EXPO Milano 2015 - o di quando Italia venne costretto a organizzare un pigiama party

di Golden Eyes
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Meeting ***
Capitolo 2: *** Pulizie ***



Capitolo 1
*** Meeting ***


"Okay, ora BASTA!"
Il grido dallo spiccato accento tedesco si levò alto nella sala, e nel silenzio assoluto che ne seguì sembrò quasi rimbombare.
Tutti nella grande sala meeting si girarono a occhi sgranati verso Germania.
La scena non era nuova, eppure il composto, pragmatico, essenzialmente tedesco Ludwig che perdeva la calma riusciva sempre a zittire tutti.
Inghilterra aveva smesso di litigare con Francia.
Ungheria era immobile nell'atto di mulinare la sua padella, che in quel momento sostava a circa dieci centimetri dal naso di Prussia mentre Gilbird si tuffava in picchiata nel mezzo per salvare il suo padrone.
Spagna smise di allungarsi a dismisura per cercare di baciare Romano, mentre lui rimase stirato all'indetro tipo limbo, o Matrix, per cercare di evitarlo.
Quanto a Canada, nascose il viso nella lunga pelliccia di Kumajiro, tremante.
Persino Italia, che, seduto alla destra di Germania, lo prendeva in giro con Kiku per la sua faccia che sembrava prossima ad esplodere come ( e qui Romano sarebbe stato orgoglioso del suo fratellino) una patata nel microonde, si era fermato, il labbro che tremava come se stesse per mettersi a piangere dal panico.
"Cercate di essere seri per una volta!" riprese Germania, calmatosi leggermente dopo essere riuscito a ottenere l'attenzione delle altre Nazioni. "Il prossimo punto. Chi ospiterà l'Esposizione universale del 2015?"
"Io no di certo! Ne ho fatte fin troppe!" affermò sicuro Inghilterra, portandosi alla bocca la tazza di tè.
"Je également" asserì Francia. "Una Tour Eiffel basta, avete idea di quanto ci abbiano messo i miei cittadini ad accettarla?".
"Ah, non guardate me, io ho ospitato l'ultima" si levò la voce di Cina.
"E non è stato neanche un granché" aggiunse Russia (che non aveva smesso di sferruzzare neanche dopo il grido di Germania) guadagnandosi un'occhiataccia da parte di Yao.
"Senti, io..." iniziò Cina, ma poi si zittì di colpo. All'improvviso il silenzio calò sulla sala.
Le Nazioni percepirono qualcosa che non andava, lo si sentiva nell'aria.
Lentamente, si girarono verso la direzione opposta al tedesco.
Qui, un inquietante scintillio si levò da un paio di occhiali. L'espressione delle Nazioni si fece via via più terrorizzata mentre la sua bocca si apriva in un sorriso.
"Come al solito" proferì America "tocca a me, l'eroe, salvare la giornata. E so già come fare".
L'atmosfera nella sala era veramente vicina al panico.
Le Nazioni trattennero il respiro, mentre il dito indice di America si levava verso un punto della sala. Qualcuno sarebbe finito male. Andava sempre così quando America aveva un'idea.
E stavolta, il povero malcapitato era Italia.
"Italy! Propongo te per organizzare l'Esposizione. Con la tua cultura e i tuoi bei paesaggi, sarà perfetta!"
Italia non si premurò di ricordare per l'ennesima volta che i paesaggi che intendeva America non erano suoi ma di suo fratello Romano. Questi però non poté fare a meno di lasciare un lungo sbuffo, che fece sorridere Spagna sotto i baffi.
Inaspettatamente (ma non troppo) le altre Nazioni sembravano quasi contente che la falce di America non si fosse abbattuta sulla loro testa, e si affrettarono a farsi vedere d'accordo.
"Mon petite frére, è dal 1906 che non ne organizzi una" disse Francia con un sorrisino.
"Ma anche Romano rappresenta l'Italia" si lamentò debolmente il ragazzo.
Il suddetto guardò male suo fratello, come a dire non ci pensare neanche.
"Ti sembra che Romano sia in grado di organizzare un evento del genere?" osservò ironicamente Inghilterra, che stava bevendo la stessa tazza di tè di prima. "Probabilmente il giorno dell'apertura direbbe che non ha fatto niente perché non aveva voglia".
L'oggetto di tale rimprovero arrossì. "Senti un po', inglesino del cazzo..." iniziò, ma per fortuna Spagna interruppe in fretta quello che si prevedeva come un monologo particolarmente colorito. "Lovinito, ha ragione lui."
E dire che ce ne voleva per fare in modo che Spagna desse ragione alla sua inglese nemesi. Ma sulla svogliatezza del suo querido c'era poco da discutere.
"Fanculo" borbottò Romano.
"Beh, quindi, se siamo tutti d'accordo" disse Germania. "Italia, la prossima Esposizione sarà da te>".
"Ma... la crisi...." pigolò Italia.
"Riuscirai a cavartela" lo liquidò America con un gesto della mano.
A quel punto il ragazzo si lasciò andare a un pianto disperato sulla spalla di un imbarazzatissimo Giappone, che tentennando iniziò timidamente a battergli il palmo sulla schiena mentre con lo sguardo supplicava Germania di aiutarlo.
"Va tutto bene, è solo emozionato" assicurò Germania, dopo aver visto le altre Nazioni iniziare a preoccuparsi. "Gott, Italia, RICOMPONITI!"
"Doitsuuu" ululò lui.
"Bene, dichiaro il meeting finito" disse America. "Potete andare a casa. E ricordatevi sabato prossimo. Sarà il pigiama party migliore di tutti i tempi!", terminò con un sorriso.




Tana dell'autrice
Heeeeey!
Ciao a tutti, sono su questo fandom da tipo (brividi polacchi) una vita e questa è la prima fic che pubblico. Vi prego, abbiate pietà della mia povera anima :O
Se vi piace la storia, lasciatemi una recensioncina-ina-ina... cioè, lo so che inserire le recensioni è un'autentica rottura di palle, perché poi devi riaprire tutto eccetera eccetera... ma... *prega*
Un bacino ciascuno,
Golden Eyes-

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Capitolo 2
*** Pulizie ***


Nein.
Quello fu il primo pensiero di Germania quando vide le condizioni della villetta di Italia.
"Ve, che c'è, Doitsu?". Italia si rabbuiò leggermente quando vide l'espressione di Germania. "Avevi promesso di aiutarmi, ve?" gli ricordò, facendo il labbruccio.
Germania sospirò. Stava per dirgli che non si aspettava una cosa del genere, che non ce l'avrebbero mai fatta per quella sera, che per ospitare tutte quelle persone probabilmente casa sua neanche bastava. Ma non poté farlo quando vide la faccia di Veneziano.
Era successo fin troppe volte.
Avrebbe dovuto imparare la lezione.
Ma anche stavolta non riuscì a fare altro che stringere Feli tra le braccia e dirgli: "Non ti preoccupare. Ce la possiamo fare".
"Ve!" esclamò Italia, nuovamente sorridente e pimpante. A volte Germania si era chiesto se gli occhioni da cucciolo non li facesse soltanto per muoverlo a pietà e vedere le proprie richieste esaudite. "Mettiamoci al lavoro!"
Italia entrò in casa e Germania lo seguì deglutendo.
Quel posto era l'antitesi dell'ordine e di tutto ciò in cui Germania credeva.
C'era cibo ovunque. Cartacce per terra. Polvere e tele sparse ovunque.
Veneziano non era mai stato ordinato, ma quel che per lui e suo fratello Prussia (che non lo dava a vedere, ma era un maniaco del pulito esattamente come Germania) era disordine equivaleva semplicemente a non piegare i vestiti e lasciare oggetti random in giro. Questo era bel altro.
E Germania sapeva bene chi era il responsabile.
Non appena entrò nel salotto, una figura stravaccata sul divano catturò la sua attenzione.
Romano era addormentato nella posizione meno composta possibile, con un cartone di pizza aperto, rigorosamente vuoto, buttato addosso a mo' di coperta. Al rumore dei suoi passi, arricciò il nasino, uguale a quello del fratello, e aprì gli occhi verdi. "Sento odore di bastardo" mormorò. "Spagna, sei tu?".
"Siamo noi" rispose allegro Feliciano.
"Tu e chi altro, fratello idiota?"
"Doitsu" cinguettò, ignorando bellamente l'insulto che Lovino gli aveva appena indirizzato. "è qui per darci una mano. Non è magnifico?"
Romano fece scattare gli occhi nella sua direzione, poi simulò un brivido. "Il bastardo mangia patate. Stammi lontano, puzzi di cane" asserì.
"è sempre un piacere vederti, Romano" mormorò il diretto interessato. Deciso a sopportarlo stoicamente. Come al solito.
"Ma come hai fatto a conciare la casa così, Italia?"
"Beh, sono stato tutto il tempo a casa tua, ultimamente... però ho lasciato la custodia a Lovino. Non so davvero come sia potuto succedere".
Germania non trovava così improbabile che Romano potesse aver combinato quel disastro tutto da solo. Gli bastava la povera fetta di pizza abbandonata sul televisore come ulteriore prova.
"Fratello, dovresti alzarti, però" accennò timidamente Feliciano a un Romano che non sembrava avere la minima voglia di starlo a sentire. "Dobbiamo sistemare".
Il suddetto gli rispose con un mugugno.
"Eddai!"
"Tuo fratello ha ragione, Romano" provò Germania.
"Non ti azzardare, bastardo" disse lui, improvvisamente sveglio. "E tu sciallati, Feli. Ho già chiamato aiuto".
Un sorriso illuminò il viso di Italia. "Davvero?"
"Ma certo" assicurò Romano. "Voi adesso uscite, andate a prendervi un bel gelato, fate qualcosa, basta che ve ne andate. Ai miei collaboratori non piace essere guardati mentre lavorano". Ammiccò, con un'espressione che sembrava tanto il ghigno di un supercattivo.
La cosa puzzava. Soprattutto perché Lovino non avrebbe mai voluto che il suo prezioso fratellino andasse in giro da solo con Germania.
Il tedesco non l'avrebbe mai lasciato a casa da solo.
Ma Italia era di tutt'altro avviso, perché sembrò davvero sollevato. "Grazie, fratellone! Sapevo che potevo contare su di te!" trillò, e trascinò Germania fuori dalla porta.
Germania lo sapeva che non avrebbe dovuto fidarsi di Sud Italia.
Ma non si aspettava davvero una cosa del genere, anche se forse avrebbe dovuto.
Aveva avuto un brutto presentimento per tutta la sera.
Quando Italia lo aveva obbligato a occhioni a mangiare un gelato a cinque gusti, quando gli aveva sporcato il naso apposta, quando aveva innocentemente proposto di baciarlo “alla francese” (per fare pratica con una nuova tecnica del suo fratellone Francia, aveva spiegato), quando Germania aveva acconsentito.
Quando erano tornati da Romano, Italia contento perché era sinceramente convinto che avrebbe finito, Germania sempre più inquieto, la scena che si erano trovati davanti era quantomai preoccupante.
Tanto per cominciare, Romano era ancora stravaccato sul divano. E intorno a lui, degli uomini in giacca gessata e borsalino spostavano quadri, passavano l'aspirapolvere e lavavano i vetri.
Germania guardò Italia, che sembrava paralizzato dal panico. Dopo minuti che sembrarono interminabili, si decise a parlare. E un'aura scura lo circondò.
"Romano."
"Sì, fratellino?" ghignò lui, mentre uno degli uomini in nero gli porgeva un panino. "Oh, finalmente".
"Mi scuso, signore".
"Fratellone. Fammi capire" riprese Italia, mentre la sua aura si faceva sempre più scura. "Questi signori che hai fatto venire qui. Come ti è venuto in mente?"
Lo sguardo verde di Romano si spalancò. Probabilmente aveva capito di essere nei guai. Veneziano quando si arrabbiava non era da sottovalutare, e lui lo sapeva molto bene.
"Come ti è venuto in mente... di farti aiutare... DALLA MAFIA?!" strillò nel tono più acuto possibile, quindi entrò come una furia in casa. "Fuori! Fuori! Vi farò arrestare tutti!"
"Sì, certo" mormorò qualcuno uscendo.
"Calmati, Feli" disse Romano.
Veneziano lasciò andare un sospiro. "Già, hai ragione. Adesso ci impegnamo e riusciremo a fare tutto in tempo.... ma prima ci vuole un piatto di pasta!"
Romano rise e tornò sul divano. "Sì, sì, fratellino. Ora però lasciami dormire".
Germania però non era dello stesso avviso.
"Adesso basta, ragazzi. MUOVETEVI E SISTEMATE QUESTO POSTO!"
"HAI ROTTO!" urlò Romano. Il suo cellulare suonò, e lui guardò lo schermo. "E tieni a bada quella schizzata della tua Cancelliera, dannazione! è peggio di una stalker!"
"Solo quando quell'idiota del vostro premier si sveglierà!" gridò il tedesco di rimando.
Veneziano si immobilizzò nell'atto di pesare gli spaghetti sul grande tavolo da pranzo a qualche metro dal divano, gli occhi lucidi e il labbro tremante. "Come puoi dire una cosa del genere" mormorò con un filo di voce. "Come puoi dire che il nostro premier è un idiota? Lui sta risollevando il nostro paese dalla crisi, ed è il miglior capo che abbiamo mai avuto!" disse con un tono melodrammatico degno di Francia, le lacrime di commozione che ormai scendevano senza sosta. Ancora una volta Germania pensò che passava davvero troppo tempo con quell’idiota.
Romano sospirò, poi andò verso l'armadietto sotto il piano cottura, passando di fianco a suo fratello e dicendogli qualcosa tipo sì, fratellino, l'importante è che ci credi. Feliciano non parve cogliere la nota di sarcasmo nella voce di Sud Italia (e ce ne voleva perché il sarcasmo di Romano non era mai abbastanza delicato) e si sentì consolato. Così trotterellò verso il sottoscala, seguito da Germania.
5 ore all’ora x.
***
“HHHAAALOOOO!”
Un grido rauco fendette l’aria immobile del pomeriggio.
Germania alzò gli occhi dallo specchio che stava pulendo. Che cosa vorrà?, si chiese, e andò verso la direzione da cui proveniva l’urlo.
“Che ci fai qui, bruder?” chiese, uscito di casa.
Qui, sulla veranda, il magnifico Regno di Prussia, alias suo fratello Gilbert, stritolava in un abbraccio Feli, che ricambiava con entusiasmo sotto lo sguardo di disapprovazione di Romano.
Germania aveva smesso di essere geloso di suo fratello. Per anni era stato teso a pensare che tra di loro ci fosse qualcosa: rimaneva convinto che Gilbert fosse più attraente di lui (perché gli albini anoressici schizzati battono sempre gli aitanti biondoni dagli occhi azzurri) e lui e Feli erano tremendamente in sintonia. Ma alla fine aveva capito che tra i due non c’era altro che amicizia. Un’amicizia abbastanza ambigua, ma comunque amicizia.
“Niente di che, passavo” rispose Gilbert, abbracciando anche Romano. A nulla servì al ragazzo sbattergli con forza inaudita un giornale arrotolato sulla testa argentea. “Ho sentito che si fanno pulizie qui, West”. E qui il suo tono si fece inquietantemente serio. “Le pulizie mi chiamano”.
Detto questo prese un flacone di detersivo dalle mani di Romano e lo straccio che da un bel po’ sostava sulla testa di Veneziano, senza che né lui, né Lovino si accorgessero di nulla, ed entrò in casa chiudendo la porta.
Neanche il primo potente tonfo, primo di una lunga serie, che si sentì spezzò l’immobilità che si era creata.
Ma riuscì nell’impresa un morbido “hola” proveniente da dietro di loro.
Dal cancelletto di ferro battuto spuntava il viso sorridente di Spagna.
“Oh, no, un altro bastardo” mugolò Romano, ma non riuscì a sfuggire all’abbraccio da orso dello spagnolo. In sua difesa, però, c’è da dire che aveva perfezionato la tecnica con cui schivava i suoi baci-proiettile.
Ma sulle palpatine ci stava ancora lavorando, perciò non riuscì a ritrarsi quando Antonio gli assestò una delicata ma decisa pacca sul sedere.
Sud Italia arrossì. “Tu, brutto…”
Bonjour!” li interruppe un’altra voce. “Angleterre, avanti. Saluta”
Good afternoon” disse Inghilterra. “L’avrei fatto anche senza che me lo dicessi, sai”.
Germania scosse la testa. “Che ci fate qui? L’esposizione inizia tra più di tre ore”.
“Oh, lo sappiamo” cinguettò Francia, in un modo che in qualche modo gli ricordava Italia. “Sono venuto a vedere come vanno i preparativi, e nel caso a dare una mano al mio fratellino.”
“E mi hai trascinato qui con la forza” borbottò Inghilterra.
“Shh, tesorino, mangiati uno scone.”
“Non li mangio i tuoi scones!”
“Ma ammetterai che sono meglio dei tuoi” sorrise il francese, e gli cacciò in bocca un biscotto. L’inglese bofonchiò a bocca piena che quelli non erano scones, ma non poté negare che erano meglio di qualsiasi cosa lui avesse mai cucinato. Non che ci volesse molto.
“Nii-chan!” trillò Italia, e salutò Francis con un abbraccio.(Quanta gente aveva ancora intenzione di abbracciare? si trovò a pensare Germania. Non che fosse geloso, eh. Neanche per idea)
"Feli, che bello vederti" miagolò Francia. "Ma cos'è questo rumore?"
. "Oh, solo Prussia che pulisce. Non ci fare caso" rise Feli.
“Beh, se hai intenzione di dare una mano” iniziò Germania. “Ci sarebbe da sistemare il giardino”.
Il giardino della villetta di Italia era piccolo e raccolto, e c’erano solo alcune foglie per terra. Ma nessuno sembrava avere la minima intenzione di interrompere Prussia.
Il quale si affacciò dalla porta. “Finito” asserì con un enorme sorriso. “Ciao, Francis! Antonio. E ora, CANDEGGINA!” disse eccitato, e rientrò.
(Sì, erano passati nemmeno venti minuti).
Stavolta qualcosa si mosse nei Vargas, perché Romano gli andò dietro, berciando: “Non ti azzardare, tu quella roba sui miei pavimenti non la metti!” seguito da suo fratello, meno infervorato ma ugualmente convinto.
Germania andò in casa con loro, insieme agli altri.
Neanche a dirlo, questa splendeva, e nell’aria aleggiava un odore asettico tipico del detersivo disinfettante.
“Aaah! Grazie, Prussia!” e Feliciano gettò le braccia al collo di Gilbert.
Un’altra volta.
“È stato un piacere, Feli-chan. Ora ci sono da nascondere gli oggetti che si potrebbero rompere. Non ci andranno leggeri”.
“Cazzo” fu il commento da parte di Romano.
1 ora all’ora x.
***
“Okay, abbiamo finito”.
Italia, Romano, Germania, Prussia, Spagna, Francia e Inghilterra (che più di tanto non aveva aiutato, ma sicuramente era stato più utile di Francis) si appostarono sulla porta a rimirare la loro opera.
Il divano in sala era stato spostato per fare spazio a una pista da ballo improvvisata, coronata da alcune luci che Prussia aveva montato, in equilibrio alquanto precario, sul soffitto. La cucina era stata attrezzata a buffet, e Francia, il cui gusto per la decorazione si era fatto sentire, aveva concordato con i Vargas alcune decorazioni da giardino, tra cui spiccavano lanterne appese in giro e lucine che andavano a decorare i rami degli alberi.
“Perfetto” mormorò Germania. “Ora c’è solo da sperare che vada tutto bene”.
1 minuto all’ora x.



Angolo dell'autrice
HAAAALOOOO! A distanza di due mesi e quando ormai non siamo neanche più nel 2015, eccomi che aggiorno questa FF.
Mi scuso, ma davvero ho avuto una vita travagliata. A cominciare dai problemi con la connessione.
Ad ogni modo, spero che il nuovo capitolo vi piaccia e beh, le recensioni, anche critiche, sono sempre ben accette ^^


Mi prendo una riga per spiegare quello che sembrerebbe un OC bello e buono, cioè quello di Prussia.
Forse molti non lo sanno, ma Gilbert ha la mania delle pulizie e dell'ordine esattamente come Germania. Io ho semplicemente immaginato questo suo tratto unito alla sua personalità leggermente, diciamo, iperattiva u.u
Questa invece è una mia headcanon personale: Prussia ama il colore bianco, perché gli ricorda sé stesso ovviamente, e quindi mette la candeggina ovunque.

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