Amy

di WrongHysteria
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Chaotic Nightmare ***
Capitolo 3: *** Titanic ***
Capitolo 4: *** The mirror ***
Capitolo 5: *** Animal I've become ***
Capitolo 6: *** Silence ***
Capitolo 7: *** Blood ***
Capitolo 8: *** Darkness ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Se ne stava nella sua stanza, Amy, in silenzio. Era come al solito seduta sul davanzale della finestra e scrutava il cielo nero, illuminato solo dalla luna piena. Il vento le scompigliava l'ampia gonna e i lunghi capelli neri e viola, simili a piume di corvo.
Era bello guardare il mondo addormentato, a tarda notte. Sapere che era l'unica sveglia, l'unica viva.
La faceva sentire normale.
Era quello l'unico momento in cui Amy si sentiva davvero felice. Quando era sola. Perché con gli altri doveva sempre nascondere quelle cose che nessuno avrebbe mai visto.
Scese dal davanzale silenziosamente. Era brava a muoversi furtivamente. L'unica cosa che si sentì fu il fruscio della gonna di seta nera, mentre camminava verso lo specchio e accendeva la debole luce sul comò.
Si osservò attraverso il vecchio specchio dalla cornice d'argento, leggermente opaco. Quello specchio apparteneva alla sua famiglia da generazioni e, per quanto Amy insistesse, sua madre non aveva mai voluto cambiarlo.
Il volto dolce di una ragazza ricambiò il suo sguardo.
Amy si amava e si odiava. Ma come si possono amare certe mostruosità?
Erano ancora coperte. Come sempre.
Guardò a lungo il suo riflesso, quel corpo esile con poche curve, quel viso pallido a forma di cuore, quegli occhi grandi azzurro ghiaccio di cui era tanto orgogliosa, dalle ciglia lunghe e fitte. "Hai lo sguardo di Bambi", le diceva sempre la madre. Ed Amy non poteva darle torto. Sì, era una ragazza carina, dai tratti delicati. Ma c'era dell'altro.
Con un rapido gesto della mano, si scostò dal viso i lunghi capelli corvini, soffermandosi un poco sul riflesso viola accentuato dai raggi della luna.
Ed eccole, quelle schifezze.
Ma forse schifezze non è il termine esatto.
Non erano proprio così orrende, no. Ma Amy le odiava. Le aveva sempre nascoste, persino a sua madre. Quelle orecchie appuntite la imbarazzavano. Non erano normali, così grandi e vistose. Da dove venissero, non lo sapeva, ma aveva come il sospetto che fossero tutto merito di suo padre.
Amy non aveva mai conosciuto suo padre. Sapeva che si chiamava Enelya, e che era bellissimo: l'aveva visto in una foto, l'unica che possedeva. Quella dove lei aveva giusto un anno, forse due. Anche Enelya aveva le orecchie come le sue. Ma a prima vista nessuno se ne sarebbe accorto: era così perfetto, in quel prato era il fiore più bello, così tanto da splendere. Sembrava tanto uno di quegli elfi dei boschi; capelli castani, lisci e lunghi, e gli stessi occhi di Amy.
Nella foto, Enelya teneva Amy sollevata sopra la testa. Ridevano entrambi.
Forse nessuno dei due sapeva che Enelya sarebbe sparito da lì a poco, senza tornare più indietro. Nessuno sapeva dove fosse finito. La madre di Amy, Rachel, non se n'era mai fatta una ragione.
E a voler essere sinceri, neanche Amy.

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Capitolo 2
*** Chaotic Nightmare ***


Amy aprì gli occhi di scatto e si mise a sedere nel letto, col fiato corto. Si posò una mano sul viso sudato e bollente, respirando a fondo. Un altro incubo così, uno solo, e sarebbe scoppiata a piangere.
Non che quegli incubi ricorrenti fossero tristi... ma la inquietavano molto. Erano ricchi di strane ombre, sussurri e tanto buio. Solo a pensarci le si stringeva il cuore.
E tutti terminavano con un'unica visione. Un colore. Rosso sangue.
Scese dal letto, toccando il pavimento di marmo freddo con le punte dei piedi, alla ricerca delle pantofole che il suo gatto, chissà come, trasportava sempre in giro per casa.
Ne trovò, come al solito, una sola, la destra. Sospirò. Rinunciò a cercare l'altra e scese le scale fino alla cucina, dove proprio il micio la aspettava.
 - Ah, eccoti, disgraziato, - disse, sorridendo. Parlava spesso con il suo gatto.
In risposta, Midnight chiuse gli occhioni verdi, sbadigliò, e attaccò a lisciarsi il pelo nero. Saltò giù dal bancone della cucina e sparì nel corridoio.
Amy non se ne curò: come lei, Midnight era un tipo indipendente... ma sapeva essere affettuoso.
La ragazza aprì la credenza, sbadigliando, alla ricerca di qualcosa da mangiare per colazione.
Non si preoccupò di fare silenzio. La madre era sicuramente andata al lavoro almeno un'ora prima. Amy si sentiva un po' trascurata da Rachel, proprio a causa del suo lavoro, ma sapeva che una professoressa deve fare sempre il suo dovere, soprattutto se la sua scuola è lontana da casa. La capiva. Però avrebbe tanto voluto una madre di quelle davvero presenti, una madre che la aspettasse a casa con il grembiule e una torta nel forno, una madre che andasse a chiederle se volessero fare qualcosa insieme nel weekend, o semplicemente una madre che le chiedesse almeno ogni tanto come stava.
Amy chiuse gli occhi e allungò le mani nella credenza. Estrasse delle fette biscottate. Prese anche la marmellata all'albicocca, la sua preferita, e si sedette al tavolo, prendendo al volo un coltello dal cassetto delle posate. Consumò la sua colazione in pochi minuti, bevve velocemente un bicchiere di latte e salì in camera sua per vestirsi.
Spalancò le ante dell'armadio bianco, leggermente stizzita. Non sapeva mai cosa mettersi.
Decise di fare proprio come si era scelta la colazione: chiuse gli occhi e allungò le mani.
Ed ecco capitarle dei semplici jeans neri e una T-shirt anch'essa nera, con degli scheletri disegnati. Li indossò al volo, infilò le solite Converse, afferrò la borsa a tracolla e volò giù per le scale, chiudendo la porta con un tonfo sonoro.

***

Il tempo a scuola per Amy passava velocemente, così velocemente che a stento se ne accorgeva. Alle otto entrava e, puf!, in poco tempo arrivavano le tredici e trenta. Forse era perché non aveva molti amici.
Malgrado fosse in terza superiore, non si era ancora ambientata del tutto in classe. Se ne stava sempre nel banco in fondo all'aula, di fianco all'unica ragazza con cui scambiava due chiacchiere, Alexia. Ma nemmeno con lei parlava di cose importanti.
Nell'intervallo, Amy era solita girare sola per i corridoi, con l'mp3 al volume massimo e lo sguardo fisso nel vuoto.
Malgrado tutto, non si sentiva mai sola a scuola. Aveva sempre con sé la sua unica, vera amica, la musica. Lei sì che non la abbandonava mai quando era disperata. E condivideva con lei i momenti più felici.
Amy non capiva perché i suoi compagni non le parlassero più di tanto, e tantomeno le interessava. Non sentiva di appartenere al loro mondo. Era troppo diversa, e non solo esteriormente. Per lei quei ragazzi non erano nulla, persone con cui era costretta a condividere un po' del suo tempo, tutto qui; ed aveva la netta sensazione che anche loro pensassero la stessa cosa. Dunque per lei il fatto che il tempo trascorresse così velocemente era una fortuna.
La ragazza uscì dalla classe, sistemandosi la tracolla e stringendosi nel cappotto nero: aveva cominciato a piovigginare e lei non aveva l'ombrello con sé.
Uscì dal cancello e provò un moto di disappunto nel vedere le nuvole grigie all'orizzonte. Altro che pioggia, era in arrivo un bel temporale.
Sapeva che si sarebbe inzuppata completamente, ma non le andava di correre. Arrivò a casa dieci minuti più tardi del solito, bagnata fino all'osso. Lanciò la tracolla ai piedi del divano e salì le scale fino al bagno, intenzionata a levarsi quei vestiti zuppi di pioggia.
L'acqua calda della doccia la rinvigorì. Le gocce scorrevano sul suo viso, come un lento massaggio. Avrebbe potuto addormentarsi tanto era rilassata.
Uscì dalla doccia ed indossò i pantaloni della tuta e un maglione di sua madre. Aveva il suo odore ed era morbido e caldo come un suo abbraccio; un modo come un altro per sentirla più vicina.
Improvvisamente si accorse di non aver ancora visto Midnight. Lo chiamò, ma ovviamente non ottenne risposta.
 - Meglio mettersi al lavoro con i compiti, - si disse, tornando in salotto. Si chinò a prendere la borsa per verificare che il suo contenuto fosse ancora tutto intero ed asciutto; non era così.
Nel vedere le condizioni del libro di antologia, scoppiò a ridere. Le pagine erano così bagnate da essere quasi illeggibili. Appoggiò il libro sul termosifone e decise di passare il pomeriggio in compagnia del libro di matematica. Ma che bello!

***

Tra un'espressione e l'altra il tempo volò: Amy finì i compiti che erano già le otto di sera. Dopo quelli che le erano sembrati secoli, alzò lo sguardo dal libro e si guardò attorno. Era buio pesto.
Nonostante fosse autunno, la sera calava già alle cinque, accompagnata da un forte vento gelido. Amy amava il vento freddo, che le sferzava il viso e giocava con i suoi capelli. Per questo, appena poteva, si sedeva sul davanzale della finestra aperta. Rachel l'ammoniva sempre. "Ti ammalerai", diceva.
Ma ad Amy non importava. Anzi, le sarebbe anche piaciuto ammalarsi, una volta ogni tanto, giusto per saltare la scuola. Ovviamente, per la legge di Murphy, lei che era fragile come un vaso di cristallo, si ammalava solo in vista di eventi importanti, concorsi e gite.
 - Amy? - una voce femminile interruppe i suoi pensieri. Un rumore di tacchi si propagò per tutta la casa: era sua madre.
La donna, trafelata, si affacciò alla porta del salotto: - Ciao, tesoro! Tutto bene? - e proseguì, senza aspettare una risposta: - Scusa se ho fatto tardi, c'era una riunione.
Amy sorrise in risposta e si alzò dalla sedia di legno scuro, raccolse i libri in tutta fretta e li postò in camera sua.
 - E accendi la luce quando fa buio, o diventerai cieca! - sentì urlare sua madre. Amy non poté fare a meno di ridere: era tipico di sua madre, preoccuparsi di cose come il buio. Sapeva benissimo cosa c'era dietro la scusa della cecità: sua madre aveva paura di ladri, killer e gente malfamata. Il loro quartiere ne era pieno. Rachel però evitava di parlarne; come se Amy non sapesse!
La ragazza scese di nuovo le scale e corse in cucina, sedendosi al tavolo. Le piaceva guardare la madre cucinare e voleva vedere che cosa avrebbe preparato quella sera.
 - Che cosa vuoi di buono? - sorrise lei, togliendosi la giacca. Amy sorrise di rimando: era raro che le due andassero d'amore e d'accordo e non voleva interrompere quell'armonia con una delle sue solite uscite. - Quello che vuoi, - disse con tono gentile. - Non ho molta fame.
 - Non hai mai fame, tu - si lamentò la madre. In effetti era vero, Amy mangiava di rado e molto poco, a volte l'unica cosa che consumava nella giornata era la colazione. Forse per questo era così pallida ed esile.
 - Facciamo così, stasera mangio primo e secondo. Mi voglio rovinare! - scherzò Amy. Rachel sorrise. Sarebbe stata una piacevole serata.


COMMENTI
@ Carlos Olivera: spero che questo primo capitolo non abbia deluso le tue aspettative... fammi sapere! ;)
@ kamy: grazie per i complimenti! Chissà, forse il padre è un elfo e forse no... ma credo che lo scoprirai presto! ^^

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Capitolo 3
*** Titanic ***


Amy aveva trascorso una tra le serate più rilassanti della sua vita. Sua madre, alla fine, aveva optato per una pizza fatta in casa, ed era uscita buonissima. L'avevano mangiata davanti a un buon film, il preferito di sua madre, Titanic. Amy non riusciva proprio ad apprezzarlo, ma fece lo sforzo di vederlo comunque, per rendere Rachel felice.
Purtroppo i suoi buoni propositi non ebbero effetto e si addormentò dopo pochi minuti.
Come al solito non fu un sonno ristoratore: fece di nuovo quegli inquietanti incubi. Ombre, sussurri, e rosso sangue.
Si svegliò di soprassalto mentre i titoli di coda scorrevano sullo schermo. Si guardò intorno e incontrò gli occhi sorridenti di sua madre. Dopo qualche esitazione, ricambiò il sorriso: voleva solo andarsene a letto. - Mà, sono stanca, ci vediamo domani - disse, alzandosi dal vecchio divano rosso; e in pochi secondi, uscì dalla stanza.
Salendo le scale si sentì pervadere da un grande senso di stanchezza. Possibile che un semplice incubo ripetuto potesse ridurla così?
Entrò in camera e, chiudendosi la porta alle spalle con un calcio, si buttò pesantemente sul morbido piumone verde, che attutì il colpo. Aveva paura di chiudere gli occhi. Per quanto potesse sembrare stupido, Amy aveva ormai paura di quegli incubi. Sapeva che non erano solo sogni. Sapeva che c'era qualcosa sotto. Ma cosa?
Come faceva sempre in momenti come quelli, Amy pensò a suo padre. Si sforzò di pensare che forse era lui. Che forse era vivo e cercava di contattarla. Combatté contro il pensiero che fosse qualcos'altro, di ben più feroce e cattivo.
Non sapeva che in realtà erano entrambe le cose.

***

La ragazza aprì gli occhi e non vide nulla. Capì che era ancora buio.
Amy si stropicciò gli occhi e si toccò le gote fredde: si era addormentata, chissà come, mentre era sdraiata sul letto. E per fortuna, non aveva fatto il solito sogno che la perseguitava da quasi un mese.
Aveva sonno. Non si preoccupò nemmeno di mettersi il pigiama: si tolse la felpa e lasciò cadere le pantofole, poi scivolò direttamente sotto le coperte calde, rabbrividendo. Perché aveva così freddo?
Sentì un fruscio. Alzò gli occhi verso la finestra e si accorse che era aperta. Il vento gelido scivolava nella sua camera, gonfiava le tende bianche e si infilava sotto le coperte senza alcuna pietà per lei. La costrinse ad alzarsi per chiudere la finestra.
Leggermente irritata, ma intenzionata a proseguire il suo sonno, Amy si rassegnò a doversi alzare dal suo comodo letto. Prima di chiudere guardò fuori. Il cielo blu scuro era costellato da un'infinità di stelle luccicanti, ma la luna piena era già passata.
Amy sospirò, chiudendo le tende, e tornò al suo comodo letto.
Forse era troppo stanca per accorgersi di quei due occhi color rosso sangue che la stavano fissando.

***

Era un bel mattino a Penrose. Per la prima volta dopo mesi, Amy sentiva gli uccellini cantare. O forse era la sua immaginazione?
La ragazza cercò le pantofole. E come al solito, trovò solo la destra.
Con la seria voglia di far fuori Midnight scese le scale, ma inciampò e per poco non cadde. Tenendosi alla ringhiera guardò dietro di sé, per vedere l'oggetto che aveva rischiato di farla rotolare a terra come un sacco di patate. Non era un oggetto, o meglio, era una palla di pelo.
"Pensi al diavolo..." sorrise Amy, prima di esclamare - Midnight! Che diamine ci fai qui? -
La palla di pelo non si mosse.
 - Midnight? - Amy si avvicinò cautamente. Sentì un debole miagolio... o forse era un ringhio?
 - Midnight! - la ragazza chiamò ancora.
Il gatto si alzò con aria ostile. Soffiò e poi sgattaiolò su per le scale, lasciando dietro di sé una Amy interdetta. La ragazza alzò le spalle. - Uhm, nervosetti oggi, eh? - gli disse, pur sapendo che non poteva sentirla. Contrasse il viso in una smorfia e continuò a scendere le scale. Improvvisamente sentì un rumore in cucina. Un rumore sospetto.
Amy drizzò le orecchie e, lentamente, entrò in cucina in punta di piedi. Sospirò di sollievo quando vide la madre trafficare con pentole e fornelli.
 - Mamma! Che ci fai a casa? - disse, sedendosi disinvolta su uno sgabello di cuoio rosso, a fianco del muretto.
 - E' sabato, è il mio giorno libero, non ricordi? - disse la madre con tono divertito. - Vieni, ti ho preparato la colazione.
"Mmm... frittelle! Finalmente una mamma degna di questo nome!" pensò Amy, rimboccandosi le maniche.
 - Perché sei già vestita? - chiese Rachel, sedendosi al tavolo e guardando la figlia con affetto.
 - Mi sono addormentata così, ieri sera, - rispose Amy a bocca piena. La madre si limitò ad annuire, continuando a fissarla amorevolmente.
Amy si sentì apprezzata ma anche stranamente a disagio. Rachel non l'aveva mai guardata così, mai riempita di attenzioni in quel modo.
Era troppo... da mamma, non da professoressa. Quegli occhi la scrutavano in modo inquietante.
 - Attenta, o farai finire i tuoi capelli nel piatto, - sentenziò la solita Rachel, allungando una mano verso di lei.
 - NO! - urlò Amy, ritraendosi. Avrebbe scoperto le orecchie.
Anche sua madre si ritrasse, come ferita. Amy si sentì un po' in colpa per averla respinta in quel modo, proprio ora che finalmente cominciava ad interessarsi a lei e ad essere affettuosa. Ma proprio non se la sentiva di mostrarle quelle orecchie, dopo tanti anni.
C'era stata una sola persona ad averle viste, Matt. Era il suo migliore amico quando entrambi avevano circa nove anni. Stavano giocando allo stregone cattivo e alla principessa. "Ah, ti trasformo in mostro!" aveva esclamato Matt, saltandole addosso. E aveva così scoperto le orecchie.
Era rimasto a bocca aperta, Amy se lo ricordava. E ricordava anche cosa gli aveva detto. "Non lo dire a nessuno, ma io sono un'umana speciale, sono una fata senza poteri...un'elfo!". Nessuno avrebbe mai potuto crederci, nessuno. Ma Matt sì.
E per la prima volta, Amy capì quanto era facile mentire.
Con sua madre non ce n'era mai stato bisogno. Quelle orecchie erano cresciute con lei, erano cambiate come cambia il corpo durante l'adolescenza. E dato che lei aveva imparato a prendersi cura di sé stessa fin da quando aveva cinque anni, non era sorto alcun problema né domanda sul perché portasse i capelli così lunghi e non li raccogliesse mai.
Amy aveva paura che un giorno quelle orecchie strane sarebbero cresciute ulteriormente, finché sarebbe stato impossibile nasconderle. Prima o poi avrebbe dovuto chiedere spiegazioni sulla loro provenienza alla madre.
Ma non ora.
 - Scusa, mamma, - disse allora, abbassando gli occhi. Poi le sorrise. - Sono solo un po' nervosa.
La madre sorrise di nuovo. - Tranquilla, tesoro. Ora vai che hai scuola.
Amy annuì, spazzolò in un lampo l'ultima frittella e corse di sopra a vestirsi. O meglio, a risolvere il dilemma del Cosa-mi-metto.
Lo risolse in pochi minuti, con il solito sistema: pescò a caso una gonna nera e un corpetto di seta dello stesso colore, infilò gli stivali, prese la tracolla di Nightmare Before Christmas e corse fuori, infilando al volo la giacca.
A scuola Amy si perse nei suoi pensieri fin dalla prima ora. Forse era troppo stanca per concentrarsi; non appena abbassava lo sguardo sul libro di storia, si sentiva girare la testa e le tornavano agli occhi tutte le immagini dell'incubo.
Alla terza ora era già completamente distrutta. Alzò la mano e chiese di andare in infermeria.
Uscì nel corridoio deserto. Le finestre erano aperte ed Amy poteva vedere il sole nascosto dietro le nuvole. Non era un bel clima, anzi, infondeva una profonda tristezza e trasformava i bellissimi occhi azzurro ghiaccio della ragazza in cupi occhi grigi.
Amy svoltò a destra e si trovò nel bagno delle ragazze. Aprì l'acqua del lavandino e si sciacquò il viso, attenta a non rovinare il trucco pesante sugli occhi. Chiuse l'acqua, si asciugò le mani sulla gonna e alzò gli occhi sullo specchio. Il suo volto si rifletté. Ma forse non era il suo volto.
Era strano. Aveva gli occhi rossi e luccicanti, e sorridendo notò che possedeva due lunghi canini bianchi e sporgenti.
Amy chiuse gli occhi e respirò a fondo: probabilmente era così stanca da avere le allucinazioni.
Quando li riaprì - prima uno, poi l'altro, con cautela - nello specchio c'era solo una ragazza pallida dall'aria stanca. Nessun vampiro.
Sospirò di sollievo ed uscì, ma non era ancora pronta a tornare in classe. E c'è forse qualcosa di meglio del sedersi su un davanzale e guardare fuori?

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Capitolo 4
*** The mirror ***


Un mese era passato, ed Amy era sempre più stanca: l'incubo la tormentava al punto di farle passare la voglia di fare qualsiasi cosa.
Aveva quasi smesso di mangiare e aveva del tutto perso la voglia di studiare. Passava le giornate sul vecchio divano rosso, a occhi chiusi, cercando di recuperare il sonno perduto e la salute già fragile prima.
Sua madre decise di tenere sua figlia a casa per qualche giorno. Amy avrebbe dovuto essere felice per la sua piccola vacanza a casa.
Invece, la notizia le scivolò addosso. Quando sua madre le consigliò di andare a letto, la ragazza si alzò sulle gambe scheletriche, schiuse le labbra in un debole sorriso, e si trascinò lungo le scale.
Rachel si preoccupava sempre più della salute di sua figlia, ma che poteva fare? Amy non voleva mai essere aiutata, era una persona solitaria, orgogliosa ed indipendente: le uniche cose che la madre sapeva di lei, si accorse.
Guardò la figlia sparire oltre la porta della sua stanza e provò per la prima volta un sentimento strano: sentì Amy come una sconosciuta.
Mai avrebbe pensato che avrebbe potuto provare una cosa simile per il sangue del suo sangue, eppure era così. Non conosceva sua figlia. Poteva intuire il suo colore preferito e sapeva che musica ascoltava, ma le sue conoscenze finivano lì. Potevano avere lo stesso colore di capelli o la fisionomia, ma era un fatto puramente genetico. Non c'era nulla che legasse davvero quella madre a quella figlia.
Rachel salì le scale fino alla porta di Amy, chiusa. Esitò un secondo prima di bussare piano. Nessuna risposta. Aprì la porta.
La camera fu inondata dalla debole luce proveniente dal corridoio. Rachel vide la figlia nel suo letto, sembrava dormire profondamente; si avvicinò per posarle una mano sul viso. Le sue dita fredde a contatto con il calore della guancia di Amy rabbrividirono. Amy emise un debole lamento.
Rachel non poteva vederla ansimare e sudare, contorcersi, contrarre il viso in smorfie: era troppo buio.

***

Per l'ennesima volta, Amy si svegliò di soprassalto, urlando. Riprese fiato e si guardò intorno. Tutto a posto: niente sangue, niente ombre, niente di niente.
Nonostante ciò, non riusciva a tranquillizzarsi. Ricordava distintamente di aver sognato degli occhi rossi brillare, alla fine del solito incubo, e questa variazione la spaventava. Si sentiva stranamente inquieta, ma anche... in forma. Per la prima volta dopo tanto tempo.
Con cautela mise un piede a terra. Non si sentì affaticata come le altre volte quando si alzò: fece un debole saltello sul posto e si sentì perfettamente bene, non le mancava il fiato.
Com'era tornata in forze?
Si osservò le mani nel buio, come se lì ci fosse la risposta alla sua domanda. Mosse qualche passo verso il bagno, inciampò nel tappeto e per poco non cadde a terra.
Tenendosi vicino alla parete uscì nel corridoio, la cui unica luce proveniva dalla finestra accanto alla sua stanza. La luna brillava come un grande globo d'argento nel cielo blu scuro. Amy sospirò: temporale in arrivo.
Improvvisamente ebbe una vertigine. Si appoggiò alla maniglia della porta bianca, che si aprì. La ragazza accese la luce e si avvicinò allo specchio, a occhi chiusi, per paura di cadere.
Quando aprì gli occhi urlò. Non era lei, quella riflessa nello specchio. Alcuni tratti somatici erano simili. Ma gli occhi erano di nuovo rossi e luccicanti, sgorgavano sangue, e possedeva due lunghi canini bianchi... come si era vista a scuola qualche mese prima. I capelli corvini e viola danzavano intorno al suo viso, spinti da un vento che non c'era. Si portò una mano al volto. Quella riflessa nello specchio aveva lunghe unghie... sporche di sangue.
Amy si allontanò dallo specchio, spaventata, e corse nel corridoio. Si chiuse la porta della camera alle spalle e si infilò sotto le coperte calde, tremando come una foglia. Era davvero lei, quella? Cosa stava diventando?
Si sforzò di dormire. Chiuse gli occhi, ancora tremando, e le lacrime presero a scendere. La situazione andava avanti da mesi e non ne poteva più. Voleva solo che tutto questo finisse. Gli incubi le stavano rovinando la vita.
Ma con chi poteva prendersela?

***

Erano le sette del mattino e il sole splendeva già. Eh sì, Amy si era sbagliata, la notte prima: non c'era affatto un temporale in arrivo, bensì uno splendido sole.
Amy era seduta sul davanzale della finestra e scrutava il mondo dalla finestra aperta. Le tende bianche si muovevano appena, spinte dal vento leggero.
Per la prima volta, Amy aveva visto l'alba sorgere. Non aveva dormito affatto, malgrado i buoni propositi. Fortunatamente si sentiva in forma.
Saltò giù dal davanzale e aprì l'armadio, sorridendo. Sapeva già cosa voleva mettersi.
Scelse dei semplici pantaloni neri e un corpetto comprato sei mesi prima, durante la gita a Londra. Lo indossò con dei guanti a rete e i soliti anfibi, poi andò in bagno, un po' preoccupata da ciò che avrebbe potuto vedere. Ma stranamente, non sentiva più la paura della notte prima.
Vedersi allo specchio fu per lei un sollievo: era sempre lei. Soliti occhi azzurro ghiaccio, soliti capelli lisci e lunghi, solito viso pallido. Si lavò il viso e i denti, si pettinò in fretta e furia e tornò in camera per truccarsi.
Come sempre si mise tanto eye-liner, forse troppo, e un pizzico di ombretto nero. Prese la borsa e scese le scale, correndo in cucina.
- Ciao, mamma! Sto bene, vado a scuola! - disse, facendo una giravolta su sé stessa. Afferrò una brioche dal bancone e si sedette sul suo sgabello preferito, masticando.
La madre per poco non fece cadere un piatto per la sorpresa. - Come ti senti bene?! Ieri sera eri uno straccio!
- Ma ieri sera era ieri sera! Sto bene, vedi? - disse Amy, e sorrise. Era uno di quei sorrisi che non ammettono repliche, per cui Rachel sospirò, le mise in mano un sacchetto pieno di biscotti e le disse: - Questi però mangiali per merenda, ho paura che tu ti indebolisca. Buona scuola. - la baciò in fronte e tornò a lavare i piatti.
Amy finì la brioche in fretta e scese dallo sgabello. Pochi secondi dopo, Rachel sentì la porta sbattere.
E la casa tornò in silenzio.

***

Commenti:
Prima di tutto, scusate se aggiorno con capitoli così brevi, ma ho veramente poco tempo =P spero abbiate pazienza!
Intanto vi ringrazio, è bello ricevere complimenti per i miei scritti... ma mi raccomando non esitate con le critiche ^^
@ KeR: Matt arriverà, credo... per ora ho qualche idea, comunque grazie ^^
@ kamy: Grazie per i complimenti... per ora non posso dirti cosa sia Amy però =P
@ kikietta182: Grazie... beh per ora non ho in programma di portare avanti Mellie, sono in crisi con quel racconto .-. ma vedrò di provvedere appena mi torna l'ispirazione! ^^
@ Gigiatt: guarda tesoro non avevo dubbi che ti piacesse questa xDxD grazie!
@ Ladystorm94: grazie mille ^^ non ti preoccupare che continuo xD
Grazie ancora... al prossimo chappy ^^

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Capitolo 5
*** Animal I've become ***


Amy stava camminando per strada, senza fare attenzione a dove andava. Dopotutto non ne aveva bisogno: per arrivare a scuola non doveva attraversare spesso. Inoltre, era troppo occupata a osservare affascinata la sua nuova camminata elastica, piena di energia: un po' correva, un po' saltellava. E non era minimamente stanca.
Arrivò a scuola canticchiando, con l'iPod che trasmetteva i Blessthefall a tutto volume. Sedette al suo posto e, di nuovo, fissò il cielo. Improvvisamente sentì tutta la luce del sole come un fastidio, le accecava gli occhi e le bruciava dentro. Si spostò impercettibilmente verso l'ombra, sul lato destro della sua classe, e si sentì subito meglio.
Stranamente non ricordava che materie avrebbe avuto quel giorno, ma non le importava. Sicuramente aveva qualche vecchio quaderno nella borsa: avrebbe preso appunti con quello. Poggiò il mento sulla mano e si guardò intorno: i suoi compagni stavano prendendo posto. Non era ancora l'ora dell'inizio delle lezioni, quindi tutti facevano le cose con calma, ridendo e scherzando. Qualcuno, come lei, ascoltava musica; qualcun altro era attaccato al cellulare, sicuramente a parlare con la propria ragazza; qualcun altro copiava i compiti, a testa china sul libro.
Amy, semplicemente, guardava. Come sempre in silenzio, muovendo appena la testa a ritmo di Times like these, vedeva la gente che andava e veniva e non gliene importava nulla. Guardava con gli occhi, ma con la mente era da un'altra parte. Si era persa nel suo mondo. Un mondo dove le cose stupide e inutili non esistevano: c'erano solo lei e la sua adorata musica.
E quel mondo rimase con lei per tutta la giornata, pulsandole nel cervello per impedirle di pensare.

***

Quel pomeriggio, Amy ricevette una telefonata.
Non se l'aspettava di certo: lei non aveva amici che potessero chiamarla. Era a casa da sola, ma non stava facendo i compiti come suo solito; guardava una fiction alla televisione senza il minimo interesse. Il telefono squillò. Di malavoglia, Amy si alzò dal divano e strisciando i piedi a terra andò al tavolo, dove il cordless giaceva abbandonato su un libro. Lo sollevò e premette il tasto verde. - Pronto?
 - Amy? - la voce era lontana e sconnessa. Ricordava qualcosa di familiare, ma la ragazza non riuscì a capire cosa.
 - Pronto? - ripeté Amy, cercando di capire a chi appartenesse quella voce bassa e grave.
 - Amy? Sono Matt! - disse la voce.
No.
Amy non poteva crederci.
Non poteva essere quel Matt.
 - Matt chi? - chiese, per esserne sicura.
 - Andiamo, Amy, so che sei tu. - la voce non ammetteva repliche, perciò Amy si arrese.
 - Sì. Sono io.
 - Sono tornato.
 - Davvero?
 - Sì.
 - E...?
 - E... vorrei vederti, per lo meno per sapere come sei diventata in sette lunghi anni. - La voce roca e profonda di Matt, con quel tono scherzoso, la fece ridere.
 - D'accordo. Quando?
 - Domani. Al vecchio parco giochi. C'è ancora, vero?
 - Certo... a domani. Alle tre?
 - Alle tre. Ciao.
Amy troncò la telefonata, quasi sbattendo il telefono sul tavolo. "Ups", pensò. "Forse ci ho messo troppa energia".
Non sapeva bene come sentirsi dopo aver parlato con Matt. Era passato tanto, troppo tempo dall'ultima volta che si erano visti. Chissà quant'era cambiato e soprattutto, dopo aver scoperto la vita sociale di Amy, quanto avrebbe voluto frequentarla.
Persa in questi pensieri, Amy spense la televisione per accendere lo stereo: Animal I've become, Three Days Grace.
Alzò il volume e si diresse in cucina, affamata.
"Perché vuole vedermi? Sono passati sette anni. Non abbiamo più nulla in comune. Niente da spartire", pensò Amy, prendendo la scatola di cereali. Quando era sovrappensiero e doveva riflettere, mangiava i cereali. Così, senza latte né altro, pescandoli direttamente dalla confezione.
Per cui prese la sua scatola di cornflakes e tornò in salotto, a sdraiarsi sul solito, vecchio divano. Nonostante tutta l'energia che sentiva, preferiva stare sul divano a riposarsi piuttosto che utilizzarla subito.
Infilò una mano nella scatola dei cereali per prenderne qualcuno. Appena li mise in bocca, però, dovette sputarli: avevano un sapore orrendo.
Forse erano scaduti. Amy controllò sulla confezione, dove c'era la data di scadenza: ma no, mancavano ancora dieci mesi.
Per sicurezza, comunque, li buttò nel cestino, non senza qualche smorfia schifata, prima di tornare al frigo e scegliere qualcos'altro per merenda.
Aprì lo sportello e rimase lì, a farsi osservare dalle uova sul secondo ripiano. Dato che amava fare le cose a caso, decise che avrebbe chiuso gli occhi e scelto così. Si lasciò guidare da un odore particolare, più buono degli altri.
Ed ecco una bistecca fresca. Amy la osservò, indecisa sul da farsi. Non poteva mica mangiarsi una bistecca intera per merenda.
Ma, dopotutto, aveva fame.
Aprì la confezione, prese coltello e forchetta e cominciò a mangiare.

***

Amy, finita la merenda, si alzò per posare il piatto in lavastoviglie. Senza pensarci, andò al lavandino e rovesciò il piatto in senso verticale, per leccare le ultime gocce di sangue. A metà del lavoro si fermò.
Che stava facendo? ...aveva mangiato una bistecca... senza cuocerla?
Eppure era così buona...
Amy sciacquò in fretta il piatto e corse su per le scale, un po' stranita. Sapeva cosa doveva fare: stava tornando a guardarsi allo specchio, a quel vecchio specchio d'argento, mentre la canzone dei Three Days Grace suonava ancora.
E questa volta, lo specchio avrebbe mostrato la verità.

Somebody get me through this nightmare

I can't control myself...

***



Commenti
E anche stavolta mi scuso per il capitolo corto e ringrazio coloro che mi stanno seguendo...
@ JaneDoe: grazie cara => spero che questo capitolo ti sia piaciuto!
@ Carlos Olivera: grazie per aver letto... pensavo che non ti interessasse più ^^' ad ogni modo... scoprirai presto cos'è in realtà Amy, vedrai =)
@ kikietta182: anche tu tra poco lo scoprirai cos'è Amy, anzi, lo scoprirete tutti xD grazie per aver letto nel frattempo!
@ ladystorm94: wow quanti complimenti...così arrossisco xD grazie mille!
Spero che questo capitolo, seppur breve, vi sia piaciuto... a presto!

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Capitolo 6
*** Silence ***


Amy era pronta alla terribile verità. A vedersi di nuovo in uno stato che non era il suo.
Ma quando si avvicinò allo specchio, non vide niente di strano. Era lei, proprio lei.
Rimase leggermente perplessa da quell'immagine così... normale. Si aspettava qualcosa di diverso, dopo la sua merenda a base di sangue animale e carne cruda. Qualcosa che avesse i canini lunghi e appuntiti, per esempio, o gli occhi rossi e luccicanti.
"Che mi sta succedendo?" si chiese, angosciata. Forse stava impazzendo e aveva seriamente bisogno di aiuto. Ma che avrebbe potuto dire?
Si immaginò la scena. - Ciao mamma, bentornata! Com'è andata a scuola? Senti, devi farmi rinchiudere da qualche parte o prendermi appuntamento con uno psicologo, perché vedo me stessa in versione vampira negli specchi e mangio carne cruda e sanguinolenta! - Ridicolo. Sua madre le avrebbe riso in faccia.
Sperò che sarebbe passata presto, qualunque cosa fosse. Cercò di pensare ad altro, ma l'unico argomento che le veniva in mente era Matt.
Per l'ennesima volta in poche ore, si chiese che cosa volesse da lei. Tentò di ricordare com'era a nove anni. Capelli castani, corti e ricci, e luminosi occhi nocciola. Lo ricordava con la sua maglietta preferita, quella arancione che metteva con i jeans chiari, e quel dente mancante in alto a destra. Chissà se era ancora così.
Sovrappensiero, tornò giù a spegnere lo stereo e poi risalì le scale, diretta al letto. Qui si stese a fissare il soffitto senza scopo.
C'era silenzio.
Ad Amy piaceva fare riflessioni di questo tipo. A volte scriveva poesie, o canzoni, su ciò che pensava e sentiva. Ovviamente, erano cose che nessuno avrebbe mai letto, se ne vergognava troppo. Ma era bello avere una valvola di sfogo.
Si alzò, diretta verso la scrivania, e aprì il secondo cassetto. Sotto una pila di riviste di musica rock c'era un quaderno, il suo quaderno speciale, dove annotava tutto ciò che pensava. Lo prese e si sedette, afferrando una penna, pronta a scrivere di getto le parole che le vorticavano nella mente.

E quando fuori piove
E il vento gelido soffia
attraverso questo spiraglio di luce
E noi siamo bloccati
in questo mondo grigio
dove nessuno può smettere di parlare
A volte si è soli
a godere del silenzio
quando nessuno può appannare la propria mente
Le voci mi scivolano addosso
come vapore
Inutili chiacchiere senza alcun senso
Smettete di parlare.

Amy richiuse il suo quaderno con cura e lo posò nel cassetto. Forse era una poesia senza senso, e sarebbe stato più sano scrivere un diario personale.
Sì, avrebbe potuto scriverlo, ma a che scopo? Le sue compagne l'avevano e non facevano che scrivere cose stupide come "Robyn ama David" su tutte le pagine. Lei era alla ricerca di qualcosa di più profondo, e soprattutto si sentiva più riflessiva di loro. Sentiva la gente intorno a sé come superficiale e non riusciva a cambiare idea.
Anche quand'era più piccola frequentava poco gli altri bambini, interessati solo a giochi come Barbie e costruzioni. Non facevano spesso i giochi che piacevano a lei, quelli dove si vola con la fantasia. Solo Matt amava questo genere di cose e ciò spiega come iniziò la loro amicizia.
Quando Matt le aveva annunciato che si sarebbe trasferito, entrambi si erano disperati. Avevano pianto per giorni interi. Anche Matt aveva pochi amici e pensava che Amy fosse senza dubbio la migliore. - Ma perché? - aveva chiesto lei, disperata: non voleva perdere il suo unico amico. Matt aveva detto che era per il lavoro di suo padre. Amy non sapeva che lavoro facesse quest'ultimo, ma poco importava: il suo amico se ne stava andando per sempre.
Ed ora eccolo rispuntare nella sua vita. Chi l'avrebbe mai detto! Quasi sorrise, al pensiero di rivederlo. Chissà quant'era cambiato...

***

Il giorno dopo, Amy era pronta. Aveva dormito parecchio - senza alcun incubo, perciò si sentiva molto in forma.
Era appena tornata da scuola e non vedeva l'ora di incontrare Matt. Si era vestita e pettinata in pochi minuti, cercando di mantenere la calma. Era un po' nervosa; in fondo dopo sette anni le persone cambiano parecchio, e chissà com'era diventato il suo compagno di giochi.
Respirò a fondo, si guardò allo specchio un'ultima volta, sorridendo al pensiero del viso del piccolo Matt, a come l'avrebbe guardata stupito, ed uscì.
Non riuscì a trattenere un sorrisetto mentre camminava per strada. Era una giornata calda, nonostante il sole fosse coperto dalle nuvole e tirasse un forte vento.
Amy fece un piccolo saltello, girando l'angolo. Era sempre più vicina al parchetto. Cercò di ignorare la forte sensazione di paura alla bocca dello stomaco e si costrinse ad andare avanti.
Il parco giochi era un piccolo spiazzo erboso che, chissà perché, era stato costruito tra due case dalla recinzione alta. Non ci andava più nessuno, ormai era quasi abbandonato. Gli unici suoi frequentanti erano ragazzi sui diciassette anni, e si vedeva dalle sue condizioni: bottiglie rotte e mozziconi di sigaretta ovunque. Amy non ci andava da almeno un anno, o forse più. Non ricordava più per quale motivo ci era stata l'ultima volta.
Amy aprì la recinzione e si infilò nel parco giochi, chiudendosela rapidamente alle spalle, e si guardò intorno.
Tutti i giochi erano arrugginiti e la vernice era venuta via a tocchi. Il vecchio scivolo rosso era ora di un rosa sbiadito, mentre il recinto di sabbia ormai di recinto aveva ben poco. Le altalene scricchiolavano sinistramente, mosse dal vento, mentre la panchina era per metà incenerita: doveva essere stata una delle solite bravate.
Amy si avvicinò alla panchina, indecisa se sedersi o no. La guardò e rabbrividì dallo schifo: resti di cibo, pezzi di vetro, tappi rotti, mozziconi e vecchie gomme da masticare ricoprivano la vernice verde. Era disgustoso.
La ragazza si appoggiò a un palo, in attesa. Matt era leggermente in ritardo.
Non sapendo che fare, osservò la gente che passava. Un'anziana donna a spasso con il cane; un uomo calvo con una ventiquattrore in una mano e un quotidiano nell'altra; un ragazzo dall'aspetto inquietante, il cui sguardo era coperto da un ciuffo di capelli neri; una donna piuttosto giovane con una borsa della spesa.
Il ragazzo indugiò attorno al parco giochi, poi aprì la recinzione e ci si infilò anche lui, chiudendosela alle spalle. Amy si chiese chi fosse e che ci facesse lì, da solo, a quell'ora.
Il ragazzo si appoggiò allo scivolo con la spalla. Amy lo guardò. Non sopportava quell'aria da bullo che indossava come se questa facesse parte dei suoi vestiti. Indossava una giacca di denim nera e dei jeans larghi e con il cavallo basso dello stesso colore, su cui spiccava una cintura con delle borchie rosse e argento. Sotto la giacca, si intravedeva una maglietta con la scritta "Judas Priest" in blu. I capelli erano lunghi e neri e coprivano la maggior parte del viso, ma Amy riuscì a scorgere un piercing sul labbro.
Il ragazzo si scostò per un momento i capelli dalla fronte. Amy notò un altro piercing, al sopracciglio destro, e finalmente vide i suoi occhi. Degli occhi nocciola che non avrebbe mai potuto dimenticare.
 - Matt? - lo chiamò. Il ragazzo sobbalzò come se qualcuno gli avesse dato una scossa. - Eh? Chi è?
 - Matt... sono io! - Amy guardò incredula quel ragazzo: non poteva essere Matt, era troppo diverso da quel bimbo che ricordava.
 - Amy? - chiese il ragazzo, stringendo gli occhi stupito. La ragazza si lanciò una rapida occhiata. In effetti, anche lei era cambiata parecchio.
 - Sì, sono io, - disse allora, avvicinandosi a lui. Si fissarono a vicenda, fingendo di lanciare sguardi casuali.
 - Sei così... diversa, - disse allora lui, esitante: non sapeva che fare, se abbracciarla, stringerle la mano, o continuare a restare nella sua posa ostile.
 - Beh, anche tu, - sorrise Amy, toccandogli una spalla.
Anche Matt sorrise. - Mi sei mancata.

***

Commenti
Alloooora, prima di tutto salve =D
Poi, lo so che lo scrivo in tutti i capitoli, ma mi scuso perché come sempre è troppo corto xD presto modificherò la storia e aggiungerò dei dettagli.
Dunque.
@ Carlos Olivera: Mmm credo che avrai qualche sorpresa ma non ne sono sicura xD sinceramente, non ho pianificato la storia, se non a grandi linee. Sta uscendo da sola!
@ KeR: Mellie la continuerò ù.u e comunque Amy è sempre meno strana di te xDxDxD
Al prossimo capitolo!

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Capitolo 7
*** Blood ***


Entrambi erano un po' timidi, pur conoscendosi fin dall'infanzia. Ormai erano due persone diverse, notò Amy, fissando negli occhi mister aria-da-bullo. Trovava quello sguardo inquietante, la metteva a disagio. Non era familiare.
Non voleva però perdersi in questo genere di pregiudizi, perciò chiese a Matt se volesse andare a fare una passeggiata da qualche parte.
 - No... ho poco tempo. - La risposta del suo amico la sorprese non poco. Che diamine doveva fare a quell'ora? - Sono venuto solo per dirti una cosa veloce.
 - E cosa? - chiese Amy, curiosa.
Matt la prese per le spalle e la fissò negli occhi. - Sei in pericolo.
La ragazza vacillò sotto il peso delle braccia di Matt, sorpresa. - Io sono cosa?
 - In pericolo, Amy. Non cedere all'istinto, dammi retta, o perderai il gioco.
Lei ci capiva sempre meno. - Ma di che stai parlando?
 - Ora devo andare. - Il ragazzo fece per andarsene, ma Amy lo trattenne per un braccio. - Aspetta! Non puoi ricomparire, dirmi due parole in croce, per di più incomprensibili, e poi sparire di nuovo!
 - E perché no? - rispose Matt, prima di liberare il braccio e allontanarsi.
Amy restò a fissarlo, mentre il vento soffiava forte e le scompigliava i capelli, e le nubi si facevano più scure. Le parve di sentire in lontananza quattro misere parole. - E' stato un piacere.

***

Amy camminava per strada, come in trance, sinceramente perplessa. Matt si aggiungeva alla lunga lista delle cose per lei incomprensibili. Ripeté sottovoce le parole che aveva detto il suo amico prima di sparire: "Non cedere all'istinto, dammi retta, o perderai il gioco". Chissà di cosa stava parlando.
Sentì la rabbia crescere dentro, pensando all'ex dolce visino di Matt, ora diventato una specie di bullo. L'innocenza nei suoi occhi era sparita. Ad Amy non piaceva quella versione del suo compagno di giochi. Lo voleva come prima.
Ma si rese conto che era impossibile che le cose tornassero come prima. Troppo tempo era passato dall'ultima volta che si erano visti e non c'era più quel legame affettivo. L'aveva dimostrato lui stesso, solo pochi minuti prima, allontanandosi senza neanche un ciao.
Si chiese da dove spuntasse fuori, dopo tutti quegli anni, e perché. Si chiese come mai fosse venuto proprio da lei a darle quello strano avvertimento.
Si chiese tante, troppe cose, e non trovò nessuna risposta. Ci pensò a lungo, anche mentre apriva la porta di casa e ci entrava, volando verso il telefono per controllare la segreteria.
Come se Matt le avesse lasciato un messaggio.
Scosse la testa,  scalciando via gli anfibi, ed entrò in salotto. Quel tipo era incomprensibile persino per lei, la più strana di tutti.
Amy spalancò gli occhi. Aveva visto un'ombra dietro il divano.
Uscì di corsa dalla stanza, e per poco non inciampò nel tappeto del corridoio. Respirò a fondo. Sicuramente se l'era immaginato.
Rientrò cautamente in salotto, guardandosi bene intorno. Si avvicinò lentamente al divano e guardò.
Due occhi rossi come il sangue la fissavano.
Amy urlò, un urlo agghiacciante, e chiuse istintivamente gli occhi, mentre cercava di correre via. Inciampò di nuovo e cadde. Sentì un rumore di vetri infranti e un forte dolore al braccio, poi qualcosa di caldo e appiccicoso. Sangue.
Riaprì gli occhi, cercando di sfuggire, ma quando guardò verso il divano si accorse che non c'era nessuno.

Salì le scale, tenendosi forte il braccio sanguinante. Si era solo tagliata con un pezzo di vetro, nulla di grave, per fortuna, ma era meglio medicarlo in ogni caso.
E nascondere l'ex statuetta di cristallo prima che sua madre si accorgesse del disastro.
Entrò in bagno ed aprì l'armadietto delle medicine. Era così turbata che le tremavano le mani mentre cercava il disinfettante e qualche benda. Non era possibile che fossero tutte allucinazioni. Non poteva crederci.
Forse sto diventando pazza, pensò, svitando il tappo del disinfettante e preparandosi al dolore.
Tamponò la ferita con un asciugamano, e poi ci diede sotto con il disinfettante.
Cercò di trattenersi dall'urlare per qualche secondo. Poi prese le bende e iniziò a legarle sul taglio, riflettendo.
Quelle visioni le stavano condizionando la vita.
Perché erano solo visioni.
Tentò di convincersi che fosse tutta questione di allucinazioni, e che non c'era niente di reale. Ma aveva bisogno di risposte. Di certo non poteva chiederle alla madre.
Ma a chi?
Amy si guardò allo specchio, mentre stringeva l'ultimo lembo di benda. Aveva i capelli arruffati, gli occhi rossi, un'espressione distrutta. E con suo immenso disappunto, dalla chioma corvina spuntava un orecchio appuntito.
E poi ebbe un'illuminazione.
Suo padre.
"Devo trovarlo," si disse. "Ovunque lui sia. E' strano quanto me. Forse saprà darmi qualche spiegazione".
Si sentì improvvisamente stanca, anche se erano solo le sei del pomeriggio. Decise di riposarsi un po' sul suo letto.
Scese le scale, raccolse i cocci della statua di cristallo e li buttò nella spazzatura, poi pulì quel poco sangue che era colato sul pavimento ed andò in camera. Si stese sul letto, esausta.
Accese lo stereo. Le note familiari di Apology, degli Alesana, si diffusero nell'aria. Amy, infastidita, abbassò il volume finché la musica non divenne un piacevole brusio di sottofondo. Chiuse gli occhi.
Prima di abbandonarsi all'oblio, si ricordò le parole di Matt per l'ennesima volta.
Non cedere all'istinto o perderai il gioco

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Capitolo 8
*** Darkness ***


Quando Amy si svegliò, fuori era buio. La casa era in assoluto silenzio. Probabilmente la madre non era ancora rientrata.
Sollevò il capo dal cuscino, e lo sentì pesante. Aveva dormito troppo poco, forse, ma il risultato era comunque che si sentiva peggio di prima. Si sforzò di alzarsi, spossata, e solo lo stiracchiarsi le fece venire il fiatone.
Neanche a dirlo, il solito incubo. Sempre più vivido. E Amy era sempre più spaventata.
Si alzò e, brancolando nel buio, si diresse a tentoni verso la finestra, dietro la cui tenda si celava l'interruttore della luce. Ma quando lo premette, non accadde nulla. "Accidenti, ci mancava questa" pensò, avvicinandosi alla porta della camera. La aprì e si trovò nel corridoio, ma anche lì l'interruttore non funzionava. Un blackout?
Amy sentì all'improvviso qualcosa di caldo e peloso contro la gamba. Fece un salto all'indietro prima di rendersi conto che era solo il gatto. - Midnight! Mi hai spaventata!
Il micio la fissò nel buio, con quei grandi occhi verdi che sembravano fari e che si vedevano anche nella penombra. Soffiò.
La ragazza gli lanciò uno sguardo interrogativo. Midnight soffiò ancora, sgusciando tra le gambe di Amy per scattare verso la sua stanza.
Amy fece spallucce e scese cautamente le scale, ai piedi della quale trovò il suo cellulare che ronzava allegramente. Forse le era caduto mentre andava a sistemarsi la ferita. Era ancora sul silenzioso.
Lo raccolse: numero privato. Premette il tasto verde. - Pronto?
 - Pronto, tesoro? - era Rachel. Il segnale arrivava molto disturbato, così Amy capì poco o nulla. - Mamma?
 - Sì... asc... erò... rdi... - la ragazza non capiva nulla.
 - Mamma, ascolta, credo ci sia un blackout e...
 - Ai... tr... lla...
Amy, spazientita, troncò la chiamata. Odiava stare al telefono, figurarsi se in più non capiva nulla.
Si infilò il cellulare in tasca e si avvicinò alla finestra. Scostò la tenda di pizzo bianco che odiava tanto per guardare fuori. Le luci c'erano, almeno dai suoi vicini.
Per assicurarsi di essere sveglia, tentò di nuovo di accendere la luce e, quando non ci riuscì, si diede parecchi pizzicotti. O erano saltate tutte le lampadine, o qualcuno aveva staccato la corrente a casa sua.
Era più probabile che fossero saltate tutte le lampadine. Stava decisamente diventando paranoica.
Ma se non era così, perché aveva la sensazione che qualcuno la stesse fissando?

***

Quando Rachel entrò in casa, trovò sua figlia sul divano, con una candela quasi del tutto consumata tra le mani e lo sguardo fisso nel vuoto. - Tesoro? - la chiamò, come a risvegliarla. Infatti Amy fece un piccolo salto e la guardò spaventata. - Eh?
 - Tutto bene? Perché la casa è al buio?
Entrambe erano domande a cui Amy non sapeva rispondere. Si limitò a fare spallucce, come aveva fatto qualche ora prima con Midnight.
Aveva visto cose così spaventose che nemmeno lei credeva di essere sana mentalmente. Non era sicura di stare bene.
Ma non si sentiva male. Solo... strana.
Un momento prima era più debole e il momento dopo molto più forte. Sapeva che le sue visioni c'entravano qualcosa, ma non sapeva cosa e fino a che punto.
E ora questo.
Le due ore più brutte della sua vita.
Aveva brancolato nel buio fino a trovare una candela bianca simile a un cero da chiesa e l'aveva acceso. Poi, aveva vagabondato per casa, irrequieta. Vedeva strane ombre, si sentiva osservata. Forse era parte di un film dell'orrore e non lo sapeva.
Tutte quelle visioni, nel buio, le facevano ancora più paura. A volte, persino una risata malvagia si diffondeva per casa, incurante dei gemiti della ragazza. Amy si era portata le mani alle orecchie ed era scivolata a terra, quasi piangendo, convinta di essere pazza. Appena apriva gli occhi si vedeva davanti quelli rosso sangue, e la risata la perseguitava. A un certo punto aveva anche spento la candela, poiché essa proiettava ombre spaventose sul muro.
Aveva cercato a tentoni il divano e si era raggomitolata lì, con le lacrime agli occhi, senza muoversi per due ore.
Rachel la guardò e si avvicinò, porgendole le mani per aiutarla ad alzarsi, ma Amy le rispose con uno sguardo indifferente, come se lei non fosse stata lì. Sua madre dovette prenderla per le spalle per spostarla dal divano. Le sue gambe, immobili da troppo tempo, si rifiutarono di eseguire il comando ed il corpo della ragazza sarebbe caduto sul pavimento se non fossero intervenute le braccia di Rachel.
 - Tesoro ma che succede? - chiese quest'ultima, preoccupata.
 - Mamma... - finalmente Amy si era decisa a parlare. Ma non le piacque ciò che stava dicendo. - Cosa puoi dirmi di papà?

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