Vento in poppa, marinai.

di seceunpostoneltuocuore_01
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Al di là dell'orizzonte. ***
Capitolo 3: *** Tra barche, camini e orizzonti. ***
Capitolo 4: *** Nebbia e navi. ***
Capitolo 5: *** Tutto è complicato. ***
Capitolo 6: *** Arrivano i pirati. ***
Capitolo 7: *** Il primo incontro con Jack Sparrow. ***
Capitolo 8: *** Ammutinamento. ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Mai avrei pensato di rileggere questo diario di bordo, dopo anni. Forse è giunto il momento di farlo.

Mi chiamo Jane Lyrow e sono nata a fine Ottocento, in una famiglia ricca. Non ho mai sentito il bisogno di sbandierare ai quattro venti che eravamo in condizioni economiche piuttosto tranquille; tuttavia i bambini più poveri quando mi vedevano, nel mentre in cui riuscivo a sfuggire a Nelly, la mia istitutrice, dicevano con ironia “Ecco la regina che passa, attenti, non dobbiamo sfiorarla altrimenti andrà a dire a casa che le abbiamo rovinato il vestito” e scoppiavano a ridere. Io ci stavo male, perchè anch'io desideravo avere un'infanzia felice, fatta di giochi e amici, e non di protocollo, disciplina, studio e un'ora d'aria al giorno.

Solo una bambina mi voleva bene sul serio. Elizabeth Swann, così si chiamava. Non era altri che la figlia del Governatore Swann: non ho ancora capito perchè quei bambini le permettessero di giocare con loro e io no, nonostante fossimo entrambe di famiglia benestante.

Aveva i capelli biondi e gli occhi azzurri, ed era di un'eleganza unica. Poteva camminare in un campo pieno di fango, e conservare la sua grazia e compostezza. Diciamo, che in quel periodo era l'unica amica che avevo, e non sapevo ancora che saremmo state ancora una volta insieme durante un'avventura che sapeva di tutt'altro che di camino e libri.

Io amavo leggere, come anche Elizabeth. Cime Tempestose di Emily Bronte, e Jane Eyre della sorella, Charlotte Bronte erano in assoluto i nostri libri preferiti. Anche perchè, oltre ad essere stati scritti pochi anni addietro, la protagonista del secondo si chiamava come me e io adoravo immaginarmi nei panni di Jane:speravo che anch'io un giorno avrei trovato il mio signor Rochester. E lo trovai. Non era esattamente con i sentimenti e l'atteggiamento dell'originale.”Ma cosa importa?”, direte voi. Importava, allora, eccome se importava. Non era cosa da tutti i giorni invaghirsi di un … Pirata.

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Capitolo 2
*** Al di là dell'orizzonte. ***


Ma andiamo con ordine. Ormai, erano passati i tempi di giochi, avevo vent’anni all’inizio di questa incredibile storia. Ho dimenticato di dire che sono nata e cresciuta a Port Royal, città nell’attuale Giamaica, ed è lì che mi trovavo in quel giorno nebbioso, ma con qualche debole raggio di sole che attraversava il muro di nebbia. Ero insieme ad Elizabeth, e ci stavamo dirigendo verso casa mia dopo una lunga passeggiata, dove, come da protocollo, ci stavano aspettando per bere il tè. “Che barba, tutti questi convenevoli.” disse Elizabeth. “Non si può mettere un piede fuori dalla soglia di casa che subito devi tirarlo indietro”. Annuii, in segno di approvazione, perché la pensavo esattamente come lei. “Sai, Jane, stavo pensando … Sarebbe bello fare la vita del pirata: senza una casa fissa, persone che ti dicono cosa devi fare, come ti devi vestire, che atteggiamento assumere con chi ti si presenta davanti. Scoprire nuove terre, guardare all’orizzonte senza sapere cosa riserverà il minuto successivo …” “E’ tutto così totalmente vero. Ma i nostri sono solo sogni, purtroppo. Siamo destinate a rimanere sempre nello stesso posto, ad accudire i figli, badare alla casa e a fare tutte quelle cose che gli uomini non si immaginano nemmeno di fare. E’tutto così grigio, come questa nebbia. I nostri sogni purtroppo sono al di là dell’orizzonte di cui parli tu, ed è lontano, non è alla nostra portata. Rassegnamoci, non possiamo farci nulla.” dissi io, con amarezza. La voglia di prendere il tè mi era completamente passata, sempre che ne avessi avuta. Passammo davanti alle case più povere, con i vetri rotti, le assi delle finestre mancanti. Già, tutto si presentava così: da una parte le sontuose case dei ricchi ed aristocratici, e dall’altra le stanze, perché non si potevano definire case, dove viveva la gente comune. Quanto odiavo tutte quelle differenze. Fosse stato per me avrei rinunciato alle comodità di casa mia per darle a chi ne aveva davvero bisogno. Ma a quanto pare, nella mia famiglia, ero l’unica a vederla da questo punto di vista. Arrivammo davanti al portone di casa, dove la guardia di turno ci aprì. Attraversammo il giardino, circondato da piante, due alberi e fiori, il tutto curato dal giardiniere John. Lo salutammo cordialmente, ed entrammo in casa, dalla porta di legno su cui erano intagliati simboli che non avevo mai interpretato. L’entrata si apriva su un grande atrio, dove c’erano un tavolo apparecchiato con il tè e i biscotti, sedie finemente decorate intorno ad esso, un divano rosso e due poltrone. C’era anche un tappeto per terra, blu zaffiro, e con ghirigori color oro. Delle candele facevano luce. Cinque persone erano intente a parlare: due di queste erano mia madre, Loreleine, e mio padre, Anton. C’erano anche mia sorella, Coraline, la mia istitutrice Nelly e … Il Governatore Swann in persona! “Elizabeth, non mi avevi detto che sarebbe venuto anche tuo padre …” le dissi sottovoce in modo divertito. “Jane, amica mia, se solo l’avessi saputo te ne avrei senz’altro messo al corrente. Padre, buongiorno!” lo salutò. “Buongiorno anche a voi, famiglia Lyrow:” e accennò ad un inchino. Feci lo stesso anch’io, e salutai tutti. “Ci stavate aspettando?”.

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Capitolo 3
*** Tra barche, camini e orizzonti. ***


“Diciamo di sì” rispose sorridente il Governatore. “Sapevo che Elizabeth era in compagnia di Jane” e qui indicò me “e volevo aspettarla chiacchierando un po’ “. Weatherby Swann era un uomo all’apparenza fiero e altezzoso, ma in realtà aveva una paura matta di tutto quello che lo circondava. Lo diceva anche Elizabeth. Probabilmente aveva questo atteggiamento perché sua moglie era scomparsa poco tempo prima, e lui temeva di perdere anche la figlia. Una volta lei stava giocando con la sua istitutrice, nel giardino della sua casa, e si era nascosta talmente bene che neanche la sua compagna di giochi sarebbe riuscita a trovarla. Ella aveva appena iniziato a cercare, quando Weatherby si era precipitato in giardino urlando il nome della figlia. “DOV’E’? DOV’E’ ELIZABETH, SANTI NUMI?!” aveva urlato. L’istitutrice gli aveva spiegato che stavano giocando, ma l’uomo tutto trafelato ormai correva per le aiuole, cercava di scavare nei cespugli, fino a quando Elizabeth aveva capito che doveva saltare fuori. Quando suo padre l’aveva vista, per tutta risposta era caduto a terra ringraziando il cielo e i ‘santi numi’. Un’altra volta, per sbaglio, Elizabeth aveva fatto cadere una pentola, e le urla di paura del Governatore erano riecheggiate in tutta la casa. Pentola a terra, Elizabeth salva. Il signor Swann era caduto di nuovo. I miei ci fecero sedere nelle due sedie rimaste vuote, riservate a noi. Poi Nelly, che oltre a fare l’istitutrice era anche una cameriera, servì il tè. Successe quello che mi ero immaginata: il Governatore iniziò un discorso noioso sul funzionamento dello Stato, delle finanze, dei truffatori e dei ladri. “Con tutti questi pirati che girano c’è da stare ben attenti …” disse preoccupata mia madre. “Avete ragione signora Lyrow, i gioielli e i beni andranno nelle casseforti e in luoghi ben nascosti.” Disse Weatherby. “Avete mai sentito parlare della famigerata Perla Nera? Alcuni dicono esista davvero, e che addirittura stia seminando il terrore in tutto il mondo. Al suo comando Jack Sparrow. Uomo frivolo, senza scrupoli, manipolatore …”. Mentre portavo la tazza ti tè alle labbra, cercai di nascondere la mia malsana preferenza ai pirati. Avevo letto che, fossero essi truffatori o manipolatori, i pirati quando amavano qualcuno si impegnavano seriamente. Se ti sentisse il Governatore, Jane … pensai. Elizabeth mi strizzò un occhio. Sarebbe emozionante conoscere Jack Sparrow rimbombò nella mia testa la voce dei pensieri. Non credevo che il mio desiderio sarebbe stato esaudito … Quel giorno stesso. Quando furono passate come due ore, impiegate poi a parlare di vestiti, sete e luoghi lontani, Elizabeth e il Governatore ci salutarono e ci ringraziarono. Andarono verso la carrozza, appostata fuori dal portone. Quando il cocchiere fece partire i cavalli, poi fu tutto silenzio. “Bene, se non vi dispiace, vado a cambiare vestito. E’ così tremendamente umido …” dissi mentre salivo le scale. Mi seguì mia sorella Coraline. Aveva dieci anni, e la invidiavo per questo. Lei poteva essere ancora considerata una bambina. La mia camera si trovava in fondo al corridoio al primo piano. Entrammo, e aprii l’armadio. “Coraline … Mi consiglieresti che vestito mettere, per favore?” le chiesi. Lei indicò un abito color rosa antico, con dei ricami beige sul corpetto. “Io metterei quello, sorellona”. Mi cambiai, e vidi con piacere che non stavo poi così male. Certo non ero Afrodite, ma almeno il vestito era perfetto. Coraline mi conosceva più di chiunque altro, forse anche più di mia madre. Mia sorella era sempre stata gentile con me, e io le volevo un gran bene. Nonostante fosse piccola, era un po’ come una confidente per me. “Secondo me se ti vedesse un pirata, ti rapirebbe e scapperebbe via con te Jane” disse Coraline, con aria sognante. Una volta tanto mi sarebbe piaciuto essere rapita, portata via da quel clima di aristocrazia e di frasi fatte, e stare con gente comune, che dice in faccia quello che pensa. Volendo, avrei potuto anche sposarlo un pirata. “Ma no, che sciocchezze vai dicendo sorellina …?” mentii sorridendole. Coraline si sedette sul mio letto. Il fuoco ardeva nel camino in fondo alla stanza, e scaffali pieni di libri riempivano lo spazio. Non dico “scaffali impolverati” perché non lo erano. Detestavo i libri messi male, e la polvere su di essi. Mi affacciai alla finestra: c’era ancora più nebbia di prima. Da qui vedevo sopra la città, il molo dove le barche attraccate galleggiavano nell’acqua. Tutto era deserto. E oltre quelle barche l’orizzonte, potevo sentire l’aria e il rumore di mare, respirare a pieni polmoni la libertà. “Jane!” qualcuno mi chiamò, riportandomi alla realtà. “Sarà meglio andare” dissi a mia sorella, che nel frattempo si era presa un libro e l’aveva iniziato a leggere. “D’accordo. Però mi tieni il segno su questa pagina?”

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Capitolo 4
*** Nebbia e navi. ***


Scendemmo le scale, e mio padre mi chiese se potevo andare alla bottega del fabbro a vedere se era pronta una spada, commissionata da lui. “Ma padre, il fabbro aveva detto che sarebbe venuto lui stesso a farci vedere la sua creazione finita.” ribattei. “Jane, per favore, non fare i capricci, ma vedi …” non finì la frase. Io gli dissi: “Ok, ho capito che devo iniziare a comportarmi come una donna. Cioè, devo fare tutto. E va bene, vado”. Presi il mantello, e lo misi sulle spalle. Salutai. Attraversai di nuovo il giardino, e ripercorsi la strada che avevo fatto con Elizabeth. Di nuovo. Andrà a finire che oggi mi cambierò tre vestiti. In realtà non era questo che mi dava fastidio, ma il fatto che dovevo essere io a svolgere ogni santissimo, stupidissimo e noiosissimo compito che mi veniva affidato. Arrivai alla bottega. Spinsi la porta ed entrai. La differenza di temperatura si fece sentire. Lì dentro era caldissimo. Per forza, sta lavorando il ferro mi dissi. Scesi un paio di scalini in pietra, e mi avvicinai al ragazzo che stava forgiando una spada. “Scusate …” gli dissi. Il ragazzo alzò gli occhi e disse: ”Buonasera signorina, desiderate?” e si mise a braccia conserte come ad aspettare un ordine. “Buonasera. Ecco, io volevo solo sapere se per caso fosse pronta una spada commissionata da mio padre, il signor Lyrow. Mi ha mandata qui per chiedervelo.” Gli dissi, e accennai ad un sorriso. Alla fine Will, così si chiamava il fabbro, mi disse che ci stava ancora lavorando, e che aveva tantissime altre consegne prima di quella da fare. Si scusò, anche, ricordo. “Ma di cosa vi scusate, anzi vi ringrazio moltissimo. Sapevo che non sarebbe stata pronta, avevate detto voi stesso che ce l’avreste fatta vedere finita, ma mio padre non ha voluto sentire ragioni. Grazie ancora”. Feci un piccolo inchino, e uscii. Il freddo iniziò nuovamente a ghiacciarmi le mani. Dovevo ammettere che Will era veramente molto carino. Lo conoscevo da un po’, ma non ero mai entrata in confidenza con lui tanto da dargli del tu. Un altro che, come mia sorella, era sempre gentile. Ma non è questo il punto. Rallentai lungo il molo, e osservai l’acqua, le barche. Una si avvicinava silenziosa. Nebbia e navi non erano mai un’accoppiata perfetta, almeno così si diceva. Nonostante le strade fossero deserte, c’era sempre l’uomo che faceva pagare i proprietari delle navi per permettere loro di attraccare al molo. Da questa imbarcazione scese una persona: un uomo alto, con un’andatura diversa dai normali cittadini. Giacca con bottoni dorati (ne scorsi il luccichio), camicia bianca un po’ sbottonata, pantaloni scuri e stivali. In testa, un cappello. Diede il denaro all’ “uomo del molo” come lo chiamava Coraline, e attraversò la passerella. Ero pietrificata. Venne dalla mia parte. Aveva un viso quasi esotico, niente che avessimo mai visto prima. Un angolo della bocca gli si piegò in un sorriso, e mi fece l’occhiolino. Ero abbastanza imbarazzata. Guardai in basso (credo di essere arrossita in un modo evidente) e l’uomo proseguì, con la camminata da ubriacone. Forse lo è davvero avevo ipotizzato. Sentii un tintinnio: mi chinai, e un anello con una pietra, probabilmente zaffiro, giaceva ai miei piedi. Era dell’ubriacone. Lo raccolsi, ed ero intenzionata a ridarglielo, ma alzai lo sguardo e … Non c’era più nessuno. Sparito. Misi l’anello al dito, e un po’ titubante, mi avviai verso casa.

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Capitolo 5
*** Tutto è complicato. ***


Arrivata, riferii a mio padre quanto detto dal fabbro, e lui annuì, distante. L’avevo capito che mi avevano mandata via per parlare di qualcosa di segreto, non ero una stupida. Ma non sapevo cosa fosse, e non volevo minimamente saperlo. “Jane” mi chiamò mia madre “Finchè sei stata via, noi abbiamo discusso di qualcosa che vorremmo farti presente”. Ma chissà perché me lo sentivo, pensai ironica. “Ditemi pure”. Mi tolsi il mantello, lo buttai con noncuranza sull’attaccapanni, poi mi sedetti su una poltrona, e mi apprestai ad ascoltare quale infernale decisione avessero preso. “Ecco …” iniziò mia madre “Noi abbiamo pensato che ormai … Hai vent’anni, Jane, ed è ora che ti trovi un buon marito”. Il copione perfetto dei libri si stava avverando su di me: ‘desiderano che mi sposi ma io non voglio’. Ero forse la cavia realistica delle avventure di un romanzo? “So già cosa stai per rispondere” disse mio padre. “Anche se lo sapete ve lo dico comunque: è un no. Non voglio nessun vincolo finora.” “Ma tesoro …” mia madre assunse un’espressione irritata “Non ti opporre a quello che abbiamo scelto per te. Dopotutto, lo facciamo per il tuo bene.” “Per il mio bene?” sbottai “Per il mio bene, osate dire? Non credo che l’ambizione di una ragazza alla mia età sia il matrimonio. Confesso che ci penso: avere una famiglia mia, crescere dei bambini. Solo, vorrei averla in tempi e modi più tranquilli”. L’avevo detto, e ormai non ci potevo più fare nulla. Me le facevano dire, a volte, certe cose. “Jane, ti proibisco di rivolgerti con questo tono a noi, i tuoi genitori. Noi vogliamo il meglio per te. Anzi, ti dirò di più: domani conoscerai il tuo futuro sposo, il Commodoro Norrington.” Iniziai a ridere. “Il … Commodoro … Norrington?” scoppiai in un’altra fragorosa risata “Per favore, siate seri”. “Siamo serissimi” disse mio padre. E non mentiva: la sola che si chiedeva se fosse uno scherzo ero io. L’ilarità svanì come d’incanto dal mio viso: “State dicendo sul serio? Voi avete già scelto il mio futuro marito?”. Che irritazione avevo nell’anima. “Si” affermò esasperata mia madre. “Non se ne parla. Già il fatto che abbiate concordato il tutto senza un mio parere mi fa star male. Ma per di più … Prendere in considerazione il Commodoro Norrington proprio no”. Ora vi spiegherò il perché della mia riluttanza: quest’uomo era noto per la sua incapacità in battaglia, nonostante si credesse un militare provetto. Tuttavia non era questo che mi preoccupava. James Norrington aveva già provato a chiedere in moglie Elizabeth, ma lei aveva rifiutato. Il perché? Così aveva già fatto con altre figlie di uomini benestanti. Era evidente che non aveva le idee troppo chiare. Mai avevo sentito parlare di un uomo più frivolo e superficiale di lui. Mia madre si alzò di scatto, furibonda. Non considerò più la mia presenza e iniziò a camminare avanti e indietro per la stanza. Mio padre la seguì, cercando di calmarla, nonostante fosse visibilmente arrabbiato con me. “Perché si ostina a cestinare tutte le nostre proposte? I nostri sacrifici per lei?” bisbigliò mia madre a mio padre. Come se non potessi sentirti, mamma pensai. “Forse perché … Fanno un po’ schifo?” mi intromisi. Già immaginavo la faccia che avrebbero fatto i miei. Ed infatti … Mia madre fu incapace di trattenersi, e mi mollò un ceffone, che mi lasciò un segno rosso sulla guancia. Ora voi starete pensando che io sia esplosa e abbia fatto una scenata. Ma in realtà quel ceffone non mi aveva fatto poi così male. Ero la persona più calma della terra, e credo che questo abbia fatto infuriare ancora di più mia madre. “Ti passerà mai quell’aria da sbruffona e quel tuo sarcasmo?” mi urlò contro colei che mi ha messo al mondo. Io, con la calma che può avere un assonnato che se ne va a dormire, mi alzai e senza dire una parola andai verso le scale di legno. Saliti due gradini dissi: “Non credo di possedere questi difetti. Ma ponendo che ce li abbia, credo di no. Non mi passeranno mai”. Detto questo mi voltai e continuai a salire le scale. Quello che si dissero i miei una volta che fui arrivata in camera, sempre che si siano detti qualcosa, mi è ignoto. La cena fu un totale silenzio. Nemmeno mia sorella osò fiatare. L’unica cosa che pareva parlare era il tintinnio delle posate contro il piatto. Fui sollevata quando fu ora di andare a dormire, e potei finalmente richiudermi nei miei pensieri. Coraline stava già dormendo. Prima di coricarmi aprii la finestra per sentire l’aria fresca della notte. Arrivò anche un canto, da lontano, disperso nel vento. “Pirati, corsari e gran bucanieri … Yoho, beviamoci su …”. Scossi la testa: probabilmente me lo stavo immaginando. Chiusi la finestra, e andai a dormire. _____________________________________________________________________________________________________________________ Ciao a tutti :3 Innanzitutto volevo scusarmi per la mia totale assenza durante questi mesi, ma sono stati molto incasinati per colpa della scuola. Cercherò di postare più spesso. Per seconda cosa voglio ringraziare tutti voi che leggete questa storia: senza di voi non avrei motivo di andare a avanti a scriverla. A presto! ;)

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Capitolo 6
*** Arrivano i pirati. ***


Mi svegliai quando erano ancora le cinque del mattino. Non avevo dormito molto. Stando attenta a non svegliare Coraline, mi alzai, e presi il mio blocco da disegno e una matita. Non mi ero accorta di aver dormito con l’anello dell’ubriacone al dito. Lo zaffiro luccicava, quasi contenesse una forza e un potere sovrannaturale dentro di lei. Iniziai a scarabocchiare qualcosa: una rosa, l’interno della bottega di Will il fabbro, il mare in tempesta. Non ero mai contenta di quello che disegnavo, perché credevo di poter fare ancora di più, di poter rendere le mie creazioni quasi realistiche. Andai avanti con linee senza senso, e pian piano mi stavo abbandonando a Morfeo … Ma da fuori, come un fulmine a ciel sereno, si levò una cannonata e subito dopo grida. Coraline si svegliò. “Coraline, non agitarti …” provai a dirle. Lei stava già affacciata alla finestra, i capelli castani che svolazzavano al vento freddo della mattina, il cielo ancora scuro. “I pirati!” esclamò lei. “Sono arrivati!”. Qualche pagina più indietro di questo diario ho scritto “la mia malsana preferenza ai pirati”. Io detestavo quella gente, perché sapevo che raramente faceva del bene, tuttavia non potevo non sentirmi affascinata e incuriosita da quel mondo fatto di superstizioni, rum e tesori. Mia sorella invece li adorava in tutto e per tutto. Ma si sa, da sempre le storie di pirati affascinano i bambini. “Voglio andarli a vedere!” mi disse. Credo che in quel momento i capelli mi si siano drizzati in testa. “Tu vuoi scherzare, vero Coraline?” le chiesi titubante mentre mi alzavo e mi mettevo davanti alla porta. “Non puoi andare fuori, saresti in serio pericolo. Non hai sentito la cannonata?”. In quel momento si sentì un secondo colpo. Ripresi: “Pardon, le cannonate … Ma comunque non è questo il punto. Io ti proibisco di uscire da questa stanza.” Mia sorella si era nel frattempo messa uno dei suoi abiti. Mi disse che se non l’avessi fatta uscire dalla porta, si sarebbe buttata dalla finestra, la quale era ancora aperta. Corsi immediatamente a chiuderla, levandomi dalla porta. Rapidamente, Coraline sfilò la chiave dalla serratura della porta, e posò una mano sulla maniglia. Mi girai e la vidi di sfuggita chiudere la porta e dare due o tre giri di chiave. Mi ci precipitai, troppo tardi ormai. Con questo trucchetto è riuscita ad imbrogliarmi pensai, e mi maledissi perché ero stata un’ingenua. Per prima cosa mi vestii. Era fuori discussione che io lasciassi mia sorella da sola in città. Di sicuro i miei si erano svegliati, ma secondo me erano completamente all'oscuro di quello che stava accadendo con Coraline. Il primo abito che mi capitò sotto mano lo misi. Presi anche una giacca corta e la infilai. “Per fortuna che ci sono le scale di servizio!” esclamai dandomi una pacca sulla fronte. Si trovavano dietro una porta in fondo alla nostra stanza. La aprii, e uscii sul retro del giardino, verde e rigoglioso. Fortunatamente non c’era John il giardiniere nei paraggi, e mi apprestai a varcare il cancelletto che portava in strada. La sfortuna volle che quel maledetto cancelletto fosse chiuso. Ragionai un istante: per quanto riguardava l'essere vista c’erano poche possibilità (come ho già detto era ancora buio pesto). Il vero problema stava nell'uscire. "Non sia mai che una donna non sia capace di scavalcare un pezzo di ferro", mi dissi. Mi arrampicai sul cancelletto, feci un po’ su le gonne e atterrai in strada con facilità. Corsi, corsi a perdifiato. Il freddo mi aveva gelato le mani. Giù in paese, dove c’erano tutte le più svariate botteghe, la gente era tutta in strada: bambini che piangevano e si attaccavano ai vestiti delle madri, uomini che combattevano contro altri uomini. E questi ultimi scendevano da una nave dalle vele nere. Pirati. ____________________________________________________________________________________________________________________ Ebbene, eccomi qui (di nuovo) con questo nuovo capitolo :D Spero vi piaccia, e come sempre vi ringrazio tanto, tantissimo per leggere questa storia. Ciaooo :3

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Capitolo 7
*** Il primo incontro con Jack Sparrow. ***


Iniziai a chiamare mia sorella, a perdifiato. Camminavo, senza una logica né una meta, mi scontravo con la gente lì vicino. Poi mi venne un barlume di intelligenza: la bottega del fabbro, ma certo! Doveva per forza essere andata lì. Probabilmente aveva capito che quello che stava facendo era sbagliato, ma aveva paura di tornare a casa da sola. Camminai più forte che potevo, e arrivai quasi davanti alla porta della bottega. Tossii. Quando mi riebbi, davanti a me c’era l’ubriacone della scorsa sera. I suoi anelli gli scintillavano alle dita, una luce nella notte. La barba e i baffi gli scurivano il viso. Arretrai, sconvolta, non sapendo che fare. Se quella volta avessi accettato la proposta della mia istitutrice di farmi dare lezioni di scherma e di combattimento per difendermi … L’uomo mi guardava con i suoi grandi occhi scuri. Avevo paura a muovere un solo muscolo. Ero bloccata. "Lo so cosa sta facendo: sta aspettando un mio passo falso per aggredirmi" pensai. Come risvegliatosi da un sogno, quell'uomo mi si avvicinò, mi prese per il braccio e quasi correndo mi trascinò in un vicolo tra la bottega di Will e un altro edificio. Gridai. Le mie urla non sarebbero servite a nulla, tanto era il trambusto. Cercai di divincolarmi, ma la presa dell’uomo era salda sul mio braccio. “Lasciatemi!” urlai. Lui mi disse: “Fate silenzio, non sono qui per aggredirvi. Tutt'altro: sono qui per darvi salva la vita, mademoiselle.” “Non vi credo! Voi siete un pirata, non è così? E siete amico di quelli che ora stanno massacrando quella gente, cittadini di Port Royal come me!” sbottai urlando. “Si, okay, d’accordo.” Gesticolò con la mano libera, poi riprese: “Sono in combutta con loro, ma riservo a voi un trattamento, per così dire … D’oro, non trovate?”. Un furbo sorriso gli comparve in viso. “Perché lo fate?” gli domandai disperata. “Oh, beh. Perché … Mi avete colpito ieri sera. Insomma, una donna del vostro rango sociale sola soletta che guarda il molo … Ammirevole, oserei dire”. Si avvicinò ancora a me. Potevo sentire l’odore di rum che la sua giacca grigio-nera emanava. “Io oserei dire che qui sta parlando il rum, non voi signore” appuntai, con paura ma anche per punzecchiarlo un po’. “No, no, per carità, mia mademoiselle, non chiamatemi signore” disse. Arretrò, e con un’eleganza da copione si tolse il cappello, anch’esso grigio-nero, e si presentò: “Capitan Jack Sparrow, per servirvi”. Mi trovavo di fronte al terrore dei mari in persona. Farfugliai qualcosa come “devo andare, oh santo cielo” e camminai all'indietro, senza togliere gli occhi di dosso da quell'uomo. Svoltai l’angolo, e guardai dentro le finestre della bottega di Will. In fondo ero uscita per cercare mia sorella. Scorsi un vestitino azzurro, e mi precipitai dentro, mezza sconvolta. “Coraline!” urlai. Lei con le lacrime agli occhi si girò verso di me e mi corse incontro, abbracciandomi e chiedendomi scusa. “Sorellina, adesso non mi importa nulla di quel che hai fatto, l’importante è che tu stia bene” dissi mentre le accarezzavo i capelli. Cielo, che sollievo. Will arrivò da dietro un macchinario e ci si avvicinò. “Buonasera, signorina Lyrow.” Fece un piccolo inchino. “E’ venuta qui di sua spontanea volontà.” Ringraziai Will e, devo dirlo, mi commossi un pochino. Coraline mi disse: “Possibile che voi grandi piangiate per ogni sciocchezza?” e poi rise. Io non le risposi. Guardai fuori dalla piccola finestrella della bottega, e c’era ancora il caos in strada. La mia mente andò per un secondo a quel pirata, che mi aveva salvato la vita, per così dire. Ma i miei pensieri si interruppero in fretta. “Signorina Lyrow?” mi chiamò Will. “Avrei piacere di assicurarmi che torniate a casa sane e salve. Lasciate che vi accompagni." “Non è necessario, Will, vi ringrazio, davvero, non c’è bisogno che voi …” “Mi permetto di insistere, signorina Lyrow”. Potevo dirgli di no nuovamente? No. “D’accordo, siete veramente un gentiluomo … Ma per favore, chiamatemi Jane.” “Splendido. Chiamatemi Will, Jane.”

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Capitolo 8
*** Ammutinamento. ***


Uscimmo in strada, il rumore della battaglia e delle lame delle spade sovrastava qualunque cosa. Non so pechè, ma nella confusione della folla cercai per un attimo con lo sguardo il pirata, Jack Sparrow … E lo vidi. I suoi compagni non rispondevano ai suoi ordini come avevano fatto fino a pochi momenti prima. Uno che gli copriva le spalle d’un tratto si girò e gli puntò la spada alla gola. Gli altri fecero lo stesso. Un ammutinamento. Non potei restare lì senza far nulla. “Will!” lo chiamai. “Per favore, portate a casa mia sorella, credo conosciate la strada”. Will si stupì. “Che succede? Non venite anche voi?” “No, Will … Devo prima sistemare una cosa. Vi prego non domandatemi nient’altro.” Will restava fermo sul posto squadrandomi. “Vi prego” lo supplicai. Malgrado vedessi il suo disappunto, Will accettò e corse verso casa con Coraline. Li guardai un’ultima volta, poi mi girai verso la folla i pirati ammutinati e corsi. “Che state facendo!?” gridai a quegli uomini. “Che fate!?”. Mi misi davanti al pirata, a Jack, come se così facendo potessi salvarlo. Sapevo che in qualche modo dovevo aiutarlo, ma senz'armi avrei saputo fare ben poco. Decisi di usare le parole come meglio potevo. “Signori, vi prego di ascoltarmi. Si può sapere perché abbandonate il vostro capitano? Non dicono forse che l’unione fa la forza?” Un uomo con un occhio che sembrava di vetro, mi rispose: “Chi siete VOI, per difenderlo? Avete forse qualche debito da saldargli e per questo lo difendete? Vi consigliamo di non immischiarvi”. “E VOI chi siete per venire a dire a me che non devo immischiarmi? Siete forse delle spie che non devono essere scoperte? A quanto vedo no. Mi sembrate pirati”. Fino a quel momento il pirata che difendevo non aveva fiatato, e io non avrei potuto capire che faccia avesse. Ma in quel momento parlò: “Mica stupida la ragazza”. Poi mi bisbigliò: “Non hai resistito a restituirmi subito il favore, eh?”. Lo ignorai. Feci un passo in avanti. Iniziai a camminare passando davanti ad ogni pirata. “E’ comodo, sapete, affidare le proprie vite ad un uomo che governi una nave, che vi guidi durante le vostre incursioni e poi al primo disguido puntargli la spada alla gola. Io non conosco quest’uomo. Non so chi sia, come governi una nave e non so neanche perché voi vi siete ammutinati. Ma credo dovreste parlarne, invece che cercare di uccidervi a vicenda. Mi capite, vero?”. Ormai nessuno mi fermava più. Mentre mi avvicinavo di nuovo a lui, Jack Sparrow mi disse: “Credo che tu sappia il mio nome. Ci siamo già visti, mi pare.” e mi strizzò l’occhio. Roteai gli occhi, e con un gesto fulmineo estrassi la spada che portava a tracolla e mi girai verso gli altri. Che iniziarono a ridere. “Cosa credete di poter fare, voi, damigella? Di combattere con dei veri pirati? Seriamente?”. “La spada di una dama arrabbiata vale cento delle vostre” dissi. Jack prese una pistola. “Che unita alla pistola di un pirata vale ancora di più.”

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