Quando l'amore ha dieci anni in più.

di mentaverde
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Fanculo a me ***
Capitolo 2: *** Tempismo del cazzo ***
Capitolo 3: *** Sono un'ortica. ***
Capitolo 4: *** Mi sento un falò. ***
Capitolo 5: *** Sono sbagliata. ***
Capitolo 6: *** Va bene così. ***
Capitolo 7: *** Mi metti in discussione. ***
Capitolo 8: *** Tu-tum. ***
Capitolo 9: *** Sono fregata. ***
Capitolo 10: *** Autocontrollo cercasi. ***
Capitolo 11: *** Sesto senso. ***
Capitolo 12: *** Sono fastidiosa. ***
Capitolo 13: *** How to get away with murder. ***
Capitolo 14: *** È tutta una questione di bastardi. ***
Capitolo 15: *** L'eterna domanda. ***
Capitolo 16: *** Altri mille. ***
Capitolo 17: *** Signorina cameriera. ***



Capitolo 1
*** Prologo - Fanculo a me ***


 
 
 
 
 
 
 
 
Prologo
Fanculo a me
 
 

 
 
 
Fanculo.
No, davvero, fanculo te e tutti quelli come te.
“…non è per colpa tua…”.
Ci mancherebbe che sia io il problema!
“…sono io…”.
Beh, complimenti, vuoi un applauso?
Sì che sei tu il problema, genio delle scuse da due soldi, visto che tu mi vuoi lasciare.
“…mi dispiace tanto…”.
Ti dispiace?
Fanculo.
Se ti dispiacesse non mi avresti lasciata, non è vero? Se ti dispiacesse non saremmo in questa situazione! E poi perché dovresti dispiacerti? Pensi che senza di te la mia vita sia finita? L’unica cosa che spero di porre fine, oltre alla tua esistenza è questa stupida conversazione.
Ma tu no, non capisci di smettere di parlare e continui.
“Sono stato bene insieme a te”.
Vuoi veramente che mi arrestino per atteggiamenti violenti?
Pensavo di conoscerti, ma non sapevo di questo tuo lato sadico, visto che vuoi prenderle.
E… aspetta, cosa hai detto?
Fanculo.
“Sei una persona speciale, troverai sicuramente qualcun altro”.
Ci mancherebbe solo che dopo di te non trovassi nessuno.
“Restiamo amici vero?”.
Ed eccola, la domanda che attendevo da quando mi avevi detto che volevi parlare.
Se rimaniamo amici?
Puoi scordartelo che rimaniamo amici, visto che prima mi hai illusa, poi mi hai scopata e alla fine hai detto che dobbiamo finirla qui. Tu che facevi tanto l’adulto, ma che di maturo non hai neanche l’ombra.
Fanculo.
Fanculo te e tutti quelli come te.
Tutti quelli che illudono, usano e lasciano.
Cosa sono io? Un passatempo? Bastava dirlo, coglione che non sei altro, che ti servivo solo per sfogare i tuoi istinti sessuali primitivi. Almeno non mi sarei affezionata a quella faccia da idiota che ti ritrovi attaccata al collo, almeno sarei stata capace di dirtelo quel fanculo che mi ronza in testa.
Ma invece no.
E non te lo dico perché non ho il coraggio, ma semplicemente perché mi fai pena, idiota con scuse da due soldi. Mi fai pena, davvero.
“Certo”, ti rispondo ma vorrei dire ‘mai’, ma guardo la tua espressione tranquilla e vorrei darti un pugno su quel naso perfetto che ti ritrovi.
Davvero. Ti picchierei.
Lo sai vero? Che ora ti farei veramente del male?
“Allora ci vediamo”, dici e te ne vai.
Spera di no, vorrei dirti ma rimango zitta, perché la prossima volta che ti ritrovo, ti faccio del male. Ma non un pugno e finisce tutto lì. No, no. Farò partire la mia immaginazione, le darò briglia libera, dicendole di andare, di dar sfogo a tutto il suo istinto vendicativo femminile, quello che mi rende fondamentalmente una stronza. E poi, nel momento più opportuno, te la scaglierò addosso la mia vendetta e guardandoti dall’alto goderò nel vederti annaspare.
Annasperai come sto facendo adesso io, che piango come un’idiota con la testa sul volante.
Piango perché mi sono fidata di te e tu mi hai tradita.
Piango perché sono stata una stupida, io che mi consideravo intelligente.
Piango perché non ti ho mandato a quel paese.
Piango perché penso alla tua faccia da idiota e ancora il cuore mi batte forte.
Fanculo.
Sì, fanculo anche me.
Cosa avevo fatto?
Eppure eri così bellino e dolce con quella tua giacca nera, quando sei venuto a parlarmi la prima volta, al pub in città. Tu che hai preferito me alla mia amica, che dicendo che è bella è un insulto alla sua bellezza.
Hai preferito me perché sono stupida.
Dov’è che l’hai vista questa scritta? Perché io non la vedo, mi guardo e non vedo altro che i miei occhi tristi.
Fanculo.
Davvero. Vaffanculo.
 
“Che pezzo di merda”, esclama Alison appena sopra la musica del locale.
Alison e la sua innata capacità di descrivere una persona con poche parole mi lasciava sconvolta ogni volta.
Cazzo, hai ragione Ali.
Prendo il mio drink e lo butto giù tutto d’un colpo, sento la mia gola in fiamme, ma è un attimo, il mio cuore invece è a pezzi.
“Non gliele hai date due sberle?”, domandi tu con il volto serio.
Avevo pensato di tirarlo sotto ad un camion, ma il camion non lo guido, quindi lo avevo sostituito con la mia macchina, ma dopo come mi sarei giustificata con i miei? ‘Cara mamma e caro papà, la vedete quella bella ammaccatura sul cofano? Niente di che, ho solo investito il mio ex ragazzo che, appunto, mi ha lasciata’.
Come minimo insieme all’ammaccatura del corpo dell’idiota, al fianco ci sarebbe stata la mia, con sagoma disegnata col gesso sull’asfalto compresa.
“No”.
“Sei un’idiota”.
L’avevo già detto che Alison  era tremendamente brava a descrivere le persone in poche parole?
“Mi ha chiesto di rimanere amici”.
Eccola quell’espressione, quella che ti accusa di essere tu la fessa in tutta la storia.
“Lo ribadisco: sei un’idiota”, dici guardandomi seri.
E hai ragione, maledizione, se hai ragione.
Sono un’idiota, ma cazzo, non ce la facevo più a tenermela questa stupida verginità e poi lui, i suoi occhi, le sue labbra… ecco, lui e quella faccia da stronzo che hai, che mi perseguita in continuazione come a ricordarmi chi mi sono lasciata scappare come se già non lo sapessi.
“Io non so perché l’hai voluto fare con lui”.
Perché non tutti come te sono belli da far invidia ad Angelina Jolie e hanno tutti ai loro piedi di conseguenza.
Ma io questo non te lo dico e abbasso gli occhi.
A vent’anni non si può essere vergini, che cazzo. Non si può.
Ma neanche farsi prendere in giro così, questo probabilmente è ancora peggio.
“Sei bella, Lex, e troverai l’uomo giusto quando meno te lo aspetti”.
Sei una buona amica, Ali, ma il problema sono veramente io. E quell’idiota aveva ragione.
Io me lo aspetto sempre l’uomo giusto, ma tutti quelli che si presentano, beh, sono noiosi. Noiosi da far schifo.
E sinceramente non so come tu possa stare con Liam, che sarà pur bello ma è così uguale a tutti gli altri con quei capelli anti gravità, i jeans con i risvolti, la camicetta abbottonata all’inverosimile, che perde tutta la sua vera bellezza.
E lo vedi anche tu, lo so che lo vedi, lo so che ti annoia quella monotonia di discoteche e musica house.
Lo so, perché annoia me che ascolto la tua noia attraverso le parole.
Sai che ti dico?
Fanculo.
“Fanculo gli uomini”.
Tu fai un sorriso che distrae il barista tanto è luminoso e mi batti il cinque facendo girare i due dietro di noi. Dopo aver mandato giù la tequila, leccato il sale dal dorso della mia mano e essermi messa il limone in bocca mi accorgo di chi è uno dei due che si sono voltati a guardarti.
Fanculo.
Sì, proprio fanculo al tempismo e alla mia sfiga che a quanto pare ha fatto una visita dall’oculista e che ci vede meglio di sempre.
Mi sorride gentilmente e io vorrei sprofondare.
Fanculo, davvero, tanto fanculo. 














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Ciao ragazze, sono Blue e questa è una mia nuova storia che sto progettando in parallelo ad un'altra.
Spero che vi piaccia e mi piacerebbe molto sentire la vostra opinione.
Per ora non ho nulla da aggiungere, visto che non vorrei fare degli spoiler su quello che è il mio progetto futuro.
Non vedo l'ora di ricevere qualche vostra recensione, 
sono sicura che sarete così carine da scrivere almeno dieci parole!

Grazie,

Blue

 

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Capitolo 2
*** Tempismo del cazzo ***


 
 
 
 
 
 
 
 

Tempismo del cazzo
 
 

  
 

 

 
 

 

 
Tempismo del cazzo.
Dovrei fare una lista di tutte le mie pessime scelte.
Probabilmente mi servirebbero molte pagine e molto inchiostro, perché in vent’anni di esistenza il mio tempismo era sempre stato pessimo.
Come in quel momento, beccata in fragrante dal tizio che lavora con i miei, mentre cerco di ubriacarmi per disperazione. Era un po’ come farsi beccare dai genitori, anzi, la cosa sarebbe stata migliore.
Eccolo che mi saluta, sorridendo pacifico e dando un’occhiata al bicchiere che tento di nascondere.
Ma nascondere solo quello non serviva a niente, visto che avevo disseminato una sciai di bicchierini vuoti.
Il tipo si alza, mi viene in contro e guarda Alison incantato.
Vedi, Ali?
Se ci sei tu, neanche i trentenni mi filano!
Maledetta te che sei così bella. Maledetta me che sono tua amica.
“Alexis”, mi saluta distogliendo a fatica gli occhi da Alison.
Io ti sorrido, non riesco a dire niente perché mi mette soggezione il tuo essere un consulente con le palle che a trent’anni ha già fatto carriera arrivando al vertice. Mi hai sempre messo soggezione, lo sai?
No, tu non lo sai, si vede, porca miseria.
“Sono Ali, piacere”, ti presenti poi tu, amica mia che lo distrai completamente, facendolo perdere nei suoi occhi profondi.
“Joseph”, si presenta lui pendendo dalle sue labbra.
Si lo so, labbra che tutti vorrebbero baciare.
Mi giro.
Chi se ne frega se Joseph lo dirà ai miei.
Chi se ne frega di tutto.
Io sono incazzata e ho bisogno di bere, almeno per dimenticare.
Ordino un’altra tequila e lo vedo lo sguardo stupito della cameriera. Che vuoi? Vuoi botte pure tu? Oggi sono in vena, oggi sono una furia. Non che di solito sia tranquilla e silenziosa… anzi non lo sono mai. Sono una tipa più da combattimenti all’ultimo sangue e urla.
Sono il caos fatto a persona.
Ali invece era la personificazione della bellezza e dell’eleganza.
Ognuno la sua vero?
Beh, grazie per avermi dato questo schifo allora.
“Bello il tipo”, dici tu girandoti, “Che fai, bevi ancora?”.
Sì devo bere per dimenticare.
Dimenticare l’idiota che mi ha lasciato, dimenticare il fatto di essere una sfigata cronica e di avere un’amica così bella da farmi fare da tappezzeria.
Ti voglio bene, Ali, davvero tantissimo. Ma non sopporto quel tuo bel visino, quel sorriso da un milione di dollari e quei tuoi stupidi occhi da cerbiatta.
Diciamo che ti vorrei più bene se fossi brutta o normale. Forse brutta.
Sì, ecco se tu fossi un cesso non mi allontanerei mai da te e giurerei amicizia eterna.
“Basta tequila”, dici.
“Allora portami una sambuca. Liscia”.
Sento la lingua pesante e la tua espressione mi fa capire che sono ubriaca.
Ma le bariste sono due gemelle?
Oh, cazzo, ci vedo doppio.
Eppure tu rimani così bella da far schifo.
Mio dio, come fai ad essere bella sempre?
Io non ci riesco neanche per mezzo minuto.
Maledetta me, maledetta te e maledetti tutti.
“Ora basta, andiamo a casa”.
Andare a casa? Oh, la mia serata è appena iniziata.
“Che palle, Ali”, dico sbattendo contro qualcuno mentre mi trascini fuori dal pub.
Mi volto e lo rivedo, quel tizio che a me si è sempre presentato come Cooper, mentre Ali può chiamarlo per nome, eh, solo perché è bella.
“Fanculo”, gli dico e sono dopo aver visto la sua espressione sorpresa mi accorgo di aver detto una grande, grandissima cazzata.
Tempismo del cazzo.
Bisogna mettercela tutta per incontrare il tizio che lavora con i tuoi proprio la sera in cui decidi di fare la balla peggiore della tua vita. Eppure io ce l’avevo fatta.
Vedi, Ali, in qualcosa sono meglio io.
Nelle figure di merda.
Esattamente in quelle.
Ma nonostante tu mi stia vicina in tutta la merda che mi sta sotterrando rimani bella, perché gli fai quel sorriso da scuse socchiudendo le spalle.
Lo so che tu vedi solo Liam, cara Ali, ma insomma non noti come gli altri guardano te?
Sembra proprio di no, e forse è questo il motivo della tua bellezza: te che sei te stessa, mentre io mi stringo in gonne troppo strette, scollature troppo ampie e tacchi che non so portare.
È sempre così.
Te lo sto per dire che sei fortunata, ma sento la gola gonfia e ho davvero paura di vomitare. Lo so che mi terrai la testa, mi raccoglierai i capelli e sarai anche pronta a darmi dei fazzoletti. Probabilmente dovrai sopportare anche le mie lacrime, perché quella che ho preso è decisamente una sbornia triste.
L’ho fatto anch’io, qualche anno fa, e ti giuro che non è stato uno spettacolo. Ma nonostante questo tu quando hai alzato la testa dall’aiuola, nonostante fossi pallida, dio eri bellissima. Sei sempre bella tu.
Mentre io che corro verso quella che sarà la mia aiuola so che quando avrò finito di vomitare tutti i miei tentativi di dimenticare, sarò uno straccio, brutta, pallida e sporca di quel poco che avevo mangiato prima di uscire con te.
È sempre così.
Tu bella, io cesso.
Mi tieni i capelli, e mi accarezzi la schiena guardando da altre parti, fingendo di non sentire l’odore nauseabondo, ma  sei gentile, non ti allontani, mi dici di calmarmi anche quando sollevo la testa e comincio a piangere.
Piango perché fa davvero schifo essere me.
“Non piangere, Lex”, sussurri pronunciando quel soprannome che mi hai dato tanti anni fa e che ormai usano tutti.
Fra le lacrime penso a quel momento, quando ci siamo conosciute e sapevamo già di essere diventate amiche inseparabili. Tu che giocavi con i nostri nomi, così simili ma completamente diversi. Alison e Alexis. Tu dolce, bella, elegante, con un nome così musicale che solo a pronunciarlo non si poteva che volerti bene. Io invece no, ero un maschiaccio, con un nome forte, con quella ‘x’ che toglieva tutta la dolcezza, tutta l’armonia che invece aveva il tuo di nome. Io ero dura, forte e acida. Si soprattutto acida.
E poi tu che guardi Smallville e prendi il nome di quel pelato di un miliardario e me lo dai a me.
Lex.
Un po’ come Rex, aggressiva, ma dolce per quella ‘l’ all’inizio, un po’ come te e un po’ come me.
Perché nonostante fossi acida, tu mi volevi bene.
“Cosa fai? Ridi?”, mi domandi e sì, stato ridendo. Ridendo perché siamo due stupide.
Rido perché ti voglio bene, Ali.
Ti voglio bene anche se con te al mio fianco finisco per fare da tappezzeria.
Ti voglio bene perché mi hai dato quel nomignolo, perché hai accettato chi io sia.
Tempismo del cazzo.
Ed eccolo a rovinare tutto che arriva lui. Il tizio insieme al suo amico e ci vedono lì.
Io che rido sporca di vomito come se fosse l’ultima cosa che avrei fatto nella mia vita, e nonostante tu sia al mio fianco Ali, il tizio guarda me per una volta.
Sì, mi guarda e penserà che sono una povera sfigata.
Ma sai una cosa, Ali?
Non me ne frega niente.
Perché avrò pur un tempismo pessimo, ma almeno ho qualcosa da raccontare.
E sì, l’avrò mandato a fanculo, ma non me ne frega niente.
Perché io sono il caos, sono urla e lotte fino all’ultimo sangue.
Io sono Lex.
E va bene così.







___________________________________________________________________________________________________
Ed eccomi qui con il secondo capitolo!!!! :)
Sono stata super veloce e spero di esserlo anche per i prossimi... 
Spero di ricevere qualche recensione in più dell'altra volta, ma ho visto che comunque il mio racconto è stato apprezzato.

Che ve ne pare della nostra Lex?
Che ve ne pare di Alison e di Joseph?
Dai, dai ragazze, ditemi le vostre opinioni!!!


A prestissimo,
Blue

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Capitolo 3
*** Sono un'ortica. ***


 
 
 
 
 
 
 
 

Sono un'ortica.







 
Sono un’ortica.
No, non va bene così.
Decisamente no.
A meno che il mio destino non sia il suicidio.
Non sto scherzando.
Com’è possibile che ovunque io vada me lo ritrovi davanti? E per di più con quel suo sorrisino da trentenne sfigato che vorrei cancellargli con una sberla.
No, qualcuno mi vuole del male lassù e me la sta facendo pagare.
Ma in questo modo? È davvero meschino.
La mattina non era cominciata bene visto il risveglio post-sbornia davvero traumatico. Io che solitamente mi vantavo delle mie eccezionali riprese dall’alcol dopo una dormita di qualche ora, invece dovevo ricredermi.
Il dopo sbornia fa schifo e io ne sono la testimonianza.
E il signor Cooper che mi guarda con quell’espressione scandalizzata non fa che confermarmi l’idea che la mia faccia sia in pessime condizioni.
Non va bene che Ali arrivi con la sua solita aria da bella eterna e che mi dica di muovermi. Non va bene perché tu, amica mia, sei sempre un fiore mentre io sono un’ortica dove ha appena fatto pipì un cane.
Non va bene Ali che ti presenti nel mio appartamento dicendomi di andare a fare colazione e che starmene da sola non mi avrebbe aiutato.
Perché io ti voglio bene, lo sai, ma ho bisogno di stare da sola e di far pace col mio riflesso allo specchio, senza il tuo che ovviamente mi fa diventare veramente quell’ortica.
E ti dico okay, dopo che hai alzato gli occhi al cielo per la miliardesima volta, e andiamo al bar in centro. Io che mi copro gli occhi con dei spessi occhiali neri e che mi tengo il cappuccio sulla testa per nascondere quella che ieri era una bella pettinatura, e che oggi sembra un groviglio di paglia.
Tu invece, con i tuoi leggins e la camicia firmata sembri una star.
Andiamo al bar e inizi a chiacchierare col cameriere a cui ho dovuto ripetere tre volte la mia ordinazione perché troppo concentrato nel flirtare con te che, sì ci parli, ma vuoi parlare con me.
La vedo l’urgenza nei tuoi occhi, la vedo e mi spaventa.
Tu hai fretta solo in due casi: quando c’è da fare shopping e quando hai un appuntamento dall’estetista.
Quando ne arriva un terzo, beh, vuol dire che mi devo preoccupare e prepararmi a minacciare quell’idiota di Liam.
Perché Liam è fondamentalmente un idiota che ti annoia, ma non te lo dico perché non voglio peggiorare la situazione.
Quando il cameriere si allontana – a quanto pare lassù odiano me ma amano te – cominci a parlare a bassa voce e fatico a sentirti perché sono troppo assorta nel guardare la tua espressione rammaricata.
Che cos’è che succede?
“Billy”, dici tu e mi fai fare un infarto.
No, non è Liam e – mi dispiace per te – ma avrei preferito sentir pronunciare il suo nome, non del mio ex.
 Vorrei chiederti cosa ha fatto ma non riesco a parlare. Sentire il suo nome mi distrugge ancora. Sentire che è vivo mi fa sperare che muoia, nonostante non sia una cosa bella da pensare, ma chi se ne frega!
Lui mi ha lasciata e non ha mai pensato a cosa io volessi.
“Sta con una”, e dicendolo sfoderi il tuo cellulare e mi fai vedere delle foto della sera precedente che aveva postato su facebook.
Le guardo mal volentieri, sapendo già che starei male.
Perché lo fai Ali?
Lo sai che…
…mi assomiglia. Capelli neri, occhi chiari e…
Gli uomini devono davvero avere un qualche deficit per lasciare una ragazza e poi mettersi con un’altra uguale.
“Ma l’hai mai vista questa qui?”, ti chiedo e tu annuisci con un sospiro e indichi una ragazza seduta a qualche tavolino da noi.
È quella della foto.
Quella a cui sto per spaccare la faccia.
Mi alzo di scatto e tu mi tieni la mano sibilando di non farlo.
Ed eccolo che appare lì, il tizio, il signor Cooper che sorride.
“Mi vuoi mandare un’altra volta a fanculo?”, mi chiede senza l’ombra di rabbia o sfida.
Come se fosse una domanda normale, neanche mi avesse chiesto come sto.
Voi uomini avete un deficit serio.
“Se le fa piacere volentieri, signor Copper”, ti rispondo e sorridi ancora di più.
Sono un’ortica.
Lo sai che hai le rughe a trent’anni?
“Lascia stare, Lex”, dice Ali riacquistando tutta la mia attenzione e facendomi ricordare la tizia poco distante.
Mi sta guardando perché la sto fissando con un’intensità tale che se fossi Ciclope sarebbe già cenere.
“Vuole mandare a fanculo quella ragazza là?”, chiede il fanculizzato della sera precedente ad Ali che sorride e gli risponde che sarebbe il minimo.
Esattamente un attimo prima che mi volti per fanculizzare di nuovo il fanculizzato, il ragazzo seduto con la tipa si volta e inizio a sentire le fiamme esplodere dentro di me.
E lì c’è anche Billy, il tizio che mi piace, quello col viso bello e col nome da cane.
È lì e vorrei fargli del male.
Anche Ali se ne è accorta sentendo il suo “Oh-oh. Adesso lo uccide”.
Ma invece non lo faccio anche se le mani mi prudono.
Sto ferma, alzo una mano e la scuoto respingendo la tentazione di mimagli un impiccato.
Combatto contro il mio istinto e contro la mia stupida sensibilità di donna che mi porterebbe a piangere.
Perché cavolo mi hai portata qui, Ali?
Per farmi vedere cosa?
Che Billy preferisce quella a me?
Maddai?
Chi nella faccia della terra preferirebbe me?
Chi?
“Vaffanculo Ali”, ti dico e vado via.
Sì, vaffanculo a te che sei mia amica e mi fai questo.
Rimango ferma a guardare la tua faccia ferita e cerco di imprimerla bene nella memoria.
Sono un’ortica.
A nessuno piacciono, nessuno le vuole e l’unica cosa che sanno fare è tener lontana la gente.
Io pungo.
Pungo e ti allontano, perché tu sarai anche una rosa senza spine, di quelle belle, ma sei una stronza.
E io sono una maledetta ortica che sa solo pungere e mandare a fanculo la gente.
E questa volta ci sei anche tu, che non eri contenta di essere quella bella, ma volevi vedermi anche distrutta? I miei complimenti.
Ce l’hai fatta.
Ora fatti fare l’applauso perché hai strappato l’ortica, Ali, l’hai strappata calpestandola con forza.
Ricordati che quell’ortica ero io: la tua migliore amica.
Mi metto a camminare e sento solo i miei pensieri perché oltre a parolacce sono urla che non mi fanno sentire altro che rabbia.
Ma poi lo sento… anzi lo vedo visto che mi si piazza davanti e mi guarda con quell’aria strana da…
“Cosa vuole, signor Cooper?”, ti chiedo con evidente dose di fastidio nella voce.
Cosa vuoi?
Nessuno vuole le ortiche, svegliati!
Mi fai vedere un picchiere di carta con dentro quello che probabilmente è il cappuccino che ho ordinato e che non ho bevuto.
“Se non lo bevi il mal di testa del dopo-sbornia diventa peggio”, dici.
Chi sei mio padre?
No, mio padre non dice sbornia.
Ti guardo sconvolta.
“Sì, lo so. Vaffanculo”, fai quella che deve essere una mia interpretazione di quando insulto la gente e nonostante sia depressa quasi mi scappa un sorriso.
E lo vedi e ti si illuminano gli occhi nonostante io l’abbia represso subito.
Sono un’ortica.
A nessuno piacciono, signor Cooper, lo sai vero?
“Lo prendi o no?”.
“Sì”.
Comincio a berlo perché ne ho bisogno e vedo che mi guardi nonostante io stia fissando le mie converse distrutte poco lontane dalle tue scarpe eleganti e laccate.
“Io devo andare in ufficio”, dici rompendo il silenzio.
Vorrei dirti grazie, ma non lo faccio perché tu sei uno stronzo da vaffanculo più che da ringraziamenti, e perché non mi hai ancora detto che io posso chiamarti Joseph.
Eppure la cosa non sembra minimante toccarti, anzi, sorridi di fronte al mio silenzio scuotendo la testa.
Sono un’ortica.
Ma a quanto pare le mie punture a te non fanno niente.
E non posso non dire che la cosa - stranamente - mi faccia piacere.












__________________________________________
Ciao ragazze... Non posso non dire che questo capitolo sia stata un'ispirazione dell'ultimo momento..
Che mi dite?
Vi piace?

Blue

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Capitolo 4
*** Mi sento un falò. ***


 
 
 
 ATTENZIONE: questo è il secondo capitolo che ho pubblicato in meno di 12 ore! Quindi fate attenzione di aver letto quello precedente!!! 
 
 
 
 
 
Mi sento un falò.
 
 
 
 
 
 
 
 
Mi sento un falò.
Questo deve essere un incubo.
Perché si è capovolto tutto?
Dai, andiamo chi avrebbe mai detto che Ali, quella che era la mia migliore amica e che nonostante tutte le litigate, non ero mai arrivata ad odiare, ora invece non riesco a guardarla in faccia?
Non riesco a guardarti, eppure prima avrei passato ore a guardare quanto tu fossi bella.
Ora invece ti darei un pugno, ma credo proprio che tu ti debba mettere in fila, sai.
Mi guardi e vuoi che dica qualcosa dopo il tuo stupido ‘scusa’.
Scusa di cosa poi?
Scusa di avermi messa di fronte all’ovvietà? Che per Billy non sono stata altro che un passatempo e che non gliene era mai fregato di me?
Essere amiche significa essere sincere, hai anche detto.
Anch’io lo sono stata e ti ho mandata a quel paese, quindi apprezza.
“Dai, Lex. Non volevo ferirti”.
Mmm. Non volevi ferirmi? Allora perché cavolo l’hai fatto?
No, no, sono proprio curiosa.
Perché cavolo l’hai fatto se non per ferirmi?
Per farmi superare la cosa?
Per farmi voltare pagina?
Dai, continua a parlare Ali, perché sono proprio curiosa di sapere qualche altra cazzata dirai.
E ti conviene vivamente non dirle perché non vorrei mai rovinare il tuo bel faccino da stronza.
“L’ho fatto perché sei una persona speciale”.
Ma dove le avevo già sentite quelle parole?
Oh, certo!
Da Billy, quando mi aveva lasciata.
“…troverai sicuramente…”
Una amica migliore? È quello che spero.
Perché lo siamo state da sempre amiche, ma sai, a volte non è per sempre.
Mi guardi e aspetti una risposta.
E questa volta non mi trattengo, non sorrido fingendo che vada tutto bene o che io ti abbia perdonata. Io mi fidavo, ciecamente. Sapevo che, anche se qualche volta dovevo sopportare il fatto che mi rubavi tutti i ragazzi che a me piacevano, potevo fidarmi. Tu non mi avresti mai ferita…
Anzi l’hai fatto.
E nel modo peggiore che potessi trovare.
“Vaffanculo, Ali” comincio a dire ma non riesco a trattenermi e continuo a parlare, ti dico tutto quello che ho trattenuto in questi anni. E pensi che quello sguardo ferito mi fermi? È solo benzina sul fuoco, dolcezza, e ormai io sono un falò.
Dentro di me brucia una rabbia immensa perché mi hai ferita proprio tu, quella che credevo non l’avrebbe mai fatto.
E te le dico.
Non mi trattengo più, perché a stare zitti non si guadagna niente, solo porte in faccia e pugni sullo stomaco.
Ma questa volta io rispondo con il fuoco.
Mi sento un falò.
E stai attenta, bellezza, che se ti avvicini troppo ti scotti.
Ti lascio lì davanti alla porta del mio appartamento e ti supero. Ho deciso che torno a casa per un paio di giorni, torno da persone che per quanto mi critichino so che non mi feriranno. Torno da persone che mi amano e che non mi pugnalano alle spalle.
Al contrari tuo, Ali, loro sono dalla mia parte.
Sento i tuoi tacchi scendere le scale, imprechi e mi chiami, ma io corro perché non voglio sentire altre parole.
Cosa c’è da dire ancora?
Non ti basta che stia già da schifo?
Non ti basta che tutto sia contro di me?
Dovevi mettertici anche tu?
Sparisci Ali.
 
Mi sento un falò.
Potrei scoppiare da un istante all’altro, potrei veramente esplodere.
Fare boom.
Ma poi mi ricordo che solo le bombe fanno boom.
Io al massimo posso fare ‘crack’ visto l’intensità con cui sto stringendo la penna tra le mani, o rompo lei o mi rompo qualche dito.
Sono un fuoco dentro, pronto ad incendiare tutto.
Vorrei scoppiare ma cerco di trattenermi un po’ come si trattiene un rutto, che poi però quando esce sembra che tu abbia usato un megafono.
E probabilmente sarà così: quando scoppierò annienterò tutto attorno a me.
Lo so che vedi qualcosa che non va in me, ma non voglio raccontarti niente papà. Non voglio che tu sappia che sono una fallita, proprio io, che sono la tua preferita anche se non vuoi ammetterlo. Lo so che speri che a Kim passi in fretta l’idea di seguire l’azienda di famiglia perché è frigida e antipatica e non ha tutto il tuo carisma. So che a lei preferiresti chiunque altro, anche Oliver che non ha mai mostrato alcun interesse se non per la fotografia, ma so che ti piaccio io, perché lo vedo come mi guardi con fierezza quando ti chiedo come va il lavoro.
Lo so perché eri come un bambino a Natale quando entravo in ufficio e ti davo una mano nel lavoro. Mi dicevi che ti piaceva come lavoravo, ma non ho mai avuto coraggio di dirti che copiavo te perché mi lusingava che pensassi fosse tutta farina del mio sacco.
Papà vorrei raccontarti di quanto Billy sia idiota, ma tu questo lo sai perché me l’hai detto subito, e non voglio darti ragione perché sono un po’ come la mamma, troppo fiera per urlare al mondo di aver sbagliato.
“Facciamo una partita?”, mi chiedi e la mamma sbuffa.
“Scarabeo?”, ti chiedo e vorrei piangere.
Perché tu sai che qualcosa non va, lo sai eppure non chiedi perché scoppierei.
Mi sento un falò.
Ho caldo dentro, vorrei urlare, ma mi trattengo e respiro con calma, calibrando ogni mia mossa. In fondo potrei scoppiare da un momento all’altro.
E a quanto pare quel momento è destinato ad arrivare dopo che guardi l’orologio e mi chiedi di accompagnarti in ufficio che ti serve un aiuto.
Che ne so io di cosa mi sarei trovata davanti?
Anzi, chi mi sarei trovata davanti.
Tre volte in tre giorni.
Assolutamente un record visto che solitamente ci vedevamo al massimo una volta al mese.
Ed ecco il signor Cooper che arriva con le sue scarpe laccate, il sorriso finto che improvvisamente diventa sincero quando mi vede.
Mi sento un falò.     
Questa volta un falò di domande.
Papà parla a te che non stacchi mai gli occhi da lui o dal tablet se non quando si distrae a cercare qualche carta che rivolgi la tua attenzione a me.
Mi guardi sorpreso.
Che ho? Mi si è attaccata qualche lettera dello scarabeo sulla fronte?
Beh, se così fosse ci sarebbe scritto sfigata, quindi nessuna novità.
Abbasso gli occhi perché mi imbarazzi.
No, davvero.
Che hai da guardare?
È così strano vedermi in ufficio? Vedermi operativa?
È così strano che io me ne intenda di investimenti?
Insomma, studio economia, mica scienze delle merendine, sai.
Va bene che ho la faccia da fessa, ma nonostante il mio caratteraccio – e mio padre può confermare – la mia lingua è tagliente e quando si tratta di lavoro sono molto peggio di lui, probabilmente perché ho ereditato qualcosa –soprattutto difetti –  da  mia madre.
“Scusate, ma devo assentarmi un attimo”, dice mio padre allarmandomi.
Dove stai andando, papà?
Mi lasci da sola con signor Cooper?
Perché il destino sembra avercela davvero con me? Lassù non c’è proprio nessuno a cui stia simpatica? A quanto pare no.
Ed ecco che mi guardi ancora, signor Cooper.
Non te l’hanno detto che quello sguardo curioso è fastidioso? Cosa sono? Un fenomeno da baraccone? Beh, sì, questo lo so anch’io, ma se la smettessi di guardarmi starei un po’ meglio.
“Come mai sei qui?”, mi chiedi con uno slancio di coraggio degno di nota.
“E’ casa mia”.
“E qui la gente la mandi a quel paese?”.
“Se se lo merita sì”.
“Quindi io me lo sono meritato?”.
Rimango in silenzio per un attimo perché voglio capire cosa vuole da me.
E glielo chiedo.
E a quel punto sorride, a quanto pare non si è ancora accorto delle rughe attorno agli occhi.
No, sembra che non gliene freghi, ride e basta.
Da quant’era che io non ridevo?
Oh, da tre giorni… sembrano passati anni.
“Parlare. Sei diversa dalle persone che conosco”.
Non rispondo perché altrimenti gli direi che finché frequenta gente della sua età, non fatico a pensare di essere diversa. Insomma bastava guardarci: lui giacca, cravatta e scarpe lucide, io invece maglia, jeans e converse. Non che non avessi cose più eleganti nell’armadio, ma erano i miei vestiti abituali come lui aveva i suoi.
Ero diversa, per forza.
“Hai litigato con la tua amica?”, mi chiedi come se fossimo amici e io vorrei picchiarti.
Non sono affari tuoi.
Mi sento un falò.     
Un falò pronto ad esplodere.
“Non sono affari suoi, signor Cooper”, dico e vedo il tuo sorriso sparire.
Vuoi che mi apra con te?
Vuoi che ti racconti di Ali?
Ma cosa vuoi da me?
Io sono il caos.
Sono un’ortica.
Sono un falò.
Eppure a te sembra non importare del mio casino, delle mie punture e del mio fuoco. Sembri immune a tutto e continui a guardarmi curioso. Cosa vuoi sapere da me?
Vuoi che pianga? Non piangerò. Io non piango di fronte alle persone e le lacrime che mi scendono sono per la maggior parte di rabbia perché vivo in un mondo stupendo contornato da persone stupide.
Vuoi che ti racconti la mia vita? Non farò neanche questo, perché tu sei il signor Cooper mentre per Ali sei Joseph.
Io per te sono un’ortica, sono il caos e un falò.
Mio padre entra e la nostra conversazione finisce. Mi sento sollevata, mi metti soggezione signor Cooper, ma ancora non lo sai.
Ritorniamo concentrati ad ascoltare mio padre che parla di investimenti, soldi e tutto quello che ci gira attorno.
Ci provo a rimanere concentrata ma potrei giurare di sentire ancora dentro di me il fuoco ardere. Non riesco a spegnerlo, eppure ci sto provando a concentrarmi su dell’altro a non pensare a quanto questi tre giorni abbiano fatto schifo.
Poi quando finite di parlare e mio padre esce nuovamente dalla porta rimaniamo tu ed io e di nuovo i tuoi occhi mi fissano curiosi.
“Stasera sono al Brown a fare aperitivo”, dici e te ne vai, nel frattempo il mio falò esplode.

 










_____________________________________________________

Ciao ragazze!!
Ho pubblicato questo capitolo super velocemente perchè... oddio, questa storia mi prende troppo e spero veramente che vi piaccia.
Vorrei farvi notare come Lex sia attaccata alla sua famiglia e vorrei che vi rimanessero impressi i due nomi dei suoi fratelli: Kim la sorella maggiore (quellan frigida) e Oliver il fotografo, in quanto oltre ad essere citati in capitoli futuri, ho in mente qualcosina di divertente su loro due... chissà.
Beh, sono curiosa di sapere cosa ne pensate.
Andrà Lex al Brown secondo voi?



Blue

 

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Capitolo 5
*** Sono sbagliata. ***


 
 
 
 ATTENZIONE: questo è il TERZO capitolo che ho pubblicato in meno di 12 ore! Quindi fate attenzione di aver letto quello precedente!!! 
 
 
 
 
 
Sono sbagliata.









Sono sbagliata.
Non so perché sono qui e sinceramente non saprei neanche spiegare cosa mi abbia spinto a… dai, non diciamo cazzate filosofiche: sono qui perché…
Mio dio non lo so!
Sono qui e basta.
E lo vedo seduto là al bancone mentre fissa il bicchiere con la birra.
Oh, mio dio. A questo bisogna anche insegnare con cosa si fa aperitivo? Siamo messi davvero male.
Con un sospiro mi avvicino e quando i suoi occhi incrociano i miei lo vedo sorridere.
So che hai visto come sono vestita e so che hai pensato qualcosa come ‘perché non si è cambiata?’. Ma l’ho fatto a posta eppure a te non interessa perché sembri felice di vedermi.
O almeno credo che tu lo sia.
Insomma io non sono abituata ad essere guardata, di solito c’è Ali con me che attira tutta l’attenzione, ma tu, comunque, hai sempre guardato la sottoscritta.
Perché?
Non vedi che è sbagliato?
Andiamo, guarda come sono vestita! Ho le converse, i jeans e una maglia larga mentre tutte le altre ragazze qui sono in vestitino e tacchi.
Vedi che sono sbagliata?
A quanto pare no.
“Non pensavo saresti venuta”.
“Me ne posso sempre andare”, ti rispondo e sorprendentemente sorridi.
Sorridi e io non capisco il perché lo fai.
Sorridi alle mie punture da ortica e al fuoco del falò che ho dentro di me.
Sorridi perché io ti diverto.
Non lo vedi, signor Cooper?
Sono sbagliata.
Sono sbagliata come la neve ad agosto, come un’insufficienza a ginnastica, come il sole di notte.
Io sono fondamentalmente sbagliata. Sia nel tuo che nel mio mondo.
E quindi perché tu mi sorridi?
Perché non scappi dalle mie punture?
Perché non ti allontani quando senti il calore del fuoco?
Sei forse stupido?
Beh, per guardare me invece di Ali sì.
“Sei sempre così pronta all’attacco?”, mi chiedi e io non capisco se mi stai prendendo in giro. So che una donna pronta a reagire non piace, so che si preferisce sempre chi dice ‘sì’ e annuisce senza dare problemi. Ma io non sono così. Io sono il caos, ricordi? Sono i vaffanculo invece dei ciao.
“Sì” e per quanto la mia risposta sia breve, tu ne sei felice.
“E non ti stanchi mai? Di essere sempre pronta ad attaccare, intendo”.
Se non attacco io mi attaccano gli altri.
“Mi sta chiedendo se non mi stanco mai di mandare le persone a quel paese?”, domando perché non voglio dirti troppe cose di me.
Perché è sempre così: appena ti apri, appena ti confidi, ti ritrovi con un naso rotto per la porta che ti hanno sbattuto in faccia. E io non voglio che mi succeda ancora.
Tu ridi e le rughe attorno agli occhi sono più rade. Cosa hai fatto? Botox?
“Dammi del tu, Alexis”, dici e questa volta sono io quella felice perché la mia autostima si alza di un po’, quel minimo necessario da mettermi dritta a sedere senza quella mia postura da eterna studentessa.
“Prendi qualcosa?”.
Dieci minuti fa avrei detto che mi sarebbe servita una mazza da baseball, quelle con l’anima di metallo per spaccare tutto quello che mi capitava a tiro.
Ma ora i miei istinti di distruzione si sono placati, tu mi calmi e mi tieni inchiodata qui con il tuo sguardo curioso in attesa di una mia risposta.
“Qualcosa di forte”.
Per un attimo strabuzzi gli occhi, chissà cosa hai capito nella tua mente da trentenne che per aperitivo beve una birra in un locale chic come il Brown.
Beh, io non dovrei proprio parlare visto che sono in jeans e converse.
Sono sbagliata.
“Prometti di non mandarmi a quel paese?”.
Tralascio il fatto che sembra che io sia capace solo di insultare la gente e lo guardo sinceramente divertita.
L’ultima – e anche la prima – volta che era successo ero ubriaca marcia.
“Dipende se dici cose stupide”.
“Perché l’altra volta cosa avevo detto che non andava?”, mi chiedi repentino senza la minima ombra di fastidio, ma solo sincera curiosità.
Sei un tipo strano, signor Cooper.
Alzo le spalle e fatico a trattenere un sorriso, “Diciamo che avevo voglia di mandarti a quel paese da un po’”.
“Lo sospettavo infatti”, aggiungi e anch’io divento curiosa.
Hai notato la mia esistenza prima di quella sera?
“Pensavo che mi avresti piantato un taglierino sulla gola se avessi continuato a parlare di investimenti”.
Scoppio a ridere perché era una delle poche cose che mi interessava ascoltare quando apri bocca.
“Cosa ridi?”, mi chiedi ridendo a tua volta senza capire il perché.
“Niente”, ti dico ma tu non ti accontenti e insisti finché ti rispondo e ridi anche tu.
Hai una bella risata, nonostante le rughette, è sincera. È qualcosa che non si vede spesso ormai, soprattutto nei miei coetanei troppo intenti ad avere ciuffi di seta al posto dei capelli e risvoltini che lasciano intravedere tutta la caviglia. Tutti troppo omologati per scoppiare in una risata sincera come la tua.
Tu invece ridi per il gusto di ridere, signor Cooper, non per attirare l’attenzione e questo gioca un punto a tuo favore.
“Suoni?”, ti chiedo e rimani sorpreso dalla mia presa di posizione e ti guardi le dita che tamburellavano sul bancone a tempo.
Si sa che chi suona, inconsciamente, appena sente una canzone comincia a scandirne il ritmo.
“Una volta suonavo la batteria”.
Sorriso non per prenderti in giro ma perché è strano immaginarsi te, che sei un trentenne con le scarpe laccate e la cravatta che suoni la batteria. Mi fa sorridere questa immagine.
“Che c’è?”, mi chiedi serio.
“Suonavi in giacca?”, ti chiedo e ridi anche tu.
Non so perché ma continuiamo a ridere.
Tu mi fai ridere nei giorni in cui vorrei solo piangere.
“No, non sarebbe stato comodo”.
Più che altro sarebbe come stato vedere un reverendo cantare metal.
Insomma… giacca e batteria? Sono due cose troppo diverse!
E succede tutto all’improvviso. Io abbasso lo sguardo e vedo le nostre scarpe vicine e mi si spegne il sorriso. Converse e scarpe laccate.
Troppo diversi.
Sono sbagliata.
Non dovrei stare qui. Non dovrei star qua seduta e lo so.
Lo so eppure ci resto perché nonostante tutto intorno a noi urli che siamo diversi, è bello avere compagnia ogni tanto. E devo ammettere signor Cooper che sei simpatico.
Sono sbagliata e lo so, ma parlando con te mi sembra di essere in qualche modo giusta.
Forse, signor Cooper, potresti iniziare a starmi simpatico.
Poi ti incupisci anche tu quando vedi due persone avvicinarsi a noi. Saranno tuoi colleghi e mi guardano strano. Poi capisco.
“Stiamo parlando di investimenti”, dici come giustificazione.
Sono sbagliata.
E ne sono sempre più sicura.  
Mentre il tuo sorriso sparisce, ritornano le tue rughe attorno agli occhi e sembri improvvisamente più vecchio. Ti alzi e mi fai cenno di seguirti e lo faccio.
Cosa fai?
Sei tutto agitato, ti sei perso? Dov’è il tizio simpatico di prima?
“Ne vuoi una?”, ti chiedo allungando una sigaretta che tu guardi in modo strano.
“Ho smesso”, dici mettendoti le mani in tasca.
Vorrei sapere cosa sta succedendo ma vedo che il tuo sguardo è cambiato. Non ho il coraggio di sapere cosa c’è nella tua testa perché non capisco dove sia il problema.
“E’ stato solo un aperitivo questo”, dici ma sembra essere più una domanda che un’affermazione.
“Ehm sì”.
Rimango lì finché non finisco la sigaretta e vedo che non aspetti altro che io me ne vada. Sei agitato, ti guardi intorno e saluti della gente che conosci con un sorriso tirato allontanandoti da me velocemente.
Sono sbagliata.
Io sono convers, tu scarpe laccate.
E l’hai capito anche tu.
Finché parli con dei tuoi amici me ne vado e poco mi interessa di salutarti di nuovo perché rischierei di mandarti nuovamente al quel paese visto che sei uguale a tutti gli altri e io continuo ad essere sbagliata.
Prima di svoltare l’angolo mi volto a guardarti e incrocio i tuoi occhi per un attimo. Vorrei fermarmi ma so che sarebbe sbagliato, quindi continuo e penso che una mazza da baseball non sarebbe poi tanto male da avere.



















_______________________________________________

Ed ecco che la nostra Lex è andata al Brown!!!!
So invece che mi piacerebbe tanto conoscere le vostre opinioni a riguardo del signor Cooper che qui vediamo molto ma molto più presente!
Allora che mi dite?
Vi piace?
E quello sguardo finale, cosa significa per voi?
mmm... Sono curiosa di sapere una vostra opinione, e vi prego, vi prego.. mi fareste un grande piacere se lasciaste un commento, perchè vi vedo, sapete, che leggete! Vi prego, scrivete se volete che qualcun altro si interessi alla mia storia!!!



Blue

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Capitolo 6
*** Va bene così. ***


 
Va bene così.









Va bene così.
Dico sul serio.
Tutto va bene così.
Va bene che Ali questa mattina si sia fatta trovare davanti alla porta del mio appartamento, con brioche e cappuccino in mano e un sorriso di scuse.
È la mia amica di sempre, è sempre stata lei quella con cui parlavo.
E anche se vorrei dirti di andare a quel paese, Ali, anche se mi hai ferita veramente, ti faccio entrare e mi sparerei su un piede piuttosto.
Ma va bene così.
Perché tu sei Ali, sei la mia migliore amica e i tuoi sbagli li ho sempre perdonati.
Vado all’università e ritorno ad essere la disadattata sociale.
Me ne sto seduta in un angolo della classe, saluto solo qualche viso familiare.
Tutto andava bene così. Tutto seguiva uno schema abituale e fisso.
Ma non per molto.
Non sei tu entri qui. Ma perché lo fai?
Perché vuoi continuare a presentarti davanti a me?
Cosa mi dovevo aspettare? Sono solo io, con la mia stupida mente da donna che mi sono fatta paranoie su paranoie.
Sono io che ho pensato che sotto ci fosse qualcosa.
Era solo un aperitivo, non era niente di particolare.
Solo un aperitivo che, se potessi tornare indietro nel tempo, non farei più.
Finché parli alla classe vedo che mi hai vista, signor Cooper, vedo però che ora guardi tutti tranne me.
L’insegnante ti ha presentato come un gran investitore, che sei partito anche tu da qui, da questi banchi e ora sei al top.
Tu le sorridi un po’ imbarazzato e poi inizi a parlare.
Dici che la strada è dura, che non bisogna mai arrendersi di fronte alle fatiche, che in fondo nonostante tutte le difficoltà, i risultati saranno grandiosi.
Lo sai che ti si illuminano gli occhi, signor Cooper?
Te lo direi ma tu non guardi qui.
Va bene così.
Sì, va tutto bene così.
Va bene perché in fondo era solo un aperitivo.
Certo, non parlavamo di investimenti, ma nulla di più.
Eppure perché mi da fastidio che tu mi abbia fatta andare via?
Lo penso e finalmente mi guardi per un attimo.
Ora leggi anche i miei pensieri? Sei anche qui, nella mia testa, signor Cooper?
Beh, certo che ci sei visto che da quella maledetta sera sei fisso nella mia mente.
Ma ora non mi guardi più, vedi che sono infastidita, vedi che non serve che mi ricordi in continuazione che siamo diversi. Non serve che continui a mostrarti così grande, così adulto. Si vede che lo sei con quelle stupide scarpe lucide, i capelli all’indietro e quelle rughe più pesanti.
Poi lo vedo, alla fine della lezione, quando tutti stanno andando via, io non riesco ad alzarmi e ti guardo.
Vedo che l’insegnante, la bionda che fa impazzire tutti i ragazzi del corso, ti si avvicina e ti da un bacio sulla bocca a cui rispondi con un sorriso e le cingi la vita.
Cosa siete?
Fidanzati?
Beh, sicuramente innamorati perché lei ti guarda in quel modo, con gli occhi sgranati e lucidi che mi fa provare tanta invidia. Perché anch’io vorrei che qualcuno mi guardasse così.
Mi alzo per andare via, non voglio vedere altro, ma sono un disastro nel muoversi e tu ti giri.
La molli subito e mi guardi.
Va bene così.
Vorrei dirti che non devi farti problemi, signor Cooper. Che se hai la ragazza non ci sono problemi, che se vi amate nulla ha più importanza.
Non ti guardo quando esco di fretta dall’aula e vado in un’altra.
Spegno la mente perché è l’unica maniera per cui possa dire che tutto va bene così.
 
“…per te va bene?”, mi chiedi.
Ti guardo perplessa.
“Uscire. Con me… ti va bene?”.
Ahn.
Sto per risponderti di no, ma giriamo l’angolo e mi ritrovo davanti lui con la nostra insegnante. Lei lo sta accarezzando, lui la guarda negli occhi.
A quanto pare, Randy, oggi è il tuo giorno fortunato.
Passiamo accanto a loro due e vedo che il signor Cooper si volta leggermente e proprio in quel momento ti rispondo, “Con te esco volentieri”.
Capisci, signor Cooper?
Infatti eccomi qui, a prepararmi per uscire con Randy, il rugbista che studia economia, uno delle poche persone con cui sono mai riuscita ad andare d’accordo.
Dove avevi detto che andavamo?
Oh, sì. Al Jonner a mangiare.
Bene, allora jeans e maglia saranno perfetti.
Va bene così.       
Sì, va bene così.
Ho fatto pace con Ali quando non volevo farla.
Sto uscendo con Randy con cui non volevo uscire.
Andava decisamente bene così.
Per fortuna la serata finisce presto. Certo, si poteva evitare il bacio vicino alla bocca per salutarci e anche il fatto che avesse continuato a stringermi la mano per tutta la serata.
Insomma… era un’uscita…
Okay, io di uscite non so proprio niente visto come sono andate le poche che ho fatto ma…
Va bene così.       
Stavo cercando di autoconvincermi fino a quando, non mi sono ritrovata due occhi a fissarmi quando – dopo il grande momento di imbarazzo – ero scesa dall’auto di Randy.
Mi guardi un po’ sorpreso e un po’ curioso.
Mi guardi e io mi chiedo cosa ci fai qui, davanti a casa mia con lo sguardo ora rivolto ai tuoi piedi.
“Non ho voglia di parlare di investimenti, signor Cooper”, ti dico e mi sorridi di traverso.
“Tutto bene, Lex?”, domanda Randy dall’auto.
Non gli rispondo neanche e vado verso il cancelletto aprendolo.
“Possiamo parlare?”, mi chiedi signor Cooper e vorrei dirti che se vuoi tanto parlare puoi farlo con la tua ragazza.
“Lex!”, mi chiama Randy.
Va bene così un cazzo!
Non va bene niente così!
Non va bene che io pensi sempre a te, razza di stronzo con la morosa che mi sei entrato in testa peggio di una malattia.
Non va bene che io sia uscita con Randy perché non sei tu!
“Alexis”, mi dici guardandomi negli occhi come sai fare solo tu, “Dobbiamo parlare”.
E io mi faccio da parte senza accorgermene.
Non sento neanche le bestemmie di Randy, vedo solo te che mi guardi come se non vedessi altro che me e la cosa mi fa paura.
Perché non va assolutamente bene niente.
Non va bene nulla quando ho a che fare con te.
Tutto diventa un casino quando ci sei tu.








_____________________________
Ringrazio tutte voi che avete lasciato delle recensioni nei capitoli precedenti.
E ora mi scuso per il mio ritardo, ma la scuola e lo studio mi stanno portando via molto tempo e anche forze per scrivere...
Nel prossimo capitolo conosceremo la chiacchierata fra i due...
Mmmmm...
Provate ad immaginare cosa accadrà!!!



Blue

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Capitolo 7
*** Mi metti in discussione. ***


 
 Attenzione: questo è il SECONDO capitolo che pubblico nelle ultime 24 ore! State ben attente ad aver letto quello precedente!!
 
 
 
 
 
 
 
Mi metti in discussione.
 
 
 
 
 
 
 
 
Mi metti in discussione.
Ti guardi attorno con gli occhi che luccicano, cosa c’è, signor Cooper?
Pensavi di trovare un appartamento sporco e mal ridotto?
Sì, beh, non che l’ordine sia il mio forte e lo puoi vedere dalle collant lasciate sul divano, ma non è neanche così messo male.
Allora che hai da guardare con quel sorriso da ebete?
“Io sarei stanca…”, ti dico e ti volti a guardarmi.
La tua espressione ritorna seria e le rughe riappaiono troppo velocemente.
Come fai ad essere un bambino in un momento e poi un vecchio? Come fai a cambiare così velocemente?
“Come stai?”, sbotti e io non so che dirti perché mi guardi con quel tuo modo che mi fa morire davvero.
Mi fai sentire importante.
E mi fa davvero paura.
Perché siamo diversi, siamo sbagliati e tu non puoi e non devi guardarmi così. Cosa dici alla prorompente fidanzata bionda che ti aspetta a casa? Chissà quale scusa le hai inventato per uscire e farti trovare a casa mia.
Sono curiosa. Cosa le hai detto?
Che andavi a parlare di investimenti?
Non riesco a trattenermi e te lo chiedo.
Abbassi per un attimo lo sguardo, ma ritorni a fissarmi così intensamente che mi tocca sedermi.
Cosa mi stai facendo, signor Cooper?
“Che uscivo”, dici semplicemente. Davvero pensi che ci creda?
“E a lei sembra normale che tu esca alle undici di sera?”.
Alzi le spalle e vedo che non te ne importa.
Ma di cosa non ti importa?
Di lei o di quel che pensa?
Non ti importa di questo nostro momento?
“Dobbiamo parlare”, dici.
“Questo l’avevo capito”, ti rispondo e sorridi.
Adesso mi spieghi perché fai così?
Mi spieghi come fai ad essere immune a me?
Io sono un’ortica, sono il fuoco di un falò, eppure sembra che tu non senta niente. Non senti le mie punture, non senti il calore delle mie fiamme. Non senti niente.
Mi guardi con quei tuoi occhi curiosi che mi sondano l’anima.
Mi metti in discussione.
Davvero lo fai. Con te perdo ogni mia sicurezza, ogni mia certezza.
Come cavolo fai, signor Cooper?
Come hai fatto ad entrare nella mia vita con questa velocità?
E adesso inizi a parlare e io mi perdo nelle tue parole.
“Era solo un aperitivo…”.
Non per me.
Per me non è stato solo un aperitivo.
“… abbiamo bevuto qualcosa, abbiamo fatto due parole e niente di più…”.
Niente di più?
Allora mi spieghi come diavolo sei riuscito a diventare indelebile tra i miei pensieri?
“Ma non capisco perché…”.
Io non capisco come tu abbia il coraggio di parlare.
Perché allora sono io la stupida, quella che si è immaginata tutto.
“…perché non faccio altro che pensare a te”.
Ahn.
Davvero tanti ‘ahn’.
Seguiti da tanti ‘cosa?’.
E altrettanti ‘oh cazzo’.
Ti guardo negli occhi per assicurarmi che tu sia serio, perché se non fosse così, niente e nulla mi fermerebbe dal farti del male fisico, signor Cooper.
E ti trovo lì che mi fissi, cerchi di capire cosa io stia pensando.
Beh, se lo capisci dimmelo, perché in testa ho tanta di quella confusione che solo la metà mi basterebbe per una vita intera.
Stai aspettando che io dica qualcosa e l’unica cosa che mi viene in mente mi fa capire che in quei momenti la scelta migliore che io possa fare è rimanere zitta.
“La tua ragazza non ne sarà contenta”.
Starmene zitta sarebbe stata la scelta migliore, decisamente.
“Non mi interessa”, rispondi con una sincerità tale che non riesco a non rimanerne sorpresa.
Perché mi dici così?
Siamo sbagliati, signor Cooper, siamo dannatamente sbagliati.
Ma nel sentire le tue parole non riesco a non sorridere almeno un po’.
Perché infondo non aspettavo altro.
“Io… non so cosa mi hai fatto, ma ci sei solo tu, Alexis”.
Vorrei dirti che lo stesso vale per me. Che non faccio altro che pensare al tuo sguardo, a quelle stupide rughette attorno agli occhi, ma non ce la faccio perché sono una codarda e ho paura.
“Perché me lo stai dicendo?”.
“Perché…”, stai cercando le parole, signor Cooper? “L’hai fatto apposta vero?”.
“Cosa?”, domando.
Ad essere così sbagliata?
Per quello devi parlare con i miei.
“Oggi. All’università. Quando hai accettato l’invito del tuo amico”.
Oh. “Sì”.
Ed ecco che sorridi.
Perché cavolo sorridi, signor Cooper?
Non vedi che sono un’ortica?
Non vedi che sono sbagliata?
Quale persona sana di mente si sarebbe comportata come me?
“Stai dando troppe cose per scontante, signor Cooper”, aggiungo e il tuo sorriso diventa ancora più grande.
Mi metti in discussione.
Perché con te non funzionano le mie punture?
Perché sei immune a tutto?
Tu mi metti in discussione, signor Cooper.
Mi stai togliendo tutte le mie certezze, il mio essere ortica, l’aver dentro il caos e il fuoco di un falò. Tu che dovresti scappare via da me e dal mio casino, invece, te ne stai qui, e mi sorridi come se non vedessi altro che me.
Come fai, signor Cooper?
“Non dirmi che ti piace quel tipo”.
“Cosa ti dice che non sia così?”.
Ti avvicini e il mio respiro si blocca, “Da come mi guardi”.
“Sei tu che mi fissi, signor Cooper”.
“Questo è vero, ma tu fai altrettanto. E per favore, chiamami per nome”.
Visto, Ali? Ora anch’io lo posso chiamare Joseph.
Ma non per questo lo farò.
Non ti darò questa piccola vittoria, signor Cooper, perché sarai pur immune a tutto ma io resto sbagliata e un’ortica.
“Non significa niente”.
“Cosa?”.
“Che io ti guardi”.
Tu non ci credi e fai bene.
Io non so mentire e lo sai, te lo leggo negli occhi.
“Non ci credo”.
Ecco. Un punto va alla tua perspicacia, signor Cooper.
Il mio cellulare squilla ed entrambi leggiamo sul display il nome di Randy.
“Sarà preoccupato”, dici tu aspettando una mia mossa.
È un test per vedere se sono interessata anch’io?
Alzo le spalle, “Non sono affari tuoi, signor Cooper”.
Tu sorridi e io mi incazzo.
Com’è possibile che non ti dia fastidio?
Cosa devo fare con te per farti reagire?
“Mi chiamo Joseph”.
“Lo so, signor Cooper”.
Il tuo sorriso mi destabilizza.
Perché continui a mettermi in discussione?
Io sono la disadattata sociale, no? Quella in disparte, quella con l’amica bella, quella che da fastidio. Non quella che fa sorridere.
Non sono quel tipo di ragazza, eppure per te non è così.
“Perché continui a chiamarmi così?”.
“Perché sarebbe sbagliato chiamarti Joseph”, ti dico e il tuo sorriso scompare insieme al mio.
Lo sai anche tu e te la leggo quella consapevolezza.
“Hai una ragazza a casa che ti aspetta e hai dieci anni in più”, aggiungo e le mie parole pesano come macigni, perché troppo difficili da pronunciare ma soprattutto da accettare.
“Non mi interessa”.
Non ti credo.
Chi sano di mente rinuncerebbe a una vita perfetta?
“E’ sbagliato”, ti dico perché non so che fare.
Vorrei aggiungere che è anche difficile perché non so cosa sta succedendo, non so cosa mi hai fatto, non so dove stiamo andando. E io odio non sapere queste cose.
Odio il fatto che nonostante io mi senta giusta quando ci sei tu, stare con te sarebbe sbagliato.
Odio questo stupido mondo che ci ha fatti incontrare, anzi, che ha fatto in modo che io ti mandassi a quel paese.
Ti alzi cogliendomi di sorpresa e mi sorridi ancora.
Ti avvicini e sento il tuo profumo, sai di buono, signor Cooper, ma non te lo dirò mai.
“Non ho intenzione di arrendermi, Alexis”, dici ed esci dal mio appartamento lasciandomi lì come una perfetta cretina con una stramaledetta cotta.
Inizio ad odiare anche te, signor Cooper, ma amo il modo in cui mi parli.
Amo il fatto che mi metti in discussione con ogni tuo sguardo. 









______________________________________________
Ed eccomi di nuovo qui ad una velocità impressionante..!!
Oggi ho avuto un pomeriggio particolarmente libero che mi ha permesso di rivedere questo capitolo abbastanza difficile da scrivere!
Volevo ringraziare tutte coloro che hanno recensito, e spero che continuino perchè mi fa davvero piacere! E colgo l'occasione per insistere che altre lettrici scrivano una loro impressione... Insomma siete in tantissime!!!

Comunque... preparatevi ad un prossimo capitolo abbastanza triste, ma che farà avvicinare i due personaggi ancora di più!
Volevo anche mostrarvi che in questo capitolo si vede che Lex e Joseph siano interessati uno all'altra, ma di mezzo c'è una ragazza e, ovviamente, dieci anni di differenza! E per di più Alexis non ha ancora detto ufficialmente i suoi sentimenti!!



Spero di riuscire a pubblicare il prossimo capitolo altrettanto velocemente,


Blue

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Capitolo 8
*** Tu-tum. ***


 



Tu-tum









Tu-tum.
Sto correndo, papà, sei fiero di me?
Mi hai sempre detto che sono pigra, un po’ troppo pantofolaia per essere tua figlia, ma l’hai sempre detto scherzando e quindi non ci ho mai dato tanto peso.
Ma ora sto correndo e do un nuovo senso alle tue parole, perché se ti avessi ascoltata almeno adesso sarei decisamente più veloce e non sembrerei un’idiota che non sa correre in linea retta.
Sto correndo e mi sembra che tutto attorno a me si sia fermato.
Il tempo si è fermato come il mio cuore.
Ha perso qualche battito quando la mamma mi ha chiamata, papà, soprattutto quando mi ha detto cosa è successo.
Sai, io non sono esattamente la persona più responsabile, benevola, intelligente e sopportabile di questo mondo, ma tu mi hai sempre voluto bene anche se ho più difetti che pregi.
Certo, a volte immagino che non sia stato facile volermene, soprattutto dopo che ho distrutto la tua auto nuova. O quando sono tornata alle cinque del mattino. O quando mi hai beccata a fumare. O quella volta che ho fatto cadere il tuo prezioso trofeo di golf sbeccandolo. O quando ho accidentalmente sbattuto contro Kim rompendole il naso.
No, volermi bene non deve essere stato affatto facile.
Pensa che spesso e volentieri faccio fatica anch’io nel volermene.
Quindi posso solo che capirti.
Tu-tum.
E ora sto correndo per te, papà, con il cuore in mano che ha smesso di battere.
Io che a correre faccio pena.
Poi la vedo, papà, e posso dirti che mentre a me sembra che il tempo si sia fermato, per la mamma invece sembra che sia andato al doppio della velocità.
È seduta su quelle sedie di plastica, quelle scomode sai, con il volto rivolto verso l’alto. La vedo muovere le labbra…
Sta pregando?
Sì, la sento bisbigliare mentre mi avvicino, ha le rughe più profonde, gli occhi rossi e lo sguardo pieno di dolore. Non l’ho mai vista così, papà.
Ed ecco che mi guarda, mi vede, ma sta pensando ad altro, sta pensando a te. Come sto facendo io. Mi abbraccia e la sento debole, piccola, magra e fragile com’è mi sembra che si possa spezzare da un momento all’altro.
“Lexie…”.
La mamma si sta spezzando, papà, e io ho paura. Ne ho tanta.
Se lei crolla che fine faccio io?
Io che di coraggio ne ho la metà di voi due? Io che ti ho sempre visto come una costante nella mia vita, come posso solo immaginare che tu te ne possa andare senza morire dentro?
“Er-erav…amo”, balbetta e piange nonostante si stia forzando di essere lei quella forte, ma lo sappiamo entrambe che sei tu quello che ci sorregge tutti, papà. Sei tu quello forte, quello che ci da coraggio e per questo non puoi lasciarci.
La mamma parla, mi racconta che ti era informicolato il braccio e lei – che ne sapeva più dei medici stessi – ti aveva portato subito all’ospedale e poi era successo tutto velocemente, le hanno fatto firmare qualche carta e ti hanno fatto sdraiare su un lettino e sei sparito in una sala operatoria.
Mi dice che non volevi che ci chiamasse perché io ho gli esami, Kim è occupata col lavoro e Oliver è a Londra.
Ma perché hai detto così, papà?
Non capisci che tutto, ogni cosa, viene dopo di te, della mamma, di Oliver e Kim?
Ma tu sei così, non vuoi dare fastidio, non vuoi far preoccupare le persone.
E la mamma fra le lacrime mi sussurra la tua battuta: ‘Tutte quelle ore passate a guardare Grey’s Anatomy sono servite, alla fine”.
Rido anch’io perché so quanto tu odiassi quel telefilm ma facevi finta di niente solo per farla felice. So che anche se avevi paura hai provato ad alleviare la tensione.
Vedi, papà, tu sei la forza di questa famiglia, quindi non puoi lasciarci soli.
Anche l’odio tra me e Kim sparisce, tanto che rimaniamo abbracciate per qualche minuto, sostenendoci l’una con l’altra, sembra quasi di esser tornate bambine. Oliver arriverà domani, papà, è partito subito e ha lasciato lì tutti.
Vedi?
Per te questo ed altro.
Abbiamo mandato a quel paese tutto perché tu vieni prima.
Stiamo qua ed aspettiamo, il tempo sembra non passare, il mio cuore deve ancora iniziare a battere, papà, mi sento in apnea da ore.
Ho paura, davvero, una paura folle di perderti, di non poterti più parlare, di non giocare con te a quelle partite di Scarabeo che tanto amavo.
Cosa farei senza di te, papà?
Esco da questo stupido posto perché non ce la faccio.
Non posso vedere la mamma così, non posso vedere Kim perdere il controllo, lei che ne è maniaca e non posso in alcun modo pensare che potresti non esserci da un momento all’altro.
Non ce la faccio, papà.
Mi dispiace.
Lo so che volermi bene è difficile, e che adesso lo sarà ancora di più, ma è più forte di me, papà.
Vorrei essere forte, vorrei poterti aiutare come hai sempre fatto con me, ma non riesco.
Scusami.
Scapperei via, papà, te lo giuro, andrei dall’altra parte del mondo pur di non avere questa paura folle che tu non possa esserci da un giorno all’altro.
Sarei pronta a tutto.
Ma non preparata perché me lo ritrovo davanti e non so cosa fare.
Non so se piangere o ridere.
Come fa a trovarmi sempre?
Come fa ad apparire davanti a me ogni volta senza che sia preparata?
Mi guarda con quei suoi occhi sconvolti, occhi gentili che mai nella mia vita ho visto.
Tu mi hai sempre guardata con amore, anche quando mi sgridavi, e con quel pizzico di orgoglio che mi faceva sentire importante.
Ma lui ha un modo tutto suo di guardarmi papà, e lo so che è vecchio, lo so che tu hai sempre storpiato quel famoso detto dicendo che gallina vecchia fa schifo, e io sono sempre stata d’accordo con te. Ma tu non hai visto come mi guarda, con quei suoi occhi scuri, occhi che sembrano sondarmi l’anima.
Strano vero che io pensi a cose del genere?
Lo so.
Io che sono così diretta, razionale e schietta.
Io che mi lascio prendere da sentimenti che non so spiegare.
E me lo trovo davanti, proprio ora che sono distrutta, proprio ora che tutte le mie barriere si sono abbassate, proprio ora che sono facilmente distruttibile.
Non sa cosa fare ed è buffo, papà.
Poi mi sfiora il braccio con una mano e lo sento.
Tu-tum.
Ha ripreso a battere.
Senza accorgermene sono tra le sue braccia e posso dirti che la gallina vecchia ha un buon profumo.
Mi abbraccia, papà, con delicatezza e mi scompiglia i capelli, canticchiando al mio orecchio una stupida canzone che non conosco.
Vorrei dirgli che è stato stupido da parte sua venire qui.
Vorrei dirgli che dovrebbe andarsene dalla sua stupida ragazza bionda.
Vorrei dirgli che non ho bisogno di essere illusa.
Ma il mio cuore mi tradisce, perché a differenza del mio cervello sa la verità.
E la verità è che io voglio essere esattamente qui, fra le sue braccia.
Vedi, papà, tu che mi credi sempre forte e inamovibile?
Non sono altro che creta fra le mani di questa gallina vecchia.
 
“Vuoi?”, ti chiedo e scuoti la testa.
Continui a non volere le mie sigarette ma vedo come le guardi, signor Cooper.
Ex fumatore?
“Come facevi a sapere che ero qui?”.
La mia domanda non ti stupisce ma ti vedo comunque sorridere.
“Ho trovato la tua amica”.
“Ali?”.
“Sì”.
“Le hai parlato di…”.
… noi?
Sì avrei voluto dire noi ma pensare a me e a lui insieme era ancora troppo difficile, era ancora troppo sbagliato, anche se quell’abbraccio, quell’unico nostro vero contatto, aveva spazzato via ogni mio dubbio.
“No”.
Anche perché non ci sarebbe tanto da raccontare, no?
Sto zitta perché non so cosa dire e mi ritornano le lacrime.
Perché tutto deve essere così difficile?
Perché non può esserci un giorno di pace?
Perché ogni cosa nella mia vita deve farmi capire quanto io sia fragile?
“Alexis”, ti sento dire ma questa volta non ti avvicini.
“E’ meglio se rientro”.
Tu annuisci e mi guardi mentre me ne vado. Questa volta di guardo e vorrei dirti di seguirmi, ma entrambi sappiamo che non si può fare perché tu sei tu, con i tuoi trent’anni, mentre io sono io, con le mie converse sporche.
Tu-tum.
Eppure tu che sei la gallina vecchia fai battere il mio cuore. 









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Ciao ragazze!!
Sono tornata, wooow, e ce l'ho fatta!
Scusate il ritardo, ma questa settimana e la scorsa sono state tremende.. lo studio non mi lascia spazio per pensare..
Allora questo capitolo è stato DIFFICILE.. Lo ammetto.. Parlare di quello che Alexis prova è stata un'impresa e sinceramente ho pianto qualche lacrima...
Spero di ricevere qualche recensione da voi, le mie adorate lettrici!!! <3


Grazie,

Blue

 

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Capitolo 9
*** Sono fregata. ***


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Sono fregata.
 
 
 
 
 
 
 
Sono fregata.
Ti ho chiamato perché non ce la facevo più, davvero.
Da quel giorno non faccio altro che pensare a te, ancora più di prima, ti rendi conto?
No, non lo capisci perché quando mi vedi sorridi.
Io vorrei piangere perché non ho pensato altro che a te. Certo, papà è fuori pericolo, la mamma è ritornata la stra-gnocca di sempre, l’odio tra me e Kim è più forte che mai e Oliver si è preso una vacanza.
Sono passati cinque giorni, signor Cooper, cinque giorni che ti penso.
Crei dipendenza, lo sai?
Sei peggio di quelle caramelle con la carta rossa che mi dava mia nonna.
Entri nel mio appartamento col sorriso di chi ha vinto.
Vorrei mandarti a quel paese, ma per questa volta posso darti solo che ragione.
Stai aspettando che parli.
Questa volta le posizioni si sono scambiate eh?
E tu ci godi. Sei un brutto bastardo, signor Cooper, e da quel tuo sorrisino lo sai perfettamente.
“Sei un bastardo”, te lo dico ma vorrei essere seria, vorrei darti l’impressione di volerti allontanare ma tu sei almeno tre passi davanti a me.
“Perché?”, mi chiedi sorridendo.
Mmm… dove ho messo la mazza da baseball?
Oh, sì: non l’ho comprata!
“Che cosa voleva dire quella cosa?”.
Fai finta di non capire. Sei proprio un bastardo.
“L’abbraccio”, sussurro.
Hai uno sguardo nuovo. Cosa sarebbe? Malizia?
“Non lo volevi?”.
Sono fregata.
Tu lo sai, lo sai perfettamente che volevo quel… Oh, ma lo fai apposta?!
Brutto bastardo…
“Non ho…”, perdo il filo del discorso perché inizi a ridere, signor Cooper, e la tua risata mi distrae.
Lo sai di essere bello?
Sì, beh, per quanto possa esserlo una gallina vecchia bastarda, ovviamente.
Mi ritrovo a ridere con te e mi chiedo come fai a farmi sentire così.
“Hai voglia di uscire?”.
Vaffanculo.
Non sto scherzando, signor Cooper, per una volta sono seria.
Mi prendi in giro. Devi prendermi in giro.
Non puoi essere serio. E se ti vedesse qualcuno con me? Cosa direbbe? Andiamo, signor Cooper, non la senti l’aria che c’è tra di noi?
Ma sei serio e io vorrei la mazza da baseball per colpire me che penso troppe cose smielate.
“E se ci vede qualcuno?”.
Aspetti a rispondere questa volta, eh?
Cosa vuoi? Che ti suggerisca le parole?
Beh, ne basterebbero tre.
Non ‘io ti amo’ o ‘voglio vederti nuda’ perché alla prima mi troverei in difficoltà mentre alla seconda, beh, dovrei avvertirti che è da un po’ che non vado dall’estetista.
E se provi a dirmi qualcosa come ‘cavolo è vero’ o esclamazioni da maschio troglodita sappi che, anche senza mazza, saprei farti del male.
Vedi tu, signor Cooper.
“Non mi importa”.
Sorrido perché tu mi sorprendi e pensi di aver vinto, ma ne hai ancora di strada. “Se proprio puoi dire che stiamo parlando di investimenti”, ti dico.
“Giusto. E la tua scusa quale sarà? Se incontri la tua amica o il ragazzo con cui sei uscita, intendo”.
Domanda da un milione di dollari, signor Cooper.
Cosa direi ad Ali?
Un bel niente, ovviamente, perché capisce più di quello che lascia intendere.
Probabilmente ha già capito, ma non te lo dico per paura che tu possa andartene.
“Parli di Randy?”.
“Randy eh?”, ripeti il nome toccandoti il mento. Mi fai ridere, signor Cooper, con quel tuo sguardo strano.
“Sì, Randy, quello che se scendeva dall’auto dovevamo raccoglierti con un cucchiaino”.
Tu ridi e sei bello, sei giovane. Quelle tue rughe sono quasi invisibili e se non fosse per la tua cravatta sembreresti un ventenne come me.
“Ho fatto karate…”
“Lui fa rugby”.
A quanto pare dico qualcosa di sbagliato perché tu abbassi gli occhi.
“Ti piacciono i quarterback?”.
Beh, non è che non ci ho mai fatto un pensierino, ma andiamo, signor Cooper, tu non puoi essere confrontato a un cretino come Randy.
Tu sei nettamente superiore, soprattutto se continui a guardarmi così, come se non vedessi altri che me.
“E lei si chiama Sienna vero?”.
Tu sussulti nel sentire il nome della tua pomposa fidanzata bionda che probabilmente ti starà aspettando a casa, mentre io mi maledico perché non sono capace di starmene zitta, ma voglio capire, signor Cooper, voglio sapere se con me sei serio o no.
Io non sono un gioco.
Non sono quel tipo di persona con cui stai per divertirti ogni tanto.
Non sono neanche da ‘per sempre felici e contenti’ ma io voglio qualcosa di concreto, qualcosa di vero.
E tu cosa vuoi da me?
Non credo neanche alle promesse, signor Cooper, non credo a ‘un giorno la lascerò’.
Non credo a quello che si rimanda a domani.
Non credo neanche alle storie come la nostra. Quelle che nascono senza una vera nascita, quelle che ci sono sempre state ma che sono partite all’improvviso con una parola che nel nostro caso è stato un mio sincero vaffanculo.
Lo so meglio di te che la nostra non è una storia, ma non hai sentito come batteva il mio cuore quando mi hai abbracciata, non mi hai vista in questi giorni, signor Cooper, che non riuscivo a pensare ad altri che a te.
E non so con quale coraggio ti dico che io non sono un gioco e tu fai quella tua faccia seria, che fa ridere, davvero.
“Lo so”, mi dici con sicurezza.
Lo sai? E allora a che gioco stai giocando?
Hai una crisi di mezza età anticipata?
Dimmelo, porca troia!
Dimmi cosa stai pensando, signor Cooper!
“Cosa sono io per te?”.
Avrei voluto pensarla e basta questa domanda, ma invece è qui che galleggia l’aria tra noi due.
Sono fregata.
Sì, sono letteralmente fregata.
Perché tu hai deciso di rispondere alla mia domanda in un modo decisamente migliore di quello delle parole.
Sono fregata perché tu mi stai baciando e io capisco che non sto aspettando altro da tempo.


















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Ciao ragazzuoleeee!!
Uuuh in quante siete! Mio dio, mi emozionate!
Spero che questa capitolo vi piaccia... insomma è arrivato FINALMENTE il primo bacio! Da quanto tempo lo stavamo aspettando?
Beh, io da molto! Non vedevo l'ora di scriverlo e soprattutto pubblicarlo!
Mi piacerebbe conoscere la vostra impressione!

A presto,



Blue

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Capitolo 10
*** Autocontrollo cercasi. ***


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 Autocontrollo cercasi.
 
 
 
 
 
 
 
Autocontrollo cercasi.
Lo fai apposta, signor Cooper?
O credi che io sia davvero rincoglionita o lo fai intenzionalmente.
Perché dai, si vede che io ti vedo quando ti giri a fissarmi eppure non smetti.
Okay, non cambio posizione perché cerco di guardare la tv anche se il film non lo seguo da quando hai appoggiato la tua mano sulla mia gamba. Ma questo non toglie che io cerchi di mantenere una certa serietà.
Soprattutto dopo essere riuscita a separarmi da te mezzora fa.
Dovrei fare un monumento al mio autocontrollo, perché se non sto qui rigida come un palo sarei sopra di te, signor Cooper, e per quanto lo desideri devo mantenere questa cazzo di serietà.
Ma continui a guardarmi e sembra che tu lo faccia apposta.
Porca miseria, signor Cooper, non lo vedi che faccio fatica a rimanermene ferma? Devi anche iniziare a fissarmi?
Ma tu lo sai.
Me lo sento.
Sei furbo più di quello che vuoi che io noti.
Anzi, sei più bastardo di quello che vuoi che io noti.
Allora, vuoi che ti salti addosso?
Mi stai sfidando?
Puoi farmelo capire, signor Cooper, o continuerai per tutto questo schifo di film a fissarmi?
No, tu vuoi fissarmi e mettermi in difficoltà.
Beh, non pensare di avere vittoria facile con me.
Come sei bastardo tu, posso esserlo anch’io.
“La smetti di guardarmi?”, ti chiedo non riuscendo a trattenere un sorriso.
Cosa mi sta succedendo?
La vera me, quella di qualche settimana fa, prima di mandarti a fanculo, ti avrebbe fulminato con una di quelle occhiate che mi vengono così naturali.
Invece ora, non so neanche il mio nome perché ti guardo e non capisco più niente.
“Sto guardando il film”.
Mi prendi in giro, signor Cooper?
Certo che lo fai! E ti diverti pure!
Sei proprio un bastardo.
“Non è vero! Mi stai fissando!”.
Alzi un sopracciglio e sembri ancora più buffo. Che fai? Vuoi fare la persona seria?
“Portami rispetto, ragazzina”.
Ma ti senti? Fai morire dal ridere quando vuoi fare l’autoritario. Non riesco a trattenermi e mi ritrovo col fiato corto e le lacrime agli occhi.
Sei buffo, signor Cooper, ma a quanto pare a te non piace essere preso in giro.
Infatti fingi di essere offeso, metti il broncio. Ma quanti anni hai?
Sembri vecchio con quelle tue rughette attorno agli occhi, i vestiti ingessati, ma sotto sotto noi donne lo sappiamo che quelli come te sono degli eterni Peter Pan.
Ma almeno Peter Pan aveva una stella tutta sua.
Tu che hai?
Oh certo. Tu hai quel tuo modo di guardarmi, quello che mi fa battere forte il cuore.
Mi avvicino con calma, perché proprio non la smetti di fissare la televisione.
Preferivo quando fissavi me, signor Cooper, anche se ad alta voce non lo ammetterò mai, neanche sotto tortura.
Hai la barba sfatta, stai meglio così, un po’ trasandato e un po’ elegante. Ti da quell’aria da bello eterno.
Hai gli occhi scuri, marroni, quel colore che hanno tutti ma che su di te, beh, ha tutto un altro valore.
Billy era bello, davvero, con quel suo viso da principe, ma tu sei ancora meglio.
Sei più reale.
Dai ai tuoi tratti una bellezza loro, una forza che ti fanno risaltare nei confronti degli altri.
Autocontrollo cercasi.
Cercasi molto autocontrollo visto che ti sto per saltare addosso nuovamente.
La senti la tensione che c’è tra di noi?
No… perché tu non ti giri, non tentenni neanche un attimo a guardare in qua.
Perché?
Non ti piaccio?
La cosa non mi stupirebbe, ma…
Perché cavolo non mi guardi, signor Cooper?
Io non farei altro tutto il giorno, soprattutto se ti tieni questa irritante barbetta che ti fa più uomo.
Sai una cosa?
“Fanculo”.
Te lo dico e, per una volta, col cuore colmo di orgoglio verso me stessa, me ne ritorno nel mio angolo del divano a guardare questo schifo di film.
“Ecco”, sospiri con un sorriso.
Ridi?
Perché cavolo ridi?
Mio dio, signor Cooper, arriverà mai il giorno in cui inizierò a capirti?
“Ho detto…”, provo a dire nel caso di fosse sfuggita la parola, ma tu sei più veloce e completi la frase al mio posto.
“…fanculo. Sì, l’ho capito”.
Almeno adesso mi guardi.
Grazie tante.
Sei un po’ tardo?
No, non lo sei per niente.
Da quant’è che hai capito tutto di me, signor Cooper?
Deve esserci stato un momento in cui hai capito che psicopatica io sia – non che tu sia da meno, eh – eppure sei qui, che mi abbracci, mi stringi forte verso di te.
Io mi perdo.
Mi perdo nel tuo respiro.
Mi perdo nella tua voce.
Mi perdo nella tua mano che accarezza la mia schiena.
E poi mi perdo nelle tue labbra.
L’autocontrollo l’ho salutato da molto e non c’è cellula del mio corpo che non gioisca per questo.
Non mi separerei mai da te, neanche per un istante, neanche per un minuto.
Perché con te, l’ortica che c’è in me, sembra una rosa.
Con te io mi sento perfetta, mi sento giusta.
Grazie, signor Cooper, di farmi sentire così.
Grazie di farmi sentire felice anche mentre ti saluto, anche mentre rido dopo averti dato l’ultimo bacio.
Non ho mai provato questa sensazione, questa spensieratezza che solo col tuo arrivo sento dentro di me.
Ma non dura molto, non dopo aver chiuso la porta, non dopo che te ne sei andato.
Cominciano tutti i dubbi, cominciano tutte le preoccupazioni, tutte le paure che questo sia solo un sogno.
E sono furiosa perché adesso tu sei con lei, non con me. Adesso starai stringendo lei, mentre io ho freddo. Adesso la starai consolando mentre io me ne sto sul divano a vegetare.
Lo capisci, signor Cooper? Capisci che mentre sei da lei, io sono qui, che penso a te?
Lo capisci che io ti vorrei qui con me, che mi sussurri qualche parola rassicurante?
Mio dio, signor Cooper, che cavolo mi hai fatto?
Non lo so.
Mi hai fatto perdere l’autocontrollo, mi hai fatto perdere la strada che ho sempre seguito. Tu mi fai sentire diversa, mi fai essere diversa.
Se qualcuno mi chiedesse quale fosse il mio problema gli direi che sei tu, Joseph Cooper, sei tu che mi rendi la vita impossibile.
Perché un attimo sei con me e un attimo dopo sei con la tua ragazza e io sono qui, che mi rodo l’anima per sapere se la sta abbracciando come hai fatto con me.
E l’autocontrollo lo perdo ancora, perché se tu fossi qui ti riempirei di parole, ti urlerei addosso che io non sono l’amante, che io non sono quella che si accontenta di un abbraccio e un sorriso.
Vorrei dirti che io…
Ti voglio qui!
Non posso immaginarti con lei, non posso immaginare che la baci come hai fatto con me perché allora mi verrebbe da chiedermi se era tutto vero, se ogni tuo gesto fosse qualcosa di reale o no.
Penso che l’amore fa schifo, soprattutto se ha dieci anni in più e se è fidanzato.
Ma poi ricevo un tuo messaggio e ci ripenso:
Domani sono da te. Mi manchi già.
E, per l’ennesima volta, il mio autocontrollo va a farsi fottere.

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Capitolo 11
*** Sesto senso. ***


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Il mio sesto senso.
 
 
 
 
 
 
 
Il mio sesto senso.
So di essere incredibilmente ripetitiva, ma c’è un pensiero fisso nella mia testa.
E non è lui… cioè lo è, ma ce ne è un altro che mi sta assillando in una maniera incredibile.
Ecco, ho sempre avuto un tempismo del cazzo, questo l’avevo già detto, visto la mia grande capacità nel tirarmi in situazioni completamente sconvenienti per chiunque.
Ma ho un sesto senso incredibile.
Dico davvero.
Si sa che ogni donna ha un sesto senso che prevede ogni cosa. Dopo che uno lo stia ad ascoltare è un altro conto.
Infatti io sono ‘l’altro conto’.
Io non lo ascolto.
Non perché sbagli. Non sia mai detto. Ma perché io sono fondamentalmente una testa di cazzo.
Sì, ecco.
L’ho detto.
Cioè pensato…
Insomma, sono una testa di cazzo incredibile.
Sono così stupida che prima di capire una cosa devo sbatterci la faccia fino a rompermi il naso e, per forza di cose, farmi del male.
Lo so anch’io che è da stupidi, e lo so che lo sai anche tu Ali che mi guardi con quella tua espressione di disappunto totale.
Okay. Stai tranquilla.
Anch’io li guardo i film, anch’io so come vanno a finire quelle storie.
Sì, Ali, quelle non queste.
“Che differenza fa?”, mi chiedi.
La nostra non è una storia.
La nostra è… poco niente.
Insomma c’è stato qualche bacio e qualche palpatina ma niente di vero. Nessuna dichiarazione particolare, niente di niente.
E la differenza c’è tra noi – non quel noi, Ali, io e il signor Cooper non siamo una coppia, mettitela via – e quelli dei film è che c’è sempre una dichiarazione smielata d’amore da parte di uno dei due. A meno che ‘fanculo’ abbia un qualche significato a me sconosciuto, allora non penso proprio che ci sia stata una qualche vera e propria dichiarazione.
Lo capisci, Ali?
Sì, okay. Rotolarsi su un divano non è certo essere completamente estranei. Anzi, si potrebbe fare anche da estranei, ma io non sono quel tipo di persona. Sarebbe facile esserlo, almeno non ci sarebbero sentimenti in mezzo, ma sarebbe troppo facile e…
Oh, insomma, Ali, la smetti di guardarmi così?
Sì, lo so che è sbagliato.
E sì, so come vanno a finire tutti quei film che mi stai elencando.
E so che la realtà non è così.
Lo so che col 99% delle possibilità uscirò con il cuore in mille pezzi e un naso da aggiustare per la millesima volta. Lo so che in tutti quei tuoi stupidi film l’unica persona che ci rimette sono quelle nella mia situazione e che alla fine io risulterò solo un passatempo del cavolo per rinvigorire ulteriormente l’amore tra il signor Cooper e la mia pomposa bionda.
Okay, Ali.
Ho capito.
Ma non ti ci devi mettere anche tu a dirmi quanto io sia stupida e incosciente.
Non serve che ti aggiunga alla lunga lista di fattori che mi stanno implorando di allontanarmi da lui e dalle sue scarpe laccate.
Tipo lui.
Non ‘lui’ il signor Cooper.
Ma quell’altro ‘lui’.
Il mio sesto senso.
Quel bastardo che ha sempre ragione.
No, davvero, ha ragione da vendere questo bastardo del mio sesto senso.
Come per Billy, sapevo che c’era qualcosa che non andata, davvero, ma ho mandato a quel paese tutte le ventate gelide sulla mia schiena e le calze rotte appena prima di uscire.
Insomma erano tutti presagi, no?
Me lo dicevi tu che se un attimo prima di uscire ti si rompono le calze allora è meglio che cambi programmi. E diciamo che io di calze ne ho cambiate tante quando uscivo con lui.
Diciamo anche che non ho dato ascolto né al mio sesto senso né a te e né a tutti i segnali che qualche buon’anima lassù mi ha mandato – allora non mi odiate poi così tanto, eh – probabilmente per immensa pietà.
“E’ pieno di ragazzi della nostra età…”.
È un riferimento ai suoi trent’anni?
Vogliamo parlare del tuo insegnante di discipline plastiche?
Quello che ti facevi tra una lezione e l’altra mentre eri in pausa con Liam?
Andiamo, Ali, lo sappiamo entrambe che quello dell’età è il minore dei problemi.
E poi illuminami: dov’è che è pieno di ragazzi della nostra età liberi?
Io vedo solo un mucchio di zitelle strette in vestiti di qualche taglia in meno con il radar da rimorchio acceso a tutte le frequenze.
“…e liberi…”.
Sì, liberi.
Liberi dal peso del cervello dici?
Quello si che è essere liberi.
Ma mi prendi in giro, Ali?
Ci hai mai parlato con gli amici di Liam? Quelli come Randy? Che non sanno articolare un discorso che non sia football o discoteche?
“…quindi perché lui, Lex?”.
Sul serio me lo stai chiedendo, Ali?
Perfino il mio sesto senso – che dovrebbe starsene zitto ogni tanto – mi sta dicendo che non hai capito un cazzo.
E non fare quella faccia.
Tu sei bella, Ali, sei bella da sempre e ormai non ti accorgi neanche più di essere al centro dell’attenzione. Tutti ti guardano, e lo stanno facendo anche adesso. Per me non è così, invece. Io non sono mai quella che si voltano per guardare perché troppo bella, io non sono quella che attira l’attenzione se non perché ci sei tu al mio fianco.
E lui mi guarda come tutti guardano te, Ali.
E io li conosco quegli sguardi perché gli ho sempre visti negli occhi degli altri quando guardano te. E ti ho sempre invidiata, perché sguardi così, oddio, li ho sempre sognati.
Tu non capisci, te lo vedo negli occhi anche senza l’intervento del mio sesto senso.
“Cosa ti dice che sceglierà te?”, mi chiedi e io vorrei andarmene per porre fine alla nostra conversazione perché mi stai creando una marea di dubbi che non va che a incrementare già tutti quelli che ho nella testa e che sto cercano di zittire.
Cosa mi dice che sceglierà me?
Assolutamente niente.
E, anche scavando, non c’è nessun cazzo di motivo sentimentale strappalacrime. Voglio semplicemente provarci, voglio sapere cosa si prova, Ali, ad essere guardati sempre come gli altri guardano te.
“Stai facendo una cazzata”, me lo dici incrociando le braccia al petto e guardandomi negli occhi.
E il mio sesto senso sta facendo il tifo per te con trombette e urli da stadio.
“Ti farà star male”.
Perché non sceglierà me, vero?
È questo quello che pensi?
Perché mai dovrebbe volere me?
Me lo domando anch’io, ma esisterà qualcuno al mondo che mi vorrà, no?
“Ti ha scritto oggi?”, mi chiedi e la risposta la sai già.
Sei una stronza, Ali.
“No”, ti rispondo e tu rimani in silenzio e aspetti una mia risposta che non arriverà.
 “Sai perché non te l’ha mandato?”, mi domandi mentre io zittisco a manganellate la vocina dentro di me che ti da ragione, “Perché è con lei”.
Se adesso avessi seguito il mio sesto senso sarei già in Islanda con la testa in un qualche pozzanghera ghiacciata pur di non sentire le tue parole, pur di non sentire ad alta voce quello che ho pensato per tutto il giorno.
E vorrei mandarti a fanculo.
Ma per una volta me ne sto zitta e abbasso gli occhi perché questa volta ha fatto male.
“Non è lui quello giusto, Lex. Sennò sarebbe qui”.
Mentre lui è là, con la sua cara Sienna, quella bionda e bella, quella che ha circa la sua età, che indossa bei vestiti non jeans strappati e converse.
E tu continui a guardarmi, aspettando che io mi arrenda dopo che mi hai distrutta in un attimo.
Sì, Ali, mi hai distrutta.
Hai preso tutte le mie certezze e ne hai fatto coriandoli.
Il mio sesto senso.
Sì, il mio stupido sesto senso mi sta dicendo che tu hai ragione da vendere.
E vorrei mandarti a quel paese, davvero, vorrei farlo tanto, ma hai ragione anche se non lo ammetterò mai.
Lui non si è fatto sentire come mi aveva detto.
Perché probabilmente sarà impegnato con lei, la pomposa bionda.
E io sto qua, sotto il tuo sguardo che mi accusa di essere un’idiota patentata, mentre potrei essere fuori a cercare un ragazzo che mi voglia.
Perché probabilmente tutti i film che abbiamo guardato dicono la verità, forse i produttori vogliono mostrare alle ragazze come me che è inutile lanciarsi in una storia già persa in partenza, quando troppi fattori dicono che è impossibile che continui.
Eppure io, non so perché, continuo ad avere questa stupida speranza.
E lo capisci, Ali?
Capisci perché il signor Cooper mi piace?
Capisci perché nella mia mente non può esserci qualcuno come Randy?
Se lo sai, ti prego, dimmelo perché io non so quanto potrò sopportare tutto questo.
Non so quanto potrò andare avanti ancora di voragini di dubbi e piccole certezze.
E poi tu dici una cosa improvvisa che mi lascia sconvolta: “Se proprio ti piace, Lex, dagli un ultimatum”.
Un ultimatum.
Dio mio, Ali, sei un genio.
Ma la cosa che mi manca sono le palle per farlo, perché non so se l’hai notato ma ho la coda di paglia.
“Non dire cazzate”, aggiungi passandomi il cellulare, “Sii cattiva”.
“Come con Jessie?”.
“Come con Jessie”, confermi ricordandoti del mio periodo da bulla verso la piccola e indifesa Jessie.
E mentre digito il tuo numero, signor Cooper, mi chiedo che fine abbia fatto quella ragazza. Probabilmente si troverà in una situazione migliore della mia.
O almeno spero per lei.
 
Ti ho preso alla sprovvista, signor Cooper?
Vi ho interrotti proprio in un momento intimo?
Accettando la parte malvagia che risiede in me e in ogni altra donna, spero proprio di sì.
E lei, come ti sta guardando?
Con rabbia?
Ti sta chiedendo chi vi disturba?
Non dirmi che le dirai che parliamo di investimenti, signor Cooper, perché altrimenti mi deluderesti per la tua scarsa immaginazione.
“Che succede?”, mi chiedi.
Che succede?
Beh, ho raccontato tutto ad Ali che mi ha fatto un interrogatorio peggio dell’FBI e mi ha distrutta in un attimo, facendomi sentire la persona più idiota del mondo perché sono qui ad aspettare un coglione… oh, aspetta: quel coglione sei proprio tu, signor Cooper.
Quindi, per rispondere alla tua stupida domanda dire che quello che succede sei tu, e nel senso che tu, signor Cooper, vedrai per la prima volta una Alexis incazzata cosa che non auguro a nessuno.
“Non ti vedo”, ti dico.
“Scusa?”.
Non capisci al contrario di Ali che sta già sorridendo.
“Hai detto che saresti stato qui e non ti vedo”.
“E’ che ho avuto degli impegni…”, c’è confusione in sottofondo.
Mi fai sorridere, signor Cooper, perché il mio sesto senso mi dice che sarò vincitrice molto più velocemente del previsto.
“Ti disturbo?”, balbetti qualcosa che penso sia un sì che non vuoi pronunciare, “Beh, sinceramente non me ne frega un cazzo”.
Non mi hai mai sentita parlare così, vero signor Cooper?
Non c’è più rumore di sottofondo. Dove cavolo sei?
“Quanto sei stupida”, dici ridendo e, se ti avessi davanti, ti darei un pugno.
E poi aggiungi: “Guarda fuori dalla finestra, Alexis”.
Non mi muovo dalla sedia, “Mi prendi in giro?”.
“Tu guarda… E’ Alison quella che mi sta facendo il medio?”.
“E’ un fanculo da parte mia”.
E tu ridi e penso che ci sia un reparto all’ospedale psichiatrico per persone come te, con problemi nel capire che un fanculo non è una battuta, ma un invito ad andare in un certo luogo.
“Me lo sta facendo anche con l’altra mano”.
“Quello è da parte sua”.
Lo rifai. Ridi ancora.
“Mi fai salire?”.
“Assolutamente no”, ti dico e questa volta non ridi perché la mia voce è cambiata, “Non mi faccio prendere in giro da te e da nessun altro. E non faccio neanche l’amante”.
“E’ arrivato l’ultimatum?”, mi chiedi facendo una risata nervosa.
“Vedo che hai indovinato la parola chiave della nostra conversazione”.
“Devo scegliere”.
Sei perspicace, signor Cooper.
Ovviamente il mio è sarcasmo.
“Domani mi dirai cosa hai scelto”.
Ventiquattro ore saranno già troppe da sopportare per il mio cervello, soprattutto se continui a guardarmi così, Ali.
Lascia che sia il mio sesto senso a portarmi a fare harakiri. 

 



















_________________________________________


Scusate l'incredibile ritardo, ma ero impegnata con la scuola (tesina da preparare e simulazioni imminenti) e ho avuto un maledetto blocco. Fatto sta che quando sono riuscita a ritagliarmi del tempo ho iniziato a scrivere questo capitolo... spero che vi piaccia.
A proposito, sapete quando Lex parla delle calze che se si rompono prima di uscire è meglio cambiare i propri programmi?
Beh, in realtà a dirmelo è stata mia nonna, e per mia esperienza personale (spero che a voi non sia mai capitato) è meglio stravolgerli i piani, non solo modificarli!!!
Spero di ricevere delle vostre recensioni, e soprattutto qualche vostro segnale particolare che cogliete quando qualcosa andrà storto... Ecco, cosa vi dice il vostro sesto senso!!!

Ahhaahahah,

a presto,

Blue

 

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Capitolo 12
*** Sono fastidiosa. ***


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 Sono fastidiosa.
 
 
 
 
 
 
 
Sono fastidiosa.
Sono arrivata in ritardo di proposito, signor Cooper, non vorrai mica che io arrivi in orario come mi hai detto visto che conosco già la tua risposta.
Come faccio a saperla?
Beh, te lo si legge in faccia, signor Cooper, e lo vedo da come mi guardi, come se ti dispiacesse ma non potessi far altro che allontanarmi.
Non hai tutti i torti nel farlo e lo dice la lista di pro e contro che oggi ho scritto durante la lezione di diritto. Ovviamente hanno vinto i pro sul ‘Sì ti lascio’.
Anche se ‘lasciare’ sarebbe usato impropriamente visto che non c’è niente da lasciare fra noi. Oltre al ‘ti lascio il cuore spezzato’ ma questo è un problema solo mio.
Visto che un noi neanche esiste.
Visto che siamo ancora io e te, due persone distinte che si mangiano con gli occhi, ma ancora Alexis e il signor Cooper e non l’Alexis del signor Cooper o viceversa.
No, no.
Siamo ancora io e te.
E lo saremo sempre di più da quando mi dirai che non può continuare.
Aspetto che sia te a parlare e lo vedo nei tuoi occhi che questo mio mutismo ti ricorda la me prima del nostro bacio.
Lo so.
Perché è così che sono.
Tu mi stai allontanando da te e io faccio lo stesso.
Sono una donna e di quelle pessime.
Sono una donna che odia e che lo sa fare bene.
“Ciao”, mi dici e mi allunghi una sambuca.
Vuoi farmi ubriacare?
Oh, no.
Tu pensi di conoscermi e vuoi dimostrarmelo, te lo leggo nei tuoi stupidi occhi.
Ma io sono peggio, signor Cooper, sono come le unghie su una lavagna, la pioggia dopo aver lavato la macchina e le dita della mano chiuse dentro una portiera.
Sono fastidiosa.
“Prendo un aperitivo”, ti dico e tu abbassi lo sguardo e poi lo ordini.
Commando io stasera, signor Cooper.
“Allora?”.
“Non possiamo parlare pacificamente prima?”.
Hai detto più di quello che volevi che io capissi, signor Cooper. Pensi che io rimanga qua a sentirmi dire di no? Mi prendi in giro?
Me ne vado e tu ti alzi con me.
“Dove vai?”.
“Ho ricevuto il messaggio”.
“Mi disp…”.
“Sì, anche a me, di essermi messa in questo casino”.
“Non hai capito, Alexis”, mi dici tu con quel tuo modo tranquillo, mostrando quel tuo sorriso stupido.
Ho capito, invece, ho capito tutto perfettamente.
“Fanculo, signor Cooper!”, biascico e tu continui a sorridere tenendomi per le spalle.
Scuoti la testa muovendo in modo ridicolo quel mezzo ciuffetto che hai sulla testa. Te li fai tagliare ancora da tua mamma i capelli? Hai presente che esistono i parrucchieri?
“Lasciam…”.
“Vuoi stare zitta un attimo?”, chiedi e sei serio come quando lavori.
Se provi a parlare di investimenti, anche se sono sfornita di mazza da baseball, ti avverto che ho un fantastico gancio destro testato in anni di lotte con mio fratello.
Mi guardi come sai fare tu, come se sapessi già tutto quello che mi passa per la testa, come se mi leggessi l’anima. E mi domando se mai nessuno mi ha guardato come stai facendo tu: come se mi vedessi davvero.
La risposta la so già: no.
Tu mi guardi e mi vedi non per la mia freddezza, non per i miei atteggiamenti ribelli, ma per le mie debolezze, per la coda di paglia che cerco di nascondere con l’aggressività.
Tu mi vedi nonostante io sia maledettamente fastidiosa e non ti permetta di avvicinarmi a me ancora.
E poi mi dici anche di starmene zitta?
Ma tu lo sai cosa ho dovuto sopportare? Un ex col nome da cane che mi lascia così, dal niente, e si mette insieme nel giro di qualche giorno a una che fa parte del club piccole zoccole crescono, Ali che, come sempre, ostenta il fatto di essere più bella di Venere e in tutto questo io non sono altro che quella col cuore a pezzi e un fiore dove un cane ha fatto pipì.
E sinceramente sono stata zitta a sufficienza, sono stata zitta troppo tempo.
Quindi: o parli o io esplodo.
Faccio boom hai capito?
Come le dinamiti!
“Non hai capito”, ripeti e io decido di esplodere.
Sono fastidiosa.
Sono come il limone negli occhi, come il crampo al polpaccio in piena notte e la sveglia al lunedì mattina.
Sono fastidiosa, signor Cooper, ed esplodo come una bomba.
“Io non capisco?! Io?! Non sono io quella che per affrontare l’imminente vecchiaia si butta su una di dieci anni più giovane”, sibilo e mi devo fare i complimenti perché sono riuscita a ferire due persone: me e te.
Tu rimani zitto e mi guardi, cerchi qualcosa in me che non trovi, speri che dietro quelle parole ci sia paura di affezionarsi, di avvicinarsi a qualcuno per poi ritrovarsi con il cuore spezzato ancora.
Ma sono brava a nascondere le cose, signor Cooper, sono brava da far paura.
“Dimmi che stai scherzando”, dici passandoti una mano fra i capelli, “Io ti sto dicendo che ho scelto te, e te ne vieni fuori con queste cazzate”, spari così dal nulla.
E non ha senso quello che dici.
Le tue scelte non hanno senso, signor Cooper.
Perché scegliere me?
Cosa non va nella tua testa?
“Non ha senso”, e te lo dico perché anch’io evidentemente ho qualche difficoltà nel saper quando parlare e cosa dire.
Sono fastidiosa.
Fastidiosa da far schifo.
Tu mi guardi ma sei freddo, un po’ lontano, un po’ troppo distante rispetto a prima.
Le mie parole ti hanno ferito e come potrei darti torto? Hanno fatto male anche a me.
Hanno fatto male a tutti e due.
“Per te a quanto pare ce l’ha”, sibili riferendoti alla mia accusa sulla tua crisi di mezza età anticipata. Lo vedo che un po’ mi odi, ma c’è qualcos’altro nei tuoi occhi che non capisco, qualcosa che mi lascia senza parole perché non si può spiegare ma solo ammirare.
“Pensi sia facile per me aver scelto te?...”.
Evidentemente no.
Se stilassimo una lista di pro e contro sul scegliere me, vincerebbero senza alcuna ombra di dubbio i contro.
Insomma neanche fossi Ali con il suo visino intrigante e un fisico che farebbe invidia a Megan Fox. Io sono il fiore dove ha fatto pipì il cane, quello nell’angolo, quello dai colori banali, quello che guardi e non vedi perché sei troppo concentrato a guardare le rose e le margherite.
Sono uno di quei fiori di cui nessuno sa il nome, che stanno bene come contorno a tutti gli altri.
Sono quel tipo di persona che nessuno sceglie ma che a volte si trovano davanti e che per questo devono accettare.
Io sono quello che ti capiva non quello che vuoi, e quindi, signor Cooper, continuo a non capire la tua scelta, continuo a non capire perché tu faccia tutto questo!
“Secondo te non ho pensato a Sienna…”.
Oh, eccola la fidanzata bionda perfetta.
Non vedi che lo stai dicendo anche tu? Non vedi che non ha senso tutto questo?
“… o ai miei amici…”.
Mi considererebbero solo il passatempo di una sera e ti direbbero che Sienna era la donna con cui passare insieme tutto il resto della vita, che con una ventenne non si fanno progetti sul futuro solo sveltine. Sarei lo zimbello e tu con me.
“…o ai tuoi genitori…”.
Loro ti ucciderebbero, signor Cooper, ti farebbero a pezzi ma infondo ti adorano, e dopo aver superato il fattore ‘differenza d’età’, sarebbero stati contenti perché sei una bella persona, perché tu mi vuoi bene e te lo si legge negli occhi.
Ma i tuoi cosa direbbero?
Se hai imparato da loro a sondare l’anima come fai con  me non ci metterebbero tanto a capire quanto io sia dannatamente sbagliata per te che sei tanto perfetto.
“Sono stato sveglio tutta notte, Alexis, a pensare a cosa fare, a pensare a tutto ciò che ci avrebbe impedito di stare insieme…”.
“E..?”, domandai con non so quale dose di coraggio.
…e tu mi spari un sorriso sghembo che fa sparire i tuoi trent’anni e le rughe premature.
“Te l’ho già detto che ho scelto te”.
A questo punto nei film, nei libri e nelle leggende, io sarei dovuta saltargli al collo e iniziare un bacio appassionato vietato ai minori, ma in realtà rimasi fermai al mio posto a guardarlo negli occhi e a registrare ogni momento nella mia mente.
“Lo sai che non ha senso e che è completamente sbagliato”.
Tu annuisci e dici di saperlo.
Non ripeti quelle frasi fatte sul fatto che insieme affronteremo tutti e che quello che ti importa è stare con me, perché sai che sarà difficile e che ti manderò a quel paese più spesso di quanto ti meriteresti.
Lo sai che dovrai lottare per sopportarmi e che probabilmente ti dimenticherai perché hai scelto me.
Lo sai e ti va bene così.
“Non farmi del male, signor Cooper”, sussurrai abbassando gli occhi a terra ma so già che nel tuo viso c’è un sorriso, di quelli che ti fanno scoppiare il cuore nel petto da quanto belli sono.
“Penso che tu ora possa chiamarmi per nome”.
“Lo sto già facendo, signor Cooper”, ti dico e tu mi abbracci ridendo e dandomi un bacio sulla fronte.
Tu lo sai che ci saranno momenti in cui ci odieremo così tanto che faticherai a guardarmi negli occhi, ma mi vuoi lo stesso.
E nella mia testa lo dico il tuo nome.
Joseph.
Non lo ammetterò mai ma suona bene.


_______________________________________________________________________________________________________________

Scusate tantissimo il ritardo... Mi dispiace davvero molto...
Comunque spero che il capitolo vi sia piaciuto, o che almeno sia valso un po' l'attesa!
Spero in qualche recensione!!!


Blue

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Capitolo 13
*** How to get away with murder. ***


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 How to get away with murder.





How to get away with murder.
Sai cosa vuol dire?
Certo che lo sai.
Te l’avranno insegnato i tuoi amici di New York o quelli di Miami? Oh, per non dimenticare quelli di Washington DC.
Sì, lo so che devo dire DC, sennò potrei riferirmi anche allo Stato di Washington.
So che stai pensando che è strano che io abbia questa informazione nella mia testa da ventenne svampita che nella vita ha avuto solo un diploma e qualche esame universitario passato a stento.
Certo, so che non sono Joseph Cooper, o dovrei dire Mr Cooper?!
E adesso mi dici che hai anche degli amici a Tokyo?
Parli sempre di amici e mai di amiche. Sei gay sotto sotto?
No. Non da come mi guardi.
Lo riconosco un gay. Terence, l’amico di Randy e Billy, uno fra i trilioni di giocatori di rugby della mia facoltà, è gay. Ovvio che gli altri non sanno nulla.
Gli uomini credono di vedere più lungo di tutti, ma in realtà le uniche cose che vedono sono culi e tette. Figurati se vedono che un ragazzo è gay e che fa finta di niente.
Poi ho anche conosciuto il ragazzo di Terence, penso abbia diciotto anni appena compiuti, tutto magrolino, con i capelli così scuri che… non so neanche definirli. Un ragazzo carino, a modo e che guardava Terence con un affetto che, beh, mi aveva sconvolta.
Sconvolta tanto che quando tornai a casa iniziai a pormi le solite domande sul senso della vita. Del tipo: troverò mai qualcuno che mi guardi così? Troverò mai un ragazzo che guarderò così?
Fa tanto tredicenne in fase ormonale vero?
Beh, dopo un’attenta valutazione di tutti gli scenari possibili ed immaginabili su un ipotetico colpo di fulmine con uno strafigo dell’Abercrombie, ho capito che tutto questo non fa per me.
Non che io non voglia il modello, che sia ben chiaro, signor Cooper. Dico solo che io non ho mai voluto l’amore dolce.
Sai, non so neanche se sono il tipo che va d’amore e d’accordo.
Mi sento più fulmini e saette. Urla e piatti rotti. Pianti e sorrisi.
Mi sento più una persona instabile, che un momento ti ama e poi ti odia, che si getterebbe sotto ad un autobus ora ma che probabilmente più tardi getterebbe te.
Probabilmente tu e il resto del mondo direste che è perché hai vent’anni e bla bla bla.
Io, che mi permetto, credo di conoscere abbastanza me stessa per dire che: sono un vero e proprio casino.
E dovresti saperlo.
Insomma un attimo prima ti amo e lo urlerei al mondo, un attimo dopo sono alla ricerca della famigerata mazza da baseball.
Per carità, sono come la maggior parte delle donne in questo pianeta che se le dici che è bella ti guarderà storto fingendo brontolando che non è vero.
Non sono nulla di più di altre.
Dico solo che io sono un po’ un terno al lotto, signor Cooper.
Dico che io ho vent’anni.
Tu dieci in più.
Io ho un diploma e qualche cavolo di esame, tu una laurea e un lavoro.
Un bel lavoro.
Io ho un frigo.
“Un frigo?”, mi chiedi ridendo.
“Ho speso tutte le mie mance per comprarmi un frigo”, e tu ridi, ridi di gusto.
Ridi così tanto che chissene frega di Billy, Randy, Abercombie vari.
Tu sei tu. Tu sei vero.
Tu e le tue rughette, quelle scarpe pseudo-sportive che ti danno quell’aria da eterno Peter Pan, quel tuo modo di stringermi il braccio come se volessi coinvolgermi nella tua risata mentre mi vergogno ancora che ho parlato di mance. Da quanto è che tu non ricevi più una mancia?
Vedi?
Tu sei di più.
Più di me.
“Hai finito di ridere di me?”, ti chiedo infastidita e tu mi sorridi colpevole.
Una ragazza dall’altra parte del bancone ti sta fissando da quando hai iniziato a ridere.
O dovrei dire: una ragazza della tua età.
Tu non la vedi.
“Non sto ridendo di te, Alexis”, dici sorridendo ancora.
Abbasso lo sguardo e trattengo un sospiro. Non sono una persona sicura di sé, non sono una persona ricca di conoscenze, esperienze e altre cose da raccontare.
“Dobbiamo finire di parlare”, ti dico e tu annuisci mettendoti dritto.
Vuoi una cintura di sicurezza?
“Cosa vuoi fare con la tua fidanzata?”.
Ecco. L’ho detto.
Un’incredibile standing ovation sta avvenendo nella mia testa. Per una volta ce l’ho fatta. Per una volta ho detto quello che bisognava dire.
“Devo parlarle”.
“Quindi non l’hai ancora fatto”.
Ora il pubblico – i miei sei neuroni – si sono fermati e attendono con ansia una risposta che già sanno.
“No. Ma lo faccio appena torno a casa”.
Rimango tranquilla per la prima volta da quando ti conosco.
Da quant’è che ti conosco?
Bah, non importa.
La cosa incredibile è che io sia calma, di una calma quasi terrificante.
“Le parlerai quando torni a casa?”.
“Sì”.
Ti guardo e lascio che sia la mia impulsività a parlare.
“Ti credo. Ti lascio stasera. Solo stasera. Se non lo farai io non esisterò più per te”.
Improvvisamente mi sento il cuore diviso in due.
Ho paura.
Una paura che non ho mai avuto nella mia vita.
Perché solo in questo preciso momento sono certa che io ti voglio, signor Cooper. Sono certa che tu mi piaci così tanto che pensare che non la lascerai mi spezza il cuore.
Pensare che non ti vedrò più qui al bar, che cerchi di prendermi qualcosa di giusto da bere, che mi rincorri da una parte all’altra con un frappè in mano… beh mi spaventa.
Mi spaventa da impazzire.
Ho paura che sceglierai lei. Perché a parole siamo sempre bravi tutti e sono sicura che partirai convinto, ma quando la vedrai bella e bionda com’è, magari che ti cucina la cena, che ti sorride e ti racconta la sua magnifica giornata da insegnate universitaria, o che ti dirà che è pronta ad avere un figlio, che non si sente né troppo vecchia né troppo giovane… Tu cosa le dirai?
Ti renderai conto che io non sono una sicurezza.
Che io ho vent’anni e che per ora non voglio avere figli, che non ci ho proprio mai pensato. Che al massimo ti dirò che dovrò studiare invece di uscire, che ho la festa del campus e non il dopocena dall’amica in del centro città.
Sono quella che di suo ha un frigo e un diploma, sono quella che nessuno sano di mente sceglierebbe.
Eppure io voglio che tu mi scelga.
Perché… perché ti voglio, signor Cooper.
“Ti ho detto che ho già scelto”.
“Dillo anche stasera a voce alta alla tua fidanzata”.
“Non ti fidi di me?”, mi chiedi mettendola in un piano del tutto errato.
Non mi fido di te?
Certo che no!
Come faccio a fidarmi di te?
Hai ancora una ragazza e io sto facendo solo la sporca amante!
E non so perché ma oggi la mia bocca va da sé e dice tutto quello che deve dire, senza balbettare o incepparsi.
Strabuzzi gli occhi stupito.
Ti faccio paura?
How to get away with murder.
È un telefilm che guardo e sai di cosa parla?
Di nascondere omicidi ed avere poi le mani pulite come niente fosse stato.
Perché tu farai così.
Se non sceglierai me stasera, poi la tua vita continuerà.
Tu continuerai ad essere il consigliere di fiducia dei miei genitori, continuerai a vivere nella tua stupida casa chissà dove, a baciare la tua pomposa fidanzata… continuerai tutto senza di me come niente fosse.
Mentre io me ne rimarrò lì dentro il mio immaginario sacco dell’immondizia nero.
Mi lascerai lì.
Come si fa con quello che non vuoi e che non ti serve.
Mi lascerai lì a cavarmela da sola.
E ho paura, signor Cooper, ho paura che non mi vorrai.
Ma allo stesso tempo fremo dalla voglia di essere con te per davvero.
“Non sono una sporca amante”, ti dico tranquilla, “So di non essere lei, so che… oh, insomma, il mio ex ha preferito una identica a me solo con un pezzo di gamba in più e meno drammatica…”.
Sto letteralmente impazzendo.
“Io sorrido poco”, ti dico a mio svantaggio, “E sono un vero casino. Lo so anch’io… faccio fatica a capirmi io stessa, figurati se mi puoi capire tu”.
Penso sia stata una delle frasi più sincere che ti abbia mai detto, ma mi guardi come fai sempre, come se ti dicessi dove si trova il Santo Graal, come se ti sussurrassi un segreto di portata mondiale.
Vuoi prendere appunti?
Se te lo proponessi probabilmente mi diresti di sì.
“Sto per lasciare la mia ragazza storica per una ventenne figlia di alcuni miei clienti. Penso di essere un casino anch’io”, detto questo mi illumino e sorrido.
Dio se mi piaci Joseph Cooper.
 
How to get away with murder.
Mi sa che l’omicidio diventerà un suicidio di questo passo.
La storia dei minuti che sembrano ore è vecchia come il male, ma quando il tempo passa incredibilmente veloce? Che facciamo?
Iniziamo con calma e chiudiamo la porta di casa. A chiave magari.
Sì, ecco, brava Alexis.
Sono arrivata a parlare in terza persona… come sono finita così?
Oh, sì. Per un uomo.
Un trentenne con le scarpe laccate e la cravatta.
Però una cosa alla volta: porta?, chiusa. Molto bene. Ora passiamo alla parte che mia madre chiama elegantemente “igiene personale”, nonché togliere quasi fino alla bestemmia il trucco waterproof. Bell’idea il trucco waterproof per una che ha poca, pochissima, pazienza sia nel truccarsi che nello struccarsi.
Beh.
Una cosa alla volta no?
Ma… ma da quando in qua devo pensare ad ogni minima azione? Da quando in qua devo fare un elenco delle cose da fare prima di andare a letto?
Da quando è arrivato lui, il signor Cooper.
Maledetto signor Cooper.
Maledetta me.
Vorrei tanto chiamare Ali ma so che non mi capirebbe, lei ha l’insignificante e non so neanche se le è mai venuto un colpo di testa come sta accadendo a me.
Oliver!
“Lex?!”, urli sopra il frastuono.
È giorno o sera lì da te, fratellone?
“Ti disturbo?”, ti chiedo.
“Che succede?”.
“Ho fatto un casino, Oliver”, sussurro e poi ti dico tutto. Me ne frego quando sento i tuoi amici che ti chiamano spazientiti, o quando sento che ti stai allontanando dalla musica. Me ne frego anche che potrebbe non fregartene niente. Me ne frego di molte cose.
Ma non riesco a fregarmene del signor Cooper e della sua decisione.
Quindi ti racconto tutto. Da quel vaffanculo, all’ultimatum, a stasera: il secondo ultimatum.
Quanti ultimatum deve avere una quasi-storia per iniziare?
Te lo chiedo, Oliver, perché io non lo so.
Con Billy non sono serviti ultimatum, solo qualche drink e due sorrisi a tremila denti per far tutta la magia. Con Randy sarebbe stato lo stesso. E con altre persone pure. Ma perché con lui no?
Perché per una volta non può essere facile?
Perché ha dieci anni in più?
Perché ha una ragazza identica a Barbie?
“Cristo, Lex! Proprio con Joe Cooper?”, dici probabilmente mettendoti le mani in testa.
Aspetta. Lo conosci?
“Vivevo con lui quando andavo al college, Lex. È lui Joe”.
Oh.
Oh cazzo.
Oh cazzo cazzo.
“Non che non sia un bravo ragazzo… ma cristo, Lex! È più vecchio di me!”.
“Non sapevo che fosse quel Joe”, cerco di giustificarmi.
“Avrebbe cambiato qualcosa?”.
“No”, dico senza neanche accorgermene.
Ora capisco tante cose. Lui è Joe. Ecco perché i miei lo guardano come fosse un figlio e quando torna Oliver si mettono a parlare tranquillamente come fratelli.
È Joe. Joe Cooper, quello che ha fatto mille viaggi per l’Europa con Oliver a bere tra una discoteca e l’altra.
Come avevo fatto a non arrivarci prima?
“Tu conosci Sienna?”, ti chiedo e ti sento sospirare un sì.
Inizi a raccontarmi che stanno insieme dal college, dopo il viaggio di Francia, e che da lì non si sono mai lasciati.
A te Sienna non piace e lo si capisce dal tono con cui pronunci il suo nome.
Non ti piace e neanche a me. Io e te, Oliver, siamo sempre andati d’accordo.
“Lexie… Ma che cazzo ti salta in mente?! Con un trentenne? Mio dio. Dove cazzo hai la testa?”, inizi ad innervosirti e mi chiedo se non era meglio che me ne stessi nella mia camera in perfetta agonia sperando che non arrivi mai mattina.
E invece no, continuo imperterrita a fare una marea di scelte sbagliate.
D’altronde come dovrebbe reagire mio fratello maggiore di fronte ad una situazione del genere?
Darmi ragione? No. Non sarebbe Oliver.
“Gli altri mi stanno chiamando. Devo andare. Mi dispiace, Lex, ma credo che non finirà bene”.
Ciao, Ollie.
How to get away with murder.
Qui finirà in un omicidio.
Da parte di mio fratello. E di cadavere ce ne sarà solo uno: il mio.
How to get away with murder.
Sai cosa vuol dire?
Certo che lo sai.
Te l’avranno insegnato i tuoi amici di New York o quelli di Miami? Oh, per non dimenticare quelli di Washington DC.
Sì, lo so che devo dire DC, sennò potrei riferirmi anche allo Stato di Washington.
So che stai pensando che è strano che io abbia questa informazione nella mia testa da ventenne svampita che nella vita ha avuto solo un diploma e qualche esame universitario passato a stento.
Certo, so che non sono Joseph Cooper, o dovrei dire Mr Cooper?!
E adesso mi dici che hai anche degli amici a Tokyo?
Parli sempre di amici e mai di amiche. Sei gay sotto sotto?
No. Non da come mi guardi.
Lo riconosco un gay. Terence, l’amico di Randy e Billy, uno fra i trilioni di giocatori di rugby della mia facoltà, è gay. Ovvio che gli altri non sanno nulla.
Gli uomini credono di vedere più lungo di tutti, ma in realtà le uniche cose che vedono sono culi e tette. Figurati se vedono che un ragazzo è gay e che fa finta di niente.
Poi ho anche conosciuto il ragazzo di Terence, penso abbia diciotto anni appena compiuti, tutto magrolino, con i capelli così scuri che… non so neanche definirli. Un ragazzo carino, a modo e che guardava Terence con un affetto che, beh, mi aveva sconvolta.
Sconvolta tanto che quando tornai a casa iniziai a pormi le solite domande sul senso della vita. Del tipo: troverò mai qualcuno che mi guardi così? Troverò mai un ragazzo che guarderò così?
Fa tanto tredicenne in fase ormonale vero?
Beh, dopo un’attenta valutazione di tutti gli scenari possibili ed immaginabili su un ipotetico colpo di fulmine con uno strafigo dell’Abercrombie, ho capito che tutto questo non fa per me.
Non che io non voglia il modello, che sia ben chiaro, signor Cooper. Dico solo che io non ho mai voluto l’amore dolce.
Sai, non so neanche se sono il tipo che va d’amore e d’accordo.
Mi sento più fulmini e saette. Urla e piatti rotti. Pianti e sorrisi.
Mi sento più una persona instabile, che un momento ti ama e poi ti odia, che si getterebbe sotto ad un autobus ora ma che probabilmente più tardi getterebbe te.
Probabilmente tu e il resto del mondo direste che è perché hai vent’anni e bla bla bla.
Io, che mi permetto, credo di conoscere abbastanza me stessa per dire che: sono un vero e proprio casino.
E dovresti saperlo.
Insomma un attimo prima ti amo e lo urlerei al mondo, un attimo dopo sono alla ricerca della famigerata mazza da baseball.
Per carità, sono come la maggior parte delle donne in questo pianeta che se le dici che è bella ti guarderà storto fingendo brontolando che non è vero.
Non sono nulla di più di altre.
Dico solo che io sono un po’ un terno al lotto, signor Cooper.
Dico che io ho vent’anni.
Tu dieci in più.
Io ho un diploma e qualche cavolo di esame, tu una laurea e un lavoro.
Un bel lavoro.
Io ho un frigo.
“Un frigo?”, mi chiedi ridendo.
“Ho speso tutte le mie mance per comprarmi un frigo”, e tu ridi, ridi di gusto.
Ridi così tanto che chissene frega di Billy, Randy, Abercombie vari.
Tu sei tu. Tu sei vero.
Tu e le tue rughette, quelle scarpe pseudo-sportive che ti danno quell’aria da eterno Peter Pan, quel tuo modo di stringermi il braccio come se volessi coinvolgermi nella tua risata mentre mi vergogno ancora che ho parlato di mance. Da quanto è che tu non ricevi più una mancia?
Vedi?
Tu sei di più.
Più di me.
“Hai finito di ridere di me?”, ti chiedo infastidita e tu mi sorridi colpevole.
Una ragazza dall’altra parte del bancone ti sta fissando da quando hai iniziato a ridere.
O dovrei dire: una ragazza della tua età.
Tu non la vedi.
“Non sto ridendo di te, Alexis”, dici sorridendo ancora.
Abbasso lo sguardo e trattengo un sospiro. Non sono una persona sicura di sé, non sono una persona ricca di conoscenze, esperienze e altre cose da raccontare.
“Dobbiamo finire di parlare”, ti dico e tu annuisci mettendoti dritto.
Vuoi una cintura di sicurezza?
“Cosa vuoi fare con la tua fidanzata?”.
Ecco. L’ho detto.
Un’incredibile standing ovation sta avvenendo nella mia testa. Per una volta ce l’ho fatta. Per una volta ho detto quello che bisognava dire.
“Devo parlarle”.
“Quindi non l’hai ancora fatto”.
Ora il pubblico – i miei sei neuroni – si sono fermati e attendono con ansia una risposta che già sanno.
“No. Ma lo faccio appena torno a casa”.
Rimango tranquilla per la prima volta da quando ti conosco.
Da quant’è che ti conosco?
Bah, non importa.
La cosa incredibile è che io sia calma, di una calma quasi terrificante.
“Le parlerai quando torni a casa?”.
“Sì”.
Ti guardo e lascio che sia la mia impulsività a parlare.
“Ti credo. Ti lascio stasera. Solo stasera. Se non lo farai io non esisterò più per te”.
Improvvisamente mi sento il cuore diviso in due.
Ho paura.
Una paura che non ho mai avuto nella mia vita.
Perché solo in questo preciso momento sono certa che io ti voglio, signor Cooper. Sono certa che tu mi piaci così tanto che pensare che non la lascerai mi spezza il cuore.
Pensare che non ti vedrò più qui al bar, che cerchi di prendermi qualcosa di giusto da bere, che mi rincorri da una parte all’altra con un frappè in mano… beh mi spaventa.
Mi spaventa da impazzire.
Ho paura che sceglierai lei. Perché a parole siamo sempre bravi tutti e sono sicura che partirai convinto, ma quando la vedrai bella e bionda com’è, magari che ti cucina la cena, che ti sorride e ti racconta la sua magnifica giornata da insegnate universitaria, o che ti dirà che è pronta ad avere un figlio, che non si sente né troppo vecchia né troppo giovane… Tu cosa le dirai?
Ti renderai conto che io non sono una sicurezza.
Che io ho vent’anni e che per ora non voglio avere figli, che non ci ho proprio mai pensato. Che al massimo ti dirò che dovrò studiare invece di uscire, che ho la festa del campus e non il dopocena dall’amica in del centro città.
Sono quella che di suo ha un frigo e un diploma, sono quella che nessuno sano di mente sceglierebbe.
Eppure io voglio che tu mi scelga.
Perché… perché ti voglio, signor Cooper.
“Ti ho detto che ho già scelto”.
“Dillo anche stasera a voce alta alla tua fidanzata”.
“Non ti fidi di me?”, mi chiedi mettendola in un piano del tutto errato.
Non mi fido di te?
Certo che no!
Come faccio a fidarmi di te?
Hai ancora una ragazza e io sto facendo solo la sporca amante!
E non so perché ma oggi la mia bocca va da sé e dice tutto quello che deve dire, senza balbettare o incepparsi.
Strabuzzi gli occhi stupito.
Ti faccio paura?
How to get away with murder.
È un telefilm che guardo e sai di cosa parla?
Di nascondere omicidi ed avere poi le mani pulite come niente fosse stato.
Perché tu farai così.
Se non sceglierai me stasera, poi la tua vita continuerà.
Tu continuerai ad essere il consigliere di fiducia dei miei genitori, continuerai a vivere nella tua stupida casa chissà dove, a baciare la tua pomposa fidanzata… continuerai tutto senza di me come niente fosse.
Mentre io me ne rimarrò lì dentro il mio immaginario sacco dell’immondizia nero.
Mi lascerai lì.
Come si fa con quello che non vuoi e che non ti serve.
Mi lascerai lì a cavarmela da sola.
E ho paura, signor Cooper, ho paura che non mi vorrai.
Ma allo stesso tempo fremo dalla voglia di essere con te per davvero.
“Non sono una sporca amante”, ti dico tranquilla, “So di non essere lei, so che… oh, insomma, il mio ex ha preferito una identica a me solo con un pezzo di gamba in più e meno drammatica…”.
Sto letteralmente impazzendo.
“Io sorrido poco”, ti dico a mio svantaggio, “E sono un vero casino. Lo so anch’io… faccio fatica a capirmi io stessa, figurati se mi puoi capire tu”.
Penso sia stata una delle frasi più sincere che ti abbia mai detto, ma mi guardi come fai sempre, come se ti dicessi dove si trova il Santo Graal, come se ti sussurrassi un segreto di portata mondiale.
Vuoi prendere appunti?
Se te lo proponessi probabilmente mi diresti di sì.
“Sto per lasciare la mia ragazza storica per una ventenne figlia di alcuni miei clienti. Penso di essere un casino anch’io”, detto questo mi illumino e sorrido.
Dio se mi piaci Joseph Cooper.
 
How to get away with murder.
Mi sa che l’omicidio diventerà un suicidio di questo passo.
La storia dei minuti che sembrano ore è vecchia come il male, ma quando il tempo passa incredibilmente veloce? Che facciamo?
Iniziamo con calma e chiudiamo la porta di casa. A chiave magari.
Sì, ecco, brava Alexis.
Sono arrivata a parlare in terza persona… come sono finita così?
Oh, sì. Per un uomo.
Un trentenne con le scarpe laccate e la cravatta.
Però una cosa alla volta: porta?, chiusa. Molto bene. Ora passiamo alla parte che mia madre chiama elegantemente “igiene personale”, nonché togliere quasi fino alla bestemmia il trucco waterproof. Bell’idea il trucco waterproof per una che ha poca, pochissima, pazienza sia nel truccarsi che nello struccarsi.
Beh.
Una cosa alla volta no?
Ma… ma da quando in qua devo pensare ad ogni minima azione? Da quando in qua devo fare un elenco delle cose da fare prima di andare a letto?
Da quando è arrivato lui, il signor Cooper.
Maledetto signor Cooper.
Maledetta me.
Vorrei tanto chiamare Ali ma so che non mi capirebbe, lei ha l’insignificante e non so neanche se le è mai venuto un colpo di testa come sta accadendo a me.
Oliver!
“Lex?!”, urli sopra il frastuono.
È giorno o sera lì da te, fratellone?
“Ti disturbo?”, ti chiedo.
“Che succede?”.
“Ho fatto un casino, Oliver”, sussurro e poi ti dico tutto. Me ne frego quando sento i tuoi amici che ti chiamano spazientiti, o quando sento che ti stai allontanando dalla musica. Me ne frego anche che potrebbe non fregartene niente. Me ne frego di molte cose.
Ma non riesco a fregarmene del signor Cooper e della sua decisione.
Quindi ti racconto tutto. Da quel vaffanculo, all’ultimatum, a stasera: il secondo ultimatum.
Quanti ultimatum deve avere una quasi-storia per iniziare?
Te lo chiedo, Oliver, perché io non lo so.
Con Billy non sono serviti ultimatum, solo qualche drink e due sorrisi a tremila denti per far tutta la magia. Con Randy sarebbe stato lo stesso. E con altre persone pure. Ma perché con lui no?
Perché per una volta non può essere facile?
Perché ha dieci anni in più?
Perché ha una ragazza identica a Barbie?
“Cristo, Lex! Proprio con Joe Cooper?”, dici probabilmente mettendoti le mani in testa.
Aspetta. Lo conosci?
“Vivevo con lui quando andavo al college, Lex. È lui Joe”.
Oh.
Oh cazzo.
Oh cazzo cazzo.
“Non che non sia un bravo ragazzo… ma cristo, Lex! È più vecchio di me!”.
“Non sapevo che fosse quel Joe”, cerco di giustificarmi.
“Avrebbe cambiato qualcosa?”.
“No”, dico senza neanche accorgermene.
Ora capisco tante cose. Lui è Joe. Ecco perché i miei lo guardano come fosse un figlio e quando torna Oliver si mettono a parlare tranquillamente come fratelli.
È Joe. Joe Cooper, quello che ha fatto mille viaggi per l’Europa con Oliver a bere tra una discoteca e l’altra.
Come avevo fatto a non arrivarci prima?
“Tu conosci Sienna?”, ti chiedo e ti sento sospirare un sì.
Inizi a raccontarmi che stanno insieme dal college, dopo il viaggio di Francia, e che da lì non si sono mai lasciati.
A te Sienna non piace e lo si capisce dal tono con cui pronunci il suo nome.
Non ti piace e neanche a me. Io e te, Oliver, siamo sempre andati d’accordo.
“Lexie… Ma che cazzo ti salta in mente?! Con un trentenne? Mio dio. Dove cazzo hai la testa?”, inizi ad innervosirti e mi chiedo se non era meglio che me ne stessi nella mia camera in perfetta agonia sperando che non arrivi mai mattina.
E invece no, continuo imperterrita a fare una marea di scelte sbagliate.
D’altronde come dovrebbe reagire mio fratello maggiore di fronte ad una situazione del genere?
Darmi ragione? No. Non sarebbe Oliver.
“Gli altri mi stanno chiamando. Devo andare. Mi dispiace, Lex, ma credo che non finirà bene”.
Ciao, Ollie.
How to get away with murder.
Qui finirà in un omicidio.
Da parte di mio fratello. E di cadavere ce ne sarà solo uno: il mio.


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Con un ritardo stratosferico eccomi qui. 
Un ritardo di un anno non è cosa da poco vero?
Beh, non ho scuse e non penso neanche vi interessi la storia della mia vita, ma più quella di Lex e il signor Cooper. Per cercare di farmi perdonare ho scritto un capitolo molto più lungo del solito, probabilmente mostrando una Lex molto meno logorroica mentalmente e un po' più adulta. Volevo dare l'impressione che nei grandi momenti di ansia e paura il nostro cervello raggiunge una tranquillità tale da diventare incredibilmente razionale, facendoci prendere le giuste decisioni.
Lex è tornata e insieme a lei mille altri dubbi. Probabilmente poteva vivere la storia come un amante, intanto sarebbe stato suo comunque, oppure trovarsi un ragazzo più della sua età, senza troppi problemi, senza troppe differenze... più semplice, ecco. E allora perchè avventurarsi in questa storia?
Io l'idea di Lex la so.
Qual è la vostra?


Blue

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Capitolo 14
*** È tutta una questione di bastardi. ***


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 È tutta una questione di bastardi.





È tutta una questione di bastardi. 
Tutti hanno un angelo custode, che sia presente o no questo è un bel quesito.
Ma c’è. Si sa.
è quello del lampo di genio un secondo prima che ritirino i test, quello che ti suggerisce la strada dopo aver vagato a caso per venti minuti.
è quello che ti sussurra di chiedere scusa ai tuoi genitori, dicendoti che sono doni e come tali vanno trattati col massimo rispetto.
L’angelo custode c’è.
Ognuno ha il suo, e a suo modo decide quando aiutarti o quando lasciarti fare da te, quasi per metterti alla prova.
Beh, io sono certa che esista, ma a me è capitato un bastardo-custode, non un angelo.
Perché qualsiasi buonanima si “occupi” di me avrebbe pietà almeno oggi. Ma invece no! Perché a me tocca sempre il bastardo.
Il bastardo-ex.
Il bastardo-fratello-che-ti-da-deliberatamente-della-cretina.
Il bastardo-trentenne.
Il bastardo-custode.
Tutto bastardo.
È tutta una questione di bastardi. 
E come agisce? Beh presentandomi qui il bastardo-ex, dopo aver ricevuto della cretina dal bastardo-fratello perché gli ha rivelato cosa è successo con il bastardo-trentenne.
Una marea di bastardi, eh?
Ed eccolo qui, Billy-bastardo. Il ragazzo con il viso da principe e il nome da cane, che bussa alla mia porta e io, per un motivo sconosciuto, sono corsa senza neanche preoccuparmi di guardare dallo spioncino.
No. Chi si preoccupa quando la tua testa ti urla di correre ad aprire nella speranza che sia lui, il bastardo-trentenne, che appaia davanti ai miei occhi e mi prometta amore eterno.
Maledetti film romantici sull’amore eterno che mi hanno portato a illudermi in modo spaventoso.
“Lex”.
Sembri sorpreso Billy.
Tranquillo che la porta la sto già chiudendo.
“Aspetta… volevo parlarti”, dici bloccandola di colpo.
Mi metto a ridere. Suona più come una risata isterica.
Sto diventando decisamente pazza.
“So che sei uscita con Randy”, dici e mi guardi fisso.
Cosa vuoi? Un premio?
Un premio per la faccia tosta ti starebbe a pennello.
“E..?”, ti chiedo.
“Mi ha detto che sei uscita con un altro”.
Joseph Cooper, oltre a me a quanto pare colpisci anche i giocatori di rugby. Che effetto che fai, eh?
“Non sono affari tuoi, Billy. Vattene”.
“Voglio solo parlare”, ti difendi subito cercando di entrare nell’appartamento ma mi metto davanti marcandoti. Forse ho imparato qualcosa guardando le tue noiose e infinite partite. Però so per certo che il mio strumento migliore è la mazza da baseball soprattutto se è per colpire te.
“Non provare ad entrare!”, ti ringhio addosso.
Mi guardi come se neanche mi riconoscessi, come se non fossi la Lex di sempre. Beh, Billy-bastardo questo è perché in fondo sono una bastarda anch’io.
“Beh, io sono qua perché… perché mi manchi, Lex”.
E lo dici, così. Come se fosse la cosa più semplice in questo pianeta, come se non mi avessi lasciata con una scusa banale e non ti fossi trovato un’altra ragazza dopo un secondo.
Lo dici così, così facilmente che sembra che tu mi stia prendendo in giro.
Dimmi che lo stai facendo, ti prego.
Dimmi che è tutto uno scherzo, che dall’altra parte del pianerottolo c’è una telecamera e che non è vero quello che mi stai dicendo.
Perché non può essere vero.
Non può essere.
“Penso che tu abbia della confusione in testa, Billy”, ti dico e tento nuovamente di chiudere la porta ma mi fermi.
“Mai stato così serio”.
“Billy…”.
“Stai con quello là?”, mi chiedi.
Vorrei dirti di sì, ma in realtà non lo so.
Forse sì e forse no. E questa indecisione mi sta facendo morire.
“Non mi avevi detto che avrei trovato sicuramente qualcun altro?”, ti chiedo e abbassi lo sguardo.
Joseph Cooper non lo abbasserebbe mai.
“Era un momento difficile… ho detto delle cose sbagliate, Lex”.
Cose sbagliate?
COSE SBAGLIATE?
“L’unica cosa di sbagliato la sto facendo io a parlarti ancora, Billy”, sibilo e mi guardi come fossi un mostro.
“Ma Lex! Ma…”.
“Vattene Billy!”.
“Mi manchi”, sussurri guardandoti i piedi.
Rimango ferma e aspetto.
Aspetto di provare qualcosa perché in fin dei conti con te ho condiviso momenti importanti, belli e brutti. Ho condiviso tante cose.. tra cui la mia verginità.
E aspetto, davvero.
Aspetto che il mio bastardo-custode mi sussurri qualcosa. Qualsiasi cosa.
Magari di dargli uno schiaffo, di sbattere la porta con tutta la forza che ho o di allontanarmi semplicemente. E invece niente.
Silenzio radio.
Ho già detto che ho un bastardo-custode?
Ti guardo Billy e vedo un bel viso, davvero, sei bello, sei figo, sei alla moda, sei… basta. Ho finito la lista di caratteristiche.
Vedi Billy?
Sei troppo poco. Sei bello, ma la bellezza non dura e se anche durasse non è che posso passare anni a guardarti e basta. Guardare qualcosa per i primi dieci secondi è interessante, poi diventa banale soprattutto se guardassi il tuo viso.
Sì, sei bello, ma bello come tanti.
Non bello come… Joseph Cooper.
Ecco, sì.
Joseph Cooper non smetterei mai di guardarlo, ma perché lui cambia, si evolve, non cede ai miei sguardi. Mi fa arrabbiare e mi fa intenerire. Mi fa ridere e urlare. Lo mando a fanculo e poi lo bacio.
Tu, invece, non mi fai né caldo né freddo.
“Basta Billy. Basta. Va’ via”.
“Dico sul serio, Lex”.
“Anch’io. Smettila”.
Mi guardi e dici, “Non ti riconosco più”.
Ed esplodo. Letteralmente. “Non mi riconosci più solo perché ho smesso di interessarmi a te? Solo perché ho capito che sei uno stronzo egoista? O perché non te la do più a comando solo per farti contenta? Dimmi! Dai, Billy, dimmi per quale ragione non mi riconosci?!”, ti aggredisco stanca di te e di tutte le vaccate che dici.
Sì, perché sono proprio vaccate.
“Vuoi una da scoparti? Ce ne sono milioni!”, dico urlando e non me ne frega se fra poco la vicina uscirà con gli occhi iniettati di sangue e un coltello in mano solo per averla svegliata.
Non me ne frega più niente, perché inizio a sentirmi tanto la ragazza presa in giro, derisa e usata. Da te, piccolo Billy e da Cooper. Da tutti.
E sinceramente non ne posso più.
In quel momento l’ascensore si apre e spunta la seconda persona che non mi sarei mai aspettata di vedere e guarda Billy dall’alto al basso con quell’espressione infastidita che tanto si adegua al suo viso.
“Sparisci”, dice semplicemente indicandogli le scale e Billy se ne va dopo avermi detto Tu mi piaci veramente.
“Kim?”.
Guardo mia sorella vestita in tutto punto con lo sguardo furioso.
“Sono venuta fin qui. Almeno fammi entrare e offrimi un caffè”.
Bastarda-Kim?
Sì, lo è sempre stata.
In fondo è tutta una questione di bastardi, no?





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Ed eccomi qui di nuovo!
In questo capitolo ci sono grandi scoperte e grandi personaggi... e lo so che fremete dalla voglia di sapere la risposta del nostro Joe Cooper, come Lex ovviamente! 
Ma si sa... quando si presenta un problema in realtà ne arrivano altri cento!
Tra cui un ex pentito e una sorella che non si era mai interessata a Lex.

Aspettando le vostre considerazioni volevo ringraziare:
  • chi lascia una recensione sempre
  • chi lascia una recensione ogni tanto
  • i lettori silenziosi
  • chi ha scoperto questa storia da poco
Ringrazio veramente tutti quanti di cuore. Sapere che c'è qualcuno che legge questa storia (e questo commento) mi riempie di gioia!

A prestissimo,

Blue

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Capitolo 15
*** L'eterna domanda. ***


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 L'eterna domanda.





L’eterna domanda.
Ho aperto la porta ad un incubo e ne è entrato un diavolo.
Insomma, Kim, io e te non abbiamo mai avuto quel tipo di rapporto che dovrebbe esserci fra due sorelle.
Non ci siamo mai davvero sopportate, a dir la verità.
Tu sei arrogante e sicura di sé, io sono scorbutica e in conflitto col mondo.
Io l’ortica, tu il germoglio.
“Perché sei qui?”, ti chiedo e tu mi rivolgi una delle tue occhiate annoiate.
“Fammi un caffè”.
“Dimmi perché sei…”.
Ed esplodi, “Oliver! Sono qui per Oliver! Ora fammi un caffè!”.
Ecco la Kim che conosco, dispotica e autoritaria come sempre.
O si fa come dici tu o non esiste altra soluzione.
“Oliver?”, ti chiedo facendo il caffè.
“Io e te abbiamo in comune tre cose: il sangue, Oliver e un buon gusto per gli uomini”, dici così, con un po’ di cattiveria e un po’ di rassegnazione.
So che avere qualcosa in comune con me ti inorridisce. Lo so perché me l’hai sempre detto e nessuna delle due ha mai provato a fare qualcosa per smentirlo.
Se mi sarebbe piaciuto avere un bel rapporto con mia sorella?
Sì certo. Ma io ho avuto te e io tu hai avuto me e nessuna delle due si è mai impegnata a coltivare un rapporto.
Abbiamo litigato così tanto inizialmente, che perfino i nostri genitori si erano stancati. E alla fine eravamo arrivate a fregarcene una dell’altra.
La nostra vita andava avanti anche senza un rapporto tra sorelle normale.
Ora, però, sei qui.
Sei qui nel mio appartamento alle tre del mattino con i tuoi capelli in perfetto ordine e lo sguardo stanco.
“Sul sangue, beh, mi sono dovuta abituare e questo vale anche per te. Devo dirti, con estrema sincerità, che non ho ancora capito come i nostri genitori siano riusciti a mettere al mondo due figlie così diverse”.
Mai parole furono più vere.
Io e te dovremmo essere studiate Kim, perché anche Oliver è nato in un mondo tutto suo ma solo lui sembra pienamente figlio dei nostri genitori. Io e te potremmo benissimo essere adottate se non fosse che noi due e la mamma siamo praticamente dello gocce d’acqua.
“Oliver, invece, è tutto. Sia per me che per te. E mai lo tradiremmo”, sospiri guardando l’orologio. “Poi c’è la nostra più grande pecca: gli uomini”.
Nostra?
Cosa abbiamo in comune io e te?
“Ovviamente commetti degli sbagli… come l’insignificante lì fuori”.
“Vogliamo parlare di Dean?”, ti chiedo e vedo che abbozzi ad un sorriso.
Sai sorridere, Kim?
Probabilmente è il sonno che ti addolcisce.
“Okay, li commetto anch’io, ma questo non toglie che Joe Cooper sia un gran figo. E se Oliver sapesse che io ti ho detto così mi decapiterebbe”.
Conosci Cooper?
In quanti conosco Joseph Cooper in questo mondo?
L’eterna domanda.
“Cosa sei venuta a fare qui?”.
Alzi le spalle e sospiri stanca e un po’ infastidita. “Me l’ha chiesto Oliver. Sai che preferirei essere a casa mia che qui”.
Devi sempre puntualizzare quanto mi odi, Kim? Non perdi mai occasione, vero?
Non c’è mai una volta che mi sorridi e mi fai capire che ti aggrada passare del tempo con me.
“Starai qui fino a domani?”.
“Sì, Alexis”.
“E tu conosci Cooper?”.
“Era amico di Ollie… e abbiamo bei gusti ricordi?”.
Spalanco la bocca, probabilmente assumendo un’espressione da rincoglionita.
“Un po’ di eleganza, Alexis”, ti lamenti e chiudo la bocca, “Quand’è che sei andata a sistemarti i capelli l’ultima volta? Alla tua cresima?”.
Sbuffo spazientita. Non dico che devo andarci a genio da un momento all’altro, ma un po’ di delicatezza non ti farebbe male, Kim.
Miseria… non lo vedi? Siamo perennemente in conflitto, una contro l’altra da sempre, da quando sono nata. Ma perché?
Perché non possiamo avere un rapporto normale?
Per carità, non voglio sapere cosa stavi facendo quando tu e Dean siete stati scoperti dalla polizia, perché ‘atti osceni in luogo pubblico’ dice già molto, ma magari potremmo parlare, sai, come delle sorelle normali.
Non sempre sul piede di guerra, non sempre all’attacco, non sempre così diverse!
“Perché poi Joe Cooper si sia interessato a te, devo ancora capirlo”, spari fuori dai denti e vorrei prenderti per i capelli e iniziare ad urlare, ma non ne ho il coraggio perché non lo so neanch’io.
È la domanda che più mi frulla nella testa, che abbatte ogni volta le mie certezze e mi distrugge.
Se sei una cattiva persona? Probabilmente sì, ma non ora. Perché sento che la tua domanda non era per cattiveria, lo sento dal tuo tono e lo vedo dal tuo sguardo. È solo una costatazione dei fatti.
Hai semplicemente detto ad alta voce quello che io non sono mai riuscita a dire.
Perché lui dovrebbe volere me?
L’eterna domanda.
“A te piaceva”, dico e non è una domanda.
“A chi non piace?”, rispondi bevendo il caffè.
E anche quella è una bella domanda: a tutti piace Joseph Cooper.
“Non mi ha mai voluta. Neanche mi guardava”, dici con un mezzo sorriso in ricordo dei tuoi anni al college.
Mia sorella Kim che non veniva guardata?
Quand’era successo l’ultima volta? Quando avevi dodici anni, un sorriso metallico e le trecce?
Kim, tu sei sempre stata la figlia bella a casa, ma arrogante.
Sì, tu gli uomini li fai scappare, corrono via.
Non sei bella come Ali, ma hai quel qualcosa che attira tutti gli sguardi dei ragazzi di ogni età. Quel tuo portamento, i tuoi capelli sempre in ordine, il trucco perfetto e il fatto che quando cammini con tacco dodici sembra che tu sia più aggraziata di un angelo.
Ma Joseph Cooper non ti ha mai guardata?
E allora perché dovrebbe guardare me?
“Ho provato in tutti i modi a farmi guardare da lui, l’unico che non mi guardava. Mio dio… poi ha iniziato ad uscire con la mia compagna di stanza, Sienna”, alzi lo sguardo e diventi seria, “Sienna è malefica, Alexis. È subdola. Se scoprirà qualcosa ti rovinerà”.
Tu che definisci qualcuno ‘subdolo’?
“Cosa vorresti dire?”, te lo chiedo perché mi sto veramente spaventando.
“Il male voluto non è mai abbastanza. Ti sei messa contro qualcosa più grande di te… e poi fare l’amante, Alexis”, ecco il tuo tono infastidito e altezzoso tornare in prima linea.
Inizi a parlare e a parlare.
Essere un’amante è una cosa deplorevole, schifosa, quasi maschilista perché la donna si riduce ad un oggetto del piacere.
Sai che usi parole più grandi di te, Kim?
Sai quante notti ho passato in bianco sentendomi uno schifo e con la paura di essere usata?
No, non lo sai.
Perché a te non è mai interessato e mai ti interesserà.
Non ti sei neanche posta la domanda di cosa mi abbia spinta a fare tutto questo?
No. Intanto a te non interessa, vero?
Devi criticare, criticare e criticare.
Non sono la persona peggiore di questo mondo, anche perché le cose si fanno in due, soprattutto se si tratta di iniziare una relazione o no.
Lui mi ha baciata. Lui mi ha invitata fuori. Lui mi ha seguita e trovata. Lui si è presentato sotto casa.
Non che io sia una santa, ma non ho tutta la colpa.
Eppure me ne sto in silenzio. Perché ho già paura di rimanere con il cuore a pezzi.
Chi sceglierebbe me?
“Dopo che Ollie mi ha raccontato tutto, mi sono chiesta chi sceglierebbe mia sorella Alexis quando sta con Sienna”, ecco e lo dici, come se fosse un pensiero normale, come se la tua riflessione non alimentasse le mie paranoie.
“Nessuno”, aggiungi guardandomi negli occhi, “Tranne Joe”.
“Non ha scelto ancora un bel niente”, dico in un sussurro e mi guardi sfoderando mezzo sorriso come se tu già sapessi tutto ma te ne stai in perfetto silenzio per un lasso di tempo così lungo che sembra passata una vita quando inizi a parlare di nuovo.
“Samuel mi ha chiesto di sposarlo”.
“Devi dirgli di sì”, ti dico e anche tu capisci che è la risposta più logica.
“Non troverei nessun altro in grado di sopportarmi, vero?”.
“No. Decisamente no”.
“Fumi ancora, Alexis?”.
Oh oh.
Ti chiedo come fai a saperlo e tu sollevi le spalle, “Puzzavi come una ciminiera”.
“Dammi una sigaretta”, dici e inizi a fumare come se lo facessi da sempre.
Mi sa che tu nascondi più cose di quel che fai sembrare.
Ammettilo, Kim. Qui fra le due la figlia ‘tranquilla’ sono io.
Okay, ora magari non esagero visto che sono stata l’unica a distruggere la macchina nuova di papà e che non ha il coraggio di farsi vedere a fumare.
“Tu non vuoi sposare Samuel”, mi esce così perché lo intuisco dal tuo sguardo.
Samuel è una bella persona. Cioè, è uno stronzo ma lo sei anche tu.
Insieme siete una bella coppia, vi equilibrate.
Tu stronza, lui stronzo. Il gioco è fatto.
Semplice come bere un bicchiere d’acqua.
Dean invece, beh, lui e la sua moto hanno conciliato di sicuro lo schiarimento improvviso dei capelli di papà.
E quei tatuaggi sulle braccia, il piercing al sopracciglio o il fatto che diceva costantemente ‘bella lì’ ‘bella là’ ‘figo tu’ ed altre esclamazioni degne di un cavernicolo, beh, non sembrava proprio una scelta sicura per una come te, tutta composta e perfettina.
Samuel invece è normale.
Ha una macchina grigia, è una potenza al lavoro, proprio perché è un bastardo e non guarda in faccia nessuno.
Mentre Dean che lavoro faceva?
Oh, sì, la guardia giurata, vero?
Deve essere stato un figo in divisa con quei muscoli sulle braccia.
Oh mio dio.
Oh mio dio.
Prima quando ti ho parlato di Dean hai sorriso.
Hai sorriso.
E tu non sorridi.
Neanche quando parliamo di Samuel.
E poi… il discorso abbiamo gli stessi gusti in fatto di uomini.
Abbiamo la tendenza a sceglierci gli uomini sbagliati! Impegnati o pazzi che siano!
Oddio, Kim!
Papà muore definitivamente se viene a scoprire tutto questo. Mamma inizierà ad urlare con un tono troppo alto per essere anche lontanamente udibile dalle nostre orecchie e Oliver, beh, penso che vorrà da me la mia mazza da baseball per uccidere qualcuno.
Tu sei qui perché capisci.
Tu sei qui perché in fondo sei sbagliata come me.
Tu tutta perfetta e truccata, con i capelli perennemente in ordine, sbagli.
Non conta che io sia pura confusione dentro e fuori, che indossi un pigiama sgualcito e i capelli raccolti in qualche maniera.
Non conta se tu hai il rossetto alle tre del mattino.
Non conta chi sei. Tutti sbagliano.
Compresa te.
Perché, dai, Samuel sarebbe il marito perfetto per te.
Io lo getterei sotto ad un autobus impazzito e gli farei fare anche retro per essere sicura che sia morto.
Ma per te è perfetto.
Da quanto state insieme? Quattro anni?
E convivete, avrete parlato dei vostri stronzi-figli-perfetti e di come non vorresti mai che assomigliassero a me, tua sorella. Lui avrà detto che frequenteranno solo scuole private, perché dovranno distinguersi dalla massa. Avrete già pensato ai loro nomi discutendo se Dixon e Stephanie sono nomi da avvocato o da dottore.
Ma tu sei impazzita, per chi, per Dean?
“L’ho visto fuori dal lavoro”.
Diciamo che lui ti ha scritto e che gli sei corsa contro.
“Sam è noioso, Alexis”.
“Ma è più serio, è più sicuro…”, non sapevo neanche come spiegarmi.
Io e te non abbiamo mai parlato di questo!
“Vuoi dirmi che Joe Cooper non è un terno al lotto?”.
Mmm.
Mmm.
Ma perché lo chiamate tutti Joe adesso?
Sa da ragazzino. Lui è Joseph Cooper per chi lo conosce e il signor Cooper per tutti gli altri.
Ma ora non stiamo più parlando di me.
Stiamo parlando di te Kim.
Non hai la tua amica-stronza con cui parlare? Quella con cui sparlavi di me davanti a me? Come si chiamava? Elsa? No, Elsa è un nome figo per quella stronza.
Sa tanto da Crudelia.
Qualcosa così.
Ma Crudelia parla male anche di te. È una di quelle persone che parla male di tutti per far sembrare la sua vita migliore, vero?
Sì. D’altronde l’ho chiamata Crudelia non per niente, quella del cartone voleva scuoiare dei cuccioli. 101 per la precisione: una carneficina.
“Scusami ma quand’è l’ultima volta che hai pulito?”, mi domandi guardando il bordo del bancone.
Ti sbuffo in faccia perché in realtà l’avevo pulito in un momento in follia post Joseph Cooper.
Ognuno ha la sua follia nel momento dell’ansia, c’è chi mangia, chi diventa assassino di acari, chi una ciminiera, chi narcolettico, chi invece inizia a ridere istericamente o a piangere.
O chi come me che le ha tutte.
Rido istericamente fra le lacrime mentre una mia mano regge l’aspirapolvere e l’altra la fonte della mia cellulite.
“Quand’è che hai iniziato a fumare?”, ti chiedo e tu accenni ad un sorriso.
Un altro?
Due sorrisi in una sera?
Quand’è stata l’ultima volta che ti ho vista così?
Semplice: mai.
“È fidanzato”, spari così.
“La sfiga è di famiglia”, dico e inizio a ridere divertita.
Perché dai, la sfiga è più stronza di mia sorella!
Anche lei?
“Una bella merda”, aggiungo e mi guardi sconvolta.
Sto aspettando la ramanzina ma scuoti la testa sorridendo. “Una bella merda, Alexis, proprio una bella merda”.
 
Dean Miller.
Trentadue anni.
Guardia giurata.
“Ha ancora la moto?”.
“Sì”.
Motociclista.
Tatuato.
“A quanti tatuaggi è arrivato?”.
Numero di tatuaggi incognito.
“Ricordati di contarli”.
Fidanzata sconosciuta.
“È bionda?”.
“Sì”.
“Noi odiamo le bionde”, ti dico.
Evviva le more e le rosse.
 
Joseph Cooper.
Trent’anni giusti giusti.
Consulente finanziario.
Scarpe laccate.
“L’unico tatuaggio che possa avere uno come lui è…”.
“Sai quello di Oliver?”, mi chiedi, “La spada? L’hanno fatto insieme”.
UNA SPADA?
Ma stiamo scherzando?
Sì. Stiamo decisamente scherzando.
E dove poi?
Beh, è meglio non sapere ogni cosa.
Ha una ragazza, Sienna, bionda e professoressa. Ottimo curriculum, ottimo viso, ottima reputazione da stronza.
“Noi odiamo le bionde”, dici sorridendo ancora.
Dean Miller ti ha cambiato, Kim!
 
L’eterna domanda.
Bene, abbiamo stilato la lista dei nostri due uomini-non-ancora-nostri.
“Uno bello schifo”, dico sospirando.
“Già”.
Siamo nella situazione per la prima volta, cara sorella, e per la prima volta mi sento così vicina a te.
“Non sei male”, mi dici guardandomi negli occhi, “Sei strana e mi fissi in continuazione con gli occhi sbarrati, ma non sei male”.
Fisso con gli occhi sbarrati?
Ma… oddio, io fisso tutti.
“Che ore sono?”.
“Quasi le cinque”.
Quasi le cinque e non mi ha chiamata.
Significa che dorme ancora a casa sua con lei. Magari nello stesso letto, magari hanno fatto l’amore.
Mi vedi che sono triste e ripeti che tutto è un bello schifo e non posso fare altro che darti ragione.
Joseph Cooper non mi ha chiamata e questo implica che non le abbia detto niente. Lui ha scelto e non ha scelto me.
“Sai che fra circa tre ore devo essere in ufficio?”.
“E io a lezione”.
Un bello schifo.
Ma non faccio in tempo a pensarlo perché il campanello suona e io ci guardiamo negli occhi. Chi può essere alle cinque del mattino a suonare al mio campanello?
Ali ubriaca marcia.
Ali triste e depressa.
Ali in lacrime.
Joseph Cooper.
Ed eccoti lì, Joseph Cooper, ti vedo dalla telecamera del citofono. Da quando sei così cupo?
“Sono io. Posso salire?”.
L’eterna domanda.
E lo chiedi?
Kim si alza e mi guarda.
“Io e te avremmo un pessimo gusto in uomini, ma loro hanno un ottimo gusto in donne”.
Sono un ottimo gusto?
In fondo sono l’ortica, sono quella sbagliata, sono quella con le converse. Sono tante cose ma non penso di essere un ottimo gusto.
Insomma… sono io no?
Sono una persona normale, un po’ problematica ma normale.
Kim è Kim e per quanto io non l’abbia sopportata, per quanto sia fredda, anche lei ha qualcosa: è bella, elegante e sa cosa vuole.
Sì, lo so. Dean o Samuel. L’eterno domanda: bene o il male, l’angelo o il diavolo, routine o avventura.
Vuoi essere sicura di avere una vita normale o vuoi l’incertezza di una vita di avventure?
L’eterna domanda.
Sempre quella che segue anche me: un ragazzo della mia età, discorsi di università o lavoro, lacca su capelli di seta, converse rovinate e risvoltini alti oppure scarpe laccate, trentenne, ex fidanzata e il rischio di sembrare un’avventura.
Certo, con Joseph Cooper potrei sembrare l’avventura di un momento di crisi, ma con Billy? Una ventenne stupida, la solita appartenente alla generazione che si basa sull’aspetto fisico, sulle chat e le mode.
In fondo dobbiamo capire chi siamo, o sbaglio Kim?
Cosa vogliamo noi?
Una sicurezza o un’avventura?
L’eterno discorso.
Magari fosse come in quei telefilm dove tutto si semplifica da sé. Dove ci sono i Team Billy e i Team Joseph Cooper.
Sarebbero altri a dirti i pro e i contro.
Io non sarei in grado di iniziare neanche una lista.
Insomma… sono le cinque del mattino!
Ed eccolo che arriva.
Signor Cooper fai gli scalini a due a due? Con delle scarpe sportive e un borsone sulla spalla.
Aspetta. Un borsone sulla spalla?
Tu mi guardi e io ti guardo.
Cosa devo dirti?
Devo essere felice o triste?
Devo saltarti al collo o chiederti spiegazioni?
Per fortuna – probabilmente sarà la prima e ultima volta che lo penserò – ci sei tu Kim.
“Joe Cooper”, lo saluti sorridendo e lui stacca gli occhi da me un attimo, giusto per la sua educazione esagerata. “Oliver ti ucciderà”.
Ed ecco che guardi me di nuovo.
Non noti il mio pigiama leopardato?
La maglietta stropicciata?
Non noti che sono sbagliata?
No. Tu mi vedi.
Mi hai sempre vista, vero?
“Lo so”, dici semplicemente alzando le spalle e queste parole insieme a quel borsone assumono sempre più significato.
Sei qui per stare con me?
“Molto bene”, Kim si avvicina all’ascensore, “Ti mando il numero dell’agenzia di pulizie che viene a casa mia, Alexis, così magari sistemano un po’”, e te ne vai.
Devi fare la dura, eh?
In fondo ti voglio bene.
Ma adesso Joseph Cooper mi sta guardando e sinceramente non vedo altro che lui.
“Me ne sono andato”.
“Hai scelto”.
“Sì. Te”.
Buona scelta.
“Vuoi entrare?”.
E ti blocchi.
Che c’è?
Perché tutto diventa così difficile?
Parlare con Kim è così dannatamente facile, signor Cooper. E si tratta di Kim!
Invece con te è un’impresa. Ogni parola deve essere misurata perché ha sempre così tanti significati che mi spaventano.
“Dormo da un mio amico. Non voglio… non voglio essere invadente o andare troppo di fretta, Alexis”.
Oh, signor Cooper, sei così incredibilmente indescrivibile.
Sei tenero e deciso, sei sicuro e insicuro. Sei tutto.
Ti sorrido e tu ti illumini.
Nessuno si è mai illuminato così.
“Tranquillo, ho gli ormoni sotto controllo. Puoi entrare”, ti dico e mi sorridi anche tu.
L’eterna storia.
Probabilmente questa volta sceglierò l’avventura.
E poi chi se ne frega di quello che penseranno gli altri, basta che siamo io e te, no?






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Ecco il capitolo più lungo che abbia mai scritto su questa storia...
So che in molte di voi mi odieranno perché Joseph Cooper appare sono alla fine incredibilmente attesa! Non me ne vogliate!
Ho presentato il personaggio di Kim, la sorella di Alexis, un po' st***za ma pur sempre una persona come tante che si trova davanti ad una scelta difficile. 
Il bene o il male?
La guardia giurata tatuata e con la moto o il ragazzo perfetto, con un lavoro sicuro ma tremendamente noioso?
Appunto per questo abbiamo l'ETERNA DOMANDA!
E voi? 
Voi cosa mi dite a riguardo?

Colgo l'occasione per ringraziare:
  • chi recensisce sempre
  • chi recensisce qualche volta ma sempre incredibilmente gradita
  • chi ha aggiunta la storia tra le preferite
  • chi ha aggiunto la storia tra le seguite
  • chi ha iniziato a leggere Quando l'amore ha dieci anni in più da poco e chi la legge da sempre
​Grazie di cuore a tutte voi, e mi raccomando, fatemi sapere la vostra.... il bene o il male?

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Capitolo 16
*** Altri mille. ***


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 Altri mille.





Altri mille.
“Finisco per le sei stasera”, mi dici trattenendo un sorriso.
Sei felice?
Io sì.
Tant’è che io il sorriso non riesco a trattenerlo. Sapere che tu dopo sarai qui, che stasera ti rivedrò migliora già la mia giornata. E chi se ne frega se non ho dormito neanche mezz’ora, chi se ne frega se avrò l’aspetto peggiore di sempre, anche peggio della prima volta che ti ho mandato a fanculo.
Stasera ti rivedrò.
E so che non è solo una promessa, è la verità.
“Ci troviamo qui?”.
“Sì”, sussurri improvvisamente in imbarazzo.
Ci siamo già baciati e strusciati, ma ora è diverso. Totalmente e completamente diverso.
Perché ho una conferma che ci sarai, che un bacio è veramente qualcosa e che…
Mio Dio! Sembro una dodicenne arrapata! Ho vent’anni e ancora parlo di baci, sentimenti, batti cuore e bla bla bla?
Oh, signor Cooper, che cosa mi hai fatto?
Mi hai decisamente stregata, te e le tue scarpe laccate.
“A stasera”, ti dico e tu esci.
Certo, magari un bacino piccolo piccolo sulla fronte almeno potevi darmelo, ma andiamo con calma come vuoi tu.
Se fosse per me ora saremmo in un’altra situazione, ma devo ricordarmi di tenere gli ormoni tranquilli.
Allora, Lex, una cosa alla volte, come questa notte.
Per la faccia che mi ritrovo dopo tutto quello che è successo servirebbe un vero e proprio restauro, di quelli massicci, come quelli che fanno alle basiliche.
Ma chi se ne frega!
Chi devo vedere? Randy? Ali?
Chi?
Sì, molto probabilmente vedrò Randy visto che frequenta economia con me e prima o poi dovrò anche scusarmi visto cosa è successo quella volta che siamo usciti.
E Ali.
Sì, Ali, deve sapere qualcosa?
No, ancora no. È presto.
E poi Ali inizierebbe la storia infinita che è vecchio, che non abbiamo nulla in comune e che devo andare sul sicuro.
Sul sicuro?
Cos’è sicuro?
Billy? Billy l’eterno indeciso che si presenta a casa mia in piena notte e che decide di dichiararsi dopo avermi lasciata?
Ali stessa che è mia amica da una vita e che non approva le mie scelte?
Kim che da perfetta stronza è diventata improvvisamente una persona sopportabile, anzi, quasi piacevole?
O lo stesso Joseph Cooper che ha scelto di non essere sicuro?
O io che sono qui a crogiolarmi?
Ed ecco Randy che mi guarda per un secondo e poi abbassa lo sguardo.
Sono una persona così orribile?
Mi avvicino ma non mi guardi. Non ti avevo promesso niente, non ti avevo detto nulla, era stata solo un’uscita, e sì ho sbagliato, perché un po’ ti ho usato e tu sei sempre stato buono e gentile con me. Nonostante tu sia un rugbista con metà facoltà femminile che ti sbava dietro, sei mio amico, quello della ragazza strana che se ne sta sempre in ultima fila, quella che fissa con gli occhi sbarrati come dice Kim.
Sono quella strana. Sono l’ortica e sono quella sbagliata eppure tu mi sei amico.
E mi dispiace, davvero.
Te lo dico e mi guardi per un attimo.
So che di certe cose non abbiamo mai parlato. So che non ti ho mai detto quanto io mi reputi sbagliata e di quanto sia contenta che tu, nonostante possa, non mi hai mai snobbata.
Sono contenta di essere tua amica.
“Sei meno peggio di quel che credi”, mi dici serio, “Ma con Billy eri caduta in basso”, aggiungi facendomi ridere e a quel punto ti racconto della sera precedete, della sua dichiarazione d’amore e tu scoppi a ridere.
Siamo amici, vero?
Tutto come prima?
“Comunque la prossima volta dimmelo che hai un altro per la testa”, aggiungi sottovoce quando l’insegnante inizia a parlare, “Che nel caso ci penso io a lui”.
Oh, Joseph Cooper, quante persone pronte a farti del male se tu ne farai a me.
 
“Sei qui allora”, ti dico e quasi mi stupisco della mia affermazione perché tu sei veramente qui e la cosa mi fa impazzire.
Mi aspettavo uno sguardo sorpreso di fronte alla stupidità delle mie parole, ma tu sorridi guardandomi negli occhi, “Sono qui”.
Sei qui e per me.
E vorrei sentirmelo dire almeno altre mille volte.
“L’hai lasciata?”.
“Sì”, ed ecco apparire tutte le rughe, “Sinceramente era da tanto che volevo farlo ma non trovavo mai il pretesto, quel fatto che mi spingesse a lasciarla definitivamente”.
Ancora prima che io mi interroghi su cosa significhi esattamente ‘pretesto per’, mi anticipi.
“Tu non sei solo un pretesto, capiscimi”.
Quanto mi conosci, Joe Cooper?
“Ho capito”.
Per una volta me ne sto tranquilla.
Tu sei qui e guardi me.
Non guardi lei.
Non guardi nessun’altra.
Solo me.
“Di cosa avete parlato te e Kim?”, mi chiedi.
Delle tre cose che abbiamo in comune tra cui gli uomini impegnati.
Ma divago, “Cose tra sorelle”.
Lo vedo nei tuoi occhi che non ci credi. Probabilmente non sapevi neanche che Kim fosse mia sorella visto che nessuna delle due ti avrà parlato dell’altra.
 
“Stai con lui? Quello che era a casa tua?”.
Sto?
Vorrei saperlo e vorrei darti una risposta.
“Si al 75%”.
Scoppi a ridere ricevendo un’occhiataccia dalla ragazza al tuo fianco. “Cosa vuol dire?”.
Rido con te perché effettivamente non si è mai sentita una risposta del genere.
“Che non stiamo insieme del tutto, ma che c’è qualcosa, ma che allo stesso tempo non è fondata e… è un casino”.
“Te la complichi troppo, Lex”.
 
Okay.
I silenzi dovrebbero essere imbarazzanti perché lo sono.
Ma non questo. Non questo perché tu mi stai guardando come Romeo guardava Giulietta su quel balcone, come Mr Darcy con Elizabeth Bennet, come Homer e Marge.
Mi guardi come se non vedessi altro.
Come se non vedessi i miei capelli raccolti in qualche maniera, non come nei film che anche quando vogliono sembrare spettinate in realtà l’effetto è tutto il contrario.
E il pigiama sgualcito e stropicciato non lo vedi?
Non vedi che ho ancora del trucco sotto l’occhio?
No.
Non le vedi queste cose.
Perché mi guardi e chissà cosa ti immagini, mi guardi e sogni come faccio io con te?
Perché ti giuro che se io potessi guardarti, ti guarderei mille e mille volte.
 
“Non la complico. È complicata”.
“Quindi niente aperitivo?”.
Ha detto che avrebbe finito alle sei stasera, ma sarebbe arrivato subito da me? O andrà dal suo amico?
Vedi, Randy, è tutto così complicato. Vorrei sapere dov’è ora, ma non è così facile, non è mai così facile, così poco complicato.
Sì, con Billy sarebbe stata tutta un’altra storia, ma lo avrei aspettato tutta notte sveglia? Billy avrebbe mai portato me e Kim a parlare quasi pacificamente?
No.
Joseph Cooper sì.
Altri mille.
Joseph Cooper vale mille Billy, vale un’immensità.
“Passo per questa volta”.
Non guardarmi male, Randy. Lo so che sono io quella che urla ai quattro venti che l’aperitivo è obbligatorio e che non si salta mai.
Lo so.
E mi dispiace.
Non mi riconosci più?
Non mi riconosco anch’io.
 
“Tutti i tuoi vestiti sono dentro quella borsa?”, te lo chiedo perché non puoi dirmi che hai gettato le tue scarpe laccate in quel borsone da palestra.
Oh, ma vai in palestra? Tu?
O lei?
“Sono andato via di fretta, passerò a prendermi il resto”.
Bene. Vi vedrete ancora.
Ma tu hai scelto me, no?
Dovrei essere sicura per una volta nella mia vita, o sbaglio?
“Fumi in casa?!”, mi chiedi di getto per poi scuotere la testa.
“Giuro di aver visto Kim prendere l’ascensore, ma a quanto pare si è impossessata di te”, ti dico e scoppi a ridere di gusto, e le rughe attorno agli occhi spariscono ancora.
Sei bello Joe Cooper.
Sei bello perché non sei mai costante, sei in continua evoluzione, una continua scoperta ogni secondo più bella.
Tu non sei uno, sei mille Joseph Cooper diversi tra loro.
“Me ne passi una?”.
Ho sempre saputo che eri un fumatore, ti si vede da come guardi le mie sigarette.
“Il fumo fa male”, ti dico e mi guardi sorridendo.
Mia nonna ti chiamerebbe ‘mascalzone’ per la tua espressione.
“Anche l’alcool”.
“A volte risana”, ti dico e ti allungo la sigaretta.
 
“Lo conoscerò mai questo ragazzo?”.
Alla parola ragazzo quasi mi strozzo con l’acqua.
Joseph Cooper non è un ragazzo.
Forse neanche propriamente un uomo visto quel sorriso quasi innocente che fa, o l’espressione sorpresa di fronte ai miei atteggiamenti, o quando si concentra e stringe le sopracciglia una verso l’altra, facendo quasi il broncio.
Non è un uomo né un ragazzo.
Joseph Cooper è Joseph Cooper.
“Siamo ancora al 75%, Randy, è ancora troppo presto”.
 
“Cosa le hai detto?”, ti chiedo sapendo di avventurarmi in un territorio ostile.
Ma devo saperlo.
Devo sapere come l’hai lasciata.
Devo sapere se mi vuoi sul serio.
“Che tra di noi è finita e che non me la sento di andare avanti. Non ho parlato di te, Alexis, perché era già una cosa che mi passava per la testa. E poi io e te siamo completamente slegati da questo”.
Forse non ti capisco o forse ti capisco troppo bene.
Forse ho due belle fette di salame davanti agli occhi, tappi nelle orecchie e fieno nella testa per capire la verità o quello che mi nascondi.
Ma io capisco che tu non la volevi, che l’avresti lasciata comunque, che io sono arrivata ma già non la amavi. Che anche se lei non ci fosse stata mi avresti voluta.
Forse sono comunque una crisi di mezza età anticipata di almeno vent’anni, ma l’avresti lasciata comunque.
“Poi bisognerà vedere se farai la brava”, aggiungi con mezzo sorriso.
La brava?
 
“È lui?”.
“Chi?”.
“Quello che ti sta guardando. È lui il ragazzo?”.
Rimango sempre più stupita di come tu, Randy, un ragazzo intelligente, riesca a pensare che quel ragazzo, futuro candidato a Mr College, guardi me.
“Sta guardando quella al mio fianco”, sussurro indicando la ragazza con la coda, che ti metti a fissare e la saluti dopo un secondo.
“Fissava lei. Quello non è il genere di ragazzo che ti guarderebbe”.
“Vado forte fra gli over sessanta”, ti dico ma rimani serio.
Conosci il significato di una battuta?
Ridere!
E invece niente.
No, dico davvero, vuoi uomini continuate a fare battute sul fatto che non basterebbe un’enciclopedia per capirci, ma voi vi rendete conto di quanto potete essere complicati?
Incredibilmente e maledettamente complicati.
D’altronde siete figli delle donne, no?
 
“La brava?”, tu ridi e io con te.
Continueremo a ridere all’infinito?
Io sì finché lo farai anche tu.
“Sì la brava”.
“Oh, al massimo che posso fare è non passare un esame, signor Cooper. Tu invece puoi far perdere milioni ad un tuo cliente mandandolo in bancarotta. Chi deve fare il bravo?”.
So che senti la sfida nella mia voce.
So che adesso inizia il gioco, e forse tu non lo sai, ma sono tremendamente competitiva.
“Vuoi paragonare la delusione della tua famiglia ai soldi, Alexis?”, mi chiedi con quel sorriso da mascalzone.
“Non usare parole più grandi di te, Cooper. E poi ti ricordo che prima di me hanno avuto Kim l’emblema della perfezione scolastica. I miei lo sanno che ho altre qualità”.
“E quali qualità?”.
Te l’ho servita su un piatto d’argento, eh?
Maledetta me e maledetto il tuo sguardo incollato al mio. Sei sempre stato così?
 
“Te la ricordi Sally Bruce?”.
Come potrei non ricordarmi di Sally Bruce?
Da quanto non ci parlavamo? Un anno? Di più?
Dopo qualche mese di convivenza se ne era andata.
Anzi, l’avevo fatta scappare a detta sua.
Ero troppo innocente, smemorata, svampita per i suoi alti ideali di perfezione.
“Mi ha chiesto di te”.
Eccolo il punto dolente, la questione da un milione di dollari.
Sally Bruce ha chiesto di me.
“Si è abbassata fino a questo punto?”.
“Voleva sapere se stavi ancora con Billy”.
“Che novità, ci ha provato in tutte le maniere”.
Sally e Billy.
Se avessi dei cani li chiamerei così.
“Per fortuna te ne sei liberata velocemente”.
“Di Sally Bruce non te ne libererai mai. Metterà parola in ogni cosa qualunque cosa sia. Sarebbe in grado di descriverti come un manipolatore doppiogiochista anche se andassi a raccogliere la spazzatura insieme ai carcerati”.
E ridi di nuovo.
 
Ecco.
Quali qualità posso avere?
“L’ordine e la pulizia a detta di Kim. Sono una cantante provetta per Oliver. Una risparmiatrice per mio padre e una salutista per mia madre”.
Mai dalla mia bocca sono uscite parole più stupide di queste.
Io ero tutta il contrario.
Caos e polvere erano presenti sia nella mia testa sia nel mio appartamento. Le note non le seguo ma le invento. Ho le mani bucate quando si tratta di borse e scarpe, come ogni buona ragazza che si rispetti, e odio tutto ciò di commestibile che abbia il colore verde, nonché la maggioranza della verdura.
E tu lo sai, perché ti guardi attorno e capisci.
“Oh, e non fumo e non bevo. La ragazza perfetta”.
“Che strano, pensavo che Alexis, la mia Alexis fumasse, bevesse e che odiasse l’ordine…”.
No non ti sto più ascoltando, perché hai detto una cosa.
Hai detto ‘la mia Alexis’.
Hai detto così vero?
Perché se l’hai detto ora svengo.
Cioè, è ovvio che non posso svenire per la troppa caffeina in corpo, al massimo posso andare in iper-ventilazione.
Cosa che sto facendo.
Ma come ti permetti di parlarmi così? Cioè… come puoi dire una cosa del genere e andare avanti e avanti a parlare come se niente fosse.
 
“Se Sally attacca è meglio se chiami Ali”.
“Sì, non vorrei mai che ti denunciasse. Hai ancora tempo per finire in galera”.
“Questa è cattiveria, Lex!”.
“Questa è la verità, Ran”.
“Odio questo nome”.
Ma dai. Indovina chi ha inventato questo nome?
 
“E tu, Cooper, che pregi hai?”.
Mi sorridi e io mi sciolgo.
“Ho l’incredibile capacità di convincere una ragazza a chiamarmi per nome”.
Ma stai parlando di me, signor Cooper?
“Finché dici alla sua migliore amica di chiamarti per nome ancora prima di dirlo a lei, ha tutto il diritto di continuare come era abituata”.
Ci stai pensando?
 “Stai parlando di..?”
Sul serio!?
“Ali. Si chiama Ali ed è impossibile non ricordarsela”.
Mi prendi in giro proprio davanti ai miei occhi, Cooper?
“Ali la stragnocca... quella al bar con me”.
“Oh, sì, la tua amica”.
Ali non è mai stata l’amica di Lex. Io ero sempre l’amica di Ali.
Insomma, come si fa a non notarla?
I suoi occhi, i capelli, lo sguardo, i suoi modi di fare: tutto ciò che fa Ali attira l’attenzione degli uomini.
Io sono quella che nessuno nota, io sono quella di cui nessuno si ricorda, io…
“Non pensavo ci fosse bisogno di dirti di chiamarmi per nome”.
Non lo sai che con me non si deve dare mai, assolutamente mai, nulla per scontato?
“Pensavo fosse chiaro”.
“No, signor Cooper”.
Cosa c’è di chiaro in me?
Non vedi che sono quasi insana? Che penso, penso e continuo a pensare senza mai combinar nulla?
Sono così.
Sarò sbagliata quasi sicuramente, ma sono così.
 
Quanto è durata questa giornata esattamente?
Dodicimila ora?
In realtà sempre nove.
Sei di lezione, una di fretta in mensa e poi in biblioteca, l’unico luogo dove si possa realmente studiare. Unico luogo dove sia riuscita a zittire i miei pensieri e tutte le paranoie?
La biblioteca dovrebbe diventare il mio santuario.
Decisamente.
Se poi riuscissi ad unire un po’ di alcol ai libri la cosa diventerebbe super sonica.
Anzi, dovrei proprio proporla a qualcuno.
Ma comunque il problema maggiore resta.
Perché la mia testa è sempre lì. Posso zittire tutto per un paio di ore ma non quando prendo l’autobus.
Ecco quello dovrebbero abolirlo per chi come me ha un Joseph Cooper che entra con forza nella tua vita ed amplifica tutte le tue paranoie.
Ti penso e ti vedo davanti a me. Un attimo prima con quelle rughe attorno agli occhi, lo sguardo stanco, e i capelli scompigliati per essere stato sveglio tutta notte.
Poi ti vedo ridere, Joe Cooper, come un ragazzino e sembri quasi più giovane, un ventenne allegro del college.
Sei un fenomeno in costante mutamento, sei qualcosa che non mi stancherà mai.
 
Tu non hai guardato Ali?
Non mentirmi, non oggi, per favore.
Quando te lo dico tu mi guardi con questa forza che mi tiene ferma dove sono.
Come fanno due occhi a bloccarti dove sei facendoti dimenticare anche di respirare?
Beh, sono gli occhi che più amo in questo momento. E sì, l’ho detto.
Li amo perché sono i tuoi, e tu mi sei entrato dentro il cuore come non ha fatto mai nessuno.
Se tu mi volessi anche solo la metà di quanto ti voglia io, sarei la persona più felice di questo pianeta.
“Sì, l’ho guardata…”.
Ecco. Lo sapevo.
Tutti guardano Ali.
Chiunque guarda Ali.
“… ma è solo bella ed essere bella non è abbastanza…”.
Essere bella non è abbastanza?
Ma cosa stai dicendo, Cooper?
Essere bella è tutto. Dimmi, dimmi qualcosa che essere bella non ti porta ad avere!
“… non è abbastanza se in fianco ci sei tu…”.
Scoppio a ridere perché questa è la cosa più stupida che abbia mai sentito.
È decisamente la cosa più stupida che abbia mai sentito.
Dai, dove hai letto queste frasi?
Baci Perugina?
“Non ridere!”, alzi la voce e mi guardi tutto incazzato, “Io… io ti sto dicendo che…”.
Non riesci a parlare, Cooper?
Cosa ho detto?
Mio dio. Ti stavi aprendo e io ho usato la mazza da baseball per chiuderti la bocca.
Tu sei qui per me e io ho distrutto tutto ancora.
 
Non dico che tu mi capisca, non lo penso assolutamente perché neanch’io mi capisco.
Sono un puzzle di quelli dove non c’è il disegno guida, dove mancano i pezzi e che mandi a fanculo dopo due minuti.
Invece sei rimasto con me e so che non sarà facile, che dovrò lottare con tutte le mie forze per ricordarti ogni secondo perché mi hai voluta anche se io stessa non mi sceglierei mai.
Sarà un lavoro da parte di entrambi.
Una storia d’amore che assomiglia ad un lavoro?
Quasi rido perché questo non si è mai sentito.
Ma d’altronde non si è neanche mai sentito che uno come te abbia scelto una come me anche solo per mezzo secondo.
 
“Scusa è che Ali… tutti guardano lei, Cooper, tutti e io…”.
“Non né capiscono un cazzo”.
E te ne esci così, scusa ancora ma non riesco a non sorridere.
Tu, tutto elegante, te ne esci con una parolaccia che poco ti si addice, dico davvero.
Non sei un tipo da parolacce.
Io sono un tipo da parolacce e gestacci, come si è visto, ma non tu.
E poi cos’è questo tono, signor Cooper? Questo tono così seccato ed infastidito?
“Non dire parolacce”, ti dico sorridendo e mi guardi male.
Che hai?
“Non sei meno di lei. In niente”.
Come fai a dire queste cose? Come fai a dire esattamente la cosa che era da una vita che volevo sentirmi dire?
Io sono come Ali?
Non in bellezza e non in intelligenza. E di certo neanche in eleganza, femminilità, carisma e… io non sono come Ali, Cooper!
Ma capisco.
Capisco perché lo dici.
Abbiamo la testa piena di fieno entrambi.
E probabilmente lo stomaco pieno di farfalle, anche se le mie sono diventate degli albatros da quanto sono grandi.
Tu dici così perché mi vedi come io vedo te.
Le cose che dici non hanno senso per tutti, tranne che per noi.
Anche tu sei molto più di Billy, di Randy e di Liam e di tutti quelli che ho conosciuto.
Sei più di tutti.
Billy avrà pur un bellissimo viso, Randy vanta i muscoli che tutte noi donne sogniamo da Baywatch. Ma tu, signor Cooper, tu sei di più.
Tu sei di più di un bel viso o di un bel fisico.
Tu mi fai sentire viva come non mai, mi fai sentire desiderata, sicura e migliore di quello che in realtà sono.
“Vado a farmi una doccia”, ti dico e il tuo sguardo cambia per l’ennesima volta.
Cos’è? Desiderio?
“Tieni a bada la tua lussuria, Cooper”.
“Riuscirai mai a chiamarmi per nome?”.
Alzo le spalle e sorridi perché sai che non ha importanza come ti chiamo. Puoi essere il signor Cooper, Cooper, Joe o Joseph, puoi avere qualsiasi nome perché ciò che importa è che io chiami te e che tu chiami me.
E io voglio chiamarti per molto tempo, perché Joe Cooper mi piace come nome, ma ancora di più se affianco c’è il mio.
 
Ti sto aspettando come aspettavo le vacanze estive, con un’ansia che sale ogni secondo di più.
Mi agiti anche quando non ci sei, che bel casino che hai combinato, Cooper.
Proprio un bel casino.
E quando sento il campanello suonare vado subito alla porta, ancora senza guardare dallo spioncino e non ti trovo davanti a me, ma ritrovo Mr volto-da-principe-nome-da-cane.
“Si può sapere chi cazzo ti apre il cancello?!”,urlo perché ormai sono stanca.
Dai, non è possibile.
Sono perseguitata!
“Volevo scusarmi”, dici in un sussurro.
“Sei perdonato. Ora puoi andartene”.
Spero che la cosa si accorci e tu te ne vada ma invece niente. Rimani qui a guardarmi con la speranza negli occhi.
Speranza di cosa?
Di essere ucciso in un colpo solo?
Senza dolore?
Ti sbagli, caro Billy. Molti colpi e molto dolorosi.
“Quindi potremmo anche uscire… sai per parlare un po’”.
Ancora? Insisti all’infinito?
“Sei ridicolo. Va’ via”.
“Lex mi manchi e ho sbagliato”.
Avrò pur un custode-bastardo ma l’ascensore a quanto pare è mio amico, perché proprio in quel momento appare Joseph Cooper in jeans e maglioncino con un sorriso che però scompare appena vede Billy.
“Te la fai con lui?!”, mi chiedi vedendo come Cooper si sia bloccato alla tua vista.
Vorrei risponderti che mi piacerebbe farmela con lui ma opto per la calma rabbiosa.
“Non ti voglio più. Non c’è nessuna seconda possibilità. Chiaro?”.
Tu non mi ascolti perché non l’hai mai fatto.
“Te la fai con lui? Avrà trent’anni!”.
Ed ecco la versione di un Joseph Cooper che non avevo mai conosciuto che si mette davanti a Billy diventando quasi maestoso e gli chiudi la porta in faccia, scatenando le sue urla sul pianerottolo.
Siamo a pochi centimetri di distanza e non sento altro che le mie orecchie fischiare.
“Ciao”, ti dico.
“Ciao”, mi dici e ci guardiamo per un altro po’.
Altri mille di questi saluti, altri mille di questi sguardi non mi basterebbero.
Da quanto ha smesso di urlare Billy?
Boh, non mi interessa.
Ora ci sei tu qui che mi guardi.
“Come è andata la tua giornata?”.
Dovresti saperlo visto che eri perennemente nella mia testa.
“Tutto bene”.
“Stai bene vestita così”, mi dici e avvampo come una ragazzina.
Ma come fai? Come fai a farmi arrossire così?
Ti guardo e vorrei baciarti perché non aspetto altra da settimane.
E allora lo faccio: ti bacio, o meglio, di salto addosso e non sembra affatto dispiacerti perché ricambi con forza.
Oh, Joseph Cooper, altri mille di questi baci sarebbero pochi.





_____________________________________________________________________________

Buonasera a tutte quante, 
sono tornata qui e a tempo di record.
Dopo aver ricevuto recensioni molto positive sul personaggio di Kim - che a quanto pare è piaciuto molto - volevo concentrarmi su altri personaggi. 
Tra cui: Joseph Cooper, Randy e Billy, per non dimenticare Sally Bruce.

Colgo l'occasione per ringraziare:
  • chi recensisce sempre
  • chi recensisce qualche volta
  • le lettrici silenzione
  • chi ha iniziato a leggere la storia da poco
  • chi la legge da sempre
  • chi l'ha aggiunta tra le preferite
  • chi l'ha aggiunta tra le seguite
  • chi l'ha aggiunta tra le ricordate

Grazie di cuore a tutte voi, e mi raccomando fatemi sapere la vostra... chi di voi vorrebbe altri mille momenti con Joe Cooper?
 

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Capitolo 17
*** Signorina cameriera. ***


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 Signorina cameriera.





Signorina cameriera.
In uno dei tanti libri che ho letto ricordo che si parlava del fatto che puoi baciare e fare sesso con i più esperti uomini del mondo, ma mai nessuno sarà in grado di farti provare le stesse sensazioni del farlo con la persona che ami.
Sinceramente è una cazzata.
Se tu sbavassi, signor Cooper, non starei qua a baciarti, ma piuttosto a schivarti.
Poi, tutte quelle scene da preliminari ovunque: pura fantasia erotica.
Insomma, il marmo freddo sulle chiappe non è quello che io definirei ‘eccitante’ ma piuttosto scomodo.
Eppure mi hai posizionata lì e io non mi muovo perché mi stai baciando, e come lo fai… wow.
E le tue mani?
Dov’è che non sono?
“Chi deve mantenere a bada a propria lussuria?”, mi chiedi staccandoti da me e facendo quel mezzo sorrisetto che mi fa dimenticare il marmo freddo.
La mia lussuria?
Oh, aspetta, chi ha chiuso la porta di scatto e mi ha trascinata fino alla prima superficie disponibile?
Sì, okay, okay.
Io di certo non mi tiro indietro perché non sono ancora così cretina da non volerti.
Chi non ti vorrebbe?
Poi non sbavi neanche, quindi a maggior ragione.
Ti allontano con un piede ridendo, “Tu mi provochi, Cooper”.
Ed ecco la scintilla nei tuoi occhi.
Che fai? Ti avvicini?
Ti avvicini e non mi baci?
Vuoi giocare sporco, questo l’ho capito.
Caro Joseph Cooper, questa volta rimarrò perfettamente immobile. Ovviamente finché riuscirò a controllarmi, perché dai, te che ti strofini sul mio collo non aiuta di certo.
“Io ti provoco?”, mi chiedi in un sussurro.
SÌ.
“Mi sei abbastanza indifferente”, ti dico ma mi tradisco subito perché appena mi sfiori la schiena con la mano vengo percossa da un brivido.
Lo vedi cosa mi fai?
“Indifferente, eh?”.
E la tua bocca ora?
MI STAI BACIANDO IL COLLO?!
“S-sì. Comp-completamente indifferente”, balbetto.
No, davvero.
Questa è una tortura.
Ora mi fai un sorriso a due centimetri dalla bocca da cui non riesco a togliere gli occhi, e giuro su chiunque tu creda, che ti salterei addosso.
Ma stiamo giocando sporco, e di certo non sarò io a perdere.
“Mi manderai via? Come il ragazzo lì fuori?”, mi chiedi tornando al mio collo.
Mandarti via?
Non sono così cretina, Cooper.
“Mmm… vedremo”.
“C’è una possibilità?”.
“Molte”.
Non faccio in tempo a dirlo che mi tiri i capelli all’indietro per farti più spazio sul mio collo.
E chi se ne frega del gioco a questo punto?
Tu sei così calmo e io sono un fuoco.
Insomma, te e la tua bocca, i sospiri, la tua mano sulla mia gamba.
Sto letteralmente impazzendo.
Ha dei labbra così morbide, Cooper, mi stanno creando dipendenza.
E… cosa fai? Ti fermi?
“Non volevi cacciarmi?”.
Cos’è questa voce rocca?
Mmm, signor Cooper, a quanto pare il biglietto per il girone dei lussuriosi lo condivideremo.
“Ho detto vedremo, Cooper”.
I tuoi occhi. Non so se esitano parole per descriverli.
Beh, sicuramente esistono, ma io non le conosco. O forse sì. Beh, sinceramente non lo so, perché chi mai riuscirebbe a formulare una frase di senso compiuto con due occhi del genere a fissarti?
È desiderio quello che vedo?
Perché io fremo.
E lo senti anche te.
Mi tocchi e tremo.
Nonostante io sia vestita come un eschimese, è come se fossi nuda perché sento il tuo tocco e ne rimango estasiata.
Ti sei allontanato ma ti tiro verso di me avvolgendo le gambe ai tuoi fianchi, e senza smettere di guardarmi ti avvicini alla mia bocca.
Vorrei baciarti, davvero, ma mi trattengo.
Stiamo giocando.
“Per ora no, se fai il bravo”.
Da quand’è che sono diventata così sfacciata?
Anche questa è una delle magie di Joseph Cooper.
“Fare il bravo, eh?”, sussurri e ti avventi sul mio collo e non riesco a trattenere un sospiro che ti da il via libera a fare di me ciò che vuoi. Okay, magari così è un po’ esagerato da pensare, ma insomma, sono creta fra le tue mani o come si dice.
Fai… un gemito?
Oh. Ti sta baciando il collo anch’io e me ne sono accorta adesso.
Vedi, Cooper?
Vedi cosa mi fai?
Ma più che altro… cosa faccio io a te.
Oddio. Davvero?
Ti stacchi da me di fretta e ti allontani.
Che succede?
“Se vuoi che faccia il bravo, devi cibarmi, donna!”, dici sorridendo e passandoti una mano fra i capelli.
Io son qui sul bancone della cucina tutta accaldata che cerco di prendere fiato e mi parli di cibo?
“Se mi chiami ancora così, giuro che ti farò morire di fame”, ti rispondo e mi sorridi in segno di scuse, solo che adesso iniziano i veri problemi.
Problema numero uno: io non so cucinare.
Sì, lo so. Una donna che non sa cucinare – e pulire a detta di Kim – è un oltraggio, ma questa sono.
Problema numero due: anche se sapessi cucinare in frigo non c’è sulla oltre a qualche succo e all’acqua.
L’alcol non entra mai nel mio frigo perché lo finisco prima.
Problema numero tre: Joseph Cooper è un tipo da hamburger a domicilio?
“Io non cucino, Cooper”.
“Cucino io”.
Si ecco, come se questo risolvesse il problema.
Infatti vai dritto verso il frigo e una volta aperto rimani lì a guardare il vuoto.
“Scusa ma… cosa mangi?”.
“Ordino qualcosa da asporto o me lo porta Ali”.
Sei disorientato?
Immagino che il tuo frigo fosse pieno di verdure, pasta fresca, e qualche stupida cosa biologica.
Io vivo di cibi ipercalorici e alcool.
“Usciamo allora”, mi dici e prendi la giacca che ti eri portato ma che sinceramente non avevo neanche visto.
Cosa hai detto?
Vuoi uscire con me?
Non rischieremo di farci vedere da qualcuno? Sienna, i tuoi amici o chi sa chi altro?
Io non ho questo tipo di problemi perché a girare con te faccio solo bella figura.
Ma tu?
“Mi do una sistemata”, ti dico in imbarazzo.
Insomma, jeans e converse non sono l’abbigliamento adatto per uscire con Joseph Cooper e soprattutto per convincere i tuoi amici che non sono solo una crisi di mezza età anticipata.
E se mi presentassi con le scarpe sporche e il trucco sbavato non so se riuscirei mai a convincerli del contrario.
Mi guardi e scuoti la testa, “Non andiamo al ristorante, vai bene così”.
“Ma… se…”.
Mi prendi la mano e mi tiri verso la porta incantandomi con il tuo sorriso, “Sei bella così”.
Sì, bella. Aspetta di vedere le facce dei tuoi amici quando mi vedranno.
Ti faranno una bella ramanzina sul fatto che l’amante giocane deve essere per definizione più bella della fidanzata ufficiale.
Anche se adesso di ufficiale non hai più Sienna, ma neanche me.
Io sono quella segreta che stai portando fuori a mangiare. È un passo avanti, no?
“Guido io”, ti dico, “Tranquillo: la patente non l’ho comprata”.
“Ah no?”.
Scoppio a ridere e faccio finta di darti delle sberle sul braccio.
Non conoscevo questo tuo lato comico, Cooper, ma devo dire che mi piace molto.
“Ti piace il giapponese?”, mi chiedi.
“È la seconda cosa che amo più in assoluto”.
“E la prima quale sarebbe?”.
Pensi che ti dica che sei tu?
Non mi conosci abbastanza.
“Il mio frigo, ovviamente”.
“È vuoto!”.
“Sì, beh, a volte neanche funziona, si spegne e poi inizia a riandare, ma è bello, non possiamo chiedergli di più”.
E adesso ridiamo insieme. Così mi piace, Cooper, questi sono i momenti che più preferisco. Tu che ridi.
Io che rido.
Noi che ridiamo assieme.
Niente di meglio no?
Che hai adesso?
“La cintura?”.
Mmm. Mia nonna è meno puntigliosa di te, Cooper.
“Un attimo”, sospiro accendendo la macchina.
 
Signorina cameriera.
Che io sia completamente andata questo è certo.
Andata dove?
Beh, ovviamente nel paese dei ‘dipendenti da Joseph Cooper’.
E non fare il finto tonto. Tu, io e tutto il mondo sappiamo che esiste.
Chi ti resisterebbe?
Di certo non la cameriera che ti mangia con gli occhi.
Beh, signorina cameriera lui è mio.
E te lo dico, ti giri e la fai avvampare.
“Tu non mi fai gli occhi a cuoricino”, rispondi riportando l’attenzione su di me.
Un punto a Joseph Cooper.
“Sono più da sguardo laser”.
Sorridi? Davvero?
Bene, signorina cameriera, guarda come lui guarda me e guarda il suo sorriso, è poco bello?
“Mi sono sempre piaciute le ragazze aggressive”.
In questo momento sono più vogliosa che aggressiva ma – saggia come non sono mai stata – per una volta rimango penso prima di parlare e dirti che in questo momento mangiare è il mio ultimo pensiero, e il primo sarebbe un letto con te sopra, beh, non so se mi aiuterebbe a passare una serata senza farti scappare via preoccupato.
Ma tu lo sai che io sono più aggressiva che altro.
Lo sai perché mi hai già vista in varie situazioni: ubriaca, post-sbornia, disperata per mio padre, infuriata con te, arrabbiata con Liam e… sorridente?
Fino a ieri penso che tu non mi abbia mai vista sorridere, eppure siamo qua.
Un gran bel risultato per una aggressiva con me.
“Lo sono in modo particolare a tavola”, ti rispondo.
“Soprattutto se si tratta di sushi?”.
“Soprattutto se si tratta di sushi”, ripeto e sorridi divertito.
“Non è che mi stai per dire che sai uccidere con le bacchette?”, aggiungi iniziando a maneggiarle meglio di quanto ti credessi capace.
Stiamo giocando?
Adoro giocare con te.
“Oh, signor Cooper, la tua arguzia mi stupisce sempre di più”.
Oltre a non riuscire a capacitarmi di come mi sia uscita fuori la parola ‘arguzia’, non riesco a farlo neanche di fronte al tuo sorriso.
Sì, anche la signorina cameriera se ne è accorta e ti sta guardando, eppure tu non la guardi.
Perché non la guardi?
Beh, avrà anche le sopracciglia marcate con il pennarello indelebile e il rossetto spalmato direttamente dal Joker, ma non è male.
“Non sei arguto come pensavo”, ti dico e il tuo sorriso si trasforma ancora.
“Come mai?”.
“Come mai?! Oh, andiamo, se lo fossi non continueresti a fare questa faccia, dai! La cameriera ti sta mangiando con gli occhi e tu continui!”.
Cosa fai tu?
Scoppi a ridere e di gusto!
Okay, sembro un po’ psicopatica ma è la verità. Non puoi sorridere così e fare finta di niente… insomma!
“Sei gelosa!”.
Ma… ma… SI!
“No!”.
“Oh sì, invece!”.
Completamente e totalmente sì.
“No, ti sbagli, non hai capito…”.
“Ho capito benissimo”.
Sì che hai capito.
“Non è vero!”.
Non te la posso dare vinta, lo sai, è più forte di me.
“Stai tranquilla: non è il mio genere”.
Qual è il tuo genere, signor Cooper?
Di certo non bionde e pompose visto che io non sono né bionda né pomposa.
Sono io il tuo genere?
No, perché Sienna è molto – e dico molto – diversa da me.
“Oh, quindi l’hai guardata”.
È un sorriso vittorioso quello?
“Quindi sei gelosa! Lo sapevo”.
“Andrà avanti ancora per molto questa storia?”, vorrei sembrare scocciata, ma non riesco a trattenere un sorriso.
“Perché? Mi piacciono le ragazze gelose!”.
Le ragazze gelose?
Quante ragazze gelose per la precisione?
Dovrei chiamare la signorina cameriera?
O in due siamo ancora poche?
No, Lex, no.
Non puoi andare avanti così.
Sta solo facendo una conversazione, non è vero?
“Peccato: io sono la tipa con il raggio laser che parte dagli occhi”, ti dico e tu mi sorridi.
Sai una cosa, signor Cooper?
Ora sembriamo due coetanei.
Senza quelle rughette attorno agli occhi, senza le scarpe laccate e la cravatta, sembra che tu abbia vent’anni. Okay. Io sembro una bimba spettinata e capricciosa al tuo fianco, ma per una volta non mi sento così diversa, per una volta sembra che apparteniamo allo stesso mondo.
Per una volta siamo uguali.
Per una volta le mie scarpe accanto alle tue non sembrano sbagliate.
Per una volta sembriamo una coppia.
Lo vedi anche tu questo?
Non lo so, perché non me lo dici.
Però mi sorridi e non c’è cosa più bella.
“Scusi!”.
Mi rimangio tutto.
“Perché ridi?”, mi chiedi.
“Dai del lei alle cameriere?”, ti chiedo e rido, di gusto.
Potresti indossare i jeans a vita bassa e farti i risvoltini, indossare occhiali da sole a specchio e avere i capelli antigravità: ma tu rimarrai sempre tu, perfetto nelle tue scarpe eleganti e rispettoso di tutti.
Signorina cameriera.
Signorina cameriera ti pregherei di non mangiare con gli occhi il MIO accompagnatore.
“Mi potrebbe portare una forchetta?”, domandi e lei sorride.
Ti insegno se vuoi ad usare le bacchette”, ti risponde lei e io trattengo il respiro quando si avvicina prendendoti la mano dove hai le bacchette.
“Porta la forchetta”, dico guardandola male e facendola allontanare.
Mi guardi per un attimo come se fossi spaesato.
Lo so. Non tollereresti mai un comportamento del genere, Cooper, ma questa sono io: ortiche e caos. Sono un casino vivente e…
“Era quello lo sguardo laser?”, mi chiedi.
“Sì”.
“L’hai incenerita”.
Alzo le spalle facendoti ridere divertito.
“Mi voleva solo insegnare, comunque”.
“Non sapevo che per insegnare qualcosa a qualcuno bisognasse seppellirgli la testa fra le tette”, dico e ti guardi attorno per accertarti che qualcuno non mi abbia sentito.
“Non mi ha messo…”.
“Oh, sì invece! Ha una quarta! E si sa che le tette grosse vanno dove non dovrebbero andare: dentro i piatti, fuori dalla maglietta o in faccia a un ragazzo occupato”.
Oh.
Oh merda.
“Ragazzo occupato?”.
“Non gongolare: non sei poi così giovane”.
“E occupato cosa significa?”, mi chiedi.
Sei un bastardo, Joseph Cooper.
“Siamo occupati a fare conversazione”.
“Quindi non appena smettiamo di fare conversazione posso farmi seppellire la testa fra il suo seno?”.
Seno? Chi dice più la parola ‘seno’ invece di ‘tette’?
Oh, sì. Tu.
Ma non vincerai, Joseph Cooper, non vincerai.
“Guarda anche se tu provassi a farlo con le mie tette, dovresti cercarle prima, quindi ti conviene andare sul sicuro con la cameriera”.
Inevitabilmente il tuo sguardo va sulle mie tette.
Sì, lo so, è inutile che fai quella faccia.
Ho un po’ esagerato con la storia del cercare le tette prima di trovarle. Qualcosa c’è, ma mai quanto la cameriera, almeno che non mi faccia regalare un altro di quei push-up che mi aveva già preso Ali, e che io avevo buttato il giorno dopo.
Da una triste seconda abbondante – ovviamente triste e abbondante si eliminano a vicenda – ero passata alla terza appena accennata. Un grande passo, no?
“Dopo le cercherò”, dici spiazzando sia me che te, in quanto diventiamo rossi come semafori.
Oh, Joseph Cooper, quanta lussuria c’è nell’aria?
“Buona fortuna”, ti dico abbassando lo sguardo sul mio sushi.
Meglio mangiare, va’.
 
“Dov’è che abita quello da cui dormi?”, ti chiedo.
“Perché?”.
“È la trilionesima volta che sbadigli, Cooper. Ti porto là”.
“Ci vado con la mia auto”.
“Sì, così ti addormenti alla prima curva. A meno che non stia dall’altra parte dell’Oceano, penso di riuscire ad arrivarci prima dell’alba”.
Un altro sbadiglio.
“Portami alla mia macchina, Alexis”.
“Ma…”.
“Mi serve per andare al lavoro domani”.
Ordini. Andiamo a prendere questa stramaledetta macchina.
 
“Non mi saluti?”, mi chiedi aprendo le braccia.
“Ciao”.
E quell’espressione? Oh, no.
No. No. E no.
Non fare il musetto da Bambi.
Non so resistere a quell’espressione.
Non so resistere se la fai te.
“Alexis”, mi chiami venendomi contro senza abbassare le braccia.
“Ciao”.
Continuo a salutarti ma non mi muovo.
“Abbracciami”, mi dici mentre lo stia già facendo e non posso che stringerti a me.
“Posso salire da te?”, mi chiedi intrufolando la testa fra i miei capelli.
“Andiamo. Ti preparo un caffè”.
Vedi cosa mi fai, signor Cooper?
Ti dico sì quando vorrei dirti no.
Tu mi cambi, mi stravolgi e in un modo a me sconosciuto, mi rendi quasi più piacevole e assuefatta da te.
Ma d’altronde, chi mai ti resisterebbe? 






________________________________________________________________________________

Buonasera a tutte voi,

ho fatto di tutto per essere abbastanza veloce e puntuale ma tra esami e tutto il resto sono stata un po' assorbita dagli impegni.
Comunque, questo è un capitolo completamente e totalmente dedicato ad Alexis e Joseph, di loro due insieme che passano il tempo tra scherzi e risate.
So che la storia non va veramente avanti in questo capito e che non succede nulla di particolare, ma mi sembrava giusto concentrarmi su loro due, per vedere veramente cosa creasse da loro questo legame.

Colgo l'occasione per ringraziare:
  • chi recensisce sempre
  • chi recensisce qualche volta
  • le lettrici silenzione
  • chi ha iniziato a leggere la storia da poco
  • chi la legge da sempre
  • chi l'ha aggiunta tra le preferite
  • chi l'ha aggiunta tra le seguite
  • chi l'ha aggiunta tra le ricordate
​Grazie di cuore a tutte voi e fatemi sapere la vostra... quale momento vi ha colpito maggiormente?
 

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