Nothing left to say

di EmmaStarr
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** III ***
Capitolo 4: *** IV ***
Capitolo 5: *** V ***
Capitolo 6: *** VI ***



Capitolo 1
*** I ***





-I-



 

Who knows how long I've been awake now

The shadows on my wall don't sleep

They keep calling me beckining

 

 

Alec prese un profondo respiro, rigirandosi tra le mani il messaggio che aveva ricevuto quella mattina. Gli ordini, come al solito, erano chiari e precisi: un altro omicidio, da svolgere con la massima precisione e senza lasciare traccia.

Da quando era entrato nella Gilda, sei anni prima, ricevere missioni in quella maniera era la prassi: allora era solo un ragazzino, ma il nome degli Shadowhunters era noto in tutto il quartiere. Aveva sempre saputo che ci sarebbe entrato, come i suoi genitori prima di lui. Si poteva dire che fossero nati in quella Gilda, lui e i suoi fratelli: si erano allenati fin dalla più tenera età in salti mortali e combattimenti, tutto in preparazione del momento in cui, a dodici anni, sarebbero entrati ufficialmente nella Gilda. Loro tre facevano quasi sempre squadra assieme: Jace sembrava nato per il corpo a corpo, mentre Isabelle era così intelligente da far sfigurare il migliore stratega della Gilda. Alec, lui cercava di fare del suo meglio come spia, ben consapevole del divario che lo separava dai suoi fratelli. Nelle missioni che svolgevano insieme era solito coprirgli le spalle, assicurandosi che niente potesse ferirli; soprattutto Jace, che aveva una vera passione per i guai. Ma se finché erano minorenni le missioni riguardavano trafficanti di armi furti, o rapimenti, da quando Alec aveva compiuto diciott'anni aveva iniziato a ricevere missioni riguardanti direttamente l'omicidio. Erano missioni solitarie, che non poteva svolgere in squadra con i suoi fratelli. Jace e Isabelle non avevano ancora ucciso nessuno, quindi Alec non poteva sfogarsi con loro riguardo quell'atroce buco nero che sentiva in fondo allo stomaco, ma… ma a volte era semplicemente troppo dura.

Non che gli Shadowhunters fossero così male. Era un'associazione criminale un po' strampalata, con a capo un gruppo di vecchi bacucchi -il Conclave, come gli piaceva farsi chiamare- interessati solo ai loro affari ma con un innato quanto bizzarro senso di giustizia: infatti non uccidevano mai persone innocenti. Si limitavano a combattere gli affiliati della Demons, un'altra Gilda di quartiere famosa per la sua crudeltà. Piuttosto che entrare a far parte di un'associazione del genere Alec e i suoi fratelli avrebbero preferito morire, ma gli Shadowhunters… insomma, con loro era diverso: aiutavano le persone. In più, capitava che reclutassero i propri adepti direttamente dalla strada, per dare una possibilità a chi non l'aveva mai avuta. In generale Alec era felice della vita che conduceva, ma quel biglietto continuava a bruciargli tra le dita. Questa volta la missione era molto più complicata del solito, perché la persona che doveva uccidere non apparteneva alle fila dei Demons. Era figlio di uno dei loro massimi esponenti, un certo Asmodeo, però non era mai entrato nella Gilda: stando a quando diceva il biglietto era uno degli Warlocks, una Gilda formalmente alleata con gli Shadowhunters, anche se in realtà i rapporti erano sempre stati fin troppo tesi. Gli Warlocks in realtà non davano fastidio a nessuno: si limitavano più che altro a organizzare un sacco di feste e a vivere alla giornata. Nonostante ciò erano buoni informatori, e non si facevano pagare troppo per compiere certi lavoretti sporchi. In ogni caso, a giudicare dal messaggio, questo Warlock in particolare passava informazioni ai Demons, e ciò andava decisamente contro gli Accordi: si trattava di leggi non scritte che esistevano tra Warlocks, Vampires, Werewolves, Fairies e Shadowhunters, le cinque Gilde più influenti di tutta New York.

«Quindi sembra proprio che dovrò ucciderti» sospirò Alec fra sé e sé, lanciando il biglietto nel fuoco. «Magnus Bane.»

 

* * *

 

Who knows what's right, the lines keep gettin' thiner

My age has never made me wise

I keep pushing on, and on, and on, and on...

 

 

Magnus sospirò, passandosi una mano sulla fronte con aria melodrammatica: essere uno dei principali membri degli Warlocks e organizzare nello stesso tempo delle feste fantastiche era davvero troppo, troppo sfiancante!

Quel giorno c'era stata la riunione generale dei membri fondatori: Ragnor era arrivato in ritardo, come ultimamente succedeva fin troppo spesso -avrebbe dovuto fare un salto da Raphael, così, per sapere come stava-, e alla fine non avevano concluso nulla, come al solito. A volte aveva l'impressione che la loro Gilda stesse su solo per gestire le feste, e che a nessun altro importasse nulla di tutto il resto. E poi ci si chiedeva perché gli Shadowhunters la facessero tanto da padrone…

Ma Magnus non aveva tempo di lamentarsi, perché quella sera avrebbe dovuto organizzare la festa più stupefacente che si fosse mai vista: dopotutto, era il compleanno del suo adorabile Chairman Meow! Si rimboccò le maniche e fece per mettersi al lavoro, quando udì la suoneria del cellulare. Numero sconosciuto. «Sì? Parla Magnus Bane il Magnifico, anche noto come Sommo Stregone di Brooklyn! Se è per la festa, sono desolato di annunciarvi che tutte le prevendite sono esaurite dalla settimana scorsa, mi spiace molto. Ovviamente, potrei sempre...» attaccò, ma fu interrotto da una voce che gli fece gelare il sangue nelle vene.

«Magnus! È un po' che non ci sentiamo, come va la vita?» ghignò l'individuo dall'altra parte del telefono.

Magnus strinse le labbra e assunse un'espressione dura in volto. «Ti avevo detto di non cercarmi più, non dopo la storia di quei documenti» ringhiò. «Non è così, padre

Asmodeo ridacchiò. «Infrangere gli Accordi per me, è proprio vero che buon sangue non mente!»

Magnus scosse la testa. Stringeva il telefono così forte da avere le nocche bianche. «Sai benissimo perché l'ho fatto, e non ne vado fiero, stanne certo. Ora posso sapere cosa vuoi, di grazia?»

«Tratti sempre così quelli che vogliono farti un favore? Ascolta, mi piangeva il cuore saperti in pericolo a causa mia, quindi ho pensato di avvisarti: gli Shadowhunters hanno scoperto che hai infranto gli Accordi e hanno incaricato un loro sicario di ucciderti. Non ho idea di chi, ma so per certo che è una delle sue prime missioni omicida. Sarà sui diciotto, diciannove anni al massimo.»

Magnus sbiancò. «Gli Shadowhunters vogliono uccidermi?» ripeté, cercando di non mostrarsi troppo spaventato. Lo sapevano tutti, in città, che avere gli Shadowhunters contro era un gran brutto affare.

«Sì, è piuttosto certo. Ho le mie fonti attendibili» minimizzò Asmodeo, vagamente infastidito. «E comunque, fossi in te farei un po' più di affidamento sul tuo vecchio. Che motivo dovrei avere di mentire?»

«Che motivo dovresti avere di avvisarmi» ribatté Magnus a tono.

Asmodeo sogghignò. «In effetti, un motivo ce l'ho. Cos'hai intenzione di fare, adesso?» chiese sornione.

«Ovviamente lo uccideremo. Non posso lasciare che uno Shadowhunter qualsiasi cerchi di ammazzarmi così impunemente» borbottò, risentito. «Immagino che appena esporrò la questione all'Assemblea, otterrò l'incarico ufficiale di far fuori lo Shadowhunter in questione.»

«Appunto. E a me serviva giusto qualcuno che togliesse di mezzo lui e quei suoi terribili fratelli prima che danneggiassero la nostra società. Così ho preso due piccioni con una fava, e in più tu mi devi un favore!» ghignò, soddisfatto.

«Più che società di' pure banda di assassini» borbottò Magnus. «Senti, non mi fido di te. Mi fido più degli Shadowhunters che di te, ma... terrò a mente il tuo consiglio» si limitò a sospirare.

«È tutto quello che ti chiedo» lo blandì Asmodeo. «Buona fortuna per la festa di stasera!» lo salutò, e chiuse la chiamata.

«... è stato un piacere anche per me» ironizzò Magnus rivolto all'etere telefonica. Poi si riscosse e digitò il numero di Ragnor.

«Che vuoi?» mugugnò la voce dell'amico dopo il settimo squillo. Aveva un po' di affanno, e in un'altra occasione Magnus si sarebbe divertito a stuzzicarlo a dovere, ma in quel momento...

«Ho un problema bello grosso, stavolta, amico» esordì, uscendo di casa e sbattendosi la porta dietro di sé con un gran fracasso. «Sono da te tra dieci minuti.»

«Aspetta, non darai la festa?» chiese l'altro, improvvisamente speranzoso. Magnus sapeva che Ragnor odiava le sue feste.

«Oh, no. La festa si farà eccome» assicurò, camminando spedito per le vie di Brooklyn con espressione maliziosa. «Solo… diciamo che avremo un ospite inatteso.»

 

* * *

 

Alec camminava a testa bassa, tirando occasionalmente calci al terreno. Una festa proprio in quel momento era esattamente quello che gli mancava! Proprio ora che Jace aveva trovato quella... quella ragazza dall'aria saccente e ridicolmente bassa. Non che Alec fosse geloso o robe simili, eh!

Cioè, insomma. Jace era entrato nella vita di Alec quando non erano nemmeno ufficialmente nella Gilda, ed era il suo migliore amico. O la sua cotta. O tutti e due.

Oh, andiamo! Alec sapeva bene di non avere nessuna chance con lui, e si guardava bene dal dirglielo. Era solo doloroso. Ogni volta che Jace usciva con una nuova ragazza sentiva una stretta allo stomaco farsi sempre più opprimente, tanto da mozzargli il fiato. Alec non avrebbe mai ammesso di essere gay: era sicuro che suo padre non l'avrebbe mai accettato, e il Conclave -quella banda di vecchi bigotti rimbambiti- avrebbe potuto addirittura espellerlo dalla Gilda!

No, no. Meglio continuare ad amare Jace in segreto, in modo da non dover dimostrare nulla a nessuno. Questo non toglieva che l'idea di quella Cassandra, o Clarissa, o come si chiamava a braccetto con Jace lo irritasse parecchio.

Non aveva avuto nessuna intenzione di andare ad una festa a cui avrebbe partecipato la nuova coppia dell'anno, finché Isabelle non aveva sparato il nome. Magnus Bane, degli Warlocks. Per ironia della sorte, la festa a cui stavano andando era organizzata proprio dalla persona che Alec avrebbe dovuto uccidere! Allora aveva pensato di andare, anche solo per avvicinarsi al soggetto in maniera discreta. Uccidere un uomo che non fosse dei Demons era sempre una questione delicata: nessuno sarebbe mai dovuto risalire agli Shadowhunters, perché tecnicamente era ancora contro gli Accordi, e a volte una missione del genere poteva richiedere mesi interi. La cosa migliore che Alec avrebbe potuto fare era avvicinarsi a questo Bane, imparare le sue abitudini e i suoi modi di fare, per poi aspettare il momento buono e farlo fuori in un luogo nascosto, senza usare armi riconoscibili e senza che nessuno fosse a conoscenza della sua presenza. A parole era semplice, ma Alec non aveva mai eseguito una missione del genere: quando uccideva i Demons, erano sparatorie e agguati, trappole e imboscate. Non era mai entrato in contatto con una persona che poi avrebbe dovuto uccidere, era troppo strano.

«Eccoci, siamo arrivati!» esclamò Isabelle, eccitata. In effetti, nonostante la festa si tenesse in un loft molto elegante, la musica si sentiva fin dalla strada. E l'ingresso era tutto un viavai di persone vestite eleganti che entravano e uscivano, un sacco di drink colorati tra le mani.

In men che non si dica furono dentro, e come volevasi dimostrare Jace e la nana si imboscarono subito da qualche parte: per quanto si sforzasse, Alec non riusciva proprio a vederli. «Ehi, non stare lì impalato: è una festa, divertiti!» esclamò Izzy, dandogli una gomitata e facendogli l'occhiolino. Poi, manco a dirlo, si imboscò con la sua nuova fiamma, Meliorn, e sparì alla vista di Alec.

Ottimo, pensò il ragazzo con un sospiro sconfortato. Odiava quel genere di situazioni: non si sentiva per niente a proprio agio in mezzo a tutta quella gente ubriaca che si spintonava e ballava. Si avvicinò al bancone, tanto per fare qualcosa, ma mentre stava per sedersi si sentì afferrare per una mano. «Non osare guardare indietro» sibilò una voce al suo orecchio. «Guarda me. Così.»

Alec strabuzzò gli occhi: era appena stato afferrato da un ragazzo apparentemente poco più grande di lui, dai lineamenti asiatici e dall'espressione maliziosa. «M-ma... ma cosa...» balbettò, impacciato.

«Zitto e balla» ordinò l'altro, trascinandolo letteralmente nel mezzo della pista. «Non voglio che Richard mi veda adesso, okay? Ci siamo lasciati in amicizia, e poi è stata una cosa velocissima, ma lui... se l'è presa abbastanza, diciamo. Mai uscire con uno dei Fairies, se vuoi la mia: dicono tanto di non mentire mai, ma quanto a portare rancore...» chiacchierò a voce alta, per sovrastare la musica. Ballava bene, notò Alec non senza una buona dose di imbarazzo. Si muoveva a ritmo di musica senza staccare lo sguardo da lui: aveva degli occhi davvero fuori dal comune, di uno strano giallo-verde che lo faceva somigliare a un gatto. «Oh, non te la cavi male, sei bravo» ghignò lo sconosciuto, concedendogli un'occhiata di apprezzamento. «Per essere uno Shadowhunter» aggiunse strizzandogli l'occhio.

Alec non ci fece molto caso: grazie ai tatuaggi -o Marchi, come li chiamavano loro- che si facevano sin da piccoli, gli Shadowhunters erano facilmente riconoscibili. Certo, al momento indossava una camicia a maniche lunghe, ma il Marchio che aveva sul dorso della mano destra era ancora ben visibile: il ragazzo doveva avere un ottimo spirito d'osservazione. Questo comunque non impedì ad Alec di arrossire come una ragazzina. «Ehm, g-grazie... anche tu non... cioè, ecco...» balbettò, pregando di sprofondare sotto terra. A quel punto avevano ormai attraversato tutta la stanza, e lo sconosciuto si guardò un po' intorno.

«Okay, l'abbiamo seminato» osservò dopo un istante. Poi sorrise e gli porse la mano dalle unghie colorate di nero brillantinato. «Io sono Magnus Bane, degli Warlocks.»

Alec sentì la terra mancargli sotto i piedi. Aveva appena ballato con Magnus Bane? Quel Magnus Bane? Sentiva di essere vicino all'iperventilazione. Insomma, nessuno gli aveva detto che la persona che avrebbe dovuto uccidere era... un ragazzo, come lui. E per giunta che era così... insomma, così...

«E adesso posso sapere il nome del mio affascinante cavaliere?» domandò quello, interrompendo i suoi pensieri. Ci provava gusto a farlo arrossire, era un dato di fatto.

Ma prima che Alec potesse farfugliare una serie indistinta di suoni che solo qualcuno dotato di una fervida immaginazione avrebbe potuto interpretare, per poco non vennero travolti da due uomini impegnati in una rissa. A giudicare dalla stazza, dall'abbigliamento e dai tatuaggi, si trattava sicuramente di due Werewolves: non era raro che gente del genere distruggesse anche un intero locale, se ci si metteva. Alec entrò subito in azione: gli Shadowhunters erano tutti addestrati a gestire questioni del genere, in fondo. Prima degli Accordi era loro preciso dovere bloccare e uccidere chi, tra le altre Gilde, causasse problemi di ogni sorta. E certe abitudini erano fin troppo semplici da tramandare. Con un balzo si portò davanti a loro e sfoderò i coltelli, mettendo bene in mostra il dorso della mano col Marchio degli Shadowhunters sopra. Grazie al cielo fu sufficiente per far fermare immediatamente i due uomini e farli uscire di corsa dal locale: la fama della sua Gilda aveva ancora il suo peso, dopotutto.

Solo allora si accorse di essersi piazzato istintivamente tra gli Werewolves e Magnus Bane, comportandosi come quando combatteva con Jace e Izzy e cercava in tutti i modi di difenderli.

Arrossì di botto e rifoderò i coltelli, grato di non averli dovuti usare. «Ehm, scusa, io...» farfugliò, ma l'altro lo guardava con tanto d'occhi.

«Wow» si limitò a commentare, sfoderando un enorme sorriso. «Non credevo che a voi Shadowhunters importasse proteggere gli Warlocks come me» commentò. «Non che io avessi bisogno di protezione, comunque» chiarì, e dal suo sguardo Alec non faticò a credergli.

In ogni caso il ragazzo colse la frecciatina diretta alla sua Gilda e abbassò lo sguardo, imbarazzato: era vero. Fino a prima degli Accordi, per gli Shadowhunters c'era ben poca differenza tra gli affiliati della Demons e quelli delle altre Gilde della città. Effettivamente i Vampires ogni tanto uccidevano qualche ignaro cittadino, e anche gli altri a volte ci andavano giù pesante. Ma da quando avevano stipulato quelle leggi, almeno formalmente, le Gilde si erano tutte alleate contro i Demons: per gli Shadowhunters più anziani però era ancora strano considerarsi alla pari delle altre Gilde.

Alec e i suoi fratelli non l'avevano mai vista così, ma sarebbe stato difficile spiegarlo a Magnus Bane in quel momento. Oltretutto non aveva nessuna intenzione di aprirsi tanto con la persona che avrebbe dovuto uccidere.

«Alec» disse alla fine. «Cioè, mi chiamo Alexander Lightwood, ma puoi chiamarmi Alec. Lo fanno tutti» aggiunse, domandandosi come mai non avesse ancora chiuso la bocca. Giurò che se la serata fosse continuata di quel passo, avrebbe fatto voto di silenzio per il resto della sua vita.

Ma Magnus sorrise e gli strinse la mano. «Piacere, Alexander Lightwood» soffiò. «Ora avrei delle faccende da sbrigare, ma in futuro...» gli passò un biglietto da visita ricoperto di brillantini e gli strizzò l'occhio. «Chiamami.»

 

Continua...










Angolo autrice:
Ehm, uhm, che dire... buongiorno! Esordisco in questo fandom con una long che ho in cantiere da un bel po', così magari mi do una mossa e la concludo in tempo. Ho scoperto Shadowhunters da poco, ma mi sono subito innamorata della Malec: andiamo, non sono strepitosi? In ogni caso ho deciso di cimentarmi con quest'AU tremendamente cupo per fare un regalo a SaraPallina che me l'ha imposto. Biasimate lei, nel caso. Spero che la storia fin qui vi abbia intrigato: l'idea dell'amore impossibile è un po' un cliché, lo ammetto, ma morivo dalla voglia di provare a scrivere una cosa del genere! Cosa succederà adesso? Alec chiamerà Magnus? E Magnus capirà che lo Shadowhunter che lo deve uccidere è proprio Alec? Spero di aver reso i loro caratteri abbastanza IC: amo immedesimarmi in Alec, nei suoi dubbi e nelle sue mille incertezze, ma anche Magnus è un personaggio profondo e complicato, oltre che molto divertente!
Pubblicherò indicativamente sempre tra sabato e domenica, spero che mi seguirete! Grazie in anticipo a chi leggerà, metterà tra le preferite, ricordate, seguite o recensirà! Un abbraccio, vostra
Emma <3



 

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Capitolo 2
*** II ***


-II-





«Quindi? L'hai trovato? C'era?» domandò Ragnor, impaziente.

Magnus rifletté. «Allora, tanto per cominciare ricordati che ti avevo detto che c'era la possibilità che non venisse» attaccò, polemico.

Catarina inarcò un sopracciglio. «In realtà tu hai detto: “basterà pubblicizzare un pelino di più la cosa e vedrete che verrà assolutamente”. Siamo stati noi a dire che sarebbe anche potuto non venire» precisò. Per la festa si era dipinta la pelle tutta di blu, e con quell'espressione arrabbiata aveva un'aria davvero inquietante. «Hai visto qualche Shadowhunter o no?»

Magnus si passò una mano dietro la testa. «Uno, sì» ammise. «Ma non credo sia lui. Non so» tergiversò.

«E..?» lo incalzò Ragnor, al che Magnus raccontò tutta la storia, soffermandosi appena un po' più del dovuto sugli occhi così stupendamente blu dello Shadowhunter, abbinati ai suoi capelli neri come la notte, e all'eroismo dimostrato nel proteggerlo -senza che ce ne fosse davvero bisogno, però, tenne a precisare- dai due Werewolves.

Alla fine del racconto Ragnor e Catarina non sembravano molto convinti. «Magnus, se io fossi uno Shadowhunter incaricato di ucciderti,» iniziò Catarina, gli occhi preoccupati, «cercherei di conquistarmi la tua fiducia. Di conoscerti, di avvicinarti. Non possono fare irruzione come se tu fossi un Demon qualunque, non ti faranno un'imboscata. A meno che quell'Alexander non sia un'esca, temo proprio che...» lasciò sfumare la frase, senza sapere bene come continuare. Conosceva quello sguardo di Magnus, e gli dispiaceva tantissimo per lui, ma era meglio stroncare l'idea sul nascere.

Dal canto suo, Magnus fece un verso di stizza. «Non sono stupido, eh» li accusò. «So che potrebbe essere lui. Indagherò» promise. «E se troverò le prove, lo ucciderò. Meglio buttarmi e conoscerlo meglio piuttosto che vivere nell'incertezza, avrò più occasioni di farlo fuori casomai si rivelasse essere proprio lui.»

«Magnus...» provò a intercedere Ragnor, ma l'altro sollevò una mano.

«So che siete preoccupati, ma davvero, non c'è nessun motivo: so badare a me stesso, cosa credete?» sorrise, e fu probabilmente quel sorriso ad impedire a Ragnor e Catarina di prendere ad elencare tutti i motivi per cui dubitavano della sua ultima affermazione. «Ascoltatemi. Lui non sa che io so, e in questo sono avvantaggiato» cercò di farli ragionare.

«Ma metti caso che lui sia davvero lì per ucciderti» borbottò Ragnor. «Lui è sicuro di dover uccidere te, tu non sei sicuro di dover uccidere lui. E questo lo porta in vantaggio.»

Magnus alzò gli occhi al cielo. «Allora cosa dovrei fare? Nascondermi in un buco per i prossimi vent'anni, nella speranza che si dimentichino di me? Dopotutto, teoricamente hanno tutti i motivi di darmi la caccia.»

Ragnor e Caterina insorsero, indignati. «Ma se sapessero perché...»

Magnus li liquidò con un gesto della mano. «Aspetterò di vedere se mi chiamerà. Se le cose si faranno pericolose, prometto solennemente di informarvi della situazione e di prendere tutti i provvedimenti adeguati. E con questo dichiaro chiusa la questione» stabilì, alzandosi e uscendo dalla stanza.

Non voleva credere che Alexander fosse lì per ucciderlo. Insomma, non immaginava che gli Shadowhunters potessero essere così... umani. Se l'avesse dovuto uccidere non l'avrebbe certo difeso in quel modo dai due Werewolves, no? E quel suo balbettare, il suo modo di arrossire... non erano cose che si potevano fingere. D'altronde, mai dire mai. Non poteva lasciarsi coinvolgere troppo prima di essere certo delle reali intenzioni del ragazzo.

Era stato innamorato molte volte ed era sicuro che, se le cose si fossero messe male, non avrebbe avuto problemi a ricorrere alle maniere forti. Afferrò sovrappensiero il cellulare e controllò automaticamente le chiamate perse.

Quasi sicuro.

 

* * *

 

«Allora, Alec! Hai fatto conquiste, dico bene?» ridacchiò Isabelle, stando poi buona buona ad osservare la reazione del fratello.

Alec per poco non si strozzò con la sua stessa saliva. La sera prima erano tornati a casa molto tardi, e non aveva avuto tempo di parlare né con Izzy né con Jace -non che ne avesse poi tanta voglia, in effetti. Quello che non immaginava era che sua sorella avesse... insomma, che avesse visto.

«I-io...» iniziò a balbettare, ma Isabelle sghignazzò e si sistemò meglio sul divano accanto a lui.

«Ti ho visto ballare con quel ragazzo, inutile negare, fratellino» rivelò. «Ti ha dato il suo numero, giusto? Oh, e non fare quella faccia, potrebbe essere un buon partito» aggiunse, osservando divertita il volto del fratello diventare di tutte le sfumature di rosso.

Izzy era l'unica a sapere dell'orientamento sessuale di Alec: l'aveva scoperto da sola quasi un anno prima e l'aveva accettato senza nessun problema. Questo però non le impediva di scherzarci su, giusto per vedere suo fratello perdere la testa, non appena Jace non era nei paraggi. «Allora, vuoi darmi qualche dettaglio o devo proprio strapparteli di bocca?»

Alec sospirò, passandosi una mano sulla fronte. «È complicato, Izzy» proclamò, stanco. «Non potrebbe mai funzionare, discorso chiuso.»

Isabelle alzò gli occhi al cielo. «Se stai davvero per tirare in ballo Jace, giuro che...»

Ma Alec la interruppe sollevando un braccio. «È il mio incarico. Magnus Bane. Il mio ultimo incarico» mormorò a denti stretti. Solo rivelandoglielo aveva infranto la legge, ma non avrebbe potuto sopportare sua sorella fare battutine e scherzi sull'argomento per i successivi trent'anni.

Com'era prevedibile, Isabelle si portò una mano alla bocca. «Oddio, Alec, mi spiace...» balbettò, seriamente preoccupata. «Ma… uno Warlock? E da quando? Gli Accordi...»

Alec sospirò. «Pare che abbia fatto casino con dei documenti privati. È alleato con i Demons, quindi… non so, immagino che dovrei avvicinarmi a lui per scoprire le sue abitudini e ucciderlo quando meno se lo aspetta, senza che si risalga a noi. È così che funziona di solito, quando si uccide uno che non è dei Demons. È solo che io non ho mai… non so, Izzy» ammise.

Lei gli posò una mano sul braccio, comprensiva. «Allora stagli lontano. Spialo da lontano e uccidilo senza interagire in nessun modo con lui. Alec, non puoi lasciare che...»

Lui si alzò di scatto. «Farò così» promise, sentendo bruciare nella tasca il biglietto da visita di Magnus. Non era riuscito a dormire, la sera precedente, continuando ad alzarsi per buttarlo via e successivamente per ripescarlo dalla pattumiera. Aveva praticamente disintegrato la carta, a furia di rigirarsela tra le mani.

Quanti giorni avrebbe resistito?

 

* * *

 

Tre. Ben tre giorni. Quello Shadowhunter -che fosse dannato, lui e i suoi occhi blu dannatamente belli- lo aveva fatto aspettare per ben tre giorni prima di spuntare letteralmente davanti alla sua porta alle due di pomeriggio di un martedì qualunque, mentre Magnus stava facendo l'inventario dei suoi capi d'abbigliamento.

«Che sorpresa!» esclamò, deliziato, facendolo entrare senza tante cerimonie. Ma non era semplicemente adorabile il modo in cui arrossiva? «Cominciavo a preoccuparmi, sai» lo redarguì alzando un sopracciglio. Negli ultimi tre giorni si era quasi mangiato le mani dall'ansia.

«Ehm, sì, ecco, m-mi spiace di averti fatto aspettare» iniziò a balbettare Alec. «È che il biglietto che mi hai dato è finito nella pattumiera, per sbaglio, ovviamente, non che io avrei mai buttato… cioè, comunque mio fratello ha portato via la spazzatura prima che potessi fermarlo e...» La voce sfumò mentre arrossiva come un peperone. Andiamo, lui, un terrificante sicario di un organizzazione criminale incaricato di ucciderlo? Magnus ci avrebbe creduto quando fosse riuscito a guardarlo in faccia cinque secondi di fila senza arrossire.

«Ehi, non fa niente» lo rassicurò, sfoderando un enorme sorriso. «L'importante è che tu sia venuto! Posso offrirti qualcosa?»

Alec declinò gentilmente. «In realtà, volevo chiederti se ti andava... uhm, di uscire. Con me. Solo se ti va e se non sei già impegnato, intendo, non voglio assolutamente...» si precipitò ad aggiungere, ma Magnus era troppo occupato ad osservare come i suoi occhi azzurri, nonostante l'evidente imbarazzo che gli colorava le guance, non si fossero mai abbassati. Uno sguardo capace di ribaltare tutte le sue certezze in un colpo solo.

«Mi va. Certo che mi va di uscire» lo interruppe con un sorrisone enorme. «Hai da fare, stasera?» propose, mentre una voce nella sua testa -una voce curiosamente simile a quella di Catarina- gli urlava di tacere una buona volta, perché potrebbe essere lui. Non si è fatto vivo nessun altro Shadowhunter. È troppo per essere una coincidenza. Magnus ordinò alla voce di stare zitta e di concedergli ancora un paio di minuti in contemplazione dell'espressione sconcertata e tanto ingenuamente felice di Alec.

«I-io... no, sono libero» mormorò lo Shadowhunter, sorridendo grato.

Si accordarono per le nove sotto casa di Magnus, e mentre parlavano Alexander sembrava acquisire sempre più confidenza. Purché tu non la smetta di arrossire, zuccherino. Si ritrovò a pensare Magnus prima di darsi severamente dell'imbecille. Vuole ucciderti, diceva Catarina. I suoi occhi! Protestava Magnus. È uno Shadowhunter, sempre Catarina. Ma è arrossito! Magnus.

Quella guerra civile proseguì per quasi dieci minuti dopo che Alec se ne fu andato, e alla fine Magnus ne uscì vincitore; se l'era vista brutta, certo, ma alla fine la sua voce aveva trionfato contro quell'invadente di Catarina. L'argomento a suo favore che l'aveva portato alla vittoria era stato senza dubbio l'assoluta certezza della propria superiorità in confronto a quel ragazzino: Alexander Lightwood era evidentemente attratto da lui, e non sarebbe riuscito ad ucciderlo. Almeno, non senza mille ripensamenti che avrebbero subito permesso a Magnus di difendersi. E in uno scontro aperto, beh, le sue probabilità di vittoria erano pari al cento percento.

Tutto quello che doveva fare era decidere come si sarebbe vestito quella sera, e ignorare la voce di Catarina nella sua testa. E tu, sei sicuro che riusciresti ad ucciderlo?

 

* * *

 

Isabelle aveva aspettato Alec al varco, quella sera. Oh, suo fratello era ufficialmente uno stupido: credeva davvero che Isabelle Lightwood, campionessa indiscussa dello Scivolare Fuori e Dentro Casa a Orari Improbabili, non si sarebbe accorta della sua maldestra fuga di quella sera? Ovviamente l'aveva notato subito, e aveva anche capito dove si era diretto. Non ci voleva certo un genio.

«Tutto bene, fratellino?» esclamò, osservando come l'altro, le mani ancora sul davanzale della finestra, si immobilizzava.

«Non posso farlo» disse subito Alec, prima ancora di voltarsi. «Izzy, io non posso ucciderlo. Non voglio ucciderlo.»

«Te l'avevo detto» tuonò lei. «Te l'avevo detto che avresti dovuto stargli lontano. E tu che hai fatto? Sei andato a un appuntamento con lui.»

Alec assunse un'espressione colpevole. «Mi aveva detto di chiamarlo...»

«E tu avevi buttato il biglietto da visita» ribatté Isabelle. Sospirò e si sedette sul letto di fianco a lui. «Alec, sai come vanno le cose. Se non lo uccidi...» iniziò, preoccupata.

«Sarò considerato un traditore» deglutì lui. Non c'era tutta questa compassione, tra gli Shadowhunters.

«Potrebbe farlo qualcun altro» suggerì Isabelle senza crederci nemmeno. «Non tu...»

Alec la fissò negli occhi. «Izzy, io... non mi ero mai sentito così! All'inizio l'appuntamento non era neanche questo granché, soprattutto perché continuavo a pensare “dovrò ucciderlo”, “cosa ci faccio qui” e cose del genere» ammise. «Poi però... voglio dire, dovresti sentire come parla. È riuscito a mettere a mio agio persino me, e... Gli ho raccontato anche di Jace» disse pianissimo. «Ha detto che non gli importava, anzi, che era diventata una sfida personale» abbozzò un sorriso. «L'ho visto ridere e scherzare con un sacco di gente, e tutti quanti lo adorano. E non so cosa ci trovi in me, ma...»

«Gli piaci» terminò per lui Isabelle.

«Gli piaccio» sussurrò Alec, a metà tra l'incredulo e il grato.

«Vi siete baciati?» chiese lei, scrutandolo in volto per cercare di carpirgli la verità. Alec arrossì. «Oddio! Vi siete baciati!» inorridì Isabelle. «Alec, capisci che non puoi...»

Il ragazzo si passò una mano sulla fronte. «Lo capisco benissimo» rispose, secco. «Magari non se ne farà niente. Magari mi lascerà dopo due giorni, e sarà l'occasione buona per...» La voce gli sfumò prima ancora di terminare la frase. Isabelle non aveva idea di cosa dire: come faceva a dirgli che la sua prima e unica storia d'amore era da considerarsi chiusa prima ancora di cominciare? Lei sapeva quanto Alec avesse sofferto, nella vita. Si credeva continuamente fuori posto, inadatto alle situazioni. E a suo parere quest'ultima debolezza doveva essere la prova definitiva. «Alec, qualunque cosa tu faccia...» sussurrò, alzandosi piano. «Io e Jace saremo dalla tua parte. Lo sai» concluse, lasciandolo solo.

Alec si sdraiò completamente vestito a fissare il soffitto. Il nome di Jace non aveva scatenato in lui nessun odioso sfarfallamento di stomaco, nessuna ondata di rammarico e vergogna. Solo affetto, come quello che provava per Isabelle.

La pistola sul comodino sembrava catalizzare il suo sguardo, e Alec davvero non sapeva come avrebbe trovato la forza di usarla.

 

* * *

 

Magnus stava per addormentarsi, quando sentì bussare violentemente alla porta. E ancora. E ancora. Non era stata precisamente quel che si dice una giornata rilassante, per lui, senza contare che non aveva potuto vedere Alec per tutto il giorno a causa di una stupida missione contro una banda di Demons nelle vicinanze. Quindi non fu col più roseo degli umori che andò ad aprire la porta per gridare addosso agli scocciatori che avevano osato disturbarlo a quell'ora improbabile, ma gli insulti gli morirono in gola. Alla sua soglia, due figure ricoperte di sangue reggevano il corpo esangue di un ragazzo che sembrava mortalmente ferito.

Quel ragazzo era Alec.

«Ti prego, devi aiutarci» singhiozzò la prima figura, Isabelle. «Non faremmo in tempo a riportarlo all'Istituto.»

L'altro, Jace, sembrava piuttosto restio a fidarsi dello Warlock. «Izzy, sei sicura che...» bisbigliò, ma Magnus si era ripreso abbastanza per trascinarli tutti dentro.

«Mettetelo sul letto» ordinò, catapultandosi nel suo studio per fare incetta di medicinali e attrezzi specifici. Uno dei -pochi- talenti degli Warlock era appunto quello di curare i membri delle altre Gilde, solo che di solito erano abbastanza restii a concedere i propri servigi al primo che passava. Gratis, per di più. Ma mentre si precipitava a togliere i vestiti impiastricciati di sangue del ragazzo mortalmente pallido che stava steso sul suo letto, quel pensiero non gli passò nemmeno per la testa.

«Tutti fuori» ordinò senza nemmeno guardarli, armeggiando con una mistura biancastra dall'odore nauseabondo.

«Ma...» tentò di ribattere Isabelle, ma Magnus la fulminò con lo sguardo.

«Fuori da questa stanza. Adesso.» Non sarebbe riuscito a concentrarsi col fiato di quei due rompiscatole sul collo, e aveva assoluto bisogno di concentrazione, ora come ora. Notò con sollievo che gli Shadowhunters ubbidirono senza recriminare. «Ascoltami bene, tu» mormorò Magnus preparandosi a compiere quella che nel mestiere chiamavano “la loro magia”. «Non osare crepare proprio adesso, sono stato chiaro? Non ho ancora capito se vuoi uccidermi oppure no.»

 






Angolo autrice:
Rieccomi! Dopo una settimana esatta, addirittura. Questo capitolo è stato un po' meno movimentato del primo, ma volevo cercare di far emergere al meglio i dubbi e le preoccupazioni dei due ragazzi: insomma, l'ultima cosa che voglio è farla sembrare una storiella da quattro soldi, una specie di vuoto colpo di fulmine senza niente sotto. Questi due si devono uccidere, non hanno tempo di giocare, di scherzarci su. Se esitano, incespicano, sbagliano, è perché la loro attrazione è fin troppo profonda per essere ignorata. Sono anime gemelle nel vero senso della parola.
Parlando del capitolo, ho scelto di rendere Isabelle così vicina ad Alec per dargli una confidente che fosse al suo fianco dall'inizio, ma ben presto arriveranno anche momenti con Jace: detesto quando il loro rapporto da Parabatai viene ignorato dal fandom, perché in ogni caso sono migliori amici e hanno giurato di esserci l'uno per l'altro, sempre. Invece Magnus in questa storia avrà l'incredibile supporto di Catarina e Ragnor, sempre pronti a gridargli addosso per la sua testardaggine. Ho cercato di renderli il più simile possibile a come li ha mostrati Cassie nelle Cronache, ma visto che appaiono per poco tempo certi dettagli gli ho dovuti inventare; spero che non li troviate troppo OOC!
Per finire... niente, spero davvero che questo secondo capitolo vi sia piaciuto e che vi venga voglia di lasciare un commento: grazie a tutti quelli che hanno messo tra le preferite, seguite, ricordate e a chi ha recensito!
Ah, un'altra cosa: il titolo della storia e le citazioni dello scorso capitolo provengono dalla canzone "Nothing left to say", appunto, degli Imagine Dragon.
Un bacione, ci sentiamo domenica prossima!
Emma <3

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Capitolo 3
*** III ***


-III-




L'Istituto si premurò di far recapitare a casa di Magnus la parcella per l'operazione, ma Alec si sentiva ancora terribilmente in debito per com'erano andate le cose. Ricordava solo l'imboscata, e come avesse fatto il possibile per proteggere i suoi fratelli -fallendo miseramente nel tentativo, oltretutto. Poi si era risvegliato nel letto della casa di Magnus, circondato dalla sua famiglia. Non era riuscito a vedere lo Warlock neanche di striscio, perché a quanto pareva aveva “delle faccende da sbrigare” e se n'era andato appena conclusa l'operazione.

«Perché mi hai portato ?» gemette rivolto a Isabelle quando furono finalmente soli. «Sai com'è la situazione.»

Lei giocherellava con una ciocca di capelli, evitando il suo sguardo. «Lo so, cosa credi?» sbottò. «Ma... che altra scelta avevo? Voglio dire, stavi morendo» replicò con voce tremante. «Jace continuava a dire che era una pazzia, ma ho pensato... cioè, non gli ho proprio detto che stavate insieme, ma...»

«Izzy, noi non stiamo insieme» specificò Alec inarcando un sopracciglio.

«Vabbè, è lo stesso» lo liquidò lei. «Voglio dire, so che per te ora sarà più difficile...»

«Sarà impossibile» la corresse lui con un sussurro. «Izzy, io non...»

Lei abbozzò un sorriso triste. «Lo so.»

«Che cos'è che sapete tutti e io no?» fece una voce da dietro di loro.

Alec sospirò. «È una storia lunga, Jace. Vieni qua.» Che sapesse, anche lui. Tanto, le cose non potevano andare peggio di così.

 

* * *

 

Non l'aveva detto né a Ragnor né a Catarina. Figuriamoci, l'avrebbero ucciso. Triturato. Sezionato vivo. Andiamo, gli si era presentata un'occasione d'oro! Sarebbe bastato rifiutarsi, o non aprire la porta, o fingere che l'operazione fosse andata male. Niente di più facile.

Molto probabilmente gli Shadowhunters però avrebbero intuito qualcosa. Morto in circostanze misteriose intorno al suo obiettivo super-segreto. E poi avrebbero assegnato la missione a qualcun altro, giusto! Qualcuno di più difficile da identificare, qualcuno di più abile negli appostamenti o cose del genere. Inoltre, c'era sempre la possibilità che Alec non fosse affatto chi lui temeva che fosse, e non salvarlo sarebbe stato un omicidio bello e buono.

Continuava a ripetersi queste ragioni nella testa, ma era comunque convinto che Ragnor e Catarina avrebbero ballato sul suo cadavere se gli avesse rivelato cos'aveva combinato. Sul rapporto aveva scritto solo “Shadowhunter ferito” e la parcella, senza aggiungere altro.

Era perso nelle sue macabre elucubrazioni quando sentì suonare il campanello. Sospirò: sapeva di chi si trattava, e come no? «È aperto, Alexander» disse ad alta voce.

La porta si socchiuse piano. «Ehm... ciao» mormorò il diretto interessato, avanzando cautamente nel loft. «Io volevo, uhm, ringraziarti. Per... sai, per l'altro giorno. Sarei venuto prima, ma sono tutti assurdamente convinti che io debba stare a riposo e cose varie, anche se ho dormito tre giorni di fila...» Arrossì e smise di parlare. Era arrivato davanti al divano su cui era stravaccato Magnus, e sembrava davvero a corto di parole. Lo Warlock sollevò lo sguardo, divertito, e Alec proseguì. «Quindi, insomma, grazie. Davvero. Mi spiace per la lettera che ha mandato il Conclave, sai, no, quella della parcella. Non mi hanno permesso di cambiarla, anche se per me era troppo impersonale. Quindi grazie» ripeté, un po' impacciato, sedendosi sul divano affianco a lui.

In tanti anni di onorato servizio nella Gilda degli Warlocks, quella era la prima volta in assoluto che uno Shadowhunter lo ringraziava per averlo aiutato. Di norma era abituato ad essere considerato alla stregua di un semplice strumento, e il discorso di Alec per molti Shadowhunters sarebbe stato assurdo tanto quanto il ringraziare un forno a microonde per aver riscaldato la cena. Eppure eccolo lì, davanti a lui, con le guance arrossate e gli occhi determinati.

«Non c'è di che» fece Magnus, malizioso. «Sai, è strano che uno Shadowhunter come te venga di sua spontanea volontà a ringraziare uno Warlock» frecciò.

Alec abbassò lo sguardo. «Già... mi spiace.»

Magnus non resistette più: si voltò e lo baciò proprio lì, sul divano. Fu un bacio terribilmente dolce, nonostante le lingue frenetiche e le mani strette violentemente dietro la nuca. Si staccò che avevano entrambi il fiatone. «Che dire, sono abbastanza contento che tu non sia morto, al momento» soffiò lo Warlock.

«Anch'io... anch'io sono contento. Di non essere morto, dico» balbettò Alec.

«Naturalmente» sorrise Magnus. «Di' un po', che ne diresti di restare qui, stasera? Ti va l'idea?»

A giudicare dall'espressione di Alec, gli andava eccome.

 

* * *

 

Era un disastro, lo sapeva. Gli piaceva pensare che forse, fino a una settimana prima, sarebbe riuscito a farlo. Ma adesso, dopo quello che era successo, Alec sapeva di essere troppo dentro a quella storia per non uscirne distrutto, in un modo o nell'altro. Al momento però non riusciva a preoccuparsene più di tanto, stravaccato sul divano del loft di Magnus: avevano passato una serata stupenda e ora se ne stavano semplicemente uno appoggiato all'altro, mentre una musica da atmosfera suonava piano nella stanza di fianco.

Magnus ridacchiò e fece per buttarglisi addosso, pronto per un'altra sessione di baci tanto passionali da mozzare il respiro. «Sei ubriaco» bofonchiò Alec, spingendolo indietro.

Magnus emise un gorgoglio tutt'altro che sobrio e ribatté, malizioso: «Anche tu!»

Alec non poté fare a meno di annuire meccanicamente. «Può darsi» ammise. La testa gli girava, e si sentiva leggero come mai gli era capitato. «Ma non quanto te!» aggiunse con un sorriso, impedendogli di infilargli la mano sotto il maglione.

Magnus si incupì. «Lasciami divertire» si imbronciò. «Potrei non avere più quest'occasione» sussurrò con aria confidenziale.

Alec corrugò le sopracciglia, sforzandosi per formulare una frase coerente. «Cosa intendi?»

«Tra poco morirò» rivelò Magnus con un sorriso rassegnato. Alec per poco non si strozzò con la sua stessa saliva, ma l'altro non parve farci caso. «Sìssì, mi uccideranno» continuò concitato. «I tuoi amici Shadowhunters hanno deciso che devo tirare le cuoia, ed io non riuscirò a fermarli» fece una pausa, come concentrandosi su qualcosa, «perché non voglio.»

«Non dire mai più una cosa del genere!» esclamò Alec, prendendogli una mano con impeto. Subito dopo arrossì, ma non mollò la presa. «Intendo... non puoi fare così. Devi sopravvivere, capito?» continuò, la voce carica di urgenza. Sentiva che se non avesse bevuto non sarebbe mai stato così audace, ma al momento non riusciva a preoccuparsene. «Non so cosa farei se morissi» mormorò, abbattuto.

«È carino che sia proprio tu a dirlo» biascicò Magnus, la voce impastata dal sonno. «Meglio che sia tu... e non qualcun altro» aggiunse.

«I-in che senso, scusa?» balbettò Alec, il cuore a mille. Magnus sapeva...? Ma era inutile: l'altro gli si era addormentato addosso, la testa che premeva calda sulla sua spalla.

 

* * *

 

«Gliel'hai detto?» gridò Ragnor, fuori di sé.

Magnus allontanò un po' il telefono dall'orecchio. «Ti ho detto che non mi ricordo bene, però...»

«Ti rendi conto che era il tuo unico vantaggio?» chiese di nuovo l'altro.

Magnus si portò una mano alla fronte, infastidito. «E non urlare, che ho un mal di testa...» Alec se n'era andato all'alba, lasciandogli un biglietto nella sua calligrafia ordinata che lo ringraziava per la serata e gli prometteva di passare nel pomeriggio, appena finito l'allenamento. Gli aveva messo addirittura una coperta, dannata cavalleria da Shadowhunters. Perciò non era proprio incline ad ascoltare Ragnor accusarlo di aver appena firmato la propria condanna a morte. Specialmente a quell'ora del mattino.

«Posso sapere almeno come ha reagito?» domandò ironico l'amico.

Magnus si sforzò di concentrarsi. «Ha detto... di non volere che io muoia, credo» rivelò con una certa dose di soddisfazione.

Ragor sospirò, e Magnus era sicuro che si fosse appena passato una mano sulla fronte. «Beh, adesso devi sfruttare la situazione. Chiedigli, non so, di indagare. Di aiutarti. Di rivelarti in anticipo le loro mosse. Può darsi che ne fosse davvero all'oscuro, e questo semplificherebbe di gran lunga tutta la faccenda. O in alternativa, potrebbe finire per tradirsi» ragionò. Magnus annuì, rincuorato: era per questo che non aveva deciso di chiamare Catarina, pensò. Lei si sarebbe limitata ad azzannarlo alla gola, mentre con Ragnor si poteva parlare un po' più civilmente.

«Va bene» promise. «Gli parlerò.» In verità era inutile che mentisse a se stesso: era sicuro al novantanove percento che lo Shadowhunter incaricato di ucciderlo fosse proprio Alec. Nei suoi occhi aveva letto un lampo di paura, la sera prima, per quanto fosse stato veloce a cancellarlo. E sapeva che, in base all'ultima riunione del Consiglio degli Warlock, era suo preciso dovere -pena l'espulsione dalla Gilda- ucciderlo in quanto pericolo per tutti gli Warlocks. Dovevano ammazzarsi a vicenda, non c'era nient'altro da fare.

Però, dannazione, si amavano. Magnus lo sapeva, lo sentiva. Alec aveva avuto migliaia di occasioni per ucciderlo, e non l'aveva fatto. E lo stesso valeva per lui. In qualche modo sperava che... che il loro amore andasse oltre le Gilde, oltre il mondo. A volte credeva che le cose sarebbero potute benissimo andare così, altre volte invece realizzava semplicemente che niente di quello che stavano costruendo sarebbe potuto durare. Sospirò. «Hai ragione. Anzi, sai cosa? Vado a parlargli adesso.»

Fino a quel momento non era mai andato direttamente alla base degli Shadowhunters -l'Istituto, come lo chiamavano loro- perché Alec gli aveva rivelato tra un rossore e l'altro di non aver mai detto ai suoi di essere gay, e che temeva che lo espellessero dalla Gilda se l'avessero saputo. Ma forse poteva anche essere un tentativo di tenerlo lontano dal raggio d'azione degli Shadowhunters, che Alec stesse cercando di proteggerlo dalla sua Gilda. In questo caso, significava che Alec sapeva. E di norma gli Shadowhunters non svelavano il contenuto delle proprie missioni al primo che passava, quindi... Riagganciò ignorando le proteste di Ragnor e si diresse alla volta del quartier generale della Gilda che lo voleva morto.

 

* * *

 

«Che cosa?» gridò Jace, quasi strozzandosi col suo caffè.

Isabelle sbarrò gli occhi. «Sei sicuro che abbia detto proprio così?» domandò, pallida come un fantasma.

Alec si passò una mano sugli occhi, stanco, e non disse niente. Era tornato a casa mentre tutti stavano ancora facendo colazione, e non ce l'aveva proprio fatta a mantenere il segreto: Magnus... Magnus sapeva, dannazione! In qualche modo doveva aver saputo che gli Shadowhunters lo volevano morto, era stato mortalmente chiaro al riguardo.

«Ma come ha fatto a sapere che eri tu?» sbottò Isabelle.

Jace sospirò. «Non credo che ci siano stati tanti altri Shadowhunters ad avvicinarlo recentemente» fece notare. «Se è vero che ha ricevuto una soffiata nello stesso periodo in cui ti ha conosciuto, non ci deve aver messo molto a fare due più due.»

Alec annuì, sconfortato. Questo gli apriva un altro quesito: allora Magnus lo aveva frequentato al solo scopo di tenerselo buono in quanto possibile assassino? Aveva cercato di sedurlo per impedirgli di ucciderlo? In realtà non... non provava nulla? Cercò con tutte le sue forze di cacciare quel pensiero dalla sua testa. Meglio che sia tu... e non qualcun altro, aveva detto Magnus prima di addormentarsi: Alec voleva credere che quello che c'era tra loro fosse vero, per quanto destinato a non durare.

«Non so cosa fare» ammise, la voce roca. «Dovrei parlargli? Cioè, se non fossi io l'assassino mi dovrei come minimo preoccupare del fatto che la mia Gilda stia cercando di ucciderlo. Dovrei chiedermi perché. Dovrei sembrare in conflitto con me stesso. Dovrei fingere di scegliere da che parte stare. Lui si aspetterà che gli offra il mio aiuto.» Più parlava, più si sentiva seppellito dalla montagna di bugie che avrebbe dovuto scaricare su Magnus. Ne sarebbe stato capace? «Oppure potrei... dirgli la verità...» mormorò a mezza voce, lo sguardo fisso sul tavolo della cucina.

Isabelle si alzò in piedi. «No, Alec. Questo è fuori discussione» affermò, decisa.

Jace si mordeva il labbro. «Ha ragione lei, è un rischio troppo alto. Altro che l'Esilio, se ci provassi oltre che i Marchi ti toglierebbero la testa!»

Alec sbuffò. Avevano ragione, ovviamente. Solo che... «Quindi gli dico... gli dico che non lo sapevo. Che mi dispiace. Che posso indagare, anche se ovviamente poi gli dirò di non aver trovato nulla.» Più parlava, più si sentiva sprofondare in un buco nero: non sopportava più quella situazione, ne era letteralmente sopraffatto. Avrebbe preferito non aver mai avuto niente a che fare con quella storia, non aver mai accettato quel biglietto da visita... Ma poi ricordò i baci della sera precedente, e le risate, e gli occhi di Magnus, e realizzò che non era vero, che nonostante tutto era felice di averlo conosciuto. Perché, semplicemente, lo amava. «Io lo amo» disse ad alta voce, lo sguardo fisso sul tavolo. «Lo amo davvero» ribadì, con un tono quasi rassegnato.

«Alec...» mormorò Isabelle, posandogli una mano sul braccio.

«Potresti dirgli di scappare» se ne uscì Jace. Alec rizzò la testa. «Ma sì, digli... digli che gli Shadowhunters sono troppo forti, che farebbe bene a levare le tende e a trovarsi una sistemazione, non so, in Europa. Poi, col Conclave, fa' finta che sia scappato senza dire nulla.»

«Potrebbe funzionare!» esclamò Isabelle, gli occhi luminosi. «Jace, sei un genio! In questo modo nessuno potrebbe incolpare te, e allo stesso tempo Magnus starebbe bene!»

Alec corrugò la fronte, analizzando il piano alla ricerca di una possibile falla. Agendo in questo modo Magnus sarebbe sopravvissuto, e lui sarebbe rimasto nella Gilda. In teoria era un'ottima soluzione, quasi insperata fino a pochi minuti prima, però... Però non vi vedrete mai più, disse una vocina nella sua mente. Scosse la testa con decisione: non poteva farsi frenare da pensieri del genere. «È geniale. Farò così» disse, sforzandosi di sorridere.

 

* * *

 

Quando il telefono squillò, Magnus rispose senza nemmeno controllare chi lo stesse chiamando. «Sì?» fece, distratto.

«Magnus? Ti ho svegliato?» domandò la voce preoccupata di Alec dall'altro lato del telefono.

Il ragazzo non riuscì a impedire alle sue labbra di aprirsi in un sorriso stanco. «No, tranquillo. Cosa c'è?»

Riusciva a sentirlo mentre si mordeva il labbro, riusciva a vedere la sua fronte corrucciata. «Volevo chiederti se potevo passare da te...» mormorò alla fine, e ancora, Magnus poteva vedere le sue guance arrossire leggermente. «Ma sei in strada?» chiese poi, confuso.

«In effetti sì. Anzi, stavo proprio venendo da te» commentò con noncuranza.

Alec trattenne bruscamente il respiro. «Tu stai... cosa?» Magnus tacque. «Ma sei impazzito? Dove sei?» chiese ancora il ragazzo, alzando un po' la voce.

«Sono appena uscito dalla metropolitana» disse Magnus, sulla difensiva. «Ma non è il caso di...»

«Mi hai appena rivelato di essere il bersaglio di un membro della mia Gilda, e vieni a trovarmi al Quartier Generale? E se il... e se lo Shadowhunter incaricato di ucciderti ti avesse visto? E se qualcuno del Conclave ti avesse visto?»

Era la prima volta che Alec gli parlava così, con un tono tanto concitato, e per un istante Magnus fu assolutamente certo che non poteva essere lui: andiamo, non... non poteva e basta. Poi ripensò al suo sguardo quando gli aveva rivelato la verità, a quella paura mista a consapevolezza riflessa nei suoi occhi così trasparenti, e si sentì come invecchiare di dieci anni. «Hai ragione, scusa» mormorò. Era tutta una finta, quindi? Alec fingeva di tenere a lui per ottenere la sua fiducia, era solo un lavoro come un altro? Non c'era stato niente di vero nei loro baci, nei loro sguardi?

Eppure, il suo tono gli era sembrato così sincero. Non quando parlava del famoso Shadowhunter incaricato di ucciderlo -lì era persino incespicato con la voce-, ma quando aveva citato il Conclave. Forse era davvero preoccupato all'idea di vederlo ucciso sotto casa, dopotutto. Sospirò, leggermente rincuorato. «Scusami, non ho riflettuto» aggiunse.

Alec sbuffò. «Ti vengo incontro, così... così chiariamo la faccenda» affermò. «Facciamo a Central Park, dall'ingresso Nord?»

Magnus annuì meccanicamente. «Ti aspetto lì» promise, e riagganciò. Non era sicuro di niente, al momento, tranne che di una cosa: per quanto assurdo fosse, per quanto pericoloso e sbagliato potesse essere, lui si era perdutamente innamorato di Alexander Lightwood. E questo non avrebbe portato nient'altro che guai.


















Angolo Autrice:
Rieccomi! Stavolta pubblico di sabato perché domani non so se farò in tempo. Quindi... Magnus si è tradito. Un po' perché era ubriaco, ma un po' credo che in qualche modo avesse voluto dirglielo già da un po', perché non è da lui tenere un segreto così grande con la persona che ama. Alec invece è più serio, più un tipo che pensa mille volte alle conseguenze delle sue azioni prima di agire, e quindi riesce meglio a tenere un segreto del genere. Anche se la cosa lo fa star male il triplo.

Detto ciò... che ve ne è parso del capitolo? Spero davvero che vi sia piaciuto, che abbiate trovato i personaggi IC e che deciderete di lasciarmi una recensione! ^^ Ringrazio tutti quelli che hanno recensito lo scorso capitolo, chi l'ha messo tra le ricordate, seguite e preferite!
Un abbraccio, vostra
Emma ^^

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Capitolo 4
*** IV ***



-IV-

 

Alec lo raggiunse trafelato una decina di minuti dopo. «Allora... eccomi» disse stupidamente, in piedi davanti alla panchina su cui Magnus stava seduto. «È tanto che sei qui?»

Magnus si fece un po' di lato per fargli segno di sedersi e scosse la testa. «Due minuti» rispose, atono.

Rimasero in silenzio per qualche secondo, a fissare il grigio cielo invernale che gli si parava davanti. Alec aveva sempre preferito quel tipo di clima rispetto al caldo torrido dell'estate, ma in quel momento gli sembrava fin troppo opprimente. Fin troppo triste.

Magnus fu il primo a rompere il ghiaccio. «Quindi... non credo sia il caso di girarci troppo intorno. Qualcuno della tua Gilda mi vuole morto.»

Alec deglutì. Si era preparato almeno dieci discorsi diversi, ma al momento non gli veniva in mente assolutamente nulla. «Sei... sei sicuro di questa informazione?» domandò, la voce roca.

Magnus annuì una volta sola, e Alec decise di non indagare oltre: sapere il nome di una potenziale spia gli avrebbe fatto comodo, ma ora come ora non aveva nessuna intenzione di mettere alla prova la fiducia di Magnus più dello stretto necessario. «Okay. Magnus, ci ho pensato, e...» attaccò, incerto. Poteva dirgli la verità. Poteva farlo. Magnus se lo meritava. «Credo che dovresti andartene» soffiò piano, dandosi del codardo.

L'altro voltò la testa di scatto. «Prego?»

«Dovresti lasciare la città» proseguì Alec, testardo. Più parlava, più era come se le parole uscissero da sole. «Gli Shadowhunters sono... andiamo, non conosco né l'accusa né il rango, ma non credo che ti lasceranno in pace finché... quello. Se invece fai perdere le tue tracce, potrebbero rinunciare.» Magnus lo fissava con un'intensità tale da spaventarlo. «Ti prego...» mormorò, la voce spezzata. «Non voglio che ti accada qualcosa» concluse quasi sussurrando.

L'altro ci mise quasi un minuto intero a rispondere. «Rango S» disse alla fine. Alec sobbalzò: quell'informazione non l'aveva nemmeno lui, perché a parte un breve riassunto dei capi dell'accusa non aveva avuto nessuna informazione al riguardo. La S stava solo per i capi d'accusa più gravi, gli “Special”. Se lui avesse fallito, non aveva dubbi sul fatto che avrebbero affidato la missione a qualche Shadowhunter più esperto. Anzi, era già strano che l'avessero affidata a lui. Probabilmente c'era davvero carenza di nuovi adepti come si diceva in giro. Magnus sospirò e riprese a parlare. «Non credo che lascerebbero correre solo se me la dessi a gambe. E poi, la mia vita è a New York. I miei affari sono qui. La mia Gilda è qui.» Tu sei qui. Gli occhi di Magnus dicevano esattamente questo, e Alec dovette far forza su se stesso per non distogliere lo sguardo.

«Ma come farai se-» iniziò, la voce vagamente disperata, quando Magnus lo interruppe portandogli un dito sulla bocca.

«La mia risposta è no» sorrise. «Rimarrò in questa città. La domanda è: tu mi aiuterai?»

Alec se l'aspettava, che avrebbe chiesto una cosa del genere. Era abbastanza ovvio. Deglutì. «Certo che lo farò» promise, alzando lo sguardo verso di lui con occhi preoccupati. «Ma tu sei sicuro che-» Magnus lo baciò. «Sicuro» soffiò sulle sue labbra.

«A-allora comincia col non fare cose stupide come avvicinarsi all'Istituto» balbettò Alec appena si furono staccati, le orecchie rosse come peperoni. Quando Magnus gli aveva detto dove si trovava, gli era quasi preso un infarto: se qualcuno del Conclave l'avesse notato avrebbe immediatamente dato l'ordine di farlo entrare nell'Istituto, e, beh, le probabilità che Magnus ne uscisse vivo erano sotto zero. Quello che succedeva nell'Istituto rimaneva nell'Istituto, persino i membri delle altre Gilde lo sapevano. Da una parte Alec l'avrebbe quasi preferito: con l'obbligo di ucciderlo qui e ora forse sarebbe riuscito a sentirsi meno in colpa, anche perché sarebbe stata solo responsabilità di Magnus. Ma in realtà sapeva che non se lo sarebbe mai perdonato: per questo aveva urlato, al telefono, prima.

Magnus ridacchiò. «Hai ragione, quello è stato da pazzi. Se Ragnor o Catarina l'avessero saputo si-» si bloccò, un'espressione terrorizzata in viso, ed estrasse molto lentamente il cellulare dalla tasca.

«Che succede?» domandò Alec, cauto.

«Può darsi che stessi parlando con Ragnor, quando ho deciso di venire da te» disse, pesando bene le parole. «E può anche darsi che io gli abbia un po' riattaccato in faccia» aggiunse, controllando il numero di chiamate perse. Cinquantadue, contandone anche una di Raphael. «E... può anche darsi che si stiano un po' preoccupando» concluse, scorrendo velocemente i messaggi.

Alec mascherò una risata con un colpo di tosse. «Ma scusa, a me hai risposto» obiettò. «Come mai?»

Magnus inarcò un sopracciglio. «Tu hai il mio numero privato. Loro sanno solo il numero del telefono che uso nella mia Gilda» spiegò. «Ne ho un altro paio, a casa, ma sono per le emergenze.»

Alec decise di non chiedere oltre. «Dovresti chiamarli, giusto per fargli sapere che, beh, non sei morto o cose del genere.» Era inutile, non riusciva a trattenersi dal sorridere. Magnus se ne accorse, perché gli scoccò un'occhiata mortalmente offesa. «Ridi, ridi» lo accusò. «Chissà se ti piacerò ancora, senza tutte e due le braccia.»

Alec rideva apertamente, ormai. «Ma dai, sì» confermò. «Non è certo per le braccia che...» iniziò, la voce che sfumava nell'imbarazzo più totale.

Magnus sogghignò, cogliendo la palla al balzo. «Ah, no? E allora per che cosa, di grazia?»

Alec non doveva arrossire così tanto, non doveva, assolutamente no. «E-ecco... Io, io ti... Per il tuo... cioè, per...» Fu salvato dal quanto mai provvidenziale vibrare del telefono di Magnus.

«Ah. È Catarina» commentò quello reggendo il telefono con due dita, neanche fosse una bomba a orologeria.

«Rispondi, no?» fece Alec. Ci teneva a fare una bella impressione con gli amici di Magnus, e sospettava che nell'ultima mezz'ora avesse già perso un bel po' di punti. Visto che il ragazzo, a giudicare dal colorito del suo volto, non sembrava molto intenzionato a rispondere, Alec decise di prendere in mano la situazione e gli strappò l'aggeggio di mano. «Pronto?» azzardò, cauto.

La voce dall'altro capo del telefono esitò solo un istante prima di sbraitare: «E tu chi sei? Che ci fai col telefono di Magnus? Sei uno Shadowhunter, o...»

Alec allontanò un po' il telefono dall'orecchio, stupefatto: non credeva che una persona potesse urlare così forte. Magnus lo guardò con un'espressione che diceva “te l'avevo detto”, ma Alec decise di ignorarlo. «Ehm, sono Alec. Alexander. Il... cioè, sto con Magnus» balbettò, arrossendo. «Lui sta bene» aggiunse precipitosamente, «È qui con me. Te lo passo» concluse, consegnando il fardello al diretto interessato, che gli dedicò un'occhiata profondamente tradita prima di proferire, cauto: «Buongiorno...»

«Buongiorno? Buongiorno? Hai idea di quante volte ti abbiamo chiamato?» esplose la voce dall'altro lato del telefono. Alec non faceva nessuna fatica a capire cosa stesse dicendo, nonostante si trovasse a vari centimetri di distanza. «Cos'è successo? Quando Ragnor mi ha avvisata credevo ti fosse dato di volta il cervello! Sei ancora ubriaco, vero?»

«Io non...» tentò di intervenire il ragazzo, ma Catarina non sembrava intenzionata a smettere tanto presto. Proseguì per quasi dieci minuti urlandogli di averla fatta preoccupare da morire, e di come anche Ragnor fosse già in giro a cercarlo, e Alec ci provava a rimanere serio, davvero. Ma l'espressione di Magnus era semplicemente impagabile. Più Alec si sforzava di non ridere, più Magnus sgranava gli occhi, fingendosi mortalmente tradito. In mezzo alle urla selvagge dell'amica, a un certo punto, Magnus riuscì ad infilare il nome di Central Park, e un quarto d'ora dopo tutti gli amici di Magnus fecero la loro furiosa comparsa all'ingresso del parco. Cioè, la ragazza sembrava circondata da un'aura assassina, un altro aveva l'espressione calma e arrabbiata di un serial killer prima dell'omicidio, e l'ultimo sembrava essere stato trascinato lì contro il suo volere. «Alexander, permettimi di presentarti il fior fiore della Gilda degli Warlocks, con la speciale partecipazione del Master dei Vampires, niente di meno! D'altronde, per una missione al salvataggio del più scintillante degli Warlocks, questo è un comitato appena sufficiente... Ragazzi, lui è Alec. A quanto pare sta con Magnus» aggiunse, citandolo con un occhiolino. Alec sinceramente non sapeva perché se n'era uscito con una frase del genere, e quello gli sembrò il momento migliore per arrossire. Effettivamente, ora che ci pensava, loro non avevano mai definito questa cosa che avevano. Ma, a giudicare dal sorriso sornione di Magnus, forse non aveva fatto proprio male a dirlo. Certo, questo andava ad aggiungersi all'interminabile sfilza di errori che aveva commesso dal momento stesso in cui aveva conosciuto Magnus, ma ormai aveva perso il conto delle volte in cui se l'era ripetuto.

«Piacere, Alexander» disse sbrigativamente Catarina senza nemmeno guardarlo. «Forse ora saresti così gentile da spiegarci in che modo sei sopravvissuto a un'improvvisata al quartier generale degli Shadowhunters?»

Magnus sorrise. «Il mio ragazzo mi ha fermato in tempo» sorrise, strizzando l'occhio ad Alec con fare malizioso. Mentre tre paia di occhi stupiti si voltavano verso di lui, Alec non trovò niente di meglio da fare che arrossire come una ragazzina per essere stato chiamato “il suo ragazzo”. Decisamente, una giornata da dimenticare.

 

* * *

 

Alec era dovuto andare via dopo una manciata di minuti per via di una missione super-segreta da Shadowhunters che riguardava una certa banda di Demons nel Bronx. Magnus intuì che sia lui che i suoi amici -Raphael escluso; ma che ci faceva lui lì, poi?- erano considerevolmente in imbarazzo.

«Cioè... lui ti ha impedito di andare?» chiese Catarina, esitante.

Magnus annuì. «Però è lui» sospirò. «Lo so che è lui.» Non gliel'aveva nemmeno chiesto: non si era scomodato a dirgli “sai chi può essere?”, o “mi aiuterai a scoprire chi è?”, o addirittura “sei tu?”. Non avevano neanche affrontato l'argomento, perché la risposta era scontata.

Però Alec gli aveva detto che l'avrebbe aiutato. E gli era sembrato sincero quando gli aveva chiesto di partire, come se avesse il terrore di saperlo a New York, in pericolo. Magnus voleva credere a quelle parole.

«Sì, non è che ci fossero molti dubbi» fece Raphael, spiccio. «Vuoi una mano ad ucciderlo? Posso chiedere a qualcuno della mia Gilda, se...»

Magnus alzò lo sguardo, oltraggiato. «No! Certo che no» esclamò. «Se proprio... io non-» Ragnor lanciò a Raphael uno sguardo alla “te l'avevo detto” che infastidì Magnus oltre misura. «Oh, adesso non prendetevi gioco di me. Lo farò a modo mio, da solo» specificò, guardandoli tutti in cagnesco.

Non sapeva ancora cos'avrebbe fatto, ma giurò a se stesso che avrebbe trovato una soluzione. In qualche modo ce l'avrebbero fatta, perché Alec aveva detto che “stava con Magnus” e onestamente, la morte era un prezzo quasi adeguato da pagare.

 

* * *

 

Preso com'era dalle sue disavventure apocalittiche, Alec non aveva mai dedicato il massimo dei suoi sforzi ai problemi esistenziali della nuova ragazza di Jace. Anzi, si era praticamente disinteressato della faccenda: era felice per loro, per carità; ma recentemente tendeva a lasciare in secondo piano tutto ciò che non riguardasse Magnus.

Eppure, la situazione si era fatta così spaventosa che per lui era impossibile ignorarla. Quasi subito dopo che Clary -quello era il nome- era uscita con Jace, si era scoperto che sua madre era una Shadowhunter e che quindi lei aveva tutti i diritti di entrare nella Gilda con loro. Beh, urrà per la coppia più felice dell'anno. Però le cose non erano filate lisce, perché il migliore amico di Clary era stato reclutato con l'inganno dai Vampires ed ora non poteva più lasciare la Gilda, nonostante detestasse i loro modi di fare. In ogni caso, Alec riusciva a convivere con questo terribile problema senza subire danni collaterali. Ora però era spuntato fuori il fratellastro di Clary, un certo Sebastian, che stava segretamente seminando scompiglio in tutta la Gilda: aveva numerosi alleati tra i Demons e minacciava di distruggere gli Shadowhunters con un esercito dalle dimensioni mai viste prima. La Gilda era entrata ufficialmente in azione, e il Conclave si riuniva quasi quotidianamente: Alec aveva sempre meno tempo da passare con Magnus, nonostante avesse ricevuto il permesso di “sospendere tutte le missioni fino a emergenza superata”. Alla notizia, per poco Alec non si era messo a ballare dalla felicità.

Nel frattempo questo Sebastian aveva iniziato a muoversi anche nei confronti delle altre Gilde: aveva cercato di reclutarli tutti, ma a causa dei suoi stretti rapporti con i Demons era riuscito a conquistarsi solo i favori dei Fairies. In realtà si diceva che avesse sedotto la loro Master, la Regina, come le piaceva farsi chiamare. In ogni caso aver perso un'intera Gilda era stato un duro colpo per gli Shadowhunters, e tutti si preparavano alla peggiore delle guerre di quartiere mai viste nella storia della loro Gilda.

L'unica valvola di sfogo da tutto ciò, per Alec, era Magnus: lo aveva informato subito dell'ordine di interrompere ogni missione, così che potesse stare tranquillo per qualche tempo, e ogni volta che si vedevano era come se tutte le preoccupazioni venissero risucchiate magicamente via. Certo, anche Magnus aveva il suo bel daffare con la sua Gilda, ma trovava sempre un po' di tempo per lui. Alec credeva che, se non avesse avuto quelle serate, non sarebbe riuscito ad andare avanti.

«Sono arrivato!» gridò, facendo scattare la serratura. Qualche giorno prima Magnus gli aveva persino fornito le chiavi del suo appartamento, ed per Alec era stato il gesto più bello che Magnus avrebbe mai potuto fare. Izzy aveva azzardato un “forse non pensa che sia tu”, ma Alec non si era fatto troppe illusioni: Magnus sospettava ancora di lui, ma ormai loro due passavano tanto tempo insieme che, se Alec avesse voluto ucciderlo, non avrebbe avuto bisogno delle chiavi. Era un pensiero in egual misura confortante e orribile.

«Buongiorno» lo salutò Magnus, baciandolo sulla bocca. Alec sorrise, senza arrossire nemmeno un po'. Faceva progressi. «Tutto bene? Hai l'aria stanca.»

Alec sospirò, sedendosi sul divano accanto a Magnus. «È un casino, sul serio. Sarebbe un po' meglio se sapessimo da che parte cercarlo. Un quartiere generale, robe così. Ma quel ragazzo è inafferrabile» si lamentò. Non aveva fatto altro che sentir ripetere lo stesso concetto nelle ultime due settimane, non ne poteva davvero più.

Magnus lo fissò con preoccupazione. «E... credi che la tua presenza sia indispensabile da quelle parti?»

Alec inarcò un sopracciglio. «No, assolutamente no. Se non venissi, non se ne accorgerebbero nemmeno. Voglio dire, è logico, visto che sono ancora giovane, non intendo mica che...» si precipitò a spiegare.

Magnus sorrise, sventolandogli sotto il naso un plico di brochures. «In questo caso, che ne diresti di una vacanza?»

 

 

* * *

 

Catarina sbatté le mani sul tavolo. «Adesso basta! È andata avanti anche troppo, Magnus. L'hanno mandato a ucciderti, e tu... lo porti in vacanza?» domandò, calcando l'ultima parola con tono ironico.

Magnus incassò in silenzio. «Io do ragione a lei, amico» aggiunse Ragnor. «Va bene scherzarci, va bene divertirsi, ma a tutto c'è un limite» continuò. Non voleva darlo a vedere, ma era seriamente preoccupato per lui.

Non che questo intenerisse Magnus. «Ho il permesso di vivere la vita come mi pare o no?» sbuffò.

«Non se significa concluderla!» ribatté Catarina. «Oltretutto, passi sempre più tempo con la sua cricca di Shadowhunters, ultimamente, non negarlo. Ti sfruttano per tutti i lavori che di solito facciamo pagare a peso d'oro, e tu nemmeno te ne accorgi!» sarebbe andata avanti ore, ma in quel momento a Magnus squillò il telefono. «Ed evidentemente è...» borbottò.

«Alec!» trillò Magnus rispondendo al telefono. «A cosa devo il piacere?» Ma la sua espressione mutò rapidamente. «Sei sicuro? Il nome era proprio quello?» chiese velocemente. Ci fu una lunga pausa, e Magnus annuì seccamente. «È vero. La conoscevo bene. Non ti muovere, arrivo.» il suo tono si addolcì un po'. «Ah, perfetto. Sì, lo so, tranquillo. Grazie. Sì, arrivo subito. Ciao.» Schioccò un grosso bacio al microfono del telefono e riagganciò. «Scusate, ragazzi, devo proprio andare» disse indossando in fretta e furia la giacca.

«Che succede?» chiese Ragnor, preoccupato: quando sulla fronte di Magnus appariva quella ruga, significava guai in arrivo.

«Gli Shadowhunters hanno fermato un prigioniero Vampire latitante da tre anni» comunicò a labbra strette. «Esige di parlare con me. Comunque non preoccupatevi, ha detto che ho un lasciapassare per l'Istituto, visto che è una richiesta specifica di un prigioniero. Che non sarò in pericolo.»

Ragnor afferrò subito e sbiancò: «Aspetta, non sarà mica...»

Magnus annuì, prendendo la porta. «Camille Belcourt» proclamò prima di uscire in fretta e furia.































Angolo autrice:
Eccomi qua! Scusate il ritardo, ma ho avuto un weekend devastante e un lunedì da dimenticare, quindi non sono riuscita ad aggiornare ç.ç Ma non preoccupatevi, se Dio vuole da settimana prossima ricomincerò ad aggiornare regolarmente ogni domenica.
Parlando del capitolo... Alec e Magnus chiariscono, più o meno: che lo Warlock non se ne sarebbe andato immagino che l'aveste capito tutti, ma volevo fosse chiaro che, in parte, lo fa anche per Alec. Magnus sa benissimo che Alec è quello che lo deve uccidere, e Alec sa che Magnus sa, eppure continuano a vivere in un'impasse che dura già da qualche mese: cosa sperano di ottenere continuando così? E perché Magnus ha deciso di invitare Alec in vacanza?
Ah, e nel frattempo ho cercato di introdurre un po' un riassunto delle vicende dei libri: Clary e Jace possono amarsi perché la madre di Clary era una Shadowhunter in pensione, Simon è stato reclutato con l'inganno dai Vampires (immagino abbia partecipato per caso a un rituale o a una celebrazione, fate un po' voi) ed è apparso Johnatan Christopher Morgersten, alias Sebastian, a seminare un po' di scompiglio. Avrà un ruolo un po' più importante nei prossimi capitoli ^^
E infine... cosa succederà con Camille?
Spero che il capitolo vi sia piaciuto; grazie a tutti quelli che hanno recensito/messo tra le ricordate/preferite/seguite: siete tantissimi, grazie davvero di cuore!
A settimana prossima, un abbraccio, vostra
Emma <3

 

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Capitolo 5
*** V ***


-V-


 

Alec camminava avanti e indietro, incapace di trattenere l'ansia. Chi era quella donna? Perché voleva parlare proprio con Magnus? Era indubbiamente bella, con quei boccoli biondi che le ricadevano sugli occhi dandole un'aria misteriosa, raffinata. Era addirittura francese: Magnus gli aveva raccontato di essere stato in Francia, per un certo periodo. Si erano conosciuti là? C'era stato qualcosa tra di loro?

Inutile, non ce la poteva fare: non era già tutto abbastanza complicato? In quel momento Magnus voltò l'angolo della strada e i suoi occhi si incastrarono a quelli di Alec: gli dedicò un minuscolo sorriso, poi distolse lo sguardo. Alec sapeva benissimo che faceva così per evitare che qualcuno dall'Istituto potesse vederli in un atteggiamento intimo, e dovette trattenersi dal corrergli incontro. Appena furono abbastanza vicini, però, lo prese in disparte. «Stammi addosso e non entrare in nessuna stanza a parte quella che ti diremo» ordinò. «Abbiamo tutto il Conclave col fiato sul collo, e anche se non credo che si faranno vedere fidati che ti terranno gli occhi incollati tutto il tempo. Ah, e se dovessi vederli cerca di non parlare se non sei interpellato ed evita commenti di alcun genere. Sai com'è fatta questa gente, loro non...» La voce gli sfumò. Loro non ti vedono neanche come un essere umano.

Magnus sollevò un sopracciglio. «Smettila di preoccuparti per me» disse maliziosamente. «Sono perfettamente in grado di rapportarmi con gente che mi reputa spazzatura» assicurò, e si avviò a passo di carica verso l'ingresso.

Alec sospirò e gli venne dietro, cercando con tutte le sue forze di ignorare il panico. «Ed è... è la prima volta che entri nell'Istituto?» domandò, cercando di non pensare a quello che la presenza di Magnus nell'Istituto poteva rappresentare. Dannazione, e se a qualcuno fosse venuta la bella idea di farlo fuori? No, no, non era possibile: avevano contattato ufficialmente la Gilda degli Warlocks, se Magnus non fosse tornato indietro sarebbe stata guerra aperta tra le due Gilde. Non se lo potevano proprio permettere, non con tutta la faccenda di Sebastian.

Magnus si concentrò un attimo. «No, non c'ero mai stato. Ragnor sì, però. Una specie di riunione con tutte le Gilde, roba noiosa. Ehi, a proposito, non mi presenti i tuoi amici? Dopotutto, ora tu conosci i miei!» esclamò all'improvviso.

Alec ci aveva pensato: era il caso di portare anche Jace e Izzy, con la potenziale partecipazione di Clary e Simon? Dopotutto, gli ordini erano semplicemente di portarlo fino alla cella. Non c'era nessun bisogno della scorta. D'altra parte, era grazie al lavoro combinato di Simon e degli Shadowhunters se Camille era stata presa. E Isabelle aveva lasciato a intendere diverse volte che moriva dalla voglia di conoscere Magnus, quindi...

«In effetti gli ho già detto che possono aspettarci là» sospirò.

Magnus spalancò leggermente gli occhi, stupito. «Ah, davvero? Beh, fantastico!» commentò, soddisfatto.

Camminarono in silenzio lungo gli stretti corridoi che conducevano alla zona delle segrete. Alec stava sudando freddo: aveva deciso di non chiedere nulla, se l'era ripromesso più e più volte, ma... «Quindi, uhm, tu e Camille Belcourt vi... vi conoscete, o...» borbottò, avvampando. Era un bambino, si dava fastidio da solo.

Magnus sospirò, passandosi una mano sulla fronte. «Siamo stati insieme per un po', a Parigi» rispose, cauto. Ad Alec sembrò come se Magnus avesse rigirato quella frase nella mente in mille modi diversi, cercando di farla suonare meno sbagliata, per non farlo preoccupare. Inutile dire che l'intento non era stato raggiunto.

Cosa intendeva Magnus con “un po'”? Quanto erano stati insieme? Come si erano conosciuti? Le aveva detto “ti amo”? Chi aveva lasciato chi? Alec moriva dalla voglia di conoscere tutti i dettagli, e allo stesso tempo non ne voleva sapere assolutamente nulla. Sentiva una sensazione orribile nel petto, come se la storia di Magnus con Camille -una ragazza, che per di più non aveva nessuna intenzione di ucciderlo- fosse molto meglio della loro, molto più sana, più giusta. Si sentiva quasi in colpa per non essere quello che era Camille.

Prima che potesse dar voce ai suoi pensieri, però, raggiunsero la porta della cella. E con questa anche Izzy, Jace e tutti gli altri. «Ah, quindi tu devi essere Magnus Bane!» esclamò Clary, avvicinandosi e porgendogli la mano. «Mia madre mi ha parlato di te. Io sono Clary Fray!»

Magnus sorrise con eleganza. «Ah, tua madre, una donna deliziosa» assicurò. «Noi invece ci conosciamo già, dico bene? Ma trovo che sia sempre meglio vedersi in circostanze che non comprendano vite umane in pericolo» aggiunse poi, strizzando l'occhio a Jace e Isabelle.

Alec non poteva dire di non esserselo aspettato: era tipico di Magnus comportarsi così con tutti, ammaliare chiunque con i suoi modi esageratamente eleganti e maliziosi.

«È un piacere conoscere anche te... Spencer, dico bene?»

«Simon» lo corresse quello, imbarazzato.

Alec sentiva uno strano miscuglio di sensazioni nel petto: da una parte, era orgoglioso di Magnus, era felice di vedere in che modo riusciva ad impressionare tutti quanti. Dall'altra, però, il pensiero di Camille lo faceva ancora rabbrividire. E infatti non riuscì a trattenere una smorfia quando Isabelle commentò: «La signorina Belcourt attende in questa stanza. Non possiamo farti entrare da solo, quindi...»

«Verrò io» la interruppe Alec. Avevano deciso così con il Conclave: considerando la condotta irreprensibile di Alec e il fatto che era stato in contatto con Magnus per diverso tempo, avevano deciso di fare così.

«Grandioso!» sorrise Magnus, prima di prenderlo per mano. Alec arrossì di botto -andiamo, non davanti a Jace, per favore- ma non si ritrasse: tutti quelli che erano lì, dopotutto, sapevano. E il pensiero che Magnus volesse entrare nella cella di Camille mano nella mano con lui aveva un che di davvero confortante.

«Andiamo» affermò, sicuro, e spinse la porta della cella.

 

* * *

 

«Beh, non è andata così male» asserì Magnus, sorridendo incoraggiante.

Alec sospirò pesantemente senza dire una parola. Magnus non ci diede peso e continuò. «Voglio dire, alla fine cosa voleva? Sembrava una specie di rimpatriata. E poi odio quando parla per enigmi, non si capiva se voleva che intercedessi per lei con gli Shadowhunters o se mi ha fatto chiamare solo per vedermi, come se...» si interruppe, come indeciso sulla maniera migliore per concludere la frase. «Comunque sia, credo di averle dissolto ogni dubbio. Sicuramente non intercederò per lei: ha infranto gli Accordi tre anni fa, ed è giusto che paghi!» Ormai stava parlando a ruota libera, sperando con tutte le forze che Alec la smettesse di fare quell'espressione.

Perché davvero, Magnus avrebbe preferito passare un'intera nottata nel peggiore tugurio Werewolves della città -e tutti sapevano come erano soliti divertirsi, quelli là- piuttosto che passare un secondo di più con Camille. Era stata una delle sue storie più importanti, e molto probabilmente la più dolorosa di tutte. Lei lo aveva tradito, umiliato e trattenuto in una specie di limbo per un sacco di tempo prima della rottura definitiva: due parole dette in fretta, con noncuranza, senza guardarlo negli occhi. E a Magnus ce n'era voluto, di tempo, prima di ricominciare la sua vita senza voltarsi indietro.

Quando Alec aveva spalancato la porta della cella, però, Magnus non aveva avuto paura: non c'era niente che lei potesse dirgli che lo avrebbe fatto vacillare. Ci aveva provato, oh, se ci aveva provato. Forse sperava di fare leva sulla parte di Magnus che ancora provava qualcosa per lei, ma lui era stato una roccia.

«Ti ha toccato» mormorò Alec, così piano che Magnus per poco non lo sentì.

«Prego?»

«Ti ha preso per mano e ti si è strusciata addosso» spiegò Alec fissando il pavimento. «È evidente che cercava di sedurti per... usarti per i suoi scopi» sbottò come se fosse esclusivamente colpa di Magnus, continuando a camminare. Erano usciti dall'Istituto già da un po', e stavano passeggiando per Central Park. C'era il sole, e sarebbe stata un'ottima giornata per, boh, stare sdraiati a baciarsi sull'erba, tanto per dirne una. E invece no, dovevano stare lì a parlare di come Camille lo avesse toccato. Insomma, non che non lo avesse fatto, però...

«Dai, non preoccuparti» cercò di sorridere Magnus. «Te l'ho detto, con lei è finita. Adesso mi interessi solo tu» aggiunse malizioso, sporgendosi in avanti per baciarlo.

Alec si ritrasse. «Siamo in mezzo a un parco» sibilò, senza nessuna intenzione di abbandonare quell'atteggiamento ostile.

Magnus sospirò: lo capiva, davvero. Non sapeva come si sarebbe comportato lui se fosse spuntata fuori un'ex ragazza di Alec, dopotutto. Anzi, forse il problema era proprio quello: siccome Alec non aveva mai avuto una relazione, non era nemmeno abituato a quella situazione e non sapeva gestire la gelosia. Non provava nemmeno a nascondere quando la faccenda di Camille lo avesse turbato, era come un libro aperto, senza filtri. Sorrise un po' e gli si avvicinò, cercando di nuovo di baciarlo. Alec lo schivò, testardo, e allora Magnus si limitò a fissarlo negli occhi a meno di un centimetro di distanza dalla sua faccia. «Ti ho detto di non preoccuparti» sussurrò, malizioso.

Alec avvampò. Succedeva sempre più raramente, ormai, e ogni volta per Magnus era una piccola vittoria. «N-non sono preoccupato. Non per questo» borbottò, abbassando lo sguardo. «È un periodo complicato per tutta la Gilda, con le nuove informazioni su quel Sebastian, e Camille potrebbe essere una pedina importante, se...» sospirò. «Non dovrei dirtelo» aggiunse in tono di scuse.

Magnus scosse la testa. «Sta' tranquillo, non sei tenuto a dirmi nulla» assicurò. Sapeva che Alec rischiava già abbastanza così senza che tra le sue accuse spiccasse anche la voce “spia per gli Warlocks”.

«No, non è niente di super-segreto, voglio dirtelo» si oppose però Alec. «In pratica, i Vampires stanno prendendo in considerazione l'idea di unirsi a Sebastian. È per via del loro legame con i Faires, sai» mormorò. Magnus trasalì: quella sì che sarebbe stata una complicazione. «Raphael si è dichiarato contrario, quindi formalmente sono ancora dalla nostra parte, ma ci sono alcuni gruppi che spingono perché la situazione cambi.. e alcuni del Conclave sperano che con Camille dalla nostra parte anche quelle minoranze potranno essere annullate. Sai, per via della sua influenza eccetera. In cambio le consentiranno l'assoluzione da tutte le accuse. Quindi, vedi, più che una prigioniera è considerata quasi un'ospite.» Sputò quelle parole con tutto il disprezzo di cui era capace. «E, finché terrà fede alla parola data, non ho dubbi che le concederanno tutti i favori che vuole. Quando ha chiesto di vedere te... Cioè, da una parte se lei ti vuole il Conclave potrebbe addirittura revocare l'ordine di ucciderti, però...» la voce sfumò.

Magnus non disse nulla, cercando di metabolizzare la notizia. Certo che se erano disposti a tanto pur di avere Camille dalla loro parte, gli Shadowhunters dovevano essere davvero disperati. D'altra parte, perdere un'intera Gilda ormai avrebbe rappresentato una rovina quasi assicurata, e non potevano proprio permetterselo. Certo che, da qui a fidarsi di Camille... «Non puntateci troppo, su questa cosa» commentò alla fine. «Camille è una donna scaltra. Non è detto che terrà fede alle sue promesse, anche se esaudirete ogni suo capriccio.» Al pensiero di poter essere lui uno di quei capricci non riuscì a trattenere un sorriso amaro: sicuramente Camille non lo voleva in quel senso. Aveva bisogno di protezione, forse, o di un piano di scorta nel caso le cose fossero andate storte. Forse aveva saputo della sua condizione -aveva orecchie dappertutto, non era un mistero- e sperava di poterlo tenere in scacco con un qualche accordo: io ti proteggo dalla Gilda che ti vuole uccidere, tu fai tutti i lavoretti sporchi per me. Immediatamente sentì che avrebbe preferito morire con dignità che vivere in quel modo.

«Lo so, ma... sono tutti disperati» sospirò Alec. «Sembrano impazziti: abbiamo giustiziato già due traditori, o sospetti traditori. Spie di Sebastian» precisò. «E le soluzioni che propongono sono tutte diverse: c'è chi vuole abbandonare tutte le Gilde alleate, e chi invece vuole consolidare di più i rapporti; chi vuole cercare di scendere a patti con Sebastian e chi dice di distruggere lui e chiunque sia sul suo cammino; chi vuole riprendere le missioni e chi no... finora non abbiamo ancora deciso nulla, e ti giuro, la situazione ci sta sfuggendo di mano troppo in fretta» concluse con uno sguardo triste. «Non so cosa sia meglio per te, Magnus» aggiunse inaspettatamente. «Forse è davvero il caso che tu vada con Camille. Se non altro, lei saprebbe tenerti al sicuro?» concluse esitante, come se fosse una domanda.

Magnus sollevò un sopracciglio, sorpreso: dopo tutto quel discorso si aspettava che Alec avesse quasi dimenticato la storia di Camille, preso com'era dalle vicende della sua Gilda. Quella situazione era abbastanza da far andare fuori di testa chiunque, e nonostante tutto Alec si era preoccupato per lui: non solo gli aveva rivelato tutte quelle informazioni, ma prendeva in considerazione l'ipotesi che più di tutte lo faceva soffrire, per il suo bene. Magnus sfoderò un sorriso scintillante. «Non so cosa ne sarà di questa città, Alexander, ma Sebastian dovrà metterla a ferro e fuoco tutta quanta prima che io decida di diventare l'animale da compagnia di Camille Belcourt. E non c'è indennità che tenga, mi sono spiegato?»

Alec sorrise. «Sì, certo.»

«Andiamo ancora in vacanza, vero?» cambiò bruscamente discorso Magnus, facendo vagare lo sguardo nel cielo senza nuvole.

Il sorriso di Alec si allargò. «Ho già sistemato tutte le carte. Lunedì prossimo a casa tua?»

«Non fare tardi!» ghignò Magnus prima di prenderlo per la testa e baciarlo. Questa volta, Alec non si ritrasse.

 

* * *

 

Alec camminava avanti e indietro per il corridoio, indeciso sul da farsi. Dopo aver parlato con Magnus quella mattina si era sentito bene... per circa dieci minuti. Poi erano arrivate le preoccupazioni. Magnus sarebbe stato davvero meglio con Camille? Dopotutto, lei gli prometteva la salvezza, seppure con qualche restrizione. Cosa poteva offrirgli lui, invece, oltre che alla morte? Da quando avevano interrotto le missioni, Alec stava facendo di tutto per dimenticare che, un giorno, avrebbe davvero dovuto uccidere Magnus, ma la realtà tornava a bussare alla sua mente a intervalli regolari. Questa cosa non poteva durare, e se mai avessero sconfitto Sebastian non avrebbe più avuto scuse. Quasi quasi, a volte pensava di non volere che la guerra finisse, così da poter avere più tempo da passare con Magnus.

Un rumore gli fece voltare di scatto la testa: la porta si stava aprendo. Una bellissima chioma bionda fece capolino dall'uscio e si guardò intorno. «Ah, sei tu il mio accompagnatore ufficiale?» domandò. Persino la sua voce era splendida, musicale e delicata.

Alec si schiarì a gola. «Sì, sono io. Mi segua, per favore.»

Camille ridacchiò piano, come una cascata di campanelli dorati. Aveva un che di lezioso, quasi nauseante: più ascoltava la sua voce, più le prime impressioni di bellezza e perfezione sbiadivano. Era come un profumo dolcissimo che inizia a dare la nausea dopo pochi minuti. «Non c'è bisogno di darmi del lei, sai? Quanti anni avrai, diciannove? Ho appena quattro anni più di te.»

«Diciotto» mormorò Alec, abbassando lo sguardo. Camille era anche più grande di Magnus, quindi. Dovette mordersi la lingua per tenere a freno le domande che gli frullavano nella mente: com'era stato essere la ragazza di Magnus? Per quanto tempo era durata? Aveva detto a lei le stesse cose che ora diceva a lui? La aveva guardata nello stesso modo? E perché si erano lasciati? Sentiva la sua mancanza? Ma soprattutto, lo amava ancora? Sarebbe stata disposta a proteggerlo, nel caso... Quel pensiero gli faceva più male di tutto il resto: d'accordo, lo ammetteva, era geloso marcio. Se avesse potuto, avrebbe cancellato completamente Camille Belcourt dalle loro vite. Eppure, lei era stata con Magnus. Lo conosceva meglio di lui, sapeva cose di lui che Alec nemmeno immaginava. Una voce dal delizioso accento francese interruppe i suoi pensieri. «Senti, posso farti una domanda personale?»

Alec deglutì. «Di' pure.»

«Ma tu sei il nuovo ragazzo di Magnus?»

Per poco Alec non inciampò nei suoi stessi piedi, e Camille rise di nuovo. Alec già odiava quella risata. «Ah, allora è vero! Sì, ha sempre avuto gusti del genere. Mi ricordo di un ragazzo, un certo Will Herondale, se non sbaglio...» sembrò riflettere un po', poi scosse la testa e continuò. «Beh, Magnus ha avuto un sacco di storie, ma di sicuro lo sai già» commentò noncurante. «È per questo che hanno mandato te a prendermi, giusto? Perché frequenti Magnus!»

In realtà, Alec si era offerto volontario per accompagnarla dalla sala degli interrogatori alle sue stanze in preda ad un insano spirito masochista: forse voleva davvero parlarle, oppure voleva semplicemente studiare da vicino la ragazza che era stata la ragazza di Magnus. Ma al momento non riusciva a concentrarsi su nient'altro che non fosse la domanda che gli frullava in testa: «Cosa intendi con “un sacco di storie”?» domandò, odiandosi profondamente.

Gli occhi di Camille luccicarono. «Ah, non lo sapevi?»

«Non so molto del passato di Magnus» si scusò Alec, dandosi dello stupido subito dopo. «Cioè, lui è abbastanza riservato, col fatto che, beh...»

«Che tu devi ucciderlo, giusto?» domandò angelicamente lei.

Il mondo si congelò in una frazione di secondo. Alec mantenne la calma. «Che cosa intendi dire? Non farei mai una cosa simile, va contro gli Accordi!» esclamò con la voce che non tremava.

«Ah, no?» domandò innocentemente lei. «Avrò capito male… Eppure sarebbe un vero peccato, non trovi? Io avrei potuto aiutarlo davvero, se fosse stato così. Anzi, conosco un modo che avrebbe potuto aiutare entrambi, anche te. Di solito funziona così: tu fai un favore a me, io ne faccio uno a te. Oh, questa dev'essere la mia stanza, dico bene?» indicò una porta sulla destra. «Ah, se avessi voglia di parlare di Magnus, o, beh, di quello che vuoi... Sai che noi Vampires non dormiamo mai.» Gli strizzò l'occhio. «Ci vediamo stasera?»

Si chiuse la porta dietro le spalle, e Alec rimase immobile, una gran voglia di urlare.

Come aveva fatto Camille a sapere della sua missione? Aveva davvero una soluzione efficace per quella situazione? Una cosa era certa: quella notte avrebbe avuto tutte le risposte, in un modo o nell'altro.






Angolo autrice:
D'accordo, sono un essere spregevole. Mi spiace tantissimo, ho lasciato passare un mese intero dall'ultima volta che ho aggiornato! La scuola mi ha dato davvero il tormento, di recente, e non ho trovato un attimo per mettere giù le idee che avevo nella testa per questa storia. Ma ora sono tornata e ho anche iniziato un pezzo del prossimo capitolo, che vi prometto che stavolta arriverà in orario settimana prossima!
Intanto è entrata in scena Camille: come vi è sembrata? Quale sarà il suo piano? E tra Magnus e Alec, come andrà?
Un grazie immenso a chi è arrivato fin qui e a chi segue questa storia nonostante tutto, non mi merito!
Un abbraccio
Emma <3

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Capitolo 6
*** VI ***


-VI-

 

La verità? Magnus non aveva avuto la certezza che Alec sarebbe arrivato finché non lo vide scendere dal taxi reggendo un borsone grigio dall'aria consunta, gli occhi luminosi. «Scusa se ci ho messo tanto» ansimò leggermente, raggiungendolo. «Izzy continuava ad insistere dicendo che dovevo portare più vestiti, e così...» la voce sfumò mentre Magnus gli venne incontro annullando le distanze tra le loro labbra. Quelle di Alec sapevano ancora vagamente di dentifricio, e Magnus non riuscì ad evitare di ridacchiare interiormente.

«Sei perdonato» stabilì quando si furono staccati. Non che ne avesse avuto abbastanza, sia chiaro; solo che erano in mezzo ad una stazione e aveva bisogno di un Alec completamente bendisposto nei suoi confronti. Quella sarebbe stata una vacanza indimenticabile.

«Troppa grazia» bofonchiò Alec, nascondendo un sorriso. Si incamminarono verso il loro binario. «Non so come avrei fatto se... aspetta, quelli sono i tuoi bagagli?»

La sua espressione era così genuinamente costernata che Magnus non riuscì a trattenere una risata. «Perché ti sorprendi?» chiese, sollevando un sopracciglio con aria provocatoria. «Lo so che sono pochi, ma ho dovuto fare una selezione: erano concessi tre bagagli a testa, sai» commentò con aria dispiaciuta.

Alec corrugò la fronte. «Mi avevi detto uno.»

«Beh, a te ne bastava uno» tentennò Magnus, evitando di guardarlo negli occhi. «Considerate le dimensioni del tuo guardaroba paragonato al mio, era evidente che le rispettive parti andassero leggermente rivedute, ti pare?»

«E così ti sei portato la bellezza di cinque valigie per una vacanza di quattro giorni?» chiese Alec, assottigliando lo sguardo. Oh-oh. Forse far arrabbiare il pericoloso Shadowhunter-che-forse-avrebbe-dovuto-ucciderlo-anche-se-non-ne-era-sicuro non era stata un'ottima idea, dopotutto. Non c'era nessuna strana regola Shadowhunters che imponeva di vendicare all'istante con la morte un torto subito o cose del genere, vero? Magnus stava già impallidendo quando alle labbra di Alec affiorò un lieve sorriso. «Vabbé, non posso dire di non essermelo aspettato. Quale treno permette al massimo un bagaglio? Non fa niente, davvero, io ho effettivamente pochissima roba. Andiamo?» propose con un tono di voce che fece fare al cuore di Magnus un triplo salto mortale. Alec non era arrabbiato. Alec se l'aspettava e comunque non si era arrabbiato nemmeno un po'. Anzi, Alec aveva sorriso e aveva detto “Andiamo” e davvero, con quel tono di voce Magnus l'avrebbe seguito ovunque.

 

* * *

 

Il bicchiere cadde a terra con un tonfo e il liquido schizzò in tutte le direzioni, insieme a mille piccoli frammenti di vetro. Il cuore di Alec fece pressapoco la stessa fine.

«Cos'è successo?» chiese la voce dall'altro capo del telefono.

«N-niente, ho urtato un bicchiere che era sul tavolo» balbettò Alec, il cuore in gola. Gli tremavano le mani, e si chiese come facesse l'uomo con cui stava parlando a non capire quanto fosse disperata la sua voce.

«Sta' attento a fare in modo che non si accorga di nulla» lo redarguì quello. «Se dovessi fallire potremmo essere costretti a rivedere la tua posizione nella Gilda. Hai con te la pistola, dico bene?»

«Ovviamente» mormorò Alec atono. Certo che ce l'aveva. Non andava da nessuna parte senza.

«Certo, ovviamente» ripeté l'altro con accondiscendenza. «Questa telefonata serve solo da promemoria, dopotutto. Il tuo piano è stato molto ingegnoso: ottenere la sua fiducia tanto da spingerlo a rimanere da soli qualche giorno. Quando hai chiesto il permesso per questa vacanza l'Inquisitrice si è congratulata personalmente con tuo padre: ci hai messo molto poco per i comuni standard, per di più in un periodo in cui vi avevamo concesso una pausa da tutte le missioni. È questo lo spirito con cui siamo orgogliosi di vederti lavorare, Alexander» proseguì l'uomo.

«G-grazie, signore» balbettò di nuovo Alec, desiderando di sprofondare all'istante. Come aveva fatto a non pensarci? Era ovvio che il Conclave avrebbe preso la sua vacanza con Magnus come il segno che era pronto ad ucciderlo! Ormai era calata la sera sul loro primo giorno di vacanza, e Magnus era andato a fare un giro in paese per “vedere se c'era qualche negozietto carino in cui portarlo poi”. Alec aveva risposto al telefono senza nemmeno controllare il nome sul display, e quando aveva riconosciuto la voce di uno del Conclave... era troppo tardi, ormai.

E quindi, era arrivato al punto cruciale. Doveva decidere. Doveva decidere se mettere fine a quella storia che era andata avanti già da troppo tempo, se tagliare definitivamente i ponti col suo cuore e ascoltare la via della ragione, o... non riusciva neanche a concepire l'idea di tradire il Conclave, andiamo! E suo padre, e i suoi fratelli? Come poteva deluderli tutti? Quella telefonata aveva segnato una linea di confine: stava a lui se rispettarla e rimanere nei limiti - i comodi, sicuri limiti della sua vecchia vita - o se oltrepassarla, tuffandosi nell'ignoto. Non potevano chiedergli di prendere una decisione del genere, eppure l'avevano fatto. Doveva decidere.

Raccolse i frammenti del bicchiere senza quasi accorgersene, accolse Magnus con un sorriso stiracchiato e accusò la stanchezza del viaggio quando chiese di andare a letto presto. Magnus fu stupendo: non fece domande, si limitò a sorridere e a raccontargli con aria eccitata quanto avesse trovato fantastico il paesino marittimo in cui erano capitati; descrisse con dovizia di particolari la via principale del paese e i negozi così pittoreschi che aveva visto, poi passò ad un'accurata analisi del paesaggio e della spiaggia. «Domani prevedo una giornata di puro relax!» annunciò, sorridendo. «E poi, beh...» aggiunse, malizioso. «Magari domani sera non sarai stanco come oggi, e allora...»

Alec sentì il suo cuore implodere in mille pezzi. No. Non poteva. Non poteva assolutamente pensare di ferire Magnus, piuttosto la morte. E in quel momento, mentre lo baciava giusto con un pizzico di disperazione in più rispetto al normale, avrebbe davvero scelto la morte piuttosto che alzare un dito su di lui.

Ma non aveva scelta, giusto?

Finse di addormentarsi quasi subito, abbracciato a Magnus nel grande letto profumato di mare nella stanza bianca. Sentì il respiro dell'altro farsi sempre più regolare, finché non fu sicuro che stesse dormendo. Allora si alzò, e come un automa andò in salotto e svuotò la sua valigia finché non trovò un involucro scuro proprio sul fondo. Prese un respiro profondo e si passò una mano sul volto.

In quel momento Alec vide distintamente due strade davanti a sé: prendere quella pistola, andare verso la stanza da letto e premere il grilletto; tornare tra gli Shadowhunters come uno di loro, un figlio di cui andare fiero, un affiliato di cui andare orgogliosi. Oppure poteva gettarla via dalla finestra, rinunciare alla sua vita, alla sua famiglia e a tutto quello in cui credeva; rifugiarsi tra le braccia di Magnus e dirgli tutto, tutto quanto, e sperare che lo perdonasse, che scappasse con lui.

La scelta faceva male, soprattutto per Jace e Izzy: cos'avrebbero pensato? E suo padre? D'altra parte, c'era Magnus. Magnus era... Alec non sapeva descriverlo, ma ogni volta che lo Warlock gli si avvicinava lui sentiva un calore immenso, e la felicità all'improvviso aveva il suo odore, e il sapore delle sue labbra. E ogni volta che Magnus gli sorrideva e lo chiamava per nome Alec sapeva che non avrebbe potuto vivere senza quelle sensazioni, quelle farfalle nello stomaco, quell'eccitazione meravigliosa che solo l'altro sapeva donargli.

Aveva fatto la sua scelta. E se Magnus non l'avesse perdonato, beh... pazienza: almeno sarebbe stato al sicuro, vivo. Prese la pistola e fece per scagliarla fuori dalla finestra, quando improvvisamente si accese la luce. Era Magnus.

«Lo sapevo. Lo sapevo che eri tu» mormorò, lo sguardo spento.

«Magnus, no, io...» balbettò Alec, pallido come un fantasma. «Io non avrei mai, mai...»

«Oggi eri strano, non credere che me non me ne fossi accorto. Ma comunque, è stata Camille ad avvisarmi. Ha detto di aver saputo di una telefonata. Ma io ho voluto sperare fino all'ultimo che tu non avresti...»

«Infatti è così!» quasi gridò Alec, sentendo le lacrime pizzicargli gli occhi. Oh, andiamo, lui era uno Shadowhunter: come poteva ridursi in quello stato per uno Warlock? Perché? Si odiava per quanto doveva sembrare patetico agli occhi tristi del ragazzo di fronte a lui.

«Per favore, non insultare oltre la mia intelligenza, Alexander. Hai una pistola in mano» ribatté seccamente Magnus. «Eri tu, vero? Quello incaricato di uccidermi. Eri tu, per tutto questo tempo.»

Alec abbassò la testa. «Sì» mormorò, una singola sillaba che segnò la sua condanna. Il cuore gli sprofondò nel petto.

«Dovrei ucciderti, in questo istante.» Magnus sospirò, passandosi una mano sugli occhi, e Alec credette di vederlo improvvisamente diventare molto più vecchio di quanto in realtà non fosse. «Ma c'è un problema» aggiunse, guardandolo fisso negli occhi.

«Cioè?» La voce di Alec era gracchiante di vergogna e senso di colpa.

«Non è ovvio?» si limitò a ribattere Magnus, inclinando il capo.

Alec lo sentiva sempre più distante, e quello lo terrorizzava più di ogni altra cosa in vita sua. «Io non... non lo avrei mai immaginato, quando mi è arrivato l'incarico, che tu... che saresti stato così...»

«No, certo che no» ribatté sarcasticamente Magnus. «Un'altra bestia da macello, della stessa specie dei Demons. Scommetto che ti aspettavi qualcosa del genere, giusto? Un mostro» sputò.

«Gli passavi informazioni, però!» si inalberò Alec, pur consapevole che urlare era l'ultima cosa che avrebbe dovuto fare.

Il volto di Magnus divenne una maschera di granito. «È vero» si limitò a commentare, senza cercare di giustificarsi in nessun modo. Alec lo fissò, senza sapere cosa dire. «Credo sia ora che tu te ne vada, Alexander» disse alla fine, senza mutare espressione. «Spedirò la tua roba all'Istituto entro domattina. Digli pure che sono scappato. Digli che Camille mi ha informato, così la colpa non ricadrà su di te.»

Alec fece per ribattere, ma Magnus lo spiazzò: gli si avventò contro per baciarlo con foga, un accozzare di lingue disperato e famelico. Alec lo strinse con impeto da dietro le spalle, strizzando le palpebre per trattenere le lacrime. Alla fine si staccarono, e gli occhi di Magnus sapevano di addio. «Mi spiace» sussurrò. Poi: «Aku cinta kamu

Alec sentiva la testa girargli, ma chiese ugualmente: «Cosa significa?»

«Che ti amo. Non che cambi qualcosa» disse Magnus, l'ombra di un sorriso triste sul volto. «Sai che facciamo? Me ne vado io. Tanto di vestiti ne ho a quintali a casa, questi non mi servono» disse, e fece per uscire.

Alec esitò, disperato. E alla fine: «Non andare in Perù» esclamò di getto, quasi temendo di potersene pentire in seguito.

Magnus si voltò. «Prego?»

«La tua residenza in Perù. Ho fatto delle ricerche, e pare che il Governo di là ti detesti per qualcosa che hai fatto, non hanno voluto dire cosa. Hanno promesso che informeranno direttamente il Conclave se ti rivedranno mettere piede laggiù» deglutì Alec, sperando con tutto il cuore che l'altro gli credesse. Ecco, con quello era bello che sistemato. Se il Conclave l'avesse saputo, l'avrebbe ucciso senza processo.

Magnus, se non altro, sembrava stupito. «Terrò... terrò in considerazione la cosa» si limitò a dire. «Beh, allora addio, Alexander.» E senza aggiungere altro aprì la porta e si allontanò nel buio della notte.

Alec ci mise circa due secondi ad imitarlo: aprì la porta e chiamò a gran voce il suo nome. Ma era troppo tardi: di Magnus non c'era più nessuna traccia.

 

* * *

 

«… capito?» concluse Magnus, abbattuto.

«Certo, la faccenda è perfettamente chiara» ribatté l'altro, posando con circospezione il bicchiere sul bancone. «Quello che non capisco è perché tu ti sia dato la pena di raccontarla a me, visto che non me ne frega assolutamente nulla.» Raphael Santiago temeva di aver appena firmato per buttare via la sua intera serata.

«Intanto, dovresti avere più rispetto per chi è più grande di te» attaccò Magnus, corrucciato. «In secondo luogo, Ragnor e Catarina saprebbero dire solo “te l'avevo detto”, senza fornirmi quel conforto psicologico che evidentemente necessito adesso» aggiunse, buttando giù l'ennesimo bicchiere.

Raphael alzò gli occhi al cielo. «E che ovviamente ritieni io sia in grado di darti, giusto? Ma por favor, vai a farti curare» sbottò, facendo per alzarsi.

«No, dai, aspetta» lo pregò Magnus, e Raphael provava troppa pietà per lui per poterlo effettivamente abbandonare al suo tragico destino: di questo passo sarebbe presto finito a fare avancès romantiche al piatto di insalata che aveva solo piluccato quasi un'ora prima.

«Se vuoi il mio parere, tutta questa storia non ha senso» borbottò il Vampire, risedendosi con un sospiro sconsolato. «Io l'avrei ucciso subito, appena me ne fosse presentata l'occasione. Altro che tutto questo casino. Ti sei scavato la fossa da solo» diagnosticò, considerando chiusa la questione.

Magnus sospirò. «Lo so» commentò. «Ma mi sembrava che lui...»

«Se può interessarti, nemmeno a me non sembrava una grande minaccia» rifletté però Raphael, sorprendendolo. «C'è un nuovo adepto dei Vampires, Simon qualcosa, che sta sempre con gli Shadowhunters, e le poche volte che si ricorda di fare rapporto ne parla sempre bene.»

Magnus sgranò gli occhi. «E cosa dice?»

Raphael sbuffò. «Ma che, ora vuoi che mi ricordi tutti i rapporti dei miei subordinati a memoria? Senti, ti dico solo una cosa. Tu hai detto che l'hai visto con una pistola. Ma ha provato a spararti?» Magnus scosse la testa. «E aveva l'aria di uno che stava per farlo?» Magnus scosse di nuovo la testa, e Ragnor sospirò. «Hai considerato l'ipotesi che avrebbe potuto effettivamente non avere nessuna intenzione di ucciderti?» domandò.

Magnus lo fissò senza capire, e Raphael alzò gli occhi al cielo. «Voglio dire, magari stava ancora decidendo il da farsi. Avrebbe potuto addirittura avere appena deciso di risparmiarti, mentre tu sei saltato subito alle conclusioni. Oltretutto, se avesse davvero voluto ucciderti, non credi che l'avrebbe fatto?» chiese poi, inclinando il capo. «Voglio dire, aveva pur sempre una pistola in mano, e tu eri disarmato.» Dalla sua espressione era evidente che Magnus non ci aveva pensato. Raphael si alzò. «Senti, ho una Gilda da portare avanti, non posso stare qui tutta la serata a parlare con te. Vai dai tuoi migliori amici e spiega a loro la situazione, io ho di meglio da fare.»

Magnus sorrise appena. «D'accordo, va' pure. E grazie!» esclamò. Va bene tutto, ma, Madre de Dios, dev'essere davvero ubriaco! Pensò Raphael uscendo dal locale.

 





* * *

Angolo autrice:
Scusate il ritardo, eccomi! Sì, ammettetelo che sto migliorando, dai. Comunque! Ed ecco il capitolo che tutti stavate aspettando: Alec si è trovato costretto a compiere la sua scelta, e Magnus ha scoperto tutto nel peggiore dei modi. Come reagirà in Conclave di fronte al fallimento di Alec? E Magnus, rifletterà su quello che gli ha detto Raphael, e perdonerà Alec?
Grazie davvero tanto a chi ancora segue questa storia, spero che questo capitolo vi sia piaciuto! E se siete arrivati fin qua, potreste essere così gentili da lasciarmi un commento? Grazie davvero!
Un abbraccio a tutti
Emma <3

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