta in volto.

L'altro, a differenza del compagno, era di età avanzata, statura media, calvo e con una severa, quasi marmorea, espressione severa scolpita sul volto rugoso, lasciato in bella vista dal largo elmo nero, sfoggiata come una medaglia a simbolo di anni ed anni di esperienza.

I loro occhi caddero irrimediabilmente sul solitario medaglione al collo della ragazza e la loro posizione si irrigidì, donando ad ognuno un paio di centimetri di statura in più.

“Non è ammesso l'ingresso a quelli come te” mormorò il giovane in una mal interpretata minaccia, sputando poi ai piedi del cavallo e facendosi scivolare il lungo pennacchio dell'elmo in volto.

Il vecchio gratificò il giovane con uno sguardo glaciale che troncò sul nascere quel sorriso compiaciuto che stava facendosi strada sul suo viso paffuto.

“Non dovrebbe essere ammesso neanche agli stolti come te” borbottò con voce roca prima di tornare a concedere la sua più totale attenzione alla straniera.

“E' richiesto un lasciapassare per essere ammessi in città” tossì poi in tono serio, la ragazza si allungò sulla sella, infilando velocemente la mano in una delle numerose sacche da viaggio legate alla sella e ne tirò fuori un plico in pergamena sigillato da un complesso stemma in lacca cerata nera, e lo porse all'uomo.

Lui lo afferrò stando ben attento ad evitare qualsivoglia forma di contatto fisico, portando la giovane a trattenere una risata, le ruvide mani sprovviste di guanti aprirono velocemente il documento, dopo un momento di incertezza dato probabilmente dal riconoscimento dello stemma cittadino.

I suoi freddi occhi saettarono velocemente sul foglio, analizzando da parte a parte la lettera, fino a fermarsi sulla firma, per poi andare a scontrarsi contro quelli innaturali della viaggiatrice.

Non una parola, gli bastò vedere quel tetro bagliore malamente celato dal cappuccio.

Sollevò un braccio sul capo e fischiò tre volte per poi rotearlo velocemente.

Lei, dal suo canto, finse di non vedere il panciuto individuo che prese a dimenarsi sui bastioni tirando leve, e stette in silenzio ad osservare il lento salire della grata in ferro di fronte a loro.

Finse anche di non sentire il basso lamento del giovane una volta che li ebbe superati, o la velata minaccia gracchiata in risposta dal vecchio, lei si limitò a condurre il cavallo giù per il ripido ponte di pietra che portava a quell'enorme fulcro vitale che era Drassol.

Capitale del nuovo impero.

Luogo d'origine di ogni complotto, piano o intrigo che potesse avvenire nelle terre dell'est.

Posta al centro di un largo e lungo fiume che e circondava buona parte abbracciandola in un irregolare semicerchio, prima di procedere verso il nord-est, in direzione dei monti dei re caduti.

Era stata definita la città più grande mai costruita nell'ultimo secolo, ma lei ne aveva viste di più imponenti, di più lussureggianti e più caotiche.

Ma mai aveva visto una città così avvinghiata a qualsiasi sorta di cultura: sin dalle prime strade, infatti, le strade si mostravano delle più varie dimensioni e forme.

Dagli edifici scuri e ripidi tipici delle terre ad occidente, con tetti spioventi in tegole ricavate dalla più fine pietra delle miniere naniche, a quelle più variopinte e allegre esportate dalle calde isole del sud, caratterizzate da larghe vetrate colorate raffiguranti le più varie scenette, e da allegre facciate in mattoni rossi.

Nonostante l'ora le vie avevano già preso vita, occupate dai primi mercanti intenti ad aprire le botteghe poste ai lati di qualsiasi strada, mentre le piazze erano già gremite da gruppetti di viaggiatori e nomadi intenti ad allestire le prime bancarelle.

Un gruppetto di bambini, di cui il più grande non poteva avere più di otto anni, se ne stata tranquillamente sistemato sugli scalini di una chiesa, a sgranocchiare una mela ciascuno.

Il più alto e smilzo, il cui viso era circondato da una disordinata capigliatura rossa, lasciò cadere la mela al suo passaggio, prendendo ad osservarla con il massimo stupore e terrore.

Ogni traccia di colore improvvisamente scomparsa dal suo viso.

Non le fu difficile rintracciare una locanda, si sarebbe accontentata semplicemente di un posto lontano dal caos della zona mercantile e provvisto di una stalla dove lasciare che il cavallo riposasse.

Nonostante la scelta fosse ampia, alla fine optò per una piccola taverna nella zona ovest della città, principalmente occupata da case o saltuarie botteghe.

Non appena arrivò si preoccupò di sistemare il destriero nella piccola stalla laterale, dove un ragazzetto pelle ed ossa la accolse promettendo che per quando sarebbe tornata, il suo cavallo sarebbe già stato sbrigliato e messo a riposo.

Lei gli allungò un paio di monete di bronzo senza aprir bocca e si diresse all'interno del locale, passando per la stretta porticina interna: come aveva previsto il posto era semi deserto, fatta eccezione per un paio di anziani ricurvi su un tavolo all'angolo intenti a giocare a dadi.

La sala era occupata principalmente da tavoli circolari disposti attorno a focolari scavati nel pavimento di legno, e composti da conche di mattoni.

Alla sua sinistra stava un lungo e logoro bancone in legno, appoggiata al quale vide una robusta donna intenta a scribacchiare su una pergamena, non appena la vide avvicinarsi la mise immediatamente da parte impallidendo,

“Voglio una camera, la più spaziosa che avete” disse semplicemente lei attendendo una risposta, la donna annuì frugando poi nell'unica tasta del grembiule che aveva indosso e tirandone fuori un foglietto ripiegato.

Gli lanciò un'occhiata prima di annuire nuovamente con aria assente e oltrepassare il bancone facendole segno di seguirla verso le scale, mentre i due anziani si lanciavano in una profonda discussione su di lei dai toni accesi, senza curarsi della sua presenza nella sala.

Mentre salivano le due strette rampe di scale, scricchiolanti e malconce, osservò la donna, ritenendola ai primi anni della sessantina.

I capelli di un grigio candido stavano imbrigliati in un'ordinata crocchia, e gli occhi color ghiaccio stavano nascosti dietro due larghi occhiali ovali.

“Abbiamo un attico, se così lo vuole chiamare” borbottò fermandosi alla fine delle scale, dove stava una stanza estremamente minuta, sulla cui parete destra stava una porta,

“E' una sola camera ovviamente, ma è spaziosa, ed ha una vasca” spiegò girando una grossa chiave nella serratura per poi spalancare la porta e fare in modo che la sua ospite potesse passare.

Era spaziosa, questo era certo.

C'era un camino, ovviamente spento ma provvisto di qualche vecchio ciocco per il fuoco, una vasca in ottone scurito all'angolo e un piccolo tavolo circolare.

“A me basta un letto” sorrise guardandosi attorno per poi voltarsi nuovamente verso la donna, che le annuì vigorosamente,

“Se le dovesse servire nulla basta che chiami mia nipote, sarà qui attorno ad ogni modo, non ha molti altri posti dove andare quella sfaccendata” borbottò uscendo dalla camera e lasciandola sola,

“Pagamento alla fine del soggiorno” sentì dire dalle scale, insieme ad un forte suono di passi.

Donna bizzarra, si ritrovò a pensare, una delle poche che avesse avuto il coraggio di guardarla dritta negli occhi.

Non si trattenne troppo ad ispezionare la sua nuova sistemazione, si diresse in fretta giù per le scale, e si trattenne all'interno della locanda quel tanto che bastava per portare i suoi bagagli al piano superiore.

Chiese alla locandiera dove fosse il castello, e questa le rispose con uno sbuffo,

“Basta guardare al cielo, lo vedrete sicuramente, ma se proprio insistete, vi basterà avanzare seguendo la via principale a tre vicoli sulla destra, è nella parte più alta della città” spiegò sistemando un paio di panche sopra dei tavoli infondo alla sala, “Ovviamente” aggiunse poi.

“Grazie buona donna” annuì cortesemente l'incappucciata prima di voltarsi,

“Chiamatemi Granny, tutti i bifolchi del posto si son presi l'abitudine, e ormai ci sono abituata anche io” sorrise, o almeno così credette la giovane.

Non prese il cavallo, era in viaggio continuo da un giorno e mezzo, non si era infatti mai fermata da quando era sbarcata, e di certo la povera bestia meritava un giorno di riposo.

Seguì le indicazioni dettate dall'anziana e in venti minuti buoni si ritrovò ad ammirare uno scuro palazzo nero che sovrastava letteralmente buona parte della città.

Passeggiò tranquillamente per il lungo viale d'ingresso ai giardini, non curante delle centinaia di sguardi posti su di lei, fino a che non giunse all'alta porta d'ingresso, ovviamente nera.

Le guardie, anche esse addobbate in una sfarzosa armatura nera richiesero un lasciapassare, e lei ripeté la medesima procedura impiegata poco meno di un'ora prima, con un plico identico al precedente, ma totalmente sigillato.

I due concordarono nel dire che fosse totalmente autentico e in breve un valletto venne chiamato nel salone d'ingresso dove le era stato richiesto di attendere, fra alte colonne e scalinate intrecciate.

Il valletto, un basso omuncolo con un improponibile acconciatura bionda, le si presentò dinanzi poco dopo, pronunciando con tono pomposo che la regina aveva acconsentito ad incontrarla subito, dichiarazione alla quale lei aveva risposto con un sonoro sbuffo.

“Le consiglio di mantenere un comportamento adeguato in presenza della regina” disse l'omuncolo avviandosi sculettando su per la scalinata, con lei al suo seguito,

“Non è la prima regina con cui ho a che fare, e di certo non sarà l'ultima” mormorò con un sorriso consapevole in volto, mentre l'uomo la ignorava scuotendo il capo.

Non avrebbe accettato un contratto, specie di questo genere così puerile se non fosse stato per una buona causa.

E questa lo era, totalmente.

La fama della regina nera aveva raggiunto persino le remote montagne settentrionale dove stava la fortezza ormai abbandonata del suo ordine.

Spietata e severa, pronta a tutto per dimostrare il suo potere.

Inutile dire che ricevere una lettere da questa creatura apparentemente così minacciosa l'aveva a dir poco sorpresa, specie se si considera la richiesta contenuta in essa.

Dopo vari corridoi e scale interne, l'ometto si interruppe infine di fronte ad una larga porta in vetro lavorato e oro, si voltò a scrutarla facendo segno di togliersi di dosso il mantello, emettendo poi la versione raffinata di un grugnito quando vide l'armatura di pelle e placche che vi era al disotto,

“Ce lo faremo bastare” mormorò annuendo insicuro per poi afferrare con sicurezza i due pendenti ovali ai lati della porta e spingere mettendo un appena sospirato,

“Che gli dei ti aiutino” prima di far echeggiare il suo nome per l'immensa sala.

“Emma Swan, Witcher”.


""Hellooo""
Spero che questo primo capitolo vi sia piaciuto, sono stata abbastanza inattiva su efp, devo ammetterlo, mi scuso.
Spero che questa storia vi prenda e che abbiate voglia di continuarla, ma anche nel caso in cui, aimè, non fosse così, le critiche costruttive sono più che benvenute così come anche dei commenti così, tanto per farmi sapere cosa ne pensate.
P.S. se trovate errori fatemelo sapere, thanks ;)
Alla prossima Neph.

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Capitolo 2
*** All hail the queen ***


La sala era tutto ciò che si era aspettata dopo quella frettolosa visita del palazzo.

La navata centrale, evidenziata da un lungo ed elaborato tappeto nero, su cui risaltavano armoniosamente centinaia e centinaia di ghirigori dorati, era circondata da una regolare serie di colonne doriche, la cui altezza andava aumentando con la vicinanza al seggio reale.

Le alte e imponenti vetrate laterali erano ricoperte da morbidi drappi scuri, il cui tessuto impediva ai raggi mattutini di illuminare completamente la sala, lasciandola così in penombra.

Emma non vide il volto della donna elegantemente sistemata sul seggio, al contrario infatti, fu l'ultima cosa che notò.

Quelli come lei venivano addestrati sin dalla nascita a tralasciare futili particolari come l'aspetto esteriore al fine di essere capace di sfogliare l'anima di una persona ad una prima, superficiale occhiata.

Ed Emma non rimase affatto contrariata da ciò che vide.

Sul possente trono argenteo, stava seduta una donna dal portamento fiero: un lungo abito nero con una generosa scollatura a mostrare un seno sodo, i capelli imbrigliati in una complessa treccia lasciata ricadere sulla spalla, in una posizione tale da ricordarle pericolosamente un cobra.

Le gambe incrociate si smossero appena quando fu a pochi metri di distanza, con impazienza, e le mani strinsero i larghi pomi dei braccioli su cui erano sistemate.

“Vostra altezza, Regina Mills, sovrana delle terre del nuovo impero e d'oriente” la presentò l'omuncolo alla sinistra di Emma, sistemandosi poi silenziosamente accanto ai brevi scalini che conducevano al trono.

Solo in quel momento, quando il corpo della regina si fletté impercettibilmente in avanti, per esaminarla meglio, lei si concesse di alzare gli occhi e osservare il volto della donna che le stava davanti.

La giovane cacciatrice aveva viaggiato per anni, accettando contratti dalle più nobili famiglie dei tre regni, e frequentando le più sfarzose corti del vecchio impero, e in tutto ciò, aveva visto migliaia e migliaia di bellezze, che però nel tempo erano andate disfacendosi nella sua memoria, lasciando appena un vago ricordo di ciò che erano state un tempo.

Ma, di questo era certa, non si sarebbe dimenticata facilmente.

Due profondi pozzi, neri...no, marroni, si inchiodarono ai suoi occhi felini e la scrutarono con una sicurezza che quasi nessuno aveva mai sfoggiato nei suoi confronti: le labbra carnose, rosse come il fuoco, come il sangue, si contrassero in un appena accennato sorriso di consapevolezza mentre una minuscola cicatrice all'angolo della bocca si increspava.

La pelle ambrata in perfetto contrasto con la capigliatura corvina era ricoperta da un leggero strato di cipria, mentre quegli occhi che continuavano a scrutarla erano sovrastati da un'ombra blu marino.

Nonostante la sfolgorante bellezza della giovane regina, la sua attenzione continuava a ricadere sempre su quegli occhi.

Occhi curiosi e impavidi.

Occhi nuovi.

Il valletto non parve accorgersi dello scambio di occhiate fra le due, e dopo svariati momenti di puro silenzio si esibì in un'elegante colpo di tosse tatticamente elaborato, prima di mimare un veloce inchino in direzione dell'ospite.

Non si sarebbe inchinata, e aveva la sensazione che la regina lo sapesse, ma nonostante ciò la sovrana tornò ad accomodarsi sul trono, facendo coincidere alla perfezione la lunga schiena col freddo metallo.

Nulla accadde, e la sala rimase immersa nel silenzio, sembrò quasi che il tempo avesse smesso di avanzare.

Un rosso sorriso spezzò l'incanto.

“Mi era stato detto che i Witcher possedessero due spade” pronunciò con voce profonda, lentamente, tanto da dare ad Emma la sensazione che questa lentezza fosse premeditata.

Sorrise anche lei, accarezzando silenziosamente con la punta delle dita inguantate, l'elsa della lunga spada al suo fianco.

“Questa è per pura scena, non vedo alcun possibile pericolo all'interno delle vostre mura, e anche nel caso in cui vi fosse, questa lama sarebbe comunque un gingillo superfluo” pronunciò ascoltando la sua voce riecheggiare decisa per la sfoglia sala.

La regina apparve divertita dal suo commento, tanto da esibirsi in una bassa ed elegante risata,

“Oh cara, quanto vi sbagliate” mormorò coprendo con la mano il sorriso ancora ben visibile sul suo volto,

“Vedremo” mormorò di rimando la bionda.

Era stata convocata a corte per un contratto della massima urgenza, non per dilettare la sovrana in lunghe conversazioni, per quello, era certa, il valletto al suo fianco sarebbe stato più che abbastanza.

Spostò il peso del suo corpo da uno stivale all'altro, già stanca dell'etichetta di corte, ed iniziò ad osservare impudentemente la sovrana, soffermandosi su qualsiasi particolare della donna o dell'elaborato abito che essa indossava, che più attirasse la sua attenzione.

In una situazione quotidiana, la regina si sarebbe sentita offesa da un comportamento così libero e provocatorio, ma era lei stessa così affascinata dalla bionda dinanzi a se, da non curarsi proprio di quegli occhi famelici, da bestia, che la scrutavano.

Era stata educata con la migliore delle educazioni, quella che solo ad una donna destinata, un giorno, a governare tutti e tre i regni, veniva concessa, secondo sua madre.

Aveva ricevuto le più approfondite nozioni su qualsiasi argomento, dalla geografia all'alchimia, dalla storia e diritto all'etichetta di comportamento.

Ma mai nessuno le aveva parlato degli witcher.

Erano sempre stati un'ombra, una presenza costante ovunque lei andasse, sempre sulla bocca di tutti e allo stesso tempo di nessuno.

Nessuno sapeva molto di loro, a parte che ormai fossero estinti.

Famosi per le loro arti magiche avanzate e le loro caratteristiche quasi inumane, gli witcher avevano combattuto le bestie che popolavano i tre regni per secoli, millenni addirittura, per poi scomparire nel vuoto.

Aveva passato anni a rintracciarne l'ultima, e giusto in tempo per ciò che lei sapeva le sarebbe stato fatale se non fosse riuscita a convincere la striga ad aiutarla.

Ma di certo, quando aveva inviato il suo più fidato messaggero su per le ripide vie dei monti settentrionali, non si era aspettata questa witcher.

Era giovane, o per lo meno, così appariva: lunghi capelli biondo cinereo imbrigliati in una coda di cavallo bassa, la carnagione pallida, perlacea in contrasto con l'acceso colore innaturale dei suoi occhi.

Il viso, composto da un elegante intreccio di lineamenti delicati, era ricoperto da un'espressione seria, le sottili sopracciglia leggermente corrucciate nell'osservarla, una lunga cicatrice ad attraversarle l'occhio sinistro, continuando per buona parte della guancia, ed una semi circolare posta sulla fronte, quasi a circondare l'occhio destro.

Se avesse dovuto descriverla in una parola avrebbe decisamente adoperato il termine ingombrante.

Non per il suo aspetto fisico, che, anche stretto in quell'armatura, si mostrava atletico e slanciato.

Ma perché nello stesso istante in cui aveva varcato le alte porte della sala del trono, Regina aveva potuto saggiare nell'aria la pesantezza del suo incarico, quasi come se questo fosse un macigno sulle spalle della bionda, dandole l'impressione che persino lei, che governava il più grande regno odierno, non avesse idea di cosa fosse la responsabilità.

“Non vi aspettavo così presto” ammise lasciando che i suoi occhi saettassero autonomamente su quelli dell'interlocutrice.

Lei sorrise,

“Mi piace prendermi cura dei miei contratti il più velocemente possibile, sopratutto se a contattarmi è la regina nera” mormorò con tono scherzoso.

Si, Regina si era aspettata un possibile comportamento superiore, d'altronde, non era la bionda pur sempre un guerriero?

“Sono felice che vi siate data tanto disturbo per venirmi in soccorso” pronunciò sollevandosi dal seggio regale e lasciando che la lunga coda dell'abito ricadesse sul lucido pavimento, prendendo poi ad avanzare verso di lei.

Emma rimase immobile, permettendo solo ai suoi occhi di rimanere sulla sovrana, e di seguirla fino a che non fu ad appena un metro da lei, non poté però fare a meno di notare il delicato profumo di mele che pareva aleggiare attorno alla donna.

Sarebbe stata pronta a scommettere di puzzare di fango e muschio, e sperò che il tanfo di sangue rimastogli addosso giorni prima, durante un attacco di ghoul, non fosse percepibile.

Se lo era, la regina ebbe la buona creanza di non darlo a vedere.

Invece, si diresse oltrepassandola lungo la navata deserta, senza aspettare che la seguisse.

Quando spalancò la porta, con la bionda al suo seguito, una coppia di anziane domestiche si irrigidì all'istante, smettendo di chiacchierare e dirigendosi frettolosamente verso la più prossima via di fuga.

Nessuna delle due diede troppo peso al comportamento delle due o del resto della servitù, mentre la regnante guidava il percorso attraverso i corridoi.

Emma si concesse di analizzare le varie ale del castello che andarono attraversando, notando svariati ritratti posti su qualsiasi parete, probabilmente antenati della regina o della casata che prima occupava il trono.

Ma non sarebbe onesto tralasciare il fatto che nonostante l'elegante arredamento, e le sfarzose decorazioni, tutto ciò che continuava ad attirare l'attenzione della striga era il lento ondeggiare dell'esile corpo della regina di fronte a se, stretto nell'abito nero che continuava ad ondulare ad ogni suo passo, come un'onda, incantevole e ipnotica.

E regina se ne accorse.

Sentiva gli occhi della cacciatrice bruciarle la schiena come tizzoni roventi, ma a differenza dei migliaia di occhi che la scrutavano ogni giorno, alcuni ricolmi della più profonda paura o odio, altri dominati dalla brama e dalla lussuria, questi non le procuravano alcun fastidio o ribrezzo.

Li percepiva su di se con la più totale naturalezza, quasi sentendosi in dovere di lasciarli lì, a giacere dolcemente sulle sue forme come se vi appartenessero.

In breve guidò la bionda fino all'ala ovest del palazzo, la più antica, dentro la quale erano locate la maestosa biblioteca di tre ale, le quali librerie in frassino e mogano avevano custodito per secoli i segreti più gelosamente nascosti dei sovrani, alla quale solo a Regina era dato accedere.

Sopra di essa si trovava il suo studio, dislocato nella torre occidentale, le cui strette scale furono velocemente salite dalle due mentre la sovrana tratteneva pigramente i lembi dell'abito lasciando però che buona parte continuasse a strisciare silenziosamente lungo il marmo.

“Sono stata più che sollevata dalla notizia del vostro arrivo” confessò infine aprendo la larga porta dello studio, ricevendo in risposta solo un basso mormorio, a confermarle l'attenzione ancora salda dell'ospite.

Lo studio era largo, a forma esagonale, al centro del quale stava posta su un elegante tavolo ovale, una mappa del mondo raffigurante ogni minimo dettaglio dei tre regni, sulla quale giacevano diverse miniature di una larga aquila nera.

Oltre questa vi era una larga e ben scolpita scrivania, ricoperta dai più vari scritti e pergamene ben ordinate.

Emma sentì appena l'affermazione della donna ammirando la stanza, la quale le portò alla mente il suo stesso studio alla fortezza d'inverno, sulle montagne, da dove era stata strappata a causa degli ancora misteriosi bisogni della donna che si trovava dinanzi.

“Svariati mesi fa, alcuni miei consiglieri hanno portato alla mia attenzione alcuni casi di sparizione avvenuti all'interno delle mura cittadine” iniziò quest'ultima posizionandosi dietro la grande mappa del mondo ed afferrando con entrambe le mani il legno che la circondava.

“Non mi sorprende, nelle grandi città come questa che vi ritrovate a governare, avvengono ogni giorno sparizioni” disse Emma osservandola con disinteresse, iniziando a temere di ritrovarsi di fronte all'ennesima perdita di tempo.

“Rapine, tornaconti, mercenari, risse finite male...” elencò rigirando la mano sull'elsa riposta al suo fianco, la regnante annuì alzando elegantemente una mano per interromperla,

“Ne sono più che consapevole, invero queste furono esattamente le parole che rivolsi ai miei consiglieri per liberarmi il più in fretta possibile della storia” sorrise educatamente squadrando la donna.

Solitamente, chi la interrompeva le provocava solamente fastidio, ma in questo particolare caso, fu felice di sapere che la sua impiegata fosse capace di analizzare in fretta e razionalmente.

“Questo fu finché non avvenne nuovamente” mormorò poi voltandosi verso la larga scrivania e ritraendone un ordinato raggruppamento di pergamene tenute insieme da un sottile laccio di pelle,

“Vedete Miss Swan” le sottili sopracciglia cineree parvero aggrottarsi al nome “mi venne difatti comunicato che dopo svariate settimane i casi di sparizione si erano intensificati fino a raggiungere il regolare numero di sette vittime ogni settimana” comunicò passandole i documenti e attendendo invano che li analizzasse.

Infatti Emma non mostrò alcun interesse nei confronti delle ingiallite pagine che ore risiedevano nella sua mano destra, e tutto ciò che catturava la sua attenzione era il nome che le era appena stato attribuito dalla regina.

Dei se odiava il suo cognome.

Lo disprezzava più di ogni altra cosa al mondo.

La regina, notando che la bionda non mostrava alcun segno di volere approfondire la lettura dei testi, si limitò a continuare nella spiegazione con un sospiro,

“Assoldai dei mercenari, persino dei cacciatori di streghe quando questi fallirono, e nel momento in cui persino loro tornarono indietro a mani vuote credetti di dover demordere” ammise prendendo posto su una delle larghe poltrone poste di fianco al tavolo,

“Chi vi ha detto di me?” chiese poi l'ospite senza abbandonare la piastrella di marmo di fronte all'entrata che aveva occupato fino ad allora,

“Come prego?” chiese Regina sollevando di poco un sopracciglio al tono accusatorio,

“Chi vi ha comunicato come e dove trovarmi” spiegò Emma spostandosi finalmente verso la donna, lasciando cadere l'involucro di fogli sulla mappa e appoggiandosi ad essa con le braccia incrociate e l'attenzione totalmente rivolta all'altra.

Voleva saperlo, doveva saperlo.

Era il motivo principale per cui aveva accettato l'incarico in primo luogo.

Aveva passato gli ultimi dieci anni nascondendosi dal mondo, imprigionandosi autonomamente in quelle fredde mura che costituivano l'ultima fortezza witcher rimasta al mondo, e nonostante tutto una regina era riuscita a scovarla dall'altro capo del mondo, esigendo i suoi servigi.

Di certo non l'aveva scovata da sola, ed Emma aveva avuto tutte le intenzioni di scoprire che era stato ad informarla dal momento stesso in cui era salita a cavallo ed aveva oltrepassato a trotto le mura di cinta del suo forte.

La regina rimase in silenzio, soppesando nella sua mente la possibilità di scacciare le curiosità della striga o anche di mentire.

Ma a quale fine poi?

Lo stesso uomo che aveva suggerito il possibile intervento della witcher non aveva alcun tipo di legame, se non passato con lei, ma allo stesso tempo, non vedeva il motivo per cui a lei fosse dovuto di dare una spiegazione a qualcuno al suo soldo.

“Non vedo come questo possa assistervi nella vostra ricerca” mormorò distrattamente sistemandosi meglio sulla poltrona, l'altra sorrise divertita dal contrasto.

“Credetemi mia lady, mi assisterà più di quanto possiate credere” conferì senza battere ciglio.

Regina decise di essersi stancata dell'impudenza della bionda.

“Quando avrete dato mostra delle vostre capacità dimostrandomi che siete davvero di alcuna valuta rispetto l'oro che vi pago, allora riceverete una risposta” disse con sicurezza alzandosi.

La bionda, senza spostarsi di un centimetro, decise di stare al gioco, d'altronde avrebbe comunque potuto apprezzare una buona caccia dopo anni di letargo.

“E sia” acconsentì tirandosi in piedi e dando sfoggio dei vari centimetri di altezza in più rispetto a Regina.

Quest'ultima non si sforzò di trattenere un leggero sorriso vittorioso e si avviò verso la scrivania, sulla quale poltrona decorata ricadde elegantemente.

“Avrò comunque bisogno di maggiori informazioni per avviare le mie ricerche” mormorò la striga degnandosi finalmente di prendere a sfogliare le pergamene.

“Ovviamente” concesse l'altra.

“Avete dei sospetti?”

“Inizialmente avevo creduto potesse trattarsi di una disputa fra gilde,in quanto alcune delle vittime iniziali appartenevano ad una delle gilde della mercanzia portuale” mormorò Regina massaggiandosi stancamente la fronte, già sopraffatta dagli sforzi giornalieri, cosa che non sfuggì all'occhio felino della witcher.

“Presumo che questa teoria non impiegò troppo tempo a crollare” sorrise vedendo la donna annuire,

“Infatti. Gli avvenimenti si spostarono poi in varie zone della città, che non si mostrarono in alcun legame fra di loro”

“Bella gatta da pelare” borbottò Emma.

Regina la squadrò mentre rileggeva gli scritti ad opera di Markel, il suo scriba personale e sorrise, vedendo in quella donna una flebile scintilla di speranza.

“Sette” la sentì pronunciare.

“Prego?” chiese confusa.

“Avete detto che sette sono le vittime settimanali” constatò emma alzando lo sguardo, mentre l'altra annuiva,

“E l'ammontare delle vittime non è mai cambiato?” chiese vedendola poi scuotere la testa in risposta negativa,

“Da quanto va avanti questa storia?” chiese mentre quelle vecchie e ormai a tempo assopite voci nella sua testa riprendevano lentamente a lavorare, macinando ogni minuscola informazione come se si trattasse del più prezioso tesoro.

“Otto mesi” rispose con sicurezza la regina.

Lei annuì.

Non aveva nessuna intuizione, il vuoto più assoluto dominava la sua mente lasciandola nell'oscurità.

Ma il suo mentore le aveva sempre ripetuto la stessa cosa, adoperandola come un'arma di rimprovero alle volte e una voce di soccorso in altre.

Nessuna caccia inizia e si conclude lo stesso giorno, e se ciò avviene, vuol dire che hai sbagliato preda.

Emma lo sapeva benissimo, dunque sorrise sistemandosi il gruppetto di fogli sotto il braccio, sentendo già dei goffi e regolari passi alle sue spalle, attraverso la massiccia orta chiusa.

“Non ho nessun altro modo di aiutarvi se non con quegli scritti” disse la regina in un tono tanto distante dal costernato quanto vicino all'infastidito.

Difatti, se c'era una cosa che Regina Mills odiava, era l'ignoranza, e il trovarsi all'oscuro di qualcosa la mandava semplicemente in bestia.

La bionda le sorrise gentilmente, come per dimostrare che comprendeva alla perfezione il suo stato d'animo e socchiuse leggermente le labbra, solo per essere interrotta dal suono della porta che veniva aperta con ben poca grazia, lasciando quelle parole mai dette a rimanere tali.

“Vostra maestà, il guardiacaccia è tornato dai confini con delle notizie sui villaggi di Begarth” pronunciò un impettito uomo sulla sessantina a cui Emma riservò un'occhiata priva di qualsiasi emozione.

Regina sospirò rassegnata alzandosi e facendogli segno con una mano di precederla nella sala delle riunioni,

“Mi rincresce Miss Swan, ma il regno chiama” disse stando ben attenta al non adoperare un tono di scusa,

Una regina non si scusa mai

diceva sua madre.

Emma annuì prima di voltarsi con un leggero saluto e superare senza una parola il nuovo arrivato, che ignorando la sovrana era rimasto ad attenderla.

Nessuna parola occupò le sue labbra mentre usciva dal suo castello, ma molti pensieri ingombrarono la sua mente, e fra questi, uno in particolare si faceva strada nell'agglomerato di ragionamenti, quasi ruggendo per essere ascoltato.

Un vecchio istinto che credeva essesi estinto da assai tempo.

La caccia era iniziata.

""Neph""
Salve a tutti, come presumo si sia capito dal mio precedente capitolo, cercherò di aggiornare ogni sabato/domenica, più o meno in coincidenza con la regolare uscita settimanale degli episodi di OUAT in america, anche se vi assicuro che è stata una scelta tutt'altro che voluta, dettata sopratutto da svariati impegni settimanali ed altro.
Ma comunque, ovviamente spero che la sotira vi stia piacendo e anche nel caso in cui non sia così, recensite, ditemi cosa ne pensate, cose belle o brutte che siano, e datemi dei consigli.
Grazie dell'attenzione, alla prossima Neph.

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