Like fathers, like children

di RMSG
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1: Are you there God? It's me, West Collins ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2: Salmon Pink Dragons ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3: Cake pranks ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4: I don't kiss and tell ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1: Are you there God? It's me, West Collins ***


Questa ff è il prodotto insensato di una conversazione insensata effettuata da persone insensate. 

Naturalmente, è dedicata a Noemi, compagna di (dis)avventure e shipping estremo. 





Like fathers, like children
Capitolo 1: Are you there God? It’s me, West Collins


Sebbene non sia proprio parte del suo corredo genetico, West si è sempre ritenuto una persona più o meno paziente. Un tratto certamente ereditato dalla madre, questo, che mai gli era tornato utile come nei momenti in cui pensava a JJ.

Certo, non si può dire che avesse immaginato mai di dover essere paziente per questo... ma, dopotutto, nel pieno della seconda grande era dei social network, come si può non provare due o tre volte al giorno l'intenso desiderio di prendere il portatile e defenestrarlo?

Dio, è perfetta, pensa West, scorrendo sul profilo Facebook di JJ, dove occhi enormi, lunghi capelli biondi e il sorriso di un angelo lo lasciano imbambolato dinnanzi allo schermo come sempre. E sarebbe perfetto, davvero, continuare a scorrere fra le foto della principessa di casa Ackles per tutto il resto della giornata, se non fosse per quegli orridi ultimi aggiornamenti dove JJ propina selfies a manetta in piscina con Thomas e Shepherd Padalecki e così tanti ragazzi che non sono lui che uh, il voltastomaco.

West sospira e si passa una mano fra i capelli castano chiaro, devastandoli del tutto e concentrandosi su pensieri positivi. Lancia un'ultima occhiata a Tom che bacia sulla guancia JJ in una foto appena caricata e si alza poi di scatto, cominciando a camminare frenetico per la sua stanza. Ok, lui non è alto un metro e novanta e non ha fluenti capelli che gli oscurano gli occhi come fosse un cane, ma ehi!, West è (quasi) certo di non essere pazzo: fra lui e JJ c’è effettivamente qualcosa di più, qualcosa di speciale, una chimica che fa far loro scintille. Una roba mai vista prima.

Nell’ultimo anno, poi, la cosa si è fatta decisamente più evidente, soprattutto da quando JJ ha compiuto sedici anni ed è seriamentediventata di una bellezza soffocante – oltre che materiale da corteggiamento. Checché se ne dica, infatti, West è un gentiluomo e sentiva di dover aspettare un’età che fosse quanto meno decente, onde evitare la castrazione in pieno stile texano a opera di Jensen.

Ora, il punto è che West vive in quell’accidenti di California, frequenta quella stramaledetta Standford da un anno (perché sua madre lo ha partorito troppo sveglio) e, conseguentemente, vive dieci mesi l’anno a una media di soli 2500 km da JJ. Che è piuttosto snervante, ovvio, visto che Thomas, il suo acerrimo nemico, è a un giardino di distanza da lei con quei suoi dannati capelli… fluttuanti.

Quest’anno, però, West è molto più che determinato. Aspettava da due anni, ormai, che il suo momento arrivasse e con JJ ormai sedicenne e il GISHWHES alle porte tutto sembra star andando come previsto. Corrompendo quella svogliata di Maison con la bellezza di cento bigliettoni, West ha infatti convinto sua sorella a partecipare alla caccia annuale del padre in trasferta direttamente ad Austin. Perché “dai, Mais, quest’anno facciamo una cosa come si deve! Proviamo a essere una squadra compatta per un’intera settimana!”.

Laddove per squadra compatta s’intende West addosso a JJ – sorveglianza di Jensen permettendo. 

Ma il GISHWHES non sarà abbastanza e, ehi, West ha totalizzato 1800 al suo SAT non per caso. E’ sveglio, brillante e può bilanciare quello che gli manca in aspetto fisico con l’intelligenza. E’ per questo che adesso sta scendendo le scale di corsa per andare a cercare il padre e implorarlo di cambiare alcune cose negli items.
Dopotutto, è chiaro che Dio non è stato molto clemente con la vita amorosa di West. Non gli resta che rivolgersi a Gishbot, a questo punto.


****


“Quindi mi stai chiedendo di inserire items che sembrano usciti da una festa di tredicenni arrapati perché… ?”

“Perché è importante, papà. Te l’ho detto. Voglio fare colpo su JJ, posso farcela”.

Misha sospira, passandosi una mano sulla fronte e spingendo piano la lingua nell’interno della guancia, come fa sempre quando riflette su qualcosa di grosso. “West…”

“Cosa? Andiamo, papà, lo sai! Ci hai visti insieme! Cavolo, saremmo perfetti, saremmo tutto quello che due persone vorrebbero essere.Nessuno la fa ridere come me! Sono probabilmente la cosa più divertente che le sia mai capitata! Sono già a metà dell’opera, no?” 

Misha rimane in silenzio, fissando crucciato la lista degli items per Gishwhes 2029, un fiume di ricordi che per un istante lo coglie in pieno. Si chiede se ne valga la pena, se questo non sia illudere il figlio in modo irreparabile, se non sia farlo soffrire come lui stesso sa bene si finisce per fare quando si rincorre una chimica che a conti fatti risulta essere solo quella: chimica, mera attrazione, niente di più, Mish, mi spiace. 

No. Niente deus ex machina in questa casa. West vincerà e sbaglierà da solo e lui si limiterà a tendergli una mano quando cadrà, da buon padre.

“Ok, Westie. Metterò quegli items come desideri”.


****

“A volte mi domando com’è che siamo fratelli” mormora Maison, scoppiando il palloncino appena fatto con la gomma da masticare in faccia al fratello e mettendosi una ciocca di capelli biondi dietro le orecchie. “Poi vedo la nostra incapacità a pettinarci e comprendo”.

West si gira a guardarla impallidito. “Cosa? Sono spettinato? Dove? Come? Hai uno specchio?”

Maison rotea gli occhi, sospirando e buttando gli occhi sul suo orologio. “West, siamo ad Austin da due ore. Abbiamo appena scaricato mamma e papà in albergo e stiamo andando da Jensen. Per l’amor di dio, datti una calmata. I cento dollari che mi hai rifilato non bastano per sopportare le tue paturnie amorose un’intera settimana”.

West sbuffa, pettinandosi i capelli con le dita. “Hai sentito JJ?”

“Sì”.

“E quindi?”

“E quindi cosa?”

“Come stava? Ha detto qualcosa? Ha chiesto di me?”

Maison sospira di nuovo, scuotendo la testa e scoppiando un altro palloncino di gomma. “No, West, non ha chiesto di te. Perché non smettevi di messaggiare con lei nemmeno mentre parlava al telefono con me. Dubito che nello spazio di un millisecondo le siano venuti strani dubbi sulla tua persona”.

Il fratello la guarda appena, prima di girarsi, grugnire e guardare fuori dal finestrino posteriore del taxi. “… pensi che con quegli items combinerò qualcosa?”

Maison semplicemente scrolla le spalle. “Penso che JJ ci tenga a te a prescindere. Le donne sono meno complicate di quello che credi… sono gli Ackles a essere delle drama queens” ridacchia lei, dando un buffetto alla gamba fasciata dai jeans di West. “Dai, andrà bene. Puoi sempre ripiegare su Shepherd, ho sentito che è diventato proprio una bella signorina”.

“Oh, Gesù…” geme frustrato West. Sarà una lunga settimana.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2: Salmon Pink Dragons ***


Like fathers, like children 
Chapter 2: Salmon Pink Dragons


“Vedo che sei di buon umore, ‘stamattina” osserva Jensen guardando la figlia saltellare in pantaloncini per la sua stanza, mentre si pettina i capelli. Manca poco all’ora di pranzo, Danneel è giù che prepara qualcosa di fresco e buono per combattere il torrido caldo del Texas.

JJ ride, girandosi a guardare il padre e sorridendo solare. “Beh, ovvio, no? West sta per arrivare! Sono mesi che non lo vediamo! … e vengono anche i suoi, te lo ricordi no? Potreste fare una rimpatriata come si deve! Sono sicura che zio Jared non vede l’ora”.

Jensen scrolla le spalle, annuendo distratto mentre si appoggia allo stipite della porta. “Sì, potremmo, certo… Tom e Shep quando arrivano?” dice, cambiando discorso.

“Oh, non lo so… credo ci raggiungeranno un po’ più tardi. Faremo però una mega video chiamata anche con William da Londra!”

“Sì?” 

“Sì! Purtroppo non poteva proprio venire quest’anno, gli mancano due semestri alla laurea e sai quanto ci tiene… è riuscito a ritagliarsi una settimana di stop a fatica” continua JJ, frugando poi nella cassettiera e tirando fuori un bel vestito di cotone rosa. “Papà, che dici di questo rosa? Non ti sembra un colore troppo sbiadito?”

Jensen alza gli occhi, guardando il piccolo prendisole potenzialmente troppo corto sulle belle gambe della figlia. Scrolla di nuovo le spalle. “No. Rosa salmone è un gran bel colore, Jaybird, tranquilla”.


****


Non è che Jensen e Misha non si siano più sentiti nel corso degli anni successivi alla fine di Supernatural. Anzi, in realtà spesso e volentieri si sono ritrovati a dover telefonarsi per questioni di lavoro. Diverse, infatti, sono state le offerte che li volevano insieme sul set per portare nuove dinamiche nel mondo del piccolo schermo. 

Il punto è che fra di loro è sempre stato molto strano, dall’estate del 2008 quando si sono conosciuti sul set sino alla fine della tredicesima e ultima stagione di Supernatural. A quel punto, poi, inutile negarlo, dopo quasi dieci anni la situazione si era sicuramente fatta… rovente. Troppe cose non dette, troppe domande a cui rispondere, troppo troppo troppo. 

Niente di più, Mish, mi spiace.

Comunque sì, insomma, non è che non si siano sentiti dopo. I loro figli, fortunatamente, sono diventati tutti molto amici – nonostante la pesante lontananza –  e West in particolare, essendo il più grande, ci ha tenuto a rimanere in contatto. Per Jensen, questa è una cosa da stimare. 
West infatti, nel suo essere un piccolo marmocchio indiavolato, è sicuramente riuscito a combinare molto più di qualsiasi cosa che Jensen abbia provato a fare negli ultimi 14 anni. 

In questo tipo di situazione, quindi, ricevere una chiamata direttamente da Misha sul telefonino non dovrebbe sembrare strano. E non dovrebbe certo fargli venire un’improvvisa tachicardia, ma ehi, questa è la vita e questo è Jensen che si alza da tavola quella mattina e va a chiudersi in camera da letto per parlare al telefono.

“Misha Collins. Cosa posso fare per te?” risponde subito, il sorriso così grande da percepirsi persino nella voce, la voce fin troppo calda. 

“Jay.” ride Misha. “Ci sarebbero un sacco di cose che puoi fare per me…” Jensen deglutisce, continuando ad ascoltare in silenzio. “Ma mi limiterò a chiedertene solo una, perché l’età mi ha reso incredibilmente magnanimo”. Era amarezza quella? “Volevo chiederti… hai parlato forse con JJ? Perché non so tua figlia, ma l’esponente maschile della mia prole è pieno di adrenalina e non vede l’ora di incontrarla. O di diventare tuo genero, dipende”.

Jensen sbuffa, in parte contento di poter entrare nel tema figli. E’ l’unica cosa di cui riesce a parlare con Misha, ormai, l’unico territorio sicuro. “Beh... ha passato un paio d’ore a propormi varie trecce alla francese perché, a sua detta, da quando West è tornato da quel viaggio in Francia lui sembra adorare baschi, nasi all’insù e insulse capigliature europee”.

Misha ridacchia contro il microfono del telefono e Jensen deve sedersi un attimo sul bordo del letto. Era un po’ che non sentiva quel risolino. “Ok, beh… non so cosa dire. So solo che West è pazzo di JJ e, sai com’è, pensavo che forse valesse la pena di avvisarti. Non vorrei che decapitassi il mio primogenito”.

Jensen sbuffa e si passa una mano fra i capelli corti, un po’ biondi e un po’ grigi. “Misha. Ho visto quel bambino andare a fare beneficenza da prima che togliesse i pannolini o che fosse in grado di spiccicare due parole. E’ praticamente la tua copia carbone. Credi che ci sarebbe un altro ragazzo che vorrei per la mia bambina?”

Misha rimane in silenzio qualche secondo dall’altro lato del telefono. “… no, hai ragione”.

Jensen sente improvvisamente molto caldo e sospirando al telefono, cambia di nuovo discorso. “Allora, siete già ad Austin?”

“Sì. Siamo appena entrati in hotel”.

“Ok, perfetto. Allora ci vediamo ‘stasera a cena…”

“Certo. I ragazzi arriveranno un po’ prima da te, però. Pare che West non voglia lasciare nemmeno un minuto di vantaggio a Thomas”.

Jensen ride e scuote la testa. “Come se avesse una qualche possibilità, quell’alce”.


****


“Ok. Ci siamo” dice West, in piedi dinnanzi al cancelletto che dà sul giardino di casa Ackles. Maison è al suo fianco, come sempre a scoppiare palloncini con la faccia più annoiata del creato. 

“… West, lo hai già detto sei volte. Forse dovremmo cominciare a darci una mossa, che dici?” 

Nessuna risposta. Maison allora sbuffa e afferra la sua borsa, avviandosi. “La mia vita è una fanfiction…” borbotta fra sé e sé, scalciando i ciottoli del bel vialetto.

“M-Mais… Maison! Aspettami!” la chiama West, rincorrendola con lo zaino in spalla, fermandosi pochi secondo dopo con lei dinnanzi alla porta di legno laccato.
Maison suona sicura il campanello un paio di volte e continua a masticare la gomma. 

“Avrei dovuto mettere una camicia… Jensen le indossa sempre.” mormora West, gettando un’occhiata ai jeans dal blu sbiadito, alla normalissima t-shirt e alle scarpe da ginnastica.  

Al che Maison sbuffa una risata. “Ma tu non possiedi una camicia”.


****

E’ Danneel che va ad aprir loro la porta, tornata di nuovo nel suo periodo biondo e con il solito, bellissimo sorriso. West sente un po’ le farfalle nello stomaco mentre si fa abbracciare forte e il profumo di lei gli inonda le narici. Ha sempre adorato Danneel e le vibrazioni positive che emana per natura e anche se se ne vergogna un po’, lei è stata decisamente la sua prima cotta. 

Jensen li raggiunge subito dopo, nemmeno il tempo dei convenevoli, e anche lui indossa un grande sorriso, oltre che, ovviamente, una camicia. “Guarda un po’ chi è arrivato! Ehi!” 

Maison, furba come una serpe, è la prima che scatta ad abbracciare Jensen e beh, in un altro momento West penserebbe di non poterla biasimare perché, insomma, Jensen è Jensen. Ora come ora però tutto questo gli sembra alto tradimento, un fraternizzare col nemico mentre lo lascia da solo ad agonizzare. 

“Maison, wow, quanto sei cresciuta…” dice Jensen abbracciandola e mettendole una mano sulla guancia. La guarda negli enormi occhi blu e sorride quando lo fa anche lei. Come non potrebbe.

“Ehi, sto invecchiando anche io, che vuoi farci.” gli risponde la bionda e Danneel ridacchia alla battuta, intromettendosi.

“Ragazzi, volete qualcosa da bere? Avrete sete con questo caldo…”.

“Oh, io, Dani, per favore! Hai una Coca-Cola?” squittisce Maison, allontanandosi dalle braccia di Jensen e sgattaiolando in cucina dietro Danneel, pronta a raccontarle del viaggio e delle ultime novità.

“E tu non mi vieni ad abbracciare? E’ una vita che non ti vedo dal vivo”.

West lascia per terra lo zaino e si avvicina subito a Jensen, sorridendo solare come il padre, le gengive rosa sporgenti, le rughette attorno agli occhi. “E’ bello vederti, Jensen”. Allunga convinto una mano, pronto a scambiarsi un macho abbraccio a una spalla, ma in un secondo Jensen lo afferra e lo stringe forte, dandogli comunque qualche pacca sulla schiena.

“Sei cresciuto un mucchio… mi ricordi tuo padre da morire.” dice Jensen e la nota nostalgica non sfugge a nessuno dei due.

“Oh, beh, direi che è una buona cosa. Altrimenti dovremmo chiedere qualche spiegazione di troppo a mia madre e rischieremmo che ci scriva su un altro libro” scherza pacato lui, ridacchiando contro la spalla dell’altro. Jensen però scoppia a ridere, allontanandosi da West e inclinando il collo all’indietro, scuotendo poi la testa mentre le guance gli si arrossano per le risa. 

“Ah, per carità, non un altro libro!” continua a ridere, fissando contento il giovane. “JJ si stava preparando, scenderà a momenti… raggiungiamo le signore in cucina?”

West annuisce, ma non si smuove dal pavimento, non fa in tempo. JJ è lì, in cima alle grandi scale che collegano i due piani della villa e, se fosse meno educato, West farebbe notare al suo cervello che con qualche passetto in avanti, riuscirebbe anche a sbirciarle le mutandine da sotto il vestito rosa.

West. Calmo. Buono. Respira. Sei ancora caldo dall’abbraccio di suo padre, Cristo santo.

“West! Siete già arrivati?” esclama, sistemandosi la bella treccia francese posta su una spalla. “Ooow, volevo venire io ad aprire la porta!” si lamenta lei, la voce squillante e intermittente, mentre scende di corsa le scale e gli corre incontro e no, West assolutamente non sta buttando un occhio sul vestito svolazzante.

JJ scansa il padre e in un secondo ha le braccia attorno al suo collo, mentre West la cinge in vita e la solleva un po’ da terra, giusto quei pochi centimetri che li separano.
 
West non dice niente, si limita ad abbracciarla e le farfalle sentite prima ora come ora sembrano una pernacchia sul pancino in confronto al terremoto che ha dentro. Quanti cliché tutti insieme, pensa rassegnato West mentre se la stringe di più. Qualche secondo dopo la fa scendere e copia il sorriso sul volto di lei, uno gigante e contento. “Allora… sei un po’ ingrassata, vedo”.

JJ sbarra allora gli occhi e gli tira uno schiaffo sul braccio, facendo ridere West. “Sto scherzando... sei perfetta.”

“Ah, sì?” incalza lei, sollevando un sopracciglio furba.

“Cioè. Ti trovo in forma. Come l'ultima volta… niente di nuovo, insomma. La solita Jay.” dice lui, senza smettere di sorridere. Le guance già cominciano a fargli male e con la coda dell’occhio nota Jensen che li lascia soli in salotto. 

“Ow, West. Non chiamarmi solo Jay… o si girerà mio padre al posto mio!” sorride e gli fa un grattino con le unghie laccate di rosso sulla guancia un po’ ruvida. “Ehi, ti sta crescendo la barba… molto carino.” gli dice, facendogli un occhiolino esagerato e lasciando che West cominci a ridacchiare come ogni volta che fa quella faccia. 

“Andiamo in cucina, ho sete”.

“Sì, ottima idea. Rifocilliamoci. I Padaboys stanno per arrivare, meglio essere pronti!” esclama JJ, prima di fare strada per la cucina e non vedere così la faccia di West mentre la guarda andare.

Sarà una lunga, lunga settimana.


****


L’arrivo dei Padalecki è alquanto… intenso. Non solo perché Jared ha quasi rotto due costole a West nell’abbracciarlo, ma perché da trenta minuti a questa parte il cervello di West sta lavorando a pieno regime mentre tasta il territorio.

JJ è ovviamente il centro di tutte le attenzioni, la padrona di casa e autoeletta leader del team ChildrenOfSupernatural, e mentre sono tutti in cerchio tranquilli seduti in giardino a discutere su come organizzarsi per la gara, West rimane per un po’ in silenzio ad osservare. 

Shep è cresciuto dall’ultima volta che l’ha visto, ma è ancora tranquillo e riservato come lo ricordava. Thomas, invece, è tutta un’altra storia. Come il padre prima di lui, i suoi capelli non sembrano mai smettere di crescere. E con i capelli, le gambe. Pur essendo due anni più piccolo, infatti, è già più alto di West e molto più rumoroso. E ingombrante. E fastidioso. Ma non fastidioso nel senso stretto del termine, solo… di troppo, ecco. 

West gli vuole bene sul serio, però. Vuole bene a ognuno di loro, sono cresciuti insieme nonostante la lontananza e le differenze di età e di famiglie. Eppure con la crescita, inevitabilmente, si sono addentrati nuovi problemi fra i loro rapporti; nuove questioni che in qualche modo li hanno allontanati da quei bambini che cercavano di affogarsi nel fango più o meno un decennio fa.

West non ha vere e proprie prove scientifiche che Thomas stia cercando di mettergli i bastoni fra le ruote con JJ, ma ci sono certi momenti in cui l’oltre ogni ragionevole dubbio come regola di giudizio è più difficile del solito da applicare. Come in questo istante, per esempio.

“JJ, adoro il tuo vestito. Il colore ti sta bene…” dice West, sistemandosi gli occhiali da sole sul naso e sollevandosi poi sui gomiti, per non essere completamente steso sul prato. 

JJ si gira e ride, arrossendo appena, alzandosi e facendo un rapido giretto su stessa per sfoggiarlo un po’. “Davvero? Sono contenta che ti piaccia!” squittisce, risiedendosi contenta e gattonando più vicina a lui con un sorrisino. “Piace anche a papà questo vestito. Quando ero piccola aveva una camicia di questo colore, sarà nostalgia dei tempi d’oro!”.

“Sì? Anche mio padre ne aveva una uguale… curioso. Ha sempre avuto cose rosa”  osserva West.

“Mh, sì, infatti…” interviene Thomas, schiarendosi la voce e sistemandosi la frangetta castana davanti agli occhi. “Il rosa ti dona parecchio, JJ. Ed è un gran bel colore, sono d’accordo”.

West rotea gli occhi e non fa in tempo a ribattere che sua sorella, fino a quel momento in silenzio sul prato a fissare le nuvole nel cielo azzurro di Austin, apre bocca. “Il rosa fa schifo. E’ carico di sessismo a livelli inimmaginabili. E’ storicamente frustante, come colore.” borbotta, sollevando appena la testa e adocchiando JJ. “Ovviamente a lei sta bene qualsiasi cosa, non credo sia una questione di colore. Anche se questo rosa salmone non è male, sai? Nell’ultimo reboot di Skyrim c’è un drago proprio di quel colore, incredibile ma vero”.

“… oh” dice Tom, mettendo la schiena dritta e guardando Maison. “Beh, sì, insomma… il rosa è un colore da ragazze…” Maison gli lancia un’occhiataccia. “Ma se c’è un drago rosa sicuramente deve avere il suo perché, no?” ride nervoso, cercando inutilmente gli occhi azzurri di Maison, che però tornano a guardare il cielo.
 
“E da quando ti piacciono i draghi rosa, Mais? Credevo che tu fossi tutta morte e distruzione e risentimento” dice West, prendendola in giro.

Maison sbuffa, girandosi su un fianco, incurante della maglietta che le scopre la pancia. “Infatti non mi piacciono. Quello del drago rosa sei tu, Westie” lo sfotte, ridacchiando, mentre West sfoggia un’espressione teatralmente indignata.

“Maison! Non dovevi dirlo! Dio! I draghi e i tanga rosa sai che sono la mia debolezza!” esclama il biondo, strillando quasi ed esagerando le sue smorfie solo per far ridere gli altri. Shepherd è il primo a dare inizio ai risolini, ma è JJ poi che si inarca, gettando la testa all’indietro, e ridendo più forte di tutti. 

“Oddio! West!”. JJ continua a ridere, dandogli un piccolo schiaffetto affettuoso sul viso. “Devo proprio giocarci a quel gioco se ti ha convertito ai tanga rosa!”

“Mpf, Jay…” la chiama mellifluo West, ghignando, gli occhi maliziosi nascosti dalle lenti scure. “Se vuoi cavalcare il mio drago rosa, basta chiedere, lo sai che non ti negherei niente”.

JJ scoppia di nuovo a ridere e piano casca sul prato, tenendosi le mani sulla pancia e tirando in basso il vestito per non scoprirsi troppo. West si gira a guardarla, ridacchiando insieme a lei e agli altri. Eccetto Tom, che silenzioso si alza e mormora qualcosa sul dover andare a prendere da bere.

E bum. 1 a 0 per West Collins.


****

Più tardi, dopo la cena e una volta raggiunti anche da Misha e Victoria, i ragazzi sono in piscina coi piedi ammollo e il naso all’insù a guardare il cielo stellato di Austin. L’aria è afosa, umida e fa caldo, ma è una bella serata e tanti ricordi sembrano riaffiorare. 

Misha è sul patio del retro, a guardare i ragazzi in piscina. Sta bevendo ancora un po’ del vino che Jared ha tirato fuori dalla sua personale cantina e gli viene un po’ da sorridere, perché è buono e a lui il vino rosso neanche piace granché. Forse è l’aria di Austin.

“La prossima volta che mi chiedo come mai Maison fa l’eremita e si mette sempre da sola a pensare saprò a chi dare la colpa”.

La voce di Jensen arriva all’improvviso, fresca come un secchio d’acqua versato sulla testa durante una giornata torrida. “Purtroppo non sono riuscito a riversare in loro la mia ineccepibile perfezione.” ribatte Misha. “La connessione vent’anni fa faceva un po’ le bizze, sai com’è”.

Jensen ride piano e gli si avvicina, poggiandosi alla ringhiera in legno del patio e guardando anche lui verso la piscina. “JJ è contentissima di avervi qui. Sembra tornata a 8 anni”.

Misha sorride e scrolla le spalle. “Anche tu sembri contento. Sembri tornato a quando ne avevi 38, di anni”.

“Ehi! Tu sei il più vecchio fra noi! Non ti azzardare a fare battutacce sull’età.” dice Jensen, schiaffeggiando piano un suo braccio. 

“Tecnicamente la più vecchia è mia moglie e non è un problema tuo, perché sono io ad andarci a letto, quindi… aho! La pianti? La violenza non ti si addice. Con quella barba sembri più un orsacchiotto… ouch! Jensen”. 

E, uh, la voce di Cas sembra fare ancora il suo effetto.

Jensen lo guarda con l’espressione crucciata, ma il labbro inferiore trema appena, nel tentativo di resistere alle risate. “Sei un idiota, Mish”.

“Oh, lo so”.

“Lo sai?”

“Sì”.

“E quindi?” incalza.

Misha sospira, scuotendo la testa piano. “Jay, sono troppo vecchio per queste cose adesso…”

Jensen si irrigidisce, smettendo di guardarlo e sbuffa una risata amara. “… capisco”.

“Capisci?” chiede Misha.

“Già”.

“E cosa capisci?”

“Che non sai mentire nemmeno da cinquantenne” sbotta.

“E tu invece sì, Jensen?” si gira Misha, guardandolo accigliato. “Rispondimi, avanti”.

Jensen alza lo sguardo, affrontandolo per un istante come se non fossero passati 14 anni dall’ultima volta che hanno avuto questa discussione. “No, Mish. Non so mentire nemmeno io”.

Rimangono in silenzio, a quel punto, e tornano a guardare i ragazzi mentre gettano in piscina il povero Shepherd completamente vestito. Misha sospira e piega la testa, bevendo l’ultimo sorso di vino. Jensen lo guarda con la coda dell’occhio, allora, di nascosto, e pensa a quanto bello sia di profilo anche adesso che hanno entrambi i capelli grigi, a quanto le linee del naso e della mascella e della bocca siano sempre le stesse. Jensen si appoggia un po’ a lui, premendo le loro spalle, cercando un contatto che al tempo aveva dato molto per scontato.

 Nessuno dei due dice niente o si muove.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3: Cake pranks ***


Like fathers, like children
Chapter 3: Cake pranks


La caccia ha inizio il giorno dopo e la lista degli items è online. Sono assurdi, sconclusionati, alcuni palesemente illegali e beh, perfetti. E’ adesso che arriva il bello ed è adesso che West deve giocarsi le sue carte.

E forse, non solo lui.

JJ è seduta sul divano con il laptop sulle cosce e fissa mangiucchiandosi il pollice le varie sfide, mentre gli altri la circondano.

“A volte mi domando cosa ci sia nella testa di tuo padre, West…” mormora Thomas, fissando allibito le proposte di quest’anno. “Insomma, come fa a tirar fuori sempre qualcosa di nuovo e ancora più improbabile e imbarazzante?”

Maison si gira a guardare Thomas, sollevando le sopracciglia. “Non fare domande idiote, Tom”.

“Ok, zitti tutti!” esclama JJ. “Dato che noi siamo un team a ordinamento speciale e siamo solo sei dobbiamo lavorare molto più degli altri. Maison, tu sei l’addetta a ogni cosa artistica. Farai tutti i disegni, ok? Shepherd è il più bravo a lavorare con le mani, quindi questa… uhm, torre di Pisa fatta interamente di foglie di basilico, ad esempio, la farai tu… se ci riesci”.

Gli items vengono così distribuiti rapidamente, in base alle caratteristiche di ognuno e alla disponibilità di William a Londra, sino a quando, ormai giunti al numero duecento cinquanta, è West a prendere le redini. “Questo è mio e di JJ” dice subito, più sfacciato di quanto credeva di poter essere.

“… item 250.VIDEO. Tempo 20 secondi. Fai il “Gioco della bottiglia” con una persona sola e facci vedere come due tredicenni sanno divertirsi (niente sex tape, Gishbot potrebbe esplodere).” legge Tom ad alta voce, guardandolo poi crucciato.

JJ arrossisce, ridacchiando appena ma senza opporsi, segnando silenziosa i loro due nomi accanto quell’item.

“E perché dovresti farlo tu, West?” chiede Tom.

“Perché sono il più grande, a te non cresce neanche la barba, sarà più buffo con me. Poi ho un’idea geniale, verrà un bel video, vedrai”.

“Beh, allora io prendo il 253, quello sulla torta a forma di cuore. Quarantacinque secondi di video sono molti e…”

“Oh no no no, Tom! Anche quello è mio. Ci starebbe benissimo un “Cooking Fast and Fresh” edizione speciale. Se ricordi bene il più cliccato di quei video fu quello che facemmo io e JJ a casa mia. Tumblr impazzirà se ne facciamo un altro!”.

Thomas lo guarda, accigliato. “Certo. Tumblr. Non ci pensi che magari anche noi potremmo divertirci a far impazzire il web, mh?”

“Ma tu puoi fare quello che vuoi, Tommy. Non hai bisogno del mio permesso.” risponde sorridente West, sollevando le sopracciglia per irritare l’altro ancora di più.

“Non chiamarmi Tommy.” risponde secco.

“Oh, andiamo. Non mettere il muso, ok? Questi due e quello sul Destiel sono miei. Ne hai già un bel po’! Che ti cambia fare qualche item in più con JJ oppure no?”

“Ma io non-” prova Tom, fermandosi di botto. Non è JJ che voglio.

“Dai, basta così, stiamo perdendo tempo!” squittisce JJ, alzandosi dal divano col portatile in mano. “Io, West e Tom stamattina raccogliamo il materiale, i costumi e telefoniamo in giro per vedere se riusciamo a trovare una mucca e un cavallo. Nel pomeriggio Shepherd e Maison cominceranno già a lavorare su ciò che c’è da creare, così che non si ritrovino pieni di roba durante lo sprint finale. Tutto chiaro, ciurma?”.

Tutti annuiscono e finalmente la gara ha inizio.


****


“JJ mi ha chiesto se so dove trovare un cavallo da portare in un centro commerciale. Misha, perché devi sempre mettermi in queste situazioni?” chiede Jensen, trovandolo nella stanza dei cimeli in fondo al corridoio del primo piano.

“Beh, guarda il lato positivo: non ti ha chiesto prima di vestirti da Stortrooper mentre cavalchi una mucca in una farmacia…” commenta distratto l’altro, vagando per la stanza con le mani dietro la schiena. “E’ incredibile quanta roba tu abbia conservato dal set di Supernatural, Jay. Davvero. C’è di tutto… e su qualsiasi personaggio!” osserva Misha, prendendo in mano la spada angelica di Castiel, compagna di infinite storie. E’ strano vederla lì, fra le altre cose, come se fosse solo un souvenir.

“Supernatural mi ha cambiato la vita. Il minimo che potessi fare era dedicargli una parte della mia casa”.

Misha annuisce, rimettendo al suo posto la spada e alzando lo sguardo verso una grande mensola in legno, dove Jensen ha allineato tutti i premi vinti in carriera. E’ pronto a giurare che quella sia stata opera di Danneel più che di Jensen, ma cambia idea in un attimo quando nota l’ordine dei premi e quali sono posti in evidenza rispetto agli altri.

I loro Teen Choice sono lì, schierati come soldati, fieramente in ordine cronologico. Sono quattro, tutti dedicati alla fantomatica “chimica” di Dean e Castiel. Misha sbuffa una risata un po’ amara e si gira a guardarlo, le sopracciglia sollevate ironicamente. “E questi?”

“Sono i nostri premi”.

“Lo so, Jay. Ma non te n’è mai importato niente di questa roba, di quello che i fan pensavano di noi due, fuori e sul set”.

Jensen lo fissa, stringendo appena gli occhi e serrando la mandibola. “Stai generalizzando”.

“Non è una cosa che faccio”.

“Beh, la stai facendo ora!” ribatte seccato Jensen, avvicinandosi e guardando insieme a Misha i premi sulla mensola. “Non me n’è mai importato un accidente del Destiel e di tutte quelle altre diavolerie, è vero. Non più di quello che bastasse a far impazzire i fan, perlomeno. Ma tu… tu sei una cosa a parte. Non sei… una cosa creata dai fan.” dice, la voce priva di inflessione mentre ostinato fissa le tavole da surf colorate sulla mensola.

Misha non dice niente, fissandolo sbigottito mentre cerca il modo di rispondere a una cosa del genere. Quando è stata l’ultima volta che Jensen si era aperto così con lui? Quattordici? Quindici anni forse? Prima di quello che li aveva divisi, prima di quel passo che sembravano non essere pronti a fare e che nonostante tutto Misha aveva mosso?


****


Al piano di sotto, più o meno contemporaneamente, la realizzazione dell’item dedicato all’edizione speciale di Cooking Fast and Fresh with West è in atto. Sono tutti pronti, la cucina resa strategicamente caotica per riprodurre il tipico disordine e JJ è già dietro il bancone che dà un’ultima occhiata alla torta cucinata.

“Shep quindi è a casa vostra a realizzare la torre di Pisa in basilico?” chiede JJ sovrappensiero a Thomas, che annuisce, poggiando i gomiti sul lato opposto del bancone di marmo. Dietro di loro Maison in silenzio finisce di montare il cavalletto, masticando perennemente un’altra gomma alla fragola.

“Sì, mi ha appena mandato un messaggio. Credo stia per piangere per la disperazione…”. JJ sbuffa, ridacchiando appena e controllando un’ultima volta la glassa rosa che ricopre il dolce. “West dov’è?” continua Tom.

“Oh, ancora in bagno credo…” risponde la ragazza e si gira verso il lavandino, versando un altro po’ di farina sul lavabo come ultimo tocco. C’è silenzio in cucina, uno apparentemente tranquillo e che sembra precedere risate e tempesta. Thomas lancia un’occhiata a Maison alle sue spalle, cercando la sua attenzione e non ricevendola nemmeno ‘stavolta. La più piccola di casa Collins è infatti troppo impegnata a controllare che la telecamera sia a fuoco e ben solida sul cavalletto. Tom si morde le labbra, abbassando gli occhi sul bancone e fissando la torta a forma di cuore ricoperta di glassa, così invitante e così potenzialmente utile. Vorrebbe fosse così semplice come mangiare un dolce, vorrebbe fosse come nei film dove basta fare un gesto più o meno eclatante per avere ciò che si vuole.

La torta rosa a forma di cuore continua a fissarlo imperterrita e candida e quando si sentono finalmente i passi di West che ritorna in cucina, Tom semplicemente… agisce secondo i suoi geni.

Allungando una mano, prende il piatto su cui la torta è posata e la solleva, approcciandosi all’entrata della cucina. West gira in quel momento l’angolo e in un secondo l’intero dolce gli viene spiaccicato sulla faccia con tutta la forza del caso. Tom scoppia a ridere, vedendolo traballare sotto il colpo e addirittura sbattere contro una parete. Maison prima si mette una mano sulle labbra e poi ride anche lei, fissando l’espressione sconvolta del fratello e la panna che gli ricopre viso, collo e capelli.

“Oh mio dio, Tom!” strilla JJ, invece, correndo da West con uno strofinaccio pulito. “Ma che fai, lo uccidi così! Westie, ti sei fatto male?”
 
West si gira a guardarla, leccando la panna che ha sulle labbra e scuotendo la testa. “Ma no… no, Jay, tranquilla… ouch! Fai piano!”

JJ lo guarda, gli occhi preoccupati mentre indietreggia e smette di pulirgli la faccia. “… ti sta sanguinando il naso… andiamo in bagno, vieni. Cristo, Tom! Un po’ più forte e gliela staccavi la testa!” sbraita la bionda, lanciando un’occhiataccia al ragazzo dietro di lei, mentre Maison ancora trattiene le risatine. “E tu non ridere! Cerca di recuperare una torta per il video!”.


****


“Cos’è stato questo rumore?” chiede Jensen in pensiero, dando le spalle a Misha e avvicinandosi alla porta. “Vicki e Dani non tornano prima delle quattro. Avranno rotto qualcosa giù?”

“Jay…”

“Forse qualcuno si è fatto male.”

“Jensen!”

“Cosa?!” Jensen finalmente si gira e Misha lo guarda, le sopracciglia curvate, gli occhi blu enormi e imploranti.

“Ti prego. Parliamo. Ora e come si deve…” mormora piano. “Da quando siamo arrivati mi dici delle cose… cose che non combaciano con quello che hai deciso tempo fa, Jay… cosa vuoi che faccia?”.

“No, aspetta un attimo, ehi!”. Jensen avanza, additandolo e premendo l’indice contro il suo petto. “Io non ho deciso niente da solo, abbiamo deciso insieme quindici anni fa questa situazione. Siamo rimasti amici, buoni amici”.

“Non so di cosa tu stia parlando, Jensen.” risponde Misha irritato, serrando la mascella e scostandogli il dito premuto sul suo petto, il tono della voce fin troppo alto. “Perché quando è finito Supernatural io ti ho detto quello che provavo e tu hai fatto tutto da solo, tu hai…”

“Shhh!! Abbassa la voce, cazzo!”

“Certo. Ovvio. Devo abbassare la voce”. Misha sospira esasperato. “Jensen, è troppo chiederti per una volta di essere sincero con me? Ci prendiamo in giro da tipo vent’anni, sarei un po’ stanco!”


****


“Oh, Westie… mi dispiace così tanto, Tom è… Tom è un… coglione, certe volte!” mugola JJ, in ginocchio sul letto della sua stanza, mentre tampona il sangue che esce dalle narici dell’altro. “Guarda che ti ha fatto…”

West ride a sentirla imprecare e la guarda, lasciandosi accudire placidamente. “Va bene, non ti preoccupare… meglio me che te”.

“Con me non ci prova nemmeno se non vuole che lo prenda a calci…” sbuffa lei, accarezzandogli con due dita l’orecchio dentro e cancellando l’ultima traccia di panna. Istintivamente si porta le dita alle labbra leccando appena i polpastrelli, sotto gli occhi attenti di West. Quando si accorge di essere fissata arrossisce e poi ride piano. “Dai, smettila…”

“Cosa? Non ti posso guardare ora? Continua quello che stavi facendo, sembrava interessante. Vuoi altra panna? Fruga nei miei capelli…” dice lui, arruffandosi di più la zazzera sul capo.

“West!” JJ ride più forte, schiaffeggiandolo sul braccio come fa sempre e poi passando entrambe le mani fra i capelli di West, sorridente. Li pettina con le dita piano e gli va vicino, riordinandoli e finendo poi con incorniciargli le guance. Le unghie laccate di rosso contro la pelle abbronzata e la barbetta chiara spiccano ancora di più e JJ si morde le labbra a guardarlo, trattenendo un sorriso. “Dovremmo tornare giù. Dobbiamo fare il video”.

West annuisce piano, mantenendo però il viso fra le mani di lei e senza mai staccare gli occhi. “JJ, ci sono più o meno un milione di cose da fare in questa vita… concentriamoci su quelle prioritarie”.

“… tipo?”

“Vieni più vicino…” le chiede calmo, sebbene il cuore gli martelli in petto e l’infarto sia vicino.


****


“Oh no no no… non è seriamente il momento di parlarne, Mish. Non ora, non qui, non con i nostri figli qui sotto che giocano!”.

“Non usare la scusa dei bambini con me. Sono adulti, ormai, Jay!”

Jensen non gli risponde e si allontana di nuovo, andando verso la porta della stanza. “Vado a controllare che cosa hanno combinato quei quattro…” dice, senza aspettare risposta e varcando subito dopo la soglia. Cammina svelto per il lungo corridoio, le scarpe che quasi si schiantano sul parquet sotto i suoi piedi per la foga con cui scappa. Misha non lo segue e Jensen non sa se sia veramente una buona cosa, non è certo di volere sul serio che Misha smetta di rincorrerlo. Non ora. Non adesso che era a tanto così…

Scuote la testa, agitato e spaventato dai suoi stessi pensieri, e fa una deviazione verso destra per controllare la camera di JJ – più per abitudine che per vero e proprio bisogno. La porta è aperta quando arriva sulla soglia e lo scenario che gli si presenta davanti è… beh. E’ sia tenero che agghiacciante.

“Che state facendo?”

West e JJ si staccano in un secondo l’uno dalle braccia dell’altra. Ironicamente, tanto per cambiare, non erano ancora arrivati al punto di baciarsi.  

“P-papà… Tom ha… ha buttato una torta in faccia a West e… gli stava sanguinando il naso… e nel bagno della mia stanza avevo cerotti e disinfettante e…” JJ lo guarda, rossa come un pomodoro, e scrolla le spalle. Si alza dal letto, guarda West e sorride nervosa. “Uhm… v-vado giù. Bisogna rifare la torta e… e Tom avrà dato fuoco alla cucina. Penso. Uhm”.

West annuisce, l’espressione di chi vorrebbe tutto tranne che essere lì. “Scendo subito, Jay. Mi lavo un’altra volta la faccia e sono pronto…” dice, mentre JJ esce dalla stanza scansando il padre e lasciando i due uomini soli.

Come già detto, sebbene non sia proprio parte del suo corredo genetico, West si è sempre ritenuto una persona più o meno paziente. Sulla carta, addirittura, pare sia un genio. Quindi in teoria non è azzardato aspettarsi da un ragazzo come lui spessore culturale, profondità intellettuale e, perché no, anche coraggio da vendere.

L’unica cosa che riesce a pensare ora, però, mentre fissa gli occhi verdi di Jensen sbarrati e con l’espressione più strana e combattuta che West gli abbia mai potuto vedere indosso, è che la settimana di Gishwhes sarà davvero, davvero lunga quest’anno.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4: I don't kiss and tell ***


Ritardo clamoroso, lo so, e mi scuso con tutte le persone meravigliose – amiche e non – che seguono questa fan-fiction. Grazie per i vostri bellissimi commenti e per il supporto.
Ormai siamo quasi giunti alla fine di questo viaggio, penso che ci saranno al massimo un altro paio di capitoli (ma non è detto, lo scopriremo vivendo). In ogni caso, fan-fiction o meno, il cockles è lì fuori che ci aspetta, amici miei, e in una quindicina d'anni potremo goderci anche lo Jest (JJ/West).


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Like fathers, like children

Chapter 4: I don’t kiss and tell



Se da una parte l’esperienza con JJ ha confermato la sacrosanta pazienza di West Collins, dall’altra ha ricordato più o meno a tutti (interessato compreso) che se il coraggio per lanciarsi col paracadute non gli manca, quello per affrontare Jensen Ackles due secondi dopo aver quasi baciato la sua unica figlia non sembra essere pervenuto.

“J-Jensen”.

Jensen continua a fissarlo e West rimane immobile seduto sul bordo del letto, il naso che ancora gli pulsa forte, mentre Jay incrocia le braccia rigido.

“Jensen, io… mi dispiace. Ma lo sai, io voglio un bene infinito a JJ, lo sai che non la farei mai soffrire!” blatera rapido West, gli occhi sempre incatenati a quelli dell’altro, il cuore che martella impazzito nella cassa toracica. “Lo sai che cosa significa per me JJ. Lo sai che ho aspettato tanto… e se tu lo ritieni giusto, Jensen, posso aspettare ancora. Posso aspettarla. Anche dieci anni. Dico sul serio”.

Jensen inclina la testa e West è pronto a giurare che quegli occhi verdi siano più pieni di tristezza e nostalgia, che di rabbia. Si chiede che cosa stia passando per la testa del texano, ma comprendere cosa passi per la testia di un Ackles, il più delle volte, è un’impresa.

“West. Io mi fido di te. Sei un ragazzo responsabile, ti ho cambiato persino i pannolini sul set quando quell’imbranato di tuo padre non sapeva farlo, ti conosco bene…”. Jensen alza una mano, additando l’altro. “Ma ti avviso. Se la fai soffrire, se le spezzi il cuore…” la minaccia si ferma, rimane sospesa. Non c’è molto altro da dire. Jensen sapeva che sarebbe arrivato questo momento, tutti lo sapevano.

“Te lo giuro” e le parole di West grondano sincerità. “Non la potrei mai ferire. Mai. Se lei mi vuole, se mi dà una chance, io sono qui”.

West si alza dal bordo del letto e si avvicina a Jensen, che per istinto gli batte una mano sulla spalla affettuoso. “Okay, West. Okay…” Jensen sospira, ridendo amaro. “Vai giù, ora. Tu sei disposto ad aspettare, ma JJ non è molto paziente…”

West sorride e annuisce, abbracciando rapido Jensen e uscendo poi dalla stanza, lasciando l’altro disorientato, a riconoscere che effettivamente Misha ha ragione. Ormai i loro figli non sono più bambini, ma adulti. Uomini e donne con coscienze, che prendono decisioni, che si innamorano. E’ contemporaneamente una bella e brutta sensazione; riconoscere che i tuoi figli sono diventati grandi è contemporaneamente straziante e liberatorio: ha dello sconvolgente, ma ti offre un nuovo ventaglio di possibilità, ti dà il tempo di respirare.

E’ questo che passa per la mente a Jensen quando sta rientrando nella stanza dei cimeli, dove Misha ancora giace, dove ancora aspetta che lui torni. Sempre lì, fermo, solido, una costante incancellabile.

“Mish… hai ragione. Dobbiamo parlare”.



****

 

La giornata, per grazia divina, è conclusa. Partecipare a Gishwhes è già di per sé estenuante, sfibrante addirittura – basta chiedere a chiunque. Se poi contemporaneamente si cerca di conquistare l’amore della tua vita alias amica di infanzia alias figlia del migliore amico di tuo padre… beh, la questione diventa un poco più complessa.

Ma West non si è dimostrato solo paziente, negli ultimi anni. No. Lui è anche determinato. E sconsiderato. Tutti elementi molto utili per Gishwhes; tutti elementi che, con la scusa del doversi svegliare presto domattina per costruire un’orca di legno nel giardino di casa Ackles, hanno permesso a Maison e West di rimanere a dormire lì.

Ora, West non sa esattamente cosa gli sia preso. Se proprio deve dare la colpa a qualcuno la darebbe la colpa a Whatsapp, all’ultimo accesso di JJ avvenuto due minuti prima e alla prova che è effettivamente sveglia all’una del mattino – proprio come lui. Che non riesce a chiudere occhio mentre pensa a quanto è stato vicino dal baciarla.

Perciò adesso, all’una del mattino e qualche minuto, in pantaloni del pigiama e t-shirt di Stanford, West bussa alla porta della stanza di JJ, che piano si apre.

Lei, e West potrebbe essere un attimino di parte ma non troppo, è stupenda. Ha i capelli sciolti, appena pettinati, morbidi e gonfi. Ha un enorme maglietta di jersey dei Dallas Cowboys e le gambe – West,stai calmo – nude. Lunghe cosce bianche che…

“West?” lo chiama lei e West sobbalza, alzando di scatto gli occhi e appoggiandosi con finta nonchalance allo stipite della porta.

“E-ehi…” ride nervoso West, mentre pondera quanto strano e potenzialmente perverso potrebbe sembrare correre a fare una doccia fredda all’improvviso.

“Vuoi entrare?”. JJ inclina piano la testa e sorride a vederlo nervoso. West sa che l’atteggiamento da imbranato insito nel suo DNA è adorabile e fa impazzire le ragazze. Vorrebbe solo che non gli facesse dire idiozie.

“… entrare dove?”. Idiozie come questa.

“Nella stanza, scemo… vieni qui”. E JJ, buon dio, lo tira contro di sé chiudendo la porta piano. Tenendolo per mano lo fa sedere con sé sul materasso ed entrambi con la schiena poggiata alla testa del letto, cominciano a guardarsi.

West si chiede se non dovrebbe quindi far qualcosa, agire, fare l’uomo. Dopotutto lui è il più grande, lui è quello cresciuto nella famiglia super-libera e progressista, col poliamore dietro l’angolo, con falli di legno comprati in Polinesia per soprammobili e…

“Westie?” lo chiama soffice JJ, col soprannome che usava da bambina e, in un certo senso, lo aiuta a tranquillizzarsi, gli rasserena i pensieri. Per un attimo sono di nuovo bambini e West è di nuovo piccolo, di nuovo su una barca con la sua famiglia, di nuovo in braccio a sua madre mentre guarda i riflessi che il tramonto fa sui capelli biondi di JJ.

Almeno sino a quando JJ non gli sale a cavalcioni addosso, stringendo le suddette cosce nude ai suoi fianchi e allacciando le dita dietro la sua nuca, improvvisamente donna e per niente bambina. A quel punto c’è ben poco che lo lasci ancora lucido.

West la osserva a occhi sgranati inarcare la schiena e avvicinare le labbra alle sue. D’istinto la cinge, mettendosi seduto dritto e tirandola di più in grembo, scoprendo per fortuna – o per sfortuna – che l’unica cosa che li divide sono solo le sottili mutandine di lei e i propri pantaloni del pigiama.

Sono fermi, ora; l’una addosso all’altro, i respiri pesanti, le bocche quasi unite. C’è una tensione nell’aria che rende il tutto letteralmente elettrico – e forse un po’ troppo per due ragazzi così giovani e che ancora non hanno trovato il coraggio di baciarsi. Eppure sembra ancora familiare: fra loro è sempre stato così, dopotutto; una carezza, uno sguardo, un abbraccio più lungo rispetto a quelli dati agli altri.

JJ si muove, strusciandosi piano e baciando West sulle labbra, per breve tempo, di nuovo timida, e West vorrebbe tanto, ma tanto, essere impotente, in questo momento: tutto pur di non far sentire a JJ l’erezione crescente.

Vorrebbe sapersi trattenere, sapersi controllare, non mostrarle quanto la desidera e quanto fa male sentire di dover aspettare. JJ però lo tenta e lui è solo umano. Così le scosta i capelli, scoprendole un lato del collo, e mentre lo fa non smette di baciarla, non smette di godersi il respiro affannato di lei che si mischia al suo. Le accarezza la schiena, mentre piega il capo per baciarle il collo. Punta la bocca sulla giugulare che pulsa frenetica, e in un istante West ribalta le posizioni, schiacciandola contro il materasso e incastrandosi fra le sue gambe con la facilità di chi sembra fatto per stare esattamente lì, in quel modo.

JJ lo guarda dal basso, i capelli sparsi sul cuscino bianco e West si ferma ad osservarla. Guarda le sue guance rosse, le labbra già gonfie dai baci, il petto che si alza e si abbassa. Sorride e accarezzando la coscia destra coi polpastrelli, si sposta, stendendosi al suo fianco e baciandola di nuovo. “Va bene così… vero? Abbiamo tutto il tempo del mondo…”.

JJ annuisce e sorride contenta, abbracciandolo forte e baciandolo.

 


****

 

Chiaramente non vi sono regole precise da seguire dopo che hai passato praticamente la notte a pomiciare con la ragazza dei tuoi sogni (asciutti e bagnati). Per cui West in un certo senso si limita a seguire la corrente e a cercare di non annegare.

Più o meno.

La cosa buffa è che, per quanto sia lui che JJ si sentano estremamente esposti e diversi, nessuno sembra notare qualcosa di differente in loro. Né nella loro riscoperta intimità, né negli sguardi furtivi che si lanciano da tutto il giorno tra un item assurdo di Gishwhes e l’altro. Nemmeno Thomas, nel suo essere un perenne guastafeste rompipalle, sembra agire in modo diverso intorno a JJ.

Sua sorella Maison, dal suo canto, mastica una chewing-gum leggendo un libro più vecchio di lei di circa trent’anni mentre aspetta che il suo ritratto fatto di lenticchie di William Shatner (buonanima) si asciughi.

Per quanto riguarda i senior, invece, West non è proprio certo di quello che sta succedendo a suo padre. Sì, di solito è molto impegnato con Gishwhes a cercare di non far crollare i server di Gishbot, ma in questi giorni è… strano. E non strano in mio-padre-è-Misha-Collins-che-vuoi-farci; strano in c’è qualcosa che mi turba, c’è qualcosa di cui ho bisogno di parlare.

Misha è in effetti alquanto evasivo. Dal momento in cui ha varcato la soglia di casa Ackles – da solo, stranamente senza Vicki al seguito –, non sembra dar peso a molto di quello che gli sta succedendo intorno, troppo concentrato nei suoi pensieri.

West pensa che forse dovrebbe andargli a chiedere che cos’ha. E’ lì lì per mettere in pausa il montaggio di alcuni item video quando Jensen, scendendo le scale – anche lui, stranamente solo in casa sin dal mattino presto – passa in cucina a baciare JJ.

“Piccola, sto uscendo. Chiamami per qualsiasi cosa. E non date fuoco alla casa. Qualsiasi danno verrà ripagato col sangue, lo sapete”. JJ rotea gli occhi, ascoltandolo annoiata, ma annuisce e gli dà comunque un bacio sulla guancia.

“Tranquillo, papà… ci sentiamo dopo”. Un altro bacio veloce sulla tempia della figlia e Jensen si avvia fuori casa, seguito da Misha, che effettivamente non si era mai mosso dall’entrata, spiccicando appena qualche parola ai suoi stessi figli.

 

****

Per la prima volta in oltre vent’anni d’amicizia, Jensen e Misha non sanno assolutamente cosa dirsi.

Sono seduti sui sedili posteriori del fuoristrada di Jensen, ognuno con la schiena poggiata al proprio sportello. Jensen trova che la posizione sia estremamente scomoda, vista la maniglia dello sportello che sente conficcata dritta in un rene o suppergiù, ma è comunque una situazione familiare, questa. Tanto, tanto tempo fa lo facevano spesso. Parlare seduti nei sedili posteriori dell’Impala, tra una pausa e l’altra sul set.

Sono in un parcheggio poco fuori Austin, dove la vista è ottima e dove soprattutto è difficile incontrare turisti che abbiano l’età giusta per riconoscere uno di loro. Jensen si guarda le mani e si accorge di star rigirandosi i pollici, nel peggiore dei cliché.

“Jensen, volevi parlarmi. Sono qui. Parliamo”.

Giusto. Parlare. Sembra facile.

“Misha…” mormora. “Io…” sospira e alza gli occhi al cielo, fissando le raffinate cuciture interne del tettuccio della macchina. “Mish… lo sai che… insomma, ci conosciamo da tanti anni. Davvero, davvero tanti. Siamo invecchiati insieme, in un certo senso…” finalmente volge lo sguardo a Misha. “Ma mi sembra che abbiano ancora delle cose in sospeso”.

“Penso proprio di sì”. Jensen sbuffa una risata amareggiata alla risposta neutrale di Misha. Vuole che parli io, vuole sentirmelo dire.

“Non è che io voglia che il nostro rapporto cambi dopo aver messo in chiaro certe cose. E’ che non trovo giusto… tutto questo”.

E’ Misha ora a sbuffare. “Tutto questo cosa? Avermi detto che non ricambiavi quando era assolutamente falso e lo sapevano tutti, compresa tua moglie?”

Jensen abbassa gli occhi, trattenendo una smorfia. “Quello, sì… ma anche averti lasciato in pausa per così tanto tempo. Io credo che…” sospira pesante, Jensen, come se dire queste parole gli facciano male fisicamente. “Credo che tu sia rimasto ad aspettarmi per troppo tempo. E’ che i sentimenti che c’erano fra di noi…”

“Che ci sono, Jensen, non mentire a te stesso.” lo interrompe Misha seccato.

“… i sentimenti che ci sono fra di noi non sono quello che cerchiamo, non sono abbastanza per… per… non dopo così tanto tempo, Misha, non dopo… umpf!”.

Di certo ritrovarsi Misha a cavalcioni su di sé non era il risultato che Jensen sperava di ottenere con una discussione del genere. Prova a muovere il capo, a scuoterlo, a prendere Misha per le cosce e a spostarlo. Perché non è giusto e non si merita un contatto del genere.

Le dita di Misha incrociate dietro la sua nuca, però, gli impediscono di muovere il capo e quegli occhi blu, quei dannatissimi occhi blu, lo ancorano al sedile.

“Jensen. Jensen, guardami. Guardami, ehi.” Misha lo fissa, non lo lascia andare. “Io ti amo. Ti ho aspettato quindici anni e ti assicuro che altro tempo non cambierà nulla… il punto è che tra un po’ non avrò più l’età per salirti così sulle ginocchia e il mio sesso orale potrebbe essere accompagnato dall’utilizzo di una dentiera…”

Jensen soffoca una risata, ma guardandolo sempre a occhi sbarrati, incredulo.

“Ma, ehi, io sono qui. Se lo ritieni giusto, ti aspetto altri dieci anni.” e Jensen sussulta a quelle parole, il cuore in gola. “Mi sta bene. Credi che se avessi potuto non avrei smesso di soffrire per te? Credi che se fosse stato nelle mie capacità non avrei permesso a me stesso di smetterla di rincorrere chi non aveva il coraggio di desiderarmi? A questo punto, amarti è una parte di me. E se ti sembro sdolcinato, è okay, perché è esattamente quello che sono in questo momento e… cosa? Cos’è quella faccia? Quella smorfia?”.

“Mish…” mormora Jensen, gli occhi quasi lucidi e le braccia adesso intorno alla schiena di Misha, tonica, incredibilmente, esattamente come l’ultima volta che lo ha stretto a sé così. “Ho voglia di baciarti”.

“Oh…”

“Oh? Tutto qua?”.

“Che vuoi che ti dica? Sono quindici anni che aspettavo di sentirtelo dire ad alta voce”.

 

 

 

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