Il cuore e il pallone

di releuse
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I capitolo ***
Capitolo 2: *** II capitolo ***
Capitolo 3: *** III capitolo ***
Capitolo 4: *** IV capitolo ***
Capitolo 5: *** V capitolo ***
Capitolo 6: *** VI Capitolo ***
Capitolo 7: *** VII Capitolo ***
Capitolo 8: *** VIII Capitolo ***



Capitolo 1
*** I capitolo ***


Erano mesi che lavoravo su questa ff, tentando di modificarla, da quando l’ho scritta 3 anni fa non ne sono mai stata troppo contenta. Troppo scarna, a tratti sterile...insomma, non ne ero proprio soddisfatta! Modifica qui, modifica lì, alla fine l’ho quasi praticamente riscritta^^”””  Devo ringraziare le ff di Melanto, Maki-chan e Eos che mi hanno riavvicinato a Capitan Tsubasa di questi tempi e mi hanno spinta a riprendere in mano questa ff. Poi CT comunque è stempre il mio primo amore yaoi *_*  ci sono affezionata^^ . Ringrazio anche Erika la webmistress, che mi ha permesso di ripubblicare la storia ...grazie di cuore!!
E grazie a ichigo per averla letta in anteprima!!Grazie oneechan!!

Questa è quindi una versione più matura, l’idea originale che avevo della ff...spero che questa soluzione vi piaccia, a poco a poco riproporrò anche gli altri capitoli riveduti e riscritti!
A voi...buona lettura^_____^


Releuse






Il cuore e il pallone
Di  Releuse

Era   l’imbrunire.
L’orizzonte si tingeva dei colori del fuoco. Il sole, ormai con i contorni definiti e ben visibili,  stava per tuffarsi nel mare e sparire lentamente, lasciando spazio alle dense nubi della notte. Avevo gli occhi stanchi e leggermente arrossati. Certo, osservare il sole che tramonta non è una cosa ottima per la vista, ma ero incantato da quella visione, talmente rapito che non percepivo altro. Mi rendevo conto che quelle immagini di nuvole incandescenti rispecchiavano alla perfezione il mio stato d’animo, l’inquietudine, l’ essere divorato da quei dubbi che da tempo perseguitavano la mia mente.

Dalla fine dell’ultimo campionato.

Quei tiri...perchè non li ho parati? Tre  tiri...dannazione!

 Ero ancora sconvolto dall’accaduto e non riuscivo a farmene una ragione. Mi sembrava di essere ancora lì, sul campo, sotto lo sguardo attonito e sgomento dei miei compagni di squadra e del capitano. Inerme, immobile al centro della porta, mi sentivo come se fossi stato legato a solide e ben ancorate catene che mi impedivano qualsiasi movimento; come se la forza di gravità si concentrasse tutta sulle caviglie, schiacciando il corpo verso il terreno. Incatenato nelle braccia e nelle gambe, avevo l’impressione di essere uno schiavo privo di qualsiasi facoltà di decisione, ormai rassegnato alla sconfitta e annichilito nell’animo, dominato da un potere troppo sacro per essere abbattuto.

Atterrito dai suoi occhi decisi.

Quell'anno la finale del campionato la disputammo contro  la Musashi, la squadra del campione di vetro Jun Misugi. Nel ripensare a quell’ultima partita sentivo il sangue turbinare nelle mie vene con rabbia per la mia incapacità. Per essere stato dilaniato da quello sguardo placido eppure bramoso di vittoria.

Lo sguardo di Jun Misugi, lo sguardo del principe che mi aveva inchiodato a terra, sancendo la sua vittoria, come se disponesse della mia vita e della mia morte, perchè sicuro di se stesso. Quegli occhi non tradivano, non mostravano alcuna situazione.

Io, invece, avevo esitato, lasciandomi così travolgere dalla sua potenza che era riuscita ad abbattere la mia resistenza. Alla fine sono capitolato sotto la sua determinazione.

Rabbia.
Risentimento.
Vergogna di me stesso.  Questo era ciò che provavo.

Non ero riuscito a parare due dei suoi tiri e aveva giocato solo gli ultimi venti minuti a causa della malattia cardiaca, ma li seppe dominare tutti, senza lasciarsi sfuggire neppure un singolo secondo. Misugi era capace di fondere insieme la perfezione e la potenza, facendole coesistere così armoniosamente. Accecato dal nervoso e dal senso di frustrazione, non fui in grado di parare neanche il tiro di un altro semplice giocatore e così subii un ulteriore goal. Ken Wakashimazu con alle spalle tre goal...ero al limite e non riconoscevo più me stesso in campo. Leggevo lo stupore dei miei compagni, il loro sconcerto. Se non fosse stato per la rabbia e la determinazione di Kojiro, che riuscì a ribaltare il risultato, a quest'ora avremmo perso il campionato.

Possibile che fossi davvero al limite?

Alla fine della partita, al fischio dell’arbitro, mi mancò il fiato, perchè lui mi stava ancora guardando. Il Principe mi osservava. Era affaticato dal gioco che aveva messo a dura prova il suo cuore malato, ma lui sembrava non darci alcun peso.

Perchè si ostina a giocare a calcio se rischia di morire?

E nonostante si allontanasse, svanendo oltre il campo, verso gli spogliatoi, io avevo ancora l’impressione che mi guardasse, sfidasse con i suoi occhi decisi. Occhi colmi di qualcosa che io riconoscevo di non avere, occhi che mi fecero sentire completamente vuoto.

Quando, durante la partita, si stava preparando a tirare quel maledetto pallone, ho avuto come l’impressione che il suo sguardo fosse lo stesso di Hyuga... la stessa bramosia di vincere? No, non era quella la scintilla che illuminava il suo sguardo.
Era... qualcos’altro.

Mi stai sfidando, Jun Misugi?

Dalla fine di quella partita non dissi più una parola. E mi estraniai da tutto il resto. Non udivo né i rimproveri di Kojiro, né sentivo la sua stretta sul mio braccio che mi costringeva a guardarlo negli occhi. Lo avevo retto il suo sguardo, senza parlare. Non sentivo neanche Takeshi, le sue parole di conforto sempre gentili, che però in quel momento mi scivolavano addosso come l’acqua su una lastra di vetro. E da quel giorno non mi presentai più agli allenamenti. Era da un mese ormai... nulla più mi stimolava né mi faceva avere alcuna reazione.

Solo un dubbio riusciva a scuotermi: cosa aveva il suo sguardo da farmi sentire così carente e debole? Continuavo a domandarmelo da quel giorno, in maniera ossessiva, senza trovare una risposta che soddisfacesse il mio orgoglio, il mio ruolo di portiere e così lasciavo che i pensieri mi assorbissero in un turbine sconquassante.


Tornai alla realtà non appena udii i cigolii dei freni del pulmino sul quale stavo viaggiando.

Mi guardai intorno pronto ad osservare quel posto a me sconosciuto ma dalla rinomata fama: si trattava di una piccola pensione a conduzione familiare, famosa per la tranquillità in cui è immersa e per la sorgente termale che la completa. Avevo trovato biglietti e prenotazioni sul tavolo della cucina, di fianco alla colazione... “Sono da parte di tuo padre... vuole che ti rilassi per qualche giorno” Queste erano state le parole di mia madre, mentre mi rivolgeva un sorriso.

“Forse avrei dovuto ascoltarti...” Dissi a mio padre una sera, mentre l’aiutavo a pulire la palestra di casa. Sapevo che lui aveva seguito l’ultima partita, ma non mi aveva ancora detto nulla a riguardo. Non so, era come se quel silenzio simboleggiasse la sua vittoria su di me. “Avrei dovuto continuare con le arti marziali, invece del calcio...” Continuai, non sicuro delle mie parole, eppure desideroso di trovare conferma anche dalle sue. Credevo fossero quelli i suoi reali pensieri. Invece, mio padre tacque ancora per qualche minuto.

“La tua scelta l’hai già fatta, Ken...” Disse infine, guardandomi deciso negli occhi, per poi voltarsi e continuare il suo lavoro senza esitazione.
****


Intorno alla pensione c’era un immenso bosco verde, alberi maestosi che davano l’impressione di essere molto antichi, probabilmente millenari. Ero un po’ perplesso, decisamente non era il mio tipo d’ambiente ideale nella vita di tutti i giorni. Però, forse, era realmente quello che mi ci voleva. Dovevo riflettere sul perchè.

Perchè non volevo più giocare a calcio?

Un istante dopo notai la costruzione alla mia destra: era una pensione in legno, in perfetto stile giapponese, con grandi finestre e una vegetazione estremamente curata intorno. Dal primo sguardo mi trasmise una sensazione di calore, forse dovuta alla luce rossastra e arancione che l’abbracciava, riflettendosi sul legno lucido. Era il sole che ormai svaniva all’orizzonte.

Improvvisamente mi sentii più leggero e forse per un attimo un poco più sereno.

Quando il pulmino si fermò, tirai un sospiro di sollievo. Ero abbastanza nauseato dal viaggio: tutte quelle curve per salire mi avevano dato il voltastomaco e la mia testa aveva cominciato a pulsare. Ringraziai l’autista e, preso il mio zaino, mi diressi all’entrata ancora un po’ stordito.

Non appena varcai la soglia, mi venne incontro un signore anziano, minuto e in abiti tradizionali.

“Il signor Ken Wakashimazu?” Mi domandò con sincera gentilezza, rivolgendomi un sorriso accogliente e disteso.
“Si, sono io” Risposi un poco imbarazzato, non ero abituato a quel genere di cose. Di solito le vacanze le passavo al mare o in montagna, in mezzo al caos turistico, per cui la tranquillità di quel luogo mi metteva un poco a disagio.
“Sono il signor Matsumoto, la stavo aspettando. Prego, le mostro la sua stanza, così potrà rilassarsi e cominciare a familiarizzare con la nostra struttura." Sorrise ancora l’uomo, forse comprendendo il mio stato d’animo.

Mentre salivo le scale continuavo a guardarmi intorno. C’era un profumo di cera d’api, di quella usata per lucidare il legno, che ad un certo punto mi sembrò eccessivamente pungente, mentre il corridoio era ornato da piccoli bonsai ben curati.  Ogni cosa era posta in perfetto ordine, come se fosse stata lì da decenni, senza mai mutare. I brusii leggeri, provenienti da un paio di donne in kimono che scendevano le scale, venivano inglobati nel silenzio che sembrava essersi fissato nell’aria

Poco dopo arrivammo davanti alla porta della camera.

“Questa è la sua stanza, prego si rilassi pure. La cena sarà servita dalle 20 fino alle 22” Mi informò il signor Matsumoto, sempre con grande gentilezza. “E se desidera può scendere alla sorgente termale dietro la struttura per farsi un bel bagno e alleviare la stanchezza del viaggio, vedrà le farà bene... per qualsiasi cosa io sono al piano di sotto” Con un inchino l’uomo si allontanò verso le scale.

Diversamente dal primo impatto avuto nell’ingresso, quando entrai nella stanza una sensazione di benessere mi pervase improvvisamente, trasmettendomi subito un senso di calore e accoglienza. Non troppo grande e anch’essa tipicamente in legno, alle pareti della camera erano appesi dei disegni tradizionali giapponesi che raffiguravano donne in kimono fra alberi di ciliegio e pavoni di mille colori. Sorrisi fra me, pensando che sembrava una camera viva, profumata di vissuto.
Notai che il futon era già stato preparato e quindi mi ci sdraiai sopra immediatamente desideroso di rilassarmi, il viaggio mi aveva davvero stancato.  Inoltre ribadii fra me che avevo fatto bene ad andare in un posto come quello. Avevo bisogno di evadere, di riflettere con calma su quello che mi stava succedendo.

Pensai a Hyuga, che la sera prima di partire era passato a casa mia per convincermi ancora una volta a riprendere gli allenamenti e che, quando gli avevo detto del viaggio, aveva fatto una sfuriata accusandomi di perdere tempo e di trascurare l’allenamento. Ma sapevo che non era esattamente quello ciò che pensava realmente, ero conscio di quel personale modo di dimostrare la sua preoccupazione e la sua presenza. Ma quella volta non avrei mai potuto appoggiarmi a lui, non potevo più promettergli niente. Non avrei più potuto sopportare gli sguardi delusi dei miei compagni, né soprattutto il suo.

Avevo bisogno di capire... se valeva ancora la pena giocare a calcio....

Mi addormentai così, assorto in quei mille pensieri, con lo zaino ancora su una spalla e la maglietta appiccicosa di sudore.


....vedo solo il pallone e la rete, intorno è tutto buio. Io proteggo la mia porta e sono in attesa di qualcosa. Continuo a guardarmi intorno, ma è sempre l’oscurità a regnare. Poi, all’improvviso, un sibilo cattura la mia attenzione... un pallone calciato con potenza si materializza a poca distanza da me. Perché rimango immobile senza tentare di pararlo? Sembro pietrificato, non riesco a muovere un muscolo. Intanto il pallone entra in porta e svanisce alle mie spalle... è goal? Sono smarrito e non capisco cosa sia successo, intanto avverto dei passi avanzare... non è nessuno, non è nulla... sono ancora una volta i suoi occhi...

Aprii gli occhi di colpo, sollevandomi di scatto. Ebbi il capogiro per quel movimento brusco e per un attimo provai un senso di smarrimento non riconoscendo la stanza. Lentamente mi guardai intorno e a poco a poco misi a fuoco, realizzando dove mi trovassi. Inspirando profondamente, mi gettai ancora una volta sul futon,  fissando il soffitto; ero particolarmente turbato da quel sogno, un incubo ormai diventato routine nelle notti dell’ultimo mese. Sospirai un po’ rassegnato, rivolgendo lo sguardo all’orologio da polso: erano quasi le nove e avevo dormito per soli dieci minuti... eppure mi erano sembrate ore interminabili.

Raccolsi le forze e alla fine riuscii ad alzarmi. Accidenti, avevo le gambe davvero pesanti! Con movimenti quasi meccanici frugai nel mio borsone con l’intenzione di andare a fare un bagno rilassante alla sorgente termale; forse così avrei riacquistato un po’ di forze e tempra. Presi un asciugamano e uscii dalla stanza per dirigermi nel retro della pensione.

In mezzo al più completo silenzio e ad una rigogliosa vegetazione c’era una bella struttura in legno con  il tetto sferico coperto da vetrate smerigliate, un vero spettacolo per la vista. L’aria fresca cominciava a farsi sentire, quindi mi decisi ad entrare. Appena varcai la soglia, notai  subito la differenza di temperatura data dal calore e dall’umidità della fonte e i brividi di freddo che poco prima mi avevano colto sparirono dopo pochi istanti. Mi spogliai e raggiunsi l’acqua termale. Il tepore che emanava abbracciò graduale il mio corpo, mentre lentamente entravo in acqua, quasi a voler assaporare quella sensazione su ogni centimetro della mia pelle. Mi guardai intorno incuriosito: la sorgente era molto accogliente, le piante e le rocce che emergevano in diversi punti la rendevano particolarmente naturale e il silenzio che albergava contribuiva alla sensazione di pace che mi stava rasserenando. Ero contento di avere la sorgente termale tutta per me... almeno per quella sera volevo stare da solo e non mi solleticava l’idea di dover scambiare parole formali con altri visitatori.

M’immersi così fino al collo, abbandonandomi totalmente fra quelle acque, scacciando qualsiasi pensiero, cercando di svuotare la mia mente. Le acque mi cullavano, dolci e materne, aiutandomi a rilassare i muscoli ed il respiro. Eppure ancora una volta le immagini riuscirono a dominare la mia testa.

Questa volta un vecchio ricordo, il tiro di Hyuga e la sua sfida. A quei tempi volevo dimostrare di poterlo parare, volevo superare Genzo Wakabayashi...

Io ero un portiere, avevo tanto desiderato esserlo, avevo combattuto contro mio padre per  inseguire questo sogno. Eppure.. .era quello che volevo ancora?

Mi resi conto che erano troppi i pensieri che mi perseguitavano e per colpa loro stavo perdendo di vista molte cose. Per un po’ dovevo cercare di non pensare al calcio, a Kojiro, a Takeshi... solo così forse sarei riuscito a metter ordine nella mia testa.

Cercai nuovamente di rilassarmi, nuotando all’indietro, lasciandomi accarezzare dall'acqua tiepida.

Sussultai, quando qualcosa sfiorò la mia spalla, facendomi rabbrividire. Pensai di essere finito sopra una pietra, quindi mi voltai tranquillo.

 “Ah!” Un doppio grido di spavento sibilò nell’aria, avevo urtato le spalle di un’altra persona che ora mi guardava sorpresa. Non lo riconobbi subito.

Ricordo solo il torso nudo, le spalle rilassate, i capelli bagnati che morbidi cadevano sul viso e il collo dai quali le gocce d’acqua scivolavano, andando a disperdersi su tutto il suo corpo vigoroso...


“Wa…Wakashimazu?”

Ci misi qualche istante per capire che qualcuno aveva pronunciato il mio nome con stupore e sgranai gli occhi non appena riconobbi la figura davanti a me.

“Misugi? Jun Misugi?” Sicuramente nel trovarmi di fronte il capitano della Musashi non nascosi la sorpresa nelle parole e nell’espressione, , la stessa sorpresa che aleggiava allora nelle sue iridi scure.

Quegli stessi occhi che sul campo mi avevano messo in difficoltà e che erano diventati il tormento delle mie giornate. E delle mie notti.

Che cosa ci faceva Jun Misugi in quel posto? Non riuscivo a crederci… mi sembrava qualcosa di veramente assurdo. Ero andato lì con l’intenzione di distrarmi e non pensare al calcio ed invece avevo sotto i miei occhi la causa scatenante di quella situazione. Il principe di vetro era davvero davanti a me.

Il destino mi aveva proprio preso di mira.

Dovevo avere un’espressione eccessivamente sconvolta dato che il capitano della Musashi aggrottò la fronte, come per interrogarsi della mia reazione.

“Hey, Wakashimazu! Non sono un fantasma, non fare quella faccia…” Scherzò, sfoggiando un sorriso gentile. “Incredibile trovarti in un posto simile, non è da te!”

La sua battuta non mi piacque per niente, anche perchè, probabilmente sbagliando, ci lessi dell’ironia.

“Ah, certo, invece questi posti sono degni di te!” Risposi seccato. Misugi mi guardò un attimo come perplesso, finché scoppiò a ridere di gusto.

“Hai ragione, è vero! Ah, ah, ah! Questo è un po’ un posto ‘da nonni’!”
 
Non riuscivo a comprendere il mio stato d’animo. Qualcosa comprimeva il mio stomaco, era come se un chiodo continuasse ad avvitarsi dentro di esso. Ero irritato, sì, ero irritato dalla sua presenza. Dal sorriso dietro al quale si trincerava il baronetto del calcio. La tranquillità e fermezza con cui affrontava ogni situazione, senza mai scomporsi. Odiavo quella sua calma interiore che associava sempre ad una buona dose di razionalità.

Misugi si stropicciò un poco gli occhi e sorrise di nuovo.

“Io vengo qua dall’infanzia. Prima ci venivo con i miei genitori, ora ci torno da solo, quando ho bisogno di rilassarmi. Per riposarmi dopo il campionato… e lei, signor Wakashimazu, perché si trova in questo posto da nonni?”

Cominciava a seccarmi la sua ironia. Ma cosa voleva da me? Lui e la sua faccia di bronzo! Lo odiai in quel momento, perchè mi sembrava tutto così falso, la sua gentilezza, i suoi sorrisi, la sua stessa presenza. Come poteva una persona con tale sguardo di sfida sul campo, con quel sorriso da principe trionfante, mostrarsi così tranquillo? Credevo che Misugi mi stesse in verità deridendo, nascondendosi dietro il suo sorriso gentile. Avevo il sangue che ribolliva nelle vene, strinsi i pugni e sbuffai, scocciato.

“Anche a me hanno consigliato questo posto per rilassarmi…” Sibilai fra i denti, tentando di mantenere la calma. Mi rendevo conto di stare esagerando, ma la sua presenza mi aveva mandato in confusione.

Misugi sbattè le ciglia, sorpreso.

“Dai, anche tu hai il permesso di rilassarti di tanto in tanto? Pensavo che Hyuga vi mettesse più in riga” Continuava a scherzare, forse avvertendo la tensione che nell’aria albergava. Per questo credo che pronunciò quelle parole, pochi secondi dopo, probabilmente nel tentativo di alleggerire la situazione.

“Bè, dai... allora vedi di non rilassarti troppo, portiere! Fra un paio di mesi abbiamo l’amichevole con la Francia e dovrai essere in forma...

...perchè non lo sei... da ciò che hai dimostrato nell’ultima partita...

Non l’ascoltavo più. Avevo come l’impressione di riuscire a sentire i suoi veri pensieri, udivo i suoi giudizi, le sue sentenze, sapevo che mi stava giudicando, sapevo che stava cercando di umiliarmi.

In quel momento ne ero davvero convinto.

La vista si annebbiò rendendo tutto buio, la mia pelle s’irrigidiva, le parole cercavano di uscire, mentre i nervi si sgretolavano dentro le cellule del mio corpo.

“Senti, adesso mi hai scocciato, principino...” Sputai con astio, alzando la voce “ ...l’avermi fatto due goal non ti da l’autorizzazione a dirmi cosa devo o non devo fare, decido da solo se e quando allenarmi. Forse qui quello che deve tenersi in forma, invece di stare qui a cazzeggiare, è qualcun'altro che può solo giocare venti minuti a partita, dato che non se ne può permettere altri!”


Volevo aggiungere altro, vomitare tutta la mia rabbia, ma bastò lo sguardo di Misugi a tagliare le ulteriori parole dalla mia gola. Non c’erano né risentimento né rabbia nei suoi occhi, eppure quello sguardo duro e severo bastò a farmi tacere, atterrendomi. Non avevo mai visto quell’espressione sul volto di Jun Misugi.

Mi sentii mortificato, stavo davvero cadendo in basso. Strinsi i pugni nell’acqua, sentendola scivolare fra le mie dita. Me ne resi conto solo in quel momento. Ero geloso, invidioso della determinazione che Misugi dimostrava in ogni partita, eppure allo stesso tempo ne ero attratto e incuriosito. Odiavo e ammiravo la sua dedizione, la motivazione con cui ogni volta si metteva in gioco, lottando contro la sua malattia. Eppure non mi era chiaro il perchè, ancora una volta.

 “Maledizione, scusami Misugi…non so cosa mi sia preso, mi dispiace” Non ebbi neppure il coraggio di guardarlo negli occhi, stavo diventando così vigliacco?

Misugi fece un respiro profondo e un attimo dopo la sua mano si poggiava sulla mia spalla, facendomi rabbrividire per la scossa che si era propagata in tutto il mio corpo, spingendomi a credere che le sue dita mi stessero accarezzando.

“Hey, Wakashimazu… io non mi riferivo alla partita.”
“Lo so. Scusa”
“Senti” Misugi assunse un tono serio ma comprensivo “lo so che non ho alcun diritto di intromettermi negli affari tuoi, però... non eri tu durante quella partita...”

Mi venne da sorridere nel sentire simili parole e in quel momento mi resi conto di quanto fossero sincere.

“Lo so, Misugi...” Sospirai, rilassando le braccia ed alzando finalmente lo sguardo verso di lui. “Infatti non so ancora se giocherò la partita con la Francia...” Ammisi mesto, liberandomi, con quella confessione, del peso che riempiva il mio stomaco.
“Che? Che cosa stai dicendo?” Misugi aveva uno sguardo sconvolto, incredulo.

Non seppi davvero cosa rispondere.  

D’improvviso mi afferrò violentemente per le spalle e, mentre mi costringeva a guardarlo negli occhi, l’acqua che aveva agitato col suo movimento brusco schizzò sopra il mio corpo, come per scuotermi insieme a lui.

“Hey, Wakashimazu! Che diavolo succede, me lo vuoi dire?”

Calò il silenzio, non ci fu risposta per lunghi attimi. Nel mio campo visivo vi erano solo la vena pulsante sul collo di Misugi e i tendini delle sue braccia in tensione. La mia mente, invece, vagava altrove.

“E tu, invece...” Cominciai sussurrando “Mi vuoi dire perchè ti ostini a giocare a calcio, nonostante rischi di morire?”

“Co... come?” Il capitano della Musashi si sorprese, sicuramente non si aspettava una domanda del genere. La sua espressione divenne indecifrabile.

Improvvisamente Misugi allentò la presa sulle mie spalle, facendo scivolare le mani sulle mie braccia bagnate.

“Senti...” Cominciò con sorriso “A te diverte giocare a calcio?” Il tono era quello di qualcuno che stava facendo la domanda più banale possibile, eppure riuscì ugualmente a spiazzarmi. Improvvisamente la mia testa cominciò a vagare nel passato, riesumando i ricordi delle mie prime esperienze con un pallone da calcio, i giochi con i bambini del vicinato, le partite a scuola, l’entusiasmo dei compagni che mi sapeva coinvolgere.

“Io...una volta, credo, mi divertiva...” Ammisi, amareggiato. Ci riflettevo solo allora, negli ultimi tempi giocare a calcio era diventato quasi un obbligo, mentre prima era vero... mi divertiva. Stavo per dire qualcos’altro, non so bene cosa, forse volevo solo trovare una giustificazione, ma Jun Misugi mi precedette con un tono di voce squillante che mi stupii non poco.


“Vabbè, senti, non pensarci ora!” Esclamò risoluto. “Sei venuto qui per distrarti ed è quello che faremo!”

Lo guardai un po’ confuso.
 
“Fa...faremo?” Cominciavo a preoccuparmi.

“Esatto, Wakashimazu! Stasera andremo alla festa del paese che c’è qui vicino, una di quelle feste tradizionali con tanto di bancarelle e giochi!” Misugi sembrava davvero entusiasta e poi da come stringeva i pugni e mi guardava... ne era veramente convinto!

Io continuavo a non capirlo, decisamente. Un attimo prima eravamo seri, parlando di cose serie  e ora non capivo come avesse fatto a cambiare argomento e atteggiamento in una frazione di secondo, né che diavolo gli passasse per la testa.

“Ma, io... non mi piacciono le feste tradizionali...” Provai a dire, ma il ragazzo non volle sentire ragioni!
“Non fare il difficile, ci sarà da divertirsi!” Misugi mi diede le spalle e cominciò ad avviarsi verso la riva, seguito meccanicamente dal sottoscritto che se era completamente ammutolito.

Eravamo vicini al bordo della sorgente termale, quando Jun si voltò all’indietro, verso di me, domandandomi: “Non volevi distrarti?”
“Uh? Sì... certo...” Risposi, ancora una volta non comprendendo le sue intenzioni.


Lui intanto abbandonò l’acqua. Il suo corpo piegato sulle ginocchia si alzò in piedi, di fronte a me, dandomi ancora le spalle. In un attimo persi le parole. Fui ammaliato dal suo corpo nudo su cui il mio sguardo, inconsciamente, si posò avido, pronto ad afferrare la visione di quelle spalle muscolose, della schiena longilinea, dei fianchi sodi ed incredibilmente seducenti. Mentre Jun si portava le mani ai capelli, afferrandoli per strizzarli, io mi persi a contemplare la tensione dei muscoli, finché nella mia testa si materializzò un pensiero fugace.

Jun era l’icona di una bellezza assoluta. Era perfetto. E bellissimo.
 
.
Misugi si legò l’asciugamano alla vita, voltandosi ancora verso di me. Mi guardò intensamente negli occhi, prima di tendermi la mano. Nell’istante in cui pregavo che non si fosse accorto del mio turbamento, la sua voce echeggiò nell’aria.

“Forza, campione! Ci aspetta una serata piena!”

Non so se fu la stretta decisa e sicura, o il suo sorriso accattivante, o le sensazioni provate nell’esaminare il suo corpo... so solo che alla fine, in quella manciata di istanti, tendendogli a mia volta la mano, decisi di affidarmi a lui.


Fine I capitolo

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Capitolo 2
*** II capitolo ***


Scusate se è risultato aggiornato il capitolo poco fa, mi stavo incasinando con la linea....


Eccomi qui con il nuovo capitolo di questa ff rivista e corretta, questo cap mi ha impegnata molto >__< Grazie a voi che l’avete letta e per i consigli che per me sono sempre più che accetti *__* non si smette mai di imparare   _0_ ---> inchino ^^



Ichigo85
: cara Oneechan, graziee^__^ Per il commento, per i consigli e per il betaggio ç__ç come farei senza te! Sono contentissima che la nuova versione ti piaccia! La preferisco anche io ;)


Melanto
:
cara! Sono ancora reduce dalle tue belle ff su Yuzo e Mamoru *ç*...ok, torno alla mia ff...dicevo...(XDD) ho imparato a usare NVU finalmente e ora ho capito come sistemare i caratteri che dovrebbero andare meglio ^__^ Spero che la mia insolita accoppiata continui a piacerti *_*...ma povero Jun, io lo adooooooro >__< insieme a Kojiro è il mio pg preferito!
Eos75: Sono così contenta che stai leggendo anche questa versione! Sì, Ken è un pg molto tormentato e io gli voglio male che lo faccio penare ancora di pù , hihihi! Però mi piace cmq molto come pg *_* nonostante la sindrome premestrualeXDD
Berlinene: Grazie mille per le dritte! Le ho tutte modificate...una tiratina di orecchie? Ci voleva una tiratona!! Povero Jun, in effetti sembrava fatto apposta per prenderlo in giroXDD  Ken si è lamentato del fatto che l’ho gettato sul futon....povero si è fatto male ç__ç Quindi ho apportato modifica!
4haley4: Hai proprio ragione a dire che era una bozza >___< più la riprendo in mano e più rimango scioccata da quanto era scarna la prima versione...soprattutto per la tecnica del (come lo chiamo io) ‘singhiozzo’, di scrivere troppe parole staccate dal punto invece di farne una bella frase....mi auguro questa risulti più fluida! Ahhh quel capitolo su Yayoi (che mi sta parecchio antipatica...è di un noioso!) ho in mente qualche modifica per quello ;)


Grazie ancora a tutte!
A voi, buona lettura con il II capitolo!
 


Il cuore e il pallone
II Parte
Di  Releuse




Il piccolo paese di cui mi aveva parlato Misugi si trovava proprio ai piedi della collina dove sorgeva la pensione. Per raggiungerlo salimmo su un autobus di linea, probabilmente messo a disposizione in occasione della festa. Nel buio di quella strada di campagna, mentre venivamo inghiottiti dall’oscurità priva di luci artificiali e circondati dalle ombre degli alberi che correvano sui lati, come se fossero anime silenziose che ci osservavano, Jun Misugi mi raccontava della sua infanzia in quel luogo. Durante tutto il tragitto mi parlò delle prime volte in cui vi si recava con i genitori, i quali erano convinti degli effetti benefici dell’aria di montagna per il suo debole cuore. Mi rese inoltre partecipe degli scherzi che lui e altri bambini facevano al povero signor Matsumoto, di come proprio in quel luogo aveva cominciato a giocare a calcio. Mi rivelò, quasi con imbarazzo, che fu proprio la moglie del signor Matsumoto a regalargli il primo pallone da calcio, quando aveva quattro o cinque anni.

“Sono molto affezionato a questo posto...” Disse ad un certo punto, senza guardarmi, come se quelle parole fossero una velata confessione.

Il tono di Misugi era molto coinvolgente e, soprattutto quando parlava degli scherzi coi bambini, i suoi occhi brillavano colmi di soddisfazione. I gesti, la voce squillante e le sue battute riuscivano a rendermi partecipe delle esperienze che mi raccontava. Che dire, ero stupito. Stupito di vedere il “ principe del calcio” esprimersi così apertamente, fino ad allora mi era sempre apparsa come una persona poco loquace, il tipo che dice le cose giuste al momento giusto.
Non sapevo se lo stesse facendo per distrarmi, però il suo comportamento riusciva davvero a strapparmi numerosi sorrisi ed inoltre avevo l’impressione che fosse davvero spontaneo.

Era quella la vera natura di Jun Misugi? Cominciavo a domandarmelo, quando qualcosa improvvisamente catturò la mia attenzione: poco lontano, intravidi delle piccole luci sferiche e sfavillanti che si dilatavano sempre di più come avanzavamo con l’autobus. Sembrava di osservare un campo pullulante di lucciole.

“Siamo arrivati! Sono le luci della festa!” Esclamò entusiasta Misugi.





L’autobus si fermò davanti ad un maestoso tempio scintoista pieno di luci vivaci che lo animavano tutto intorno e dal quale andavano e venivano molte persone, alcune delle quali in kimono. Non appena scendemmo dall’autobus ci inghiottì l’ondata di voci e musiche che provenivano dall’esterno, dalle numerose bancarelle che costellavano il viale e dalla folla che lo riempiva.

“È un bello spettacolo, non è vero Wakashimazu?” Lo sguardo di Misugi mi chiedeva conferma.
“Sì, in effetti lo è...” Risposi, ancora colmo di stupore per lo spettacolo che si stava presentando ai nostriocchi.
“Mh, allora avviamoci...” Misugi sorrise soddisfatto.

In pochi minuti ci eravamo mescolati fra la folla, confusi fra quelle voci allegre di adulti e bambini e le luci brillanti delle lampade appese in ogni bancarella; a tratti, poi, la musica tradizionale era talmente alta che io e il capitano della Musashi dovevamo urlare per parlarci. Eppure, nonostante il caos, era tutto così... divertente. Misugi conosceva ogni angolo della festa, ad ogni passo mi indicava qualcosa di conosciuto e sapeva individuare le cose più interessanti e divertenti da vedere. La sua risata cristallina era diventata improvvisamente piacevole ed incredibilmente contagiosa. Inoltre, l’aria dolcemente tiepida, sintomo che l’estate era alle porte, rendeva l’atmosfera ancora più gradevole.

Era qualcosa di assurdo... ed incredibile. Fino a poche ore prima il rancore verso Jun Misugi mi stava divorando, i suoi occhi non avevano fatto altro che perseguitarmi, invece... improvvisamente mi trovavo con lui ad una festa tradizionale, senza pensare a nulla se non a divertirmi e scherzare. Era come se, di colpo, tutti i miei pensieri, i dubbi, il calcio stesso, fossero scomparsi. E tutto grazie a lui, Jun Misugi.

La causa del mio tormento eppure al tempo stesso la causa del mio buonumore.

Uno strano scherzo del destino.





La cosa più insolita fu vedere Misugi gareggiare al kingyosukui* con grande spirito battagliero. Rimboccatosi le maniche, il capitano della Musashi cominciò con aria di sfida la cattura dei pesci.

“Argh, non è possibile!” Gridò, non appena si ruppe il primo retino. “Devo riprovarci!” Continuava con estrema convinzione, come se io non ci fossi. Era davvero buffo vederlo così adirato!
Divertito dalle sue espressioni demoralizzate, decisi di andare in suo soccorso, ormai era una situazione disperata!

Inginocchiandomi al suo fianco, gli afferrai il polso, cercando di dargli la giusta angolazione. “Dovresti essere più delicato, Misugi...” Gli dissi, mentre mi concentravo sul movimento di quei piccoli pesci rossi e questo mi impedì di interpretare il lieve brivido che scosse il suo corpo a quel contatto.

“Via!” Gridai all’improvviso, guidando velocemente la sua mano nell’acqua. “..è fatta!”

Misugi alternò stupito lo sguardo fra me e il pesce rosso pescato insieme. “Ma come hai fatto?”
Sbuffai fintamente annoiato. “Bè... devi sapere che mio padre è un tipo un po’ tradizionalista... quindi le uniche feste che io e mio fratello abbiamo visto con lui sono queste... e poi diceva che era utile per imparare il karatè... sai, i riflessi... che ossessione! Per questo ho un po’ l’allergia per questi posti” Scherzai.
“Haha!” Annuì Misugi ancora sorpreso. “Karatè”? Domandò poi.

Già, dimenticavo, lui non sapeva nulla di me.


“... quindi hai dovuto lottare con tuo padre per poter giocare a calcio...” Constatò Misugi, mentre camminavamo nuovamente fra la folla.

Non so perché mi esposi così in quel lasso di tempo, non sono uno che ama molto parlare di sé, eppure con lui lo feci con molta franchezza e sincerità.
“Sì, è stata dura... ma lui sembra aver capito...” Sospirai. “... non è semplice fare qualcosa per costrizione, se non la senti parte di te...” Conclusi, esprimendo le ultime parole più a me stesso che a Misugi. Ed il capitano della Musashi parve accorgersene, poiché tacque e non aggiunse più una parola sull’argomento.

“Ah, guarda, Wakashimazu!” Il silenzio fu spezzato dalla voce di Misugi che mi indicava qualcosa. Poco distante notai un grosso pannello di legno colorato come se fosse una porta da calcio, sopra il quale c’erano dei buchi di diverse dimensioni. Conoscevo quel gioco! Bisogna calciare un pallone e a seconda del buco centrato si vince un premio.

“Mh... non è molto tradizionale...” Affermai perplesso.
“Che ci vuoi fare... è la globalizzazione!” Scherzò Misugi. “Dai, ci voglio provare!”
“Eh?” Non feci in tempo a rispondere che Jun Misugi si stava già mettendo d’accordo col proprietario dandogli la quota per giocare.

Lo vidi posizionarsi alla giusta distanza, concentrarsi sull’obbiettivo.

Riconobbi ancora una volta il suo sguardo determinato.

Lo sguardo di colui che sa di essere prossimo alla vittoria.

Ed ancora una volta mi ritrovai immobile e inerme, catturato dalla sua elegante figura e stregato da quello sguardo che continuavo a fissare, come ipnotizzato.

Poi, improvvisamente, un impercettibile respiro, uno scatto, il pallone che falciava l’aria.

Il respiro che moriva in gola.

“Ce l’ho fatta!” L’esplosione di ilarità di Misugi spezzò il mio torpore, riportandomi alla realtà.

Era riuscito a centrare il buco più piccolo e sia il proprietario del gioco che gli spettatori occasionali erano rimasti senza parole.

‘Non si smentisce...’ Pensai fra me. ‘Ha voluto subito affrontare l’ostacolo maggiore...’

“Bravissimo Misugi!” Esultai, coinvolto dalla sua risata. Mi ritrovai a pensare che sul campo, quando metteva a segno un goal, l’unico gesto che dimostrava era un sorriso di soddisfazione, invece, in quel momento, rideva come un ragazzino. Ero proprio sorpreso di conoscere quei lati nascosti di Jun Misugi.

Quanti volti mi nascondi ancora, principe di vetro?

“Tieni...”

Improvvisamente mi trovai fra le mani un pallone da calcio.

“Come...?” Domandai confuso.
“... è il premio che ho vinto...” Mi spiegò con un sorriso. “Te lo regalo...”
Il suo gesto mi stupii non poco, ma non riuscii a ribattere. Era come se dietro ci fosse un’intenzione, quasi un... volermi portare fortuna...

“Grazie, Misugi...” Gli dissi, un po’ sovrappensiero. “Mi sa che dovrò ricambiare... andiamo a mangiare qualcosa?” Proposi. Si stava facendo tardi e, in effetti, non avevamo ancora cenato.
“Mh, volentieri!”




“Non credevo che tu fossi così, Misugi…” Dissi, mentre eravamo seduti in un locale dove servivano il ramen.

“Uh? Così come?” Leggendo il menù, Misugi mi rivolse uno sguardo interrogativo.
“Beh... così! Come stasera!” Non sapevo bene come spiegarmi. “... se ti vedessero gli altri! E le tue ammiratrici! Credo che cadrebbe un mito!” Scherzai.
Misugi parve capire e soffocò una risata. “Beh, devo mantenere la mia dignità… la mia immagine da principe!” Esclamò, facendo ironia su di sé. Poi, però, mi rivolse un sorriso sincero.“… questo sono io. Sul campo ho troppi pensieri e responsabilità per essere me stesso… non che finga, però... ci sono delle priorità e delle responsabilità...”
 
Fui felice della confessione e cominciai a capire il perché dei suoi mille volti, delle sfaccettature che in anni di partite, sia come rivali, sia come compagni nella nazionale giovanile, non ero mai riuscito a cogliere. E che, invece, in una sera mi erano state mostrate più che chiaramente**.


Jun Misugi era una persona molto forte, rivelai a me stesso, perciò, d’un tratto, mentre aspettavamo le nostre ordinazioni, mi costrinsi a fargli quella domanda.

“Senti, Misugi...” Lo chiamai, attirando la sua attenzione. “... hai mai pensato di rinunciare al calcio?”

Lui mi scrutò attentamente, come per cogliere il senso delle mie parole. “Per via della mia malattia al cuore?”

“Sì...” Gli risposi, non distogliendo gli occhi dai suoi.

Misugi fece un respiro profondo. “Certo... l’ho pensato, più volte...” Le sue parole furono scandite da una breve pausa. “...ma non l’ho mai voluto. Mai!” Il suo sguardo non tradiva alcuna incertezza.
“Ma...” Non feci in tempo a parlare, che un crash fece sussultare entrambi.

Il tintinnio di piccole schegge di vetro echeggiò per alcuni istanti.

Poco distante un bambino aveva fatto cadere un bicchiere ormai andato in frantumi, la madre si stava prontamente scusando con il proprietario che le fece cenno di non preoccuparsi.

“Il mio cuore è come quel bicchiere...”

Le parole di Jun Misugi mi raggiunsero come un pugno nello stomaco, mentre le pronunciava non distoglieva lo sguardo dai frammenti sparsi sul pavimento. “... è fragile ed è debole. Ma io non sono come lui. Io non posso lasciarmi vincere dalla malattia. Io voglio continuare a giocare a calcio, non ci rinuncerò così facilmente, anche se ogni minuto che passo sul campo è una bomba ad orologeria per il mio cuore... anche se non posso più essere il migliore.”

Era fiera convinzione la sua. Ferrea e orgogliosa. Lo si leggeva dai suoi occhi, dalle parole scandite alla perfezione, dai pugni serrati improvvisamente, che manifestavano la sua lotta costante e la rabbia contro la malattia.

Che cosa lo spingeva a tanto?

“... è comunque un buon motivo...” Gli risposi, mentre nella mia testa riemergevano violenti i dubbi che fino a quel momento ero riuscito a dimenticare. “Hai la tua meta, il tuo obiettivo: andare avanti nonostante la malattia. Io, invece, qualsiasi cosa faccia, rimarrò sempre secondo a Wakabayashi...”

Misugi tornò a rivolgere il suo sguardo su di me, prestando silenziosa attenzione a ciò che stavo affermando.

“... tempo fa è stato Hyuga a convincermi a giocare, sfidandomi con il suo tiro. Volevo dimostrare di poter essere il migliore. Volevo superare Wakabayashi. Ma ormai me ne sto rendendo conto… non sarò mai come Genzo. Con questa convinzione, ora, non ho più lo stesso entusiasmo di una volta. Nell’ultima partita mi sentivo come bloccato, privo di forza e di motivazione. Mah...” Mi passai una mano fra i capelli, gettando la testa all’indietro, come per non dare troppa importanza alle mie stesse parole, per sminuirle volutamente. “Forse… non ho più buon motivo per giocare a calcio…”

“Il solo voler battere Wakabayashi non lo rende comunque un buon motivo...”

Avevo spalancato gli occhi di colpo, ma, prima che potessi rispondere, davanti ai nostri occhi si presentarono due scodelle di ramen fumanti, accompagnati da un contorno di cavolo, nonché da una bottiglia d’acqua e una di birra Asahi.

“Ecco a voi, spero siano di vostro gradimento!” Esclamò fiero il proprietario, distraendoci dai nostri discorsi.

“Mh, come fa a piacerti quella roba?” Misugi lanciò un’occhiata disgustata alla birra che avevo ordinato.
“Ah, ah, ah! Come fa a non piacere a te, semmai!” Gli risposi divertito.
“Mi sa ci hanno presi per maggiorenni...”
“Se eviti di alzare la voce, dopo credo berrò un bicchierino di sakè...” Continuai, stuzzicandolo.
“Wakashimazu!”

Iniziammo a ridere insieme, lasciandoci alle spalle il discorso di poco prima, anche se, nella mia testa, le sue parole rimasero sospese a lungo, riecheggiandomi ogni tanto nelle orecchie, mentre io e Misugi continuavamo a chiacchierare animatamente...




“...sei assurdo! Ben tre bicchierini di sakè... e sopra la birra!”

Avevo la sensazione che le parole di Misugi mi arrivassero in ritardo, oltre a percepirle un po’ confuse. Non ero completamente ubriaco, però, dovevo ammettere, che il sakè, unito alla stanchezza del viaggio, a quella serata piena e ai pensieri che cercavo di scacciare dalla mia testa, mi avevano abbassato le difese.

“Sembri mia madre, Misugi!Ah, ah, ah!” Ridevo, ma sentivo la testa davvero sempre più pesante e il corpo anestetizzato.
Nel raggiungere la fermata dell’autobus mi appoggiai con un braccio alla spalla di Misugi che continuava a borbottare lamentele contro di me, ma alla fine i suoi rimproveri erano solo una presa in giro, lo notavo dal tono della voce. Poi, improvvisamente, il principe si zittì, come se stesse riflettendo su qualcosa.

“Comunque...” Cominciò ed io dovetti sforzarmi molto per concentrarmi sulla sua voce. “Secondo me non giochi così da schifo per sentire tutta questa rivalità con Wakabayashi!”

Era... incredibile. Stava ancora pensando al nostro discorso?

Jun Misugi era davvero incredibile. Questa fu l’unica cosa che pensai in quel momento, prima di scoppiare a ridere di cuore, nonostante le tempie martellassero sempre più nel mio cervello.


***



Eravamo davanti alla mia stanza, l’orologio da polso che indossavo segnava le tre meno dieci. Nella pensione regnava un profondo silenzio.

Notai che Misugi si apprestava ad aprire la porta accanto.

“Oh, quindi la tua stanza è questa, Misugi?” Domandai a voce bassa, sorpreso. In serata c’eravamo dati appuntamento all’entrata principale, quindi non avevamo badato al fatto di essere vicini di camera.
“Pare di sì” Rispose Misugi. Sembrava... contento.

Ma il suo sorriso venne spezzato da una smorfia improvvisa delle sue labbra e dalla sua mano che prontamente afferrava la maglia, all’altezza del cuore.

“Ehi, Misugi!” Mi spaventai nel vederlo sbiancare in pochi istanti “Che ti succede?”
“Non è niente... sto bene” Misugi alzò il palmo della mano, facendomi cenno di stare fermo, che era tutto a posto. “È solo un po’ di stanchezza... non preoccuparti!”

Disse quelle parole rivolgendomi un sorriso gentile e io avevo come l’impressione che si stesse sforzando, per non farmi preoccupare. Cominciavo a sentirmi un po’ in colpa. Misugi si era dato da fare per me quella sera, cercando di distrarmi e ascoltando quello che dicevo senza mai essere invadente. Questo non potevo negarlo. Non potevo negare che il suo gesto aveva avuto il risultato sperato.

Ero stato bene ed anche in quel momento mi sentivo nel complesso sereno e rilassato. Era come se la coscienza si fosse fatta un po’ meno pesante.

Quindi, quando vidi le sue guance colorirsi e il viso farsi più rilassato, non potei esimermi.
“Grazie...” Gli dissi, guardandolo negli occhi, perché non pensasse che lo stessi facendo solo per circostanza. “... grazie davvero, Misugi...”
“Hei, non c’è bisogno di ringraziarmi...” Sorrise, come se riuscisse a leggermi nel pensiero “Sono contento anche io... è stata una bella serata per entrambi, no?”
Annuii. “Sì... almeno non ho pensato troppo al calcio e...”
“Shht...” Misugi mi fece cenno di tacere, avvicinando la sua mano al mio viso. “Non pensarci neanche ora, Wakashimazu...”

Quella voce roca e confidenziale mi fece vibrare i timpani e il mio corpo si scosse, tremando per un istante sotto il suo sguardo. Il sorriso dolce e allo stesso tempo preoccupato di Misugi parve colmare il vuoto che avevo provato fino a quel momento.

Sentivo solo l’alcool in circolo nel mio corpo. Vedevo solo le sue labbra di fronte a me.

Ormai qualcosa era scattata nella mia testa, una miccia si era accesa, mentre i freni inibitori si stavano dissolvendo. Fu un gesto spontaneo, l'istinto di un attimo.
Gli presi la mano, allontanandola dal mio viso, la strinsi ed infine lo tirai verso di me, chinandomi su di lui.

“Grazie Jun...”

Sussurrai il suo nome e le mie labbra si poggiarono sulle sue. Ed in quel momento il tempo smise di scorrere.

Le labbra di Misugi erano morbide e calde e il mio cuore iniziò ad impazzire, scosso da battiti continui e sempre più intensi.

Non capii se a tremare, a quel contatto, fu il mio corpo o solamente  il suo. O entrambi.
.
Furono pochi attimi che mi parvero eterni.

Durante quegli istanti accarezzai con la lingua la parte superiore delle sue labbra ed azzardai un secondo bacio.

Ma fu l’immobilità di Misugi a scuotermi, la sua fredda immobilità durante quel gesto. Improvvisamente indietreggiai confuso, allontanandomi da lui.

Avevo... avevo baciato un ragazzo, Jun Misugi, e non capivo nemmeno il motivo per cui l’avevo fatto. Sentivo la testa talmente disordinata che ancora non riuscivo a prenderne totalmente coscienza.

“Em... Misugi, scusa... io...” Non sapevo che dire, non riuscivo neppure a guardarlo in viso, ma lui riuscì a sorprendermi.
“Mah, hai uno strano modo di ringraziare la gente, tu.”
“Eh?” Lo guardai, finalmente.

Misugi mi osservava con uno sguardo un poco incerto, come se volesse capire il significato del mio gesto. Non riuscivo ad interpretare la sua espressione, ma non mi sembrava sconvolto... anzi, in quelle ultime parole e nei suoi occhi colsi un velo d’ironia provocatoria.

Ma ad un certo punto, come se fosse tornato alla realtà, non resse più il mio sguardo e si voltò sul lato ed ebbi la sensazione che fosse in difficoltà.

“Ok, a domani, buonanotte!”

In pochi secondi scomparve dal mio campo visivo e si chiuse in camera senza darmi il tempo di reagire. Io rimasi immobile, fermo per alcuni istanti a pochi passi dalla camera. Potevo vedere la sua ombra, perciò capii che si era appoggiato alla porta.

Un groppo d’amarezza salì nella mia gola temendo di averlo ferito.
Appena mi mossi sentii il pavimento oscillare e dovetti appoggiarmi al muro, l’alcool ribolliva nel mio cervello. Meccanicamente tornai in camera. Avevo la vista sfuocata e quasi inciampai, facendo cadere a terra il pallone che Misugi mi aveva regalato, il quale rimbalzò per un tempo indefinito. Con le ultime forze rimaste riuscii a distendermi sul futon, prima di sprofondare in un sonno profondo.


****



I raggi del sole attraversavano la finestra con invadenza, infastidendomi gli occhi che a stento tentavano di rimanere chiusi. Mi voltai su di un lato nel tentativo di ripararmi dalla luce e poter continuare a riposare, ma ormai avevo il sonno infastidito e così, lentamente, aprii gli occhi. Sollevandomi, fui costretto a portare una mano alla testa per sorreggerla, tanto la sentivo pesante: era come se qualcuno l’avesse crivellata di colpi. Mi guardai intorno stordito e con fatica riconobbi la stanza.

‘Ah, la pensione... la mia vacanza...’ A rilento le immagini nella testa si facevano più nitide, riportandomi alla memoria gli avvenimenti del giorno prima.
“Ah, sì... Misugi...” Dissi con la voce ancora impastata.

Con grande sforzo mi alzai completamente, decidendo che la prima cosa che dovessi fare era una bella doccia, così da ristabilirmi completamente. Entrai nel bagno e, spogliatomi dei vestiti che avevo indosso dalla sera prima, mi gettai avido sotto uno scroscio di acqua bollente che mi avvolse come una caldo massaggio. Finalmente cominciavo a riprendermi, rilassandomi sotto l’acqua. Il mal di testa si affievoliva e riacquistavo la padronanza del mio corpo anestetizzato fino a poco prima. Ruotai poi la manopola del miscelatore per intiepidire l’acqua, ma di colpo uscì un getto ghiacciato.

Trasalii. Per il freddo e per ciò che avevo appena ricordato: avevo baciato Jun Misugi la notte scorsa! Finalmente me ne resi conto e, per la prima volta, me ne vergognai terribilmente. Cosa avevo fatto?

Perché lo avevo fatto?

L’acqua continuava a scorrere gelida sul corpo, ma non ne tenevo conto. Portandomi la mano alle labbra le sfiorai con le dita, ripercorrendo la sensazione che avevo provato baciando Misugi. Non ero riuscito a controllarmi ed, anzi, non ci avevo neppure provato. Mi rendevo conto che l’alcool mi aveva un po’ disinibito la sera prima, ma sapevo bene di non essere il tipo da fare certe cose... se non lo voglio veramente.

Avevo agito d’istinto? A quel pensiero una sensazione ignota, simile all’inquietudine, mi avvolse... io avevo quel tipo di istinti? Non sapevo cosa pensare, in verità...
Di una cosa, però, ero certo: Jun Misugi mi aveva colpito, sia sul campo, come rivale, quando mi dilaniava con i suoi occhi da dominatore vittorioso, sia la sera prima, alla sorgente termale, semplicemente come ragazzo. Questo non potevo negarlo.

Ma non era attrazione, no, cercai di convincermi. Era tutta quella snervante situazione che stavo vivendo, la mia fragilità... sicuramente erano state la sua gentilezza e disponibilità a colpirmi, rendendomi vulnerabile. Sì, non poteva essere altrimenti.

Chiusi veloce l’acqua, per poi asciugarmi ed indossare la tuta del Toho. Decisi che mi sarei scusato con Misugi, spiegandogli le ragioni di quel gesto. Era tutto ciò che potevo fare.



“Misugi! Hei, Misugi, ci sei?” Bussai alla porta della sua camera più volte, senza ottenere risposta. Pensai che stesse ancora dormendo, ma, guardando per la prima volta l’orologio al polso, mi resi conto che era già mezzogiorno.
“Ah, signor Wakashimazu, se cerca il signorino Jun è uscito alle dieci. Credo andasse al campetto ad allenarsi.” Vidi il signor Matsumoto che si avvicinava con delle lenzuola pulite in braccio.
“Ah... sì... grazie!” Risposi, ricordando che avevo visto il campetto quando ero sull’autobus.
“E gli dica di non affaticarsi troppo... il signorino Jun è troppo testardo!”
Mi venne da sorridere a quelle parole. “Certo, non si preoccupi!” Con un inchino salutai l’uomo e lasciai la pensione per raggiungere Misugi.

Il cielo intanto si stava ricoprendo di nubi grigie e un leggero vento aveva cominciato a soffiare, rinfrescando l’aria.

Dopo neanche dieci minuti intravidi fra la rigogliosa vegetazione la fisionomia di una porta da calcio ed improvvisamente arrestai il passo.

Di fronte a me una figura conosciuta, un’immagine che ancora una volta ottenne la mia totale attenzione.

Misugi stava un poco fuori area, in posizione di tiro. Indossava la divisa della Musashi. La sua figura statuaria sembrava un'opera d'arte: il corpo slanciato, perfetto, il viso serio e deciso, gli occhi concentrati sulla porta.

Tutto ciò che lo circondava sembrava artefatto, ad esistere veramente erano solo Misugi e il pallone.

Jun Misugi. Il principe del calcio.

Seguii ogni suo movimento: la rincorsa, la gamba che si posizionava, il tiro scagliato con potenza, quasi per liberarsi da un peso.

Di fronte a quella scena le mani iniziarono a prudermi, come se volessi giocare. Incredibile...


“Complimenti, ottimo tiro! Non so se sarei riuscito a pararlo!” Dissi a voce alta, catturando la sua attenzione.

Misugi si voltò di scatto e il suo sguardo incrociò il mio... per un istante temetti i suoi occhi.

“Oh, Wakashimazu! Ti sei svegliato?” Misugi  sorrise solare, come se fosse contento di vedermi.
“Eh, sì! Giusto poco fa... vedo che tu, invece, sei mattiniero!” Scherzai, temendo che facesse qualche allusione a ciò che era successo.

“Ti va di darmi una mano negli allenamenti?”

Era incredibile come Misugi riuscisse sempre a stupirmi. In fondo, pensai, anche lui aveva capito che il mio gesto era stato dettato da quella particolare condizione. I problemi, il sakè, la stanchezza. Sì, sicuramente l’aveva capito.

“Solo se ti va veramente, però!” Aggiunse subito dopo, quasi temesse di aver sbagliato a parlare.



“Certo, perché no... potrei prendermi la rivincita!” Esclamai, stuzzicandolo. E lui colse al volo la sfida.
“Mh... vediamo cosa sai fare, portiere!” Rispose con un sorriso ironico alla provocazione.

Cominciava a tuonare, ma ad entrambi sembrava non importare. Anche quando la pioggia iniziò sottile a scendere dall’ammasso di nubi nel cielo, noi, noncuranti, continuavamo quella sorta di competizione.

Persi il conto di tutti i tiri scagliati da Misugi e delle mie parate. Sentivo l'adrenalina salire all'apice, mi concentravo sui suoi movimenti, buttandomi poi per parare. Vedere Jun Misugi impegnarsi per segnare più goal possibili mi donava una sorta di estasi che mi aveva risvegliato, senza che me ne rendessi conto, il gusto della sfida.

Poi la pioggia si fece più aggressiva. Noi due, l’uno di fronte all’altro; io pronto a parare ancora una volta, lui fuori dall’area, sul punto di tirare.

Invece, d’improvviso, la sua voce. Profonda, decisa. Provocatoria.

“Perché non cerchi di marcarmi?”

Le sue parole sembrarono delle lusinghe pronte ad ammaliarmi ed il suo sguardo parve volermi risucchiare, suggestionandomi.

Era come se stessi per cadere nella trappola del lupo, consapevolmente.

“Allora?” Ancora il suo invito, ancora la pioggia, sempre più martellante.

Improvvisamente sentii come se le briglie si fossero sciolte e scattai verso di lui, accogliendo la sua sfida. E lui sembrò compiacersene.

Iniziammo un vero e proprio scontro diretto, un corpo a corpo, una battaglia all’ultimo sangue per la vittoria. Per lunghi minuti il campo fu travolto dal nostro scontro, dalle marcature, le scivolate, i respiri affannati; vinceva chi riusciva a tirare più volte in porta.

Misugi era veloce, la fluidità dei movimenti e la dinamicità del suo corpo riuscivano spesso a liberarlo dalla mia marcatura che si faceva sempre più serrata.

Sempre più vicina al suo corpo.


D'improvviso sentii il suo torace sfregare sul mio braccio ed una scarica elettrica mi bloccò sul posto, lasciandomi senza fiato. Misugi riuscì così a liberarsi della marcatura, correndo verso la porta, mentre io mi chiedevo che cosa stesse succedendo al mio corpo.

“Aah!” Un lamento si mescolò con lo scrosciare intenso della pioggia. Voltandomi, vidi Misugi inginocchiato a terra e subito il mio pensiero andò al suo cuore.

“Che diavolo... Misugi!” Gli corsi incontro e mi chinai per sorreggerlo. “Che è successo? Come stai? Diavolo, dovevamo fermarci...” Le mie mani sulle sue spalle stringevano la maglia intrisa d’acqua e sudore e solo in quel momento mi accorsi di quanto stava piovendo.

“Hei... tranquillo!” Misugi mi rivolse un sorriso rassicurante. “Sono solo caduto...”
“Come?” Spalancai gli occhi per la sorpresa, incredulo. “Ma... mi hai fatto prendere un colpo!”
“Esagerato! Sei troppo prevenuto” Misugi ridacchiò, come compiaciuto della mia apprensione “ Il terreno è scivoloso” Aggiunse, con un sorrisetto a fior di labbra.

Sospirai e lasciai la presa sulle sue spalle, sedendomi accanto a lui. “Sei terribile” Sbuffai un poco. “Ho temuto il peggio...”

“Visto che sei prevenuto?”

Il suo sorriso si fece particolarmente dolce nel pronunciare quelle parole ed avvertii il cuore cominciare ad agitarsi. Mi tremava la voce, il corpo e non mi era chiaro il motivo. Possibile che il capitano della Musashi potesse mettermi così a disagio?

Non era... non mi era mai successa una cosa del genere.

“Bè, cerca di capire... non  sono un medico”.

Parole sconnesse.

“... non saprei che fare...”

“Ssht!” Fece per  rassicurarmi, mentre appoggiava la mano dietro la mia testa, accarezzandomi i capelli.

Il viso di Misugi si faceva sempre più vicino al mio, la sua voce diventò un sussurro.

“Quanto sei paranoico...”

Mi spinse la testa verso di lui, vidi poi i suoi occhi così vicini e le labbra che, morbide, calde, si poggiavano sulle mie. Sentii la sua lingua cercare di aprirsi un varco fra le mie labbra che schiusi, accogliendo il suo bacio.

Non sapevo più che cosa stava succedendo, in quel momento non volli neanche domandarmelo.

Jun poggiò la mano sinistra sulla mia spalla stingendola forte. La sua lingua si muoveva sensuale con la mia ed un misto di piacere e confusione mi invase, tanto che cinsi le braccia intorno alla sua vita per stringerlo. Il suo corpo era caldissimo.

Continuammo quel bacio a lungo, mentre continuava a piovere, noncuranti dei vestiti fradici che si fondevano con la nostra pelle e con la pioggia, lasciandoci trasportare dalla passione che ci travolgeva.
.
Improvvisamente, continuando a baciarmi,  Misugi mi spinse all’indietro, costringendomi a sdraiarmi; lo sentii mettersi a cavalcioni sopra di me, per poi staccarsi dalla mia bocca. Avvertendo la sua immobilità  aprii gli occhi per capire cosa gli passasse per la testa e subito incrociai i suoi: mi stava fissando, uno sguardo bramoso, come probabilmente il mio.

Li richiuse e si chinò nuovamente.

Questa volta sentii il respiro insinuarsi sul mio collo, la sua lingua vagare su di esso... su e giù, facendomi impazzire. Liberai un gemito di piacere e per un istante me ne vergognai... ma era troppo tardi. Il profumo di Jun, il suo corpo, il suo calore mi stavano pervadendo, non potevo, né volevo allontanarlo.

All’improvviso Misugi si sollevò sulle mani che intrappolavano fra loro la mia testa. Il suo corpo era completamente sopra di me, il viso in corrispondenza del mio. Lo vedevo bagnarsi dalla pioggia che cadeva incessantemente inondando la sua schiena.

Eravamo entrambi affannati.

Lo vidi fissarmi per una manciata di secondi. Non ebbi il tempo di capire che volesse fare, quando sentii il suo bacino sfregare contro il mio.
... uno...due... più volte...

Il suo corpo si trovava in mezzo alle mie gambe, potevo sentire le nostre pelli aderire, la sua eccitazione incontrarsi con la mia. Nonostante i pantaloncini che indossava e i miei pantaloni sportivi, sentivamo entrambi quel tocco bruciante. Improvvisamente persi il controllo, travolto da una scarica di sensazioni aggressive afferrai i fianchi di Jun e lo sbattei violentemente fra le mie gambe... Jun emise un forte gemito, mi afferrò il viso baciandomi con passione. Ancora e ancora, cercavamo di divorarci l’un l’altro.


Poi un movimento troppo brusco, la pioggia battente, le mani di Jun che scivolano sul terreno...

In meno di un secondo mi trovai Misugi completamente addosso, era scivolato e nella colluttazione ci eravamo dati una testata.

“Ahia! Che male!” Mi lamentai, portandomi una mano alla testa, ma da parte di Misugi ottenni solo un lungo silenzio. Sentivo il suo respiro sopra la mia spalla, mentre la pioggia cadeva incessante contro i nostri corpi.

L'ardore dell'attimo prima era scivolato via, lasciando il posto ad un forte imbarazzo che sentivo provenire anche da lui.

“Hei...” Accennai, continuando a guardare fisso di fronte a me. Sentii solo dei lievi movimenti, oltre al freddo che mi invase non appena Misugi si sollevò, allontanandosi dal mio corpo.

Rimase in ginocchio, ma era come se non avesse il coraggio di guardarmi ed anche io avevo comunque molta difficoltà nel farlo. Mi resi conto che eravamo pieni di fango e sentivo di avere i capelli assurdamente spettinati.
 
“Hai la testa dura Misugi” Dissi, nel tentativo di allentare la tensione.
“Mh, ma senti chi parla...” Ironizzò Misugi, reagendo, finalmente.

Mi guardò per un istante, poi distolse lo sguardo alzandosi in piedi. Non riuscii ad interpretare ciò che volevano dirmi i suoi occhi.

“... credo sia meglio tornare. Siamo bagnati fradici...” Aggiunse con un filo di voce.
 
Io rimasi seduto per qualche istante, fissandolo. Non so perché, ma il vederlo così vulnerabile dimezzava il mio imbarazzo. Con il cuore che ancora batteva agitato ed affannato, mi alzai.

“Hai ragione, è meglio tornare...”


Fine II capitolo



* Tipico gioco giapponese della pesca dei pesci rossi con quei simpatici retini di carta *_*
** é una fissa la mia, quella della gente che mostra diverse maschere a seconda delle situazioni... >___<  La mia oneechan lo sa bene XDD






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Capitolo 3
*** III capitolo ***


Eccomi qui con il nuovo capitolo...è stato un lavoraccio questo, soprattutto l’ultima parte...Diciamo che il discorso è diverso dalla scorsa versione, ma il sunto rimane quelloXDD Solo che allora era affrontato nel primo capitolo e mi sembrava troppo presto...^_^  Vabbè, tanto per molte è la prima volta, quindi no problemXDD! Allooooora...Grazie millissime a tutte voi che mi seguite e consigliate!

Grazie a Berlinene e Melanto, sono stracontenta che la ff vi piaccia!! i vostri consigli li ho applicati in questo capitolo...spero vadano meglio! Aaah Jun che gran uomo*_* la sua versione Yaoi lo rende molto più interessanteXDD

Cara oneechan, grazie che mi segui sempre >////< Ormai ti ammorbo con sta ff, poveraXD

4haley4: tranquilla, non devi scusarti >__< la In fatto di impegni ti capisco benissimo ç__ç Mi fa piacere che noti le parti aggiunte, in effetti prima era troppo scarna e quindi mi sono dedicata a riapprofondire bene i pg, Ken soprattutto! Era assurdo che mancasse il karaté! Il prossimo è il capitolo che attendi...vediamo che ne verrà fuori! Hii nella scorsa risposta non mi sono spiegata bene..intendevo che Yayoi è di un noioso, non il capitoloXDDD quello lo dovete giudicare voi ;)

Grazie ancora a tutte, vi auguro una buonissima lettura con il 3 capitolo!!

Il cuore e il pallone
III parte

Di  Releuse



La corsa che feci per raggiungere la pensione sembrò la più lunga della mia vita. Era come se in quegli istanti il tempo si fosse distorto, come se io e Misugi continuassimo a correre all’infinito, non raggiungendo mai la meta, mentre l'acqua scivolava sui nostri vestiti ormai impregnati, senza però lavare via quell'odore intenso eppure dolce che sentivo ormai parte del corpo. L'odore di Jun sulla mia pelle. La pioggia non riusciva a spegnere neppure quel calore elettrizzante che continuava a pulsarmi nel sangue, senza placarsi.

Raggiunta la pensione, all’improvviso, il tempo sembrò tornare a scorrere normalmente. Io e Misugi eravamo ognuno davanti alla propria porta ed entrambi esitavamo ad aprire, rimanendo fermi come se una sorta di muro ci impedisse qualsiasi movimento.

“Senti” Credo che in quel momento Misugi avesse raccolto tutta la forza e la volontà di cui disponesse, per poter continuare a parlare “Ci vediamo per pranzare, ok?”

Ammirai ancora una volta il suo autocontrollo, quella capacità di mantenere fermezza e lucido distacco in ogni situazione. Eppure, mi era sembrato che la sua voce tremasse.

“Ok...” Riuscii solamente a ripetere, prima che Misugi aprisse meccanicamente la porta per rinchiudersi dentro la sua stanza. E, stavolta, non vidi alcuna ombra poggiarsi su di essa.

Improvvisamente fui invaso da un forte senso di vuoto, come se una voragine si fosse aperta sotto i miei piedi, separandomi irreparabilmente da quella camera. Sfinito da una sensazione simile all’amarezza, entrai nella mia stanza, mentre, nell’aria, il rumore di un tuono rimbombò per tutta la pensione, facendo tremare i vetri delle finestre.

Con le ultime forze rimaste mi precipitai nella doccia sotto un getto d’acqua fredda che irrigidì di colpo il mio corpo, facendomi stringere i denti con forza. Era una tortura, ma ne avevo bisogno. Poi, lentamente, miscelai l’acqua in modo che diventasse più tiepida, liberando nello stesso istante i respiri trattenuti nella gola. Potevo sentire i battiti del cuore diminuire, finalmente, dato che fino a quel momento avevano rimbombato violentemente nel mio petto. Anche la mente cominciava a schiarirsi... mi rilassai quei pochi attimi non pensando a nulla. Silenziosamente infilai l’accappatoio e uscii dal bagno, avanzando verso la finestra, sui vetri della quale si imbattevano imperterrite le gocce di pioggia. Incrociai così le mani sulle braccia per asciugarmi, ma non appena le sfregai sul panno annaspai, quasi spaventato.

Avevo sentito il tocco della mano di Misugi vagare per il corpo, come poco prima al campo. Deglutii, tornando a respirare... era una sensazione eccessivamente reale, troppo vibrante, che si insinuava nel profondo della mia carne.

La sentivo ormai parte di me.

Spalancai di colpo gli occhi, sconvolto dalla reazione che il mio corpo aveva avuto nell’immaginarsi quel contatto.

“Non... non è possibile.” Sussurai fra i denti, travolto dalla violenza di quei sentimenti ignoti, qualcosa come un misto di rabbia e vergogna, ma anche di confusione e di impotenza. Per alcuni istanti mi coprii il viso, quasi con disperazione, poi, portandomi le mani sulla fronte e tirando indietro i capelli, cominciai a ridere, con amarezza.

Ormai conscio di essermi mostrato per ciò che ero veramente e che avevo sempre temuto.

‘Io ho certe tendenze?’ Avevo pensato fino alla notte prima, negando a me stesso la verità, perché ciò che dovevo veramente domandarmi era se avessi ancora quel tipo di tendenze.

Già. Ero convinto che quello fosse un capitolo chiuso del mio passato, un semplice turbamento dell’adolescenza che avevo vissuto come qualcosa di passeggero e da dimenticare. A suo tempo mi ero ripromesso di cancellare quelle sensazioni e per aiutarmi ero uscito con diverse ragazze.

Evidentemente non era così.

Per quanto avessi tentato di negare, tutto era tornato prepotentemente al punto di partenza. Tutto per colpa di lui, Jun Misugi. Nel giro di un giorno, il principe di vetro era riuscito a mandare in fumo gli sforzi di tutti quegli anni e ciò aveva iniziato a sconvolgermi non poco, soprattutto perché c’era qualcosa di diverso rispetto alle sensazioni provate anni addietro osservando nell’ombra quella persona. A quei tempi era solo il mio corpo di ragazzino a reagire, a desiderare, mentre, adesso, la differenza stava in quella sensazione caustica che mi bruciava il petto: sentivo come se il mio cuore pompasse lava incandescente al posto del sangue. E cominciava a farmi tremendamente male.

Ancora un tuono, all’improvviso, stavolta più lontano.

Inoltre, c’era qualcos’altro che mi aveva sorpreso. Con lo sguardo cercai i guantoni poggiati su un mobiletto all’entrata e, dopo averli osservati, poggiai lo sguardo sulle mie mani. Non riuscivo a spiegarmi da dove fosse nato il desiderio di giocare che poco prima mi aveva colto. Mentre osservavo Misugi un impulso irrefrenabile si era propagato per tutto il corpo, invogliandomi a giocare. Era... era qualcosa che non provavo da mesi e della quale non riuscivo a capacitarmi.

Era strano, Jun Misugi prima mi batteva sul campo, sfidandomi con i suoi occhi decisi, amplificando i miei dubbi, mandando in frantumi l’orgoglio di cui ero sempre andato fiero, poi, invece, alimentava in me il desiderio della sfida, sempre con lo stesso sguardo. Sembrava giocasse con le mie debolezze, confondendomi. Perché io di fronte a lui oscillavo fra sentimenti contrastanti, fra l’invidia e l’ammirazione*. Questa era l’ambivalenza che provavo verso Misugi.

Che cosa mi hai trasmesso, principe di vetro?

Strinsi le mani in un pugno, abbassandole; non mi ero mai sentito così confuso e turbato nella vita, mai. Jun Misugi stava spazzando via le mie certezze ad una velocità pazzesca e non sapevo se lui stesso se ne stesse rendendo conto. Era troppo... enigmatico. Per quanto mi sforzassi di riuscire a capirlo, la cosa non mi riusciva affatto. Ricordavo bene il suo controllato distacco al mio bacio, quello era stato un evidente rifiuto. Eppure sul campo mi aveva baciato in quel modo... passionale. Che mi avesse preso in giro?

Mi sarebbe piaciuto poterne avere le prove, sarebbe stata un’ottima scusa, dato che la verità avevo il timore di ammetterla. Infatti, avevo come l’impressione che Misugi avesse portato avanti la mia stessa battaglia in quegli anni.

Una lotta contro i propri istinti.

Qualunque fosse la sua verità, non avevo comunque alcuna intenzione di rivelargli la mia. Quello era un capitolo chiuso della mia vita e mai avrei voluto riaprirlo, vivendo ancora le angosce che allora mi avevano divorato. Rinforzato da un moto di coraggio e di orgoglio, decretai che quella situazione non sarebbe andata oltre, né si sarebbe più riproposta. Alzandomi e cominciando a vestirmi, decisi che avrei parlato con Misugi, spiegandogli che il mio era stato solo un attimo di debolezza, nulla di più. Ed ero certo che dato il suo carattere non avrebbe indagato oltre.


Forte di quella sicurezza, mi trovai in pochi secondi davanti alla porta della sua stanza. “Misugi, sono io!” Chiamai, mentre bussavo con decisione.

“Ah, Wakashimazu! Sono quasi pronto, entra!” Altrettanta prontezza sembrava aspettarmi al di là della porta.

Feci un profondo respiro prima di abbassare la maniglia, ormai deciso ad affrontare subito il discorso e mettere la parola fine a quella situazione una volta per tutte. In quel poco tempo passato con lui avevo capito che Jun Misugi era una persona schietta ed acuta, con il quale non si poteva girare intorno ai discorsi.

Non avevo avuto alcuna esitazione, nessun dubbio fino a quel momento... fino a quando aprii la porta, varcandola ed entrando in quella dimensione capace di mandare in frantumi tutte le mie convinzioni. In un attimo, come polvere al vento.

La prima cosa che sentii fu il delicato profumo che avvolgeva l’intera stanza, un misto di bagnoschiuma e balsamo che inebriava le narici, ma fu ciò che mi si presentò davanti agli occhi a togliermi il fiato. Immobilizzato da chissà quali forze sovrannaturali, osservavo Misugi infilarsi delicatamente la maglietta, scuotere poi la testa, dove i suoi bellissimi capelli ancora bagnati gli sfioravano il viso, infastidendolo, mentre delle gocce d'acqua colavano sensuali sul collo. Il suo corpo, di fronte alla finestra, veniva baciato dai primi raggi di sole che segnavano la fine della pioggia, illuminando la pelle candida.

Il mio campo visivo non registrava altro dentro quella stanza insonorizzata, estranea alla realtà là fuori: c’erano solo Jun Misugi e il suo bellissimo corpo.

Deglutii, riprendendo a respirare, anche se l’aria sembrò essere diventata improvvisamente di piombo.

“Ehi” Fece lui, rivolgendomi lo sguardo per la prima volta. E per me fu come essere di fronte all’attore di un film muto che improvvisamente esce dallo schermo e si rivolge proprio a te, sconvolgendoti.

“Non stare sulla porta, entra” Misugi sorrideva, come se nulla fosse. Ancora una volta stava indossando quella maschera di imperturbabilità e sicurezza, lo stava facendo con me e questo mi provocò un groviglio doloroso nello stomaco.

O era il cuore?

“Sei più svelto di quanto pensassi... eh, eh, devo ricredermi” Aggiunse, scherzando.
Ed io decisi allora di stare al suo gioco, tornando alla mia maschera strafottente ed orgogliosa, era questo che volevamo entrambi, no?
“Pfiù, cosa pensi, che sia uno di quelli che perde tempo a prepararsi?” Domandai, fra l’ironico e l’eccessivamente cinico. C’era qualcosa che mi stava violentemente dilaniando dentro, come se fossero le fauci di una bestia delirante.

“Sì, in effetti lo credevo! Ma mi sono reso conto che sono tante le cose di te che ‘credevo’ e che non erano tali, sei sempre una sorpresa per me, Wakashimazu!”

Le sue parole furono una sorpresa e placarono la rabbia irrazionale che pochi istanti prima mi aveva colto. Mi diedi mille volte dello stupido per aver dubitato di Misugi, lui non avrebbe mai negato qualcosa, perché era sempre pronto ad affrontarla. Il capitano della Musashi rise, dopo aver pronunciato quelle parole e nella sua voce lessi un desiderio di smorzare la tensione ed anche una punta di imbarazzo.

Mi piaceva così tanto vederlo sorridere... mi faceva stare bene...

Questa fu l’ultima cosa che pensai, prima che i ricordi ed i pensieri elaborati nella mia stanza tornassero incalzanti nella testa. Dovevo smettere di contemplare Misugi, me lo ripetei più e più volte durante quei lunghi attimi, mentre cercavo di riacquistare un minimo di lucidità e convinzione.

Con uno scatto mi avvicinai a lui, tirandolo bruscamente su per un braccio, mentre si allacciava una scarpa.

“Ma che...Wakashimazu!” Uno sguardo impreciso, il suo.

Seguirono alcuni attimi di silenzio durante i quali, schiacciati da un’aria immobile e gelida, l’uno di fronte all’altro, ci guardavamo decisi negli occhi e Misugi attendeva che parlassi. Ed io ero ormai deciso a farlo, a mettere la parola fine...

... e la fine arrivò.  

“Fallo ancora...”

Furono le uniche parole che riuscii a dire, contro la mia volontà, l’ apparente volontà, perché la verità prese possesso del mio corpo condensandosi nella voce.

“... baciami come hai fatto prima...” Continuai con languore, ormai privato della capacità di pensare.

Misugi, colto da un forte stupore, schiuse le labbra come per dire qualcosa, ma non disse poi nulla, perché parve capire. Guardandomi con occhi gentili, accennò un sorriso, mentre la sua mano si poggiava dolce sulla mia guancia accarezzandola. Socchiusi gli occhi e chinai la testa per sentire di più il suo tocco caldo.

“Jun ...” Sussurrai.

Avvertii il brivido che scosse il corpo di Misugi, quando ne pronunciai il nome. D’improvviso, Jun mi afferrò la testa, sbilanciandomi verso di sé per unire le nostre labbra, mentre io lo avvolgevo con le braccia, ricambiando il bacio con passione. Aprii la bocca e subito sentii la lingua di Misugi cercare la mia; non appena si trovarono, i due muscoli si invasero con avidità, cominciando un duello senza sosta dove era impedito prendere respiro.

Avrei dovuto scacciarlo, allontanare la pericolosa presenza del suo corpo, era quello che avrei dovuto fare... ma non più ciò che volevo.  In quel momento non mi importava più di nulla, non volevo pensare, perché ciò che desideravo era solo Misugi, la sua bocca, il suo corpo.

Jun sembrava un’altra persona, il suo invidiato autocontrollo era totalmente scomparso, annullato dalla passionalità e dalla foga che lo dominavano in quegli istanti e che lo portarono a spingermi sul futon, dove ci chinammo, l‘uno sull’altro. Sentii d’improvviso la mano decisa di Misugi che si faceva spazio sotto la mia maglietta ed io solo per quel primo tocco mi contrassi,  catturato dall’acuta sensazione di piacere trasmessa da ogni sua carezza. Poi quei gesti non gli bastarono più, cosicché il principe del calcio strinse i bordi della mia maglia sollevandola con forza, riuscendo a sfilarmela, lasciando scoperto il torace. La pelle del mio petto arse nel sentire le sue labbra alternare baci e giochi con la lingua su di essa, dove poi mi mordeva dolcemente. Sentii una vampata di calore accendersi nel sangue, propagandosi per tutto il corpo, concentrandosi poi nel ventre, creando un formicolio che iniziava a crescere d’intensità.

Mi sentivo legato, impossibilitato a reagire, in balia di lui e sull’orlo della pazzia. Jun aveva messo fine a tutta la mia lucida volontà.

Ormai sedotto ed ammaliato da quel gioco erotico, cominciai a prenderne attivamente parte, iniziando a spogliare a mia volta Misugi.  Nel momento in cui riprese a baciarmi, portai le mani sui suoi fianchi, alzandogli la maglietta per sfilarla completamente; con un colpo di reni alzai il bacino di scatto e baciai il suo petto, sempre più intensamente.

“Ah, Ken!”

Era la prima volta che mi chiamava per nome e la sua voce, mescolata al gemito che non trattenne, amplificarono improvvisamente il mio piacere tanto che, facendo forza, ribaltai le posizioni costringendolo a sdraiarsi. Già sopra di lui, cominciai a baciarlo sotto l'ombelico e trassi godimento nel sentirlo tremare e poi gemere forte, quando gli passai la lingua sulla pelle segnando il confine dei suoi pantaloncini. In breve glieli sfilai, insieme ai boxer, lasciandolo nudo di fronte a me. Era davvero splendido. Stavo per fare un ulteriore movimento, quando Jun mi afferrò il braccio, bloccandomi: guardandomi negli occhi con determinazione, si dimostrò più che mai deciso ad andare fino in fondo.

“Spogliati anche tu” Fu l’ordine che fuoriuscì dalle sue labbra, mentre stringeva il mio braccio, sancendo il suo potere con quella presa. Mi trovai ad obbedire ciecamente ai suoi ordini e in pochi istanti anche io ero completamente nudo di fronte a lui. Jun sollevò la mano e, lentamente, prese a vagare sul mio torace, accarezzando i fianchi, scendendo giù sulle cosce, seguendo quel movimento con gli occhi; sembrava mi stesse studiando minuziosamente e quel suo atteggiamento finì per inibirmi, generando una sensazione molto simile all’imbarazzo.

D’improvviso mi vergognai, non sapendo più come comportarmi.

Misugi se ne accorse ed ebbi la sensazione che si compiacesse di quella mia titubanza. Sapeva di essere ancora una volta lui il dominatore, in quella situazione così come sul campo e quindi non tentennò: dopo avermi dato un rapido bacio sulle labbra e svanito dal mio campo visivo, lo sentii respirare all’altezza dell’inguine. D’improvviso tutto divenne di fuoco: l’aria, come se, ormai satura di gas, qualcuno avesse acceso una fiamma; il futon, che mi ustionava la schiena; il sudore che bruciante scivolava sul mio corpo; infine le labbra di Jun, che avvolgevano il mio sesso.

“Aaah, Jun!” Ansimai, perdendomi nel piacere. La sua lingua vagava ostinata su e giù, infiltrandosi nell’interno coscia, facendomi impazzire.
Iniziai a muovermi convulsamente inarcando la schiena, inondato da un'intensa estasi; ormai a guidare i miei movimenti erano solamente quelle sensazioni e gli istinti che fino a quel giorno avevo cercato di nascondere e placare. Con la mente offuscata dal piacere, non appena Jun si sollevò sulle ginocchia, gli afferrai i fianchi, spingendoli fra le mie gambe prontamente allargate. Un gemito uscì dalla bocca di entrambi non appena i nostri inguini si sfregarono l’uno contro l’altro e Jun comprese subito il significato di quel gesto, visto che, lottando per riacquistare un minimo di razionalità, si bloccò, cercando il mio sguardo.

“Hey, Ken... sei... sicuro?” Sentivo il suo respiro affannato sulle guance.  “Non voglio che faccia le cose contro la tua volontà...” Mentre pronunciava quelle parole, Jun mi accarezzava il viso con tanta dolcezza, nei suoi occhi potevo leggere una sincera comprensione e grande rispetto nei miei confronti.

Socchiusi un attimo gli occhi, cercando di rilassarmi. Ascoltavo i battiti del cuore, ancora veloci ed incalzanti, i respiri ansanti e le sensazioni del corpo. Mi resi conto che non m’importava più di niente, che non riuscivo ad avere altri pensieri se non un unico, intenso, desiderio.

“Prendimi, Jun.” Sussurrai, aprendo nuovamente gli occhi, perché leggesse nel mio sguardo la piena convinzione.

Misugi raccolse la mia totale resa baciandomi nuovamente con passione, sdraiandosi su di me con il suo corpo bollente. Potevo leggere l’emozione nei suoi movimenti, la percepivo anche dai battiti del cuore che si erano improvvisamente amplificati. Dopo aver lubrificato il proprio sesso con la saliva, si posizionò fra le mie gambe poggiandole sulle sue spalle, mentre la sua mano sinistra s’intrecciava alla mia.

Strinsi gli occhi e i denti, aspettando impaziente e quasi soffocando per i battiti del cuore che,  esplodendo nel petto, mi tagliavano il respiro. Un attimo dopo gridai, come se fossi stato invaso da mille aghi.  


All’inizio fu un dolore devastante e credei davvero di non poter resistere oltre, sentivo Jun sprofondare lentamente dentro il mio corpo scatenandomi delle fitte dolorose. Ma, dopo brevi istanti, un denso calore cominciò a farsi strada nel mio corpo che smetteva di contrarsi,  provocando inizialmente moti di brividi ed infine di piacere. Jun aveva cominciato a muoversi, lo sentivo dentro di me, ne udivo il respiro affannato, i gemiti, il mio nome sussurrato fra quelle labbra. Teneva gli occhi chiusi ed il suo viso era rivolto verso l’alto e nel guardarlo mi rendevo conto di quanto fosse bello e di come lo desiderassi. Ogni sua spinta dentro il mio corpo era una scarica di piacere totalizzante ed a poco a poco cominciai a muovermi insieme a lui, mentre gli accarezzavo il petto, i fianchi, fino a stringere forte il suo sedere fra le mani; mi sentivo come ubriaco, ebbro del piacere che Jun sapeva donarmi.

Improvvisamente lo sentii contrarsi, quindi mi aggrappai alle sue braccia, stringendole con forza. Urlò il mio nome quando venne dentro di me ed io feci lo stesso, mentre mi svuotavo sul suo corpo.

Jun mi crollò addosso, sentivo le gambe che ancora gli tremavano; eravamo entrambi esausti e rimanemmo immobili per alcuni istanti, durante i quali, l’uno avvinghiato all’altro, ci inebriavamo dell’estasi che ancora ci solleticava.

Per diversi minuti regnò solo un morbido e complice silenzio.

“Non... non ho più forze” Con un filo di voce Misugi si rannicchiò al mio fianco. Spontaneamente lo cinsi con un braccio riavvicinandolo e lui sorrise sorpreso.

“Se il mio cuore ha retto a questo, credo che non avrò più problemi” Scherzò poi, ancora ansimante.
“Scemo!” Risposi, trattenendo una risata. “Ma cosa vai a pensare!”
“Bè, qualsiasi cosa per guarire il mio povero cuore malato!” Si prese in giro Misugi ed io stavolta risi sul serio. Poi avvicinai la mano al suo viso, scostandogli i capelli sudati dagli occhi.


“Mi hai fatto impazzire” Gli confidai, stavolta totalmente serio.
“Mi fa piacere.” Rispose Jun, sorridendo.

Rimasi appoggiato a lui in silenzio, sentivo il suo respiro rilassarsi, il corpo che si intiepidiva dissolvendo il calore assorbito in quel momento di passione. Poi il principe cercò il mio sguardo voltandosi leggermente.

“... è stato molto bello, Wakashimazu” Ammise con sincerità e senza alcun pudore.

Io rimasi senza parole e per alcuni secondi non dissi nulla. Sapevo che ormai non potevo più negare, che non mi sarei più potuto nascondere dietro una maschera di menzogne. Feci quindi un bel respiro ed ascoltai le sensazioni ancora vive nel mio corpo.

“Anche per me...” Sospirai, ammettendo i miei reali pensieri. “... e poi, mi hai sorpreso. Non credevo che...” Tossicchiai, guardandomi intorno.
“... che cosa?” Misugi divenne improvvisamente curioso di sentire il resto della frase. Allora lo guardai con un velo di malizia.
“... che ci sapessi fare così!” Esclamai, ridendo.

La cosa più incredibile fu la fulminea reazione di Misugi, il quale, a quella constatazione, arrossì di colpo. Mi venne da sorridere pensando che, dopo quello che era successo fra di noi, si potesse imbarazzare in quel modo. Dopo aver sbuffato, Misugi si mise seduto, incrociando le braccia.

“Eh, sai,  il principe del calcio è il migliore in tutto!” Rispose, annuendo con la testa.
“Ah!” Esclamai scherzoso. “Non ti facevo così sicuro di te!”
“Io sono sempre sicuro di me” Continuò Misugi, con quel fare fintamente saccente.

Io lo guardai per alcuni istanti, soffermandomi sul fatto che lui riuscisse sempre a gestire ogni situazione, qualsiasi essa fosse, trovando le giuste parole e il corretto atteggiamento. Come se ogni volta fosse in grado di guardarsi dal di fuori.

“Lo so” Sospirai, attirando l’attenzione di Misugi su quel discorso che stava assumendo toni seri. “Anche io... ma pecco d’impulsività e a volte non so scendere a compromessi. Tu, invece, mantieni sempre la giusta freddezza e distacco nell'affrontare le situazioni. A volte ho pensato che fossi  più temibile di Hyuga!” Scherzai infine.

“Che intendi?” Domandò Misugi, non perdendo il senso delle mie parole.

“È strano da spiegare... in questi due giorni ho conosciuto un Jun Misugi diverso, più spontaneo, questo è vero. Mi sono chiesto più volte come facessi ad essere però sempre così sicuro ed imperturbabile. Ho come l’impressione che tu usi molto la razionalità e cerchi di tenere sotto controllo le situazioni e le emozioni, evitando di lasciarti coinvolgere da esse. Sembra paradossale... ma è come  se fossi davvero di vetro. Nel senso che guardi le cose come se fossi nascosto dietro un vetro dal quale osservi la realtà, ma nella quale non  vuoi essere coinvolto. La tua lucidità è sempre costante, mai un moto di rabbia o un’espressione di turbamento, mai. Questo perché studi sempre le situazioni ed ogni possibile reazione o controreazione ad esse.”

Ancora una volta riflettevo sul comportamento di Misugi. Quell’atteggiamento che ammiravo e che odiavo allo stesso tempo.

Inizialmente, non mi ero accorto che Jun fosse rimasto senza parole, mentre parlavo fissava il vuoto davanti a lui, seguendo tutto il discorso, senza perdersi alcuna parola. Mi parve sorpreso da ciò che stavo dicendo, anche se non potevo vedere l’espressione del suo viso.

“... mi hai davvero studiato in questi due giorni...” Disse, continuando a guardare davanti a sé ed io credei stesse scherzando.

“Eh?” Mi sentii messo improvvisamente alle strette e scoperto. “No, beh, dai, esagero... sto facendo troppa filosofia!” Stavo per ridere, ma mi resi conto che Jun non stava affatto scherzando, né voleva mettermi consapevolmente in difficoltà, anzi, nel voltarsi, finalmente, vidi la sua espressione turbata.

“Non... non giustificarti, hai centrato perfettamente.” Disse con una sorta d'amarezza nella voce. “... é che la malattia al cuore mi ha portato anche a questo. Senza la lucidità, il controllo, non avrei potuto andare avanti. Se mi fossi lasciato andare alla paura, alla disperazione o, peggio, al timore di non farcela, sarei impazzito. Io amo il calcio. E ho troppa paura di non poter giocare a lungo. Il mio tempo in campo diminuisce sempre più. E io voglio godermi il gioco, assaporarne ogni minimo secondo, non perdere tempo con la disperazione... la malattia mi frena, ma non uccide la mia passione per il calcio. Giocherò fino all'ultimo minuto che mi è consentito, a costo di morire sul campo...”

Jun strinse i pugni guardandomi negli occhi deciso.

“Hei!” Mi sollevai di scatto, mettendomi seduto. “Non devi mica morire!” Esclamai, guardando severamente il capitano della Musashi.

“Eh, eh, dicevo per dire...” Sorrise Misugi, accarezzandomi i capelli.
“Eh? Ah, ok...” Arrossii, per le sue parole e per quel gesto di premura; con Jun ero davvero troppo impulsivo e, come diceva lui stesso, prevenuto.

Possibile che mi stesse così a cuore?

Poi, improvvisamente, mi rivolse quella domanda. Fredda, decisa, un fulmine a ciel sereno.

“E tu? Perché non vuoi più giocare?”

Non risposi subito. Non che non mi aspettassi quella domanda, ma non ero davvero preparato dopo ciò che era successo. Sapevo che Jun era stato sincero con me e stavolta non avrei potuto eclissare, evitando di parlarne. Presi così tutto il coraggio che avevo e mi confidai.

“Vedi, Misugi... ultimamente mi domando spesso se giocare a calcio è quello che voglio veramente, se vale la pena continuare. A volte penso che potrei fare tante altre cose, anche il karaté sta diventando una possibile opzione.. .che ironia...” Sorrisi con dispiacere.
“Credevo che il calcio ti piacesse...” Mi interruppe Misugi, aggrottando la fronte.
“Ma... non è che non mi piace. È che sono tormentato dai dubbi. E dal peso della differenza.”
“Ancora questa storia di Genzo?” Il suo tono si fece improvvisamente serio e critico.

“Esatto, ne abbiamo già parlato...” Continuai, non afferrando la severità della sua domanda. “Ho sempre giocato per superarlo, il mio scopo è sempre stato quello d’essere migliore di lui. Ma troppe volte questa  ossessione mi ha fatto commettere errori sul campo. L'ultimo campionato ne è la prova...” Nervoso, stringevo i pugni con forza “Non supererò mai Genzo Wakabayashi! Sarà sempre lui il migliore”

“Balle!” Esordì Misugi, sbuffando. “Smettila di nasconderti dietro un motivo così stupido...”

Cercai di replicare, confuso dal suo atteggiamento quasi aggressivo, ma Misugi non me ne diede il tempo. “Te l’ho già detto ieri sera, il voler battere Wakabayashi non è un buon motivo per giocare a calcio. Né il sentirsi inferiore è quello per poterlo mollare. Perché, se così fosse, faresti davvero meglio a ritirarti, credimi.”

Le sue dure parole mi squarciarono e mi fecero male, non era certo quello che mi aspettavo di sentirgli dire. Possibile che Misugi fosse arrabbiato per quel mio atteggiamento?

“Io penso che sia un altro il tuo problema, portiere...” Disse, rivolgendomi un’occhiata ancora più dura.

“E... quale... sarebbe?” Balbettai, confuso ed inquieto come un paziente che attende la diagnosi del medico.

“Vuoi sapere la risposta alla tua domanda: ‘Mi vuoi dire perché ti ostini a giocare a calcio, nonostante rischi di morire?”

Il cuore mi salì in gola, pulsando agitato.

Le labbra di Misugi si incresparono in un accennato sorriso quasi rassegnato.

“... è la passione...” Sospirò, abbassando le spalle in segno di resa, sfinito dalla mia testardaggine.

“Il calcio è passione, Wakashimazu...”

Jun parlava come se stesse dicendo la cosa più ovvia e semplice che esistesse. Infatti sembrò una cosa talmente banale che pensai mi stesse trattando come un bambino ingenuo, al quale bisogna insegnare le cose più elementari.

“Passione, certo...” Ripetei, quasi stizzito. “La fai facile tu che schiatteresti in campo pur di giocare a calcio. Anche Ozoora mi parlerebbe di passione. Hyuga no, lui gioca per vincere e basta. Ma io non sono come te, come loro! Non riesco ad esserlo, io...” Non sapevo più dove andare a parare e me ne rendevo conto. In verità, le parole di Misugi mi avevano colpito più di quanto potessi immaginare. Che avesse davvero centrato la verità?

Forse cominciavo a capire...

Misugi lasciò scorrere la mia rabbia, assumendo un’espressione di conforto. Mi poggiò poi una mano sulla spalla.

“Non è questione del ‘calcio’ in sé, Ken. Per me magari è così e tu l’hai capito bene. Per Tsubasa e per Hyuga è lo stesso, anche loro preferirebbero morire piuttosto che lasciare il campo.” Disse, sorridendo sulle ultime parole. “Ma per te? Cosa c’è d’importante? Se non è il calcio, ci sarà qualcos’altro? Per passione intendo qualcosa che ti coinvolga a prescindere dai motivi. La passione è passione e basta.  Se hai questa allora potrai affrontare la rivalità con Wakabayashi e tutto il resto, ma senza quella non andrai da nessuna parte.”

Jun mi guardava e i suoi occhi chiedevano se stessi capendo, se avessi afferrato il senso delle sue parole. E purtroppo sì, avevo amaramente compreso e non potevo più negarlo.

Ciò che avevo perso era davvero la passione per il calcio.

“Quando avrai trovato qualcosa a cui dedicarti senza un motivo specifico che non sia la passione, allora ti sentirai forte come me. Magari sarà il calcio, o qualsiasi altra cosa. L’importante è che tu ci metta passione!” Jun sorrideva, perché sapeva che avevo capito.

“Oppure dai, devi trovare un altro buon motivo per dedicarti al calcio, no?” Scherzò, prendendomi un po’ in giro ed io cominciai a sorridere per come, con quella battuta, Jun avesse alleggerito la tensione.

Anche il suo tono, dopo quelle ultime parole, si rilassò.

“Pensa a Hyuga, anche lui l'ha capito, nonostante tutto. Non è sbagliato voler essere i migliori, ma non dobbiamo ossessionarci per questo. Altrimenti perdiamo di vista lo scopo del calcio, perdendo l'entusiasmo se qualcosa va storto.”

Con un movimento inatteso Jun mi prese la mano, intrecciando le dita, poi strinse con forza, trasmettendomi sicurezza.

“La gente vuole giocare contro di te e ti sfida in quanto Ken Wakashimazu. Non si sofferma sul fatto che tu sia migliore o meno di Genzo Wakabayashi, mettitelo in testa. Devi essere te stesso sul campo, impegnandoti senza assurdi condizionamenti. Se ami il calcio...”

Jun si appoggiò al mio petto ed io lo avvolsi con un braccio, volevo sentirlo vicino. In silenzio, mentre sentivo il suo respiro solleticare il collo, pensai che non avevo ancora delle risposte, né sapevo come avrei gestito la cosa, né se avrei continuato a giocare a calcio. Eppure le parole di Jun mi colpirono, regalandomi un soffio di quella tranquillità che da tempo avevo smarrito da qualche parte nel mio cuore, perché finalmente sapevo su cosa avrei dovuto riflettere.

In silenzio chinai il mio viso su quello di Jun, cercando le sue labbra per baciarle.

“Ken...” Disse improvvisamente Jun, interrompendo quel bacio che stava diventando sempre più passionale.
“Mh...” Mugolai con disappunto.
“Non che mi dispiaccia stare qui, però... sono le quattro e non abbiamo ancora pranzato!”

Improvvisamente notai il mio stomaco brontolare da chissà quanto tempo. “Uh, in effetti...” Constatai imbarazzato.

“Bè, si vede che avevamo di meglio da fare...” Scherzò Misugi con malizia, facendomi arrossire di colpo.
“Sei assurdo!” Brontolai, mentre ci alzavamo dal futon, ridendo e dandoci piccoli spintoni.


Oppure dai, devi trovare un altro buon motivo per dedicarti al calcio, no?

Era una battuta, eppure mi ci sarebbe voluto ancora del tempo per comprenderne il significato. Quel giorno erano successe davvero tante cose, forse troppe. Dovevo ancora rendermene conto.

Fine III parte






* ahi ahi oneechan, le mie fisse tornano anche quiXD Chi conosce Carnival sa di che parlo...ma tranquilli, qui non vi ammorberò con discorsi sull’invidia ammirazione...XDDDD

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Capitolo 4
*** IV capitolo ***


Ma eccomi di nuovo qui a stressarvi con un nuovo capitolo del cuore e il bals...ehm il pallone, XDD.. questo capitolo è stato più difficile del previsto e, dato che l’ho scritto fra un pezzo di tesi e l’altra ho dovuto rivederlo più volte per assicurarmi non ci fossero troppi strafalcioni!

Diciamo che è un capitolo di passaggio, di quelli dove si parla taaanto e ci si spiega molte cose (uh quanto adoro farli parlare ‘sti due XDD). Non so se ora come ora l’avrei scritto, ma essendoci anche nell’altra versione mi è sembrato giusto mantenerlo e adeguarlo alla nuova situazione! Altrimenti Haley mi uccideva se lo toglievo >////<  Comunque dal prossimo si tornerà a parlare di calcio (non ci credevate, eh? ^_- ) e della sindrome premestruale di Kennino! XDD Bè nel prossimo ci sarà anche la svolta decisiva...prima o poi dovranno riunirsi ai compagni, no? --->Rel si strofina le mani con fare perfido, complice le puntate di Capitan Tsubasa che sta rivedendo e che le fanno venire in mente idee malefiche!

Comunque, monologhi a parte, ringrazio tantissimo KaraMel, alle quali ho risposto su ELF, ma non posso non ringraziarvi ancora per le recensioni, per leggere la ff e per apprezzarla! _O_ Inchino!

Eos75: Mi fa piacere che questa nuova versione ti piaccia e soprattutto la gestualità che gli ho dato. È una cosa alla quale tengo molto...e sono contenta di esserci almeno un po’ riuscita! >///< Gestire la tensione e il rapporto fra i due è davvero un caos @____@ ho spesso riscritto dei pezzi perchè non mi tornavano per come sono loro! Grazie ancora di Ri-leggere questa ff!!

Dediche: Bè, questo capitolo non può che essere dedicato a 4haley4! Cara, pensavi davvero ti avessi dimenticata? Come promesso questo capitolo è tutto per te!Spero davvero che ti piaccia! Grazie di cuore per le tue recensioni che, come scritto in mail, non posso non apprezzare, anzi! Mi fanno un enorme piacere!!

Grazie inoltre alla mia cara oneechan Ichigo che come sempre beta questa ff e subisce i miei scleri inerenti a questa coppia! Ti assillo troppo tesora >////< Grazie di cuore per tutto quello che fai!!

Allooooora, prima di lasciarvi alla ff una piccola nota, stavolta ci sarà un cambio di POV quando Jun racconta, altrimenti fare raccontare a Ken quello che raccontava Jun e mettergli in bocca le parole sue e di Yayoi risultava un caos ç___ç. Comunque lo noterete dall’asterisco iniziale e finale!!

Grazie ancora a tutte...vi auguro una buona lettura!!



Il cuore e il pallone
Capitolo IV
Di Releuse


La sala da pranzo era ormai vuota, i tavoli e le sedie messi in ordine e puliti comunicavano il ritardo mostruoso con cui ci presentavamo per pranzare. Il tempo era trascorso lentamente durante quella lunga mattinata e si era dilatato nel primo pomeriggio nella stanza di Jun, facendoci perdere la cognizione dei minuti che passavano. Poi, quando ci aveva richiamati egli stesso alla realtà, noi non gli avevamo obbedito, continuando a prolungare gli attimi a dismisura, mentre ci rivestivamo. Era stato un gioco in cui l’uno esortava l’altro a ricomporsi ed, alla fine, mi ero ritrovato a dover abbottonare la camicia di Jun, mentre lui mi sistemava i capelli.


“Mi sa che dovremo digiunare!” Constatai, mani sotto il mento e guardandomi intorno nella sala. Il legno dei mobili luccicava così come il pavimento...erano già state fatte le pulizie.
“Non essere pessimista!” Rise Misugi. “Dai, andiamo a cercare il signor Matsumoto!” Esclamò il principe, ma, mentre stavamo per uscire, ecco che l’uomo stava proprio venendo nella nostra direzione

“Ma signorino Jun! Che fine ha fatto? Non è sceso per il pranzo...ieri per la cena...”
Il signor Matsumoto era vivamente in pensiero, la sua faccia seriamente preoccupata con quell’espressione diventava quasi buffa. Si vede che era molto affezionato a Misugi, lo osservava con fare paterno.“E poi vi ho visto salire di corsa completamente fradici e infangati... ”

Io cercai di controllare il rossore che percepii d’improvviso sulle mie guance nell’udire quelle parole e guardai altrove, sentendomi quasi un criminale che cerca di sfuggire alla propria colpa.

“Non dovrebbe stare sotto la pioggia, signorino!” Aggiunse quasi rassegnato, come se conoscesse bene la testardaggine del principe del calcio.

Misugi non si scompose, rispondendo con la massima calma e sfoggiando un sorriso gentile:“Va tutto bene, signor Matsumoto. Ci stavamo solo allenando e il tempo è volato. Alla fine ci siamo riposati...eravamo allo stremo delle forze!”

Non sapevo se ridere o disperarmi... “Ci siamo riposati” aveva detto tranquillamente. Certo che ne aveva di capacità di controllo il principe! Io, invece, me ne stavo volutamente da parte senza fiatare, credo fosse davvero meglio lasciare a Jun l’onere della difesa.

“Ho capito, signorino! Ma non le fa bene prendersi tutta quell'acqua...non mi faccia preoccupare! Cosa dirò poi ai suoi genitori se si sente male?”

“Non si preoccupi, non mi succederà nulla. La prossima volta starò più attento. È rimasto qualcosa da mettere sotto i denti?”

Mi stupivano sempre i modi di Jun. Apparentemente usava toni calmi e diplomatici, sfoggiava sorrisi, è vero, eppure il suo viso, l’espressione, l’energia stessa che lo circondava facevano intendere che la sua parola fosse una e che non doveva essere messa in discussione né voleva sentire ulteriori remore.

“Ho capito, signorino!” Esclamò l’uomo, sospirando.

Poco dopo stavamo pranzando in un tavolino a caso della sala. Il sole irrorava l’intera stanza e un profumo delizioso aveva cominciato a diffondersi nell’aria.

“No, sei terribile...davvero!” Scossi la testa ancora incredulo per la zuppa di pesce che avevo nel piatto, poi rivolsi uno sguardo dubbioso verso Misugi.
“Ma quale terribile!” Il principe del calcio rideva di gusto, sembrava lo divertisse vedermi così perplesso. “Dovresti ringraziarmi invece! Altrimenti stavi a pancia vuota!”
“Bè, in effetti...” Sospirai divertito, afferrando le bacchette e pungendo un primo boccone.

“Buon appetito Wakashimazu! Accidenti che fame incredibile!”  
“Si, è vero, anche io non avrei resistito oltre...” Ammisi ridendo “...con tutta l'attività fisica di oggi...eh!”

D’improvviso vidi Jun bloccare le bacchette all’altezza della bocca e spalancare gli occhi, stupito.
Io non capii subito il motivo di quello sguardo, finché realizzai cosa avevo appena detto. Fui colto da un’ondata di imbarazzo che cercai di nascondere con un tono lievemente aggressivo.

“Che diavolo hai capito Misugi! Intendevo l'allenamento di calcio” tentai di giustificarmi. “Non metterti strane idee in testa!”
Ma il capitano della Musashi non si fece intimorire, né si scompose, ormai sembrava aver capito come comportarsi con me. Aveva imparato a conoscermi davvero bene.

“Eh, eh, si ho capito” Disse lui, riprendendo a mangiare e tentando di nascondere un risolino.
“Scemo!” Feci io imbronciato, era inutile arrabbiarsi con Misugi. Quel suo atteggiamento malizioso mi metteva ancora a disagio, non ero proprio abituato.

Mi rendevo conto che Jun Misugi era un piccolo demonio, altro che ragazzo equilibrato e pacifico!

“Senti un po’, Wakashimazu...” Con un tono tornato ad essere formale, Misugi catturò la mia attenzione. “Quanto ti fermerai qui?”
“Mah...ho prenotato per una settimana...sono qui solo da due giorni...” Risposi, riflettendoci un po’ su. “Tu, invece?” Domandai a mia volta, quasi temendo la risposta. Era strano, ma il pensiero che Misugi potesse andarsene via da un momento all’altro mi fece inquietare per impercettibili istanti.
“Io sono qui da cinque giorni...” Disse con un tono incerto, come se le sue parole confermassero i miei timori. Poi, però, fece una pausa di silenzio nel suo discorso.

E l’attesa di quella risposta si stava facendo soffocante.

“In verità non ho una data precisa....” Rispose d’un tratto Misugi, riprendendo il controllo della sua voce “...pensavo di fermarmi ancora un po’...” disse, come se la cosa non lo toccasse affatto, come se la scelta fosse solo un’evenienza. “Credo dovrai sopportarmi ancora un po’, Wakashimazu...” Ironizzò infine.

Ed io non fui capace di nascondere un sorriso, mentre alzavo le spalle. “Vabbè, ho la giusta pazienza per sopportarti...” Gli dissi, guardandolo negli occhi.
“Ne sono felice...”

Avrei scoperto solo in un secondo momento la verità di quella sua affermazione.

Poi cominciammo a parlare del più e del meno, della scuola, della nostra squadra, di qualche aneddoto in famiglia. E lui rideva, più volte, in un modo sempre più dolce. La sua vera personalità, vivace e spontanea, mi faceva stare bene in sua compagnia, rendendomi particolarmente euforico. Io che difficilmente lego con qualcuno, che attacco briga molto spesso, che mi nascondo dietro un orgoglio difficile e testardo, mi sentivo sereno al cospetto del principe del calcio. Era come se lui esorcizzasse le mie paure, relegandole in qualche posto nascosto del mio cuore. Se pensavo a ciò che era successo anni prima, non avrei mai creduto che mi sarei messo in gioco a tal punto, che avrei permesso a tali sensazioni di dominarmi. E poi... non avrei mai pensato che la persona che mi avrebbe fatto cedere sarebbe stato Jun Misugi.

Soprattutto non mi sarei mai immaginato che avrei fatto l’amore con lui.


****

Dopo pranzo decidemmo di fare una passeggiata intorno alla pensione, inoltrandoci nel verde di quel bosco che la circondava. Il cielo era limpido, solo qualche sporadica ed innocua nuvola resisteva ancora, allontanandosi piano, mentre i raggi del sole facevano brillare le chiome ancora bagnate degli alberi, creando dei giochi di luce che si riflettevano sui nostri corpi in movimento. Incuranti del terreno ancora umido e delle gocce d’acqua che ogni tanto venivano giù dalle foglie, io e Misugi ci sedemmo ai piedi di un’enorme pianta esposta al sole.

“Ah, come si sta bene!” Misugi lasciò scivolare la sua schiena su quel tronco, rivolgendo il viso verso i raggi tiepidi.
“Già...questo silenzio è rilassante...” Respirai a pieni polmoni, portando le mani dietro la testa per darle un appoggio.

Sentii Misugi liberare un profondo respiro.“Accidenti, chi me lo farà fare a tornare a Tokyo...” Disse, ma la sua frase non era rivolta a me...sembrava più un suo pensiero privato, espresso a voce alta.

Possibile che ci fosse amarezza nelle sue parole?

D’improvviso diverse immagini si sovrapposero nella mia testa: a Tokyo c’era la sua squadra, i suoi compagni, l’allenatore...e lei, Yayoi Aoba. Incredibile, mi ricordai il suo nome. Lei era...la ragazza di Jun. Strinsi nervosamente i denti, cercando di scacciare quel pensiero, ma ormai si era impadronito della mia testa e sembrava non volersene più andare. Più lo scacciavo, più una sensazione simile al dolore aumentava nel mio stomaco, raggiungendo il petto, conquistandosi un posto dentro di lui.

Non se ne sarebbe andata, se non ne avessi parlato con Misugi.

Certo, non potevo pretendere niente, questo lo sapevo. Quello che era successo fra me e Jun era qualcosa di passeggero, uno sfogo dei propri istinti e non si sarebbe più ripetuto. O, almeno, tentavo di convincermene. Chiedere di lei non avrebbe significato nulla, non ne avevo alcun diritto, non avrei dovuto farlo.

Ma ormai dovevo aver capito che, con lui, la distinzione fra ‘ciò che devo’ e ‘ciò che voglio’ non aveva più forza d’esistere.

“Hey Misugi...” Dissi all’improvviso, facendo poi una pausa, mentre poggiavo le mani sulle ginocchia.
“Dimmi...”Rispose lui, ad occhi chiusi.
“... la tua ragazza è al corrente che tu...”

Jun spalancò gli occhi, portandosi subito una mano sulla fronte per ripararsi dalla luce intensa. “Eh? Quale ragazza?” Chiese, voltandosi verso di me e cercando i miei occhi.

Eravamo vicini, le nostre spalle si sfioravano, potevo sentire il profumo della sua pelle mescolato all’odore dell’erba bagnata.

“Come quale ragazza... la vostra manager...Ya...Yayoi Aoba!”

Misugi mi guardò perplesso per un istante ed io, sotto quello sguardo, temetti di aver sbagliato discorso. Mi maledii per essere stato così impulsivo e temetti di venire frainteso. Non volevo che pensasse che l’avessi volutamente messo in difficoltà, né che la mia fosse gelosia.

“Ah, Yayoi?” Sembrò finalmente capire, ma, lontano da ogni mia previsione, Jun cominciò a ridere sinceramente divertito. “Non è la mia ragazza...” Sottolineò quelle parole con tono indecifrabile. “...noi...non siamo mai stati insieme...” Misugi distolse lo sguardo rilassando le spalle e distendendo le gambe, mentre dal suo sguardo sembrava trapelare qualche ricordo.

Poi sorrise, quasi per confortarmi, o per confortare se stesso.

“Non capisco...” Ammisi. “Io ero convinto che voi...tutti erano convinti....”

Misugi scosse la testa. “Lo so, non preoccuparti. Invece è stata proprio lei la prima a capire che non avevo interesse per le donne...” Disse con un velo d’ironia nella voce e nell’incurvare le labbra.

Ero stupito ed incredulo delle sue parole, però qualcosa ancora non mi tornava.

“Davvero? Ci sarà rimasta male...” Dissi ingenuamente, continuando a dare per scontato che loro fossero stati insieme.

“No, veramente quello che c'è rimasto male sono stato io...”

Rimasi senza parole, non riuscendo a comprendere.

Jun fece un respiro profondo, come per concentrarsi su quello che mi voleva dire, per accumulare un po' di forza dal silenzio che regnava in mezzo a quella natura.

“Vedi...” Cominciò Jun, dando voce a quella confessione che sembrava tenersi dentro da una vita. “...io e Yayoi siamo sempre stati amici, da quando eravamo bambini. Lei ha condiviso con me la passione per il calcio, mi è stata sempre vicina, preoccupandosi anche troppo per la mia salute, sostenendomi nei momenti più difficili...fra noi c’è sempre stato un profondo legame. Sapevo bene che per lei ero qualcosa di più...”

Le sue parole mi stavano facendo male, il timore che quella ragazza potesse essere qualcosa di molto importante per lui mi feriva. Volevo avere una risposta, cominciavo a chiedermela con insistenza, quasi inconsapevolmente. Ed intanto respiravo, cercando di scacciare quella sensazione di soffocamento che intasava la mia gola.

“...e io volevo illudermi che lo fosse anche per me...”

Le sue parole cariche di amarezza furono come un pugno violento scagliato con un guanto di ferro nello stomaco. Cominciavo ad avvertire una forte nausea e non sapevo il perché, o, forse, non volevo saperlo, né ammetterlo.

“È successo tutto l’anno scorso...Yayoi mi prese da parte dopo gli allenamenti, dicendomi che sarebbe venuta a casa mia per parlarmi. Avevo notato la sua espressione turbata e il nervosismo delle mani tremolanti, però pensai a una lite con un’amica, cose così...tutto mi sarei aspettato, meno quello che aveva da dirmi davvero. L’accolsi in casa, tranquillo come sempre, finché lei si sedette sul divano, in silenzio. Solitamente mi raccontava tante cose, mi chiedeva come stavo o faceva previsioni sulle prossime partite. Invece esordì con un ‘d’ora in poi sarò meno presente nella Musashi, Jun...’ senza guardarmi negli occhi, continuando a fissarsi le unghie delle mani. Stupito e preso alla sprovvista, le chiesi il perché, credendo che forse era rimasta troppo indietro con lo studio, che magari trascurava i suoi impegni. Non avrei mai messo in dubbio la sua presenza, la sua ‘lealtà’ verso di me. Invece le mie finte certezze si dissolsero in un attimo, quando mi rivelò di essersi fidanzata...e me lo disse alzando finalmente lo sguardo per dimostrarmi che non stava scherzando.”

Le parole di Jun risuonavano come qualcosa di lontano, quasi un racconto fiabesco, mai esistito, ma impresso fortemente nel suo cuore. Nel raccontare, sembrava volersi mostrare il più neutrale possibile, ma stavolta, per quanto si sforzasse, non ci riuscì. Percepivo chiaramente la delusione nelle sue parole, la sensazione che qualcosa gli fosse sfuggita di mano, ferendolo profondamente. Di che certezze stava parlando? Lei era quindi così importante per lui?
 
“Cosa? Fidanzata...” La mia voce tremava, mentre ripetevo quelle parole.

“Sì, ed io ero sconvolto. Non potevo perdere Yayoi...non ci credevo...lei...doveva stare con me...”
“Come sconvolto?” Mi lasciai sfuggire, con voce incrinata dalla tensione.

“Hey, non è come pensi...” Jun mi rivolse un sorriso rassicurante allungando la mano verso il mio viso, ma io lo scacciai col braccio, infastidito. Il principe del calcio, però, non si scompose e, abbracciando le ginocchia, continuò a parlare.

“Ero convinto che fra me e Yayoi ci fosse una sorta di reciproco accordo, ma, devo ammettere, che l’unico ad aver stipulato quel contratto ero stato io...con lei non ne avevo mai parlato, io...l’avevo sempre data per scontata, usando i suoi sentimenti per proteggermi dalla verità...”





*Balzai dalla sedia, stringendo i pugni con rabbia. “Che diavolo stai dicendo, Yayoi? Cos’è questa storia che ti sei fidanzata?” Per la prima volta con lei alzai la voce.
“Jun...perché ti scaldi tanto? Non è da te...” Rispose, guardandomi con amarezza. Non era turbata dalla mia reazione, quindi compresi che avesse previsto ogni cosa e mi sentii ancora più tradito e preso in giro. Quindi strinsi ancora di più i pugni e mi alterai ulteriormente.

“Veramente credevo che io e te...” Mi bloccai, non terminando la frase per il nodo che si era formato nella mia gola.
“Io e te cosa, Jun?” Resse il mio sguardo severamente, pronta a tutto, ma triste. “Lo vedi che non riesci neanche a dirlo?

Sentii le mie certezze vacillare, le mie carte che una alla volta venivano scoperte, senza che io potessi fare assolutamente nulla. Eppure qualcosa mi diceva che non dovevo cedere, quindi raccolsi le mie forze e tentai di mantenere in piedi quella sceneggiata che mi portavo dietro da tempo. Il risultato fu davvero patetico. “Io pensavo che stessimo insieme!” Le dissi, cercando di tornare il Jun Misugi controllato che lei conosceva.
 
Ma Yayoi scoppiò a ridere, rise fintamente, prima di rivolgermi uno sguardo carico di rabbia e delusione. “Questa, Jun, mi è nuova...” La sua voce si fece sempre più sottile e spinosa. “Quando mai abbiamo detto di stare insieme?”

Un moto di frustrazione mi invase. “Si, è vero, ma noi...” Balbettai, inerme, cercando di dire qualcosa. Qualcosa che mi aiutasse...a mentire.

“Noi cosa, Jun!” stavolta fu lei ad alzare la voce, trattenendo le lacrime. “Ci siamo sempre visti durante gli allenamenti o per le attività della squadra. Raramente siamo usciti insieme se non per qualche necessità scolastica o calcistica. Come pretendi di dire che stiamo assieme?” Yayoi si alzò dal divano, scuotendo la testa come se fosse disperata, intrecciando le sue dita fra i capelli biondi, afferrandosi la testa.

“Io...io ero convinta che stessimo insieme, Jun. Non tu! Io ti seguivo ovunque, facevo la qualsiasi cosa per te, ti dimostravo il mio amore. Mi sono sforzata in tutti questi anni, convincendomi che mi andasse bene così! Il tuo, invece, non mi pare che il tuo sia l'atteggiamento di chi sta insieme a qualcuno. Non fingere con me!”

Le sue parole erano tremendamente vere e io n’ero cosciente. La mia maschera stava per sgretolarsi, ma io glielo volevo impedire, a qualsiasi costo.

“Non essere egoista Jun!” Gridò Yayoi, al mio ennesimo tentativo di dirle che le cose non stavano esattamente a quel modo. No, non ero pronto ad ammettere la verità. Soprattutto quando lei pronunciò quelle parole. “Io ti conosco più di quanto tu pensi, perché ti osservavo in tutti questi anni...anche se tu non te ne sei mai accorto...”

Per questo scattai nella sua direzione, afferrandole con prepotenza le braccia, scaraventandola sul divano, per bloccarla poi sotto di me, per non sentire più quelle parole dalla sua bocca.

“Jun, che fai, lasciami!” Gridò lei, spaventata. Ma io le stringevo di più i polsi, inginocchiandomi fra le sue gambe leggermente scoperte dalla gonna un poco sollevata. Non so che cosa mi prese, non mi riconoscevo più, ma nella mia testa era scattato qualcosa che non riuscivo a decifrare. La fissai intensamente per farle comprendere le mie intenzioni, ma Yayoi non ebbe più paura, né cercò di allontanarmi. Anzi, dalle mani strette sui suoi polsi, sentii i suoi nervi calmarsi e vidi il suo viso rivolgermi un sorriso gentile e premuroso. Il sorriso che mi aveva sempre rivolto in tutti quegli anni.

 “Va bene Jun...” Sussurrò con dolcezza. “Abbracciami.”

 “C...come?” Tentennai, allentando la mia presa.

 “Abbracciami e dimmi che mi ami. Voglio che mi baci...e che faccia l’amore con me...solo così sarò in grado di rinunciare a lui e tornare a pensare a te...”
Rimasi senza parole. Sotto il mio sguardo la riconobbi, riconobbi la Yayoi Aoba che conoscevo, la manager sempre presente, l’amica apprensiva, la ragazza innamorata del suo capitano.

Non mi mossi. Non riuscivo più a muovermi, era come se la forza di gravità mi schiacciasse impedendo ogni movimento. Poi, d’improvviso, cominciai a tremare e me ne stupii io stesso, perché non riuscivo a controllarmi. Liberai Yayoi dalla mia presa, sedendomi sconvolto sul divano. Strinsi i pugni ed abbassai lo sguardo, sconfitto.
 
“Vedi, Jun? Questa è la risposta.” Yayoi mi rivolse uno sguardo gentile, cercando di sorridere. Aveva gli occhi velati dalle lacrime.

Ed io sentivo che le mie difese, la maschera fino ad allora portata, si stavano sgretolando sotto il peso delle sue parole. I pezzi cadevano piano piano, come se fossero sottili frammenti di intonaco che, oramai secco, si staccava dal muro, mostrando ciò che c’era oltre e che Yayoi aveva compreso.

“Non possiamo mentire per sempre, Jun.  Non possiamo chiuderci in un nostro mondo nascondendoci dagli altri e fuggendo ciò che vogliamo veramente. Io...non hai solo tu la colpa di quanto è successo...”

Yayoi mi prese la mano, stringendola ed io alzai lo sguardo in silenzio, cercando di capire cosa stesse cercando di dirmi. “In verità...ti ho usato anche io. Con la scusa che noi due ‘stessimo insieme’ ho evitato che altri ragazzi si avvicinassero a me, risparmiandomi fastidiosi approcci, sottraendomi facilmente alle dichiarazioni di qualcuno. Ma questo andava bene fino a poco tempo fa, Jun, quando ancora ero una ragazzina. Ora non è più ciò che voglio, ora desidero vivere sul serio. Dobbiamo crescere, affrontare la vita, Jun. Dobbiamo allentare il legame viscerale che si è creato fra noi e trasformarlo in una vera amicizia. Entrambi lo abbiamo sfruttato per paura del mondo, per paura di noi stessi, delle verità che ci appartengono...ma è arrivata l’ora di essere se stessi, non credi? Non puoi fingerti all’infinito ciò che non sei...”

Sorrisi, finalmente, rivolgendomi alla mia amica. Capivo cosa intendeva dire con quelle parole, me l'aveva fatto capire. E per la prima volta intravidi uno spiraglio, una via d’uscita dai timori che avevo sempre tenuto nascosti. Fu allora che riuscii ad ammettere a me stesso la verità.

Ossia che ero attratto dai maschi e non dalle donne.

“Yayoi, io..” Non riuscivo a parlare, ma lei capì e  mi abbracciò con tenerezza.

“Tranquillo, Jun. Io ti starò sempre vicina, potrai sempre contare su di me. Sarò sempre la tua migliore amica se lo vorrai. Ti voglio bene...”*




“Fine della storia!” Jun sfoderò un sorriso enorme, quasi per cavarsi d'impaccio da quel racconto che aveva molto di personale. Si vedeva che era in difficoltà, ma ero felice che si fosse confidato con me in quel modo. Non doveva essere stato facile parlarne, né credo lo avesse ancora fatto con qualcuno. Certo, era strano calarlo in quella situazione...immaginarlo perdere le staffe a quel modo...con Yayoi. Ormai mi convincevo sempre più che il suo atteggiamento controllato non era altro che una maschera per riuscire ad affrontare la vita che lo circondava.

“Bè, dai...è finita bene!” Cercai di sdrammatizzare, distendendomi intanto sul prato. L’erba umida mi solleticava la pelle, facendomi rabbrividire.
“Sì, è vero...poteva andare peggio!” Scherzò Misugi. “La sensazione di tradimento che avevo provato scomparve subito...certo che sono stato egoista! La usavo come scudo per non ammettere le mie tendenze...e mi dispiace ancora per questo. E poi è l'unica ragazza con cui ho saputo legare in effetti!”

“Eh?” Lo guardai di sbieco, contrariato. “Mi sembra che dimentichi una cosa: hai un casino di ammiratrici...se ti mancano le donne!” Dissi per provocarlo.
“Ah, ah, ah! Lo so, ma quelle non te le consiglio! Sarebbero capaci di scannarti se sapessero quello che è successo!” La risata cristallina di Jun si diffuse nell’aria, mentre io m’inquietavo al pensiero di quell’ammasso di ragazzine starnazzanti.
“Ne faccio a meno...grazie!” Gli risposi, fintamente imbronciato.


Dopo alcuni minuti di silenzio, in cui si udiva solo la leggera brezza soffiare fra i rami, Jun si distese a sua volta, poggiandosi su di un gomito, rivolto nella mia direzione. Sentivo il suo sguardo poggiarsi sul mio viso, soffermarsi sul mio collo scoperto, sulla vena pulsante.
Quella sensazione mi solleticava, mi piaceva sentirmi desiderato da lui.

“Bè, non credo fosse una cosa totalmente voluta la tua...con Yayoi intendo...” Ripresi il discorso di poco prima, fingendo di ignorare il suo respiro sempre più vicino.

“Più o meno...” La sua voce sempre più bassa, le sue gambe che s’intrecciavano alle mie. “...probabilmente era anche una cosa inconscia. Ma è passata, d’ora in poi non lo negherò mai più...”

“Che cosa? Che ti piacciono i maschi?” Ironizzai, inclinando il viso nella sua direzione.

“Si capisce, no?” Chiese il principe, con voce roca, prima di chiudere le sue labbra sulle mie.

A quel contatto mi sporsi ulteriormente verso di lui, portando una mano dietro la sua nuca, che spinsi con forza per agevolare la profondità di quel bacio. Jun si strinse ancora di più sul mio corpo, facendo scivolare una mano sul mio petto e poi sulle gambe. Le sue labbra scottavano e non sapevo più se era stato il sole che fino a poco prima batteva su di loro o il sangue che avvertivo vorticare sotto la sua carne.

Ormai non ero più in grado di respingerlo, poiché ero io stesso il primo a desiderare quel corpo, il suo calore, a lasciarmi ammaliare ad arte dalla seduzione che riusciva a scatenare quando mi era così vicino.

E in quel momento mi andava bene così.

Mentre quel bacio dominava le nostre bocche avide, sentii il dorso della mano di Jun accarezzare la mia guancia “E...tu?” La sua voce sussurrata a pochi millimetri dalle mie labbra, i suoi occhi saldi sui miei.

“Io...cosa...?” Domandai ancora affannato, tenendo ferma la testa di Misugi con le mani, impedendogli di allontanarsi oltre.
“...da quando hai capito di essere attratto dai maschi?” Domandò, con un velo d’ironia e, allo stesso tempo, con desiderio di sapere.

M’irrigidì, colto di sorpresa. In silenzio, scostai lentamente Jun dal mio corpo e tornai a sedermi, appoggiando la schiena sul tronco ruvido.

“Scusami, Ken, io...”

“Shht, non preoccuparti, Jun...” Gli dissi, sforzandomi di sorridere per non preoccuparlo. La sua domanda era più che lecita, dopo che io stesso gliene avevo fatta una personale alla quale lui aveva avuto il coraggio di rispondere con la massima franchezza, dandomi la sua fiducia. E non credo che per lui fosse stato facile parlare di cose così intime. Mi sembrava giusto non essere da meno, solo che...non credevo di doverne parlare così presto.

“A dirla tutta, Misugi...” Cominciai, mentre afferravo un sassolino da terra poggiandolo sulle ginocchia. “...ne ho ripreso coscienza giusto in questi due giorni...” Ammisi, facendo un lungo respiro, mentre con le dita davo un colpo a quella pietra, scagliandola poco lontano.

Sapevo che quella confessione era più che altro rivolta a me stesso.

“Per anni ho cercato di nascondere questi miei istinti...anzi, proprio di cancellarli e, devo ammettere, ero convinto di esserci riuscito...”

Finché non sei arrivato tu.

“Anni passati ad uscire con diverse ragazze, insabbiando ciò che avevo provato osservandolo di nascosto, mentre si allenava o quando si cambiava. Era diventato un’ossessione, non facevo che pensarci. Ogni notte lo pensavo e anche durante il giorno era diventato un pensiero fisso.”

Mentre pronunciavo quelle parole, sentivo di stare compiendo un enorme sforzo, soprattutto nel tentativo di mantenere la calma, poiché la violenza di quei sentimenti inconfessati che avevano accompagnato le mie giornate, stava riemergendo, facendo tremare ogni cellula del mio corpo.

“Ero spaventato, sai?” Mi rivolsi verso Misugi, sorridendo. Quello era l’unico modo per placare il vortice di sensazioni che centrifugava nel sangue. “Spaventato dal scoprirmi attratto da un uomo, da un mio compagno per giunta. Non potevo accettarlo, non...volevo essere così. Quindi...ho tentato di cancellare i miei istinti, la mia attrazione per lui, tentando di aggrapparmi disperatamente all’idea che era stato solo un momento di debolezza e che a me piacevano le donne.” Feci un lungo respiro, scrollando le spalle come se non m’importasse granché di quello che stavo dicendo.

“Evidentemente non ci sono riuscito...” Terminai, con un po’ d’ironia, sperando di aver soddisfatto la ‘curiosità’ di Misugi e di poter finalmente considerare chiuso quel capitolo. Ma, nel voltarmi verso il capitano della Musashi, notai che aveva lo sguardo adombrato e che non mi guardava negli occhi, come se qualcosa lo stesse turbando.

Prima che potessi dire parlare, Jun mi anticipò. “Ma...questa persona...è per caso Kojiro Hyuga?” Disse con voce bassa e salda, come se la sua fosse una constatazione, più che una domanda.

“Come?” Spalancai gli occhi, davvero stupito. Ci misi qualche secondo ad ingranare la sua affermazione ed infine scoppiai in una fragorosa risata che sorprese non poco il principe del calcio.

“Hyuga? Oddio, no! Se fossi stato attratto da lui avrei cambiato squadra prima che mi riducesse a pezzettini!” Continuavo a ridere di cuore.

Era strano, ma ero riuscito a leggere in quella domanda di Misugi una velata preoccupazione che fosse davvero così e la cosa, dovevo ammettere, mi faceva piacere oltre che sorridere.

“Ah!” Un lieve rossore pervase il viso del principe del calcio che stavolta si era messo in difficoltà con le sue stesse mani.

“Stai tranquillo, non è come pensi tu...” Mi sentii di dirgli, come poco prima aveva fatto lui, mentre distoglieva lo sguardo a quelle mie parole. “Si trattava di un mio vecchio amico d’infanzia, un ragazzo che giocava a calcio nel tempo libero, ma al quale non interessava fare parte di alcuna squadra...” Gli rivelai, stavolta senza alcuna remora e lui sembrò sollevarsi. “Spesso ci allenavamo insieme, ci si vedeva spesso insomma...ed alla fine mi resi conto di essere attratto da lui...niente di più...”

“E...lui?” Azzardò Jun, comprendendo che c’era qualcos’altro da dire.

Io rimasi qualche secondo in silenzio, cercando di organizzare la risposta. “...bè, lui...probabilmente provava le stesse cose...me n’ero reso conto e, come me, aveva paura di esporsi, temeva quelle sensazioni che lo divoravano. Per questo ce le siamo date di santa ragione un giorno, scattando per un motivo futile che nemmeno ricordo...”

“Eh?L’hai...picchiato?”

“Eravamo spaventati. Ero spaventato, Jun. Non me la sentivo, non mi capivo io stesso. Alla fine ci siamo picchiati talmente forte che è dovuto intervenire mio padre per separarci...” Sospirai, con un groppo d’amarezza. “Ci siamo sfogati l’uno sull’altro delle nostre frustrazioni, io soprattutto. Da quel giorno lui non mise più piede in casa mia, né lo rividi. Io invece mi ripromisi che non avrei più provato quelle sensazioni per qualcuno...”

Mi aveva fatto troppo male.

“Capisco...” Sussurrò Jun, sporgendosi per baciarmi il collo. “Quindi anche per te era la prima volta...stamattina?” Respirò sul mio orecchio.
“Pare di sì...” Risposi, deglutendo, cercando di mantenere il controllo.

“Però...io non mi sono trovato con un pugno nello stomaco...devo sentirmi onorato?”
“Scemo...” Gli dissi, tremando per il brivido che il suo respiro mi aveva trasmesso lungo il collo. “Con te... è diverso...” Terminai, avvicinando una mano al suo viso ed accarezzandogli il contorno delle labbra con le dita.

Era diverso, non c’erano dubbi. Non ne sapevo neppure io il motivo, però ero cosciente che ogni volta che sentivo Jun avvicinarsi, la volontà, la ragione e il mio stesso autocontrollo finivano per annebbiarsi totalmente, lasciandosi andare a molteplici sentimenti e sensazioni ancora incomprensibili, ma troppo travolgenti per poter fingere di non provarli.


Il pomeriggio passò infine velocemente e, all’imbrunire, decidemmo di andare a riposarci un poco, ognuno nella sua stanza. La stanchezza di quella lunga mattinata si stava facendo sentire. Ancora una volta si presentò la solita scena: entrambi davanti alle rispettive porte, sentivamo l’imbarazzo che aleggiava nell’aria.

“Va bene...buon riposo...” Feci io per primo, guardando con interesse la punta delle mie scarpe.
“Sì, grazie...” Anche Jun  era titubante stavolta, lo si notava dalla sua voce non più così decisa.

Aprii così la mia porta entrando nella stanza, ma non riuscii a chiuderla: Jun l’aveva bloccata afferrando la maniglia.“Ah, Wakashimazu!” Esclamò, affacciandosi all’improvviso.

Io sobbalzai, non capendo cosa stesse succedendo.

“Ci vediamo dopo, vero?” Misugi aveva uno sguardo confuso.

Era una domanda assurda la sua, ma capii subito che quello era un modo per dire qualcosa, per non lasciarmi andare così. Lo guardai negli occhi, mentre stava lì fermo sulla porta ad osservarmi davvero preoccupato. Non so perché avesse previsto il contrario, ma non ebbi il tempo di rifletterci su, visto che di getto gli presi il braccio e lo trascinai dentro la stanza chiudendo la porta alle mie spalle. Lo spinsi verso la parete e cominciai a baciarlo con una passione quasi delirante alla quale Misugi rispose con identica intensità.

Un attimo dopo eravamo distesi sul futon abbracciati e addormentati, ormai vinti dalla stanchezza.
Per la prima volta in tutti quei mesi riposai senza pensieri che mi tormentassero il sonno. Forse era l'abbraccio di Jun a trasmettermi quiete e sicurezza, forse era la sua stessa presenza a rendere tutto più tranquillo.

In quei giorni avrei scoperto com’era piacevole risvegliarsi al suo fianco, osservarlo mentre dormiva ancora, bearsi del suo viso rilassato e delle labbra schiuse. Jun, il suo profumo, il suo sguardo, avrebbero accompagnato i successivi cinque giorni, pervadendo la mia mente e il mio corpo del desiderio di lui.

Lo sentivo. Potevo cogliere quel qualcosa che aveva cominciato a catturarci lentamente, che ci stava rendendo prigionieri senza il nostro consenso. Un filo, una corda o un catena le cui estremità si arrotolavano lente e clandestine su di noi. Sospesi, in quella realtà deformata, in un mondo tutto nostro, estraneo a ciò che ci circondava e nel quale ci eravamo rifugiati scappando da ciò che ci turbava là fuori, non mi rendevo ancora conto che quei nodi si stavano facendo sempre più saldi e stretti. E che prima o poi ci avrebbero bruscamente risvegliato.



Fine IV parte

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Capitolo 5
*** V capitolo ***


Ma eccomi finalmente qui con questo capitolo decisivo della ff *___* Come sono contenta di essere arrivata già a questo...quando ho ripreso in mano la storia mi continuavo a chiedere se avrei avuto costanza nel riscriverla, invece sembra ce la stia facendo, mi sta riappassionando e mi vengono in mente sempre nuove idee! Inoltre  è anche merito vostro che mi spronate a continuare ;) questo è il mio capitolo preferito...spero lo possiate apprezzare anche voi---> Ichigo so già non lo apprezza troppo XDDD Vero oneechan?

Grazie di cuore a Melantò, Eos, Kara, berlinene e tutte coloro che leggono questa ff !

Un grazie speciale ad Haley per le lunghe recensioni e le mail*___* sul nostro caro Jun! Inoltre il cap scorso te l’varei lo stesso dedicato anche se non me lo chiedevi, eh eh ^___^ Mi sembrava logico! Sono contentissima ti sia piaciuto!

Grazie millissimissime a Ichigo per il betaggio extra veloce...se non ci fosse lei *_* ..non riuscirebbero ad inventarla! Voglio solo l’originale é_é

A voi tutte....

Buona lettura!





Il cuore e il pallone
V parte

Di  Releuse
    

“Stai in guardia, portiere!”

La voce di Jun Misugi raggiunse le mie orecchie trasportata dal vento che, quella mattina, soffiava dolcemente. Il timbro intimidatorio si sposava bene con la posa assunta dal principe del calcio: il dito indice puntato fermamente nella mia direzione indicava che mi stava sfidando.

“Questo sarà l’ultimo tiro, preparati!” Gridò ancora, con l’espressione di chi sa di avere la vittoria in pugno, con quello sguardo da me già definito come placido ma bramoso di vittoria.

Lo sguardo del dominatore che già una volta aveva saputo atterrirmi, inchiodandomi a terra ed impedendomi ogni movimento. In quell’occasione Jun Misugi mi aveva sconfitto, riuscendo a consacrare il suo potere assoluto su di me.

Ora, invece, non era più così. Il suo sguardo provocatorio mi solleticava, incitandomi alla ribellione, a contrastare la forza del principe. Non mi sentivo più bloccato ed incapace di reagire, anzi, ben saldo sul terreno, attendevo la sua prossima mossa, pronto a sancire la mia superiorità e a combattere contro la sua . Avrei parato all’infinito i suoi tiri, in modo da dimostrargli di essere il migliore.

Vidi la gamba sinistra del principe piegarsi per darsi lo slancio, la destra indietreggiare e tendersi come la corda di un arco, poi uno scatto potente ed il suo piede che calciava con forza il pallone, imprimendogli un effetto che rendeva difficile intuirne la direzione.

Confidenza col proprio corpo e sicurezza nelle proprie capacità...questo mi ripeteva mio padre, durante gli allenamenti di karaté nella palestra di casa.

Furono solo pochi attimi, millesimi di secondo in cui concentrai il mio campo visivo sul pallone, durante i quali ascoltai i miei sensi, lanciandomi nella direzione da loro indicata...e il pallone fu tra le mie mani. Sdraiato per terra, lo sentivo roteare ancora fra i guanti, finché terminò il suo moto, bloccandosi una volta per tutte. Mentre ero ancora disteso, una sensazione effervescente cominciò a fibrillare per tutto il mio corpo, provocandomi un moto di gioia e soddisfazione.

“Grande, Wakashimazu!” Esultò Jun, correndo fino alla porta, raggiungendomi.

Io mi sollevai, mettendomi a sedere, mentre fra le mani stringevo il pallone quasi con gelosia, come se fosse la Coppa del Mondo. “Accidenti, sono sfinito, Misugi!” Esclamai, ancora seduto e ridendo soddisfatto del mio successo. Mi passai una mano fra i capelli, nel tentativo di portarmeli indietro, ma erano troppo sudati. Anche Jun sembrava sfinito, ormai erano due ore buone che ci allenavamo quella mattina; naturalmente avevamo intervallato il gioco con delle pause per permettere a Misugi di riposarsi.

“È stata una parata favolosa!” Si complimentò Jun, tendendomi la mano per aiutare a sollevarmi e le sue parole non potevano che farmi piacere oltre a darmi soddisfazione.

Finalmente ti ho raggiunto, principe del calcio.

Allungai il braccio afferrando la mano di Jun, ma, invece di usarla per alzarmi, lo tirai verso di me, facendolo cadere sul mio corpo.

“Hey!” Si lamentò lui, contrariato dalla mia iniziativa. Mi lanciò uno sguardo truce e poi si sedette al mio fianco.
“Stiamo qui ancora un po’...” Gli dissi, gettando la testa all’indietro e poggiandomi sui gomiti. “Non ce la faccio ad alzarmi...!”
“Bah, eppure dovrei essere io quello più stanco...!” Ironizzò Misugi.
“Giusto! Quindi stai qui seduto e fai il bravo!” Risposi, prendendolo in giro.

L’aria fresca di quella mattina stava dando sollievo alle nostre guance arrossate per la fatica, mentre il respirarla piano e a pieni polmoni acquietava lentamente il mio affanno.

Misugi mi guardava con espressione soddisfatta. “Hai parato quasi tutti i miei tiri stamattina...anche la rovesciata di poco fa...la prossima volta che giocheremo l’uno contro l’altro dovrò stare molto attento, non sarà un’impresa facile!” Esclamò scherzoso.
“Bè, dai...” Cominciai, mentre tenevo ancora la testa inclinata e gli occhi chiusi per rilassarmi. “...potremmo invece trovarci a giocare insieme contro la Francia il prossimo mese!” Lo stuzzicai, facendogli intendere che forse sarei tornato in campo.

In verità non avevo ancora deciso, non avendoci mai seriamente pensato, però, in quel momento, non ero riuscito ad esimermi dal dirgli quelle parole.  Non mi ero ancora reso conto che pensare al gioco in campo con Misugi alleggeriva tutto il peso che sentivo gravare sulle mie spalle.

“...e come al mondiale giovanile dovrai aiutarmi a proteggere la porta! Cavolo, se non avessi fermato quel tiro di Pierre El Cid in rovesciata avremmo rischiato di perdere la partita*...”
Jun ridacchiò “Bè, ma tu eri anche ferito alla mano!”
“Sì, ci credo! Un simpatico giocatore francese mi era caduto in ginocchio sul dorso...al diavolo!” Sbuffai, irritato da quel ricordo. “La partita con la Francia è stata davvero faticosa, questa volta non dobbiamo farci mettere in difficoltà!”

Misugi sorrise: “già, sarebbe bello poter giocare di nuovo insieme...” poi, però, mutò improvvisamente la sua espressione, facendosi serio “...ma non so se potrò partecipare all’amichevole con la Francia a dire il vero!”
“Cosa? E perché?” Finalmente aprii gli occhi, prestando più attenzione al discorso, mentre tornavo seduto. Le sue parole mi fecero improvvisamente preoccupare.

“Attendo gli esiti di alcuni esami...purtroppo l’ultima volta mi hanno trovato molto affaticato e il medico mi ha proibito di giocare finché i valori non torneranno a posto...” Parlava con assoluta calma Misugi, come se stesse ripetendo parole non riferite a lui e che non lo toccavano minimamente. Quello era il tono che aveva sempre usato con noi compagni, ogniqualvolta ci si trovava insieme con la nazionale; ai miei occhi e a quelli dei compagni, Jun Misugi era sempre apparso così, il principe di vetro perennemente controllato e determinato. Eppure questa volta c’era qualcosa a tradirlo. I pugni serrati che stringevano l’erba, lo sguardo abbassato e fisso in un punto indefinito, il tremore che stava aumentando in tutto il suo corpo e che ormai si era reso percepibile anche ai miei occhi. Non sapevo cosa dire, davvero, ma fu Misugi a continuare a parlare.

“Ken...” Mi chiamò ed io colsi il turbamento anche solo dal mio nome pronunciato “...hai presente la frustrazione che provi quando stai in panchina, perché sei infortunato, perché c’è Wakabayashi al tuo posto o per qualsiasi altro assurdo motivo? Quella sensazione di impotenza che ti dilania dentro, perché non puoi essere in campo con i tuoi compagni?”

Un attimo di silenzio, un sospiro, il mio.

“Sì, Jun. La conosco bene.” Risposi con rammarico, capendo cosa stava per dirmi, ma il sentirlo dalla sua voce fu qualcosa di tutt’altro effetto.
“Ecco! Quella è la sensazione che io sento ogni giorno! Ogni giorno, capisci?” La voce di Jun si era alzata di tono, caricandosi di rabbia. “Perché so che il mio stare in panchina non è provvisorio, perchè so che non potrò mai più giocare una partita completa con i miei compagni di squadra, perchè questo cuore maledetto me lo impedisce!” Misugi sbatté i pugni sul terreno e poi vi ci conficcò le unghie, con forza, rischiando di farsi male.

“Eppure...” Disse poi, rilassando d’improvviso il corpo e sorridendo con amarezza. “...eppure continuo ad amarlo, il calcio.”

“Jun, io...” Ero senza parole. Non avevo mai visto Jun Misugi in quello stato, così...disperato. Lui era il principe, il fiero numero ventiquattro della nostra nazionale, il giocatore che sapeva sempre dosare le parole di conforto o di severità per incentivare i suoi compagni, la spalla sempre presente della nazionale. Non aveva mai fatto trapelare simili emozioni prima d’allora, davanti a nessuno e, mi rendevo conto, nessuno di noi si era mai seriamente chiesto come vivesse Misugi quella situazione.

Ricordai quando fu messo fuori squadra dalla nazionale giovanile, a causa del suo cuore definito dai dirigenti di ‘cristallo’. Kojiro mi aveva raccontato di come si fosse stupito nel sentire le parole di Jun Misugi a quella notizia: sembra che avesse sorriso ai suoi compagni, dicendo che se non lo facevano giocare per i suoi problemi al cuore era giusto, che lo stavano facendo per lui. Davanti a loro, davanti a tutti mostrava sempre quella serenità che lo contraddistingueva, mentre ora, con me, manifestava tutta la sua rabbia, mostrandomi i suoi veri sentimenti.

Non sapevo cosa dire e, forse, era giusto che io non dicessi nulla e che ascoltassi la sua sofferenza in silenzio. L’unica cosa che sentii di fare fu afferrare le spalle di Jun e tirarlo verso di me, per poterlo abbracciare. Il principe del calcio si lasciò stringere forte e, a poco a poco il suo corpo smise di tremare.

Per la prima volta provai vergogna di me stesso per le incertezze che mi avevano assalito e per l’incapacità di controllarle. Già, perchè noi in fondo in un modo o nell’altro rientravamo in campo, ne avevamo la possibilità. Io potevo ancora lottare con Wakabayashi per la maglia di titolare se solo lo avessi voluto, mentre Jun, per quanto desiderasse giocare con tutto se stesso, non poteva più farlo pienamente.

Io, invece, potevo ancora scegliere.

***




Non c'era giorno in cui non facevamo l'amore. Si capiva che entrambi non vedevamo l'ora che arrivasse quel momento, ogni volta la foga ci assaliva e bramosi ci gettavamo l'uno nelle braccia dell'altro. Bastava solo uno sguardo, dovunque fossimo, per sentire la passione pulsare dentro di noi  e venire inglobati in quel gioco che cominciava con piccoli gesti di seduzione, una carezza sul braccio, un respiro sul collo e che poi si trasformava in un’esplosione di eccitazione.

Penso di non aver mai avuto un'attrazione sessuale tanto intensa per qualcuno, un desiderio così impetuoso, bruciante ed incontrollabile. Jun era capace di far sgretolare la mia ragione con la sua sola presenza, con il lieve movimento delle labbra o con i suoi gesti, come quando si sfilava la maglietta continuando a fissarmi negli occhi.

Quelle sue dense iridi castane, dentro le quali potevo specchiarmi, senza riconoscermi, nelle quali scoprivo un me stesso sconosciuto fino a quel momento, avevano la forza di risucchiarmi in un sentiero del non ritorno.


Con un tacito accordo avevamo deciso di prolungare quella permanenza alla pensione e io misi mano ai risparmi di alcuni lavoretti fatti durante le vacanze scolastiche per poter tenere fede a quel patto. Jun, in verità, non mi aveva mai detto quanto tempo sarebbe dovuto stare laggiù, si era soltanto  limitato a chiedermi se mi andava di fermarmi ancora qualche giorno. “Ti farebbe bene...” Aveva detto con il suo tipico fare sereno, come se fosse uno dei tanti consigli dati ad un compagno di squadra qualsiasi, da buon intenditore di salute, ma, invece, credo che la cosa giovasse anche a lui.

“Tre giorni...” Gli avevo alla fine risposto “...mi fermerò ancora tre giorni...” Sapevo che in fondo aveva ragione, stare in quel posto mi stava facendo ricaricare le energie. Lontano dal caos di Yokohama, dalla vita frenetica, dagli allenamenti obbligatori, potevo finalmente decidere io cosa mi andava di fare durante la giornata e riflettere su ciò che mi avrebbe aspettato al rientro. Eppure...non era solo per quello. Era come se rimanendo lì mi volessi ancorare a tutti i costi a qualcosa che non volevo lasciare fuggire e che con il rientro mi sarebbe potuta sfuggire di mano. Non me ne rendevo ancora conto, ma la catena che mi stava stringendo sempre più nella direzione di Misugi stava chiedendo di non venire spezzata.

Alla fine i tre giorni trascorsero veloci, troppo veloci.

Era uno scherzo del destino o eravamo noi che ci stavamo risvegliando?

L’ultima giorno riprendemmo anche il discorso del calcio. Eravamo alla sorgente termale, saranno state le sette di sera. Mentre ci rilassavamo facendo un bagno caldo, Jun si fermò davanti a me interrogandomi con uno sguardo indecifrabile, misto fra il timore e la preoccupazione.

Davanti a quegli occhi sentii il disagio formicolare sulla mia pelle bagnata. L’umidità dell’ambiente rendeva inoltre pesante il respiro gettandomi per alcuni istanti in uno stato di claustrofobia. Tentai di cacciare quelle sensazioni crescenti evitando di far parlare Jun, accarezzandogli la guancia e chinandomi per baciarlo, ma non me lo permise. Con decisione mi afferrò il polso, guardandomi fisso negli occhi.
     
“Non lasciare il calcio, Ken!” Esclamò e non capii se fosse un ordine o una supplica.

...il calcio....

Dopo alcuni istanti in cui il mio corpo s’irrigidì per difesa, cercai di calmarmi, comprendendo che non potevo più sviare il discorso. Sentendomi  rilassare, Jun  mollò la presa.

Il mio problema con il calcio. Non che non ci avessi pensato in quei giorni, anzi, soprattutto da quando Misugi mi aveva rivelato le sue frustrazioni, avevo cominciato a rifletterci seriamente. Inoltre, il confronto con lui era stato stimolante e...divertente. “Perché il calcio deve anche divertire!” Aveva detto una volta il principe del calcio e aveva ragione. Già, mi rendevo conto che giocare con Jun non mi pesava e che adoravo quella continua battaglia che avevamo silenziosamente creato, come se fosse un gioco tutto nostro. L’avrei sfidato all’infinito. Oltretutto, quella sensazione d'intorpidimento che sentivo fino a pochi giorni prima si era sciolta, quasi dileguata. In verità non ero certo di quello che volessi davvero fare, né se azzardare una totale convinzione sul mio rientro mi avrebbe fatto bene, perciò tentai una via di mezzo.


“Forse...tornerò sul campo, Jun” Dissi, espirando tutta l’aria che avevo accumulato nei polmoni, come per liberarmi di un peso e allo stesso tempo mi venne da sorridere. “Contento?”

I suoi occhi s’illuminarono. “Dici davvero?”

“Si. Il mio letargo è durato abbastanza. Devo cercare di riprendere in mano la situazione, anzi, il gioco...e al diavolo Genzo Wakabayashi! Prima o poi lo supererò.” Le mie parole erano cariche di fierezza  e lo sguardo di Jun mostrava una sincera approvazione. “La prossima volta che ci incontreremo sul campo non riuscirai a farmi neanche un goal! Ormai conosco le tue mosse, ‘principe del calcio’!” Ironizzai.

“Questo non mi sembra un ‘forse’....” Rispose compiaciuto il principe.


E poi lo guardai nuovamente, fisso negli occhi, cercando il suo assenso per il mio improvviso desiderio che lui colse subito, finché lo trovai in quelle sue labbra che s’incresparono in un accennato sorriso.

Gli afferrai il viso e cominciai a baciarlo, dapprima lentamente, poi con maggior intensità. Jun ricambiò appoggiandomi le mani sulle spalle e facendo aderire maggiormente il suo corpo al mio. Le mani di Misugi vagavano sulle mie braccia, espandendosi sul petto, scivolando per tutto il corpo, facendo pressione con i palmi e graffiandomi leggermente...era una cosa che mi faceva davvero impazzire. Le acque in cui eravamo immersi fino al torace si smuovevano al ritmo dei nostri movimenti ed ogni tanto Jun ne raccoglieva un poco e me la gettava addosso, prima di accarezzarmi nuovamente, come se gli piacesse sentire il mio corpo bagnato sotto le sue dita.

Io seguii il suo esempio ed esplorai ancora una volta quel bellissimo corpo. Sentivo pulsare la testa, il rossore assalire le mie guance ed un’intensa sensazione di possesso che non avevo ancora provato cominciò a diffondersi in ogni terminazione nervosa del mio corpo; era come se quella sera fossi più forte e meno vulnerabile. Gli riempii di baci il collo, poi con la lingua cominciai a scendere sul petto, leccandogli un capezzolo, al che lo sentii gemere forte. Intanto la mia mano destra aveva trovato il suo sesso e cominciai a torturarlo con un tocco dapprima leggero, poi sempre più insistente. Facendo leva col mio corpo lo costrinsi ad indietreggiare, facendolo distendere con la schiena sopra una pietra liscia che emergeva dall’acqua. Io ero sopra di lui e cercavo i suoi occhi: nello sguardo di Jun colsi un velo di sorpresa ed imbarazzo che vidi scomparire subito, lasciando spazio ad un’espressione di complicità e fiducia. Subito dopo presi a baciarlo sotto l'ombelico, a ripassarne i contorni con la lingua per scendere poi ancora più giù fino ad assaporare la sua eccitazione. Il principe del calcio sembrava apprezzare il trattamento che gli stavo improvvisamente riservando, infatti mi afferrò la testa, stringendo le mani fra i capelli per premermi così con forza verso di lui. Durante quei movimenti, con una mano cercai l’apertura fra le sue natiche e cominciai a penetrarlo con le dita. Sentii i muscoli contrarsi tentando di difendersi, mentre Jun tratteneva con forza i lamenti fra i denti.

Faceva caldo, il vapore dell'acqua si mescolava con quello dei nostri corpi ansimanti e ansiosi di fondersi l'un l'altro.

D’improvviso, però, Misugi poggiò le mani sulle mie spalle facendo leva per allontanarmi.

“Wakashimazu, io...”Sussurrò con un filo di voce ed io sospesi quel trattamento, cercando i motivi nei suoi occhi. Il viso di Jun voltato su un lato evitava il mio sguardo, ma il suo corpo lo tradiva: tremava e sembrava spaventato.


“Hey...” Accarezzai allora il suo viso, con il cuore prepotentemente agitato nel petto e una sensazione di colpa che serpeggiava nello stomaco. “Se non te la senti ci fermiamo, Jun” Lo rassicurai. “Possiamo fare come abbiamo sempre fatto, sarò io a...” Ma non finii la frase, sentendo le dita di Jun poggiarsi sulle mie labbra e vedendo i suoi occhi finalmente nei miei.
“No...va bene così...” Sussurrò Jun, mentre respirava agitato. Potevo leggere una forte emozione nei suoi occhi. “Io...lo voglio davvero...”

Gli sorrisi, mentre passavo la mia mano fra i suoi capelli e compresi il suo stato d’animo.

“Continua, Ken...” La sua voce si sciolse nell’aria, come le mie mani che avevamo ripreso a vagare sul suo corpo.

Lentamente alzai le gambe di Jun e le poggiai sopra le mie spalle. Lui afferrò con forza le mie braccia appoggiate sulla pietra e gridò, non appena affondai dentro di lui. Per un attimo tutto si offuscò, la sensazione di essere compresso nel suo corpo annebbiò ogni mio pensiero, ma, poi, mi bloccai, temendo di avergli causato troppo dolore. Invece Jun mantenne il controllo e mi sollevò le braccia, spingendomi intenzionalmente all’indietro. Perdendo l’equilibrio scivolai in acqua, finendo seduto in terra e lui sopra il mio grembo. Il principe del calcio mi rivolse uno sguardo d’intesa prima di afferrarmi la testa e baciarmi con foga. Averlo completamente seduto sopra di me mi faceva ribollire dall'eccitazione...il forte petto che premeva contro il mio, i fianchi poggiati sopra le mie gambe, il mio sesso sprofondato in quel corpo morbido.

Ricambiai i suoi baci avidamente e poi ricominciai a spingere dentro il suo corpo, sentendo Jun abituarsi alla mia presenza e cominciare a godere. Avevo terribilmente caldo, percepivo le gocce di sudore solleticarmi la schiena, mescolarsi con quelle di Misugi e con l'acqua della sorgente, mentre i nostri corpi avevano preso a muoversi simultaneamente. Ero sempre più eccitato e anche il capitano della Musashi non era da meno. Quelle nuove sensazioni erano terribilmente travolgenti e noi non potevamo fare altro che assecondarle fondendoci con loro. Il movimento frenetico, l'aria soffocante, il calore dei nostri respiri, tutto danzava seguendo il nostro ritmo.

Anche i brividi sulla schiena.

L'eccitazione mi assalii violentemente come mai prima d’allora ed il cuore scoppiò quando gridai nel venire dentro il suo corpo, sentendo nello stesso tempo Misugi venire a sua volta. Lo abbracciai, lo strinsi possessivo in quegli istanti, mentre credevo di impazzire.

“Sono pazzo, Misugi” Dissi ansimando, non connettendo ancora la mia voce alla ragione.

Il viso di Jun stava appoggiato nell’incavo del mio collo, lo sentivo affannato e piacevolmente stanco.

“E io di...come te” Sussurrò con un filo di voce.

...ed io ebbi paura di quello che stava per dire...

*****

Drin drin drin drin drin drin drin drin drin

Non riconobbi subito quel suono e, anzi, credevo di starlo sognando.

“Il telefono, Ken...” Disse Jun, sciogliendosi dall’abbraccio in cui ci eravamo rifugiati dopo il bagno alla sorgente. Eravamo stanchissimi.
“Eh?” Ci misi diversi secondi a ricordarmi di avere un telefono in camera vicino alla finestra, per giunta mai usato.

Avrei tranquillamente fatto a meno di rispondere, ma chi stava dall’altra parte sembrava non voler assolutamente cedere. Con disappunto e ancora un po’ assonnato, mi alzai dal futon afferrando bruscamente la cornetta.
“Pronto?!” Risposi scocciato.

“Hey, Ken! Ce ne hai messo a rispondere, ma che facevi, dormivi?”

Riconobbi subito in quel suono squillante ma gentile la voce di Takeshi Sawada. E fu come risvegliarsi da un lungo sonno.

“No, io...cioè sì, stavo dormicchiando...” Risposi, cercando di mettere insieme le idee.
“Occavolo, ti abbiamo disturbato?” Rispettoso come sempre.
“Ma no, che dici, Takeshi!” Esclamai con un sorriso, scoprendomi felice di sentire la voce del mio amico e riprendendo la padronanza di voce e pensieri.

Velocemente coprii una parte della cornetta con la mano, spiegando con labiale a Jun chi ci fosse dall’altra parte. Misugi sorrise, facendo ‘ok’ con il pollice. “Ma sbaglio o hai detto ‘abbiamo’?” Chiesi all’improvviso.
“Bè, sì...c’è anche il capitano! In verità ha insistito lui per chiamarti, ma lo sai che vuole fare il duro!Ahia, Kojiro!”
“Sawada vuoi morire?” Il grugnito di Hyuga.

Intuì che Takeshi avesse ricevuto un pugno dal capitano e mi immaginai subito la scena, scoppiando a ridere. In quegli anni noi tre c’eravamo uniti molto, crescendo insieme e Hyuga aveva imparato ad essere meno aggressivo e scostante nei nostri confronti, scoprendo come fosse divertente scherzare con i propri compagni.

“Che ridi, Ken, sei terribile!” Scherzava il centrocampista del Toho.

Era bello sentirli, ero felice.

“Abbiamo chiamato a casa tua e tua madre ci ha detto che sei andato in vacanza...hai fatto bene, Wakashimazu!” Mi disse comprensivo.
“Ma quale fatto bene, quello scansafatiche!” Borbottava Huyga dietro di lui, ma Takeshi lo ignorava. “Come stai?” Mi chiese all’improvviso.
 
Ed io risposi, senza pensarci un secondo, con la massima sincerità. “Bene, Takeshi. Sto benissimo.” E non seppi nemmeno chiedermi il motivo di quella risposta.

“Ah, dai, sono davvero contento! Prenditi il tempo che ti serve amico mio...ma, capitano, che fai?” Sawada non finì di parlare che Kojiro probabilmente gli strappò la cornetta dalle mani. “Ma quale tempo!” Lo sentii inveire.

“Senti, portiere!” Sì, era proprio il capitano. “Vedi di non adagiarti troppo sugli allori e di tornare in squadra. Altrimenti vengo lì e ti prendo a calci nel culo! Mi sembra che hai ronfato abbastanza!”

Eh...i suoi soliti modi gentili. Mi venne da sorridere immaginando quella scenetta a Yokohama, in qualche cabina telefonica vicino alla scuola. Ormai conoscevo bene i miei amici e sapevo anche che quel comportamento di Kojiro nascondeva una sincera preoccupazione: anche lui avrebbe sofferto se avessi lasciato la squadra e il calcio ed, inoltre, non me lo avrebbe mai perdonato.

“Non preoccuparti, capitano...” gli dissi completamente calmo “...tornerò presto...”

Inoltre, avevo davvero voglia di scendere in campo con loro.

“Questa è una bella notizia, Ken...” Sentii la voce di Hyuga rilassarsi e abbassarsi di tono. “Devi riprendere la tua vita normale...tornare alla vita di tutti i giorni”

Sussultai, colpito da quella frase. So che Kojiro intendeva la vita quotidiana con loro, nel Toho, come scuola e come club di calcio; voleva che ritornassi sul campo come portiere della squadra e della nazionale giovanile, come loro compagno e amico. Per questo non poteva sapere ciò che mi causarono le sue parole in quel momento.

“Hey, Wakashimazu, ci sei? Sta per cadere la lin...”

...tu tu tu tu tu tu tu tu tu tu....

Rimasi immobile per alcuni secondi con la cornetta ancora attaccata all’orecchio. Rivolsi uno sguardo alla finestra, individuando la mia immagine riflessa sul vetro e confusa fra i rami smossi dal vento. Fuori era già buio. Continuando ad osservare il mio riflesso, riattaccai il telefono.

Improvvisamente stordito e particolarmente inquieto cominciai a chiedermi come eravamo arrivati a quel punto. Era come risvegliarsi da un lungo sogno, quando si è incapaci di realizzare se il momento che stai vivendo sia o meno reale. Cosa mi era successo in quei giorni? Avevo la sensazione che il tempo si fosse fermato e che dopo quella telefonata avesse ricominciato a scorrere.

D’un tratto mi tornò in mente la mia vita, il calcio, il Toho, Hyuga e Takeshi.

‘Io sono il portiere del Toho...’ Ripetei fra me, come se me ne rendessi conto solo in quel momento.

“Hey, tutto bene?” La voce di Jun che mi ricordava di non essere da solo dentro quella stanza. Mi voltai nella sua direzione e lo vidi seduto sul futon che cercava d’interpretare il mio sguardo confuso.


Jun Misugi, il principe del calcio. Quei giorni eravamo stati sempre insieme e lui era diventato una presenza sicura, tant'è che non mi ero mai veramente domandato come sarebbe potuto essere...il dopo. La sua essenza si era impadronita di me, pervadendomi, dominandomi, addentrandosi nelle vene, nutrendosi della mia carne. Era come se avessi perso la ragione.

Mi avvicinai a lui, senza rispondergli e mi sedetti al suo fianco. Jun mi passò una mano fra i capelli, ma capì subito che qualcosa non andava e rimase in attesa.

In verità non sapevo neppure definire ciò che eravamo diventati. Da rivali e compagni della nazionale ad amici e poi...ad amanti? Non sapevo proprio cosa pensare. Io sarei tornato alla mia vita e anche Jun.

‘Come faremo a...’ Fui assalito da una paura spaventosa a quel pensiero...  la squadra, gli amici, il campionato, gli altri. Non avrei certo potuto portare avanti una...non sapevo neanche cosa fosse quello che mi legava a Jun! Relazione? Storia? Io e lui non ne avevamo mai parlato, lui non aveva accennato nulla in proposito, non mi aveva mai chiesto niente, né io potevo farlo con lui.

E che cosa dovevo chiedergli dopotutto? Non avevo alcun diritto, neanche sapevo cosa volere da lui. D’improvviso provai un forte desiderio di tornare al più presto alla mia vita, che tutto tornasse come prima ed allo stesso tempo fu come se una lama mi squarciasse il petto.
 
Lottando contro l’angoscia che mi tormentava, schiusi leggermente le labbra, nel tentativo di parlare. “Misugi...” Dissi con un filo di voce, chiamandolo per cognome.
E lui la percepì la distanza che avevo appena creato con i gesti e con le parole. “Dimmi...” M’incitò, con voce seria.

Cercai di sorridere, di essere forzatamente tranquillo, volgarmente bugiardo.

“Mi chiedevo come faremo a far finta che non sia successo nulla, quando torneremo alla nostra vita quotidiana...”

Stavolta una crepa, nel mio di cuore.

Jun si voltò di scatto verso di me, i suoi occhi si fecero dapprima sorpresi, poi, come per nascondere le emozioni, di ghiaccio. “Cosa intendi?” Ed anche la sua voce.

Avevo il cuore in gola, stavo male, ma mi sforzai di continuare, ferendomi ancora di più, perché stavo lottando disperatamente contro i miei veri sentimenti che ancora non ero stato in grado di decifrare. “Bè, non è che potremo continuare con questa storia...” Cercai l’approvazione guardandolo, ma, davanti a me, c’era solo un muro di ghiaccio. “Sarà difficile nascondere che c'è stato qualcosa fra noi, ma dovremo...sforzarci!” Deglutii, incalzando sull’ultima parola e mordendomi nervosamente un labbro. Quella non era la verità e lo sapevo. Non volevo parlare così, eppure lo facevo.

L'aria sembrò congelarsi e dei brividi cominciarono a turbare il mio corpo.
 
Jun s’irrigidì e lo vidi stringere i pugni, si voltò poi verso di me privo di un'espressione interpretabile. Non era arrabbiato, né triste, neanche deluso. Solo... imperscrutabile.

Non sapevo cosa volesse dirmi ed io ero ansioso di sentire la sua risposta, perchè, se lui avesse messo in discussione il mio discorso, forse le mie sicurezze si sarebbero nuovamente infrante e avrei potuto...

“Bhè...mi sembra giusto!” Disse lapidario. “Basterà far finta di niente. Non ci vuole la laurea...”
 
Le sue parole mi fulminarono e rimasi senza fiato, incredulo. Non...non mi capivo, era come se non mi aspettassi tale risposta da parte sua, ma non volevo chiudere tutto questo? Perchè ora stavo improvvisamente così male? La risposta era davanti ai miei occhi.

Jun era sempre stato sorridente e gentile in quei giorni, non aveva mai nascosto il suo desiderio nei miei confronti, si era sempre lasciato andare come e più di me. Mi era stato vicino, mi aveva ascoltato, spronandomi anche a giocare a calcio. Ora, invece, non lo riconoscevo, chi era la persona che avevo davanti e che mi guardava con quello sguardo...spietato?

“Più sereno adesso?” Un sorriso maledettamente ironico “Meglio dormire ora. Sono stanco.”

Il principe del calcio si distese, senza più guardarmi in faccia, voltandosi sul lato opposto, terminando con un infinito e lacerante silenzio. Non più una parola, non più una carezza.

Come se nulla fosse mai esistito.

Ed intanto, qualcosa dentro al mio corpo mi stava sbranando l’anima.

***

I raggi del sole di quella mattina si poggiavano ostinati sul mio viso, infastidendo gli occhi. Avevo un forte mal di testa e non riuscivo a svegliarmi completamente.

“Mhn...Misugi” Mugolai, cercando con le braccia il calore del suo corpo, ma le mie mani scivolarono nel vuoto. Aprii di colpo gli occhi, guardandomi intorno e scoprendo di essere da solo nella stanza. Constatai che quella parte del futon era fredda e immaginai che Misugi si fosse alzato presto. Cominciai ad avere una strana sensazione ma l’interpretai come un senso di smarrimento, ormai troppo abituato alla sua presenza in questi giorni. Molto probabilmente era andato a fare due tiri al campo, deluso dal mio comportamento, in fondo, non aveva più detto una parola. Amaramente ricordai il discorso della sera prima e mi pentii di aver parlato in quel modo. Forse avremmo dovuto discuterne con più calma e riflettendoci un poco, solo che ‘a caldo’ non avevo potuto fare altro che avere quella reazione. Ero spaventato da ciò che il nostro rapporto poteva comportare, non potevo negarlo.

C’era comunque qualcosa che non mi tornava e decisi così, prima di tutto, di bussare nella camera di Misugi, magari era semplicemente andato lì a riposare. Noncurante dei capelli disordinati e del viso stanco, indossai i pantaloni della divisa di calcio, rapido nei movimenti, poiché c’era qualcosa che mi stava mettendo fretta. Aprii di scatto la porta e mi precipitai verso la stanza di Misugi.

Mi bloccai all’entrata, sbarrando gli occhi e la voce mi si chiuse in gola.

La porta era spalancata, così come la finestra ed insieme facevano corrente. La stanza vuota: non più un vestito, una borsa, neanche l’accappatoio appoggiato sulla sedia. Incredulo, continuavo a fissare il vuoto.

“....mazu...Signor Wakashimazu...”

Meccanicamente mi voltai nella direzione di quella voce, ancora in stato di shock.  C'era il signor Matsumoto dietro di me con alcune coperte in mano. Lo feci passare, senza dire una parola.

 “Grazie ragazzo.” Si accinse a mettere le coperte nell'armadio ed io osservavo i suoi movimenti in silenzio. Mi sembrava tutto un sogno, un bruttissimo e assurdo sogno.  Fu l’uomo a spezzare il mio mutismo con la sua domanda, risvegliandomi.

“È successo qualcosa al signorino Jun?” In un primo momento il suo sguardo era severo, come di chi avesse intuito, ma subito dopo si fece quasi comprensivo.

“Perchè...” Chiesi con grande sforzo, quasi balbettando. L’uomo fece un profondo respiro e probabilmente si stava domandando se fosse giusto dirmi la verità.

“Vede...è che stamattina aveva uno sguardo così cupo, come se fosse ferito profondamente.”

Strinsi i pugni, divorato dal senso di colpa.

“In questi giorni mi era sembrato così sereno...aveva pure rimandato la partenza...”
“Cosa...?” Cominciai a tornare in me. “Perchè, quando sarebbe dovuto andare via?”
“Il giorno dopo il suo arrivo, signor Wakashimazu...”

Non credevo alle sue parole...Jun mi aveva detto che non aveva una data, invece...per stare con me...

“Stamattina invece è voluto partire così d'improvviso. Sono preoccupato, non l’avevo mai visto così turbato...il signorino non è una persona che esterna facilmente le sue preoccupazioni...”

Non potevo più ascoltare, non ne ero più in grado, quelle parole mi stavano facendo troppo male. Così mi allontanai e tornai in camera. Chiusi la porta alle mie spalle, tremando. Respiravo lentamente, cercando di riflettere.

Poi uno scatto, un pugno violento sulla porta, la mano che mi faceva male.



“Sei un bastardo, Jun Misugi...”

Sei un bastardo, Ken Wakashimazu.



Fine V parte


* ...ho rivisto da poco questa puntata...povero Ken si era fatto male e tutti assalivano la sua porta, ma proprio quando la palla sembrava ormai entrata...chi c’era a deviarla? Jun *_* Poi durante i rigori è lì pensieroso guardando Ken e Ishizaki gli chiede che cos’ha... è amooore*_*

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Capitolo 6
*** VI Capitolo ***


Rieccomi qui, in grande ritardo rispetto alla mia tabella di marcia;) Ma non troppo, vero? Purtroppo complici le vacanze e la mia povera tesi ho un po’ tardato...ma proprio per questo avrete un regalino...un capitolino un po’ più lungo del solito...non trovavo un punto esatto dove poterlo tagliare, per non risultare uno troppo corto e l’altro più lungo...quindi ho deciso di lasciarlo così com’è nato! A voi il peso di leggerlo ;p

Come sempre grazie infinite a tutte voi che leggete e commentate, siete dei veri tesssori !>///<  Kara, Mel, Nene, Eos...Grazie di cuore !!Ai vostri bellissimi commenti ho risposto su endless *_*


Un grazie grandissimo va anche a Haley per i suoi commenti così approfonditi...(tesoro dove ti sei nascosta? Lo so che sei da qualche parte nel mio cervellino matto) e al suo supporto morale a questa storia che ci ha fatte conoscere, vero amica mia? ^__^

Il Grazie speciale come sempre è per Ichigo, mia carissima e adorabile Oneechan ^O^  Che nel betaggio mi ha fatta sbellicare dalle risate per i suoi commenti poco carini verso il povero Bals...ehm, Kennino! Dice giusto lei, inutile dare la colpa a Jun...chi è causa del suo male pianga se stessoXDDD Grande Oneechan!!

Diciamo che Ken avrà pane per i suoi denti in questo capitolo è___é


Bene Bene...finito questo auguro a voi tutte...Buona lettura!


IL CUORE E IL PALLONE
Di Releuse



Il soffitto era completamente bianco.

Il mio sguardo lo fissava da interminabili minuti, mentre, disteso sul letto, inconsapevole dei primi raggi di sole che filtravano dall’ampia finestra, facevo vagare i miei pensieri. Ormai non sapevo più da quanto tempo l’osservavo. L’ultimo ricordo che avevo della sera prima era sempre quel muro e ancora la stessa immagine si riproponeva il mattino successivo.

Non sapevo neppure se avessi dormito, ma la cosa non mi importava.

Erano giorni ormai che mi svegliavo in quello stato, con lo sguardo perso verso il vuoto, incapace di muovere un muscolo, come se fossi una bambola priva di vita. Avevo perso il conto delle mattinate inconsistenti che lasciavo alle mie spalle, senza mai uscire da quella che era diventata un rifugio, ma anche una prigione: la mia stanza. Da quando ero tornato da ciò che doveva essere una vacanza mi ci sono rinchiuso con prepotenza, chiedendo di non aver contatti con nessuno al di fuori dei miei familiari che vedevo soltanto all’ora dei pasti, quando non decidevo di saltarli, perchè sentivo lo stomaco farmi tremendamente male.

Non rispondevo al telefono e parlavo con i miei genitori lo stretto necessario, scatenando i pianti improvvisi della mia emotiva madre, sfinita dall’atteggiamento di distacco che avevo assunto in maniera tanto serrata. Mio padre, invece, si comportava come se non esistessi, ignorando il mio comportamento, spesso neanche guardandomi quando ci incontravamo nei corridoi della casa. Lui mi aveva offerto il suo aiuto ed io l’avevo bruciato in quel modo; mi dispiaceva averlo deluso, avere illuso la sua fiducia, ma lui non poteva sapere. Tutti quanti loro non potevano sapere.

“...mi sembra giusto! Basterà far finta di niente....”

Quella frase era diventata una presenza ossessiva e martellante, non faceva che dilaniarmi la testa e per quanto cercassi di scacciarla dai miei pensieri lei riemergeva ostinata, più aggressiva di prima, forte nella sua convinzione di non voler essere dimenticata.

‘Fare finta di niente...ti viene facile fingere, vero principe del calcio? È qualcosa che tu hai sempre fatto...’

Pensavo con amarezza, quella mattina, mentre ancora osservavo il soffitto, incurante dei minuti che passavano scanditi dall’orologio appeso sulla parete.

Eppure, quella volta, ero stato più bravo di lui, avevo mentito egregiamente, in maniera davvero spudorata e disperata. Per questo, in tutti quei giorni trascorsi dal mio ritorno, durante le mie vuote giornate, circondato da quelle pareti insonorizzate, mi sentivo uno stupido. Dannatamente stupido.

I primi giorni sono stato arrabbiato, assurdamente arrabbiato con lui, per come se n’era andato, per come mi aveva...lasciato. “Se quello che avevo detto non gli andava bene, perchè non si è pronunciato?” Era una frase che ripetevo in continuazione, carico di rabbia e frustrazione. Dentro di me lo incolpavo, cercando nel suo comportamento un modo per ripulirmi la coscienza, lavare via quella sensazione di colpevolezza che in qualsiasi istante bussava alla mia porta.

Ma alla fine l’avevo afferrata la verità e non potevo più sfuggirle.

Ero spaventato, turbato da quel qualcosa che avevo sentito crearsi fra di noi e che lentamente ci aveva legato, qualcosa che aveva preso forma nella sua voce, l’ultima sera.

“Sono pazzo di...come te...” Aveva detto lui, con voce affannata e la pelle ancora bruciante dal piacere appena provato. Era stato impercettibile, ma io l’avevo colto il suono che si correggeva fra i suoi denti ed avevo avuto paura. Quel timore aveva serpeggiato a lungo nelle mie vene, scatenandosi dopo la telefonata di Sawada e Hyuga, portandomi a sputare quelle parole che non rispecchiavano di certo i miei reali pensieri.

In verità, forse, inconsciamente l’avevo fatto apposta.  

Avevo bisogno che lui mi rincuorasse, come aveva fatto fino a quel momento, che mi dicesse una parola di conforto e che sdrammatizzasse alla sua solita maniera, come aveva fatto col calcio, ma quella volta sbagliai i miei conti, finendo per considerare il principe del calcio come tutti gli altri, trattandolo come una persona sempre disponibile e pacata.  Ferendolo profondamente.

Con grande ritardo mi rendevo conto di quell’errore, pentendomi amaramente delle parole pronunciate; per questo a volte vi cercavo rimedio, alzando la mano nel tentativo di toccare e rassicurare quel viso di fronte al mio, facendola però galleggiare nel vuoto ed accarezzare l’aria, perchè ciò che vedevo era solo un’illusione creata dalla mia mente. Lui non c’era più di fronte a me e io non avrei mai pensato che potessi provare una tale sensazione di solitudine devastante, privato della presenza del suo corpo, senza la quale mi lasciavo agonizzare sul letto, poiché la mia mano non era in grado di darmi lo stesso piacere del principe.

Privato del suo viso sorridente che mi faceva illudere di poter risolvere la qualunque cosa.



SBAM!

La porta si aprì di colpo, sbattendo violenta sulla parete, facendomi sobbalzare.

Fu grande la mia sorpresa nel trovarmi a faccia a faccia con Hyuga che stava immobile e mi fissava con occhi visibilmente severi ed arrabbiati, senza dire una parola. Dopo un primo momento di incertezza in cui i nostri sguardi si incontrarono, feci un lieve sorriso ironico, masticando un ‘tzè’ e guardando poi altrove. Sinceramente non avevo alcuna voglia di parlare con Kojiro, né volevo dargli alcuna spiegazione, tanto sapevo per cosa fosse venuto.

“Em, ciao Wakashimazu! Come va?” Una voce squillante ruppe quegli istanti di silenzio. Solo in quel momento mi accorsi che, di fianco al capitano, c’era anche Takeshi il quale cercava di sorridere per acquietare quell’atmosfera gelida che era calata fra me e Hyuga.

Di fronte alla presenza di Sawada mi sollevai un poco. Il silenzio che invase la stanza dopo il suo saluto era raggelante, nell’aria dominava un timore misto ad imbarazzo anche perchè non avevo risposto al saluto del mio compagno. Ero particolarmente nervoso.

“Em, scusaci...” Tentò nuovamente Takeshi, chiudendosi la porta alle spalle. “Abbiamo insistito noi con tua madre per farci entrare, quindi...” Hyuga allungò un braccio verso di lui, facendogli cenno di smetterla.

“Non c’è bisogno di giustificarsi, Takeshi...” Disse il capitano con un sorriso ironico a fior di labbra “...non siamo venuti qui per i convenevoli...”

Il suo tono era eccessivamente calmo.

“Allora, Wakashimazu?” La domanda arrivò diretta e decisa, così come il suo sguardo aspro che nuovamente cercava il mio.
“Allora cosa, Hyuga?” Risposi, ricambiando l’occhiata con ferrea strafottenza, ma senza accennare alcun movimento, rimanendo disteso sul letto con le mani dietro la testa.
“Sei proprio un cretino...” Il capitano si appoggiò con la schiena alla porta, mettendosi a braccia conserte. “Hai intenzione di continuare a poltrire sul questo letto o ti decidi a tornare in campo? Fra due giorni c’è il ritiro con la Nazionale, lo sai questo o no?” Domandò, mantenendo un ammirevole autocontrollo che poco gli si addiceva.

“Certo che lo so...” Sospirai, fingendo uno sbadiglio annoiato.
“Senti...” La voce del capitano cominciava ad alterarsi, segno che la sua pazienza avrebbe avuto vita breve “...se non ti presenti perderai la maglia di titolare, questo invece lo sai? E non solo per questa amichevole, ma finché Mikami guiderà la Nazionale...”

A quelle parole una sensazione fastidiosa mi saettò nel sangue, ma cercai abilmente di placarla. “Faccia quello che vuole...a me non interessa!”

“Come sarebbe a dire che non ti interessa, eh?” Hyuga si staccò dalla porta stringendo i pugni con rabbia; la tigre cominciava a spazientirsi. “Ma vuoi davvero lasciare la maglia a Wakabayashi?”

Non risposi, non seppi dare alcuna risposta a quella domanda del capitano. Certo, non potevo negare che l’idea di gettare la spugna mi ripugnasse, che il solo immaginare Genzo Wakabayashi indossare la maglia di titolare senza un vero confronto e solo per la mia codardia, mi faceva ribrezzo. Ma ormai non era più una questione di calcio...non era più solo quello. Tornare in campo a giocare...a che scopo? Mi chiesi in quel momento, sotto lo sguardo in attesa di risposta dei miei due compagni di squadra. Mi sentivo come se mi avessero risucchiato le energie una volta per tutte, come se non avessi più neppure la forza per sollevare un pallone da calcio.

Non avevo finito di elaborare i miei pensieri che mi sentii soffocare, sotto la presa stretta di Kojiro che mi stringeva la maglia sul collo.

“Capitano!” Gridò Takeshi, spaventato da quello scatto improvviso e carico di rabbia.

“Sei solamente un codardo...” Ringhiò Hyuga a pochi centimetri dal mio viso “Guarda che io non ho nessuna intenzione di perdere questa partita per colpa tua, anche se è un amichevole io voglio vincere! Non ce lo voglio Morisaki in porta, hai capito?” La presa si fece più stretta e cominciai ad annaspare.

“Adesso basta, Kojiro!” La voce calma e salda di Takeshi dominò l’aria all’improvviso, mentre la sua mano afferrava il polso del capitano, costringendogli a mollare la presa.

Io iniziai a tossire, riprendendo a respirare.

“Senti, Ken...” Il tono di Takeshi si fece improvvisamente preoccupato. “Hyuga ha garantito per te...” Per la prima volta alzai lo sguardo, prestando attenzione alle parole del mio compagno. “...ha assicurato che dopodomani ti saresti presentato al ritiro, dicendo che se fino adesso non ti eri presentato alle riunioni era solamente per problemi familiari...solo che se tu non ti presenterai, anche al capitano sarà impedito di giocare...”

Udii Hyuga sbuffare spazientito ed irritato da quella rivelazione di Takeshi, sicuramente non voleva che io lo venissi a sapere, ma, per come si stavano mettendo le cose, Sawada non aveva potuto fare altrimenti.

Io ero senza parole, stupito da ciò che avevo appena sentito. Eppure, avrei dovuto aspettarmelo da uno come Hyuga. Ma cosa voleva che gli dicessi? Che lo ringraziassi e cambiassi idea? Che mi sentissi in colpa per la possibilità che Kojiro venisse tagliato fuori dalla Nazionale? No, nonostante quello fosse veramente ciò che provavo non ce l’avrei fatta a tornare sul campo, perciò diedi quell’amara risposta, pronto a ricevere il sicuro attacco fisico del mio capitano.

“Io non gli ho chiesto nulla...” Sputai, mostrandomi spazientito.

Ma il pugno di Hyuga non arrivò mai. Al contrario, il capitano mi afferrò il braccio strattonandomi fuori dal letto, costringendomi ad alzarmi. “Ora tu vieni con me...” Ordinò con tono deciso e con lo sguardo fiammante, quello di chi non avrebbe dato ascolto ad alcuna remora.

Ed io non potei fare altro che seguirlo, ipnotizzato dalla determinazione che leggevo in quegli occhi, le iridi dominatrici della tigre.




Appena uscito di casa sospirai infastidito, sentendomi strappato da quel ‘rifugio’ che mi ero accuratamente costruito; uscire di casa, invece, mi faceva sentire particolarmente inquieto nonché vulnerabile. Intanto alzavo il viso al cielo: il sole mi abbagliò gli occhi e subito li coprì con la mano, mentre l’aria tiepida mi accarezzava i capelli e le guance, ravvivandole. Mi sentii come se venissi rianimato dopo uno shock improvviso, il sangue ricominciava a scorrere, i miei occhi a riconoscere l’ambiente circostante, le emozioni a vorticare nel corpo.
Riconobbi quella strada sin da subito, quello era il percorso che facevo ogni mattina per raggiungere l’istituto Toho. In silenzio, seguivo a poca distanza il capitano e Takeshi che stavano più avanti di me e che non dicevano una parola e allo stesso tempo mi chiedevo che diavolo avessero in mente.

Non mi ero sbagliato, arrivammo proprio davanti al Toho, entrando precisamente nel campo da calcio che, nonostante fosse domenica, era aperto. Esitai, fermandomi all’entrata. Ma Kojiro non mi diede neppure il tempo di manifestare il mio disappunto che mi afferrò nuovamente il braccio, trascinandomi fin dentro il campo e proseguendo verso la porta. Arrivati davanti ad essa mi scaraventò con violenza in avanti come se mi stesse gettando dentro una cella i cui confini erano segnati dai due pali e dalla linea bianca che li congiungeva; caduto in mezzo alla rete, ero prigioniero della porta da calcio...che strano scherzo del destino. Alzai lo sguardo confuso e vidi il capitano lanciarmi un’occhiata aggressiva.

“Indossa questi!” Ordinò, porgendomi i guantoni probabilmente presi dalla mia stanza, prima di rivolgersi al nostro compagno che era stato in disparte tutto il tempo. “Takeshi!” Gridò “Portali qui...”

Sawada annuì, tenendo lo sguardo basso, sapeva sicuramente quali fossero le intenzioni di Hyuga. Infatti, dopo essere sparito per pochi attimi, ritornò tenendo di peso la cesta di palloni da calcio. Kojiro gli si avvicinò scocciato, strappandogliela dalle mani e rovesciandola per terra. Tutti i palloni rotolarono per diversi secondi sul campo, alcuni finendo dentro l’area di rigore, altri arrestandosi prima di essa. Il mio sguardo era ancora perso in quel loro oscillare sull’erba, quando la voce di Hyuga si infranse nell’aria.

“Sei pronto, Wakashimazu?”

“Cos..” Non ebbi il tempo di comprendere ciò che stava succedendo, in un millesimo di secondo vidi la tigre gettarsi su uno di quei palloni e caricare un bolide nella mia direzione. D’istinto incrociai le braccia all’altezza del viso ed il pallone vi urtò con violenza, causandomi un fortissimo dolore alla pelle e alle ossa, costringendomi ad indietreggiare, strisciando i piedi.

“È così che pari i tiri, eh, codardo?” Gridò Hyuga da dentro l’area, stizzito.

Stavo ancora abbassando le braccia, quando lo vidi scattare sulla destra, puntare un altro pallone e tirare con maggiore potenza, sempre più arrabbiato. E stavolta io non riuscì a proteggermi. Quel tiro mi colpì diritto nello stomaco, gettandomi violentemente sopra la rete, mentre la palla centrifugava ancora  sopra le mie viscere, facendomi salire un conato di vomito che si scontrò con la bolla di ossigeno bloccata nel mezzo della gola. Cominciai a tossire convulsamente non appena la sfera rotolò in terra liberandomi il respiro, mentre io mi inginocchiavo tenendomi lo stomaco.

“Ma non ti vergogni?” La voce gelatinosa del capitano giungeva da qualche parte dal campo. “Non hai alcun diritto di essere un portiere...non hai la carica, non hai le palle!”

Un altro tiro, ancora, forse più debole, ma sempre più carico di rabbia e delusione. Stavolta mi colpì la spalla, rimbalzando sul lato e subito la mia mano fu pronta a stringerla con forza, come per alleviare quel dolore che ormai era andato in metastasi in tutto il corpo, raggiungendo anche il cuore. Ero davvero deluso da me stesso, da quel comportamento che non riuscivo ad abbandonare, da quella sensazione di impotenza ed avvilimento che mi attanagliava.

“Io credevo che il calcio ti piacesse!” Gridò Kojiro all’improvviso e in quel frangente la sua voce mi sembrò supplichevole. Ma, forse, era solo la mia impressione, perchè subito dopo un nuovo ruggito di collera si unì all’ennesimo tiro del capitano che mi colpì in testa scagliandomi definitivamente in terra, agonizzante.

“Basta, capitano!” Takeshi raggiunse Hyuga, parandoglisi di fronte a braccia larghe, impedendogli di infierire nuovamente e placando la sua furia. “Adesso basta Kojiro, davvero...”

Anch’io credevo che il calcio mi piacesse, Kojiro...anzi, credo che dopotutto mi piaccia ancora, ma il mio problema è che non sono ancora riuscito a ritrovare quella passione di cui parlava...

“Basta, sono stanco...” Il capitano rilassò le spalle, rivolgendo a Takeshi un sorriso rassegnato. “Impegnatevi anche per me nella partita contro la Francia!”

Con grande sforzo tentai di rimettermi in piedi, le gambe mi tremavano e sentivo ancora un dolore lancinante pulsare per tutto il corpo.

“Ma capitano!” Potevo intravedere il viso combattuto di Takeshi a poca distanza da me. “Lo sai che senza di voi sarà difficile vincere...”
“Già...in effetti manca anche Ozoora, impegnato col suo club in Brasile...” Sospirò Hyuga, voltando le spalle ed in procinto di andarsene. “A questo punto sarà inutile anche scomodare  Jun Misugi, il suo quarto d’ora sarà inutile con la squadra in questo stato...”

Un tuffo al cuore improvviso, i ricordi che si mescolavano l’un l’altro, l’agitazione che scuoteva tutto il mio corpo, ridestandolo, i nervi tesi che laceravano la carne, mentre ancora nelle mie orecchie echeggiavano le parole del capitano. Io non l’avevo più pronunciato e non avevo ancora sentito nessuno nominarlo, cosicché avevo quasi dimenticato  il suono del suo nome: Jun Misugi.  

Io...ero convinto che non avrebbe giocato, mi aveva detto che aspettava i risultati di quelle analisi, ma dalle sue parole mi era sembrato di cogliere che per quella partita non ci sarebbe stato nulla da fare, invece...

“Già...”Annuì Takeshi, ignaro, insieme al capitano, di ciò che le loro parole stavano suscitando nel sottoscritto. “Mi è sembrato un po’ stanco alla riunione dell’altro giorno, quasi assente...” Le sue riflessioni si persero nell’aria, poiché Kojiro girò le spalle senza prestargli troppa attenzione, avanzando verso l’uscita in silenzio.

Stavo iniziando a capire quello che provavo e quello che stavo perdendo?

Hyuga fece solo pochi passi, quando il suo viso venne sfiorato da una pallonata che tagliò in due l’aria, andando a sbattere violentemente contro il muro laterale. Vidi il capitano trasalire impercettibilmente, poi arrestare il suo passo e voltarsi, lentamente, nella mia direzione.

“Allora, tigre? Hai già finito il tuo ‘allenamento speciale'?” Gli gridai sarcastico, ormai completamente in piedi e in posizione di parata. “Avanti!” Lo incitai con voce calma e ferma.

“Non ne hai avuto abbastanza?” Hyuga pensava sicuramente che mi stessi prendendo gioco di lui, per questo non esitò a scattare verso uno dei palloni rimasti sul campo e a caricare uno dei suoi tiri più potenti, imprimendogli tutta la forza che la tigre del Giappone sapeva scatenare.

Confidenza col proprio corpo e sicurezza nelle proprie capacità.

Non avrei più dovuto dimenticare le parole di mio padre.

Il pallone che sfonda l’aria, come se fosse stato sparato da un cannone, il mio corpo che si lancia nella sua direzione, mentre le mani si aprono, pronte ad afferrarlo.

Infine lo stupore, negli occhi di Takeshi, così come in quelli del capitano.

“Tzè, che incapaci!” Sorrisi ironico, mentre, con un ginocchio in terra, tenevo ben saldo fra le mani il pallone. “Senza il sottoscritto il trio Toho non è in grado di funzionare a quanto vedo...”

“Ken...” Il capitano mi guardava, nei suoi occhi uno scorcio di speranza.

“Credo che allora non potrò rinunciare a questa partita...proprio non posso farlo, vero capitano?” I miei occhi cercano quelli di Hyuga.

“Ben detto, Wakashimazu!” Lo sguardo fiero di Hyuga e il suo sorriso complice alimentarono il mio spirito improvvisamente rinnovato.
“E poi...” Sussurrai fra me “Ho ancora un conto in sospeso con Jun Misugi dopo l’ultimo campionato...” Dissi infine, guardando i miei compagni.

“Giusto!” Esclamò Takeshi.
“Già, devi dimostrargli di poter parare i suoi tiri!” Il capitano strinse i pugni entusiasta, convinto che le mie parole si riferissero all’ultima partita del campionato.

Ed io annuì, fingendo che fosse davvero così.

Ma, quando ci vedremo, basterà solo fingere, principe del calcio?

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Quella mattina il sole era particolarmente caldo, non capivo se era a causa di esso, o per il colletto troppo stretto della camicia che mi sentivo soffocare. Avvertivo le mani sudate ed il cuore che ad ogni passo aumentava la frequenza dei suoi battiti, sempre più inquieto man mano che mi avvicinavo al palazzetto dello sport, dove mi aspettava l’autobus per il ritiro. Provavo una strana sensazione nel pensare di tornare in campo dopo tutto quel periodo di inattività. Dalla fine del campionato non mi ero più allenato, a parte quei brevi momenti di sfida con Misugi.

Già, Jun.

Tremavo al solo pensarlo, solamente ad immaginare che di lì a poco l’avrei rivisto e ciò mi mandava in confusione, travolto da infinite sensazioni di paura ed emozione. Mi chiedevo come sarebbe stato rivederlo, perchè se mi sentivo così ora che eravamo lontani, come mi sarei comportato nel trovarmelo di fronte? In verità mi preoccupavo di come avrebbe reagito lui, avevo timore che mi evitasse, anzi, sicuramente l’avrebbe fatto. Probabilmente si sarebbe comportato come se non esistessi.

Temevo di non poter  reggere l'indifferenza nei suoi occhi.

Con un sospiro profondo cercai di infondermi coraggio ed affrettai il passo, ormai non aveva più alcun senso tergiversare. Dopo alcuni isolati raggiunsi il palazzetto e da lontano notai l’autobus della Nazionale già parcheggiato, intorno al quale stavano i miei compagni.

Un passo...Kojiro e Sawada  sono già arrivati e chiacchierano con qualcuno.
Due passi...Hikaru Matsuyama e Shun Nitta, sono loro che parlano con i miei due compagni.
Cinque passi...Mamoru Izawa e Yuzo Morisaki che scherzano, lo si nota dalle loro risate.
Ancora pochi passi...i gemelli Tachibana, Soda, Jito e...

“Hey ragazzi! C'è Wakashimazu!” Ishizaki, era proprio lui che avevo intravisto e che ora gridava il mio nome.

D’improvviso l’attenzione di tutti i presenti si concentrò nella mia direzione e in pochi secondi mi trovai circondato da voci festanti ed amichevoli che mi distrassero dall’ossessiva ricerca alla quale mi stavo dedicando fino a pochi istanti prima.

“Wakashimazu, bentornato fra noi! Sono felice di vederti!” Una pacca gentile da parte di Matsuyama mi strappò un sorriso sincero; già dalla partita contro la Furano avevo cominciato ad accusare i primi cedimenti e Hikaru sicuramente se n’era accorto.

Poco distante intravidi Hyuga lanciarmi un sorriso soddisfatto e io ricambiai con la medesima espressione.

“Finalmente sei tornato fra noi! E ora chi ci ferma più?” Rideva Masao Tachibana.
“Come stai?” Domandava il fratello.
“Spero tutto bene in casa...” Aggiungeva Jito. Ah, sì, Kojiro aveva tirato fuori la storia che avevo avuto problemi di famiglia.

Tante domande insieme, le risate dei ragazzi, le loro voci amiche... sentirli così calorosi mi rendeva davvero felice e cominciai a pentirmi di aver pensato di poterli abbandonare.

“Eh, eh, scusate ragazzi, ho avuto degli impegni, ma ora è tutto a posto...”
Vidi il capitano avvicinarsi, finalmente, e poggiarmi una mano sulla spalla, sorridendo. “L'importante è che ora stai bene e che ti senta in forma, Wakashimazu. Bentornato.”

Direi una bugia se non ammettessi che le parole del capitano ebbero la forza di commuovermi, anche se nascosi egregiamente quel moto di emozione; Hyuga, nonostante quello che era successo, continuava ad avere fiducia in me...e non solo lui, tutti i miei compagni dimostravano lo stesso. In quegli attimi i miei pensieri e gli sguardi erano rivolti a tutti loro, al rispetto e alla comprensione che mi dimostravano. Mi avvicinai con loro al pullman, mentre continuavamo a chiacchierare ed alzai gli occhi verso la scaletta d'entrata ormai a poca distanza. Notai Taro Misaki che stava scendendo dal bus borbottando qualcosa, mentre rideva. Stavo per salutarlo, quando mi accorsi che parlava con qualcuno; seguii il movimento del suo viso che si voltava indietro, mi allineai con i suoi occhi, finché il mio sguardo si arrestò, incapace di muoversi ancora.

Jun Misugi stava scendendo insieme a lui.

La sua mano che cercava un appoggio, i capelli castani che, smossi dalla tenue brezza, gli solleticavano il viso, la maglia della nazionale che faceva onore al suo bellissimo corpo. Ed anche lui lo era: bellissimo, da togliere il fiato. Stava ridendo il principe del calcio, sfoggiando una delle sue espressioni più belle che più volte avevo visto rivolgere a me, nata per sua volontà o a causa di una mia battuta. Quanto mi era piaciuto vedere Misugi sorridere durante quei giorni.  

D’improvviso sentii il sangue congelarsi nelle vene, mentre il mio corpo s’intorpidiva, diventando di pietra; un turbine di sensazioni violente e confuse si impadronì di ogni terminazione nervosa, bloccandomi il respiro in gola. Sarà stato perchè avevo davanti Misugi, dopo tutti quei giorni in cui la lontananza aveva finito per soffocarmi; sarà stato perchè vedevo il suo sorriso rivolto a Misaki, non più mia esclusiva prerogativa.

Furono attimi che sembrarono un'eternità.

Jun inizialmente non mi stava vedendo, poi, mentre continuava a sorridere e parlare,  alzò lo sguardo e i suoi occhi, finalmente, incrociarono i miei.

Ed io mi sentii travolto dal suo sguardo folgorante che sembrò annientarmi sul posto, veloce e fulmineo come una saetta. Ma fu solo un impercettibile istante in seguito al quale Jun stava continuando a parlare tranquillamente con Misaki e io mi chiesi se non fosse stata solo la mia impressione

“Hey, Wakashimazu!” D’improvviso Misaki si accorse della mia presenza, quindi si avvicinò sorridente. Un secondo dopo Misugi lo affiancava. “Sei tornato! Come va?” Mi chiese Taro, con la sua consueta gentilezza.

Io deglutii, cercando di mantenere una parvenza d’autocontrollo. “Sì...tutto bene, grazie Misaki!” Risposi e dalla mia bocca sembravano uscire parole incandescenti che mi ustionavano la gola.

“Ti sei ripreso? Il mister ci ha detto che non stavi bene...”

No, non era la voce di Misaki quella, non potevo sbagliarmi, non potevo non riconoscere quel suono. Con movimento meccanico passai il mio sguardo da Misaki a colui che aveva parlato, Jun Misugi, il quale mi rivolgeva un sorriso...gentile, freddamente gentile.

Rimasi immobile, esterrefatto, incapace di dire una parola. La voce per un istante tremò. I miei occhi non riuscivano a staccarsi dai suoi, da quello sguardo improvvisamente  inaccessibile.

“Che c'è? Hai perso la lingua, Wakashimazu?” Ancora un sorriso da parte di Misugi, una battuta in apparenza ingenua ed amichevole, una voce priva di tensione, esageratamente tranquilla.

Decisamente nel suo stile.

Ero disorientato. “No, scusa, mi sono distratto!” Ricambiai il sorriso con grande sforzo, ma, purtroppo, io non ero altrettanto bravo a fingere. “Comunque...tutto bene, grazie” Furono le uniche parole che uscirono dalle mie labbra, perchè non sapevo cosa dire. Avevo creduto che Jun mi avrebbe tenuto alla larga, evitando di parlarmi, invece quel suo atteggiamento mi spiazzava e agitava in una maniera impressionante.

Già, evitarsi sarebbe stato molto più semplice, ma non era nello stile di Misugi, avrei dovuto aspettarmelo. Continuavo a guardarlo negli occhi, senza aggiungere una sola sillaba, cercando nel suo sguardo qualcosa, rabbia, astio, risentimento... qualsiasi cosa che mi mostrasse un Jun Misugi vivo, il vero Jun Misugi, non quella maschera dipinta di un sorriso plastico e surreale.

Non so quante frazioni di secondo trascorsero, prima che quell’atmosfera di tensione venisse spezzata dalle labbra del principe che si mossero meccaniche e fredde.“Ah, benissimo! Ora la squadra è al completo. Fra poco si parte allora!”

Non so cosa mi trattenne dal non saltargli addosso e prenderlo a pugni fino a fargli seriamente male. Cominciavo a provare una profonda rabbia mista a frustrazione. No, non era Jun, non lo era! Per Misaki, Kojiro, tutti quanti quello poteva essere Jun Misugi, ma io sapevo che non lo era, che quella che indossava era la classica maschera dietro la quale nascondeva i suoi veri sentimenti.

Solo io conoscevo il suo vero volto, solo io avevo visto al di là di quell’involucro trasparente sul suo viso, solo con me lui si era confidato...ed ora, vederlo in quello stato mi dilaniava il cuore.


“Ora che non c’è Tsubasa dovremo studiare nuove tattiche di gioco, mi darai una mano, Misaki?”
“Sì, certo, Misugi, con piacere!”
“Allora vieni, ne parlo col Mister!”

Si allontanò con Taro, tranquillamente, senza battere ciglio, come se nulla fosse, come se non mi avesse neanche parlato. Mentre lo seguivo con lo sguardo strinsi i pugni nervosamente, decisamente tormentato. Alla fine c’era riuscito a “fare finta di nulla”, ma ero io a non sopportare la sua indifferenza.

Ma non hai finto abbastanza, principe del calcio?

“Ken...”

“...Ken, mi ascolti?”

Improvvisamente mi trovai di fronte la faccia stranita di Hyuga. “Qualcosa non va?” Mi chiese perplesso il capitano.

“Ah, no! È che mi fa uno strano effetto tornare a giocare dopo il periodo trascorso.” Risposi, cercando una scusa banale.
“Dai, tranquillo. È normale, non pensarci troppo.” Mi rassicurò Kojiro. “Vedrai che ti basterà solo un po’ di allenamento!”

Mi sforzai tantissimo per sorridergli e ringraziarlo.

****




Sul pullman sembrava tutto tranquillo, nell’aria risuonavano le voci squillanti di tutta la squadra. In verità non capivo quello che dicevano, poiché me ne stavo assorto nei miei pensieri, non ascoltando neppure Takeshi che, seduto di fianco a me, tentava di dirmi qualcosa.

Dopo diversi chilometri non resistevo più. Lentamente e timidamente, sentendomi in colpa come se dovessi compiere qualche reato, mi voltai verso i sedili di dietro, cercando Jun. Alla partenza non avevo visto dove si era seduto, avendo notato solamente che mi aveva superato senza neppure rivolgermi un’occhiata.

‘Eccolo’ Pensai, non appena lo intravidi in uno dei sedili più esterni.

Ed ebbi un tuffo al cuore.

Lo sentivo parlare serenamente con qualcuno, Matsuyama che stava seduto dietro di lui e Ishizaki, del quale sentivo le risa sguaiate. Poi, Misaki, che sedeva nel sedile dietro il mio, gli chiese qualcosa che non afferrai e lui si affacciò per rispondergli.

Ed ecco che i nostri sguardi s’incrociarono e, stavolta, lo vidi irrigidirsi per un breve istante. Sicuramente non si aspettava di trovare i miei occhi a fissarlo e non era riuscito a mantenere il controllo del suo corpo.

Agghiaccianti. Così li avevo percepiti i suoi occhi in quel breve attimo, rivolti a me freddissimi e carichi di rancore.

“Misugi, qualcosa non va?” Chiese Misaki, voltandosi verso di me, seguendo con molta probabilità la direzione dei suoi occhi.

Fortunatamente levai lo sguardo più in fretta di lui, tornando composto, ma riuscii comunque a sentire la voce di Jun.

“No, no, Misaki, scusa, non è nulla...dicevi?”

Ancora una volta il suo autocontrollo aveva avuto la meglio. Ed io non ebbi più il coraggio di voltarmi per tutta la durata del viaggio, turbato da quello sguardo che mi aveva soffocato il respiro, spaventandomi. Non avevo mai visto quell’espressione sul viso di Jun.





In serata arrivammo all'albergo che ci avrebbe ospitato durante quei giorni d’allenamento. Meno di due settimane e ci sarebbe stata la partita con la Francia. Non che la cosa avesse troppa importanza per me in quel momento, dovevo ammetterlo. Il mio primo pensiero era rivolto a Jun e al mio rapporto con lui. Non potevo lasciare che le cose si deteriorassero a quel modo, anche se a dire il vero non sapevo neppure come gestire la situazione, né che avrei dovuto dirgli, se avessi trovato il coraggio di parlargli seriamente. Cosa volevo io da lui?

“Ken? Ti sei imbambolato? Vuoi dormire in pullman?” Ancora una volta Kojiro mi guardava con sguardo interrogativo.

Mi osservai intorno, notando che erano scesi  quasi tutti.  “Cavolo, arrivo!” Esclamai un po' confuso.

Hyuga sospirò. “Non capisco cosa ti prende, Ken. Per tutto il viaggio sei stato completamente assente.”

Abbassai gli occhi, un ciuffo di capelli mi cadde sul viso. “Lo so. Mi dispiace...” Riuscii a dire, con un filo di voce.

Sceso dal pullman mi unii al resto dei compagni fermi a contemplare la maestosità di quell’albergo, la cui facciata era color platino molto chiaro, le finestre rotondeggianti. Ero proprio stupito.

“Eh, eh, ci trattano bene, eh, Hyu...” Scherzai, voltandomi sul lato convinto di stare parlando con il capitano, ma di colpo ammutolii: Misugi era al mio fianco in compagnia di Matsuyama.

Credo fece finta di non sentire, perchè non mosse neanche un muscolo per degnarmi di  un minimo di attenzione, continuando  a fissare un punto indefinito di fronte a sé. Era nervoso, lo percepivo. Ma Matsuyama sembrava aver seguito bene le mie parole e si sporse dal fianco di Jun per rispondermi un poco imbronciato.

“Ci tratteranno anche bene, ma tutto questo lusso a me non piace proprio. Dobbiamo allenarci, mica fare una vacanza. Da parte mia avrei preferito una di quelle pensioni di legno, tranquille con la fonte termale in pietra...come quelle dove vai in vacanza tu, Misugi! Non trovi?”

Trasalii e sperai fino all’ultimo che non si fosse percepito lo scossone che subì il mio corpo nell’udire quelle parole.

Ma, ancora una volta, il principe del calcio non si scompose. “No, questo albergo va più che bene.” Rispose un po' bruscamente e avanzò verso l'entrata.

Hikaru sbatté le ciglia, perplesso. “Ho detto qualcosa di male?” Fece un’alzata di spalle, mi sorrise e andò avanti anche lui.

Io rimasi immobile per qualche secondo, mentre un sottile senso di rimorso cominciava a farsi strada nel mio cuore, perchè avevo costretto Jun a comportarsi in quel modo, ad assumere un atteggiamento che non era il suo. Infine, m’incamminai anch’io verso la hall, dove l’allenatore, i tecnici e il resto della squadra attendeva la distribuzione delle camere.

Fu grande il mio stupore quando scoprii che le stanze erano già state assegnate. Certo, avrei potuto immaginarlo, però per un secondo avevo sperato di essere mandato nella camera di Misugi. Solo in quel modo saremmo stati costretti a confrontarci.  

“Dai, bell’addormentato, andiamo!” Mi chiamò il capitano, sventolandomi le chiavi sotto il naso; naturalmente ero in stanza con lui e Takeshi, quindi mia avviai con loro, non resistendo, però, a dare un’occhiata furtiva a Misugi che vidi allontanarsi con Misaki fino all’ascensore dell’ala est.

Possibile che fossero soli nella stanza? Mi chiedevo, sentendo il fegato arrovellarsi sempre di più, molestato da una sensazione fastidiosa che cominciavo a riconoscere e, amaramente, ad ammettere...gelosia. Ero geloso di Jun e non sopportavo l'idea che qualcuno lo vedesse...che vedesse il suo corpo...

...che potesse toccarlo...


Quando il nostro ascensore si chiuse, impedendomi di continuare a guardare Misugi e Misaki, avvertii un brivido di sudore freddo sulla schiena e un pesante senso di soffocamento, come se improvvisamente soffrissi di claustrofobia.

Ma, a causarmi tali sensazioni, era quel macigno che pesava sul cuore.





Entrati in camera Hyuga e Takeshi poggiarono le borse. Io tenevo ancora la mia sulla spalla.

“Tutto Bene, Ken?” Chiese Takeshi, titubante.
“É inutile parlargli. Sembra che al nostro amico abbiano tagliato la lingua ultimamente.” Ironizzò Hyuga.

Io feci finta di nulla e sorrisi noncurante, appoggiando finalmente la mia borsa in terra. “Faccio la doccia per primo!” Dissi, senza aspettare il consenso dei miei compagni; avevo bisogno di una rinfrescata che lavasse via tutta quell’angoscia, anche se solo per pochi istanti.






Stare chiuso in quella stanza mi rendeva alquanto nervoso, seduto sul bordo del letto continuavo a picchiettare le dita sulle ginocchia, mentre i miei due compagni si alternavano per la doccia. Anche l’aria cominciava a farsi irrespirabile, probabilmente per l’umidità che proveniva dal bagno, ma anche per quelle pareti che mi sembravano stringersi sempre di più intorno a noi. “Beh, io esco un attimo a dare un'occhiata in giro...” Dissi all’improvviso, alzandomi di scatto dal letto e, senza neanche dare tempo a Takeshi e Hyuga di ribattere, chiusi la porta dietro di me. Avevo bisogno di respirare e tranquillizzarmi un poco e stare serrato dentro quella camera non mi avrebbe aiutato di certo. Fare una passeggiata fuori dell’albergo mi avrebbe invece fatto bene, il mister Mikami ci aveva detto che quella sera avremmo potuto rilassarci in vista degli allenamenti che sarebbero cominciati il giorno successivo. Iniziai ad incamminarmi lungo quell'immenso corridoio, scesi le scale a piedi, deciso a fare circolare il sangue dentro il mio corpo che sentivo sempre più teso ed intorpidito; neppure quella doccia tiepida era riuscita a calmarmi, era come se nel petto avessi un martello pneumatico che incessantemente cercava di demolirmi. Ogni tanto, mentre passavo per i vari piani, sentivo le voci dei miei compagni mescolarsi, ma nessuna era la sua. Purtroppo Misugi stava nell’ala opposta dell’albergo e sarebbe stato difficile incontrarlo. Probabilmente ci saremmo visti durante la cena e ancora una volta avrei dovuto sopportare quello sguardo indifferente nei miei confronti. Sospirai, uscendo dall’albergo ed avviandomi verso il parco che lo circondava.

Il sole stava tramontando e l’aria si era fatta più fresca. Respirai a pieni polmoni, mentre mi addentravo sempre di più, senza neppure guardare davanti a me, concentrando invece l’attenzione sui miei passi pesanti.

All’improvviso udii un rumore che riconobbi come passi, quindi alzai distratto lo sguardo, cercandone il responsabile.

“Cazzo!” Dissi a denti serrati e spalancando gli occhi per lo stupore.

Jun era di fronte a me e, nel vedermi, arrestò anche lui il passo. Lo vidi assumere per un istante un'espressione smarrita e in un primo momento sembrò non realizzare chi avesse di fronte. Ebbi l’impressione che anche lui fosse pervaso dalla stessa sensazione d’angoscia che mi stava tormentando da quando ci eravamo rivisti ed era per quello che aveva deciso di prendere una boccata d’aria, nel tentativo di scacciarla, come avevo fatto io.

Ma bastarono pochi secondi perchè il principe del calcio si ricomponesse. Ancora una volta sfoggiò il suo sorriso placido e artificioso, riprendendo a camminare nella mia direzione.

“..'ao...” Disse, alzando la mano in un cenno di saluto, tentando di scansarmi, ma io istintivamente gli afferrai con forza un braccio, bloccandolo. Avvertii il sussulto del suo corpo, prima che lo tirassi verso di me, costringendolo a reggere il mio sguardo. Lo guardavo negli occhi con serietà, in quei suoi profondi occhi castani in quel momento confusi e sentivo tremare ogni terminazione nervosa del mio corpo nel sentirlo così vicino.

“E lasciami!” Strattonandomi il braccio, Jun si liberò dalla mia presa, guardandomi con collera, quasi disprezzo.

O era tristezza la sua?

Non disse una parola e cercò nuovamente di andarsene, ignorandomi.

Messo nuovamente di fronte alla sua indifferenza, sentii una gran rabbia salirmi al cervello, una forte confusione annebbiarmi la mente. All’improvviso persi il controllo, afferrai Jun con entrambe le braccia e lo scaraventai con forza contro un albero.

“Che diavolo stai...mhpf!”

Non gli diedi il tempo di parlare, poiché mi gettai su di lui, baciandolo con foga. Jun cercò di divincolarsi, ma non glielo permisi. Affondai la lingua dentro la sua bocca, cercando di catturare la sua ed intanto lo tenevo stretto per i polsi, premuto contro l’albero con tutta la forza che avevo. Il mio corpo era completamente avvinghiato al suo, potevo sentire il cuore di Jun battere come un orologio impazzito che, mescolato al mio, rimbombava nella cassa toracica. Percepivo il calore del suo corpo, finalmente, rendendomi conto di quanto mi fosse mancato. Avvertii un gemito soffocato provenire dalle sue labbra, il respiro che si confondeva con il mio...forse anche lui in quell'istante riuscì ad abbandonarsi. Forse per un millesimo di secondo non pensò più a nulla, lasciandosi andare.

Ma, all’improvviso, un intenso dolore mi soffocò il respiro, costringendomi ad indietreggiare: il pugno di Jun mi aveva colpito all’altezza dello stomaco.

“Bene, se sei soddisfatto ora me ne posso andare.” Disse lui con freddezza.

Io lo guardavo, sconvolto dal suo gesto e da quei suoi occhi scostanti. “No, senti!” Le parole mi uscirono con enorme sforzo.

“Cosa vuoi da me, Wakashimazu?”  Domandò, sempre più severo e lapidario.

Respirai profondamente, cercando di rilassarmi. “Perchè mi eviti?”  

“Eviti?” Lo sguardo di Jun improvvisamente si trasformò, assumendo un’espressione meravigliata. “Non so di cosa tu stia parlando, Wakashimazu!” Esclamò con un sorriso gentile e terribilmente calmo ed io ancora una volta mi stupii di come riuscisse a modellare le espressioni del proprio volto.
“Si, eviti...” Continuai, cercando di non dare peso alle sue risposte. “E, soprattutto, voglio sapere perchè te ne sei andato dalla pensione senza dirmi nulla...”

Lo vidi irrigidirsi, indietreggiando di un passo, ma, nuovamente, mantenne la padronanza della sua voce e dei gesti. Scrollando le spalle, il principe del calcio assunse un’altra espressione incerta ed innocente. “Ripeto, non so di cosa parli, Wakashimazu...forse ti stai confondendo, no?”

Un ‘no’ abbastanza ironico il suo, ma pur sempre sostenuto da un candido sorriso che mi scatenò una nuova ondata di rabbia.

“Non usare la tua maschera con me, Jun Misugi, non regge!” Sputai irritato e, a quelle parole, vidi i suoi occhi assottigliarsi e le sue mani stringersi in un pugno.

“Ma, veramente, mi sembra che fossero questi i patti, no?” La sua voce, improvvisamente roca ed alterata. “Cosa vuoi che ti dica, Wakashimazu? Hai preso tu questa decisione!” Il tono sempre più alto, lo sguardo furente. “Mi pare che avessi” e ‘avessi’ lo sottolineò non poco “...detto che dovessimo fare come se nulla fosse accaduto, tornare ai rapporti di prima. E mi pare che noi non avessimo alcun tipo di rapporto prima, neanche d'amicizia. O mi sbaglio?” Mi fissò negli occhi con sfida, sapeva che era la verità, che ero stato io stesso a dire quelle parole, quelle maledettissime parole.

“Si, è vero” Ammisi con amarezza. “Ma tu non hai battuto ciglio!” Esclamai amareggiato “...potevi dirmi qualcosa, io...”

Non riuscivo più a parlare, non sapevo cosa dire né come spiegarmi.

“Ma cosa volevi che ti dicessi, eh? Se avevi già preso una decisione!” Sbuffò Misugi, visibilmente infastidito. “Non mi vedrai mai pregare nessuno, Wakashimazu! Soprattutto una persona così indecisa che non è in grado di prendere una decisione definitiva e portarla a termine!”

Ero sconvolto dal suo tono e dalle sue parole severe.

“Cosa vuoi da me, me lo dici?”  Disse ancora, con un sorriso accennato che mi parve ironico, perchè sapeva che non avrei risposto.

Io abbassai gli occhi, sconfitto.

“Devi essere tu a sapere ciò che vuoi, non puoi sempre aspettare che gli altri ti dicano cosa sia giusto o no fare...io non faccio da bambinaia a nessuno, mettitelo in testa!” Esclamò, serio e velenoso.“E vedi di darti una controllata, perchè se il tuo istinto ti porta a gesti come quello di prima, sappi che io non ci sto. Non mi va più di giocare con te, Wakashimazu.”
 
Le sue parole affondarono nella mia carne come una lama affilata che infieriva sempre di più. Poi il silenzio calò pesantemente su di noi; forse Jun si aspettava che io ribattessi, ma mi sentivo completamente annientato, incapace di reagire. Allora lo sentii riprendere a camminare, avanzando, finché mi superò, senza che io facessi nulla per fermarlo.

Ma fu lui ad arrestare il passo, dietro di me.

“Ah...” Cominciò con tono indecifrabile. “Sarebbe stato meglio che il pugno nello stomaco me l’avessi dato tu, quel giorno...”

Terminò, prima di riprendere a camminare per allontanarsi, scomparendo definitivamente.

“Però...io non mi sono trovato con un pugno nello stomaco...devo sentirmi onorato?” Le ricordai, all’improvviso, le sue parole, quel pomeriggio nel bosco.

“Con te... è diverso...” Gli avevo risposto, accarezzandogli le labbra con le dita, in un gesto spontaneo e ormai terribilmente lontano.





A quel ricordo il mio corpo cominciò a tremare ed io mi maledì drasticamente, per non averlo fermato, perchè mi aveva appena dato una possibilità e l'avevo bruciata in quel modo.  
Improvvisamente mi accasciai in terra, in ginocchio, stringendo le braccia allo stomaco, in preda ad un dolore lancinante.  Provai un moto di nausea e sentivo le tempie che mi pulsavano. Era come se solamente in quel momento avessi avvertito il dolore del pugno che Jun mi aveva sferrato. Un dolore penetrante che nemmeno le pallonate di Hyuga erano riuscite a causarmi.


Una sensazione angosciante, causata sia dalla mano di Jun  che dal mio stesso corpo.


Fine IV capitolo






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Capitolo 7
*** VII Capitolo ***



Eccomi qui, a 15 giorni dalla laurea posto questo penultimo capitolino della mia ff, almeno ho l’animo in pace!^__^  perchè nei prossimi giorni sarò impegnatissima col discorso e lo studio della tesi;)
Sono davvero felice di essere arrivata qui con questa storia, di essere riuscita a modificarla tanto, dando finalmente ai personaggi lo spazio che si meritavano! Ringrazio soprattutto voi tutte ragazze che mi seguite, leggete e aspettate questi capitoli, vi voglio bene!! >////<
Kara, Mel, Eos, Haley, Ichigo, Nene e chiunque segue la ff!

Anche questo capitolo ha avuto un betaggio incrociato, mi sento onorata>////< Grazie Millissime a Ichigo e Berlinene per il loro lavoro nonostante tutti gli impegni! Siete uniche!

Ora vi lascio alle penultime battute... come andrà a finire fra il Kennino e Junnino? Fra il Balsamo (e non quell’altro soprannome, Kara >________<) e il Principe? Mah....


A voi... Buona lettura!





Il Cuore e il Pallone
VII Capitolo
Di releuse


Dopo l’ultima volta io e il principe non c’eravamo più scambianti nemmeno una parola, neppure una frase formale o un semplice cenno di saluto.

Entrambi riuscivamo abilmente ad evitarci, in ogni situazione, ad esempio entrando negli spogliatoi quando l’altro era già uscito, oppure evitando di trovarsi nello stesso gruppo. Sembrava fossimo riusciti a creare una sorta di equilibrio, talmente artefatto da risultare paradossalmente vero, eppure, sia io sia Jun sapevamo bene che si trattava solo di una falsa quiete, che stavamo camminando su una fragile lastra di cristallo pronta ad infrangersi e a ferirci da un momento all’altro. Quando eravamo a poca distanza, l’uno di spalle all’altro, avevo l’impressione che l’aria temesse i nostri movimenti e si acquietasse, fermandosi insieme al tempo.

Ormai il nostro rapporto aveva subito un corto circuito e niente sembrava più in grado di poterlo risanare: sapevamo che il minimo passo falso avrebbe rischiato di bruciarci entrambi e nessuno voleva correre quel pericolo. Preferivamo perciò che le giornate scorressero in quel modo, lasciando evaporare lentamente quel qualcosa che si era creato fra noi, senza cercare di afferrarlo, come se la cosa non ci toccasse.

Sembrava che, all’improvviso, il vulcano si fosse spento, ma, sotto i nostri piedi, in profondità, la terra continuava a tremare.


L’atteggiamento assunto da Jun non mi convinceva. Il principe era tornato ad indossare la sua maschera di vetro, quella attraverso la quale osservava la realtà circostante, evitando, però, di esserne coinvolto. Eppure... il suo sguardo non era più lo stesso, sul suo volto non c’erano più la medesima lucidità e la pacata freddezza di un tempo. Se prima Misugi usava quella maschera per studiare minuziosamente la realtà ed intervenire in essa con la migliore tattica possibile, ora avevo l’impressione che quella stessa maschera fosse diventata uno strumento per proteggersi dalla realtà stessa e sfuggirle. Per gli altri poteva tranquillamente apparire il Jun Misugi di sempre, il gentile e determinato numero ventiquattro della Nazionale, ma loro non lo conoscevano davvero, loro non sapevano quanto gli occhi del principe fossero in grado di dominare e di atterrire, di inchiodarti a terra privandoti della capacità di reagire, eppure capaci, allo stesso tempo, di placare qualsiasi inquietudine. Quello che c’era sul suo volto, ora, era l’espressione del vuoto più assoluto.

No, non era più Jun Misugi la persona che afferravo con i miei sguardi clandestini.

Già, perchè lo osservavo, dopotutto, il principe del calcio. Non potevo farne a meno ed usavo qualsiasi metodo larvato per evitare che lui se ne accorgesse. Anche se, ogni volta che coglievo la sua immagine, venivo travolto da una sensazione dolorosa e frustante, da un profondo senso di colpa. Quella era la mia punizione per averlo spinto fino a quel punto.

Quante volte sentivo riecheggiare nelle mie orecchie quella domanda, che il principe aveva formulata in ben due occasioni:

“Cosa vuoi da me, Wakashimazu?”  

Troppe volte, invece, mi ricordavo di non aver saputo rispondere e di aver taciuto, fino alla fine. Ed era per questo che avevo deciso di stare al suo gioco e di evitarlo: per non infierire oltre. Ma la spugna, no, non l’avevo ancora gettata. Il mio atteggiamento di distacco era ora motivato dal desiderio di capire che cosa volessi da lui, che cosa mi legasse alla sua persona.

Perchè avevo sentito il bisogno di baciarlo, quella sera alla pensione, davanti alla sua porta?

Da quando lui non mi stava più vicino era come se avessi perso la mia stabilità interiore, come se avessero strappato al mio corpo il suo centro di gravità, lasciandomi vittima di uno sproporzionato senso di vuoto.

E perchè, quando mi allenavo con lui sentivo un irrefrenabile bisogno di giocare?

C’era solo un momento in cui il mio equilibrio ritornava ed era quando, sul campo, sentivo lo sguardo di Jun posato su di me. Sapevo che dalla panchina il principe mi guardava, seguendo ogni mio movimento, dalle gambe che si davano lo slancio, alle mani che afferravano o respingevano il pallone. Gli allenamenti erano l’unico momento in cui lui poteva puntarmi gli occhi addosso senza suscitare alcun sospetto, senza dovermi dare alcuna spiegazione o soddisfazione, perchè comunque lui rimaneva sempre l’allenatore in seconda e aveva il dovere di osservare i giocatori. Ma io sapevo che, nonostante tutto, non poteva farne a meno.

Ed io stesso non vedevo l’ora di stare sul campo per essere valutato da lui.

Perchè il sentire il suo sguardo puntato addosso mi caricava, avevo come l’impressione di possedere una nuova forza, ero in grado di concentrarmi maggiormente. Le riconoscevo: quelle erano le stesse sensazioni che avevo provato durante gli allenamenti con lui, quando le mani prudevano e il corpo fremeva  per il desiderio di giocare. Quando volevo dimostrargli di essere il migliore.

Ed ogni giorno, durante gli allenamenti con la Nazionale, tali sensazioni si riproponevano, come quella volta. Tutta la squadra era in fermento, i miei compagni sembravano talmente carichi che, in quel momento, avrei giurato potessimo vincere qualsiasi partita. L'aria era tiepida, ma a causa dell'intenso sforzo fisico a cui eravamo esposti sembrava quasi torrida, come in piena estate. Sentivo il corpo accaldato, il respiro pesante, la gola completamente secca ed intanto udivo sul campo le voci dei ragazzi mescolarsi chiassose.

Poi più nulla, c’era solo Hyuga nel mio campo visivo, pronto a tirare in direzione della porta e, dalla sua foga, non sembrava volermi risparmiare. Nel giro di un istante il mio sguardo attraversò fulmineo le panchine alla ricerca di Misugi e subito lo individuò. Vidi che mi stava fissando. Non so se il principe riuscì a notare il sorriso che increspò le mie labbra, o a leggere le parole pronunciate senza voce.

“E ora stai a vedere, Jun”

Mi concentrai nuovamente su Kojiro che stava per tirare, focalizzandone ogni minimo movimento, il piede, il calcio, il pallone che, potentissimo, si avventava nella mia direzione. Infine balzai verso destra, riuscendo ad afferrarlo, bloccandolo, sentendo i palmi delle mani bruciare per la potenza che il capitano gli aveva impresso. Cavolo, c’era andato davvero pesante.

“Hai visto, Jun?”

“Hei capitano!” Gridai, rialzandomi. “Sei sottotono oggi, eh?” Scherzai, rivolgendogli un sorrisetto beffardo.
“Tsk, non darti troppe arie, Wakashimazu!” Il capitano rispose alla mia provocazione con un sorriso ironico, prima di voltarmi le spalle ed allontanarsi.

Intanto sul campo era calato il silenzio, vedevo i visi dei miei compagni stupiti e sorpresi. Poi, all’improvviso, un’esplosione si voci si scatenò da tutto il campo.

“Grande, Wakashimazu!”

Vedere i compagni così entusiasti mi riempiva di gioia e soddisfazione. E poi... cos'era quell'intenso battito che percepivo nel petto? Lo sentivo vibrare per tutto il corpo, sembrava scorrere nelle vene insieme al sangue... eppure non era il semplice affanno dovuto alla fatica e allo sforzo, no! Era divertimento, sì il calcio era nuovamente un gioco divertente per me. Ed era anche emozione, che avrei voluto condividere con lui.

“Il calcio è passione, Ken...”  

Eccole, all'improvviso, le parole di Jun riaffiorare nella mia testa.

E il cuore cominciò a battere ancora di più. Lentamente rivolsi lo sguardo verso Misugi, notando che il suo era sempre fisso nella mia direzione, ma i suoi occhi, ancora una volta, non lasciavano trapelare alcuna emozione. Vidi il mister Mikami rivolgergli la parola, probabilmente gli stava facendo qualche osservazione sull’ultima azione e notai lui annuire, sfoggiando un’espressione allo stesso tempo fredda e serena, frutto di quell’equilibrio paradossale che entrambi ostentavamo di aver raggiunto.

Eppure dentro di me qualcosa stava iniziando a cambiare...

Poi arrivò il giorno in cui anche il principe scese in campo.

“Preparati, Misugi!” Aveva detto Mikami, un attimo prima di iniziare gli allenamenti. “Oggi ti allenerai anche tu!”
“Va bene, mister!” Aveva esclamato Misugi, avanzando di un passo e nel suo sguardo lessi un intenso desidero di giocare. Già, doveva essere stanco di rimanere in panchina ad osservare i suoi compagni, senza poter giocare con loro.

“Ken... hai presente la frustrazione che provi nello stare in panchina, quella sensazione di impotenza che ti dilania dentro, perché non puoi essere in campo con i tuoi compagni?”

Sussultai impercettibilmente nel ricordare quelle sue parole.

“Ehi, tutto bene?” No, qualcuno aveva notato il tremore del mio corpo e quella voce bassa apparteneva a Hyuga.
“Sì, capitano, tranquillo...” Gli risposi, sforzandomi di sorridere.

Poi Mikami ci diede le formazioni per quella partita di allenamento e, ancora una volta, io e Misugi ci trovammo l’uno di fronte all’altro: rivali. Jun entrò fin da subito in campo con la raccomandazione di uscire non appena avesse avvertito un po’ di stanchezza. Ma, se conosceva bene il principe, il mister avrebbe dovuto sapere che abbandonava il campo solo quando era allo stremo delle forze.

La partita si accese fin dalle prime battute, dalla mia parte avevo compagni dotati di grande talento tattico come Matsuyama, Misaki e Nitta, sul fronte avversario imperversavano invece giocatori del calibro di Hyuga, Sawada, Jito e lo stesso Jun. Non potevo negare che ogni azione del principe era in grado di catturare facilmente la mia attenzione, non potevo impedirmi di ammirare l’eleganza dei suoi movimenti, quando intercettava la palla o dribblava gli  avversari e la precisione dei suoi passaggi.

“Forza, ragazzi!” Gridò Misugi, dopo essere riuscito a fermare Matsuyama pericolosamente vicino alla loro porta ed aver effettuato un passaggio in direzione di Izawa. “Avanzate!” Incitò ancora.

E solo in quel momento me ne resi conto: Jun non si era ancora avvicinato alla mia porta, neppure una volta. Stava giocando egregiamente, difendendo con una precisione impeccabile, ma non aveva mai superato la metà campo, trincerandosi dietro un ruolo esclusivamente difensivo. Ogni tanto lo vedevo avanzare e sembrava che finalmente avesse deciso di mettersi in gioco, ma, all’improvviso, il suo passo si arrestava e vedevo l’indecisione attraversare il suo sguardo. L’indecisione, per la prima volta negli occhi di Jun Misugi, mentre fissava quella linea di metà campo come se lo separasse da una voragine troppo profonda o da un terreno paludoso che avrebbe potuto inghiottirlo.

No, non sei più tu, Jun.

Poi un passaggio perfetto di Hyuga, messo alle strette dai nostri difensori.

“Vai, Misugi!” Il grido della Tigre che voleva vincere.

Vidi Jun stoppare il pallone di petto e poi lanciare ancora una volta lo sguardo a quella linea maledetta, ma solo per una frazione di secondo. Con uno scatto felino, il principe superò la metà campo, cominciando a correre, superando abilmente gli avversari, vincendo finalmente la battaglia dentro di sé. Ora sì che riconoscevo il principe e la sua determinazione.

Non potevo dimenticare quanto Jun amasse il calcio: non si sarebbe più fermato di fronte a nulla, tanto meno me.

Forza, avanza, principe del calcio.

Stava per arrivare, era sempre più vicino ed io sentivo il sangue ribollirmi nelle mie vene, il gusto della sfida farsi strada nel mio corpo. Potevo finalmente vedere gli occhi di Jun puntati su di me e percepire la sua rabbia, mentre avanzava; sapevo che ce l’avrebbe messa tutta pur di sconfiggermi. Entrambi ci sentivamo allo stesso tempo preda e predatore e, quella, era la nostra personale battaglia.

Lo vidi avvicinarsi, ancora, servire all’improvviso un passaggio a Hyuga, ormai smarcatosi, che sembrava voler tirare in porta. Ma ecco Misaki andargli incontro, mandando in fumo i suoi propositi. Kojiro, tuttavia, non si fece cogliere impreparato e, con grande velocità, riuscì ad effettuare nuovamente un altro passaggio, ancora una volta in direzione di Misugi, ormai vicinissimo alla porta.

La palla era ancora in aria quando Jun la raggiunse, calciandola al volo, dandole quel particolare effetto che solo lui e Tsubasa erano in grado di imprimerle. Sorpreso da quel tiro in aria, mi lanciai in ritardo, vidi il pallone superare la mia mano prima che potesse raggiungerlo, e dirigersi a tutta velocità verso la porta.

Io ero ancora a terra, quando alzai lo sguardo per capire che cosa fosse successo: la palla non era entrata in rete, aveva colpito la traversa, finendo in fallo laterale.

Tutti i compagni ed io stesso rimanemmo senza parole per quel tiro sbagliato, non era da Misugi.

Jun stava immobile, con le labbra schiuse e lo sguardo fisso confusamente verso la porta. Poi, lo vidi abbassare la testa, mentre le sue mani si stringevano in un pugno nervoso.

Come se fosse stato sconfitto dai suoi stessi sentimenti.

 Non disse una parola e, dandoci le spalle, cominciò ad avanzare verso l’uscita del campo.

Cos’era quell’angoscia che sentivo dentro?

 In quello stesso momento notai che Misaki, a poca distanza, mi guardava incerto, indeciso. Sembrava si aspettasse... qualcosa. Fu poi lo stesso Taro a correre verso Misugi, alzando un poco il braccio, cercando di fare quello che avrei terribilmente desiderato poter fare io.  

Il principe, a quel tocco, si fermò sul posto, ma la mano che si poggiò sulla sua spalla, bloccandolo, non fu quella di Taro, bensì la mia.

Avevo agito quasi senza accorgermene, d’impulso, colto da un forte desiderio di fermarlo, di non lasciarlo andare via in quel modo e le gambe si erano mosse da sole. “Misugi...” Riuscii solo a pronunciare il suo nome, senza sapere cos’altro dire. Credevo mi avrebbe strattonato il braccio, scansandomi bruscamente, come l’ultima volta, invece Jun si voltò, lento, rivolgendomi uno sguardo totalmente assente ed appannato, come se non riconoscesse chi aveva di fronte.

“Misugi, stai bene?” C’era Misaki al mio fianco che guardava con grande preoccupazione il compagno di stanza.

“Sì, Misaki, stai tranquillo...” Jun si voltò nella sua direzione e rispose con un sorriso, portandosi una mano sul petto ed afferrando un lembo della maglietta, stringendola con forza. “è solamente... il cuore...”

Ed il suo era un sorriso sofferto.

Poi Jun ci diede nuovamente le spalle avanzando da solo, infine raggiunse il mister e dopo aver scambiato con lui qualche parola si allontanò, ancora, in direzione degli spogliatoi. Non distolsi lo sguardo fino a che Misugi non sparì dal mio campo visivo e fissai il punto in cui era scomparso ancora per qualche secondo.

“Beh... mi sembra giusto... basterà far finta di niente...”

D’improvviso le parole di Jun mi travolsero, scuotendomi con violenza. E fu come se una voragine si fosse aperta sotto i miei piedi: il vulcano si era infine svegliato. In quel momento l’equilibrio che avevamo faticosamente creato si infranse, costringendoci a riconoscere la sua inconsistenza, il suo essere un semplice e fragile castello di sabbia.

Misaki, intanto, mi lanciò un’occhiata indecifrabile, prima di tornare sul campo e riprendere il gioco.

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La sera stessa, durante la cena, l’episodio accaduto nel pomeriggio sembrava ormai qualcosa di lontano. Misugi era seduto insieme ai ragazzi della Nankatsu, parlava con loro in tutta tranquillità, scherzando e sorridendo. Quando era entrato nella sala da pranzo dell’albergo, la maggior parte dei ragazzi gli era andata incontro per chiedergli come si sentisse e anche Hyuga si era avvicinato.

“Come stava Misugi?” Domandai al capitano, al suo ritorno, cercando di nascondere tutta la mia preoccupazione.
“Mah, meglio...” Rispose Hyuga, mentre prendeva posto al mio fianco. “Sembra non si sentisse bene questo pomeriggio, ha ammesso che forse doveva evitare di entrare in campo... deve starci attento o rischia di sentirsi male come quella volta...”Aggiunse Hyuga, scrollando le spalle, rassegnato a quell’atteggiamento del compagno. Anche lui, infatti, aveva avuto modo di conoscere la determinazione di Misugi sul campo, sapeva bene che il principe era il tipo da giocare fino allo stremo delle forze. Probabilmente aveva ancora impressa nella sua mente la partita in cui Misugi, dopo uno scontro diretto con lui, era crollato sul campo, colto da un malore.

Quando il principe entrava in campo solo il suo cuore era in grado di fermarlo.

“Già... non impara mai...” Risposi, tanto per dire qualcosa, anche se sapevo bene che quella volta non era lo stesso.

Non era certo quel cuore a fare male a Jun...

Ero contento che Jun fosse sceso per cena, nel pomeriggio, infatti, avevo temuto il contrario. A guardarlo così, da lontano, Misugi sembrava davvero tranquillo e vederlo ridere in quel modo alle buffonate di Ishizaki mi rasserenava.

“Io non lo trovo divertente. Quello deve sempre fare l'idiota.” Sbuffò Kojiro, addentando poi un pezzo di pane. Probabilmente aveva afferrato qualche battuta di Ryo.
“Ma dai capitano, non dire così.” Lo rimproverò benevolmente il povero Takeshi. “Ogni tanto fa bene ridere!”

Mi venne da sorridere per quel loro scambio di battute anche se, in quel momento, avrei preferito essere nel gruppo della Nankatsu, possibilmente vicino a Jun. Ormai non smettevo più di guardarlo, troppo spesso lanciavo occhiate nella sua direzione per cercarlo, osservare l’espressione del suo viso, ascoltare le sue parole. Era come se il disagio che avevo provato fino a qualche giorno prima nei suoi confronti stesse lentamente scomparendo.

... ed insieme ad esso la vergogna di essere attratto da lui...

Volevo guardarlo, volevo che mi guardasse, desideravo talmente tanto parlargli da sentirmi il cuore scoppiare ogniqualvolta mi era vicino, come in quel momento, che stava qualche posto più in là. Ma era difficile, davvero. Perchè quando Misugi incrociava il mio sguardo assumeva d’un tratto un’espressione infastidita, non voleva che lo guardassi, lo sentivo. Subito, poi, tornava ad essere quello di sempre, levava lo sguardo, finendo per ignorarmi. In quei momenti continuavo a chiedermi se sarei mai riuscito a chiarirmi con lui...

“Ehi, Ken, perchè non gli parli?”
“Cos...” La domanda a bruciapelo di Takeshi mi colse impreparato.
“Continui a fissare Misugi, se sei preoccupato per lui avvicinati e chiedigli come sta, no?” M’incoraggiò Sawada, sorridendo, pensando probabilmente che la mia fosse una reazione da buon compagno di squadra.
“Non... non ho grande confidenza con Misugi... io e lui non siamo neppure amici.” Risposi, nascondendo l’amarezza che mi pervadeva nel ripetere quelle parole che pochi giorni prima era stato Jun a rivolgermi.
“E che c’entra! Siete pur sempre compagni di squadra, no?” Takeshi non capiva, no, non poteva capire.
“Già, compagni di squadra...” Ripetei, sovrappensiero, quando d’improvviso notai lo sguardo di Misaki nella mia direzione.

Ci fissammo per alcuni istanti ed ebbi l’impressione che cercasse di attirare la mia attenzione.

Da quanto tempo mi stava guardando?

“Ehi, Taro, tutto bene?” D'un tratto la voce di Morisaki lo fece voltare nuovamente da loro.
“Sì, certo, scusatemi, mi sono distratto, dicevate?” Misaki risolse la situazione con uno dei suoi sorriso gentili, tornando a chiacchierare con i compagni.

Nel corso della serata più volte i nostri sguardi continuarono ad incrociarsi ed io ebbi sempre la medesima sensazione: possibile che Misaki volesse dirmi qualcosa? Lui era il compagno di stanza di Misugi e se Jun gli avesse detto... no, non era possibile. Non l’avrebbe mai fatto, tentai di convincermi, non avrebbe mai parlato di noi.

D’un tratto fui colto da un improvviso giramento di testa, una sorta di confusione che mi stordì per qualche istante, causandomi fastidiosi sibili alle orecchie. Ero stanco, me ne rendevo conto, sfinito da un insieme di cose: gli allenamenti, nei quali concentravo tutte le mie energie, molto più del solito, tenendo altissima la concentrazione; Jun... e tutto quello che comportava. Era normale che a fine serata avessi le batterie scariche.

 “Vado in bagno!” Dissi ai miei due compagni, mentre mi alzavo, convinto che una bella rinfrescata al viso mi potesse aiutare.

Mentre mi allontanavo, sentii nuovamente lo sguardo di Misaki seguirmi.

Stavo ancora pensando allo strano comportamento di Misaki, quando aprii distrattamente la porta, scoprendo che, intento a lavarsi le mani, stava proprio Jun. Il principe, nel vedermi, mi lanciò un’occhiata infastidita, probabilmente credeva lo avessi seguito. Io rimasi immobile sulla porta per qualche istante, incredulo, così distratto dai pensieri riguardanti Taro da non accorgermi che il principe si fosse alzato dalla tavola.  
Cercai di riprendermi dalla sorpresa iniziale, quindi chiusi la porta alle mie spalle e mi avvicinai ai lavandini, tentando di rimanere calmo. Vidi il principe fissare intensamente lo specchio che aveva di fronte, ignorandomi con ostinazione. A pochi passi da lui, aprii il rubinetto lasciando che l’acqua scorresse, ancora e ancora, così come i pensieri che in quel momento fluivano nella mia testa. Cosa fare? Ignorarlo, sciacquarmi il viso ed allontanarmi, oppure cercare di parlargli? Jun continuava a stare immobile, fisso sullo specchio e se anche io lo guardavo attraverso di esso, lui non accennava a muoversi e faceva finta di non essersi accorto di niente.

Non ne potevo più, d’un tratto chiusi con forza il rubinetto, l’acqua smise di scorrere ed io mi voltai da lui. “Senti, Misu...”Non avevo ancora finito di parlare, che una voce mandò in fumo i miei propositi.“Ehi, portiere! Stai facendo faville, eh, in questi giorni?”

Shun Nitta era di fianco a Jun e io non l'avevo notato.

“Eh, nulla di eccezionale, mi sembra di fare il solito!” Risposi, alzando le spalle e cercando di sorridere.
“Ma guardalo!” Esclamò Nitta, guardandomi poco convinto. “Fa pure il modesto! Io, invece, penso che tu sia in gran forma questo periodo, non trovi anche tu, Misugi?”

Sussultai a quella domanda: Misugi interpellato su di me? Andiamo bene, pensai.

Inaspettatamente Jun si mosse, sciogliendosi dalla sua posizione rigida, come una statua che, all’improvviso, avesse preso vita. “Si, è vero. Ho notato dei progressi... eh, Wakashimazu?” Sorrise gentile, come quando era con Misaki il primo giorno del ritiro ed io, nel vedere ancora una volta quel sorriso dannatamente falso, sentii una lama trapassarmi il petto.

 “Beh, mi sto impegnando...”Risposi, lottando disperatamente contro sensazioni dolorose, contro il desiderio di afferrargli le spalle e gridargli di smetterla con quell’atteggiamento “non ho fatto grandi cose.”  

“Secondo me stai facendo qualche allenamento segreto al dojo della tua famiglia!” Insistette Nitta, lanciandomi uno sguardo sospettoso, nel tentativo di farmi sputare il rospo.
“Mah, può darsi!” Lo stuzzicai senza volerlo, anche se avrei preferito cambiare discorso.
“Però devi ancora provare uno dei miei tiri, Wakashimazu. Non sono di certo facili da parare! E se ce la farai mi sa che dovrò iscrivermi anche io al karatè, eh, eh!” Aggiunse spavaldo Nitta, quasi sbeffeggiandomi, mettendo in mostra i suoi canini affilati, dandomi un amichevole pugno sul fianco, mentre si avviava alla porta.
“Sono qui ad aspettarti, Nitta! Quando vuoi preparati alla sconfitta, e ricordati questa scommessa, allora!” Gli risposi, guardandolo con finta aria di sufficienza.

“Va bene! Mi piacciono le sfide!” Ironizzò infine l’attaccante.

Come Nitta chiuse la porta, percepii l’aria caricarsi nuovamente di tensione. Non ebbi il coraggio di voltarmi subito ma, appena lo feci, con la volontà di parlare davvero a Jun, la porta si aprì di scatto sbattendo sul muro.

“Aaah! Che mangiata ragazzi!” Ishizaki era entrato in bagno non proprio delicatamente, insieme a lui c’era Hiroshi Jito. Sospirai rassegnato, di certo parlare nei bagni non era la soluzione ideale.
Cogliendo l’occasione, Jun si asciugò velocemente le mani sotto il diffusore di aria calda ed uscì, rapido, senza degnare nessuno.

Per un attimo, fra me e i ragazzi calò il silenzio.

“Ma aveva qualcosa?” Ishizaki mi guardò interrogativo.
“No, non saprei.” Risposi, come se non mi fossi accorto di nulla, cercando di essere il più convincente possibile.
“Ah, va bene!” Esclamò lui. Fine della sua preoccupazione.

Intanto uscii anche io, incamminandomi a passo lento per il corridoio che conduceva alla sala da pranzo. Ero davvero stanco... in tutti i sensi. Non sapevo più che fare, non riuscivo a trovare una via d’uscita da quella situazione ogni giorno più pesante. Jun aveva alzato un muro nei miei confronti e non sembrava intenzionato ad abbatterlo; io, invece, mi sentivo disarmato e sfinito da quel suo atteggiamento, non sapevo più in che modo affrontarlo.

Che la soluzione fosse davvero dimenticare tutto? Sparire definitivamente dalla vita di Jun, cancellarlo a mia volta... no, non era quello che volevo. Io...

Mentre rientravo nella sala da pranzo, vidi Misaki avanzare nella mia direzione, sorridermi e farmi un cenno di saluto. Poi mi superò, con la massima naturalezza, dando l’impressione di essere sovrappensiero... eppure udii chiaramente quelle parole sussurrate:

“Stasera, alle 11, nel giardino dell’albergo...”
***

Quella notte il cielo era davvero limpido. Le nubi che avevo intravisto durante la giornata erano scomparse, lasciando il trono alla luna calante che lottava per non morire definitivamente in quel manto stellato. Mentre l’osservavo, scendendo le scale dell’entrata dell’albergo, cominciavo a sentirmi particolarmente irrequieto ed agitato, forse perchè non sapevo bene cosa aspettarmi dall’incontro con Misaki. Ero uscito dalla mia stanza senza dire niente ai ragazzi, approfittando del momento in cui Hyuga si faceva la doccia e Takeshi leggeva concentrato un libro; volevo evitare domande alle quali non avrei potuto rispondere, creando ulteriore sospetto nei miei compagni.
Sospirai, continuando ad avanzare verso il giardino, lungo quel tratto in cui giorni prima avevo incontrato Jun, scosso ad ogni passo da brividi che non sapevo riconoscere se generati dall’aria fresca o dalla mia inquietudine.

Poi, all’improvviso, intravidi Taro Misaki seduto su una panchina, con i gomiti poggiati sulle ginocchia e il viso sopra le mani: mi stava già aspettando e chissà da quanto. Non appena si accorse della mia presenza mi salutò con un sorriso gentile, com’era nei suoi modi. Io gli risposi con un cenno della mano, sedendomi accanto a lui, lasciando che il peso accumulato nelle gambe durante quel breve tragitto allentasse, facendomi sentire più leggero.

I primi secondi li passammo così, in silenzio, guardando un punto fisso di fronte a noi, mentre continuavo a chiedermi per quale motivo Taro mi avesse chiesto di vederci. Io e lui non avevamo grande confidenza, sì, avevamo giocato insieme ai tempi del Meiwa, ma anche lì lui se n’era andato ben presto e poi aveva legato più che altro con Sawada. Nelle successive occasioni ci eravamo sempre incontrati come rivali, a parte i ritiri con la Nazionale. Ora, invece, una cosa c’era ad accomunarci: lui era il compagno di stanza di Jun e qualcosa mi diceva che il motivo di quell’incontro fosse proprio...

“Sei molto agguerrito questo periodo, eh?”Esordì Misaki, improvvisamente, sorridendo ancora.
“Come?” Domandai, stupito.
“Sì, sul campo! Ti trovo molto bene, ho come l’impressione che tu ti stia impegnando con grande tenacia e i risultati si vedono...”
“Sì... in effetti mi sto impegnando molto” Ammisi, pensando a tutto quello che il mio impegno significava. “Voglio vincere l’amichevole con la Francia a tutti i costi!” Continuai, mostrando sicurezza, come per creare uno scudo difensivo. “Voglio, anzi, devo dimostrare le mie capacità, la mia bravura...”
“E lo fai... per Misugi?!”

Persi all’improvviso le parole nell’udire quella frase quasi sussurrata di Misaki; non capii se la sua fosse una domanda o una constatazione. Lo guardai, spiazzato.

“Ho notato...” Cominciò Misaki con un grosso respiro, “che ad ogni azione, ad ogni parata o anche quando subisci un goal, cerchi lo sguardo di Misugi...”

Trattenei il fiato, in preda all’agitazione per come mi stesse mettendo a nudo. Turbato nel profondo.

“Sembra quasi che tu cerchi la sua approvazione,” continuò Misaki “che tu voglia dimostrargli qualcosa, essere visibile ai suoi occhi...”

Ero... confuso dalle sensazioni che le parole di Misaki mi stavano suscitando, messo alle strette dalla loro cruda veridicità. Ogni giorno, sul campo, io cercavo Misugi, sempre: volevo che mi guardasse, che mi notasse, che si rendesse conto della mia presenza. Più lui era freddo e distante da me, più io cercavo di rendermi visibile ai suoi occhi, non volevo essere cancellato dalla sua vita.

“Misaki, io...” Non sapevo che cosa rispondergli, dentro di me si agitavano milioni di pensieri e le più svariate sensazioni, ma, alla fine, una riuscii ad afferrarla: che non volevo più fingere.

“È così... hai perfettamente ragione...” Sospirai infine, completamente disarmato, ma, forse, inconsciamente più  sollevato.

Misaki mi lanciò uno sguardo comprensivo e io capii che non era di certo lì per giudicarmi, non erano quelle le sue reali intenzioni. Fece poi una pausa di silenzio, prima di poggiare la schiena sulla panchina, rilassandosi, e continuare a parlare. “Io ho sempre ammirato Misugi...” Disse con sincerità “e non solo per la sua eccellenza sul campo, ma soprattutto per la tenacia e la determinazione che ha sempre dimostrato in ogni momento difficile, senza mai lasciarsi andare, affrontando ogni cosa con coraggio, uscendone sempre vittorioso e a testa alta. Mi ricordo il torneo delle elementari, quando aveva giocato per intero la partita contro di noi, convinto che fosse l’ultima. Aveva lottato fino in fondo, mettendo in gioco persino la sua vita. La sera, poi, era scomparso da casa... e nessuno riusciva più a trovarlo...”

“Davvero?” domandai quasi in automatico, concentrato su quel racconto che mi dimostrava ancora una volta chi fosse Jun Misugi.

“Alla fine era al campo da calcio. Se ne stava lì, da solo, appoggiato al palo della porta, convinto che quella sarebbe stata l’ultima volta in cui lo avrebbe visto” Misaki sorrise a quel ricordo, continuando a parlare “Quella è stata la volta in cui ho pensato che Misugi stesse davvero soffrendo molto, anche se si rivolgeva a noi con il sorriso sulle labbra, come se tutto fosse naturale, mostrandosi sereno”

“...è vero...” Lo interruppi involontariamente “Jun... è proprio così...”

“Già... però ha continuato a lottare, ha affrontato con coraggio l’operazione e tutta la successiva riabilitazione ed infine ha vinto, riuscendo a tornare sul campo! Lui diceva che la passione per il calcio non poteva fare male al suo cuore, ne era convinto di ciò!” Le parole del numero undici della Nazionale si fecero improvvisamente più incisive, scandite con forte enfasi, ed io cominciai a capire dove volesse arrivare col suo discorso.

“Ora...sembra non avere più la stessa grinta, c’è qualcosa che gli sta sfuggendo di mano...”

Misaki aveva capito. Abbassai gli occhi, stringendo le mani in un pugno.

“Hai visto, oggi?” Domandò, guardandomi negli occhi.
“Quando... ha sbagliato il tiro?” Gli chiesi, abbassando la testa con amarezza.
“Sì... non è da lui. Uscendo dal campo, l’hai sentito anche tu, ha detto che era il cuore...”

Io annuii, in silenzio.

“Ed è la stessa risposta che mi ha dato qualche sera fa, quando gli ho chiesto che cosa avesse, perchè fosse così strano... ‘è il cuore’, ha risposto anche quella volta” Misaki era davvero preoccupato per Jun.

“Cosa intendi per ‘essere strano’?” Gli domandai, seriamente.

Taro precedette le parole con un sospiro “È da quando siamo qui che la mattina si alza sempre con uno sguardo cupo e turbato; è lo stesso anche quando va a dormire. Non parla  per niente, sai? Probabilmente sa che con me può non fingere come, invece, fa durante il giorno con gli altri ragazzi, perchè non gli chiedo niente, o comunque non insisto... e lui si sta logorando sempre di più”

Misaki rivolse lo sguardo davanti a sé, agli alberi bui che si erigevano davanti a noi.

“Fino ad ora il principe del calcio aveva sempre lottato contro il suo cuore di vetro, impedendogli di infrangersi, uscendone vincitore, ma, stavolta, c’è qualcosa che lo sta facendo soffrire più del suo cuore*... e quello sei tu!” Terminò, cercando poi il mio sguardo, leggendovi in esso il disorientamento per quelle parole, anche se erano la giusta e naturale conclusione di tutto il suo discorso.

Sì, ero davvero disorientato. “Te... te l’ha detto lui?” Domandai, ormai in stato confusionale.

    
Misaki sospirò, scuotendo la testa in un gesto di diniego. “Il tuo nome...” Disse poi. “Misugi ha ripetuto spesso il tuo nome nel sonno da quando siamo arrivati.”

Il cuore mi balzò in gola. “Io non...”

“Beh, Ken è un nome comune, in effetti... però è bastato osservarvi pochi istanti per capire quale fosse la verità...” Misaki mi sorrise bonariamente, facendo una breve pausa, mentre io mi sentivo dilaniare dal senso di colpa, avevo gli occhi che mi bruciavano, così come il petto.

“Per questo quando mi ha risposto ‘è il cuore’, l’altro giorno come oggi, ho capito che in quella frase c'era tutto. Sta molto male, Wakashimazu, credimi. Non l'ho mai visto così.”

“Lo so, Misaki...” Forse solo in quel momento mi resi conto davvero di quanto avessi fatto soffrire Jun. Di quanto lo stavo facendo soffrire con il mio mutismo, con il mio desiderio di fare finta di nulla.

“Per questo volevo parlarti” Aggiunse Misaki “mi rendevo conto che cercavi la sua attenzione. E che non te la dava, eppure ti pensa... sembra quasi che vi rincorriate in continuazione, ma che nessuno dei due sia disposto a fermarsi per ascoltare l’altro”

Eccola, la prima nube nel cielo, a coprire di passaggio la luna, oscurando i nostri volti per alcuni istanti, prima di allontanarsi e restituirci a quella luce pallida.

“Che cosa devo fare?” Era più una domanda rivolta a me stesso; portai le mani alla testa e la strinsi con forza.

“Vuoi bene a Misugi?” Domandò Misaki, alzandosi in piedi e mettendosi davanti a me. “Vuoi bene... a Jun?”

Io alzai lo sguardo e aspettai alcuni istanti, durante i quali raccolsi e concentrai le sensazioni in un unico pensiero, dandogli finalmente voce. “Sì, tantissimo, Misaki...”

Taro mi sorrise, davvero felice. “Allora parlagli, portiere! Tira fuori la grinta e vedrai che le cose andranno per il meglio. Sono certo che puoi farcela!” M’incitò il numero undici.

“Non è facile...” Gli dissi, sorridendo amaramente. “ Devo trovare il modo e l’occasione per parlargli, perchè rischio che lui mi eviti, dovrei...” All’improvviso, un’idea mi balenò in mente “E se...”Mi resi conto che quella era davvero l’unica soluzione possibile e, forse, l’ultima possibilità. “Misaki, avrò ancora bisogno del tuo aiuto!”

****



“Va bene... allora rimaniamo così!” Esclamò Taro, prima di avviarsi verso l’albergo. “E... in bocca al lupo per la prima fase!” Scherzò “Se sopravvivi a quella credo che dopo non ci saranno problemi!” Mi strizzò l’occhio, complice.

Io non nascosi un sorriso. “Già, speriamo in bene!”

Misaki si stava allontanando, da solo, verso l’albergo, ma prima mi poggiò una mano sulla spalla. “Ah, Wakashimazu!” Sorrise nel suo modo sempre gentile “Non farlo più soffrire, intesi? Misugi è un bravo ragazzo...”
“Te lo prometto, Misaki!” Risposi, sicuro di me.

Poi, ci separammo, Taro tornò all’albergo, io rimasi ancora qualche minuto nel giardino, lì, in piedi: desideravo stare un po’ da solo e riorganizzare i pensieri.


Non l’avrei mai ringraziato abbastanza, lo sapevo già da allora. Misaki era riuscito a farmi capire la profonda sofferenza di Jun, ad infondermi il coraggio per affrontarlo, mi aveva fatto riflettere sul significato delle mie azioni sul campo. Non era solo questione di farmi notare da Misugi, dimostrandogli di essere il migliore.

“Ma per te? Cosa c’è d’importante? Se non è il calcio, ci sarà qualcos’altro? Per passione intendo qualcosa che ti coinvolga a prescindere dai motivi. La passione è passione e basta, Wakashimazu...”

No, non era solo quello.

“Quando avrai trovato qualcosa a cui dedicarti senza un motivo specifico che non sia la passione, allora ti sentirai forte come me...”

In quei giorni le avevo ascoltate le mie emozioni durante il gioco. Avevo finalmente capito: non avrei mai potuto abbandonare il calcio, perchè lo volevo condividere con Jun. Volevo condividere i sentimenti del gioco con lui, la rabbia, la tensione, la preoccupazione, ma anche dimostrargli quanto mi divertisse il calcio, quanta emozione provassi nel concentrarmi su quel pallone che sfidava la mia porta, quanto amassi giocare con lui e contro di lui.

“Oppure dai, devi trovare un altro buon motivo per dedicarti al calcio, no?”

Ed io l’ho trovato quel motivo, Misugi.

Magari non è del tutto corretto dedicarsi al calcio senza una passione incondizionata come quella che prova Jun, ma le due cose sono indissolubilmente legate ed io non posso farci assolutamente nulla. Non avrei più rinunciato né al calcio né a lui.

Questo perchè io  amo il calcio.
Questo perchè io amo Jun.



FINE VII CAPITOLO


* Questa frase è di diritto di Haley, suggerita in una sua bellissima descrizione dello stato d’animo di Jun. Iinoltre mi ha dato il permesso di usarla ;p  Grazie cara!!

Nota: so che per tutta la ff avete pensato che Misaki stesse puntando Ken per altri motivi...anche nene cara si è spaventata mi saXD lo temono tutti XDD Alla larga da Misaki XD

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Capitolo 8
*** VIII Capitolo ***



... ed eccomi arrivata al finale! Non ci credo io stessa di essere riuscita in questa impresa! Riprendere questa ff che ho amato tantissimo fin dalla prima idea (anche se inizialmente scritta coi piediXD) e alla quale sono tanto affezionata... e finirla! ç__ç commossa! Nonostante questo periodo per me non sia dei migliori voglio cercare per quanto possibile di portare avanti la passione di scrivere su CT, magari sarò più lenta, ma cercherò di non mollare:) Poi ho ancora tanto da dire su stì due *_* non vi lascerò in pace!! XD

Grazie a tutte voi che mi avete seguito e spronato... grazie di cuore!

Come sempre ringraziamento speciale a berlinene e ichigo per il betaggio... siete uniche *_*

e ora vi lascio alle ultime disavventure (le ultime... per oraXD) di Kennino e Junnino...Buona lettura!

Il cuore e il pallone Capitolo VIII
Di Releuse




“Non lasciare il calcio, Ken!”

La voce di Misugi giungeva alle mie orecchie lontana e gelatinosa. Scorgevo i suoi occhi preoccupati e timorosi.

“Forse... tornerò sul campo, Jun”

All’improvviso, il suo sguardo s’illuminò, accompagnato da un sorriso sincero.

Le mie mani si mossero piano in direzione di quel viso, poi lo accarezzarono, emozionate, finché le nostre labbra non si unirono in un bacio lento ma appassionato. Sempre più lontano, udivo il rumore dell’acqua smossa dai nostri corpi, percepivo le bolle spumeggianti che risalivano in superficie solleticandoci la pelle, inalavo il calore umido della fonte termale che rendeva affannoso il respiro. Poggiai poi  le mani sulla schiena di Jun, stringendolo in un abbraccio.

Ma ciò che racchiusi fra le braccia fu solamente il vuoto.

Mi svegliai, spalancando gli occhi confuso. Nelle narici percepivo ancora l’odore del legno bagnato, le mani fremevano per aver sfiorato quella pelle morbida, come se non si fossero destate insieme al resto del corpo.

“Buongiorno Wakashimazu!” Era la voce di Takeshi, a poca distanza. Stordito, volsi lo sguardo nella sua direzione e lo vidi intento ad indossare la divisa per gli allenamenti.
“Hyuga?” Chiesi con voce impastata, facendo un enorme sforzo per riacquistare un minimo di lucidità, tentando di riconoscere la stanza dell’albergo, che gli occhi ancora confondevano con la camera della pensione.

Quella dove avevo passato  le mie notti con Jun.

“Lui è già sceso per la colazione, si è svegliato presto, sai come è fatto!” Sorrise bonariamente Sawada sedendosi sul letto, deciso ad aspettarmi.
“Va bene... faccio in un attimo!” Rassicurai il mio amico, sapendo bene di essere in ritardo. Conoscendo il capitano, probabilmente, si era lamentato della mia inerzia, negli ultimi tempi facevo una gran fatica a svegliarmi. Avevo già disteso le braccia ai lati del letto per costringermi a sollevarmi, stavo per alzarmi, quando, d’improvviso, avvertii un brivido serpeggiare lungo la spina dorsale. Sentii il cuore stringersi e i battiti mescolarsi veloci, alimentati da una sorta di remota nostalgia. Istintivamente lanciai un’occhiata alle spalle, verso le lenzuola bianche e il cuscino dove ancora s’intravedeva la sagoma della mia testa. Il letto era terribilmente vuoto... e freddo.

“Ehi, Ken... tutto bene?” Chiese Takeshi, incerto.

Non risposi. Feci un profondo respiro, cercando di nascondere l’amarezza che stavo provando e, con un colpo di reni, mi sollevai, poggiando finalmente i piedi per terra. Fu il freddo pungente dilatatosi dalla pianta dei piedi al corpo a  svegliarmi completamente dal torpore che ancora mi possedeva. Avanzai così verso il bagno, portando indietro i capelli che cadevano fastidiosi sul viso.

Mi mancava. Jun Misugi mi mancava terribilmente.

Non c’era mattina in cui non avvertivo l’assenza del suo corpo, del piacere di risvegliarsi l’uno accanto all’altro. Avevo nostalgia della sua voce, mi mancava la risata cristallina che spesso il principe liberava, come quella sera alla festa tradizionale: aveva riso come un ragazzino dopo aver vinto quel pallone che mi offrì come regalo, nella speranza mi portasse fortuna. Ora, invece, la sua voce non era altro che un’ eco lontana che sfumava via lentamente, lasciandosi dimenticare.

Ricordare i momenti passati con Jun mi suscitava una sorta di malinconia dolorosa, eppure non potevo fare a meno di ripercorrerli, osservarli da lontano. A volte ero io stesso a richiamare alla mente i ricordi più dolci, per lenire la sofferenza e le sensazioni di vuoto e mancanza che mi attanagliavano. Li inseguivo con fatica, ma loro scorrevano via veloci, inafferrabili ed impalpabili, sfuggenti come un treno ormai partito, che più insegui e più sei incapace di raggiungere. Come uno di quei palloni finiti in rete prima ancora di esserti lanciato per pararlo. Altre volte, invece, i ricordi emergevano all’improvviso, rievocando le sensazioni provate in quei momenti, come quando sul palato ti torna il sapore dolceamaro di qualcosa masticata troppo velocemente, che non hai saputo assaporare davvero.

Qualsiasi cosa facessi o pensassi mi ricordava Jun. Lui era ormai parte di me, lo avevo realizzato la sera prima, durante il discorso con Misaki, ma, in fondo, lo avevo capito da tempo. Non aveva più senso negare o fuggire, come lo avevo perso, dovevo cercare di ritrovarlo.

Mi sciacquai il viso velocemente con acqua ghiacciata, preparandomi a scendere in campo. Quel giorno gli avrei parlato, assolutamente.


“Ehi, bell’addormentato, ti sei svegliato?” Fu la prima cosa che mi disse Hyuga non appena scesi nella sala per la colazione. Il capitano aveva già finito il suo pasto.
“Che fretta c’è?” Gli risposi canzonatorio, sedendomi al suo fianco. “Tanto gli allenamenti cominciano fra un’ora...” Continuai, appoggiando con calma il vassoio sul tavolo, rallentando appositamente i movimenti per dimostrare di non avere alcuna fretta.
“Scansafatiche!” Borbottò Hyuga. “Wakabayashi sarebbe stato già in piedi!” Aggiunse, nascondendo un risolino. Si divertiva a punzecchiarmi e sapeva anche dove pungere, oltretutto!
“Sì, sì, lo so...” Feci spallucce, non dando importanza alle sue affermazioni. “Tu, Tsubasa e Wakabayashi... i tre kamikaze giapponesi! Io, oltre che al calcio, tengo anche alla mia vita!” Dicevo le prime cose che mi venivano in mente per stare al gioco, ma, intanto, scrutavo attentamente l’intera sala: non vedevo Misugi da nessuna parte, strano, e notai inoltre l’assenza di Misaki. Colto da un improvviso moto di inquietudine cominciai a mangiare velocemente per poter raggiungere il campo il prima possibile. C’era qualcosa che non andava, me lo sentivo.

Quello che vidi poco dopo, sul campo, fu uno spettacolo che mi fece raggelare il sangue: Misugi stava in piedi, al limite dell’area di rigore, il sole che batteva prepotente sulle sue spalle, il corpo in posizione di tiro. Il principe si preparava a calciare una cannonata in direzione della porta, l’ennesima, a giudicare dai numerosi palloni sparsi per il campo e dal sudore che colava lungo la sua fronte.

Da quanto tempo si allenava?

Il principe del calcio aveva uno sguardo serio e concentrato, sembrava non curarsi minimamente dei compagni che arrivavano, scambiandosi sguardi interrogativi per quella inaspettata presenza in campo. Ebbi come l’impressione che tutti i ragazzi percepissero un alone di tensione intorno al principe, come se l’ultima corda rimasta, l’unica ancora di salvezza, si stesse per spezzare. Jun scattò sul pallone scagliandolo violentemente verso la rete e, prima ancora che la sfera smettesse di rotolare sul campo, si avventò su un’altra.  Misugi continuava a calciare in porta e in ogni cannonata sembrava concentrare tutta la sua rabbia, tutta la frustrazione per aver sbagliato quel tiro il giorno prima, quando c’ero io a difendere la porta. Era come se avesse perso contro di me. E questo non poteva sopportarlo.

“Basta, Jun, smettila!” Gridò qualcuno, con voce strozzata.
Mi voltai verso la fonte di quel grido e, nel vederla, mi mancò in respiro: che cosa ci faceva lei, lì? Sì, lei, Yayoi Aoba, la manager della Musashi, la migliore amica di Jun... la ragazza per tanto tempo innamorata del suo capitano.

“... io e Yayoi siamo sempre stati amici, da quando eravamo bambini”

Stava in piedi a bordo campo, indossava un abito leggero e colorato, i capelli raccolti in una coda che ne mettevano in risalto l’espressione turbata, le mani giunte all’altezza della bocca. “Sta frequentando un corso nelle vicinanze...” Avrebbe detto poco più tardi qualcuno dei miei compagni.
“Eh, è proprio vero che quei due non riescono a stare separati...” Il commento che qualcun altro avrebbe aggiunto, mentre io avrei voluto poter gridare che le cose non stavano affatto come loro credevano.

Ma l’unica cosa che potei fare fu rimanermene in disparte e mandar giù in silenzio.

“... fra noi c’è sempre stato un profondo legame. Sapevo bene che per lei ero qualcosa di più...”

Misugi respirava piano, ormai i palloni stavano immobili e disseminati in vari punti dell’area, chissà quante volte li aveva calciati. Il principe rilassò all’improvviso le spalle, probabilmente il suo gioco privato era terminato. Abbandonò così il campo, avanzando nella direzione di Yayoi.

“... e io volevo illudermi che lo fosse anche per me...”

“Tranquilla, Yayoi, ho finito...” Il sorriso dolce che Jun le rivolse mi turbò non poco ed ebbi come l’impressione di ricevere un ulteriore pugno allo stomaco da parte sua.
“Ma non puoi allenarti in questo modo, rischi di farti del male...” Le parole dell’Aoba giungevano alle mie orecchie supplichevoli e quasi dolci e, mio malgrado, mi trovai a ringraziarla, intimamente, per quel suo gesto. Forse, almeno lei, sarebbe riuscita a placare l’ira di Misugi.

Ma mi sbagliavo.

“Ho detto che sto bene, tranquilla...” Un sorriso forzato quello di Jun, l’espressione che lentamente cambiava, alterandosi.
“Ma, Jun, perchè ti ostini...”

Non la fece finire di parlare. “Non preoccuparti, ho detto!” Esclamò con tono grave, facendo intendere che non voleva più sentire alcuna lamentela. “So quello che faccio... e adesso scusami, comincia l’allenamento...” Il timbro della sua voce divenne nuovamente gentile, ma, stavolta, anche Yayoi sembrò accorgersi dello sforzo enorme che il principe aveva fatto per assumerlo. Misugi si allontanò, raggiungendo alcuni compagni di squadra che cominciavano a riscaldarsi, scambiò poi qualche parola formale con Matsuyama e infine cominciò alcuni esercizi di stretching.

La ragazza lo seguì con lo sguardo, seriamente preoccupata, ed io feci lo stesso. Eravamo entrambi senza parole.

 “Ha detto al mister che d’ora in poi vuole allenarsi con tutta la squadra...” Esordì Misaki alle mie spalle.
“Che cosa?” Domandai, sconvolto, continuando a tenere fisso lo sguardo sul principe.
“... e l’ha detto anche a me, stamattina. Non sopporto di diventare ogni giorno più debole, di perdere in potenza e tecnica... queste le sue parole...”
“Ma non è possibile...” Replicai, una sensazione di sudore freddo mi scivolò lungo la spina dorsale. “E Mikami gliel’ha permesso?”
“... con la condizione di fermarsi non appena avrebbe accusato stanchezza...” Taro mi superò, avanzando verso Misugi, senza guardarmi, in modo che il principe non si accorgesse di quello scambio di battute.

Intanto, ancora una volta, il cuore si strinse in una morsa dolorosa. “Fermarsi per la stanchezza”, ripetei fra me, disorientato e confuso, mentre mi avvicinavo a Kojiro e Takeshi, unendomi al resto della squadra per cominciare gli allenamenti. Se conoscevo bene Misugi non avrebbe mai mantenuto quella promessa, a fermarlo sarebbe stato solamente il suo cuore.

Perchè Misugi voleva farsi male fino a quel punto?

Ben presto le mie previsioni si tramutarono nella realtà. Erano ormai passati più di quaranta minuti dall’inizio dell’allenamento e stavamo provando degli schemi d’attacco. I miei occhi non perdevano quasi mai di vista quel numero ventiquattro e ad ogni minuto che passava percepivo sempre più intensa la stanchezza che lo stava divorando. Anche se si sforzava di nasconderla, leggevo nei più piccoli movimenti l’indebolimento delle sue gambe, il respiro che si faceva mano a mano più pesante. Ma lui resisteva, nonostante tutto, nonostante il sole scottasse. Più quel corpo si affaticava, più sentivo il cuore farmi male, come se il mio e quello di Misugi fossero entrati in risonanza.

Possibile che non ti rendi conto di quello che mi stai facendo, principe del calcio?

Poi, d’improvviso, la confusione a centro campo, quando quel ventiquattro blu oscillò sotto gli occhi di tutti. La corsa che si arrestava, gli occhi appannati, il ginocchio in terra, la mano che stringeva il petto all’altezza del cuore.

“Jun!” Il grido disperato di Yayoi, mentre correva verso di lui.
“Misugi!” Il mio, unito a quello dei compagni di squadra.

Scattai velocemente verso il centro campo, abbandonando la porta. L’Aoba si stava chinando verso Jun, ma le afferrai il braccio con forza, allontanandola. “Spostati” Sibilai, incurante di averle fatto male e non guardandola neppure in viso. Intanto, sia il mister sia gli altri compagni si avvicinarono preoccupati.
“Misugi, stai bene?” Domandai, sorreggendolo. Il suo corpo tremava, aveva ancora la mano stretta sulla maglietta e teneva gli occhi serrati, doveva provare un forte dolore al petto.

“Ken...” Un sussurro fra i denti, flebile e basso, quasi impercettibile. Eppure riuscii a coglierlo, era simile a una richiesta... d’aiuto?
Provai un tuffo al cuore nell’udire il mio nome fra le sue labbra “Jun...” Lo chiamai “Stai bene?” Chiesi ancora. Allentai la presa sulle sue spalle, aprendo i palmi e muovendoli in un’impercettibile carezza.

 Il suo corpo smise di tremare, irrigidendosi un istante dopo. “... ami...” un suono flebile fuoriuscì dalle sue labbra, mentre il principe spalancava gli occhi. “Mollami, Wakashimazu!” Esclamò brusco, alzando lo sguardo, chiedendo di essere lasciato il pace. “Devo riprendere gli allenamenti!”

E in quel momento qualcosa dentro di me scoppiò improvvisamente, come se una fornace avesse cominciato ad infiammarsi nel petto, fomentando tutte le sensazioni che lì albergavano. “Adesso basta!” Esclamai con rabbia. “Vuoi finire per ammazzarti o ti decidi a smettere?” Lo afferrai al collo della maglia, facendogli probabilmente male, ma non m’ importava più. Non m’importava più neppure dei compagni che ci guardavano.

Misugi era stupito e per un istante lessi confusione nei suoi occhi

“Wakashimazu ha ragione, Misugi. Non puoi continuare! Non avrai il mio permesso...” Mikami si era avvicinato e guardava serio il numero ventiquattro. Credo che il mister avesse compreso le ragioni puramente calcistiche e d’orgoglio che avevano spinto Misugi a rivolgergli la richiesta di potersi allenare come gli altri. E, forse, proprio per quello glielo aveva permesso, per fargli sperimentare sul campo i propri limiti.

E Jun, finalmente, parve capire.

“Ha ragione, mister. Mi scusi...” Rispose, abbassando lo sguardo e cercando di sollevarsi da terra. Sembrava stare meglio, ma, nell’animo, probabilmente non era così. “Sono stato un incosciente...”

Nell’udire quelle parole liberai un sospiro di sollievo e la rabbia provata fino ad un attimo prima sfumò completamente. Ma Misugi non resse oltre la mia presenza al suo fianco e, appoggiandomi le mani sui polsi, mi costrinse a mollare la presa sulla sua maglia. “Grazie, Wakashimazu...” Disse atono. “Non devi preoccuparti per me...” Alzò gli occhi ed ebbe ancora una volta la forza di sorridermi in quel modo dannatamente falso ed artificioso. Non so se Jun si accorse del fremito che per un brevissimo istante scosse il mio corpo, ma, la cosa certa, è che rimasi senza parole. Lo guardai e per la prima volta sentì l’amarezza di quella sconfitta. Più bruciante di qualsiasi partita persa.

“Misaki...” Dissi, senza distogliere lo sguardo da Misugi. “Accompagnalo in infermeria...”

Al mio posto.

Diedi le spalle al principe, andando ad incontrare il volto di Misaki che annuì in silenzio. Poi, mi rivolsi a Yayoi, poco distante. “Scusami per prima... vai anche tu” Glielo dissi sinceramente e lei annuì, facendomi cenno di non preoccuparmi. Ormai la cosa più importante era che Jun si riprendesse. Del resto non mi importava. In quel momento non avevo più forze, era come se fossi stato inghiottito dall’angoscia di quella lotta disperata, travolto dall’astio di Misugi.


Dopo che Jun si era allontanato sorretto da Taro e Yayoi, Kojiro si avvicinò. “Ehi, Wakashimazu...” Il capitano mi poggiò una mano sulla spalla. “Che cosa ti è preso, prima?”
Gli scostai la mano bruscamente, superandolo. “Nulla, Hyuga”
“Eri molto arrabbiato...” Continuò, fingendo di non aver colto il tentativo di evitarlo.
“Sì...” Solo a quelle parole arrestai il passo per voltarmi e guardarlo negli occhi. “Ero arrabbiato, arrabbiato perchè non sopporto la testardaggine di alcune persone che hanno voglia di morire sul campo!” Ringhiai, sperando a quel punto che il capitano fosse soddisfatto della risposta.

Non sopporto che si sia ridotto così per colpa mia.

E, anche se soddisfatto non lo fosse stato, la cosa non mi toccava. Gli voltai nuovamente le spalle, tornando al mio posto in porta, solamente lì mi sentivo al sicuro. Protetto da tutto il resto.

Non se n’era ancora accorto Misugi, ne ero certo. Non era cosciente di ciò che si era venuto a creare fra noi in quei giorni. All’inizio lui era stato la vittima del mio contestabile comportamento, colui che ci aveva rimesso, soffrendone visibilmente. Io, invece, ai suoi occhi ero il persecutore. Poi, col tempo, durante i giorni di ritiro, a forza di sopprimere le sue emozioni, aveva finito per trasformarsi lui stesso in persecutore. Sembrava nutrirsi del mio senso di colpa e, inconsciamente, deciso a  torturarmi... fino a quando?

Gli allenamenti ripresero in uno strano clima di incertezza e stupore. I ragazzi sembravano essere meno energici e più distratti, sicuramente ognuno di loro si stava chiedendo cosa fosse successo a Jun Misugi. Lo avevano sempre conosciuto come una persona equilibrata, responsabile, un giocatore conscio delle proprie capacità così come dei propri limiti. Allora cos’era quel comportamento testardo e avventato di poco prima?

Se lo stavano domandando tutti. E, nessuna risposta, ai loro occhi, sembrava plausibile. Solo io e Misaki conoscevamo la verità.

Fino a quel momento Jun era riuscito a mantenere una certa padronanza di sé, senza esporsi, mantenendo agli occhi dei compagni una parvenza di normalità, sforzandosi di essere sereno. La sua personale battaglia la stava combattendo contro di me, gli altri non c’ entravano assolutamente nulla. Ma, a poco a poco, stava perdendo la capacità di controllo, anche al di fuori della sfera privata e sembrava ormai non rendersene più conto. Che stesse arrivando al limite?

Nell’ora successiva continuai ad allenarmi, lasciando al corpo il compito di rispondere agli impulsi del gioco, mentre la mente si perdeva in un turbinio di riflessioni a volte sconnesse, altre così vivide da dimostrarsi particolarmente dolorose. Già, mi ero ripromesso di riportarlo indietro, l’avevo promesso anche a Misaki la sera prima. Non avrei rinunciato né al calcio né a Jun, perchè entrambi, per me, erano di vitale importanza, così avevo detto.

Eppure il dubbio, mascherato da angoscia, cominciava a far vacillare quelle mie certezze.

******


“Non è più lui, Misaki!” La voce singhiozzante di Yayoi permeava l’intero andito. Aveva amato tanto Misugi e sicuramente fra lei e il capitano della Musashi era rimasto un solido legame, per questo senza vedere il suo viso, udendo solo la disperazione di quel suono, la ragazza fu in grado di trasmettermi tutta la disperazione che lei stessa provava.

Io me ne stavo poco distante, nascosto dalla parete del corridoio che portava all’infermeria, appoggiato mollemente al muro. Finiti gli allenamenti mi ero subito recato lì per accertarmi delle condizioni di Misugi, ma, prima di svoltare l’angolo, nell’udire la voce di Misaki sussurrare “Lasciamolo riposare”, non avevo più avuto il coraggio di avanzare, fermandomi a pochi passi, nascondendomi come il peggiore dei criminali.

“... è cambiato, è cambiato in questi ultimi tempi, perchè?” Continuava Yayoi, affranta.
“Dai, cerca di calmarti... vedrai che si riprenderà...” Le rispose Misaki e udii il fruscio di un abbraccio, probabilmente cercava di tranquillizzarla. La voce gentile e confortante del numero undici mi trasmise la sensazione che potesse anche essere possibile. Ma l’amarezza non scivolava via neppure a quel pensiero.
“Perchè stava giocando fino a sentirsi male, perchè? Non si era mai comportato così, non si sarebbe mai fatto del male con il calcio... aveva degli occhi che non gli avevo mai visto, non gioca più con passione...”

Sussultai nell’udire le ultime parole dell’Aoba: passione...

“ ... il mio cuore è fragile ed è debole. Ma io non sono come lui. Io non posso lasciarmi vincere dalla malattia. Io voglio continuare a giocare a calcio, non ci rinuncerò così facilmente, anche se ogni minuto che passo sul campo è una bomba ad orologeria per il mio cuore...”

Le parole di Jun rimbombarono nella mia testa con una violenza inaudita.

“Misugi, Mi vuoi dire perché ti ostini a giocare a calcio, nonostante rischi di morire?”
“Semplice Wakashimazu... è la passione...”

Il ricordo del sorriso che mi rivolse quel giorno divenne improvvisamente doloroso come un’ ustione indelebile.

“... stavolta, c’è qualcosa che lo sta facendo soffrire più del suo cuore... e quello sei tu”

Così anche le parole di Misaki. Jun non era più lui... per colpa mia. Serrai pugni e  denti. Forse, l’unica vera soluzione a tutto quello era un’altra. E io avevo già preso la mia difficile decisione.

*****

“La prima fase del piano”: così l’aveva definita Misaki la sera prima, mentre mi dava un in bocca al lupo. La faceva facile, lui. Sospirai distrattamente, disteso a pancia in su sopra il letto, le mani dietro la nuca e poggiate sul cuscino, aspettando il momento propizio.

La luce elettrica permeava l’intera stanza, rendendola artificiosamente pallida, eppure più i minuti passavano più avevo l’impressione che lottasse contro la foschia che s’infiltrava dall’esterno, cercando di sopravvivere. Il sole era calato da tempo. “Credo che fra poco si metterà a piovere, ci sono certe nubi fitte...” Disse Takeshi, aprendo leggermente la finestra e guardando fuori. In quel momento una silenziosa folata di vento mi raggiunse, increspandomi la pelle. Sembrava volesse inghiottirmi, facendomi lentamente scomparire insieme all’oscurità che portava dietro di sé. Intanto suoni sconnessi arrivavano alle mie orecchie e io facevo l’impossibile per non prestargli attenzione.

Lo stridere di una sedia trascinata nervosamente sul pavimento mi riportò alla realtà. “E diamine, Ken, mi ascolti?” Il tono brusco della voce di Kojiro risuonò per tutta la stanza. Il capitano stava seduto su una sedia poco distante.

Il momento atteso era arrivato.

Feci un profondo respiro, cercando di concentrare tutti i pensieri in un unico obiettivo. Dovevo riuscirci, senza ombra di dubbio. Facendomi coraggio, assunsi l’espressione più irritata e rabbiosa che potessi ostentare. “E lasciami in pace! Voglio un po' di silenzio!” Replicai ad alta voce, fulminando il capitano con lo sguardo.

Trascorse un brevissimo lasso di tempo in cui l’aria si congelò. Takeshi si volse di scatto nella nostra direzione, in allerta.

Vidi lo sguardo di Hyuga accendersi, furioso. “Cosa? Silenzio? Senti, tu non impedisci a nessuno di parlare, chiaro? Solo perchè sei nervosetto ultimamente non dobbiamo essere sempre sull'attenti per te!”

“Ehi, ehi, ragazzi, non litigate...” Sawada cercò come sempre di mediare. Ma ormai la miccia si era accesa e io non aspettavo altro. Quindi rincarai la dose, cercando di essere sempre più astioso.

“Ma veramente qui chi deve stare sull'attenti siamo noi! Vuoi sempre avere ragione e se una volta tanto qualcuno non è d'accordo con te, ti scaldi come una iena! Mi sono rotto!” Alzai bruscamente la voce, reggendo lo sguardo di Hyuga, mentre, con un balzo nervoso, scendevo dal letto.
“Cosa stai dicendo? Sei impazzito?” Il capitano scattò su dalla sedia, stringendo i pugni. I suoi bicipiti si gonfiarono nervosi. “ Vedi di darti una calmata, Ken. Solo perchè hai passato un periodo sottotono non credere di farmi compassione!”

Inarcai un sopracciglio, guardandolo dall’alto in  basso. “Mah... forse quello sottotono sei tu, Hyuga. Non sei ancora riuscito a segnarmi un goal o mi sbaglio?” E accompagnai il tutto con un sorriso ironico e pungente.

Ci avrei scommesso. Avevo toccato il tasto dolente, facendogli perdere la pazienza.

Il suo pugno arrivò dritto e preciso sul mio viso, ma il dolore che mi provocò si mescolò al sapore del trionfo. “Maledetto!” Ringhiò Kojiro in preda alla collera.

“No, capitano, fermati! Ken, non...” Takeshi provò ad intervenire, frapponendosi fra di noi, ma io lo scansai con la mano, facendogli capire di starne fuori.

Il mio sinistro raggiunse il mento di Hyuga restituendogli il favore. Il capitano mi afferrò per la collottola sbattendomi al muro, avventandosi come una tigre impazzita sul mio corpo. Purtroppo per lui io non ero abituato a dare cazzotti alla rinfusa, lasciandomi travolgere dalla rabbia. Sapevo bene come difendermi da un pugno o da un calcio e avrei potuto atterrarlo in breve tempo. Ma il suo orgoglio non me l’avrebbe davvero perdonato, inoltre,  i colpi di Hyuga e i lividi annessi, sarebbero stati la giusta punizione per quel comportamento, un modo per espiare le mie colpe nei suoi confronti.

Non so quanti minuti passarono da quando ci eravamo accaniti l’uno sull’altro, dandocele di santa ragione, finendo per ruzzolare in terra. Solo la voce di Takeshi ci fece tornare in noi.

“Basta, smettetela!” Gridò Sawada.“Ragazzi, se arriva qualcuno passerete dei guai, lo sapete o no?” Urlò il nostro amico, anche lui al limite della pazienza.

Nell’udire quelle parole mi fermai, stremato. E anche Hyuga. Ci fissammo negli occhi per alcuni secondi, leggendoci dentro qualcosa di indecifrabile, respirando affannosamente. Probabilmente il capitano si aspettava un mio sorriso, una risata post- scazzottata capace di quietare le acque e fare tornare tutto alla normalità, com’era sempre stato fra noi fino a quel momento. Ma, quella volta, non sarebbe stato così.

“Mi sono stufato. Basta!” Esclamai, scansando Hyuga per alzarmi da terra. “Sawada ha ragione! Non voglio certo essere messo fuori squadra per colpa tua.” Sputai con astio e rabbia, cercando lo sguardo del capitano per fargli capire che non stavo affatto scherzando. “E stando qui mi verrebbe solo voglia di prenderti a pugni!” Conclusi con forzata arroganza.
Vidi negli occhi di Kojiro balenare un lampo di incertezza. “Ma che cazzo stai dicendo, eh Ken?” Il capitano, tuttavia, fu abile a ricacciarlo indietro.
“Che ho bisogno di stare tranquillo” risposi stancamente “e qui non lo sono!” Mi avvicinai alla porta senza guardare i miei due compagni, poi l’aprii.

“Che fai, Ken?”  Fu la voce supplicante di Takeshi.

Sorrisi fra me evitando di voltarmi.

“Vedo di cambiare stanza” E mi chiusi la porta alle spalle.

Solo quando fui a pochi passi dalla camera mi guardai indietro, portandomi una mano sul mento, nel punto che più mi doleva. “Mi dispiace, capitano, scusami...” Sussurrai fra me. “Ma non potevo fare altrimenti...” In qualche modo, sapevo, gli sarebbe passata, lo conoscevo bene Hyuga. Ora, invece, la cosa più importante per me era soltanto Jun.

La resa dei conti stava infine per arrivare.

Misaki mi stava aspettando sulle scale, fra il secondo e il terzo piano, come da programma. “Scusa il ritardo!” Gli dissi, non appena lo vidi poggiato al muro, borsone fra le mani.
“... è stata più dura del previsto, eh?” Domandò Taro comprensivo, facendo cenno con la testa ai lividi che sfoggiavo in pieno volto.
“Eh, eh... Hyuga ci è andato pesante...” risposi sdrammatizzando “ma va bene così!” Poi feci un profondo respiro, infine alzai lo sguardo, serio. “Jun? Come sta?”
Misaki sorrise “Stai tranquillo, sta bene... si è ripreso da stamattina!” Le sue parole mi rincuorarono. “E sei anche fortunato! È andato ad una riunione insieme a Mikami e allo staff, così avremo modo di muoverci più facilmente!” Taro era davvero fiducioso e il suo fare complice ed ottimista riusciva a mitigare l’inquietudine che s’ingrossava nel mio cuore, come un mare in piena.
“Dai, andrà tutto bene!” Mi diede un’amichevole pacca sulla spalla, quasi leggesse i miei pensieri.

Aspettammo ancora diversi minuti prima di salire nella mia camera, poi, trascorso il giusto lasso di tempo, ci avviammo. Misaki era di sicuro la persona che avrebbe destato minori sospetti alla mia scelta, dato che lui conosceva da anni Sawada e il capitano. Inoltre, ero certo che mi avrebbe coperto su tutti i fronti, anche nel caso di domande poche opportune dei due nuovi compagni di stanza. Qualsiasi cosa avesse detto, sarebbe stato impossibile non credergli. Come previsto, Takeshi fu felice di vedere Taro e lo accolse amichevolmente, i due erano sempre andati d’accordo; Hyuga, invece, non ci degnò di uno sguardo. Seduto sul letto, continuava a sfogliare la rivista che teneva sulle gambe. Io, intanto, raccoglievo silenziosamente le mie cose e le mettevo nel borsone, ignorando bellamente il capitano, nonostante, nel mio animo, gli chiedessi scusa più e più volte. Lo sentivo ogni tanto sbuffare, evidentemente la mia presenza lo infastidiva e cercava, con quei modi, di sollecitare la mia uscita di scena.

“A domani!” Dissi un po’ brusco, mentre uscivo dalla porta. La sceneggiata doveva sopravvivere fino alla fine. Naturalmente solo Takeshi e Taro mi salutarono e quest’ultimo mi lanciò anche un’occhiata d’incoraggiamento. Ne avevo davvero bisogno. Mi avviai, sacca sulle spalle e passo lento, verso il lungo corridoio, andando incontro a quello che sarebbe stato l’inizio. O la fine.

*******************

La porta si aprì con un clack secco e subito fui investito da una folata di vento spirato dalla finestra aperta, mentre le tende azzurre si agitavano verso la porta. Percorso da un brivido gelido non riuscii ad avanzare oltre, quasi fossi stato bloccato sul posto. Mi guardai intorno, lentamente, scrutando ogni piccolo particolare della camera, dai letti separati dal comodino bianco, al piccolo frigorifero sulla parete opposta. Avevo bisogno di prendere confidenza con quell’ambiente per non sentirmi disorientato. Poi, improvvisamente, come se oltre alla vista cominciassi a concentrare le energie anche sull’udito, avvertii un rumore provenire da qualche punto della stanza: lo scrosciare dell’acqua permeava l’intera camera. D’un tratto spalancai gli occhi, trattenendo il respiro, quasi avessi il timore di mostrare la mia presenza. Qualcuno stava facendo la doccia nel bagno interno alla camera.

“Misaaaaki! Faccio in un attimo!” La voce di Misugi arrivò come una pugnalata al cuore. Barcollai, colto da un senso di vertigine, chiudendomi la porta alle spalle, appoggiandomi ad essa in cerca di un appiglio. Le gambe non smettevano di tremare. Poi socchiusi gli occhi, cercando di mantenere la calma, soffermandomi sui battiti del cuore che ticchettavano veloci ed intensi Avevo riflettuto a lungo sul da farsi e non potevo più tirarmi indietro, anzi, non lo volevo. Mi avvicinai così ad uno dei letti, sedendomi sul bordo, mani alla testa e gomiti sulle ginocchia. Respirai profondamente, ancora e ancora.

Dovevo riportare indietro Jun a tutti i costi. A qualsiasi prezzo.


 “Tu… cosa ci fai?” Tremò la voce di Jun.

Alzai lo sguardo e lo vidi in piedi sulla porta, i capelli bagnati che gli solleticavano il viso, l’ asciugamano legato intorno alla vita, il torace nudo e gocciolante, le labbra leggermente socchiuse come se volessero aggiungere ancora qualcosa. Gli occhi mi esaminavano non convinti ed io mi persi nella profondità di quelle iridi nocciola.
 
Jun era davvero la creatura più bella che avessi mai incontrato.

Misugi aveva un’espressione indecifrabile. Era stupito, questo è certo, ma ebbi l’impressione che si aspettasse una mossa simile, poiché, prima di rivolgermi nuovamente la parola, scrollò le spalle infastidito.

“Cosa significa questo? Dov’è Misaki?” Domandò, imperturbabile, come se dovesse giudicare una persona già condannata a morte.
“Ci siamo scambiati la stanza. Lui sta con Kojiro e Takeshi.” Risposi, mantenendo la calma più assoluta. E anche un’ostentata freddezza.
“Che cosa?”  Questo, invece, non se lo aspettava. “Che diavolo stai dicendo? Cos'è questa storia? Cosa hai detto a Misaki?”  Jun strinse i pugni e alzò la voce, visibilmente alterato.

Ma stranamente non avanzava di un solo centimetro, continuava a rimanere sulla porta del bagno, quasi evitasse di uscire dalla trincea nel timore di rimanere ferito nello scontro. Aveva paura di fare un passo falso, perchè sarebbe stato come camminare su uno specchio d’acqua carico di elettricità. Mortale.

“Gli ho solo detto che volevo cambiare stanza perché avevo litigato con Hyuga...”
“Lo vedo...” Sibilò Jun, lanciando un’occhiata ai lividi sul mio viso e cominciando a mettere insieme i pezzi del puzzle.
“E Misaki ha accettato. Non è una persona stupida.” Aggiunsi, abbassando leggermente la testa per sfuggire al suo sguardo indagatore.

Jun parve pensare qualcosa, poi sospirò nuovamente.“È vero.”

Il silenzio calò sulle nostre spalle come un pesante macigno, alimentando la tensione che aleggiava nell’aria. Credo che quei brevi attimi servirono a Jun per capire che non doveva, non poteva, più fuggire. Avrebbe dovuto ascoltarmi una volta per tutte.

Così, alla fine, fu costretto a cedere. “Cosa  vuoi, Wakashimazu?” Chiese nervoso, voce bassa e roca. Senz’altro sperava che quel momento terminasse il prima possibile.

Non ero mai riuscito a rispondere a quella domanda fino ad allora. Mi alzai, lentamente, fermandomi a pochi passi da lui. Lo guardai negli occhi, volevo essere sincero fino all’ultimo istante. Allungai le mani per potergli toccare le spalle, desideroso di abbracciarlo. Il mio non fu un tocco impulsivo ed aggressivo come la sera nel giardino dell’albergo, bensì delicato, come se avessi paura di mandare in frantumi il suo corpo di cristallo. Ma non appena lo sfiorai, Jun si ritrasse, stringendosi nel proprio corpo, indietreggiando di pochi passi. “Stammi lontano!” Intimò.

Mi aspettavo una reazione del genere, quindi arrestai il passo, fermandomi sul posto, lasciando a Misugi la sensazione di sentirsi protetto dalla distanza che ci separava. Assecondando i suoi voleri.

“Io... voglio stare con te, Jun.”

Glielo dissi, finalmente, e lo feci guardandolo negli occhi, senza mostrare la minima esitazione.

Rigido. Vidi il corpo di Jun irrigidirsi di colpo, quasi fosse diventato una statua di piombo. “Che... che cosa stai dicendo?” Tremava, la sua voce. “Che cosa... significa?”
“Jun, io...” Provai ad esprimere tutto ciò che avevo nell’animo, sperando di raggiungere il suo cuore. “Sono stato uno sciocco a lasciarti andare via così. Non sono stato sincero neppure con me stesso. Io... ero pieno di dubbi sul calcio e su me stesso prima di incontrarti. Tu mi hai dato molto in quei giorni che siamo stati insieme. È grazie a te se sono rientrato sul campo e ho capito che non posso rinunciare al calcio...”
“Bene...” M’interruppe Jun. “Almeno a qualcosa sono servito.”

Quel tono astioso e sarcastico fu capace di ferirmi. Probabilmente era quella l’intenzione.

“Smettila, non sto scherzando!” Alzai la voce, stringendo i pugni, rendendomi conto che quel muro che Misugi aveva eretto fra di noi non era affatto facile da abbattere. “Tu sei molto importante per me... solo che l’ho capito troppo tardi!” La mia voce s’incrinò. Di fronte a me lo sguardo sfuggente di Misugi e il suo corpo che continuava ad indietreggiare ad ogni passo che, inconsapevolmente, facevo verso di lui. Mi sembrava di barcollare nel vuoto, il terreno sotto i piedi instabile, instabile il mio animo irrequieto.

“Lasciami in pace, Wakashimazu, ti prego.” Una crepa nel tono deciso del principe. “Io... non voglio più sottostare ai tuoi sbalzi d’umore!”
“Non è uno sbalzo d’umore, Jun...” Mormorai supplichevole. “È ciò che realmente penso.” Ma il principe sembrava sempre più restio ad ascoltarmi. Non poteva finire così, non doveva. Con un movimento veloce gli fui davanti e lo afferrai per le spalle, la sua pelle era ancora tiepida e umida.

L’odore del suo corpo pericolosamente vicino.

“Lasciami, Wakashimazu!” Gridò, cercando di divincolarsi, ma stavolta non gli permisi di fuggire.

“Ti amo, Jun!” Gli dissi, stringendogli i polsi e costringendolo a guardarmi negli occhi. Jun interruppe il tentativo di liberarsi, trattenendo il respiro. “Ti amo, cazzo!” Continuai col cuore in gola. “Ti amo da impazzire...”

Ognuno di noi scandagliò lo sguardo dell’altro per infiniti secondi, mentre la brezza fresca proveniente dalla finestra aperta faceva rabbrividire i rispettivi corpi e nell’aria si diffondeva l’odore umido della pioggia.

“.... vero” Un respiro instabile fra le sue labbra, le vertigini che percorrevano il corpo. “... non è vero...” Un singhiozzo strozzato.

“NON  È VERO!”

Jun gridò, afferrandomi i polsi e strattonandomi via con forza La rabbia accumulata e soffocata per tutto quel tempo, il rancore, la tristezza, la frustrazione e l’angoscia: ognuno di questi sentimenti implose nel suo cuore per poi esplodere violentemente in quell’attimo in cui la sua mente si offuscò, così come lo sguardo, che divenne annebbiato e confuso, come se non riconoscesse più alcuna cosa intorno. Misugi cominciò a tremare agitato, aveva il respiro affannato e teneva stretta la testa fra le mani, premendo i palmi sopra le orecchie, per non sentire più nulla, per non essere più costretto a farlo. I denti battevano isterici.

“Jun, ti prego, calmati, Jun!” Lo chiamai con voce sommessa, spaventato da quella reazione. Incerto, provai ad afferrargli un braccio nel tentativo di calmarlo, ma Misugi mi respinse violentemente, con una forza che non avrei mai immaginato.
“Nooo! Lasciami!” Aveva cominciato a gridare, muovendosi convulsamente, lo sguardo perso nel vuoto.
“Jun!” Cercai di trattenerlo, ma mi conficcò le unghie nelle braccia, strappandomi un gemito di dolore, allontanandomi ancora.

Ero sconvolto da quella sua reazione, vederlo in quello stato mi terrorizzava. “Calmati, Jun ti prego!” Lo supplicai. Ma lui sembrava non vedermi, non sentirmi, come se avesse precluso ai sensi la facoltà di funzionare, rinchiudendosi in qualche anfratto irraggiungibile della sua mente. Mi faceva troppo male osservare impotente la sua crisi. Era affannato e avevo paura per il suo cuore, sottoposto a uno sforzo enorme. Gli avevo provocato così tanto dolore? Aveva sofferto così tanto per il mio comportamento?

Era così. L’evidenza del suo dolore si presentò cruda davanti ai mie occhi.

Non lo potevo più sopportare. Mi avventai ancora una volta su di lui, afferrandogli le spalle con prepotenza, resistendo alla sua forza, incurante dei graffi che mi laceravano la pelle o dei gomiti incontrollati che cercavano di colpirmi. Durante quei movimenti nervosi l’asciugamano che gli avvolgeva la vita scivolò via dal suo corpo, ma Misugi non se ne curò.“E lasciami! Non voglio più saperne di te, lasciami!” Continuava a gridare. “Sei tu quello che ha detto di fare finta che non fosse successo nulla, di dimenticare! E ora cosa vuoi da me? COSA VUOI DA ME!!”

“VOGLIO TE!” Gridai, più forte di lui, la presa ancora salda sulle sue spalle, le dita del principe conficcate nella carne delle mie braccia.

Il movimento frenetico del suo corpo si arrestò di colpo, mentre spalancava gli occhi.

Misugi  boccheggiò, respirando a fatica. Sentii gli spasmi del suo corpo diminuire pian piano fin quasi a scomparire. Le lacrime di Jun presero a scendere lentamente, scivolando sulle sue guance, mentre i piccoli singhiozzi soffocati si unirono a quel suono lontano che giungeva dalla notte: al di là della finestra la pioggia aveva cominciato a cadere. Una pioggia sottile e silenziosa, senza lampi né tuoni, di quella che non ti spaventa, ma che ti fa sentire irrequieto, perchè non sai mai quanto possa durare. La stessa che ti rende malinconico quando osservi il fitto cielo grigio che l’accompagna.

La stessa pioggia che ci aveva avvolto quella volta, la mattina del nostro primo bacio.

Jun aveva gli occhi colmi di lacrime e i nervi a pezzi. Sembrava smarrito. Quell’immagine travolse la mia testa fino ad assestarsi in essa con tutta la sua durezza, privandomi delle ultime forze rimaste. Non ero più in grado di lottare. Rilassai le mani che ancora stavano ancorate sulle sue spalle, facendole scorrere sulla pelle morbida e, come se non sentissi più la forza nella gambe, mi accasciai in terra, rimanendo aggrappato alle sue braccia, in ginocchio ai suoi piedi. Tenevo la testa abbassata, i capelli che mi scivolavano giù dalle spalle, gli occhi fissi ossessivamente sul pavimento.

“Perdonami...” cominciai con un sussurro “perdonami per non aver avuto la forza di accettare la verità, Jun! Perdonami!” La voce veniva fuori con fatica, strozzata dal nodo che mi si era  stretto in gola. “Tu e il calcio siete tutto per me. Tu sei tutto per me. E ora che non sei più il Jun che ho conosciuto, ora che sei cambiato a tal punto per colpa mia... neanche il calcio ha più senso...”

Il mio corpo tremava come una piccola foglia al vento, diventata ormai troppo vulnerabile.

“Io... sono disposto a tutto. Ti lascerò in pace, te lo giuro. Lascerò il calcio per poter sparire dalla tua vita...”

Le mie mani si strinsero ancora di più alle sue braccia, mentre gli occhi avevano cominciato a bruciare. A quelle parole un sussulto scosse il suo corpo.

“Ma tu... torna ad essere il Jun Misugi di cui mi sono innamorato...”

La voce spezzata dalla disperazione.

“... ti prego...”

 E il senso di colpa che mi divorava.

“... non lo sopporto... non sopporto vederti così...”

Le gambe di Misugi tremarono per alcuni istanti, finché il principe non si lasciò cadere mollemente in terra, anche lui allo stremo delle forze. Per secondi eterni regnarono solo i nostri respiri, la pioggia battente sul davanzale e le lacrime di Jun che s’infrangevano sul pavimento.

Poi, all’improvviso, un suono...

“Il calcio...” la sua flebile voce, affaticata “non devi lasciarlo... non farlo, Ken...”

Sollevai il viso, andando ad incontrare il suo sguardo, timoroso di leggervi dentro. Eppure, non appena incrociai i suoi occhi, mi resi conto che non vi albergava più l’astio di poco prima. Ora vi era solo uno sguardo che lottava per recuperare la propria lucidità.

“... ti avevo detto che il calcio va amato indipendentemente dai motivi...” Scorsi un’espressione diversa sul volto del principe “che la passione è passione e basta...” quella gentile, che non vedevo da tempo dipingersi su quel viso.

“...è... è vero...” risposi, temendo di star sognando “ ma mi avevi anche detto di  trovare un buon motivo per giocare a calcio... e l’ho trovato: sei tu!” Esclamai infine, timidamente, nel timore di dire qualcosa di sbagliato ma tremendamente vero. “Quando tu sei vicino a me negli allenamenti, nelle partite, io mi sento felice e do il meglio. Questa è la verità. E che sia un motivo valido oppure no la cosa non mi interessa. Perché è così e basta. Io voglio giocare con te e contro di te, condividere il calcio con te...”

Di tutte le cose che avevo detto fino a quel momento, quelle, probabilmente, furono le parole che lo colpirono di più.


Jun scosse la testa. “Non c’è proprio speranza, eh?” Il principe sorrise, finalmente.

Quel sorriso che mi era tanto mancato.

“Pare proprio di no...” Risposi, portando timidamente la mano sotto i suoi occhi per asciugargli le ultime lacrime. “Non piangere più...” Sussurrai, appoggiando il palmo sulla sua guancia, accarezzandola piano. Jun portò la sua mano sulla mia, intrecciando le dita, spingendola ancora di più sul viso. Poi chiuse gli occhi e respirò profondamente.

“Ken...”  Disse piano “ti amo... tantissimo...”

L’emozione che provai nell’udire quelle parole fu talmente intensa che sentii il cuore scaldarsi, alimentato da una nuova energia: i sentimenti per Jun che ora potevo manifestare in tutta la loro intensità. “Anch’io, Jun.... anch’io...” Risposi, portando anche l’altra mano sulla sua guancia, accarezzando ogni parte del suo viso, seguendone il contorno degli occhi, del naso, delle labbra..  Era come se avessi paura di perderlo di nuovo, come se da un momento all’altro sparisse sotto le mie dita.

Dovevo sentirlo lì, con me.

Non so, forse trattenei le lacrime. Jun mi accarezzò i capelli volgendoli dietro le spalle, scostandoli dagli occhi. Poi mi guardò e sorrise, ancora. Ricambiai lo sguardo, prima di avvicinare le labbra alle sue e cominciare a baciarlo, con una dolcezza mai usata fino a quel momento. Volevo che sentisse, sentisse tutto quello che provavo per lui.

Jun non si oppose, anzi, schiuse le labbra accogliendo con delicatezza le mie, in un bacio che fu il più lungo e sincero che ci fossimo mai scambiati. Contemporaneamente portò le mani sulla mia schiena, cingendomi in un abbraccio forte e delicato allo stesso tempo. Era nudo, sotto di me. Potevo sentire ogni forma del suo corpo accarezzare le mie, il calore eccessivo della pelle trasmettersi ad ogni terminazione nervosa del mio corpo.

Mi era mancato, da morire.

E fu come il sereno che emerge dopo una burrascosa tempesta, anche se, al di là della finestra, la pioggia continuava a cadere fitta, ma avevo l’impressione che lavasse via gli ultimi sprazzi di dolore, quelli che fino a quel momento avevano albergato nei nostri cuori.

“Mmmh…” mugolai all’improvviso, dolorante, cercando comunque di non distrarmi da quel bacio. Tuttavia, Misugi si staccò delicatamente dalle mie labbra, guardandomi interrogativo. “Tutto bene?” Domandò.
“Sì, sì…” Risposi, ma fui tradito dal movimento della mia mano che inavvertitamente andava a toccare la parte dolente del mento.
“Hai dei bei lividi…” Constatò il principe, pungolandoci sopra con il dito.
“Ahia! Fa male!” Mi lamentai contrariato, tirando indietro la testa.
Jun si fece scappare un risolino. “Non dovevi fare a botte per me…” Aggiunse poi, con il tono furbo, ma allo stesso tempo dolce, di chi aveva già capito ogni cosa.
“Beh, ecco…” Non sapevo proprio cosa dire, ero imbarazzato e sentivo le guance avvampare. Poi i nostri sguardi si incrociarono e le rispettive espressioni buffe ci fecero scoppiare a ridere di cuore.
 
Ero felice. Infinitamente.

*****************************


La mattina dopo il sole splendeva nuovamente alto nel cielo, mentre le gocce d’acqua residue imperlavano il campo rendendo difficoltosi i movimenti. Ma, comunque fosse, gli allenamenti per me e Misugi furono un vero disastro. I compagni pensarono che il calo di forze del principe fosse dovuto al malore del giorno prima, mentre collegarono la causa delle mie pessime prestazioni alla litigata con Kojiro e alle botte che ci eravamo dati. Il capitano si arrabbiò anche per quell’ inutile colpa che gli era stata  addossata.

Ci sarebbe stato il tempo per recuperare anche con lui, ne ero sicuro.

L’unico ad avere intuito qualcosa era Misaki che ci regalò un bel sorriso soddisfatto. “Alla grande, Wakashimazu!” Esclamò, dandomi una pacca sulla spalla. Io gli lanciai uno sguardo colmo di gratitudine, mentre Jun ridacchiava divertito.

Finalmente era tornato il Jun Misugi che conoscevo.


Una settimana dopo battemmo la Nazionale Francese con il punteggio di 4 a 2. Non fu di certo una partita facile, ma l’entusiasmo e la nuova forza con cui l’avevo affrontata, unito al quarto d’ora d’oro giocato dal principe, seppero fare la differenza.

Io e Jun insieme sul campo, questo era ciò che avevo tanto desiderato. Consapevolmente complici, amici ed amanti.

“Bravissimo, Jun!” Fu il grido entusiasta di Yayoi alla fine della partita. Ma, prima che potessi lamentarmi col principe dell’eccessiva presenza di quella ragazza nella sua vita, la vidi andare incontro prima di tutti a Misaki. Taro le sorrise dolcemente, sembrava davvero felice di vederla.

“Ma... quei due... vanno parecchio d’accordo!” Mi voltai verso Jun, cercando conferma.
“Sembra di sì...” Sorrise Jun. Mentre osservava la scena aveva uno sguardo molto dolce, era davvero felice per l’Aoba.
“Ma non era fidanzata?” Domandai d’un tratto, ricordandomi del discorso fatto con Jun tempo prima proprio riguardo Yayoi.
“Mah, sembra sia finita...” Jun scrollò le spalle.
“Ah, capito!”
“ Eh, eh... chi vivrà vedrà!” Esclamò, strizzandomi un occhio.
“Mmmm...” mi soffermai a pensare “Come per noi due?”
“Come per noi due!” Concluse il principe, regalandomi un bellissimo sorriso.

FINE

ç_____________ç Oddio mi commuovo da sola!! Questa storia è finita davvero!! E pure beneXDD Massì io sono buona, non potrei mai scrivere finali tragici:) Già la vita di per sè è faticosa, almeno a loro voglio dare un bel finale... fino al seguito, naturalmenteXDD Nella mia testa frulla da tempo!!

GRAZIE infinitamente a tutte voi _O_ ----> inchino di Releuse

Alla prossima!





 









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