La via segreta

di blackmiranda
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** III ***



Capitolo 1
*** I ***


Nick sul forum: blackmiranda
Nick su EFP: blackmiranda
Protagonista: Retasu Midorikawa, Quiche Ikisatashi
Pacchetto scelto (se presente): Ombra
Genere: Introspettivo, romantico
La storia inizia dalla fine dell'episodio 39.

 

Alcune precisazioni:

Ho scelto di usare i nomi traslitterati secondo il modo “più giusto”, usato anche nel manga: ad esempio Quiche, Pie e Tart (effettivi nomi di torte) invece di Kisshu, Pai e Taruto (che sarebbero il modo in cui i giapponesi riescono alla meglio a pronunciare le parole inglesi e francesi xD). Allo stesso modo, Retasu/Mew Lettuce (il nome da civile e quello da Mew Mew sono scritti con un sistema ideografico diverso e quindi andrebbero traslitterati diversamente) e Bu-ling/Mew Pudding (Purin è il modo in cui i giapponesi leggono il cinese Bu-ling e la parola “budino” in inglese). Spero che la cosa non vi dia troppa noia. Qui c'è un video che spiega il tutto con un po' più di dettaglio e forse chiarezza: https://www.youtube.com/watch?v=bZrFrALW_OU (lo so, è un casino, non date la colpa a me ma alla Yoshida e alla Ikumi xD).

Presenza di linguaggio scurrile nel primo capitolo (io lo scrivo, non si sa mai xD).

Il dialogo all'inizio del terzo capitolo l'ho recuperato dall'inizio dell'episodio 41.

Non so se la scena verso la fine del capitolo tre sia considerabile lime, io nel dubbio l'ho messo come avvertimento. Anche perché io mi impressiono con poco.

 


 

La via segreta



 

I

 

 

L'acqua si scava la strada anche attraverso la pietra e, quando è intrappolata, si crea un nuovo varco.

(Memorie di una Geisha)

 

“Vedi di non intralciare più i nostri piani.” lo rimbrottò Pie, posandolo senza troppi riguardi sul suo giaciglio. “Deep Blue-sama ti ha già abbandonato e, se continui a metterci i bastoni fra le ruote, lo faremo anche noi.” La sua voce era tagliente, la sua espressione truce: gli lanciò un ultimo sguardo disgustato per poi voltargli le spalle, lasciandolo solo.

Se non fosse stato così debole, così esausto, molto probabilmente gli avrebbe riso in faccia, sputandogli addosso un po' del proprio odio verso il mondo.

Non te l'aspettavi, eh Pie? Tra tutte le variabili che avevi calcolato, io non ero presente. E invece era stato proprio lui a rovinargli il piano, così perfettamente congegnato sotto ogni punto di vista.

Avrebbero ucciso tutte e cinque le Mew Mew in un colpo solo, nel silenzio di un sogno, senza che nessuno se ne accorgesse.

Codardi.

Erano tutti codardi, tutti tranne lui.

Quiche socchiuse gli occhi, la vista offuscata, esalando un lungo e rantolante respiro.

 

 

Ore dopo, non avrebbe saputo dire quante, si risvegliò nella stessa posizione in cui si era assopito. Non si sentiva per niente riposato, ma, realizzò passandosi una mano sulla clavicola, la ferita sembrava aver smesso di sanguinare.

Si alzò a sedere e poi, faticosamente, in piedi. Gli girava la testa.

Poteva percepire la presenza di Deep Blue in ogni luogo di quella dimensione parallela, come se l'aria si fosse appesantita all'improvviso. Era soffocante. Sapeva di esserselo inimicato al di là di ogni possibile riconciliazione.

Al diavolo, pensò amaramente appoggiando la mano tremante ad una colonna erosa dal tempo e dalle intemperie. È troppo tardi per tornare indietro.

Ancora una volta aveva distrutto con le sue stesse mani tutto quello che era riuscito a costruire in anni di lavoro e sacrificio. Questa volta però, a differenza delle precedenti, dubitava seriamente che sarebbe riuscito ad uscirne con un'alzata di spalle e qualche battuta sarcastica.

Questa volta aveva bruciato tutto, tutti i suoi legami con il proprio pianeta e la propria gente. Questa volta era irrimediabilmente, definitivamente solo. E la realizzazione lo spaventò più di quanto avrebbe mai voluto ammettere.

Digrignò i denti, avanzando di qualche passo, la mano sinistra stretta convulsamente al di sotto del collo, le dita diafane aggrappate alla maglia sbrindellata. Doveva andarsene da lì. Non tollerava più che Deep Blue spiasse ogni suo movimento.

Si tuffò nel portale, passando istantaneamente da un mondo a lui ostile ad un altro altrettanto inospitale, con il suo incessante rumore di traffico, le luci accecanti e i milioni e milioni di abitanti brulicanti tra gli enormi edifici. Planò sulla cima del grattacielo più vicino, illuminato dalla luce aranciata del tramonto. Se il sole stava tramontando, pensò raggomitolandosi su sé stesso con fatica, voleva dire che come minimo era trascorso un giorno da quando aveva perso coscienza: ricordava bene il buio della notte precedente, quando aveva a malapena trovato la forza di risalire l'edificio su cui Ichigo...

No, non voglio pensarci, fece a sé stesso accompagnando quella muta protesta con un movimento nervoso del capo.

Quella maledetta ingrata...aveva fatto di tutto per lei...si era fatto terra bruciata intorno, per lei...avrebbe fatto qualsiasi cosa per lei, se solo glielo avesse chiesto.

Ma lei non chiedeva niente. Rifiutava e basta.

Quiche prese a fissare il sole che lentamente spariva dietro l'orizzonte, fino a che i suoi occhi lacrimarono e la vista gli si oscurò.

 

***

 

Il sole era già tramontato da un pezzo quando Retasu si decise finalmente ad uscire dalla biblioteca in cui si era rintanata per tutto il pomeriggio. Era il suo giorno libero al Café e aveva saggiamente deciso di approfittarne per studiare. Quasi non si era accorta del tempo che passava, immersa com'era nei libri di geologia e negli appunti che stilava progressivamente in grafia fitta e minuta – sospettava di starsi ulteriormente rovinando la vista, ma, per quanto si sforzasse, proprio non le riusciva di scrivere più grande.

La biblioteca si era svuotata a mano a mano che si avvicinava l'orario di chiusura. La ragazza lanciò un'ultima occhiata all'edificio alle sue spalle, la cui luce giallastra si spandeva sull'asfalto del marciapiede, per poi iniziare a camminare a passo spedito verso casa.

Lanciò un'occhiata all'orologio: erano quasi le dieci di sera. Solo allora si accorse di stare morendo di fame: come le succedeva sempre quando era presa dalla lettura, si era bellamente scordata di mettere qualcosa sotto i denti.

Quasi inconsciamente, accelerò il passo, stringendo la presa sulla cartella marrone dalle fibbie argentate. Piccole nuvole di vapore acqueo si condensavano nell'aria fredda ad ogni suo respiro. Avrebbe potuto prendere la metropolitana, ma in fondo la biblioteca non distava molto da casa sua e una camminata le avrebbe solo fatto bene: da quando era diventata una Mew Mew, tenersi in forma era diventato essenziale. Si aggiustò la sciarpa arancione sul collo, ben attenta a non prendere freddo.

Il suo pensiero volò istintivamente alla madre, che, sebbene fosse abituata a vederla rientrare tardi dalle sessioni di studio, si rifiutava sempre di andare a dormire se prima non l'avesse saputa a casa sana e salva. Di solito la trovava in cucina, addormentata sulla sedia, con le braccia e la testa posate sul tavolo. Sorrise debolmente quando l'immagine le passò nella mente in un flash improvviso.

Yomogi Midorikawa era stata felicissima di sapere che in quei mesi sua figlia si era fatta delle nuove amiche e di vederla uscire di casa sempre più spesso col sorriso sulle labbra.

Se solo sapessi quanto sono cambiata, mamma, pensò Retasu tra sé e sé mentre si fermava ad un attraversamento pedonale, in attesa del verde. Forse non mi riconosceresti neanche.

Nel mentre, un gruppo di chiassosi ragazzi che emanavano un vago odore di alcol le si avvicinò, ma Retasu non ci prestò troppa attenzione: stava programmando mentalmente tutti i suoi impegni del giorno dopo e allo stesso tempo ripassava tra sé e sé la lezione di inglese di quella mattina.

Il semaforo pedonale scattò e Retasu riprese a camminare, attraversando l'incrocio trafficato con la prudenza che la contraddistingueva e lanciando nel mentre svariate occhiate a destra e a sinistra: non si era mai troppo sicuri.

Fu solo quando si fu allontanata dal centro e i rumori della Tokyo urbana si fecero più radi che si accorse che il gruppetto di ragazzi le stava ancora alle calcagna. Senza osare voltarsi indietro, accelerò un po' il passo, irrigidendosi. Cercò di tranquillizzarsi dandosi della paranoica: non era mica detto che la stessero seguendo o che volessero qualcosa da lei, in fondo...magari erano solo quattro amici usciti per una serata in compagnia che casualmente stavano facendo la sua stessa strada.

Deglutì, mentre le loro risate e i commenti sguaiati le ferivano le orecchie. Il suo cuore prese a battere freneticamente, mentre il suo istinto le gridava silenziosamente di scappare a gambe levate.

Oltrepassò un lampione ronzante, poi un altro, poi un altro ancora. Di auto ce n'erano poche in giro in quella strada secondaria, e di gente a piedi ancora meno.

Senza farlo apposta, finì per sincronizzare la sua andatura con i battiti del proprio cuore. Ogni passo che faceva la portava più vicina a casa, più al sicuro...ma quelli, a quanto sembrava, avevano le gambe più lunghe di lei.

“Ehi, carina!” la apostrofò d'un tratto uno di loro, ma Retasu finse di non averlo sentito, il sangue che le fluiva dritto alle guance. Continua a camminare, non fermarti. Non guardarti indietro.

“Dai, non fare la timida! Vogliamo solo fare quattro chiacchiere!” continuò il ragazzo, mentre gli altri ridevano come un branco di iene.

L'ansia minacciava di ingoiarla in un sol boccone. Eppure era così vicina a casa...se si fosse messa a correre sarebbe riuscita a seminarli...

“Che carina, con le treccine e gli occhiali. Sei una ragazza studiosa, eh?” la provocò un'altra voce, più acuta della precedente. Una voce troppo vicina per i suoi gusti.

Prese un paio di respiri profondi, preparandosi a iniziare a correre. Si augurò che il lungo cappotto blu scuro con gli alamari bianchi non le intralciasse troppo i movimenti...

In quel momento, quasi si trattasse di un angelo giunto in suo soccorso, una figura sbucò dalla semioscurità della strada. Retasu sgranò gli occhi, fermandosi di colpo, ma il sollievo che provò durò solo un istante: il profilo di quelle lunghe orecchie ai lati della testa era inconfondibile, così come lo erano i due sai che la figura teneva in mano, lunghi distesi contro i fianchi sottili.

Retasu gemette, l'ansia che rischiava seriamente di mutarsi in panico, mentre i ragazzi alle sue spalle, beatamente ignari del pericolo, la raggiungevano producendosi in esclamazioni di trionfo e incredulità. “Ti va di divertirti un po' con noi, piccola?” la blandì quello che sembrava essere il capo, accarezzandole lascivamente il braccio sinistro.

La ragazza gemette di nuovo, sottraendosi a quello sgradevole contatto. La paura che provava in quel momento era tale che le sembrava di aver perso l'uso della parola. Non aveva mai affrontato Quiche da sola, ed era certa che non fosse certo lì per scambiarsi i convenevoli. Inoltre, avrebbe dovuto trasformarsi, ma c'erano dei testimoni che, per quanto ubriachi potessero essere, l'avrebbero comunque vista...

“Dai, non fare la difficile...” continuò il tizio, afferrandole il braccio, con un sorriso storto e volgare sul viso anonimo, la camicia da figlio di papà stropicciata sotto la giacca in pelle marrone. Gli altri la circondarono come avvoltoi.

All'alieno di fronte a sé sfuggì una mezza risata, secca e tagliente. “Perché non ti trasformi e non li prendi a calci in culo?” la schernì, avanzando con passo malfermo, gli occhi da felino che brillavano sinistramente nella penombra.

Solo allora i cinque ragazzi si accorsero della sua presenza, corrugando la fronte all'unisono. “E tu chi cazzo sei?!” esclamò il leader, senza lasciare la presa sul braccio di lei.

Quiche fece un altro passo avanti, emergendo alla luce. Era, se possibile, ancora più pallido del solito, con un'espressione febbricitante sul volto dai lineamenti aguzzi. La maglia che indossava era strappata all'altezza della clavicola sinistra, e una irregolare macchia scura aveva tinto di nero il marrone della stoffa.

Uno dei ragazzi alla sua destra sbuffò. “È solo un cazzo di cosplayer che gioca a fare l'eroe.”

“Vattene a casa, ragazzino, se non vuoi finire male.” lo incalzò un altro tizio, finendo in un'unica sorsata una lattina di birra mezza vuota.

“Stupidi umani!” esclamò l'alieno, la voce impastata. “Meritate solo di morire...tutti quanti voi...” continuò, abbassando il tono di voce fino a che non sembrò molto simile ad un ringhio. La testa gli ciondolava sul petto, come se fosse quasi sul punto di svenire.

E poi, di colpo, così veloce che il cervello di Retasu faticò a registrarne i movimenti, si scagliò su tutti loro. La ragazza, terrorizzata, ruppe il suo mutismo gridando freneticamente: “Mew Mew Lettuce, metamorphosis!

La luce verde della trasformazione rischiarò il buio della notte, mentre la Mew Mew socchiudeva gli occhi e distendeva gli avambracci che, in un gesto automatico di difesa, aveva portato di fronte al viso pochi istanti prima. Udì delle grida, seguite da imprecazioni, e quando riaprì gli occhi, il cuore in gola e le vesti di Mew Lettuce indosso, vide che Quiche aveva ferito alla spalla uno dei ragazzi mezzi ubriachi. Un paio di loro si stava già dando alla fuga, un altro paio aveva sfoderato dei coltelli da chissà dove, e il capo che poco prima la guardava con lascivia ora la stava squadrando a bocca aperta, esterrefatto.

La ragazza non ebbe il tempo di dire o di fare alcunché, che Quiche si scagliò nuovamente contro i due tizi armati di coltelli. In un primo momento temette per le loro vite, ma poi si rese conto che i movimenti dell'alieno erano tutto fuorché coordinati, e si chiese se non risentisse ancora della ferita inflittagli da Ao no Kishi. Le tornò alla mente lo spettacolo pietoso della sera precedente, quando Quiche era praticamente svenuto, delirante, tra le braccia di Ichigo.

Quell'alieno doveva stare soffrendo molto, realizzò ammutolita mentre i due ragazzi, incitati dal capo e resi spavaldi dall'alcol, stavano quasi per avere la meglio su di lui.

La scena aveva un che di incredibile. Se si fosse scontrato con Ao no Kishi in quelle condizioni, era certa che il loro misterioso alleato lo avrebbe fatto a pezzi. In tutto ciò, lei era ancora una volta bloccata sul posto, indecisa sul da farsi. Ad un tratto vide Quiche barcollare pericolosamente, e fu allora che qualcosa scattò dentro di lei.

Fu come se il suo cervello avesse improvvisamente impostato il pilota automatico. Senza pensare, il suo corpo agì da solo, in completa autonomia, ed il Ribbon Lettuce Rush colpì con forza tutti e tre, ponendo fine a quella schermaglia.

Avvertì il gemito di dolore dell'alieno e una fitta di rimorso le pizzicò la nuca. Lei detestava combattere: odiava fare del male a chicchessia, e a quanto sembrava gli alieni non facevano eccezione.

Vide che li aveva atterrati, tutti e tre, mentre il capo le sbraitava addosso parole che l'avrebbero fatta scoppiare in lacrime se la situazione non fosse stata così bizzarra. I due ragazzi, riversi al suolo, si mossero a fatica, completamente fradici, mentre Quiche non dava segni di vita.

“Ma che cazzo, ma che cazzo...” ripeteva intanto il leader di quel gruppo di piantagrane, affondando le mani tra i capelli neri a spazzola. Mew Lettuce gli lanciò una severa occhiata di avvertimento, incrociando le braccia di fronte al petto, le nacchere ancora strette tra le mani. Quello parve capire e tagliò la corda, seguito ben presto dai suoi compari, acciaccati e gocciolanti.

La ragazza rilassò i muscoli, portando le braccia lungo i fianchi ma tenendo sempre le proprie armi a portata di mano. Cercò di calmarsi, modulando il respiro, il sangue che le rimbombava iroso nelle orecchie. Ce l'aveva fatta...ce l'aveva fatta!

...ma cosa aveva fatto, di preciso?

Sgranò gli occhi mentre la consapevolezza delle proprie azioni le cadeva addosso con il peso di un macigno. Aveva appena attaccato degli esseri umani...aveva appena usato i propri poteri da Mew Mew contro la sua stessa specie, contro coloro che aveva sempre giurato di proteggere. Vero che erano dei farabutti che se la prendevano con le ragazzine, ma erano comunque umani, e lei...

La voce leggermente metallica di Keiichiro, uscita all'improvviso dal medaglione che portava al collo, la fece sobbalzare violentemente. “Retasu, tutto bene? Ci è arrivato il segnale della trasformazione...”

La ragazza rischiò l'infarto. Se l'avessero scoperta, cosa le avrebbero detto? Cosa le avrebbero fatto? Cosa avrebbero detto le altre...Ichigo? Se avessero saputo che...

“Retasu?” la chiamò nuovamente lo scienziato, con evidente preoccupazione.

“Sì!” rispose lei, gli occhi verdi fissi sul corpo immobile dell'alieno a pochi metri da lei. Giaceva su un fianco, le ginocchia leggermente piegate, le braccia raccolte vicino al petto. I sai sembravano essersi volatilizzati nel nulla. “Sì, sto bene, tutto a posto!” continuò con voce stridula.

“Come mai ti sei trasformata?” le chiese Keiichiro, paziente.

Mew Lettuce tentennò. “C'era...un Chimero, ma l'ho eliminato. Non era...non era molto forte. Ora torno a casa...”

“Hm. Va bene. Lì ora è tutto tranquillo? Sei ferita?”

La ragazza annuì debolmente. “Tutto ok, sto bene. Devo andare a casa, è tardi!” ripeté con maggiore convinzione. Era davvero tardi, sua madre si sarebbe preoccupata...

“Capisco. Bene, allora buon rientro, ci vediamo domani al Café.” fece l'uomo terminando la chiamata.

Mew Lettuce si posò una mano sul cuore, che batteva ancora all'impazzata. Si guardò intorno, assicurandosi che non ci fosse nessuno, dopodiché posò di nuovo lo sguardo su Quiche.

Non riusciva a razionalizzare quello che era appena accaduto. La testa le girava come una trottola impazzita e i pensieri le si accavallavano nella mente come le onde di un mare burrascoso.

Non riusciva a vedere, da quella distanza, se l'alieno respirasse ancora. Non sapeva se gli alieni respirassero, in effetti.

E se l'avesse ucciso? Le mancò il fiato a quella prospettiva. No, non poteva averlo ucciso..! Lei non sarebbe stata mai in grado di uccidere nessuno: persino gli insetti, ai suoi occhi, meritavano di vivere: quando un ragno o una cimice si intrufolavano nel Café o in camera sua, faceva di tutto per spingerli fuori dalla finestra senza schiacciarli, raccogliendoli con l'ausilio di un fazzoletto o di un pezzo di carta.

Fece un passo in avanti, pronta a reagire al minimo segno di vita da parte dell'alieno.

E se, da un momento all'altro, Pie o Tart fossero comparsi sopra di lei, avessero visto cosa aveva fatto e l'avessero attaccata? Il pensiero la raggelò sul posto, spingendola a scrutare il cielo buio alla frenetica ricerca di un qualsiasi movimento.

Trascorsi una manciata di minuti, iniziò a sentirsi ridicola.

Si era messa proprio in un bel guaio, realizzò riprendendo cautamente a camminare in direzione dell'alieno a terra, le mani sudate strette attorno alle nacchere. Ogni minuto che passava rischiava sempre più che Quiche si riprendesse e la attaccasse. Sempre se non era in fin di vita, o peggio già morto...

Quando gli fu a pochi centimetri, trattenendo il fiato per l'apprensione, si inginocchiò per esaminarlo meglio. La prima cosa che fece, lentamente, con la mano destra che le tremava, fu cercare di ascoltare il battito cardiaco dell'alieno. Scostò delicatamente il ciuffo di capelli verde scuro che gli copriva il collo e si accorse che la ferita alla clavicola, orribilmente incrostata di sangue secco e sporco, aveva ripreso a sanguinare.

Si lasciò sfuggire un gemito, mentre gli occhi le si inumidivano. Era in uno stato pietoso, e tutto a un tratto le sembrò così fragile, così...umano.

Il suo cuore batteva, seppur flebilmente, notò con immenso sollievo posando i polpastrelli freddi sulla pelle ancora più fredda di lui, appena sopra quella che, a rigor di logica, doveva essere la carotide.

Che cosa avrebbe dovuto fare? Che cosa avrebbero fatto le altre, se fossero state al suo posto? Le tornò alla mente l'espressione incredula di Ichigo quando Quiche, dopo averla minacciata per l'ennesima volta, le era rovinato addosso, la voce spezzata e il viso scavato dalla sofferenza e dalla stanchezza. Lei e le sue compagne erano rimaste a guardare la scena senza fare né dire alcunché, ma a Retasu si era stretto il cuore, nonostante tutto.

Pietà, ecco cosa provava nei confronti di quell'essere così imperscrutabile, così estraneo a tutto ciò che lei definiva normale. Sotto tutti gli strati di paura, di timore, di ribrezzo, di odio, in fondo a tutto quanto, come la speranza nel vaso di Pandora, c'era la pietà.

Ritrasse la mano, mordendosi il labbro. Cosa avrebbe potuto fare? Temeva troppo il giudizio degli altri per chiamarli e ammettere non solo di aver commesso un'azione riprovevole, ma di aver pure mentito al riguardo.

Si chiese se Minto, o Zakuro, o Ichigo sarebbero state capaci di abbandonarlo su quell'asfalto gelato e andarsene senza guardarsi indietro.

Non conosceva la risposta a quella domanda – forse non avrebbe mai voluto conoscerla - ma una cosa la sapeva di certo: lei non ne sarebbe mai stata in grado.

Non poteva semplicemente ignorare che l'alieno ai suoi piedi rischiava l'assideramento, o la morte per dissanguamento.

Non poteva semplicemente lasciarlo al suo destino solo perché erano nemici.

Non poteva lasciarlo lì.         

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Capitolo 2
*** II ***


 II


 

 

Quiche sbatté le palpebre una, due, tre volte. Non riusciva a mettere a fuoco nulla di ciò che lo circondava; vedeva solo bianco sopra di sé e non capiva di cosa potesse trattarsi.

Se fosse stato azzurro, pensò confusamente, si sarebbe potuto trattare del cielo terrestre. Magari, si disse, era bianco perché era nuvoloso...

Dopo un altro paio di deboli tentativi, si arrese. Era così stanco, voleva solo dormire, dormire, dormire, fino a dimenticare tutto, fino a dimenticare sé stesso.

Chiuse gli occhi. Non aveva neanche la forza di sognare.

 

***

 

Retasu tornò a casa in fretta e furia, quel pomeriggio. Si era giusto fermata in farmacia a fare scorta di garze e acqua ossigenata, pregando di non imbattersi in nessuno di sua conoscenza che pretendesse di informarsi sul perché le servissero tali oggetti.

Quella notte non aveva chiuso occhio, la mattina a scuola era riuscita a stento a mantenere una facciata di presentabilità e il pomeriggio al Café era stato un vero incubo.

E tutto perché la sera prima aveva deciso di portarsi a casa l'alieno svenuto e di medicarlo come meglio poteva, con il disinfettante e i cerotti che era riuscita a racimolare nell'armadietto del bagno.

Quiche non aveva mosso un muscolo: era come se fosse catatonico. La ragazza aveva trascorso una buona mezz'ora a chiedersi se per caso non fosse entrato in coma, rischiando di andare in iperventilazione nel mentre.

Quella mattina l'aveva lasciato sul proprio letto, profondamente addormentato, il petto magro e pallido che si alzava e si abbassava ritmicamente. La ferita era ben lungi dall'essere guarita, ma almeno era un po' più pulita rispetto a prima.

Retasu era sempre stata una ragazza coscienziosa e degna di fiducia: per questo i suoi genitori non avevano fatto domande quando, uscita dalla propria camera da letto, si era chiusa a chiave la porta alle spalle.

La sera precedente era miracolosamente riuscita a non svegliare sua madre mentre trascinava a fatica l'alieno svenuto su per le scale che conducevano al primo piano. Rischiando di soffocare nel tentativo di tenere a bada il fiatone, era poi scesa nuovamente e aveva finto di essere appena rientrata a casa, facendo volutamente più rumore del solito per destare Yomogi dal sonno in cui era sprofondata, la testa e le braccia poggiate sul tavolo della cucina.

Quel pomeriggio, senza neanche rendersi conto della strada che aveva percorso da quando era uscita dal Café, Retasu si era trovata faccia a faccia con la porta di casa, un doloroso crampo che le attanagliava lo stomaco. Cosa aveva fatto? In che diamine di guaio si era cacciata?, si domandò per la millesima volta. Non avrebbe potuto resistere a lungo, lo sentiva. Già quel pomeriggio era stata perennemente sul chi vive, e poteva scommettere che Bu-ling e Zakuro avessero subodorato che qualcosa non andava. Prima o poi si sarebbe lasciata sfuggire qualcosa, e allora...avrebbe deluso tutti, si sarebbe fatta cacciare con disonore dalla squadra...avrebbe perso le uniche vere amiche che aveva mai avuto...

Gli occhi le si inumidirono mentre distoglieva lo sguardo dall'uscio, puntandolo in direzione del sole morente. Quella giornata le era parsa lunghissima, e sentiva che il peggio doveva ancora arrivare.

Sospirando, afferrò la maniglia argentata della porta e la abbassò lentamente, il cuore che le rimbombava nella cassa toracica. La porta si aprì senza il minimo rumore, scivolando silenziosamente sui cardini ben oliati.

Tutto, a casa sua, era come sempre in perfetto ordine. Ogni cosa al suo posto, due genitori amorevoli, un fratellino educato e studioso e una sorella maggiore coscienziosa e affidabile...almeno fino alla sera precedente, rifletté amaramente facendo un passo in avanti. 

Uri la salutò dalla cucina, dove stava facendo i compiti con l'aiuto della madre. Yomogi le rivolse un sorriso dolce. “Bentornata tesoro, ti va una fetta di torta?” le chiese, completamente ignara del reale stato d'animo della figlia.

Retasu rifiutò educatamente. “No, grazie. Mangio già abbastanza dolci al Café.” cercò di sdrammatizzare, ma non era certa che il suo tono di voce fosse credibile. “Vado a studiare anche io.” si congedò rivolgendo un sorriso nervoso al fratellino. Bugie, quante bugie.

Dopo essersi tolta le scarpe in ingresso, prese a salire le scale, facendo meno rumore possibile. Le soffici pantofole azzurre che calzava le facilitarono il compito, ma non poté fare a meno di chiedersi quanto i sensi di un alieno fossero superiori rispetto a quelli di un essere umano.

Sapeva così poco di loro, si rese conto mentre, col cuore in gola per l'apprensione, infilava la chiave un po' arrugginita nella toppa e girava, facendo scattare la serratura.

La sua mano sinistra volò istintivamente al medaglione, freddo e liscio, che teneva nella tasca della gonna della divisa scolastica. Pregò che l'alieno non si fosse svegliato in sua assenza o, in alternativa, che si fosse svegliato e se ne fosse andato, liberandola da quella situazione spinosa.

Aprì la porta lentamente, sbirciando da dietro lo stipite. L'interno della sua camera era quasi totalmente illuminato dai raggi del sole, che tingevano tutto di un rosso sanguigno; si augurò che non fosse un brutto presagio.

Il suo letto era ancora occupato, realizzò azzardando un passo in avanti. Quiche era immobile, esattamente come l'aveva lasciato quella mattina, dopo la notte praticamente insonne che aveva passato a vegliarlo. Retasu sospirò, chiudendosi la porta alle spalle e appoggiandovi la schiena.

Perché lo stava facendo?, si chiese per l'ennesima volta mentre, cautamente, si toglieva la cartella di dosso e recuperava le garze e il disinfettante. Lui era IL nemico, il cui scopo era annientare tutti loro. E come se non bastasse, le sembrava che fosse diventato sempre più aggressivo a mano a mano che le battaglie proseguivano, specialmente nei confronti di Ichigo. Arrossì solo al pensiero del modo in cui lui si comportava con Ichigo...era così violento, così imprevedibile, così passionale in tutto quello che faceva, che quasi sfiorava la pazzia. Eppure, rifletté girandosi a guardarlo, privo di sensi com'era in quel momento, pareva solo un ragazzo ferito, esausto, smarrito.

Retasu si chiese se Pie e Tart lo stessero cercando. Conosceva il motivo per cui loro stavano attaccando la Terra: sapeva che sul loro pianeta freddo e distante, più freddo e distante di Plutone e della sua solitaria luna Caronte, c'erano persone che li aspettavano, persone che avevano bisogno di loro e che li amavano, esattamente come sua madre, suo padre e il suo fratellino amavano lei.

Si chiese, intenta ad osservare l'alieno dormiente, se nei suoi panni non sarebbe impazzita anche lei.

Fu in quel momento che un pensiero le sfiorò la mente, restando intrappolato nella rete delle sue congetture e dei suoi dubbi: forse avrebbe potuto parlargli...forse sarebbe riuscita a ragionarci. A trovare una strada alternativa, a evitare la guerra una volta per tutte.

Sapeva che Zakuro, Ryou e Ichigo non avrebbero approvato. Ma in quel momento non c'erano: non c'era nessuno lì con lei, nessuno che potesse giudicarla o farla desistere dai suoi propositi. Forse avrebbe potuto prendere in mano la situazione, una volta tanto, e mettere in pratica quello che le suggeriva la propria coscienza.

Ogni volta che combatteva - ogni volta che udiva un grido di dolore, che fosse il proprio, quello di un'amica o quello di un avversario -, tutto quello che Retasu avvertiva era un  profondo senso di ingiustizia. Il suo cuore - no, tutto il suo essere - le suggeriva che doveva per forza esserci una via alternativa. E se non ci fosse stata, pensò avvertendo un improvviso quanto insolito senso di fiducia nelle proprie capacità, se la sarebbe creata dal nulla.

Impugnò con rinnovata energia il barattolo di acqua ossigenata ancora sigillato, si trascinò dietro la sedia della scrivania e si sedette al capezzale dell'alieno. Le palpebre dalle ciglia scure erano abbassate ma non serrate, segno che almeno non stava soffrendo. Respirava con la bocca semiaperta, da cui si intravedevano i canini appuntiti tipici della sua specie.

Quante cose avrebbero potuto imparare gli uni dagli altri, se solo non ci fosse stata quell'insensata guerra di mezzo...Retasu lasciò vagare il suo sguardo sulle membra esili del ragazzo. Era così magro, rifletté, e realizzò improvvisamente di non averlo nutrito in alcun modo. Solitamente, quando un paziente non è in grado di mangiare da solo, lo si nutre con l'ausilio della flebo, ma lei naturalmente non possedeva un'attrezzatura del genere e andare all'ospedale era fuori discussione.

Almeno un po' d'acqua...,pensò, ma poi un altro dubbio la distrasse: gli alieni bevevano acqua? Cosa mangiavano? Non era sicura che il cibo terrestre fosse commestibile, per loro.

Sospirò, svitando il tappo del disinfettante. Come infermiera, non c'erano dubbi, era proprio un disastro.

Si sporse un po' più vicino, scostando i cerotti che, con mani tremanti, aveva applicato sulla ferita la sera prima e che si erano già semi-staccati da soli. Aveva fatto bene a comprare le garze, si disse mordendosi il labbro alla vista della profonda lesione dai bordi irregolari. Ao no Kishi non si era certo risparmiato...

Socchiudendo gli occhi, iniziò delicatamente a versare l'acqua ossigenata che, a contatto con la ferita, quasi istantaneamente produsse le caratteristiche bollicine bianche, segno che il taglio era ancora infetto.

Acqua che cura, come la Mew Aqua...

Non fece in tempo a terminare quel pensiero che Quiche riprese i sensi all'improvviso, spaventandola a morte. Il barattolo di plastica le sfuggì di mano, cadendo a terra, mentre l'alieno si tirava su a sedere in un unico, fulmineo movimento e le sue mani diafane le si avvolgevano attorno al collo in una morsa ferrea. Retasu sentì la voce e il fiato mancarle, gli occhi sbarrati e fissi sul volto ferino del ragazzo.

Dopo che l'ebbe messa a fuoco, Quiche la scrutò con malcelata sorpresa, allentando giusto un po' la stretta sul suo collo.

“Che stai facendo?!” sibilò, le pupille verticali ridotte a due sottili fessure nere. Staccò una mano dal collo di lei e se la passò sulla ferita, confuso e chiaramente diffidente.

Retasu prese fiato, alzando le mani in segno di resa. “Io...i-io stavo...d-disinfettando la ferita.” pigolò, costringendosi a non distogliere lo sguardo dal volto di lui. “Non...non voglio farti del male...” tentò, con voce supplichevole. Sentiva il battito frenetico della propria carotide sul palmo della sua mano fredda. Ti prego, non farmi del male...

Corrugando la fronte, l'alieno lasciò lentamente la presa, alzandosi in aria subito dopo, fino quasi a toccare il soffitto della sua stanza con la testa. Retasu, in tutta risposta, scattò in piedi, rovesciando la sedia, e arretrò fino a raggiungere la porta, massaggiandosi delicatamente la gola ammaccata.

Si osservarono in silenzio per alcuni istanti, lei atterrita e incerta sul da farsi, lui sospettoso e incredulo al contempo. La ragazza si portò una mano sul cuore, cercando di calmarsi. In meno di un minuto Quiche era riuscito a spaventarla come non mai. Le ci volle tutto il suo sangue freddo per non precipitarsi a capofitto fuori dalla stanza. E adesso che si era svegliato, cosa sarebbe successo?

L'alieno si abbassò quel tanto che bastava per guardare fuori dalla finestra. “Dove siamo?” chiese in tono sgarbato, fluttuando ad una manciata di centimetri al di sopra del letto in cui fino a poco prima stava dormendo serenamente.

Retasu deglutì. “Camera mia. Casa mia.” fece con voce acuta, sentendosi estremamente ridicola nel pronunciare quelle parole. Abbassò la mano sinistra fino all'orlo della gonna grigia, assicurandosi che il medaglione per la trasformazione fosse ancora lì a portata di mano.

Quiche distolse lo sguardo dal paesaggio urbano fuori dalla finestra, chinandosi a raccogliere l'acqua ossigenata, che nel frattempo si era spanta per una buona metà sul tappeto bianco ai piedi del letto. “Perossido di idrogeno.” sillabò, gli occhi dorati socchiusi. “Brucia.” commentò, inclinando il contenitore verso il pavimento per versare il liquido rimanente.

“Aspetta, non farlo..!” esclamò Retasu, gettandosi in avanti con le braccia tese. “È vero che brucia, ma serve a disinfettare la ferita...”

Quiche si bloccò, riportando la sua attenzione su di lei. La ragazza avrebbe dato qualsiasi cosa per avere anche solo una vaga idea di quello che l'alieno stava pensando in quel momento.

“Perché mi stavi curando? Sei stata tu a portarmi qui?” le chiese, tenendo sempre la bottiglietta pericolosamente inclinata.

Retasu annuì debolmente, raddrizzando la schiena. “Ho visto che eri ferito, perdevi sangue...” si spiegò rapidamente, anche se sapeva che quella non era una vera e propria spiegazione.

Quiche sollevò un sopracciglio. “E hai deciso che portare a casa e curare un nemico sarebbe stata la cosa giusta da fare?” domandò, un sarcasmo tagliente nella voce.

Retasu fece del suo meglio per ignorare lo scherno insito nel commento, deglutendo nuovamente. “Io...non potevo lasciarti lì. Pensavo che saresti morto, se non avessi fatto nulla.” confessò con un filo di voce, lo sguardo puntato sulla macchia scura che si stava lentamente allargando sul tappeto.

Si vergognava da morire.

 

***

 

Quiche non sapeva cosa dire. Si era appena risvegliato da quelli che gli erano sembrati giorni di delirio e dormiveglia per ritrovarsi di fronte una Mew Mew che non solo non dava segni di volerlo attaccare, ma che gli faceva addirittura da infermiera. Tutta quella situazione era paradossale.

La squadrò in silenzio, mentre lei sembrava quasi rimpicciolire sotto il peso del suo sguardo.

Cosa sapeva di quella Mew Mew? Si costrinse a pensare a tutte le volte in cui ci aveva combattuto contro, ma la verità era che non le aveva mai prestato troppa attenzione, nel corso delle battaglie. Ichigo era l'unica di cui gli importasse qualcosa. In più, quella Mew Mew verde non era nemmeno interessante come quella viola, né altrettanto forte. Anzi, forse era addirittura la più debole, tra tutte loro...

Poi, in un flash, gli tornò in mente quando era riuscita, da sola, a sconfiggere il Chimero-ragno che lui aveva creato, riuscendo al contempo a liberare sé stessa e le compagne dalla tela in cui il mostro le aveva avvinte. Quindi, si disse incrociando le gambe mentre fluttuava a mezz'aria davanti a lei, forse non era poi così debole come sembrava. Eppure, così a capo chino com'era in quel momento, non sembrava che una povera vittima in attesa del boia.

Era perfino troppo patetica per approfittarne...

Quiche si passò nuovamente una mano sulla ferita, che pizzicava e bruciava, ma che almeno – dovette riconoscerlo – era pulita e non sanguinava quasi più. Si sentiva indubbiamente meno debole e più lucido rispetto ai giorni precedenti...possibile che fosse tutto merito di quell'umana?

Ma che cosa accidenti aveva pensato, quella stupida incosciente, quando se l'era trascinato a casa e aveva iniziato a prendersi cura di lui, suo nemico fin dal loro primo incontro? Cosa poteva mai averla spinta a fare una cosa del genere?

Era tutto troppo assurdo per essere vero. Doveva esserci qualcosa sotto...

“Scommetto che il tuo amico biondo e quell'altro coi capelli lunghi arriveranno qui a momenti...” buttò lì, il sarcasmo che velava l'incredulità nella sua voce.

Lei alzò bruscamente il capo, fissandolo con gli occhi cerulei sgranati. “No, affatto..!” protestò, e o era una bugiarda consumata o stava dicendo la più pura e cristallina delle verità.

Quiche assottigliò lo sguardo. La situazione si stava facendo sempre più strana, minuto dopo minuto. “Quindi loro non ne sanno nulla? E Ichigo? Lei lo sa?” Si odiò istantaneamente per aver fatto quella domanda. Lo faceva sentire così schifosamente debole...eppure, aveva bisogno di sapere.

La ragazza scosse la testa, intimorita, e fu come se gli avesse rifilato un pugno nello stomaco. Ichigo...era ovvio che non ne sapesse niente. Nemmeno ci pensava, a lui. Non le importava un accidente, di lui.

Ci fu un altro momento di silenzio, in cui nessuno dei due ebbe il coraggio di guardare l'altro in faccia. Sorprendentemente, fu lei a rompere il ghiaccio, porgendogli una specie di pezza bianca dall'aria morbida: “Q-questa dovrebbe...impedire al sangue di uscire.” spiegò, visibilmente rossa in volto.

L'alieno allungò la mano a prendere la fasciatura, incapace di togliersi di dosso la sensazione di disagio che stava provando da quando si era risvegliato in quello strano giaciglio – il letto della ragazza, realizzò, chiedendosi dove lei avesse dormito mentre lui recuperava le forze. “Uhm...grazie, immagino.” borbottò, un sorriso sardonico che gli si formava involontariamente sulle labbra. Magari era tutto un sogno provocato dalla febbre: avrebbe senza dubbio avuto più senso.

Non avrebbe mai creduto, in tutta la sua vita, che si sarebbe sentito in obbligo di ringraziare un'umana. Eppure era così, e chissà, probabilmente gli aveva davvero salvato la vita. O, alla peggio, gli aveva fornito qualcosa su cui arrovellarsi per un po'.

Quiche si rigirò la benda tra le dita, provando ad applicarla sulla ferita, ma la posizione della ferita stessa rendeva il tutto molto scomodo. D'un tratto, gli venne un'idea. Malsana, certo, ma del resto chi era lui per giudicare?

“Temo che dovrai darmi una mano.” ammise, fingendosi più imbranato di quanto non fosse in realtà. Facendo del suo meglio per non sogghignare, attese pazientemente che l'umana gli si avvicinasse, titubante, prima di sussurrarle all'orecchio: “Di' un po', non è che ti sei presa una cotta per me? È di questo che si tratta?”

La ragazza sobbalzò, scattando all'indietro. “No!” esclamò, con forse un po' troppa veemenza, le guance che le si imporporavano di nuovo. “Io stavo solo...ho solo seguito il mio istinto, tutto qui!” Adesso gli sembrava offesa. Incrociò le braccia al petto, voltandogli le spalle. La benda giaceva abbandonata sul letto. “Lo so che non ha senso...” la sentì mormorare, la voce incrinata dalla stanchezza e dall'imbarazzo. Si rese conto che tremava leggermente.

“Già, non ha proprio senso.” convenne lui dopo un momento, posando i piedi a terra. “Io e te dovremmo combatterci, ma a dire il vero non mi sento molto motivato ultimamente...” confessò grattandosi una guancia, mentre gli tornava in mente la figura nebulosa di Deep Blue.

“...nemmeno io.” gli confessò a un tratto lei, girandosi di nuovo a guardarlo. Al di là di quelle bizzarre lenti tonde dalla montatura grigio ferro, i suoi occhi erano lucidi.

Quiche sollevò un sopracciglio. “Non mi sembri proprio il tipo che ama combattere, in tutta franchezza.”

Lei annuì debolmente. “Lo odio.”

“Io l'adoro, invece. L'unico problema è che non so più per chi lo sto facendo.” Come mai gli veniva così spontaneo raccontarle quelle cose? Che fosse in realtà tutta un'elaborata trappola per fargli abbassare la guardia? Eppure lei non sembrava davvero in grado di recitare una parte, qualunque essa fosse. Era come un libro aperto, quasi gli faceva tenerezza: era il totale opposto di come una guerriera avrebbe dovuto essere.

Avrebbe potuto modellarla a suo piacimento come se si trattasse di creta tra le sue mani, se solo l'avesse voluto. Ma perché avrebbe dovuto farlo? Chi era lei, per lui? E soprattutto, cosa avrebbe dovuto farne, lui, della sua vita, ora che Deep Blue l'aveva ripudiato, abbandonandolo al suo miserevole destino?

Tutti l'avevano abbandonato, alla fine...ed ecco che d'un tratto era spuntata lei, la più imprevedibile delle alleate. E, forse, un'alleata era proprio ciò di cui aveva bisogno, pensò all'improvviso. Forse avrebbe potuto volgere quella situazione a suo personale vantaggio. Con il potere della Mew Aqua...e di fronte a sé c'era una Mew Mew, che era un po' come un rilevatore di Mew Aqua ambulante, e che già una volta, a quanto sapeva, aveva dimostrato di reagire all'energia del Cristallo in modo sorprendente.

Forse la vita gli stava lanciando un segnale.

“Sai, io e te abbiamo più in comune di quanto non possa sembrare ad una prima occhiata.” esordì, avvicinandosi di un passo.

La ragazza lo fissò in silenzio, un'espressione interrogativa dipinta in volto.

Quiche le sorrise. “Hai detto che odi combattere. E se ti dicessi che c'è una strada alternativa?”

 

 








Ecco qui il secondo capitolo! Quando le cose le ho già scritte fatico a non pubblicarle subito, ma del resto questo fine settimana sarò senza internet e volevo almeno mettere on-line il secondo capitolo. Sono tre capitoli, btw. ;)
Spero che vi sia piaciuta fin qui e che abbiate voglia di leggere anche l'ultimo capitolo! Se vi va, lasciate una recensione, come sempre non mi offendo. :P

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Capitolo 3
*** III ***


III


 


 

 

“Se dovessero inquinare la baia, per Tokyo sarebbe un disastro.” terminò di spiegare Ryou, dando le spalle al monitor su cui brillavano innumerevoli puntini rossi. Non c'era tempo da perdere, bisognava agire. Eppure...

“Ehm...” intervenne Retasu, il cuore in gola. Ryou la osservò con fare interrogativo. “Mi chiedo se ci sia il modo di trovare un reciproco accordo senza il bisogno di combattere.” tentò lei tutto d'un fiato.

Il ragazzo la squadrò per un attimo, e Retasu temette che potesse leggerle dentro e scoprire il segreto che nascondeva. “È da te pensare una cosa del genere, Retasu, ma francamente dubito che sia possibile.” replicò Ryou sospirando stancamente.

“Ma anche loro provano dei sentimenti...anche loro hanno un cuore. Sono certa che potrebbero capire!” protestò la ragazza, rifiutandosi di cedere. Doveva tentare, doveva provare a mostrare loro che c'era un'altra via, e che forse l'aveva trovata. Se solo avessero capito...

Come sempre, Bu-ling fu la prima a venirle incontro. “Credo di stare iniziando a capire cosa intendi, Retasu-oneechan!” esclamò la bambina, senza dubbio pensando a Tart e al modo in cui l'aveva salvata solo pochi giorni prima allo stadio.

“No.” La voce di Zakuro raggelò il sorriso che stava per spuntarle sulle labbra. “Se avessimo potuto risolvere la cosa parlandone, non avremmo avuto bisogno di combattere fino ad oggi. Ricordatevi di tutte le persone a cui hanno fatto del male...”

Retasu chinò il capo, un'ombra che le passava sopra il cuore. Zakuro...non avrebbe mai accettato la verità che Retasu si sforzava di esprimere. Ichigo e Minto non avevano aperto bocca, segno che probabilmente non sapevano cosa pensare. Era in minoranza, e non avrebbe mai avuto il coraggio di esporsi ulteriormente se tutte e quattro le sue compagne non fossero state dalla sua parte. “...è vero.” ammise, sconfitta.

 

***

 

Quiche analizzò velocemente la situazione, ben attento a non farsi individuare da nessuno – non si era ancora ripreso del tutto e l'ultima cosa che voleva era ingaggiare battaglia. Il piano di Pie non era affatto male: distrarre le Mew Mew con un diversivo mentre la vera minaccia – il Chimero velenoso – cresceva e si sviluppava sott'acqua. I Chimeri-pesce non erano particolarmente pericolosi, ma erano una miriade, tanto da mettere le guerriere in seria difficoltà.

Per la prima volta da quando aveva seriamente iniziato ad interessarsi ad Ichigo, l'attenzione dell'alieno non era esclusivamente incentrata su di lei: Quiche infatti voleva approfittare di quell'occasione per rendersi effettivamente conto delle capacità offensive della Mew Mew in verde. Avrebbe davvero potuto essergli utile? Aveva rischiato molto proponendole quella bizzarra alleanza, ma del resto lui era abituato a rischiare. La vide cercare con tutte le sue forze di abbattere i grossi Chimeri, senonché ne mancò uno e quest'ultimo quasi le finì addosso. Quella sciocca ragazzina non tentò nemmeno di schivarlo, limitandosi a chiudere gli occhi e lanciare un inutile gridolino. Non aveva i riflessi né tanto meno il coraggio di Ichigo, pensò Quiche vagamente deluso. All'ultimo istante, la fastidiosa Mew scimmia vestita di giallo allontanò il Chimero con un calcio poderoso – farsi salvare da una mocciosa, com'era patetica!

I minuti passarono, le due barche si separarono e l'alieno, suo malgrado, si costrinse a seguire la barca con a bordo Mew Lettuce.

Quando, di lì a poco, la barca si rovesciò e i due umani furono scagliati in acqua dal Chimero inquinante, si chiese se non avrebbe avuto l'occasione di riscattare il debito che aveva nei confronti della ragazza...ma lei non sembrava stare affogando, nonostante fosse umana. E quando si trovò a dover affrontare Pie, come spinta da una rinnovata energia, abbandonò la titubanza che la contraddistingueva e si batté al meglio delle sue capacità.

E quando, infine, raggiunse il suo obiettivo – il ragazzo biondo, lui sì che stava affogando -, quando lo abbracciò e posò le labbra sulle sue, ecco che avvenne il miracolo, e fu trasfigurata in qualcosa che possedeva vagamente l'aspetto di una delle divinità di cui gli avevano sempre parlato da bambino, sul suo pianeta ora così lontano. La luce che emetteva grazie alla Mew Aqua era tale da rischiarare persino le tenebre sottomarine. Quiche dovette ripararsi gli occhi, mentre la Mew Mew risaliva senza alcuna fatica in superficie, l'umano ancora stretto al petto.

Poteva vedere il suo splendore da sotto le onde. Era come un secondo sole, il sole che mai avevano avuto e che tanto avevano agognato.

 

***

 

Quella giornata era stata meravigliosa: la sensazione di estrema calma che si era impossessata di lei non appena era entrata in contatto con la Mew Aqua, il suo corpo caldo e luminoso che rischiarava la via, Ryou che riprendeva a respirare tra le sue braccia.

Poi, non appena era calato il buio, aveva sentito qualcuno prenderla per mano – un gesto che Retasu considerava estremamente intimo, e che la fece arrossire ancora prima che si rendesse conto chi era stato l'autore del gesto -, un'orrenda sensazione di vuoto alla bocca dello stomaco, e d'improvviso si era ritrovata sulla cima di un grattacielo, il vento freddo di gennaio che le sferzava il volto.

Retasu si girò di scatto, la sua mano imprigionata in quella di Quiche, e si lasciò sfuggire un singulto che stava a metà tra la sorpresa e il sollievo. “Buonasera, sirenetta.” la salutò lui con un sorriso sornione dipinto in volto.

La ragazza ritrasse timidamente la mano. “Mi hai spaventata.” ammise, scostandosi una ciocca di capelli dal viso. Il soprannome con cui l'aveva apostrofata le causò un piccolo tuffo al cuore. “Hai assistito alla battaglia di oggi?” gli chiese, stupendosi di se stessa per quanto disinvolta le sembrò di essere in quel momento. Stava parlando ad un alieno sul tetto di un grattacielo, e le sembrava quasi una cosa normale.

Quiche annuì. “Mi è piaciuto molto quello che ho visto.” dichiarò, senza smettere di sorridere. I suoi occhi sembravano risplendere dall'interno, come se un gran fuoco li alimentasse.

Un brivido le percorse la schiena; Retasu diede la colpa al vento.  

 

***

 

Più i giorni passavano, più Retasu metteva da parte l'idea di raccontare alle altre dei suoi incontri con Quiche. Non capirebbero, si diceva, ma una vocina da qualche parte nella sua testa le diceva che non era così semplice, che sotto c'era dell'altro.

Si riscopriva sempre di più a ricercare la solitudine, a scuola, a casa, al Café, senza che dietro ci fosse un reale bisogno o una motivazione definita. Talvolta, poi, la prendeva un inspiegabile senso di inquietudine che quasi sfiorava un fatalismo pessimista.

Tutto ruotava attorno alla Mew Aqua ed ormai il ritmo della caccia si era fatto talmente serrato che lei non credeva di riuscire a sostenerlo.

“Questo Ao no Kishi...” le aveva chiesto una sera Quiche senza tanti preamboli, dopo essersi presentato davanti alla finestra della sua stanza, costringendola a indossare una vestaglia in fretta e furia, “avete dei sospetti su chi potrebbe essere?”

Retasu chiuse la finestra senza fare rumore. “Non credo, onestamente.” Sorrise appena. “Bu-ling è convinta che sia Shirogane-san...”

“Cioè, il vostro capo?” chiese l'alieno sedendosi a gambe incrociate sul suo letto.

Lei annuì. “Non so se crederci o meno. Sarebbe...troppo strano.” Ma in fondo, si disse abbassando lo sguardo, sia Ao no Kishi che Ryou avevano più volte dimostrato di interessarsi ad Ichigo...sempre e solo ad Ichigo...

Retasu avvertì il germe della gelosia morderle improvvisamente il cuore, e la cosa non le piacque per niente.

“Ho bisogno di scoprire chi è e soprattutto da dove viene.” le confessò Quiche, distogliendola dalle sue riflessioni.

“Perché? Come mai ti interessa tanto?” chiese lei candidamente, sedendosi alla scrivania.

L'alieno sogghignò. “Potreste avere una serpe in seno.” rispose, enigmatico. Retasu sgranò gli occhi. “Pensi che Ao no Kishi sia nostro nemico? Ma durante le battaglie...”

“So bene come si comporta durante le battaglie.” la interruppe lui, seccato. “Ciò non toglie che io non mi fiderei, fossi in voi.”

Retasu abbassò lo sguardo. “Però ti fidi abbastanza di me da dirmelo.” mormorò, le mani giunte in grembo, appena sopra la soffice vestaglia di flanella.

Quiche le lanciò un'occhiata sardonica. “Non dovrei? Sei la persona più inoffensiva su questo pianeta, credo.” sbottò, incrociando le braccia al petto.

Retasu non seppe come interpretare quel commento. Ricambiò il suo sguardo in silenzio, e improvvisamente tutta quella situazione tornò a sembrarle assurda. Che razza di persona era diventata? Una paladina della giustizia che mentiva continuamente alle sue amiche, stringeva alleanze segrete con il nemico e veniva da esso spinta a dubitare di quello che si era sempre rivelato un prezioso alleato!

“Perché non tieni sempre i capelli così? Sei molto più carina.” le fece d'un tratto lui, avvicinandosi. La ragazza corrugò la fronte. Che intenzioni aveva? “Sono troppo lunghi, non sarebbero pratici se li tenessi sciolti tutto il giorno...” spiegò, mentre lui allungava una mano per sfilarle gli occhiali.

Il suo cuore prese a battere a mille. “M-ma che stai facendo?!” balbettò alzandosi bruscamente in piedi.

“Questi a cosa ti servono? Stai meglio senza.” le domandò lui, ignorando la sua protesta. Si era trasformato di colpo in un bambino dispettoso. Se Retasu non avesse posseduto la sacra virtù della pazienza, l'avrebbe certo esasperata. “Mi servono per vedere bene. Senza vedo tutto sfocato.” rispose, indecisa se strapparglieli di mano o meno. Probabilmente non ci sarebbe riuscita. 

“Hmm.” fu il laconico commento di lui. “Beh, in ogni caso...stai attenta ad Ao no Kishi.” aggiunse posando gli occhiali sulla sua scrivania. “Ho la sensazione che presto verrà a galla la verità.”

Retasu avvertì un improvviso turbamento. “Sta' attento anche tu.” si lasciò sfuggire, arrossendo un pochino.

Quiche era già metà fuori dalla finestra quando udì la sua raccomandazione. Ridacchiò, voltandosi a guardarla, le labbra sottili tirate in un sorriso divertito. “Buonanotte, sirenetta.”

Retasu rimase a lungo immobile a fissare il punto in cui era svanito, senza preoccuparsi di richiudere la finestra.

 

***

 

Quiche non aveva mai prestato particolare attenzione al modo in cui i terrestri scandivano il tempo. Sapeva giusto che suddividevano l'anno solare in trecentosessantacinque giorni e dodici mesi, e tanto gli bastava. Eppure, quel giorno proprio non era riuscito a farselo sfuggire. Gli sembrava che ovunque andasse ci fosse sempre qualche scritta che gli ricordava che quel giorno, sulla Terra, era dedicato agli amanti: San Valentino, lo chiamavano. Ovunque, su quel dannato pianeta, c'era gente innamorata che si scambiava promesse d'amore e dolci effusioni. E, il pensiero lo scavava come un tarlo, da qualche parte in quella maledettissima città, Ichigo stava facendo lo stesso con quell'essere insignificante a cui era così ostinatamente affezionata.

Quiche trascorse la giornata svolazzando di qua e di là, senza una meta precisa, come un'anima in pena. Poteva avvertire gli ultimi rimasugli della sua sanità mentale scivolargli via minuto dopo minuto, come sabbia tra le dita. Non aveva nessun posto dove andare, ma non riusciva neppure a stare fermo. Fu così che, quasi senza rendersene conto, si diresse infine verso la casa di Retasu, come a voler attingere ad un po' della calma serenità che quell'umana era in grado di sprigionare in modo del tutto inconsapevole. Affacciatosi alla finestra, si accorse che la ragazza non era in camera e, dopo un veloce giro di ricognizione del condominio, appurò che non era ancora tornata. Un feroce senso di fastidio si impossessò di lui, misto ad una vaga sensazione di abbandono.

La verità dei fatti era che, volente o nolente, lei era ormai l'unica persona con cui Quiche potesse parlare, o meglio l'unica persona che volesse ancora ascoltare quello che lui aveva da dire.

Sapeva di non essere un tipo facile da sopportare, figuriamoci da capire. Eppure, quella ragazza – quella persona, e si chiese quando effettivamente avesse iniziato a vederla come tale e non come un'umana – si era fatta strada nella sua vita senza esservi costretta: al contrario, l'aveva fatto di sua spontanea volontà. Di nuovo, si chiese che cosa l'avesse spinta a dare inizio a tutto quello. Ma forse, rifletté smaterializzandosi nella stanza al primo piano dell'edificio, nemmeno lei si era fermata a riflettere sulle proprie azioni e su quello che alla lunga avrebbero causato...

Si soffermò ad osservare i tanti piccoli dettagli della sua stanza, che ormai gli risultavano curiosamente familiari: la sedia rosa alla scrivania, l'armadio bianco pieno di libri e strani pupazzetti variopinti cuciti a mano, gli appendiabiti a forma di pesce, il morbido copriletto viola steso con perfezione millimetrica sul letto dalla testiera bianca. Il suo sguardo cadde sul tappeto: la macchia si vedeva appena, ormai, ma rimase comunque a fissarla per una manciata di secondi, e ogni attimo che passava gli sembrava più evidente.

Dopo poco sentì dei rumori al piano inferiore, una breve conversazione di cui non riuscì a cogliere le parole, e poi qualcuno salire le scale. D'istinto, si posizionò direttamente dietro la porta, che si aprì pochi secondi dopo.

Rilassò i muscoli quando vide che si trattava di Retasu. La ragazza non lo notò minimamente, posando la cartella ai piedi della scrivania mentre canticchiava a mezza voce un motivetto. Notò che portava i capelli sciolti, fluenti in lunghissime onde sulla schiena...

Le si avvicinò, dimentico per un istante del fatto che la ragazza non era al corrente della sua presenza, e lei in tutta risposta per poco non cacciò uno di quei suoi urletti acuti quando, giratasi, se lo ritrovò di fronte. Quiche le piazzò una mano davanti alla bocca, ridacchiando di gusto. Si divertiva un mondo a coglierla di sorpresa, realizzò mentre lei lo osservava con gli occhioni sgranati, mugugnando qualcosa di incomprensibile.

L'alieno scostò la mano, ghignando compiaciuto. “Sei impazzito?! Mi hai spaventata a morte!” sussurrò lei rossa come un peperone, un'espressione di rimprovero dipinta in faccia.

“Perché parli a bassa voce?” le chiese lui, imitandola.

“I miei genitori sono di sotto.” rispose lei, distogliendo lo sguardo. “Che ci fai qui?” chiese poi, il tono che si addolciva sensibilmente. Erano vicini, molto vicini, ma lei non pareva volersi allontanare. Quiche inspirò lentamente il profumo della sua pelle. Era molto diverso da quello di Ichigo, meno dolce e penetrante, ma non gli dispiaceva, in fondo.

Le mise una mano sotto al mento, facendole alzare il viso. Non aveva mai notato quanto i suoi occhi fossero belli. Luminosi, eppure profondi come l'oceano, o come l'infinità della volta celeste. Amava gli occhi di Ichigo, ma quelli di Retasu, dovette ammetterlo, erano stupendi.

La ragazza sembrava allibita. “Quiche, cosa stai facendo?” pigolò a mezza voce, posandogli una mano sul petto come per spingerlo via.

Erano talmente vicini che i loro respiri si mescolavano. Era certo che il cuore della ragazza stesse battendo a mille, mentre il suo stomaco accennava appena a chiudersi...

“Non mi va di passare San Valentino da solo.” si giustificò, desiderando con tutte le sue forze che lei lo capisse, e forse anche che lo perdonasse.

La vide socchiudere gli occhi, e non ebbe bisogno di altro.

 

Non aveva mai provato nulla di simile. Quiche la strinse a sé con forza, e mentalmente gliene fu grata perché non era sicura che le gambe l'avrebbero retta, molli com'erano in quel momento. Sentì l'aria mancarle e la testa leggera come una bolla di sapone. In quel momento, mentre lui la baciava, e si rifiutava di lasciarla andare, e le accarezzava piano i capelli, Retasu perse completamente la coscienza di sé e la cognizione del tempo. Si sentiva in Paradiso, trasfigurata da un insieme di sensazioni che non aveva mai sperimentato in vita sua.

Si era spesso chiesta, in realtà, se tutto il meccanismo del baciarsi non fosse in fondo una mezza schifezza: per come lo capiva lei, che mai aveva ricevuto un bacio serio prima di allora, doveva trattarsi di una cosa molto macchinosa e umida, e forse pure un po' appiccicosa.

Quanto si era sbagliata. Si sorprese di quanto naturale le venisse rispondere a quel lungo, lunghissimo bacio.

Ormai non poteva più negarlo...era innamorata. Senza quasi rendersene conto, passò le braccia attorno al collo del ragazzo, annullando definitivamente la distanza tra i loro corpi. Sentì, in modo quasi doloroso, il proprio seno premuto contro il suo petto. Le sembrò che le labbra di lui si incurvassero in risposta al suo gesto, e il suo cuore si gonfiò di emozioni.

Voleva vederlo sorridere, sempre. Voleva saperlo felice, anzi no, voleva essere lei, e solo lei, a renderlo felice...qualsiasi cosa le avesse chiesto, sentiva di non potergliela rifiutare. Era così felice...il suo cuore era lieve come un palloncino...era talmente su di giri da sentirsi intossicata.

Non avrebbe saputo dire per quanto tempo rimasero in piedi, nel bel mezzo della stanza, a baciarsi. Nella sua testa ormai tutto era offuscato, come se si trattasse di un meraviglioso, sconcertante sogno. Ad un certo punto si rese conto che l'aveva spinta contro l'armadio, sì, e che aveva preso a baciarle il collo, le dita affusolate intrecciate alle sue, ma non avrebbe saputo dire cosa fosse venuto prima e cosa dopo, se i baci che le depositò appena sopra la clavicola o i lievi morsi che le diede sul labbro inferiore o le febbrili carezze lungo i fianchi o, ancora, i gemiti soffocati che, nonostante l'istintivo imbarazzo, non riuscì a impedirsi di emettere...

Il cielo divenne scuro e Retasu non se ne accorse. Quando, infine, Quiche si arrestò all'improvviso, staccandosi giusto un pochino da lei, la ragazza si sentì quasi ferita. “Ti stanno chiamando, credo...” le disse lui schiarendosi la voce.

Retasu impiegò un paio di secondi per capire. “Oneechan, la cena!” la chiamò allora la voce di Uri dalle scale, pericolosamente vicina. La ragazza corse alla porta, afferrandone saldamente la maniglia, per impedire al fratellino di entrare in camera. “A-arrivo, solo un secondo!” esclamò, la voce tremula e arrochita. Dio, come si era ridotta? E come avrebbe fatto a sedersi al tavolo della cena con la sua famiglia, in quello stato? Tutto il suo corpo ribolliva, tanto che si sentiva la febbre addosso...era completamente senza fiato...

Sentì le braccia solide di Quiche cingerle la vita fermamente da dietro. “Temo di non poterti lasciare andare.” le sussurrò all'orecchio in tono complice, scostandole i capelli dal collo.

“Devo, altrimenti i miei...” mugugnò lei, ma sapeva perfettamente che era una battaglia persa. Nemmeno lei voleva scendere a cena. A dire il vero, pensò socchiudendo gli occhi, non avrebbe mai voluto uscire da quella stanza. Mai.

L'alieno chiuse a chiave la porta di fronte a lei, riprendendo a baciarle il collo. Era incredibile come riuscisse allo stesso tempo ad essere dolce ma fermo, tenero ma irruente. Come ipnotizzata dal suo tocco, la ragazza intrecciò le proprie dita alle sue, piegando la testa indietro.

Non era più Retasu Midorikawa, quella sera. Era qualcosa di nuovo, di diverso. Non avrebbe saputo dire se quella fosse una cosa giusta o positiva – probabilmente non lo era, ma...il fatto era, molto semplicemente, che non le importava un accidente. Voleva perdersi in quei momenti di gioia distillata. Non voleva più pensare a nient'altro, mai più, se non al ragazzo tra le cui braccia si era sentita morire e rinascere.

 

***

 

Non era più la stessa persona che aveva visto per la prima volta, né la stessa persona che aveva avuto pietà di lui in una notte d'inverno, né la stessa persona che aveva baciato in un impeto di follia e che, per qualche strano e meraviglioso capriccio del destino, non lo aveva respinto.

Lei era la sua Retasu, sua e di nessun altro. Aveva desiderato scendere a patti con il nemico, non molto tempo prima. La verità era che l'aveva addomesticato; Quiche non si vergognava ad ammetterlo. Tutta la sua gentilezza, tutto il suo amore, tutte le sue costanti premure...lei glieli aveva donati, e lui...come avrebbe potuto non ricambiare? L'aveva desiderato da tutta la vita, un amore del genere.

I suoi meravigliosi occhi, di un verde brillante a causa della metamorfosi, erano lucidi di lacrime. Il suo petto si alzava e si abbassava spasmodicamente, in corrispondenza del simbolo di Mew Mew dove, in giorni migliori, l'aveva baciata innumerevoli volte.

Il sangue colava dalla ferita sul suo braccio nudo, andando a macchiare la sua pelle morbida.

Le aveva promesso una via alternativa, una strada senza guerra, senza combattimenti e senza dolore, ma non aveva saputo mantenere la sua promessa. Non se lo sarebbe mai perdonato.

“Quiche...” lo supplicò lei, la voce rotta dal pianto.

Le accarezzò la guancia rigata di lacrime e sporca di terra e sudore con la mano che non stringeva il sai. “Addio, sirenetta.” sussurrò, sforzandosi con tutto sé stesso per non far crollare la facciata spavalda del suo sorriso.

Un veloce bacio a fior di labbra, le dita di lei che cercavano inutilmente di trattenerlo accanto a sé e lui che volava lontano, in alto.

Evocò l'altro sai con la mano libera. La fortezza di Deep Blue lo sovrastava, fluttuante sopra la città.   












E niente, è finita. Sono davvero felice di averla scritta, di averci dedicato tempo e fatica, perché è qualcosa di nuovo e perché volevo sperimentare questa coppia e vedere come sarebbe uscita. A voi l'ardua sentenza. xD Se dovessi dire qual è stata la parte più dura da scrivere, direi senza dubbio questa, perché in questo terzo capitolo tutto si è velocizzato e temo di aver tralasciato molte cose. In più, è la parte che necessita più sforzo di accettazione da parte dei lettori. Spero di non avervi fatto storcere troppo il naso.

Bene, mi dileguo. Grazie per aver letto! :)   

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