Love me two times.

di ThisisAlice
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Uno. ***
Capitolo 2: *** Due. ***
Capitolo 3: *** Tre. ***
Capitolo 4: *** Quattro. ***
Capitolo 5: *** Cinque. ***
Capitolo 6: *** Sei. [First Part] ***



Capitolo 1
*** Uno. ***


Author's corner.

Scusate l'intromissione, sono di nuovo io con un'altra fanfic. Il caro vecchio Michael mi dà sempre ispirazione per scrivere nuove storie. Ovviamente continuerò "Just take a breath", però volevo un'altra storia con un'altra dinamica: Michael Holbrook Penniman Junior non sarà il solito cantante famoso, bensì sarà un professore di ventiquattro anni.
Come alcuni di voi già sanno, non pubblicherò alla fine del capitolo alcun tipo di "spazio dell'autore", in quanto preferisco (e spero) siate voi a dirmi qualcosa sulla storia. Se avete perciò consigli, critiche o commenti da fare, siete i benvenuti.
Detto questo spero vi piaccia :)
-Alice


 


 


 

Uno.


 

Jamie Annabeth Lester. Lester Jamie Annabeth.
Forse meglio solamente Jamie.
Capelli castani e mossi, occhi nocciola. Alta e abbastanza magra.
Una persona comune come tante altre. Niente di più, niente di meno.
Sì, sono io.
Anche stamattina la sveglia suona, anche stamattina il freddo londinese mi fa venir voglia di non muovermi dal mio letto, ma anche stamattina devo andare a scuola. Così mi alzo, rinunciando a stare al caldo sotto le coperte e vado verso la cucina, dove mi aspetta mio padre Erick sorridente.
E' un uomo speciale, mio padre. Ogni mattina, da quando è morta mia madre, mi aspetta per fare colazione insieme, anche se è in ritardo. Sono orgogliosa di lui, di come abbia affrontato la perdita di sua moglie e di come l'abbia fatta affrontare a me. Ne siamo usciti insieme e insieme ce la caviamo, sempre.
Mia madre Jenna ci manca, ma abbiamo imparato a resistere e a vivere la vita così com'è perchè non si è mai sicuri di cosa possa accadere. E' anche per questo che facciamo colazione insieme ogni mattina. Poi, il suo lavoro di dirigente aziendale fa sì che spesso non ci vediamo durante il giorno o addirittura per weekend interi. Ma non è un problema per me, e neanche per lui.
Siamo abbastanza in sintonia, forse anche per il fatto che lui è molto giovane, considerando che tra noi corrono solo ventuno anni e io ne ho appena finiti diciannove.
«Ciao piccola J» mi dice lui, alzando gli occhi da uno degli articoli del Daily Mirror. Deve essere interessante, visto che di solito non si sofferma a leggere il giornale.

Mugugno qualcosa di risposta, simile ad un buongiorno. Sa che la mattina non riesco a pronunciare mezza parola e che il massimo che si può aspettare è questo, perciò non si lamenta del saluto non ricambiato.
Appena finisce di leggere il Mirror, lo posa sul tavolo e scende dallo sgabello per mettere la sua tazza nel lavandino. Mi porge così il mio cappuccino, che ogni mattina mi prepara.
Ora è finalmente iniziata la mia giornata. Non potrei fare a meno del mio speciale cappuccino preparato da mio padre, è come un rito. Mi dice qualcosa che ovviamente non riesco a capire a causa del sonno che ancora pervade in me, ma a cui io annuisco senza provare a intuire niente. Probabilmente mi stava dicendo che stasera avrebbe fatto tardi e che quindi non avrei dovuto aspettarlo alzata.
Le mie ipotesi si confermano nel momento in cui se ne va, lasciandomi un bacio sulla testa, e dicendomi che ci saremmo sentiti in giornata, visto che a cena non ci sarebbe stato.
Ok, ora sono finalmente nel più totale silenzio. La musica della radio prontamente parte, segno che sono le 7.40 e che perció devo sbrigarmi per andare a scuola.
Dopo circa venti minuti sono pronta: vestita, lavata e truccata in tempo record. Afferro le chiavi della macchina e lo zaino, ringraziando ogni dio di mia conoscenza per il fatto che oggi non avremmo fatto niente, visto che si presentava il nuovo professore di algebra. Sai che emozione.
Apro lo sportello, entro nella mia adorata Mini e lancio letteralmente lo zaino da qualche parte sui sedili posteriori. Percorro il vialetto di casa mia e imbocco la prima traversa a sinistra verso Shoreditch per andare a prendere la mia amica Kate, che nonostante i suoi diciott'anni compiuti non si decide a prendere quella dannata patente.

Così mi ritrovo a fare da taxi da oltre un anno a una ragazza squinternata, con tutto il traffico mattutino che c'è a Londra. Ci impiego infatti venti minuti buoni, tra varie imprecazioni a guidatori non proprio capaci e ai numerosi semafori rossi che becco.
Appena fuori da casa della famiglia Oustin, suono due volte il clacson per far capire alla mia amica di essere arrivata. «Ehi Jams!» mi saluta lei, appena entra. E' particolarmente sorridente, questa mattina. Beata lei, penso, io vorrei davvero capire che c'è di così entusiasmante a quest'ora del giorno.
Kate è una forza della natura e, fin da bambina, era lei che mi trascinava verso quelle che sono state le nostre migliori avventure. Io e lei siamo gli opposti, infatti. Fosse per me, potrei benissimo stare sdraiata sul letto per sempre e invece lei è una di quelle persone non iperattive, di più.
Anche fisicamente siamo completamente differenti: io ho i capelli castani e gli occhi dello stesso colore, la carnagione chiara e le labbra carnose, lei ha i capelli biondi e gli occhi verdi, le labbra sottili e sembra sempre abbronzata, nonostante fossimo addirittura a gennaio o febbraio.
Tuttavia, insieme funzioniamo alla grande. Siamo come due pezzi di un puzzle che si incastrano perfettamente, siamo come parte di uno stesso organo.
Ancora mi ricordo la prima volta che ci siamo viste: era all'asilo, un bambino la stava prendendo in giro perchè non sapeva disegnare e io, da macho quale ero, ero andata là e avevo iniziato a rispondere a tono a questo piccolo stronzo. Non ricordo bene le parole che avevo usato, ma il risultato fu notevole. E infatti, il piccolo stronzo in questione se n'era andato via con la coda tra le gambe.
La faccia che fece Kate dopo aver visto la scena, però, ancora me la ricordo. Era un misto di ammirazione, felicità e tenerezza. Inutile dire che da quel giorno non ci siamo più separate.

«Che voglia di vivere che hai Jamie» mi sbeffeggia, non avendo ricevuto in risposta niente di più che un'occhiataccia. Mi scappa un sorriso anche a me, mentre la ragazza seduta accanto a me continua a prendermi in giro. Il breve viaggetto che siamo suol compiere tutti i giorni da settembre prosegue, tra commenti poco gentili su qualche professore e ritornelli di canzoni in onda su Radio 1.
Per nostra grande fortuna siamo arrivate a scuola e come ogni mattina, parcheggio la mia macchina il più vicino possibile all'uscita o all'entrata, dipende dai punti di vista.
Sbatto lo sportello con più forza del dovuto visto che stamattina è una di quelle giornate in cui sarei volentieri restata a casa, per poi andare insieme a Kate verso il cortile dove ci aspettano Martha, Denise e Spencer. Con una camminata non troppo leggiadra le raggiungiamo e le salutiamo, venendo ricambiate.
«Che avete stamattina?» chiedo alle altre, sperando che qualcuna di loro abbia almeno una lezione in comune con me. Le loro risposte non tardano ad arrivare e, per mia grande fortuna, scopro che la prima ora sono in classe di trigonometria con Kate e dopo le restanti ore con Spencer.
Ebbene sì, la scuola è iniziata da circa un mese e mezzo e ancora non mi ricordo l'orario delle lezioni. In effetti riesco ad impararlo solo a maggio, ma mi risulta molto inutile la cosa, visto che a giugno si chiudono i battenti.
«Nick ti sta guardando» mi sussurra all'orecchio Martha per non farsi sentire dal diretto interessato. Sbuffo, chiudendo l'armadietto e girandomi verso di lei, che prontamente mi indica la direzione con un cenno di capo. Così, mi volto e faccio incontrare i miei occhi con i suoi, che però fuggono il mio sguardo e riprendono a fissare Lucas, che intanto sta dicendo qualcosa.
Anche io ritorno a fissare la mia amica, alzando le spalle e ricordandomi quanto io sia stata stupida ad essere uscita con un tizio del genere.
Io e Nicholas siamo stati insieme, o meglio siamo usciti insieme, per circa due mesi fino a quando io mi sono resa conto di che persona fosse in realtà. La mia cotta per lui era stata di dimensioni colossali, fin dal terzo liceo e nel momento in cui lui, capitano della squadra di baseball della scuola, si era accorto di me, credevo di star praticamente sognando. E' per questo che non avevo avuto dubbi sul rispondere di sì quando mi aveva chiesto di uscire, esattamente tre mesi fa.
Se all'inizio era tutto rose e fiori, non si può dire la stessa cosa dell'ultimo periodo. Nick era infatti un vero e proprio stronzo, di quelli che difficilmente potevano esistere. Mai avrei giurato che fosse fatto così, eppure..
Non che non mi trovassi bene con lui, ovviamente a me piaceva stare ai suoi giochetti e molto spesso ero io a stuzzicarlo, ma lo facevo solo per cercare di fargli provare qualcosa. Ma ogni volta non ci riuscivo e lui si dimostrava sempre più indifferente. In poche parole, si ricordava di avere una ragazza solo quando qualcun'altro ci provava con me o quando i suoi amici non erano nei paraggi.
All'inizio giustificavo anche il suo comportamento, insomma era il ragazzo più bello che avessi avuto e finalmente potevo dire di stare con la persona che desideravo, ma poi mi ero resa conto di quanto la sua presenza nella mia vita era dannosa.
Le ultime settimane in cui ci frequentavamo, a causa del suo comportamento abbastanza menefreghista, erano diventate davvero un casino. Me la prendevo con tutti e avevo iniziato a trascurare lo studio per cercare di capire qualcosa nella nostra 'relazione'.
E' stata la mia migliore amica ad aprirmi gli occhi e a farmi rendere conto di come stava procedendo la mia vita. Così più o meno un mese fa l'ho lasciato, senza tanti giri di parole e da quel giorno credo abbia preso la sua prima vera batosta.
Ed ora eccoci alla situazione di partenza, solo con il risultato che a me non fregava più niente di lui, mentre Nick ancora si ostinava a volerci riprovare di nuovo promettendomi che sarebbe cambiato.
Scuoto la testa, pensando a quanto stupida sia questa cosa: lui avrebbe dovuto crescere un po', ma non era possibile che l'avesse fatto nel giro di soli trenta giorni. «Andiamo Jams?» mi riporta alla realtà la voce di Kate. Annuisco, prendendo al volo i libri e i quaderni e sentendo la campanella suonare. Buon altro giorno di scuola a noi.

 

 

 

«Oddio che strazio che è la signorina Mejer» impreca Denise, buttando letteralmente il vassoio sul tavolo, ricevendo poi il consenso di tutti i presenti.
Le lezioni mattutine sono finalmente finite e grazie a Dio, ci restano più solo altre due ore di algebra con il nuovo supplente.
Ora stiamo tutti insieme, noi ragazze e i nostri amici, alla mensa non troppo buona della scuola. «Qualcuno di voi ha visto Jacob?» chiedo in generale mentre inizio a rigirare con la forchetta quella che dovrebbe essere una cotoletta, ma che di cotoletta ha ben poco.
Rinuncio così, senza neanche tanti dispiaceri, a mangiare la mia carne e concentro l'attenzione su Max, che dopo aver fatto una faccia schifata per il cibo scandente che ci servono qui, mi risponde. «Dovrebbe arrivare a minuti, credo. Almeno così ci aveva detto» mi assicura lui. Anche a me l'aveva comunicato, ma ancora non si è visto e se ha intenzione di lasciarmi le ultime ore a scuola da sola, credo che l'ucciderò.
Jake è il mio migliore amico dalla terza elementare, da quando si è trasferito dalla Virginia a Londra, nel mio quartiere. Anche se devo ammettere che all'inizio lo odiavo, perchè si credeva il bambino più bello del mondo e quindi si atteggiava a fare lo spaccone, per quanto un bambino di otto anni possa farlo.
Un giorno però io e Kate avevamo distrutto uno dei giocattoli di un'altra bambina e lui, vedendoci quasi sull'orlo del pianto, ci aveva salvato e si era preso lui la colpa. Da quel momento, non eravamo più solo Jamie e Kate, ma Jamie, Kate e Jacob. J-K-J, il trio delle meraviglie.
Poi erano arrivate Martha, Spencer e Denise per noi e Max, Tyler e Liam per lui. E oramai eravamo diventati un gruppo unito, che usciva insieme e che si divertiva insieme.
La campanella suona e ci segna l'inizio di quelle altre due ore di imprecazioni. Per fortuna, almeno io posso star tranquilla visto che oggi, essendoci questo supplente, non dovremmo in teoria fare niente.
«Ma dove cazzo stai, Jake?!» chiedo dall'altro capo del telefono, non appena sento la sua voce pimpante rispondermi. «Ti prego, non puoi lasciarmi da sola così!» lo rimprovero poi, con un tono decisamente sofferente e dispiaciuto. Ma per tutta risposta lui mi attacca. Cioè, mi ha chiuso il telefono in faccia? Nonono, non ci siamo.
Inizio a inultarlo e a maledire il mio migliore amico. «È proprio vero, amici amici e poi ti rubano la bici. Glie a farò pag...» una risata interrompe le mie varie imprecazioni e i miei piani malefici, che già stavo programmando. È lui, più divertito che mai.
«Non ti avrei lasciata sola, Jamie lo sai» mi dice, il bastardo, prima di circondarmi le spalle con un suo braccio e trascinandomi verso la nostra classe mentre io, ancora furiosa, lo seguo come un cagnolino.
Appena prendiamo posto vicini e infondo, gli do un pugno sul braccio. «Perchè l'hai fatto?» mi domanda sconcertato lui, continuando a massaggiarsi il punto dove l'ho colpito.
«Perchè sei un'idiota e non mi hai detto quando saresti arrivato e mi hai chiuso il telefono in faccia e mi volevi far credere che non saresti venuto e mi hai preso anche in giro e basta, tutto qui. Ah no, anche per quando mi avevi rubato le caramelle alla menta! Quindi te lo sei meritato» inizio ad elencargli i vari motivi, mettendocene anche in mezzo qualcuno di stupido.
«Ma è successo quando avevamo nove anni! Non è possibile che ancora mi rinfacci una cosa del genere» dice il ragazzo accanto a me, scuotendo la testa piuttosto allibito. 
«E' lo stesso, bell'imbusto» replico io, per poi poggiare la testa sul suo braccio muscoloso e chiudere gli occhi.
Dovrebbe smettere di andare in palestra, ha troppi muscoli e io sto scomoda. Preferisco di gran lunga quando aveva le braccia molli, quello si che era un cuscino come si deve.

«Buongiorno ragazzi! Sono il vostro nuovo supplente!» dice una voce piuttosto giovanile. Apro di scatto gli occhi e mi tiro su, curiosa di vedere lo strano e noioso tizio a cui piace insegnare la matematica. Appena lo vedo, resto scioccata, come più o meno tutta la classe e Jake accanto a me. E io che pensavo che ci sarebbe toccato un vecchio con la barba e i capelli brizzolati o una donnetta paffutella con gli occhiali.
Un ragazzo giovane di un metro e novanta, credo, ci si presenta davanti. Deve aver più o meno ventiquattro-venticinque anni e poi è bello. Davvero davvero bello.
Non devo essere l'unica a pensarlo, visto che le altre mie compagne stanno praticamente avendo gli occhi a cuoricino e stanno perdendo bava dalla bocca. Ma che schifo.
E' comunque un nostro professore, diamine. Contegno. . Potrebbe fare schifo come professore o essere uno stronzo tirato con i voti, per quando posso saperne.
Dopo aver ricevuto un 'buongiorno' dalle ragazze con un tono del tutto sognante e un altro dai ragazzi non proprio contenti, il nostro nuovo supplente figo inizia a scrivere il suo nome alla lavagna.
Michael Holbrook Penniman Junior. Nome di merda, ma fisico per niente di merda.
Mio caro Michael, sarai il mio nuovo professore preferito.

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Capitolo 2
*** Due. ***


Due.


 


 


«Ma è giovanissimo per fare il professore!» esclamo dando voce ai miei pensieri. Oops, credevo di averlo detto a voce bassa e invece mi ritrovo una quarantina di pupille girate verso di me, tra cui anche quelle del diretto interessato.
«In effetti sì, ho ventiquattro anni» risponde lui, ridendo e continuando ad osservarmi, cosa che mi fa venire voglia di sotterrarmi esattamente come fanno gli struzzi. Abbozzo un sorriso, sentendo le mie guance colorarsi a causa dell'imbarazzo e mi rifugio nel braccio di Jake, che se la ride per la grande figura di merda che ho appena fatto.
Comunque, ho indovinato sull'età del professor Holbook? Professor Penniman? Mi sporgo verso il mio compagno di banco e gli domando in che modo lo dovrei chiamare, visto che la questione mi sta risultando parecchio complicata. «Ehi J, con quale dei cinquecento nomi dovrei chiamarlo?» chiedo, di nuovo con un tono decisamente troppo alto.
Sì, il professore si è di nuovo accorto dei miei commenti e prontamente smette di rivolgersi a Kayla, con la quale aveva già intavolato una conversazione sul programma di algebra che dovremmo affrontare.
«Chiamami, anzi chiamatemi, Professor Michael» spiega, mentre continua a rivolgersi più a me che al resto della classe «non mi piace che si usi il mio cognome perchè, come hai detto, risulta essere complicato» conclude sorridendo. Inutile dire che Jake si sta praticamente sbellicando e che io, come una povera rincoglionita, sto fissando il ragazzo alla cattedra senza riuscire a dire niente e decido di non farlo neanche per la prossima ora, per non rischiare qualche situazione del genere.

«Smettila di ridere, tu» lo rimprovero offesa, dandogli uno schiaffo su una spalla, ricevendo una faccia addolorata come risposta da parte di quest'ultimo. «E tu smettila di picchiarmi! Mi stai praticamente uccidendo!» reclama, poi, guardandomi male.
I nostri battibecchi terminano almeno per il momento, anche se avrebbero potuto continuare all'infinito, dalla voce di Penniman che intanto ha iniziato a fare l'appello. Siccome Jacob non intende socializzare con me fino a quando io non smetto, a detta sua, di “trattarlo male”, inizio a prestare attenzione verso il mio nuovo professore.
Osservandolo minuziosamente, mi rendo conto che è molto più bello di quello che inizialmente avevo pensato. Era di una bellezza particolare e disarmante, che ti colpisce immediatamente, accecandoti.
Credo sia la prima persona a cui i capelli, ricci, castani e scompigliati, stanno bene così come sono, senza doverseli sistemare. Gli occhi grandi, ma non troppo, sono profondi come se avessero tanto da raccontare e il colore, un nocciola caldo e liquido, che non fa altro che approfondire la mia curiosità. La bocca non è tanto sottile, ma neanche troppo accentuata. Non assomiglia a quella di un principe azzurro, anzi, sembra quella di un ragazzo che sorride poco, ma che quando lo fa ti blocca il respiro.
Era un soggetto giovane, ma aveva espressioni mature. Perlomeno quando diventava serio tutto a un tratto, quando ragionava su qualche domanda fattagli da un alunno, o quando parlava semplicemente della sua materia. Gli si formava una rughetta sulla fronte e le sopracciglia, curate, si corrugavano.
Sarei stata ore ad osservare ogni suo piccolo particolare, c'era così tanto da scoprire su quest'uomo, eppure la sua voce ovattata mi ha fatto riprendere da questo stato di trance. «Jamie Lester»
Alzo la mano, pronunciando un 'presente' abbastanza flebile, sono ancora imbarazzata per le due figuracce di prima e per averlo studiato così tanto. Era come se fosse proibito, come se avessi fatto qualcosa che non dovevo. Mi stavo sentendo colpevole, ma per cosa?
Evito di guardarlo per il resto dell'ora, nonostante la sua voce, che spiega già i primi argomenti di algebra, mi arrivi comunque chiara e forte alle orecchie e mi limito a disegnare qualsiasi cosa attiri la mia attenzione sul mio quaderno. Avrei parlato anche con Jake, ma purtroppo il mio carissimo migliore amico ha deciso di dormire e, visto che stiamo nell'ultima fila, non posso neanche svegliarlo con la scusa che l'abbiano visto.
Guardo l'ora, sperando che la lezione, di cui non ho ascoltato assolutamente niente, sia finita. Il telefono segna le 15:28, due minuti e ce andiamo.
Provo a svegliare Jake, che per tutta risposta mugugna in qualcosa simile a un 'vaffanculo'. Già che non mi ha parlato per tutto il tempo, ora mi insulta anche. Decido di non colpirlo, sta volta, altrimenti ci saremmo dovuti picchiare peggio di due wrestler in gara per la WWE. Rimarrà qui, affari suoi.
Per mia sfortuna, però, al suono della campanella Jacob si sveglia e fa cadere tutte le mie speranze di vederlo continuare a dormire e di prendersi così un richiamo da Penniman. «Finalmente» bofonchia poi, stiracchiandosi e alzandosi dal banco.
Lo trucido con lo sguardo «Ma se hai dormito tutto il tempo!» esclamo completamente sconvolta dalla sua affermazione. Cioè, parliamone Jacob Kennet, sul serio. Scoppia in una risata fragorosa che solo lui sa fare, mostrando addirittura quelle fossette che tanto mi piacciono e mette un braccio attorno alle mie spalle.
Mentre andiamo verso l'uscita, ci fermiamo a scambiare due chiacchiere con alcuni nostri compagni, i quali molti di loro prendono in giro il mio amico per aver addirittura perso bava mentre dormiva. Il solito.
Non faccio in tempo a oltrepassare la porta della classe 5c per andare con gli altri nel corridoio, che vengo richiamata dal professore, cosa che mi ha fatto ricevere non poche occhiatacce invidiose dalle mie compagne. Ma non presto caso a loro e guardo allarmata Jake, che ricambia il mio sguardo però confuso e alza le spalle, mimando un 'ci vediamo di là'.
Mi giro lentamente verso di lui, confusa e curiosa di sapere cosa voglia. «Mi dica, prof» mi rivolgo all'uomo davanti a me, puntando gli occhi sulla cattedra in quanto non riesco a guardarlo negli occhi.
«Sei tu Jamie Lester, no?» domanda forse più a se stesso che a me. Io comunque, nel dubbio annuisco convinta, invitandolo a continuare. Non credo di mi abbia fermato solo per sapere il mio nome, visto che aveva già fatto precedentemente l'appello.
«Ti chiederai perchè io ti abbia richiamato» continua con una calma che mi sta dando i nervi. Perchè sono così agitata? A scuola vado bene, ho voti alti e lui è un mio professore, esattamente come quella stronza della Mejer e come il Signor Hummel. Eppure c'è qualcosa in lui, che mi provoca un misto di sensazioni, tra cui anche l'impazienza.
«Ho notato, durante la lezione, che non hai ascoltato molto» mi ammonisce «quindi volevo sapere, come mai?» Non ho ascoltato un emerito niente perchè è talmente bello che mi sarei persa ad osservare le sue labbra muoversi e distendersi, vorrei dirgli.
Ma mi limito ad alzare le spalle, imbarazzata e colpevole. «Non mi piace in particolar modo la matematica professore» gli dico onesta. Perlomeno in parte sto dicendo la verità.
In effetti, non sono una fan sfegatata di questa materia, nonostante non me la cavi male. Preferisco le materie letterali, piuttosto che l'algebra. Almeno quelle le capisco senza neanche tanti giri di parole, mentre per quanto riguarda la sua materia, beh, è un agglomerato di lettere e numeri che mi mandano letteralmente il cervello in pappa.
Annuisce, capendomi «Beh, dobbiamo migliorare assolutamente a questo» conclude poi. Cosa? Spalanco la bocca, scioccata dalle sua parole. Non è che ho voti molto alti in questa materia, ma non faccio neanche tanto schifo insomma.
«Mi scusi, sembrerò un po' irrispettosa, ma non penso abbia ragione. Vado bene a scuola e in qualche modo me la cavo, dov'è il problema?» forse me la sto prendendo troppo, ma non capisco quale sia il succo della questione.
Potrà essere bello quanto gli pare, ma è odioso. Ci sono elementi in classe che hanno addirittura l'insufficienza ad algebra e lui se la viene a prendere con me! È uno scherzo, andiamo.
Ora mi sorride, con quel suo solito sorrisino da bimbo che fino a dieci minuti fa mi avrebbe fatto quasi girare la testa, ma che adesso come adesso non trovo più così interessante. «Non so come funzionasse con il tuo vecchio professore, ma ci tengo che i miei alunni comprendano e si interessino alla matematica» dice semplicemente «so che non te la cavi male, ma vorrei che in qualche modo, diventasse una delle tue materie preferite».
Capisco cosa intende, è giusto. In fondo è il compito di ogni professore che si rispetti far piacere la propria materia ai suoi studenti. È che non mi va giù il fatto che se la sia presa solo con me e non con il resto dei miei compagni e non con Jake, per esempio che ha dormito tutto il tempo.
Tuttavia sospiro, arrendendomi. Sa che l'ha avuta vinta e che gli darò retta, perciò sorride contento e batte le mani, esattamente come farebbe un bambino di cinque anni.
«Che devo fare?» domando con aria sofferente all'uomo davanti a me. Quasi quasi preferivo il buon vecchio e rincoglionito professore Karl Stevensoon rispetto a Michael Holbrook eccetera eccetera Junior.
«Non so ancora, vediamo come fa il primo compito e poi decideremo sul da farsi» risponde lui, per poi proseguire, vedendo la mia espressione sorpresa. Compito?Quando? Come? Perchè? «Non hai ascoltato vero?» mi chiede ridendo e sistemandosi con un colpo solo il ciuffo ricciolino che gli era caduto davanti agli occhi.
Mi gratto il collo, arrossendo «Ehm.. No, scusi» ammetto infine, tanto aveva già capito che era come se non ci fossi stata per tutto il corso delle sue due ore.
«Si, lo faremo la settimana prossima. Sulle conoscenze che avete dell'algebra» spiega come se fosse una cosa da niente. Certo, proprio da niente. Io sono andata avanti in questa disciplina grazie alle ripetizioni che mi faceva Lisa, che però si è trasferita a Manchester e che quindi non può più farmele.
Mi esibisco in una delle mie espressioni allarmate e spaventate migliori. Come cazzo faccio adesso? «C'è qualcosa che non va?» mi chiede corrugando le sopracciglia e io, visto che ormai ho fatto già tre figure di merda e che gli ho detto che la sua materia mi faceva praticamente schifo, gli spiego la favolosa avventura della mia insegnante di ripetizioni.
Lui mi ascolta attentamente, annuendo di tanto in tanto per mostrarmi di star seguendo la logica del mio discorso. Fino a quando, boom, un'idea meravigliosa.
«Prof, scusi, ma lei sarebbe disposto a rispiegarmi le cose che non ho capito?» domando speranzosa. Ti prego di di sì, ti prego. Tuttavia appare titubante, giustamente un professore e un'alunna non possono vedersi fuori dall'ambiente scolastico, quindi abbasso lo sguardo imbarazzata e gli dico di far finta che io non glie l'abbia chiesto.
Mi congedo così, salutandolo mentre sento di nuovo uno strano calore sui miei zigomi, segno che sono arrossita e scappo a gambe levate verso l'uscita, senza neanche sentire la sua risposta e senza rivolgergli un ultima occhiata.


 

Appena arrivo nel corridoio inizio a cercare con lo guardo i miei amici fino a quando non li trovo vicino agli armadietti, che stanno parlando con Lucas. Mi addentro così tra le persone che si frappongono tra me e la mia combriccola, ricevendo addirittura qualche gomitata o spintone da parte di individui le cui capacità di coordinazione sono presso che inesistenti.
Finalmente, dopo quella che sembra essere stata una vera e propria impresa, li raggiungo e mi fiondo per cercare di prendere il materiale per la lezione di arte.
Appena mi vede arrivare, Jake mi accoglie con una serie di domande, che richiamano l'attenzione di tutti, su cosa voleva il prof e sul perchè io ci abbia messo così tanto. Mi appoggio a lui come se avessi fatto una maratona e inizio a spiegare la mia chiacchierata con Penniman.
Alla fine del racconto ricevo le prese in giro da parte dei ragazzi e alcune frasi di consolazione da parte delle mie amiche, ma che purtroppo se ne vanno per andare in classe lasciandomi da sola con questi energumeni.
Anche Lucas si intromette e inizia a fare battutine a voce troppo alta da richiamare l'attenzione di Nick, che in un batter d'occhio si ritrova vicino a me.
«Ehi J» mi saluta, utilizzando un tono dolce che fino ad allora non aveva mai usato con me. Alzo un sopracciglio, sorridendo ironicamente. Stiamo scherzando, oggi?
Lo saluto educatamente, nonostante avrei solo voglia di strangolarlo e di buttare il suo cadavere in un fosso, sentendo poi una certa tensione nell'aria che fortunatamente viene smorzata dal mio migliore amico, alias il mio salvatore, che mi trascina via verso la classe di arte.
«Grazie» gli dico riconoscente appena poggio la mia borsa sul banco che ormai condividiamo da cinque anni. Per far sì che nessuno occupi il nostro posto, abbiamo inciso le nostre iniziali sopra già dall'inizio del primo liceo, tant'è che ora tutti sanno che questo è il banco della doppia J.
Questa lezione ci voleva proprio. Dopo quella che sembra essere una giornata priva di una fine, dipingere è l'unica cosa che poteva migliorarla. In più l'ottimismo e la positività della signorina Colman mi mettono sempre di buonumore.
Questa donna è uno spirito libero, pazzo certo, ma libero. Non si ferma davanti a niente e a nessuno ed è per questo che è la mia insegnante preferita. Inoltre, il fatto che abbia quarant'anni suonati la rende ancora più simpatica ai miei occhi, visto che, nonostante la sua età, si comporta come una vera a propria adolescente.
Le lezioni con lei volano, sul serio. Potrei stare ad ascoltarla e a vederla fare le cose più stravaganti per ore e infatti, anche questi sessanta minuti mi risultano essere sempre troppo pochi.
«Oggi amigos, dovrete dipingere qualsiasi cosa voi vogliate. Che sia un paesaggio, un oggetto, una persona, tutto» spiega «purchè, però l'abbiate visto oggi» conclude, dandoci il compito della giornata.
Tutta contenta e concentrata inizio, lasciando che la tempera colorata vada a imprimere i miei pensieri sulla tela candida. Dopo una mezz'ora che ho iniziato, alzo gli occhi dal mio lavoro e osservo il ragazzo accanto a me disperarsi.
«Come cazzo fai ad essere così brava a disegnare, cazzo» mi dice, rivolgendomi un'occhiataccia «io son una cazzo di frana e mi sporco sempre con queste tempere del cazzo! Vaffanculo» impreca contro il pennello, che, per la decima volta da quando siamo arrivati, gli cade addosso sporcandolo di nuovo.
Non posso fare altro che scoppiare a ridere di fronte alla scena che mi si presenta davanti e richiamando, così, l'attenzione della professoressa che, avendo assistito alla disperazione di Jake, inizia a deriderlo anche lei.
Mentre noi continuiamo a prenderlo in giro e lui a lanciarci sguardi omicidi, fa la sua comparsa un uomo ricciolino di un metro e novanta. Il nuovo professore di algebra.
«Potrei parlare un secondo con Jamie Lester?» chiede, non prima di aver chiesto scusa per l'interruzione alla Colman, che intanto lo sta praticamente mangiando con gli occhi. Che cosa vuole ancora da me?
La professoressa di arte annuisce, per poi darmi qualche pacca sulla spalla per incitarmi ad andare verso di lui, visto che ero rimasta ferma immobile sul mio sgabello senza accennare a muovermi da qui.
Inizia quello che sembra il percorso verso il patibolo, causato un po' dall'imbarazzo che ancora provo nel parlare con Penniman e un po' dalla paura di una possibile sgridata sulla nostra precedente conversazione.
«Scusa per aver reagito in quel modo prima» comincia lui, vedendo che io non ho alcuna intenzione di pronunciare una qualche tipo di parola. Mi sto infatti dondolando sui talloni e cerco di evitare in qualsiasi modo i suoi occhi nocciola.
«Non si deve scusare, non avrei dovuto chiederglielo» mi intrometto, senza lasciarlo finire. La questione sarebbe potuta finire per me nella sua aula senza tante cerimonie, non c'era bisogno che venisse qui a dirmi queste cose.
«No, devo» replica, riprendendo a sorridere felice come un bambino, non appena si rende conto che io non sono né arrabbiata né offesa. Credo che la conversazione sia terminata qui, perciò lo saluto e per la seconda volta gli do le spalle, andandomene da questa situazione imbarazzante.
Ma di nuovo vengo richiamata dall'uomo con cui ho avuto da fare fino ad ora «Ehi Jamie! Quando iniziamo le ripetizioni allora?» chiede, sempre sorridendomi felice. Spalanco la bocca, confusa. Ma cos.. «Ti ho chiesto scusa proprio per questo, credevo avesi capito che ero disposto a dartele!» conclude, ridendo divertito a questo punto.
Non riesco a dire neanche una parola, questo tizio è bipolare, diamine. Ne conosco di gente strana ma lui la batte tutta, credetemi. Deve essersi resoconto che il mio cervello è andato momentaneamente in standby, visto che continua imperterrito a sorridere e a parlare «Facciamo venerdì alle quattro a casa mia, okay? Poi ti dico l'indirizzo» mi da appuntamento per le ripetizioni.
Annuisco, incapace di fare altro e ritorno in classe con un'aria sempre più sconvolta, dove mi attende un Jake sempre più disperato e una Coleman in piana attività artistica.











 

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Capitolo 3
*** Tre. ***


Tre.


 

In qualche strano modo la settimana stava passando in fretta, cosa per niente solita nella Winston Churchill High School. Oggi era venerdì, il fatidico giorno.
Sarei dovuta andare dal mio professore di algebra per le ripetizioni e, in tutta onestà, avrei mille volte preferito di no. Già che so a malapena gli argomenti dell'anno scorso, non mi va di fargli vedere le mie scarse conoscenze riguardo a questa materia.
In più, dovrò sorbirmi le sue lamentele sul fatto che non ascolti la lezione o su qualsiasi cosa ci sia da ridire. I pochi giorni trascorsi dall'arrivo di Penniman, infatti, erano stati caratterizzati per la maggior parte da lui che provava a spiegare cose che io ovviamente non capivo e di cui a me non me ne poteva fregare di meno. Era per questo che mi aveva altamente rotto i coglioni con i suoi continui richiami e il fatto di andare a casa sua per provare a rispiegarmi cose che avrei dovuto ascoltare in classe, beh, non aiuta molto.
Sta mattina ero appunto intenzionata a fingermi malata e non andare, così non avrei visto il mio bello e odioso professore e avrei evitato le grandi figure di merda che ero solita compiere con lui nei paraggi. Tuttavia, oggi c'è l'assemblea d'istituto e non posso mancare per nulla al mondo visto che Spencer vuole candidarsi come rappresentante e mi ha chiesto una mano.
Essendo brava a disegnare, infatti, la mia amica mi aveva incaricato, o meglio, imposto di dover realizzare i vari volantini e i numerosi striscioni che adesso erano appesi per tutta la scuola.
Quindi eccomi qui, mentre mi infilo tra il traffico londinese per andare a prendere Kate, che spero sia pronta. Non voglio essere strangolata da Spencer, non ora almeno.
Ma ovviamente, neanche a dirlo, lei è in ritardo. «Cristo santo K, hai deciso di fare tardi proprio oggi?» non le do neanche il tempo di entrare che inizio a maledire lei, il suo gatto a cui ha dovuto dare da mangiare e che ci ha fatto fare tardi e me stessa, per andarla ancora a prendere la mattina.
«Scusa scusa! Lo so che ora ci ucciderà, ma non ho fatto apposta» replica lei, tentando di scusarsi. Certo, lei non ha dovuto ascoltare tutte le prediche della nostra amica su quanto fosse necessario essere in perfetto orario.
Finalmente, dopo quelle che sembrano ore siamo arrivate a destinazione. L'unico giorno in cui io abbia premuto così forte sull'acceleratore per andare a scuola. Spero che non succeda mai più, questa cosa del correre per andare in quel campo di concentramento mi ha segnato.
Ci lanciamo praticamente addosso alle porte per entrare, beccandoci anche una marea di insulti per aver travolto cinque o sei ragazzi che, poverini, non centravano niente. Ma siamo in ritardo e non me ne frega niente, farei di tutto pur di non perdere altro tempo. Sto pregando mentalmente di fare più in fretta possibile, davvero.
Tra la corsa stile maratona di New York e gli scatoloni contenenti i volantini per la campagna, io e Kate sembriamo due ritardate ma non ci interessa, dobbiamo raggiungere la palestra il prima possibile e ciò vuol dire fare uno slalom tra gli studenti, scendere le scale, percorrere un altro corridoio e attraversale il cortile interno. E siamo in ritardo di dieci minuti, aiuto.
Mentre proseguiamo la nostra bellissima entrata in scena, ci viene incontro una ragazza che riconosco essere Martha. La sua faccia tradisce un certo sollievo dovuto probabilmente all'averci visto «Ragazze, finalmente!» esclama, appena ci raggiunge «Spencer sta praticamente uscendo di testa! Devi correre Jamie» come se fino ad ora avessi camminato, certo. Approfitto del suo discorso per riprendere fiato e cercare di recuperare un minimo di forze, è mattina e per me l'educazione fisica prima delle 10:30 non è concepibile.
«Tu vai, io aiuto Kate con 'sta roba» mi rassicura, per poi sfilarmi i pacchi dalle mani. Oh, grazie, sei la mia salvatrice. Annuisco e riprendo a correre verso le scale, ma non prima di aver urlato un ringraziamento alla mia amica.
Ed eccomi scendere l'ultimo scalino, aprire la porta, uscire e dirigermi verso il cortile. Manca poco, dai Jamie. Il vedere tutte quegli studenti intralciare il mio cammino, mi fa fare pensieri poco benevoli su tutti loro. Tuttavia, riesco a sorpassarli senza neanche tanti insulti o scontri.
Come avevo previsto, nel giardino interno non c'è nessuno visto che fa freddo. Questa cosa mi rincuora, vuol dire che ci metterò di meno ad attraversarlo. Nonostante ciò, però, non smetto di correre neanche per un secondo ed è per questo che mi ritrovo con il sedere per terra. Devo aver preso in pieno uno studente.
«Merda!» esclamo tirandomi su e alzando gli occhi verso l'idiota che mi ha fatto cadere. Ad accogliermi sono due occhi nocciola, liquidi, profondi. Sono di Penniman, che mi sorride divertito. Non dovrei dire queste parole davanti ad un professore, nonostante abbia solo pochi anni in più di me. Però anche lui, dai, poteva stare attento. «Porca troi.. scusi» metto un mia mano sulla bocca, meglio per me che sto zitta.
Guardo l'uomo di fronte a me, sta trattenendo una risata, che lascia andare dopo le mie parole. Devo sembrare davvero ridicola. «Jamie, tranquilla» mi rassicura, senza smettere di sorridere e potrei giurare di aver ripreso a respirare. Perchè mi fa questo effetto, perchè il mio professore deve farmi questo effetto?
Non faccio in tempo a girarmi e a riprendere la mia corsa, che il professore mi richiama «Dove correvi?» chiede, continuando a formare quelle due bellissime fossette sulle guance. Dovrei seriamente smetterla di fare questi pensieri su di lui.
«In palestra, per la campagna» mi affretto a spiegare, indicando verso il luogo dove si trova Spencer. Sto perdendo tempo a chiacchierare con Penniman e me ne rendo conto, ma poco mi importa. Tanto Spencer sarà già incazzata, per trenta secondi in più non credo cambi tanto.
«Anche io devo andare lì, sarò il professore supervisore o qualcosa del genere» dice con un sorrisetto furbo sulle labbra e muovendo la mano in aria, con noncuranza «Ti candidi?» mi chiede poi, mentre inizia a camminare verso l'entrata.
Lo seguo senza neanche pensarci, lasciandomi andare in una risata divertita. Gli rispondo di no, che sto solo aiutando una mia amica e che non potrei mai fare questo genere di cose, poiché credo che tutto questo ammattimento sia davvero inutile. Lui annuisce semplicemente.
Dopo secondi che sembrano durare anni, arriviamo finalmente a destinazione. Apre la porta e lascia passare me per prima, da vero galantuomo e in tutta risposta gli sorrido. Mi ritrovo a pensare che lo faccio molto, forse troppo spesso quando c'è lui nelle vicinanze. La sua allegria è contagiosa, quell'espressione da bimbo impertinente sempre dipinta sul suo viso lo è.
Ed eccomi qui, ancora una volta, a squadrare ogni angolo del suo corpo alla ricerca di qualche particolare sfuggito alla mia analisi. Non posso fare a meno di farlo, è più forte di me. La differenza è che, mentre le altre volte mi limitavo ad osservare i genti che compieva, ora sto “entrando” nei suoi occhi e mi rendo conto che sonno belli, di una bellezza disarmante. Di una bellezza antica, che però allo stesso tempo perdura nel tempo, come se dentro ci fosse una fiammella che non si spegne mai, che alimenti questa strana luce negli occhi che Penniman ha quando sorride.
«Jams, Dio santo, eccoti!» ad accogliermi e a spazzare via questi pensieri sempre più ricorrenti sul mio professore, ci pensa Spencer con un tono tra il sollevato e l'arrabbiato «Ci scusi prof, ma dobbiamo scappare!» dice poi la mia amica, rivolta al ragazzo con cui sono arrivata. Da quando forte mi sta trascinando per un braccio, non riesco neanche a salutarlo, ma giuro di aver visto un sorrisetto divertito difronte a questa scena.

Dopo un'interminabile ora, siamo finalmente riusciti a sistemare il discorso di Spencer, gli striscioni, i volantini e i vari stand che abbiamo dovuto allestire in giro per la scuola per la propaganda. Anche se trovo quest'ultimi di una grande inutilità, visto che la scuola è praticamente tappezzata di foglietti con su scritto 'votatemi'.
Per me e Spencer, il lavoro da fare era tantissimo ed è stato per questo, che quando ci siamo viste due paia di braccia amiche, di Kate e Martha, siamo praticamente saltate dalla gioia. Se ci fosse stata anche Denise o i ragazzi, sarebbe stato tutto più semplice, ma la prima era malata e i ragazzi, beh, loro sono ragazzi.
La palestra si stava mano a mano riempiendo e anche le sedie, poste su tutto il rettangolo, stavano per essere occupate da tutti gli studenti della Churchill HS. Prendo posto anche io tra le prime file su ordine di Spenc, anche se avrei preferito volentieri stare nelle ultime, senza interessarsi assolutamente di questa grande stronzata che è tutto ciò.
L'unica nota positiva di questa mattinata è che posso saltare le lezioni e sono addirittura giustificata, altrimenti avrei rifiutato senza tante cerimonie. In più, mi piace disegnare e aiutare Spencer non mi pesava, almeno credevo fosse così. In realtà è stressante, snervante ed esasperante per non dire faticosissimo. La mia faccia lo dimostra, così come quella di Kate e Martha che sono sedute alla mia destra.
«Ciao pulcino» mi saluta una voce maschile. Alzo lo sguardo, sapendo già di chi si tratta: Jake, in tutto il suo splendore, si mette a sedere vicino a me. Sorrido di rimando e lo ringrazio mentalmente per la sua presenza, ora so che non mi annoierò nelle prossime ore.
«Come mai non sei con i ragazzi?» chiedo curiosa, è strano che non sia con Liam, Max e Tyler, di solito durante le assemblee o cose del genere, stanno sempre insieme e in fondo, dove nessuno possa vederli. Lui alza le spalle, con noncuranza, per poi spiegarmi che non voleva lasciarci sole. Oohw, il mio migliore amico. Cosa farei senza di lui? Probabilmente niente, sarei sempre nella merda più totale. Ma non glie lo dirò mai, lo sa. Non c'è bisogno di parole con lui.
Mi giro impaziente notando chi c'è, spero che inizi in fretta e che finisca anche in fretta. Osservo i vari studenti presenti, giurerei che quelli sono del primo anno, viste le loro facce imbarazzate e disorientate e che l'altro gruppo vicino alla porta sia del quarto anno.
Poi smetto di girarmi intorno, ed accade. I miei occhi si posano sul mio professore di algebra, alias Michael Penniman. Neanche ad essere telepatici, punta i suoi occhi nei miei. È estremamente serio ora e ammetto che mi manca il suo sorriso allegro. Non so cos'abbia di così speciale, ma ai miei occhi risulta essere l'individuo più enigmatico di tutti.
Vedo muoversi le sue labbra, credo si stia rivolgendo a me. Mima un 'ripetizioni dopo?', sì, si sta decisamente rivolgendo a me. Sento il cuore battere, due parole e il mio cervello va completamente a puttane e non riesco a trovarne la causa. Anche se probabilmente è il ragazzo con cui sto avendo una silenziosa conversazione. Incapace di fare altro, annuisco e basta senza fare ulteriori domande, senza ulteriori repliche.
Dopo attimi che sembrano infiniti, riesco finalmente a scollarmi dal nostro contatto visivo e a riportare l'attenzione sui miei amici, che intanto hanno iniziato una conversazione su cosa fare oggi pomeriggio. «Io non ci sono» gli comunico subito «Ho ripetizione, anche se vorrei volentieri farne a men». Metto le mani avanti fin da subito, altrimenti so già che avrebbero incominciato con le varie minacce, che di solito utilizziamo con quello scansafatiche di Liam, per farmi uscire.
Ma il nostro discorso non fa in tempo a proseguire che la Signorina Stefeen, la preside, prende parola, segnando l'inizio dell'assemblea. Ti prego, fa che sia veloce e indolore.


 


 

Venerdì 7 novembre, ore 16:03.
Sono due più di cinque minuti che sono davanti al 116 di Raynes Park, ovvero l'abitazione del mio professore di algebra. Dopo il nostro incontro di questa mattina all'assemblea d'istituto, non ho avuto più l'opportunità di incontrarlo e così appena dopo pranzo mi era arrivato un messaggio da un numero sconosciuto, che poi ho scoperto essere Penniman. Non ho la più pallida idea di come abbia avuto il mio numero e non voglio neanche saperlo.
La villetta dove abita è carina, almeno dall'esterno. Non ho ancora avuto il coraggio di bussare alla sua porta, nonostante sia già un po' di tempo davanti ad essa. Devo sembrare proprio stupida a stare qui fuori tutta imbambolata.
Sospiro, incapace di fuggire da questa situazione. Ho già pensato di andarmene semplicemente e inventarmi una qualche scusa idiota, ma il compito che ha piazzato la settimana prossima mi spaventa da morire. “Sii uomo, Jamie” mi dico mentalmente, provando a infondere un po' di fiducia in me stessa. Le varie locandine appese fuori dall'ufficio dello psicologo della scuola, da quello che ricordo, dicono che devo essere la prima ad infondermi coraggio. Ma ovviamente sono tutte stronzate e i risultati non mi sembrano essere cambiati un gran che.
Non proprio convintissima, decido di bussare, cosa di cui mi pento subito dopo. Se salto la siepe prima che arrivi, mi vedrà? Stavo giusto per prendere la rincorsa, quando mi vedo fare la sua comparsa il padrone di casa in tutto il suo splendore.
«Ciao Jamie» mi saluta, sfoderando uno dei suoi sorrisi magnetici. Beato lui che è così contento di questa situazione, io no di certo. Mi sento a disagio, in imbarazzo e non ho la più pallida idea di cosa fare in questi momenti.
La mia espressione, sofferente, deve essere completamente opposta alla sua, sprizzante di felicità. O così sembrerebbe. Accenno un saluto, incerta su quello che dire, dopo essermi resa conto di stare a fissarlo da decisamente troppi secondi. Credo che pensi che sia stupida, o è comunque quello che penserei io se vedessi una persona come me in casi del genere.
Si sposta lasciandomi entrare e confermare l'ipotesi che avevo prima riguardo la casa. È davvero carina, semplice ma accogliente. E poi è in ordine, parola che nel mio vocabolario è più o meno inesistente.
Osservo ancora un po' il luogo dove vive il mio professore e mi ritrovo a sorridere, pensando che sono l'unica alunna che molto probabilmente sappia com'è casa di un insegnante. La sua voce ferma, però, la mia analisi. «Andiamo in salotto, così iniziamo» spiega, per poi mostrarmi la strada. Si siede su una delle sedie del tavolo, dove ha già sistemato il libro di matematica e io lo imito. Poggio la mia borsa per terra, tirando fuori tutto l'occorrente per fare iniziare il prima possibile questa maledetta lezione.
Una volta preso tutto, aspetto che lui dica qualcosa ma non lo fa. Si limita a scrutarmi, senza accennare a quel sorriso dolce che di solito ha. Ho fatto qualcosa che non andava? Non mi sembra, anche se la sua espressione seria non mi fa stare più di tanto tranquilla. «Posso farti una domanda?» mi chiede, dopo un po'.
Ingoio la saliva, come se mi si fosse formato un groppo alla gola, sentendomi colpevole anche pur non avendo fatto niente. Annuisco, avendo perso ormai qualsiasi capacità di comunicazione verbale e mi sistemo meglio sulla sedia. Ma ecco di nuovo spuntare il sereno sul suo viso, un sorriso di puro divertimento. «Come mai sei stata fuori più di dieci minuti prima di bussare?»
Spalanco la bocca, incerta su cosa dire. Non avrei mai immaginato che avesse potuto vedermi. Merda. Sono nella merda. «Ma come..? » provo a parlare, ma vengo prontamente fermata dal ragazzo di fronte a me «Ti ho vista dalla finestra, ti stavo aspettando».
Oh. Certo, la finestra. Che figuraccia. Complimenti Jamie Lester, sei un vero genio. «Ero a disagio. Teoricamente non dovrei neanche stare qui » mi affretto a dire, iniziando a trovare sempre più interessante il ciondolo triangolare del braccialetto che mi ha regalato Kate. Non riesco a guardarlo negli occhi, non se mi pone queste domande almeno.
Lo stento sospirare, deve pensarla come me. Io, studentessa, e lui, professore, non dovremmo teoricamente neanche vederci fuori dall'orario scolastico e maggior ragione andare a casa sua per alcun motivo nonostante siano ripetizioni.
Poi, non so con quale coraggio, chiedo a mia volta se posso fargli una domanda io, a questo punto. Ricevendo un consenso, prendo un bel respiro e mi butto. «Perchè si è interessato solo a me, nonostante ci siano molti miei compagni con voti peggiori dei miei?» devo sapere, devo capire perchè io su venticinque studenti.
Sembra che il mio quesito l'abbia sorpreso, probabilmente non sia aspettava qualcosa del genere. Tuttavia, con un'espressione di nuovo seria e con un tono pacato, mi risponde. «Perchè ho visto che in te c'è del potenziale. Me l'aveva detto anche il tuo vecchio insegnante ed ho potuto constatarlo il primo giorno in cui ti ho fatto lezione» dice, come se fosse la cosa più ovvia del mondo «Ora iniziamo, su».

Dopo un tempo decisamente lungo di spiegazioni ed esercizi, posso finalmente dire di averci capito qualcosa anche se non abbiamo fatto quasi per niente gli argomenti nuovi. Gli ultimi tre esercizi mi hanno uccisa, davvero. Per questo mi lascio andare sullo schienale della sedia, esausta da tutto quello studio.
Vedo Penniman imitare le le mosse, deve essere stato stancante anche per lui. «Credo che per oggi possa bastare» dice sospirando, non perdendo quel suo solito sorriso.
Annuisco per dargli ragione, mentre butto finalmente i libri dentro la mia borsa. Non ho intenzione di dedicare altro tempo alla matematica fino a lunedì. Oggi abbiamo veramente fatto troppo per i miei standard.
Chiudo gli occhi, massaggiandomi le tempie, per poi riaprirli un attimo dopo quando sento il ragazzo davanti a me alzarsi. «Prima hai detto di no, ma te lo richiedo: posso offrirti qualcosa?» domanda cordiale, che perfetto padrone di casa.
Rispondo a mia volta di no, di nuovo. Non ho fame né sete, perlomeno da quando sono qui. È come se mi si fosse bloccato lo stomaco e tutti gli altri organi di mia proprietà. È strano da spiegare, non so cosa mi succeda quando lui è nelle vicinanze. Specialmente quando, prima, mentre non riuscivo a fare un esercizio troppo complicato, si era avvicinato così tanto da poter sentire il suo viso a pochi centimetri di distanza dal mio. Mi ha mandato letteralmente in crisi il mio sistema nervoso, nonostante io sappia benissimo che lui è il mio professore.
Lo vedo sparire dietro di me, andando ad aprire il frigorifero e tirando fuori una bottiglia d'acqua, mentre io ne approfitto per prendere il cellulare e guardare l'ora. Sono passate due ore da quando sono entrata in questa casa, credo sia ora di andarmene, anche perchè i continui messaggi di Jacob e Kate mi intimano a darmi una mossa.
Ne apro uno vocale proveniente dal mio migliore amico, nel quale mi comunica che stasera dobbiamo assolutamente andare alla cena per festeggiare la vittoria di Spencer. Quindi ce l'ha fatta, sono contenta per lei, se lo merita.
Devo aver messo il volume del telefono troppo alto, visto che sento una risata proveniente dall'altra parte della cucina. «Sapevo già che avrebbe vinto la tua amica, sembra sveglia» mi dice, dopo essermi girata verso di lui.
«Beh, ci teneva. È giusto così, Spencer è intelligentissima» acconsento alla frase appena pronunciata.
«Poi i suoi volantini erano bellissimi, avrà sicuramente fatto colpo con quelli» continua, lui.
Arrossisco alle se parole «Li ho fatti io» gli dico, abbassando lo sguardo. Gli sono piaciuti i miei disegni, chi l'avrebbe mai detto.
«Davvero?» mi domanda, sorpreso dopo avermi visto annuire «Beh, complimenti. Sei brava a disegnare» continua, riprendendo posto sulla sedia accanto a me. Lo ringrazio sinceramente, sono contenta che qualcuno apprezzi ciò che faccio, mi fa sentire appagata.
«Credo sia ora che vada. Grazie mille professore, mi è davvero servito il suo aiuto» gli dico sincera. Ed è così, senza di lui e senza di Lisa non sarei stata in grado di capirci qualcosa e avrei rischiato di fare il compito malissimo. Mi alzo dalla sedia, per poi vedere lui fare lo stesso e accompagnarmi alla porta.
«Io invece credo che tu possa darmi anche del 'tu', ho solo pochi anni in più di te» sorride, mentre dice ciò. Rimango sorpresa, rivolgermi ad un professore senza dargli del 'lei' è strano, nonostante la sua giovane età. Ma probabilmente ha ragione.
«Va bene, Michael» calco il suo nome, facendogli capire di seguire il suo consiglio «Allora grazie per le ripetizioni» dico impacciata, sentendolo poi rispondere di non esserci un problema.
Ci salutiamo così, senza aggiungere altro e mentre chiudo lo sportello della mia macchina, ascolto il suono del portone di casa sua che sbatte: il professor Penniman è rientrato, cioè Michael è rientrato.
Appena metto in moto la mia mini, però, sento il mio cellulare vibrare e non posso fare altro che sorridere.

“Lunedì continuiamo le ripetizioni? Michael :)”


 








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Capitolo 4
*** Quattro. ***


Quattro.


 

«Ma ti muovi?» dico a Jake, poggiando, spazientita, il peso sul piede destro. Siamo davanti all'entrata del supermercato, anzi, io sono lì. Jacob si sta specchiando su qualsiasi finestrino possibile nel raggio di quattro metri.
«Devo sistemarmi, un attimo» risponde a tono lui. Io sembro una barbona con la mia felpa e i leggins e lui, tutto precisino, osa sistemarsi addirittura il ciuffo, che poi non è nemmeno fuori posto. Gli uomini.
Gli rivolgo un'occhiata truce, se potessi l'avrei già strangolato. Ma non avevo voglia di andare da sola quindi me lo sono portata dietro, dopo averlo svegliato, nonostante sia domenica pomeriggio.
Per fortuna però, sembra aver fatto e finalmente possiamo entrare per comprare quella che sarà la mia cena, visto che mio padre è dovuto uscire per il fine-settimana.
«Che devi prendere?» chiede lui, camminandomi affianco. Gli indico vari prodotti e decidiamo che è meglio dividerci, così potremmo risparmiare tempo e tornare a casa prima del dovuto. Speriamo solo che il amico non inizi a mettere nel carrello schifezze, altrimenti avrei chiamato Kate.
Mi aggiro per le corsie degli alimentari, cercando di trovare quello dei surgelati. Tra il mio abbigliamento e il cestino rosso per la spesa, che mi fa sentire molto Cappuccetto Rosso mentre raccoglie i fiori per la nonna, non cosa sia peggio.
Finalmente riesco a trovare quello che cercavo e quindi inizio a dirigermi verso uno dei tanti frigoriferi del settore surgelati. Patatine fritte, bingo. Quando apro lo sportello, con la mia solita grazia, do il vetro letteralmente in faccia al tizio alla mia sinistra.
«Merda! Scusi scusi scusi, non volevo! Giuro! Sta bene?» esclamo, cercando di scusarmi. Non ho fatto apposta, seriamente. Non riesco neanche a vedere la sua faccia, visto che è coperta con le mani, ma so per certo che è un uomo, troppo alto per essere una ragazza.
«Sì, più o meno» risponde lui, senza togliere le mani dal viso.
Aspetta.. io questa voce la conosco. Non ci credo, non posso davvero aver quasi ucciso il mio professore, quello figo poi! Non potevo, che ne so, prendere quella stronza della Mejer?
«Prof?» dico aggrottando la fronte, spero non sia lui. Forse esiste al mondo un tizio uguale al mio insegnante di algebra che abita a Londra, forse. Appena però, scopre il viso, mi rendo conto che le mie ipotesi sono confermate. È proprio lui, in carne e ossa.
«Jamie?» domanda a sua volta sorpreso. Non credo si aspettasse che una sua alunna lo colpisse con un frigorifero in piena faccia.
«Scusi davvero! Non volevo farle male» dico mortificata, abbassando lo sguardo. Ha questa sua particolare capacità di mettermi a disagio, che mi da veramente fastidio. È l'unica persona a cui non riesco a tenere più di tanto testa.
«Jamie..» dice lui sorridendo, come suo solito, e scuotendo la testa. Sembra divertito. Bello, io sono mortificata e lui se la ride. «Avevamo detto del 'tu', ricordi?» continua.
Ci rifletto un attimo, non ho idea di cosa stia parlando. Poi magicamente mi ritorna tutto in mente, venerdì a casa sua mia aveva detto di non darli del 'lei' perchè lo faceva sentire vecchio. «Vero, mi sc... scusami Michael» sorrido imbarazzata. È strano chiamarlo così.
Continua a sorridermi, ripetendomi che non è niente e che devo stare tranquilla. Mi sento comunque troppo in colpa, devo imparare a stare più attenta.
«Che ci fai qui?» continua, sorridendomi.
Lo osservo alzando un sopracciglio, iniziando a prenderlo in giro. «La spesa?» dico, indicando il cestino e sottolineando il fatto che siamo in un supermercato.
«Ehm, sì. La spesa, ovviamente» balbetta lui. Deve essere la prima volta che sono io a metterlo in imbarazzo e non viceversa, non posso crederci. Una piccola rivincita personale.
Vorrei continuare a prenderlo in giro, ma una voce maschile ci fa girare. Jake deve aver finito di prendere ciò che gli avevo chiesto ed ora sta venendo qui. Appena ci raggiunge a grandi falcate, sorride felice a Michael, che ricambia cordialmente.
Non è un sorriso come quelli che solitamente rivolge a me, o almeno mi pare che sia così. Il suo è un sorriso da professore ad alunno, di pura cortesia, mentre quelli che mi riguardano sono più grandi, più “sereni”. O forse sono solamente io che me li immagino così, visto che lui rimane sempre un mio insegnante.
«Ho preso tutto ciò che mi hai detto» mi dice Jake, dopo aver scambiato due parole con il nostro professore. Annuisco, voltandomi verso di lui. Non so perchè ma mi ero incantata a fissare il ragazzo che avevo appena colpito con un sportello.
«Non ci hai messo cose inutili, vero?» provo a indagare, sperando in una risposta negaaiva da parte del mio amico, che fortunatamente arriva. Mi porterò sempre Jake a far spesa, lui mi da retta al contrario di Kate.
«Bene, vi lascio allora» dice Michael, guardandoci. Lo salutiamo anche noi e non posso fare a meno di notare l'ultima fugace occhiata che mi ha rivolto, sembra quasi accusatoria. Che diamine ho fatto ora? Lo guardo andare via e sparire tra le corsia, scrollo le spalle e cammino dietro Jacob, andando verso le casse.
Dopo aver pagato il conto, usciamo ma veniamo fermati da una signora anziana che credo conosca il mio accompagnatore. Sembra simpatica e molto, molto sveglia.
«Jacob, caro! Da quanto tempo? Come stanno i tuoi genitori? E tu? Lei è la tua fidanzatina? Che carina!» esclama senza riprendere fiato. Fidanza-che? Con tutte queste domande mi ha confuso, e neanche poco.
Lui le sorride gentilmente e risponde a tutte le domande, mentre io come una povera rincoglionita continuo a annuire e a sorridere a disagio. Rettifico: non è simpatica, ma è troppo sveglia. Dopo aver posto altri quesiti e averci pizzicato le guance come solo le vecchiette sanno fare, ci lascia con un occhiolino.
Io e Jake siamo sconvolti. Lui, forse più di me. «Jacob, caro! Riprenditi» gli dico, iniziando a prenderlo in giro. Ora sa che non smetterò molto facilmente di chiamarlo così e che sicuramente glie lo rinfaccerò per il resto dei suoi giorni.
«Smettila Jams, è stato orribile! Non mi ricordavo neanche il suo nome» ammette, salendo in macchina. Lo imito, ridendo divertita. Che situazioni, mamma mia.
«Ma chi è più che altro?» gli chiedo curiosa, ha fatto talmente tante domande sulla sua famiglia che suppongo sia un'amica di vecchia data.
«Tipo la vicina di casa di mia nonna» risponde, ma non lo vedo particolarmente convinto. Già che non sapeva il suo nome, non posso pretendere più di tanto.
Il resto del viaggio prosegue silenzioso, con solo la musica dei Blink-182 a riempire l'auto. Arrivati però al semaforo chiedo a Jake se vuole venire a cena da me, ma mi risponde di no visto che doveva stare con Annah, la sua sorellina.
Lo accompagno a casa, lasciandogli un bacio sulla guancia prima che possa andare via. Sembra sorpreso, è strano che io compia gesti affettuosi, non sono una persona molto espansiva. Mi guarda incuriosito e indagatore, mostrando però quel suo enorme sorriso radioso che tanto mi piace.
Gli alzo semplicemente le spalle, come risposta. «Non ti montare la testa, però» gli urlo, per poi sfrecciare via, senza neanche dargli tempo di rispondere.
Sento il telefono vibrare nella mia tasca, ma decido di aspettare di arrivare a casa. Mancano ormai più o meno venti metri e non credo si tratti di vita o di morte, se rispondo 10 secondi più tardi. Appena arrivo, parcheggio la macchina e entro dentro casa. Lancio le chiavi sopra il mobiletto dell'entrata e mi dirigo verso la cucina con le due buste della spesa.
Dopo averle appoggiate sul ripiano, mi levo il cappotto e sfilo il telefono dalla tasca. 1 nuovo messaggio, sorrido vedendo il mittente. È il mio professore, è Michael.
Mi ritrovo a fissare lo schermo come un'idiota, perchè diavolo solo un suo semplice messaggio mi fa quest'effetto? Mi risveglio da questo stato di trance e decido di vedere cosa contenga.
Oggi mi sono scordato di dirtelo, va bene se le ripetizioni le facciamo domani verso le 17? :)
Giusto, le ripetizioni. Mi ero completamente dimenticata che il giorno seguente sarei dovuta stare con lui per farmi rispiegare algebra. Involontariamente sorrido, nonostante non sia proprio una fan dei pomeriggi passati a studiare.
Sisi, va bene :)
Digito velocemente, rispondendogli. Non mi aspetto una sua risposta, visto che ho solo acconsentito alle sue parole. Lascio quindi il telefono incustodito, vicino il lavandino. Inizio a mettere apposto la spesa appena comprata, ma non prima di aver acceso la tv: Criminal minds, la mia serie preferita. C'è Matthew Gray Gabler che è davvero qualcosa di indescrivibile.
Mentre sono intenta a preparare un panino, che dovrebbe essere la mia cena, sento il mio telefono vibrare. Probabilmente sarà Kate o Jake che scrivono qualcosa di stupido, come al solito. Mi verso un bicchiere di succo e, afferrando il mio sandwich e il mio telefono, vado verso il divano.
Appena mi siedo, controllo il cellulare. Non si tratta di nessuno dei miei amici, ma di Michael. Che strano, penso. Credevo non mi avesse risposto.
Comunque alla mia faccia non ha fatto piacere ricevere quella botta! ;)
Rido, ripensando alla scena e a lui dolorante. Poveraccio, devo avergli fatto male sul serio.
Ahahaha, scusa ancora! Però anche tu potevi stare più attento
Rispondo sorridendo.
Ah quindi ora sarebbe colpa mia?
Risponde lui. Chissà che starà facendo, chissà se come me sta mandando la sua cena a puttane per aspettare la risposta dell'altro, o chissà se come me sta facendo proseguire la puntata senza degnargli uno sguardo, troppo presa dalla conversazione.
Forse :P
Scrivo semplicemente. Ora non siamo più alunna e professore, ma solo due ragazzi di diciannove e ventiquattro anni che stanno messaggiando tranquillamente. Mentre attendo la sua replica, mi ritrovo a riflettere su quanto ciò sia incredibilmente fuori dal comune. Se qualcuno sapesse di questa storia, probabilmente non staremmo più qui.
Che caratterino.. ;)
Dice il messaggio. So che è ironico, quindi decido di darli corda.
Non sono io a chiedere cosa ci faccia una persona in un supermercato, ti ricordo!
Scuoto la testa divertita, ripensando alla domanda stupida che mi ha posto oggi pomeriggio e a come io sia riuscita a metterlo in imbarazzo. Per la prima volta l'ho lasciato interdetto, piccola vittoria personale.
Ahahah un momento di confusione capita a tutti
Leggo il messaggio, pensando a quanto la frase scritta sia vera. Non conosco il motivo, ma ogni volta che c'è lui nei paraggi, la confusione nella mia testa è d'obbligo.
Questo te lo concedo, si :)
Gli rispondo, ormai totalmente presa dalla conversazione. La puntata a questo punto è andata a farsi benedire, Aaron Hotchner sta continuando a parlare con Derek Morgan di non so cosa senza però catturare la mia attenzione. È rivolta ad altro, o meglio, a qualcun altro.
Almeno questo! Ahaha Comunque ti vorrei chiedere una cosa
Scrive lui. E così mi ritrovo a fantasticare sulle milioni di domande che potrebbe pormi. Inizio a sudare freddo, reazione tipica post-'dobbiamo parlare'. Ogni volta che qualcuno lo dice, ci sono sempre guai.
Domani dobbiamo fare ripetizioni da qualche altra parte, a casa non posso
Spiega lui, senza neanche darmi tempo di rispondere al su precedente messaggio. E io che mi immaginavo chissà cosa.
Se hai da fare, facciamo un altro giorno :)
Gli rispondo tranquilla. Non c'è bisogno che faccia i salti mortali per spiegarmi cose che avrei già dovuto sapere o almeno comprendere a scuola. Se non può, faremo un'altra volta. Tanto non mi cambierebbe nulla.
Nono, ci mancherebbe ;) solo che a casa è arrivata mia sorella.. sarebbe meglio trovare un altro posto, non proprio pieno di gente
Risponde subito lui.
Giusto. Allora, un posto non frequentatissimo, dove non possiamo incontrare nessuno di nostra conoscenza. Mi guardo intorno alla ricerca di una qualche sorta di illuminazione, che poi arriva.
A casa mia va bene? Mio padre non c'è, torna sempre sul tardi
Digito velocemente. So che potrebbe sembrare un messaggio un po' strano, in effetti. Ma non me ne curo più di tanto. Si tratta solo di ripetizioni, no? Si.. solo e solamente di quello.
Se per te non è un problema, è okay :)
Scrive lui. Bene, domani il mio insegnante barra figone barra venticinquenne verrà a casa mia. Devo mettere apposto, è un casino. Poi ricordo, perchè mai dovrei mettere in ordine? Non è mica il mio ragazzo o cose del genere, non devo fare bella figura su di lui, viene per studiare e basta.
Siccome ero scattata in piedi come una molla, mi rimetto comoda sul divano rispondendogli.
Si, perfetto :)
Digito. Non so perchè mi sia fatta tutti questi problemi per nulla. L'unica cosa di cui sono certa è che ho questa strana sensazione che non riesco a riconoscere, che si presenta quando si parla di lui o quando è nelle vicinanze. Mi fa sentire vulnerabile, senza un apparente motivo. Io odio sentirmi vulnerabile, l'ho sempre odiato. Già da quando ero bambina e con la morte di mia madre credo di aver amplificato questo mio lato del carattere. Non sono insensibile, ovvio però non sono una delle persone più espansive della terra. È anche per questo che non mi spiego come mai io sia così felici di vedere Michael ogni volta o come mi senta contenta, come ora, mentre leggo uno dei suoi messaggi.
Allora ti lascio, buonanotte Jamie :)
Leggo. Decido di non rispondergli, la conversazione è finita qui ma nonostante ciò, sono felice stranamente. Posso finalmente dedicarmi alla mia cena e al mio favoloso Matthew.


 


 

Ieri sera mi ero addormentata sul divano, dopo essermi vista un film e stamattina mi sono ritrovata con una coperta addosso. E ciò voleva dire solo una cosa, mio padre è tornato. Come sempre, me lo sono ritrovata in cucina, la colazione pronta e il suo solito sorriso. Gli ero andata incontro abbracciandolo, gesto totalmente inaspettato per me e per lui.
Poi mi aveva salutato, dicendomi che sarebbe tornato per cena e che avremmo passato insieme la serata, vista la sua assenza di questi giorni. Mi ero perciò andata a preparare per la scuola e avevo compiuto tutte quelle azioni tipiche delle mie mattinate, Kate e la scuola.
Finalmente la giornata scolastica si era conclusa bene, senza interrogazioni o compiti che avrebbero potuto urtare il mio sistema nervoso. Anche il cibo, tutto sommato, non era così terribile.
Ora sono a casa ad aspettare Michael per le ripetizioni e sono nervosa, come al solito. Non riesco a stare ferma un secondo, sono passata nel giro di cinque minuti dal divano al tavolo, sono andata a prendere un bicchiere d'acqua e poi sono ritornata in camera a prendere i libri, poi di nuovo sul tavolo e così via. Non va bene, non va bene per niente.
Quando suona il campanello infatti, mi sento sbiancare. Non sono pronta psicologicamente per passare le restanti due ore facendo matematica, né tanto meno stando sola con Michael. Tuttavia, è stato nel momento esatto in cui ho accettato che mi son messa in questa situazione, perciò c'è poco da lamentarsi.
Cerco di prendere tempo camminando lentamente, malgrado io sappia benissimo che devo muovermi e non farlo aspettare. Ma nonostante ciò, mi ritrovo comunque davanti al portone.
Respiro profondamente, provando a calmarmi, e apro. Davanti a me c'è il mio professore armato di libri, che si presenta in tutto il suo metro e novanta di altezza. Sorride e di conseguenza lo faccio anche io, è più forte di me.
Dopo i vari saluti e convenevoli, mi sposto per farlo passare, non togliendomi dalla faccia quest'espressione da ebete. Lo specchio vicino all'entrata me l'ha fatta notare, per fortuna. È incredibile come lui risulti essere sempre a suo agio e come io invece no, è snervante.
«Bella casa» dice guardandosi intorno, non appena essersi messo a sedere.
Gli sorrido, abbassando lo sguardo. «Mia madre era un'architetto» gli confesso.
«Era?» domanda lui, curioso. Quando gli ho detto quella frase non credevo che si sarebbe soffermato sul tempo verbale. Non mi piace parlare di mia madre, ma non so perchè con lui mi riesce bene.
Inizio a giocare con il braccialetto, sempre lo stesso triangolino. «E' morta molti anni fa» dico semplicemente. Non ho intenzione di guardarlo, non sopporterei di vedere su di lui lo stesso sguardo di compassione che mi riservano sempre gli altri non appena conoscono questo aspetto della mia vita.
«Mi dispiace, non lo sapevo» dice, poggiando una mano sulla mia per fermarmi dal rompere il ciondolo. Alzo lo sguardo, sorpresa da quel gesto.
«Odio questa parte» gli dico, distogliendo lo sguardo da lui. Nei suoi occhi c'è un'enorme scritta lampeggiante, con su scritto 'COMPASSIONE'. Ed è la cosa che odio di più, in assoluto.
«Quale parte?» dice confuso, non riuscendo a collegare.
«Quella in cui tutti dicono sempre le stesse cose, in cui la gente prova commiserazione per me. La odio» sputo acida. Non mi piace parlare di queste cose, né tanto meno parlarne con lui.
«Non ti sto compatendo, se è questo che intendi. Sono solo contento che tu abbia un carattere così forte, Jamie» dice, avvicinandosi a me.
Mi fermo un attimo ad osservare le nostre mani unite, provano ad assimilare parola per parola quello che ha detto Michael. Credo sia la prima persona che me lo dice apertamente, a lui non faccio pena, è solo dispiaciuto e posso sentirlo dal suo tono di voce.
«Grazie» sussurro semplicemente, puntando i miei occhi sui suoi. Ci osserviamo per quello che sembra un tempo indefinibile, per poi vedere rispuntare il sorriso da bimbo che tanto mi piace, quello che ti contagia.
Poi però, ad un tratto, ritorna incredibilmente serio. La mano è ancora ferma sulla mia, io sto ancora osservando ogni sua mossa. Lo vedo avvicinarsi, piano. Lo vedo accorciare le distanze ci separano, centimetro dopo centimetro. Trattengo il respiro, non capendo le sue intenzioni, spaventata, imbarazzata.
E poi accade, Michael annulla definitivamente le distanze tra noi. Un bacio, un semplice bacio a stampo, un semplice contatto di labbra.






 

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Capitolo 5
*** Cinque. ***


Cinque.


 


Mi sveglio di soprassalto, allarmata e incredula. Era davvero tutto un sogno? Da quando in qua sogno un mio professore? Che per di più mi bacia? Mi sembrava troppo bello per essere vero, l'avrei dovuto capire subito.. a scuola non può esserci una giornata non pesante e un cibo mangiabile. Ma più che altro, a scuola non può e non deve esserci un rapporto del genere tra un insegnate e una sua alunna. È contro le regole, lo dicono e lo sanno tutti.
E allora per quale diavolo di motivo me lo sono sognata? Provo davvero qualcosa per il mio professore di algebra? Lo dice la parola stessa, professore: sbagliato, errore.
Decido di non pensarci, o almeno provarci. Mi alzo dal mio letto, dove ieri sera mi sono trascinata appena arrivato papà. Ora mi ricordo, l'ho aspettato alzata fino a mezzanotte. Non c'è stato nessun risveglio sul divano, nessuna coperta, niente di tutto ciò. Mmi sono immaginata tutto e devo scordarmene al più presto.
Osservo le occhiaie che mi segnano il viso, con disgusto. Non è possibile che ogni mattina debba usare tre kg di correttore per cercare di non sembrare uno zombie. Il mio riflesso allo specchio assomiglia tanto ad uno di loro, solo ancora un po' scombussolato per ciò che ho sognato questa notte. Forse una doccia mi farà bene.
Appena sento il getto d'acqua sfiorarmi la pelle, mi rilasso subito e quando esco mi sembra di essere rinata. Tuttavia non ho proprio voglia di andare a scuola, né tanto meno fare ripetizioni con lui. Non so con che coraggio io potrei riuscire a guardarlo negli occhi, non dopo quel sogno almeno.
Sospiro, indecisa sul da farsi, mentre vado verso la cucina dove mi aspetta mio padre.
«Ciao piccola» mi saluta, con il suo solito sorrisone. Mi è mancato. Davvero davvero tanto. Corro verso di lui, sentendo gli angoli delle labbra allungarsi sempre di più. Amo l'effetto che mi fa, è la persona della mia vita, quella senza cui non riuscirei a stare.
Lo abbraccio, come se ne dipendesse la mia vita. Lo abbraccio, cercando quella tranquillità che solo lui riesce a darmi. Lo abbraccio, perchè solo con lui riesco ad essere dolce, affettuosa. Lo abbraccio, perchè mi è semplicemente mancato e perchè gli voglio bene. Perchè è mio padre.
«Ciao papi» sussurro sulla sua spalla, continuando a tenerlo stretto.
Dopo essermi staccata, mi sistemo meglio sulla sedia e lo osservo mentre prepara la nostra solita colazione. Mi ritrovo a pensare a quanto poco ci assomigliamo fisicamente ma a quanto siamo uguali caratterialmente. È per questo che sono così legata a lui.
«E' successo qualcosa?» mi chiede, quando mi porge il mio cappuccino.
Scuoto la testa, mentre mangio un cornetto. «Vorrei solo stare a casa, oggi, però» dico, sperando che colga il significato della mia frase. Pare di sì, visto che sorride divertito, iniziando a fare battutine. Ma nonostante ciò, mi abbona l'assenza a scuola, cosa che mi fa correre verso di lui e riempirlo di baci per ringraziarlo, sentendolo ridere allegro.
Dopo averlo torturato abbastanza, mi rendo conto che lui se ne deve andare a lavorare, così lo saluto e torno in camera.
Afferro il telefono, per avvertire Kate della mia assenza. Ne approfitto per scrivere anche a Jacob che oggi non sarò a scuola. Mentre la prima, mi si lamenta -scherzando- per averla lasciata sola, il secondo è più che felice di sentirselo dire, visto che aveva intenzione di saltare le lezioni anche lui. Decidiamo perciò di andare al mare: io per schiarirmi le idee, lui solo per farmi compagnia. E gli sono grata, davvero tanto.
Dopo poco più di una mezz'ora ricevo un messaggio dal mio compagno di viaggio, che mi avverte di essere pronto. Passo così a prenderlo per dirigerci verso Brighton, dove passiamo la maggior parte delle nostre vacanze.
«Come mai la nostra signorina Jamie non è andata a scuola questa mattina?» mi chiede, indagatore, Jake mentre si accomoda sul sedile, prendendo la cintura.
«E tu? » gli chiedo io, cercando di sviare la risposta. Il fatto è che non conosco neanche io il motivo per cui ho deciso di saltarla, ma so solo che dopo il sogno di stanotte non avrei potuto stare nella stessa stanza con lui. Non oggi, almeno.
«J, ci conosciamo da troppo» mi ammonisce il mio amico «so quando vuoi evitare di rispondere» ci tiene a precisare.
Mentire a Jacob è una delle cose che odio di più al mondo, ma sta volta non saprà quello che mi passa per la testa. Non mi sento pronta a dirlo e poi lui arriverebbe a conclusioni assurde, alle quali io non voglio neanche pensare. In più, raccontarlo ad altre persone vorrebbe dire che devo ammettere di pensare a lui a volte, anche se inconsciamente.
Perciò raccolgo tutte le mie doti di bugiarda che ho e gli rispondo nel modo più convincente possibile «Bho, non avevo dormito bene questa notte e poi papà mi ha detto che andava bene se saltavo scuola» spiego, con con voce ovvia «E chi sono io per andare contro il volere del grande capo? Tu invece?» aggiungo ironica. Spero che se la beva e smetta di farmi domande.
«Io non sapevo niente di letteratura» dice, grattandosi la nuca.
«Chissà come mai» lo prendo in giro io, scuotendo la testa. Jake la odia, così come odia la signorina Mejer. Come dargli torto!
Ora che la conversazione si è spostata su di lui, posso finalmente tirare un sospiro di sollievo. Il viaggio infatti, prosegue senza più accenni al motivo per cui non sono andata a scuola. Dopo poco più di un'ora siamo finalmente arrivati a Brighton, dove, per nostra grande fortuna, troviamo un clima abbastanza caldo per essere novembre.
Appena scendo dalla macchina, ispiro l'aria marittima. Quanto mi è mancato questo posto. Amo il mare, l'ho sempre amato fin da quando ero bambina. Sia d'estate che d'inverno. Mi piace stare seduta in spiaggia ad osservare le onde che incontrano la riva, osservare la calma che c'è qui, la pace.
Ed è proprio quello che stiamo facendo io e Jake in questo momento. Stiamo seduti sui resti di una barca di legno, vicino alla riva. In silenzio, in pace.
«A che pensi?» domanda lui, interrompendo solo per un momento questo clima di tranquillità che si è stabilito.
«Che dovremmo venire qui più spesso» gli rispondo, senza smettere di guardare dritta davanti a me. Lo vedo annuire, con la coda dell'occhio «Tu a che pensi?» gli pongo il suo stesso quesito.
«Che è bello qui» spiega, sorridendo appena «E che forse dovrei avvertire mia madre che oggi pomeriggio non ci sono» continua.
Merda, devo avvertire Michael, cioè il professore di algebra, il mio professore di algebra che oggi non potremo fare lezione. Sospiro, non appena vedo il mio amico allontanarsi per chiamare Lauren, sua madre. Tiro fuori dalla mia borsa il telefono e inizio a digitare, indecisa su quello che scrivere.
Scusami ma oggi dovremo rimandare le ripetizioni, mi dispiace
Messaggio inviato. Perfetto. Ora basta aspettare la sua risposta e sperare che non mi chieda niente sul motivo per il quale io abbia deciso di non vederci più. Per studiare, ovvio.
Un suono interrompe i miei pensieri, mi ha risposto immediatamente e ho un'incredibile e immotivata paura nel leggere la sua risposta.
Tranquilla, va tutto bene? Non ti ho vista a scuola stamattina..
Leggo velocemente. Oh Michael.. se solo tu sapessi quello che mi passa per la testa. Sto bene? Si, sono un po' confusa ma va bene così. Ho solo bisogno di stare sola e schiarirmi le idee, nonostante io sappia benissimo che domani dovrò tornare a scuola e rivederlo.
Si, ero solo un po' stanca. Avevo bisogno di una giornata di relax :)
Digito. Potrebbe prenderla per buona, infondo è la verità, seppur in piccola parte. In più, volevo seriamente di un po' di riposo e oggi sembrava il giorno perfetto.
Meglio così :)
Leggo il messaggio di Michael. Non credo di rispondergli, sia perchè non ho idea di cosa scrivergli, sia perchè Jake è tornato e credo che vedere la sua migliore amica chattare con un suo professore non sia proprio il massimo. Riprendiamo le posizioni originali e continuiamo a fissare l'orizzonte.
«Che ti ha detto Lory?» chiedo riferendomi alla chiamata che ha fatto per avvisare sua madre.
«Devo tornare appena dopo pranzo» mi spiega, per poi aggiungere senza neanche farmi parlare «Non c'è bisogno che torni con me, c'è Greg nei paraggi».
Annuisco, sorridendo «Lo sai che potrei benissimo tornare a Londra con te» gli dico, come se fosse la cosa più scontata del mondo. È ovvio che rimarrei volentieri qui un altro po', ma è anche ovvio che non lo lascerei mai solo.
«Lo so, ma non voglio disturbarti. L'ho capito che c'è qualcosa che ti turba Jams, anche se non me ne vuoi parlare» mi dice, sorridendomi dolcemente. Bene, e così l'ha capito. Apro la bocca sorpresa, cercando di ribattere in qualche modo, ma vengo bloccata da lui. «Andiamo ci conosciamo da troppo tempo, ho imparato a conoscerti» continua.
Sospiro sconfitta, ormai non ha senso provare a replicare, non con lui perlomeno. Mi conosce, ha ragione. Sono solo stata un po' sciocca a pensare che non se ne sarebbe accorto. Appoggio la testa sulla sua spalla, sentendo subito dopo il suo braccio circondarmi la schiena.


 


 


«Ci vediamo a Londra, allora?» mi chiede Jake scrutandomi per la centesima volta.
«Oh mio Dio Jake, si! Starò solo un altro paio d'ore» sbuffo, non riuscendo però a trattenere un sorriso «Ti prego, portalo via» esclamo ridendo, rivolgendomi al fratello del mio migliore amico. Greg è più grande di Jacob e me di sette anni, anche se ancora dee compiere i suoi tanto attesi ventisei anni. Siccome quando ero bambina passavo la maggior parte del tempo dai signori Kennet, anche Greg è diventato come un fratello. Certo, ho avuto un breve periodo in cui ho avuto una cotta per lui, ma niente di più. Nessuno dei fratelli Kennet ne è a conoscenza e io non ho intenzione di svelare il mio piccolo segreto per nessuna ragione al mondo.
«Ha ragione Jamie, lasciala stare fratellino!» lo richiama quest'ultimo, ricevendo da me un pollice alzato e un'occhiataccia da Jake.
«Zitto tu» lo ammonisce, facendomi ridere divertita. Non la smetteranno mai di battibeccare, mai e poi mai «Tu, invece, chiama quando sei arrivata a casa e.. » dice il mio super-protettivo migliore amico.
«E fai per bene» concludo al suo posto «So già tutto Jakie» dico addolcendo il tono, appena pronuncio il soprannome che gli avevo affibbiato quando eravamo piccoli. Questa frase deve avergli fatto effetto, visto che si decide ad abbracciarmi di slancio e salutarmi.
Muovo la mano a destra e sinistra in aria, mentre vedo la macchina sfrecciare via verso Londra. Ora sono finalmente da sola, non che la presenza di Jake mi infastidisse, anzi. Avevo unicamente bisogno di un po' di tempo per riflettere e starmene per conto mio.
Ritorno verso il ristorante dove siamo stati a pranzo, andando però questa volta non verso la spiaggia ma proseguendo verso il molo. Quello è il mio posto, è dove venivo sempre con mia madre ed era qui che prendevano vita le migliori chiacchierate con lei.
Dopo appena cinque minuti di camminata, con la voce di Dave Grohl dei Foo Fighters nelle orecchie, arrivo alla meta. È come l'ultima volta, solitario, tranquillo, maestoso. Mi sento a casa, è come se la sua essenza fosse racchiusa in questo posto, come se lei fosse ancora qui.
Mi siedo su una dei tanti scogli e inizio a guardare. Mi piace osservare le persone, i paesaggi, gli oggetti. E penso.
Penso a quanto mia madre mi manchi, al bene che voglio a mio padre, a quanto sono fortunata a ad avere amici fantastici come sono loro e sì, anche a Michael e a quel maledetto sogno. Mi rendo conto di quanto tutto ciò sia stupido e insensato, infondo è solo un abbaglio, un'insignificante fantasticheria. Ora, solamente perchè mi sono sognata un bel ragazzo, non posso stare a fare tutte queste scene. Eppure c'è qualcosa dentro di me che mi blocca, che non mi fa essere sicura al cento per cento. Indubbiamente c'è qualcosa che non va in me, anche se non so bene cosa. Se adesso anche un'alunna si invaghisce di un insegnante, andiamo dritti dritti nella merda.
“It's the first time, that I worry of a bad dream” dicono i Blink -182, nelle mie orecchie.
“È la prima volta che sono preoccupato di un incubo”, o meglio di un cattivo sogno. Ed è così, sono spaventata da questo maledetto cattivo sogno.
A fermare lo scorrere dei miei pensieri ci pensa un cucciolo di Golden Retriver, che tutto scodinzolante si piazza vicino a me. Allungo una mano, un po' titubante, provando ad accarezzarlo. È un cucciolo ancora ed è dolcissimo, si sta lasciando coccolare da una perfetta estranea. Mi salta addirittura addosso e inizia a farmi le feste, riuscendo persino a togliermi le cuffiette. Sorrido involontariamente, iniziando a giocare con il cucciolo.
«Dov'è il tuo padrone, piccolo?» chiedo retoricamente a lui, come se fosse in grado di rispondermi.
Mentre continuo ad accarezzarlo, sento un richiamo dapprima più lontano e poi sempre più vicino «Mel! Eccoti, finalmente!» esclama una voce maschile, venendo verso di noi. Ma è..
«Michael!» e «Jamie!» urliamo in perfetta sincronia. Oh mio dio, ditemi che è uno scherzo, che il cane non è suo e che lui non è davvero qui. Il mio professore di algebra, quello da cui sono letteralmente “scappata” oggi, è qui. Esattamente difronte a me.
«Che ci fai tu qui?» mi chiede, poi. Glie l'avrei chiesto io, ma devo ancora riprendermi dallo shock di averlo qui davanti. Quante probabilità c'erano di incontrarsi a Brighton proprio oggi? Una su un milione, eppure eccolo qui davanti a me.
Bene, ora devo rispondergli sembrando più normale possibile «Volevo fare un giro, tu?» dico semplicemente, senza dargli tante spiegazioni. Non voglio che pensi che sia lui motivo per il quale non sono andata scuola, anche se in realtà, il motivo è seriamente lui.
«Siccome avevo il pomeriggio libero» e qui mi ammonisce con lo sguardo, senza però smettere di sorridere «Ho deciso di fare un giretto al mare e ho portato anche Melachi» conclude indicando il cucciolo che sta ancora seduto accanto a me.
Annuisco una volta ascoltate le sue parole e mi risiedo dato che prima ero scattata in piedi come una molla alla sua vista, riprendendo ad accarezzare il cane e puntando lo sguardo verso le onde. Posso sentirlo compiere le mie stesse azioni e sedersi accanto a Melachi, l'unica a dividerci.
«Ti dispiace se sto con te? Mel non sembra volersene andare» dice, indicando con un gesto il cucciolo in mezzo a noi «Le piaci» aggiunge, come se la cosa lo stupisse.
«No, fa pure» dico sincera, facendo brevemente incontrare i nostri occhi quando mi sono girata per osservare il cane. «E' bellissima» esclamo sincera, dando voce ai miei pensieri.
Dopo questo breve scambio di battute, restiamo in silenzio per un po' , respirando l'aria pura, guardando il paesaggio, e di tanto scambiandoci occhiate fugaci sperando che l'una o l'altro non se ne accorgano.
«Eri con Jacob Kennet oggi?» chiede ad un certo punto, lui. Jake? Ma come diavolo.. «Era assente anche lui, so che vi frequentate» finisce prima che possa replicare, sputando fuori quell'ultima frase quasi con tono accusatorio.
«Siamo amici e sì, era con me» tengo a precisare, calcando bene sulla parola 'amici'.
«Solo amici? Andiamo, state sempre insieme» replica lui.
«Sì, solo e solamente amici. Ci conosciamo da più di dieci anni. E poi non ti devo dare spiegazioni..» dico piccata, mi da fastidio che usi questo tono insinuatore con me.
«Uhm..hai ragione, scusa» dice poi lui, dopo averci pensato un attimo su. Annuisco, calmandomi. Non mi piace quando la gente si rivolge a me così ed avendo una carattere che prende fuoco subito, mi sono immediatamente irritata.
«Comunque, come mai eravate qui?» chiede ad un certo punto.
Come faccio a spiegargli che la causa della mia assenza è lui stesso? Come faccio a dirgli che mi sto sentendo a disagio a stare nello stesso posto, da soli? Mi gratto il collo, nervosamente. «Sei imbarazzata» constata, senza che io apra bocca.
«Cosa?» lo guardo interrogativa, sentendo le guance prendere calore.
«Quanto ti gratti il collo, sei in imbarazzo per qualcosa» dice come se fosse la cosa più semplice del mondo. Non mi ero mai resa conto di compiere quest'azione,eppure ora che ci ragiono su, è vero.
«Non sono in imbarazzo» replico, provando a mentire senza risultati, visto che ricevo un'occhiata come a dire 'si, certo come no'. Sospiro, arrendendomi e sentendo le mie labbra incurvarsi in un piccolo sorriso «Mi piace questo posto, avevo voglia di ritornarci» rispondo alla domanda che mi ha posto Michael poco prima.
«È bellissimo, infatti» acconsente lui, annuendo alle mie parole.
Riprendiamo ad osservare il panorama che si erge dinnanzi ai nostri occhi. Siamo seduti tra gli scogli a fissare il confine tra mare e cielo. In autunno, e forse più in inverno, il colore azzurro acceso estivo, che brilla sotto il raggi del sole lascia il posto ad un blu cobalto più cupo, più scuro. Eppure non è mai stato più spettacolare, più maestoso.
Sento Michael muoversi senza però capire quale sia il suo intendo. Poi la musica torna a colpirmi, è The Scientist dei Coldplay. Ho capito cosa stava facendo, ha preso le mie cuffiette, una per me e una per lui, e ora stiamo ascoltando una delle mie canzoni preferite in assoluto.
Restiamo così per non so quanto, probabilmente per più di una mezz'ora visto che i brani continuano a riprodursi uno dopo l'altro. Senza dire niente, senza rovinare la pace che c'è qui, che c'è tra di noi.
«Posso farti una domanda?» chiedo ad un certo punto, senza smettere di guardare avanti. Ricevo il permesso con un 'si' pronunciato dal ragazzo accanto a me «Non è strano tutto questo?»
«Questo cosa?» reclama lui, non riuscendo, forse, a capire a cosa io mi stia riferendo.
«Stare qui, insieme..» rispondo, abbassando sia lo sguardo sia il mio tono di voce. «Voglio dire, sei il mio professore e io sono una tua alunna.. ma malgrado ciò, non mi sembra di stare con un mio insegnate» butto fuori tutto di un fiato.
Non ricevendo risposta, punto i miei occhi su di lui, mentre mi mordo nervosamente il labbro inferiore. Devo averlo messo a disagio, vista che la sua espressione si è incupita tutta ad un tratto.
«Forse è meglio che vada» dice semplicemente, senza però degnarmi di uno sguardo «Andiamo Mel» dice poi rivolto al cane.
«Michael» lo provo a richiamare io, ma non ricevendo nessun tipo di risposta, nessun tipo di contatto, né visivo né niente. Lo vedo andare via, salutandomi con un frettoloso 'ciao' a mezza bocca, mentre io ancora interdetta e confusa dalla sua reazione, resto seduta qui. In compagnia dei miei pensieri e della mia musica.
Oh Michael, che diavolo mi sta succedendo.. 







 

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Capitolo 6
*** Sei. [First Part] ***


Sei.


 


 

È da ieri pomeriggio che non riesco a smettere di pensare a quanto sia stato strano l'incontro con lui e quanto sia stato strano il suo comportamento. Non era mia intenzione metterlo a disagio, anzi. Volevo solo un chiarimento o un.. veramente non so neanche io bene cosa, ma per colpa della mia boccaccia non sono proprio riuscita a trattenermi. Probabilmente volevo solo capire se sono l'unica dei due a farsi tutti questi problemi mentali, visto che di concreto non c'è niente se non il poco tempo passato insieme. E invece, adesso, devo fare i conti con la realtà e con le conseguenze delle mie azioni.
Credo che tutti qui intorno si siano accorti che stamattina sono molto sovrappensiero: i mille richiami ricevuti da parte dei miei amici e dei miei professori ne sono la prova. Ma proprio non ce la faccio a non pensarci. Chissà cosa succederà tra due ore, quando lo rivedrò. Ebbene si, per mia grande fortuna oggi ho lezione con lui e non ho idea in che tipo di condizioni posso presentarmi nella sua classe.
Per la seconda volta nella mia vita ho paura. Ma non è la stessa provata quando è morta mia madre, no. Quella era paura di rimanere sola, di essere abbandonata, di essere reputata sempre come “la ragazza con solo il papà”. Questa invece è paura di come lui possa reagire, di come comportarmi. Paura di aver superato il limite, di essere stata troppo invadente. E tra le due, non so quale sia peggio. Prima almeno avevo un funto di riferimento, mio padre. Ora non so dove sbattere la testa. Non ho intenzione di rivelare niente a nessuno, almeno per il momento. E so che probabilmente sto esagerando, che non è niente di che.. ma quando si parla di me, di lui, del nostro rapporto divento strana ed è una sensazione così nuova per me e così insolita.
«Jams stai bene?» mi chiede Jake, riportandomi alla realtà. Mi accorgo solo ora di non aver prestato per nulla attenzione al discorso che stavano facendo i miei amici. Per fortuna gli altri non si sono accorti della domanda del ragazzo affianco a me, visto che sussurrava.
«Si perchè?» provo a mentire, anche se so che il mio migliore amico non ha intenzione di bersela. Il suo sguardo la dice lunga e io non posso fare a meno che lasciarmi andare sulla sedia, sotto i suoi occhi castani che ancora si ostinano a indagare imperterriti.
«Stai torturando il braccialetto da questa mattina e sei..» mi sistema una ciocca di capelli ribelli dietro l'orecchio «..pensierosa» conclude.
«Sono solo stanca ultimamente» dico, ammettendo un po' la verità. Alla fine è vero, almeno per metà. Certo, non gli ho detto il motivo vero e proprio ma non posso uscirmene con un “sono stanca perchè mi sto accorgendo di provare qualcosa a me sconosciuto per un nostro insegnante”. Mi scambierebbe per una psicopatica e mi farebbe, quasi sicuramente, una ramanzina di due ore. E non ho proprio bisogno che anche lui mia dia contro.
«Mi dispiace, se c'è qualcosa che posso fare..» mi dice, sorridendo comprensivo. Forse ha capito di non andare oltre, ma so per certo che la questione non finirà qui.
«Lo so, grazie» rispondo dolcemente. Posso essere stronza, cinica e tutto quello che volete, ma voglio un bene dell'anima a questo ragazzo e gli credo davvero quando dice di esserci sempre per me. È la verità e me l'ha sempre dimostrato in questi anni. Gli sono davvero grata. «Sei pronto per letteratura?» chiedo, cambiando discorso e provando a riprendere contatti con il mondo reale.
«Guarda, lasciamo perdere» dice plateale lui, sbuffando sonoramente. Non posso fare a meno di ridere di fronte all'angoscia che prova, la odia davvero questa materia.
«Buongiorno ragazzi» dice entrando la signorina Mejer, con quella sua vocina fastidiosamente acuta.
«Parli del diavolo» sussurra il mio compagno di banco, facendomi scappare una risatina sommessa.
«E spunta lei» conclude al suo posto Liam, dietro di noi, facendomi letteralmente scoppiare a ridere come una completa idiota. Forse devo aver esagerato, visto che il soggetto dei nostri discorsi in questione mi lancia un'occhiata fulminante che mi fa letteralmente ammutolire. Che simpatia.

«Oggi interroghiamo..» inizia la frase la professoressa, ma viene interrotta da qualcuno che sta bussando alla porta. Tutti noi sappiamo quanto lei si irriti se viene stoppata mentre fa lezione, perciò nessuno di noi osa fiatare dopo il suo scocciatissimo “avanti”.
La sua espressione cambia totalmente quando vede comparire il giovane professore di matematica. Il suo fascino ha colpito addirittura questa mummia della Mejer. Ma più che altro, che diamine ci fa lui qui?
Osservo ogni sua mossa, analizzo ogni sua singola parola, immagazzinandole una ad una nella mia mente. Vedo muoversi le sue labbra formando delle scuse per essere piombato così inaspettatamente, lo seguo con lo sguardo arrivare a grandi falcate vicino alla cattedra e parlare con la nostra insegnante, che annuisce alle sue parole, seppur un po' contrariata. Smetto di essere in questo mondo parallelo fatto solo di Michael Penniman e dei suoi gesti, delle sue parole dei suoi movimenti, solo quando sento la Mejer pronunciare il mio nome completo.
Sbatto velocemente le palpebre e aggrotto le sopracciglia: cosa ho fatto ora? Mi guardo intorno spaesata, ricevendo occhiate confuse da Liam e Jacob, alle quali rispondo allo stesso modo. Non ho la più pallida idea di cosa voglia da me.
Mi alzo il più lentamente possibile, andando poi verso la cattedra dove mi attendono i due professori. Mi metto lontano da Michael. È da stamattina che provo ad evitarlo e ora, lui che fa? Mi chiama addirittura in classe.
«Ho parlato con la gentilissima signorina Mejer» inizia lui, rivolto a me. Gentilissima? Ma che ruffiano. «Ha dato il permesso di farti uscire per un po', ti devo parlare di una cosa e preferirei farlo a quattr'occhi» conclude, facendomi gelare il sangue nelle vene. Di cosa vuole parlare? Di ieri pomeriggio? Degli incontri extrascolastici che facciamo? Sono mille le domande che frullano nella mia testa e tutte sono senza risposta.
Annuisco semplicemente, incapace di formulare una frase di senso compito e, dopo un cenno di Michael, lo seguo fuori dalla classe, non prima di aver lanciato un'occhiata titubante a Jake. Lui capirà. 

«Hai voglia di un caffè?» mi domanda lui, interrompendo quello strano e imbarazzante silenzio che si era creato tra di noi. Per quanto questa situazione sia surreale, un caffè un si rifiuta mai. Perciò annuisco, sentendo la bocca di colpo secca. Solo ora mi sto rendendo conto che siamo completamente da soli, a scuola, e che lui vuole parlarmi, di non so cosa oltretutto. E io me la sto seriamente facendo sotto.
Dopo essere arrivati alle macchinette, lo osservo mentre inserisce due monetine e prende due tazze di liquido bollente, una per me e una per lui. «Vuoi lo zucchero?» chiede gentilmente, dopo averne messo due cucchiaini dentro il suo. Sorrido.
«Sì grazie» riesco a dire finalmente dopo essermi schiarita la voce «Devo ridarti i soldi» accenno al fatto che lui mi abbia offerto il caffè senza neanche avermi fatto tirar fuori il denaro.
«Ma ti pare? Lascia perdere» dice ponendo fine alla nostra breve battaglia su chi dovesse pagare. Poi mi fa cenno con la testa di seguirlo e indica le scale che portano al secondo piano. Cammino affianco a lui e non possono non notare la differenza di altezza tra di noi. È strano come io non l'abbia notata prima, visto che tra di noi ci corrono venti centimetri buoni. Nonostante io sia alta per essere una ragazza, lui lo è sicuramente troppo nonostante sia un ragazzo.
Di colpo lo vedo abbassarsi e sedersi sulle scale, azione che imito con ancora il caffè bollente nelle mani. Per altri istanti ritorna il silenzio di prima, con lui che mi osserva. Così decido di prendere i mano la situazione. «Allora posso sapere il perchè della mia uscita?» chiedo osservandolo, mentre soffio sulla mia tazzina.
«Ah sì, giusto» si ricompone lui, abbassando lo sguardo come se fosse stato colto in flagrante. «Volevo parlarti dei tuoi disegni» dice di punto in bianco. Ok, ora sono confusa. Guardo sorpresa e incuriosita il ragazzo vicino a me, incitandolo a continuare.
«Io e la signorina Coleman siamo entrambi dell'idea che tu sia molto brava» dice sorridendo calorosamente, per poi bere un sorso del suo caffè.
«Uhm..okay. Grazie, suppongo» balbetto io. Non ho idea di dove vuole andare a parare, se mi ha fatto uscire dalla classe solo per farmi i complimenti beh, è davvero davvero insolito. Poteva benissimo dirmelo in qualche altro momento.
Lo sento ridere. È una bella sensazione. Mi rendo conto che mi piace farlo ridere, mi piace essere la causa di quel sorriso da bambino che gli si forma. Così rido anche io, a mia volta, un po' contagiata dalla sua risata cristallina, un po' rendendomi conto di quanto la mia frase risulti essere stupida.
«Fammi arrivare al punto Jamie» replica lui, non perdendo il suo sorriso genuino. Appoggio il caffè realmente interessata a quello che mi vuole dire e alzo le mani a mo' di resa, lasciando intendere di continuare. «C'è una mostra alla Courtauld Gallery e abbiamo pensato che sei una delle poche persone in questa scuola a cui potrebbe interessare» conclude, guardandomi, stavolta un po' più serio, negli occhi.
Avevo sentito parlare di questa mostra, ma per quanto volevo andarci, non ero riuscita a trovare i biglietti entro il tempo disponibile. Perciò dopo la sua proposta sono un misto tra lo stupita e il meravigliata. «Davvero?» domando per avere un'ulteriore conferma.
Michael mi sorride, mentre mi annuisce. Mi ritrovo a sorridere anche io, davvero contenta per quanto mi ha detto. «Sei contenta, a quanto pare» dice lui.
«Volevo andarci» ammetto solamente, riprendendo il caffè e bevendone un sorso «Chi sono gli altri ragazzi che vengono?» chiedo poi. Chissà, forse verrà anche Jasmine o Kevin, a loro piace moltissimo questo genere..oppure Peter o Matilde.
Lo sento tossicchiare imbarazzato, mentre mi ravvivo i capelli con una mano. Mi giro verso di lui, percependo immediatamente che c'è qualcosa che non mi ha detto. «Siamo solo noi due» sussurra, come se mi stesse confidando un segreto.
Spalanco la bocca, sorpresa più che mai. «Ma lei non è un professore di arte» realizzo, provando a convincerlo a non venire «Non dovrebbe venire, che ne so, la Coleman?» chiedo con ovvietà. In fondo sto dicendo la verità, è lei ad insegnarmi arte, non lui. Anzi, Michael non centra assolutamente niente con questo.
«Ehm, sì» ammette titubante lui «Ma oggi proprio non poteva, così come gli altri ragazzi che avevamo scelto» spiega lui, per poi proseguire senza lasciare che io ribatta «Compiti in classe».
Annuisco, incapace di fare altro. Non ho intenzione di rinunciare a questa mostra e se questo vuol dire passare due ore con lui, beh, va bene. «Uhm.. okay» dico, perciò.
«Sei sicura?» dice piuttosto stupito. Forse si aspettava una risposta diversa, visto la nostra ultima conversazione di ieri. Ma comunque lo vedo aprirsi in uno dei suoi sorrisi che ti tolgono il fiato, mentre annuisco più o meno convinta. Alla fine è solo una galleria, no?
«Bene. Passo a prenderti o ci vediamo là?» mi chiede Michael, con sempre un non so che di incerto nella voce. Realizzo che non sono l'unica a sentirsi impacciata, nonostante avessi fortemente creduto di essere la sola tra i due. E invece persino un ragazzo, o meglio, un uomo di venticinque anni può trovarsi in difficoltà.
«Vediamoci fuori dalla galleria» sputo fuori, forse un po' troppo velocemente. Provo a rimediare con un sorrisino, non vorrei che pensasse che non mi piace la sua compagnia, anzi tutt'altro. È che non voglio che qualcuno pensi male, e già il fatto che andiamo completamente da soli non fa che peggiorare le cose.
Annuisce alle mie parole, ricambiando con un sorriso più grande, uno di quelli che ti abbaglia all'istante, uno di quelli da custodire gelosamente nella propria memoria. «16:30 davanti all'entrata?» domanda, allora.
Annuisco convinta, questa volta «Perfetto» gli dico, alzandomi per buttare il caffè ormai finito. Allungo la mano, cercando di prendere anche la sua tazza vuota, ma Michael, con un balzo repentino, si alza e mi sfila la mia dalle mani, per poi superarmi e andare verso il cestino. Rimango a fissare sbalordita il punto dove era seduto prima, per poi girarmi divertita. «Ehi» lo ammonisco ridendo «Per una volta che ero gentile» esclamo, continuando a ridere.
Ride anche lui, contagiato -credo- dalla mia risata o dalla mia battuta. Anche se in realtà non era affatto una battuta. «Credo che sia meglio che ti riporti in classe, altrimenti Aline ucciderà sia me che te» borbotta, riferendosi quasi più a se stesso che a me.
«Aline?» chiedo ancora più divertita.
«La Mejer» spiega lui, semplicemente, scrollando le spalle con noncuranza. Mantiene il suo solito sorrisetto sulle labbra. E io con lui.
«La Mejer ha un nome?» domando ironicamente, fingendomi veramente sorpresa e scioccata. Mentre lo dico, mi fermo di botto e poggio una mano sul suo braccio, facendogli arrestare la sua camminata verso la mia classe di letteratura.
Mi scocca uno sguardo di ammonimento, ma nonostante ciò continua a sorridere divertito, restando al gioco. «A quanto pare sì! Chi l'avrebbe mai detto?» esclama platealmente lui, prolungando la scenetta. Rido alle sue parole, senza curarmi del fatto che stiamo -più o meno- prendendo in giro una sua collega e che ci stiamo comportando come due ragazzi normali, non più come un'alunna e un professore. E per quando mi renda conto che questo sia sbagliato, che tra di noi deve esserci il giusto distacco professionale, non mi interessa. Neanche un po'.
Dopo pochi attimi, fatti solamente delle nostre risate e delle nostre battutine ironiche, siamo giunti a destinazione. L'aula di letteratura, dove quel demonio di Aline starà sicuramente interrogando qualcuno. Sbuffo sonoramente. Non vorrei lasciare Michael, mi trovo bene con lui. Ma più che altro non voglio sorbirmi un'altra ora della Mejer.
«Ci vediamo alle 16:30 quindi, okay?» si assicura, ancora una volta il mio bel professore di algebra. Annuisco alle sue parole, sorridendo sinceramente. Alla fine non è male per niente passare un pomeriggio con lui, senza libri o senza formule di matematica.
«A dopo allora» mi saluta lui, mentre mi sistema dietro l'orecchio la stessa ciocca ribelle che mi aveva precedentemente aggiustato Jake. Inutile dire che sono incapace di formulare una frase con un soggetto, un predicato e che so, anche un complemento. Faccio 'si' con la testa, non avendo la capacità di fare altro.
Mi lascia un ultimo sorriso, sta volta un po' divertito, e se ne va. Lo seguo con lo sguardo fino a quando non svolta l'angolo, probabilmente sta andando verso la sala professori.
«Merda» mi lascio andare. 









 

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