Secret life

di sissi149
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1 ***
Capitolo 3: *** 2 ***
Capitolo 4: *** 3 ***
Capitolo 5: *** 4 ***
Capitolo 6: *** 5 ***
Capitolo 7: *** 6 ***
Capitolo 8: *** 7 ***
Capitolo 9: *** 8 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Incidente mortale Misugi-Aoba
Oggi i funerali del calciatore e della compagna
Nel tempio del quartiere dove i due sono cresciuti la cerimonia riservata a parenti e amici. Le famiglie chiedono il massimo rispetto e riserbo.

 

 

Matsuyama gettò lontano da sé il giornale con l'ennesimo titolo ridondante sulla tragedia di pochi giorni prima: ancora stentava a crederci, nonostante fosse in procinto di recarsi al funerale.
“Hikaru, è ora. Dobbiamo andare.”
La voce dolce di Yoshiko lo scosse dalla sua contemplazione del vuoto.
“Arrivo.”
Si alzò, ma un groppo in gola lo costrinse a tornare a sedersi sul bordo del letto e sciogliere il nodo della cravatta:
“Scusa, ancora un minuto. Se sono già messo così ora, figurati durante la cerimonia.”
Nascose il volto in una mano, ricacciando indietro un nuovo ricordo del tempo trascorso con uno dei suoi migliori amici. La memoria è una cosa strana: quando si cerca di dimenticare qualcosa, questa sembra essere l'unico pensiero presente nella propria testa, come il ricordo di quella sera in cui Hikaru aveva letteralmente fatto impazzire Jun, ai tempi vice allenatore, per estorcergli notizie sulla formazione per la partita del giorno seguente. Fu molto strano vedere il Principe del calcio perdere le staffe.
Matsuyama, sentendosi stringere in un abbraccio,si abbandonò sul petto di Yoshiko.
“Lo so che è dura. - sussurrò la donna – Nemmeno io riesco ancora a capacitarmene.”
“Lui... Sai che lui doveva essere uno dei miei testimoni?”
Yoshiko annuì silenziosamente: lei e Hikaru avrebbero dovuto sposarsi quella primavera, ma ora tutto pareva così lontano, così inutile. L'uomo stava seriamente pensando di rimandare tutto almeno all'estate.
Restarono abbracciati in silenzio per alcuni istanti, poi, senza parlare, si alzarono e, tenendosi per mano, uscirono dalla camera dell'albergo dove alloggiavano, diretti verso il tempio del quartiere Musashi.

 

La cerimonia funebre fu molto semplice, ma piena di affetto per i due giovani sfortunati: nonostante Misugi e Aoba non fossero sposati, le rispettive famiglie avevano concordato di dare insieme l'addio ai propri figli.
Hikaru aveva osservato attentamente quelle due coppie di genitori ed era rimasto stupito dal contegno della signora Misugi: da come la conosceva si sarebbe aspettato di trovarla preda di un fiume di lacrime, invece la donna sembrava quasi totalmente assente, come se fosse in una dimensione fantasma. Al contrario era la prima volta che vedeva i genitori di Yayoi e scoprì che la madre era una versione più adulta e matura della figlia, l'unica differenza la si poteva notare nel colore più sbiadito dei suoi capelli. Il loro dolore era ben visibile e si sostenevano a vicenda.
In qualità di capitano della nazionale Tsubasa tenne un breve discorso commemorativo di Jun, mentre Sanae raccontò di Yayoi e del loro primo burrascoso incontro.
All'uscita dal tempio, tutti si strinsero nei loro cappotti pesanti sotto agli ombrelli. La pioggia cadeva incessantemente da quella mattina e non sembrava dare segno di cedere. Le ultime condoglianze vennero scambiate in fretta, prima di accodarsi dietro i feretri che venivano trasportati dai compagni di studi lungo la scalinata. In fondo ad essa li attendevano i numerosi giornalisti accorsi a documentare le esequie.

 

Nascosti dietro un grande albero, un uomo e una donna con grossi occhiali scuri spiavano il corteo che si allontanava mestamente. Lei appoggiò la testa sulla spalla di lui e di rimando lui le cinse le spalle con un braccio. Furono raggiunti da un terzo uomo, decisamente più anziano:
“I vostri nuovi documenti. Non è prudente rimanere più a lungo.”
I due annuirono e, dopo un ultimo sguardo al tempio ed una preghiera silenziosa, lasciarono quel luogo per non ritornarvi più.







Questa storia si basa su un'idea molto vecchia che avevo avuto e che è risaltata fuori in questi ultimi mesi.
Temporalmente siamo dopo gli eventi raccontati nel manga, dopo anche le olimpiadi non ancora narrate da Takahashi, per cui non ho ritenuto necessaria l'indicazione di What if, dato che non sappiamo cosa l'autore abbia in serbo per i personaggi.
La storia è già completa per un buon 70%, salvo  aggiustamenti minori ai capitoli già pronti, per cui credo di poter garantire l'aggiornamento settimanalmente.
Un'ultima avvertenza: non aspettatevi capitoli lunghissimi!

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Capitolo 2
*** 1 ***


Tre anni più tardi


“Ok ragazze, basta così! L'allenamento è finito!”
“Sì coach Ross!”
La squadra di calcio femminile dell'università di Princeton rispose all'unisono, cominciando chiassosamente a dirigersi verso lo spogliatoio, in un turbinio di chiacchiere che spaziavano dall'uscita galante della sera prima, al saggio di letteratura da consegnare per l'indomani o al nuovo menù della mensa del campus. Julian trovava sempre sorprendenti quei momenti, non si sarebbe mai immaginato che un gruppo di ragazze potesse produrre una quantità di rumore pari, se non maggiore, di quella generata da una squadra maschile, e i suoi ex compagni sapevano essere dei gran casinisti se volevano. Tra le tante cose che poteva aspettarsi dalla vita, non si sarebbe mai immaginato che un giorno si sarebbe trovato ad allenare una squadra femminile. Soprattutto non si sarebbe mai aspettato che quello potesse essere l'unico appiglio per rimanere in contatto con quel mondo.
Alzò lo sguardo e si accorse che una delle sue giocatrici non aveva lasciato il campo ed ora lo fissava intensamente.
“Bonnie, conosco quello sguardo: cosa vuoi?”
“Insegnami il tuo tiro speciale, insegnami il Drive Shot.”
Julian scosse il capo:
“Abbiamo provato già abbastanza l'altro giorno, non puoi impararlo in pochi giorni.”
“Ma se non mi permetti di allenarlo non lo imparerò mai!” Ribatté cocciuta la ragazza, non muovendosi di un millimetro dalla sua posizione.
“E va bene, ma solo mezz'ora! Poi devo andare a casa: domani mattina Walker mi farà assistere ad un intervento importante e complicato.” Cedette, in fondo soddisfatto di quella testardaggine che gli ricordava la propria.
La mezz'ora si trasformò in quaranta minuti, l'allenamento a tiri in porta divenne un uno contro uno e quando la sfida divenne troppo serrata, Bonnie non esitò a saltare sulla schiena dell'allenatore per bloccarlo.
“Dai, Bonnie, così non è valido!” Le risate si mescolavano al rimprovero.
“Non siamo mica in partita!”
“Non vi sembra che si sia fatto un po' tardi?”
Una voce li riportò alla serietà: una donna dai lunghi capelli li guardava dall'altro lato della rete. Solo ora che si erano fermati si accorgevano di come il cielo si stesse rapidamente imbrunendo.
“Ciao Amy! - Salutò Bonnie, recuperando del contegno – Non ci siamo accorti del tempo che passava!”
L'altra fece un gesto con la mano, mentre veniva raggiunta da Julian che le chiese:
“Come sapevi che ero qui?"
“Dove altro avresti potuto essere? Andiamo a casa ora?”
L'uomo annuì e recuperò vicino alla panchina la giacca a vento e il borsone, da cui estrasse un mazzo di chiavi che lanciò alla calciatrice:
“Chiudi tu gli spogliatoi e il campo? Io vado, mi raccomando!”
“Certo Coach! Non è certo la prima volta che mi lasci il compito!”
Bonnie seguì con lo sguardo la coppia che si allontanava, il braccio di lui attorno alle spalle di lei.

 

Nel varcare la porta del loro appartamento, in un palazzo a metà strada circa tra il campus e l'ospedale, soluzione congeniale ad entrambi, Julian stuzzicò la moglie:
“Sei carina quando fai la gelosa di Bonnie!”
Per tutta risposta lei gli diede un leggero pugno sul braccio.
“Sai che non sono gelosa di lei, io mi fido di te. - sospirò leggermente mentre si sfilava il soprabito – A volte sono solo gelosa al pensiero di quello che lei può condividere con te, a differenza mia.”
L'uomo l'abbracciò da dietro.
“Non esserlo: con lei condivido il calcio, con te tutto il resto. E sinceramente, non mi ci vedo sposato con una calciatrice!”
“Julian Ross, sei uno stupido!”
Amy raggiunse la camera da letto e iniziò a sciogliere i capelli, ripensando alla giornata di lavoro e alle quantità di storie diverse che le capitava di ascoltare ogni giorno nell'infermeria del campus.
Sentì l'acqua della doccia iniziare a scorrere e pochi istanti dopo Julian si affacciò dalla porta del bagno:
“Fai la doccia con me?” La chiamò.
“Arrivo.”
La donna chiuse gli occhi per un istante, poi iniziò a spogliarsi, disponendo con cura i vestiti sulla seggiola, avrebbe potuto utilizzarli anche l'indomani. Entrò in bagno ed aprì il vetro della doccia, venendo afferrata dal marito, che subito la baciò famelico. Si separarono solo per prendere fiato, poi Julian la spinse contro le piastrelle che rivestivano il muro, facendola rabbrividire al contatto della parete fredda, mentre il getto di acqua bollente li investiva entrambi. E ripresero a baciarsi sempre più appassionatamente.

 

Amy, avvolta in un accappatoio di spugna candida, si gettò sul letto, guardando il soffitto della camera: ormai conosceva Julian e sapeva che per lui cercarla a quel modo, senza un motivo apparente e senza tanti giri di parole, era il suo modo di soffocare le preoccupazioni e i turbamenti per la vita che si era lasciato alle spalle, per la vita a cui aveva dovuto rinunciare per causa sua. Quando quella mattina era uscito, aveva lasciato il pc acceso e sullo schermo campeggiava un articolo relativo all'ultima prestigiosa vittoria della nazionale. Senza di lui. La donna sospirò profondamente, sentendosi colpevole. Pochi istanti dopo il marito arrivò nella stanza, alla ricerca di abiti puliti.
“Scusami! – disse la donna con un filo di voce – Scusami per averti costretto a tutto ciò.”

 

 

 

Erano all'altro capo del mondo, in un'altra vita. Si erano visti nel lussuoso attico di lui, le luci della città che brillavano sotto di loro, visibili dai grandi finestroni del salotto.
Non ti amo più. – gli aveva detto – Non ti amo più da moltissimo tempo, ma sono rimasta con te per tutto questo: i soldi e la fama.”
Lui era rimasto di sasso, seduto sul divano. Aveva stretto i pugni, incapace di reagire in altro modo. Allora lei aveva continuato.

Ma la fama non mi bastava più: ho conosciuto un altro uomo e così ti ho tradito.”
A quel punto lui non ce la fece più: si alzò di scatto e le afferrò violentemente i polsi, fino quasi a farle male.
Balle! - le disse velenoso in faccia – Potresti anche aver smesso di amarmi come un tempo, ma non potresti mai avermi mentito così a lungo. Non potresti avermi tradito e raccontarmelo come se nulla fosse, quindi dimmi, perché mi stai dicendo questo?”
Perché così sarà più facile, sarà più facile se mi odierai!” Gli urlò in faccia con violenza.
Perché dovrei odiarti?” Le chiese, lasciandole i polsi, mentre a lei gli occhi cominciavano a riempirsi di lacrime.
Non capisci: io devo morire!”
Si accasciò per terra singhiozzando.

 

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Capitolo 3
*** 2 ***


Nel palazzo della federazione a Tokyo la sala delle conferenze era gremita di giornalisti: fin da quando era stato indetto l'incontro con la stampa si erano susseguite le più disparate e, in alcuni casi, fantasiose voci. Ormai, con le sue costanti vittorie in competizioni prestigiose, la nazionale maggiore di calcio godeva di una fama impensabile fino a pochi anni prima. Per merito di questi uomini le squadre delle scuole e i vivai dei più titolati club nazionali avevano visto triplicare le richieste di ammissione, addirittura alcune delle migliori università stavano creando delle loro squadre con tanto di borse di studio calcistiche.
Munemasa Katagiri, in qualità di neoeletto presidente della federazione, fece il suo ingresso da una porta laterale, seguito dal primo allenatore Mikami e dal capitano Ozora.
“Buongiorno a tutti e benvenuti! - Esordì il presidente, sistemando gli immancabili occhiali da sole sul naso – Oggi illustreremo pubblicamente il nuovo stage di preparazione ai prossimi mondiali, pensato non solo per permettere ai nostri uomini di potersi allenare in tutta tranquillità, ma anche di poter provare i nuovi schemi e le intese contro avversari non disposti ad arrendersi facilmente. Signori, il nostro progetto, ora realtà, è una tournée di allenamento negli Stati Uniti.”
Lo stupore si diffuse tra i giornalisti, nessuno si aspettava un annuncio del genere.
Dopo un momento abilmente studiato per permettere agli interlocutori di digerire la notizia, Katagiri proseguì:
“Immagino vogliate saperne di più, per questo cedo la parola al mister Mikami, che vi illustrerà i dettagli.”
Mikami premette l'interruttore di accensione del suo microfono ed iniziò il suo lungo discorso:
“Innanzitutto devo fare un ringraziamento al presidente e al suo staff per aver reso possibile la realizzazione di questo progetto. La nostra federazione è riuscita ad ottenere un accordo con la prestigiosa università di Princeton, che ci permetterà di usare come campo base il loro centro allenamenti: Princeton è la sede di una delle più forti squadre femminili e possiede il migliore centro sportivo delle università americane. Ci tratterremo in New Jersey per un periodo di allenamento intensivo di poco più di una settimana. Lì potremmo avere qualche piccola amichevole con squadre di basso calibro, se necessario. Successivamente ci sposteremo in Florida per disputare un mini torneo a cui parteciperà anche una nazionale europea. Quest'anno i campionati europei effettueranno una sosta invernale più lunga del solito, consentendoci di avere con noi per tutto il periodo anche i membri della nazionale che partecipano a quei campionati. Partiremo per l'America subito dopo l'inizio dell'anno nuovo. In questo modo possiamo iniziare il lavoro di preparazione molti mesi in anticipo rispetto alla data dei mondiali.”
Subito i giornalisti si scatenarono in mille domande, ingolositi dalla succulenta novità.
“Capitano Ozora, lei cosa pensa di questo progetto?”
Tsubasa si schiarì la voce, aveva aspettato con ansia che gli venisse posta quella questione:
“È straordinario che si sia riusciti ad organizzare tutto. Soprattutto tengo a ricordare, a tre anni dal tragico incidente di Misugi, che originariamente l'idea di un periodo di allenamento in una struttura estera d'avanguardia fu una sua idea. Essere riusciti a portarla a compimento è anche un modo per questa squadra di onorare la sua memoria.”

 

 

“La trovo una pessima idea!” Julian incrociò le braccia al petto, fortemente contrariato.
“Andiamo Coach Ross, pensi alla pubblicità che la nostra squadra ricaverebbe da un evento del genere.” Il Rettore di Princeton stava tentando in tutti i modi, coadiuvato dal responsabile delle attività sportive, di fare approvare al cocciuto allenatore della squadra di calcio la sua nuova idea. Era quasi una mezz'ora che i tre erano rinchiusi in ufficio a discutere.
“Con tutto il rispetto Rettore, non credo si renda conto che far giocare una squadra femminile, per quanto di altissimo livello, contro una nazionale maschile per un'intera partita sia un suicidio. Altro che pubblicità, ci prenderanno per pazzi!” Julian non intendeva smuoversi dalla sua posizione, non intendeva permettere che qualcuna delle ragazze si facesse male e in questo modo venisse compromesso il campionato: Princeton aveva ottime possibilità di vincere il titolo.
“Suvvia Ross – si intromise Geller – sarà sempre un incontro amichevole, molto amichevole. Poi la nazionale giapponese non è il più terribile degli avversari.”
A quell'affermazione l'allenatore strinse i pugni, parecchio innervosito, domandandosi come un tale idiota potesse essere a capo di tutte le squadre universitarie. Tuttavia, nella sua paradossale situazione, che nessuno si informasse troppo su ciò che avveniva dall'altra parte del mondo era quasi un bene.
“Signor Geller, le ricordo che il Giappone ha solamente vinto gli ultimi mondiali e la rosa è praticamente rimasta invariata. Inoltre si tratta di calciatori professionisti, dubito che saranno disposti a giocare sotto il loro livello, se non addirittura ad accettare una partita simile.”
“Su questo non c'è problema. - il Rettore sorrise sornione – L'accordo per utilizzare le nostre strutture ed alloggiare nella palazzina H del campus prevede esplicitamente questo punto, e la Federazione giapponese ha accettato.”
“Un piccolo prezzo per avere il nostro campo e la palestra a completa disposizione.” Chiosò Geller.
“Obbligando le nostre ragazze a spostare i loro allenamenti ad orari scomodissimi per la squadra.” Julian non sapeva più a quali argomentazioni appigliarsi per tentare di spuntarla.
Il rettore batté un pugno sul tavolo:
“Ross, si tratta di poco più di una settimana. Mi pare anche che molte delle sue ragazze abbiano deciso di fermarsi durante le vacanze natalizie per non perdere troppi allenamenti. Faccia fruttare quei giorni, invece di lamentarsi.”
Julian era definitivamente sconfitto.
“A quanto sembra la decisione è già stata presa. Non vedo perché discuterne ancora. Ribadisco che non sono per nulla d'accordo, perciò non contate sul mio apporto: quella settimana ho dei turni di lavoro importanti in ospedale già stabiliti, non potrò partecipare all'incontro e agli allenamenti nei nuovi orari.”
Detto questo si alzò e si avviò alla porta.
“Ross, non può abbandonare la squadra così!” Tentò di richiamarlo all'ordine Geller.
L'allenatore si voltò, aveva già una mano sulla maniglia.
“Io non abbandono la squadra, le ragazze sanno perfettamente come gestire l'allenamento se lascio istruzioni. Buona giornata e buone feste.”
Uscì e chiuse la porta alle sue spalle, percorrendo il corridoio con passo svelto. Quella situazione non ci voleva proprio: avere la nazionale giapponese tra i piedi era la più grande seccatura che potesse capitargli in quel momento, nonostante una parte di lui desiderasse vedere quella squadra. E sua moglie l'avrebbe presa anche peggio, lo sapeva. Se poi la squadra aveva intenzione di portarsi appresso qualche giornalista sarebbe stata la fine.

 

 

 

Quel colloquio si era svolto in una maniera surreale. Doveva ancora metabolizzare le parole che la sera precedente lei si era fatta sfuggire, che ora gli sembrava di essere catapultato in un universo parallelo.
Spero vi rendiate conto della situazione: voi dovete risultare morti per tutti quelli che vi conoscono. Ciò implicherà nessun contatto, nemmeno con le persone a voi più intime. È per la sicurezza di tutti.”
L'uomo in completo grigio aveva parlato in tono perentorio, quasi a incutergli timore.
Ma, e i nostri genitori?” Aveva chiesto, immaginando lo shock per sua madre.
Abbiamo convenuto che loro potranno sapere che state bene, ma non sapranno dove verrete mandati in seguito. Normalmente in questi casi non si inscena una morte, ma dato il vostro ruolo di personaggi pubblici, la sicurezza maggiore è che l'intera opinione pubblica vi ritenga morti.”
Aveva passato anni a lottare con tutto sé stesso per non morire e ora si ritrovava a dover fingere la propria dipartita.

Non sei obbligato a farlo! - Aveva spezzato il pesante silenzio lei – è un problema mio. Tu puoi continuare la tua vita, non sei costretto a perdere niente.”
Non voglio perdere te! Del resto posso fare a meno. Anzi, nella nuova vita voglio che tu sia mia moglie.” Non sapeva da dove gli fosse venuta quell'idea, ma sapeva che sarebbe stato fondamentale.
Questo si può fare, ma ricordate, dovrete mantenere un profilo più basso possibile. Nessuno deve sospettare nulla.”

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Capitolo 4
*** 3 ***


Il turno in ospedale si era protratto più del dovuto, a causa di una grave emergenza in reparto che aveva coinvolto tutti gli infermieri tirocinanti. Proprio quel giorno che la sua auto era in riparazione dal meccanico. Era mezzanotte passata, l'autobus stava per lasciare la pensilina di fronte all'ingresso dell'ospedale: se l'avesse perso avrebbe dovuto aspettare una buona mezz'ora da sola, al freddo e al buio. Cominciò a correre per raggiungerlo: fortunatamente l'autista la vide e si fermò ad attenderla. Timbrando il biglietto che teneva sempre nel portafoglio per ogni evenienza, non fece molto caso alla mappa delle fermate esposta sopra l'obliteratrice. Fu quando l'autobus svoltò a sinistra, anziché a destra, all'incrocio davanti alla biblioteca del quartiere, che si rese conto di aver preso la corsa sbagliata. Di scatto prenotò una fermata e scese. Si strinse nel cappotto infreddolita e tirò la sciarpa sul mento. Sapeva dove si trovava, prendendo il vicolo un poco più in là si sarebbe ritrovata sul viale corretto e da lì ormai erano dieci minuti per casa sua. Però i vicoli di quella parte della città avevano una pessima reputazione. La tentazione di comporre il numero di telefono del fidanzato era forte: sarebbe sicuramente venuto a prenderla a qualsiasi ora, ma non voleva buttarlo giù dal letto la vigilia di un incontro così importante. Decise di andare a piedi. Imboccò il vicolo, fece la prima svolta. Era quasi all'ultima svolta prima di sbucare sull'altro viale. Successe tutto in una frazione di secondo: degli sparì squarciarono l'aria così vicini che non poté fare altro che accasciarsi tappandosi le orecchie. Poi vari uomini che si inseguivano, ancora spari, finché uno di loro non la notò rannicchiata e tremante. Puntò l'arma verso di lei.

 

 

 

Amy si svegliò di soprassalto urlando. Era madida di sudore e respirava affannosamente, preda della tachicardia. Appoggiò la mano destra al petto, tentando di calmarsi, mentre la sinistra andava alla ricerca di qualcosa sull'altro lato del letto, ma non trovò nessuno. Il suo respiro si spezzò ulteriormente, più tentava di prendere aria, più le sembrava di rimanere in apnea.
Julian entrò di corsa nella stanza, spaventato dal grido, e vedendo la moglie in quelle condizioni corse ad abbracciarla.
“Shh, sono qui. - le sussurrò all'orecchio – Ero solo andato a prendere da bere. Sono qui con te.”
Lentamente, sostenuta da quelle braccia salde, Amy ricominciò a sentire l'ossigeno nei polmoni, a prendere respiri più profondi e regolari. Calde lacrime scendevano a rigarle le guance.
“Mi dispiace. Mi dispiace.” Singhiozzò.
Julian strinse la presa più forte, depositando un bacio sulla tempia della donna.
“Non è colpa tua. È quello che ti è successo ad essere terribile.”
“Io... io, l'ho sognato di nuovo. Ero di nuovo lì. Era così reale, così...” Tentò raggomitolarsi, in un tentativo di autodifesa, mentre il respiro tornava ad essere affannoso, ma il marito non la lasciò andare.
“Ora sei al sicuro. Piano. - le disse dolcemente – Respira piano, insieme a me.”
Amy chiuse gli occhi, tentando di adattare il proprio respiro a quello regolare di Julian e lentamente riuscì a calmarsi un poco.
“Ora sto meglio, grazie. Non trovarti nel letto mi ha fatto andare ancora più in panico.”
“Sono qui e non ti lascio per nulla al mondo.”
La cullò finché entrambi non si addormentarono esausti, uno tra le braccia dell'altro.

 

 

La mattina seguente Amy fu svegliata dall’aroma di cacao che proveniva dalla cucina attraverso la porta rimasta socchiusa. Si sollevò e si stiracchiò, lasciandosi sfuggire un piccolo sorriso per il pensiero dolce del marito, ma i ricordi della notte tornarono alla sua mente. Lentamente infilò le pantofole e si diresse in cucina.
Julian stava versando la cioccolata calda in una tazza, quando si accorse che Amy era sveglia ed era arrivata nella stanza.
“Volevo farti una sorpresa. - Le disse, appoggiando la tazza fumante davanti a lei – Purtroppo non abbiamo la panna.”
“Non fa nulla, anzi, grazie per prenderti cura di me.” Rispose con gli occhi ancora assonnati.
L'uomo la guardò un istante, confermando a se stesso per l'ennesima volta quanto sua moglie fosse bella anche coi capelli arruffati dalla notte, prima di sedersi di fronte a lei con una tazza di caffè latte.
“Va meglio?”
Amy annuì, assaggiano un sorso della sua bevanda.
“Credevo di essere riuscita a dimenticare, era parecchio che non rivivevo tutto. È questa maledetta partita che ha riportato a galla i ricordi.” Sospirò e spostò lo sguardo al sacchetto con le decorazioni natalizie abbandonato per terra la sera precedente, dopo aver appreso la notizia.
Julian allungò una mano sul tavolo, a prendere quella della moglie.
“Lo so, non avrei voluto che accadesse, ma il rettore è stato inamovibile. L'unica cosa che posso fare è non seguire la squadra in quei giorni. Non mi avvicinerò nemmeno al campus, ho usato come scusa il lavoro in ospedale.”
“Le ragazze lo sanno già?”
“Gliel'ho annunciato all'allenamento di ieri, dopo la riunione. Sono rimaste molto deluse, loro la considerano solo come una grande opportunità e la difficoltà della sfida è uno stimolo in più, non comprendono perché il loro allenatore le abbandoni in un momento così. Bonnie poi era furiosa.”
Scosse la testa: gli dispiaceva moltissimo per le ragazze, loro non si meritavano questo, meritavano che lui gli desse tutte le attenzioni possibili, ma era troppo pericoloso.
“Credo che farò degli allenamenti supplementari con quelle che restano a Natale, per tentare di farmi perdonare di lasciarle nel periodo successivo.”
Ad Amy si strinse lo stomaco, temeva che quella bolla sicura in cui vivevano scoppiasse e si ritrovassero di colpo senza protezione.
“Vorrei poter stare lontana anch'io dal campus in quei giorni, mi sentirei più sicura, ma non mi è possibile: non posso chiedere le ferie al ritorno dalle vacanze scolastiche.”
“Non puoi darti malata?”
La donna scosse la testa:
“Non è così semplice.”
Julian osservò pensieroso la tazza mezza vuota davanti a lui.
“Sono un medico, posso farti io il certificato di malattia. Il rettore dovrà farselo andare bene.”
Amy mosse la mano ancora stretta da quella del marito, per cercare di stringere quella a sua volta quella dell'uomo:
“Julian, lo so che lo fai per me, ma sarebbe troppo sospetto: io che mi ammalo nella stessa settimana in cui tu ti rifiuti di seguire la squadra. Rischiamo di attirare troppo l'attenzione di qualche curioso.”
“Hai ragione, ma non posso sopportare di vederti così sotto pressione e spaventata. Non voglio che tu ti debba svegliare ogni notte gridando e non voglio che tu sia costretta ad imbottirti di tranquillanti per riuscire a dormire.”
La donna si alzò e fece il giro del tavolo per abbracciarlo da dietro.
“Non succederà se tu sei con me. Non lasciarmi sola la notte.”
“Vorrei potertelo promettere, ma temo che mi assegneranno dei turni di notte. Mi dispiace.”
“Non è detto che l'incubo ritorni. – ribatté lei, più per se stessa che per il marito, per tentare di auto convincersi – Come è altamente improbabile che incontri qualcuno dei giocatori della nazionale: l'infermeria è dalla parte opposta del campus rispetto ai campi sportivi e alla palazzina H.”
“Sì. E avranno i loro fisioterapista e medico al seguito, non avranno bisogno dell'infermeria.”
Si dicevano queste cose per farsi forza a vicenda, consapevoli comunque che i dieci giorni di permanenza della squadra a Princeton sarebbero stati durissimi per entrambi.
Il citofono squillò, costringendoli a separarsi. Julian fece segno alla moglie che avrebbe risposto lui e si alzò, dirigendosi all'apparecchio.
“Sì, chi è?... Bonnie!? Cosa c'è di così urgente a quest'ora?...... è proprio necessario? - il fiume di parole proveniente dalla strada lo fece sospirare – D'accordo, sali. Il piano lo conosci.”
Amy guardò interrogativamente l'uomo, che si strinse nelle spalle.
“Non lo so perché è venuta fino a qui. Probabilmente vorrà convincermi a partecipare alla partita.”
Raggiunse la porta e fece appena in tempo ad aprirla che la ragazza entrò di corsa con un consistente pacco di fogli in mano, sbattendogli la copia di un vecchio articolo di giornale in faccia, tradotto malamente tramite un traduttore automatico.
“Stanotte ho fatto delle ricerche sui nostri futuri avversari. – esordì – Dobbiamo parlare di Jun Misugi!”
Julian impallidì e ad Amy andò di traverso l'ultimo goccio di cioccolata.

 

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Capitolo 5
*** 4 ***


Sanae girò la pagina del libro che stava studiando, seduta nella sala di lettura principale della biblioteca di Princeton. Aveva deciso di approfittare della mattinata di libertà prima della partita del tardo pomeriggio: i giocatori erano impegnati in una mini riunione tecnica con Mikami per mettere a punto alcuni dettagli sulla formazione quasi inedita, dato che l'allenatore aveva deciso di tenere in panchina i giocatori più irruenti ed offrire ad alcune delle riserve la possibilità di scendere in campo da titolari in questa occasione.
Fu distratta dalla vibrazione del cellulare, ma si trattava solamente di un sms pubblicitario. Dato che aveva l'apparecchio in mano fece scorrere fino a visualizzare l'ultima foto inviatagli da sua madre: i suoi due gemellini che giocavano spensierati sul tappeto del salotto. Dato l'impegno lontano da casa per entrambi, lei e Tsubasa avevano deciso di regalare ai figli una vacanza in Giappone a farsi spupazzare dai quattro nonni. Un po' di nostalgia la colse pensando ai bambini, solitamente non si separavano mai per un periodo così lungo, tuttavia era anche per loro che stava tentando di ottenere un'abilitazione in fisioterapia e questo praticantato con la nazionale era un'ottima carta. L'incidente di Yayoi e Jun l'aveva portata a riflettere sul fatto che una disgrazia potesse accadere in qualsiasi momento ed aveva deciso di trovare un'occupazione che le piacesse e che le avrebbe permesso di cavarsela nel caso a Tsubasa fosse mai successo qualcosa. Aveva aspettato che i bambini fossero abbastanza grandi da poter rimanere qualche ora con la baby sitter e aveva cominciato a studiare fisioterapia. I primi periodi erano stati complicati, non potendo frequentare con la giusta assiduità, ma poi la situazione era migliorata. Anche Tsubasa, inizialmente scettico, l'aveva poi appoggiata incondizionatamente.

Terminò il capitolo e decise che era meglio riportarsi verso la palazzina H.
L'aria all'esterno era pungente, sembrava quasi volesse promettere neve. Si guardò ancora una volta intorno nel campus, paragonandolo a quello di Barcellona. Fu allora che la vide: una donna coi capelli rossi passava dal lato opposto del cortile. Ancora suggestionata dai ricordi precedenti, cercò di raggiungerla, quasi spintonandosi con gli studenti, ormai tutti rientrati dalle vacanze, che camminavano nella direzione opposta alla sua. Liberatasi dalla calca, vide la donna girare un angolo e sparire.
“Aspetta! - gridò inutilmente – Ti devo parlare.”
Ma la sconosciuta non poteva sentirla. Si mise a correre per tentare di raggiungerla, ma nella foga inciampò e cadde a terra. Sentì la mano destra bruciare: per ripararsi il volto l'aveva sbucciata sull'asfalto.
Una ragazza l'aiutò a rialzarsi e le consigliò di andare in infermeria a farsi disinfettare la mano.
“Grazie, ma non ti preoccupare, ho tutto quello che serve nel mio alloggio.”
La ragazza insistette:
“L'infermeria non è molto lontana, farai prima che a rientrare ai dormitori.” E le indicò la strada.
Giunta all'infermeria trovò all'interno un infermiere di colore.
“Buongiorno. Non vorrei disturbare. Ho solo bisogno di un po' di disinfettante ed un cerotto.” Disse mostrando la ferita.
“Non si preoccupi, non disturba. Abbiamo visto cose ben peggiori qui. - Le sorrise gentilmente l'uomo, invitandola ad accomodarsi. - Anzi, con Amy che è stata convocata dal rettore iniziavo ad annoiarmi da solo.”


 

“Ti dico che sono sicura di quello che ho visto! - Sanae sbatté entrambi i pugni sul tavolo, piuttosto seccata – Ho visto Yayoi!”
Nella sala da pranzo della palazzina H regnava ancora il silenzio per l'annuncio effettuato dalla signora Ozora rientrata di corsa e trafelata. I più pensavano che non stesse molto bene o che avesse preso un abbaglio, quasi nessuno riteneva possibile che avesse realmente incontrato Aoba.
Tsubasa, seduto di fronte a lei, cercò di farla ragionare:
“Dai Sanae, tu credi di aver visto Yayoi.”
“Mi prendi per una visionaria?” Non sopportava proprio quando il marito non le credeva.
“Certo che no! - si difese questo – Pensaci, l'hai vista in faccia e le hai parlato?”
La donna fu costretta a scuotere la testa in segno di diniego.
“Era di spalle e lontana, ma ti dico che era lei, i suoi capelli sono inconfondibili. E poi, il modo di camminare.”
“Sanae, non siamo in Giappone, hai idea di quante donne coi capelli rossi possono esserci in un campus universitario come questo? - le chiese Genzo, forse un po' troppo irruentemente per i suoi gusti – Mi sembra un po' poco per scatenare la caccia al fantasma.”
Inaspettatamente anche Hyuga si apprestò a dare man forte al portiere:
“Mi duole ammetterlo, ma Wakabayashi ha ragione: ti sei auto convinta di aver visto Yayoi, ma hai visto un'altra donna.”
Sanae fremeva, era allibita dal fatto che nessuno le credesse. Volevano proprio che Yayoi fosse morta?
“So che ti manca e so che vorresti che fosse ancora qui – intervenne il Capitano, cercando di calmare gli animi – ma non è possibile, lo sai bene. Non farti del male inutilmente, lasciala andare.” Sapeva che la moglie non aveva mai veramente elaborato quanto era successo.
“Dite pure quello che volete: io sono convinta di quello che ho visto!”

Così dicendo si voltò e lasciò la sala, con tutta la grinta di Anego.

 

 

 

Gli spogliatoi del campo da calcio di Princeton erano costruiti in maniera anomala: le stanze per gli ospiti erano situate sotto la tribuna est, mentre quelle per la squadra locale sotto la tribuna ovest, impedendo di fatto alle due squadre di incontrarsi prima di scendere sul campo per il riscaldamento. Anche le due panchine erano posizionate dal lato dei rispettivi spogliatoi, mantenendo la distanza per tutta la partita, ma era tradizione che al termine dell'incontro i due staff al completo si incontrassero a centro campo per scambiarsi i saluti in una sorta di terzo tempo rugbystico. In ognuno dei due lati era presente una stanza privata per l'allenatore, un piccolo ambiente per le medicazioni e due grandi spogliatoi dotati di tutto il necessario. Ovviamente anche gli accessi agli stabili avvenivano da punti opposti.
Tutto ciò favorì Julian Ross che si era lasciato convincere da Bonnie a seguire la partita dagli spogliatoi. Un pc portatile era collocato sulla scrivania della sua stanza: nei suoi eccessi di megalomania il rettore aveva deciso che l'incontro sarebbe stato trasmesso in diretta streaming sulla web-tv del campus, visibile a tutti gli studenti sia nei loro alloggi che sugli schermi dei refettori.
“Eccoci qui coach! - annunciò una delle giocatrici, aprendo la porta seguita dal resto della squadra - Devi darci qualche ultima raccomandazione?”
“Solo una! - Julian sorrise a tutto il gruppo – Divertitevi e cercate di non farvi male. Ricordate che il nostro obiettivo è il campionato, prendete questa partita per quello che è realmente: un'amichevole e niente di più. Per il resto cercate di applicare gli schemi che abbiamo provato.”
La paura che qualcuna delle ragazze si infortunasse seriamente non lo aveva abbandonato del tutto, anche se dalle informazioni trapelate pareva che Mikami avesse deciso di tener in panchina giocatori come Hyuga o Jito.
“Sì coach! Ma perché non vieni in Panchina con noi?”
“Katie, te l'abbiamo già spiegato parecchie volte – intervenne Bonnie – è una questione di principio tra il coach e il rettore.”
Julian chiarì meglio:
“Io e il rettore abbiamo punti di vista molto differenti sulle modalità in cui si sarebbe dovuta svolgere questa partnership con la nazionale giapponese, a cominciare dallo stravolgimento dei nostri orari di allenamento. Quindi fate in modo che il rettore non sappia che sono stato qui.”
Tutte annuirono.
“Ciao ragazze! In bocca al lupo!”
“Amy! Ci sei anche tu?”
La signora Ross entrò nella stanza togliendo la sciarpa e il berretto.
“Non crederete che avrei lasciato da solo questo testone? Soprattutto dopo che stamattina il rettore mi ha convocata nel suo studio affinché lo convincessi a presenziare all'incontro.”
Tutte risero mentre salutava affettuosamente il marito.
“Bene ragazze, è ora di scendere in campo! Jade, tieni il cellulare a portata di mano in panchina in caso debba comunicarvi qualcosa.”
Julian congedò la squadra che si apprestò a scendere in campo scandendo il suo consueto grido di battaglia.
“Che casiniste! – commentò scuotendo la testa quando se ne furono andate – Mi dispiace averti lasciato sola stanotte, ma l'ospedale non mi ha cambiato il turno.”
Amy agitò con noncuranza la mano:
“Non ti preoccupare, Bonnie si sta rivelando una tua ottima sostituta in quanto a compagnia notturna.”
“Adesso sono io quello geloso di lei. Comincio a pentirmi di averle chiesto di non lasciarti da sola.”
“Stupido.”
La donna diede un buffetto al marito, ritenendosi fortunata ad avere accanto un uomo del genere.

 

 

Fortunata. Le avevano detto tutti, alla centrale della polizia, che era stata incredibilmente fortunata. Gli agenti di pattuglia della volante 393 erano scesi dall'auto per acquistare le sigarette al distributore automatico all'angolo del vicolo da cui avrebbe dovuto sbucare lei. Avevano sentito gli spari ed erano accorsi, sparando a loro volta, mettendo in fuga i malviventi. Al loro arrivo avevano trovato un cadavere riverso sulla strada e lei tremante e singhiozzante in un angolo. L'avevano portata in centrale. Suo padre era arrivato di corsa e insieme avevano appreso che l'uomo morto era un esponente della criminalità organizzata, ucciso molto probabilmente da membri di un clan rivale in un'imboscata. Lei era diventata un testimone. Un testimone pericoloso. Non appena fossero risaliti alla sua identità, probabilmente avrebbe avuto la Yakuza sotto casa. Stava arrivando un agente esperto che l'avrebbe aiutata a sparire dalla circolazione.
Aveva ascoltato in silenzio, ma senza realmente comprendere del tutto, ancora sotto shock. Sentiva solo la pressione della mano di suo padre appoggiata sulla sua spalla farsi più pesante.

 

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Capitolo 6
*** 5 ***


L'aria di quel tardo pomeriggio era piuttosto fredda e il cielo coperto aveva costretto ad accendere i fari del campo già per l'inizio di quella strana partita. Hikaru era certo che prima di sera avrebbe cominciato a nevicare, se lo sentiva nelle ossa. Mikami l'aveva schierato a comando del reparto difensivo, perché riteneva corretto onorare le avversarie facendo partecipare parte della formazione titolare che aveva vinto l'ultimo prestigioso trofeo internazionale. Così in campo erano presenti anche Ozora, Misaki e Aoi.
“Sanae, come mai così silenziosa? Stai ancora pensando a prima?” Chiese il difensore all'assistente fisioterapista, che, contrariamente al solito, se ne stava seduta in un angolo della panchina in disparte.
“Sono stata solo una sciocca. - rispose questa con un'alzata di spalle – Ho incontrato la donna dai capelli rossi venendo qui. Inutile dirti che non era Yayoi.”
Il richiamo dell'arbitro li costrinse ad interrompere la conversazione, poiché tutti dovevano entrare sul terreno di gioco. Le squadre si erano accordate per disputare due tempi da 30 minuti l'uno. Tsubasa aveva perso il sorteggio, perciò il calcio d'inizio spettava alle avversarie.
Ad Hikaru fu chiaro fin dal principio che quella che su carta sarebbe dovuta essere una partita semplice non sarebbe stata tale: le ragazze erano brave ed il loro gioco molto organizzato. Quando erano in possesso di palla intessevano una fitta e rapida rete di passaggi ed anche in fase difensiva non erano del tutto malvagie. Certo, in alcuni casi non erano in grado di contrastarli.
Tsubasa, con una stupenda azione individuale era riuscito ad arrivare fin sotto la porta di Princeton e solo un suo errore aveva fatto finire il pallone sul palo, salvando il portiere completamente spiazzato.
Al quindicesimo minuto avvenne ciò che nessuno avrebbe potuto immaginare: dopo una serie di passaggi il numero dieci delle ragazze si ritrovò in una posizione piuttosto favorevole, anche se non del tutto ideale, e fece partire un incredibile tiro ad effetto. La palla volò alta, tutti pensavano che sarebbe uscita oltre la traversa, ma improvvisamente si abbassò, puntando decisa allo specchio della porta. Morisaki si lanciò all'ultimo istante per tentare di salvare la situazione. La palla si insaccò alle sue spalle. La squadra di Princeton era passata in vantaggio.
Le ragazze esultavano al centro del campo, mentre Hikaru e compagni le guardavano sotto shock.

 

 

“Sì!”
Julian strinse il pugno destro, pieno di entusiasmo e di orgoglio per il vantaggio della sua squadra.
“Hey! Non mi avevi detto che Bonnie aveva imparato il Drive shot!” Lo riprese bonariamente la moglie.
“Sinceramente, non lo sapevo nemmeno io. Quella testona alla fine c'è riuscita.”
“Dai, stanno giocando bene tutte. Meglio del previsto.”
“Per ora, ma temo che la partita vera cominci adesso.”

 

 

Dopo il gol subito la nazionale giapponese raddoppiò il suo impegno ed impostò un ritmo di gioco molto più veloce: il tempo delle gentilezze era terminato. Tuttavia le ragazze non erano intenzionate a mollare, dando del filo da torcere agli attaccanti. Princeton non riuscì ad impostare più nessuna azione veramente offensiva, ma riusciva a difendere strenuamente il risultato. Occorse un'azione combinata della coppia d'oro per riuscire a sfondare il muro difensivo: quasi allo scadere del tempo, lanciato da un cross del capitano Ozora, Misaki spedì il pallone sotto l'incrocio dei pali, riportando il risultato in parità.

 

 

Nell'intervallo, alla panchina della nazionale, Mikami, non troppo soddisfatto redarguiva i suoi giocatori:
“Allora, capisco che sia un'amichevole e per voi sia strano giocare contro delle donne, ma si può sapere che vi è preso all'inizio dell'incontro?”
Nessuno osava rispondere, non volevano ammettere di aver preso sotto gamba le avversarie, convinti di poter gestire tranquillamente la partita.
“È stato strano – disse infine Tsubasa – non ci aspettavamo che fossero così preparate.”
“Certo che solo Morisaki poteva farsi fare un gol da una donna.” Commentò sarcastico Hyuga, lanciando un'occhiataccia al portiere che abbassò la testa sentendosi colpevole. Wakabayashi intervenne in difesa del protetto:
“Ma sta un po' zitto, tu che sei stato in panchina fino adesso! Non è stata colpa sua, era la difesa ad essere completamente fuori posto! Avrebbero dovuto fermare prima quella biondina.”
“È stato molto strano. Forse sono suggestionato dal racconto di Sanae. – Hikaru parlò quasi sotto voce, come se si stesse rivolgendo a se stesso – Ho come l'impressione che ci sia la mano di Misugi dietro questa squadra.”
Tutti lo guardarono ad occhi sgranati.
“Che cosa stai dicendo?”
“Pensateci. Sono schierate in campo con il modulo preferito di Jun e non sembra anche a voi che conoscano ogni nostra mossa in anticipo, come se ci avessero visto giocare per anni?”
Misaki gli appoggiò una mano sulla spalla:
“Anch'io ho avuto la sensazione che conoscessero il nostro gioco, ma esistono parecchi video delle nostre partite. Il loro allenatore li avrà studiati.”
“Allenatore fantasma.” Si premurò di sottolineare Kojiro, data l'assenza del misterioso personaggio sulla panchina avversaria.
“Ma non può avere imparato tutto questo in poco tempo. Poi il modulo...”
“Basta. - sbottò Tsubasa spazientito – comincio ad averne abbastanza di questa storia. Hikaru, quel modulo è molto usato, non è e non era un'esclusiva di Misugi.”
“Ma...”
“Niente ma – intervenne anche l'allenatore. - Sono solo suggestioni. Per quanto riguarda la partita, variate di più i vostri schemi di gioco, è evidente che l'avversario ci ha studiati.”
“Sì Mister!” Rispose la squadra all'unisono.

 

 

 

Spronati dalle critiche di Mikami, i giocatori della nazionale condussero il secondo tempo in maniera decisamente differente. Princeton riuscì a tenere loro testa solo per i pochi minuti, ma poi la componente fisica giocò un ruolo rilevante: i ragazzi correvano di più, più velocemente e con più fiato. Nonostante i vari inserimenti di giocatrici fresche le ragazze subirono una goleada. La partita si concluse col risultato di 5 a 1 per il Giappone.
Al loro ritorno negli spogliatoi, più frustate che mai, le ragazze trovarono ad attenderle solo un bigliettino nella stanza dell'allenatore, allontanatosi a dieci minuti prima della fine per non fare spiacevoli incontri:
“Ci vediamo a cena da noi. Amy e Julian.”

 

 

 

Quella sera l'appartamento dei Ross fu invaso da un vivace chiacchiericcio: le giocatrici, chi seduta sul divano, chi per terra, chi su qualche sedia, festeggiavano la fine dell'esperienza con bottiglie di birra alla mano e sushi nei piatti. Amy aveva passato due giorni a cercare gli ingredienti adatti nei supermercati e nei negozi di alimentari del quartiere ed aveva rispolverato le sue nozioni di cucina giapponese, per offrire alle ragazze un assaggio di quel lontano angolo di mondo.
A Julian erano bastate poche parole per risollevare il morale della squadra dopo quella bruciante sconfitta, le conosceva, sapeva su quali tasti battere, ma era anche sinceramente orgoglioso di come avevano in tutti i modi tentato di tenere testa ad un avversario contro cui sulla carta non avevano mai avuto reali possibilità di vittoria.
“Amy, dove hai imparato a fare il sushi?” chiese una curiosa Rachel.
“Al liceo avevo una compagnia di classe di origine giapponese che ci portava sempre dei manicaretti!” Rispose la signora Ross, sorseggiando dalla sua bottiglia di birra.
“Beh coach – Considerò Bonnie, con un hosomaki sospeso nelle bacchette – alla fine un modo per divorare il Giappone in un solo boccone l'abbiamo trovato!”
La risata risuonò nell'appartamento, coinvolgendo anche l'allenatore: nonostante tutte le difficoltà di quella vita, in quel momento si sentiva in famiglia.

 

 

 

La sua famiglia non aveva preso per nulla bene quella notizia, come era da immaginarsi. Soprattutto sua madre, si era rifugiata nel mutismo e non gli rivolgeva la parola dal fatidico momento.
Da solo in camera cercava di racimolare qualche abito da viaggio e anonimo da buttare in un piccolo trolley. L'agente era stato chiaro: potevano portare con sé solo pochi abiti e nessun oggetto personale o ricordo che potesse renderli identificabili. Soprattutto le loro stanze dovevano restare quelle di sempre, da fuori non dovevano dare l'impressione che si trattasse di un trasloco organizzato.
Guardò per l'ennesima volta la foto della squadra, la tentazione di portarsela dietro era fortissima, ma non poteva.
Sei sicuro di quello che stai facendo?” Suo padre lo fissava, a braccia conserte appoggiato allo stipite della porta.
Io la amo. Non posso stare senza di lei.”
L'uomo scrutò il figlio per un istante, poi annuì alla sua determinazione.

Ho parlato con l'agente Fukoshi. Dopo il funerale farò una donazione in beneficenza in ricordo di voi. Con questo escamotage riuscirò a farvi avere del denaro per la vostra nuova vita.”
Il figlio ricambiò lo sguardo del padre.
Grazie papà!”
Vorrei poter fare di più.”






Puff Puff. Anche se un po' in ritardo, sono riusscita a caricare il capitolo anhe questo martedì.
Una precisazione sulla partita: oltre che una sifda uomini contro donne, si tratta  anche di una sfida tra una nazionale ed una squadra di club (tra l'altro universitaria), per cui per me
è più che giustificabile un netto divario tra le due formazioni alla lunga distanza.

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Capitolo 7
*** 6 ***


Hikaru era uscito a passeggiare nel parco cittadino, nonostante fosse ancora molto presto quella mattina: la nevicata della notte aveva trasformato il paesaggio, portandolo ad assomigliare vagamente a quello dell'Hokkaido. Camminare in mezzo alla neve l'aveva sempre aiutato a chiarire le idee e in quel momento ne aveva particolarmente bisogno, per scacciare dalla mente le paranoie del giorno prima. Nell'impeto della partita si era lasciato andare a credere che uno dei suoi migliori amici potesse essere alla guida di quel gruppo di ragazze. Avevano ragione gli altri, sicuramente vari allenatori amavano schierare le loro squadre allo stesso modo in cui era solito fare Misugi e sicuramente esistevano un sacco di video delle loro partite, si era lasciato suggestionare dal vicino anniversario dell'incidente. Una parte di lui ancora non si dava pace per l'accaduto, sperava ci fosse un errore, ma il suo lato razionale sapeva benissimo che non esistevano possibilità che Jun e Yayoi fossero sopravvissuti all'incendio dell'automobile su cui viaggiavano.
Aveva scoperto quell'angolo di verde abbastanza lontano dal campus universitario quasi per caso, durante un pomeriggio di libertà concessogli da Mikami: nel corso dell'allenamento mattutino aveva avuto un piccolo incidente e per prudenza l'allenatore l'aveva esonerato dal turno pomeridiano. Quel giorno il parco era stato pieno di bambini e ragazzini che giocavano allegramente, ora invece era avvolto nella calma che precede l'inizio di una nuova giornata, si percepiva solo il cinguettio di qualche uccellino che si stava risvegliando.
Hikaru camminava lentamente, affondando nella neve ancora morbida. D'un tratto alcune voci lo riscossero dai suoi pensieri facendogli domandarsi chi altri, oltre a lui, avesse avuto l'idea di uscire a quell'ora. Inizialmente le voci gli giunsero quasi ovattate, poi si fecero sempre più chiare, tanto che riuscì a distinguere chiaramente le parole:
“Hey, aspettami!”
“Dai pelandrona! So che puoi andare più veloce di così!”
Matsuyama si fermò di botto, come paralizzato: conosceva quelle due voci. Anche se non le sentiva da anni, sapeva a chi appartenevano, ma non poteva crederci.
“Ricordami perché sono uscita a correre con te, invece di rimanermene a letto.”
Era la voce di lei, non c'erano dubbi.
“Perché mi ami.”
Ora quella di lui, la conosceva troppo bene. Si domandò se non stesse impazzendo, se ora sentiva le voci di qualcuno che dovrebbe essere morto.
“Sei proprio un ruffiano!”
Erano vicini, appena dopo la curva del vialetto, doveva solo camminare, fare pochi passi, ma sentiva le gambe pesanti come macigni.
“Amy, adesso ti prendo.”
Faticosamente Hikaru riuscì a sollevare un piede e a mettersi in movimento. La neve fresca certamente non lo aiutava. Stava per superare il grosso cespuglio che gli occludeva la visuale.
“Julian, dai! Mettimi giù!”
Svoltò e si trovò davanti una coppia che battibeccava allegramente: l'uomo aveva sollevato la donna e questa si divincolava per cercare di tornare a terra. Ridevano entrambi, felici. Hikaru non poteva non riconoscere i due, i lineamenti decisi e lo sguardo fermo di lui, la massa di capelli rossi di lei che usciva ribelle dal berretto di lana.
Cercò di ritrovare la voce:
“Voi... voi... Siete vivi!”

 

Quelle parole pronunciate a poca distanza, obbligarono Julian ad appoggiare al suolo la moglie e a voltarsi verso il misterioso interlocutore. Anche la donna si voltò e sentì il terrore invaderla non appena lo riconobbe.“Non ci posso credere! - boccheggiò l'uomo – Siete davvero voi!”
Julian tentò disperatamente di tirarsi fuori da quel pasticcio:
“Ci conosciamo? Probabilmente ci ha scambiati per qualcun altro.”
“Aoba! Misugi! Vi credevamo tutti morti!”
“Non so proprio di cosa lei stia parlando. - Ross scosse la testa, prese per mano la moglie e fece per avviarsi - Noi ora dobbiamo andare.”
Hikaru sentì lo stupore trasformarsi in rabbia e portarlo a gridare stringendo i pugni:
“Jun! Che cavolo stai dicendo?!”
La coppia si fermò e si lanciò uno sguardo d'intesa, preoccupata da possibili scenate in luogo pubblico, anche se per il momento non c'era traccia di altra gente al parco, ma soprattutto preoccupata che l'uomo andasse a rivelare ad altri quello che riteneva di aver scoperto.
“Hikaru, per favore, abbassa la voce.” Lo invitò alla calma Julian.
“Ora improvvisamente ti ricordi di me?” Ribatté l'altro ironico.
Fu Amy a intervenire, prima che il marito partisse in spiegazioni in quel parco.
“Matsuyama-kun, per favore vuoi seguirci da noi? È meglio parlare al chiuso.”

 

 

Percorsero il tragitto dal parco fino all'appartamento di Amy e Julian nel silenzio più totale. Hikaru ancora stentava a credere alla situazione che stava vivendo e quando salì in ascensore con i due, sentì l'aria intorno a sé farsi pesante e soffocante. Osservò i gesti sicuri con cui Misugi apriva la porta e lo invitava ad entrare, come se li avesse compiuti per migliaia di volte.
“Preparo qualcosa di caldo.”
Amy, dopo essersi tolta il berretto e i guanti, superò la penisola che separava il salotto dalla zona fornelli e armeggiò col bollitore dell'acqua. Julian guidò Matsuyama verso il divano. Questo stava osservando l'abitazione, un piccolo appartamento, ma dotato di tutto ciò che necessitava una coppia.
“Non ve la passate così male per essere dei morti!” Commentò acido. Sentiva una strana rabbia invadergli il corpo e niente di quello che avesse detto o fatto Jun poteva essere sufficiente a giustificare quello che aveva dovuto passare in quegli ultimi anni.
“Hikaru, lascia che ti spieghi...”
“Spiegarmi cosa? - esplose di botto – Che vi siete presi gioco di tutti noi? Vi abbiamo creduti morti in quell'incidente d'auto! Abbiamo sofferto senza di voi e ora salta fuori che eravate a fare la bella vita tranquillamente negli Stati Uniti.”
Julian cercò di calmarlo col suo tono pacato:
“Hikaru, non credere che per noi sia stato facile non potervi dire che stavamo bene.”
“Non cercare di abbindolarmi, Jun Misugi. Appena anche gli altri sapranno rincareranno la dose!”
“No! - lo interruppe deciso – Nessuno deve sapere che siamo ancora vivi, e soprattutto che siamo qui!”
“Oh certo. Dovrei mentire e diventare un bugiardo con tutti come voi due!” Hikaru era sempre più furioso. Decise di uscire immediatamente da quella casa e dirigersi da tutti gli altri per rendere pubblica quella gigantesca truffa. Non riusciva a sopportare che il suo migliore amico della nazionale avesse fatto questo a tutti loro, e soprattutto si sentiva ferito personalmente.
Yayoi percepì il rischio della situazione, arrivò di corsa e afferrò le mani dell'amico con sguardo implorante:
“Hikaru, ti prego, se qualcuno scopre qualcosa ne va delle nostre vite! Credimi.”
“Mi sembra che questa argomentazione sia un tantino abusata da parte vostra!” Rispose al culmine dell'irritazione, ma la donna non pareva disposta ad arrendersi:
“Fingermi morta era l'unico modo per non essere uccisa!” E lo guardò nuovamente, sperando di essere creduta.
“Che... che cosa vuoi dire?” Chiese arretrando un passo, rimanendo fortemente dubbioso.
Jun lo raggiunse alle spalle:
“Amy – indicò la donna – cioè Yayoi, poche notti prima del nostro presunto incidente è rimasta coinvolta casualmente in una sparatoria tra due clan della Yakuza ed è diventata un testimone scomodo. Doveva sparire e mettersi in salvo prima che ci pensassero loro.”
Gli occhi di Yayoi si stavano inumidendo al ricordo di quella notte e di quei giorni:
“Io avrei dovuto sparirmene senza lasciare traccia, ma non sono riuscita a mentire di fronte a Jun, così l'ho coinvolto in questa storia ed ho rovinato pure la sua vita.”
Il marito la raggiunse e la strinse forte:
“Sai che non ti avrei mai lasciato affrontare tutto questo da sola.”
Hikaru, sconvolto da quelle notizie, sentì la necessità di sedersi e si buttò pesantemente sul divano bianco. Il bollitore sul fornello fischiò minaccioso.
“Hikaru – lo chiamò Yayoi – non dire niente agli altri, è troppo pericoloso!”
“Non lo so, non posso decidere ora. Voglio sapere ogni cosa, ogni singolo evento dal giorno del vostro funerale, prima di credervi o meno.” Ribatté con la gola secca.
I due si guardarono ed annuirono. Jun si sedette sul divano accanto all'amico e Yayoi si diresse a prendere l'occorrente per servire il tè: sarebbe stata una lunga chiacchierata.

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Capitolo 8
*** 7 ***


“Ross. Ross! Sei con noi?”
Julian si riscosse dai suoi pensieri: continuava a ripensare a quanto era avvenuto il giorno precedente, quando Hikaru aveva scoperto il loro segreto. Il calciatore, dopo lunghe ore, sembrava convinto della loro spiegazione e aveva promesso di mantenere riservata la questione almeno per qualche giorno, ma non aveva assicurato che sarebbe stato zitto per sempre. Doveva ancora digerire la questione prima di prendere una decisione definitiva.
“Scusi dottore, mi sono distratto un secondo.”
“Ross, sai che in questo lavoro non possiamo permetterci distrazioni.” Lo ammonì il superiore.
“Non accadrà più.” Rispose Julian, prendendo la cartella clinica del prossimo paziente che avrebbero dovuto vedere.
Non passarono molti minuti che il medico fu costretto a richiamare nuovamente l'allievo.
“Ross, è evidente che oggi non sei in te. Solitamente non concedo sconti, ma dato che sei il mio apprendista migliore, dico che non ti senti bene ed è meglio che tu vada a casa. Ti farò sostituire da qualcun altro per oggi.”
“Ma dottore...”
“Niente ma. In queste condiziono rischieresti di essere più d'impiccio che altro. Prenditi una giornata di malattia. È un ordine.”
Julian fu costretto a cedere a malincuore e a lasciare i pazienti al collega già chiamato per sostituirlo. Si rendeva però conto che quella era la soluzione migliore per i pazienti stessi: nonostante ci provasse non riusciva a rimanere concentrato sul lavoro.

 

 

 

Quando arrivò a casa, poco prima dell'ora di pranzo, fu accolto da Amy alquanto stupita:
“Cosa ci fai qui a quest'ora? È successo qualcosa?”
L'uomo scosse la testa per rassicurarla:
“No tranquilla. Solo non riuscivo a concentrarmi e così Walker mi ha esonerato dal suo servizio per oggi.”
“Capisco.” La donna annuì, immaginando cosa stesse passando per la testa del marito in quel momento, pensieri molto simili ai suoi.
“Non credo che Hikaru ci tradirà.” Gli disse, per cercare di confortarlo.
Julian si sedette sul divano, sospirando.
“Non è solo per lui. Ormai un po' troppe persone cominciano a sapere di noi. Cosa succederebbe se si lasciassero sfuggire qualcosa? Anche in buona fede.”
Amy lo raggiunse e si accoccolò accanto a lui, lasciandosi mettere un braccio dietro le spalle da Julian.
“Forse dovremmo andarcene, cambiare di nuovo posto.”
“E lasciare un'altra volta tutto in sospeso.” Il tono dell'uomo era pieno di rammarico e di rimpianto.
La donna chiuse gli occhi e si abbandonò all'abbraccio del marito.

 

 

Restarono uniti per parecchio tempo, finché non suonò il campanello.
“Vado io!”
Amy si alzò e corse ad aprire la porta, con la sensazione che fosse importante. Tuttavia non avrebbe mai immaginato chi si sarebbe trovata davanti. Sbiancò di colpo e balbettò:
“A..a..agente Fukoshi! Come mai qui?”
Sentendo quel nome, Julian si alzò di scatto dal divano e raggiunse l'ingresso dell'appartamento in preda all'ansia:
“Le nostre famiglie stanno bene?”
L'uomo in completo annuì e chiese il permesso di entrare, quello di cui avrebbe dovuto parlare non erano discorsi da pianerottolo.
“Posso offrirle qualcosa?” Gli chiese Amy, recuperando parte del suo ruolo di padrona di casa.
“Sono in servizio, un bicchiere d'acqua andrà bene.”
“Agente, non è il caso di tergiversare ancora. - Julian sentiva l'impazienza crescere dentro di sé, se quell'uomo aveva attraversato l'oceano per vederli doveva essere successo qualcosa di grave. - Cosa è accaduto?”
“Buone notizie. - li spiazzò entrambi con quell'affermazione – In questi anni non ce ne siamo certo stati con le mani in mano. È da un po' di tempo che tramite degli agenti sotto copertura ed alcuni informatori stiamo dando una caccia serrata al clan della Yakuza con cui è rimasta coinvolta la signorina Aoba. Il clan ha avuto un brusco calo di prestigio nell'ambiente ed è stato più facile per noi contrastarlo, molti uccellini hanno cominciato a cantare. In breve la scorsa settimana abbiamo arrestato gli ultimi esponenti di quel gruppo, estinguendolo completamente. Certo, per un gruppo che cade c'è n'è un altro pronto a prendere il suo posto, ma il nuovo clan non ha nulla a che fare con voi.”
Amy e Julian si guardarono increduli, non osando sperare che quelle parole volessero significare anche altro.
“Agente – la donna si fece coraggio – questo vuol dire che...”
“Che potete tornare in Giappone e riprendere le vostre identità. Il tempo necessario per cui l'ufficio svolga tutte le pratiche burocratiche del caso.”
“E si trovi un modo per spiegare la nostra sparizione ai nostri conoscenti!” Esclamò Julian.
Fukoshi annuì, sapendo che quella era sempre la parte più complicata ogni volta che qualcuno aveva la fortuna di poter abbandonare il programma di protezione.
“Ovviamente potrete contattare fin da subito i vostri genitori, ma dovrete aspettare qualche giorno prima di prendere un aereo.”
Ross si alzò e si mise di fronte all'agente:
“Lei sicuramente saprà che la nazionale giapponese è alloggiata nel campus universitario. Ora mi dovrà dare una mano a spiegare la faccenda ai miei vecchi compagni di squadra. Me lo deve, ce lo deve.”

 

 

 

 

 

Hikaru terminò velocemente il pranzo e si alzò dal refettorio per tornare nella sua camera.
“Insomma Matsuyama, che ti succede? Non è da te essere così poco socievole!” Sbottò Hyuga, in fondo preoccupato per lo strano comportamento del compagno che durava ormai da quasi ventiquattro ore.
“Ho un po' di mal di testa. Vado a stendermi in camera prima dell'allenamento.”
Detto questo il difensore uscì dalla stanza e salì al piano superiore, rendendosi conto di essere sul punto di esaurire le scuse per il suo atteggiamento. Tuttavia più restava in compagnia dei ragazzi, più rischiava di farsi sfuggire qualcosa su Jun e Yayoi e, per quanto avesse una gran voglia di rendere pubblica la faccenda, aveva promesso loro di tenere il segreto almeno per qualche periodo.
Entrato in camera si gettò sul letto, continuando a ripensare ai fatti del giorno prima.
Più le ore trascorrevano, più la sua iniziale rabbia lasciava il posto alla comprensione ed aveva cominciato anche a domandarsi quanto una situazione del genere avesse potuto essere difficile anche per i due amici. Fin'ora si era sempre concentrato sul suo dolore, sul fatto che anche il giorno in cui aveva sposato la sua Yoshiko aveva sentito dentro di sé un piccolo angolo di vuoto all'assenza di Jun. Probabilmente anche per l'amico era stato doloroso sapere che non avrebbe più potuto rivederli, che non avrebbe potuto partecipare. Ora che ci pensava, si era stupito molto del fatto che i genitori di Jun gli avessero fatto un regalo per il suo matrimonio, probabilmente era stato il figlio, prima di andarsene, ad esprimere quel desiderio dato che avrebbe dovuto essere il suo testimone.
La testa cominciava veramente a dolergli: non sapeva più esattamente cosa pensare, era preda di diverse emozioni e si sentiva sul punto di scoppiare. Sapeva che la sua lealtà andava ai compagni di squadra ed avrebbe dovuto informarli della situazione, ma la sua lealtà andava anche a Jun e Yayoi, ed un suo errore poteva mettere le loro vite in pericolo.
Il telefono squillò sul comodino e nell'afferrarlo notò essere un numero americano a chiamarlo.
“Pronto?”
“Hikaru, sono Jun.”
Matsuyama rimase per un secondo a boccheggiare.
“Non mi aspettavo mi chiamassi così presto.”
“Devo chiederti un favore.”
“Un altro?”
“L'ultimo. Dopo staremo tutti meglio. Devi organizzarmi una riunione. Ti metterò anche in contatto con una persona.”










Mi scuso per il piccolo ritardo nella pubblicazione di questo capitolo.

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Capitolo 9
*** 8 ***


Hikaru osservò la donna accanto a lui, appoggiata al muro al fondo della stanza: l'aveva riconosciuta subito quando si erano incontrati qualche ora prima per organizzare quella riunione, era il capitano della squadra femminile contro cui avevano giocato, quella che era riuscita a segnare loro un gol.
“Quindi voi avete sempre saputo?” Le chiese, nell'attesa che tutti i compagni e le giocatrici di Princeton prendessero posto nel salone.
Questa scosse la testa.
“No, l'ho scoperto solo io qualche settimana fa, facendo ricerche su di voi. Per la partita.”
Hikaru sbuffò quasi divertito:
“Sei proprio sua degna allieva.”
“Lo spero, ma ora non credo che potrà continuare.”
Il difensore nipponico percepì un punta di rabbia in quella constatazione e si rese improvvisamente conto che se Jun ora decideva di rientrare in Giappone avrebbe significato abbandonare le persone che in quegli anni avevano contribuito a rendere più normale quella vita in fuga.
“Insomma Matsuyama! Vuoi spiegarci perché ci hai convocato qui? E insieme a loro?” Sbraitò Hyuga, cercando di attirarsi la sua attenzione.
“Vorrei saperlo anch'io. Ho di meglio da fare.” Aggiunse Wakabayashi.
Hikaru non si lasciò impressionare e rispose a tono:
“Quando ci sarete tutti, vedrete.”
Occorse ancora qualche istante perché arrivassero tutti, compreso Mikami col suo staff, ed allora Hikaru e Bonnie introdussero nella stanza l'agente Fukoshi. Questi si posizionò davanti alla platea e si presentò.
Per quanto poté osservare Matsuyama, l'uomo aveva preso il discorso molto alla larga, cominciando a spiegare in generale il suo lavoro, cosa comportasse una vita sotto protezione e perché alcune persone ricorressero ad una scelta tanto estrema. Qualcuno dei compagni pareva annoiato da quella lunga premessa, ma il difensore pensò che se, invece di trovarsi davanti per caso Jun e Yayoi, avesse avuto anche lui un'introduzione del genere forse sarebbe stato più disposto a reagire subito in maniera positiva alla scoperta della verità.
Fu quando l'agente annunciò che quell'introduzione era dovuta al caso specifico di persone che tutti in quella sala conoscevano molto bene, che il livello di attenzione si alzò improvvisamente e si caricò di tensione.
Il racconto fu semplice e diretto, senza troppi giri di parole, ma esauriente nei dettagli sulla storia di Yayoi e di Jun. In sala le reazioni erano le più diverse, dallo stupore, alla gioia incondizionata, alla diffidenza, all'incredulità, ma per tutti era chiaro, grazie alla lunga spiegazione, che i due ragazzi dovevano averne passate almeno quanto tutti loro, in termini di sofferenza. Eccezion fatta per le ragazze americane, per cui scoprire che il loro allenatore era stato una stella del calcio giapponese fu un'inattesa e strana rivelazione, l'avevano sempre considerato una persona normalissima.
“Bene. Un'ultima questione – richiamò nuovamente l'attenzione l'agente Fukoshi – Volete vedere i vostri amici?”
Dopo la sorpresa del saperli vivi, il gruppo non ebbe dubbi e all'unisono espresse il parere positivo all'incontro: da una porta laterale furono introdotti Jun e Yayoi.
Nella sala scoppiò la gioia e si scatenò un putiferio, tra i giocatori nipponici si faceva a gara per abbracciare per primi i ritrovati amici, perfino i più burberi si lasciarono andare a manifestazioni di giubilo e a pacche sulle spalle.
“Io lo sapevo, sapevo di aver visto Yayoi aggirarsi da queste parti.” Strillò Sanae al colmo dell'emozione, prima di stritolare l'amica tra le braccia.
Le ragazze americane si erano fatte discretamente da parte, raggiungendo Bonnie.
I saluti di Mikami e dello staff furono più formali, ma pieni comunque di calore.
Alla fine anche Hikaru si lasciò coinvolgere da quell'atmosfera e dimentico delle incomprensioni iniziali si gettò ad abbracciare il proprio migliore amico, maledicendosi mentalmente per aver aspettato due giorni prima di decidersi.

 

 

 

Nel tripudio generale, fu Hishizaki a porre il quesito che più Jun temeva, quello che l'aveva tenuto sveglio per buona parte della notte a discutere con Yayoi:
“Misugi, quando torni a giocare con noi?”
Il momento forse maggiormente temuto dal ritrovato campione: per quanto in quegli anni avesse sempre desiderato poter tornarne in Giappone, ora che la cosa era finalmente fattibile, una strana ritrosia lo aveva invaso.
“Perché non vieni già in Florida?” Fece eco un ancor più entusiasta Shingo Aoi.
I compagni di squadra erano carichi di aspettativa, mentre Mikami pareva più cauto.
Jun strinse forte la mano di Yayoi, a cercare il suo supporto:
“Ragazzi, tutto ciò mi lusinga, ma sono tre anni che non gioco. Devo recuperare per tornare al vostro livello.”
“Suvvia Jun – si intromise Tsubasa – non vorrai dirci che non hai toccato un pallone per tutto questo tempo?”
Misugi sospirò:
“Vi sembrerà strano ma è così. Ho giochicchiato mentre allenavo le ragazze, ma non potevo rischiare di farmi notare da squadre importanti e mettere a rischio la mia copertura.”
“Però puoi venire comunque in Florida – Ishizaki insisteva – Potrai giocare solo qualche minuto nel finale delle partite.”
“Non è così semplice: in questo momento io non sono un cittadino giapponese.”
La notizia lasciò tutti sconcertati,finché l'agente Fukoshi non spiegò:
“Ci vuole tempo per sistemare tutte le questioni burocratiche e un ritorno sotto i riflettori internazionali senza essere ben pianificato può essere controproducente per tutti.”
Anche Mikami annuì a quella spiegazione.
Fu Hikaru a porre una nuova questione:
“Ma tornerai comunque presto in Giappone, no?”
Ecco l'altra domanda spinosa a cui Jun aveva attentamente preparato una risposta, in pieno accordo con la moglie:
“Sinceramente, no.”
Nel salone scese di colpo un silenzio teso, come se una doccia fredda avesse colpito tutti i presenti.
“Voi sapete che tre anni fa, quando abbiamo dovuto fingere di essere morti, abbiamo dovuto interrompere le nostre vite, lasciare incompiuto quello che stavamo facendo. Faticosamente abbiamo ricostruito delle nuove vite qui, abbiamo entrambi un lavoro. Tornare subito in Giappone vorrebbe dire lasciare nuovamente le cose incompiute e noi non ce la sentiamo. Anche per le persone che sono state il nostro nuovo mondo in questi anni.”
Jun cedette la parola alla moglie:
“Questo non vuol dire che non torneremo a casa, vuole solo dire che prima desideriamo concludere ciò che abbiamo cominciato qui. Io terminerò l'anno accademico come infermiera al campus universitario, Jun proseguirà parte del suo tirocinio all'ospedale.”
“E soprattutto – riprese l'uomo – resterò per concludere il campionato universitario. Nella mia vita mai avrei immaginato di allenare una squadra femminile, ma queste ragazze sono state una scoperta e una soddisfazione continua ogni giorno. Ora che abbiamo serie possibilità di vincere il titolo voglio essere con loro quando accadrà, voglio veder realizzato insieme il frutto del nostro lavoro.”
Bonnie e le ragazze si sentirono piene di riconoscenza per quell'attestazione di stima da parte dell'allenatore, che rinunciava a tornare in patria per aiutarle a coronare il loro sogno.
Yayoi aggiunse:
“Ovviamente potremo restare in contatto! Tramite internet e tutto il resto, non siamo più reclusi.”
Anche se un po' recalcitranti, tutti si mostrarono alla fine favorevoli a quella decisione, comprendendo di non avere diritti sulle decisioni riguardanti la vita di Misugi e, soprattutto, comprendendo il suo desiderio di portare a termine un percorso, seppur avviato in maniera poco convenzionale.
In tutto quel discutere l'ora di cena era arrivata e quasi passata, così fu deciso di organizzare, col beneplacito dei due allenatori, una festa nel refettorio della palazzina H: ovviamente Jun e Yayoi furono i festeggiati e gli ospiti d'onore. Le due squadre, la nazionale e Princeton, in quell'atmosfera distesa e serena poterono anche approfondire la conoscenza scambiandosi pareri calcistici o raccontando gli uni alle altre, e viceversa, aneddoti sul calciatore Misugi e sull'allenatore Ross.
Jun rise fino alle lacrime come non gli succedeva da tempo, cercando in alcuni casi di schernirsi da alcune insinuazioni appositamente troppo spinte.
Stringendo a sé la moglie, si sentì nuovamente completo.






Ringrazio tutti coloro che hanno letto e dedicato tempo a questa storia fino a qui: spero di avervi fatto trascorrere dei momenti piacevoli.
Un ringraziamento particolare a chi ha lasciato il suo parere: le vostre recensioni appassionate a questa storia per certi versi semplice, scritta per riprendere confidenza con la scrittura di tipo narrativo, mi hanno fatto molto piacere e non è escluso che prima o poi qualche piccolo spin-off della vicenda principale possa vedere la luce
.
Ora una delle fonti che mi hanno ispirato: si tratta di un film con Sarah Jessica Parker e Hugh Grant, Che fine hanno fatto i Morgan?, una commedia romantica su una coppia in crisi che assiste ad un omicidio e deve rifugiarsi in una minuscola cittadina in mezzo ai monti. Non è un film di prima scelta, ma per occupare un pomeriggio di noia può andare.

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