La Gatta ci lasciò lo zampino

di milla4
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 : focalizzazione dell’immagine ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6: concentrazione ***
Capitolo 7: *** Captolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9: vita ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Conosceva quel posto come il suo corpo, ogni appiglio era  impresso nella sua testa, poteva farlo benissimo ad ogni chiusi, non sarebbe caduta perché la paura per lei era un’emozione futile ed aveva imparato a non seguirla, non fu affatto facile rinchiuderla in un angolino della mente sempre più piccolo e stretto, ogni tanto cercava di fuggire, ma la sua padrona riusciva a fermarla ogni maledetta volta.

Una sbarra di ferro… mano destra


Un mattone…piede sinistro


Un’altra sbarra di ferro, ma attenzione, è appuntita….mano sinistra


Un pezzo di parquet sporgente…piede destro e così via, sempre uguale, gli stessi movimenti ogni volta, finché non raggiunse la sua meta
Con un balzo felino si issò sopra quel vecchio pavimento di marmo in quello che doveva essere il resto del salone di un appartamento.
Ferma, chiuse gli occhi e ascoltò: niente rumori sospetti…bene si può procedere. Avanzò con la solita grazia che la contraddistingueva e giunse finalmente in quella che fu la stanza di un bambino: il suo sguardò si posò immediatamente sulla piccola statuina appoggiata sul letto, la prese con grazia e la osservò con la curiosità di sempre.
Era la riproduzione di un gattino di porcellana, di colore bianco su cui erano stati disegnati dei baffi e un pelo fulvo.
Sorrise, le emozioni che quell’oggetto le dava erano le poche che ancora provava, libertà, grazia… vita. Non rimase molto, odiava rimanere erma in un luogo troppo a lungo così come era entrata uscì e si diresse a cercare l’ignoto, come ogni mattina.
 


Un,  due... avanti!
Un due… manca poco, dai!
Passo dopo passo Luis doveva inventare sempre nuovi incitamenti per Moira, era stanca le sue gambette da bambina di cinque anni non avrebbero retto ad un altro giorno di estenuante fuga.
Eppure dovevano continuare, perché se l’avessero catturati sarebbero morti,  e non sarebbe stata una bella morte.
-Lù, non ce la faccio più! Ho fame, sete e voglio mamma e papà!- Moira si lanciò addosso al fratello maggiore e stringendosi alla sua maglietta ormai lercia si lasciò andare a un pianto dirotto.
Gli faceva male vederla così, dopotutto era ancora una contessina ed era da poco tempo che era venuta a contatto con l’ingiustizia della vita, come lui del resto.
Luis si chinò e l’avvolse con le sue sottili braccia dopodiché la sollevo e la cullò come fosse un neonato.
- Shh, è tutto apposto, domani arriveranno anche loro… ora però dobbiamo arrivare a Clorina, così saremo al sicuro!- la piccola aveva nascosto il viso tra il petto e il braccio del fratello maggiore ma appena sentito nominare Clorina lo alzò di scatto: nei suoi occhi una felicità incredula.
Luis sorrise e la rimise a terra, sapeva che ora avrebbe camminato molto più volentieri, ora che conosceva la loro destinazione.
 
Passarono altre ore sotto al sole cocente di metà mattinata ma l’entusiasmo non si affievolì; avevano sentito parlare di quella mitica città, Clorina, fin da quando erano piccoli, i loro genitori raccontavano della sua strana Natura, modellata dall’uomo m non domata,  un patto stretto tra due specie opposte.
Il saper di poter toccare le magiche siepi del Labirinto di Delia era una motivazione sufficiente per non fermarsi.
Quando Luis intravide i primi ruderi della città, si sentì rincuorato, non aveva mappe con se e finora si era affidato solo al suo istinto non proprio sviluppato.
 
Nebbia, una fitta nebbia si alzò davanti loro, era una delle difese di Corina, sua madre gli aveva spiegato come sorpassarla senza farle del male, perché in realtà era un essere vivo e senziente che aveva messo la una vita a servizio di quel luogo magico... come i loro genitori solo che loro avevano pagato il prezzo più alto.
 
-Lok tam, lok tam- Luis pronunciò le parole di apertura con grave solennità e aspettò.
Non ci volle molto, la nebbia si diradò con la stessa velocità con cui era arrivata, aveva riconosciuto in lui un amico.
 
Non è ciò che dici a fare la differenza, ma cosa senti nel cuore quando lo fai.
 
Nulla può descrivere l’emozione da loro provata nel vedere quella che da sempre sentivano come “casa”.
Moira mise una mano in quella del fratello e strinse forte, sapeva di dover amare quel posto, ma era pur sempre una bambina e la sua fantasia non le permetteva di apprezzare le meraviglie del luogo.
Luis sospirò. Ricambiò la stretta e con passo deciso si incamminò verso il cancello del labirinto. Sì, perché un’altra difesa era da superare il Labirinto.
 
Spesso, quando i suoi genitori ne parlavano, si riferivano ad esso come a un Lui vivo e vegeto, che provava emozioni ed era gentile con i puri di cuore ma letale con nemici.
Si ergeva su una collina nella cui valle sorgeva una città Clorina, ora ridotta a cumuli di pietre e nelle cui strade ogni traccia di Sacra Magia era andata a morire. Come i suoi abitanti.
 
-Aspetta qui- Luis lascò la mano della sorella, alzò un piede e calpestò la ghiaia che ricopriva l’intero perimetro del labirinto: lo aveva fatto, lo aveva calpestato e ora stava aspettando una sua reazione ma nulla. Tutto taceva in quella mattinata piena di Sole, neanche un cinguettio frenava quel silenzio così carico di aspettativa. Nulla.
 
Un altro passo e Luis fu dentro chiamò la sorella a sé  –Moira, avanti… siamo al sicuro-.
Sì, perché se il Labirinto ti permetteva anche solo si sfiorarlo vuol dire che ormai eri entrato letteralmente in lui, ti aveva percepito come una parte di sé, e nessuno mai potrà mai più ferirti.
Moira entrò trotterellando accanto al fratello, era così emozionata che non si accorse di essere inciampata nel suo vestito e scivolò, ma invece di cadere a terra, dei piccoli rami si mossero per sollevarla ed agiarla al suolo, come una pietra preziosa.
Luis non poté fare altro che notare come un essere tanto imponete fosse in grado di tanta gentilezza; non si stupì affatto dell’improvvisa vitalità delle piante, in fondo loro erano discendenti da maghi e quindi la magia era anche parte di loro e di Clorina.
 

 
 
NOTA: La storia è nata grazie al contest "una domanda a te e una me" indetto da grazianarena e all'ispirazione datami dalle risposte al questionario di Releeshahn
Maschio o femmina? Femmina. 
- Buono o cattivo? Caotica-Neutrale: Il Cinico, l'individualista definitivo, colui che si scaglia contro le tradizioni e le leggi solo perché limitano la sua libertà personale. Non si può mai dire cosa farà, né quali danni causerà, poiché le sue azioni sono regolate solo dall'umore del momento. Un esempio classico è l'attaccabrighe fine a se stesso, assolutamente privo del rispetto della legge e della società. Spesso da un suo piccolo gesto possono generarsi numerose sofferenze o inaspettati (ed apparentemente irragionevoli) aiuti. Ligio al principio che, nelle scelte, bene e male siano praticamente ininfluenti, questo allineamento è forse la personificazione più concreta ed instabile del caos (Wikipedia). 
- Umano o non umano? Non umana. 
- Occhi? Neri. 
- Vestiti? (quando li indossa) maglia e scarpe nere, giacca e pantaloni bianchi. Vestiti di taglio militare, con diverse mostrine o medaglie.  - Poteri? Si. Se è sì, quali? Tra i tanti, ha la capacità di attirare la sventura su una persona a sua scelta. 
- Dove vive? http://pre12.deviantart.net/b80d/th/pre/f/2015/251/5/b/the_topiary_by_jjcanvas-d98u0oj.jpg
- Cosa il protagonista fa spesso? Che tic lo caratterizza? Ha un posto speciale al quale si reca di frequente, anche se questo luogo è apparentemente insignificante agli occhi di tutti. In particolare, è attirata un elemento strutturale del luogo (una roccia, una parete, un soprammobile...) al quale si avvicina e che tocca ogni volta, quasi ossessivamente.  - Bevanda preferita? Vino bianco del Reno... peccato però che questa bevanda non esista più da qualche centinaio di anni! -
Storia comica, drammatica o commedia? Mi piacerebbe che fosse un po' dramma e un po' commedia, ma che tendesse più al dramma.
- Bonus: qual'è lo scopo della sua vita? Rimediare all'errore che ha compiuto anni addietro, quando le è stato detto che avrebbe dovuto salvare il mondo... un mondo che adesso è decisamente meno popoloso, nonostante lei abbia portato a termine con successo l'incarico!

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Erano passati dei giorni e ancora non si erano decisi a scendere nella valle, i loro genitori li avevano messi in guardia da una possibile contaminazione della città da parte di magia oscura e Luis non voleva che la sua piccola sorellina ne venisse influenzata.
Avevano costruito un piccolo accampamento grazie all’aiuto del Labirinto, loro chiedevano ed esso esaudiva: una capanna, una sorgente d’acqua, dei giochi per la bambina, c’era tutto; eppure qualcosa non convinceva il fratello maggiore, si sentiva costantemente spiato, guardato a vista, in quel silenzio sentiva dei fruscii non dovuti dal vento.
 Forse era solo la paura che ancora lo attanagliava, in fondo erano sempre dei prigionieri in fuga e in qualsiasi momento potevano essere ripresi.
Forse il suo sesto senso era in errore.
 
Non fu così.
 
Li aveva sentiti arrivare mentre perlustrava la città in cerca di cibo,  oramai le sue orecchie così abituate al nulla erano diventati ipersensibili ad ogni rumore, così  indossò la solita giacca bianca, ridotta inevitabilmente a un ammasso sgangherato di fili ocra e decise di andare a vedere. Non portò nessun arma, il suo corpo le bastava. Era nata per condurre delle battaglie, non poteva e non doveva dimenticarlo, che poi avesse perso quella più importante era un altro discorso.
Fu delusa quanto meravigliata dal vedere due ragazzini avventurarsi nel Labirinto dei grandi, solo dei puri di cuori ne avevano l’accesso.
Lei solo in alcuni giorni all’anno sentiva di poterci entrarei, quando la vendetta non la prendeva al petto e non la trascinava nel solito baratro.
 
Lì osservò per giorni e giorni, era sola da talmente tanto tempo che il solo sentir parlare le eccitava i sensi; si ripeteva che fosse per la sua sicurezza, ma la verità era che non poteva più convivere solo con se stessa, avrebbe finito per uccidersi.
La sua solita routine non le bastava più, voleva sentire.
 
Un giorno in cui il ragazzo era tornato da un giro perlustrativo e la bambina era controllata da un enorme gabbia di rami, fuori spinosi, dentro lisci e morbidi come i petali di un Splum, decise di farsi avanti. Non erano pericolosi, lo aveva visto nella settimana in cui li aveva spiati notte e giorno.
Toccava a lei fare la prima mossa e l’avrebbe fatta, tanto non aveva nulla da perdere.
 
Lo aspettò vicino alla zona nord, aveva notato che lui la usava spesso come scorciatoia per tornare  nel suo alloggio.
Non ci volle molto, dopo pochi minuti se lo trovò davanti.
-Chi sei?- poche semplici parole, non amava essere prolissa; nessuna risposta, il ragazzo aveva assunto una colorazione violacea e ora più che mai, con i suoi capelli color del tramonto, sembrava un essere grottesco.
Non era brutto pensò la Gatta, i suoi occhi erano di un verde smeraldo molto accattivante anche se, il resto  del corpo era talmente smagrito da sembrare un fantasma.
-Ripeto: chi sei?-  finalmente egli decise di rispondere, stava perdendo la pazienza –Io…io sono Luis  della casata degli Ox, sono scappato da…- lo interruppe subito, voleva conoscere bene il suo animo prima di continuare –Sei solo?- lo sorprese quelle domanda, vedeva i suoi occhi annaspare ma poi ritornarono fermi e razionali come all’inizio –Si, sono solo-.
 
Senso di protezione, bene, le piace.
 
Sorrise impercettibilmente, Luis non la conosceva abbastanza per accorgersi suoi cambi repentini di espressione, ormai non era rimasto in vita nessuno che la conoscesse bene in quel modo.
Decise che era ora di andare così si rigirò, quando l''altro urlò –Ehi tu chi sei?-. Non rispose, non ancora.
 
Non andò molto lontano, rimase ad osservare le sue mosse ancora per alcune ore: lo vide affrettarsi verso la sua capanna senza guardare indietro, probabilmente era ancora spaventato.
Scappato… quindi era stato prigioniero. Ma di chi? Il suo cervello era impegnato in mille ipotesi mentre gli altri sensi erano concentrati verso il loro obiettivo.
La ragazzina fu liberata dal bozzolo protettivo e corse contro il fratello che l’afferrò al volo e la strinse a sé.
 
Sembravano così felici insieme eppure non avevano nulla.
 
Le magie dell’amore, Asha
 
Scosse a testa, non era il momento adattoche quella voce le si insinuasse nella testa, era toppo impegnata.
Luis aveva posato a terra la sorella e, mentre lei si era messa a riposare, lui le stava accanto carezzandole la testa. Probabilmente stava pensando a quello che lui aveva categorizzato come “strano incontro” con una strana donna  dalle strane fattezze.
Certamente il suo colorito verdognolo non era passato inosservato né le sue orecchie così allungate, ma quello che fin da quando era nata le dicevano fosse sconvolgente era l’innata eleganza che la contraddistingueva.  Non sapeva se fosse per via della sua discendenza elfica o magari fosse proprio una sua dote, fatto sta che imprimeva grazia in chiunque l’osservasse… ma, certamente, se avessero saputo chi in realtà era, forse non l’avrebbero considerata “dolce e carina”. L’unica cosa che la differenziava da un vero elfo dal sangue puro erano i corti capelli color della paglia, unico regalo della madre insieme a profondi, occhi neri.
Chiuse gli occhi e contò fino a dieci.
 
Uno… due… tre: focalizzazione dell’immagine
Quattro … cinque…sei: concentrazione
Sette…otto…nove: morte.
 
Riaprì gli occhi, un peso dal petto le si era disciolto.
 
Continuò ad osservare il quadretto familiare che aveva davanti per altre ore, fino ad arrivare alla sera e lì si accorse di una cosa: non avevano cibo con loro, ecco perché l’effetto di zucca essiccata che aveva ragazzo.
 
 
Luis si svegliò come sempre affamato, ma ormai non aveva più la certezza di trovare qualcosa in quel labirinto da favola; non si era ancora avventurato nella vecchia città, aveva ancora paura, non poteva negarlo; ma quella mattina fu diversa, perché sapeva di non essere solo e perché qualcuno aveva lasciato loro dei piccoli animali davanti la loro capanna.
 
Egli si guardò intorno ma dentro sé sapeva che non l’avrebbe rivista: chi era? Sarà forse “lei?
 
Non ebbe tempo di pensare, accese un fuoco e subito cominciò a preparare gli animali per essere cotti: sua sorella era diventata l’ombra di se , ancora giocava e sorrideva ma era rattrappita su se stessa ed aveva fame, molta.
 
-Uh…che buon odore…Cos’è, Lù?- Luis sorrise,-  È la colazione, il pranzo e la cena, madame-  Vide il volto di Moira aprirsi per fare spazio a tutta la gioia che aveva dentro.
 
Mangiarono in silenzio,  erano troppo affamati per parlare o almeno così sembrò alla Gatta che li osservava dalla stesa rupe del giorno prima.
Li aveva aiutati non per gentilezza, ma perché voleva risparmiarsi lo spettacolo orribile di vedere la morte sofferta di due ragazzini.
 -Moira, conosci la storia di Clorina e della sua distruzione?- improvvisantemente Luis cominciò a parlare, non sapendo di avere ben due ascoltatrici –Si Lù, ma la mamma non voleva che sapessi tutto…-
 
La Gatta vide il ragazzo sospirare e incominciare a raccontare –Beh ora come ora, credo che ti sia utile conoscere la nostra storia: molto tempo fa, all’incirca un secolo,  la Nuova Colonia non esisteva né aveva ragione di esistere visto che Clorina era una città ricca di salute e magia.
I Cloriensi abitavano a contatto con la Natura che dava loro i frutti per mangiare e protezione dalle intemperie. Era una magia luminosa, buona che scorreva nella linfa delle piante e da cui dipendevamo per tutto; la Natura si concedeva volentieri, perché sentiva che quel popolo le voleva bene e non si sarebbe mai approfittato di lei.
 A capo della città c’era una un consiglio di sette elfi, gli unici a saper maneggiare questo grande potere, ma molti nella città erano insofferenti al loro comando, dicevano che ne utilizzavano tropo poca.
Poi un giorno ci fu un…come posso dire…rovesciamento e gli elfi furono imprigionati, secondo i cospiratori la loro colpa era quella di aver trasformato la magia di Clorina in buia e oscura e che ormai era tempo per tutti di abbandonarla.
Così, usando un elfo loro alleato, costruirono in poco tempo la Nuova Colonia, abbandonando quella che era ed è la nostra vera casa-  Moira era rimasta a bocca aperta,  aveva assaporato il racconto come una delle fiabe che le raccontava la loro mamma; la Gatta, al contrario ebbe un sussulto.
Sentirsi raccontare come una cosa finta, una favola per ragazzini, le aveva rinnovato quel senso di vuoto che la rincorreva da anni e da cui mai si era lasciata prendere, mai fino ad ora.
 

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 : focalizzazione dell’immagine ***


Passarono altri tre o quattro giorni e la Gatta continuò a offrir loro del cibo, ormai si era affezionata a quei ragazzi, li sentiva soli come lei. Decise di cercare un altro contatto.
 
Quella mattina, dopo aver compiuto  quello che per lei era diventato un rituale, ritornò nella zona nord, questa volta dovette aspettare ancora meno, perché Luis era comparso neanche cinque minuti dopo il suo arrivo –Sei la Gatta vero?- non le diede il tempo di parlare, aveva quel sospetto e voleva conferma. Punto.
-Sì… cosa sai di me?- non fu stupita dall’essere stata riconosciuta, ma dal sapere che dopo cento anni ancora qualcuno parlasse di lei.
-Mia madre mi ha detto che sei l’ultima dei sette ancora in vita e che eri riuscita a scappare prima del colpo di stato… ma che tutti credevano fossi morta per via della magia oscura…- sputò quelle parole una sopra l’altra, finalmente avrebbe avuto risposte ai tanti interrogativi che i racconti della madre gli avevano lasciato.
Annuì, la Gatta annuì solamente.
-Tutto giusto meno che una parte, la magia oscura si è dissolta da tempo, ormai Clorina è di nuovo pronta ad accogliere i suoi abitanti-
-Come? No, no! Mio padre ha rubato dei documenti in cui era scritto precisamente che la città è ancora contaminata e che ci sarebbero voluti altri secoli prima…- Luis era agitato, tutte le poche certezze che aveva accumulato in quella sua breve vita stavano cadendo.
-Vi hanno mentito, probabilmente hanno fabbricato apposta quei documenti per farli rubare e pilotare le informazioni- fu la laconica risposta della mezza elfa –E perché?- sussurrò il ragazzo.
 
La Gatta non seppe dare una risposta a quella semplice domanda, non si era mai interessata a cosa ne fosse stato dei suoi ex sudditi e la cosa ora cominciava a pesarle; doveva riflettere così, come la volta precedente, sparì senza dare il tempo a Luis di replicare.
Ma lui non avrebbe detto niente, delle tante domande che prima gli vorticavano in testa ora ne rimaneva solo una: perché?.
 Ed era l’unica a cui dare la risposta era quasi impossibile.
 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Conosceva quel posto come il suo corpo, ogni appiglio era impresso nella sua testa, poteva farlo benissimo ad ogni chiusi, non sarebbe caduta perché la paura per eli era un’emozione futile ed aveva imparato a non seguirla, non fu affatto facile rinchiuderla in un angolino della mente sempre più piccolo e stretto, ogni tanto cercava di fuggire ma la sua padrona riusciva a fermarla ogni maledetta volta.

Una sbarra di ferro… mano destra

Un mattone…piede sinistro

Un’altra sbarra di ferro, ma attenzione, è appuntita….mano sinistra

Un pezzo di parquet sporgente…piede destro e così via, sempre uguale, gli stessi movimenti ogni volta, finché non raggiunse la sua meta.

Con un balzo felino si issò sopra quel vecchio pavimento di marmo in quello che doveva essere il resto del salone di un appartamento.
Ferma, chiuse gli occhi e ascoltò: niente rumori sospetti…bene si può procedere. Avanzò con la solita grazia che la contraddistingueva e giunse finalmente in quella che fu la stanza di un bambino: il suo sguardò si posò immediatamente sulla piccola statuina appoggiata sul letto, la prese con grazia e la osservò con la curiosità di sempre.
Era la riproduzione di un gattino di porcellana, di colore bianco su cui erano stati disegnati dei baffi e un pelo fulvo.
Ma quella mattina non sorrise, perché quell’oggetto oramai aveva esaurito il suo compito, c’erano delle vite reali lì fuori e lei ne era consapevole. Doveva almeno provarci.
 
 
 
-Lù, cosa c’è per cena?- era sera ormai e Moira, avendo solo cinque anni, aveva sempre fame, con grande disappunto del fratello che cercava sempre di razionare il cibo: la mezza elfa aveva continuato a dar loro da mangiare, portando nuove prede e anche delle verdure, ma lui non sapeva per quanto tempo sarebbe andata avanti, non sapeva neanche il motivo. Probabilmente le facevano pena o peggio, li stava avvelenando pian piano, tutto era possibile.
 
Eppure quando dopo un mese la Gatta tornò a fargli vista, non si sentì impaurito anzi, quando lei gli chiese di seguirlo lui non pose obiezioni se non quella di lasciare sola la sorella al che lei, gli promise che il loro viaggio sarebbe durato meno di un’ora.
Si incamminarono subito dopo il loro incontro, la guida non volle che Luis si portasse dietro nulla, gli disse che non ce n’era bisogno, e lui si fidò.
 
Era geniale il modo in cui il Labirinto era stato creato, perché era perfetto, ogni singola siepe era uguale a quella precedente ed erano maestose, più si allontanavano dal centro e più salivano in altezza fino quasi a oscurare il cielo –Seguimi e non ti lascerò indietro- la Gatta si girò e lo guardò con i suoi occhi neri come… come un pozzo profondo in cui perdersi; Luis ne rimase estasiato ma riprese subito a camminare, in quei pochi secondi lei era andata molto avanti.
Gli sembrò di camminare per ore, poi, infine, sbucarono davanti ad un precipizio –Attento, ora fai quello che faccio io- il suo tono era imperioso, ma in realtà si sentiva eccitata per ciò che stava succedendo, stava portando un altro essere nella Sua città.
La Gatta allargò le braccia e cominciò a roteare le mani in senso antiorario, sempre veloci fino a che si formarono due piccoli cicloni attorno ad esse, e si gettò.
-No!- Luis gridò con tutto il fiato che aveva in gola, sarebbe morta e lui non sapeva come tornare indietro.
Poi vide qualcosa che lo sorprese: non solo era ancora viva, ma era atterrata sana e salva vicino ai resti di un torrione della polizia.
Voleva portarlo a Clorina.
Luis si fermò, non emise un fiato: non era ancora pronto si diceva, poteva essere ancora piena di magia oscura e lui sarebbe morto avvelenato e…
-Luis, agita le mani e scendi… ti giuro sul grande Soflos che non hai nulla da temere, ma molto da perdere-
 
Soflos, l’elfo supremo, colui che per primo aveva addomesticato la natura facendone la sua più intima alleata, era un nome sacro, chiunque lo avesse nominato mentendo avrebbe avuto un orribile punizione. Forse poteva fidarsi, se si fidava Soflos, perché lui no?
 
Allargò le braccia, agitò le mani e si sentì libero, quei piccoli cicloni lo stavano trasportando a terra, non ebbe bisogno di dire o fare nulla, sapevano ciò che dovevano fare.
-Natura è anche sole, acqua e aria, ricorda. A quanto vedo ormai di Clorina si conosce solo una parte-  la Gatta sbuffò, essere l’unica a ricordare il passato della sua gente era un fardello molto grande da portare e sperava di poterlo dividere con qualcuno, ma evidentemente sbagliava.
 
Quello che Luis si trovò davanti fu la Morte, non poteva essere chiamato in altro modo.
Dei vecchi palazzi nobiliari non era rimasto più nulla, solo carcasse smembrate dall’uomo e dalla sua  prepotenza.
Avanzava con grande timore in quel grande cimitero di palazzi decaduti, una strana aura gli faceva provare orrore e ribrezzo che quasi gli imponevano di scappare.
-Un’altra difesa, questa volta è un rimasuglio di magia malvagia..- Luis si fermò e la Gatta non sentendo altri fuorché i propri passi si girò di scatto – Tranquillo, ora è innocua… è passato talmente tanto tempo che il suo potere è pari a zero. È rimasta solo per proteggere la città, ormai si era affezionata-, finito di spiegare si rigirò e continuò a camminare.
Avevano oltrepassato il quartiere nobiliare per giungere in quello popolare e qui fu  anche peggio; i palazzi erano ancora integri ma totalmente senz’anima, sembravano dei monoliti sbucati dal terreno.
 
Per lei era tutto semplice, in fondo era parte di lei… ogni rudere, ogni fontana spezzata, ogni mobile rovinato, era la sua casa, conosceva quel luogo come le sue tasche.
Luis non poté fare a meno di notare la sicurezza del suo passo unita a dei vestiti logori,  una giacca che forse dovrebbe essere bianca con dei pantaloni abbinati, lunghi ma arrotolati fino al ginocchio, e una maglietta nera come le scarpe che portava.
Sembrava un completo da lavoro, ormai ridotto a un cumulo di polvere e sporcizia. Strano come si sia conservato in un secolo.
Poco dopo ne capì il motivo.
 
 
La Gatta non aveva mai capito il motivo di tanta vergogna, lei come la sua stirpe era ignara di cosa fosse la pudicizia e rimanere  con solo il completo intimo a vestirla, non era nulla di ché.
In realtà lei preferiva di gran lunga non portare proprio nulla durante le scalate, ma temeva che quel ragazzino sarebbe morto per quanto la sua faccia era diventata rossa: reggiseno e mutande le sembrarono più adatti.
-Cosa? Io lassù non ci posso salire-  era troppo impegnata nel prepararsi alla scalata per vedere l’espressione di Luis, se lo avesse fatto avrebbe visto puro orrore –E perché no? Hai le braccia rotte?
-Beh, no…-  lei sorrise, lo stavo portando dove voleva –Allora, le gambe rotte?-
Luis capì il gioco –No ma…- lei cominciò a salire –E allora sali  e non fare storie, ricorda che sono io quella che ti ha portato il cibo in queste settimane- con ciò chiuse la conversazione, l’avrebbe seguita ne era sicura.
 
 
Era già arrivata a metà percorso quando lo sentì arrancare per la fatica –Non mi dire che sei già stanco, ragazzino?- era stupefatta, quella per lei era normale routine, era solo un palazzo di ventiquattro piani, neanche tanto alto.
-Sai, non so se to l’ho detto, ma sono un conte e il massimo di libertà che mi era concessa era di giocare a pallone  in giardino, non certo scalare palazzi fatiscenti e marciti dal tempo, con il rischio di spezzarmi tutte le ossa… e poi, non sono un ragazzino, ho vent’anni, io-
La Gatta aggottò le sopracciglia: vent’anni… in pratica era suo coetaneo, se  non si contavano il secolo che lei aveva in più. Strano, sembrava così piccolo e indifeso.
 
-Forza, una mano dopo l’altra- lo incitò, ne aveva bisogno. 
-Aaaah!- la Gatta si girò di scatto ancor prima di sentire l’urlo, aveva sentito la mano di Luis scivolare sopra una  sporgenza di metallo –Luis, calmati, agita il braccio- nella sua voce non c’era agitazione, non era ancora il momento di agitarsi.
-Che cosa? Se mi agito, cado!- lei sbuffò –Agita quel cavolo di braccio- era un ordine; Luis, ormai a corto di idee, batté il braccio da una parte all’altra e, come vicino al Labirinto una strana forza lo issò, era però sbilanciato da una parte così fece lo stesso con l’altro braccio e si ritrovò a volare, sì proprio a volare.
 
Era stupefacente la vista da quella posizione, aveva tutta la vecchia città sotto i suoi piedi e mentre i due cicloni lo trasportavano in una rientranza del palazzo causata forse da una bomba, Luis si meravigliò di come conoscesse poco le sue origini; aveva sentito racconti, ma non c’erano immagini del luogo e per lui era sempre rimasto un luogo mitico e irraggiungibile.
 
La Gatta ci mise poco ad arrivare e nel frattempo Luis si era disteso a terra, sopra una coperta trovata sotto un mobile mangiato dalle termiti: doveva essere più o meno a metà del palazzo e precisamente nella cucina dell’appartamento.
 
-Bene, vedo che sei arrivato sano e salvo. Te l’ho detto, la Natura è tua amica- disse questo mentre si sdraiava accanto a lui, amava la sensazione di stanchezza dopo una scalata la faceva sentire realizzata.
-Mia amica? Tu non sei sua amica?- aveva sentito del genuino stupore nella sua voce, evidentemente non conosceva neanche quella parte della storia storia.
 La Gatta esitò un momento, erano pur sempre ricordi dolorosi, poi incominciò –Quando… quando l’elfo traditore manipolò la magia, essa divenne oscura e questo già lo sai. Quello che non sai è che la Natura si ribellò al suo comando e ruppe l’alleanza con noi elfi, ci bandì per sempre da lei e dalla città, nessun elfo potrà mai fare ritorno a Clorina-  ricordò i momenti dopo a ribellione, il concitamento, suo padre portato via dalle guardie, altri elfi uccisi dalla stessa magia che avevano servito per secoli. E lei a guardare senza poter fare nulla.
-Ma allora come mai tu vivi qui?- ella sorrise, aspettava questa domanda –Vedi, mio padre era uno dei sette. Tu saprai sicuramente che non era contemplato che essi si … riproducessero, erano immortali e non c’era nessun pericolo esterno, perché avrebbero dovuto avere figli?
Beh mio padre ruppe le regole di castità, ma soprattutto, fece un abominio, si innamorò di un’umana ed ebbe me.- aspettò che quelle parole venissero accolte dal ragazzo e poi continuò – Quando uno dei sette morì, io divenni l’unica in grado di sostituirlo, in fondo avevo sangue elfico nelle vene; ero incaricata di controllare la sicurezza di Clorina e dei suoi abitanti ma, il giorno del colpo di stato, non fui in grado di proteggere nessuno, anche se avevo seguito tutte le procedure legate al caso.
 -La Natura mi permette di vivere qui grazie alla mia parte umana, ma solo se non le chiedo favori troppo spesso  e soprattutto, non posso stare a contatto con il Labirinto troppo a lungò, è la zona con più alta concentrazione di magia, rischierei di intossicarmi –
 
Non protessi neanche colei che mi aveva dato la vita.
 
 
La voce maschile la ridestò dai suoi pensieri –Sapevo che eri una mezza elfa, ma nessuno mi aveva spiegato il perché…- -Oh beh, all’epoca fui uno scandalo, quindi credo che nessuno abbia voglia di ricordarsi la mia nascita- sorrise, era strano per lei parlare della sua vita tanto più con tanta facilità,  avrebbe dovuto provare odio o tristezza, ma in lei c’era solo tanta pace.
Di scatto alzò la testa e girata di fianco, l’appoggiò sulla mano – E tu?- vide Luis farsi rosso –Io cosa?-
-Parlami di te… di cosa ci fai in questa terra maledetta-  voleva spronarlo a parlare eppure sembrava restio, voleva informazioni a tutti i costi.
 –Qualcosa di doloroso?- domandò lei con tono confidente –Si- un semplice sì dopodiché cominciò a raccontare, di getto, come se aspettasse solo qualcuno che gli ponesse quella domanda – I miei avi facevano parte dell’alta nobiltà cloriense e fin da subito si schierarono dalla parte dei Sette, non volevano assolutamente un governo più aggressivo, amavano la loro città e ne andavano fieri.
Purtroppo… purtroppo dopo che la Natura si ribellò, dovettero scappare come tutti, ormai gli elfi erano sati catturati e nessuno era più in grado di controllare tanta magia…-
 
Io sì, io potevo farlo. Un pensiero fugace attraversò la mente della Gatta:
 
Uno… due… tre: focalizzazione dell’immagine
Quattro … cinque…sei: concentrazione
Sette…otto…nove: esplosione
 
Riaprì gli occhi e si rimise in ascolto
 
-…e così si trasferirono nella Nuova Colonia. Ma non si  arresero, mai.
Volevano che tutti capissero la pericolosità del nuovo governo, di ciò che avevano rovinato e i miei genitori sono una diretta conseguenza delle loro lotte.
Sono stati catturati mentre cercavano dei documenti compromettenti nella Blocco  Organizzativo  622, il quartier generale dei “grandi capi”- sbuffò, era talmente ridicolo…
-Mio padre era uno un Maestro di Gionna, uno dei consiglieri principali ma in realtà faceva il doppiogioco per la resistenza: mia madre ancora non so cosa facesse oltre a preparare sformati di zucche.
 In conclusione, loro sono scomparsi, probabilmente morti e io sono costretto con mia sorella a vivere in un enorme giardino circondato da siepi magiche nutriti da una mezza elfa in esilio volontario- pronunciò le ultime frasi con molta foga, si era aperto in lui uno spiraglio di ribellione, quello che alla sua famiglia era costato caro.
Era stato forse fin troppo cinico nella sua risposta ma ero ciò che pensava realmente, perché non ne poteva più di false promesse a una dolce bimba di cinque anni.
Erano orfani, i loro genitori nel migliore dei casi sarebbero finiti nelle celle di massima sicurezza del Blocco Organizzativo 622  e non ne sarebbero  mai usciti.
 
Lo stava osservando da circa un’ora ormai, dopo il suo sfogo aveva smesso di parlare e si girato su un fianco rannicchiandosi, come un bambino a cui era stolta una caramella, era così indifeso eppure la Gatta non notò  le gambe strette al petto né i capelli, mossi dal vento che formavano un’aura rossastra intorno a lui, no lei vide un essere suo simile, non della sua stessa specie ma con i suoi stessi sentimenti, con le sue stesse gioie e paure e con la stessa volontà si essere capiti. Lei lo aveva fatto, lo aveva capito.
 
Si alzò di scatto, era tardi, erano rimasti a gingillarsi per almeno un’ora e la bambina avrebbe dovuto cenare; si stupì di simili pensieri, in fondo non la conosceva neppure, ma si preoccupava lo stesso per lei.
 
Stava cambiando, la sua parte umana la rendeva molo empatica.
 
-Su, avanti dammi la mano- allungò la mano verso il ragazzo che, inizialmente la ignorò diffidente ma subito dopo la prese.
-Sono ancora stanco morto, non ce la faccio a scendere né a proseguire comunque-  si affrettò a precisare, non sapeva come comportarsi; in fondo si conoscevano appena e tutta la sicurezza inziale stava svanendo con il calar del sole.
-E chi ti ha detto che scenderemo scalando?- .
Giusta osservazione, nessuno aveva nominato di dover scalare il palazzo tantomeno di proseguire: aveva capito, avrebbero usato nuovamente il vento.
-Avanti, prima tu- una volta che lo aveva tirato su come una leva lo spinse davanti a sé molto velocemente e prima che lui potesse dire nulla, si ritrovò a cadere nel vuoto. Nessuna, nessuna, nessuna emozione può essere paragonata a quella di sentire ogni cellula del tuo corpo che cade, calpesta l’aria che fatica ad entrarti nei polmoni, con il vento che ti sferza in faccia.
Nulla può essere paragonato, poi, essere inglobati in un fiore che si apre a te, come se stesse aspettando da tempo.
Era un enorme fiore dai petali rosa pallido,  quando erano saliti l’avevano trovato chiuso, ma ora,  gli aveva salvato la vita nel modo migliore.
 
Aveva paura di soffocare, quello strano fluido lo stava avvolgendo completamente e quando ormai aveva raggiunto l’altezza del suo naso, pensò di stare per morire, non si aspettava certo di sentite il proprio corpo sciogliersi in massaggio unico, che la sua mente fosse svuotata dai mille pensieri che l’affliggeva, di galleggiare dentro ad un fiore gigante.
 
Ogni piccola parte del suo corpo stava rinascendo, un turbine di energia che lo riportava in vita, come mai nessuna cosa prima.
 
Poi improvvisamente tutto finì e si ritrovò  sul polveroso terreno, espulso dalla quella strana capsula rigenerante che ora, era afflosciata dietro di lui.
-Ma cos’era?- non aveva parole solo emozioni dentro di sé – È un fiore Regina, sono gli ultimi due della loro specie rimasti ancora in vita; si nutrono della nostra stanchezza quindi non ti hanno fatto un favore, casomai lo hai fatto tu a loro-
-Wow, dobbiamo portarci qui  Moira!- la sua sorellina ne sarebbe stata entusiasta.
-Ah-ah.- la Gatta scosse la testa in segno di diniego –per ricrescere ogni fiore ci mette almeno cento anni, non credo che la piccola possa aspettare tanto- rise mentre lo disse, per lei cento anni erano più o meno come dieci anni,  per i suoi strani conoscenti erano invece un’eternità.
 
Si incamminarono nuovamente verso il Labirinto ma arrivati allo strapiombo, la Gatta si congedò e se ne andò, aveva molto a cui pensare.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Scrutava il cielo aspettando un segno un qualcosa che le impedisse di cacciarsi in un viaggio forse senza ritorno, ma nulla.
Clorina era distesa sotto di lei, in silenzio, aspettando una sua mossa.
Doveva andare, doveva vedere cosa ne era rimasto degli altri; era giusto che si interessasse alle loro sorti,così forse la sua coscienza avrebbe smesso di darle così dannatamente fastidio.
Perché sapeva di aver sbagliato qualcosa, per forza, non c’erano altre spiegazioni. Suo padre l’aveva allenata per anni prima che fosse idonea all’incarico eppure non si era sentita mai così pronta come quel giorno.
 
Sei un elfo dentro e fuori, non scordarlo mai. In te vivono due nature, sa a te scegliere quella  a cui appartenere… quelle parole le aveva in mente da allora, come poteva dimenticarle? Era il motivo della loro rovina, lei non aveva scelto.
Era un ibrido riuscito male, non era nulla.
 
Per questo doveva andare, perché aveva bisogno di sapere l’estensione della sua colpa.
 
Uno… due… tre: focalizzazione dell’immagine
Quattro … cinque…sei: concentrazione
Sette…otto…nove: caduta
 
 
-Ehi, sei lassù?-  la Gatta sussultò, quel ragazzo cominciava proprio ad irritarla: da quando gli aveva mostrato come raggiungere la vecchia città, passava più tempo lì che nel sicuro Labirinto, portandosi dietro quell’irritante ragazzina.
Moira l’aveva chiamata… no, lei e i bambini erano due mondi che non si dovrebbero mai incontrare.
 
Ma lui la portava lo stesso, anche se la bambina piangeva ogni volta che la vedeva, anche se non poteva mai scalare insieme alla Gatta in sua presenza. Anche se ogni volta che la vedeva gli ricordava ciò che avevano perso, ovvero tutto.
 
-Scendo subito- doveva parlarne con lui, un addio non si nega a nessuno.
Raggiunta la terra gli si avvicinò-Come va oggi? Ehi ciao Moira!- la Gatta sorrise, ma la bambina di rimando imbronciò il viso e si nascose dietro il fratello maggiore.
-Non le piaci, ti trova inquietante- ghignò Luis, ormai era un loro gioco:  lui era un povero mortale slavato e lei la donnona tutta verde. Non erano amici, ma lo stavano diventando.
-Ehi, ricordati che posso farti cadere un mattone in testa o divorare da un ratto gigante, caro mio- rispose la Gatta con finto tono sdegnato.
-Spiegami di nuovo come fai-  era sempre così, le faceva ripetere per filo e per segno ciò che lui chiamava “poteri”, ma che per lei erano una normalità.
-Semplice: chiudo gli occhi, focalizzo l’immagine di una persona, concentro la magia e puff! Quello avrà la peggior sorte possibile, inviata dalla protagonista- fece un inchino.
Luis rise –E tu con chi ce l’hai?-, la Gatta si irrigidì e abbassò la testa, rispose- Con chi ci ha traditi e …- si fermò un attimo, sospirò e riprese -… ci ha uccisi; ha ucciso questa città-.  Era il momento.
-Luis, io domani parto, devo andare a vedere cosa ne è stato della mia gente, degli altri cinque elfi. Non posso far finta di vivere in un paradiso quando gli altri a cui voglio bene vivono in un inferno, non ce la faccio!-
 
Buio.
 
Il volto di Luis si trasformò in una maschera buia, oscura.
 
Paura.
 
Negli occhi di Luis, solo gelida paura. Di rimanere solo.
 
Orgoglio.
 
Nei suoi pugni stretti, una scelta: sarebbe andato con lei, a qualsiasi costo.
 
-Vengo con te- non era una domanda e lei lo sapeva bene.
Decise di ignorarlo –No, è una cosa mia. È pericoloso per te e per Moira, rimarrai qui con lei- Luis lesse in quelle parole un ordine che anche lui decise di ignorare –Lei non verrà, sono scappato una volta, non lo farò di nuovo-  la guardò, negli occhi una muta decisione: l’avrebbe seguita lo stesso.
 
Il perché non lo sapeva neanche lui, in fondo avrebbe trovato la morte, sicuramente non i suoi genitori eppure sentiva che rimanere lì, aspettando chissà cosa, non fosse adatto lui, figlio di combattenti; doveva vincere le loro battaglie.
 
Occhi negli occhi, due destini uguali. –Ok, ci sto… ma non ti aiuterò, ognuno per la sua strada dentro la base-
Luis annuì soddisfatto, gli piaceva quella specie di accordo.
 
Passarono l’intera notte a radunare le poche cose di cui disponevano: la Gatta si occupò del cibo e dei pochi vestiti, mentre Luis ricercava qualsiasi cosa che potesse andare bene come arma; la cosa più difficile fu spiegare a Moira il perché lei dovesse rimanere lì, ma ci pensò il Labirinto a tranquillizzarla, asciugandole le lacrime con i buffi rametti dei cespugli e stringendola forte.
 
Era tutto pronto, all’alba sarebbero partiti.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6: concentrazione ***


Sei sicuro che è per di qua?- si erano arrampicati una roccia sporgente, attorno a loro solo deserto e la Base, primo avamposto della Nuova Colonia.
 
Era il primo ostacolo da superare e il più duro e con le forze private da giorni ininterrotti di cammino nel deserto, non si sentivano affatto pronti per ciò che stavano facendo.
 
-Si, è da lì che siamo partiti- ripose stizzito Luis. Era stato troppo impulsivo, lasciare un comodo rifugio per uno stupido orgoglio virile, ma ora erano lì e non potevano far altro che andare avanti.
 
Vide la Gatta chiudere gli occhi: tre uomini caddero a terra tramortiti da piete lanciate da grifoni dorati.
Bene l’entrata ora era libera, ma non sarebbero passati da lì… troppo scontato, lo avrebbero usato come diversivo.
-Vieni- cercò di scendere rapidamente dall’altura, ma ovviamente, quando arrivò, la Gatta era già scesa e lo aspettava con grande attenzione: ora era lui la guida e lei poteva solo seguirlo.
 
Mentre altre guardie erano sopraggiunte per aiutare quelle ferite, i due corsero verso il lato est della base e Luis  premette uno strano codice su una piccola tastiera seminascosta, pregando che non l’avessero cambiata.
 
Non erano così furbi, evidentemente, ma in realtà erano fin troppo sicuri di loro per pensare a possibili attacchi esterni.
Niente telecamere né microfoni.
 
Aperta la porta, si trovarono davanti a un lungo e buio corridoio con una porta all’altra estremità.
 –Io vado avanti, tu prosegui per la parete destra e quando senti con le dita una cosa fredda e metallica versaci una goccia…lo hai portato?- lei alzò il piccolo contenitore contenete il sangue del ragazzo: il suo sangue era contaminato dalla sua stirpe elfica, solo un puro essere umano potrebbe mai aprirla.
 
-Luis…-  non disse altro.
Auguri.
Poi corse via.
 
Si mosse il più velocemente possibile, rimanendo attaccata alla parete destra come se ne dipendesse la sua vita, sensori anti elfo erano posizionati per scongiurare una loro possibile invasione, non voleva essere beccata prima della fine della missione.
 
Tastò con le mani il muro e sentì una prima cosa metallica, sembrava una serratura, ma a forma di buco: ella ci verso dentro una goccia di sangue e il buco si allargò fino a diventare una porta.
 
Entrare o non entrare? Cosa avrebbe trovato? Era la porta giusta?
 
Ma le risposte erano tutte lì.
 
Trovò enormi scrivanie piene zeppe di documenti e strane carte, ma la prima cosa da fare era trovare gli schedari.
Si mise a rovistare dappertutto, ma trovava solo carte piene zeppe di calcoli finché non li trovò.
Aprì il primo e prese le cartelle del personale dalla A alla C, erano tanti, troppi eppure la sua memoria era la sua unica arma: B e D e così via, non ci volle molto.
 
Doveva fare una prova: individuò il sergente Maxwell Grondias nella sua mente, era un uomo anziano con un enorme pancia che gli impediva persino di allacciarsi le scarpe.
 
Lo identificò mentre stava mangiando un panino, era in una enorme stanza con tanti tavoli; vicino a lui, un piccolo cane abbaiava rumorosamente per avere un pezzo di pane.
 
La Gatta concentrò l’energia e spinse il cane ad azzannare Grondias, che, preso alla sprovvista, si strozzò con il boccone che aveva in bocca.
 
Era tutto pronto.
 
 
Ora rimaneva solo di cercare qualche documento che le spiegasse la situazione attutale.
 
Popolazione in diminuzione… carestia… smantellamento Nuova Colonia
 

Furono queste le parole che più spesso lesse, ma chi era la mente dietro a tutto?
Non riuscì a capirlo, non c’erano prove ma forse quello non era l’ufficio giusto, doveva andare oltre.
Uscì dalla stanza, che subito si richiuse, e ricominciò  a tastare il muro… un rumore sordo attirò la sua attenzione: la boccetta era caduta, non poteva più entrare.
 
Panico. Luis era andato, era sola. Di nuovo sola.
 
L’unica cosa da fare era scappare o raggiungere Luis o… usare il proprio sangue, in fondo aveva una parte umana!
Scelse la terza opzione e fu errata.
 
Appena poggiato il dito sul buco, qualcosa l’attirò dentro la stanza e la imprigionò.
 –Asha?- una voce familiare: suo padre

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Capitolo 7
*** Captolo 7 ***


Era stato tutto talmente veloce che non poté fare altro che chiedersi cosa fosse successo: era incatenata ad una sedia con delle catene d’ambra, veleno per gli elfi e davanti a lei suo padre, orrendamente sfigurato da una lama incandescente sugli occhi.
 
Splendidi erano stati i suoi occhi grigi ma mai freddi, i suoi capelli lunghi e neri erano il vanto della sua specie. Ora era un essere scheletrico, rattrappito dall’età, che cercava di percepire il mondo senza uno dei sensi più importanti.
 
-Padre?- si stupì lei stessa della sua voce, sembrava così infantile,
 - Sono morti, sono tutti morti… Klas, Frua, Mijo, Nara, li hanno uccisi!- urlava suo padre, perché era da più di un secolo che voleva urlare il suo dolore,  ma mai aveva potuto.
-E Loa?-
 Riina sputò a terra- Loa ci ha traditi e ora la Natura vuole la sua vendetta contro i traditori… al contempo vuole che torniamo da lei-.
 La Gatta sgranò gli occhi  –Cosa stai dicendo?-, suo padre la fissò con il suo volto senz’occhi –Ma non senti con quanta grinta ci richiama? Le manchiamo noi e i Clorianensi, ha sofferto nel vederci ridotti in schiavitù… vuole solo vendetta-.
 
Vendetta… quante volte dentro di sé quella parola era stata usata?
La Natura vuole vendetta per i suoi cari, vuole un destino crudele per i traditori, vuole… ma come possiamo darle quello che vuole?
 
 
Iosoina nam aurios. Chiama la Natura, le ti difenderà.
 
 
-Padre… ti hanno accecato per non farti usare i tuoi poteri, vero? E faranno lo stesso con me- abbassò la voce ad un sussurro, suo padre annuì mestamente Era come… spento.
 
 
 
Gratais nam arios. Prega la natura, lei ti vendicherà.
 
 
Volle provarci.
 
 
 Clam arios. La Natura sta arrivando.
 
 
-Padre, ricorda chi sei. Sei un elfo, uno dei sette ed è tuo dovere difendere il tuo popolo- sperava che quelle parole arrivassero a destinazione perché davvero non sapeva cos’altro fare.
- Ragazza mia, Asha, sono vecchio e cieco ormai sono inutile- un singhiozzo uscì da quelle labbra che Asha tanto amava.
 
-No padre. ,dobbiamo chiamarla, ora-
 
-Siamo solo in due Asha noi non…-
 
Iosoina nam aurios
Gratais nam arios
 Clam rios
…. Asha cominciò a pronunciare la formula, l’avrebbe fatta con l’aiuto di suo padre o senza.
 
 
La sentì arrivare come un’onda d’urto, magia pura nelle vene, vita che scendeva dal soffitto.
Continuò a cantare sempre più velocemente, suo padre aggiunse la sua voce, il ritmo si fece sempre più forsennato.
 
La Natura arrivò.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Fu una vera e propria invasione per tutta la Nuova Colonia, nuovi alberi crebbero, liane si arrampicarono sui muri dei palazzi fatiscenti, acqua e vento spararono via la sabbia del deserto e tutto il male.
 
Clorina era rinata.
 
 
***



 
Luis la trovò svenuta sulla sedia, le catene spezzate da un ramo e davanti a lei un vecchio elfo che faceva fatica a respirare.
Insieme ai suoi genitori aveva trovato anche delle verità sepolte dal tempo, nella sabbia di Nuova Colonia.
 
Era stato tutto montato: il ruolo di attivisti dei suoi genitori, la sua fuga con Moira, era tutta un’invenzione per attirare la Gatta da loro e ricreare una nuova Clorina.
 
Perché la Gatta era Clorina, il suo spirito.
 
Metà donna e metà elfa e, quando cento anni prima era scappata rimanendo nei ruderi della vecchia città , la Natura era rimasta con lei perché, lei era la Natura. Il padre era stato ingannato e sfigurato dai suoi simili.
Voleva odiare i suoi genitori, oh sì se voleva, ma come avrebbe potuto? In fondo avevano salvato tutti, meno che i cinque elfi, i veri responsabili del tradimento; il padre della Gatta era stato tenuto all’oscuro di tutto, gli era stato detto solo il minimo indispensabile.
Chi poteva davvero essere sicuro che non fosse coinvolto, nella congiura? Non potevano rischiare.
 
La prese tra le sue braccia e, aiutato da suo padre, liberato dalla finta prigione in cui era tenuto, la adagiò dentro un fiore Regina, nato apposta per lei: si sarebbe ripresa e li avrebbe salvati tutti.
 
 Perché lei era la Gatta, la sopravvissuta.
 

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Capitolo 9
*** Capitolo 9: vita ***


Era tutto cambiato, non fu facile riabituarsi all’invadenza delle piante e degli altri elementi, ma nessuno se ne lamentò mai.
Il Labirinto si era posizionato di fronte all’ex Base, ora simbolo di un’era di crisi passata, e aveva riportato Moira dai suoi genitori, proteggendola nel suo lento avanzare nel deserto.
 
 

***
 


 Si incontrarono solo una volta, ora lei aveva ben altri responsabilità e non aveva più tempo per i divertimenti eppure, una volta, era sgattaiolata fuori dal suo palazzo, che condivideva con il padre, per andare trovare il suo amico.  
Perché quello era diventato un amico, o forse qualcosa di più
 
 
 
Se la trovò davanti, splendida nella tunica color oro, con i capelli raccolti in due trecce tenute insieme da due rametti di ulivo.
 
Luis era in pigiama: era notte fonda, dopotutto.
 –Cosa ci fai qui?-, lei sorrise –La Natura non dorme mai e poi volevo mettere in chiaro una cosa-, -Cosa?- chiese lui stupito
 –Il mio nome è Asha e non Gatta- e lo baciò.

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