Gold

di lawlietismine
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


 



 

 

Merlin Emrys era lo stregone più potente di tutte le terre esplorate, i pochi che avevano avuto il coraggio – o forse erano stati stolti? – di avvicinarsi al suo castello, se a lui sconosciuti o indesiderati avevano trovato in quel luogo immenso e desolato la fine delle loro vite, se invece erano riusciti a entrare, allora erano stati molto fortunati.
Ma le voci che giravano accompagnando quel nome, erano abbastanza forti da tenere a distanza chiunque si trovasse perfino per caso nei dintorni del villaggio di Leeds, perché era risaputo che Emrys – oltre a essere potente – fosse spietato e maligno, legato all'Antica Religione, e la sua malvagità gli rendeva rispetto.
Pochi lo avevano visto di persona, alcuni dicevano fosse un vecchio uomo dai lunghi capelli bianchi, un'espressione sempre seriosa e burbera in volto e un aspetto malmesso, altri invece raccontavano di aver visto un giovane ragazzo dai capelli scuri e gli occhi chiari, un ragazzo che incuteva timore solo con lo sguardo e che non si faceva scrupoli a far uccidere qualcuno dai suoi scagnozzi, un ragazzo quasi privo di umanità.

Morgana Pendragon, però, non era solita render conto alle dicerie e per raggiungere i suoi scopi, soprattutto ora che non aveva altro tra le mani, poteva andare in contro anche allo stregone di cui si sentiva parlar spesso, per questo affrontò a cavallo quelle distese di natura lontane da tutto, arrivando fino a quel luogo sperduto: il castello di Leeds le giunse alla vista maestoso e immenso come i luoghi che lo circondavano, eretto in tutto il suo splendore su due piccole isole in un lago, tanto da sembrare esso stesso parte dello scenario naturale.
Al primo isolotto si accedeva attraversando un lungo ponte sopra la distesa d'acqua, in cui nel lato opposto erano posizionate sentinelle lungo la muraglia d'entrata, tali da impedire a vista il passaggio a chiunque non fosse gradito: nel momento in cui ella non si fermò e nessuno la ostacolò, comprese che in qualche modo Emrys dovesse già sapere del suo arrivo.
Una volta passata oltre il ponte, Morgana si trovò la strada sbarrata, degli uomini in armatura la obbligarono a scendere dal suo cavallo e a depositare qualsiasi arma avesse con sé prima di riprendere il suo viaggio. Una volta fatto, poté incamminarsi verso il secondo isolotto: per arrivarci, era necessario attraversare un vasto prato ovale, dove, sul lato destro, vi era un'abitazione a parte.
Di fronte a sé, invece, si ergeva il suo obiettivo ed entrando nel castello si ritrovò di fronte una giovane donna, ferma all'entrata come se la stesse attendendo, i capelli e gli occhi scuri, un'espressione rilassata rivolta all'ospite.
“Mi segua Lady Morgana, la prego” la richiamò calma quella, dandole le spalle e incamminandosi verso l'interno: lei non aggiunse niente, la seguì silenziosa verso il secondo ponte, stavolta interno, che portava alla seconda isola e – intuì – al luogo nel castello in cui risiedeva Emrys.
Se avesse dovuto immaginare lo stregone basandosi su ciò che vedeva intorno a sé, allora lo avrebbe immaginato forte e sicuro, elegante, un vero nobile purosangue – tutto era in ordine, la mobilia non era in sovrabbondanza, ma era di qualità e Morgana aveva potuto intravedere anche qualche libreria ripiena, che dunque sottintendeva che lo stregone fosse istruito – e quando lei e la donna giunsero a destinazione, colui che si trovò davanti da una parte non deluse le sue aspettative, ma dall'altra la lasciò interdetta.

“Grazie, Freya” parlò la voce bassa “adesso puoi andare” e la ragazza, con un lieve inchino per lui e per Morgana, lasciò la spaziosa stanza.

Merlin Emrys era seduto su una poltrona intagliata come un trono proprio alla parete opposta rispetto all'entrata e se ne stava compostamente seduto lì con un libro fra le mani e le gambe accavallate: a Morgana sembrò tutto, tutto tranne che lo stregone più potente di tutte le terre esplorate.
Avrà avuto sì e no diciotto anni, aveva un fisico esile fasciato da una semplice camicia di lino e, come alcuni avevano giustamente raccontato, i suoi capelli erano scuri come la pece, mentre gli occhi – se ne accorse quando quello si degnò di spostare la sua attenzione dalle pagine del libro a lei – erano blu.
Parve più alla sua mente come un principe educato alla vita da futuro Re, vista la sua posizione con la schiena dritta, nonostante tutti i suoi muscoli fossero rilassati, come se fosse nato con un modo di fare reale, ma, per quanto dovesse essere per forza così visto che era stata condotta fino a lui, non riusciva a capire come potesse essere legato all'Antica Religione come lo era lei, che ne era Sacerdotessa.
I due si guardarono attentamente, poi Morgana si fece più sicura e gli si avvicinò ancora un po' a testa alta e passo deciso, attraversando con l'eco dei suoi tacchi sul pavimento parte della stanza illuminata dal sole e rinfrescata dall'unica portafinestra aperta alla sua sinistra.

“Morgana Pendragon” parlò lui, riservandole un cenno lieve del capo come saluto insieme alle sue parole, lei con una leggera e secca scrollata di spalle spostò il lunghi capelli scuri e mossi indietro e poi annuì, come a ricambiare il saluto.
“Emrys, sono qui per richiedere un favore” andò subito al dunque, fissando gli occhi di ghiaccio nei suoi “la tua fama ti precede, le tue terre sono vaste, il tuo potere immenso e temuto e io – in cambio del tuo aiuto – ti pagherò bene”.
Il ragazzo l'ascoltò silenzioso, tornando con lo sguardo al suo libro, e l'altra si sentì montare la rabbia nel vederlo così disinteressato proprio mentre ella parlava, ma questo non la fermò dallo spiegare le sue ragioni: non era stolta.
“Voglio che tu prenda il Re di Camelot e lo uccida, così che io possa prendere il suo posto come mi spetta” Merlin passò imperturbabile alla pagina successiva, senza dare l'idea di voler rispondere alla sua richiesta.
“Voglio il tuo aiuto per prendere la corona, poiché mia di diritto dalla morte di Uther Pendragon, mio padre, e con me tornerà la magia sul trono del regno” chiarì, come se, nonostante la mancanza di attenzione apparente, Emrys la stesse giudicando, richiedendole un perché sensato a quella volontà.
“Non mi importa come, fai ciò che devi per farmi arrivare al potere e fallo come vuoi” concluse, voltandogli poi le spalle seccata e camminando lenta ma certa verso la porta. L'aprì e fece un passo fuori dove la ragazza, Freya, la stava aspettando, ma prima di chiudersi la porta alle spalle, incrociò lo sguardo dello stregone: un angolo della bocca di lui era malignamente piegato all'insù in un sinistro ghigno, negli occhi c'era una strana luce.
“Sarà fatto” rispose, prima che la porta si chiudesse definitivamente e che Morgana venisse riportata al suo cavallo attraverso quel labirinto di corridoi infiniti, così da essere allontanata definitivamente dal castello.


Merlin Emrys era temuto e rispettato, oltre a essere ciò che era: quando le persone lo cercavano per i loro loschi – e a volte patetici – scopi, cercavano lo stregone, ma non in quanto tale, bensì in quanto potente, poiché ciò che gli veniva richiesto mai veniva realizzato per mezzo dei suoi poteri o da lui in prima persona, bensì da coloro che sottostavano ai suoi ordini.
E solitamente coloro che lo cercavano, e che riuscivano effettivamente a raggiungerlo e a farsi ascoltare, non erano persone da poco e le motivazioni erano di un certo livello.
Si era creato da solo tutto ciò che aveva, nessun sangue reale, nessuna discendenza, solo il suo destino: era nato come lo stregone più forte, come creatura stessa della magia e come Signore dei Draghi, fra cui Kilgharrah a vegliare sul suo castello. Niente che gli sarebbe potuto esser portato via per alcuna ragione.
Aveva delle persone sotto il suo comando, sia alcune come Freya che si occupavano del castello, sia uomini che si muovevano a seconda dei suoi ordini: le sentinelle all'entrata, che armate di balestre colpivano chiunque non avesse ragione di avvicinarsi, e banditi o uomini anche addestrati che si accostavano più a quel ruolo che a quello di soldati, che svolgevano le missioni da lui assegnate.

Quando Freya fu pronta dall'accompagnare Morgana Pendragon di nuovo dove l'aveva accolta e dopo aver atteso di vederla andar via a cavallo, tornò dal suo padrone, pronta per ricevere l'ordine che di solito seguiva i suoi incontri: infatti, quando dopo aver bussato lui la ricevette, quello non tardò ad arrivare.
Merlin non stava più leggendo, si era alzato in piedi e si era avvicinato alla portafinestra, lo sguardo perso nel verde e nelle acque del lago che lo circondavano, il libro ora abbandonato sulla poltrona e lui poggiato con una spalla all'arcata che si affacciava sul panorama, il corpo lungo e snello illuminato dal sole.

“Signore?” parlò cauta la ragazza, le braccia dritte lungo i fianchi e la testa china, nonostante lo sguardo che, fugace, indugiava curioso sull'altro.
Lui non la guardò, troppo occupato a riflettere e a godersi quella vista immensa, notando giusto in quel momento Kilgharrah che tornava in volo dal luogo che gli aveva detto di andare a perlustrare, ma ella non si discostò, conscia del fatto che la risposta le sarebbe giunta di lì a poco.
“Che partano verso Camelot, devono portarmi il Re” ordinò con un tono che non ammetteva repliche: Freya accennò ancora un inchino, poi si congedò.
“Vivo” aggiunse lui, prima che quella lo lasciasse di nuovo solo fra i suoi pensieri.


Ci sarebbe voluto probabilmente molto tempo affinché quella missione venisse completata, Merlin occupò il suo come meglio sapeva fare: lesse qualche libro, si informò sulle questioni che riguardavano le terre vicine – e anche lontane – e non ricevette nessuno dei malcapitati che tentarono di avvicinarsi al castello. Furono alcune delle sentinelle, come sempre, a occuparsi dei loro corpi inermi.
Dopo due lune piene, richiamò a sé Kilgharrah, al quale dopo qualche notte dalla prima luna piena aveva chiesto di andare a vedere a che punto fossero i suoi uomini. Quello giunse poi nel centro del vasto giardino ovale fra i due ponti nelle mura e fu presto raggiunto dallo stregone.
Merlin aveva sentito parlare di Arthur Pendragon, anche se in realtà non erano molte le notizie che gli erano giunte su di lui dopo che era divenuto Re, le voci si erano sparse molto più frequentemente durante il regno del padre, Uther, l'uomo spregevole che aveva bandito la magia dal suo regno e che aveva perseguitato e ucciso chiunque la praticasse.
Il ragazzo guardò il drago giungere al suo cospetto, planando sul cielo sereno di quella giornata e posandosi poi di fronte a lui.
“Giovane mago, sono tornato e ho fatto ciò che mi hai chiesto” l'altro annuì, come a invitarlo a proseguire.
“Porto brutte notizie – Merlin corrugò impercettibilmente le sopracciglia – gli uomini sono stati uccisi durante il loro assalto, il Re di Camelot li ha abbattuti insieme ad alcuni dei suoi cavalieri e la missione si è conclusa” detto ciò, attese che l'altro assimilasse il suo rapporto su quanto era successo e poi, dopo un cenno del capo, ascoltò la sua decisione repentina.
Freya, ferma in attesa di fronte al portone, incrociò lo sguardo del padrone e, ricevendo con un gesto il suo invito a farsi avanti, gli andò in contro il più velocemente possibile, cercando di stare a debita distanza fra lui e il drago.
“Che nessuno entri all'interno di queste mura e che nessuno esca fino al mio ritorno” ordinò duro, un'espressione di fastidio in volto come fosse combattuto, stizzito di fronte a quella situazione inattesa: sia il drago che lei, senza darlo a vedere, restarono confusi di fronte a quella reazione.
“Partirò io stesso con Kilgharrah, andrò a Camelot e tornerò con il suo Re” avvertì, come stesse però parlando più a se stesso che a Freya, che invece annuì, poi i suoi occhi si tinsero d'oro e nel cielo si sentì l'eco di un tuono. Poco dopo, Camelot – come il villaggio di Leeds – fu assalita da una tempesta, i cui fulmini colpirono senza pietà.

Merlin Emrys partì con il Grande Drago, per compiere lui stesso il lavoro che Arthur Pendragon in persona aveva intralciato. 






 

Spazio della psicopatica: 
Bene, eccomi qui con il prologo di una nuova improvvisa long. 
Prima di tutto devo spiegare un po' di cose: 
1- L'idea mi è venuta ieri (o due giorni fa? Mmn...) studiando i Promessi Sposi (per la seconda volta, visto che li avevo già fatti cinque anni fa, quando ero ancora parzialmente sana) e... Beh, dovevo fare i capitoli venti e ventuno, quelli sull'Innominato e Lucia. Chi di voi conosce bene la storia, avrà già capito: mi sono basata sul loro "rapporto", già, I know non sono affatto normale. Primo perché l'Innominato nei Promessi sposi ha tipo 60 anni e secondo perché... Solo io potevo vederci materiale romantico per il Merthur. Ma non posso farci niente, ho stravolto completamente la situazione per modellarla in base a questi due scemi, perché io sono io e il liceo classico - dopo cinque anni posso dirlo con certezza - mi ha fritto il cervello (il classico insieme al Merthur, eh! Ma soprattutto il Merthur). Quindi nada, stavo studiando, poi all'improvviso mi è venuta l'idea e allora mi sono messa a fare ricerche varie per scrivere questa fanfiction: era davvero da tanto che l'ispirazione non mi colpiva in questo modo! 
2- Il castello di Merlin... Allora, ho deciso di usare il castello di Leeds perché è bellissimo e particolare, oltre a essere medievale. Ed è questo qui: 

3- Mi sono già scordata cosa volevo dire ^^" quindi lasciamo stare i punti importanti. 
Dunque, lasciate perdere l'orribile immagine all'inizio, ma non trovavo niente quindi mi sono messa a farla io con Gimp. Eheh ^^" 
Penso di aggiornare tipo una volta al mese, perché ho in mente di scrivere capitoli molto lunghi (per i miei standard) per questa fic e quindi essendo all'ultimo anno e avendo la maturità, non so quanto potrò dedicare giornalmente alla scrittura (cosa che non mi permetterà di pubblicare spesso). 
L'ambientazione è sempre la stessa del telefilm, siamo nello stesso periodo e le vicende di Camelot sono sempre quelle: Uther vs Magia e Morgana vs Arthur. 
Comunque, il titolo è preso da una canzone che amo degli Imagine Dragons: Gold. Ascoltatela perché loro sono bravissimi e la canzone è bella. 
Vabbé, non so cosa aggiungere, se non che spero che questo prologo vi sia piaciuto. 
Se avete voglia, lasciate un pensiero: mi farebbe molto piacere!
Alla prossima, 

Lawlietismine

DOMANI È IL COMPLEANNO DI BRADLEY ❤❤❤

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Questi personaggi non mi appartengono (ç_________ç nemmeno un po'?!?!), questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro (eh già, è stata scritta solo per soddisfare la mia mente malata).



Capitolo 1


 

Merlin Emrys non era affatto sciocco: solitamente faceva sì che fossero coloro sotto il suo comando a occuparsi delle questioni per cui le persone erano solite cercarlo in quella valle desolata, lasciava che fossero gli altri a sporcarsi le mani per lui, per quanto lui invece con tali azioni si sporcasse solamente la coscienza, o meglio, lo avrebbe fatto se ne avesse avuta una.
Gli era capitato rarissime volte – in quei momenti di assoluta solitudine nelle sue stanze nel castello, quando i libri che si erano accumulati non avevano catturato la sua attenzione e lui si era ritrovato immobile di fronte a una finestra, dall'altra parte del vetro, occupato a scrutare in modo assente la distesa d'acqua davanti ai suoi occhi blu, quelle terre immense che poche volte aveva attraversato e quei cieli in cui Kilgharrah volava libero – di pensare a come si era evoluta la sua vita nei suoi diciotto anni, a come si era costruito un nome, a come aveva piegato a sé e al suo volere le persone e a come aveva fatto sì che tale nome venisse associato perlopiù a delitti e terrore.
Erano pensieri fugaci, i suoi, come un piccolo fastidio alla base della nuca, un barlume di autocoscienza che tentava di farsi strada nella sua mente fra un assassinio e un altro, ma non appena l'ipotesi che avesse sbagliato qualcosa, si affacciava in lui, Merlin la ricacciava con prontezza e tutto tornava al suo posto, la vita continuava come niente fosse mai successo.
Lui era Emrys, perfino i druidi tremavano adesso nel sentirlo nominare e il Grande Drago, che si era unito a lui molto tempo prima, gli aveva sempre detto che il suo era un destino importante, che avrebbe compiuto grandi cose e che avrebbe segnato la sua Era, dominando un regno sconfinato, perché il suo nome era scritto nella storia già da prima che lui nascesse.

Aggrappato saldamente al drago, mentre insieme si libravano in aria alla volta delle terre di Camelot, Merlin rifletté su ciò che stavolta avrebbe dovuto fare per portare a termine quella missione: già solo il fatto che fosse dovuto intervenire lui, anziché attendere fra le mura del suo castello, lo infastidiva, perché mai era capitato prima che i suoi scagnozzi venissero uccisi uno a uno nel mezzo di un'operazione da lui ordinata, mai era successo che fosse l'obiettivo della loro partenza a determinarne la morte.
Avrebbe dovuto chiudere questa faccenda in modo veloce e attraverso la magia che scorreva nelle sue vene, visto che, poiché mai gli era servito, non era affatto capace, lui, di affrontare qualcuno o qualcosa utilizzando un'arma che non fosse quella con cui era nato.
Merlin rifletté profondamente, perché in infiniti modi gli sarebbe stato possibile attuare il suo piano, che fosse con la forza o meno: un flusso dorato negli occhi e Arthur Pendrgon si sarebbe trovato in ginocchio alla sua mercé, un altro e sarebbe morto, ma quello non era fra i suoi piani.
Lo avrebbe portato indietro, lo avrebbe tenuto al castello e solo una volta al sicuro fra le mura, avrebbe deciso come ucciderlo lui stesso.

Morgana Pendragon era patetica, lo aveva pensato di lei non appena gli era giunta la voce del suo viaggio intrapreso per incontrarlo e lo aveva appurato quando era giunta al suo cospetto, con quella richiesta penosa, in quelle sue vesti scure, i capelli neri arruffati e lo sguardo di una che aveva paura ma che voleva far credere di avere tutto fra le mani: l'avrebbe derisa e umiliata cacciandola non appena era entrata, ma, alla fine, si era lasciato andare e aveva tentato la sorte, intrattenere quella gentaglia che lavorava per lui non sarebbe stato un male per nessuno.
E adesso si era completamente immischiato in quella sciocca partita, in quella lamentosa vita di una donna viziata e insaziabile, assalita dalle manie estreme di protagonismo, che voleva a tutti i costi regnare e sentire la forza del potere invaderla: sotto sotto Merlin non poteva biasimarla, perché lui sapeva quanto fosse inebriante quella sensazione, ma, semplicemente, alcuni erano portati per quello e altri no, Morgana non lo era.
O meglio, Morgana Pendragon non sarebbe stata mai in grado di gestire un potere grande quanto quello che le avrebbe portato il trono di Camelot.
Ma lui era solo un potente a cui gli altri si rivolgevano per attuare i loro piani, non rientrava assolutamente nei suoi interessi giudicare le azioni per cui veniva chiamato e pagato abbondantemente.

Si fermarono due volte soltanto per rifocillarsi e per riposarsi, per il resto viaggiarono notte e dì, finché non avvistarono in lontananza le terre che volevano raggiungere: Kilgharrah lo lasciò poco indietro, in un grosso spiazzo verde, poi per suo ordine si allontanò, aspettando il suo richiamo per tornare a prenderlo non appena fosse stato pronto a torna al castello di Leeds.
Il drago si chinò in un segno di saluto, ricevendo in cambio un cenno del capo distratto, e poi tornò a volare lontano da lui, svanendo dalla sua visuale molto presto.

Merlin restò per un po' dove si trovava, lo sguardo puntato attentamente sul castello che si parava vagamente di fronte ai suoi occhi, poi si stiracchiò come un felino con le mani congiunte in aria, sgranchì le spalle e si incamminò verso il suo obiettivo con passo sicuro e mille pensieri nella testa: sarebbe entrato dentro le mura, forse? O avrebbe atteso che fosse il Re stesso a uscire e a mettersi inconsciamente fra le sue mani? Kilgharrah gli aveva detto durante il loro viaggio di non preoccuparsi, perché in un modo o nell'altro sarebbe andato tutto come doveva andare, come era scritto, ma lui aveva risposto con un'occhiata di rimprovero: Merlin non era affatto preoccupato, perché non aveva bisogno del destino per riuscire a catturare e uccidere Arthur Pendragon, lui non aveva bisogno di affidarsi a niente che non fosse se stesso.
Percorse le vie tortuose fra gli alberi del bosco con molta calma, prendendosi tutto il tempo che voleva per raggiungere il confine massimo e per pensare chiaramente a quale sarebbe stata la sua mossa successiva.
L'unica cosa che Emrys non rimproverava a Morgana Pendragon, era il suo desiderio morboso di voler riportare la magia a Camelot, poiché – Merlin ne era certo – un regno tanto grande non sarebbe durato ancora a lungo senza, non sarebbe sopravvissuto per molto se non si fosse affidato alla magia, non sarebbe stato – in battaglia come nel resto – totalmente più forte di altri: se Merlin, per esempio, si fosse alleato anche solo col più misero dei regni contro quello di Arthur Pendragon, la fine di quest'ultimo sarebbe stata segnata a prescindere.
Non che lo stregone avesse mai pensato di partecipare a conflitti miseri che miravano alla mera espansione e sete di potere, lui non aveva tempo nella sua lunga vita da sprecare così, dietro ai tentativi pietosi dei comuni esseri di sentirsi grandi.

Decise infine di passare la notte in una caverna lì vicino, vi entrò e si apprestò ad accendere un fuoco con un barlume d'oro nelle iridi, dopo aver raccolto una certa quantità di legna, si procurò come meglio poteva del cibo, poi dormì, lasciandosi alle braccia di Morfeo con vari piani per il dì seguente in testa e l'immagine lontana del regno che presto avrebbe avuto bisogno di un nuovo sovrano.

Fu svegliato il mattino seguente dalle prime luci dell'alba, lasciò la grotta e i resti abbandonati del fuoco ormai spento, poi si diresse verso il suo obiettivo: aveva avuto modo di pensare a cosa avrebbe fatto e un'idea si era fatta strada dentro di lui, fino a convincerlo di essere quella giusta, fu così che giunse presto fino alla riva di un lago lì vicino e si posizionò davanti all'acqua.
Merlin non lo aveva mai provato, pur sapendo come fare, ma decise che non c'era motivo di scartare quella possibilità, perché probabilmente gli avrebbe solamente reso il lavoro più semplice: fissò attentamente il suo riflesso, mentre alcune parole uscivano armoniose dalle sue labbra e gli occhi si tingevano, osservò inerme se stesso nell'acqua nell'istante in cui pian piano la sua immagine iniziò a mutare senza che potesse più far niente.
I capelli neri crebbero fino alle spalle con estrema lentezza, i lineamenti del volto – pur sempre affilati – si fecero un po' più dolci e le curve sul suo fisico invece un po' più prominenti, poco dopo, con un battito di ciglia e l'oro che fluiva via, tornando a essere blu, Merlin si ritrovò a osservare il riflesso di una figura femminile snella e affascinante, che aveva i suoi occhi e le sue labbra, che era lui.
La camicia di lino blu gli ricadeva leggermente più sgraziata su quel corpo, proprio come i pantaloni e gli stivali scuri, nessuna donna si sarebbe mai fatta vedere in giro in quelle vesti, neanche una serva, ma questo a lui poco importava perché il suo unico interesse era entrare a Camelot senza il rischio di esser riconosciuto e in quella forma era certo che fosse impossibile.
Fu allora che si decise a dirigersi senza ulteriori soste verso il castello, ma, evidentemente, la fortuna girava a suo favore più di quanto pensasse.

Merlin si mosse veloce fra gli alberi come se in realtà già conoscesse i luoghi che lo circondavano, il suo sguardo in verità andava oltre la mera apparenza, indicandogli quale strada fosse più giusto prendere e in quel modo raggiunse ben presto la via principale per arrivare fino alle mura.
Fu un rumore ripetuto di zoccoli a fermarlo, un cavallo che calpestava rumorosamente il terreno sotto le sue zampe e prima che potesse decidere di far altro, lo stregone si ritrovò di fronte a sé l'animale e il cavaliere che sedeva sulla sua sella: nel sentirlo avvicinare, aveva preso in considerazione l'ipotesi che forse non sarebbe stato negativo approcciare direttamente qualcuno del regno.
L'uomo sul cavallo aveva dei capelli lunghi e scuri, uno sguardo furbo rivolto a lui e le labbra distese in un sorriso cordiale, lo osservò da capo a piedi un po' divertito probabilmente per il modo in cui era vestito.
“Vi siete persa?” domandò gentilmente, prima di allungare in modo un po' sfacciato una mano verso di lui e sfilargli dai capelli una fogliolina, che vi era rimasta sbadatamente impigliata: Merlin si scostò leggermente, rivolgendogli uno sguardo piuttosto eloquente come ammonimento.
“No” rispose vagamente con un tono di assoluta sufficienza, mentre guardava con discrezione intorno a sé: sentì l'altro ridere e istintivamente inarcò scettico un sopracciglio –se fosse stato nella sua vera forma, se quell'arrogante avesse saputo, ci avrebbe pensato ben due volte prima di rivolgersi così.
“Ah no?” riprese a parlare il cavaliere, il cavallo si mosse un po' sul posto “e, di grazia, da dove venite? Non mi sembra di avervi mai vista a Camelot”
Merlin ci pensò su, senza smettere di guardarlo di sottecchi con fastidio, poi riprese a camminare verso il suo obiettivo e “Ealdor” disse solamente, mentre l'altro – dopo un attimo di spaesamento – dava una leggera scossa al suo cavallo per stare al passo della giovane ragazza: come se non sapesse fare altro, rise di nuovo.
“Sfuggente, non è così?” giocò sfrontato, scrutandolo dall'alto con curiosità “avete bisogno di un passaggio, per caso...?” lasciò la frase in sospeso, come invitandolo a concluderla lui stesso con il suo nome, ma Merlin non sembrava dello stesso avviso, infatti continuò imperterrito a camminare.
“Andiamo...” tentò ancora lui, passandosi poi una mano fra i capelli “non vorrete mica–” “Merleen” sbuffò scocciato lo stregone quasi in un ringhio, interrompendolo malamente, le mani piantate sui fianchi e uno sguardo omicida: come previsto, quel tipo sconosciuto rise per l'ennesima volta di lui.
“Ritirate gli artigli, per favore” scherzò, le mani a mezz'aria in segno di resa e fin troppo divertimento negli occhi “io sono sir Gwaine e sarebbe un onore accompagnare una graziosa fanciulla come voi, non vorrete continuare a camminare? Sarete stanca, Ealdor è abbastanza distante da Camelot” Merlin si sarebbe voluto mettere le mani sul viso per il principio di mal di testa che sentiva: si chiese se mai avrebbe smesso di parlare quel impiccione sfacciato di un cavaliere e se l'avrebbe lasciato in pace, dopo il suo evidente rifiuto a conversare e accettare: se da una parte aveva pensato di poterlo usare per i suoi scopi, dall'altra si chiedeva come potesse farlo fuori il più velocemente possibile, possibilmente facendolo anche un po' soffrire.
“Andiamo, Merleen...” aggiunse quello, riservandogli un sorriso genuino e allo stesso tempo vispo: Merlin avrebbe volentieri fatto sì che un ramo di uno degli alberi si spezzasse e si conficcasse casualmente nel petto di quel Gwaine, ma si limitò a fare un'espressione disgustata e a continuare a camminare.
“Come volete, allora” gli sentì dire, prima che il cavaliere gli passasse accanto col suo cavallo e galoppasse via, lasciandosi dietro la strana ragazza.

Merlin proseguì più tempo del previsto; di certo se avesse accettato quella dannata proposta, a quel punto sarebbe già arrivato da un po', soprattutto lui che non ci pensava nemmeno per un attimo a correre e che quindi se la prendeva piuttosto comoda, ma alla fine ce la fece: le mura così da vicino gli fecero loro da sole capire come potesse essere forte quel regno tanto famoso, erano possenti e sembravano estremamente sicure.
Entrò nella città bassa, dove molte persone si affaccendavano frenetiche per compiere le loro questioni e fra di loro lui non sarebbe mai stato notato in quelle vesti, nonostante questo alcuni non si trattennero dallo scrutarlo perplessi: una donna – si ripeté mentalmente, per quanto poco gli interessasse – per quanto povera, non si vedeva mai in giro in abiti maschili.
Nello stesso istante in cui, avvicinandosi sempre più alla fine della città bassa, notò un gruppetto di cavalieri e fece per cambiare rapidamente strada, uno di loro purtroppo lo notò: subito una risata gioiosa si diffuse nel raggio, probabilmente, di qualche chilometro e il diretto interessato lo richiamò a gran voce, attirando – volente o nolente – l'attenzione sua e degli altri compagni che gli erano intorno.
“Alla fine ce l'avete fatta!” Merlin, nel sentire la voce di quel Gwaine, si trattenne dallo sbuffare e tentò di continuare il suo percorso ignorandolo, ma evidentemente quello non doveva essere dello stesso avviso: con una piccola corsa gli fu accanto in un baleno.
“Mi stavo giusto chiedendo se fosse adeguato o meno andare a controllare se ce l'avevate fatta, ma mi avete trovato per prima” le ronzò intorno in modo alquanto fastidioso per gli standard di Merlin, che, alzando gli occhi al cielo, pensò a circa un centinaio di modi per toglierselo di torno: in quel momento tutto ciò che doveva fare era raggiungere la taverna, prendere una camera e fare progetti per i giorni seguenti, magari chiedere anche qualche informazione sul Re.
“Dove state andando, potrei saperlo?” domandò curioso, incrociando le forti braccia al petto: Merlin si passò esasperato una mano sul volto.
“Alloggerete da qualcuno che conoscete, oppure...” “Alla taverna” sbottò lo stregone interrompendolo, in modo da zittirlo velocemente.
Poco distante il gruppo di cavalieri con cui prima era lo sciagurato che lo stava infastidendo, li osservava – chi rideva, probabilmente abituato al comportamento dell'amico, chi riservava alla ragazza nuova e sconosciuta uno sguardo comprensivo e dispiaciuto – e ben presto Gwaine li salutò con un cenno della mano per dedicarsi completamente alla fanciulla, che, però, non doveva pensarla allo stesso modo, perché voltandosi gli rivolse lo sguardo più omicida che riuscì a trovare nel suo vasto repertorio.
Prima ancora che potesse dire qualsiasi cosa, Gwaine spostò lo sguardo oltre le spalle della ragazza, rivolgendo un sorriso vago a qualcuno che probabilmente era appena arrivato e che, senza neanche troppi discorsi, si avvicinò a loro due: Merlin iniziò a sentire la fastidiosa sensazione di essere intrappolato in una situazione indesiderata e alla fine cedette.
“Sentite, cavalieri, dubito che irritarmi rientri nei vostri doveri” quasi ringhiò, trattenendo a stento la magia che vibrava dentro di sé e l'oro che desiderava sprigionarsi nelle sue iridi, sfogando la rabbia “perciò lasciatemi in pace e sparite dalla mia vista” e per quanto poco c'entrasse, in tutto ciò coinvolse anche il nuovo arrivato, che solo allora si curò di guardar male: un ragazzo in vesti di cavaliere di Camelot, dai capelli biondi e un po' scompigliati e gli occhi azzurri, che erano occupati a osservarlo decisamente sorpresi, alto quanto lui ma con un corpo decisamente più muscoloso.
E con un ultimo verso stizzito e furibondo, li lasciò lì, andandosene finalmente alla taverna.

Passarono alcuni giorni nel regno, Merlin aveva trovato in quel luogo un alloggio lontano anni luce dalle sue abitudini ma sopportabile per un breve lasso di tempo, aspetto che crollava miseramente su se stesso nel momento in cui, ogni volta in cui usciva dalla sua stanza, incontrava quell'arrogante cavaliere o fuori o dentro la taverna, come se lo facesse di proposito di tormentarlo solo mostrandosi.
Alla fine però Merlin decise che avrebbe sfruttato quell'insopportabile uomo per i suoi scopi: con un cavaliere dalla sua parte avrebbe raggiunto il Re più in fretta.
Per questo motivo, man mano che il tempo passava, Merlin lasciava sempre più spesso che Gwaine lo trovasse e gli restasse intorno, che lo tormentasse con le sue assidue chiacchiere e che cercasse di conquistarlo, credendolo una semplice ragazza giunta a Camelot da Ealdor.
Mai in quei giorni aveva mutato forma, tornando se stesso, se non due volte durante la notte, mentre di fronte a uno specchio logoro aveva sentito il bisogno di ricordarsi chi era e di guardarsi negli occhi realmente, circondato dal buio notturno, per convincersi che di lì a poco non ci sarebbe più stato bisogno di prendere le sembianze di una semplice e debole donna.

Fu per questo che quella sera Merlin acconsentì all'invito del cavaliere di trascorrere del tempo insieme: dopo tutte le occhiate e le risposte infastidite che gli aveva rivolto dal loro primo incontro, Gwaine era rimasto senza parole nel sentire la ragazza accettare subito, ma non aveva ribattuto, così da non farle cambiare idea.
Non sapeva se quel tipo si aspettasse qualcosa di diverso, ma Merlin fu piuttosto passivo per tutto il tempo, mentre l'uno di fianco all'altro camminavano, l'uno silenzioso, l'altro proprio per niente: se il cavaliere si perdeva in monologhi – perché lo erano, visto che in pratica parlava da solo – lui invece se ne stava a braccia conserte a guardarsi intorno, attendendo la fine di quella lunga e spiacevole tortura.
Da vero gentiluomo, però, Gwaine aveva raccolto a un certo punto di quel bizzarro appuntamento un piccolo fiore e lo aveva posizionato fra i capelli medio-lunghi di Merlin, che probabilmente non avrebbe apprezzato un gesto del genere neanche se fosse stato per davvero una fanciulla e che si era limitato a un sorriso – che aveva dato l'idea di essere un fallimento da quanto disgusto vi era racchiuso – per poi proseguire senza dir niente.
Gli raccontò gran parte della sua vita, come se a Merlin interessasse sul serio, passando da come era sempre stato ostile verso la classe aristocratica, nonostante fosse figlio di nobili, a come aveva conosciuto Arthur per caso ed era diventato così cavaliere dopo la morte di Uther, facendosi perdonare, con il suo servizio al fianco del nuovo Re, il suo precedente stile di vita da avventuriero.
Gwaine le mostrò vari posti in cui in quei giorni Merleen non era ancora stata, più perché non le era interessato far niente che non concernesse i suoi impegni, che per mancanza di tempo, le raccontò alcune delle imprese spericolate che lo avevano visto partecipe a servizio e non del Re e proprio parlando di quest'ultimo, Gwaine all'improvviso si lasciò a una fragorosa risata divertita.
“Voi non potete neanche immaginare la sua espressione quando ve ne siete andata, Merleen!” riuscì a dire, tenendosi teatralmente lo stomaco: la diretta interessata, sinceramente confusa, gli rivolse un'occhiata perplessa che lo fece ridere maggiormente.
“Il giorno in cui siete arrivata, vi siete infuriata quando si è avvicinato a noi e ve ne siete andata via, ricordate?”
Merlin ricordava eccome quell'episodio e sbalordito si dette mentalmente dello sciocco, visto il tempo che aveva impiegato da allora a dirsi che doveva informarsi su come fosse fatto il Re e su come avvicinarlo, quando invece apparentemente gli era apparso davanti senza che se ne fosse reso minimamente conto.
Per il resto della serata lo stregone approfittò del fatto che fosse stato Gwaine stesso a iniziare a parlare di Arthur Pendragon e cercò di farsi raccontare più cose possibili a riguardo, giocando d'astuzia.
Quando a fine uscita romantica i due si trovarono nei dintorni degli alloggi del cavaliere, Merlin non si sorprese affatto, anzi, lo assecondò, lasciandosi guidare fino alle sue stanze: non si ritirò neppure quando l'altro, con un sorriso malizioso sulle labbra, si allungò su di lui e lo baciò, aprendo la porta dietro di sé con la mano che non era intorno alla sua vita.
Se Gwaine aveva pensato – o forse sperato – di vedere semplicemente la ragazza scivolare presto in ginocchio di fronte a sé, dovette ricredersi quando incrociò il suo sguardo: era così profondo, sicuro e dominante, da farlo sentire impotente in confronto a lei, completamente alla sua mercé, e l'attimo dopo fu lui a ritrovarsi spinto all'indietro, poi seduto sul bordo del letto con un tonfo.
Merlin lo guardò indietreggiare impaziente sul materasso, fissandola pieno di aspettativa con la bocca schiusa e il respiro già affannato, solo allora con passo felpato lui si mosse, arrampicandosi sul letto e ricambiando quello scambio di sguardi con un ghigno felino a delineargli le labbra, una strana luce negli occhi donata anche dalle candele intorno a loro, unica fonte di illuminazione ora che il sole era calato e la notte li aveva accolti.
Lo sovrastò con lentezza, quasi fino a trovarsi completamente seduto su di lui, poi poggiò le mani sul suo petto e con una mossa secca lo obbligò a stendersi del tutto contro i cuscini, Gwaine non riuscì neanche un attimo a staccarle gli occhi di dosso e quando sentì una mano della ragazza farsi strada dal suo petto ormai già nudo fino ai lacci dei suoi pantaloni, per poi posarsi sul rigonfiamento ormai fin troppo evidente, non poté trattenere il gemito elettrizzato che uscì dalle sue labbra.
Merlin non sembrò curarsene, con somma maestria si chinò su di lui, ripercorrendo il suo corpo con una scia di baci, fino a unire le loro labbra umide, mentre con la sua mano lo massaggiava oltre la stoffa.
Trovò ben presto accesso con la lingua e in contemporanea a quel bacio intimo, le sue mosse si fecero più audaci, i loro bacini sfregarono l'uno sull'altro sempre più vicini e con la mano superò l'ostacolo dei vestiti, trovando diretto contatto con la pelle calda dell'altro: Gwaine sobbalzò e mugolò eccitato sulle sue labbra.
Quando per istinto il cavaliere fece per avanzare verso di lui, cercandolo sempre di più alzandosi sui gomiti, Merlin lo spinse di nuovo giù seccamente con la mano che ancora era sul suo petto e che, subito dopo, spostò sul suo collo: interruppe un istante quel contatto per riservagli uno sguardo contrariato a quel tentativo, poi tornò a baciarlo quasi con prepotenza, lasciandolo senza parole.
Merlin lasciò perdere ben presto quelle labbra, solo per ripercorrere in una lunga scia di baci umidi la gola esposta di Gwaine, poi il petto e infine, ritirando la mano dai suoi pantaloni e causando così in lui uno sbuffo contrariato, scese fino all'inguine. Solo a quel punto alzò lo sguardo pieno di libidine fino a incontrare il suo, fisso in basso con smania e lussuria: Merlin, senza smettere di guardarlo, lo liberò dai pantaloni ormai troppo stretti, poi con mosse controllate e provocatorie sostituì la bocca alla sua mano.

Gwaine strinse a sé la ragazza, cercando ancora di regolare il suo respiro e il suo battito alterati dall'orgasmo, e le depositò un bacio sui capelli neri, prima che quella, impaziente di andarsene da quel letto e da quella stanza, si alzasse e sciogliesse definitivamente quel mezzo abbraccio.
Il cavaliere la osservò con le braccia dietro la testa a mo' di cuscino e per una volta che era la donna ad andarsene senza che lui dovesse dirlo esplicitamente, beccandosi uno sguardo un po' oltraggiato, se ne dispiacque un po'.
“Domani non dovrete sopportare le mie chiacchiere, ne sarete felice” disse dunque, quasi come pretesto per trattenerla ancora un po' con sé.
Merlin si ritrovò a trattenere uno sbuffo annoiato, ma già che gli dava le spalle non si peritò ad alzare gli occhi al cielo per quel suo inutile e continuo parlare a sproposito, quando invece, se solo non gli fosse servito, l'avrebbe ucciso al primo accenno di rumoroso respiro.
“Ah no?” finse di esserne interessato, concedendogli un'occhiata distratta, mentre si apprestava a poggiare una mano sulla maniglia della porta, lui gli sorrise scrollando le spalle prima di ammiccare furbo.
“Ahimè sarò con il Re, ha organizzato una battuta di caccia” rispose, attirando con quelle poche parole in un baleno tutta la sua attenzione.
“Caccia?” domandò falsamente curioso, per spingerlo a concedergli più informazioni utili: Gwaine annuì.
“Lo facciamo ogni tanto, partiamo all'alba e ci diamo alla selvaggina” rise, come se la cosa fosse divertente.
Merlin annuì a sua volta, con un sorriso fittizio in risposta, poi aprì la porta e con un disinteressato “buonanotte” se ne andò via, bisognoso di organizzare i suoi piani in base alle nuove interessanti informazioni ricevute: dentro di sé, Merlin, sapeva già perfettamente cosa fare. 

 



 

Spazio della psicopatica: 
Bene, eccomi con il primo vero capitolo: volevo farlo più lungo e arrivare già oltre l'incontro di Merlin e Arthur, ma alla fine ho deciso di concluderlo così. 
Il prossimo capitolo è già in fase di scrittura, spero di concluderlo presto e ci tengo a ringraziare tutti quelli che hanno già messo la storia fra le preferite-ricordate-seguite e _shelovesvampires per aver recensito,
mi rendete tanto felice (?)
In questo capitolo mi sono volutamente riferita a Merlin usando il femminile nei momenti in cui era descritto "dal punto di vista" di Gwaine, per il resto invece ho mantenuto il maschile: spero di non aver incasinato troppo la situazione. Comunque ci tengo a sottolineare che la sua è una "trasformazione" momentanea, già da parte del prossimo la cara Merleen se ne andrà ^^ 
Adesso devo proprio scappare, mi aspetta la
Divina Commedia, damn. 
Se mi sono dimenticata di spiegare qualcosa, fatemelo sapere ^^" e spero che questo capitolo vi sia piaciuto. 
Lasciate un pensiero se avete tempo: mi farebbe davvero molto piacere!
Alla prossima, 

Lawlietismine

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Questi personaggi non mi appartengono (ç_________ç nemmeno un po'?!?!), questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro (eh già, è stata scritta solo per soddisfare la mia mente malata).



Capitolo 2


 

Merlin non aveva affatto dormito quella notte, i mille pensieri che gli occupavano la testa e le varie elucubrazioni a proposito di Arthur Pendragon, Re di Camelot, lo avevano tenuto sveglio e occupato fino a quando la luce chiara del sole non aveva iniziato a vedersi nel cielo di quelle terre.
Il piano era semplice e quasi ridicolo, in effetti, una batosta per la dignità di un qualsiasi sovrano: rapito come niente sotto il naso dei suoi valorosi cavalieri durante una semplice battuta di caccia, da un essere poi che nel suo grande e maestoso regno era oltretutto ripudiato: se ne sentiva quasi divertito.
Non si fermò a fare colazione, bensì preparò le pochissime cose che aveva, pagò la locanda e poi si affrettò ad andarsene, per non perdersi l'uscita degli uomini dal castello.

Trovare l'oggetto del suo interesse non fu difficile, nei pressi delle stalle un gruppo di cavalieri, tra cui Gwaine, occupato a sgranocchiare distrattamente una mela verde, era intento a controllare che i cavalli fossero ben preparati, tra di loro – questa volta Merlin non si fece ingannare e lo individuò – c'era il Re, che accarezzava con cura il muso del suo destriero mentre allo stesso tempo parlava con uno dei suoi uomini di fiducia: Merlin osservò accuratamente ogni suo movimento, ogni suo particolare e dentro di sé sentì la voglia insistente di portare a termine la missione velocemente.
Se si fosse lasciato guidare dal momento e dal suo istinto, sarebbe balzato fuori da quel misero nascondiglio dietro le mura, avrebbe attirato l'attenzione di tutti verso di sé tornando finalmente se stesso e con tutta la soddisfazione che gli avrebbe procurato vedere la sorpresa negli occhi del Re impreparato, lo avrebbe catturato in un attimo e portato via.
Ma Merlin Emrys non era certo stupido e per quanto la sua immaginazione facesse credere il contrario, un'azione del genere non sarebbe stata la migliore delle ipotesi e non sarebbe stata neanche così facile da realizzare, non evitando di spargere il terrore e il caos a Camelot con un probabile scontro tra la sua magia e i numerosi cavalieri del Re: lui, possibilmente, voleva evitare un coinvolgimento troppo esteso, perché poi di conseguenza avrebbe dovuto mobilitarsi per placare tutti e metterli in ginocchio e non aveva assolutamente tempo da sprecare, lui.

“Sire, c'è qualcosa che non va?” il richiamo di uno dei Cavalieri lo fece tornare concentrato e notò che erano tutti pronti a partire: il Re, però, sembrava distratto, come se qualcosa lo stesse tormentando, e proprio come se si fosse accorto di essere osservato, il suo sguardo si spostò improvvisamente repentino nel punto in cui Merlin era celato: lo stregone si tirò indietro velocemente, giusto in tempo per non essere visto e mentre stava con la schiena saldamente alle mura, i sensi in allerta, aspettò che l'altro tornasse ai suoi doveri.
“Sire?” sentì di nuovo, stavolta da una voce leggermente familiare, quella di Gwaine, che parve senza novità fra l'incuriosito e il sarcastico, come se stesse dubitando della sanità mentale del suo sovrano: seguì un attimo di silenzio, in cui Emrys riuscì a percepire dei passi avvicinarsi, poi si interruppero.
“Pensavo...” parlò Arthur Pendragon, lasciando la frase incompleta “niente, siamo pronti a partire” e detto ciò, tutto riprese, lui tornò indietro e come i cavalieri montò a cavallo, insieme lasciarono il castello, seguiti presto – inconsapevolmente – da Merlin.

Era il più forte a sopravvivere, era il più forte quello che riusciva a salvarsi e a vedere l'alba di un nuovo giorno, non il debole, no, non c'era spazio nel mondo per costui: prima o poi il destino si sarebbe compiuto e ogni cosa avrebbe trovato il suo scopo, i deboli sarebbero caduti sotto la potenza dei forti.
Un ciclo continuo, una corsa ininterrotta, un percorso segnato.
Merlin Emrys lo appurava ogni giorno, tutte le volte in cui le sentinelle, sotto suo diretto ordine, scoccavano i loro dardi, e ne era prova il sangue indistinguibile che macchiava le sue terre, o ogni volta in cui gli venivano poste richieste che miravano a un'infima soddisfazione personale: i deboli erano proprio quelli che si mostravano al suo cospetto, sentendosi grandi e pronti a ottenere tramite lui qualcosa di grosso.
Ma il potere è niente se colui che lo detiene non è potente a sua volta.

Merlin era potente e aveva il potere, Merlin era uno dei forti.

Lo sapeva, non aveva bisogno di sentirselo ripetere dalle persone che volevano catturare la sua attenzione, vincere la sua grazia: lo sapeva, lui, che avrebbe potuto spezzare chiunque, avrebbe potuto divorare il più debole, toglierli la sua inutile vita con niente, perché lui era quello forte, lo era sempre stato.

Anche i forti, però, hanno un prezzo da pagare.

“Gwaine!” Arthur Pendragon e i suoi cavalieri stavano giungendo in terre sempre più distanti dal castello, dietro di loro un'ombra impercettibile che li seguiva senza essere notata, persa anch'essa nei suoi pensieri come il sovrano del regno in cui si trovava.
“Leon?” il cavaliere guardò con aria confusa il collega che lo aveva richiamato, quello gli stava facendo con discrezione cenno per fargli intendere che doveva guardare il re: quando le fece, si accorse che quest'ultimo – in mezzo a loro sul suo bel cavallo – guardava di fronte a sé con sguardo perso, come se, fino a quel momento, non avesse ascoltato neanche una delle conversazioni che avevano accompagnato quel viaggio.
Gwaine tornò a guardare Leon, scrollando subito le spalle in risposta a quella silenziosa domanda, poi dal nulla fu il re stesso a spiegare, parlando all'improvviso e facendo prendere così un colpo in un falso allarme a coloro che lo circondavano.
“Ho una strana sensazione, non so se sia un buono o un brutto presentimento” ammise, senza smettere di guardare altrove sovrappensiero: gli altri si scambiarono tutti un'occhiata incerti, ma prima ancora di poter rispondere – con sarcasmo per smorzare la situazione o con una domanda per capire meglio la situazione, cosa magari lo turbasse veramente – Arthur, quasi sentendosi richiamato a gran voce, fermò senza preavviso il cavallo e spostò con una calma preoccupante lo sguardo alle sue spalle.

Dentro di sé non si sorprese quando intravide una figura, la sua mano si spostò sicura sulla sua spada per abitudine, pronto a estrarla, ma si bloccò presto nel rendersi conto, stavolta sì sorpreso, della presenza di una giovane ragazza non sconosciuta, e l'indecisione lo colse: quella, ferma dietro di loro con le braccia incrociate al petto e uno sguardo ferino dritto nel suo, sembrava certa che si sarebbe accorto di lei e pareva attenderlo senza buone intenzioni, disinteressata fin troppo della presenza degli altri.
Alla fine il suono della lama estratta, in risposta a un mezzo sorriso accennato dalla ambigua portata amichevole da parte di lei, mise in allerta i suoi cavalieri e presto si sprigionò la tensione.

Merlin sentiva il potere scorrergli nelle vene impaziente, sotto l'attenzione di quegli occhi voleva quasi dar spettacolo della sua forza, lasciar perdere ogni stupido piano e scatenare l'oro nelle iridi blu, allargare le braccia e far ruggire il vento intorno a loro, obbligare quegli uomini armati a restare fermi, impotenti, mentre lui completava la sua missione, dissetandosi con quello sguardo sconvolto per l'impossibilità di agire, per essere stato colto senza difese, fisso su di sé.
Lo guardò quasi con follia per la violenza interiore che doveva farsi per placare il suo istinto, un ghigno malizioso e inaffidabile a delineargli le labbra, e quando sentì quel Gwaine interrompere quello scambio, percepì anche di conseguenza la voglia di scaraventarlo via con un solo gesto, furibondo, scocciato fino al limite.
“Merleen?” domandò evidentemente confuso, attirando su di sé l'attenzione di tutti: nel momento in cui il Re distolse lo sguardo per rivolgerlo al suo amico, Emrys avanzò di un passo, spostando il suo su colui che aveva parlato, in esso pura e inspiegabile rabbia.
“Cosa... Che sta succedendo?” aggiunse senza capire, indietreggiando impercettibilmente con le spalle nel vedersi rivolta quell'espressione intimidatoria: quando Merlin si mosse ancora, le braccia stese lungo i fianchi, serio, pian piano i suoi lineamenti iniziarono a cambiare, le vesti maschili tornarono a cadergli nella giusta misura sul fisico meno esile di prima, i capelli si ritirarono, ma lo sguardo – di nuovo sul Re, di nuovo sotto la sua completa attenzione – restò lo stesso.
“Ma che diamine...” Leon e un altro si mossero prima di tutti gli altri, scendendo da cavallo rapidi, spada alla mano pronti ad attaccare, forse in attesa di un ordine che però non arrivò come invece pensavano.
Arthur Pendragon fissava il ragazzo di fronte a sé con sgomento, come se avesse capito, un debole che realizza di trovarsi in trappola, di non aver possibilità. Dalle labbra di Arthur uscì un sussurro fragile, tremante per la rabbia che sentiva ribollirgli dentro per l'impotenza e per l'ospite inaspettato, preoccupato per i suoi cavalieri fidati, per i suoi amici, più che per sé, scioccato perché non si spiegava, se aveva ragione davvero, perché quello fosse lì da lui, perché uno così si fosse scomodato direttamente per lui.

Per Merlin fu inebriante sentirsi chiamare piano – perché lo sentì, nel profondo – con quel caos di emozioni contrastanti nel tono, fu una scarica lungo la spina dorsale, la spinta giusta per avanzare ancora, insensibile di fronte ai richiami dei soldati che gli minacciavano contro chissà che cosa, troppo occupato a pensare al suo unico obiettivo, colui che lo stava guardando con una tempesta dentro, in cerca di un piano di salvataggio veloce che, però, sapevano bene entrambi che non sarebbe servito assolutamente a nulla.
“Chi diamine sei?” parlò uno di loro, puntandogli la lama alla gola. Merlin, troppo distratto ma allo stesso tempo completamente vigile, non ci aveva fatto minimamente caso al suo avanzamento minaccioso, non osservò neanche colui che lo sovrastava in altezza, semplicemente si lasciò andare: l'attimo dopo che ebbe poggiato le dita magre sull'arma che gli premeva sulla pelle, gli occhi si fecero dorati e tutto il resto ovattato.
Il Re seguì a terra i suoi cavalieri per cercare di attaccare, scendendo da cavallo, mentre quello di loro che aveva azzardato troppo lasciava cadere la spada per indietreggiare barcollando, la mano al collo e il respiro mozzato, soffocante.
Merlin, spazientito, mise fine alla questione proprio mentre tutti gli altri gli si avventarono contro: poche parole uscirono fluide dalle sue labbra in una lingua sconosciuta ai presenti, poi con un gesto li scaraventò tutti lontano, tutti tranne uno: in lontananza uno sbatter d'ali possente annunciò l'arrivo veloce di Kilgarrah.
“Sire!” gemette Gwaine, pura colpa nel tono e nello sguardo perso che si spostava dal suo Re a colui che ora gli era impossibile riconoscere come la donna con cui aveva passato parte della notte e che gli sorrise maligno, in un falso e ironico dispiacere, prima che sia lui che il sovrano svanissero insieme al possente drago.


Quando i cavalieri furono in grado di alzarsi di nuovo, oramai erano soli, con più nessuna traccia del loro re.


Merlin giunse al suo castello con irrefrenabile impazienza: quando Kilgarrah si posò a terra, lo stregone balzò elegantemente giù, neanche guardò la ragazza che gli si era avvicinata nel vederli arrivare e dopo averle indicato con un gesto disinteressato il corpo privo di coscienza sul drago, così che se ne prendesse cura lei, se ne rientrò a passo svelto fra le sicure mura della sua possente proprietà, che per troppo tempo non aveva visto.
I corridoi erano deserti come al solito, niente fuori posto e niente di strano, se gli fosse interessato avrebbe captato vagamente la presenza di qualche suo sottoposto che quasi pareva seguire il suo rientro da lontano, celato nell'ombra per passare inosservato ed evitare reazioni indesiderate, ma lui non ci fece caso e poco dopo si chiuse finalmente nelle sue stanze.
Merlin non aspettò molto, Freya – non se ne sorprese affatto, tanto era scontato che dovesse essere così – aveva fatto sì che l'acqua per il bagno fosse già lì al suo rientro, conscia del fatto che il suo padrone ne avrebbe usufruito molto volentieri, e a lui bastò un guizzo dorato, mentre lentamente si avvicinava e al tempo stesso si sfilava le vesti, per farla salire alla temperatura giusta, poi vi entrò e si lasciò cullare dalla sensazione di pace e familiarità che lo colpì.
Era strano per lui comportarsi così, perdere il controllo di sé per così poco e sentire la rabbia – o qualsiasi altra cosa avesse provato in quel momento particolare – pervaderlo. Lui era Merlin Emrys, calmo, saggio e talmente conscio della sua superiorità da avere quasi una pazienza velata di pena nei confronti degli altri, tale da non farlo reagire se non nella sua mente, dove giudicava, o a parole, lasciandosi a un incompreso sarcasmo che pugnalava senza essere riconosciuto, data l'altrui stupidità.

La missione era stata portata a termine con successo: come Morgana Pedragon aveva miseramente richiesto, Camelot non aveva più un sovrano sul trono, ma non sarebbe stato di certo lui ad avvertirla. Ora che il suo compito era stato svolto, la situazione non lo riguardava più e sarebbero stati unicamente affari della donna.
Neanche la sorte del Re sarebbe stata un'informazione a lei accessibile, perché Emrys per ora non aveva, o non credeva almeno di avere, alcuna intenzione di ucciderlo realmente. Per qualche motivo lo avrebbe tenuto – forse per suo diletto personale, forse come un premio o semplice prigionia, magari per sicurezza e tornaconto – nel castello, piegato al suo volere, ai suoi ordini e alla sua mercé.

Alla sua mente tornò inaspettato lo sguardo che gli era stato rivolto quando il re di Camelot, una volta che lui aveva ripreso le sue sembianze maschili, lo aveva apparentemente riconosciuto, forse per intuito; ripensò a quella rabbia, quella sorpresa, la preoccupazione, la confusione e a quell'accenno impercettibile e allo stesso tempo inebriante di paura che avevano saziato i sensi del giovane stregone, alimentando il suo desiderio di rendersi ancora più in evidenza, di dimostrare apertamente a quegli occhi quanto fosse invincibile e potente.
Come un gioco, un'eccitante sfida.

Merlin in quel confronto di sguardi si era sentito coinvolto, si era sentito vivo.

Restò immerso nell'acqua per più tempo del solito, poi una volta uscito non si fece comunque vedere in giro, rimase nelle sue stanze, consapevole che nessuno si sarebbe azzardato a disturbarlo per nessun motivo.
Lanciò uno sguardo a quel libro che era rimasto sul suo comodino per tutto il tempo da quando era partito e si ritrovò a non aver alcuna voglia di leggere, anzi, la stanchezza lo colse con sorpresa e alla fine si lasciò cadere sul letto e si concesse un po' di necessario riposo: appena toccate le lenzuola, si addormentò.

La sera stava già iniziando a calare quando si svegliò, fuori dalla finestra la luce del sole si stava pian piano facendo da parte, riflettendosi rossastra sulle acque del lago che circondava il castello, e il tramonto portò i pensieri di Merlin altrove, in antri più profondi di quanto avrebbe ammesso.
Quando finalmente si alzò, una semplice maglietta leggera indosso e dei pantaloni un po' consumati ma comodi, decise che era ora di fare una veloce visita al suo prigioniero, per vedere come stava reagendo di fronte a quella nuova realtà.
Si cambiò senza un perché, indossando qualcosa di più raffinato e pesante, più per il giudizio del nuovo arrivato che per quello dei suoi sottoposti, poi uscì e si affrettò a raggiungere Freya, per farsi condurre da lui: la ragazza, però, non riuscì a trovarla e dovette ordinare a un altro di svolgere quel compito.
Scoprì presto che la donna non lo aveva avvicinato per prima perché era ancora da Arthur Pendragon, vergognosamente costretto in una stanza senza alcun conforto materiale, né alimenti, né possibilità di starsene seduto su qualcosa di comodo, come un animale in una scabrosa gabbia, pronto al macello.
L'espressione che lo stregone assunse, fu tale da far gelare il sangue nelle vene alla ragazza, Freya, che esitando calò il capo in segno di sottomissione e rispetto e indietreggiò, desolata: il suo padrone non aveva mai tenuto prigionieri, ma sapeva che non avrebbe accettato di veder così il nuovo arrivato.
“Non ha voluto saperne, signore” quasi bisbigliò, tremante, percependo ancora su di sé la furia crescente in Emrys “ho provato a parlargli, ma–” il rumore della porta che veniva aperta la interruppe: lui era entrato, lasciandola sola e ignorata.

Arthur Pendragon se ne stava seduto in un angolo della stanza semibuia, i gomiti poggiati sulle ginocchia e la testa tra le mani: nel sentire la sua presenza, alzò leggermente gli occhi per guardarlo con diffidenza e quasi disgusto, un sentimento nuovo fra quelli che gli aveva rivolto al loro incontro di quel giorno, un sentimento che lo infastidì e lo fece sentire in dovere di difendersi.

Quella stanza spoglia del castello era umida, bassa e quasi sotterranea, non era neanche arredata e Merlin non l'aveva mai considerata, per questo motivo sentì anche il bisogno di prendersela malamente con l'altra per averlo condotto proprio lì quando era privo di sensi, e per quanto se ne dicesse di lui, non avrebbe mai costretto il ragazzo a quelle condizioni, non ne aveva affatto l'intenzione.
“Seguimi” ordinò serio, dandogli le spalle – se fosse stato intelligente come lui pensava, infatti, non avrebbe neanche lontanamente pensato di attaccarlo all'improvviso – e distogliendo alla fine lo sguardo dal suo, così pieno di giudizio “ti porterò in una stanza più agevole, ti farò preparare un bagno caldo e ti farò portare del cibo” aggiunse distaccato, aprendo la porta di fronte a sé e fermandosi poi un attimo, in attesa di sentirlo fare come gli era stato detto.
Quando non lo percepì, si voltò indietro: Arthur non si era mosso e lo stava guardando sempre allo stesso modo, alimentando il suo fastidio.
Non si ripeté, Merlin, non lo aveva mai fatto e non avrebbe iniziato adesso. Se il sovrano di Camelot non voleva accogliere la sua gentilezza, Emrys non avrebbe insistito, non gli avrebbe dato una tale soddisfazione: se Arthur Pendragon preferiva restarsene lì come una bestia, lo avrebbe lasciato lì con quel suo disgusto e disprezzo insulsi che non facevano altro che irritarlo, come un pizzicore insistente e indesiderato.
Restarono così per un tempo impercettibile, fermi, a guardarsi come se stessero conversando animatamente in quel modo, poi Merlin tornò a dargli le spalle e alla fine uscì, lasciandolo solo, ma trascinandosi dietro una sensazione sgradita e amara.

“Portagli qualcosa” fu tutto ciò che disse a Freya, ancora immobile dove l'aveva lasciata, prima di risalire a passo svelto le scale e andarsene senza voltarsi più indietro, un principio di mal di testa crescente e un senso di rabbia dentro.

Avrebbe cancellato lui stesso dal re di Camelot quello sguardo sprezzante, oppure si sarebbe accertato di dargli un motivo valido per rivolgerglielo.  

 



 

Spazio della psicopatica: 
I'm back e non ci speravo nemmeno, come al solito (succede con tutte le long, damn) mi era preso il blocco! Anzi, mi erano venute idee per altre long merthur ^^"  
Come avevo detto la scorsa volta, questo capitolo era già in fase di scrittura quando ho pubblicato l'altro, ma l'ho finito giusto ora dopo averlo ripreso qualche giorno fa: avrei voluto lavorarci tutto il tempo, ma alla fine, come ho già detto, mi sono bloccata. Sorry. 
Btw, come al solito ci tengo tanto a ringraziare tutti quelli che hanno messo la storia fra le preferite-ricordate-seguite e maar_jkr97 e lululove2 per aver recensito,
mi rendete tanto felice (!)
Fem!Merlin ha già visto la sua fine ahah è stato breve eh! Ma... who knows! Mai dire mai. 
Non so come commentare questo capitolo sinceramente, ho cercato di descrivere un po' cosa passa per la mente del nostro caro Merlin e anche dare un'idea di ciò che pensa per quanto riguarda Arthur: il loro sarà un rapporto(una convivenza?Mm) piuttosto complicato, che cambierà con il tempo e che incontrerà ostacoli di diverso genere... Già dal prossimo comunque sarà finalmente una situazione in cui ci saranno molte occasioni per i due di scontrarsi, ora che comunque sono giunti a destinazione (aka il castello inaccessibile). 
Per il prossimo capitolo mi impegnerò di più! Soprattutto visto che la maggior parte dei compiti e delle interrogazioni sono già passate (?)
Adesso me ne vado, mi aspetta di nuovo la
Divina Commedia, damn, e anche matematicatiodio. 
Se mi sono dimenticata di spiegare qualcosa, come sempre, fatemelo sapere ^^" e spero che questo capitolo vi sia piaciuto. 
Lasciate un pensiero se avete tempo: mi farebbe davvero molto piacere!
Alla prossima, 

Lawlietismine

p.s vi lascio una OS merthur che ho pubblicato tempo fa e a cui tengo: Into the Forest of Fireflies' Light.


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