Il Bacio del Peccato

di Relie Diadamat
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I'd give up forever to touch you, 'cause I know that you feel me somehow ***
Capitolo 2: *** And I don't want the world to see me, 'cause I don't think that they'd understand ***
Capitolo 3: *** When everything's are made for be broken ***
Capitolo 4: *** I just want you to know who I am ***



Capitolo 1
*** I'd give up forever to touch you, 'cause I know that you feel me somehow ***


 
Nda: Salve! 
Dolci premesse: il contest di Elisaherm e Chloe mi è stato utilissimo per partorire un qualcosa a cui ho sempre mirato: dark!Merlin. Comincio precisando che questa storia può essere chiamata in due modi:
a. Il Bacio del Peccato;
b. Cinquanta sfumature di Mergana.
A voi la scelta!
Dopo queste mie oscenità, volevo assicurarvi che la storia conta di ben tre capitoli, più l'epilogo. Che dire... spero di non aver scritto un qualcosa di orrendo. Detto questo, vi lascio al primissimo capitolo.
A voi, ovviamente, la parola finale.
Buona, spero, lettura!
 
Nome sul sito/forum: Relie Diadamat (sito); Rita221b (forum)
Titolo: Il Bacio del Peccato
Genere: Angst, Fantasy, Sentimentale

Pacchetti utilizzati: Courage -12) Obbligo: deve esserci la descrizione di un bacio o di un abbraccio/ Divieto: la storia non deve essere inferiore alle 2000 parole. 
Magic9) Citazione: “Ama, ama follemente, ama più che puoi, e se ti dicono che è peccato, ama il tuo peccato e sarai innocente” (William Shakespeare)/ Canzone: Iris, Goo Goo Dolls. 
Strenght: 7) Situazione: Un tradimento o una tentazione di varia natura porterà Merlin dal lato oscuro/ Coppia: dark!Merlin/Morgana(o Arthur, a tua discrezione). 


 
 


Il Bacio del Peccato
Ama, ama follemente, ama più che puoi, e se ti dicono che è peccato,
ama il tuo peccato e sarai innocente.
William Shakespeare
 
 

 
 
 
 
Correva.
Ansimava.
Tutt’intorno, udiva solo il rumore del proprio fiato mozzato dalla corsa.
Un lampo squarciò il cielo, proprio sopra il suo capo, aldilà del verde cupo e opaco della foresta. Lo ferì col suo bianco accecante per qualche frazione di secondo, poi arrivò l’urlo agghiacciante di un tuono.
Il cuore quasi gli bruciava nel petto, sembrava un tamburo impazzito.
Dal grigio ferroso delle nuvole cominciò a cadere pioggia; lacrime del cielo che si appiccicavano ai suoi vestiti sudati, ai suoi capelli neri e scomposti.
Aveva corso abbastanza, ma c’era motivo di fermarsi? E dove sarebbe potuto andare?
Gli stivali erano sporchi di fango così come i suoi pantaloni, appena sotto le ginocchia.
Inciampò senza neanche rendersene conto, ritrovandosi in un momento la faccia nel terreno umido e fangoso. Cercò di rialzarsi, aiutandosi con le braccia, ma le sue ossa sembrarono andare in frantumi. Era stanco, non riusciva più a stare in piedi ed ormai il sudore sulla propria fronte si confondeva con la pioggia.
Si lasciò ricadere di schiena, prima che un altro lampo tagliasse l’argento del cielo.
Chiuse gli occhi, godendosi il violento picchiettare della pioggia sul proprio corpo. In fondo, non si stava poi tanto male in quella piccola fetta di mondo… Lontano da Camelot, dall’impiccagione e da Arthur Pendragon.
No, non era così male... Non voleva tornare a casa proprio adesso. Rise di sé per quel pensiero: Come avrebbe potuto far ritorno nella sua dimora – se mai Camelot lo fosse stata?



 

 
 


I. I’d give up forever to touch you,
‘cause I know that you feel me somehow

 
 






Ricordare.
Nessuno ci ha insegnato come fare, nessuno ci ha mai detto come poterlo dimenticare.
In quel momento, rimembrare il suono del campanile che s’udiva nel cortile del castello o anche il roseo tramonto mirato aldilà d’una vetrata, faceva male. Era tremendamente doloroso quanto inspiegabilmente inevitabile.
Se alcune rimembranze potessero essere cancellate dalla mente dell’uomo, costui vivrebbe in modo più sereno, più spensierato. Più vuoto.
Arthur, gli occhi bui e amari, osservava i confini verdi ed infiniti del suo regno; la spalla poggiata al muro di pietra, la mente vuota ed il cuore provato. Non credeva di averlo fatto sul serio, non credeva di avergli detto addio.
La gola pungeva, un nodo nella trachea non gli consentiva una giusta respirazione. Erano quelli i momenti in cui il re di Camelot provava il sapore temuto della paura: sordo, potente ed incredibilmente devastante.
I ricordi. Quelli sì che ferivano più d’una lama: Come ci si difende da un ricordo?
Quel posto, la sua Camelot, non sarebbe stato più lo stesso senza di lui. Non era più lo stesso.
La rabbia era molta, ribolliva nella stoffa scarlatta della sua blusa, riecheggiava nella sua pelle. Eppure la sua collera era solo un riflesso involontario del vero veleno che gli attanagliava il corpo: delusione.
Era stato difficile – e lo era ancora – vivere nella consapevolezza di essere odiato da una sorella tanto amata, alla quale avrebbe offerto qualsiasi cosa se solo gliel’avesse chiesto. Era stato arduo continuare ad andare avanti con la certezza di poterla salvare, senza mai riuscirci.
Una coltellata nel fianco fu sapere che anche suo zio bramasse la sua morte.
Ma quel tradimento, quella meschina bugia, era stato pari ad un taglio netto sul cuore.
Perdere anche Merlin, fu decisamente devastante.
Sentì i passi lenti di sua moglie alle sue spalle e gli venne d’istinto voltarsi: come avrebbe mai potuto fidarsi di qualcun altro, dopo ciò che il servo gli aveva fatto?
«Pensavi a lui?»
Ginevra, bella e composta nel suo vestito turchese, lo guardava con sguardo apprensivo: sapeva quanto suo marito fosse ferito, sapeva quanto stesse soffrendo. «E’ stata la cosa più giusta da fare».
Immobile, una statua di marmo. Arthur non accennava a scollarsi dalla sua posizione.
«Cos’altro avresti potuto fare?»
Gli occhi freddi, bui più della notte, scrutarono quelle chiome verdi all’orizzonte, verso la foresta. Il sole era già morto dietro la vallata, il cielo cominciava ad oscurarsi con le sue nuvole cariche di pioggia. «Rispettare la legge.»
Fu una frase apatica, lanciata nel silenzio del castello. Fosse stato possibile colorarla, sarebbe stata grigia come un cielo in tempesta: «Rispettare la legge».
La regina sentì qualcosa, nel suo petto, spezzarsi. Ebbe come la sensazione, terribilmente reale, che la fine di un’era fosse appena iniziata: Merlin senza Arthur, Arthur senza fiducia. Camelot senza il suo re.
Un tuono riecheggiò nelle mura di pietra, rischiarate dalle torce ardenti, portandosi con sé un carico di prospettive avveniristiche macabre e sinistre. A Camelot, ci sarebbero stati tempi duri, d’ora in poi.
 
 
 
 
 












«Merlin… Sei sveglio?»
Una voce… delicata e velenosa, rosa e nera.
«Oh, suvvia, non essere timido».
Pungente e ammaliante, soffice e spinosa.
Era reale? Si chiese il corvino.
Dapprima arrivò alle sue orecchie a sventola, sporche di fango, come un sussurro ovattato… Dolce, lontano, come ogni sogno dovrebbe essere – come lo era ogni cosa vicina al Paradiso.
«Emrys…» Il suono iniziò a farsi più deciso, meno vellutato e sempre più ombroso. «Svegliati, adesso».
Merlin aprì lentamente gli occhi chiari, spaesati, vedendo ombre opache. Rivide una zazzera bionda, un paio di occhi blu fieri e composti, poi un mantello rosso fuoco.
Arthur… Articolò nella sua mente, sentendo uno strano calore farsi spazio sul suo corpo intorpidito e tremante; una dolce sensazione che sapeva di buono, di casa.
«Buon giorno».
Quel sorriso… così freddo, così sinistro, non apparteneva al suo re. I capelli secchi e scomposti, neri come l’inchiostro, non incorniciavano un viso nobile e cocciuto ma un volto pallido e temuto. La fossetta ch’era nata sulla guancia sinistra della donna, a causa del ghigno silenzioso, era la firma della sua condanna: Morgana.
D’istinto, Merlin cercò di alzarsi ma qualcosa lo tenne ancorato al suolo, nella sua posizione supina. Si guardò allarmato i polsi, accorgendosi solo in quel momento delle catene.
La strega si era fatta vicina, troppo vicina, insopportabilmente vicina. Le sue labbra incurvate nel solito sogghigno agghiacciante: «Dormito bene?»
Fu in quel momento, dopo l’ennesimo tentativo di liberarsi dalla morsa delle catene, che si accorse di essere in piedi, le braccia costrette verso l’alto e la schiena contro un muro freddo e cinereo.
 «Oh…», mugugnò lei con finta tenerezza, «Non fare così.» Sporse il viso verso quello scolorito e impaurito dello stregone, simulando con tenebrosa apprensione: «Potresti farti male».
L’accenno di una risata, cupa e meschina, si levò alle spalle della Sacerdotessa. Merlin non poté che riconoscerla, quella voce; gli occhi di ghiaccio pronti ad incendiarlo, le labbra sottili e minacciose: Mordred.
Allo stregone venne d’istinto digrignare forte i denti, sentendo una stretta rabbiosa nello stomaco: «Tu…»
Merlin si sentì soffocare da una mano invisibile, cercando di portare istintivamente le mani alla gola, senza tuttavia riuscirci a causa delle catene. Morgana, gli occhi dorati come monete appena coniate, lo guardava torva, sibilando con fermezza: «Nessuno ti ha dato il permesso di aprire bocca», fece una pausa, per poi aggiungere con disprezzo: «Emrys
Emrys. Lo aveva chiamato Emrys.
Il pugno quasi serrato della corvina si distese violentemente, mentre i suoi occhi tornarono dal lucente dorato ad un verde smeraldo.
Merlin la guardò sprezzante, cercando di incanalare quanta più aria gli fosse possibile. Mordred se ne stava a fissare la scena a braccia conserte, un volto enigmatico. «Non temo la morte», disse il mago tra i denti, «né le vostre sciocche minacce.»
Morgana parve vederlo sorridere a quell’ultima affermazione, così ne approfittò per distendere le sue labbra screpolate in un’espressione mellifluamente affabile. «Che esagerazione!», lo schernì.
Lo stregone ne aveva abbastanza: doveva andarsene da lì, liberarsi e fuggire via… o quanto meno fare qualcosa, dal momento che la Sacerdotessa sapeva dei suoi poteri. Si concentrò sulla figura della donna, avvolta nelle sue vesti nere, sentendo gli occhi fremergli febbrilmente. Recitò un incantesimo nella mente, con gli occhi improvvisamente ambrati, scagliandolo contro la strega ma… Non successe nulla.
La gonna nera, lunga fino al pavimento sporco e polveroso di quel posto, dondolò insieme a Morgana per qualche secondo, costringendola a ridere ancora.
Smeraldi ingannevoli, ecco cos’erano i suoi occhi. Nausea, tremore, ansia: questo, l’effetto che avevano su di lui in quel momento. Perché la magia non aveva svolto il suo compito?
Merlin ci riprovò ancora una seconda ed una terza volta, il risultato avuto fu il medesimo. Spalancò gli occhi incredulo, improvvisamente in balia del panico: Cosa gli aveva fatto?!
«Noi non siamo come te, Emrys.» La strega l’osservava imperiosa, col suo seno semiscoperto. «Non combattiamo i nostri simili. Non siamo falsi traditori.»
Lo stridio del ferro, intorno ai propri polsi, gli fece comprendere la causa dell’inefficacia dei propri poteri; ingoiò della saliva, tendendo fisse le sue iridi glauche in quelle piene d’odio della donna. «Questo mi sorprende, Morgana», sorrise sfacciato. «Pensavo foste voi il ritratto della slealtà e dell’inganno».
Il volto di Mordred si crucciò bruscamente; estrasse con un gesto secco la spada dal fodero, avvicinandosi in uno scatto d’ira al corvino. Gli puntò la lama contro la fronte, mostrandogli un volto rabbioso. «Mostra rispetto verso Lady Morgana», sibilò.
Non si scompose, Merlin, sostenendo il suo sguardo: «Preferirei morire».
Le mani del druido cominciarono a fremere per la collera. Era colpa sua: era colpa di Emrys se Kara, la donna della sua vita, era stata impiccata giorni addietro.
Serrò i denti vinto dal rancore, preparandosi ad infilzare il ferro della sua arma nelle carni di quel traditore, finché Morgana non lo riprese: «Fermo!»
Mordred si bloccò immediato, ubbidiente agli ordini della Sacerdotessa. Tuttavia, continuò a tenere fissi sul mago i propri occhi glaciali. Non si voltò verso la strega, non mirò il suo cipiglio severo. S’allontanò in silenzio, lasciando il posto alla donna.
«Talvolta la morte può essere un privilegio sottovalutato. Il dolore s’appaga, la mente si svuota: la pace a cui ogni uomo ambisce.» Morgana s’impose dinanzi allo stregone, il volto di pietra e gli occhi tenebrosi. «Non voglio che tu muoia, Merlin. Voglio che tu soffra, così tanto da supplicarmi di ucciderti. Bramo le tue lacrime poco meno della morte di mio fratello.» Glielo sussurrò sulla pelle, facendolo rabbrividire. «Sarò la tua distruzione, Emrys… Ma tu potresti scegliere di far di me il tuo Destino».
La bocca del mago tremava, il suo volto era pallido e sudato a causa della tensione, il cuore continuava a fracassargli il petto.
«Io e te potremmo avere tutto. Un futuro, Camelot, il diritto di essere ciò che siamo. Insieme, potremmo essere invincibili, conducendo Arthur Pendragon verso la sua fine.» Il fiato di Morgana s’adagiava su ogni centimetro del volto del ragazzo, quasi come una carezza ammaliante. «Avremmo la nostra vendetta, tutto ciò che abbiamo sempre desiderato».
La guardò intensamente, Merlin, così scombussolato nell’averla così vicina. Si ricordò di onde nere, delicate e profumate. Rimembrava una bocca rossa ed invitante, intelligente; un paio di smeraldi giovani e vivi.
L’aveva amata quella donna, sin dall’inizio. L’aveva amata durante estati snervanti e faticose, nelle notti fonde e fredde. L’aveva amata nell’ombra rivestendosi di menzogne, nascondendosi dietro sorrisi stupidi ed impacciati. L’aveva amata anche mentre se la teneva stretta a sé, quel maledetto giorno in cui l’aveva avvelenata, imparando ad odiare se stesso per la prima volta.
Tutto ciò che desiderava, tutto ciò che gli sarebbe bastato, era una piccola riga del Fato ove i loro nomi comparivano affiancati. Lei. Era lei tutto ciò a cui aspirava. Ma Morgana, la sua Morgana, era morta nel momento in cui s’era smarrita nelle tenebre, affidandosi all’odio più spietato. Le aveva detto addio, con quell’assurda consapevolezza che, in qualsiasi altro modo, sarebbe stato in grado di sentirla.
«Credo nella speranza, ho fiducia nelle buone intenzioni. Credo nel regno che Arthur è destinato a costruire.» Merlin ebbe come l’impressione che la sua voce non fosse mai stata tanto ferma. «Non me ne faccio nulla della vostra vendetta. Il vostro tutto equivale al niente, per me».
Il viso della donna s’irrigidì, assumendo le sembianze di un blocco di ghiaccio inespugnabile. Serrò la mascella indispettita: Emrys aveva scelto ancora Arthur, rifiutandola un’altra volta.
«Vorrà dire che me lo prenderò da sola», gli ringhiò contro, prima che i suoi occhi si tingessero d’una luce forte e gialla.
L’ultima cosa che Merlin vide fu l’oro lucido nello sguardo di Morgana, poi ci fu spazio solo per il dolore.
 
 
 
 
*
 
 





Pioveva. Pioveva anche quel giorno.
Arthur detestava i giorni piovosi; essi equivalevano a meno allenamento, più stress e abiti lerci – talvolta, anche più consigli. E, come per assurdo, quelle erano le giornate che lo atterrivano di più.
Rientrò nelle sue stanze con la convinzione di poter crollare in mille pezzi da un momento all’altro; si sfilò malamente i suoi stivali, richiamando a gran voce il nome del servo sbagliato.
George allora si precipitò a raggiungere il proprio sovrano – ignorando il “Merlin” urlato poco prima -, mormorando diplomatico un: «Al suo servizio, Maestà».
Ed erano esattamente quelli i momenti peggiori, quelli in cui si accorgeva che il valletto gli stava difronte non era un idiota dalle orecchie a sventola, ma un diplomatico moro perfettino. Erano quelli i momenti, in cui l’esilio di Merlin gli tornava alla mente, pungendogli i pensieri.
«Puoi andare, George… Non mi serve nulla», tentò secco.
«Ma Sire, siete tutto infangato! Urge farvi un bagn-»
«Ho detto va’!»
George s’affrettò a chinarsi scusandosi dell’insistenza, scomparendo dalla vista del padrone.
Una volta solo, il re di Camelot sospirò in silenzio, udendo il continuo picchiettare della pioggia contro le vetrate. Deglutì piano, sperando di mandare via quell’insopportabile nodo creatosi alla gola.
 
 
 
 
 










«Perché l’hai risparmiato?»
Morgana continuava a tagliuzzare la sua mela con un pugnale, senza mai volgere lo sguardo verso Mordred che le parlava dall’altro lato del tavolo. «Non accetterà mai di unirsi a noi, dovevi finirlo. Le catene non assorbiranno ancora per molto la sua magia».
L’arancio caldo delle fiamme, provenienti dalle torce appese ai muri di pietra, coloravano la pelle diafana del druido, ricalcandone addirittura le rughe di disappunto.
«Emrys non ha scelta, che lui lo voglia o no starà dalla nostra parte.» La strega si portò uno spicchio del frutto alla bocca. «Con quel verme al nostro fianco, nessuno oserà mai opporsi a noi».
Mordred staccò con foga gli ultimi brandelli di carne dall’osso, assaporandone il gusto sanguinoso nel palato. Non riusciva ad ignorare il ricordo doloroso della sua Kara, non poteva evitarne il dolore.
Masticò piano, ripensando al volto fiero del sovrano di Camelot mentre condannava a morte l’unico amore della sua vita.
Lasciò perdere la sua cena, puntando il suo sguardo ferito sul volto rilassato della donna. «E’ fedele ad Arthur. A lui e a nessun altro».
Era vero, Morgana lo sapeva bene.
Nonostante si fosse infiltrata a Camelot sotto mentite spoglie per incastrare Emrys e smascherarlo dinanzi al suo Arthur, nonostante quest’ultimo lo avesse esiliato e rinnegato, Merlin continuava a restargli fedele.
«Ogni uomo ha un punto debole. Abbiamo trovato quello di Arthur e individueremo anche quello di Emrys.» La Sacerdotessa sollevò lo sguardo verso il suo protetto, mandando giù anche l’ultimo boccone. «Avremo giustizia, Mordred. Ce l’avremo».
 
 
 
















Sentiva le braccia bruciare, tese fino allo sfinimento.
Dopo aver perso conoscenza per colpa dell’incantesimo lanciatogli dalla strega, aveva riaperto gli occhi stanchi solo qualche ora più tardi, provando un forte capogiro.
Era molto buia, la stanza dove era stato rinchiuso. Sembrava una prigione senza sbarre, con un’unica finestra alla sua sinistra. Voltando il capo, il ragazzo poteva vedere la fievole luce della luna maestosa. Silenzio, nient’altro riempiva quelle mura cupe.
 

«Se io non fossi stato un principe, magari le cose sarebbero state diverse… Magari saremmo stati amici».
 
 
«Siete tornato indietro per me?»
«Sei l’unico amico che ho, Merlin, e non voglio perderti».
 
 
 


Gli occhi cominciarono a pizzicare, il petto a riempirsi di cemento.
Non era vero che senza Arthur stava meglio: stava male, insopportabilmente male.
Chi l’avrebbe salvato da Morgana, adesso?
Il mago compresse le labbra, cercando di mozzare i singhiozzi, riprovando ancora una volta a liberarsi dalla stretta delle catene. Si dimenò, recitò continui sortilegi contro quel ferro dannato, ma fu tutto inutile. L’unica cosa che ci guadagnò fu ulteriore dolore alle braccia, alla schiena e al cuore.
Si fermò esausto al quindicesimo tentativo, singhiozzando ormai rumorosamente: doveva andarsene di lì, doveva proteggere Arthur dalla sorellastra famelica, dalla profezia. Ma… sembrava impossibile.
 

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Capitolo 2
*** And I don't want the world to see me, 'cause I don't think that they'd understand ***


Nda: Salve a tutti!
Eccomi ancora qui a postare il secondo capitolo di questa storia... "fuori dagli schemi". Comincio ringraziando tutti coloro che hanno aggiunte la storia nelle preferite/ricordate/seguite; ringrazio coloro che semplicemente leggono in silenzio e tutte quelle splendide persone che si sono fermate a lasciarmi il loro pensiero: Grazie!
Aspetto come sempre le vostre impressioni! :)
Buona, spero, lettura!
Ps. Vi è presente un OC secondario.
Arrivate fino in fondo, c'è una sorpresa per voi ^^ - Soprattutto se amate il Mergana!
 

II.  And I don’t want the world to see me,    
      ‘Cause I don’t think that they’d understand

 
 





Venti giorni.
Erano passati venti giorni dal suo esilio da Camelot e la sua cattura per mano di Morgana.
La strega non lo aveva ancora eliminato e pareva aver tenuto fede alla parola data: lo stava portando allo sfinimento.
Quando quella mattina riaprì gli occhi, Merlin respirava a fatica, la faccia scarna contro il pavimento madido di quel posto. Di tanto in tanto vi aveva visto passeggiare dei ratti, grigi e fetidi come quelle mura.
Morgana lo aveva umiliato, torturato; Mordred se n’era restato in disparte con un volto imperscrutabile, le spalle contro il muro: un passivo osservatore della sua caduta.
Merlin si era accorto di quanto fossero numerosi i sostenitori di Morgana. Lo deridevano, dietro barbe ispide e scure, rivestiti di armature laccate di meschinità ed ignoranza.
Era stato ammanettato, il più grande mago di tutti i tempi, liberato dal ferro angusto delle precedenti catene solo per ricevere manette stregate; esse gli bruciavano i polsi ogniqualvolta decidesse di utilizzare la magia.
Era in gabbia, non vi era via d’uscita.
Quella mattina, col volto contro il suolo gelido, si chiese come stesse Arthur in quel momento o se Gaius si fosse già svegliato.
C’era il sole, o forse piovigginava?
Sussultò visibilmente nell’udire la porta di legno scuro spalancarsi, mentre un filo di luce flebile andò a posarsi sul proprio volto.
Un tozzo di pane sbatté contro il naso del ragazzo, mentre un ghigno nacque sul volto della Sacerdotessa. «La tua colazione», annunciò Morgana avvicinandosi. «Avrai tanta fame, nevvero?»
Merlin serrò la mascella, le mani costrette dietro la schiena. La strega amava umiliarlo, le piaceva da morire.
Lo stregone decise d’ignorarla, restando prono sul pavimento, ma la donna parve perdere la pazienza tanto che lo afferrò per una ciocca di capelli, costringendolo a guardarla in volto. «Voglio essere guardata quanto ti parlo.» gli disse a denti stretti, il viso pallido arrabbiato. «Ed esigo una risposta».
Merlin sostenne il suo sguardo, trascurando il violento battere del proprio cuore. Non l’avrebbe avuta vinta, non con lui.
«Ripeterò la domanda per un’ultima volta: Hai fame?» Morgana, ad un passo dal volto di Emrys, pretendeva risposte.
«Sapete, Morgana…», cominciò il corvino con voce rauca e la gola assiderata, «Si dorme malissimo sul pavimento».
La Sacerdotessa, irritata dai suoi giochetti e la sua sfacciataggine, gli strinse il collo, quasi arpionandoglielo con le unghie. «Sei solo un povero sciocco, Emrys. Ti ho offerto tutto ciò che un uomo possa desiderare, tutto quello che Arthur non ti ha mai dato».
Il mago la guardò con disprezzo, domandandosi per un momento dove fosse finita la donna che aveva tanto amato. Che fine aveva fatto quella fanciulla così vicina al Paradiso, più di quanto lui non lo fosse mai stato?
«Voi non valete neanche la metà di Arthur», si sforzò di dirle, con voce ancora più provata. «Siete incapace di amare, Morgana, e questo vi porterà alla deriva».
Le labbra carnose della strega fremettero dall’ira; d’istinto picchiò violentemente la guancia smorta del corvino, lasciandolo ricadere al suolo. Una smorfia di disprezzo affiorò sul proprio volto e, a pugni stretti si chinò sullo stregone. «Non esiste persona meno degna d’amore di Arthur Pendragon. Non sono incapace d’amare, Merlin, sono le persone che non meritano di essere amate».
Con quell’avvertimento, Morgana si rialzò uscendo dalla stanza.
 




 
 
 
 
Arthur aveva ancora la guancia rasata sul cuscino morbido ed immacolato quando le tende scarlatte vennero disserrate, permettendo ai prepotenti raggi del sole d’infastidirgli il volto.
Il sovrano arricciò il naso, coprendosi il volto col cuscino. «Merlin! Quante volte devo dirti che…»
La voce del monarca si spense non appena si sentì baciare dolcemente il collo. «Faresti meglio ad alzarti, Arthur. I tuoi doveri ti attendono».
Gwen. Era solo Gwen.
La regina si avvicinò allo specchio rimirandosi l’acconciatura. Si era alzata prima, senza scomodare servi o serve, facendo da sé; c’era voluta una mezz’oretta buona, ma alla fine il risultato sembrava impeccabile.
Vide il riflesso di suo marito mentre s’accinse ad alzarsi dal materasso, passandosi una mano sul volto per scacciare la stanchezza. Ginevra sentì quel buco allo stomaco estendersi, turbandole l’aria: avvertiva la tristezza di Arthur, ma non sapeva proprio come aiutarlo. Oramai, il biondo si sentiva tradito dall’unica persona che gli era sempre stata accanto e Gwen non sapeva come rincuorarlo, come prenderlo… fargli capire che Merlin l’aveva sempre difeso.
Sospirò, donando un sorriso tirato al consorte quando lo vide avvicinarsi. Arthur le baciò piano le labbra, quasi un soffio, poi sparì dietro al divisorio senza chiamare alcun servo.
Il biondo, dopo aver udito la moglie abbandonare la stanza, si levò la maglia rimanendo a torso nudo.


 
«E’ ora d’alzarsi!»
«Dici sempre la stessa cosa, tutte le mattine».

 
Il re di Camelot chiuse la mano destra in un pugno, fino a far impallidire le nocche, per poi gettare contro il legno chiaro l’indumento.




 
 
 
 
Morgana era irosa. Continuava a corrugare la fronte per la rabbia: torturare Emrys era gratificante, certo, ma non se Arthur continuava a respirare tranquillo e indisturbato nel suo castello!
Doveva trovare un modo per trascinare quel verme dalla propria parte, e alla svelta: stava perdendo la pazienza.
Alun, uno stregone alleato, era stato convocato dalla Sacerdotessa stessa per un urgente favore. Era un uomo dall’accento pungente e la pelle olivastra e si era dimostrato un complice fidato, anche quella volta.
«Concedetemi di dirvi, Lady Morgana, che minacciare con la morte un uomo che ha perso tutto, non è stata una scelta tanto astuta.» Lo stregone, chino al suo cospetto, aveva sollevato gli occhi grigi su di lei, sorridendo sicuro di sé.
Mordred, ritto in piedi accanto al trono della Sacerdotessa, lo guardava diffidente.
«Illuminami, allora», lo aveva sfidato la donna, scettica quasi quanto il ragazzo druido.
«Esiste una forza, mia signora, più potente di qualsiasi altra minaccia, più letale di qualsiasi veleno.» Alun fece una pausa, assicurandosi di avere tutta l’attenzione della strega verso di lui, per poi aggiungere: «L’amore».
«Mi prendi in giro, Alun?» lo ammonì severa, avvertendo la leggera risata di scherno di Mordred.
«Vostro fratello è stato spesso soggetto alla morta a causa del suo amore per… quella serva. Un uomo innamorato farebbe di tutto per la propria amata. Qualsiasi cosa».
Morgana parve rifletterci per qualche istante, la bocca semiaperta e lo sguardo verso il vuoto.
Il druido aggrottò la fronte dietro i suoi ricci castani, cercando lo sguardo della strega. Morgana non poteva credere realmente alle fandonie di quel villano!
Con le iridi inchiodate su un punto fisso della stanza, la Sacerdotessa ci rifletté a lungo: Merlin era un semplice ragazzino quando lo aveva visto per la prima volta e, per una qualche ragione, Morgana n’era incuriosita. Fin dal primo momento aveva sospettato di piacergli, ma la cosa non la sorprendeva più di tanto; era la figliastra del re e la fanciulla più desiderabile di tutta Camelot. Sedurlo, a quel tempo, non le avrebbe recato alcune difficoltà. Le cose, però, erano cambiate. Merlin sembrava non cedere più al suo fascino…
«Come?», domandò soltanto, ricevendo un’occhiata incredula da parte del suo protetto.
Alun, invece, parve rallegrarsi della sua scelta. Portò all’insù le labbra furbe, cominciando: «Esiste un modo estremamente sbrigativo…»
Morgana, da quel momento, non ebbe orecchie che per lo stregone.







 
 
Ginevra, distesa al suo fianco, aveva già chiuso gli occhi da tempo, lasciandosi cullare consenzientemente dalle braccia di Morfeo. Arthur, steso di schiena, l’aveva osservata respirare in silenzio, beandosi di quell’unica cosa bella rimasta nella sua vita.
Non ce la faceva più, non poteva più mentire. In quei giorni lo aveva fatto di continuo con i suoi cavalieri, sua moglie ed i propri sudditi. Evitava volontariamente servi e battute di caccia ed ormai non poteva più negarlo a se stesso: stava male, era ferito… Solo, non voleva che il mondo lo vedesse perché, n’era sicuro, nessuno l’avrebbe mai compreso.
Eppure, nel silenzio ricercato delle sue stanze, non c’era anima viva ad osservarlo. Voltò lo sguardo verso la finestra, ove filtravano i pallidi raggi della nobile luna.

 
«Merlin, mi raccomando: non. Mollare. La. Presa.»
«E’ finita, non c’è più corda!»

 
 
Ritornò insistente e fastidioso come tutte le volte, quel nodo alla gola, impedendogli d’ignorarlo.
Cedette ai sentimenti, Arthur, dapprima mimandolo con le labbra in un sussurro muto: «Mi manca.» Poi, trovò il coraggio e, lo ripeté in un soffio: «Mi manca».
 
 
 
 




*
 





 
Merlin era stato afferrato da due tizi barbuti, vestiti di armature argentee, per essere trascinato ai piedi della strega, dove l’obbligarono ad inginocchiarsi.
«Merlin!» lo accolse, distendendo le labbra in un finto sorriso. «Mi hanno detto che ancora rifiuti il mio cibo».
Il mago la guardava muto, tremante a causa del freddo e del dolore, con gli occhi stanchi e pesanti.
«Oh…», Morgana si era alzata dal suo trono di pietra, avvicinandosi al ragazzo che intanto veniva sollevato dai due scagnozzi della Sacerdotessa. «Non guardarmi così».
Un brivido gli percorse la schiena, mentre a poca distanza Morgana gli sorrise melliflua: «Cercavo solo d’essere gentile».
«La nobiltà è qualcosa che non vi appartiene, Morgana», buttò fuori sfacciato, con la sua lingua lunga e un sorriso azzardato.
Non se ne pentì, neanche quando uno schiaffo invisibile gli girò il volto verso sinistra, inducendolo verso il suolo.
«Fuori!», gridò furiosa ai suoi uomini, lo sguardo furioso verso il ragazzo riverso a terra.
Merlin si morse il labbro, stanco di trovarsi in quel posto, esausto delle continue torture e offese. Voleva smetterla di mordersi la lingua per fermare il pianto; era al limite ed era stanco.
La Sacerdotessa gli camminò in tondo, vedendolo cercare di rialzarsi aiutandosi con le ginocchia. Un piccolo animale indifeso, caduto nella trappola del cacciatore, ecco cosa sembrava.
Morgana se ne compiacque: l’aveva avvelenata, ostacolata e rifiutata. La sua paura non poteva che soddisfarla.
Si rimise in piedi a fatica, Emrys, solo per essere scaraventato verso il basso, con la schiena rivolta al pavimento. Un gemito di dolore gli sfuggì dalle labbra rinsecchite e screpolate, appagando ancora di più la sete bramosa della corvina.
Merlin aveva paura, maledettamente paura e, senza neanche accorgersene, aveva cominciato a lacrimare; voleva implorarle di smettere, di ucciderlo se necessario, ma non lo fece.
Erano soli, la stanza era vuota, decorata solo dalla luce che filtrava dalle ampie vetrate. Sembrava che nevicasse, pensò lui.
«Sai, Merlin, mi sono sempre chiesta quale sia la tua più grande paura.» Il sorriso di Morgana era un sorriso d’inverno, freddo e velenoso, proprio come le sue labbra.  «Ma sarò felice di leggertela negli occhi, adesso!»
No, non darle retta, Merlin. Non pensarla.
Emrys non voleva cedere alle torture della strega. Chiuse gli occhi con violenza, si ripeté di non aprirli per nessuna ragione al mondo.
La voce penetrante di lei gli annebbiava il cervello, lo mandava fuori di testa.
Quando le sue palpebre si sollevarono, lo stregone rabbrividì nel vedere, fiera ed eterea, la figura aitante di Arthur Pendragon dinanzi a sé.
«A- Arthur…» soffiò sconcertato, con voce tremante.
La strega sorrise trionfante, comprendendo di aver giocato bene con la psiche del mago. «Ma tu guarda…», cominciò. «A quanto pare, abbiamo qualcos’altro in comune».
Merlin era scosso, incredulo. Era vero? Temeva Arthur?
Si lasciò ricadere di schiena strisciando con i talloni all’indietro, allontanandosi dalla donna il più possibile; si allarmò una volta aver compreso che, alle sue spalle, c’era solo un muro.
Morgana si era avvicinata a Merlin con passo felpato, sguardo intenso, proprio come una donna che sapeva ciò che desiderava e andava a conquistarselo.
Il cuore, nel petto del giovane stregone, sembrava essere sul punto di esplodere, fuoriuscendo dalla gabbia toracica. Tremava come una foglia mossa dal vento insistente, gli occhi terrorizzati.
La Sacerdotessa si abbassò alla sua altezza, sedendosi a cavalcioni sulle sue gambe.
Il respiro di Merlin si fece affannoso mentre, dinanzi al suo volto, le labbra peccaminose della Pendragon si fiondarono sulla sua bocca.
Sentiva il seno di Morgana contro il proprio petto e la sua lingua esigere accesso nel suo palato. Morgana lo stava baciando a cavalcioni su di lui.
Teneva gli occhi spalancati, Emrys, non capacitandosi di quel che stesse succedendo.
Era peccato: abbandonarsi lì, a lei, donarsi senza alcun contegno. Ma lui l’aveva desiderata tanto, per molti anni.
Schiuse volontariamente le labbra, ricambiando quel gesto intimo, violento e inatteso.
Una forza, sconosciuta e potente, parve nascere dall’unione di quelle bocche, colorando gli occhi dei due stregoni di un giallo intenso.
Merlin sentì la magia fremergli all’interno, pullulare su ogni centimetro della pelle, rompendo le manette stregate che lo tenevano legato.
Era peccato essere lì, prenderle il viso tra le mani e assaggiarla con più foga. Era peccato lasciarsi sfilare la blusa madida e sporca, permettendo alla strega di carezzargli il petto candido e caldo.
Era peccato anche sollevarle la veste, baciarle il ventre, mordendole la pelle. Era peccato, ma lui l’amava e nel suo crimine si sentiva innocente.
 



 

 

Angolo di Relie:
- L'immagine non mi appartiene, ma l'ho modificata.
- Merlin è stato soggiogato, non si concede solo per puro piacere.
 

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Capitolo 3
*** When everything's are made for be broken ***


Nda: Salve a tutti!
Siamo arrivati quasi alla conclusione di questa storia ed io mi sento in dovere di ringraziare davvero di cuore tutte le belle persone che hanno aggiunto la storia nelle preferite/ricordate/seguite. Grazie a coloro che solo leggono in silenzio e alle persone pie che recensiscono. Lo apprezzo molto!
In questo capitolo ci sarà più lime quindi, a buon intenditore...
Aspetto i vostri pareri, non abbiate paura di esprimere la vostra opinione.
Buona, spero, lettura!
 


III.When everything’s made to be broken… 
 

 



Adrenalina.
Un filo, teso oltre il limite, che minacciava di spezzarsi.
Una lama di ghiaccio trascinata sul corpo, solleticante e proibita.
Un brivido, quello avido e perverso della caccia.
Era questo la scia umida e criminosa che Merlin aveva tracciato con la sua bocca, partendo dal collo diafano e seducente della donna fino a fermarsi sul suo ventre piatto. Lo morse, senza foga o violenza, né con impeto o prepotenza. Accolse la sua pelle con dolcezza disarmante ed implacabile, quasi sembrando sincero.
Fu questo a spaventarla e a condurla verso il più alto dei desideri. Morgana afferrò lo stregone per i capelli corvini, obbligandolo a guardarla negli occhi. L’azzurro delle sue iridi era limpido, vivo e talvolta si altalenava con l’oro intenso della magia. Le sorrise, Emrys, calmo ed esigente al contempo; affamato e sazio.
Una scossa fece vibrare il corpo nudo della Sacerdotessa, rendendola confusa e disorientata.
Aveva paura, per un qualche motivo illogico, che il mago fosse cosciente e non sotto l’effetto del sortilegio. Quel pensiero bastò ad agitarla e renderla irrequieta, premuta contro la sua pelle calda e traditrice: era lei ad avere il controllo!
S’impose sul corpo del giovane in una posizione dominante, facendogli comprendere, con la ferocia di quel gesto, come stessero le cose.
Lo vide sorridere ancora, prima si sentire la lingua di Merlin nel palato. Non era solo un bacio, il suo, ma era una carezza peccaminosa, quasi lieve e docile. Le labbra screpolate dello stregone erano armi ipnotiche e maledette.
Morgana si chiese, col fiato mozzato e la pelle gelata, se non fosse appena diventata la mercé di quel traditore.
Lo issò verso di sé, avendo finalmente gli occhi di lui ad un passo dal volto, le labbra aperte sulle sue ansimante, per riprendere il respiro.
Follia, quella era una follia pura quanto sbagliata.
La strega si aggrappò alla sua schiena, graffiandogliela anelante di controllo, scivolando però all’indietro, ritrovandosi sottostante al corpo di Merlin.
Cosa diamine stava succedendo?
 
 
 
 












Aithusa si lasciava carezzare del mago senza alcun disturbo, porgendogli il proprio muso bianco e sofferente. Merlin era compassionevole col drago: la guardava con pena e sofferenza, capace di confonderli con amore e pietà.
Morgana era terribilmente gelosa della sua piccola Aithusa, ma toccata da Merlin non le recava alcun fastidio: erano entrambi di sua proprietà. Vederli insieme, e in una certa maniera complici, accentuava in lei il concetto di possesso che nutriva nei loro confronti, facendola quasi sentire protetta.
Mordred, invece, continuava a rimanere diffidente: Emrys era passato davvero dalla loro parte? Era seriamente intenzionato ad eliminare Arthur Pendragon?
Dalla sua infanzia, il druido si era abituato a riconoscere le figure di Merlin e Morgana come ad un qualcosa di molto simile ad una famiglia; col tempo, però, si era ricreduto del grande valore dello stregone ed aveva riposto tutta la sua fiducia nella Pendragon.
Emrys era sempre stato fedele ad Arthur, ed era pur sempre dotato di poteri eccezionali. Chi poteva affermare con certezza che non stesse bluffando? E perché Morgana pareva sì assuefatta dalla sua presenza? Che l’incantesimo fosse andato male, che Emrys li stesse ingannando abilmente come suo solito?
Così assorto dai suoi pensieri, non s’accorse neppure del tocco affabile e cortese della mano di Morgana sulla sua guancia.
«Sembri stanco», gli disse.
Mordred indicò col mento la figura di Emrys china sul drago disteso. «Ci possiamo fidare di lui?»
La strega seguì lo sguardo del ragazzo, pietrificandosi di sasso; Merlin si era voltato verso di lei, sorridendole col suo solito modo spensierato e goffo… Eppure, c’era qualcosa nei suoi gesti che non andava. Quel sorriso appariva più sicuro, più sinistro e in qualche verso oscuro.
Dinanzi agli occhi della donna, prepotenti e insistenti, i gemiti e le immagini ovattate della notte scorsa tornarono a galla.
«Staremo a vedere», rispose al druido, ricomponendosi. «Staremo a vedere».
 
 
 
 
 



















Dormiva nelle sue stanze fredde, su un letto scomodo se paragonato a quello che vantava di possedere a Camelot.
Un incubo.
Morgana sudava dimenandosi tra le lenzuola scure, sognando sangue sulla sua tunica nera. L’urlo agghiacciante di Aithusa riempiva il cielo rosso fuoco; riverso sull’erba, il corpo privo di vita e dilaniato di Mordred tendeva un braccio verso la figura dolorante di Arthur.
Morgana tentava di respirare, mantenendosi viva, ma dalla ferita continuava a stillare liquido denso, dello stesso sapore della ruggine. Dinanzi a lei, Emrys sorrideva macabro, calmo e composto, con Excalibur tra le mani.
Precipitosamente, la Sacerdotessa si levò a sedere, spalancando gli occhi verdi nell’oscurità. Si guardò intorno alla ricerca del suo drago, ma non riuscì a proferire parola dal momento in cui si ritrovò Merlin impalato sulla soglia della porta, un’espressione mista al preoccupato e all’apprensivo.
«State bene?», le chiese senza muoversi.
Terrorizzata dalle reminiscenze dell’incubo, gli urlò contro allarmata: «Cosa ci fai qua?! Chi ti ha dato il permesso di entrare?!»
«I-Io…», il mago balbettò per un secondo, per poi azzardare un passo verso la donna. «Ho avvertito la vostra agitazione… Volevo solo assicurarmi che steste bene».
 
«Grazie, Merlin».
«Ehm… E’ bello riavervi qui».
 





«Sto bene», rispose secca, liberandosi dalla morsa fradicia delle lenzuola.
Merlin era libero di usare i suoi poteri a proprio piacimento, Morgana voleva sapere se poteva fidarsi di lui dopo averlo soggiogato; voleva comprendere se aveva sbagliato nel liberarlo dalle catene.
Furtiva, infilò una mano sotto il cuscino, abbrancando il pugnale. Se lo nascose dietro la schiena, avanzando all’erta verso Emrys. «Mi posso fidare di te, Merlin?»
Il corvino la fissò muto nella quiete della stanza, illuminata dalla lattescente luce della notte. Le linee sinuose della donna erano un’arma a doppio taglio, maledettamente invitanti a quell’ora tarda della terza veglia, laddove le stelle brillavano tremolanti con più zelo.
«Potete farlo, Morgana.» Si avvicinò incerto al suo volto. «Voi sapete che potete…»
Allora, mentre le labbra rosee dello stregone tentarono di arrivare a quelle carnose della corvina, ella gli puntò il pugnale alla gola con sguardo serio e penetrante. «Come posso averne la certezza?»
Merlin, la bocca schiusa e gli occhi calmi, non si scompose al gesto della Sacerdotessa bensì, continuò a navigare nei suoi occhi belli e dannosi. «Io farei qualsiasi cosa per voi, Morgana. Qualsiasi cosa».
Mantenne la schiena dritta, Morgana, cacciando aria dal naso. Alzò un sopracciglio in aria di sfida, parlando con tono impudico: «Orbene… Infiltrati tra le mura di Camelot… e portami il cadavere di un cavaliere della Tavola Rotonda».
Con un’espressione inscrutabile, Emrys rimase teso nella sua blusa blu ed i pantaloni scuri. Il pomo d’Adamo volò su e giù nella trachea, prima che un nuovo sorriso affiorasse sul suo viso. «Sarà fatto».
Incosciente, cercò di combaciare le loro bocche, lasciando scivolare una mano titubante appena sotto il seno della strega, raggiungendo la sua schiena.
Morgana sembrò perdere un briciolo della propria diffidenza, accogliendo le labbra dello stregone con foga e desiderio. Per un secondo, si concesse addirittura il lusso di calare le palpebre, adagiando la mano libera dietro la sua nuca nera, sentendo a stento la presa ancora salda sul pugnale.
Merlin, sorridendo infantile nel bacio, pensò di osare di più, risalendo con la mano la schiena della corvina. Quest’ultima, sentendosi sopraffare, si staccò dalla stretta del giovane, minacciandolo nuovamente col l’arma che aveva tra le mani, agitandola in segno di rimprovero. «Tu portami il corpo del cavaliere, poi avrai ciò che meriti».
Sorrise provocatoria, poggiandogli due dita sulle labbra.
Quel gioco che si era creato tra loro la divertiva, ma non poteva rischiare di farsi battere o dominare. Tra lei ed Emrys le cose erano chiare: uno dei due sarebbe diventato succube dell’altro e, Morgana, ci stava ancora lavorando per averla vinta.
 
 
 









 
*
 













La sala del consiglio era luminosa, completamente irradiata dai raggi dorati del sole deciso.
Il legno pregiato dell’immenso tavolo rotondo fungeva da ottima base per i gomiti del re, che se n’era rimasto con gli occhi pensierosi per molto tempo.
In quei giorni aveva spesso ripensato ai principi validi e morali che lo avevano condotto a sedersi ad una tavola senza spigoli, innalzando fiero e sicuro l’idea di uguaglianza tra tutti gli uomini. Poi, aveva ripensato a Merlin. Poteva biasimarlo per ciò che gli aveva fatto, per come gli aveva mentito? Forse, ma dopo molte notti insonni era giunto alla conclusione di compatirlo. Avrebbe rischiato la morte se gli avesse detto la verità e, come per assurdo, tutta quella situazione andava contro ogni morale del suo regno.
Arthur, convinto delle sue conclusioni, aveva riunito i suoi fedeli alleati ad un’assemblea speciale.
«Il mio regno», iniziò alzandosi in piedi, «la nostra casa si basa su delle fondamenta di un ideale che vede uguali gli uni con gli altri.» Il biondo fece scivolare il proprio sguardo su tutti i componenti della Tavola Rotonda, riprendendo deciso: «Uomini e donne, adulti e bambini, servi e nobili: hanno tutti gli stessi diritti…»
Si fermò un istante, solo per calibrare al meglio le parole. «Stregoni e non. Siamo tutti figli di questa terra, siamo uomini e commettiamo errori; succede, è comprensibile, ma è compito di un buon re aiutare il suo popolo, tendendogli la mano quando più ne necessita… Perché se vacilla il popolo, il re cade con esso. Ed è per questo motivo che mi accingo a conferirvi la mia decisione nel revocare la condanna alla magia a Camelot nella speranza che un domani, gli sbagli di oggi vengano cancellati».
Erano rimasti ammutoliti tutti.
Gwaine con la sua faccia stranamente seria, Leon con un volto impassibile, gli altri cavalieri immobili. Arthur era sicuro della sua scelta, solo… Avrebbe voluto più appoggio, che arrivò dal suo fianco: Gwen, sua moglie, aveva battuto i palmi della proprie mani, alzandosi in piedi.
Il secondo ad alzarsi, fu Sir Gwaine seguito a ruota dall’anziano Gaius ed il resto della Tavola Rotonda.
Sorrise fiero Arthur, orgoglioso del suo popolo, al limite della commozione: avrebbe ritrovato Merlin, riportandolo a casa sua, Camelot; forse, con un po’ di fortuna anche Morgana lo avrebbe perdonato per i crimini di cui Uther si era macchiato.
Un tonfo sordo, gli applausi nella sala erano cessati di colpo mentre, tutti i presenti, volgevano lo sguardo verso le porte spalancate della stanza.
Arthur si voltò verso le ante aperte. C’era una sola persona tanto irruente in tutta Camelot, un solo servo idiota capace di comportarsi in maniera tanto inadeguata.
Il biondo si allontanò dalla tavola, sussurrando appena: «Merlin».
Non c’era nessuno tra le porte sprangate, ma Arthur era sicuro che fosse lì.
S’incamminò veloce fuori dalla sala, aumentando il passo nel corridoio, mentre il rosso mantello gli sventolava alle spalle.
Il corvino si era nascosto dietro una parete del castello, appena accanto la rampa di scale, mordendosi colpevole il labbro inferiore. Il Pendragon continuava a richiamarlo, correndo nel castello, spalancando le porte delle stanze in cui pensava potesse nascondersi.
Merlin, le mani criminose ancora tremanti, rabbrividiva per la malefatta. Sicuro di essere lontano da Arthur, uscì allo scoperto scattando verso la rampa, andando a sbattere contro un corpo pieno e familiare.
«Merlin!» La voce sorpresa e meravigliata di Gaius fu come una lama nel cuore. «Sei tornato!»
Nel vedere il volto affranto del protetto, il medico di corte corrugò la fronte confuso. «Cosa ti prende, figliolo?»
Con le labbra tremanti, il corvino ammise: «M-Mi dispiace…»
«Cosa hai fatto, Merlin?» chiese agitato, comprendendo che le lacrime del ragazzo non erano un buon segno. Solo sporgendosi oltre, vide il corpo senza vita di Percival capovolto al suolo.
Non volendo credere ai propri occhi, si voltò sconvolto verso lo stregone. «Dimmi cosa hai fatto, Merlin!»
«Ho dovuto farlo», confessò, «io l’amo».
Gaius si sentì crollare il mondo addosso. «Misericordia, Merlin… Cosa ti ha fatto?!»
Merlin indietreggiò, scuotendo il capo. «Non avvicinatevi».
L’anziano l’ignorò, cercando di prendergli il viso tra le mani, forse quasi sul punto di lacrimare. «Che cosa ti ha fatto?», ripeté. «Che cosa ti ha fatto?»
Un momento dopo, Gaius fu gettato contro una parete con violenza. Emrys rimase impietrito mentre Mordred con un gesto del capo gli suggerì di scappare.
Il primo, a giungere sul luogo del misfatto, fu Gwaine. Si catapultò apprensivo su Gaius, chiedendogli se andasse tutto bene. Leon accorse un attimo più tardi, aiutando il cavaliere ad issare l’anziano.
«Cosa è successo?», domandò un affannoso Arthur, col sorriso debole. «Era lui?»
Si accorsero di Percival solo quando, scandalizzata, Gwen soffocò un’imprecazione con le mani.
Il sorriso sul volto del sovrano scomparve, lasciando il posto solo al dolore e al disdegno. «Morgana», concluse a pugni stretti.
«No» lo corresse Leon, indicandogli con lo sguardo una bandana rossa dimenticata al suolo.
Arthur sentì il cuore creparsi, esplodergli in mille frammenti di vetro perforandogli la carne. Probabilmente, morire sarebbe stato meno doloroso.
Come avrebbe potuto dimenticarsi quegli stupidi fazzoletti che il suo servo si legava al collo? Dimenticare… In quel momento avrebbe tanto voluto farlo.
«Lo ha soggiogato, Sire.» intervenne Gaius. «Non è più lui».
 
 
 
 
 
 









«I miei uomini!» Morgana sorrideva sorniona sul suo trono quando vide Mordred e Merlin fare ritorno. «Devo considerarvi tali o come spie di Camelot?»
A chinarsi per primo alla sua presenza, baciandole il dorso della mano, fu Mordred. «Possiamo affermare con certezza che da oggi Camelot vanterà di un cavaliere in meno alla Tavola Rotonda».
Sorrise fiera dei suoi uomini, spostando le sue iridi verdi sul corpo in attesa di Merlin. «Bene».
Il druido si sollevò, capendo l’implicito ordine della Sacerdotessa: lasciarli soli.
Senza indugiare oltre o fare commenti, il moro sparì dalla stanza.
La corvina scese dal trono, avvicinandosi compiaciuta allo stregone, facendo strusciare parte della gonna al pavimento.
«Qui qualcuno merita un premio», stuzzicò lei, facendo scendere una mano sul cavallo dei pantaloni marroni del ragazzo, sussurrandogli la provocazione sulla guancia.
Prima che potesse slacciare l’indumento, Merlin le bloccò il polso bruscamente, penetrandola con i suoi stupendi occhi di ghiaccio. «Prima, dovete concedermi un favore…»
 
 
 
*
 
 








Il sangue scorse dal palmo chiaro della donna come un filo sottilissimo.
Alla luce del fuoco, sembrava di un rosso più chiaro di quel che ricordava.
Emrys si ferì a sua volta, lasciando così che una lacrima di liquido denso cadesse dalla propria mano.
Gli occhi degli stregoni si tinsero di un oro pregiato, luminoso quanto potente. Recitarono all’unisono parole dell’Antica Religione, tenendo lo sguardo fisso sui palmi feriti.
Una volta terminato l’incantesimo, Merlin allungò il volto sulla mano della donna, succhiandone delicatamente il sangue. Quando il mago alzò le iridi chiare sulla Sacerdotessa, questa rideva soddisfatta.
Qualora toccò a Morgana, Emrys non le tolse gli occhi di dosso. L’amava, alla follia e che fosse peccato o meno poco gl’importava: ormai erano legati. Le loro vite dipendevano l’una dall’altra.






Relie's corner
- Penso che, secondo l'ideologia della 'Tavola Rotonda' questo discorso doveva essere affrontato nella serie;
- L'immagine ad inizio testo non mi appartiene, l'ho solo modificata;
- Merlin è uscito fuori di senno e vuole unirsi a Morgana per sempre.
A voi la parola :)

 

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Capitolo 4
*** I just want you to know who I am ***


Nda: Salve a tutti! 
Finalmente mi sono decisa a pubblicare quest'ultimo capitolo, molto breve. E' stato scritto di fretta, quindi potreste facilmente "incontrare" degli errori, ma... spero vi piaccia lo stesso. Spero di non aver deluso nessuno.
Grazie a tutti coloro che hanno seguito la storia inserendola nelle varie categorie; grazie a chi ha letto in silenzio e grazie a hiromi_chan, ginnyred e pendragon_11 e a tutti gli altri per aver recensito. 
Buona, spero, lettura :)
 

IV.I just want you to know who I am 
 (Epilogo)
 





Arthur, irato quanto impacciato, cercava d’indossare da solo la sua armatura, finendo solo col fare un gran casino che Ginevra fu rapida a cogliere.
Si avvicinò al marito dolcemente, poggiandogli una mano sulla spalla nell’intento di calmarlo, aiutandolo con l’armatura. «Cosa hai intenzione di fare, Arthur?»
L’uomo faticò a non stringere forte le mani in due pugni pallidi, limitandosi a serrare la mascella. «Devo trovarlo, Ginevra.» disse, afferrando senza ripensamento Excalibur dalle mani della consorte. «Devo trovarlo».
«Non credo sia una buona idea, Arthur. Morgana è capace di tutto… Non sai cosa possa aver fatto a Merlin».
«Ma è Merlin!», scoppiò, dando libero sfogo a tutti i sentimenti che si era tenuto dentro in quei giorni: «E’ sempre stato qui a pulirmi gli stivali, lucidarmi l’armatura e lavarmi i vestiti! Io… Ne abbiamo passate tante insieme!» Si zittì nel vedere il viso impassibile di sua moglie, ancora contrariata.
«Questa guerra deve finire, Gwen, ed io non intendo tirarmi indietro.»
«Allora verrò con te», si premurò. «Potrei aiutare i cavalieri feriti, con Gaius».
Il Pendragon ci pensò su per un momento, per poi scuotere il capo. «No. Il nostro unico obbiettivo per il momento è Merlin. Gaius ci sarà più che sufficiente. Devi rimanere qui, Gwen, a badare al nostro popolo. Io, tornerò presto», le promise, baciandola sulle labbra.
«Arthur!» lo bloccò, prima che scomparisse. «Non tornare da solo».
Sorrise il re di Camelot, abbassando lo sguardo sull’oggetto che la donna gli stava porgendo: il fazzoletto, quello del loro primo bacio. Lo prese tra le mani stringendolo come se fosse il più prezioso tra gli smeraldi, giurandole: «Non falliremo».
 
 
 
 
 
Gaius aveva convinto Arthur ed i cavalieri che la morte di Percival non fosse stata opera di Merlin, bensì di Morgana che, con la sua perfidia e la sua magia, lo aveva soggiogato.
Dapprima nessuno sembrava voler credere a quella teoria, ma poi avevano preso la loro decisione: se quella di Morgana era una provocazione per versare altro sangue, loro non l’avrebbero accolta; Arthur si sarebbe recato al cospetto della sorellastra offrendole ritorno a Camelot, dove l’uso della magia era stato riammesso.
Così, armati per precauzione, il re ed i suoi più fedeli cavalieri erano partiti verso le terre nemiche.
 
 
*
 
 
Quello di cui Camelot era all’oscuro, erano le numerose persone corrotte a corte. Una serva, nonché nuova amante di Gwaine, era riuscita ad intrufolarsi nel castello, entrando nelle grazie del cavaliere. Fu proprio lei ad informare Lady Morgana dell’imminente visita.
«Lo anticiperemo sulla tabella di marcia», ordinò melliflua la strega, «accerchiandolo su tutti i fronti».
Mordred, schierato insieme ad altri stregoni e combattenti, annuiva consenziente, pregustando già il sapore della sua vendetta: Kara avrebbe avuto giustizia; tutte le persone cadute per mano di Arthur Pendragon avrebbero avuto giustizia.
Solo una persona, tra tutti, non aveva mosso le sue labbra dalla solita linea retta. Solo un mago, con gli occhi turchesi, era rimasto impassibile a quelle parole.
Il viso della Sacerdotessa si crucciò sospettoso. «Che hai?», gli chiese indagatoria. «Perché non acclami la futura morte del re?»
In quel momento, anche gli altri presenti prestarono attenzione allo stregone. Emrys neanche li osservava; sembravano tutte nuvole nere, segregati in stupide mura grigie che sbraitavano e scalciavano per ribellarsi e tingere di rosso un cielo azzurro.
«Esigo una risposta quando ti pongo una domanda, Emrys», sibilò la donna nel suo abito nero, con le sue labbra rosee e carnose ed il suo seno semiscoperto.
«Ha ristabilito la magia a Camelot», scrollò le spalle. «Che motivo c’è di attaccarlo ancora?»
La risata di scherno della strega riecheggiò tra le pareti di pietra di quel posto gelido, riempiendo in un attimo l’intera sala. «Tu ancora credi alle parole di Arthur, povero sciocco?»
«Io l’ho sentito parlare!» sostenne il mago, sentendo su di sé gli sguardi pungenti dei presenti, primo tra tutti quello di Mordred. «C’era anche lui, può confermarlo!», ammise indicando il druido.
Morgana si voltò scettica verso il moro, un sopracciglio all’insù, finché questi non negò: «Io non ho udito nulla».
«Mente!», si difese Emrys, capendo che la situazione rischiava di scivolargli dalle mani. Qualcuno si era voltato bofonchiando parole come “inganno” e “traditore”.
«Basta!», urlò la corvina, zittendo l’intera sala. Col viso arrabbiato scrutò per bene ogni volto, assicurandosi di essere stata abbastanza convincente, mentre in un angolo un uomo strangolato dalla magia impulsiva della Sacerdotessa s’accasciava al suolo.
Merlin sentì il cuore battergli forte nel petto. Morgana si era voltata verso di lui con gli occhi severi e rimproveranti, ma bastò sentire la sua mano sul proprio addome per perdere il lume della ragione. Come una delle più letali maledizioni, le loro notti d’amore tornarono a galla, costringendo il corvino verso quella donna, verso il suo mondo, verso quel bacio del peccato.
Così vicino al suo volto, Merlin poté vedere chiaramente le sue labbra invitanti richiamarlo, ad un soffio dalla sue.  «Da che parte vuoi stare, Merlin?»
Si muovevano in modo così lento… così preciso, così irreale. Quelle labbra erano tutto, una firma e una condanna; il Paradiso e l’Infermo.
«Con te…» ammise, lasciando parlare per una volta il suo cuore. Era questo che voleva: non stare dalla parte di Arthur, non stare dalla parte della strega malvagia, non stare dalla parte del Destino. Voleva stare con lei. Non gl’importava quale strada avesse dovuto attraversare o cosa avesse dovuto affrontare, lui sarebbe sempre rimasto con lei.
 
 
 
 
Il momento era giunto.
Mordred impugnava la spada forgiata dal fuoco di Aithusa, acquattato insieme agli altri tra gli alberi fitti della foresta.
Morgana, al fianco di Merlin, lo guardava di sottecchi. Per un momento aveva avuto paura di essere tradita ancora, di essere abbandonata da quell’uomo per l’ennesima volta, ma poi lui aveva deciso di stare al suo fianco.
L’ultimo ricordo che Morgana ebbe di quel giorno, fu l’ultimo della sua vita.
 






L’Inferno scese sulla terra nell’esatto momento in cui, l’urlo di Morgana diede inizio alla battaglia. Un cavaliere era stato ferito mortalmente, Leon, dopo che quest’ultimo ne avesse uccisi cinque della schiera nemica.
Gli uomini della strega erano molti, decisamente più di quelli del re di Camelot.
Da una parte e dall’altra, i cavalieri caddero come fiocchi di neve nel gelido inverno, sciogliendosi al suolo, trovando la loro fine.
Tuttavia, il mondo di Arthur parve rallentare nel ritrovarsi dinanzi agli occhi l’unica persona che cercava: Merlin.
Il mago era impassibile, pietrificato al suolo. Non sembrava neanche lui.
Il biondo si avvicinò piano, sussurrando flebilmente il suo nome. Erano cresciuti insieme, avevano vissuto l’uno al fianco dell’altro. Nessuno dei due si sarebbe mai aspettato di ritrovarsi a quel punto di non ritorno.
Lo sguardo di Merlin, quello azzurro e sbarazzino di tutti i giorni a Camelot, non era più lo stesso. Era più cupo, più scuro… Meno suo.
Arthur si fermò ad un passo da lui, infilzando la spada nel terreno.


«Merlin! Sei vivo! Temevo di averti perso!»
 

 
Colpiscilo. Uccidilo.
Merlin era immobile, non sapeva più né muoversi né parlare.
Finiscilo, coraggio!
Sapeva starsene solo zitto, con i piedi di cemento.
Fu Arthur a sciogliere il ghiaccio che si era posato sul suo cuore, circondandolo con le sue braccia. Lo tenne stretto forte, con gli occhi chiusi, cuore contro cuore.
E lì, il corvino ricordò ogni cosa. Ricordò del loro primo incontro, dell’arroganza firmata Arthur Pendragon che altro non era se non una semplice maschera, una maschera che celava l’uomo che bevve un calice avvelenato per salvare un suo servo; l’uomo che aveva lottato per Ealdor, l’uomo che gli aveva insegnato il coraggio e la nobiltà d’animo, lo stesso che era corso indietro temendo di averlo perso. Merlin, semplicemente, si ricordò del suo migliore amico.
La parte più importante di lui. Ciò che era realmente.
Merlin si lasciò andare, cingendo la schiena del re con le proprie braccia.
L’ultima cosa che ricordò, fu la lama di una spada nel suo corpo.
Mordred stava per colpire Arthur alle spalle. Merlin aveva aperto le palpebre giusto in tempo per accorgersene, e sciogliere l’amico dal proprio abbraccio, spingendolo lontano.
Il dolore, quello della ferita, fu poco meno insopportabile della consapevolezza di aver ucciso anche Morgana con sé. Cadde a terra, vedendo solo ombre. Ombra, era il corpo di Mordred caduto riverso a terra senza vita, ombra era il volto spezzato di Arthur che gli urlava di restare vivo.
«Mi dispiace», disse. «Io l’amavo», sussurrò.
Arthur inghiottì il dolore, prendendo il volto di Merlin tra le dita. Lui non poteva andarsene via, non poteva morire.
«Ho sentito il vostro discorso l’altra volta… Mi è piaciuto molto. Mi stupisco quando riuscite a dire cose intelligenti.» La voce di Merlin si spegneva ad ogni parola. «Siete il più grande re che questa terra abbia mai visto, Arthur ed io… Vi ringrazio.»
Chiuse gli occhi, per l’ultima volta. Arthur cercò di risvegliarlo ma non ci fu verso.
Eppure, l’ultima cosa alla quale Emrys, il più potente stregone di tutti i tempi pensò, fu il viso pallido di una donna crudele, un tempo così vicina al Paradiso, più di quanto lui non lo fosse mai stato.
Era colpa sua se era diventata ciò che era e di questo, non si sarebbe mai perdonato. Magari, nella nuova vita, avrebbero trovato un altro modo per stare insieme. Senza che il mondo li vedesse.
 

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