Dance Inside

di ChelseaH
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** In cui Louis entra di prepotenza nella vita di Harry ***
Capitolo 3: *** In cui Harry e Louis fanno l’uscita a quattro peggiore di sempre ***
Capitolo 4: *** In cui Harry rimane vittima dei casini di Louis ***
Capitolo 5: *** In cui Harry si ritrova a pensare che Louis sarebbe un ottimo “pagliaccetto” ***
Capitolo 6: *** In cui Louis si sente mamma chioccia e Harry capisce molte cose ***
Capitolo 7: *** In cui Harry e Louis cercano di capirci qualcosa ***
Capitolo 8: *** In cui il Tower Bridge è il posto più romantico del mondo ***
Capitolo 9: *** In cui le parole scappano di bocca a Harry e Louis sorride ***
Capitolo 10: *** In cui Louis e Harry litigano ma fanno anche pace ***
Capitolo 11: *** In cui è il compleanno di Louis e Harry si sente a casa ***
Capitolo 12: *** In cui Harry e Louis esprimono un desiderio sotto alle stelle ***
Capitolo 13: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


DANCE INSIDE

What makes the one to shake you down?
Each touch belongs to each new sound
Say now you want to shake me too
Move down to me, slip into you

 
 
Prologo.
Quando Harry si era iscritto al corso di moda, non aveva idea che questo implicasse un minimo di quattro libri a corso, ciascuno di minimo cinquecento pagine e con la dicitura falsa e fuorviante di “illustrato”. Nel libro che stava studiando – o per meglio dire sfogliando svogliatamente – c’erano venti pagine illustrate che non seguivano nemmeno la numerazione canonica, lasciando così le 487 pagine di cui era composto il libro a 487 fitte fitte di righe su righe scritte in un font che era abbastanza sicuro fosse massimo 8 di grandezza. Ma proprio massimo. Quando si era iscritto al corso di moda aveva pensato che sarebbe andato in giro per la città vestito all’ultima moda, iPad alla mano con una lista infinita di siti e blog di moda fra i preferiti e con nello zaino enormi libri illustrati – veramente illustrati – pieni zeppi di quei modelli di vestiti che per il momento poteva solo sognarsi, ma che nei suoi sogni un giorno sarebbero stati suoi. Pensava che avrebbe scoperto tutto di Yves Saint Laurent, Coco Chanel, Balenciaga ma che l’avrebbe fatto con corsi interattivi in cui il compito più noioso sarebbe stato ‘ricrea questo look da passerella usando solo e soltanto quello che hai nell’armadio’ oppure ‘hai un budget di 100£ e due ore di tempo da Zara per sembrare pronto alla serata di gala più in dell’anno’, di sicuro non si immaginava che avrebbe passato interi corsi ad apprendere nel minimo dettaglio come una contadina del medioevo possedesse solo due vestiti – quello per tutti i giorni e quello da festa – e come non facesse altro che rammendarli da mattina a sera per poterli poi passare alle figlie, dopo che lei stessa li aveva ereditati dalla madre e chissà da quanto andava avanti questo circolo vizioso. Da tanto, troppo, a giudicare da alcune illustrazioni. Non che la lettura lo impaurisse, al contrario, era il tipo che leggeva Bukowski prima di andare a dormire ma... diciamo che quello non era esattamente ciò che si era immaginato quando aveva messo i suoi vestiti in una valigia e si era fatto accompagnare da sua madre alla stazione a due binari di Holmes Chapel, l’aveva baciata teneramente sulla guancia prima di salire sul treno che l’avrebbe portato a Londra dopo un cambio e due ore e un quarto di viaggio.
Scendere a Euston era stato già di per sé uno shock, insomma c’erano diciotto binari.
E no, non era mai stato a Londra.
No, non era decisamente preparato a tutto quel caos, a tutta quella frenesia.
Nessuno gli aveva detto che nella metropolitana di Londra se ti fermi sei morto, devi sapere esattamente dove vuoi andare, esattamente da quale parte girare, esattamente in quale punto preciso della banchina vuoi aspettare la metro. E così si era ritrovato a partecipare agli Hunger Games nell’esatto istante in cui aveva avuto la malauguratissima idea di fermarsi in mezzo a quello stretto corridoio sotterraneo indeciso su quale direzione prendere.
Londra era una grande città.
Peccato che nessuno si fosse preso la briga di dirglielo.
Sua madre si era fatta una risata genuina quella sera, quando l’aveva chiamata disperato per raccontarle quanto fosse stato difficile raggiungere l’appartamento di sua sorella a Shoreditch.
“Certo che Londra è una grande città, Harry” gli aveva detto con tono divertito.
Be’, visto che pareva saperlo così bene avrebbe potuto avvertirlo prima di abbandonarlo in stazione. Anche sua sorella che abitava lì da due mesi pareva saperlo bene e anche lei aveva evitato di renderglielo noto e si era fatta una bella risata quando l’aveva trovato seduto sugli scalini di ingresso del condominio abbracciato al suo trolley blu come se fosse il suo solo e unico amico in tutto l’universo.
Gemma – sua sorella – si era offerta di ospitarlo a tempo indeterminato ma lui aveva immediatamente deciso di trovarsi un’altra sistemazione nell’istante in cui aveva scoperto che Gemma... be’, Gemma conviveva con un tale di nome Charles. Sua madre lo sapeva? Sapeva che la sua unica figlia femmina era scappata da Holmes Chapel dicendole che era giunto il momento di cercare la propria strada nel mondo solo per correre dietro a un uomo? Era abbastanza sicuro che no, non lo sapesse o lui l’avrebbe saputo.
“Non sono scappata da Holmes Chapel per correre dietro a un uomo, Harold” l’aveva zittito lei levandogli il cellulare di mano e impedendogli di raccontare seduta stante tutto alla madre. “È semplicemente successo.”
Sì, peccato che la ragione per la quale lui fosse a sua volta scappato da Holmes Chapel si chiamasse proprio Charles – un altro tipo di Charles ovviamente – e che fosse il suo ex ragazzo nonché amore della sua vita. Holmes Chapel non era Londra dove puoi girare in tondo per almeno due ore senza trovare l’appartamento di tua sorella nonostante i suggerimenti di google maps sulla strada da fare, Holmes Chapel era il posto in cui volente o nolente incrociavi tutti quelli che conoscevi – che erano pari all’intera popolazione del paese - un minimo di dieci volte al giorno, perfino quando ti chiudevi in camera tua deciso a non uscirne per il resto dei tuoi giorni. Quando la cosa si era fatta insostenibile aveva deciso di essere stufo di lavorare nella panetteria locale e di volersi iscrivere a questo stupido corso di moda, il tutto perché il corso si teneva a Londra e Londra era lontana due ore e un quarto di treno da Holmes Chapel e a Charles non sarebbe mai venuto in mente di trasferirsi così lontano. E poi lui amava la moda no? Stava iniziando a pensare che amare vestiti alla moda che non si poteva permettere e amare la moda non fossero esattamente la stessa cosa, e comunque lui non si sarebbe mai messo un vestito rattoppato di suo padre che prima apparteneva a suo nonno e che a sua volta aveva ereditato dal suo bisnonno. Non che fosse uno snob, ma seriamente la gente viveva così un tempo?
Sbatté con frustrazione il libro sul tavolo e guardò l’orologio che segnava quasi mezzogiorno. All’una attaccava a lavorare in panetteria – sì, non c’erano molte altre cose che sapesse fare, così anche a Londra era finito col fare quello, dal momento che gli serviva un lavoro – ed era il caso che iniziasse ad avviarsi visto che dopo il suo primo assaggio infernale della metropolitana londinese, aveva deciso che da quel momento in poi si sarebbe servito solo e soltanto di quei meravigliosi autobus rossi a due piani che sembravano così sicuri e confortevoli e avevano perfino la vista panoramica.
Sua madre aveva riso genuinamente anche di questo quando le aveva comunicato la propria decisione.
 
***
 
Louis odiava prendere l’autobus e odiava prendere l’autobus perché nel traffico londinese l’autobus impiegava letteralmente il triplo del tempo rispetto alla metropolitana per fargli fare esattamente lo stesso tragitto. Si era ritrovato seduto in quella scatola rossa solo perché era uscito tardi di casa, si era ricordato dei lavori sulla District quando ormai il treno stava ripartendo da Earl’s Court, ovvero l’ultima fermata buona per fare il cambio con la Piccadilly, e quindi si era ritrovato a West Kensington costretto a scendere e con due alternative: prendere la metro in direzione opposta, tornare sui suoi passi e fare un altro giro oppure salire in superficie e prendere l’autobus. Stupidamente aveva optato per la seconda, il tutto perché così avrebbe avuto il tempo di fumarsi una sigaretta e nemmeno il cielo sapeva quanto avesse bisogno di una sigaretta.
Ora però era bloccato nel traffico, chiuso nella scatola rossa, senza poter fumare un’altra sigaretta per allentare la tensione e stava accumulando minuti su minuti di ritardo.
Zayn l’avrebbe ucciso.
Ammesso che Jawaad non uccidesse Zayn prima ancora che lui arrivasse.
Jawaad era il cugino di Zayn e il loro spacciatore ufficioso – nel senso che lui comprava da quello ufficiale e poi rivendeva a loro due. Non si trattava di chissà cosa, era solo erba, ma il tizio al vertice della catena si fidava di Jawaad quanto bastava per accettare pagamenti posticipati ma pretendeva comunque di vedere i suoi soldi all’ora esatta in cui Jawaad li prometteva e Jawaad di solito portava la roba a Zayn e Louis e poi, per non avere conti in sospeso, li rigirava quasi istantaneamente a chi di dovere.
Il fatto che Louis fosse in ritardo, significava che Jawaad sarebbe arrivato in ritardo al suo appuntamento e non che a Louis importasse più di tanto di Jawaad ma gli sarebbe scocciato parecchio se per colpa di quegli stupidi lavori sulla District avessero perso il loro fornitore di fiducia.
E poi – cosa per la quale avrebbe dovuto essere ancora più nervoso – il fatto che fosse in ritardo all’appuntamento con quei due, significava che avrebbe dovuto decidere fra il far tardi al lavoro per portare a casa la roba oppure rischiare che gliela trovassero addosso, come quella volta che aveva dato le chiavi del suo armadietto a un collega che cercava solo una sigaretta e aveva quasi trovato ben altro. Non poteva permettersi di perdere il lavoro perché al momento era l’unico a portare a casa un minimo di soldi – divideva un appartamento con due suoi amici d’infanzia, entrambi a piedi – ma se fosse arrivato tardi avrebbe ricevuto un’altra ammonizione e probabilmente avrebbero potuto cacciarlo, se gli avessero trovato l’erba nell’armadietto sarebbe finita pure peggio.
Decise di chiamare Zayn, erano amici e avrebbe sicuramente capito.
“Dove cazzo sei?!” gli rispose l’amico. Okay, forse non era così sicuro che avrebbe capito.
“Senti, avrei bisogno che mi anticipassi tu i soldi con Jawaad, è tardissimo e non posso arrivare al lavoro in ritardo di nuovo.”
“Col cazzo, amico. E Jawaad è già abbastanza nervoso per cui muovi il culo e vieni qui,” e così dicendo gli riappese in faccia.
Louis sospirò.
Non sapeva cosa avrebbe dato per potersi fumare un’altra sigaretta e quel mezzo infernale a quattro ruote sembrava andare più piano di una tartaruga in letargo.
Quando finalmente giunse a destinazione Jawaad gli saltò praticamente al collo, e di certo non con fare affettuoso.
“Non voglio più avere a che fare con lui, capito? È già la seconda volta in un mese che mi manda nei casini,” urlò a Zayn puntando il dito contro Louis.
“L’altra volta ho avuto un’emergenza, mia sorel-“
“Non me ne frega un cazzo di tua sorella, questi sono affari seri. Un altro ritardo Tomlinson e sei fuori dal giro,” così dicendo gli diede una spallata per poi allontanarsi.
“Ha ragione lui, amico,” fece spallucce Zayn.
In quel momento Louis sentì il cellulare vibrargli nella tasca dei pantaloni e si ritrovò a sospirare nuovamente quando vide il numero che illuminava lo schermo.
“Tomlinson, sei in ritardo. Di nuovo.
La voce spietata della sua responsabile al negozio di giocattoli nel quale lavorava.
“Sto arrivando, ci sono i lavori sulla District e-“
“Fai pure con calma Tomlinson. Tanto hai tempo fino alla fine del tuo turno per svuotare l’armadietto e riconsegnare la divisa.”
Louis fissò sconsolato Zayn che nel mentre si era acceso una sigaretta fra le labbra, gli si avvicinò, gliela tolse di bocca e si avviò mestamente verso la fermata dell’autobus. Non gli passò nemmeno per l’anticamera del cervello di prendere la metropolitana, giunti a quel punto più ritardo accumulava e più si allontanava dal momento in cui avrebbe dovuto affrontare i propri problemi.

NOTE.
Tadaaaaaaan! 
Qualche tempo fa in una delle mie notti insonni ho iniziato a scrivere questa storia, che al momento conta cinque capitoli e che non ho idea di dove andrà finire (cioè, ce l'ho un'idea ma ogni volta che mi metto a scrivere poi si aggiungono cose, ne cambiano altre e blablabla xD).
E insomma, ho deciso di iniziare a pubblicarla e non ho molto altro da aggiungere... tranne che il titolo "Dance Inside" è preso dalla canzone omonima dei The All American Rejects, così come il testo quotato all'inizio che non è altro che il ritornello della canzone in questione, come al solito I own nothing!

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Capitolo 2
*** In cui Louis entra di prepotenza nella vita di Harry ***


DANCE INSIDE

What makes the one to shake you down?
Each touch belongs to each new sound
Say now you want to shake me too
Move down to me, slip into you



1. In cui Louis entra di prepotenza nella vita di Harry
Harry era sdraiato sul letto del suo coinquilino che gli stava raccontando l’orribile giornata che aveva avuto al country club. Un manipolo di uomini d’affari aveva deciso di uscire dalla city per un giorno e uno di questi aveva avuto la brillante idea di organizzare una partita a golf senza consultarsi col meteo. Il risultato era stato che a metà percorso si era messo a diluviare e al povero Niall era toccato raccattare mazze e palline di tutti mentre loro correvano ai ripari appropriandosi del golf cart e abbandonandolo lì, in mezzo all’area della sesta buca sotto al diluvio universale.
“Ma questo è niente!” esclamò Niall fuori di sé, mentre si dondolava sulla sedia. “Ho passato sei buche a riempirli di consigli su tipi di mazza, angolazioni, su qualunque cosa!!! E loro? Continuavano a parlottare l’uno con l’altro come se io non esistessi nemmeno!”
Harry represse a stento una risata.
Niall era molto fiero delle sue abilità golfistiche e si sentiva in dovere di condividere la sua conoscenza con il mondo, peccato che al country club nel quale lavorava nessuno lo degnasse mai di attenzione.
“Stai ancora leggendo quel blog?” gli chiese poi indicando l’iPad con il quale Harry stava armeggiando e lui gli fece cenno di sì con la testa. In realtà su The Trend Pear non c’era davvero nulla da leggere a parte i titoli dei vari post, si trattava più che altro di una sequenza di immagini. Era uno dei suoi fashion blog preferiti perché gli outfit proposti erano semplici, classici e particolari allo stesso tempo e i due ragazzi che lo tenevano – Max ed Eleanor - così a occhio avevano più o meno la sua età, il che gli faceva pensare che magari un giorno non lontano anche lui si sarebbe potuto permettere qualcosa del genere. La verità era che lui per primo non aveva idea di cosa aspettarsi o cosa cercare nel suo futuro, la verità era che si trovava lì a Londra perché era letteralmente scappato da una brutta rottura. Fortunatamente sulla sua strada aveva trovato Niall, che proveniva dall’equivalente irlandese di Holmes Chapel, che aveva solo un anno più di lui e che aveva impiegato poche settimane a passare dallo status di coinquilino a quello di amico e ora, a due mesi di distanza, erano diventati praticamente inseparabili.
“Sto pensando di lasciare il corso,” sospirò lasciando scivolare l’iPad sul pavimento.
“Non vorrai mica tornare a casa?” gli chiese allarmato Niall.
“No... per il momento potrei chiedere di farmi passare a full-time in panetteria, tanto hanno bisogno... non sai quanti colloqui stanno facendo, ma non riescono a trovare nessuno.”
E comunque non si sarebbe mai sognato di tornare a casa, non finché Charles abitava a otto minuti a piedi – con passo lento – da detta casa.
Niall lo fissava pensoso.
“Non mi sei mai sembrato troppo convinto di questo corso, ma ti consiglio comunque di pensarci bene... e se giungi alla conclusione che preferisci mollare be’, fallo. Basta che non mi abbandoni, sei il primo coinquilino civilizzato che sono riuscito a trovare.”
Harry stavolta si lasciò andare a una risata.
 
***
 
Louis non ne poteva più di quel casino assordante, non era abituato a subire il casino perché di solito era lui a crearlo. Era passato un mese da quando aveva perso il lavoro e i suoi due coinquilini l’avevano sbattuto fuori casa perché non poteva più permettersi l’affitto, questo dopo che lui li aveva praticamente mantenuti per mesi, e alla faccia degli amici d’infanzia. Non sapendo cosa fare e rifiutandosi di tornare al nido materno con tutta la scia di guai che si era procurato, aveva deciso di dare una seconda possibilità a Londra e si era messo di buona lena a cercare un nuovo lavoro. Nel mentre scroccava vitto e alloggio a Zayn che si era generosamente offerto di ospitarlo e solo dopo aver accettato ed essersi trasferito, Louis aveva capito che l’offerta dell’amico arrivava dal fatto che una persona in più o in meno non faceva alcuna differenza in quella casa, e che probabilmente perfino i suoi genitori avevano perso il conto di quanta gente ci abitasse. Nell’ordine c’erano: i genitori di Zayn, Zayn, le tre sorelle di Zayn, gli zii di Zayn con i loro altri mille figli fra cui c’era Jawaad e un’altra zia di Zayn, tutti insieme appassionatamente in questa villa alla periferia di Londra che teoricamente era divisa in due – una parte per ogni famiglia – ma che in realtà di diviso non aveva proprio nulla. E poi lui con le sue cinque sorelle, un fratello e i tre mariti di sua madre pensava di avere una famiglia caotica.
Chiuse la porta della sua stanza – che in realtà era la stanza di Zayn che ora condividevano – facendola sbattere nella speranza che chiunque stesse facendo tutto quel casino capisse che doveva smetterla e tornò a posizionarsi davanti allo specchio.
Si schiarì la voce.
“Louis Tomlinson, piacere,” disse allungando una mano verso lo specchio. “Esperienze lavorative? Certo, ho lavorato per circa sei mesi in un negozio di giocattoli per bambini. Come dice? I giocattoli sono tutti per bambini? Mi permetta di dissentire, io ho ancora tutte le mie tartarughe ninja e ci gioco ogni volta che torno a casa.”
Sbuffò contro il suo riflesso nello specchio.
Era la centesima volta che riprovava a simulare un colloquio e la centesima che prendeva una pessima piega per lui, nonostante fosse per l’appunto una simulazione, figurarsi cosa sarebbe successo al colloquio vero e proprio, che per la cronaca si sarebbe tenuto da lì a tre ore.
Aveva rubato a una delle sorelle di Zayn – o di Jawaad per quel che ne sapeva - uno di quei blocchetti fatti apposta per appuntarsi le cose da fare, e sulla carta rosa costellata di fiori e farfalle aveva fatto l’elenco delle cose che assolutamente non doveva fare al colloquio:
  • non menzionare il fatto che era stato cacciato dal precedente posto di lavoro per ripetuti ritardi e possibile possesso di quantità sospettosamente illegali di erba nel suo armadietto;
  • non menzionare il fatto che una volta un suo collega aveva quasi avuto la conferma dell’effettiva esistenza dell’erba di cui sopra;
  • non menzionare il fatto che l’ultimo ritardo, quello che gli era costato definitivamente il posto, era stato dovuto al fatto che doveva andare a ritirare la sua dose mensile di erba;
  • non menzionare del tutto l’erba;
  • non menzionare il fatto che era praticamente un senza tetto, a nessuno piacciono i senza tetto, la gente tende ad assimilarli a degli ubriaconi che si danno alla vita da barboni;
  • non menzionare il fatto che se non otteneva nemmeno questo lavoro, allora probabilmente sarebbe finito a fare davvero il barbone perché non ne poteva più di stare in mezzo al casino che era la casa di Zayn (o magari menzionarlo per fare pena?);
  • non menzionare il fatto che fosse il tredicesimo colloquio in un mese e che il tredici è un numero che porta male e che tutti gli altri colloqui erano andati male perché aveva menzionato una delle cose da non menzionare.
Okay, non era poi così difficile. Sostanzialmente doveva solo evitare di presentarsi per un tossico, alcolizzato e futuro barbone, poteva farcela no? Continuò a scorrere i punti della lista:
  • non presentarsi con i pantaloni della tutta senza niente sotto perché il niente sotto verrà notato ancor più del fatto che ci si è presentati in tuta a un colloquio;
  • non presentarsi al colloquio completamente rasato, perché un accenno di barbettina gli donava quel pizzico di aria matura di cui sicuramente aveva bisogno.
Si osservò nuovamente allo specchio.
I capelli erano impeccabili.
L’accenno di barbettina era lì pronto a provare che lui fosse un ragazzo maturo.
Niente tuta, un normalissimo e classicissimo paio di jeans neri sotto ai quali aveva un altrettanto normale e classico paio di boxer, il cui bordo spuntava da quello dei jeans giusto quanto serviva a provare di non essere nudo sotto.
  • Tenere monitorati i lavori sulla District per non rischiare di arrivare in ritardo.
Era l’ultimo punto del suo elenco ma era inutile, perché da dove si trovava grazie al cielo non doveva prendere quella stupida linea della metropolitana sulla quale erano iniziati tutti i suoi problemi, compreso il fatto che Jawaad fosse diventato molto restio a passargli roba nonostante ora vivessero sotto lo stesso tetto e fossero diventati praticamente fratelli. Sarebbe stato disposto perfino a mettersi ogni giorno inginocchiato a pregare verso la Mecca per dimostrare a Jawaad che poteva fidarsi di lui, ammesso di aver imbroccato la religione giusta, si era sempre sentito molto confuso riguardo alle religioni diverse dalla sua, ovvero verso tutte le religioni.
Si diede un ‘ultima occhiata nello specchio, infilò il fogliettino con la lista delle cose da non fare nella tasca dei jeans per ripassarlo in metropolitana e decise di uscire di casa anche se mancavano ancora tre ore al colloquio, per evitare qualunque imprevisto.
Da fuori la panetteria gli sembrava una panetteria come tutte le panetterie del mondo e si fece coraggio. Nella sua mente i fornai erano tutti brave persone, come poteva una persona che si svegliava alle tre del mattino per infornare uno stupido pezzo di pane essere cattiva? Del resto il detto buono come il pane doveva venire da qualche parte e lui era sicuro venisse dal fatto che chi faceva il pane fosse buono come il pane. Guardò l’orologio, nonostante fosse rimasto seduto allo Starbucks dall’altra parte della strada a studiare il suo possibile futuro posto di lavoro per un’ora e tre quarti e il tragitto dalla casa sperduta di Zayn a lì gli fosse valso tre quarti d’ora di metropolitana, era comunque in anticipo di mezzora sull’ora del colloquio. Si schiarì la voce e decise di entrare in ogni caso, poteva far finta di essere un cliente e vedere un po’ che aria tirava all’interno. L’unica persona presente nel negozio a parte lui era un ragazzo appoggiato col gomito sul bancone che sembrava assorto nella lettura di qualcosa.
“Posso esserle utile?” gli chiese alzando distrattamente gli occhi da ciò che stava leggendo e sorridendogli leggermente. Nonostante l’area dietro al bancone fosse rialzata rispetto a dove si trovava lui, Louis notò che il ragazzo era piuttosto alto, con una massa di riccioli che uscivano ribelli da sotto la cuffia bianca che cercava di contenerli.
“Do un’occhiata, grazie,” rispose Louis e l’altro lo guardò confuso, probabilmente chiedendosi cosa ci fosse da guardare in un negozio che vendeva essenzialmente pane, poi sgranò gli occhi guardandolo fisso.
“Louis Tomlinson?”
“Ehm...”
Il ragazzo sollevò i fogli che stava leggendo, rivelando il curriculum di Louis con annessa fotografia.
“Sei in anticipo,” dichiarò guardando l’orologio sul registro di cassa.
“Volevo evitare imprevisti lungo la strada, sai, tredicesimo colloquio e tutto il resto.”
Louis si morse la lingua, era dentro da meno di un minuto ed era già andato contro a una delle voci della sua preziosa lista. Si mise una mano in tasca per sincerarsi che fosse ancora lì, come una specie di amuleto.
“Vado a chiamarti il capo,” gli disse il ragazzo guardandolo stranito e sparendo in quello che doveva essere il retrobottega.
“Styles è l’ultimo colloquio, pensaci tu. Se non ritiro quel dannato vestito entro fine giornata mia moglie chiederà il divorzio,” stava dicendo un uomo piuttosto tozzo al ricciolino, dandogli delle sonore pacche sulla spalla.
“Ma io-“
“Niente ma Harry, Hai visto gli altri candidati, vedrai questo e poi mi dirai,” così dicendo si dileguò oltre la porta d’ingresso della panetteria.
Louis e il ragazzo, Harry Styles, si fissarono imbarazzati.
“Io ho visto gli altri candidati, nel senso che li ho visti passare di qui mentre andavano nell’ufficio di Alfred. Lui era Alfred. Non posso farti il colloquio!”
Louis percepì il panico nascente nel ragazzo, che era più o meno lo stesso tipo di panico che stava assalendo lui all’idea che il suo tredicesimo colloquio fosse finito ancora prima di iniziare.
“Harry Styles giusto? Senti Harold, non per farti pena o altro ma io ho davvero bisogno di questo lavoro e non so quanti altri candidati ci fossero o che faccia avessero ma guardami. Mi sono perfino fatto crescere i millimetri giusti di barba pur di avere una chance di andarmene da casa di Zayn, io devo andarmente da casa di Zayn, c’è sempre questo brusio di sottofondo e tutta questa gente, e tutto questo casino, sto impazzendo!”
Louis si fermò a riprendere fiato, stava straparlando e ne era completamente consapevole, straparlare era la sua specialità, soprattutto quando era nervoso e ora era incredibilmente nervoso e il ragazzo di fronte lui non lo aiutava certo a calmarsi, non fissandolo con quella faccia da pesce lesso come se lui fosse un pazzo.
“Giuro solennemente di non portare mai erba o altre sostanze strane al lavoro, lo giuro. E di tenere monitorati i lavori sulla District anche se indovina? Finché abito a Zaynland non mi servirà mai la District, e solo il cielo sa quanto mi manchi quella dannatissima linea della metropolitana, la cara vecchia District.”
Fece un’altra pausa per respirare e una vecchietta entrò nel negozio.
“Il solito litro di latte, Harry caro,” disse posando una banconota da cinque sterline sul bancone di fronte a Harry e servendosi da sola al piccolo banco frigo antistante. Harry le fece lo scontrino e le allungò il resto senza distogliere nemmeno per un attimo lo sguardo da Louis.
“Allora?” lo incalzò una volta che la vecchietta se ne fu andata.
“Fumi erba?” chiese Harry sconvolto.
“È l’unica cosa che ti è rimasta impressa del mio discorso?” Louis era indignato. “Come dire che tu non ti sei mai fatto uno spinello in vita tua,” bofonchiò, poi si soffermò a fare una radiografia completa a Harry. Ovvio che non si era mai fatto uno spinello, con quegli ingenui occhioni verdi probabilmente non sapeva nemmeno cosa fosse uno spinello.
“Non rispondere. Dimenticati dell’erba. Aspetta, ho un’idea... ricominciamo da capo.”
Così dicendo uscì dal negozio, lasciò passare due minuti esatti di orologio e rientrò.
“Buongiorno, sono Louis Tomlinson, sono qui per un colloquio,” disse allungando una mano verso Harry dall’altra parte del bancone.
“Tu sei pazzo,” disse Harry guardandolo come se fosse un alieno. “E comunque da dove vieni con quell’accento così marcato?”
“Donny.”
Harry lo fissò interrogativo.
Doncaster,” ripeté usando il nome completo della cittadina dalla quale veniva. “Non l’hai letto sul mio curriculum? Sono abbastanza sicuro di averci scritto ‘Doncaster, patria dei gloriosi Rovers’.”
“Patria di che?” Harry sembrava perso, iniziava a pensare di averlo perso a metà del suo primo monologo.
“I Rovers! Santo cielo, si può sapere tu da dove vieni?”
“Holmes Chapel.”
Louis aggrottò la fronte scuotendo la testa, non poteva avergli seriamente risposto a quella domanda retorica.
“Lasciamo perdere, è tempo perso,” sospirò Louis ricordandosi del motivo per il quale era lì.
Il tredicesimo colloquio era stato il peggiore di tutti, non avrebbe mai trovato un lavoro e alla fine se ne sarebbe tornato a Doncaster dalla mamma pur di non vivere più da Zayn.
“Mi dispiace che tu debba vivere con questo Zayn, io sono stato fortunato con il mio coinquilino.”
Fu il turno di Louis di fissare Harry come se venisse dall’altro mondo. Stavano facendo un colloquio o una sessione per conoscersi meglio?
“Mi fa piacere per te,” gli rispose sarcastico.
“Quello che voglio dire è che metterò una buona parola per te con Al, spero almeno che tu sappia servire il pane.”
“Oh Harold, cosa ci vorrà mai a dare cinque michette alla signora Smith?” domandò Louis con la sua aria sbruffona.
Chi? Okay, non lo voglio sapere. Ti faremo sapere, ora vattene.”
Harry lanciò uno sguardo disperato al soffitto, quasi stesse pregando il cielo sopra di esso di non prendersela con lui per aver praticamente appena assunto un pazzo per pietà. Louis aprì la bocca per fare una battuta sul fatto che stesse effettivamente pregando, poi decise di non sfidare la sorte e se ne andò. Mentre camminava verso la metropolitana gli tornò alla mente ciò che aveva detto Harry su quanto fosse stato fortunato con il suo coinquilino e gli venne un’illuminazione molto malsana. Tornò sui suoi passi e decise di sfidare nuovamente la sorte.
 
***
 
Quando Harry tirò giù la saracinesca del negozio era ormai buio, ma questo non fermava i londinesi dal correre frenetici verso la metropolitana o qualunque altra meta, niente e nessuno fermava mai i londinesi e lui non ci aveva ancora fatto l’abitudine. Si assicurò di aver chiuso bene e poi si avviò verso la fermata dell’autobus, ma non fece a tempo a fare due passi che una figura gli si parò davanti.
“Harold, amico mio!”
Riconobbe la parlata ancora prima di riconoscerne il volto e si rese conto che quello di fronte a lui era Louis, il ragazzo a cui aveva fatto quel bizzarro colloquio un paio di ore prima.
“Louis?” chiese inebetito.
“In carne e ossa! Sai, sono andato a prendermi qualcosa da Starbucks e poi ho pensato, ‘perché non aspettare il mio amico Harold e scortarlo a casa?’ Non lo sai che Londra è piena di tipi loschi? Soprattutto a quest’ora di sera... mai andare in giro col buio a Londra, Harold.”
Harry si guardò intorno.
Erano appena le otto di sera, le strade erano affollatissime e l’unico tipo losco che vedeva in giro era proprio Louis. Stava per aprire bocca per esprimere ad alta voce quel pensiero, quando Louis lo prese sottobraccio e lo fece girare su se stesso di 360 gradi.
“La metropolitana è da quella parte, Harold. A meno che tu non abiti così vicino da poterci andare a piedi!” disse con entusiasmo.
“P-preferisco prendere l’autobus,” disse Harry cercando di divincolarsi.
“Scherzi, vero?”
“No.”
“Harold, Harold, Harold. E autobus sia!”
Louis non sembrava convinto, anzi pareva piuttosto contrariato, ma allo stesso tempo sembrava anche intenzionato a compiacerlo a tutti i costi.
“Senti, non devi scortarmi a casa o qualunque altra cosa tu voglia fare... ti ho già detto che parlerò ad Alfred e-“
“Harold, non è per quello che ti voglio scortare, chiunque potrebbe approfittarsi della tua bontà, con quegli occhioni che ti ritrovi.”
L’esuberanza di Louis iniziava a metterlo a disagio.
“Mi chiamo Harry,” decise di precisare.
“Harold, no?”
“No, Harry. Harold mi chiamano solo mamma e Gemma quando sono arrabbiate con me,” bofonchiò irritato.
“Harold ha la ragazza!” lo prese in giro Louis.
Iniziava a pensare di aver decisamente sbagliato a dargli corda e non si premurò nemmeno di specificare che Gemma fosse sua sorella. Senza che se ne accorgesse erano arrivati alla fermata dell’autobus e Louis si era acceso una sigaretta.
“Vuoi fare un tiro?”
“No, grazie.”
“Ovviamente.”
Sì, Louis iniziava decisamente a dargli suoi nervi.
Decise di ignorarlo.
Lo ignorò mentre salivano sull’autobus e Louis gli chiedeva come fosse possibile che non conoscesse i Rovers.
Lo ignorò lungo tutto il tragitto mentre Louis gli spiegava i mille motivi per i quali pensava che prendere l’autobus fosse solo uno spreco di tempo e di come gli autobus fossero solo delle trappole infernali travestite da scatole rosse, nate apposta per farlo arrivare tardi ovunque dovesse andare.
Lo ignorò mentre lo seguiva giù dall’autobus e commentava che Shoreditch era proprio un bel quartiere nel quale abitare, non c’era anche uno skate park lì da qualche parte e cavoli! ci passava perfino la District.
Louis parlava, e parlava, e parlava, e sembrava non essere mai a corto di argomenti e del tutto in grado di portare avanti una conversazione tutto da solo.
“Ecco, sono arrivato. Sano e salvo. Nessun tipo losco mi ha aggredito. Contento?” gli disse fermandosi di scatto davanti al suo condominio.
“Ottimo, Harold. Saliamo?”
Prego?
“Non mi avrai fatto venire fin qui per liquidarmi senza nemmeno offrirmi la cena?”
 
Harry sapeva benissimo cosa stava pensando Niall del fatto che Louis si fosse messo a frugare nel loro frigorifero come se fosse a casa sua e che ora si stesse facendo un toast. Stava pensando che Harry era uno psicolabile, il peggiore dei suoi coinquilini perché – Harry ne era sicuro – nessuno dei precedenti aveva mai portato uno sconosciuto in casa e l’aveva lasciato prepararsi un toast con agio.
“Dove l’hai trovato?” gli bisbigliò all’orecchio senza togliere gli occhi di dosso a Louis e come se stesse parlando di un cane randagio trovato abbandonato nella metropolitana.
“È una lunga storia,” sospirò Harry.
Dopo essersi gustato il toast – si era perfino offerto di cucinare anche per loro due, sempre un toast ovviamente – Louis iniziò a vagare per il piccolo appartamento emettendo mugolii di approvazione per ogni cosa che vedeva. Ciò che lo fece entusiasmare più di tutto però, fu scoprire che nella camera di Harry invece di un semplice letto ce n’era uno a castello, evidentemente abitato solo nella parte superiore.
“Avete un letto libero!” esclamò al settimo cielo.
“No,” disse fermamente Niall capendo finalmente dove volesse andare a parare il nuovo ‘amico’ di Harry.
“E quello cos’è?” Louis aveva il tono di un bambino che si era ritrovato davanti due adulti stupidi. O di un adulto che stava tentando di far ragionare due bambini stupidi. “Harold, diglielo anche tu... è un letto in più.”
“È una scoperta già fatta, quella di affittare quella camera a due persone... sono finite a botte e non sto scherzando, da allora il padrone di casa affitta l’appartamento a due sole persone, stanze separate,” sciorinò Niall come se stesse ripetendo il testo di una brochure.
“Be’, allora facciamo in modo che il padrone di casa non lo scopra,” disse semplicemente Louis. “Dai, Harold, non dirmi che non ti farebbe piacere dividere ulteriormente l’affitto a metà.”
Harry ci penso su un attimo, per lo sgomento di Niall, ed effettivamente gli avrebbe fatto molto comodo, magari finalmente sarebbe riuscito a tenersi almeno dieci sterline in tasca a fine mese. C’era però da considerare il fatto che Louis non sembrava esattamente sano di mente, aveva candidamente ammesso di fumare di tutto, e che Niall non approvasse per niente e che avesse ragione a non approvare.
“Eddai, Harry,” lo supplicò Louis strattonandogli il braccio. “Vuoi davvero farmi tornare da Zayn, farmi perdere il senno e farmi fare tre quarti d’ora di strada tutti i giorni per andare al lavoro?”
Harry sospirò lanciando un’occhiata a Niall.
“Fai come vuoi Harry, ma se decidi di tenerlo sappi che diventa una tua responsabilità.”
Non è che Harry volesse ‘tenere’ Louis, non era nemmeno sicuro che Louis gli piacesse o ispirasse anche solo lontanamente simpatia, il fatto era che aveva il cuore decisamente troppo tenero. E che Louis l’aveva completamente intontito con tutte le sue chiacchiere.
“Okay, puoi restare,” concesse alla fine. “Ma ci sono delle regole.”
“Prendo il letto di sopra!” esclamò Louis contento correndo ad appropriarsi di quello che fino a un secondo prima era stato il letto di Harry, e ignorando completamente le parole del ragazzo.
“Stai dicendo che ti trasferisci ora?” Harry riuscì a sentire forte e chiaro il rumore della mascella di Niall che cadeva a terra.
“Certo, non mi farete tornare a casa solo a quest’ora?! Non sapete che Londra è piena di tipi loschi, soprattutto di notte? Domani vado a prendere le mie cose.”
Harry era abbastanza sicuro che Londra quella notte sarebbe stata al sicuro dai tipi loschi, visto che l’unico che aveva incontrato fino a quel momento gli aveva appena rubato il letto. Era anche abbastanza sicuro che se mai Louis ne avesse incrociato uno, questi l’avrebbe lasciato andare per esaurimento non appena lui avesse attaccato con la sua parlantina.

NOTE.
Sono entusiasta perché anche se qui non c'è ancora, al punto in cui sono arrivata a scrivere è finalmente entrato in scena Liam, perché no... non mi sono dimenticata della sua esistenza proprio per niente!
Btw, eccovi il nuovo capitolo e vi comunico che ho deciso di postarne uno a settimana ogni martedì, in modo da renderla una cosa regolare. Spero che questa storia partorita dai miei deliri insonni possa piacervi, fatemi sapere cosa ne pensate ^_^
xxx
 

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Capitolo 3
*** In cui Harry e Louis fanno l’uscita a quattro peggiore di sempre ***


DANCE INSIDE

What makes the one to shake you down?
Each touch belongs to each new sound
Say now you want to shake me too
Move down to me, slip into you
 
2. In cui Harry e Louis fanno l’uscita a quattro peggiore di sempre
Harry aveva preso l’abitudine di portarsi un libro da leggere ogni volta che andava in bagno, questo per evitare di finire a leggere dieci volte al giorno l’elenco puntato che era stato appeso di fianco allo specchio, stilato da Niall con note a margine di Louis e che recitava così:
  • gli asciugamani sono personali, non condivisi; è successo solo una volta, avevo lo shampoo negli occhi!!!
  • gli asciugamani sporchi non si lasciano buttati in terra; è per far capire che sono sporchi!!!
  • ognuno deve arrangiarsi a fare il proprio bucato e non smistarlo in mezzo ai panni sporchi degli altri; non c’è la lavatrice :’( LA LAVATRICE È NEL SEMINTERRATO, CE NE SONO CINQUE!!! grazie amico :D
  • è vietato fumare in casa, con o senza finestra aperta, è vietato fumare qualunque tipo di cosa; ma fuori fa freddo :’(
  • è vietato tenere sostanze illegali in casa e no, non ci credo che le ha prescritte il medico; Harold fai qualcosa, SIGH!
  • i piatti sporchi si lavano, non si accumulano; okay mamma Nialler :P
  • TI DENUNCIO AL PADRONE DI CASA SE NON RISPETTI I PUNTI PRECEDENTI!!! HAROOOLD :’’’(
Niall era la persona più pacifica, solare e ottimista del mondo, uno di quei ragazzi che si faceva scivolare qualunque cosa sulle spalle e cercava sempre di trovare del buono in tutti, per cui Harry si rendeva perfettamente conto che per arrivare a questo punto, Louis doveva aver oltrepassato molti limiti e confini. Da un lato non sapevano nemmeno di averlo in casa perché Louis passava letteralmente tutto il suo tempo fuori, in parte al lavoro – Harry alla fine era riuscito a farlo assumere – e in parte chissà dove con i suoi amici. Ogni tanto – molto raramente – pranzava o cenava a casa, ma di solito tornava solo a notte fonda e si buttava dritto nel letto. La mattina dopo si alzava, si faceva una doccia veloce e usciva e tanti saluti a lui. Nonostante questo, la sua presenza si faceva sentire in maniera pesante: non lavava mai quei pochi piatti che utilizzava, i tre quarti delle volte li lasciava direttamente ammucchiati sul tavolo, ogni volta che si faceva una doccia spargeva asciugamani sporchi ovunque, la stanza di Harry – ovvero la loro stanza – era diventata inagibile per via di tutti i vestiti buttati alla rinfusa ovunque – sul pavimento, sulla scrivania, sulla sedia, in mezzo a quelli di Harry nella metà di armadio di Harry – nell’aria aleggiava sempre odore di nicotina se non peggio, non si rifaceva mai il letto e le uniche due volte in un mese e mezzo che si era degnato di cambiarsi le lenzuola, in realtà gliele aveva cambiate Harry per disperazione, perché non ce la faceva più al pensiero che Louis passasse settimane e settimane a rotolarsi nello stesso paio di lenzuola. Gli pareva evidente che Louis non fosse assolutamente abituato a vivere da solo e allo stesso tempo che fosse incredibilmente viziato, il classico ragazzo che in casa non aveva mai mosso un dito tranne che sul joystick della playstation.
Era passato un mese e mezzo da quando Louis si era trasferito da loro, un mese e mezzo da quando lavorava alla panetteria, ma nonostante questo per lui era ancora uno sconosciuto. Non c’era stata quella scintilla come con Niall, a dirla tutta Louis non sembrava nemmeno particolarmente interessato a fare amicizia con nessuno dei due. A volte Louis decideva che non gli andava di uscire e allora passava intere ore sdraiato sul suo letto a leggere fumetti, a giocare col cellulare o a mandare infiniti messaggi vocali a tale Zayn che da quello che Harry aveva capito era il suo migliore amico o qualcosa del genere. Al lavoro invece non smetteva mai di parlare, parlava a macchinetta con lui, con i clienti, con il padrone del negozio e sua moglie, con i fornitori, con chiunque gli capitasse a tiro. Parlava, parlava e parlava, facendo sfoggio di quello che evidentemente doveva essere il suo talento più grande, ovvero monologare. Poteva andare avanti per ore, a parlare del tempo, delle stupidaggini che scriveva il Mirror, del nuovo Call of Duty – santo cielo, come facevano lui e Niall a vivere senza playstation e costringerlo ogni volta ad andare da Zayn dall’altra parte di Londra solo per una partita? – e di calcio. Poteva passare ore, giorni, mesi e anni a parlare senza sosta di calcio e dei Rovers di Doncaster, nessuno doveva toccargli i Rovers. Harry non sapeva esattamente cosa pensare di lui e sinceramente si aspettava da un momento all’altro che all’ennesimo asciugamano trovato in terra Niall desse fuori di matto definitivamente e lo cacciasse di casa a calci. Da un lato non sapeva se Louis gli piacesse o meno, dall’altro per qualche strano motivo aveva fatto di tutto per farlo assumere e gli aveva concesso suo malgrado di dividere appartamento e stanza con lui, intercedendo sempre per lui ogni volta che il povero Niall decideva di prendere provvedimenti drastici, nonostante sapesse benissimo che le sue erano solo minacce atte a far rigare dritto Louis – con scarsi risultati – perché sotto sotto Niall aveva il cuore ancora più tenero del suo.
“Devo fare pipì,” Niall entrò incurante del fatto che Harry se ne stava seduto sulla tazza del bagno a far finta di leggere il libro che si era portato.
“Niall!”
“Sei seduto completamente vestito su un water con il coperchio abbassato, ammesso che tu stia facendo qualcosa, ti comunico che te la stai facendo nei pantaloni,” rise Niall facendogli cenno di alzarsi. Harry si tirò in piedi sbuffando, e Niall corse a fare pipì senza nemmeno aspettare che lui uscisse dal bagno.
“Da cosa stai scappando, Harold?” gli chiese l’amico, usando intenzionalmente il nome e il tono con cui lo chiamava sempre Louis, perché sapeva benissimo che era proprio Louis quello da cui stava scappando. Il punto era che Harry non sapeva esattamente come comportarsi quando Louis decideva di starsene buono in casa. Finché erano fuori e la sua parlantina riempiva ogni vuoto allora era tutto okay, ma stare in una stanza con Louis e sentire il silenzio faceva diventare questo silenzio assordante. Non sapeva mai se era il caso che provasse a fare conversazione – e in quel caso cosa poteva dire? ‘Hey, quand’è la prossima partita dei Rovers?’ – se era il caso che lo invitasse a fare qualcosa con lui e Niall o se era il caso che se lo portasse giù con sé a fare il bucato – perché sì, a un certo punto Harry aveva anche iniziato a fargli il bucato, sempre per disperazione.
“Se vuoi possiamo far cambio... io e Louis intendo. Lui si può prendere la mia stanza e io e te possiamo dividere la tua,” si offrì Niall, continuando imperterrito a fare le sue cose.
“Te lo ricordi vero che sono gay?” gli chiese Harry osservandolo divertito e ignorando la sua offerta. Gli aveva già praticamente imposto la presenza di Louis – anche se in realtà era stato Louis a imporre la propria presenza con una nonchalance disarmante - non poteva certo anche privarlo della propria camera e relativa tranquillità.
Niall scoppiò a ridere.
“Non penso proprio di essere il tuo tipo. Mi sa che sei attratto di più dai bellocci dello Yorkshire che dagli immigrati irlandesi,” gli disse senza smettere di ridere, mentre si ricomponeva tirandosi su i pantaloni. Harry sgranò gli occhi, sicuro di aver capito male. “Eddai Harold, ci deve pur essere una spiegazione al fatto che tu sia così accondiscendente nei confronti di un tale tormento,” adesso Niall era serio.
“Sì, e la spiegazione è che mi ha fatto pena!” cercò di difendersi. Che poi non si stava difendendo da nulla, era la pura verità.
“Pena? Provi pena per quel povero pazzo disadattato?”
“Viveva in pessime condizioni e-“
“Quali pessime condizioni? Da quello che ho capito questo Zayn vive in una villa Harold, non in un appartamento con due stanze e un mini soggiorno con angolo cottura e frigorifero. E poi è sempre e costantemente in giro con questo Zayn, quindi non mi pare che la sua compagnia gli faccia poi così schifo.”
Harry ci pensò su per un attimo. Effettivamente non sapeva proprio un bel niente di Louis, di Zayn, della loro amicizia, di cosa facessero, di come vivessero...
Si sentì un povero ingenuo.
Quando tornò in camera sua buttò in terra i vestiti di Louis che colonizzavano l’unica sedia che c’era e si sedette iniziando a scrutare Louis che era seduto sul proprio letto con un fumetto fra le mani e le cuffie con la musica sparata a palla nelle orecchie.
Non si accorse nemmeno della sua presenza, o semplicemente non gliene importava nulla di essere fissato. Louis non gli sembrava propriamente un belloccio. Certo, non era un brutto ragazzo... anzi visto da una certa angolazione poteva essere definito proprio bello e quindi? Anche Niall era un bel ragazzo, con i suoi capelli biondi, il suo sorriso generoso e i suoi occhioni da cucciolone. Ma Louis aveva addosso il fascino del cattivo ragazzo, anche se Harry non l’avrebbe definito proprio cattivo. Scrollò la testa infastidito, non avrebbe lasciato che le parole di Niall gli colonizzassero il cervello. Però in un certo senso gli piaceva l’aria sbruffona di Louis, il suo parlare a raffica e la sua fissazione per quella stupida squadra di calcio. No, Louis non era il suo tipo... quell’idiota di Charles era il suo tipo ed era l’esatto opposto di Louis, faccia pulita, modi impeccabili, vestiti sempre stirati, camera sempre luccicante. Sbuffò, non sapeva nemmeno perché stava permettendo a una stupida battuta di Niall di mettere in dubbio le sue motivazioni. Si alzò, afferrò il cuscino e se ne andò in camera di Niall.
“Quel povero pazzo disadattato ha la musica talmente alta che è come se ce l’avessi io nelle orecchie,” si lamentò buttandosi sul letto dell’amico e sistemandosi sotto le coperte.
Niall scoppiò nuovamente a ridere ma non disse niente.
 
“Cosa leggi così interessato?”
Harry sobbalzò, era così concentrato sul suo iPad che non si era accorto della presenza di Louis fino a quando il ragazzo non si era seduto di fianco a lui, sul pavimento con la schiena appoggiata al divano. Harry non stava leggendo niente di particolare, stava semplicemente saltellando da un blog all’altro per vedere le ultime novità e al momento era su The Trend Pear, il suo preferito. Louis di fianco a lui allungò il collo per spiare meglio ed emise un gemito di sorpresa quando vide la schermata. Harry gli lanciò un’occhiata interrogativa.
“Non pensavo che qualcuno seguisse davvero il blog di Eleanor. È così noioso,” bofonchiò con aperta disapprovazione. “E Max è un coglione che si crede chissà chi solo perché ogni tanto sfila su qualche passerella. Dovresti vedere che razza di occhiate mi lancia ogni volta che mi vede in jeans, felpa e Vans.”
La curiosità di Harry si accese improvvisamente.
“Li conosci?” chiese.
“Oh Harold, Eleanor è la mia ragazza.”
La mascella di Harry cadde a terra.
Eleanor Calder di The Trend Pear usciva con Louis? Lo stesso Louis che aveva lui davanti in quel momento? Non poteva essere, Louis lo stava certamente prendendo in giro. Come poteva una ragazza dall’apparenza posata e a modo come Eleanor uscire con... com’è che l’aveva definito Niall? Un povero pazzo disadattato, che per inciso i tre quarti delle volte andava in giro in tuta per essere più comodo, come in quel momento ad esempio. Okay che erano in casa, ma Harry era abbastanza sicuro che non indossasse nemmeno i boxer sotto ai pantaloni. Non che ci avesse prestato particolare attenzione o che gli importasse.
“Come fa a piacerti quella roba? È troppo minimal, troppo-“
“A me sembrano avere molto gusto,” lo interruppe Harry.
“Oddio, ti piace davvero questo blog. E io che speravo lo stessi guardando solo per fare i compiti di scuola.”
Compiti di scuola? Cosa pensava, che Harry fosse all’asilo?
“Mi sono ritirato dal corso,” si limitò a dirgli, possibile che non si fosse accorto che non frequentava più nessuna lezione e che aveva aumentato le ore in panetteria?
“Se vuoi te li posso presentare,” disse Louis con aria pensosa, ignorandolo.
“Davvero?” Harry ora era entusiasta.
“Sì, magari potremmo fare un’uscita a quattro, lasciando perdere Max... meno lo vedo meno mi irrito.”
“Non sarebbe un’uscita a tre in quel caso?” gli chiese Harry, assimilando in ritardo l’informazione secondo la quale Louis aveva una ragazza.
“Io, Eleanor, tu e la tua ragazza... sono abbastanza sicuro faccia quattro.”
“Quale ragazza?”
“Quella che ti chiama Harold quando è arrabbiata con te, nonché l’unica ragazza che faccia mai squillare il tuo cellulare? Gemma?” Louis lo stava fissando come se fosse un bambino un po’ ritardato. “Oh no, non dirmi che vi siete lasciati. Cosa le hai fatto, Harold?”
Gemma, certo. Non aveva mai chiarito l’equivoco e non gli aveva mai spiegato che Gemma in realtà fosse sua sorella. “Allora?”
 
Niall stava ridendo da dieci minuti buoni, rideva così intensamente che stava lacrimando da entrambi gli occhi e non sembrava minimamente intenzionato a smettere.
“Niall!”
Niente, il ragazzo continuava a ridere.
Harry sospirò e rinunciò ad avere una conversazione con lui, che si stava perfino tenendo la pancia da tanto rideva.
“Non posso credere che tu abbia accettato di fare un’uscita a quattro con Louis, la sua ragazza e Gemma,” disse finalmente Niall non appena riuscì a calmarsi un minimo, le guance completamente rigate di lacrime. Harry non aveva idea che si potesse piangere così tanto dal ridere.
“Non è colpa mia se pensa che Gemma sia la mia ragazza.”
“Invece è assolutamente colpa tua. E ti dirò di più, la tua bugia reggerà solo fino al momento delle presentazioni, perché una persona deve essere completamente cieca per non accorgersi che siete fratello e sorella. Ti prego, posso venire?”
Niall ricominciò a ridere istericamente.
Harry non ci aveva pensato, non aveva minimamente messo in conto il fatto che lui e Gemma si somigliassero quasi quanto due gocce d’acqua e nemmeno Gemma l’aveva messo in conto quando aveva accettato di fare la sua ragazza immaginaria, ovviamente non prima di essersi fatta una sonora risata e aver chiamato la madre per renderla partecipe di cosa stesse combinando il figlio lasciato a piede libero per le strade di Londra, e aver così permesso anche a lei di ridere – o sorridere, come diceva sua madre – di lui.
“E comunque avrebbe più senso che fossi io il tuo ragazzo immaginario,” osservò Niall quando riuscì a calmare le risate.
“Mi pare evidente che Louis non abbia idea delle mie preferenze sessuali.”
“Dovresti rendergliele note, magari ricambia,” e ricominciò a ridere.
Harry non ci trovava nulla di divertente, e iniziavano a dargli davvero fastidio le insinuazioni di Niall, quasi quanto gli dava fastidio il fatto che in quasi due mesi Louis non si fosse ancora ficcato in testa che odiava essere chiamato Harold.
“Oh Harold!” esclamò Niall imitando alla perfezione l’accento di Louis, e ormai rideva con una tale forza che Harry iniziò a pensare che gli sarebbero venute le convulsioni.
E che se fosse successo lo avrebbe lasciato lì, a contorcersi sul pavimento sul quale era finito dopo essere scivolato giù dal letto in uno dei suoi tanti attacchi di risa isteriche.
“Eddai, non mettere il broncio.”
“Non mi piace Louis,” brontolò Harry. “E comunque ti ricordo che ha una ragazza vera, lui.”
“Cosa che sembra darti particolarmente fastidio, se pur di conoscerla sei disposto a limonare con tua sorella.”
E giù a ridere di nuovo.
Harry non voleva conoscerla perché era la ragazza di Louis, voleva conoscerla perché ammirava il suo lavoro.
E non aveva la benché minima intenzione di limonare con sua sorella, giusto per la cronaca.
 
Eleanor era esattamente come Harry se l’era immaginata e fino a quel momento la serata era andata a gonfie vele. Erano da Nando’s, per ora nessuno aveva ipotizzato che Gemma potesse essere sua sorella e Louis indossava i boxer sotto ai jeans. Non che la cosa gli interessasse ovviamente, ma era strano vedere Louis in un contesto diverso dal lavoro o dal coinquilino. Fino a due giorni prima non sapeva nemmeno che avesse una ragazza, come non sapeva come fosse Louis in un contesto... sociale? Poteva definirlo così? Be’, era quasi una persona civilizzata, aveva perfino spostato la sedia a Eleanor per farla sedere e quella sì che era una cosa che Niall non avrebbe voluto perdersi. Quasi si era pentito di aver portato Gemma invece di Niall.
Poi tutto precipitò, con una semplice e innocente domanda di Eleanor.
“Quindi studi moda?”
“Te l’ho già detto, cara, si è ritirato,” intervenne Louis rispondendo per lui.
Allora in fin dei conti lo stava ascoltando l’altro giorno.
E comunque che razza di maniera era cara per chiamare la propria ragazza?
“Ti sei ritirato?” Gemma si girò di scatto verso di lui.
Merda, pensò.
Non l’aveva detto a Gemma, perché dirlo a Gemma significava dirlo a sua madre e aveva paura che se sua madre l’avesse scoperto avrebbe fatto di tutto per farlo tornare a casa, soprattutto dopo tutti i piagnistei telefonici con cui l’aveva assillata perché Londra era una città troppo grande e caotica per i suoi gusti. Ma nonostante questo Harry non aveva alcuna intenzione di tornare a casa, non ora che aveva trovato Niall e Louis. E Charles, Charles abitava sempre a Holmes Chapel quindi a lui toccava l’esilio ovviamente. E poi cosa gliene importava di Louis?
“Harold, tieni le cose nascoste alla tua ragazza? Non è da te,” Louis stava facendo di no con la testa in segno di disapprovazione.
“La mamma lo sa?”
Gemma!”
Harry voleva sotterrarsi.
Gemma non solo stava facendo saltare la sua copertura, ma stava anche rivelando al mondo che era un mammone.
Louis ed Eleanor li stavano fissando dall’altra parte del tavolo.
“Ho il vizio di chiamare Anne ‘mamma’, è così materna con me.”
Harry si lasciò scivolare sulla sedia sperando che sotto di lui si aprisse una voragine pronta a inghiottirlo, quella era la bugia più penosa che avesse mai sentito in tutta la sua vita. E Gemma era brava tanto quanto lui a mentire, ovvero non ne era proprio capace. Louis aveva preso a spostare lo sguardo dall’uno all’altra, fino a quanto l’espressione che si dipinse sul suo volto fece capire che aveva ricevuto una rivelazione.
“Non ci posso credere, esci con tua sorella?”
Non poteva averglielo chiesto veramente.
Non con quel tono così serio.
“Quindi è questo il tuo grande segreto, Harold? Incesto?”
Grande segreto?
“E io che pensavo che il motivo per il quale non ti facessi mai vedere in giro con la tua ragazza fosse che non ci fosse nessuna ragazza, che magari fossi gay.”
“Vuoi stare un po’ zitto Tomlinson?” sbottò Harry.
Che andasse a letto con sua sorella o che fosse gay, a lui cosa importava?
Gemma rimase disorientata dallo scatto d’ira così insolito per il fratello.
Eleanor fissava tutti a turno.
“Forse dovremmo andare,” disse dopo un attimo di silenzio generale, tirando Louis per una manica.
“Se vuoi andare, vattene,” le rispose imbronciato Louis.
Ora perché era imbronciato?
E perché Harry si sentiva così irritato?
Harry si era presentato a un’uscita a quattro con sua sorella per non ammettere di non avere nessuna ragazza, quella era una situazione assurda che richiedeva una sonora risata alla Niall, con tanto di lacrime e crampi allo stomaco annessi e invece erano tutti arrabbiati con tutti.
O meglio, Louis era arrabbiato con Harry e Harry con Louis.
“Ti porto a casa io,” si offrì Gemma alzandosi e Harry, in un remoto angolino della sua mente, si chiese come pensava di portarla a casa se non aveva una macchina. “Cioè, possiamo fare un pezzo insieme se anche tu devi prendere la metropolitana,” si corresse la ragazza.
Eleanor a quanto pare aveva una macchina e quindi finì con l’offrirsi lei di portare a casa Gemma.
Sia Harry che Louis le ignorarono quando appoggiarono dei soldi sul tavolo e li salutarono.
“Ti sembra il modo di trattare la tua ragazza?” chiese Harry dopo un po’.
“Ti sembra il modo di trattare tua sorella?” replicò Louis seccato.
“Non sono io che le ho detto ‘vattene’.”
“Non l’ho detto a tua sorella, Harold.”
Harry si alzò, raccattò i soldi che le ragazze avevano lasciato e andò a pagare il conto, compresa la parte di Louis.
Poi uscì senza aspettarlo, se ne tornò a casa e si buttò nel letto di Niall, accoccolandosi addosso a lui e rifiutandosi di raccontargli cosa fosse successo.
Fondamentalmente non sapeva nemmeno lui cosa fosse successo.
Louis rientrò quasi due ore dopo senza nemmeno premurarsi di non fare rumore, e Harry aveva contato ogni singolo minuto. 

NOTE.
Rieccomi qui con un nuovo capitolo in cui in realtà succede tutto e niente... dal prossimo la storia inizierà a prendere una piega più "seria" per così dire e *SPOILER ALERT* Lou e Haz potrebbero perfino iniziare a legare grazie alle proprie disgrazie xD 
Fatemi sapere cosa ne pensate :)

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Capitolo 4
*** In cui Harry rimane vittima dei casini di Louis ***


DANCE INSIDE

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3. In cui Harry rimane vittima dei casini di Louis
L’uscita a quattro sembrava aver incrinato qualcosa nel rapporto inesistente fra Harry e Louis, rendendolo ancora più inesistente. Aveva incrinato anche il rapporto fra Louis e la sua pigrizia, perché ora buttava gli asciugamani sporchi nel cesto della biancheria sporca, lavava i piatti e teneva i suoi vestiti nella propria metà dell’armadio.
“Vuoi dirmi che è successo?” chiese Niall osservando la superficie del lavandino in cucina che non era mai stata così splendente. Harry era seduto sul divano con una tazza di te bollente fra le mani e fece spallucce. Era passata una settimana da quella sera e il regime di silenzio fra lui e Louis si era esteso anche all’ambito lavorativo, era come se qualcuno gli avesse installato un silenziatore al posto delle corde vocali ed era quasi inquietante vista la sua solita parlantina.
“Harry?” Niall gli si sedette di fianco e prese a fissarlo.
“Non c’è niente da raccontare Horan, non so nemmeno io cosa sia successo,” bofonchiò Harry, stufo di sentirsi fare quella domanda. E in effetti era vero, non sapeva nemmeno lui cosa fosse successo. Louis sembrava aver preso molto sul personale il fatto che Harry avesse fatto passare Gemma per la propria ragazza, aveva provato a parlarne anche con Gemma – visto che era l’unica con cui poteva parlarne senza dover raccontare nulla – e anche lei concordava sul fatto che la reazione di Louis fosse stata eccessiva. Anche la tua, Harry, aveva però aggiunto, mandandolo completamente in confusione.
“Com’è Eleanor?” chiese dopo qualche minuto di silenzio Niall. “Dai, almeno questo puoi dirmelo,” ridacchiò cercando di smorzare la tensione.
“Non ho mai visto una coppia assortita peggio.”
Niall inarcò un sopracciglio, o almeno così immaginava Harry che stava concentrando tutta la sua attenzione sulla tazza che aveva in mano. Sapeva benissimo che questa non era la risposta alla domanda di Niall, e sapeva benissimo anche che non erano affatto affari suoi quanto sembrassero fatti – o non fatti – l’uno per l’altra Louis e la sua ragazza. Magari anche lui e Charles sembravano male assortiti da fuori, anche se lui continuava a essere convinto che Charles fosse la sua anima gemella nonostante fosse evidente che no, non lo era per niente. Non sapeva nemmeno perché si fosse messo a pensare a Charles, ormai erano passati quattro mesi da quando aveva lasciato Holmes Chapel e cinque da quando si erano lasciati. Si voltò verso Niall, che lo stava effettivamente osservando con un sopracciglio alzato e una strana espressione negli occhi.
“Quando vorrai parlarne sai dove trovarmi,” gli disse l’amico. “Per ora godiamoci finché dura questo nuovo Louis che ha scoperto le gioie della civilizzazione e della pulizia.”
 
***
 
Louis era seduto a gambe incrociate sulla lavatrice ad aspettare che finisse il ciclo di lavaggio e stava giocando a FIFA con il Nintendo anche se era una cosa che odiava con tutto se stesso. Innanzitutto, FIFA era un gioco che si poteva gustare appieno solo alla playstation e secondariamente, giocarci da solo era noiosissimo in confronto al fare i tornei con gli amici, ma se non altro così il tempo del bucato gli sarebbe passato più in fretta. Non aveva ancora capito perché in quel condominio avessero un locale lavanderia pieno di lavatrici e asciugatrici invece che tenere una lavatrice in ogni appartamento, costringendolo così a dover stare per almeno un’ora con i suoi vestiti ogni volta che aveva bisogno di lavarli – perché ovviamente avevano un sacco di regole anche su quello, prima fra tutte il ‘non tenere occupate le lavatrici una volta che il ciclo di lavaggio è finito’. Chissà Harry dove aveva trovato la pazienza per fare il bucato anche a lui fino a quel momento... Scrollò la testa, non aveva nessuna intenzione di farsi rovinare la partita dal pensiero del ricciolino. Nell’ultima settimana si erano rivolti la parola il minimo indispensabile per due persone che condividono appartamento e lavoro, e questo minimo era stato in realtà molto meno dell’indispensabile perché Harry con una scusa o con l’altra finiva sempre con l’addormentarsi in camera di Niall, riducendo a un osso anoressico le loro interazioni. Dopo una settimana ancora non capiva cosa fosse successo quella sera, l’unica cosa che sapeva era che a un certo punto lui si era sentito estremamente arrabbiato con Harry e Harry si era arrabbiato con lui – e lui nemmeno pensava che Harry fosse una persona in grado di arrabbiarsi con qualcuno. Certo, non era stato carino far passare sua sorella per la propria ragazza, ma in fin dei conti – come aveva tentato di inculcargli nel cervello anche Eleanor – si era trattato di una situazione assurdamente buffa e lui doveva smetterla di tenere il broncio a Harry o il broncio in generale.
La verità era che gli aveva dato fastidio, gli aveva dato estremamente fastidio.
Gli aveva dato fastidio il fatto che dopo due mesi passati a condividere la camera e il posto di lavoro, lui non si fosse reso conto a una prima occhiata che Gemma fosse la sorella di Harry quando i lineamenti dei due erano praticamente identici.
Gli aveva dato fastidio rendersi conto che dopo due mesi passati a condividere la camera e il posto di lavoro, lui non sapesse assolutamente nulla di Harry, nemmeno le cose più stupide come il fatto che la persona con cui si sentiva tutti i giorni e a cui sembrava raccontare tutto fosse sua sorella.
E poi si era reso conto di tante altre cose, come che Harry a sua volta non avesse idea che lui uscisse con Eleanor, che Harry non avesse mai incontrato Zayn di persona, che lui e Harry non avessero mai fatto un discorso serio o un discorso che li riguardasse in prima persona.
Tutto questo gli dava enormemente fastidio e se qualcuno gli avesse chiesto il perché – e Zayn l’aveva fatto – l’avrebbe mandato a quel paese in tono irritato – cosa che aveva fatto.
“Non dovresti essere al lavoro?” la voce profonda di Harry lo distolse dai suoi pensieri e da FIFA, facendolo sobbalzare.
Il ricciolino lo stava fissando dalla porta della lavanderia, con in braccio una bacinella talmente strabordante di vestiti da fargli pensare che fosse venuto a fare il bucato anche a Niall.
“Alfred mi ha cambiato il turno perché oggi pomeriggio ha da fare,” gli rispose tornando a concentrarsi sul gioco. Harry non rispose, probabilmente troppo irritato dal fatto che questo significava che avrebbero passato l’intero turno insieme. Negli ultimi giorni sembrava irritarsi al solo pensiero dell’esistenza di Louis.
Con la coda dell’occhio lo vide decidersi a entrare nella stanza e dirigersi verso la lavatrice più lontana da quella che stava usando lui.
“Ti chiederei se vuoi fare una partita, ma so che non è roba per te,” disse in tono sarcastico dopo dieci minuti di silenzio totale, escluso il rumore delle due lavatrici, solo perché iniziava a sentirsi a disagio.
“Non ho mai detto che non mi piaccia il calcio, a dirla tutta lo adoro.”
Harry era seduto sulla propria lavatrice nella stessa identica posizione di Louis, e gli aveva risposto senza alzare gli occhi dal libro che aveva appoggiato sulle gambe, il tono piatto e asciutto.
Louis prese a osservarlo.
Aveva i capelli raccolti in una coda dalla quale sfuggiva qualche ricciolo ribelle e gli occhi puntati sul libro ma dalla loro immobilità Louis si rese conto che non stava leggendo davvero. Aprì la bocca per chiedergli che libro fosse, poi la richiuse senza dire nulla.
Magari Harry in realtà lo odiava.
Magari Harry era solo una persona estremamente buona e altruista, che gli aveva procacciato un lavoro e un tetto sopra la testa per quest’unica ragione e non per il fatto che l’avesse preso in simpatia dal primo istante.
Louis non aveva mai pensato a quell’eventualità, in realtà non aveva mai pensato veramente al perché Harry non l’avesse ancora cacciato di casa nonostante fosse ovvio che Niall avrebbe preferito essere in regola e nonostante il fatto che lui non fosse esattamente il coinquilino modello. Aveva semplicemente dato per scontato che Harry l’avesse preso in simpatia a prima vista, come del resto era successo a lui, perché lui aveva preso in simpatia Harry dal primo istante, nonostante lo considerasse un po’ ingenuo e un po’ fuori dal mondo. In fondo era per quello che si era autoinvitato a fargli da coinquilino, perché in fondo Harry gli era stato simpatico fin da quel non-colloquio che sembrava essere avvenuto decenni fa.
“Non sapevi chi fossero i Rovers,” disse, giusto per spezzare di nuovo il silenzio.
Harry finalmente alzò lo sguardo verso di lui, puntandogli quegli occhi così incredibilmente verdi addosso.
“Non ho mai detto di non sapere chi fossero i Rovers, ero semplicemente sconcertato dal fatto che qualcuno potesse scrivere quello che hai scritto tu su un curriculum. E non capisco nemmeno perché tu ne sia ossessionato.”
Il tono era sempre piatto e asciutto, ma se non altro ora c’era contatto visivo.
Louis avrebbe voluto spiegargli perché fosse così ossessionato dai Rovers, ma gli occhi di Harry avevano una strana espressione indecifrabile e lui tornò a giocare a FIFA lasciandolo al suo libro.
 
 
Ogni tanto Louis si sentiva come in uno di quei film in cui i personaggi sono costretti a rivivere da capo lo stesso giorno fino a quando non imparano una determinata lezione, con la differenza che di solito nei film questo accadeva massimo entro 120 minuti, nella vita di Louis invece non era ancora successo, anzi. Doveva vedersi con Zayn e Jawaad al solito posto per la solita consegna mensile ma erano tre giorni che tentavano di mettersi d’accordo e Jawaad si stava innervosend,o e alla fine Louis aveva deciso di fare una corsa prima di andare al lavoro, come se si potesse fare una ‘corsa’ da una parte all’altra di Londra, e non capendo cosa costasse a Zayn anticipargli i soldi per una volta. E così si era ritrovato di fronte al solito dilemma, ovvero arrivare tardi al lavoro e passare da casa a lasciare il tutto, oppure tenersi quel tutto addosso e andare al lavoro direttamente. Optò per la seconda opzione ma arrivò comunque tardi al lavoro, guadagnandosi un’occhiata storta di Harry che però non commentò.
“In ufficio c’è il cane di Alfred, torna a prenderlo dopo... non slegarlo o ce lo ritroveremo in mezzo ai sacchi di farina o in negozio,” si limitò a dirgli il ricciolino mentre gli passava dietro di corsa per andare a posare lo zaino in ufficio – dove c’erano anche i loro armadietti – e infilarsi in fretta la maglia della divisa per tornare poi in negozio pronto a iniziare il turno.
“Dobbiamo infornare le tre teglie che ha lasciato di la pronte Alfred,” gli disse Harry senza nemmeno guardarlo, con tono perentorio. Louis comprese che il ragazzo non aveva la benché minima intenzione né di aiutarlo né di avere a che fare con lui, e ormai erano passate due fottute settimane dall’incidente – come aveva preso a chiamarlo Zayn.
Sospirò e andò nel retro, dove venne investito da una folata di calore per via del forno accesso. Se Harry non voleva avere nulla a che fare con lui, perfetto. Infornò due delle tre teglie, impostò il timer e poi si sedette su una pila di sacchi di farina ad aspettare che l’infornata fosse pronta e lasciando Harry da solo in negozio a cuocere nel proprio brodo.
Okay, forse aveva avuto una reazione esagerata, ma lo stesso valeva per Harry.
Non potevano farsi una risata, metterci una pietra sopra e ricominciare a essere amici come prima? Salvo che prima non erano amici, erano... Louis sbuffò frustrato, ignorando il cane che aveva iniziato ad abbaiare nell’ufficio che si trovava al piano di sopra.
Magari poteva andare a prendere il Nintendo che teneva sempre nello zaino e passare così il suo tempo fra un’infornata e l’altra. O magari poteva andare nell’edicola vicina a comprarsi qualche fumetto, uscendo dal retro in modo che Harry non si accorgesse di niente. Oppure poteva tornare in negozio e chiedere a Harry quale fosse il suo problema, o guardarsi allo specchio e chiedere a se stesso quale fosse il proprio di problema.
Magari lui e Harry erano semplicemente persone incompatibili e se ne erano rese conto quella sera solo perché era la prima volta che facevano qualcosa insieme che fosse diverso dal lavorare.
“Perché Kelsey abbaia in questa maniera?” Harry era comparso dal nulla e lo stava fissando come se fosse stato lui a premere un interruttore nella bocca del cane – immaginava che Kelsey fosse il cane – per farlo iniziare ad abbaiare. In quel momento il dlin dlon che partiva quando qualcuno entrava in negozio, annuncio nuovi clienti. Harry tornò di la senza aggiungere nulla e Louis si mise ancora più comodo, avrebbe dovuto considerare l’idea di costruirsi un divano fatto solo di sacchi di farina perché sotto di lui avevano una strana consistenza che li rendeva particolarmente accoglienti. Magari poteva semplicemente schiacciare un pisolino sperando che il suono del timer lo svegliasse quando ce ne fosse stato bisogno.
“Puoi andare a vedere cos’ha Kelsey?” Harry ricomparve facendolo sobbalzare. Visto che non voleva avere niente a che fare con lui, perché non lo lasciava in pace?
“Sto tenendo d’occhio il forno.”
Harry alzò gli occhi al cielo e sparì nuovamente in negozio.
Poco dopo Louis sfornò le prime due teglie e mentre la terza iniziava la cottura, ne svuotò il contenuto in un contenitore di plastica gigante che trascinò di malavoglia in negozio.
“Eccoti,” disse lasciandolo di fronte a Harry, senza nessuna intenzione di aiutarlo a rovesciare quel pane nei cesti dietro al bancone.
In quell’istante rientrò Alfred, e la prima cosa che notò fu l’abbaiare del cane.
“Cos’ha Kelsey?” chiese preoccupato.
“Stavo giusto andando a controllare,” rispose Louis, godendosi l’espressione sgomenta di Harry e salendo in ufficio dietro ad Alfred.
E poi scoprì cos’avesse Kelsey da abbaiare in quella maniera.
Nella fretta di iniziare il turno, Louis aveva tolto dallo zaino la maglia della divisa e se l’era infilata addosso, lasciando il proprio giubbino e la felpa buttati sulla sedia della scrivania di Alfred e... lo zaino aperto buttato in terra a qualche modo, invece che chiuso al sicuro nel proprio armadietto.
Alfred notò prima il disordine, poi lo zaino, poi quello che c’era dentro lo zaino, ovvero un sacchetto trasparente attraverso il quale si vedeva in maniera incontestabile il contenuto.
Ecco perché Kelsey abbaiava, perché aveva annusato qualcosa di nuovo a cui non era abituata.
Ed ecco perché Alfred ora lo stava fissando furibondo.
E perché Louis era sicurissimo che mancassero trenta secondi netti al suo licenziamento.
“Non voglio saperne niente, prendi tutta le tue cose e vattene,” gli disse con un tono che non ammetteva repliche. Louis avrebbe voluto prendere a testate il muro, perché era così dannatamente stupido? Perché?
Si chinò a raccogliere lo zaino da terra e quando risollevò lo sguardo Alfred era sparito. Mollò lo zaino e si concesse di prendere letteralmente a testate il muro, magari così gli sarebbe venuta una commozione cerebrale e sarebbe rinato con un cervello più funzionante.
Aveva ancora la testa appoggiata contro al muro, quando Alfred rientrò nella stanza.
“Si può sapere cos’hai combinato?!”
Solo che non era Alfred, era Harry.
“Senti, io-“ iniziò a dire mentre si voltava verso di lui, ma poi lo vide e si bloccò di scatto.
Harry non indossava più la cuffia da fornaio che dovevano portare durante il turno e i riccioli gli cadevano ribelli sul viso, non abbastanza da coprire il fatto che avesse le guance bordeaux e fosse evidente che fosse sull’orlo di una crisi di pianto.
E poi Louis capì.
Alfred aveva appena licenziato sui due piedi anche Harry, perché era stato Harry a insistere per farlo assumere.
 
***
 
Harry camminava stancamente verso la fermata dell’autobus, con Louis che lo seguiva come un cagnolino come il giorno che si erano conosciuti, con la differenza che ora era muto come un pesce e sembrava più un cane bastonato che il pazzo disadattato di quella volta.
Se non altro aveva la decenza di sentirsi in colpa, pensò Harry, anche se dentro provava un misto di rabbia e delusione che lo portava a voler scaraventare Louis sotto alla prima macchina buona. Erano emozioni nuove per Harry, non era abituato a sentirsi così, non era abituato a sentirsi come si era sentito nelle ultime due settimane. I rapporti sociali erano sempre stati molto semplici per lui: o qualcuno gli piaceva e allora diventavano amici, oppure gli era indifferente e rimanevano semplici conoscenti. Era sempre stato così fin dal giorno in cui era nato, fino al giorno in cui non aveva incontrato Louis Tomlinson.
“Vai a prendere la tua adorata District,” gli disse freddamente senza voltarsi verso di lui, ma Louis non lo sentì, o fece finta di non sentirlo, perché continuò a trotterellargli dietro con la faccia triste.
Quando l’autobus arrivò furono costretti a sedersi vicini perché non c’erano altri posti liberi, e Harry si mise a guardare intensamente fuori dal finestrino pur di non pensare a tutto ciò che era successo o a chi l’aveva causato, ma Louis gli rendeva il compito molto difficile perché continuava ad agitarsi nel sedile di fianco al suo.
“Se porti quella roba in casa, giuro che ti uccido,” gli disse senza smettere di guardare fuori.
L’altro si immobilizzò e un istante dopo Harry vide dal riflesso nel vetro che Louis stava tentando di guardarlo negli occhi proprio attraverso il riflesso. Una parte di lui voleva quasi sorridere – perché non aveva mai visto Louis così... vulnerabile – ma l’altra parte di lui voleva prenderlo e fargli molto, molto, molto male. Quando l’autobus attraversò uno dei numerosi ponti sul Tamigi di cui Londra era piena, Harry vide il riflesso del volto di Louis illuminarsi improvvisamente.
“Butto tutto nel fiume,” gli disse e poi si alzò di scatto e corse alla porta dell’autobus, pronto a saltare giù alla prima fermata buona. Harry, senza sapere nemmeno lui il perché, lo seguì d’istinto.
 
Stavano camminando da venti minuti buoni sulla riva del fiume e Harry era abbastanza sicuro di non avere idea di dove si trovassero. Ora era lui a seguire come un cagnolino Louis, dicendosi che lo stava facendo solo per assicurarsi che il ragazzo non si buttasse nel Tamigi perché l’unico con il diritto di mettergli le mani addosso e porre fine alla sua esistenza era lui.
Louis continuava a camminare senza sosta e senza voltarsi, fino a quando un altro quarto d’ora dopo si bloccò di scatto, si guardò intorno e andò a sedersi sul ciglio del fiume, le gambe a penzoloni sull’acqua.
“Cosa stai facendo?” gli chiese Harry esasperato.
“Siediti,” gli rispose Louis facendogli cenno con la mano di accomodarsi di fianco a lui.
Harry obbedì sbuffando, chiedendosi perché non fosse rimasto sull’autobus e non fosse tornato a casa a farsi coccolare e consolare da Niall. Louis si tolse lo zaino dalle spalle e ne tirò fuori il sacchetto contenente l’erba, poi con una maestria che lasciò di sasso Harry si preparò una canna, la accese e se la portò alla bocca.
“Un ultimo tiro, in onore dei bei tempi andati,” disse porgendola poi a Harry.
Seriamente gli stava offrendo di dividere una canna con lui? Dopo tutto quello che era successo?
“Andrà tutto bene, Harry. Te lo prometto.”
Harry rimase di sasso.
Era forse la prima volta da quando si conoscevano che Louis lo chiamava Harry.
 “Fai un tiro, è la tua ultima occasione,” gli disse Louis con la mano ancora a mezz’aria.
Harry prese quella cosa che somigliava vagamente a una sigaretta e se la portò alla bocca. Fece un tiro e tutto quello che ottenne fu una crisi di tosse di quelle potenti.
Louis scoppiò a ridere mentre riprendeva la canna e la buttava nel fiume.
Harry guardò quella piccola macchiolina bianca sparire insieme alla corrente e poi scoppiò a ridere anche lui.
Si lasciò cadere all’indietro e si accorse che il cielo si era rannuvolato parecchio.
Louis lo imitò e rimasero così per un po’, uno di fianco all’altro.
“Il mio sogno era di entrare nei Rovers, non ho fatto altro che sognare di essere un Rover dal giorno in cui sono nato,” fu Louis a rompere il silenzio e Harry girò leggermente la testa per osservarlo. “Poi mi sono rotto il ginocchio durante una partita, mi si è spezzato un legamento per essere precisi... puoi immaginarti il resto.”
Era la prima volta che Louis gli raccontava qualcosa di personale.
La seconda se contava quando aveva scoperto che Eleanor era la sua ragazza.
Harry si rese conto che il ragazzo stava rispondendo alla domanda che gli aveva fatto in lavanderia la settimana prima.
“Sono gay,” disse Harry, rispondendogli alla domanda che Louis gli aveva fatto quella sera alla cena.
Louis non commentò, si tirò nuovamente su e afferrò l’infame sacchetto trasparente. Si alzò in piedi e si sporse oltre l’argine del fiume, vuotandone tutto il contenuto e lasciando che la corrente facesse il resto.
“Meglio tornare a casa, il cielo non promette niente di buono,” gli disse poi offrendogli una mano per aiutarlo ad alzarsi.
Harry l’accettò e fianco a fianco tornarono alla fermata dell’autobus.

NOTE.
Rieccomi qua, Louis in questa storia è proprio hopeless e ne combina una dietro all'altra come potete vedere xD
Nel prossimo capitolo i nostri eroi faranno la conoscenza di Liam, tanto Lilo love <3
Vorrei ringraziare di cuore tutte le persone che stanno seguendo la storia e la stanno aggiungendo ai preferiti o alle storie seguite, tanto amore anche per tutti voi <3 Spero che abbiate gradito il capitolo :)
Per ora credo sia tutto, vi do appuntamento a martedì prossimo!


 

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Capitolo 5
*** In cui Harry si ritrova a pensare che Louis sarebbe un ottimo “pagliaccetto” ***


DANCE INSIDE

What makes the one to shake you down?
Each touch belongs to each new sound
Say now you want to shake me too
Move down to me, slip into you

4. In cui Harry si ritrova a pensare che Louis sarebbe un ottimo “pagliaccetto”
Harry e Louis erano seduti sul pavimento della lavanderia, schiena appoggiata a una lavatrice spenta, mentre aspettavano che i loro vestiti si lavassero. Sparsi di fronte a loro c’erano una decina di quotidiani diversi, tutti aperti sulla pagina degli annunci di lavoro.
“Ti ci vedo a fare il muratore Styles, con quei muscoli che ti ritrovi sulle braccia,” ridacchiò Louis tracciando una ‘x’ sull’annuncio in questione. Harry non ci aveva ancora fatto l’abitudine, nel giro di un paio di giorni Louis era passato da Harold, a Harry a Styles, non sapeva nemmeno lui secondo quale schema logico.
“È tutto inutile,” sospirò appoggiando la testa alla lavatrice e mettendosi a fissare il soffitto dello scantinato, come se potesse fornirgli le risposte a tutti i suoi problemi.
“Non essere sciocco Styles, sai quanto ho penato prima di trovare il lavoro in panetteria? Alla fine ci sono riuscito però!”
Harry si ritrovò a ridere a quell’uscita, chissà perché ma non gli riusciva per nulla difficile credere che nessuno volesse dare fiducia e assumere uno come Louis, lui era l’unico che ci era cascato ed ecco com’era finito: nel locale delle lavatrici a pregare un soffitto pieno di crepe e con un disperato bisogno di una mano di pittura.
“Se Gemma o mamma lo scoprono mi ritroverò sul primo treno per Holmes Chapel ancora prima di rendermene conto.”
“Non sei abbastanza grande per decidere da solo dove vivere?”
Harry sentì gli occhi di Louis puntati su di lui.
“Senza soldi?”
“Non essere sciocco Styles, c’è sempre Malik.”
Harry abbassò lo sguardo su di lui con aria interrogativa.
“Malik... Zayn ha questa casa enorme in cui abitano in migliaia, quando non avremo più i soldi per pagare l’affitto a Niall possiamo sempre trasferirci da lui. Anche se dovrai accontentarti di dividere il sacco a pelo con me.”
“Sacco a pelo?” chiese Harry confuso, evitando di fargli notare che non pagavano l’affitto a Niall ma che Niall era semplicemente quello che si era accollato il compito di raccogliere i soldi.
“Dove pensi che dormissi quando stavo da lui? Nel suo letto? Amico, va bene tutto ma Zayn russa ed è già insopportabile di suo come cosa, immaginati sentirtelo russare direttamente nelle orecchie!”
Harry scoppiò di nuovo a ridere, ed era assurdo.
La situazione era tragica, era senza lavoro, senza soldi, in una città nella quale faceva ancora fatica ad ambientarsi e stava ridendo di gusto come non gli capitava da mesi. E doveva ringraziare la causa di tutte le sue disgrazie per questo, il che era ancora più assurdo.
Mr. Yorkshire ti ha proprio fatto perdere la testa, aveva commentato Niall quando si era raggomitolato contro di lui sotto alle coperte piagnucolando per tutto quello che era successo, ed era l’unico commento che aveva fatto prima di lasciarsi abbracciare a mo’ di orsacchiotto e lasciarlo sfogare fino in fondo – compresa qualche vera lacrima di disperazione. Harry era sicurissimo che Niall avrebbe cacciato di casa Louis senza pietà e invece si era limitato a intimargli di trovare i soldi per l’affitto entro il primo del mese e da lì in poi l’aveva lasciato stare.
“E io che pensavo che scherzassi quando mi hai scritto che ti avrei trovato nello scantinato.”
Una voce sconosciuta riportò Harry alla realtà e il ragazzo si accorse che Louis di fianco a lui si era alzato e ora stava abbracciando con trasporto il nuovo arrivato.
“Immagino tu sia il famoso Harry,” disse quando riuscì a divincolarsi dall’abbraccio di Louis, sorridendogli in maniera schiva.
Harry non si mosse di un millimetro, confuso.
Il famoso Harry?!
“Di solito è più educato di così,” intervenne Louis con tono divertito. “Styles, non essere scortese e saluta Zayn.”
Oh, così quello era Zayn.
Harry non sapeva esattamente perché, ma se l’era immaginato più... come Louis. A dirla tutta quando pensava a come potesse essere Zayn, la sua mente elaborava l’immagine del gemello omozigote di Louis.
Non che passasse il suo tempo a immaginare come potessero essere gli amici di Louis.
Harold,” lo esortò Louis facendo cenno verso l’amico.
Zayn sembrava appena uscito dal set di un servizio fotografico, se ne stava lì di fronte a lui in jeans, maglia e giacca di pelle con tanto di bracciali e anelli perfettamente abbinati fra loro, ed era buffo il contrasto con Louis di fianco a lui in pantaloni del pigiama, felpa e capelli spettinati.
“Harry, piacere,” si decise a dire alla fine alzandosi e allungando una mano verso Zayn.
“Zayn.”
“Zayn è qui ad aiutarci a uscire da questo casino in cui siamo finiti per colpa sua.”
Prego?!” si ritrovarono ad esclamare Harry e Zayn all’unisono.
“Chi mi ha praticamente costretto ad andare a ritirare la roba proprio quel giorno? Jawaad. E chi è Jawaad? Il cugino di Zayn. E come ho conosciuto Jawaad? Zayn.”
Zayn alzò gli occhi al soffitto con finta rassegnazione, come se fosse assolutamente abituato a quei ragionamenti astrusi di Louis e Harry per un attimo sentì qualcosa di strano alla bocca dello stomaco, ma ignorò la sensazione.
“Mio zio ha bisogno di un aiuto ma non mi è sembrato molto entusiasta quando gli ho detto che tu eri tornato sul mercato, Tommo.”
“Ma lui è un bravo ragazzo, gli piacerebbe!” protestò Louis indicando Harry.
“Se vuoi posso arrangiarvi un incontro,” disse Zayn spostando l’attenzione su Harry, che ora li fissava a turno confuso. Tommo?
“Scusa, da quanto tempo sei a Londra?” chiese a Louis, improvvisamente interessato a saperne di più, molto di più sul coinquilino.
“Sei mesi, sette?” fece spallucce Louis. “Lo zio di Zayn ha un negozio di prodotti tipici pakistani,” aggiunse riportando il discorso in carreggiata.
Harry scrutò meglio Zayn, e si rese conto che il ragazzo non aveva dei lineamenti propriamente inglesi... come aveva fatto a non accorgersene prima?
“Però ti avviso che sarà dura, lo zio preferisce avere gente con le sue stesse origini se capisci cosa intendo... è un po’ chiuso, figurati che non vuole nemmeno me solo perché sono per metà inglese, dice che gli rovinerei gli affari,” lo avvertì Zayn.
“Gli rovineresti gli affari perché sei un poco di buono, Styles al contrario è tutto acqua e sapone, farebbe colpo di sicuro!” protestò Louis.
Già, peccato che a Harry in quel momento il lavoro non interessasse per niente.
Per qualche ragione inspiegabile si sentiva infastidito dall’evidente intimità che c’era fra Louis e Zayn, sei o sette mesi di conoscenza bastavano a fare quell’effetto? Be’, lui conosceva Niall da meno e lo usava tutte le notti come se fosse un peluche, quindi magari sì.
“Allora?” Louis lo stava fissando entusiasta.
“Posso trovarmelo anche da solo un lavoro, Tommo.”
Così dicendo Harry se ne andò lasciandolo lì con Zayn e con il bucato.
 
“Puoi sederti e stare fermo? Mi stai facendo agitare.”
Gemma gli indicò la sedia di fronte alla sua al tavolo della cucina, ma Harry continuò imperterrito ad andare avanti e indietro per la stanza rigirandosi fra le mani ogni oggetto che gli capitava a tiro, giusto per tenerle occupate.
Dopo aver abbandonato Louis e Zayn non si era nemmeno preso la briga di tornare in casa e cambiarsi, era uscito così, in pantaloncini della tuta, felpa e scarpe da ginnastica, incurante del freddo perché tanto Gemma abitava a sole tre fermate di autobus da casa sua. Peccato che quando aveva tentato di salire sull’autobus in questione, l’autista l’avesse gentilmente invitato a scendere e andare a comprarsi un biglietto, rifiutandosi di prenderlo in parola quando gli aveva spiegato che lui in realtà aveva l’abbonamento ma l’aveva lasciato a casa. Così si era ritrovato a farla a piedi, e quando era arrivato da Gemma si era fatto un te senza proferire parola e poi, dopo essersi scaldato, aveva iniziato per l’appunto a camminare come un anima in pena per la cucina.
“Harry!”
“Mi da fastidio. Tutto-quello-che-fa,” sillabò decidendosi a sedersi.
“Chi?”
“Quante persone conosco a Londra, Gemma?”
“Immagino tu non stia parlando di Niall.”
Harry non rispose e in cucina calò il silenzio.
Gemma lo fissava intensamente e Harry sapeva che stava tentando di frugare nei recessi più profondi della sua anima con la forza del pensiero, era una cosa che facevano fin da quando erano piccoli e uno dei due si rifiutava di parlare e aprirsi con l’altro.
Distolse lo sguardo.
“Sei facilmente irritabile ultimamente. È una cosa a cui non siamo abituate,” si limitò a dire Gemma. Harry inarcò un sopracciglio a quel plurale, immaginava che l’altra fosse la madre. “Perché non torni a casa?”
“Perché dovrei tornare a casa?”
“Perché non frequenti più il corso e da quando sei arrivato mi sembri un pulcino spaurito, non mi sembra che tu e questa città andiate poi così d’accordo.”
“Lo sappiamo entrambi che non mi sono trasferito per frequentare quello stupido corso, e poi qui c’è Niall.”
“A casa ci sono tutti gli altri tuoi amici.”
Che problemi aveva Gemma? Se avesse voluto tornarsene a casa sarebbe già tornato a casa da un pezzo, di sicuro non aveva bisogno del suo lascia passare per salire sul primo treno utile.
“Cambia appartamento allora. Vieni a vivere qui. Oppure sbatti fuori casa  la persona che ti irrita così tanto e che per altro vive con te abusivamente.”
“Non posso sbattere fuori casa Louis, poi mi sentirei in colpa e lo avrei sulla coscienza.”
“Ah sì?” Harry riportò gli occhi sulla sorella, che ora stava sorridendo in maniera criptica come se avesse appena ricevuto l’illuminazione dall’oracolo e ora fosse l’unica custode del segreto che avrebbe potuto salvare l’umanità.
 
***
 
Louis non riusciva proprio a capire che problemi avesse Harry.
Negli ultimi giorni si era fatto in quattro per rimediare al pasticcio che aveva combinato, aveva scarpinato su e giù per Londra per ore, aveva perfino chiesto a Zayn di intercedere per lui anche se Zayn non lo conosceva nemmeno e cosa aveva ottenuto? Harry era arrabbiato con lui, di nuovo. Esattamente come era successo dopo la cena, e non aveva il minimo senso.
Avrebbe avuto senso che gli avesse tolto il saluto dopo l’incidente in panetteria, quello avrebbe potuto capirlo ma no, paradossalmente quello era stato il fatto che li aveva portati ad avvicinarsi e Louis si era quasi convinto – o illuso a questo punto – che lui e Harry stessero iniziando davvero a legare e la cosa gli procurava anche un certo piacere perché be’, lui era una persona aperta e solare e gli piaceva trovare nuovi amici e uscire con loro e fare cose da amici con loro e via dicendo.
Ma evidentemente con Harry non era destino, perché Harry be’, Harry era strano forte.
Chi ti accoglie in casa e ti procaccia un lavoro senza conoscerti, ti perdona per aver perso e avergli fatto perdere suddetto lavoro e poi si arrabbia perché cerchi di rimediare? E comunque era uno stato d’animo che non si sposava bene con Harry e Harry per primo avrebbe dovuto saperlo e agire di conseguenza, ovvero disirritarsi – ammesso che questa parola esistesse.
Quindi ora aveva deciso di fare una cosa che non aveva osato fare in due mesi di permanenza in quella casa, ma doveva riprendersi il proprio compagno di stanza, era diventata questione di principio. Per cui lo fece, varcò la soglia della camera di Niall e si lasciò scappare un sorriso compiaciuto alle facce degli altri due, cosa pensavano? Che ci fosse qualche strana barriera magica anti-Tomlinson a proteggere quella parte della casa? Harry sicuramente lo pensava, perché era seduto sul letto di Niall con l’iPad in mano e lo stava fissando a occhi sgranati.
Niall invece cercò con scarsi risultati di trattenere una risata, il cielo solo sapeva cosa ci trovasse di divertente lui.
“È ora di fare la nanna Harold, smettila di importunare Nialler l’irlandese e torna nel tuo letto.”
Louis non attese nemmeno la reazione di Harry, gli si avvicinò, lo afferrò per il braccio e tentò di trascinarlo. Harry però oppose resistenza e senza capire bene come, i due si ritrovarono in un groviglio di braccia e gambe sul pavimento. Louis non era certo tipo da arrendersi per così poco però. Quando riuscì ad alzarsi – e anche Harry aveva fatto lo stesso – lo afferrò di nuovo per il braccio – stavolta con entrambe le mani – e si mise a tirarlo con tutta la forza che aveva in corpo. Harry oltre a opporre resistenza fisica si era anche messo a piagnucolare e invocare l’aiuto di Niall che però non sembrava intenzionato a intervenire. Certo che erano proprio strani in quella casa, fino a qualche giorno prima il biondo non ci avrebbe pensato due volte a dargli il fatto suo e invece ora osservava la scena divertito lasciandolo trascinare via con la forza il suo prezioso amico.
Dieci minuti abbondanti più tardi, Louis era riuscito nel suo intento, ovvero riportare Harry nella loro stanza. Per assicurarsi che non scappasse più da nessuna parte, chiuse la porta a chiave e si infilò la chiave nei boxer.
“Seriamente, Louis?”
“Oh, qualcuno ha ritrovato l’uso della parola.”
“Spero che quella chiave sia talmente sporca da farti venire qualche strana infezione la sotto e che la tua ragazza si rifiuti di dartela per almeno tre mesi.”
Louis lo fissò incredulo, non riteneva Harry capace di simili minacce e la cosa era oltremodo divertente.
“La mia ex ragazza, intendi?” gli chiese ridendo.
La reazione di Harry fu strana.
Si aspettava che se ne uscisse con qualche commento acido sul fatto che fosse ovvio che lei l’avesse lasciato – dando per scontato il fatto che fosse stata lei, cosa che per altro era vera ma quello era un dettaglio – e invece si rabbonì all’istante e si sedette sul proprio letto, schiena appoggiata al muro e ginocchia al petto.
“Perché vi siete lasciati?”
“Mi ha lasciato lei,” gli raccontò sedendosi di fianco a lui. “La sera che Alfred ci ha licenziati... Mi lascia sempre quando faccio qualcosa di stupido, ma tanto dura al massimo un paio di settimane, immagino che il sesso con me sia troppo allettante,” ridacchiò.
“Che schifo,” commentò Harry con tono indecifrabile.
“Eddai, come dire che a te non piacerebbe fare un giro sulla Tommo-giostra,” così dicendo gli saltò letteralmente addosso e prese a fargli il solletico sperando con tutto se stesso che lo soffrisse e infatti Harry iniziò a ridere e contorcersi sotto di lui implorandolo di smettere.
Alla fine si ritrovarono sdraiati l’uno di fianco all’altro e Harry stava ancora ridendo quando disse, “Non ci tengo per niente, sei disgustoso.”
“Oh, mi vorresti dire che Niall è più il tuo tipo? È per questo che trovi ogni scusa del mondo per dormire con lui?”
Harry ricominciò a ridere, come se il pensiero di lui e Niall sentimentalmente coinvolti fosse la cosa più comica dell’universo. Anche Louis iniziò a ridere, la risata di Harry era contagiosa e poi era semplicemente felice che il ragazzo gli avesse levato il muso e che fosse stato più semplice del previsto fargli dimenticare perché ce l’avesse così tanto con lui, ammesso che almeno lui lo sapesse il perché.
“Mi dispiace, stasera ti tocca dormire con me... a meno che tu non voglia infilarmi le mani nei boxer e riprenderti la chiave.”
“E rischiare di prendermi chissà quante e quali malattie? No, grazie.”
Cinque minuti dopo il respiro di Harry si fece più calmo e regolare e Louis capì che si era addormentato.
Louis si sentiva troppo pigro per alzarsi, spegnere la luce e salire sul suo letto e poco dopo si addormentò lì di fianco a lui.
 
***
 
La mattina dopo Harry si svegliò tutto dolorante e infreddolito e si rese conto di aver dormito praticamente spalmato contro al muro mentre Louis si era preso di prepotenza tutto il resto del letto. Erano entrambi completamente scoperti e quando Harry scrollò il braccio di Louis nel tentativo di svegliarlo, sentì la pelle fredda sotto le proprie dita e si rese conto che il ragazzo doveva essere infreddolito tanto quanto lui. Con qualche sforzo degno di un contorsionista riuscì a liberare le coperte da sotto il corpo di Louis e coprire entrambi, poi si accoccolò contro di lui cercando una posizione più comoda di quella nella quale aveva dormito e pensando che così si sarebbe scaldato sicuramente prima.
Louis borbottò qualcosa nel sonno e si girò su un fianco passando una mano fra i riccioli di Harry. Chissà, magari stava sognando di essere tornato con Eleanor.
“Non mi avevi mai detto che erano così soffici, Styles,” mugugnò continuando ad accarezzargli i capelli e Harry sobbalzò quando si rese conto che Louis era sveglissimo. “Perché fa così freddo?” si lamentò poi avvicinandosi ancora di più a Harry e abbracciandolo in cerca di un po’ di calore.
Stavano solo cercando di scaldarsi, del resto lui e Niall dormivano sempre insieme no?
“Che caz-“ Louis prese ad agitarsi sotto le coperte e un secondo dopo tolse il braccio da sotto le lenzuola e lanciò alla cieca la famosa chiave. Un istante più tardi Harry la sentì atterrare da qualche parte sul pavimento, non poteva credere che Louis se la fosse tenuta nei boxer per tutta la notte. Harry si prese un momento per analizzare la situazione: per certi versi quello era sequestro di persona e ora se ne stava sdraiato sotto alle coperte abbracciato al suo rapitore, ma c’era una parte di lui a cui tutto ciò non dispiaceva poi tanto.
“Vuoi essere mio amico, Styles?” Louis spostò leggermente la testa in modo da riuscire a guardarlo negli occhi. Che razza di domanda era? “Vorrei tanto che fossimo amici, non capisco perché mi odi così tanto.”
“Prego?”
“So di non essere esattamente un principe azzurro, non voglio che ti innamori di me, solo che smetti di odiarmi.”
Louis affondò la testa nella sua spalla, costringendolo nuovamente in una posizione estremamente scomoda e un istante dopo Harry era sicuro che si fosse riaddormentato. Non era possibile, Louis era impossibile.
Harry non odiava Louis, se l’avesse odiato si sarebbe sbarazzato di lui molto tempo prima, risparmiandosi un bel po’ di problemi. Era solo che... era tutto così strano quando Louis era nei dintorni, lui si sentiva strano e provava emozioni – come l’irritazione – a cui non era abituato e questo lo portava a irritarsi ancora di più, soprattutto perché non capiva da dove tale irritazione scaturisse. Louis era un piccolo tornado che si era abbattuto nella sua vita e semplicemente faceva fatica a stargli dietro, faceva fatica a stargli dietro perfino quando i loro rapporti si limitavano a coinquilino/collega, figurarsi ora che stavano iniziando a legare.
Harry sospirò e poi chiuse gli occhi, tanto non è che avesse qualcosa di meglio da fare che dormire un altro paio d’ore.
 
Venne svegliato da qualcuno che lo strattonava tentando di tirarlo giù dal letto.
“Svegliati e vestiti, santissimo cielo Harry!”
Louis, chi altri poteva fare tutto quel casino?
Aprì gli occhi controvoglia e vide che Louis, già perfettamente vestito e pettinato, gli stava sventolando sotto al naso un foglio di giornale. Harry lo prese e se lo avvicinò agli occhi, cercando di mettere a fuoco l’annuncio che Louis aveva cerchiato almeno venti volte con un pennarello rosso. A quanto pare una specie di agenzia che organizzava feste stava cercando...
Clown?”
“Non fare lo schizzinoso, cosa vuoi che ci voglia a fare il pagliaccetto alle feste?”
In quel momento un maglione grigio gli volò sulla testa insieme a un paio di jeans neri, entrambi lanciatigli addosso da Louis che nel frattempo si era messo a frugare nella sua metà di armadio.
Sicuramente per Louis fare il pagliaccetto non era assolutamente un problema, anzi... l’avrebbe chiamato piuttosto una sorta di dono naturale.
“Sei ancora sdraiato lì?” il tono di Louis era di piena disapprovazione e Harry suo malgrado si ritrovò ad alzarsi. A quanto pare stavano per presentarsi insieme a una selezione per fare i clown e intrattenere orde di bimbi impazziti.
Harry sospirò, non poteva essere più difficile che avere a che fare con Louis.
 
***
 
Louis si era innamorato del ragazzo che aveva di fronte a prima vista.
Si chiamava Liam ed era il coordinatore dei clown dell’agenzia e, Louis ne era sicuro, si era a sua volta innamorato di lui e come poteva essere altrimenti?
Una volta arrivati sul luogo in cui si sarebbero effettuate le selezioni Louis era entrato nel panico perché aveva dimenticato a casa la lista delle cose da non fare ai colloqui e non l’aveva nemmeno ripassata, come se potesse servirti a qualcosa, aveva commentato Harry. E poi aveva iniziato a sfogarsi con questo sconosciuto che avevano trovato sul posto e con il quale due secondi dopo stava analizzando la trilogia più recente di Batman confrontandola con i fumetti, salvo poi scoprire che lo sconosciuto in questione era Liam Payne, ovvero la persona che doveva far loro il colloquio. Secondo Louis non poteva avere più anni di lui, il che significava che c’era ancora speranza per tutti quanti loro, come si premurò di rendere noto a Harry che in cambio lo guardò storto.
“Levati di dosso quell’aria da poeta maledetto Styles, siamo qui per fare i pagliacci e far ridere le persone.”
Clown,” lo corresse Liam. “Pagliaccio è un termine usato in maniera derisoria, quella di far ridere le persone è un’arte.”
“Allora pagliaccio va benissimo per Louis,” commentò Harry.
“L’hai capito o no che è da lui che dipende la nostra assunzione?” lo rimbeccò Louis indicando Liam, che si mise a ridere di gusto.
“Avete una buona chimica, potreste mettere in piedi un duo.”
Louis batté le mani estasiato e invitò Harry a fare lo stesso dandogli una gomitata sul fianco.
“Non è facile come sembra,” proseguì Liam, “e questa è solo una pre-selezione, la selezione vera e propria viene fatta sul campo perché non c’è un altro modo per capire se una persona sia veramente portata per questo lavoro. Ma come ho detto, c’è chimica fra voi e questo è buono e-“
“Non ci siamo presentati qua come duo,” si sentì in dovere di precisare Harry, guadagnandosi un’altra gomitata nel fianco.
“No? Be’, invece dovreste provare. Vi dirò la verità, a pelle mi piacete ma come ho detto bisogna provare sul campo. Noi organizziamo per lo più feste di compleanno per bambini, se vi va di fare una prova possiamo organizzarci già da ora... se non ricordo male abbiamo una festa in programma sabato pomeriggio, vi chiamo io per i dettagli. Ci state?”
Ovvio che ci stavano, Louis era al settimo cielo per essere riuscito a trovare in un colpo solo lavoro sia a Harry che a se stesso.
“Devi passare la prova prima,” gli fece notare Harry.
“Un po’ di ottimismo non guasterebbe, Harold. Poi l’ha detto anche Payno, abbiamo chimica!”
Payno?” Harry scrollò la testa ma Louis lo ignorò, aveva un ottimo presentimento a riguardo e non avrebbe lasciato che il pessimismo cosmico dell’altro gli rovinasse quella sensazione.
“Pensa che bello se riuscissimo a trovare lavoro insieme.”
“Così che tu possa farci licenziare di nuovo entrambi?”
Louis si voltò verso di Harry offeso ma vide che l’altro adesso stava sorridendo.
Sì, Louis aveva proprio un buon presentimento su quel lavoro e iniziava ad avercelo anche sulla sua amicizia con Harry.

NOTE.
Ahahaha, rido da sola all'idea di Lou che intrattiene bimbi con la faccia tutta pitturata di bianco e il nasone rosso *____*
Poi come vedete si amano alla follia ma sono troppo idioti per capirlo, aaaaah l'amour!
BENVENUTO PAYNO! 
Sto delirando lo so, ma non sto bene e ho una lunga, lunghissima giornata che mi attende quindi chiedo venia x___x
Ho cambiato il rating da giallo ad arancione perché in seguito avrei dovuto farlo in ogni caso e quindi insomma, l'ho fatto xD
E niente, a martedì prossimo ^__^


 

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Capitolo 6
*** In cui Louis si sente mamma chioccia e Harry capisce molte cose ***


DANCE INSIDE

What makes the one to shake you down?
Each touch belongs to each new sound
Say now you want to shake me too
Move down to me, slip into you


5. In cui Louis si sente mamma chioccia e Harry capisce molte cose
“Colazioneeeeeeeee!”
A quel grido Harry si trascinò mezzo addormentato fuori dalla sua stanza, giusto in tempo per vedere Liam e Zayn appoggiare due buste di Starbucks sul tavolino di fronte al divano e Niall buttarsi a pesce su una delle due estraendone un muffin mentre Louis ficcava senza ritegno la testa nella seconda busta per vedere che cosa contenesse.
“Tommo, questa roba deve bastare per cinque persone,” lo sgridò Zayn togliendoli il sacchetto di carta dalle mani e tirandone fuori un muffin che porse a Harry, che nel mentre si era accomodato di fianco a Niall.
Era passato quasi un mese da quando lui e Louis erano stati assunti nella stessa agenzia in cui lavorava Liam e in questo lasso di tempo Liam e Louis erano diventati pressoché inseparabili, sembravano quasi due amici d’infanzia che si erano ritrovati dopo anni e che non avevano più intenzione di perdersi di vista per nessuna ragione al mondo. Allo stesso tempo lui e Louis, e perfino Louis e Niall, avevano iniziato a uscire insieme, legando con Zayn che era praticamente l’ombra di Louis, e finendo col formare tutti insieme un bel gruppo di cinque amici affiatati.
Il lavoro non era male, un po’ stancante a volte, ma fattibile. In sostanza non doveva far altro che pitturarsi la faccia di bianco, mettersi un enorme nasone rosso e intrattenere i bimbi alle loro feste di compleanno. Louis aveva un talento innato in questo – sono il primo di sette figli Styles, gli aveva detto come se questo spiegasse perfettamente perché sapesse creare cani con i palloncini gonfiabili e conoscesse a memoria ogni singola filastrocca esistente sulla faccia della terra – e Harry aveva scoperto che al ragazzo piacevano tantissimo i bambini e be’, non l’avrebbe mai detto. Anche a lui piacevano molto i bambini e doveva ammettere che a volte si divertiva proprio tanto a cantare e giocare con loro che volevano a tutti i costi toccargli il nasone rosso, e si divertiva ancora di più a fare lo scemo e tornare un po’ bambino insieme a Louis e Liam, perché i tre finora avevano sempre lavorato insieme – complice il fatto che fosse proprio Liam a stilare i programmi. L’unica cosa negativa era la paga, venivano pagati a ingaggio ovvero prendevano un tot per ogni festa e le feste non erano poi così tante... Liam se la passava bene solo perché aveva una sorta di ruolo da ‘responsabile’ all’interno dell’agenzia, ma lui e Louis erano riusciti ad arrivare a fine mese solo perché Niall aveva dato sfoggio della sua immensa generosità e invece di dividere l’affitto per tre, l’aveva diviso per due lasciando Louis e Harry smezzarsi a loro volta quella metà – santo Niall l’irlandese, come aveva preso a chiamarlo Louis dopo avergli schioccato un sonoro bacio sulla fronte ignorando il fatto che l’altro avesse specificato che lo faceva solo per aiutare Harry.
“Lasciami mangiare Malik, se arrivo in ritardo El mi lascia di nuovo,” si oppose Louis togliendo il muffin dalle mani di Harry e addentandolo mentre si sistemava meglio i pantaloni, per poi uscire di casa correndo senza salutare nessuno.
“Non ho ancora capito perché stiano insieme,” rise Liam sedendosi fra Harry e Niall e dividendo gli ultimi tre muffin rimasti fra lui, Harry e Zayn.
“Sesso immagino,” fece spallucce Zayn. “Da quando Louis si è trasferito a Londra si saranno lasciati almeno sei volte, e Lou abita a Londra da meno di un anno... la prima volta lei l’ha lasciato perché lui si era rifiutato di andare a convivere con lei dicendole che è troppo giovane per fare il pantofolaio.”
Scoppiarono tutti a ridere. Nell’ultimo mese Harry aveva scoperto un sacco di cose nuove su Louis, compreso il fatto che in realtà lui e Zayn si conoscevano dalle medie perché all’epoca il padre di Zayn aveva accettato un lavoro a Doncaster e la sua famiglia aveva vissuto per un periodo lì. Quando poi si erano trasferiti a Londra, i due avevano mantenuto i contatti e Zayn aveva passato quasi tutte le sue estati a Donny con Louis, il che spiegava perché il più delle volte i due riuscissero a leggersi letteralmente nel pensiero.
“A quanto pare c’è gente che trova Tomlinson irresistibile,” fu il commento di Niall e Harry scrollò le spalle facendo finta di non notare l’occhiata che l’amico gli stava riservando. Lui non trovava Tomlinson irresistibile e Niall doveva smettere con quella storia perché stava iniziando seriamente a infastidirlo.
Finirono di fare colazione, poi Niall andò a vestirsi per prepararsi al suo turno al country club e Zayn, Liam e Harry andarono a fare due tiri al campetto di basket che c’era poco distante dall’appartamento, dal momento che nessuno dei tre aveva particolari programmi per la mattinata.
 
“Harry, ho bisogno di te ora.”
Era la voce disperata di Niall che probabilmente lo stava chiamando dal telefono del country club visto che Harry non aveva riconosciuto il numero fisso che gli era comparso sul display.
“Che succede?”
“Non posso parlare ora, corri al country club, ti aspetto,” così dicendo riappese, lasciandolo a fissare lo schermo del cellulare confuso.
“Allora?” Louis lo guardava interrogativo, erano al minimarket sotto casa a tentare di trovare qualcosa di non troppo costoso per riempire il frigorifero. Harry gli raccontò del contenuto criptico della telefonata. “Be’, allora devi correre,” gli disse poi, come se fosse l’unica cosa ovvia da fare. Louis poteva anche essere una specie di tornado disgraziato e disagiato ma c’era da dargli atto sul fatto che per lui gli amici fossero sacri. Harry non aveva mai sentito Niall così agitato ma non era mai stato al country club dove lavorava e onestamente non aveva nemmeno la minima idea di come arrivarci. Aprì l’applicazione dei mezzi londinesi e iniziò a cercare un autobus.
“L’Hurlingham Club? Seriamente Harry? In autobus? Arriverai fra tre giorni,” Louis gli si era avvicinato e si era alzato sulle punte per sbirciare oltre la sua spalla.
“Pensi che possa permettermi un taxi?” sbuffò Harry.
“La metropolitana Harry, metropolitana. Guarda, Putney Bridge è a due passi e indovina? È sulla District!”
Harry veramente non capiva l’amore che Louis provava nei confronti di quella stupida linea della metropolitana, ma sapeva per certo che non era per nulla ansioso di scoprirlo. Non aveva più messo piede nella metropolitana dal giorno in cui era arrivato a Londra e il solo pensiero gli faceva salire l’ansia... qualunque cosa Niall avesse, poteva aspettare che lui arrivasse sano e salvo trasportato da un autobus.
“Andiamo,” Louis lo afferrò per il polso e iniziò a trascinarlo fuori dal minimarket, lasciando il carrello con la loro spesa mezzo pieno in mezzo a una corsia, e con suo sommo orrore Harry si accorse che il ragazzo lo stava trascinando verso la fermata della metro. “La metropolitana non ha mai mangiato nessuno Harold, e poi ci sono io.”
Considerati i guai in cui era in grado di cacciarsi o che era in grado di provocare Louis, Harry non era molto sicuro che quell’affermazione fosse in grado di calmarlo. Poi si accorse che Louis ora lo stava tenendo proprio per mano e non più per il polso. Per mano. Perché doveva essere sempre così invadente e rubare lo spazio personale a tutti quelli che lo circondavano? Perché ogni tanto non poteva starsene nel suo e lasciar vivere la gente?
Fu così che Harry si addentrò nella metropolitana londinese per la seconda volta nella sua vita, con Louis che lo accompagnava per mano indicandogli da che parte andare e assicurandosi che non perdesse l’equilibrio sul treno in corsa, anche se Harry non era proprio sicuro che l’amico – piccolo e gracilino com’era rispetto a lui – potesse veramente impedirgli di cadere.
Venti minuti dopo erano all’Hurlingham Club a chiedere di Niall a una specie di portiere che non voleva saperne di farli entrare a curiosare in giro come gli aveva detto Louis, ma che al nome dell’amico si illuminò di consapevolezza.
“Quindi uno di voi due deve essere Harry, l’amico di Horan. Non mi aveva detto che sareste stati in due... Comunque mi ha chiesto di farvi entrare e di farlo chiamare, una volta dentro prendete le scale sulla sinistra e scendete di mezza rampa, sulla destra ci sono gli spogliatoi del personale, potete aspettarlo lì.”
I due seguirono le indicazioni e due minuti dopo erano seduti su una panca ad aspettare l’amico, in un locale che era quasi identico agli spogliatoi della palestra della vecchia scuola di Harry, con la differenza che qui gli armadietti erano grandi il doppio.
“Grazie al cielo, iniziavo a pensare che ti fossi perso,” Niall arrivò correndo e si fiondò su Harry abbracciandolo come se ne dipendesse la sua vita.
“Sì, pensa se avesse preso davvero l’autobus,” commentò Louis per sottolineare il suo punto di vista.
“Lui cosa ci fa qui?”
Per un attimo Harry temette che Louis si mettesse a raccontare di come l’aveva accompagnato mano nella mano per tutto il tragitto in metropolitana, ma Louis si limitò a ridacchiare fra sé e sé senza rispondergli.
“Non importa, non mi interessa. Harry, ora cosa faccio? Se lo scopre mi ucciderà!!! Anzi, l’ha già scoperto e io sto per morire!!!”
“Temo di non seguirti...”
“Hai presente Juliet?”
Sì, Harry ce l’aveva presente. Juliet era la ragazza – o per meglio dire, la donna, visto che aveva trentasette anni – con cui Niall aveva avuto una specie di storia durata due settimane. Aveva iniziato a frequentare il country club circa un mesetto prima e non si sa come era finita nel letto di Niall... o per meglio dire, Niall era finito nel suo, più e più volte.
“Oggi Mark è venuto a giocare a golf con alcuni amici e ha chiesto espressamente che fossi io ad accompagnarli e questo di per sé non è strano insomma tutti sanno che sono il migliore da queste parti e che i miei consigli-“
“Niall, respira,” lo interruppe Harry rendendosi conto che l’amico stava diventando cianotico a furia di parlare a macchinetta senza pause.
“Chi sarebbe Mark?” si intromise Louis.
“Mark è uno dei clienti più abbienti del club, porta un sacco di gente e fa tantissima pubblicità in giro, quindi vige una regola da queste parti... mai, e dico mai, far rimanere insoddisfatto Mark.”
“E cosa hai fatto, gli hai consigliato la mazza sbagliata e ha fatto brutte figure a una buca? O si tratta di un pompino andato male? Nialler, chiunque è in grado di fare un pompino.”
“Harry, seriamente, perché te lo sei portato dietro?”
Niall era ancora aggrappato a lui e non sembrava intenzionato a mollare la presa tanto presto.
“Parla per favore, mi stai facendo agitare,” lo pregò Harry ignorando Louis, visto che gli stava effettivamente salendo l’ansia. Niall non poteva averlo chiamato d’urgenza per una mazza sbagliata, giusto?
“Dicevo, loro stavano giocando e io mi stavo godendo la partita quando dal nulla è comparsa Juliet e ha fatto finta di non avermi mai visto in vita sua e sulle prime ho pensato fosse perché comunque è meglio non farci vedere insieme da queste parti visto che lei è socia e io sono il ragazzo del golf ma poi mi sono chiesto che cavolo ci facesse sul campo da golf visto che credo che il golf non le piaccia nemmeno e-“
“Niall!” Harry prese l’amico quasi di peso e lo costrinse a sedersi e prendere fiato. Iniziava a temere che non avrebbe mai saputo quale fosse l’emergenza perché Niall sarebbe morto prima per asfissia.
“Oh-mio-dio,” esclamò Louis fissando Niall. “È la moglie di Mark! Ti prego dimmi che non è la moglie di Mark! Santissimo cielo Horan, è già abbastanza perverso che tu te la faccia con le quasi quarantenni, ma sposate con l’uomo da cui dipende la tua carriera? Poi sono io quello che combina casini! Ti prego, ti prego, ti prego, dimmi che mi sto sbagliando e che sei solo un’incapace in materia di pompini.”
Harry sgranò gli occhi alle parole di Louis e si concentrò su Niall che ora si stava mordendo il labbro nervosamente. Non poteva essere vero, Louis non poteva avere ragione.
“È la moglie di Mark,” sospirò Niall lasciandosi lentamente scivolare a terra, probabilmente sperando che il pavimento si aprisse e lo inghiottisse. “E non avete ancora sentito il meglio... avevamo due golf kart e a un certo punto io e lui ci siamo ritrovati da soli su uno di questi... e mi ha fatto tutto un discorso sulla gelosia e su quanto sia geloso di sua moglie e che spera che il ragazzo delle mazze sappia tenere la propria di mazza al suo posto perché lui è poco incline a perdonare.”
“Sei proprio fottuto,” commentò Louis ridendo e Harry si chiese cosa avesse da ridere, non c’era proprio niente di divertente, soprattutto perché Niall pareva sull’orlo del suicidio.
“Non è divertente,” disse ad alta voce lanciando un’occhiataccia a Louis.
“Oh sì che lo è, e vorrei ricordare al nostro amico Niall che entro il primo del mese deve avere i soldi dell’affitto o potremmo sbatterlo fuori casa.”
Louis lo disse mimando perfettamente l’accento irlandese dell’amico ed era così buffamente serio mentre lo diceva che perfino Niall scoppiò a ridere.
 
***
 
Louis stava provando per la prima volta in vita sua l’ebbrezza di non essere lui quello a combinare casini, e dal suo punto di vista portarsi a letto la moglie di uno degli uomini d’affari più influenti di Londra – che aveva pure quindici e passa anni più di lui – batteva a mani basse l’andare in giro con un po’ di erba nello zaino. Quelle di Louis erano più che altro bravate da ragazzini, ma Niall... wow, avrebbe quasi voluto stringergli la mano e congratularsi con lui e l’avrebbe fatto se non fosse che Harry gli aveva intimato di fare la persona seria quando Niall era nei dintorni. Si dava però il caso che Niall al momento non fosse presente, e quindi poteva dare libero sfogo alla propria ilarità mentre raccontava tutto a Eleanor, che però non sembrava cogliere il punto del discorso, ovvero che in fondo lui fosse un bravo ragazzo.
Erano seduti da Costa ed era una strana fissazione che aveva Harry da qualche settimana, ovvero da quando un pomeriggio erano alla cassa di Starbucks e lui non riusciva a decidere cosa volesse, guadagnandosi gli insulti di un paio di persone che erano in pausa caffè e non avevano tutto il pomeriggio da perdere in coda. Harry ci era rimasto così male che aveva messo una croce su Starbucks, decidendo che Costa – che aveva la metà della clientela, se non un terzo – fosse una scelta molto meno stressante. Un giorno Louis sarebbe andato in pellegrinaggio ad Holmes Chapel, voleva proprio capire dove fosse cresciuto Harry per rimanere traumatizzato da ogni situazione tipica londinese che gli si parava di fronte.
“Louis, volevo parlare con Harry, non ti ho nemmeno invitato e stai monopolizzando la conversazione,” gli fece notare Eleanor con un pizzico di irritazione nella voce. Perché doveva essere sempre così pragmatica?
“Parlate allora,” commentò lasciandosi ricadere sullo schienale della sedia e portandosi alla bocca la tazza piena di cioccolata fumante.
“Harry, cosa ne pensi di Yves Saint Laurent?” chiese Eleanor rivolgendosi al ricciolino.
“Cosa ne pensa? Due giorni fa ha speso 80 fottute sterline per comprarsi quello stupido paio di stivali che ha ai piedi solo perché sembravano di Saint Laurent. Come dire che abbiamo così tanti soldi da spendere, c’è gente che fa fatica ad arrivare a fine mese, Harold.”
In realtà era stato piuttosto divertente, stavano tornando da una festa alla quale avevano lavorato e Harry quando aveva visto questi stivaletti in vetrina si era fiondato dentro al negozio incurante del fatto che avesse residui di bianco fra i capelli e segni di pennarello sul collo. La signora a cui aveva chiesto di poterli provare l’aveva guardato come se fosse un pazzo, soprattutto quando Harry si era lanciato in un monologo sul perché doveva-assolutamente-comprarli e su come li avrebbe tenuti bene e amati e coccolati, manco stesse parlando di un gatto.
“Scherzi? Adoro Saint Laurent!” rispose Harry facendo finta di non sentirlo.
“Ottimo! Non che fosse un requisito indispensabile, ma secondo me per certi lavori ci vuole anche un minimo di passione... il fatto è che c’è questo collega di Max, un modello, che è finito in ospedale stamattina, niente di grave è un’appendicite ma devono operarlo. E domani lui e Max avevano questo servizio fotografico per Saint Laurent, niente di grosso eh, le foto non finiranno esattamente su Vogue, ma pagano bene e ora hanno bisogno di un sostituto. Ho pensato che tu saresti perfetto, hai il fisico, hai il bel faccino e in più sai di cosa si sta parlando!”
Fisico? Faccino? Louis prese a scrutare Harry seminascosto dalla tazza che aveva in mano e sì, effettivamente Harry aveva entrambe le cose, sicuramente vestito in maniera appropriata avrebbe fatto la sua bella figura su una passerella o anche semplicemente dietro a una macchina fotografica. Ma...
“Non se ne parla proprio,” disse ancor prima che il suo cervello elaborasse il pensiero.
“Prego?” Eleanor si voltò verso di lui, evidentemente non gradiva quell’intrusione.
“Harry e Max? Mi hai sentito El, non se ne parla proprio.”
Per Louis la questione era chiusa, non avrebbe certo lasciato che Max si avvicinasse a Harry. Max non gli era mai piaciuto e Harry era lo stesso piccolo pulcino sperduto che si era fatto raggirare da lui qualche mese prima, con la differenza che lui aveva buone intenzioni e Max no.
“È solo un servizio fotografico, Louis.”
“No Eleanor, il servizio fotografico è solo l’inizio... chissà poi cosa vorrà Max da lui.”
“Oh, per cortesia.”
“Harry, Max è gay ed è pure frustrato perché con il carattere di merda che ha nessuno lo vuole, quindi vedrai quanto ci impiegherà a puntarti con quel faccino che ti ritrovi... trenta secondi al massimo.”
“Louis, nessuno ti ha invitato, vattene.”
Louis notò che le guance di Eleanor si erano improvvisamente arrossate, cosa che capitava quando si arrabbiava. Che si arrabbiasse pure, non avrebbe lasciato che Max mettesse le sue mani su Harry, negli ultimi tempi era diventato molto protettivo nei confronti dell’amico e ora si sentiva in dovere di proteggerlo dal mondo intero. Soprattutto da Max.
“Contami pure Eleanor,” disse invece Harry, entusiasta, facendogli quasi sputare il sorso di cioccolata che aveva in bocca.
“Grazie al cielo, ti chiamo dopo per i dettagli perché come vedi è impossibile parlare con lui nei paraggi,” fece un cenno verso Louis esasperata, poi li salutò e se ne andò.
“Ti ho detto di no, Harold.”
“È uno stupido servizio fotografico Louis, non ho intenzione di farmi sedurre da nessuno,” Harry roteò gli occhi ma a differenza di Eleanor non sembrava poi così infastidito dalle sue preoccupazioni da mamma chioccia.
Louis lo lasciò parlare, tanto era già riuscito a chiuderlo in camera sua una volta, nessuno gli impediva di replicare.
 
Quando tornarono a casa Niall corse loro incontro tutto allegro, bloccandoli entrambi ancor prima che riuscissero ad aprire bocca, lui per lamentarsi del fatto che Harry avesse accettato e Harry probabilmente per lamentarsi di lui.
“Harry, è venuto a trovarti un tuo amico, non mi avevi detto che aspettavi visite da casa!”
Louis capì subito dall’espressione confusa di Harry che no, il ragazzo non aspettava nessuna visita. Poi lo vide impallidire e seguì il suo sguardo fino al divano sul quale era accomodato un ragazzo alto più o meno come Harry, capelli corti neri, occhi neri e uno strano sorriso sulle labbra.
“Hey Haz, come va?”
Haz?
Il ragazzo si alzò e andò loro incontro.
“Sapevo che eri a Londra e io sono a Londra per un paio di giorni, così ho pensato... perché non andare a trovare il caro, vecchio Hazza? Niall qui, dice che potrei perfino dormire qui.”
C’era qualcosa di decisamente sbagliato in quella scena ma Louis non riusciva a capire cosa. Harry sembrava ghiacciato sul posto, non si muoveva e non parlava.
“Ogni amico di Harry è il benvenuto!” esclamò gioiosamente Niall, che evidentemente non si era accorto di niente.
“S-sì... ce-certo,” balbettò Harry, che poi passò oltre e andò dritto in camera.
 
***
 
Tesoro, credo che Charles sia a Londra. Ho pensato volessi saperlo, ma non disperare... Londra è una grande città dopotutto :)
Harry stava rileggendo per la centesima volta il messaggio della madre e tante grazie. Si era accorto anche lui che Charles era a Londra e Londra avrebbe anche potuto essere una grande città ma evidentemente Holmes Chapel era piccola quanto bastava da fare in modo che con due telefonate Charles scoprisse l’esatto indirizzo di Harry. Sulle prime si era nascosto in camera sua con la scusa di doversi assolutamente cambiare, poi Niall aveva avuto la brillantissima idea di andare a festeggiare il servizio fotografico di Harry e la riunione con Charles e lui non se l’era sentita di smorzare l’entusiasmo dell’amico. Niall sapeva della sua storia con Charles, solo non sapeva che Charles si chiamasse per l’appunto Charles, per cui non poteva nemmeno biasimarlo.
Erano in un disco pub, Charles era andato a ballare in mezzo alla piccola pista insieme a Niall, lasciandolo al tavolo con Louis, Liam che si era unito a loro e Sophia – la ragazza di Liam. Louis non sapeva nulla di Charles, non gli aveva mai raccontato del motivo per il quale fosse scappato da Holmes Chapel, ma Louis era per l’appunto Louis, quindi ovviamente si era accorto che qualcosa non andava e aveva preso a subissarlo di domande nell’istante stesso in cui Charles e Niall si erano alzati dal tavolo.
“Vado a farmi una sigaretta,” disse alla fine afferrando il pacchetto che Liam aveva appoggiato sul tavolo, aveva un bisogno assurdo di uscire e quando l’aria fredda della notte lo investì in pieno volto, si sentì subito meglio.
Era tutto così strano.
Sulle prime era rimasto sconvolto alla vista di Charles nel suo appartamento, ma non era il tipo di sconvolgimento che si sarebbe aspettato di avere. In quei mesi aveva sempre pensato che se avesse rivisto Charles sarebbe corso sotto alle coperte a piangere disperatamente, oppure si sarebbe scavato un buco bello profondo nel quale seppellirsi vivo. Invece era rimasto sconvolto sì, ma era più il tipo di emozione che si provava a ritrovarsi di fronte una persona che in teoria non dovrebbe essere lì e invece c’è... sorpresa? Poi questa emozione, qualunque fosse il suo nome, aveva lasciato il posto a una strana consapevolezza. Era scappato da Holmes Chapel per scappare da Charles e mai avrebbe pensato che quella fuga l’avrebbe portato a una nuova vita e a nuovi amici. Non ci aveva mai pensato prima di quel momento, ma lui a Londra si stava a tutti gli effetti rifacendo una vita: non viveva più sotto il tetto materno, aveva un lavoro – per quanto pagasse poco – ed era completamente autonomo. In più si era fatto dei nuovi amici, perché Niall, Zayn, Liam e Louis potevano ormai essere considerati amici a tutti gli effetti. Soprattutto Louis, per quanto fosse assurdo ripensare alle vicende che li avevano portati ad avvicinarsi così tanto. Infine, la consapevolezza aveva lasciato prepotentemente il posto all’irritazione, perché Charles non solo non aveva nessun diritto di presentarsi sullo zerbino di casa sua, ma a maggior ragione non aveva nessun diritto di infiltrarsi fra i suoi amici. Non aveva avuto il cuore di cacciarlo a calci come si sarebbe meritato, più per non abbattere l’entusiasmo di Niall che per altro. Ma gli dava fastidio, gli dava estremamente fastidio la sua presenza in mezzo a loro, così come gli aveva dato molto più che estremamente fastidio vederlo prendere sotto braccio Louis in un tentativo di socializzazione finito male - che il cielo benedicesse la lingua lunga e senza filtri di quel disagiato dello Yorkshire che gli aveva spostato il braccio dicendogli che gli ricordava vagamente Max e che per questo non era sicuro di voler avere a che fare con lui, senza offesa.
“Visto che non mi sembri intenzionato a servirti, ne prendo una io.”
Harry sobbalzò, non si era minimamente accorto della presenza di Louis, che ora gli stava sfilando dalle mani il pacchetto di sigarette di Liam. Il ragazzo si sedette sul marciapiede e si accese una sigaretta e Harry rimase per qualche minuto a fissarlo, prima di sedersi di fianco a lui aspettandosi da un momento all’altro di essere investito da un fiume di parole e invece niente, Louis rimase zitto, l’attenzione concentrata sulla sigaretta.
Harry sospirò.
“Charles mi ha dato un pugno in faccia quando gli ho detto che secondo me qualcosa era cambiato fra noi. Non mi ero reso conto di quanto fosse ubriaco, ci puoi credere? Ma qualcosa era cambiato, lui diceva che è ovvio che dopo un anno e mezzo le cose non siano più rose e fiori, ma io penso che se fosse vero amore... insomma, se ti basta un anno e mezzo per iniziare a ignorare una persona perché... non lo so, evidentemente non era vero amore. Ci credi che fino a due ore fa lo consideravo l’amore della mia vita?”
Louis ebbe un fremito.
“Due ore fa?”
“No... Sì... Non lo so, Louis. Sono venuto qui mesi fa pensando fosse l’amore della mia vita ma due ore fa quando l’ho rivisto mi sono reso conto che non lo consideravo più tale. Non so esattamente quando sia successo.”
Louis sorrise leggermente.
Harry si aspettava che a questo punto avrebbe commentato, che gli avrebbe dato dello stupido per essersi fatto prendere a pugni in faccia o che gli avrebbe dato del coglione per non averlo sbattuto fuori casa a calci nell’esatto istante in cui l’aveva visto seduto sul loro divano. Invece Louis buttò a terra il mozzicone della sigaretta e si alzò.
“Vai a casa Styles, domani è un grande giorno per te,” gli disse prima di sparire di nuovo all’interno del locale.
 
Era passata circa un’ora e mezza da quando Harry era tornato a casa decidendo di ascoltare il consiglio di Louis, ma invece di mettersi a letto come sarebbe stato consigliabile, si era sdraiato sul pavimento completamente vestito e si era messo a giocare con il nintendo di Louis. Non riusciva a togliersi dalla testa la strana reazione di Louis, così diversa da quella che si sarebbe aspettato, e per di più non aveva sonno. Era scoppiato a ridere quando accendendo il nintendo era partito Cooking Mama, Louis a volte era così random che ormai non avrebbe dovuto stupirsi più di nulla con lui. Era sicuro che se avesse provato a prenderlo in giro, Louis si sarebbe inventato qualche strana storia su uno scambio di cartucce con qualche gioco delle sue sorelle, per poi uscirsene scocciato con un’affermazione tipo mi piace giocare a Cooking Mama, e allora? Fammi arrestare per questo.
Stava tentando di capire come evitare di salare troppo e far arrabbiare Mama, quando sentì la porta d’ingresso aprirsi e dal casino capì subito che si trattava di Louis. Quando sentì imprecare contro la serratura che non voleva entrare nella chiave ne fu sicuro e infatti qualche istante dopo il ragazzo entrò nella stanza.
“Dove sono gli altri?” gli chiese alzandosi dal pavimento. Non che gli importasse di Charles, ma Niall?
“Non ne ho idea, al pronto soccorso credo.”
Da come biascicava le parole, Harry si rese conto che Louis era leggermente alticcio.
“Pronto soccorso?”
“Non ti preoccupare Harry, si è meritato tutto,” sogghignò e Harry si accorse che si stava tenendo una mano che... sanguinava?
“Louis, cosa è successo?”
Ora era decisamente preoccupato e gli si avvicinò afferrandogli la mano per guardare più da vicino.
“È solo un graffio, tesoro. Lui in compenso ha il naso rotto. Spero.”
Harry improvvisamente capì.
Louis aveva fatto a pugni con Charles.
Louis aveva fatto a pugni con Charles... per lui?
Per una sorta di vendetta?
E... tesoro?
“Louis cosa-“
Ma non ebbe il tempo di finire la frase.
Louis con uno scatto aveva colmato lo spazio fra loro e aveva posato le proprie labbra sulle sue.
Louis... lo stava baciando?
Harry perse di botto la lucidità.
Louis sapeva di birra e di fumo ma le sue labbra avevano un retrogusto dolce che non aveva idea da dove provenisse.
“Dannato Styles, non ti bastava essere più alto di me, dovevi pure metterti questi dannati stivali che ti fanno ancora più alto,” sospirò afferrandolo per il collo della camicia e costringendolo ad abbassarsi.
Harry era talmente sorpreso che non si era nemmeno reso conto che per raggiungerlo, Louis si era alzato sulle punte. Gli venne da sorridere ma Louis non gli concesse nemmeno quello perché riprese a baciarlo. Stavolta non fu un semplice sfiorarsi di labbra, stavolta Louis non fu contento finché le loro lingue non si toccarono e finché entrambi non esaurirono completamente l’aria a loro disposizione.
Harry si sentiva il viso in fiamme.
Riprese fiato e poi fu lui ad attirare Louis a sé, una mano sul collo, l’altra sui suoi fianchi.
Louis gemette impaziente e si aggrappò alla sua camicia.
Harry non aveva idea di cosa stesse succedendo, sapeva solo che ogni fibra del suo corpo ora stava urlando il nome di Louis, e non era nemmeno ubriaco lui.
Era completamente sobrio e mentre le loro labbra continuavano ad esplorarsi, lo assalì la consapevolezza che magari era Louis la ragione per la quale Charles aveva smesso di essere un problema.
Si staccarono di nuovo, di nuovo a corto di aria.
Entrambi avevano il respiro accelerato e Harry era sicuro che gli stesse per scoppiare il cuore da tanto batteva velocemente.
“Sarà meglio disinfettarti la mano,” disse allontanandosi, non aveva mai avuto più bisogno di aria che in quel momento.
Con la coda dell’occhio vide Louis annuire e sedersi sul suo letto.
Quando tornò un minuto dopo con disinfettante, cotone e cerotti, Louis si era addormentato.

NOTE.
Non avete idea dello stato emotivo in cui mi ritrovo in questo momento, perché ho iniziato a tentare di postare il capitolo cinque minuti prima che quelle quattro disgrazie rilasciassero Infinity e be', hanno deciso che devono levarmi la vita a ogni costo, ormai è appurato ;___;
Comunque, è martedì ed eccovi qui un nuovo capitolo in cui le cose prendono strane pieghe :P
Come sempre ringrazio tantissimo tutti quelli che stanno seguendo e apprezzando la storia, non avete idea di quanto significhi per me <3
E buon Apple Music Festival a tutti!

 

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Capitolo 7
*** In cui Harry e Louis cercano di capirci qualcosa ***


DANCE INSIDE

What makes the one to shake you down?
Each touch belongs to each new sound
Say now you want to shake me too
Move down to me, slip into you


In cui Harry e Louis cercano di capirci qualcosa
A Harry bruciavano gli occhi, non era abituato a tutta quella luce artificiale puntata addosso per ore e ore, ma doveva ammettere che in fondo si era divertito e che quella giornata passata in un vecchio magazzino attrezzato a set fotografico era stata una manna dal cielo per aiutarlo a distrarsi dagli avvenimenti della notte prima.
Niall era rientrato quasi alle quattro e l’aveva trovato sdraiato sul divano che giocava svogliatamente a Cooking Mama. A quanto pareva Charles aveva il naso rotto e dopo essere stato medicato al pronto soccorso si era rifiutato di tornare a casa con lui o anche solo di farsi accompagnare in hotel da lui, dicendogli che il suo amico – Louis – era un pazzo e che non voleva avere niente a che fare con nessuno di loro, si fottesse anche Harry. Harry aveva apprezzato l’ironia della situazione ed era tornato a fissarsi su Mama.
“Avresti dovuto dirmi subito chi fosse Charles,” l’aveva rimproverato l’amico sedendosi sul bordo del divano. “E avresti anche dovuto vedere Louis, è sempre così impegnato a far ruotare il mondo intorno a se stesso che non mi ero mai reso conto di quanto ci tenesse a te. O meglio, diciamo che non pensavo fino a questo punto.”
Harry aveva fatto finta di non sentirlo o di non capire cosa in realtà Niall stesse implicando, e per la prima volta da ore era riuscito a tagliare la verdura con precisione chirurgica facendo felice Mama.
La verità era che sapeva benissimo che se avesse distolto anche solo per un secondo gli occhi dal nintendo, Niall avrebbe capito subito che c’era qualcosa di strano nell’aria, qualcosa che non aveva niente a che fare con Charles e la sua visita inaspettata.
La verità era che Harry stava replicando da tre ore buone tutto ciò che era successo con Louis: le loro labbra che si sfioravano, le mani di Louis che lo afferravano per la camicia e lo costringevano ad abbassarsi, la maniera con la quale Louis era riuscito a privarlo completamente dell’aria e quanto gli fosse... piaciuto. La verità era che tre ore dopo le sue labbra erano ancora in fiamme e l’unica cosa che avrebbe voluto sarebbe stato svegliare Louis e continuare così per tutta la notte.
Alla fine Niall rinunciò ad attirare la sua attenzione e, forse troppo stanco per insistere, se ne andò a letto. Ma Harry no, rimase sul divano fino a quando la batteria del nintendo non lo abbandonò e solo allora si decise ad andare anche lui a dormire. Peccato che nel suo letto ci fosse Louis e che il solo pensiero di dormirgli accanto l’avesse sconvolto più del dovuto e che quello di coricarsi nel letto di Louis o di andare da Niall non l’avesse nemmeno sfiorato. Fu così che si ritrovò alle cinque passate del mattino a prepararsi una cioccolata calda sperando che lo calmasse, cosa che non successe. Rimase seduto al piccolo tavolo che separava l’angolo cottura dal salotto per ore, fino a quando un Louis mezzo addormentato non fece il suo ingresso nella stanza strofinandosi gli occhi mentre sbadigliava sonoramente.
“Già in piedi, Styles?”
Harry non gli aveva risposto.
L’aveva osservato mentre preparava il caffè, aveva fatto un cenno di assenso quando gli aveva chiesto se ne volesse anche lui – dopo una nottata del genere e con la giornata che lo aspettava, altroché se aveva bisogno di caffeina – e alla fine era rimasto quasi deluso quando Louis era scomparso di la per poi riapparire vestito e pettinato perché doveva vedersi con Liam e Zayn. Harry aveva dato per scontato che Louis sarebbe andato con lui, per salvarlo da questo famoso Max o semplicemente perché Eleanor era coinvolta o perché lui ed Eleanor erano coinvolti e invece no, Louis a quanto pareva aveva altri piani per la giornata.
Peggio ancora, Louis non era minimamente turbato da ciò che era accaduto la notte prima, era quasi come se non se lo ricordasse neanche. Harry allora si era ricordato del sapore altamente alcolico delle labbra dell’altro e si rese conto che probabilmente non si ricordava davvero nulla. Fu quindi con uno stato d’animo estremamente tormentato che si ritrovò a salire sulla macchina di Eleanor, che si era offerta di passare a prenderlo, e che fece la conoscenza di Max, che era in macchina con lei. Max in realtà non sembrava per nulla il mostro dipinto da Louis, ma la verità era che Harry non prestò per nulla attenzione alla conversazione che andò avanti lungo il tragitto, limitandosi ad annuire quando riteneva che fosse necessario o a borbottare frasi senza senso quando era costretto ad aprire bocca.
Era completamente insonne, con un litro di caffeina nelle vene a tenerlo in piedi, stava andando a fare il primo servizio fotografico della sua vita e per un marchio che adorava e l’unica cosa a cui riusciva a pensare erano le labbra del ragazzo che stava con colei che gli aveva procacciato quel lavoro. Come se non avesse già abbastanza pensieri a schiacciarlo a mo’ di macigni. Eleanor dal canto suo non gli aveva chiesto nulla di Louis, non aveva commentato la sua assenza, non aveva nemmeno accennato a voler salire in casa a salutarlo, forse perché sapeva che era già uscito o forse perché erano davvero una coppia strana, come Harry si era ritrovato più volte a pensare.
L’unica cosa positiva della sua mattinata fino a quel momento, era il fatto che Niall iniziasse il turno al club alle due del pomeriggio e che quindi fosse rimasto a dormire. Harry non sapeva proprio se sarebbe stato in grado di fronteggiarlo senza finire a piagnucolare raccontandogli tutto e non era sicuro di aver voglia di raccontare l’accaduto a qualcuno.
Fortunatamente dal momento in cui misero piede nel vecchio magazzino, a Harry non fu concesso più nemmeno un secondo per rimuginare su Louis, sulle labbra di Louis, su quanto fosse irritato dalla mancanza di Louis e su quanto una parte bella grossa di lui avrebbe solo voluto tornare indietro di un po’ di ore. Prima il trucco, poi i capelli, poi i vestiti, mille cambi di vestiti, mille luci puntate addosso, i flash che lo investivano senza pietà, mezzora di pausa per mangiare un paio di tramezzini comparsi dal nulla e poi di nuovo sotto, e così erano arrivate le sette di sera senza che nemmeno se ne accorgesse. Erano stati tutti molto carini e gentili con lui e i due fotografi non avevano fatto altro che ripetergli che si era rivelato un modello perfetto e grazie al cielo per il fatto che Eleanor avesse pensato a lui. Alla fine gli avevano anche lasciato scegliere qualcosa da portarsi a casa e lui aveva optato per una camicia e la versione originale degli stivaletti per cui aveva speso ottanta sterline sotto lo sguardo allibito di Louis. La cosa più bella della giornata era però stata la cifra che avevano garantito di caricargli sul conto corrente entro una settimana, che era molto più di alta di quello che si sarebbe aspettato.
Irritato si ritrovò a pensare che non vedeva l’ora di raccontare tutto a Louis, ma quando rientrò in casa, l’appartamento era vuoto.
 
SOS, ti prego corri.
Harry si stava apprestando ad addentare il primo trancio della pizza che gli era appena stata recapitata, quando arrivò il messaggio di Niall. Erano le nove e mezza e da che ricordava il club chiudeva al pubblico alle dieci, ora in cui finiva anche il turno di Niall, per cui immaginò che se l’amico non poteva aspettare di tornare a casa per raccontargli della sua giornata, allora doveva essere successo qualcosa di brutto. Buttò giù di corsa due tranci di pizza mentre si rivestiva e usciva di casa, poi decise coraggiosamente di addentrarsi nella metropolitana pensando che a quell’ora non poteva esserci poi così tanta gente e che Niall aveva bisogno di lui. Quando arrivò alla fermata di Putney Bridge erano quasi le dieci e un quarto e all’ingresso del club non c’era anima viva, così si infilò di soppiatto nella porta semi aperta e scese negli spogliatoi del personale dove trovò Niall intento a fare pulizia.
“Ti sembra l’ora per riordinare l’armadietto?” gli chiese ridendo, ma non appena l’amico si voltò verso di lui, comprese dalla sua espressione che non c’era proprio nulla di divertente.
“Non sto riordinando, lo sto svuotando.”
“Oh,” fu tutto ciò che Harry fu in grado di dire quando capì cosa significasse quella frase.
“Più o meno verso l’ora di cena è arrivato Mark e ha tanto insistito perché lo accompagnassi a cena visto che era tutto solo e a suo dire odia cenare da solo. Mi ha pagato la cena in uno dei ristoranti più cari che ci sono qua intorno, non ci crederesti mai se ti dicessi quanto ha sborsato per una stupida frittura di pesce e una lattina di coca cola.”
“Credo di non seguirti,” commentò Harry, che non capiva come una cena del genere potesse aver portato alla scena che aveva di fronte agli occhi.
“Anche il dolce, una meringata. Magari è stata quella a fare la differenza sul conto,” borbottò Niall. “Mentre finivo di mangiarla, e non hai idea di quanto fosse buona, quando mancava giusto un boccone, l’ultimo angolo di paradiso al sapore di meringa, lo stronzo mi ha guardato dritto negli occhi e mi ha detto Juliet ha confessato, so tutto. Spero tu ti sia goduto la tua ultima cena. Al che mi ha lasciato lì da solo al tavolo e io per un attimo ho temuto che non avesse pagato il conto, capisci? Quando sono tornato qui sono stato immediatamente convocato nell’ufficio del capo e be’, immaginati il resto.”
Harry si sedette sulla panca - la stessa sulla quale si era seduto con Louis qualche giorno prima pensò, senza riuscire a fermare il flash del sapore e della consistenza morbida delle sue labbra. No, doveva concentrarsi su Niall, che aveva anche ricominciato a parlare.
“E comunque Mark è conosciuto da tutti nella city, è davvero un pezzo grosso. Il che significa che io sono oltremodo fottuto e non troverò lavoro in nessun altro posto del genere.”
“Ti troveremo qualcos’altro,” cercò di incoraggiarlo Harry.
“Mi piaceva fare il porta mazze sai?” gli disse l’altro sedendosi di fianco a lui. Harry si ritrovò a sorridere, solo il suo caro amico Niall poteva essere così entusiasta di un lavoro come porta mazze solo perché gli consentiva di passare le sue giornate sui campi da golf.
“Un’ultima partita a golf?” gli propose e Niall si lasciò andare a una risata.
Il club era chiuso e se n’erano andati tutti. Il portiere serale era passato a chiedere a Niall di chiudere tutto bene prima di andarsene e poi di lasciargli le chiavi in una delle cassette della posta del club, abbracciandolo e dicendogli che gli dispiaceva molto, così erano rimasti solo Niall e Harry. Quando entrarono nel campo di golf con le mazze di Mark in spalla, dopo aver finito di svuotare l’armadietto di Niall, erano ormai le undici passate e quella che era iniziata come una partita seria si trasformò in breve in un inseguirsi correndo per il campo e buttando le palle in buca calciandole come se fossero palloni da calcio, in una partita assurda alla fine della quale entrambi sostenevano di avere vinto.
 
***
 
Erano quasi le due di notte quando Louis sentì rientrare Niall e Harry. Quando era tornato a casa aveva trovato un cartone con dentro più di metà pizza, ormai fredda, sul divano e questo più lo stato del letto di Harry – con la tuta buttata sopra a qualche modo e qualche maglia evidentemente scartata nella fretta di vestirsi – gli avevano suggerito che a un certo punto della serata il ragazzo fosse uscito di corsa di casa e il suo cervello si era immaginato gli scenari più assurdi.
Magari Gemma si era sentita male e lui era dovuto correre all’ospedale.
Magari Charles si era presentato di nuovo sullo zerbino di casa e Harry nella sua immensa ingenuità l’aveva seguito senza opporsi e ora chissà dove si trovavano.
Fra le due, quasi sperava che fosse la prima a essere vera, anche se non era molto carino nei confronti di Gemma – e mai, nemmeno per un secondo, l’aveva sfiorato il pensiero che magari Harry fosse semplicemente fuori con Niall, non finché non li aveva sentiti rientrare insieme.
Era stata una giornata particolarmente stancante, aveva passato la mattina a fare su e giù per Londra con Liam al seguito di Zayn, poi al pomeriggio lui e Liam avevano lavorato a una festa che si era tenuta presso un McDonald, e lui era finito con un milkshake rovesciato in testa e aveva passato più di mezzora sotto alla doccia solo per tentare di togliersi la sensazione di appiccicaticcio dai capelli. Quando si era buttato nel letto pensava che avrebbe impiegato massimo cinque minuti ad addormentarsi, e invece nell’esatto istante in cui aveva chiuso gli occhi gli si era affacciata nuovamente alla mente l’immagine dell’espressione piena di aspettativa di Harry quando lui era entrato in cucina quella mattina, rapidamente sostituita da uno sguardo altrettanto pieno di delusione, ovvero l’immagine che l’aveva perseguitato per tutta la giornata.
Si sentiva uno stronzo, e per almeno mille motivi diversi.
Innanzitutto perché quella mattina aveva fatto finta di niente, consapevole del fatto che Harry sapeva quanto fosse ubriaco la notte prima e che quindi sarebbe stato facile fargli bere quella che in realtà era la bugia più epica di tutti i tempi, ovvero che non si ricordasse nulla di ciò che era accaduto. Poi si sentiva uno stronzo perché aveva lasciato Harry da solo al servizio fotografico, quando sapeva benissimo che il ragazzo si aspettava la sua presenza e sapeva altrettanto bene che gli era costato tantissimo lasciarlo solo. Infine si sentiva uno stronzo perché in tutta la giornata non aveva mandato nemmeno un messaggio a Harry per chiedergli come stesse andando, e sapeva che questa era un’altra cosa che probabilmente Harry si sarebbe aspettato e che lui stesso moriva dalla voglia di fare. Per questo quando il ricciolino entrò nella stanza stando attento a non fare rumore, lui continuò con la sua farsa e fece finta di essere profondamente addormentato, anche se in realtà aveva il cuore che gli batteva a mille e tutti quei pensieri non l’avrebbero lasciato dormire almeno per un mese.
Poi c’era un’altra questione, la questione che aveva disperatamente tentato di ignorare per tutto il giorno e che era il fatto che le sue labbra sembravano urlare Harry senza sosta.
La sera prima, quando Harry gli aveva raccontato di Charles, improvvisamente non ci aveva più visto. Era rientrato nel locale intenzionato a ucciderlo ed era finito per procurargli un naso rotto e procurarsi una mano sanguinante e dolorante. Quando poi era tornato a casa e aveva trovato Harry sveglio, il suo stomaco aveva iniziato a contorcersi in maniera strana e ancora prima che il suo cervello avesse avuto il tempo di formulare il pensiero, le sue labbra erano su quelle di Harry.
E santissimo cielo, le labbra di Harry erano morbidissime.
E avevano un retrogusto di vaniglia che chissà da dove proveniva.
Ed erano così morbide ma allo stesso tempo consistenti, che Louis avrebbe solo voluto continuare a baciarle per il resto della sua esistenza.
E tutto ciò non aveva il minimo senso.
Non aveva senso che fosse così ubriaco eppure così lucido.
Non aveva senso che si fosse buttato su Harry come se non avesse mai desiderato altro per tutta la sua vita.
Non aveva senso che quella mattina, la prima cosa che aveva fatto ancor prima di alzarsi dal letto era stato mandare un messaggio chilometrico a Eleanor spiegandole che secondo lui non potevano continuare a prendersi e mollarsi, che era evidente che qualcosa non andava fra loro e che gli dispiaceva tantissimo ma forse era meglio per entrambi che la finissero lì e che ne avrebbero parlato faccia a faccia e che sperava che lei capisse.
Non aveva senso che Eleanor gli avesse risposto che le sembrava abbastanza palese che non c’era nulla di cui parlare faccia a faccia e che gli augurava una buona vita.
Non aveva senso che avesse passato praticamente tutta la giornata con i suoi amici e non avesse detto loro né di Eleanor né di Harry, quando di solito sentiva lo strano e impellente impulso di raccontare subito a tutti tutto quando accadevano cose di questa rilevanza.
Infine la cosa che aveva meno senso di tutte era il fatto che Harry fosse un ragazzo, ma questa paradossalmente era la cosa che lo turbava di meno, forse perché non era la prima volta che si sentiva attratto da una persona del suo stesso sesso.
Si ritrovò a sorridere quando si rese conto che Harry aveva impiegato circa venti minuti a cambiarsi e a mettersi a letto, troppo preso com’era dal fare attenzione a non fare il minimo rumore per svegliarlo. E poi si sentì ancora più stronzo e ancora più in colpa.
Harry nel letto sotto di lui non stava facendo il minimo rumore, al punto che dopo un po’ iniziò quasi a pensare che il ragazzo fosse andato a dormire di nuovo con Niall. Non che avrebbe potuto biasimarlo in quel caso, ma prese comunque il cellulare da sotto al cuscino e gli mandò un messaggio.
Dormi?
Un istante dopo avvertì del movimento sotto di lui.
No... Tu?
“Secondo te se stessi dormendo ti scriverei?” chiese a bassa voce ridendo.
“Magari sei sonnambulo,” bisbigliò Harry talmente sottovoce che per poco non si perse la sua risposta.
Louis scivolò giù dal proprio letto e si infilò sotto alle coperte di Harry, facendosi spazio a spintoni come se quello volesse essere più un dispetto piuttosto che l’irrefrenabile e incomprensibile desiderio di stargli il più vicino possibile.
Harry bofonchiò qualcosa sul fatto che Louis non avesse il minimo rispetto per gli spazi altrui, ma lo lasciò fare.
“Com’è andato il servizio fotografico?” gli chiese dopo qualche minuto di silenzio, girandosi su un fianco per essere più comodo.
Ancora prima che potesse rendersene conto, si era rigirato un ricciolo di Harry fra le dita.
“Stancante, ma anche divertente. Forse non sarebbe stato così stancante se ieri notte avessi dormito.”
Harry si girò a sua volta sul fianco e Louis non capì se fosse per stare più comodo o semplicemente per guardarlo in faccia.
I loro volti erano vicinissimi e Louis si rese conto che ora stava proprio passando la mano fra i riccioli di Harry, che gli stava accarezzando i capelli con una dolcezza della quale non credeva nemmeno di essere capace.
“Dovresti dormire allora,” disse rompendo nuovamente il silenzio.
Erano circondati dal buio ma a Louis sembrava quasi di poter vedere chiaramente il verde degli occhi di Harry.
E i suoi capelli erano così morbidi e... Louis sentiva di aver perso completamente il collegamento con il proprio cervello perché ora la sua mano si era fermata dietro la nuca di Harry e lo stava spingendo verso di lui, lo stava quasi implorando di avvicinarsi di più a lui.
E poi le loro labbra si sfiorarono di nuovo, prima timidamente, poi prendendo sempre più coraggio. Louis non sapeva se fosse stato lui a iniziare quel bacio o se fosse stato Harry a decidere di colmare il vuoto fra loro, l’unica cosa che sapeva era che aveva passato l’intera giornata a sperare in un altro momento come quello e che ora stava accadendo.
Poi si ritrovò con la schiena appoggiata al materasso e il corpo di Harry che premeva sopra di lui mentre le loro labbra non perdevano il contatto nemmeno per un secondo.
Il bacio si fece sempre più profondo, sempre più bagnato, fino a quando Harry non si scostò leggermente da lui, il respiro affannato che era l’eco preciso del proprio di respiro.
“Cosa stiamo facendo?” gli chiese Harry sussurrando sulle sue labbra.
E fu il turno di Louis di mettere Harry schiena contro al materasso, non gli importava di cosa stessero facendo, l’unica cosa che voleva era non perdere il contatto con le labbra di Harry, che emise un gemito quando Louis riprese a baciarlo, un gemito che gli fece spegnere anche quella piccola porzione di cervello che stava ancora funzionando.
 
Louis si svegliò infastidito dalla luce di un paio di raggi di sole che entravano dalla finestra puntando dritti sul suo viso. Era nel letto di Harry, avvolto nelle coperte come se qualcuno gliele avesse premurosamente rimboccate e nonostante avesse l’impressione di non aver dormito poi così tanto, si sentiva particolarmente rilassato e sereno. Cercò a tentoni il cellulare e si ritrovò con in mano il telefono di Harry. Schiacciò un tasto per guardare l’ora e quando lo schermo si illuminò si ritrovò a fissare una foto di Harry in mezzo fra Gemma e una signora che a giudicare così doveva essere sua madre. Le teneva entrambe abbracciate come se fossero il suo bene più prezioso e Louis si ritrovò a sorridere mentre prendeva nota del fatto che fosse mezzogiorno e mezza e che in fondo non aveva dormito poi così poco.
Si alzò aspettandosi di trovare Harry seduto sul divano a leggere le notizie del giorno dall’iPad, e invece ci trovò Niall sdraiato con il computer appoggiato sulla pancia.
“Non dovresti essere al lavoro tu?” gli chiese, quando in realtà l’unica cosa che voleva sapere era dove fosse Harry.
“Vai a comprare qualcosa per pranzo, o cucina qualcosa, io non sono dell’umore,” gli rispose l’altro con il tono di voce di uno che era appena stato investito da un trattore.
“Devi avermi confuso con il ragazzo alto e riccio che è sempre pronto a cucinare e fare il bucato per tutti.”
“Il ragazzo alto e riccio che è sempre pronto a cucinare e fare il bucato per te come vedi non c’è perché ha un lavoro lui. Io non ce l’ho più quindi lasciami qui ad auto commiserarmi e vai a procurarmi del cibo.”
Louis trattenne a stento una risata quando finalmente comprese cosa doveva essere successo la sera prima per far abbandonare a Harry l’appartamento così di corsa. Era buffo vedere l’adulto responsabile della casa ridotto in quello stato.
“Harry non è al lavoro, oggi non lavoriamo e comunque il suo cellulare è di la.”
“La tua ragazza l’ha chiamato stamattina per chiedergli se fosse di nuovo disponibile, nella fretta di uscire se lo sarà dimenticato.”
Louis rimase freddato sul posto.
Non sapeva se Eleanor avesse detto a Harry che si erano lasciati, se Harry l’avesse capito da solo o se per il momento avesse semplicemente deciso di non pensarci, ma sapeva per certo che sarebbe stato estremamente imbarazzante per lui ritrovarsi in mezzo a Eleanor e Harry.
“Non ci provare nemmeno a metterti in mezzo solo perché ti sta antipatico l’amico della tua ragazza, hai idea di quanti soldi gli hanno dato ieri? Qualcuno dovrà pur guadagnarsi da vivere qui dentro.”
No, Louis non aveva idea di quanti soldi avessero dato a Harry il giorno prima ma Eleanor conduceva un tenore di vita piuttosto elevato rispetto al suo quindi poteva immaginare che non fossero pochi. E Niall non aveva nemmeno idea di cosa gli stesse passando per la testa in quel momento, se solo ce l’avesse avuta...
“Vado a prendere da mangiare,” decise infine.
 
Louis stava versando lo zucchero nel suo caramel macchiato, quando attraverso il vetro vide Harry camminare dall’altra parte della strada. Rimise il coperchio sul bicchiere, afferrò lo skateboard che aveva appoggiato per terra e corse fuori guardandosi intorno. Harry aveva assolutamente ragione, il volume di gente in giro per le strade di Londra era esagerato negli orari di punta, possibile che avesse impiegato meno di trenta secondi a uscire da Starbucks e l’avesse già perso? Poi vide una massa di riccioli al di sopra della folla, posò lo skate sull’asfalto e si lanciò all’inseguimento.
“Cosa ci fai da queste parti?” gli chiese frenando di scatto con il piede una volta che l’ebbe raggiunto, rischiando di rovesciargli addosso la bevanda calda che aveva in mano.
Harry lo fissava con gli occhi sgranati, come se gli fosse appena passato di fronte un fantasma.
“E-ero c-con Eleanor,” balbettò arrossendo. “Uno dei due fotografi che c’erano ieri mi ha chiesto se mi andava di posare per lui per il suo portfolio, dato che era disposto a pagarmi la giornata e non avevo niente da fare-“
“Sì, questa storia me l’ha già raccontata Niall. Intendevo, che ci fai qui a Waterloo. Tutti gli amici di Eleanor lavorano dall’altra parte del fiume.”
Harry arrossì ancora di più e qualcosa nello stomaco di Louis prese a fare strane acrobazie.
“Non volevo farmi portare a casa da lei, così ho preso la metropolitana per far prima come dici tu...”
“Ti sei perso nella metropolitana?” Louis scoppiò a ridere.
“Non mi sono perso nella metropolitana, ho visto che eravamo a Waterloo e be’... non avevo mai visto la stazione di Waterloo.”
Louis non riusciva a credere alle proprie orecchie, Harry era davvero un caso perso.
“Uno di questi giorni ricordami di farti fare un bel giro turistico della città,” gli rispose sopprimendo a stento le risate.
Era strano l’effetto che gli faceva la vicinanza di Harry e Louis si ritrovò a chiedersi se gliel’avesse fatto fin dal primo istante e se ne stesse rendendo conto solo ora, o se era una cosa che era cresciuta pian piano nel corso dei mesi.
“Tu invece cosa ci fai qui?”
“Secondo te?” Louis si fece saltare lo skate fra i piedi rischiando nuovamente di rovesciargli il caramel macchiato addosso. Harry glielo sequestrò dalle mani e ne bevve un sorso. “C’è il Southbank Skatepark a meno di cinque minuti da qui. Mi sono visto con Zayn e ora stavo tornando a casa.”
“Anch’io,” disse Harry osservandolo come se cercasse di leggergli qualcosa in viso. “Cioè, anch’io stavo tornando a casa intendo, io non mi sono visto con Zayn.”
“E casa sia allora!”
Presero a camminare verso il ponte invece che verso la metropolitana o la fermata dell’autobus, e Louis si accorse che Harry lo stava seguendo docilmente senza fare domande, continuando a sorseggiare il caramel macchiato che era stato suo fino a due minuti prima.
Gli piaceva la maniera nella quale Harry se n’era appropriato senza chiedere il permesso.
Gli piaceva la maniera con la quale ora lo stava seguendo come se fosse normale per lui seguirlo anche se era evidente che Louis non stava esattamente tornando a casa come avevano detto.
Rallentò per permettere a Harry di affiancarlo.
“Perché non ti sei fatto accompagnare da lei?” gli chiese quando ebbero attraversato il ponte. Harry non gli rispose, si limitò a stringersi di più nel cappotto. “Pensavo che odiassi prendere i mezzi londinesi.”
Harry si fermò e si girò verso di lui.
“Non mi sento esattamente a mio agio in sua compagnia,” gli disse fissando un punto imprecisato dietro di lui.
“Non dovresti, può farti avere un sacco di lavoretti come quelli degli ultimi due giorni sai? Conosce tantissime persone.”
Non sapeva esattamente perché stesse cercando di provocarlo – perché si rendeva conto che quella fosse una provocazione bella e buona e che fosse ovvio il motivo per il quale Harry si sentisse a disagio con Eleanor – ma negli ultimi giorni il collegamento col cervello gli faceva cilecca ogni tre per due.
“Sei serio?” il tono di Harry era incredulo.
“Oh, non lo sai? Non si è lamentata con te di quanto io sia senza cuore e di quanto sia brutto e infame lasciare una persona via sms? Che poi per la cronaca, io mi sono offerto di vederci faccia a faccia per parlare ma lei ha declinato l’invito dicendo che a questo punto non aveva senso.”
Ci fu un tonfo e il latte si sparse a macchia d’olio fra di loro nell’esatto istante in cui il bicchiere di Starbucks toccò l’asfalto. Harry lo stava fissando a bocca aperta, come se avesse intenzione di dire qualcosa ma le parole non gli uscissero. Okay, ora Louis stava esagerando. Sapeva benissimo che Eleanor non gli aveva detto nulla, non era nella sua natura aprirsi con semi sconosciuti e ancora meno nella sua natura era parlare dei suoi problemi con Louis con gli amici di Louis, il fatto era che erano due giorni che moriva dalla voglia di rendere noto a Harry che si erano lasciati, che voleva urlarlo al mondo e invece aveva finito per dirlo solo a Zayn quel pomeriggio e solo perché era veramente terribile per lui tenersi le cose dentro.
Non voleva che Harry pensasse di essere stato la causa della fine della sua storia con Eleanor, anche se oggettivamente lo era stato. O forse no, in fondo loro due non avevano mai funzionato a dovere e Harry era stato solo un pretesto per farla finita una volta per tutte, un pretesto a cui si era affezionato un po’ troppo e che ora voleva solo abbracciare.
“Raccogli quello stupido bicchiere e buttalo da qualche parte,” gli disse invece.
“Perché vi siete lasciati?”
Sei serio?” ora era il suo turno per manifestare incredulità.
“Sì.”
“Perché ho passato gli ultimi due giorni a pomiciare con qualcuno che ti garantisco non era lei.”
“Ma tornerete insieme,” non era una domanda, era un’affermazione.
“No.”
“Tornerete insieme.”
“Perché vuoi che torni con lei?” Louis si stava irritando e aveva quasi la tentazione di ripartire a bordo dello skate e mollarlo lì.
“L’hai detto tu che succede sempre.”
“Sì be’, questo era prima che per ragioni a me incomprensibili iniziassi a sentirmi attratto da quel cretino del mio coinquilino,” sbottò Louis e a quelle parole Harry sorrise timidamente.
Dannato ricciolino che non era altro, l’aveva provocato solo per sentirsi dire una determinata cosa, esattamente come aveva fatto lui poco prima.
“Raccogli quel cavolo di bicchiere e seguimi. La prima tappa del tuo tour londinese è Wesminster di sera, è una meraviglia con tutte quelle luci.”

NOTE.

Lo so che di solito posto il martedì, ma domani ho una giornata pienissima e mi conosco e so già che finirei per dimenticarmente, quindi ho caricato il capitolo nuovo ora che ho due minuti liberi. Posso dirvi che questa storia è ufficialmente finita e che mancano sei capitoli alla conclusione e che - strano ma vero per me xD - sono finita con l'affezionarmici tantissimo. È la prima volta che scrivo qualcosa completamente privo di drammi, tutto rose, fiori, arcobaleni e unicorni, quindi è stato molto strano portarne avanti la stesura... diciamo che ogni tanto ci vuole anche qualcosa che sia un po' "da latte alle ginocchia" dai xD

Volevo ringraziare tantissimo tutti quanti voi che state seguendo la storia e che la state apprezzando, non avete idea di cosa significhi per me, vi ringrazio proprio dal più profondo del cuore <3
 


 

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Capitolo 8
*** In cui il Tower Bridge è il posto più romantico del mondo ***


DANCE INSIDE

What makes the one to shake you down?
Each touch belongs to each new sound
Say now you want to shake me too
Move down to me, slip into you


 

In cui il Tower Bridge è il posto più romantico del mondo
Harry si massaggiò le tempie appoggiando i gomiti sul tavolo, troppe informazioni tutte insieme alle otto e mezza del mattino non facevano proprio al caso suo.
“Non dire a me che sono strano quando ti sei rifiutato di entrare in quattro Starbucks di fila impuntandoti per venire da Costa,” gli stava dicendo Zayn.
Be’, lui poteva anche aver sviluppato una strana allergia a Starbucks ma di sicuro non aveva tirato giù dal letto nessuno a quell’ora indecente del mattino per andare a caccia di un anello di fidanzamento. Anello di fidanzamento.
“Mi sembri confuso,” aggiunse Zayn azzannando il muffin che aveva di fronte.
Certo che era confuso.
La sera prima – anzi, la notte prima visto che era successo alle due di notte se non più tardi – Louis gli aveva chiesto se la mattina dopo poteva accompagnare al suo posto Zayn a fare commissioni, e Harry troppo assonnato per farsi domande aveva annuito sistemandosi meglio la testa nell’incavo della spalla di Louis, che lo teneva abbracciato accarezzandogli i capelli. Erano passate due settimane dall’inizio di quella routine – ammesso che di routine si potesse parlare – per la quale appena Niall si ritirava a vita privata lui e Louis si ritiravano nel suo letto e parlavano raccontandosi qualunque cosa bisbigliandosi nelle orecchie o mandando avanti la conversazione a spizzichi e bocconi fra un bacio e l’altro. Non avevano esattamente definito la loro relazione anzi, non ne avevano proprio discusso, ma a Harry piaceva quella nuova quotidianità fatta di baci rubati, gite in giro per Londra e uscite con gli amici. Per la prima volta da quando era sbarcato a Euston mesi prima, stava iniziando a sentirsi a casa.
“Insomma, io e Perrie stiamo insieme da più di un anno ormai.”
Giusto, l’anello di fidanzamento.
Louis non gli aveva specificato che le commissioni di Zayn fossero cercare un anello di fidanzamento per chiedere alla sua ragazza di sposarlo. Non che ci fosse qualcosa di male, ma fino a cinque minuti prima lui non sapeva nemmeno che Zayn avesse una ragazza fissa e lui non gli sembrava nemmeno il tipo da ragazza fissa.
Lascialo fare.
Guardò il messaggio di Louis in risposta al suo ZAYN VUOLE SPOSARSI?! e se lo immaginò a letto avvolto nelle coperte che gli rispondeva con un solo occhio aperto e poi rimetteva il cellulare sotto al cuscino e tornava a dormire. Immaginava che non fosse poi così d’accordo con quella storia se ufficialmente aveva mandato Harry a fare le sue veci perché lui aveva promesso a Liam di aiutarlo a fare qualcosa di non meglio specificato.
Ma i propositi matrimoniali di Zayn non erano l’unica notizia sconvolgente della sua mattinata, infatti il ragazzo era riuscito a trovare a Niall un lavoro nel negozio di prodotti pakistani dello zio. A quanto pareva detto zio aveva trovato i modi irlandesi di Niall molto esotici e quindi era stato disposto a soprassedere sul fatto che non fosse pakistano quando nemmeno Zayn era stato considerato idoneo, ed erano solo alla colazione, chissà cos’altro sarebbe successo entro il pranzo.
“Non so se chiederle prima di sposarmi o di venire a vivere con me, ho trovato questa villetta bellissima appena fuori Londra che mi sembra proprio l’ideale per iniziare a costruire qualcosa insieme. Dici che dovrei firmare il contratto della casa senza fargliela vedere e poi portarcela e farle lì la proposta? Però per la proposta avevo pensato a qualcosa di più tradizionale con entrambe le nostre famiglie presenti... sai si usa così dalle mie parti. Possibile che Louis non ti abbia detto niente di tutto ciò? Mi rifiuto di credere che passiate tutto il vostro tempo a darci dentro... oddio, passate tutto il vostro tempo a... no, non lo voglio sapere.”
A Harry andò di traverso il caramel macchiato, una bevanda che aveva iniziato a prendere ogni volta che non era con Louis perché gli ricordava la sera in cui si erano incrociati per caso a Waterloo. Tossì battendosi un pugno sul petto, aveva eliminato dal cervello il fatto che Zayn fosse l’unico a sapere di lui e Louis, perché Louis ovviamente non era riuscito a stare zitto anche se avevano deciso di tenere la cosa fra loro per il momento. E comunque da quando Zayn parlava così tanto? E da dove aveva intenzione di tirare fuori i soldi per una villa? Louis gli aveva detto più volte che i soldi non erano un problema per Zayn ma fino a quel punto?
“Non fare la fidanzatina timida,” rise Zayn. “Comunque mi sono fatto questo in previsione della proposta, Perrie non l’ha ancora visto,” così dicendo il ragazzo si alzò la manica della felpa e gli fece vedere un tatuaggio avvolto nella pellicola e con i contorni ancora vistosamente arrossati, poteva esserselo fatto al massimo il pomeriggio prima e raffigurava una ragazza che Harry dedusse essere Perrie.
“Credo che se il mio ragazzo si presentasse da me con la mia faccia tatuata sul braccio, una casa nuova e un anello di fidanzamento, scapperei dall’altra parte del mondo a nuoto.”
“Sicuro? Da come parla Louis invece sembrate prossimi al matrimonio.”
Harry ringraziò tutti i santi del cielo e della terra di non avere cibo in bocca o sarebbe stata la volta buona che si sarebbe soffocato.
“L-L-Louis non è il mio ragazzo!” balbettò e si sentì le guance avvampare.
Zayn lo osservò per un attimo prima di replicare, “Ah, quindi siete solo scopamici? Louis lo sa questo?”
Ora Harry era sicurissimo di essere diventato bordeaux fino alla punta delle orecchie. Non era giusto che Louis fosse libero di parlare di loro a Zayn e lui invece dovesse tenersi tutto dentro, e soprattutto non era giusto che Louis lo considerasse il proprio ragazzo senza renderglielo noto, era profondamente ingiusto che dovesse venirlo a sapere da Zayn davanti a un caramel macchiato invece che dai sussurri di Louis sotto le coperte.
Stronzo, gli scrisse ignorando Zayn che aveva ricominciato a parlare e parlare e parlare, al punto che iniziava quasi a pensare che Louis l’avesse morso passandogli il virus della propria parlantina. A partire da quella sera sarebbero tornati a dormire in letti separati, questo era sicuro.
Non riesco a dormire, mi mancano i tuoi riccioli, lascia perdere Malik e vieni qui.
O forse no.
 
“Okay, partiamo dal presupposto che generalmente non mi piace parlare degli affari miei. Ma mi sembri un ragazzo affidabile e sei l’unico a cui posso chiederlo. Non che mi importi.”
Eleanor si era seduta di fianco a lui allungandogli una tazza di caffè.
Harry sapeva esattamente cosa la ragazza volesse chiedergli, aveva atteso e temuto questo momento per giorni e a quanto pareva ora era arrivato.
“Sembra una cosa seria,” le rispose portandosi alle labbra la tazza ed evitando il contatto visivo.
“No in realtà no. Non ho mai pensato che io e Louis fossimo anime gemelle o cose simili, era abbastanza ovvio che non funzionassimo insieme. Ma... è come se stavolta ci fosse qualcosa di diverso, come se mi avesse lasciata per un motivo serio. Ha senso quello che sto dicendo?”
Ne aveva fin troppo ed era la seconda volta in un giorno che qualcuno gli diceva che lui era importante per Louis. Si sentiva come uno scolaretto alla sua prima cotta, con tutte le paranoie annesse. In quelle settimane aveva cercato di pensarci il meno possibile e di vivere il momento, ma la verità era che moriva dalla voglia di definire la relazione, di raccontarlo a Niall, a Gemma e a sua madre e di urlarlo al mondo perché la verità era che Louis gli piaceva molto più di quello che fosse disposto ad ammettere a se stesso ma aveva una paura assurda che la cosa non fosse reciproca. Invece perfino Eleanor pensava che lo fosse, anche se in realtà non era proprio ciò che aveva detto.
Sospirò.
“Ha un’altra vero?” Eleanor si unì al suo sospiro.
“Non ti ha tradita, se è questo che volevi sapere.”
Bugia, bugia, bugia.
Mezza bugia, in fondo Louis l’aveva lasciata subito dopo averlo baciato la prima volta, poteva essere considerato tradimento? Harry scosse la testa sconsolato, forse non era poi il caso che continuasse a lavorare a così stretto contatto con Eleanor nonostante la paga fosse ottima, il lavoro gli piacesse e il suo armadio si fosse più che raddoppiato in un lasso di tempo brevissimo.
“Questo vuol dire che c’è un’altra. Dove l’ha trovata se passa tutto il suo tempo libero a farsi di canne con Zayn?”
“Se hai questa opinione di lui perché ci stavi insieme?” Harry non avrebbe voluto essere così brusco, ma le parole gli erano uscite dalla bocca ancora prima che potesse rendersene conto. Aveva appena scoperto che non gli piaceva sentir parlare così di Louis e sentì l’irritazione propagarsi in ogni fibra del suo corpo, la stessa irritazione che l’aveva pervaso per ragioni completamente diverse ogni volta che si trovava in presenza di Louis prima che lui e Louis iniziassero a legare. Ma quella era irritazione dovuta la fatto che stava reprimendo inconsapevolmente ciò che stava nascendo dentro di lui, questa invece era irritazione dovuta al fatto che qualcuno stava entrando nel suo territorio e lo stava dissacrando.
A quel paese tutto, pensò, in fondo prima o poi Eleanor avrebbe scoperto di lui e Louis e sarebbe stata lei ad allontanarlo, tanto valeva essere lui a fare la prima mossa.
“Ti ringrazio molto per quello che hai fatto per me nelle ultime settimane, ma non credo di essere tagliato per questo tipo di lavoro,” le disse restituendole la tazza di caffè ancora mezza piena e andandosene cercando di non farle capire quanto fosse teso e nervoso.
 
In paese gira la voce che il tuo nuovo ragazzo abbia rotto il naso a Charles. C’è qualcosa che vuoi condividere con noi, tesoro?
Harry rilesse due volte incredulo il messaggio che la madre aveva appena mandato nella chat che avevano in comune con Gemma. Si era completamente dimenticato di Charles e non gli era passato nemmeno per l’anticamera del cervello ciò che era ovvio, ovvero che il ragazzo avrebbe raccontato le sue disavventure londinesi a tutti una volta tornato a casa.
Nuovo ragazzo??? LOUIS???
Questa era Gemma e a Harry stava venendo un mal di testa assurdo.
Louis? Il ragazzo che vive con te? Non posso credere di non sapere nemmeno che faccia abbia.
Eccoti ma’.
Due secondi dopo nella conversazione comparve una foto di lui e Louis che parlavano con fare cospiratorio, Gemma doveva averla scattata a tradimento qualche sera prima quando erano andati tutti al pub insieme. Chissà da quanto tempo l’aveva capito...
Tesoro ma siete meravigliosi!
Vero ma’? Dovresti vedere come amoreggiano pensando che nessuno intorno a loro se ne possa accorgere!
“Non posso crederci, per una volta che tutto sembra filare come si deve per la nostra economia domestica tu cosa fai?!” La voce di Niall lo riportò improvvisamente al soggiorno del loro appartamento, dove aveva appena finito di raccontare a Niall e Louis che in un certo senso si era licenziato.
“Alla buon’ora!” esclamò Louis con la bocca piena.
Avevano ordinato al cinese per non cucinare e Harry non sapeva se mettersi a ridere o piangere di fronte alle due reazioni diametralmente opposte di Niall e Louis.
“Alla buon’ora?! Ricordami perché abbiamo acconsentito a farti stare qui?” chiese Niall piccato.
“Harry non poteva continuare a lavorare con Eleanor, era pura follia.”
“È la tua ragazza Tommo!”
“Eddai Nialler, sei davvero così tardo?!”
“Basta! Non mi sentivo a mio agio, in fondo posso sempre tornare a lavorare con Liam, gli ho già parlato,” Harry si sentì in dovere di intervenire prima che Louis raccontasse tutto anche a Niall come aveva fatto con Zayn. Non che Harry volesse tenerlo all’oscuro, ma voleva essere lui a dirglielo e comunque quello non gli sembrava il momento più adatto.
“No, non sono così tardo Tomlinson. Cosa credi, che sia sordo e non vi senta pomiciare ogni santa notte?”
“Allora non fare finta di non sapere perché Harry non poteva continuare a lavorare con la mia ex e non fare nemmeno finta di non sapere che io e lei ci siamo lasciati.”
“Lo sai che è maleducazione parlare con la bocca piena?”
“Volete smetterla? Ho un’emicrania assurda,” si lamentò Harry, ormai troppo stanco per chiedersi da quanto Niall lo sapesse o da quanto lo sapesse Gemma o quanto ci avrebbe impiegato sua madre a farsi una gita a Londra per conoscere Louis. “Vado a dormire,” decretò abbandonando il suo piatto sul pavimento e lasciandoli soli.
Circa un quarto d’ora dopo sentì Louis entrare nella stanza, ma quando si infilò nel suo letto da sopra le coperte si rese conto che non era Louis ma bensì Niall.
“Avrei solo voluto che me lo dicessi tu,” lo rimproverò.
“L’avrei fatto se non l’avessi capito da solo,” bofonchiò Harry tirandosi le coperte fin sopra la testa.
“Allora facciamo finta che non l’abbia capito,” Niall gli scoprì la testa e lo costrinse a guardarlo in faccia alla debole luce dei lampioni che entrava attraverso la finestra.
“Credo che io e Louis stiamo insieme.”
“Credi?” ridacchiò Niall. “La maggior parte del tempo non lo sopporto ma sono così felice per te Harry!” disse buttandoglisi addosso e stritolandolo in un abbraccio. “Quando sei venuto a vivere qui eri un piccolo pulcino bagnato che pensava che la sua vita amorosa fosse finita per sempre e ora guardati, innamorato del primo psicopatico che ti è passato di fronte, ma pur sempre innamorato!”
“Non ho mai detto di essere innamorato!” piagnucolò Harry cercando di liberarsi dalla presa di Niall.
“Be’ ma lo sei, lo sei stato fin dal primo istante, perché credi che abbia sopportato quell’essere così ingombrante senza fiatare?”
Harry si ritrovò a sorridere, a quanto pare Niall aveva capito molto prima di lui tutto quanto.
“Non sono innamorato,” ripeté, con meno convinzione perché in realtà non era per niente sicuro che fosse vero.
“Dì pure al tuo amore che stasera sei tutto mio, devi raccontarmi tutto.”
 
***
 
“Dimmi qualcosa che non so Tommo,” rise Liam e Louis scrollò la testa irritato, che senso aveva andare da qualcuno con tutto l’entusiasmo di questo mondo se poi questo qualcuno ti rispondeva così?
“Oh be’, scusa per averti reso partecipe della mia vita sentimentale.”
Liam stava ridendo di gusto davanti allo specchio, intento com’era a mettersi il cerone bianco sul viso.
“La prossima volta che vuoi mantenere una relazione segreta, evita di lanciare sguardi così eloquenti al tuo amante oppure di tentare di prenderlo per mano da sotto i tavoli ogni volta che ne hai l’occasione.”
A Louis non sembrava di essere stato così ovvio, eppure tutte le persone che avevano intorno erano arrivate da sole a capire che lui e Harry stavano insieme, nonostante lui e Harry non si fossero mai detti di stare insieme e non fossero mai nemmeno usciti per un appuntamento vero e proprio. Forse era il caso di rimediare anzi, era decisamente il caso di rimediare e di portare la loro relazione fuori dalle quattro mura della loro camera, per poi riportarla dentro al letto e approfondirla e-
“Ti senti bene? Sei più rosso di un peperone,” Liam lo stava osservando preoccupato, del tutto ignaro dei pensieri che gli stavano passando per la testa.
“Dammi qua e fatti gli affari tuoi,” borbottò lui rubando il cerone dalle mani di Liam e iniziando a sua volta a truccarsi. Non era la prima volta che pensava a come sarebbe stato approfondire la conoscenza fisica con Harry e il pensiero da un lato lo terrorizzava perché era un campo del tutto nuovo per lui, dall’altro invece avrebbe solo voluto prendere Harry, sbatterlo al muro, strappargli i vestiti di dosso e... una cosa alla volta, si disse deglutendo sonoramente. Finì di imbiancarsi il viso, sistemò il nasone rosso al proprio posto e poi andò a frugare nello zaino alla ricerca del cellulare, il tutto sotto allo sguardo scettico di Liam.
“Che cavolo, devo aver lasciato il telefono a casa. Mi presti il tuo Payno? Devo solo mandare un messaggio.”
Liam gli allungò il proprio cellulare e tornò a sistemarsi davanti allo specchio per finire ciò che aveva iniziato prima che Louis lo spodestasse.
Ci vediamo alle otto fuori dallo Starbucks di Victoria. È un appuntamento, Styles.
Louis premette invio tutto soddisfatto di se stesso poi, nonostante il suo rapporto con Londra fosse molto migliorato negli ultimi tempi, iniziò a temere che Harry si potesse perdere nell’oceano di persone che transitavano per Victoria a quell’ora di sera.
Cambio di programma, vediamoci a Southbank allo skatepark.
Ora sì che era decisamente soddisfatto di se stesso e dell’idea brillante che aveva appena avuto.
Fai otto e venti.
Aggiunse poi, pensando che gli ci sarebbe voluto più tempo per arrivare lì da dove si trovava.  Il cellulare gli vibrò fra le mani e vide che c’era un messaggio in entrata da parte di Harry.
Oh Liam, aspettavo questo momento dal giorno in cui ci siamo conosciuti!!! Non dirlo a Lou però!
Louis scoppiò a ridere e arrossì leggermente a leggere quel Lou.
Idiota! Sìì puntuale e fammi il favore di non perderti che non ho il cellulare con me e non posso venirti a salvare.
 
Louis rabbrividì quando una folata di vento lo investì in pieno e si maledì per non essersi portato una felpa, un giubbino o una qualunque cosa da mettersi addosso. Così eccolo lì a camminare nella sera londinese con solo una maglia a mezze maniche addosso – pure piuttosto scollata – solo perché quando era uscito di casa poco prima di mezzogiorno il debole sole che spuntava dalle nuvole gli aveva dato l’illusione di calore nonostante fosse quasi inverno. Guardò l’orologio e imprecò, come se il freddo non fosse stato abbastanza, era pure in ritardo di venti minuti abbondanti e lui se fosse stato in Harry se ne sarebbe già tornato a casa irritato. Ma Harry no, Harry era una persona molto più brava e paziente di lui, e si ritrovò a sorridere improvvisamente dimentico del freddo quando vide da lontano la sua sagoma sdraiata su uno dei muretti che delimitavano lo skatepark, i riccioli che ondeggiavano ribelli al ritmo del vento.
“Da lontano ti avevo scambiato per un barbone che si era già sistemato per la notte,” gli disse raggiungendolo e chinandosi a dargli un bacio fra i capelli.
Harry si alzò e lo osservò.
“Sicuro che sia io il barbone? Pensavo fosse un appuntamento galante! E comunque sei in ritardo,” il tono del ragazzo era serio ma Louis vide il sorriso nei suoi occhi.
“Scusa se stavo lavorando!” replicò, nonostante fosse indubbio che fra i due il barbone era decisamente lui. Harry era vestito in maniera impeccabile: innanzitutto aveva una sciarpa, lui, il cappotto era leggermente sbottonato e sotto si vedeva una camicia bianca con una fantasia nera, portava dei jeans neri così aderenti che per un attimo credette fossero uno dei tanti leggings delle sue sorelle e ai piedi i suoi ormai inseparabili stivaletti da ottanta sterline che usava al posto di quelli originali su cui era riuscito a mettere le mani e che non indossava mai per paura di rovinarli. Poi c’era lui, lui con i suoi pantaloni della tuta di una taglia più grandi per stare più comodo e che sembravano più un pigiama che altro, maglietta a maniche corte, Vans nere ai piedi e capelli che fra il lavoro e il vento londinese dovevano essere in uno stato pietoso.
“Ho un regalo per te,” gli disse Harry mantenendo l’espressione seria e allungandogli un sacchetto che aveva fatto materializzare da chissà dove. Louis lo prese e dentro ci trovo una felpa, il suo giubbino e la sua cuffia di lana.
“Ti prego sposami!” esclamò tirando fuori il tutto e infilandosi di corsa la felpa. “Questa è tua,” osservò dopo averla indossata.
“Sì, non riuscivo a trovarne una tua che fosse stirata,” rise Harry vedendo che all’interno del capo potevano tranquillamente starci due Louis. “Sei così piccolo.”
Louis stava per difendere la sua corporatura quando Harry lo avvolse in un abbraccio.
“È cibo quello che hai abbandonato li in terra?” gli chiese poi scostandosi e Louis si ricordò del sacchetto del McDonald che aveva posato in mezzo all’erba quando si era chinato a baciarlo.
“È la nostra cena per essere più esatti,” disse fiero di se stesso mentre recuperava il sacchetto. Prese Harry per mano e lo trascinò giù per le scale che portavano alle rampe, fino a quando non si trovarono nell’esatto centro dell’area dedicata allo skate. A quel punto si sedette sull’asfalto e lo invitò a fare lo stesso.
“Meglio mangiare prima che i panini diventino di ghiaccio,” gli disse.
“Questa è la tua idea di primo appuntamento? Molto igienico devo dire!”
“Non fare lo schizzinoso, Harold. Ti ho portato nel mio posto preferito di tutta Londra in un’ora in cui è deserto, è un po’ come se fossimo le uniche due persone sulla faccia della terra anche se siamo al centro di una delle città più caotiche del mondo.”
Harry si allungò verso di lui e gli stampò un bacio pericolosamente vicino alle labbra.
“Mangia, Styles,” gli intimò iniziando a togliere il cibo dal sacchetto e distribuendolo di fronte a loro. Okay, forse non era il massimo dell’igiene. E in più il cibo era freddo e il cibo freddo del Mc era pessimo. Louis si rese conto che probabilmente quello era il peggior appuntamento a cui Harry fosse mai stato.
“È vero,” disse Harry dando voce ai suoi pensieri. “Non sembra di essere al centro di una delle città più caotiche del mondo.”
No, Harry non stava dando voce ai suoi pensieri.
Harry si era appoggiato sulle gambe incrociate il cartone con le patatine e le stava mangiando di gusto nonostante fossero fredde, guardandosi intorno sorridendo. Louis seguì il suo esempio e addentò uno dei due panini, e anche se non sapeva più di nulla tranne che di freddo, si ritrovò a sorridere a sua volta. Harry mangiava in silenzio, ogni tanto si scostava i riccioli che il vento gli buttava di prepotenza sul viso e aveva un’espressione serena. Sembrava genuinamente felice di essere lì e per Louis era tutto così strano e nuovo che sentiva il cuore pulsargli con violenza in gola. Si sentiva come uno scolaretto alla sua prima cotta, come un adolescente con la sua prima ragazza – o in questo caso, il primo ragazzo.
“Non posso credere che tu ti stia divertendo, è l’appuntamento peggiore di sempre.”
Non sapeva perché l’aveva detto, non voleva rovinare la magia del momento ma dall’altra parte non voleva nemmeno illudersi che Harry si sentisse come lui.
“Scherzi? Sei riuscito a creare un centro del mondo nel quale siamo le uniche due persone esistenti. Nessuno l’aveva mai fatto per me. Non credevo nemmeno fosse possibile.”
Louis ancor prima di pensare a ciò che stava facendo lasciò cadere il panino, si allungò verso Harry e lo baciò. Lo sentì sorridere sulle proprie labbra, lo sentì afferrarlo per un braccio e tirarlo ancora più a se, fino a quando entrambi persero l’equilibrio e si ritrovarono distesi sull’asfalto della pista. Ma le loro labbra non sembrarono risentirne, le loro labbra continuarono a cercarsi avide.
 
Stavano passeggiando lungo il Tamigi e Louis si rese conto di quanta strada avessero percorso solo quando vide approssimarsi le luci del Tower Bridge. Si stavano tenendo per mano, le dita intrecciate, e quasi non avevano aperto bocca da quando avevano lasciato lo skatepark ma non era uno di quei silenzi ingombranti e imbarazzanti, era come se entrambi non volessero altro che la reciproca vicinanza e tutto il resto non importasse. Era una bella sensazione.
“Pensavo che il Tower Bridge fosse più lontano,” fu Harry a rompere il silenzio, fissando il ponte in lontananza.
“Abbiamo camminato per quasi un’ora,” puntualizzò Louis.
Harry si fermò di scatto e lo attirò a se. Louis si ritrovò con la schiena appoggiata al suo petto, le sue braccia che lo stringevano forte.
“Quando era piccola Gemma diceva sempre che il ragazzo che l’avrebbe portata sotto al Tower Bridge di notte, sarebbe stato l’uomo della sua vita. Sosteneva che fosse la cosa più romantica del mondo anche se non aveva mai visto Londra.”
Louis chiuse gli occhi e Harry si chinò su di lui fino a quando non si ritrovarono guancia contro guancia.
“Harry Styles, vuoi essere il mio ragazzo?” gli chiese senza riaprire gli occhi.
“Pensavo di esserlo già.”
“E io pensavo volessi sentirtelo chiedere.”
“Gemma sarebbe molto orgogliosa di te.”
Lo sentì sorridere e improvvisamente sperò che il tempo si fermasse.
Non aveva mai desiderato che il tempo si fermasse, anzi aveva sempre ritenuto abbastanza stupida l’espressione vorrei che il tempo si fermasse ora, perché qualcuno avrebbe dovuto voler fermare il tempo e bloccare un istante, quando c’erano così tanti altri istanti e momenti da vivere? Perché esistevano istanti perfetti e ne stava sperimentando uno per la prima volta nella sua vita, ecco perché.
“Non mi hai risposto.”
“Sì, Louis Tomlinson.”
 
NOTE.
Come probabilmente ho ripetuto alla fine di ogni capitolo, questa è una storia molto "easy", paranoie-free, leggera e dove l'amore trionfa ad ogni angolo della strada just for the sake of it e sarà sempre più così da qui alla fine, giusto per avvisare xD
Btw, volevo ringraziare tutti voi che siete arrivati a leggere fin qui, sperando che la storia possa continuare a piacervi ^_____^

 

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Capitolo 9
*** In cui le parole scappano di bocca a Harry e Louis sorride ***


DANCE INSIDE

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In cui le parole scappano di bocca a Harry e Louis sorride
Liam si era presentato sullo zerbino di casa loro con un borsone pieno di vestiti e si era buttato sul letto di Harry affondando la testa nel cuscino. Poche ore dopo Zayn si era presentato sullo zerbino di casa loro completamente ubriaco, o fatto, o un mix di entrambe le cose – il tutto alle tre del pomeriggio – e si era accasciato sul letto di Harry incurante di Liam, il tutto dopo aver vomitato l’anima in bagno. Niall aveva messo in chiaro fin da subito che uno, non aveva tempo per occuparsi di loro, due, non voleva nemmeno sapere che problemi avessero e tre, che a nessuno dei due passasse per la testa di stabilirsi da loro visto che erano già in sovrannumero. Poi era tornato in camera sua dove il pavimento era pieno di fogli volanti sparsi intorno al suo portatile che spiccava al centro, lo schermo fisso su una presentazione Power Point.
Nessuno di loro sembrava intenzionato ad aprire bocca per spiegargli cosa stesse succedendo  e Louis era uscito di buon’ora quel mattino con lo skate sotto braccio, e quando Harry aveva provato a chiamarlo disperato il telefono aveva squillato da sotto il suo cuscino, cuscino che stava per soccombere sotto al peso delle teste di Liam e di Zayn.
Insomma Harry era tutto solo con due amici a terra e un terzo amico che era così riservato su cosa stesse facendo da fargli quasi pensare che stesse progettando un attentato terroristico. Magari era un estremista irlandese e l’unica cosa che voleva era l’inabissamento dell’Inghilterra intera, non si poteva mai sapere di questi tempi, giusto? Quantomeno questa era la teoria che Louis aveva elaborato la sera prima, dopo che Niall l’aveva cacciato a calci dalla propria camera solo perché aveva aperto il suo portatile per controllare il meteo del giorno dopo.
“Si può sapere che vi succede ragazzi?” Harry era seduto a gambe incrociate sul pavimento e ritentò per l’ennesima volta di farli parlare.
“Non ora, Styles,” mugugnò Zayn tappandosi un orecchio con la mano, come se la voce di Harry fosse troppo da sopportare nello stato pietoso in cui si trovava.
Liam invece di rispondere si aggrappò in stile bradipo a Zayn.
Harry si alzò sospirando e andò ad affacciarsi alla porta di Niall cercando un po’ di supporto morale.
“Non ora, Harry,” fu la risposta dell’amico, seguito da un gesto della mano che lo invitava a girare al largo.
Dove cavolo era finito Louis? Iniziava a temere di non rivederlo fino a sera inoltrata, ormai aveva imparato che quando Louis usciva con lo skateboard sotto braccio era molto incline a dimenticarsi dell’ora perfino quando aveva impegni, figurarsi quando aveva la giornata libera.
Era ancora sulla porta di Niall quando Zayn uscì di corsa dalla sua stanza diretto verso il bagno. Peccato che non fece in tempo ad arrivarci, perché un istante dopo lo sentì vomitare dietro di lui e girandosi lo vide piegato in due che si reggeva con una mano al muro.
“Non sta succedendo davvero, non sta succedendo davvero, non sta succedendo davvero,” Harry chiuse gli occhi  cercando di mantenere la calma interiore.
Niall sbatté la propria porta facendo capire chiaramente il suo punto di vista sull’intera faccenda.
“Il solo sentir vomitare qualcuno mi fa venire voglia di vomitare,” a queste parole di Liam seguirono due conati, peccato che il ragazzo fosse ancora in camera di Harry e Harry sperava soltanto che avesse avuto la decenza di sporgersi verso il pavimento. Non aveva però intenzione di scoprirlo perché stava iniziando a sentire lo stomaco in subbuglio lui stesso e non ci teneva per niente ad unirsi a quella sottospecie di trenino, così girò sui tacchi e uscì di casa afferrando una giacca della tuta che trovò buttata sul divano e infilandosi le scarpe sulle quali inciampò nel corridoio d’ingresso. Si rese conto solo quando arrivò in fondo alle scale e si fermò ad allacciarsi le scarpe e buttarsi addosso la felpa che entrambe le cose erano di Louis e che entrambe gli stavano strette. E che era forse la prima volta in tutta la sua vita che indossava un paio di Vans, o un paio di scarpe se proprio doveva essere preciso, così usate e così sporche. Non aveva però nessuna intenzione di tornare su, in fondo poteva sopravvivere anche così e stare stretto in un paio di scarpe e in una giacchina della tuta era sicuramente una prospettiva più allettante che scoprire dove avesse vomitato Liam. E comunque essere avvolto in qualcosa di Louis – anche se non riusciva a tirare su la cerniera e sarebbe probabilmente morto di freddo – lo confortava, ora non doveva fare altro che trovare il proprietario, riportarlo a casa e lasciargli risolvere la situazione, in fondo sia Liam che Zayn erano prima di tutto amici suoi.
La prima tappa della sua ricerca fu l’appartamento di Gemma. Ovviamente non pensava di trovarci Louis, ma nella sua fuga da casa aveva dimenticato sia l’abbonamento ai mezzi che il portafoglio, quindi gli servivano soldi per comprarsi un biglietto. Non appena la ragazza gli aprì lui si fiondò nell’appartamento e si mise a frugare nella sua borsa appesa all’ingresso senza dare altra spiegazione che un misero, “Mi servono i soldi per il biglietto della metropolitana.”
“Rubi i soldi a tua sorella, prendi la metropolitana, sei vestito come un barbone... cosa ne hai fatto di mio fratello?”
A quelle parole Harry si osservò veramente per la prima volta da quando era uscito. Aveva la felpa di Louis, evidentemente troppo piccola per lui, aperta su una maglia bianca leggermente sporca perché si era versato un po’ di sugo addosso a pranzo, i pantaloni del pigiama che grazie al cielo sembravano pantaloni della tuta e le Vans nere di Louis tutte sporche di fango ai piedi. Doveva ricordarsi di pulirgliele un giorno di questi, non poteva certo lasciare che il suo ragazzo andasse in giro conciato come era conciato lui in quel momento. Si ritrovò a ridere di se stesso, stava diventando disagiato quanto Louis e in un certo senso anche disinibito come lui visto che fino a qualche mese prima non avrebbe mai messo nemmeno la punta del piede fuori casa ridotto così, lasciamo perdere fare irruzione in casa d’altri – seppur si trattasse di sua sorella. Per non parlare del fatto che ora prendeva la metropolitana praticamente ogni giorno.
“Magari sono solo una versione migliorata di tuo fratello,” le disse schioccandole un bacio sulla guancia e andandosene così come era arrivato. Ora non gli rimaneva altro che trovare Louis e ovviamente il primo posto in cui cercarlo era lo skatepark di Southbank, così rimase molto deluso e privo di idee quando non lo trovò lì perché se non era lì significava che era andato a fare skate per gli affari suoi lungo il fiume – a Louis piaceva molto passare il proprio tempo libero lungo il fiume - e il Tamigi era davvero molto, molto, molto lungo, senza contare il fatto che aveva ben due rive e gli ci sarebbero volute tre vite e mezza per setacciarle entrambe.
Percorse circa un chilometro e mezzo a piedi in una direzione a caso quando vide un Costa dall’altra parte della strada. Caffè, aveva bisogno di caffeina e di zuccheri in circolo per sopravvivere alla ricerca di Louis e più in generale a quella giornata, così entrò nel locale e solo dopo aver ordinato il caffè e una fetta di torta si rese conto che i soldi che gli erano rimasti in tasca non bastavano. La ragazza dall’altra parte del bancone lo fissava con un sopracciglio minacciosamente alzato e lui ponderò di mettere anche Costa nella lista dei locali proibiti, magari la prossima volta sarebbe andato da Nero, anche se le torte di Costa...
“Può togliere il caffè magari?”
La ragazza toccò un paio di volte il monitor della cassa e gli disse il nuovo totale.
“No, meglio se toglie la torta... quanto viene il caffè da solo?” chiese ricontando le monetine che aveva in mano.
“Gli dia sia il caffè che la torta, santissimo cielo, Harold!” una banconota da dieci sterline si era materializzata di fronte a lui e la ragazza la prese alzando gli occhi al cielo e borbottando qualcosa. “Come sei conciato? Sembri... me.” Louis di fianco a lui stava ridendo di gusto e Harry non era mai stato più felice di vederlo. Gli si buttò al collo e per un momento pensò di essere sull’orlo di una crisi di pianto isterico.
“Da quando vieni da Costa?” gli chiese una volta che si furono seduti con una sostanziosa merenda di fronte.
“Da quando qualcuno mi ha passato le sue abitudini. Ti dona il rosso,” gli rispose l’altro indicando la felpa che Harry indossava. “Ora vuoi dirmi cosa è successo per farti uscire di casa conciato così?”
“Non-uscire-mai-più-senza-cellulare,” piagnucolò lui e poi gli raccontò tutto. A Harry piaceva in maniera assurda il modo in cui Louis lo guardava mentre parlava, non distoglieva mai lo sguardo da lui facendolo sentire così importante.
“Zayn è un coglione, ti dico io cosa è successo. Perrie l’avrà lasciato di nuovo, quando succede lui va ad ubriacarsi come se non ci fosse un domani e poi va a smaltire la sbornia nel primo posto che gli viene in mente, che di solito è dove abito io.”
“In che senso lasciato di nuovo? Ma non le ha perfino chiesto di sposarlo?”
“Zayn non sa tenerlo nei pantaloni, letteralmente. Non hai idea di quante volte l’abbia cornificata, perfino lui secondo me ha perso il conto. Ma ogni tanto il coglione si rincoglionisce ancora di più e si fa scoprire, allora Perrie lo lascia. Peccato che due giorni dopo, tre al massimo, se lo riprenda perché lui una volta smaltita la sbornia e tutto quello che si è fumato di solito corre da lei e la implora in ginocchio, letteralmente in ginocchio, recitando il mea culpa. E lei ci ricasca.”
“È per questo che ti sei rifiutato di andare con lui a scegliere l’anello?”
“Sì, penso che il tradimento sia la cosa peggiore che una persona possa fare a un’altra persona. Ma non solo in una relazione sentimentale, anche in un rapporto di amicizia o di conoscenza in generale. Quindi per quel che mi riguarda gli conviene aver pulito il suo schifo per quando torneremo a casa o lo faccio volare dalla finestra. Sempre letteralmente.”
Harry si lasciò scivolare sulla sedia sollevato, lo sapeva che Louis avrebbe risolto tutto.
E adorava il modo nel quale Louis risolveva tutto, era sempre così spontaneo e pragmatico e diceva sempre quello che pensava e faceva sempre quello che gli veniva più istintivo. Zayn e Liam a parte, all’improvviso lo assalì la consapevolezza che sarebbe stato perso in quella grande città senza di lui, che probabilmente se non ci fosse stato lui sarebbe finito col tornare a Holmes Chapel nell’istante in cui si era ritirato dal corso di moda perché in quel periodo si sentiva sperduto e confuso e la persona che l’aveva guidato letteralmente per mano in quella giungla che era Londra e perfino la sua vita, era Louis.
“Dio, quanto ti amo,” fu un sussurro, quasi uno sbuffo d’aria uscito ribelle dalla sua gabbia toracica e capì di aver effettivamente dato voce a quel pensiero solo quando Louis si fermò nel mezzo di una frase fissandolo con gli occhi sgranati.
Merda, merda, merda! pensò subito dopo, e non sapeva nemmeno se il suo cervello si stesse riferendo al fatto di averlo detto ad alta voce o al fatto di aver anche solo partorito quel pensiero. Perché era la prima volta che pensava di amare Louis, era la prima volta che elaborava quel pensiero consciamente anche se inconsciamente chissà da quanto tempo provava quel sentimento. Da tanto, vista la naturalezza con cui gli era semplicemente scappato. Louis lo stava ancora fissando, poi piano piano la sua espressione mutò da incredula a... brillante? Luccicante? Harry non avrebbe saputo descriverlo, ma Louis stava luccicando, brillando, si era trasformato in una sorta di Edward Cullen molto più affascinante e dio, chissà quanto l’avrebbe preso in giro Louis se avesse scoperto che aveva un soft spot per la saga di Twilight.
“Interessante,” commentò Louis con un sorriso che gli illuminava l’intero volto. Interessante? Questo era perfino peggio del ‘Ti amo’, “Grazie”, di Marissa e Ryan in The O.C., un’altro suo piccolo segreto che era meglio Louis non scoprisse. Anche se pensandoci bene il film preferito di Louis era Grease, una scelta piuttosto insolita per un ragazzo, soprattutto uno che si atteggiava a duro come lui. “Anch’io comunque.”
A quell’uscita Harry avrebbe voluto mettersi a urlare perché no, non se lo aspettava minimamente. E Louis era un caso disperato, gli aveva praticamente detto di ricambiare il suo amore con il sorriso più bello che Harry avesse mai visto in vita sua e poi si era tirato indietro sullo schienale con malagrazia portandosi la tazza di cioccolata alla bocca, come se avessero appena finito di parlare delle notizie del giorno sul Times. Lui aveva appena realizzato di provare un sentimento così forte per il ragazzo che gli stava davanti e aveva tutto lo stomaco in subbuglio e il cuore che gli batteva a mille all’ora, Louis che era quello che aveva lasciato la sua ragazza per un ragazzo, sembrava invece tranquillissimo come se per lui l’unica novità fosse che Harry lo amava e lo ricambiava. Lo adorava, lo amava e non avrebbe mai smesso di adorarlo e di amarlo anche e soprattutto per la sua attitudine nei confronti della vita. Forse il tatuaggio che aveva sul petto e che recitava It is what it is non era poi così campato per aria come Harry aveva sempre pensato, ma era proprio la filosofia di Louis. E Louis lo amava, Louis aveva appena detto di amarlo e il mondo non aveva mai girato così in fretta per Harry, tanto che iniziò a temere che il cuore gli saltasse fuori dalla bocca o peggio ancora esplodesse di combustione spontanea lasciandolo con uno squarcio nel petto.
“Bevi il caffè o diventerà freddo,” gli disse Louis indicandogli la tazza che aveva davanti.
E Harry obbedì felice come non lo era mai stato.
 
Non appena rimisero piede in casa, Harry rimase abbagliato perché tutto intorno a lui brillava al punto che ci si poteva specchiare perfino nei muri. Nell’aria aleggiava un forte odore di detersivo per i pavimenti, sui mobili non c’era nemmeno un briciolo di polvere, l’angolo cottura e il lavandino luccicavano come nemmeno nelle pubblicità, non c’era un oggetto fuori posto e lo stesso valeva per il resto della casa, per il bagno, per la loro stanza e perfino per la camera di Niall che era immacolata e priva del suo abitante.
Liam e Zayn erano seduti sul divano e aspettavano con espressione trepidante che i due finissero il giro della casa.
“Te l’avevo detto,” disse infine Louis dando una pacca sulla spalla a Harry e riferendosi al fatto che Zayn – con l’aiuto di Liam evidentemente – avesse ripulito il casino combinato e non solo quello. Harry si lasciò andare a un sospiro di sollievo, visto che la sola idea di dover essere lui a pulire l’aveva portato a trascinare Louis da una parte all’altra della città inventandosi le commissioni più improbabili solo per ritardare il più possibile il momento della verità.
“Dov’è Niall?”
“È uscito poco dopo di te dicendo che aveva un meeting importante,” fece spallucce Zayn.
“Te l’ho detto che sta tramando qualcosa di losco, che razza di meeting importante può avere uno che fa il commesso in un negozio pakistano?” Louis scrollò la testa e nella mente di Harry si affaccio il pensiero che Niall in realtà si stesse vedendo ancora con Juliet e visto com’era finita la prima volta, sperava proprio di sbagliarsi. Stava per esprimere quella sua preoccupazione ad alta voce quando il campanello suonò.
“Sono le pizze, abbiamo ordinato pizza per tutti!” esclamò Liam trionfante alzandosi.
Mentre si spartivano le pizze e mangiavano seduti in cerchio sul pavimento, Liam raccontò di aver litigato con Sophia qualche giorno prima e che lei quella mattina gli aveva detto di aver bisogno di una pausa. Anche Zayn raccontò le proprie disgrazie e il suo racconto era esattamente come Louis aveva ipotizzato e Harry provava ancora qualche piccola fitta di gelosia ogni volta che assisteva a qualche dimostrazione del fatto che Louis e Zayn non avrebbero potuto essere più legati di quanto erano nemmeno se fossero stati fratelli. Ma Louis amava lui e ancora non riusciva a credere a quello che le sue orecchie avevano sentito, ed era così bello che in fondo poteva anche ignorare il legame che c’era fra quei due.
“Mi fa piacere che le mie disgrazie ti divertano, Styles.”
A sentir pronunciare il suo nome Harry venne riportato di peso nella stanza, e si rese conto di avere le labbra piegate in un sorriso enorme e che gli altri tre lo stavano fissando come se fosse un alieno.
“Niall ci ucciderà tutti quanti e tu te la ridi,” borbottò Louis alzando gli occhi al cielo.
“Niall?”
“Sì, quando gli diremo che Liam starà con noi per un po’.”
Prego?
No, no, no.
Harry non aveva idea del perché fosse stato deliberato che Liam si sarebbe trasferito da loro, era evidente che si era perso un intero pezzo di conversazione mentre ripensava al suo pomeriggio con Louis, ma non aveva nessuna intenzione di incrementare il numero degli occupanti di quella casa, non ora che erano già in sovrabbondanza di uno e quell’uno era Niall. Harry si sentì le guance avvampare, era un pensiero che gli ronzava in qualche scompartimento nascosto della mente da settimane ma a cui non aveva mai permesso di prendere forma concreta, un po’ come non si era mai permesso di pensare consciamente ai propri sentimenti per Louis. In realtà si sentiva anche un po’ in colpa nei confronti di Niall perché Niall era stata la prima faccia amica che aveva conosciuto a Londra ed era stato fortunatissimo a trovarsi proprio lui come coinquilino, e quindi non gli sembrava molto corretto considerarlo un terzo incomodo. Il fatto però era che sì, Niall era un terzo incomodo. Liam sarebbe diventato il quarto. E lui – per usare l’espressione che qualche ora prima Louis aveva utilizzato per Zayn – be’, lui non ce la faceva più a tenerselo nei pantaloni e se da un lato era un bene avere tutti quegli incomodi intorno, dall’altro lato passare le sue giornate a condividere tutto con Louis e le sue nottate abbracciato a Louis senza fare niente, stava iniziando a diventare oltremodo frustrante – e no, i baci non contavano, per quanto spinti potessero essere anzi, lo stavano solo portando a impazzire ancora di più. Il lato positivo dell’avere sempre Niall intorno era che Harry era terrorizzato dall’idea di andare oltre con Louis, era terrorizzato all’idea che Louis potesse scappare a gambe levate e realizzare che magari in fondo il sesso della persona con cui stava faceva la differenza. Però Louis lo amava, e Louis non sembrava il tipo di persona da dire certe cose così alla leggera – ad esempio non gli aveva mai sentito proclamare chissà che sentimenti per Eleanor e di sicuro non si era ridotto a uno straccio come Liam o Zayn quando Eleanor l’aveva temporaneamente lasciato. Il fatto che lo amasse cambiava le carte in tavola, perché significava che non si trattava di un semplice capriccio o del voler provare qualcosa di diverso – e Harry stava iniziando a rendersi conto di avere intere enciclopedie di paranoia nascoste in quel cassettino del suo cervello.
“Tommo, Liam non può stare qui, è la volta buona che vi sbattono fuori casa tutti quanti.”
Santo Zayn dal Pakistan o qualunque fosse la sua origine.
“Chi vuoi che se ne accorga? Di me non si è accorto nessuno.”
“Avranno chiuso un occhio, è impossibile non accorgersi di una persona chiassosa e invadente come te.”
Harry si ritrovò ad annuire alle parole di Zayn e Louis gli spintonò il braccio offeso. Chissà cosa ne pensava Louis, Louis che si allontanava sempre da lui quando le cose iniziavano a farsi troppo spinte perché quello stupido irlandese è dall’altra parte della porta, e poi sarei io la persona invadente.
“Zayn ha ragione, mi sentirei troppo in colpa se finiste nei guai solo per avermi ospitato qualche giorno,” disse Liam con la bocca piena.
“Louis non si è mai fatto di questi scrupoli,” sottolineò Harry con fare serio.
“Questo perché si è innamorato di te a prima vista ma era troppo ottuso per capirlo, non sai che testa che mi ha fatto con ‘Harry di qua, Harry di la, Harry non mi parla, Harry è troppo carino mi ha rifatto il letto, Harry è strano non mi rivolge la parola, credo di non piacere a Harry, Harry racconta i fatti suoi solo a Niall e a quella Gemma come la chiamava allora, Harry non mi invita mai a uscire, Harry mi ha lavato i vestiti, magari in fondo a Harry sto simpatico, no Harry non mi parla di nuovo’, era insopportabile!” rise Zayn.
 “Non me ne parlare, quando Harry ha attraversato la fase da modello Lou non faceva altro che lamentarsi da mattina a sera del fatto che Eleanor vedesse Harry più di lui che ci abitava insieme. E sottolineo che si lamentava del non vedere lui,” aggiunse Liam.
Louis mimò il parlare a vanvera con la mano e Harry si ritrovò nuovamente a sorridere. Erano cose che i ragazzi gli avevano già raccontato, ma non smetteva di sorprendersi. Era sbarcato in quella grande città con il cuore spezzato e giorno dopo giorno Louis gliel’aveva guarito, raccogliendone ogni singolo pezzo e aggiustandolo con precisione chirurgica. E Charles, Charles il ragazzo perfetto, Charles che doveva essere la sua anima gemella, Charles non era mai riuscito a farlo sentire così sicuro e protetto con la sua semplice presenza, non si era mai sognato di uscire di casa vestito come un barbone per cercare Charles perché qualunque cosa fosse successo Charles avrebbe saputo cosa fare, figurarsi che non si era mai sentito in diritto nemmeno di presentarsi al cospetto di Charles leggermente spettinato perché per tenere in piedi il loro rapporto perfetto, tutto doveva essere perfetto. Ed eccolo lì, seduto di fianco all’essere più imperfetto che avesse mai incontrato a mangiare pizza ormai fredda con indosso una felpa troppo stretta per lui e a sentirsi il protagonista della situazione più perfetta della quale si fosse mai trovato protagonista.
 
“Credo di aver capito male.”
“No, hai capito benissimo, Harry.”
Il ricciolino sbatté le palpebre incredulo, come se le sue ciglia potessero scatenare un mini tornado in grado di spazzare via ciò che Niall gli aveva appena detto. Solo la sera prima si era trovato a pensare all’amico come a un terzo incomodo, ma ora che l’incomodo gli aveva appena annunciato che si sarebbe trasferito in un appartamento tutto suo si rifiutava di crederci o di accettarlo. A quanto pareva il progetto a cui Niall aveva lavorato per giorni nel segreto più totale non aveva niente a che fare con nessuna donna sposata – cosa per la quale Harry ringraziò in silenzio tutti gli dei del cielo e della terra – ma era piuttosto un progetto di ampliamento per l’attività dello zio di Zayn, nonché suo datore di lavoro. Niall aveva passato l’ultima mezzora a spiegargli tutti i dettagli, ma le uniche due cose che Harry aveva afferrato erano che uno, lo zio di Zayn aveva deciso di promuoverlo e aveva accettato con entusiasmo tutti i suoi suggerimenti e due, che ora Niall poteva permettersi di vivere solo. Senza di lui. E che lui si sarebbe ritrovato a vivere senza Niall. Peggio ancora, che lui e Louis si sarebbero ritrovati a passare dallo stato di coinquilini a quello di conviventi e lui continuava a vivere nella paura che Louis potesse scappare da un momento all’altro da quel rapporto, pentendosi di nemmeno Harry sapeva cosa.
“Louis stravede per te,” Niall lo prese sottobraccio rispondendo a tutti i suoi dubbi non espressi. “Cosa credi? È l’unico motivo per cui non l’ho defenestrato nemmeno nei suoi momenti peggiori. Andrà tutto bene Haz. E poi mi trasferisco a un quarto d’ora di metropolitana da qui, e sai che la porta di casa mia sarà sempre aperta per te amico!”
Harry si accoccolò sull’amico abbracciandolo. Tutti non facevano che ripetergli quanto Louis stravedesse per lui ma Harry non riusciva a togliersi le sue paranoie dalla testa.
“E pensa, ora potrete strusciarvi l’uno sull’altro in un letto un po’ più comodo e senza preoccuparvi di fare rumore,” Niall prese a ridere senza ritegno. “E quando finalmente riuscirai a concludere, sappi che voglio sapere tutto.”
Niall!
“Eddai, è l’unica cosa a cui pensi da mattina a sera, sembri un sedicenne in calore.” La risata di Niall si fece isterica e Harry che accucciato com’era sul suo petto non riusciva a guardarlo in faccia, poteva comunque giurare che l’amico stesse piangendo dal ridere. Lo ignorò e si strinse ancora di più a lui, pensando a quanto fosse fortunato ad aver trovato sulla propria strada una persona che lo capisse così bene anche senza bisogno che lui aprisse bocca, anche se metteva sempre tutto sulla presa in giro. In fondo un quarto d’ora di metropolitana non era una tragedia, magari sarebbe sopravvissuto senza Niall nella stanza di fianco, e magari fra lui e Louis sarebbe andato tutto bene.
 
***
 
Louis e Zayn avevano passato la loro mattinata ad aiutare Niall a traslocare e ora stavano aspettando Harry poco lontano dallo skatepark per pranzare insieme.
“Ti vuoi calmare? Mi stai facendo innervosire,” gli disse Zayn accendendosi una sigaretta e offrendogliene una facendogli cenno di sedersi di fianco a lui. Louis accettò la sigaretta ma non si sedette, tornò piuttosto a fissare il fiume spostando nervosamente il peso da una gamba all’altra. Harry quella mattina aveva appuntamento con Eleanor, che l’aveva chiamato la sera prima chiedendogli se gli andasse di fare colazione insieme perché gli doveva parlare. Qualunque cosa Eleanor avesse da dirgli, a Louis non piaceva a priori. Non gli piaceva il fatto che il suo ragazzo avesse passato la mattinata con la sua ex ragazza, non gli piaceva il fatto che l’unica ragione per la quale la sua ex ragazza poteva aver bisogno di parlare con il suo ragazzo fosse per trascinarlo nuovamente nel proprio mondo, un mondo che a Louis non piaceva. Sapeva benissimo che Harry era affascinato dalla moda e da tutto ciò che le ruotava intorno e sapeva altrettanto bene che Harry non era Eleanor, ma sapeva anche che il motivo principale per il quale lui ed Eleanor avevano trascinato per anni una relazione senza mai riuscire a farla sbocciare era che provenivano da mondi troppo distanti fra loro e non voleva che Harry si facesse risucchiare da qualcosa che a lui non apparteneva. Era un ragionamento egoista, se ne rendeva conto, così come si rendeva conto del fatto che Harry sarebbe rimasto comunque Harry a prescindere dal proprio lavoro, ma non voleva che qualcuno – in questo caso Eleanor – gli portasse via quella quotidianità che si era creato con Harry, non ora che ci si era accomodato così bene. In più lui e Harry stavano per entrare in una nuova fase del loro rapporto, perché il trasferimento di Niall sicuramente avrebbe cambiato gli equilibri all’interno della casa: non erano più tre amici che vivevano insieme per dividere l’affitto, due dei quali era capitato che si mettessero insieme – ora erano solo lui e Harry e a tutti gli effetti convivevano. Era un bruciare le tappe atipico, uno scenario da sit-com americana probabilmente, ma Louis ne era così entusiasta che quando Niall gli aveva comunicato la notizia aveva fatto molta ma molta fatica per trattenersi dal mettersi a saltellare di gioia per tutta la casa. Non si era mai sentito così preso da qualcuno, non aveva mai nemmeno pensato di potersi innamorare di qualcuno seriamente, che poi forse era il motivo per il quale si era sempre “accontentato” di stare con Eleanor senza farsi troppe menate mentali per il fatto che fossero così mal assortiti, come non aveva mancato di fargli notare Harry quando aveva scoperto che i due stavano insieme. Caro, caro Harry che era già geloso di lui e nemmeno lo capiva.
“Hey, amico!”
La voce di Zayn lo distolse dai propri pensieri e voltandosi vide l’amico che abbracciava Harry e corse a fare lo stesso, buttando prima la sigaretta nel fiume.
“Allora? Com’è andata?” gli chiese impaziente mentre Zayn si prendeva carico del sacchetto di Pret a Manger che il ricciolino aveva portato con sé, stracolmo di panini e tramezzini.
“Voleva solo dirmi che alla fine non useranno i miei scatti e che le dispiace,” Harry fece spallucce come per sminuire l’informazione ma Louis gli lesse negli occhi quanto fosse deluso e si sentì leggermente in colpa per i pensieri che aveva formulato poco prima.
“Guarda il lato positivo, ti sei guadagnato gli stivali dei tuoi sogni,” gli disse scompigliandogli i ricci e Harry rise. Dio, quanto gli piaceva riuscire sempre a farlo ridere.
Si sedettero sulla panchina che Zayn aveva già colonizzato e mentre mangiavano gli raccontarono del nuovo appartamento di Niall e del fatto che Zayn avesse pensato di organizzargli una festa a sorpresa per inaugurarlo, ma che per farlo avevano bisogno dell’aiuto di Harry perché fra loro, il ragazzo era l’unico a cui Niall avrebbe mai affidato le chiavi di casa e Harry la trovò un’idea grandiosa. Poco dopo Zayn li abbandonò perché doveva vedersi con Perrie – a quanto pareva i due stavano tentando di ricominciare per l’ennesima volta – e Louis rimase solo con Harry a godersi quel poco di sole che filtrava dalle nuvole e lo sciabordio del Tamigi alle sue spalle.
“Cosa farai per Natale?” gli chiese Harry dopo un po’, appoggiando la testa sulla sua spalla.
“Torno a casa... non vedo la mia famiglia e i miei amici da quando mi sono trasferito qui, anche se Lottie e Fizzy sono venute a trovarmi un paio di volte con Stan.”
Harry si richiuse nel suo silenzio e Louis si rese conto che mancava meno di un mese a Natale e in tutto quel tempo aveva praticamente dato per scontato il fatto che Harry sarebbe stato suo ospite per le feste. Ma ovviamente anche Harry non vedeva la sua famiglia da mesi, Gemma esclusa, e soffriva di nostalgia di casa molto più di lui – che in realtà non ci pensava molto – e quindi era stato piuttosto egoistico darlo per scontato solo perché... be’, perché la vigilia di Natale coincideva con il suo compleanno e non voleva passare il suo primo compleanno con Harry lontano da Harry.
“Non voglio perdermi il tuo compleanno,” Harry diede voce ai suoi pensieri, tirandosi su e appoggiandogli un braccio sulla spalla. Ora lo stava fissando dritto negli occhi. “E alla mamma piacerebbe tanto conoscerti,” aggiunse. Forse dopotutto Louis non era l’unico che aveva pensato di portarsi a casa l’altro per le feste, o che l’aveva dato per scontato.
Gli sorrise.
“Mmmm, potresti stare da me un paio di giorni fino al mio compleanno... la sera del 24 potresti tornare a casa, il giorno di Natale lo passiamo in famiglia e il 26 potrei venire io da te. Holmes Chapel e Donny non possono essere poi così distanti!”
“Un’ora e quarantanove minuti di treno, con due cambi. Oppure due ore e quattro minuti e un cambio solo,” così dicendo Harry ricambiò il sorriso e Louis avrebbe solo voluto abbracciarlo e non lasciarlo andare mai più.
“Ho una macchina a casa, sai?”
“Sono comunque due ore, devi girare intorno al Peak District National Park e passare per Manchester. Oppure puoi tagliare in mezzo al parco ma non cambia granché. Preferisco passare per Manchester.”
“Da quando sei così ferrato in viabilità?”
“Gemma ha fatto l’università a Sheffield,” fece spallucce il ricciolino.
“Quindi il mio piano è stato approvato?”
Il sorriso di Harry si allargò ulteriormente e un istante dopo il viso di Louis venne inondato dai suoi riccioli mentre le loro labbra si toccavano. 

NOTE.
Chiedo umilmente perdono per aver saltato l'aggiornamento di settimana scorsa, e questa settimana posto con un giorno di anticipo un po' per farmi perdonare e un po' per non dimenticarmelo di nuovo. Da settimana prossima prometto di tornare regolare al martedì :D
(Lo so, sono un disastro xD).

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Capitolo 10
*** In cui Louis e Harry litigano ma fanno anche pace ***


DANCE INSIDE

What makes the one to shake you down?
Each touch belongs to each new sound
Say now you want to shake me too
Move down to me, slip into you

In cui Louis e Harry litigano ma fanno anche pace           
Harry aprì controvoglia gli occhi al suono della sveglia.
Si girò cercando il corpo di Louis, ma di fianco a lui trovò solo un groviglio di lenzuola e coperte vuote. Dal bagno arrivava il rumore del getto dell’acqua della doccia e gli sembrava così strano che Louis si fosse alzato prima che la sveglia suonasse, che prese il cellulare dal comodino per controllare l’ora. Il display segnava le otto e trentadue minuti, ovvero mezzora dopo rispetto all’ora in cui Harry aveva puntato la sveglia, il che significava che Louis si era alzato e gliel’aveva modificata per lasciarlo dormire un altro po’ mentre occupava lui la doccia.
Sorrise, arrotolandosi nelle coperte e finendo con la testa sul cuscino di Louis.
Gli ultimi giorni erano stati deliranti, Zayn aveva preso il loro salotto come base per preparare la festa a Niall – e Harry non voleva nemmeno sapere come avrebbe trasportato da lì a casa di Niall tutte le decorazioni che aveva preparato – Liam andava e veniva come un cagnolino bastonato e si era fermato a dormire già due volte e la sera prima – ovvero la prima sera che lui e Louis passavano completamente soli da quando Niall aveva traslocato - i due avevano finito con l’addormentarsi sul divano, reduci com’erano da ben tre feste di compleanno a cui avevano presenziato in un solo pomeriggio - e ancora si chiedeva come avesse fatto Liam a incastrare i tre impegni in maniera così impeccabile. A un’ora non meglio definita Louis si era svegliato e in qualche maniera era riuscito a trascinarlo a letto – l’ex letto di Niall, che avevano colonizzato da quando l’amico se n’era andato – ma Harry se lo ricordava molto vagamente, probabilmente aveva ripreso sonno nell’esatto istante in cui la sua testa aveva toccato il cuscino.
Sbadigliò sonoramente e capì che se non si fosse alzato avrebbe finito con l’addormentarsi di nuovo e da lì a poco più di un’ora si sarebbero dovuti incontrare con Liam per lavoro, così si costrinse ad uscire da sotto le coperte e si trascinò in bagno. Si lavò distrattamente i denti e mentre si asciugava la faccia, lo specchio di fronte a lui gli fece notare che i suoi capelli avevano decisamente bisogno di una lavata - e magari lui di una doccia veloce, già che c’era. Peccato che la doccia fosse ancora impegnata – Louis non si era nemmeno accorto della sua presenza, fra lo scrosciare dell’acqua, il vetro che li separava e il fatto che stava canticchiando una canzone che aveva le vaghe sembianze di Teenage Dirtbag dei Wheatus – e che... Improvvisamente Harry arrossì fino alla punta delle orecchie, in maniera così palese che riuscì proprio a vedere attraverso lo specchio il rossore salirgli dal collo e inondargli il viso. Harry scosse la testa con violenza come a voler negare tutti i pensieri che l’avevano appena investito, ma l’unica cosa che ottenne fu di riuscire ad auto frustarsi le guance con i capelli.
I pensieri erano ancora lì.
Louis era sotto la doccia.
Louis era a mezzo metro di distanza da lui completamente nudo.
Ed erano soli in casa.
E l’amico che viveva nei suoi boxer – l’unica cosa che indossava – improvvisamente aveva capito che era mattina e che era ora di svegliarsi.
Harry non era abituato ad agire d’istinto, a fare la prima cosa che gli passava per la testa senza fermarsi un attimo a rifletterci sopra, eppure si accorse di aver lasciato cadere l’asciugamano, di aver fatto scorrere il vetro che separava il vano doccia dal resto del bagno e di essere entrato nella doccia solo quando un getto di acqua bollente gli arrivò dritto sul petto, facendolo sobbalzare.
Anche Louis sobbalzò, girandosi di scatto verso di lui e mettendosi a ridere quando lo vide.
“Sei solo tu, mi hai fatto spaventare Harry!”
Già, era solo lui.
Sotto alla doccia con Louis.
Con solo i boxer addosso.
Louis non aveva nemmeno quelli.
E dio, se era bello, perché era così bello?
E non si sentiva imbarazzato da quell’incursione?
“Ti sei accorto di essere mezzo vestito, vero?” Louis indicò con un cenno i suoi boxer e cavoli, quello era il suo problema? Il fatto che Harry si stesse bagnando i boxer?
Le loro labbra si toccarono.
Louis finì con la schiena contro al muro e si aggrappò con le mani ai fianchi di Harry attirandolo a sé.
Harry non sapeva bene come, ma si era liberato dei boxer, una mano di Louis ora gli stava accarezzando i capelli impedendogli allo stesso tempo di interrompere quel bacio infinito anche se aveva bisogno di aria, e l’altra mano... con le dita stava tracciando i contorni dei suoi fianchi ed era così vicina, così pericolosamente vicina alla sua erezione che Harry soppresse un urlo sulle labbra di Louis, premendogli ancor di più contro le proprie. Louis cercò di scostarsi per prendere aria e stavolta fu il turno di Harry di impedirglielo.
Harry si appoggiò con una mano al muro dietro Louis, urtando il rubinetto e facendo intensificare il getto d’acqua su di loro. Fece scivolare l’altra mano sull’erezione di Louis e finalmente concesse a entrambi un po’ di aria staccando le labbra da quelle dell’altro e facendole scorrere sul suo collo, e poi nell’incavo della spalla per poi fermarsi lì a lasciarsi riempire le orecchie dai gemiti di Louis, che ora gli stava stringendo con forza una ciocca di capelli mentre con l’altra mano rompeva a sua volta gli indugi.
“Alla buon’ora, Styles,” gli disse Louis poco dopo, il respiro ancora accelerato, mentre si staccavano l’uno dall’altro. “Stavo iniziando a pensare che mi avresti fatto aspettare fino al matrimonio anche solo per vederti completamente nudo,” aggiunse alzandosi sulle punte per baciarlo di nuovo.
“Senti chi parla,” mormorò Harry attirandolo a sé fino a che a separarli rimasero solo le goccioline d’acqua che scorrevano sulle loro pelli.
E poi ricominciarono tutto da capo.
 
“Liam ci ucciderà,” disse Harry saltellando su una gamba sola mentre cercava di infilarsi i jeans il più velocemente possibile.
“Che si fotta Liam, non siamo mica al suo servizio.”
Louis era davanti all’armadio con solo i boxer addosso, e stava contemplando i suoi vestiti da almeno dieci minuti indeciso su cosa mettersi. Peccato che se c’era una cosa che Harry aveva imparato in quei mesi, era proprio che a Louis tendenzialmente non importava nulla di come uscisse di casa, quindi era abbastanza sicuro che lo stesse facendo solo per fargli contemplare il suo corpo mezzo nudo, che per inciso Harry trovava assolutamente meraviglioso e irresistibile.
“Tecnicamente siamo al suo servizio,” gli fece notare cercando di pensare ad altro. Come ad esempio al fatto che, sempre tecnicamente, Liam poteva licenziarli e che senza Niall sarebbe stato un enorme problema se fossero rimasti nuovamente entrambi senza lavoro.
“Payno è un bravo ragazzo, quando gli spiegheremo il motivo del ritardo vedrai che capirà.”
“Non ho nessuna intenzione di spiegare a nessuno proprio niente,” così dicendo Harry si infilò le scarpe, afferrò la prima maglia che vide abbandonata sul pavimento e la fece indossare con la forza a Louis.
E poi si ritrovò con le spalle premute contro l’armadio e le mani di Louis che gli si infilavano di prepotenza sotto alla camicia e le labbra di Louis premute contro le proprie e sì, in fondo che si fottesse Liam.
 
***
 
Louis si appoggiò con i gomiti alla ringhiera del terrazzo di Niall – perché Niall aveva perfino un terrazzino nel suo nuovo appartamento – e si accese una sigaretta. Era la quarta, o forse addirittura la quinta, della serata e sapeva che avrebbe fatto meglio a darci un taglio ma era più forte di lui, quando era nervoso fumare era l’unica cosa che lo calmava. Innanzitutto era irritato perché erano tre giorni che Liam apriva bocca solo per sgridarlo – o per meglio dire, insultarlo – perché quella mattina di qualche giorno prima lui e Harry si erano presentati al lavoro con quasi tre quarti d’ora di ritardo e quando lui aveva tentato di accampare qualche scusa su un guasto alla metropolitana, Liam aveva iniziato a indicare il succhiotto vistoso che Louis non si era nemmeno accorto di avere poco sopra la linea della clavicola, mettendo in imbarazzo Harry e continuando a farlo per i tre giorni a seguire. Secondariamente era irritato perché a quella festicciola che doveva essere in onore della nuova sistemazione di Niall e di Niall, Zayn aveva invitato praticamente tutti quelli che conosceva e ora l’appartamento era così pieno di gente che si riusciva a malapena a muoversi. Questo però era niente, la cosa peggiore di tutte era che nel passaparola di Zayn erano finiti anche Calvin e Oliver, ovvero i suoi due ex coinquilini nonché ex amici, che non ci avevano pensato due volte a sbatterlo fuori casa quando era stato licenziato dal suo precedente impiego. Col senno di poi, quello era stato l’evento che aveva messo in moto tutti quelli successivi che l’avevano portato a conoscere Harry e quindi andava bene così, questo comunque non significava che fosse propenso a mettersi a socializzare con quei due come se nulla fosse accaduto.
“Non dovresti fumare così tanto,” Harry era comparso al suo fianco, gli aveva sfilato la sigaretta dalla bocca e l’aveva lanciata oltre la ringhiera. Sorrise suo malgrado, era buffo come Harry avesse preso un sacco di abitudini che lui aveva – come quella di lanciare in giro mozziconi di sigaretta.
“Possiamo tornarcene a casa?” lo supplicò.
“Ma se eri così entusiasta di questa festa...”
“Sì, questo era prima di scoprire che Zayn aveva invitato praticamente tutti. La cosa più triste è che sono abbastanza sicuro che Niall non conosca nessuno a parte me, te, Liam e quel cretino.”
“La cosa più triste è che io Niall non l’ho nemmeno visto, ho beccato solo Zayn... che mi ha presentato il famoso cugino Jawaad.”
A quelle parole Louis si mise sull’attenti.
Non aveva mai pensato all’eventualità che Harry potesse conoscere Jawaad, il che era stato piuttosto stupido da parte sua, visto che il ragazzo era il cugino di Zayn e Zayn uno dei suoi migliori amici, e questo poteva essere potenzialmente un problema perché a differenza di Zayn, Jawaad non era molto bravo a distinguere le informazioni da divulgare al pubblico da quelle che era meglio si tenesse per sé.
Ecco, ora era ancora più agitato di prima e aveva un disperato bisogno di una sigaretta, peccato che Harry avesse lanciato giù dal terrazzo l’ultima che gli era rimasta.
Poteva andare a elemosinarne una a Zayn, oppure a Liam – anche se avrebbe significato sorbirsi un’altra ramanzina – ma non poteva lasciare Harry da solo e rischiare che si mettesse a parlare con Jawaad. Magari poteva lasciar perdere la sigaretta e raccontare lui a Harry quello che non voleva scoprisse da Jawaad.
“Potrei aver avuto un periodo da spacciatore. Non uno spacciatore serio, diciamo che rivendevo la mia roba a un prezzo leggermente più alto, il tutto per riuscire a mantenere me stesso e quei due deficienti che non so come sono finiti a questa festa. Sai, i miei ex coinquilini, quelli che reputavo miei amici da quando avevamo tipo due anni?” sputò d’un fiato. Harry sgranò gli occhi. “Roba leggera, niente di che... era solo erba, dai lo sai che me ne passava un sacco fra le mani... mica potevo fumarmela tutta! Per quel paio di canne che mi faccio una volta ogni tanto-“
“Fumi ancora erba?!”
Merda, pensò Louis. Perché Harry era così esageratamente ingenuo? Ovvio che ogni tanto con Zayn si lasciasse un po’ andare, cosa c’era di male? Era solo una bravata come un’altra fra amici e... no, dallo sguardo di Harry comprese che per lui non era solo una bravata come un’altra fra amici, se poi ci si aggiungeva la confessione di quella sorta di spaccio che faceva... Merda.
“Pensavo che... Niente, forse dovrei smettere di pensare,” sospirò Harry distogliendo lo sguardo da lui. Sembrava indeciso sul da farsi, come se stesse ponderando se stare lì con lui o prendere e andarsene il più lontano possibile. “Sai, penso che Niall non sia nemmeno qui. Me ne torno a casa, sono stanco.”
Ecco, aveva ponderato e aveva ponderato per il prendere e andarsene.
Louis avrebbe voluto mettersi a urlare.
“Mi hai chiesto di non far più entrare erba in casa e l’ho fatto, ora che problemi hai?” sbottò e avrebbe voluto rimangiarsi ogni singola parola nell’esatto istante in cui vide un’espressione ferita comparire sul volto di Harry. Perché era patologicamente non in grado di tenere la bocca chiusa?
“Non ho nessun problema. Tu in compenso sembri averne molti e io me ne vado a casa perché sono stanco.”
E se ne andò.
Gli voltò le spalle e sparì senza aggiungere altro e meno di mezzo minuto più tardi Louis lo vide sul marciapiede sotto di lui con il cellulare all’orecchio. Cinque minuti dopo spuntò un taxi, e Harry ci salì ancor prima che fosse completamente fermo. Era così impaziente di allontanarsi da lui che aveva perfino chiamato un taxi per tornare a casa.
Louis diede un calcio alla ringhiera e poi andò a cercare Zayn.
Non voleva rimanere a quella stupida festa nemmeno un secondo di più, ma non poteva nemmeno seguire Harry e tornare a casa.
 
“Sei inquietante.”
“Non dirlo.”
“È la verità.”
Zayn era seduto a gambe incrociate su una poltrona del suo immenso salotto e stava fissando Louis che invece era sdraiato sul divano.
“Anche Harry lo dice sempre, che sono inquietante quando sto zitto.”
“Ripeto, è la verità. Parli perfino nel sonno, sei insopportabile.”
“Non me lo dirà mai più,” mugugnò girandosi e affondando la testa nel cuscino dello schienale.
“Perché avete sempre queste reazioni esagerate nei confronti l’uno dell’altro? Litigate senza litigare veramente e poi quello che ti deve sopportare sono io.”
“Non era mai successo da quando ci siamo messi insieme,” Louis si mise seduto e guardò l’amico tirando su con il naso, era a tanto così dal mettersi a piangere e non gli capitava di aver voglia di piangere da anni.
“Andiamo fuori, hai bisogno di fumare qualcosa di forte.”
“Seriamente, Zayn? Harry mi ha lasciato per colpa di una stupida canna e tu mi proponi di andare a fumare per dimenticare?”
“Harry non ti ha lasciato,” cercò di farlo ragionare Zayn.
“Mi ha perfino sbattuto fuori casa, come lo chiami tu questo?”
“Non ti ha sbattuto fuori casa e anzi, sarà perfino preoccupato per te conoscendolo.”
Louis sospirò.
Era abbastanza sicuro che Harry l’avesse sbattuto fuori casa, se no che senso aveva il fatto che fosse da Zayn? Soprattutto considerando che al momento anche Liam viveva lì, e che era tornato a casa giusto mezzora prima e aveva messo in chiaro che lui non aveva nessuna intenzione di dividere la stanza o il letto o qualunque cosa con Louis, non fino al momento in cui si fosse deciso ad ammettere che quell’ormai famosa mattina aveva sbagliato a presentarsi in ritardo al lavoro e si fosse scusato. E comunque anche Harry era arrivato in ritardo, perché con Harry non ce l’aveva così tanto? Sembrava quasi che il mondo stesse cospirando per rendere Louis Tomlinson un povero disadattato emarginato, e in realtà disadattato lo era già, come gli aveva fatto notare Harry più volte agli inizi della loro conoscenza.
Sentì il cellulare vibrare ma pensò che non valesse neanche la pena di alzarsi a controllare, probabilmente era solo Liam che gli ricordava che non voleva dividere la stanza con lui.
Fu Zayn ad alzarsi a recuperare il telefono che aveva appoggiato sul tavolo.
“Cosa ti avevo detto?” chiese con aria trionfante lanciandogli il cellulare sul divano.
Louis lo prese e lesse il messaggio.
Sono le due meno un quarto. Di notte.
Era Harry.
Harry che non usava mai una cavolo di emoticon nemmeno a puntargli una pistola alla testa, perché evidentemente ad Holmes Chapel non le avevano ancora inventate, un po’ come la metropolitana.
Era un sono le due di notte torna a casa ti prego?
Oppure un sono le due di notte, spero che tu sia morendo di overdose in un vicolo buio e pieno di immondizia? Perché probabilmente nella testa di Harry si poteva morire di overdose per un po’ di erba fumata una volta ogni tanto.
Quindi? gli rispose dopo un attimo.
Quindi DOVE SEI? la risposta gli arrivò quasi istantaneamente.
Ah, quindi prima lo lasciava, gli ingiungeva di fare le valige e andarsene e poi si preoccupava?
Okay, forse Zayn aveva ragione, forse Harry non aveva fatto nessuna di quelle cose, ma era sicuro che avesse avuto una reazione esagerata.
“Anche tu hai avuto una reazione esagerata. Fammi la cortesia di tornartene a casa, fate sesso riparatore e smettetela di comportarvi da bambini dell’asilo.”
Ecco, Zayn che gli leggeva nella mente meglio di un telepate, quello sì che era inquietante.
“Non siamo ancora arrivati a quel livello,” borbottò Louis, giusto per dire qualcosa.
“Be’, allora vai a fargli un pompino riparatore o qualunque altra cosa facciate, ma vattene e non farti più vedere fino a quando non avrete fatto pace.”
Stava per replicare al tono esasperato di Zayn quando il cellulare gli vibrò nuovamente fra le mani.
:(
Harry Styles aveva appena usato un’emoticon.
Questo era anche più inquietante del proprio silenzio o della telepatia di Zayn.
“Dammi i soldi per il taxi,” disse alzandosi e Zayn roteò gli occhi.
“Devi proprio essere bravo con i pompini se quel povero martire non ti ha ancora defenestrato.”
 
Louis non era ancora arrivato in cima alle scale che la porta dell’appartamento si aprì e ne sbucò la massa di ricci di Harry, seguita dal suo proprietario che scrutava il pianerottolo con espressione preoccupata.
“LOUIS!” urlò quando lo vide e gli corse incontro fiondandosi fra le sue braccia.
“Zitto, sveglierai tutto il palazzo,” gli sussurrò Louis accarezzandogli i capelli e sorridendo di come Harry riusciva a farsi piccolo piccolo per stare fra le sue braccia.
“STRONZO,” urlò poi divincolandosi dal suo abbraccio, come se non fosse stato lui a buttarglisi addosso.
Louis gli afferrò la mano e lo trascinò all’interno dell’appartamento, ci mancava solo di finire quella nottata infinita con una denuncia per schiamazzi.
“Sentiamo, ora perché sarei uno stronzo?” gli chiese chiudendosi la porta alle spalle.
“Non mi hai più risposto.”
Vero, dopo la faccina triste Louis si era fatto prendere dall’ansia di tornare a casa a rassicurare Harry – anche se in realtà sarebbe dovuto essere Harry a rassicurare lui, visto che era stato lui a prendere e andarsene mollandolo da solo alla festa – e non gli aveva più risposto. Notò che Harry era vestito di tutto punto ma in maniera diversa rispetto a qualche ora prima, segno che quando era tornato a casa si era messo comodo e poi invece si era rivestito per uscire. Magari a cercare lui. Louis si sentì improvvisamente in colpa.
“Be’, sono qui no?” tentò di minimizzare.
“Nemmeno Niall mi risponde. Non era alla festa e non mi risponde ai messaggi.”
“Quindi ora sono sullo stesso piano di Niall?”
Louis voleva solo scherzare ma Harry prese a fissarlo con la massima serietà.
“È che... non voglio più litigare con te Lou.”
Louis gli si avvicinò, gli afferrò la camicia e lo attirò a sé.
“Litigheremo ancora... e continueremo ad avere reazioni esagerate... ma come dice Zayn, sono così bravo a fare pompini che non mi lascerai mai,” gli sussurrò a fior di labbra.
Harry scoppiò a ridere, prima di colmare quel poco di distanza che c’era fra loro e baciarlo.
“In realtà non lo so mica quanto tu sia bravo,” gli disse quando si staccarono.
“Mi stai sfidando Styles?” gli chiese, ma non gli lasciò il tempo di rispondere. Lo spinse contro il muro e ricominciò a baciarlo mentre con le mani gli sbottonava i jeans e glieli faceva scivolare via a fatica – dannata la sua mania dei jeans stretti. Era un territorio del tutto nuovo e inesplorato per Louis, ma l’unica cosa che voleva in quel momento era sentire Harry gemere di piacere come qualche mattina prima nella doccia, stavolta senza il rumore dell’acqua di mezzo, voleva sentire solo Harry, voleva vivere per un po’ in un mondo in cui esistevano solo lui e Harry, in cui Harry gli passava una mano fra i capelli stringendoglieli forte mentre lui si abbassava, in cui Harry appoggiava la testa contro al muro mordendosi un labbro tentando di sopprimere un gemito più forte degli altri senza riuscirci, in cui Harry poi si avventava sulle sue labbra come se da quel contatto ne dipendesse la sua stessa vita, leccandogli via i residui del suo stesso sapore e sorridendogli teneramente come se non fosse mai successo nulla di brutto, come se non avessero mai litigato.
In cui Harry si staccava dalle sue labbra solo per avvicinarsi al suo orecchio e sussurrarci dentro, non hai idea di quanto ti amo.
 
***
 
Harry si svegliò quando un brivido di freddo gli percorse il corpo.
Aprì gli occhi al suono della voce di Louis che imprecava mentre tentava di riavvolgere loro intorno la coperta di pile che era scivolata via.
Si rese conto che dovevano essersi addormentati sul divano la notte prima - perché erano ancora lì, accoccolati uno vicino all’altro, completamente nudi e con solo quella coperta a proteggerli dal freddo di dicembre - e si sentiva addosso una stanchezza opprimente, come se non avesse dormito più di un paio d’ore.
“Ringrazia il tuo amico Horan,” bofonchiò Louis facendo riemergere da sotto la coperta una mano, nella quale teneva il cellulare di Harry che doveva aver recuperato dalla tasca dei suoi pantaloni che erano buttati per terra da qualche parte.
Harry sbatté un paio di volte le palpebre prima di riuscire a mettere a fuoco ciò che Louis gli stava mostrando.
Sei chiamate non risposte e quattordici messaggi, tutti da Niall, il primo dei quali sembrava essere arrivato alle cinque e quaranta, ovvero... poco più di venti minuti prima? Ecco perché si sentiva così stanco, perché aveva letteralmente due ore di sonno sulle spalle.
Avrebbe voluto prendere il cellulare e scorrere i messaggi, ma questo avrebbe significato abbandonare per un istante la sua posizione accucciato sul petto di Louis e non era sicuro di volerlo fare, nemmeno per sei chiamate e quattordici messaggi di Niall a quell’ora del mattino. Fortunatamente non ci fu bisogno di farlo, perché Louis aprì la cartella dei messaggi e si mise a leggerglieli ad alta voce imitando l’accento irlandese dell’amico.
SOS.
Sono a Victoria.
Seduto sul marciapiede, dalla parte di Starbucks.
HARRY!
HARRY S-O-S!
Cazzo, ti vuoi svegliare?
Non farmi venire fino a lì, ti prego :(
Harry ho DAVVERO bisogno di te.
Sono a pezzi...
HARRY SVEGLIATI!
HARRY SOS :’(
HARRY SOS :’(
HARRY SOS :’(
HARRY SOS :’(
“Immagino questi significhi che abbiamo finito di dormire,” sospirò Louis ma Harry non voleva assolutamente uscire da sotto a quella coperta e allontanarsi dall’altro, nonostante la preoccupazione avesse iniziato a farsi prepotentemente strada in lui già al primo SOS.
“Non può venire lui qui?” mugugnò strusciando la guancia sul petto di Louis.
“Immagino di no, tesoro,” gli rispose l’altro teneramente e Harry no, non voleva proprio alzarsi. Poi oltre alla preoccupazione, si fece largo in lui anche il senso di colpa, visto che un buon amico sarebbe saltato in piedi solo a vedere il numero di chiamate non risposte e così si decise a staccarsi da Louis.
Fuori diluviava e impiegarono mezzora buona ad arrivare a Victoria e quando finalmente furono lì, il cuore di Harry quasi si spezzò alla vista dell’amico. Niall era seduto sul marciapiede a gambe incrociate, bagnato fradicio e incurante della pioggia, con sul volto aveva dei chiari segni di rissa, come se avesse fatto a botte con qualcuno. Corse da lui lasciando il riparo dell’ombrello che teneva Louis e gli si inginocchiò di fianco stringendolo forte. Non appena Niall sentì le braccia di Harry che lo avvolgevano affondò il viso nel suo cappotto e iniziò a singhiozzare. A un tratto la gocce di pioggia smisero di scivolare loro addosso e Harry vide che Louis gli si era avvicinato e li stava proteggendo entrambi con l’ombrello, bagnandosi lui al loro posto. Strinse ancora più forte Niall, non l’aveva mai visto così vulnerabile, così scosso e così distrutto e i segni che aveva sul viso lo facevano preoccupare ancora di più ma l’amico sembrava incapace di smettere di singhiozzare e Harry decise che il momento delle spiegazioni poteva aspettare.
Quando Niall si calmò lo fece alzare e piano piano si avviarono verso casa, tutti e tre insieme.
In metropolitana nessuno aprì bocca, ma Niall non lasciò la mano di Harry nemmeno per un secondo, la stringeva forte quasi avesse paura che l’amico potesse svanire nel nulla da un momento all’altro e Harry stringeva forte la mano di Louis perché era terribilmente preoccupato per Niall. Chissà che bel quadretto dovevano formare visti da fuori, seduti uno di fianco all’altro tenendosi mano nella mano, bagnati fradici ed esausti come se stessero tornando da una notte brava fatta di alcol e allucinogeni. Quando arrivarono a casa Louis costrinse tutti a cambiarsi e a infilarsi qualcosa di asciutto addosso e Harry non sapeva cosa lo facesse sorridere di più fra Niall avvolto in una delle tute di Louis, e Louis che in tempi di crisi era sempre quello che si prendeva cura di tutti con tutto l’affetto di cui fosse capace. Aveva anche preparato cioccolata calda per tutti e ora erano seduti sul divano a scaldarsi con Louis che gli massaggiava i capelli con un asciugamano nel tentativo di asciugarglieli.
“Grazie,” mormorò Niall portandosi la tazza alla bocca. “Non pensavo mi sarei mai ritrovato a ringraziare Tomlinson,” sorrise timidamente.
“Horan, spero tu abbia un buon motivo per averci buttato giù dal letto,” replicò Louis simulando irritazione e Niall stavolta rise, anche se debolmente.
“Non pensavo nemmeno che avrei potuto combinare un guaio più grosso di quelli che combini tu.”
“Finalmente qualcuno che ammette che non sono il male peggiore del mondo, inizi quasi a starmi simpatico Nialler.”
Harry rise dell’espressione tronfia di Louis, che stava riuscendo a far parlare Niall senza fargli il terzo grado e senza pressarlo in alcuna maniera. Sapeva che quei pensieri erano del tutto fuori luogo in una circostanza simile, ma Harry si sentiva così pieno di amore nei confronti del ragazzo che non riuscì a fare a meno di passargli una mano dietro la schiena stringendogli poi il fianco.
“Non sono sicuro di poter parlare in presenza del tuo ragazzo,” gli disse Niall.
“Mi rimangio quello che ho appena detto,” bofonchiò Louis abbandonando l’asciugamano sui capelli di Harry e appoggiando il mento alla sua spalla, cingendogli a sua volta il fianco.
“Scusa, ma sei il miglior amico di Zayn e forse è meglio che Zayn non ne sappia niente.”
Il clima si fece di nuovo serio e Niall prese la coperta che c’era abbandonata sul bracciolo del divano e se la strinse addosso.
“Louis non dirà niente a Zayn se non vuoi, puoi fidarti di lui... vero Lou?”
Louis annuì e Niall li fissò entrambi per qualche istante, continuando a sorseggiare la cioccolata. Poi si decise a parlare.
“Presente Juliet? Ecco... diciamo che non... giuro che non volevo tenertelo nascosto Harry, è solo che non so, pensavo che se stavolta me lo fossi tenuto per me, allora sarebbe rimasto un segreto per chiunque.”
“Hai ripreso a vederti con lei?!” Harry sospirò, in fondo i suoi dubbi si stavano rivelando fondati e iniziava a capire l’origine dei segni sulla faccia dell’amico.
“Non ho mai smesso a dire il vero... solo che ieri Mark l’ha scoperto. L’ha scoperto di nuovo intendo... ci ha proprio trovati insieme, non ho idea di come abbia fatto, eravamo al Belgrave Hotel a mangiare pizza in camera, non ho proprio idea di come abbia fatto a scoprirlo o a trovarci o... non lo so, credo l’abbia fatta seguire. Immaginate da soli come mi sono procurato i lividi sul viso.”
Harry si staccò da Louis e andò ad accoccolarsi vicino a Niall che posò la testa sulla sua spalla e si lasciò abbracciare.
“Non capisco cosa c’entri Zayn in tutto questo,” si intromise Louis.
“Mark ha scoperto dove lavoro, penso fosse da un po’ che la faceva seguire... o che faceva seguire me... Credo che quando andrà ad aprire stamattina, lo zio di Zayn si troverà un paio di vetrine in frantumi...” le ultime parole si persero in un singhiozzo perché il ragazzo aveva ricominciato a piangere.
“E poi dicono che io sia un pessimo soggetto,” commentò Louis avvicinandosi a loro, dando a Niall un’affettuosa pacca sulla testa. “La famiglia Malik è piena di soldi da fare schifo, non ne hai idea, riparare due stupidi vetri per loro è meno impegnativo che per noi andare a fare colazione da Starbucks. E non c’è bisogno che qualcuno a parte i presenti sappia perché qualche psicopatico abbia deciso di spaccare proprio quel vetro fra i mille di Londra.”
Niall alzò lo sguardo speranzoso verso Louis, e anche Harry si voltò verso di lui, con lo sguardo adorante. Louis, Louis che era stato la sua ancora dal giorno in cui si erano incontrati ora si prendeva cura anche dei suoi amici.
“Però devi chiudere questa storia, chiuderla per davvero, Horan.”
A quelle parole di Louis, Niall spostò lo sguardo su Harry tirando sonoramente su con il naso.
“E se la amassi?” mugugnò aggrappandosi ancora di più a lui.
E Harry si rese conto che in quel caso avrebbero avuto proprio un bel problema.

NOTE.

Nella mia testa questo, come alcuni dei capitoli precedenti, doveva essere pieno di angst e di tristezza e di cose brutte MA come vi ho già raccontato qualche nota fa, alla fine mi è uscito tutto fluff, tutto rose, arcobaleni e unicorni (poor Niall btw xD).
Volevo ringraziare di cuore tutti voi che state seguendo questa storia, la state seguendo/mettendo nei preferiti/commentando, mi procurate sempre tanta gioia <3
E mancano due capitoli + l'epilogo alla fine!

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Capitolo 11
*** In cui è il compleanno di Louis e Harry si sente a casa ***


NOTE.
Stavolta ve le metto all'inizio, così... per consigliarvi di leggervi il capitolo ascoltandovi Home all'infinito. Giusto per gradire e perché io l'ho fatto mentre lo rileggevo per postarlo <3
E già che ci sono, vi ricordo anche che il prossimo sarà l'ultimo capitolo prima dell'epilogo, insomma, che fra due settimane sarà tutto finito e sarà tutto rose, cuore, arcobaleni e unicorni!
 

DANCE INSIDE

What makes the one to shake you down?
Each touch belongs to each new sound
Say now you want to shake me too
Move down to me, slip into you 


 

In cui è il compleanno di Louis e Harry si sente a casa
Harry si stiracchiò sbadigliando quando la voce metallica pre-registrata lo informò che il treno stava per fermarsi alla stazione di Doncaster. Aveva cambiato leggermente il piano iniziale che prevedeva che lui passasse tutta la prima parte delle vacanze natalizie da Louis, perché Niall gli sembrava così abbattuto che non aveva avuto cuore di lasciarlo solo, e così se l’era trascinato a Holmes Chapel per fargli cambiare aria. Era poi riuscito a convincerlo a tornare in Irlanda dalla sua famiglia almeno per Natale, e quella mattina sua madre aveva insistito per accompagnarlo in macchina all’aeroporto di Manchester. Si era offerta di scarrozzare anche lui a Doncaster subito dopo, ma Harry aveva preferito comunque prendere il treno. Era già nervoso all’idea di conoscere la famiglia di Louis, ci mancava solo che dovesse farlo con la mamma al seguito. Non aveva idea di cosa lo aspettasse, non sapeva molto della sua famiglia, tranne che erano abbastanza da mettere in piedi una squadra di calcetto con tanto di riserve, ma era sicuro che Louis non si fosse mai presentato a casa con un ragazzo, così come non era del tutto sicuro che la sua famiglia sapesse che lui fosse il suo ragazzo per l’appunto. E se Louis l’avesse presentato come “il suo amico Harry”? Non sarebbe stato poi così incomprensibile, ma Harry sapeva che ci sarebbe rimasto male quanto bastava da afferrare il suo piccolo trolley rosso e tornarsene a piedi in stazione. Scrollò la testa, Louis non aveva mai avuto peli sulla lingua riguardo a nulla, perché invitarlo – anzi, insistere – a passare il suo compleanno con lui a Doncaster, se non aveva intenzione di presentarlo alla sua famiglia per ciò che era realmente? Sbuffò mentre si alzava e afferrava il trolley, avviandosi in fondo al vagone mentre il treno rallentava in prossimità della stazione. Gemma e Niall avevano ragione – perché ovviamente aveva passato l’intera nottata a stressarli – si faceva troppe paranoie. Una volta sceso dal treno si guardò intorno leggermente spaesato, non che si aspettasse un comitato di accoglienza con tanto di banda, ma aveva dato per scontato che Louis venisse a prenderlo, peccato che non ci fosse segno della sua presenza. Era però vero che il ragazzo aveva la spiccata tendenza a perdere il senso del tempo, per cui decise di lasciarsi alle spalle il binario e di andare ad aspettarlo nell’atrio della stazione. Non fece però a tempo a percorrere nemmeno due metri, che un ragazzo gli andò incontro di corsa e lo abbracciò con trasporto.
“Harry!” esclamò con il fiatone. Harry rimase immobile, un po’ a disagio fra le braccia dello sconosciuto. “Scusa il ritardo, ma il cambio di quella stupida macchina da sempre problemi.”
“Scusa, ci conosciamo?” gli chiese Harry staccandosi e osservandolo confuso.
“Coooome? Non posso credere che Tommo non ti abbia mai parlato di me, seriamente?” rispose lui assumendo un’aria offesa. “Sono Stanley,” così dicendo allungò una mano che Harry strinse, capendo finalmente cosa stava succedendo.
“Stanley come Stan, il migliore amico di Louis?”
“Oooh, finalmente ragioniamo! Certo che poteva farti vedere qualche mia foto, io sono stato inondato di tue foto! Come se questo non bastasse, prima di allungarmi le chiavi della sua macchina mi ha anche fatto una descrizione molto accurata e ci ha preso in tutto! Ha detto che saresti stato l’unico ragazzo riccio che scende dal treno vestito di tutto punto, come se invece di andare a Donny stesse andando a un party esclusivo. Cavoli, ci ha proprio preso.”
Stanley rise e gli diede una pacca sulla spalla come se fossero amici dai tempi dell’asilo.
“E Louis?” chiese Harry, più per dire qualcosa che per altro, visto che era evidente che il ragazzo non era lì.
“Come ti ho detto, mi allungato le chiavi della sua macchina e mi ha ingiunto di venirti a prendere... Jay l’ha mollato con i gemelli per andare a fare la spesa,” Stan fece spallucce come se fosse tutto nella norma. “Quindi preparati a fare un giro sulla Tommo mobile, e a rimanere probabilmente a piedi a metà strada. Odio quel dannato cambio, come regalo di compleanno dovremmo fare una colletta e dargli i soldi per farlo riparare.”
Harry non riuscì a reprimere una risata quando salì sulla fantomatica macchina di Louis, una vecchia Mini che sembrava uscita da un robivecchi, con un cuscino e un pupazzetto dei Rovers sul sedile posteriore e la sciarpa del Manchester United arrotolata intorno allo specchietto retrovisore. C’erano anche un paio di lattine di birra e un sacchetto del McDonald pieno di cartoni di cibo vuoti, nascosti con scarso impegno sotto al sedile del passeggero.
“Sì, quelli potrebbero essere per metà colpa mia,” disse Stan seguendo il suo sguardo. “Ieri sera non avevamo voglia di fare niente in particolare e allora siamo andati al McDrive, e poi siamo rimasti in macchina a chiacchierare.”
Harry annuì e Stan mise in moto, imprecando contro il cambio che a guardare così, sembrava molto più duro di quanto non avrebbe dovuto essere.
“Odio questa macchina, te l’ho già detto? Ma non posso nemmeno lamentarmi troppo, visto che Tommo me la lascia usare ogni volta che ne ho bisogno... da quando si è trasferito a Londra è praticamente diventata mia.”
Sì, Harry non faceva fatica a immaginarsi Louis che condivideva con i suoi amici anche cose importanti come una macchina. In più questo Stan stava iniziando a piacergli a pelle, sembrava spontaneo e genuino proprio come Louis, il che forse era il motivo per il quale i due erano così amici. Non era difficile nemmeno stare nello spazio angusto della macchina da solo con lui, niente silenzi imbarazzanti, niente disagio... tanto c’era Stan che portava avanti la conversazione da solo esattamente come il suo compare. Harry si chiese divertito come facessero a parlare fra di loro se entrambi erano così logorroici.
“Sono proprio felice che tu sia venuto a Donny, anche se da quello che ho capito ripartirai già domani sera... Morivo dalla voglia di conoscerti dalla prima volta che Tommo mi ha parlato di te, ma non sono mai riuscito a venire a Londra,” a quelle parole Harry inarcò un sopracciglio. Ora era curioso, ma non ci fu nemmeno bisogno di fargli qualche domanda per farlo elaborare il pensiero. “E pensa, stava ancora con Eleanor... Era così carino, si è innamorato senza rendersene conto. Non ero abituato a una versione così sdolcinata di Louis, è stato così divertente, dovevi sentire come sospirava per te sostenendo che lui voleva solo essere tuo amico e tu lo odiavi... Be’, non dirgli che te l’ho detto, mi ucciderebbe. Facevamo tutti il tifo per te comunque, dai racconti ci sembravi molto più simpatico di Eleanor. Anche se sono un po’ geloso, non pensavo che Louis avrebbe mai trovato qualcuno a cui volere più bene che a me,” Stan fece finta di lanciargli un’occhiata storta ma durò meno di dieci secondi senza ridere.
“Facevate il tifo per me? Chi?” chiese lui.
“Tutti... io, Jay, le sue sorelle...”
Harry non si era nemmeno accorto di star trattenendo il fiato fino a quando non gli uscì un sonoro sospiro di sollievo dalla gabbia toracica. Così la famiglia di Louis sapeva di loro ancora prima che lui e Louis lo sapessero, e il fatto che Louis avesse stressato praticamente tutte le persone che conosceva con la storia che lui lo odiava, era tipo la cosa più bella che gli fosse mai capitata. Si ritrovò a pensare che tutte le storie che aveva avuto fino a quel momento non fossero state altro che semplici cottarelle passeggere in confronto a ciò che provava per Louis. Non si era mai sentito lo stomaco sottosopra e il cuore così pieno di gioia per dei semplici aneddoti come quelli che gli stava raccontando Stan in quel momento.
“Eccoci arrivati alla Tommo Mansion!” esclamò l’altro fermando la macchina davanti a una casa di mattoni rossi, incurante del fatto che la stava lasciando praticamente in mezzo alla strada.
Scesero dall’auto e Harry lo seguì un pochino più tranquillo, se tutte le persone nella vita di Louis erano come Stan, allora non doveva preoccuparsi di niente. Stan entrò in casa senza suonare, non appena si richiusero la porta alle spalle si mise a urlare, “Tommoooo, ti ho portato il tuo ragazzo sano e salvo!”
“Oh-mio-Dio, è ancora più bello che nelle foto!” esclamò una voce alla sua destra e girandosi Harry vide una ragazzina che non poteva avere più di dodici o tredici anni, sbucare da una porta.
“Phoebe spostati, voglio vedere anch’io!” disse un’altra voce e la prima ragazzina si spostò per fare spazio a una seconda, praticamente identica a lei. “Cavoli!” esclamò a sua volta questa, fissandolo.
“Il collegamento diretto e senza filtri cervello-bocca è una caratteristica di tutti i Tomlinson, farai bene ad abituartici,” lo informò Stan, dandogli un’altra pacca sulla spalla.
“Grazie al cielo, stavo impazzendo,” stavolta fu Louis a parlare e ancor prima di poter capire cosa stesse succedendo Harry si ritrovò con in braccio un bimbo – suppose si trattasse di Ernest, l’ultimo nato, visto che non poteva avere più di un anno. “Devo cambiare Doris, torno subito,” aggiunse prima di sparire su per le scale.
“Doris è la gemella di Ernie,” lo ragguagliò una delle due ragazzine. “Io sono Daisy. Lei è Phoebe. Ti porterei a conoscere Doris ma non è un bello spettacolo quando se la fa addosso. Meno male che c’è Lou, almeno ci pensa lui.”
“Io sono Harry,” si presentò lui sentendosi sciocco a cercare di allungare la mano con Ernie in braccio e il proprio trolley al seguito.
“Lo sappiamo,” risposero all’unisono le gemelle, mentre gli stringevano la mano a turno.
Era strano, Harry si sentiva spaesato dal caos che sembrava regnare in quella casa, ma allo stesso tempo si era sentito a casa non appena ne aveva varcata la soglia. Le sensazioni che provava da quando stava con Louis, e che avevano a che fare con Louis, erano tutte così nuove e strane... Non si era mai sentito a casa in un posto che non fosse casa sua, aveva perfino impiegato mesi a sentirsi a casa nel suo appartamento di Londra, e guarda caso era successo solo dopo l’arrivo di Louis. Un po’ come se Louis fosse diventato sinonimo di casa.
Stan prese il suo trolley e lo guidò su per le scale, fino alla camera di Louis, ingiungendo alle gemelle di smettere di importunarlo. La camera di Louis era esattamente come se l’era immaginata, ovvero piena di poster e gadget delle sue squadre di calcio preferite, le mensole piene di fumetti e videogiochi, e su una parete c’era una vetrinetta con qualche trofeo che Harry immaginò avesse vinto quando ancora giocava a calcio.
“Sì, è piuttosto bravo... se non si fosse infortunato ce l’avrebbe fatta,” commentò Stan seguendo il suo sguardo.
In quel momento arrivò anche Louis, tenendo in braccio una bimba che doveva essere Doris.
“Reggi qua,” disse passandola a Stan con un gesto che voleva sembrare noncurante – come se gli stesse passando un sacco di patate – ma che in realtà Harry notò essere pieno di attenzione. Poi andò verso di lui, gli strinse una mano e lo baciò sulle labbra spostando gentilmente la testa di Ernie.
No, non c’era proprio il pericolo che qualcuno in quella casa non sapesse chi fosse Harry per Louis, ed era tutto così bello che il ricciolino avrebbe voluto mettersi a ballare.
“Posso farvi notare che sono ancora qui e che ci sono ben due minori nella stanza?” chiese Stan e si misero tutti e tre a ridere.
“Lou, guarda che io non ho nessuna intenzione di cucinare, ho già aiutato mamma sia ieri sera che ieri a pranzo,” una ragazza dai lunghi capelli biondi si affacciò alla porta della stanza e Louis alzò gli occhi al cielo.
“Dove cavolo è Fizzy?”
“Fuori.”
“Col suo ragazzo probabilmente,” si intromise Stan.
“Fizzy ha un ragazzo? FIZZY HA UN RAGAZZO? Vi rendete conto che ha quindici anni?” sbottò Louis.
“Sì, ed proprio per le tue reazioni esagerate che ha chiesto a tutti di non dirtelo,” disse la ragazza vagamente irritata. In quel momento si accorse di Harry, che si era seduto sull’angolino del letto di Louis con ancora Ernie in braccio. Harry la vide arrossire vistosamente. “Oh, ciao Harry,” stavolta il suo tono era timido, mentre alzava la mano in un cenno di saluto. Harry le sorrise e fece per alzarsi ma fu lei ad andargli incontro e a prendergli Ernie dalle braccia.
“Non posso credere che Lou ti abbia già messo a fare il babysitter, a nome dell’intera famiglia, mi scuso per i suoi comportamenti inopportuni. Sono Lottie comunque,” gli sorrise a sua volta. “Ci penso io ai gemelli e anche al pranzo, solo perché è arrivato Harry,” concluse.
Alla fine Louis decise che avrebbero pranzato fuori insieme a Stan, perché non voleva passare un minuto di più con quella manica di ingrate, e così li trascinò fuori casa entrambi. Finirono per passare dal McDrive e pranzarono seduti in macchina nel parcheggio di un campo da calcio. A Harry sembrò che per i due fosse una specie di consuetudine mangiare in macchina e passare le ore seguenti a chiacchierare. Fu un pomeriggio piacevole, Harry conosceva Stan da poche ore ma gli sembrava di parlare con un vecchio amico, ed era proprio così che il ragazzo lo trattava, parlando liberamente di qualunque cosa di fronte a lui come se si conoscessero da sempre. Sulle prime Harry l’aveva trovato un comportamento un po’ bizzarro, poi capì che Stan si sentiva già così legato a lui perché Louis aveva passato gli ultimi mesi a parlargli letteralmente quasi solo di lui, con la conseguenza che Stan gli si era affezionato senza neanche conoscerlo. Verso sera accompagnarono Stan a casa e poi rincasarono, e non appena entrarono in casa Harry fu investito da un meraviglioso profumo di arrosto mischiato a qualcosa di più dolce... vaniglia forse?
“Lou, sei tu?” chiese una voce femminile dalla cucina.
“No!” urlò Louis entrando in cucina e Harry lo seguì. La madre di Louis era intenta a sbirciare dentro al forno. Quando lo richiuse e si girò verso di loro, un sorriso identico a quello di Louis le illuminò la faccia.
“Harry, tesoro! Non sai che piacere è conoscerti finalmente!” esclamò la donna stampandogli un bacio sulla guancia e afferrandolo per le spalle per osservarlo meglio. “Le ragazze avevano ragione, sei perfino meglio che in fotografia!” gli disse ridendo e abbracciandolo maternamente, facendolo arrossire. Da quando aveva messo piede a Doncaster quella mattina, la gente non aveva fatto che trattarlo con affetto, proprio come se fosse uno di famiglia.
“G-grazie signora Tomlinson, cioè Deakin... Darling?”
Harry avrebbe voluto sprofondare per quella gaffe, non ricordava assolutamente quale fosse l’attuale cognome da sposata della donna, ma lei gli sorrise nuovamente.
“Jay, solo Jay, tesoro. La cena è quasi pronta, ho fatto anche una torta... vaniglia e cioccolato, spero ti piaccia, Harry.”
Louis lo trascinò via prima che potesse rispondere, borbottando qualcosa del tipo lascialo respirare ‘ma, e Harry adorava quella famiglia ogni secondo di più. A cena fece la conoscenza dell’ultima sorella che gli mancava all’appello, Fizzy – con la quale Louis ebbe un battibecco perché io a quindici anni uscivo massimo con Stan – e il marito di Jay, Dan. Finito di mangiare Harry si offrì di aiutare a sparecchiare nella commozione generale – Louis non sparecchierebbe nemmeno se ne andasse della sua vita, gli disse Lottie. Harry non poté fare a meno di darle ragione, e gli sfuggì di bocca che per un periodo aveva dovuto fargli perfino il bucato e che anzi, in realtà non aveva mai smesso, suscitando l’ilarità generale.
“Povero Harry, mi dispiace che ti sia capitata una disgrazia grande quanto mio figlio,” gli disse Jay, al che Louis si alzò e trascinò nuovamente via Harry.
“Mi dispiace, immagino che a casa tua non siano così chiassosi,” si scusò il ragazzo una volta che furono chiusi in camera sua.
“Mi piace la tua famiglia,” gli rispose Harry sdraiandosi sul letto. “E comunque non credo esista qualcuno più chiassoso di te a questo mondo.”
“Vuoi uscire? Se vuoi uscire chiamo Stan... o non lo chiamo se vuoi uscire senza Stan,” Louis ignorò la sua ultima affermazione, sedendosi sul bordo del letto e iniziando a giocherellare con i suoi ricci.
“Usciamo con Stan se vuoi,” gli sorrise Harry. In realtà era stanchissimo, ma sapeva che Louis non vedeva l’amico da mesi, e fino a quel giorno non aveva capito quanto i due fossero legati, quindi non voleva privarlo della sua compagnia finché ce l’aveva a disposizione.
“Ti ho chiesto se tu vuoi uscire, io sto bene anche qui... Mi sei mancato Styles,” così dicendo si sdraiò di fianco a lui e lo strinse forte. Era passata poco meno di una settimana da quando Harry era tornato a Holmes Chapel con Niall, eppure anche a lui era mancato Louis, terribilmente. Forse proprio perché era così rumoroso e invadente e quindi la sua assenza si notava subito, o forse semplicemente perché era diventato completamente dipendente da lui, fatto stava che aveva sentito la sua mancanza in maniera quasi lancinante e la calma e la pace che regnavano a Holmes Chapel gli erano sembrate quasi insopportabili senza Louis.
“Ho incontrato Charles l’altro giorno, avevo portato Niall a fare un giro al lago,” gli disse affondando la testa nella sua spalla.
“E?” chiese Louis irrigidendosi leggermente.
“E niente, lui mi ha ignorato e io ho fatto lo stesso. Se penso che fino a qualche mese fa pensavo sarei morto di crepacuore senza di lui...” si ritrovò a ridere e sentì Louis rilassarsi.
Però penso potrei morire davvero di crepacuore se tu mi lasciassi, pensò. Louis lo strinse più forte, quasi avesse percepito quel suo pensiero, e poi gli sfiorò i capelli con le labbra.
“Non sai cosa avrei voglia di farti, ma sono abbastanza sicuro che la metà delle mie sorelle sia dall’altra parte della porta a origliare,” gli bisbigliò nell’orecchio.
Be’, Louis non aveva idea di cosa lui avesse voglia di fargli, ma gli astri sembravano remare contro di loro visto che non riuscivano a starsene un po’ da soli – perché ovviamente dopo ciò che era capitato a Niall, Harry aveva insistito perché rimanesse a dormire da loro almeno per qualche giorno, che era diventato tutto il periodo pre-natalizio. Così si limitarono a stare abbracciati e a coccolarsi a vicenda, chiacchierando e raccontandosi come avevano passato le ultime giornate.
Non appena scoccò la mezzanotte, la sveglia del cellulare di Harry partì e lui sussurrò a fior di labbra a Louis gli auguri di buon compleanno. E Louis decise che in fondo non gliene importava niente se nella stanza di fianco stavano dormendo le gemelle, e che quell’anno il corpo di Harry sarebbe stato il suo primo regalo di compleanno.
 
***
 
Louis si svegliò con i capelli di Harry che gli pizzicavano il naso e capì immediatamente che quello sarebbe stato il compleanno più bello della sua vita. Il giorno prima si era alzato dal letto nervoso come non mai, si era fumato almeno quattro sigarette di fila alle quali ne aveva aggiunte altre tre quando sua madre gli aveva annunciato che sarebbe uscita e che doveva farle il favore di badare ai gemelli per un paio di ore, al che era stato costretto a mandare Stan a prendere Harry alla stazione. Non si vergognava di Harry, il problema era proprio l’opposto, ovvero che era fiero di Harry come non lo era mai stato di niente e di nessuno in vita sua. Il che l’aveva portato a farsi mille paranoie – doveva avergliela attaccata Harry quella mania di pensare troppo – e a chiedersi cosa sarebbe successo se alla sua famiglia o ai suoi amici Harry non fosse piaciuto. Stan era l’unica persona sulla faccia della terra – insieme a Zayn – a sapere della piccola parentesi cotta per un maschio che aveva avuto anni prima, e anche se la sua famiglia si era dimostrata sempre supportiva nei suoi confronti, aveva paura che ritrovandosi davanti Harry in carne e ossa qualcuno di loro avrebbe potuto infastidirsi o chissà cos’altro. E invece Harry era piaciuto subito a tutti, sua madre lo adorava, le sue sorelle pendevano dalle sue labbra e lui non si era mai sentito più felice di così, con il suo ragazzo e la sua famiglia che cenavano allegramente seduti allo stesso tavolo. E cosa più importante, anche a Harry era piaciuta la sua famiglia – perché lui aveva una paura assurda anche di questo, che Harry potesse trovarli troppo chiassosi, troppo disordinati, troppo imperfetti.
Harry mugugnò qualcosa nel sonno e Louis si strinse ancora di più a lui, quasi a voler tenere lontano qualunque brutto pensiero potesse aggredirlo nel sonno e il ricciolino si calmò istantaneamente. Era la prima volta che Louis sperimentava un tale grado di nervosismo nel portare a casa qualcuno, di solito non gliene importava nulla e di solito la ragazza di turno era capitata a casa sua per puro caso e non perché lui l’aveva voluto con tutto se stesso.
“Harry Styles, guarda un po’ cosa mi hai fatto,” bisbigliò accarezzandogli i capelli. Con tutti quei ricci e il viso addormentato, Harry sembrava un angioletto. Più lo osservava e più Louis aveva voglia di alzarsi, aprire la finestra e mettersi a urlare al mondo quanto fosse innamorato – e non lo fece solo perché per farlo avrebbe dovuto staccarsi da Harry e non aveva nessuna intenzione di farlo.
Quando anche lui si svegliò, gli venne di nuovo l’impulso di mettersi a urlare il suo amore al mondo perché Harry... be’ Harry si infilò una semplice maglia a maniche corte bianca e un paio di pantaloni della tuta, come se fosse a casa sua, e per il cuore di Louis quello era semplicemente troppo da sopportare.
“Ti amo, lo sai?” gli disse cingendogli i fianchi da dietro e appoggiando la testa alla sua schiena.
“Sì, mi è giunta questa voce,” gli rispose Harry appoggiandosi a lui.
Quando scesero per fare colazione, vennero investiti dall’odore di cioccolato fin dalle scale. Non appena entrarono in cucina tutti iniziarono a cantargli Tanti Auguri in coro, sua madre che teneva in braccio Ernie, Dan con in braccio Doris, le sue sorelle e Stan che non si era mai perso una sua colazione di compleanno in ventitré anni che erano al mondo. Appeso al soffitto sopra al tavolo c’era uno striscione che recitava Auguri Lou! firmato da tutti quanti – Harry compreso, e Louis si chiese quando l’avesse fatto visto che non l’aveva perso di vista un solo istante da quando era arrivato – e sul tavolo c’era un’enorme torta al cioccolato ricoperta di panna e decorata su tutto il perimetro da dei marshmallow bianchi e blu.
“Stavo per venirvi a prendere con la forza, non resisto più a questa torta,” rise Fizzy invitandoli con un gesto a sedersi, e Louis lasciò che Harry si sedesse fra Lottie e una delle gemelle, perché quella era la sua famiglia e Harry ormai ne faceva parte. Harry si offrì di tenere Ernie mentre sua madre tagliava la torta ed era tutto così perfetto che sì, Louis si mise a urlare ignorando Fizzy che gli dava dello psicopatico.
Fu Lottie ad accorgersi che improvvisamente Harry sembrava imbarazzato e gli diede una gomitata indicando il ragazzo. No, no, no, andava tutto così bene fino a dieci secondi prima...
“Harry...?”
Ora tutti stavano fissando il ricciolino.
“È... è... è che sono allergico ai marshmallow,” disse il ragazzo, più rosso di un pomodoro in viso.
“Allergico? Chi è allergico ai marshmallow, Styles?” sbottò Louis, che per un attimo aveva temuto chissà quale catastrofe.
“Oh tesoro, non ti preoccupare, basta toglierli dalla tua fetta, guarda...” così dicendo sua madre ripulì una fetta di torta dai marshmallow e gliela mise nel piatto. “Lottie prendi Ernie, non abbiamo invitato Harry qui a fare il babysitter,” aggiunse, ma Harry scosse la testa e disse che il bimbo non gli dava fastidio, anzi sembrava completamente a suo agio con Ernie in braccio. Ora che il problema marshmallow era stato risolto, ripresero tutti a festeggiare Louis ad alta voce, con Lottie e Fizzy che si divertivano a raccontare aneddoti imbarazzanti su di lui a Harry e Harry che rideva di gusto. Sì, quello sarebbe decisamente stato il compleanno più bello di sempre.
 
“Spero che non porti male fare i regali di Natale con un giorno di anticipo, perché questo è il tuo regalo di compleanno più Natale,” gli disse Harry allungandogli un pacchetto rettangolare. “L’ho incartato con le mie mani,” aggiunse.
“La fregatura di essere nato la vigilia,” bofonchiò Louis che con quella scusa si beccava sempre da tutti un regalo invece che due.
Erano seduti uno di fronte all’altro sul suo letto, entrambi a gambe incrociate. Erano da poco passate le quattro del pomeriggio, e fino a poco prima erano rimasti con il resto della sua famiglia e con Stan a fare tornei alla playstation, cantare al karaoke e festeggiare in ogni maniera possibile. Harry però alle sei aveva il treno per tornare a Holmes Chapel e Louis voleva passare quell’ultimo paio d’ore da solo con lui. Afferrò il pacchetto scuotendolo per cercare di capire di cosa si trattasse e Harry gli lanciò un’occhiataccia.
“Vedi di romperlo ancora prima di aprirlo.”
A quelle parole Louis si decise a scartarlo e sotto alla carta da regalo trovò un rettangolo di plastica che sembrava assemblato a mano dentro al quale c’era arrotolata una maglia a righe bianche e rosse che...
“Mi hai preso una maglia dei Rovers?!” esclamò entusiasta cercando di tirarla fuori dall’involucro di plastica. “Spero tu abbia chiesto a Stan di quali giocatori ce l’ho già, Styles.”
“C’è una cosa fragile avvolta nella maglia, vuoi fare attenzione?!” gli ingiunse Harry. “E comunque Stan l’ho conosciuto solo ieri.”
“Quindi sarà sicuramente un doppione,” replicò Louis fingendo sconforto ma fallendo miseramente. La verità era che quello era un regalo meraviglioso, e lo sarebbe stato anche se si fosse trattato di un doppione, il tutto perché Harry sapeva quanto lui tenesse ai Rovers e aveva deciso di regalargli proprio una loro maglia. La srotolò con attenzione sotto lo sguardo vigile di Harry, e alla fine rimase con una tazza in mano.
In mezzo alla maglia c’era una tazza.
Era una normalissima tazza bianca solo che da un lato c’era disegnata un’ancora marina con la corda arrotolata intorno e dall’altro la scritta All the love...
“L’ancora con la corda significa stabilità, oppure la capacità di riuscire sempre a tornare a casa. È un po’ come mi sento da quando ti ho conosciuto... sicuro e... a casa suppongo.”
Harry era arrossito leggermente e aveva abbassato lo sguardo, come se avesse paura che il suo regalo non venisse apprezzato. Fu lì che Louis comprese che il disegno sulla tazza e le parole erano opera sua, l’aveva fatta fare apposta per lui.
“Dovremmo tatuarcela quest’ancora... Tu l’ancora e io la corda o qualcosa del genere,” gli disse scompigliandogli i capelli e Harry si illuminò in volto. Fu a quel punto che Louis vide il retro della maglia che aveva appoggiato sul letto mentre guardava la tazza.
Tomlinson.
Dietro c’era scritto Tomlinson, accompagnato dal numero 28.
“Non sapevo che numero usare e così ho scelto quello del giorno in cui ci siamo conosciuti,” gli sorrise Harry e Louis venne di nuovo preso dalla voglia di urlare al mondo quanto fosse fortunato e quanto quello fosse il compleanno più bello della sua vita.
Tutto grazie a Harry.


 

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Capitolo 12
*** In cui Harry e Louis esprimono un desiderio sotto alle stelle ***


DANCE INSIDE

What makes the one to shake you down?
Each touch belongs to each new sound
Say now you want to shake me too
Move down to me, slip into you 



In cui Harry e Louis esprimono un desiderio sotto alle stelle
Louis fu l’unico a scendere alla stazione di Holmes Chapel. Mentre si aggiustava meglio la sciarpa intorno al collo per proteggersi dalla folata di aria gelida che l’aveva investito, si sentì improvvisamente nervoso all’idea di conoscere la famiglia di Harry. In realtà la sua non era un’ansia improvvisa, era un’ansia nata e maturata nel corso della notte, al punto che per paura di perdere il treno e arrivare in ritardo a destinazione, si era fatto accompagnare da Stan con ben un’ora e mezza di anticipo ed era finito col prendere il treno prima. Così ora si ritrovava in una stazione del tutto deserta, con Harry che non sarebbe arrivato a prenderlo prima di un’ora. Poteva chiamarlo e dirglielo, ma quello sarebbe stato il suo classico atteggiamento invadente per il quale fingevano sempre tutti di non sopportarlo – Hey Harry, mi girava di prendere il treno prima, vieni a prendermi e non mi importa cosa tu stia facendo – e non era certo la prima impressione che voleva dare alla madre di Harry. Stan aveva passato la mattina a ripetergli che non aveva nulla di cui preoccuparsi e che se Harry si era trovato così bene a casa sua nonostante il caos che vi regnava, a maggior ragione lui si sarebbe trovato bene da Harry. L’amico però non aveva colto il punto: Harry era la persona più gentile ed educata sulla faccia della terra e per di più era fornito di un viso angelico irresistibile, come si poteva non accettarlo come uno di casa istantaneamente? Non che lui fosse maleducato ma aveva la tendenza a invadere gli spazi altrui, a parlare troppo, a lasciare una scia di disordine ovunque passasse e spesso e volentieri era troppo diretto e sboccato. Il punto non era che a lui sarebbe potuta non piacere la famiglia di Harry – di cui già conosceva Gemma e la adorava – il punto era che temeva che la famiglia di Harry fosse troppo perfetta per poter accettare uno come lui. Del resto erano abituati a Charles e per quanto lui detestasse Charles, doveva ammettere che all’apparenza sembrava un damerino fatto e finito. Scrollò la testa e si decise ad abbandonare il binario e la stazione, magari poteva cercarsi uno Starbucks e sedersi a bere qualcosa, chiamare Stan o Zayn e implorarli di aiutarlo a calmarsi. Una volta per strada si guardò intorno, non c’era quasi nessuno in giro e lui non aveva idea di dove andare.
“Mi sembri perso giovanotto,” a parlargli era stato un vecchietto con un chiwawa in braccio. “Aspetti qualcuno? O cerchi qualcosa?”
“Mi sa dire da che parte è lo Starbucks più vicino?” chiese.
“Se vuoi abbiamo un Costa, niente Starbucks a Holmes Chapel. Segui la strada in questa direzione, alla prima traversa gira a destra e vai sempre dritto... saranno dieci minuti a piedi.”
Louis lo ringraziò e si mise a trotterellare per strada seguendo le indicazioni dell’anziano signore sorridendo scioccamente, era a Holmes Chapel da dieci minuti e aveva già scoperto da dove derivasse parte della fissazione di Harry per Costa. Era quasi arrivato alla caffetteria quando adocchiò da lontano una panetteria in una traversa, e decise che per calmarsi aveva bisogno di qualcosa di più sostanzioso che un muffin nello stomaco, e quindi cambiò direzione. Sulla porta era attaccato un foglio su cui c’era scritto a mano che sarebbero rimasti aperti solo fino a mezzogiorno, e quando entrò inspirò a pieni polmoni l’odore di pane appena sfornato e dolciumi. Dietro al bancone non c’era nessuno, il che gli diede il tempo di passare in rassegna tutto ciò che il negozio offriva, ritrovandosi a storcere il naso di fronte all’assenza di qualcosa che somigliasse anche solo lontanamente a un trancio di pizza.
“Cosa posso darti, caro?” dalla porticina che dava sul retro era comparsa una signora con gli occhiali, dall’aria bonaria e un sorriso gentile.
“Non è che per caso avete un trancio di pizza o qualcosa del genere?” chiese.
“No caro, oggi abbiamo fatto giusto la sfornata di pane, visto che chiudiamo a mezzogiorno. Abbiamo qualche dolce se vuoi.”
“Non ha idea della fame che ho, dovrei mangiare dieci muffin per saziarmi. È nervosismo sa, di solito non arrivo così affamato alle undici del mattino, ma avrei dovuto immaginarlo... della pizza dico, anch’io ho lavorato in una panetteria, cioè per poco, in realtà mi hanno cacciato, è una lunga storia sa... e-“ si bloccò notando che la signora ora lo stava osservando attentamente. “Dovrei prendere due muffin?” non sapeva nemmeno lui perché lo stesse chiedendo a lei, e lei probabilmente lo stava giudicando uno psicopatico, ma il suo sorriso all’improvviso si allargò.
“Louis! Devi essere Louis, come ho fatto a non capirlo subito? Non abbiamo molti visitatori a Holmes Chapel e poi l’adorabile accento dello Yorkshire e la parlantina infinita, Harry aveva proprio ragione! Tutti i muffin che vuoi, Louis, offre la casa.”
“Prego?” Louis non era sicuro di aver capito bene.
“Harry lavorava qui prima di trasferirsi a Londra, è così un caro ragazzo... Anne mi ha parlato molto di te, e Harry non ha letteralmente parlato d’altro quando è venuto a trovarmi qualche giorno fa, era con quel suo amico irlandese... Niall? Può essere?”
Louis sgranò gli occhi. Anne – ovvero la madre di Harry – gli aveva parlato di lui senza nemmeno conoscerlo?
“Allora, caro, quanti muffin ti do?”
“È... è sicura?” chiese tirando fuori dalla tasca della giacca una banconota stropicciata da 10£.
“Harry è praticamente uno di famiglia, non esiste che il suo adorabile ragazzo debba pagarsi la colazione, non nella mia panetteria.”
Adorabile ragazzo? Che il cielo e tutti i santi che lo abitavano benedicessero questa signora. Forse – ma proprio forse – magari Stan aveva ragione a dire che non doveva preoccuparsi di nulla. Una ventata gelida lo investì sulla schiena quando qualcuno entrò all’interno del negozio.
“Barbara ti prego, dimmi che hai qualche pasticcino, torta, muffin, qualunque cosa! Il forno ha scelto proprio il momento migliore dell’anno per piantarci in asso e... oh, scusa non volevo passarti davanti,” disse la nuova venuta accorgendosi di Louis, e la signora della panetteria – Barbara – si mise a ridere mentre i suoi due clienti si guardavano negli occhi. Louis non ci voleva credere, possibile che Holmes Chapel fosse così piccola? Riconobbe immediatamente la donna che aveva di fronte e la riconobbe perché era la persona che si trovava con Harry e Gemma nella foto che Harry aveva come sfondo del del cellulare, ovvero sua madre.
“Hey, Anne,” disse alzando la mano timidamente e cercando di farsi piccolo piccolo. Hey, Anne? Proprio un bel modo per presentarsi alla madre del suo ragazzo.
“Louis?!” la donna sgranò gli occhi e poi si illuminò, stringendolo in un abbraccio pieno di affetto. “Cosa ci fai qui? Harry ha detto che saresti arrivato col treno di mezzogiorno, mi ha perfino detto di non svegliarlo!”
Barbara stava ridendo di gusto dall’altra parte del bancone, mentre riempiva un vassoio di pasticcini e altre leccornie.
“Ho preso il treno prima,” fece spallucce Louis.
“E perché non hai chiamato Harry?”
“Non volevo disturbare,” arrossì.
“Quel dormiglione di Harry non muore se per una volta lo si tira giù dal letto prima delle due del pomeriggio, non dirmi che avevi intenzione di passare il tuo tempo vagando per il paese? Oh tesoro, meno male che ti ho trovato.”
Barbara allungò ad Anne un sacchetto, lei pagò – anche se dovette insistere – e poi lo trascinò in macchina con sé. Nei cinque minuti che ci vollero per arrivare a casa gli raccontò che la mattina prima il forno aveva iniziato a fare i capricci, mandando all’aria tutti i suoi piani culinari natalizi e, soprattutto, quelli per quel giorno. A quanto pare voleva fargli una torta di benvenuto e lasciare a lui e Harry qualcosa di pronto per pranzo, visto che lei e suo marito erano stati invitati dagli zii di Harry. In realtà pareva che l’invito fosse esteso anche a lui e Harry, ma che il ricciolino avesse declinato sostenendo che non gli sembrava il caso di trascinare Louis a conoscere la sua intera famiglia allargata cinque minuti dopo che era sceso dal treno. Gemma invece era ripartita per Londra quella mattina.
“Mi dispiace così tanto che tu sia rimasto a vagare da solo al freddo, vai pure a metterti comodo,” gli indicò le scale. “Harry dovrebbe essersi svegliato visto che doveva venirti a prendere, se no sei autorizzato a trascinarlo fuori dal letto con le brutte.”
Louis adorava già questa donna – santo cielo, quando sorrideva aveva perfino le fossette identiche a quelle di Harry – e si sentiva già a casa nonostante l’avesse conosciuta cinque minuti prima e non avesse idea di dove fosse la camera di Harry. Salì le scale trascinandosi dietro il borsone con i vestiti, e appena fu sul pianerottolo capì perché Anne non gli avesse dato ulteriori indicazioni: su una delle porte che davano sul corridoio c’era attaccata un’enorme ‘H’ verde e sotto un fogliettino tagliato a forma di fumetto che recitava ‘ingresso vietato alle Gemma’ con una calligrafia infantile. Sulla porta antistante invece campeggiava un ‘G’ e un fumetto che diceva ‘ingresso vietato agli Harry’. Louis sorrise chiedendosi a quanti anni prima e a che litigio risalissero quelle due nuvolette, perché se c’era un campo nel quale era assolutamente un esperto, quello erano i litigi fra fratelli e sorelle. Si decise a entrare nella camera contrassegnata dalla ‘H’ e non appena lo fece sentì la mascella cadergli a terra e il tonfo del suo borsone che faceva lo stesso. Harry era in piedi di fronte all’armadio, si stava grattando la testa pensieroso ed era completamente nudo.
“Non so proprio cosa mettermi, consigli?” chiese girandosi. “Louis?!” esclamò sorpreso quando lo vide.
“Scusa, chi pensavi che fossi? Mi fa piacere che tu ti senta così a tuo agio a stare nudo di fronte a chiunque entri in camera tua,” borbottò Louis cercando di ignorare lo stomaco che gli si attorcigliava.
“Ho sentito la macchina, pensavo fossi la mamma.”
“Be’, io non mi presento di fronte a mia madre tutto nudo.”
“Considerato che mi ha tenuto in pancia per nove mesi e cambiato e lavato per anni, non penso si possa scandalizzare,” Harry gli sorrise e gli si avvicinò. “Non so cosa tu ci faccia già qui, ma benvenuto.”
E improvvisamente Louis si ritrovò schiena contro il materasso, con Harry sopra di lui completamente nudo che esplorava le sue labbra come se fosse in astinenza di lui da mesi, e la cosa gli andava benissimo, più che bene. Il rumore di una macchina che parcheggiava fuori però distrasse Harry, che si staccò da lui e si rialzò.
“Questo dev’essere Robin, scendiamo dai,” disse con una punta di irritazione nella voce che Louis condivideva, perché staccarsi da Harry diventava ogni giorno di più una tortura. Si tirò su sui gomiti e lo osservò mentre si vestiva – ovvero si infilava il primo paio di jeans che gli capitava a tiro senza nulla sotto, un’abitudine che era sicuro di avergli passato lui, e una maglia a mezze maniche. Quando scesero Louis fece la conoscenza del marito di Anne, poi la donna lo invitò in cucina e gli mise sotto al naso una sostanziosa colazione con tanto di tazza di tè, nonostante fosse mattina inoltrata.
“Immagino che averti trovato da Barbara significa che avevi fame,” gli sorrise mentre preparava un posto a tavola anche per Harry.
“Da Barbara?” chiese il ricciolino e Louis gli raccontò di come fosse finito alla panetteria e avesse incontrato Anne. La donna si appoggiò con la schiena al lavandino sorseggiando a sua volta una tazza di tè, osservandoli mentre parlavano, con il sorriso che le si allargava sempre di più in volto man mano che passavano i minuti. Poi Robin la chiamò dicendole che era ora che si preparassero per uscire, e lei sparì dietro di lui.
“Ti adora, lo sai?” gli disse Harry riferendosi ad Anne.
“Com’è possibile, non mi conosce nemmeno...”
“Diciamo che suo figlio non riesce a smettere di parlarle di te e di quanto tu lo renda felice,” gli sorrise Harry. Louis si chiese come poteva anche solo aver lontanamente pensato che quella sua gita ad Holmes Chapel potesse andare male.
 
***
 
Harry non riuscì ad aspettare nemmeno che il rumore della macchina svanisse in lontananza prima di attirare Louis a sé sul divano. Era tremendamente nervoso per quello che sapeva stava per succedere, nervoso perché era la prima volta in vita sua che programmava qualcosa di simile nei minimi dettagli – era stato lui a mettere in bocca a suo zio l’invito per pranzo, come era stato lui quello che poi se n’era tirato fuori con nonchalance accampando la scusa che magari per Louis sarebbe stato un po’ troppo ma mamma voi andate, io e Lou possiamo arrangiarci per pranzo – ed era nervoso perché aveva una paura assurda che Louis potesse tirarsi indietro una volta compreso cosa gli stesse passando per la testa.
“Non posso credere che siamo finalmente soli, completamente soli,” gli disse Louis a fior di labbra mentre gli infilava una mano sotto alla maglia accarezzandogli la schiena.
“Potrei aver fatto di tutto per tirare l’acqua al nostro mulino,” ammise Harry scendendo a baciargli il collo mentre Louis tentava di sfilargli la maglia.
“Bravo ragazzo,” commentò l’altro passandogli una mano fra i riccioli e Harry capì che stavano pensando la stessa cosa e improvvisamente sentì l’urgenza di avere Louis tutto per sé, al cento per cento, di sentirsi una cosa sola con lui, di sentirsi dentro di lui, di sentirlo dentro di lui, non gli importava più di nient’altro.
“Andiamo di sopra,” sussurrò in un gemito tirandolo su insieme a lui.
Non smisero di baciarsi nemmeno per un istante, non mentre salivano le scale, non mentre Louis inciampava e si aggrappava ancora di più a lui per non cadere, non mentre si sfilavano tutti i vestiti di dosso a vicenda, non mentre Louis lo trascinava quasi di peso sul letto buttandosi su di lui. Le loro erezioni si sfiorarono e Harry sentì che sarebbe impazzito se non avesse colmato al più presto quello spazio millimetrico che ancora lo separava dal corpo di Louis. Lo attirò con forza a sé costringendolo a premere su di lui con il proprio peso.
“Lou, sei sicuro?” gli chiese con il respiro affannato interrompendo per la prima volta quel bacio infinito.
“Taci, Styles,” fu la risposta di Louis e Harry non ebbe bisogno di sentire altro. Con una mossa improvvisa invertì le loro posizioni, e quando si ritrovò sopra a Louis iniziò a percorrere ogni centimetro del suo corpo con le labbra, mentre Louis cercava la sua mano con la propria facendo intrecciare le loro dita. Con l’altra mano non mollava la presa sui suoi capelli che adesso stava proprio tirando.
“Non capisco perché debba stare tu sopra, io peso molto meno di te.” A quell’uscita Harry si ritrovò a ridere a mezzo centimetro dall’erezione dell’altro.
“Taci, Tomlinson,” gli ingiunse risalendo piano piano fino a ritrovare le sue labbra.
“Nessuno ti ha dato il permesso di risalire,” si lamentò Louis mordendogli il labbro inferiore.
Harry gli accarezzò i capelli baciandolo con trasporto, si sentiva il cuore pulsare in gola e nelle orecchie, e sentiva forte e chiaro anche il battito accelerato di quello di Louis. Quando fu finalmente dentro di lui, Harry si schiacciò ancora di più contro il suo corpo, non voleva che rimanesse nemmeno una molecola d’aria a separarli e pensò che non sarebbe riuscito mai più, mai, mai, mai più a staccarsi da lui.
Alla fine si abbandonò esausto su di lui, le braccia di Louis che lo stringevano forte.
Harry non si era mai sentito così, mai in tutta la sua vita.
Non aveva mai pensato che il suo corpo avrebbe potuto incastrarsi perfettamente con quello di qualcun altro, come due pezzi di un puzzle nati per stare insieme.
Non aveva mai pensato che avrebbe potuto sentirsi così pieno di amore per qualcuno, non aveva mai nemmeno immaginato che l’amore – quello vero – potesse essere così meraviglioso.
“Ti amo,” sussurrò alzando leggermente la testa per guardarlo negli occhi.
“La prossima volta facciamo alla mia maniera, Styles,” fu la risposta di Louis che aveva ancora il respiro affannato. Harry si ritrovò nuovamente a ridere, Louis era così... Louis.
Ed era suo, tutto suo e di nessun altro.
 
“Cosa avete mangiato per pranzo?”
“Uhm, l’arrosto,” bofonchiò Harry.
“Quale arrosto?” gli chiese la madre ridendo e Harry si ricordò del forno rotto e dell’arrosto che non era mai stato cucinato. La verità è che non avevano pranzato, avevano passato letteralmente tutto il tempo a letto perdendo la cognizione del tempo e dello spazio. Quando avevano sentito la macchina parcheggiare nel vialetto davanti a casa, si erano rivestiti di corsa ridendo mentre raccattavano tutto ciò che avevano sparso per le scale e in soggiorno. “Non avevamo fame, colazione abbondante, sai...” sperò di cavarsela Harry.
“E cosa avete fatto di bello? Siete usciti? Dicevi di volerlo portare al lago...” sua madre ora stava ridendo, fissando deliberatamente il collo di Harry sul quale facevano bella mostra la bellezza di due succhiotti enormi, di cui lui si stava accorgendo solo ora fissando il proprio riflesso nel vetro del forno rotto. “E Louis ha la felpa infilata al contrario,” aggiunse lei divertita.
Harry arrossì imbarazzato, ma si rese conto che sua madre non era mai stata così tranquilla e rilassata quando si trattava di Charles. A quei tempi si innervosiva al solo saperlo chiuso in camera da solo con lui, anche se magari stavano solo giocando alla playstation o guardando un film.
“Charles non ti rendeva così felice ed era uno stronzo. Anzi, a dirla tutta non ti ho mai visto così felice in tutta la tua vita, e Louis sembra davvero un ragazzo adorabile per cui non sarò certo io a mettermi fra voi.”
Harry sgranò gli occhi a quella confessione oltremodo sincera della madre. Non si era mai accorto di quanto lei si preoccupasse per lui quando stava con Charles, anche se Gemma aveva tentato più di una volta di farglielo capire, e le sue parole lo fecero sentire ancora più fortunato per aver trovato Louis sulla strada.
“Cosa vi preparo per stasera? Io e Robin abbiamo mangiato così tanto che non credo proprio toccheremo cibo.”
“Magari andiamo al pub, vedo se Will e Alice sono liberi,” le rispose il ragazzo schioccandole un sonoro bacio sulla guancia.
 
“Sei diventato l’eroe di Holmes Chapel nell’esatto istante in cui si è sparsa la voce che avevi rotto il naso a Charles! O almeno, della parte di Holmes Chapel che è sempre stata Team Harry,” rise Alice.
Lui e Louis erano seduti al pub insieme a Will e Alice, due dei suoi più cari amici d’infanzia, davanti a dei panini giganteschi e a mezzo litro di birra a testa. Louis aveva impiegato meno di cinque minuti a conquistarli entrambi. Socializzare con lui era la cosa più facile dell’universo e Harry scoppiava di gioia a vedere quanto tutti avessero preso in simpatia Louis, anche solo per il fatto che lui ne fosse così innamorato.
“È andato avanti per settimane a lamentarsi, e sono abbastanza sicuro che abbia tenuto quella specie di fasciatura per il doppio del tempo previsto, solo per far pena alla gente... peccato che non ha fatto pena a nessuno,” stava raccontando Will. “Non sapete cosa avrei dato per assistere alla scena di persona!”
“E Niall è stato pure così buono da accompagnarlo al pronto soccorso, io l’avrei lasciato a marcire in un vicolo,” replicò Alice.
“Alice si è presa una cotta per Niall,” sussurrò Harry all’orecchio di Louis.
“Non è vero!” esclamò la ragazza e scoppiarono tutti nuovamente a ridere.
Harry si rilassò sulla sedia, felice come non mai, e la serata passò fra aneddoti – non si era mai reso conto di quante cose loro lui e Louis avessero già da raccontare – risate e brindisi. All’amore, all’amicizia, a qualunque cosa.
Alla fine Will si offrì di riaccompagnarli a casa, ma i due declinarono l’offerta e si ritrovarono a passeggiare sotto le stelle, mano nella mano.
“Avresti mai pensato che sarebbe finita così quando ti sei trasferito a Londra?” gli chiese Louis dopo qualche minuto di silenzio.
“Quando mi sono trasferito a Londra pensavo che la mia vita fosse più o meno finita,” gli ricordò Harry e Louis sorrise compiaciuto.
“Bene, sono contento di essermi praticamente auto assunto in panetteria e di essermi auto installato a casa tua. Casa nostra.” Sì, anche Harry era proprio contento che Louis si fosse imposto in quella maniera nella sua vita. “Ci credi che quando Eleanor mi aveva chiesto di andare a convivere con lei, ci è mancato tanto così che mi buttassi nel Tamigi pur di evitare che succedesse? E ora sono praticamente un uomo sposato, ed è passato meno di un anno dal giorno in cui io e lei avemmo quella litigata epica solo perché io non volevo saperne.”
Harry rise, Zayn gli aveva raccontato più di una volta quella storia, compreso il pezzo nel quale Louis decideva che l’unica soluzione possibile era fingere il suo suicidio nel Tamigi, o magari buttarcisi per davvero.
“Ti amo davvero tanto, Styles.”
E Harry non riusciva a credere che fosse tutto così vero.
 
***
 
“Siamo delle pessime persone,” sospirò Harry mentre sopra di loro il cielo si illuminava delle luci dei fuochi d’artificio. Era da poco scoccata la mezzanotte del nuovo anno e Louis era piacevolmente sorpreso dallo show pirotecnico che avevano tirato in piedi in quel piccolo paesino. Loro due stavano assistendo da lontano, sdraiati su una coperta in mezzo a un prato poco distante da casa di Harry, avvolti nei loro cappotti.
“L’irlandese, il pakistano e Liam sopravvivranno anche senza di noi, Harry. Anzi, saranno talmente ubriachi a questo punto della serata che non si accorgeranno nemmeno della nostra assenza,” lo rassicurò Louis, anche se poco meno di mezzora prima Zayn gli aveva mandato un sms nel quale c’era scritto semplicemente stronzo tira bidoni.
I piani originari prevedevano che loro tornassero a Londra per l’ultimo dell’anno, dove Zayn aveva organizzato una festa a casa sua giurando stavolta di aver invitato solo persone degne di presenziare, e Niall era tornato prima dall’Irlanda apposta per esserci. Liam in realtà non si era mai mosso da Londra, troppo impegnato com’era a tentare di recuperare il suo rapporto con Sophia, che invece era tornata a casa rendendo la sua permanenza lì del tutto inutile. Louis e Harry ci avevano messo tutta la buona volontà di questo mondo, il giorno prima erano anche andati in stazione a fare i biglietti del treno, ma alla fine non li avevano usati. Stare a casa di Harry era meraviglioso, Robin aveva lavorato per tutte le vacanze, Anne era sempre in giro a fare commissioni o a intrattenere rapporti sociali con i vicini – anche se Louis sospettava che la metà di questi impegni se li fosse procacciata apposta per lasciarli soli, cosa per la quale le sarebbe stato grato da qui all’eternità - e lui e Harry... be’, lui e Harry non erano usciti molto dalla camera di Harry.
“Quando torniamo a Londra il tuo amico Niall è meglio che se ne torni a vivere nel suo nuovo appartamento,” disse e Harry scoppiò a ridere.
“Decisamente.”
“Hai espresso un desiderio?” gli chiese accoccolandosi su di lui. “A casa scriviamo sempre i nostri desideri per l’anno nuovo su un pezzo di carta, poi li chiudiamo tutti in un barattolo e lo sotterriamo in giardino... a fine anno lo tiriamo fuori per vedere cosa si è avverato e cosa no.”
“Non dovrebbero essere dei propositi per il nuovo anno più che dei desideri?” chiese Harry accarezzandolo da sopra il giubbino.
“Non essere sempre così puntiglioso, esprimi un desiderio.”
Harry ci pensò per un attimo.
“Tu che desiderio hai espresso?” gli chiese curioso.
“Styles, se lo dici ad alta voce non si avvera più... Perché devo sempre insegnarti tutto?”
Sentì Harry sotto di lui sorridere e sperò che avesse espresso il suo stesso desiderio, così si sarebbe dovuto avverare per forza. Perché lui aveva desiderato che Harry non lo lasciasse mai.
 
NOTE.
Ed eccoci alla fine, manca solo l'epilogo e non riesco a credere nemmeno io che sia già (quasi) finita.
Non so davvero come ringraziarvi per il supporto dimostrato fin qui - chi ha letto, chi ha commentato, chi è ancora qui - non sono molto brava in queste cose, quindi mi limito a darvi per un'ultima volta appuntamento a martedì prossimo <3

 

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Capitolo 13
*** Epilogo ***


DANCE INSIDE

What makes the one to shake you down?
Each touch belongs to each new sound
Say now you want to shake me too
Move down to me, slip into you 



Epilogo
Un anno e mezzo dopo
 
“Ricordami perché lo stiamo facendo,” sbuffò Louis mentre Harry gli sistemava il cravattino e gli dava un’ultima stirata alle maniche della giacca con le mani.
“Perché è uno dei nostri più cari amici,” gli sorrise Harry dandogli un bacio sulla fronte.
“Sappi che appena il parroco chiederà se c’è qualcuno che si oppone a questa unione, mi alzerò e urlerò al mondo tutta la mia indignazione.”
“Si può sapere cos’hai contro ai matrimoni?”
“Contro ai matrimoni in generale, nulla. Contro ai matrimoni prematuri? Tutto. Spiegami perché una persona dovrebbe sposarsi a questa età.” Harry scrollò la testa sconsolato, sospirando sonoramente. “No, Harold, non mi inginocchierò davanti a te non appena riuscirai ad acchiappare il bouquet anzi, sappi che ho diffidato Sophia dal lanciarlo dalla tua parte.”
Harry si lasciò andare a un altro respiro sconsolato, era una conversazione che avevano affrontato decine di volte negli ultimi mesi, ovvero da quando Liam si era presentato sullo zerbino di casa loro con aria trionfante perché Sophia gli aveva detto il fatidico , dopo circa sei mesi che si erano rimessi insieme. Sulle prime Harry aveva tentato di convincere Louis che sarebbe stato meraviglioso mettere in piedi un doppio matrimonio, un po’ come quello di Brittana e Klaine in GleeDavvero, Styles? Già che ci sei perché non ti sposi con te stesso come ha fatto Sue, visto che Glee ti ispira così tanto! Poi aveva deciso di volere un matrimonio tutto suo, e visto che sarebbero stati troppo impegnati ad aiutare Liam con i preparativi, la cosa più romantica di tutte sarebbe stata che Louis gli facesse la proposta proprio al matrimonio dell’amico – Non essere ridicolo, e poi spiegami perché dovrei essere io a fare la proposta fra i due. Al che Harry se ne era uscito con un Allora sposami e basta offeso ma sincero, che aveva lasciato Louis senza parole, probabilmente per la prima volta in tutta la sua vita. Ma no, Louis non ne voleva sapere, continuando a sostenere che un pezzo di carta non avrebbe cambiato nulla fra loro. Harry aveva tentato di spiegargli che non gliene importava niente del pezzo di carta in sé, ma che sarebbe stato proprio bello avere un matrimonio tutto loro.
“Hey, stiamo aspettando solo voi due, Liam si sta innervosendo,” Niall aveva fatto capolino dalla porta e Louis lo afferrò per la mano e lo trascinò fuori, prima che potesse trovare qualche altro argomento a difesa della sua smania di matrimonio.
Insieme a Niall raggiunsero Zayn – non riuscendo a scegliere fra loro, Liam aveva finito col nominarli tutti e quattro testimoni – e quando si unirono all’amico vicino all’altare, Harry avrebbe voluto piangere di commozione. Era tutto perfetto, quella piccola chiesetta alla periferia di Londra, tutte le persone più care a Liam e Sophia in piedi ad attendere l’ingresso della sposa. Liam brillava di luce propria e Louis accanto a lui aveva smesso di fare il Brontolo della situazione e si stava commuovendo a sua volta, riusciva a leggerglielo chiaramente negli occhi.
La cerimonia fu meravigliosa, Sophia resistette meno di dieci minuti senza piangere e anche Liam verso la fine aveva gli occhi lucidi. Lo stesso valeva per Niall, che da quando si era lasciato alle spalle le sue tresche rovina vita e aveva trovato qualcun altro per cui perdere la testa, aveva tirato fuori il suo lato più romantico - che come Louis amava sottolineare era perfino peggio di quello di Harry, e che il cielo li aiutasse. Anche Zayn era evidentemente commosso, e Harry avrebbe potuto giurare che stesse facendo sforzi immani per impedire ai propri occhi di diventare lucidi, e che lo stesse facendo solo per evitare prese in giro non appena la cerimonia fosse finita. Harry seguì la traiettoria dello sguardo dell’amico e si ritrovò a stringere la mano di Louis quando notò che il suo sguardo era fisso su Perrie, seduta nella terza fila di panche di fianco a Jude, la ragazza di Niall. Ancora non riusciva a credere che Zayn avesse messo la testa a posto, perfino lui a un certo punto aveva iniziato a pensare che per gli Zerrie, come li chiamava Louis, non ci fosse proprio speranza, e invece all’ennesimo tira e molla – dopo che Perrie gli aveva detto di sparire per sempre, e dopo due mesi di totale assenza di contatti fra i due – Zayn si era presentato alle due di notte bussando sonoramente alla loro porta tirandoli giù dal letto e svegliando i loro vicini, il tutto perché aveva capito che la sua vita senza Perrie non aveva senso, parole sue.
Era strano pensare che quando era sbarcato a Londra ormai più di due anni prima le vite di tutti quanti loro erano confusionarie e costellate di piccoli drammi quotidiani, mentre ora tutti e cinque sembravano avere trovato il loro posto nel mondo e la persona con cui condividerlo.
Louis gli strinse a sua volta la mano, in una specie di codice morse tutto loro che stava a significare sono qui di fianco a te e lo sarò per sempre.
 
***
 
Louis ci avrebbe scommesso la vita, e le vite di tutte le persone a lui più care, sul fatto che in qualche maniera Harry sarebbe riuscito a mettere le mani per primo sul bouquet di Sophia, e infatti ora glielo stava sventolando in faccia tutto fiero di se stesso mentre guidavano verso il ristorante che Liam e Sophia avevano scelto per il ricevimento - che si trovava all’interno di una cascina rimodernata che aveva uno splendido giardino che dava su un boschetto.
“Se non la smetti di agitarmi quel coso in faccia, finiremo per fare un incidente,” sbuffò afferrandogli il bouquet dalle mani e buttandolo con malagrazia sul sedile posteriore.
“Sei solo geloso perché l’ho preso prima di te.”
Louis sbuffò di nuovo ma non era molto sicuro di riuscire a tenere in piedi quella recita ancora per molto. Harry era semplicemente troppo tenero con il suo entusiasmo, e lui troppo innamorato, ma doveva resistere all’impulso di accostare all’improvviso sul ciglio della strada e di dirgli tutto ciò che aveva da dirgli. Poche ore, mancavano solo poche ore alla fine di quella giornata e Harry avrebbe avuto tutto ciò che sembrava desiderare, ma fino a quel momento Louis doveva costringersi a mantenere un contegno e fingere irritazione.
Quando arrivarono alla cascina scoppiarono entrambi in una sonora risata, quando videro su una delle vetrate esterne un adesivo appiccicato che aveva disegnato sopra un quadrifoglio e la scritta Nialler Irish Craft. Circa tre mesi dopo l’incidente, Niall non era più riuscito a tenersi dentro quel peso e aveva raccontato tutta la verità allo zio di Zayn, che per ricompensarlo dell’onestà e del duro lavoro che aveva fatto fino a quel momento, si era offerto di aiutarlo ad aprire una propria attività. Niall aveva deciso di buttarsi sull’artigianato irlandese e aveva anche avuto un discreto successo. Liam si era rivolto a lui per le bomboniere e a quanto pareva il ragazzo si era quindi sentito in diritto di farsi un po’ di pubblicità, già che c’era. Liam invece era passato a fare lavoro d’ufficio per l’agenzia di organizzazione eventi per la quale lavoravano anche lui e Harry, mentre Harry era stato contattato dal fotografo che aveva conosciuto tempo prima via Eleanor che gli aveva proposto di fargli da stylist per i suoi servizi fotografici. Lui invece si era lasciato sballonzolare da un lavoro all’altro, fino a quando non aveva trovato un posto all’interno della redazione di una casa editrice di fumetti, e per una volta era riuscito a resistere più di quattro mesi nello stesso posto. La loro nuova situazione lavorativa aveva permesso a lui e Harry di cercarsi un’altra sistemazione, una che non comportasse gite nello scantinato solo per fare il bucato e che non sembrasse una sistemazione da studenti squattrinati. Avevano trovato questo delizioso appartamento a Chelsea - delizioso ovviamente era stato l’aggettivo usato da Harry non appena ci era entrato e Louis aveva capito dallo sguardo dell’altro che quella sarebbe stata la loro nuova casa – ed era stato assolutamente meraviglioso imbarcarsi in quella nuova avventura con Harry. La prima notte dopo aver firmato il contratto avevano dormito a lume di candela accucciati in un sacco a pelo, e i giorni a seguire li avevano passati a ridipingere i muri e arredare insieme una stanza dopo l’altra. Avevano mantenuto per altri due mesi anche l’altro appartamento, visto che avevano bisogno di un posto completamente funzionante almeno per dormire e sistemarsi per andare a lavorare, ma la verità era che quel sacco a pelo li aveva ospitati molto spesso perché quella ormai era casa loro.
“È tutto così bello, non riesco a credere di aver avuto l’onore di aiutare a organizzare tutto questo,” Harry gli stava strattonando la manica indicandogli le decorazioni che abbellivano il lungo gazebo disposto in giardino, sotto al quale c’erano posizionati i tavoli che dovevano ospitare gli invitati per il resto della giornata. Guardando la luce negli occhi di Harry, Louis comprese che non sarebbe mai riuscito ad arrivare a sera fingendo di non avere un segreto letteralmente nascosto nella tasca dei pantaloni.
“Ti devo parlare,” gli disse e senza aspettare risposta lo prese per mano e lo trascinò al riparo del boschetto, lontano da occhi indiscreti. Harry ora lo stava fissando con una leggera punta di preoccupazione negli occhi. “Non fare quella faccia,” gli ingiunse.
“Sei molto strano oggi, più del solito intendo,” osservò Harry grattandosi la testa come se stesse cercando di risolvere un puzzle complicato.
“Harold... sappi che non mi inginocchierò e che non ho nessuna scatolina da aprire al rallentatore perché era troppo ingombrante da tenere in tasca. Non hai idea di quanto siano inaccurati i film a riguardo, dai sul serio... come fai a tenere in tasca una dannata scatolina senza che nessuno se ne accorga? Comunque... tieni.”
Così dicendo Louis lo tirò fuori dalla tasca e lo porse a Harry.
Era un anello color argento, largo, sulla cui superficie c’era incisa un’ancora la cui corda formava una ‘L’. Harry lo prese e se lo rigirò per un istante fra le mani, poi alzò lo sguardo verso di lui con gli occhi pieni di stupore.
“E visto che ti conosco e so che stai per iniziare a piagnucolare sul fatto che dovremmo averli uguali e blablabla, questo è il mio. Tieni, fai finta di darmelo.”
Harry gli prese dalla mano anche il secondo anello, identico al primo con la sola differenza che la corda formava una ‘H’.
“Dunque?” lo sollecitò Louis impaziente.
Harry finalmente sorrise e Louis non aveva mai visto un sorriso così immenso e radioso in tutta la sua vita. Un istante dopo le labbra di Harry erano sulle sue, mentre le sue mani cercavano la sua mano sinistra e gli infilavano l’anello.
“Sì, lo voglio,” gli sussurrò poi il ricciolino a fior di labbra e Louis lo attirò a sé con forza.
  
FINE.

NOTE.

Ed è giunta la fine e mi ha fatto stranissimo rileggere questo epilogo che ho scritto mesi fa. Questa storia era partita con una trama estremamente angst, in cui Harry e Louis si ritrovavano a essere coinquilini per caso - come è stato - ma dovevano impiegare molto ma molto più tempo e fatica a trovare il loro happy ending. A dirla tutta, Harry doveva innamorarsi follemente di Louis, che però era un tossico con tutta una serie di problemi, che preferiva passare le sue giornate a farsi di roba strana col suo compare Zayn piuttosto che badare a lui. Capite quanto sia uscita dai binari, semplicemente non ce l'ho fatta e questi Louis e Harry hanno preso la loro strada e insomma, chi sono io per mettermi in mezzo? Dall'angst al fluff più puro, non ci credo nemmeno io perché credetemi... non ho mai scritto niente di così "latte alle ginocchia" in tutta la mia vita. 
I luoghi di Londra che hanno fatto da sfondo alla loro storia esistono tutti e li potete trovare esattamente dove li ho descritti - anche se potrei non essere stata esattamente fedele in tutto, visto che lo skatepark di southbank alle otto di sera è più affollato che alle due del pomeriggio, per dirne una - e sono luoghi a cui sono personalmente parecchio affezionata, e quindi li ho resi un po' protagonisti insieme a loro.

Per chiudere, volevo ringraziare di cuore ogni singola persona che ha letto questa storia, che l'ha commentata, che l'ha messa nelle storie preferite o seguite. Grazie di cuore, davvero <3

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