Like fathers, like children di RMSG (/viewuser.php?uid=30472)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1: Are you there God? It's me, West Collins ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2: Salmon Pink Dragons ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3: Cake pranks ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4: I don't kiss and tell ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1: Are you there God? It's me, West Collins ***
Questa
ff è il prodotto insensato di una conversazione insensata
effettuata da persone insensate.
Naturalmente, è dedicata a Noemi,
compagna di (dis)avventure e shipping estremo.
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fathers, like children
Capitolo
1: Are you there God? It’s me, West Collins
Sebbene non sia proprio parte del suo corredo genetico, West si
è sempre ritenuto una persona più o meno
paziente. Un tratto certamente ereditato dalla madre, questo, che mai
gli era tornato utile come nei momenti in cui pensava a JJ.
Certo, non si può dire che avesse immaginato mai di dover
essere paziente per questo... ma, dopotutto, nel pieno della seconda
grande era dei social network, come si può non provare due o
tre volte al giorno l'intenso desiderio di prendere il portatile e
defenestrarlo?
Dio, è perfetta, pensa West, scorrendo
sul profilo Facebook di JJ, dove occhi enormi, lunghi capelli biondi e
il sorriso di un angelo lo lasciano imbambolato dinnanzi allo schermo
come sempre. E sarebbe perfetto, davvero, continuare a scorrere fra le
foto della principessa di casa Ackles per tutto il resto della
giornata, se non fosse per quegli orridi ultimi aggiornamenti dove JJ
propina selfies a manetta in piscina con Thomas e Shepherd Padalecki e
così tanti ragazzi che non sono lui che uh,
il voltastomaco.
West sospira e si passa una mano fra i capelli castano chiaro,
devastandoli del tutto e concentrandosi su pensieri positivi. Lancia
un'ultima occhiata a Tom che bacia sulla guancia JJ in una foto appena
caricata e si alza poi di scatto, cominciando a camminare frenetico per
la sua stanza. Ok, lui non è alto un metro e novanta e non
ha fluenti capelli che gli oscurano gli occhi come fosse un cane, ma
ehi!, West è (quasi) certo di non essere pazzo: fra lui e JJ
c’è effettivamente qualcosa di più,
qualcosa di speciale, una chimica che fa
far loro scintille. Una roba mai
vista prima.
Nell’ultimo anno, poi, la cosa si è fatta
decisamente più evidente, soprattutto da quando JJ ha
compiuto sedici anni ed è seriamentediventata
di una bellezza soffocante – oltre che materiale da
corteggiamento. Checché se ne dica, infatti, West
è un gentiluomo e sentiva di dover aspettare
un’età che fosse quanto meno decente, onde evitare
la castrazione in pieno stile texano a opera di Jensen.
Ora, il punto è che West vive in quell’accidenti
di California, frequenta quella stramaledetta Standford da un anno
(perché sua madre lo ha partorito troppo sveglio) e,
conseguentemente, vive dieci mesi l’anno a una media di soli 2500 km
da JJ. Che è piuttosto snervante, ovvio, visto che Thomas,
il suo acerrimo nemico, è a un giardino di distanza da lei
con quei suoi dannati capelli… fluttuanti.
Quest’anno, però, West è molto
più che determinato. Aspettava da due anni, ormai, che il
suo momento arrivasse e con JJ ormai sedicenne e il GISHWHES alle porte
tutto sembra star andando come previsto. Corrompendo quella svogliata
di Maison con la bellezza di cento bigliettoni, West ha infatti
convinto sua sorella a partecipare alla caccia annuale del padre in
trasferta direttamente ad Austin. Perché “dai,
Mais, quest’anno facciamo una cosa come si deve! Proviamo a
essere una squadra compatta per un’intera settimana!”.
Laddove per squadra compatta s’intende West addosso a JJ
– sorveglianza di Jensen permettendo.
Ma il GISHWHES non sarà abbastanza e, ehi, West ha
totalizzato 1800 al suo SAT non per caso. E’ sveglio,
brillante e può bilanciare quello che gli manca in aspetto
fisico con l’intelligenza. E’ per questo che adesso
sta scendendo le scale di corsa per andare a cercare il padre e
implorarlo di cambiare alcune cose negli items.
Dopotutto, è chiaro che Dio non è stato molto
clemente con la vita amorosa di West. Non gli resta che rivolgersi a
Gishbot, a questo punto.
****
“Quindi mi stai chiedendo di inserire items che sembrano
usciti da una festa di tredicenni arrapati
perché… ?”
“Perché è importante, papà.
Te l’ho detto. Voglio fare colpo su JJ, posso
farcela”.
Misha sospira, passandosi una mano sulla fronte e spingendo piano la
lingua nell’interno della guancia, come fa sempre quando
riflette su qualcosa di grosso. “West…”
“Cosa? Andiamo, papà, lo sai! Ci hai visti
insieme! Cavolo, saremmo perfetti, saremmo tutto quello che due persone
vorrebbero essere.Nessuno la fa ridere come me! Sono
probabilmente la
cosa più divertente che le sia mai capitata! Sono
già a metà dell’opera, no?”
Misha rimane in silenzio, fissando crucciato la lista degli items per
Gishwhes 2029, un fiume di ricordi che per un istante lo coglie in
pieno. Si chiede se ne valga la pena, se questo non sia illudere il
figlio in modo irreparabile, se non sia farlo soffrire come lui stesso
sa bene si finisce per fare quando si rincorre una chimica che a conti
fatti risulta essere solo quella: chimica, mera attrazione, niente
di più, Mish, mi spiace.
No. Niente deus ex machina in questa casa. West vincerà e
sbaglierà da solo e lui si limiterà a tendergli
una mano quando cadrà, da buon padre.
“Ok, Westie. Metterò quegli items come
desideri”.
****
“A volte mi domando com’è che siamo
fratelli” mormora Maison, scoppiando il palloncino appena
fatto con la gomma da masticare in faccia al fratello e mettendosi una
ciocca di capelli biondi dietro le orecchie. “Poi vedo la
nostra incapacità a pettinarci e comprendo”.
West si gira a guardarla impallidito. “Cosa? Sono spettinato?
Dove? Come? Hai uno specchio?”
Maison rotea gli occhi, sospirando e buttando gli occhi sul suo
orologio. “West, siamo ad Austin da due ore. Abbiamo appena
scaricato mamma e papà in albergo e stiamo andando da
Jensen. Per l’amor di dio, datti una calmata. I cento dollari
che mi hai rifilato non bastano per sopportare le tue paturnie amorose
un’intera settimana”.
West sbuffa, pettinandosi i capelli con le dita. “Hai sentito
JJ?”
“Sì”.
“E quindi?”
“E quindi cosa?”
“Come stava? Ha detto qualcosa? Ha chiesto di me?”
Maison sospira di nuovo, scuotendo la testa e scoppiando un altro
palloncino di gomma. “No, West, non ha chiesto di te.
Perché non smettevi di messaggiare con lei nemmeno mentre
parlava al telefono con me.
Dubito che nello spazio di un millisecondo le siano venuti strani dubbi
sulla tua persona”.
Il fratello la guarda appena, prima di girarsi, grugnire e guardare
fuori dal finestrino posteriore del taxi. “… pensi
che con quegli items combinerò qualcosa?”
Maison semplicemente scrolla le spalle. “Penso che JJ ci
tenga a te a
prescindere. Le donne sono meno complicate di quello che
credi… sono gli Ackles a essere delle drama
queens” ridacchia lei, dando un buffetto alla gamba fasciata
dai jeans di West. “Dai, andrà bene. Puoi sempre
ripiegare su Shepherd, ho sentito che è diventato proprio
una bella signorina”.
“Oh, Gesù…” geme frustrato
West. Sarà
una lunga settimana.
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Capitolo 2 *** Capitolo 2: Salmon Pink Dragons ***
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Chapter
2: Salmon Pink Dragons
“Vedo
che sei di buon umore, ‘stamattina” osserva Jensen
guardando la figlia saltellare in pantaloncini per la sua stanza,
mentre si pettina i capelli. Manca poco all’ora di pranzo,
Danneel è giù che prepara qualcosa di fresco e
buono per combattere il torrido caldo del Texas.
JJ
ride, girandosi a guardare il padre e sorridendo solare.
“Beh, ovvio, no? West sta per arrivare! Sono mesi che non lo
vediamo! … e vengono anche i suoi, te lo ricordi no?
Potreste fare una rimpatriata come si deve! Sono sicura che zio Jared
non vede l’ora”.
Jensen
scrolla le spalle, annuendo distratto mentre si appoggia allo stipite
della porta. “Sì, potremmo, certo… Tom
e Shep quando arrivano?” dice, cambiando discorso.
“Oh,
non lo so… credo ci raggiungeranno un po’
più tardi. Faremo però una mega video chiamata
anche con William da Londra!”
“Sì?”
“Sì!
Purtroppo non poteva proprio venire quest’anno, gli mancano
due semestri alla laurea e sai quanto ci tiene… è
riuscito a ritagliarsi una settimana di stop a fatica”
continua JJ, frugando poi nella cassettiera e tirando fuori un bel
vestito di cotone rosa. “Papà, che dici di questo
rosa? Non ti sembra un colore troppo sbiadito?”
Jensen
alza gli occhi, guardando il piccolo prendisole potenzialmente troppo
corto sulle belle gambe della figlia. Scrolla di nuovo le spalle.
“No. Rosa
salmone è un gran bel colore, Jaybird,
tranquilla”.
****
Non
è che Jensen e Misha non si siano più sentiti nel
corso degli anni successivi alla fine di Supernatural. Anzi, in
realtà spesso e volentieri si sono ritrovati a dover
telefonarsi per questioni di lavoro. Diverse, infatti, sono state le
offerte che li volevano insieme sul set per portare nuove dinamiche nel
mondo del piccolo schermo.
Il
punto è che fra di loro è sempre stato molto
strano, dall’estate del 2008 quando si sono conosciuti sul
set sino alla fine della tredicesima e ultima stagione di Supernatural.
A quel punto, poi, inutile negarlo, dopo quasi dieci anni la situazione
si era sicuramente fatta… rovente. Troppe cose non dette,
troppe domande a cui rispondere, troppo troppo troppo.
Niente
di più, Mish, mi spiace.
Comunque
sì, insomma, non è che non si siano sentiti dopo.
I loro figli, fortunatamente, sono diventati tutti molto amici
– nonostante la pesante lontananza – e
West in particolare, essendo il più grande, ci ha tenuto a
rimanere in contatto. Per Jensen, questa è una cosa da
stimare.
West
infatti, nel suo essere un piccolo marmocchio indiavolato, è
sicuramente riuscito a combinare molto più di qualsiasi cosa
che Jensen abbia provato a fare negli ultimi 14 anni.
In
questo tipo di situazione, quindi, ricevere una chiamata direttamente
da Misha sul telefonino non dovrebbe sembrare strano. E non dovrebbe
certo fargli venire un’improvvisa tachicardia, ma ehi, questa
è la vita e questo è Jensen che si alza da tavola
quella mattina e va a chiudersi in camera da letto per parlare al
telefono.
“Misha
Collins. Cosa posso fare per te?” risponde subito, il sorriso
così grande da percepirsi persino nella voce, la voce fin
troppo calda.
“Jay.”
ride Misha. “Ci sarebbero un sacco di cose che puoi fare per
me…” Jensen deglutisce, continuando ad ascoltare
in silenzio. “Ma mi limiterò a chiedertene solo
una, perché l’età mi ha reso
incredibilmente magnanimo”. Era amarezza quella?
“Volevo chiederti… hai parlato forse con JJ?
Perché non so tua figlia, ma l’esponente maschile
della mia prole è pieno di adrenalina e non vede
l’ora di incontrarla. O di diventare tuo genero,
dipende”.
Jensen
sbuffa, in parte contento di poter entrare nel tema figli. E’
l’unica cosa di cui riesce a parlare con Misha, ormai,
l’unico territorio sicuro. “Beh... ha passato un
paio d’ore a propormi varie trecce alla francese
perché, a sua detta, da quando West è tornato da
quel viaggio in Francia lui sembra adorare baschi, nasi
all’insù e insulse capigliature europee”.
Misha
ridacchia contro il microfono del telefono e Jensen deve sedersi un
attimo sul bordo del letto. Era un po’ che non sentiva quel
risolino. “Ok, beh… non so cosa dire. So solo che
West è pazzo di JJ e, sai com’è,
pensavo che forse valesse la pena di avvisarti. Non vorrei che
decapitassi il mio primogenito”.
Jensen
sbuffa e si passa una mano fra i capelli corti, un po’ biondi
e un po’ grigi. “Misha. Ho visto quel bambino
andare a fare beneficenza da prima che togliesse i pannolini o che
fosse in grado di spiccicare due parole. E’ praticamente la
tua copia carbone. Credi che ci sarebbe un altro ragazzo che vorrei per
la mia bambina?”
Misha
rimane in silenzio qualche secondo dall’altro lato del
telefono. “… no, hai ragione”.
Jensen
sente improvvisamente molto caldo e sospirando al telefono, cambia di
nuovo discorso. “Allora, siete già ad
Austin?”
“Sì.
Siamo appena entrati in hotel”.
“Ok,
perfetto. Allora ci vediamo ‘stasera a
cena…”
“Certo.
I ragazzi arriveranno un po’ prima da te, però.
Pare che West non voglia lasciare nemmeno un minuto di vantaggio a
Thomas”.
Jensen
ride e scuote la testa. “Come se avesse una qualche
possibilità, quell’alce”.
****
“Ok.
Ci siamo” dice West, in piedi dinnanzi al cancelletto che
dà sul giardino di casa Ackles. Maison è al suo
fianco, come sempre a scoppiare palloncini con la faccia più
annoiata del creato.
“…
West, lo hai già detto sei volte. Forse dovremmo cominciare
a darci una mossa, che dici?”
Nessuna
risposta. Maison allora sbuffa e afferra la sua borsa, avviandosi.
“La mia vita è una
fanfiction…” borbotta fra sé e
sé, scalciando i ciottoli del bel vialetto.
“M-Mais…
Maison! Aspettami!” la chiama West, rincorrendola con lo
zaino in spalla, fermandosi pochi secondo dopo con lei dinnanzi alla
porta di legno laccato.
Maison
suona sicura il campanello un paio di volte e continua a masticare la
gomma.
“Avrei
dovuto mettere una camicia… Jensen le indossa
sempre.” mormora West, gettando un’occhiata ai
jeans dal blu sbiadito, alla normalissima t-shirt e alle scarpe da
ginnastica.
Al
che Maison sbuffa una risata. “Ma tu non possiedi
una camicia”.
****
E’
Danneel che va ad aprir loro la porta, tornata di nuovo nel suo periodo
biondo e con il solito, bellissimo sorriso. West sente un po’
le farfalle nello stomaco mentre si fa abbracciare forte e il profumo
di lei gli inonda le narici. Ha sempre adorato Danneel e le vibrazioni
positive che emana per natura e anche se se ne vergogna un
po’, lei è stata decisamente la sua
prima cotta.
Jensen
li raggiunge subito dopo, nemmeno il tempo dei convenevoli, e anche lui
indossa un grande sorriso, oltre che, ovviamente, una camicia.
“Guarda un po’ chi è arrivato!
Ehi!”
Maison,
furba come una serpe, è la prima che scatta ad abbracciare
Jensen e beh, in un altro momento West penserebbe di non poterla
biasimare perché, insomma, Jensen
è Jensen. Ora come ora però tutto
questo gli sembra alto tradimento, un fraternizzare col nemico mentre
lo lascia da solo ad agonizzare.
“Maison,
wow, quanto sei cresciuta…” dice Jensen
abbracciandola e mettendole una mano sulla guancia. La guarda negli
enormi occhi blu e sorride quando lo fa anche lei. Come non potrebbe.
“Ehi,
sto invecchiando anche io, che vuoi farci.” gli risponde la
bionda e Danneel ridacchia alla battuta, intromettendosi.
“Ragazzi,
volete qualcosa da bere? Avrete sete con questo
caldo…”.
“Oh,
io, Dani, per favore! Hai una Coca-Cola?” squittisce Maison,
allontanandosi dalle braccia di Jensen e sgattaiolando in cucina dietro
Danneel, pronta a raccontarle del viaggio e delle ultime
novità.
“E
tu non mi vieni ad abbracciare? E’ una vita che non ti vedo
dal vivo”.
West
lascia per terra lo zaino e si avvicina subito a Jensen, sorridendo
solare come il padre, le gengive rosa sporgenti, le rughette attorno
agli occhi. “E’ bello vederti, Jensen”.
Allunga convinto una mano, pronto a scambiarsi un macho abbraccio a una
spalla, ma in un secondo Jensen lo afferra e lo stringe forte, dandogli
comunque qualche pacca sulla schiena.
“Sei
cresciuto un mucchio… mi ricordi tuo padre da
morire.” dice Jensen e la nota nostalgica non sfugge a
nessuno dei due.
“Oh,
beh, direi che è una buona cosa. Altrimenti dovremmo
chiedere qualche spiegazione di troppo a mia madre e rischieremmo che
ci scriva su un altro libro” scherza pacato lui, ridacchiando
contro la spalla dell’altro. Jensen però scoppia a
ridere, allontanandosi da West e inclinando il collo
all’indietro, scuotendo poi la testa mentre le guance gli si
arrossano per le risa.
“Ah,
per carità, non un altro libro!” continua a
ridere, fissando contento il giovane. “JJ si stava
preparando, scenderà a momenti… raggiungiamo le
signore in cucina?”
West
annuisce, ma non si smuove dal pavimento, non fa in tempo. JJ
è lì, in cima alle grandi scale che collegano i
due piani della villa e, se fosse meno educato, West farebbe notare al
suo cervello che con qualche passetto in avanti, riuscirebbe anche a
sbirciarle le mutandine da sotto il vestito rosa.
West.
Calmo. Buono. Respira. Sei ancora caldo dall’abbraccio di suo
padre, Cristo santo.
“West!
Siete già arrivati?” esclama, sistemandosi la
bella treccia francese posta su una spalla. “Ooow, volevo
venire io ad aprire la porta!” si lamenta lei, la voce
squillante e intermittente, mentre scende di corsa le scale e gli corre
incontro e no, West assolutamente non sta buttando un occhio sul
vestito svolazzante.
JJ
scansa il padre e in un secondo ha le braccia attorno al suo collo,
mentre West la cinge in vita e la solleva un po’ da terra,
giusto quei pochi centimetri che li separano.
West
non dice niente, si limita ad abbracciarla e le farfalle sentite prima
ora come ora sembrano una pernacchia sul pancino in confronto al
terremoto che ha dentro. Quanti
cliché tutti insieme, pensa rassegnato West mentre
se la stringe di più. Qualche secondo dopo la fa scendere e
copia il sorriso sul volto di lei, uno gigante e contento.
“Allora… sei un po’ ingrassata,
vedo”.
JJ
sbarra allora gli occhi e gli tira uno schiaffo sul braccio, facendo
ridere West. “Sto scherzando... sei perfetta.”
“Ah,
sì?” incalza lei, sollevando un sopracciglio furba.
“Cioè.
Ti trovo in forma. Come l'ultima volta… niente di nuovo,
insomma. La solita Jay.” dice lui, senza smettere di
sorridere. Le guance già cominciano a fargli male e con la
coda dell’occhio nota Jensen che li lascia soli in salotto.
“Ow,
West. Non chiamarmi solo Jay… o si girerà mio
padre al posto mio!” sorride e gli fa un grattino con le
unghie laccate di rosso sulla guancia un po’ ruvida.
“Ehi, ti sta crescendo la barba… molto
carino.” gli dice, facendogli un occhiolino esagerato e
lasciando che West cominci a ridacchiare come ogni volta che fa quella
faccia.
“Andiamo
in cucina, ho sete”.
“Sì,
ottima idea. Rifocilliamoci. I Padaboys stanno per arrivare, meglio
essere pronti!” esclama JJ, prima di fare strada per la
cucina e non vedere così la faccia di West mentre la guarda
andare.
Sarà
una lunga, lunga settimana.
****
L’arrivo
dei Padalecki è alquanto… intenso. Non solo
perché Jared ha quasi rotto due costole a West
nell’abbracciarlo, ma perché da trenta minuti a
questa parte il cervello di West sta lavorando a pieno regime mentre
tasta il territorio.
JJ
è ovviamente il centro di tutte le attenzioni, la padrona di
casa e autoeletta leader del team ChildrenOfSupernatural, e mentre sono
tutti in cerchio tranquilli seduti in giardino a discutere su come
organizzarsi per la gara, West rimane per un po’ in silenzio
ad osservare.
Shep
è cresciuto dall’ultima volta che l’ha
visto, ma è ancora tranquillo e riservato come lo ricordava.
Thomas, invece, è tutta un’altra storia. Come il
padre prima di lui, i suoi capelli non sembrano mai smettere di
crescere. E con i capelli, le gambe. Pur essendo due anni
più piccolo, infatti, è già
più alto di West e molto più rumoroso. E
ingombrante. E fastidioso. Ma non fastidioso nel senso stretto del
termine, solo… di troppo, ecco.
West
gli vuole bene sul serio, però. Vuole bene a ognuno di loro,
sono cresciuti insieme nonostante la lontananza e le differenze di
età e di famiglie. Eppure con la crescita, inevitabilmente,
si sono addentrati nuovi problemi fra i loro rapporti; nuove questioni
che in qualche modo li hanno allontanati da quei bambini che cercavano
di affogarsi nel fango più o meno un decennio fa.
West
non ha vere e proprie prove scientifiche che Thomas stia cercando di
mettergli i bastoni fra le ruote con JJ, ma ci sono certi momenti in
cui l’oltre ogni ragionevole dubbio come regola di giudizio
è più difficile del solito da applicare. Come in
questo istante, per esempio.
“JJ,
adoro il tuo vestito. Il colore ti sta bene…” dice
West, sistemandosi gli occhiali da sole sul naso e sollevandosi poi sui
gomiti, per non essere completamente steso sul prato.
JJ
si gira e ride, arrossendo appena, alzandosi e facendo un rapido
giretto su stessa per sfoggiarlo un po’. “Davvero?
Sono contenta che ti piaccia!” squittisce, risiedendosi
contenta e gattonando più vicina a lui con un sorrisino.
“Piace anche a papà questo vestito. Quando ero
piccola aveva una camicia di questo colore, sarà nostalgia
dei tempi d’oro!”.
“Sì?
Anche mio padre ne aveva una uguale… curioso. Ha sempre
avuto cose rosa” osserva
West.
“Mh,
sì, infatti…” interviene Thomas,
schiarendosi la voce e sistemandosi la frangetta castana davanti agli
occhi. “Il rosa ti dona parecchio, JJ. Ed è un
gran bel colore, sono d’accordo”.
West
rotea gli occhi e non fa in tempo a ribattere che sua sorella, fino a
quel momento in silenzio sul prato a fissare le nuvole nel cielo
azzurro di Austin, apre bocca. “Il rosa fa schifo.
E’ carico di sessismo a livelli inimmaginabili. E’
storicamente frustante, come colore.” borbotta, sollevando
appena la testa e adocchiando JJ. “Ovviamente a lei sta bene
qualsiasi cosa, non credo sia una questione di colore. Anche se questo
rosa salmone non è male, sai? Nell’ultimo reboot
di Skyrim c’è un drago proprio di quel colore,
incredibile ma vero”.
“…
oh” dice Tom, mettendo la schiena dritta e guardando Maison.
“Beh, sì, insomma… il rosa è
un colore da ragazze…” Maison gli lancia
un’occhiataccia. “Ma se c’è un
drago rosa sicuramente deve avere il suo perché,
no?” ride nervoso, cercando inutilmente gli occhi azzurri di
Maison, che però tornano a guardare il cielo.
“E
da quando ti piacciono i draghi rosa, Mais? Credevo che tu fossi tutta
morte e distruzione e risentimento” dice West, prendendola in
giro.
Maison
sbuffa, girandosi su un fianco, incurante della maglietta che le scopre
la pancia. “Infatti non mi piacciono. Quello del drago rosa
sei tu, Westie”
lo sfotte, ridacchiando, mentre West sfoggia un’espressione
teatralmente indignata.
“Maison!
Non dovevi dirlo! Dio! I draghi e i tanga rosa sai che sono la mia
debolezza!” esclama il biondo, strillando quasi ed esagerando
le sue smorfie solo per far ridere gli altri. Shepherd è il
primo a dare inizio ai risolini, ma è JJ poi che si inarca,
gettando la testa all’indietro, e ridendo più
forte di tutti.
“Oddio!
West!”. JJ continua a ridere, dandogli un piccolo schiaffetto
affettuoso sul viso. “Devo proprio giocarci a quel gioco se
ti ha convertito ai tanga rosa!”
“Mpf,
Jay…” la chiama mellifluo West, ghignando, gli
occhi maliziosi nascosti dalle lenti scure. “Se vuoi
cavalcare il mio drago rosa, basta chiedere, lo sai che non
ti negherei niente”.
JJ
scoppia di nuovo a ridere e piano casca sul prato, tenendosi le mani
sulla pancia e tirando in basso il vestito per non scoprirsi troppo.
West si gira a guardarla, ridacchiando insieme a lei e agli altri.
Eccetto Tom, che silenzioso si alza e mormora qualcosa sul dover andare
a prendere da bere.
E
bum. 1 a 0 per West Collins.
****
Più
tardi, dopo la cena e una volta raggiunti anche da Misha e Victoria, i
ragazzi sono in piscina coi piedi ammollo e il naso
all’insù a guardare il cielo stellato di Austin.
L’aria è afosa, umida e fa caldo, ma è
una bella serata e tanti ricordi sembrano riaffiorare.
Misha
è sul patio del retro, a guardare i ragazzi in piscina. Sta
bevendo ancora un po’ del vino che Jared ha tirato fuori
dalla sua personale cantina e gli viene un po’ da sorridere,
perché è buono e a lui il vino rosso neanche
piace granché. Forse è l’aria di Austin.
“La
prossima volta che mi chiedo come mai Maison fa l’eremita e
si mette sempre da sola a pensare saprò a chi dare la
colpa”.
La
voce di Jensen arriva all’improvviso, fresca come un secchio
d’acqua versato sulla testa durante una giornata torrida.
“Purtroppo non sono riuscito a riversare in loro la mia
ineccepibile perfezione.” ribatte Misha. “La
connessione vent’anni fa faceva un po’ le bizze,
sai com’è”.
Jensen
ride piano e gli si avvicina, poggiandosi alla ringhiera in legno del
patio e guardando anche lui verso la piscina. “JJ
è contentissima di avervi qui. Sembra tornata a 8
anni”.
Misha
sorride e scrolla le spalle. “Anche tu sembri contento.
Sembri tornato a quando ne avevi 38, di anni”.
“Ehi!
Tu sei il più vecchio fra noi! Non ti azzardare a fare
battutacce sull’età.” dice Jensen,
schiaffeggiando piano un suo braccio.
“Tecnicamente
la più vecchia è mia moglie e non è un
problema tuo, perché sono io ad andarci a letto,
quindi… aho! La pianti? La violenza non ti si addice. Con
quella barba sembri più un orsacchiotto… ouch! Jensen”.
E, uh,
la voce di Cas sembra fare ancora il suo effetto.
Jensen
lo guarda con l’espressione crucciata, ma il labbro inferiore
trema appena, nel tentativo di resistere alle risate. “Sei un
idiota, Mish”.
“Oh,
lo so”.
“Lo
sai?”
“Sì”.
“E
quindi?” incalza.
Misha
sospira, scuotendo la testa piano. “Jay, sono troppo vecchio
per queste cose adesso…”
Jensen
si irrigidisce, smettendo di guardarlo e sbuffa una risata amara.
“… capisco”.
“Capisci?”
chiede Misha.
“Già”.
“E
cosa capisci?”
“Che
non sai mentire nemmeno da cinquantenne” sbotta.
“E
tu invece sì, Jensen?” si gira Misha, guardandolo
accigliato. “Rispondimi, avanti”.
Jensen
alza lo sguardo, affrontandolo per un istante come se non fossero
passati 14 anni dall’ultima volta che hanno avuto questa
discussione. “No, Mish. Non so mentire nemmeno io”.
Rimangono
in silenzio, a quel punto, e tornano a guardare i ragazzi mentre
gettano in piscina il povero Shepherd completamente vestito. Misha
sospira e piega la testa, bevendo l’ultimo sorso di vino.
Jensen lo guarda con la coda dell’occhio, allora, di
nascosto, e pensa a quanto bello sia di profilo anche adesso che hanno
entrambi i capelli grigi, a quanto le linee del naso e della mascella e
della bocca siano sempre le stesse. Jensen si appoggia un po’
a lui, premendo le loro spalle, cercando un contatto che al tempo aveva
dato molto per scontato.
Nessuno
dei due dice niente o si muove.
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Capitolo 3 *** Capitolo 3: Cake pranks ***
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fathers, like children
Chapter
3: Cake pranks
La
caccia ha inizio il giorno dopo e la lista degli items è
online. Sono assurdi,
sconclusionati, alcuni palesemente illegali e beh, perfetti.
E’ adesso che arriva il
bello ed è adesso che West deve giocarsi le sue carte.
E forse, non solo lui.
JJ è seduta sul divano con il laptop sulle cosce e fissa
mangiucchiandosi il
pollice le varie sfide, mentre gli altri la circondano.
“A volte mi domando cosa ci sia nella testa di tuo padre,
West…” mormora
Thomas, fissando allibito le proposte di quest’anno.
“Insomma, come fa a tirar
fuori sempre qualcosa di nuovo e ancora più improbabile e
imbarazzante?”
Maison si gira a guardare Thomas, sollevando le sopracciglia.
“Non fare domande
idiote, Tom”.
“Ok, zitti tutti!” esclama JJ. “Dato che
noi siamo un team a ordinamento
speciale e siamo solo sei dobbiamo lavorare molto più degli
altri. Maison, tu
sei l’addetta a ogni cosa artistica. Farai tutti i disegni,
ok? Shepherd è il
più bravo a lavorare con le mani, quindi questa…
uhm, torre di Pisa fatta
interamente di foglie di basilico, ad esempio, la farai tu…
se ci riesci”.
Gli items vengono così distribuiti rapidamente, in base alle
caratteristiche di
ognuno e alla disponibilità di William a Londra, sino a
quando, ormai giunti al
numero duecento cinquanta, è West a prendere le redini.
“Questo è mio e di JJ”
dice subito, più sfacciato di quanto credeva di poter essere.
“… item 250.VIDEO. Tempo
20 secondi. Fai
il “Gioco della bottiglia” con una persona sola e
facci vedere come due
tredicenni sanno divertirsi (niente sex tape, Gishbot potrebbe
esplodere).”
legge Tom ad alta voce, guardandolo poi crucciato.
JJ arrossisce, ridacchiando appena ma senza opporsi, segnando
silenziosa i loro
due nomi accanto quell’item.
“E perché dovresti farlo tu, West?”
chiede Tom.
“Perché sono il più grande, a te non
cresce neanche la barba, sarà più buffo
con me. Poi ho un’idea geniale, verrà un bel
video, vedrai”.
“Beh, allora io prendo il 253, quello sulla torta a forma di
cuore.
Quarantacinque secondi di video sono molti e…”
“Oh no no no, Tom! Anche quello è mio. Ci starebbe
benissimo un “Cooking Fast
and Fresh” edizione speciale. Se ricordi bene il
più cliccato di quei video fu
quello che facemmo io e JJ a casa mia. Tumblr impazzirà se
ne facciamo un
altro!”.
Thomas lo guarda, accigliato. “Certo. Tumblr. Non ci pensi
che magari anche noi
potremmo divertirci a far impazzire il web, mh?”
“Ma tu puoi fare quello che vuoi, Tommy.
Non hai bisogno del mio permesso.” risponde sorridente West,
sollevando le
sopracciglia per irritare l’altro ancora di più.
“Non chiamarmi Tommy.” risponde secco.
“Oh, andiamo. Non mettere il muso, ok? Questi due e quello
sul Destiel sono
miei. Ne hai già un bel po’! Che ti cambia fare
qualche item in più con JJ
oppure no?”
“Ma io non-” prova Tom, fermandosi di botto. Non è JJ che voglio.
“Dai, basta così, stiamo perdendo
tempo!” squittisce JJ, alzandosi dal divano
col portatile in mano. “Io, West e Tom stamattina raccogliamo
il materiale, i
costumi e telefoniamo in giro per vedere se riusciamo a trovare una
mucca e un
cavallo. Nel pomeriggio Shepherd e Maison cominceranno già a
lavorare su ciò
che c’è da creare, così che non si
ritrovino pieni di roba durante lo sprint
finale. Tutto chiaro, ciurma?”.
Tutti annuiscono e finalmente la gara ha inizio.
****
“JJ mi ha chiesto se so dove trovare un cavallo da portare in
un centro
commerciale. Misha, perché devi sempre mettermi in queste
situazioni?” chiede
Jensen, trovandolo nella stanza dei cimeli in fondo al corridoio del
primo
piano.
“Beh, guarda il lato positivo: non ti ha chiesto prima di
vestirti da
Stortrooper mentre cavalchi una mucca in una
farmacia…” commenta distratto
l’altro, vagando per la stanza con le mani dietro la schiena.
“E’ incredibile
quanta roba tu abbia conservato dal set di Supernatural, Jay. Davvero.
C’è di
tutto… e su qualsiasi personaggio!” osserva Misha,
prendendo in mano la spada
angelica di Castiel, compagna di infinite storie. E’ strano
vederla lì, fra le
altre cose, come se fosse solo un souvenir.
“Supernatural mi ha cambiato la vita. Il minimo che potessi
fare era dedicargli
una parte della mia casa”.
Misha annuisce, rimettendo al suo posto la spada e alzando lo sguardo
verso una
grande mensola in legno, dove Jensen ha allineato tutti i premi vinti
in
carriera. E’ pronto a giurare che quella sia stata opera di
Danneel più che di
Jensen, ma cambia idea in un attimo quando nota l’ordine dei
premi e quali sono
posti in evidenza rispetto agli altri.
I loro Teen Choice sono lì, schierati come soldati,
fieramente in ordine
cronologico. Sono quattro, tutti dedicati alla fantomatica
“chimica” di Dean e
Castiel. Misha sbuffa una risata un po’ amara e si gira a
guardarlo, le sopracciglia
sollevate ironicamente. “E questi?”
“Sono i nostri premi”.
“Lo so, Jay. Ma non te n’è mai importato
niente di questa roba, di quello che i
fan pensavano di noi due, fuori e sul set”.
Jensen lo fissa, stringendo appena gli occhi e serrando la mandibola.
“Stai
generalizzando”.
“Non è una cosa che faccio”.
“Beh, la stai facendo ora!” ribatte seccato Jensen,
avvicinandosi e guardando
insieme a Misha i premi sulla mensola. “Non me
n’è mai importato un accidente
del Destiel e di tutte quelle altre diavolerie, è vero. Non
più di quello che
bastasse a far impazzire i fan, perlomeno. Ma tu… tu sei una
cosa a parte. Non
sei… una cosa creata dai fan.” dice, la voce priva
di inflessione mentre
ostinato fissa le tavole da surf colorate sulla mensola.
Misha non dice niente, fissandolo sbigottito mentre cerca il modo di
rispondere
a una cosa del genere. Quando è stata l’ultima
volta che Jensen si era aperto
così con lui? Quattordici? Quindici anni forse? Prima di
quello che li aveva
divisi, prima di quel passo che sembravano non essere pronti a fare e
che nonostante
tutto Misha aveva mosso?
****
Al piano di sotto, più o meno contemporaneamente, la
realizzazione dell’item
dedicato all’edizione speciale di Cooking
Fast and Fresh with West è in atto. Sono tutti
pronti, la cucina resa
strategicamente caotica per riprodurre il tipico disordine e JJ
è già dietro il
bancone che dà un’ultima occhiata alla torta
cucinata.
“Shep quindi è a casa vostra a realizzare la torre
di Pisa in basilico?” chiede
JJ sovrappensiero a Thomas, che annuisce, poggiando i gomiti sul lato
opposto
del bancone di marmo. Dietro di loro Maison in silenzio finisce di
montare il
cavalletto, masticando perennemente un’altra gomma alla
fragola.
“Sì, mi ha appena mandato un messaggio. Credo stia
per piangere per la
disperazione…”. JJ sbuffa, ridacchiando appena e
controllando un’ultima volta
la glassa rosa che ricopre il dolce. “West
dov’è?” continua Tom.
“Oh, ancora in bagno credo…” risponde la
ragazza e si gira verso il lavandino,
versando un altro po’ di farina sul lavabo come ultimo tocco.
C’è silenzio in
cucina, uno apparentemente tranquillo e che sembra precedere risate e
tempesta.
Thomas lancia un’occhiata a Maison alle sue spalle, cercando
la sua attenzione
e non ricevendola nemmeno ‘stavolta. La più
piccola di casa Collins è infatti
troppo impegnata a controllare che la telecamera sia a fuoco e ben
solida sul
cavalletto. Tom si morde le labbra, abbassando gli occhi sul bancone e
fissando
la torta a forma di cuore ricoperta di glassa, così
invitante e così
potenzialmente utile. Vorrebbe fosse così semplice come
mangiare un dolce,
vorrebbe fosse come nei film dove basta fare un gesto più o
meno eclatante per
avere ciò che si vuole.
La torta rosa a forma di cuore continua a fissarlo imperterrita e
candida e
quando si sentono finalmente i passi di West che ritorna in cucina, Tom
semplicemente… agisce secondo i
suoi geni.
Allungando una mano, prende il piatto su cui la torta è
posata e la solleva,
approcciandosi all’entrata della cucina. West gira in quel
momento l’angolo e
in un secondo l’intero dolce gli viene spiaccicato sulla
faccia con tutta la
forza del caso. Tom scoppia a ridere, vedendolo traballare sotto il
colpo e
addirittura sbattere contro una parete. Maison prima si mette una mano
sulle
labbra e poi ride anche lei, fissando l’espressione sconvolta
del fratello e la
panna che gli ricopre viso, collo e capelli.
“Oh mio dio, Tom!” strilla JJ, invece, correndo da
West con uno strofinaccio
pulito. “Ma che fai, lo uccidi così! Westie, ti
sei fatto male?”
West si gira a guardarla, leccando la panna che ha sulle labbra e
scuotendo la
testa. “Ma no… no, Jay, tranquilla…
ouch! Fai piano!”
JJ lo guarda, gli occhi preoccupati mentre indietreggia e smette di
pulirgli la
faccia. “… ti sta sanguinando il naso…
andiamo in bagno, vieni. Cristo, Tom! Un
po’ più forte e gliela staccavi la
testa!” sbraita la bionda, lanciando
un’occhiataccia
al ragazzo dietro di lei, mentre Maison ancora trattiene le risatine.
“E tu non
ridere! Cerca di recuperare una torta per il video!”.
****
“Cos’è stato questo rumore?”
chiede Jensen in pensiero, dando le spalle a Misha
e avvicinandosi alla porta. “Vicki e Dani non tornano prima
delle quattro. Avranno
rotto qualcosa giù?”
“Jay…”
“Forse qualcuno si è fatto male.”
“Jensen!”
“Cosa?!” Jensen finalmente si gira e Misha lo
guarda, le sopracciglia curvate,
gli occhi blu enormi e imploranti.
“Ti prego. Parliamo. Ora e come si
deve…” mormora piano. “Da quando siamo
arrivati mi dici delle cose… cose che non combaciano con
quello che hai deciso
tempo fa, Jay… cosa vuoi che faccia?”.
“No, aspetta un attimo, ehi!”. Jensen avanza,
additandolo e premendo l’indice
contro il suo petto. “Io non ho deciso niente da solo,
abbiamo deciso insieme quindici
anni fa questa situazione. Siamo rimasti amici, buoni
amici”.
“Non so di cosa tu stia parlando, Jensen.” risponde
Misha irritato, serrando la
mascella e scostandogli il dito premuto sul suo petto, il tono della
voce fin
troppo alto. “Perché quando è finito
Supernatural io ti ho detto quello che
provavo e tu hai fatto tutto da solo, tu hai…”
“Shhh!! Abbassa la voce, cazzo!”
“Certo. Ovvio. Devo abbassare la voce”. Misha
sospira esasperato. “Jensen, è
troppo chiederti per una volta di essere sincero con me? Ci prendiamo
in giro da
tipo vent’anni, sarei un po’ stanco!”
****
“Oh, Westie… mi dispiace così tanto,
Tom è… Tom è un… coglione,
certe volte!”
mugola JJ, in ginocchio sul letto della sua stanza, mentre tampona il
sangue
che esce dalle narici dell’altro. “Guarda che ti ha
fatto…”
West ride a sentirla imprecare e la guarda, lasciandosi accudire
placidamente. “Va
bene, non ti preoccupare… meglio me che te”.
“Con me non ci prova nemmeno se non vuole che lo prenda a
calci…” sbuffa lei,
accarezzandogli con due dita l’orecchio dentro e cancellando
l’ultima traccia
di panna. Istintivamente si porta le dita alle labbra leccando appena i
polpastrelli, sotto gli occhi attenti di West. Quando si accorge di
essere
fissata arrossisce e poi ride piano. “Dai,
smettila…”
“Cosa? Non ti posso guardare ora? Continua quello che stavi
facendo, sembrava
interessante. Vuoi altra panna? Fruga nei miei
capelli…” dice lui, arruffandosi
di più la zazzera sul capo.
“West!” JJ ride più forte,
schiaffeggiandolo sul braccio come fa sempre e poi
passando entrambe le mani fra i capelli di West, sorridente. Li pettina
con le
dita piano e gli va vicino, riordinandoli e finendo poi con
incorniciargli le
guance. Le unghie laccate di rosso contro la pelle abbronzata e la
barbetta
chiara spiccano ancora di più e JJ si morde le labbra a
guardarlo, trattenendo
un sorriso. “Dovremmo tornare giù. Dobbiamo fare
il video”.
West annuisce piano, mantenendo però il viso fra le mani di
lei e senza mai
staccare gli occhi. “JJ, ci sono più o meno un
milione di cose da fare in
questa vita… concentriamoci su quelle prioritarie”.
“… tipo?”
“Vieni più vicino…” le chiede
calmo, sebbene il cuore gli martelli in petto e l’infarto
sia vicino.
****
“Oh no no no… non è seriamente il
momento di parlarne, Mish. Non ora, non qui,
non con i nostri figli qui sotto
che
giocano!”.
“Non usare la scusa dei bambini con me. Sono adulti, ormai,
Jay!”
Jensen non gli risponde e si allontana di nuovo, andando verso la porta
della
stanza. “Vado a controllare che cosa hanno combinato quei
quattro…” dice, senza
aspettare risposta e varcando subito dopo la soglia. Cammina svelto per
il
lungo corridoio, le scarpe che quasi si schiantano sul parquet sotto i
suoi
piedi per la foga con cui scappa. Misha non lo segue e Jensen non sa se
sia veramente una buona cosa, non
è certo di
volere sul serio che Misha smetta di rincorrerlo. Non ora. Non adesso
che era a
tanto così…
Scuote la testa, agitato e spaventato dai suoi stessi pensieri, e fa
una
deviazione verso destra per controllare la camera di JJ –
più per abitudine che
per vero e proprio bisogno. La porta è aperta quando arriva
sulla soglia e lo
scenario che gli si presenta davanti è… beh.
E’ sia tenero che agghiacciante.
“Che state facendo?”
West e JJ si staccano in un secondo l’uno dalle braccia
dell’altra.
Ironicamente, tanto per cambiare, non erano ancora arrivati al punto di
baciarsi.
“P-papà… Tom ha… ha buttato
una torta in faccia a West e… gli stava sanguinando
il naso… e nel bagno della mia stanza avevo cerotti e
disinfettante e…” JJ lo
guarda, rossa come un pomodoro, e scrolla le spalle. Si alza dal letto,
guarda
West e sorride nervosa. “Uhm… v-vado
giù. Bisogna rifare la torta e… e Tom
avrà
dato fuoco alla cucina. Penso. Uhm”.
West annuisce, l’espressione di chi vorrebbe tutto tranne che
essere lì. “Scendo
subito, Jay. Mi lavo un’altra volta la faccia e sono
pronto…” dice, mentre JJ
esce dalla stanza scansando il padre e lasciando i due uomini soli.
Come già detto, sebbene non sia proprio parte del suo
corredo genetico, West si
è sempre ritenuto una persona più o meno
paziente. Sulla carta, addirittura,
pare sia un genio. Quindi in teoria non è azzardato
aspettarsi da un ragazzo
come lui spessore culturale, profondità intellettuale e,
perché no, anche coraggio
da vendere.
L’unica cosa che riesce a pensare ora, però,
mentre fissa gli occhi verdi di
Jensen sbarrati e con l’espressione più strana e
combattuta che West gli abbia
mai potuto vedere indosso, è che la settimana di Gishwhes
sarà davvero, davvero
lunga quest’anno.
|
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Capitolo 4 *** Capitolo 4: I don't kiss and tell ***
Ritardo clamoroso,
lo so, e mi scuso con tutte le persone meravigliose – amiche
e non – che
seguono questa fan-fiction. Grazie per i vostri bellissimi commenti e
per il
supporto.
Ormai siamo quasi
giunti alla fine di questo viaggio, penso che ci saranno al massimo un
altro
paio di capitoli (ma non è detto, lo scopriremo vivendo). In
ogni caso, fan-fiction o meno, il cockles è lì
fuori che ci aspetta, amici miei, e in una quindicina d'anni potremo
goderci anche lo Jest (JJ/West).
_________________________________________________
Like fathers,
like children
Chapter 4: I
don’t kiss and tell
Se
da una parte l’esperienza con JJ ha confermato la sacrosanta
pazienza di West
Collins, dall’altra ha ricordato più o meno a
tutti (interessato compreso) che
se il coraggio per lanciarsi col paracadute non gli manca, quello per
affrontare Jensen Ackles due secondi dopo aver quasi baciato la sua
unica
figlia non sembra essere pervenuto.
“J-Jensen”.
Jensen continua a fissarlo e West rimane immobile seduto sul bordo del
letto,
il naso che ancora gli pulsa forte, mentre Jay incrocia le braccia
rigido.
“Jensen, io… mi dispiace. Ma lo sai, io voglio un
bene infinito a JJ, lo sai
che non la farei mai soffrire!” blatera rapido West, gli
occhi sempre
incatenati a quelli dell’altro, il cuore che martella
impazzito nella cassa
toracica. “Lo sai che cosa significa per me JJ. Lo sai che ho
aspettato tanto…
e se tu lo ritieni giusto, Jensen, posso aspettare ancora. Posso
aspettarla.
Anche dieci anni. Dico sul serio”.
Jensen inclina la testa e West
è pronto a giurare che quegli occhi verdi siano
più pieni di tristezza e nostalgia, che di rabbia. Si chiede
che cosa stia
passando per la testa del texano, ma comprendere cosa passi per la
testia di un
Ackles, il più delle volte, è
un’impresa.
“West.
Io mi
fido di te. Sei un ragazzo responsabile, ti ho cambiato persino i
pannolini sul
set quando quell’imbranato di tuo padre non sapeva farlo, ti
conosco bene…”.
Jensen alza una mano, additando l’altro. “Ma ti
avviso. Se la fai soffrire, se
le spezzi il cuore…” la minaccia si ferma, rimane
sospesa. Non c’è molto altro
da dire. Jensen sapeva che sarebbe arrivato questo momento, tutti lo sapevano.
“Te
lo giuro” e
le parole di West grondano sincerità. “Non la
potrei mai ferire. Mai. Se lei mi
vuole, se mi dà una
chance, io sono qui”.
West si alza
dal
bordo del letto e si avvicina a Jensen, che per istinto gli batte una
mano
sulla spalla affettuoso. “Okay, West.
Okay…” Jensen sospira, ridendo amaro.
“Vai giù, ora. Tu sei disposto ad aspettare, ma JJ
non è molto paziente…”
West sorride
e
annuisce, abbracciando rapido Jensen e uscendo poi dalla stanza,
lasciando
l’altro disorientato, a riconoscere che effettivamente Misha
ha ragione. Ormai
i loro figli non sono più bambini, ma adulti. Uomini e donne
con coscienze, che
prendono decisioni, che si innamorano. E’ contemporaneamente
una bella e brutta
sensazione; riconoscere che i tuoi figli sono diventati grandi
è
contemporaneamente straziante e liberatorio: ha dello sconvolgente, ma
ti offre
un nuovo ventaglio di possibilità, ti dà il tempo
di respirare.
E’ questo che passa per
la mente a Jensen quando sta rientrando nella stanza
dei cimeli, dove Misha ancora giace, dove ancora aspetta che lui torni.
Sempre
lì, fermo, solido, una costante incancellabile.
“Mish…
hai
ragione. Dobbiamo parlare”.
****
La giornata, per
grazia divina, è conclusa. Partecipare a Gishwhes
è già di per sé estenuante, sfibrante addirittura – basta
chiedere a
chiunque. Se poi contemporaneamente si cerca di conquistare
l’amore della tua
vita alias amica di infanzia alias figlia del migliore amico di tuo
padre… beh,
la questione diventa un poco più complessa.
Ma
West non si è dimostrato solo paziente, negli ultimi anni.
No. Lui è anche
determinato. E sconsiderato. Tutti elementi molto utili per Gishwhes;
tutti
elementi che, con la scusa del doversi svegliare presto domattina per
costruire
un’orca di legno nel giardino di casa Ackles, hanno permesso
a Maison e West di
rimanere a dormire lì.
Ora, West
non sa
esattamente cosa gli sia preso. Se proprio deve dare la colpa a
qualcuno la darebbe
la colpa a Whatsapp, all’ultimo accesso di JJ avvenuto due
minuti prima e alla
prova che è effettivamente sveglia all’una del
mattino – proprio come lui. Che
non riesce a chiudere occhio mentre pensa a quanto è stato
vicino dal baciarla.
Perciò
adesso,
all’una del mattino e qualche minuto, in pantaloni del
pigiama e t-shirt di Stanford,
West bussa alla porta della stanza di JJ, che piano si apre.
Lei, e West
potrebbe essere un attimino di parte ma non troppo, è
stupenda. Ha i capelli
sciolti, appena pettinati, morbidi e gonfi. Ha un enorme maglietta di
jersey dei
Dallas Cowboys e le gambe – West,stai
calmo – nude. Lunghe cosce bianche che…
“West?”
lo
chiama lei e West sobbalza, alzando di scatto gli occhi e appoggiandosi
con
finta nonchalance allo stipite della porta.
“E-ehi…”
ride
nervoso West, mentre pondera quanto strano e potenzialmente perverso
potrebbe
sembrare correre a fare una doccia fredda all’improvviso.
“Vuoi
entrare?”.
JJ inclina piano la testa e sorride a vederlo nervoso. West sa che
l’atteggiamento da imbranato insito nel suo DNA è
adorabile e fa impazzire le
ragazze. Vorrebbe solo che non gli facesse dire idiozie.
“…
entrare
dove?”. Idiozie come questa.
“Nella
stanza,
scemo… vieni qui”. E JJ, buon
dio, lo
tira contro di sé chiudendo la porta piano. Tenendolo per
mano lo fa sedere con
sé sul materasso ed entrambi con la schiena poggiata alla
testa del letto,
cominciano a guardarsi.
West si
chiede
se non dovrebbe quindi far qualcosa, agire, fare
l’uomo. Dopotutto lui è il
più grande, lui è quello cresciuto nella
famiglia super-libera e progressista, col poliamore dietro
l’angolo, con falli
di legno comprati in Polinesia per soprammobili e…
“Westie?”
lo
chiama soffice JJ, col soprannome che usava da bambina e, in un certo
senso, lo
aiuta a tranquillizzarsi, gli rasserena i pensieri. Per un attimo sono
di nuovo
bambini e West è di nuovo piccolo, di nuovo su una barca con
la sua famiglia,
di nuovo in braccio a sua madre mentre guarda i riflessi che il
tramonto fa sui
capelli biondi di JJ.
Almeno sino
a
quando JJ non gli sale a cavalcioni addosso, stringendo le suddette
cosce nude
ai suoi fianchi e allacciando le dita dietro la sua nuca,
improvvisamente donna
e per niente bambina. A quel punto c’è ben poco
che lo lasci ancora lucido.
West la
osserva
a occhi sgranati inarcare la schiena e avvicinare le labbra alle sue.
D’istinto
la cinge, mettendosi seduto dritto e tirandola di più in
grembo, scoprendo per
fortuna – o per sfortuna – che l’unica
cosa che li divide sono solo le sottili
mutandine di lei e i propri pantaloni del pigiama.
Sono fermi,
ora;
l’una addosso all’altro, i respiri pesanti, le
bocche quasi unite. C’è una
tensione nell’aria che rende il tutto letteralmente elettrico
– e forse un po’
troppo per due ragazzi così giovani e che ancora non hanno
trovato il coraggio
di baciarsi. Eppure sembra ancora familiare: fra loro è
sempre stato così,
dopotutto; una carezza, uno sguardo, un abbraccio più lungo
rispetto a quelli
dati agli altri.
JJ si muove,
strusciandosi piano e baciando West sulle labbra, per breve tempo, di
nuovo
timida, e West vorrebbe tanto, ma tanto, essere impotente, in questo
momento:
tutto pur di non far sentire a JJ l’erezione crescente.
Vorrebbe
sapersi
trattenere, sapersi controllare, non mostrarle quanto la desidera e
quanto fa
male sentire di dover aspettare. JJ però lo tenta e lui
è solo umano. Così le
scosta i capelli, scoprendole un lato del collo, e mentre lo fa non
smette di
baciarla, non smette di godersi il respiro affannato di lei che si
mischia al suo. Le
accarezza la
schiena, mentre piega il capo per baciarle il collo. Punta la bocca
sulla
giugulare che pulsa frenetica, e in un istante West ribalta le
posizioni,
schiacciandola contro il materasso e incastrandosi fra le sue gambe con
la
facilità di chi sembra fatto per stare esattamente
lì, in quel modo.
JJ lo guarda
dal
basso, i capelli sparsi sul cuscino bianco e West si ferma ad
osservarla.
Guarda le sue guance rosse, le labbra già gonfie dai baci,
il petto che si alza
e si abbassa. Sorride e accarezzando la coscia destra coi polpastrelli,
si
sposta, stendendosi al suo fianco e baciandola di nuovo. “Va
bene così… vero?
Abbiamo tutto il tempo del mondo…”.
JJ annuisce
e
sorride contenta, abbracciandolo forte e baciandolo.
****
Chiaramente
non
vi sono regole precise da seguire dopo che hai passato praticamente la
notte a
pomiciare con la ragazza dei tuoi sogni (asciutti e
bagnati). Per cui West in un certo senso si limita a seguire la
corrente e a cercare di non annegare.
Più
o meno.
La cosa
buffa è
che, per quanto sia lui che JJ si sentano estremamente esposti e
diversi,
nessuno sembra notare qualcosa di differente in loro. Né
nella loro riscoperta
intimità, né negli sguardi furtivi che si
lanciano da tutto il giorno tra un
item assurdo di Gishwhes e l’altro. Nemmeno Thomas, nel suo
essere un perenne
guastafeste rompipalle, sembra agire in modo diverso intorno a JJ.
Sua sorella
Maison, dal suo canto, mastica una chewing-gum leggendo un libro
più vecchio di
lei di circa trent’anni mentre aspetta che il suo ritratto
fatto di lenticchie
di William Shatner (buonanima) si asciughi.
Per quanto
riguarda i senior, invece, West non è proprio certo di
quello che sta
succedendo a suo padre. Sì, di solito è molto
impegnato con Gishwhes a cercare
di non far crollare i server di Gishbot, ma in questi giorni
è… strano. E
non strano in mio-padre-è-Misha-Collins-che-vuoi-farci;
strano in c’è qualcosa
che mi turba,
c’è qualcosa di cui ho bisogno di parlare.
Misha
è in
effetti alquanto evasivo. Dal momento in cui ha varcato la soglia di
casa
Ackles – da solo, stranamente senza Vicki al seguito
–, non sembra dar peso a
molto di quello che gli sta succedendo intorno, troppo concentrato nei
suoi
pensieri.
West pensa
che
forse dovrebbe andargli a chiedere che cos’ha. E’
lì lì per mettere in pausa il
montaggio di alcuni item video quando Jensen, scendendo le scale
– anche lui,
stranamente solo in casa sin dal mattino presto – passa in
cucina a baciare JJ.
“Piccola,
sto
uscendo. Chiamami per qualsiasi cosa. E non
date fuoco alla casa. Qualsiasi danno verrà ripagato col
sangue, lo sapete”. JJ
rotea gli occhi, ascoltandolo annoiata, ma annuisce e gli dà
comunque un bacio
sulla guancia.
“Tranquillo,
papà… ci sentiamo dopo”. Un altro bacio
veloce sulla tempia della figlia e
Jensen si avvia fuori casa, seguito da Misha, che effettivamente non si
era mai
mosso dall’entrata, spiccicando appena qualche parola ai suoi
stessi figli.
****
Per
la prima
volta in oltre vent’anni d’amicizia, Jensen e Misha
non sanno assolutamente
cosa dirsi.
Sono
seduti sui
sedili posteriori del fuoristrada di Jensen, ognuno con la schiena
poggiata al
proprio sportello. Jensen trova che la posizione sia estremamente
scomoda,
vista la maniglia dello sportello che sente conficcata dritta in un
rene o
suppergiù, ma è comunque una situazione
familiare, questa. Tanto, tanto tempo
fa lo facevano spesso. Parlare seduti nei sedili posteriori
dell’Impala, tra una
pausa e l’altra sul set.
Sono
in un
parcheggio poco fuori Austin, dove la vista è ottima e dove
soprattutto è difficile
incontrare turisti che abbiano l’età giusta per
riconoscere uno di loro. Jensen
si guarda le mani e si accorge di star rigirandosi i pollici, nel
peggiore dei
cliché.
“Jensen,
volevi
parlarmi. Sono qui. Parliamo”.
Giusto.
Parlare.
Sembra facile.
“Misha…”
mormora. “Io…” sospira e alza gli occhi
al cielo, fissando le raffinate
cuciture interne del tettuccio della macchina.
“Mish… lo sai che… insomma, ci
conosciamo da tanti anni. Davvero, davvero tanti. Siamo invecchiati
insieme, in
un certo senso…” finalmente volge lo sguardo a
Misha. “Ma mi sembra che abbiano
ancora delle cose in sospeso”.
“Penso
proprio
di sì”. Jensen sbuffa una risata amareggiata alla
risposta neutrale di Misha. Vuole che parli
io, vuole sentirmelo dire.
“Non
è che io
voglia che il nostro rapporto cambi dopo aver messo in chiaro certe
cose. E’
che non trovo giusto… tutto questo”.
E’
Misha ora a
sbuffare. “Tutto questo cosa?
Avermi detto
che non ricambiavi quando era assolutamente falso e lo sapevano tutti,
compresa
tua moglie?”
Jensen
abbassa
gli occhi, trattenendo una smorfia. “Quello,
sì… ma anche averti lasciato in
pausa per così tanto tempo. Io credo
che…” sospira pesante, Jensen, come se
dire queste parole gli facciano male fisicamente. “Credo che
tu sia rimasto ad
aspettarmi per troppo tempo. E’ che i sentimenti che
c’erano fra di noi…”
“Che
ci sono, Jensen, non mentire a te
stesso.”
lo interrompe Misha seccato.
“…
i sentimenti
che ci sono fra di noi non sono quello che cerchiamo, non sono
abbastanza per…
per… non dopo così tanto tempo, Misha, non
dopo… umpf!”.
Di
certo
ritrovarsi Misha a cavalcioni su di sé non era il risultato
che Jensen sperava
di ottenere con una discussione del genere. Prova a muovere il capo, a
scuoterlo, a prendere Misha per le cosce e a spostarlo.
Perché non è giusto e
non si merita un contatto del genere.
Le
dita di Misha
incrociate dietro la sua nuca, però, gli impediscono di
muovere il capo e
quegli occhi blu, quei dannatissimi occhi
blu, lo ancorano al sedile.
“Jensen.
Jensen,
guardami. Guardami, ehi.” Misha
lo fissa, non lo lascia andare. “Io ti amo. Ti ho aspettato
quindici anni e ti
assicuro che altro tempo non cambierà nulla… il
punto è che tra un po’ non avrò
più l’età per salirti così
sulle ginocchia e il mio sesso orale potrebbe essere
accompagnato dall’utilizzo di una
dentiera…”
Jensen soffoca una risata, ma guardandolo sempre a occhi sbarrati,
incredulo.
“Ma,
ehi, io
sono qui. Se lo ritieni giusto, ti aspetto altri dieci anni.”
e Jensen sussulta
a quelle parole, il cuore in gola. “Mi sta bene. Credi che se
avessi potuto non
avrei smesso di soffrire per te? Credi che se fosse stato nelle mie
capacità
non avrei permesso a me stesso di smetterla di rincorrere chi non aveva
il
coraggio di desiderarmi? A questo punto, amarti è una parte
di me. E se ti
sembro sdolcinato, è okay, perché è
esattamente quello che sono in questo
momento e… cosa? Cos’è quella faccia?
Quella smorfia?”.
“Mish…”
mormora
Jensen, gli occhi quasi lucidi e le braccia adesso intorno alla schiena
di
Misha, tonica, incredibilmente, esattamente come l’ultima
volta che lo ha
stretto a sé così. “Ho voglia di
baciarti”.
“Oh…”
“Oh?
Tutto qua?”.
“Che
vuoi che ti
dica? Sono quindici anni che aspettavo di sentirtelo dire ad alta
voce”.
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