Sunflower

di Ormhaxan
(/viewuser.php?uid=104641)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 01: Prologo ***
Capitolo 2: *** 02. ***
Capitolo 3: *** 03. ***
Capitolo 4: *** 04. ***
Capitolo 5: *** 05. ***
Capitolo 6: *** 06. ***
Capitolo 7: *** 07. ***
Capitolo 8: *** 08. ***
Capitolo 9: *** 09. ***
Capitolo 10: *** 10. ***
Capitolo 11: *** 11. ***
Capitolo 12: *** 12. ***
Capitolo 13: *** 13. ***
Capitolo 14: *** 14. ***
Capitolo 15: *** 15. ***
Capitolo 16: *** 16. ***
Capitolo 17: *** 17. ***
Capitolo 18: *** 18. ***
Capitolo 19: *** 19. ***
Capitolo 20: *** 20. ***
Capitolo 21: *** 21. ***
Capitolo 22: *** 22. ***
Capitolo 23: *** 23. ***
Capitolo 24: *** 24. ***
Capitolo 25: *** 25. Epilogo ***



Capitolo 1
*** 01: Prologo ***






 


Ah, Sun-flower! weary of time,
Who countest the steps of the Sun:
Seeking after that sweet golden clime
Where the travellers journey is done. 

William Blake



**

 

Londra, Ottobre 2013
 
 
 

Dexter Freeman aprì di scatto gli occhi. Il silenzio assoluto regnava nella sua grande casa situata al centro di Londra, a pochi passi da Regent’s Park, e ritrovandosi steso sul costoso tappeto persiano della sua immensa libreria, si chiese come avesse fatto ad addormentarsi in quelle condizioni non proprio favorevoli. Richiuse gli occhi: la testa gli pulsava dannatamente, ricordo di tutta la vodka che si era scolato la sera prima, dell’alcool che da mesi era solito ingurgitare come se fosse una miscela di quei deliziosi tea che si faceva mensilmente confezionare da una delle case da tea più rinomate di Londra, la stessa da cui si serviva la Regina Elizabeth.
Tornando indietro con la mente, Dexter Freeman, rinomato autore di romanzi divenuti bestseller in tutta Europa e acclamato critico, non seppe dire quando era iniziata quella lenta caduta: forse, molto probabilmente, era iniziato tutto quando il suo agente, Mr. Brooks, aveva iniziato a spingere per la stesura del suo terzo romanzo, un romanzo scritto di malavoglia, un romanzetto rosa da strapazzo, pieno di inutili clichè che, con sorpresa di tutti eccetto la sua, era stato stroncato dalla critica e si era dimostrato un fiasco – la massima posizione raggiunta era stata la quindicesima – di proporzioni bibliche. Forse era iniziato tutto quando sua moglie Margaret lo aveva mollato da un giorno all’altro, stufa di quell’uomo ormai diventato un estraneo che non faceva altro che auto commiserarsi e sembrava sul bordo del baratro – dopo tutto, Dex aveva sempre saputo che, raggiunta la vetta, si può solo scendere – pronto ad inghiottirlo e a farlo entrare di diritto nello stesso dimenticatoio in cui erano finiti molti scrittori prima di lui.
In verità, neanche lui sapeva quando e come era passato dall’essere uno scrittore di successo ad uno scrittore fallito e un ubriacone solo e burbero; quello di cui era certo, però, era una ed una sola cosa: l’abbandono di Margaret non aveva suscitato in lui alcuna emozione, era stata la scintilla che aveva acceso in lui quel bagliore di consapevolezza che gli aveva fatto aprire gli occhi, capire che la donna che aveva sposato cinque anni prima, quella che un tempo era stata la sua ragazza al college, era diventata un estranea, una sconosciuta per la quale un tempo aveva provato sincero amore, quello stesso amore che si era affievolito e spento con il passare dei mesi, ridotto ad un cumulo di cenere simile a quella ammucchiata nel grande camino del salotto.

Con non poco sforzo si alzò dal tappeto, e aggrappandosi al bracciolo del divano di pelle nera ritrovò il precario equilibrio: “Era sempre stata così luminosa quella stanza?”, si chiese mentre strascicava i piedi verso l’enorme vetro finestra della libreria da cui si poteva ammirare il parco, e improvvisamente quello stesso paesaggio che un tempo aveva ispirato tante parole, capitoli di cui era stato fiero, gli diede la nausea. Doveva uscire da là, meglio ancora abbandonare Londra, il suo andirivieni, il suo cielo grigio e la sua aria diventata per lui malsana, e trovare rifugio altrove. Altrove, certo, ma dove? Con la coda dell’occhio Dexter Freeman osservò la scrivania su cui vi erano sparsi fogli abbandonati da chissà quanto tempo, notò sotto quel manto bianco simile alla neve che erano le pagine bianche dei fogli un’agendina color cuoio, ricordo di una delle tante gite fatte tra i mercatini di Covent Garden tanto tempo prima, quando l’ispirazione era ancora sua amica e non lo aveva abbandonato anche lei per chissà quale altro scrittore più giovane e pieno di sogni, e sedutosi pesantemente sulla sedia la liberò dalla morsa dei fogli e iniziò a sfogliare le sue piccole pagine appena ingiallite, leggere i numeri scritti con la sua calligrafia elegante e appena nervosa. Rileggendo quei nomi, Dexter si accorse di quanto la sua vita fosse cambiata, di quanto fosse solo, davvero solo: di quei numeri, di quelle persone, poche erano quelle con cui aveva ancora contatti, vecchi amici che, forse per pietà o forse per opportunismo, non gli avevano ancora chiuso la porta in faccia. Un numero in particolare gli fece tornare in mente un avvenimento accaduto oramai un anno prima, - un avvenimento triste, tragico, una terribile perdita che lo fece nuovamente vergognare di se stesso dopo mesi e mesi passati nel tentativo di dimenticare, di auto convincersi che lui era superiore, che la morte non lo poteva toccare, non lo avrebbe mai toccato – gli fece capire finalmente quello che doveva fare, poiché come aveva lui stesso scritto in un suo romanzo c’era una sola cosa da fare in questi casi, quando non sai più come andare avanti: tornare indietro, nel luogo in cui tutto ha avuto inizio. E per Dexter Freeman il solo posto in cui tutto – la passione per i libri, per la letteratura, la consapevolezza di volere qualcosa di più, diventare uno scrittore affermato – era iniziato era uno soltanto: Richmond, quella cittadina nello Yorkshire dov’era nato trentadue anni prima.   
 

 
**


Non tornava a casa da quasi tre anni, non vedeva sua madre e sua sorella da un anno e mezzo, eppure eccolo là, davanti a quella casa dai mattoni rossi simile a tutte le altre del quartiere in cui era cresciuto. Il cielo sopra di lui prometteva pioggia, l’autobus cittadino– da quanto non metteva piede in un autobus? Anni, probabilmente – lo aveva appena lasciato all’angolo della strada e si era allontanato strombazzando e sfumacchiando anidride carbonica dal colore per nulla rassicurante, segno evidente dell’età – venti, trent’anni? – del suddetto mezzo, e con un due valige, una per mano, strette così forte da sbiancare le nocche, continuava a fissare quell’apparentemente tranquilla casa di mattoni rossi come se fosse un drago sputa fuoco e lui un cavaliere medievale in procinto di dargli battaglia.


“Mrs. Freeman non è in casa!” esclamò una voce poco lontana, destandolo dai suoi pensieri.
Dexter aggrottò le sopracciglia, per nulla contento di quell’interruzione dei suoi pensieri, e girato impercettibilmente il capo mise a fuoco la figura di un’anziana donna che spuntava da dietro le siepi della sua casa.
“Mrs, Freeman non è in casa. – informò nuovamente l’anziana, non vedendo nel giovane alcuna reazione tangibile – E’ in chiesa, per l’anniversario della scomparsa del figlio maggiore di Mrs. Harrison, Mattew.”
“Oh…” tra la labbra sottili di Dexter sfuggì quella semplice esclamazione, un sussurro appena accennato: allora la sua memoria funzionava ancora, pensò, era davvero passato un anno dalla morte del suo amico, di quello che nella sua adolescenza era stato il suo migliore amico. “Grazie, Mrs., vorrà dire che aspetterò il suo ritorno sotto il patio.”
“Ne siete certo? – chiese con scetticismo l’anziana, guardando prima lui, poi il cielo grigio e poi nuovamente lui – Credo che a breve pioverà.”
“Non importa, davvero!” esclamò, per poi aggiungere in un sussurro una frase udita con probabilità soltanto da lui: “Mi è sempre piaciuta la pioggia.”

Seduto su di uno dei gradini del patio della casa materna, Dexter Freeman osservò, sguardo al cielo, la pioggia cadere in goccioline sottili che, una dopo l’altra, si andavano a schiantare nel giardino antistante la casa, sul vialetto di mattoni, sull’asfalto della strada. Chiuse gli occhi, inspirò profondamente il profumo – quello che era da sempre il suo preferito – di terra bagnata e pioggia, e in quel preciso istante capì di essere nel luogo in cui doveva essere: Casa.



_________________________________________________________________________________________________________

Angolo Autrice: Salve a tutti. Non so se qualcuno di voi ha già letto alcune delle mie storie, - questa è la terza originale che scrivo - in ogni caso spero che questo prologo vi abbia incuriosito. La storia, come detto, si svolge in Inghilterra, e tra le molte tematiche tratterà anche il tema della depressione (non una depressione profonda e radicata, ma comunque presente) e dell'alcolismo, quindi se qualcuno è sensibile a queste tematiche sa a cosa andrà incontro se leggerà questa storia.
Vi invito, ovviamente, a lasciarmi una recensione se vi va, dato che mi farebbe immensamente piacere avere i vostri pareri - anche perchè se nessuno leggerà credo sarebbe pure inutile continuarla, no?
Per chi fosse interessato, inoltre, il titolo della storia è ispirato alla poesia succitata del poeta inglese del '700 William Blake, mentre i protagonisti della storia che vede in copertina avranno il volto - almeno nella mia fantasia - di Tom Hiddleston (Thor, Midnight in Paris, The Hollow Crown etc.) e di Holliday Grainger (The Borgias, Posh etc.).
Al prossimo capitolo,
V.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** 02. ***






 


Charlotte Harrison sedeva nell’ultimo banco della chiesa da quello che sembrava essere un eternità e passava il tempo a mangiucchiarsi distrattamente le unghie – da quanto aveva iniziato con quell’orribile vizio che aveva sempre trovato disgustoso e poco igienico?, si chiese continuando a fantasticare con la mente.
Per tutto il tempo della funzione continuò a fissare un punto della bianca architettura senza prestare la minima attenzione a quel prete di mezza età e con qualche chilo di troppo che blaterava sulla fratellanza, l’amore e la santità della Chiesa, di Dio, Gesù e chissà quanta gente che lei aveva sempre trovato poco interessante. Sin dall’infanzia, sua madre – donna pudica, rispettata dalla comunità e soprattutto cattolica modello – l’aveva trascinata ogni domenica mattina presso la parrocchia di famiglia per ascoltare la messa domenicale, nel tentativo di inculcarle la parola del Signore e trasformarla in una cattolica modello proprio come lei, ottenendo in compenso una figlia agnostica, – no, non atea, poiché Charlotte sapeva che qualcosa ci doveva essere là sopra, da qualche parte; una qualche divinità senza nome o volto che, un giorno, avrebbe preso a calci in culo e che avrebbe dovuto offrirle molto più che una stretta di mano,una pacca sulla spalla, per avere il suo perdono – appassionata di musica rock, delle tragedie di Shakespeare, e di tutto ciò che comportasse viaggiare, andare mille miglia lontano da quella città che era Richmond.
Di sicuro, l’indomani mattina la sua strizzacervelli avrebbe voluto un resoconto dettagliato della giornata, delle sue sensazioni e di tutte quelle stronzate di cui era stanca di parlare. Stanca, ecco come si sentiva Charlotte da un anno a quella parte: stanca come uno dei vecchi alberi di quercia che crescevano da anni nel bosco vicino Richmond e che, da ormai cento e cento anni, osservavano le stagioni susseguirsi, l’inverno diventare estate, gli anni passare uno dopo l’altro inesorabili, lenti, privi di qualsiasi interesse. Era passato un anno – già un anno – dalla morte di Mattew, eppure nulla sembrava cambiato: sua madre continuava a sfornare torte che vendeva al mercatino domenicale della parrocchia, aiutava i poveri, mentre suo padre, all’età di 65 anni, continuava ad alzarsi alle quattro di mattina e andare tutti i giorni nella sua edicola di paese ad aspettare l’arrivo da Londra e non solo dei quotidiani e di altre riviste di cui lei ignorava l’esistenza.
Solo lei, solo Charlotte, sembrava essere cambiata, e non per il meglio: un tempo, solo due anni prima, aveva creduto di essere in cima, schifosamente felice insieme al suo bel professore francese conosciuto a Parigi, nella stessa università dov’era stata presa come sua assistente, e il futuro sembrava roseo, ricco di promesse. Poi, però, tutto era cambiato nel giro di qualche settimana: la vita aveva presentato il conto, la verità l’aveva colpita con la forza di uno schiaffo in pieno viso e lei era stata costretta a lasciare Parigi, il suo lavoro, il suo amante e tornare a Richmond dalla sua famiglia, da suo fratello Matt che le aveva offerto un posto sicuro nella pasticceria aperta in città solo sei mesi prima e una spalla su cui piangere tutte le lacrime.
 
“Sappi che il tuo atteggiamento è stato poco consono, signorina! – esclamò piccata Mrs. Harrison, seduta dal lato passeggero, guardandola con disappunto – Era la funzione per l’anniversario della morte di tuo fratello, e non hai fatto altro che startene in disparte, come un asociale, a mangiarti le unghie e pensare a chissà cosa. Mi, ci hai fatto vergognare!”
“Patty, lasciala stare.” Intervenne Mr. Harrison nel vano tentativo di calmare sua moglie e proteggere la sua bambina.
“E non che non la lascio stare, no! Siamo stati fin troppo pazienti, Charles, fin troppo, e se lei pensa di essere la sola ad aver perso… - la voce di Mrs. Harrison si incrinò, la donna portò gli occhi al cielo e si impose di mantenere il controllo, di non piangere – Domani sai cosa dirà la Dottoressa di tutto questo, vero? Non ne sarà felice, affatto felice!”
“Quello che dirò e che dirà la Dottoressa non è affar tuo, e ora se volete fermare questo dannato mostro su ruote, io vorrei scendere: ho una pasticceria da gestire e tra due ore arriva un furgone da York con i rifornimenti.” concluse, tornando a guardare fuori dal finestrino in attesa che la macchina di suo padre accostasse.
Una volta fermata, senza indugiare oltre Charlotte aprì la portiera e, dopo un veloce e freddo saluto ai suoi genitori, la richiuse senza prestare ascolto a qualche insulsa protesta di sua madre riguardante il farsi sentire più spesso e il non scomparire come suo solito.


“E con queste sono cinque casse, bimba!” Cole, pasticcere del negozietto gestito da Charlotte, scaricò anche l’ultima cassa di farina dal furgone e, preso un respiro profondo, le sorrise ammiccante: “A volte mi chiedo come faresti senza di me, piccola.”
“Troverei un altro giovane e aitante pasticcere disposto ad aiutarmi e farsi schiavizzare per seicento sterline al mese, piccolo.” lo sbeffeggiò, ridendo sorniona e dandogli un paio di pacche leggere sulla spalla muscolosa.
Cole era un bravo diavolo, un vecchio amico di suo fratello, e Charlotte era fortunata ad averlo: non si lamentava mai, lui, era sempre pronto a dare una mano. Era affabile, ci sapeva fare con la gente, e nelle notti solitarie in cui aveva avuto bisogno di parlare, di sfogarsi o semplicemente di qualcuno con cui staccare la mente o scaldare il suo letto da troppo tempo freddo, era stato il più dolce degli amanti, il compagno perfetto.
“Non vuoi parlare della funzione? – chiese, offrendosi ancora una volta come suo personale confessore – Sai che se vuoi…”
“Lo so, lo so, ma non mi va. La funzione è stata lo schifo di sempre, non c’è molto da dire, e mia madre ha subito approfittato per mettere bocca in cose che non la riguardano, dare giudizi a situazioni che non capisce e non capirà mai, rinfacciandomi che non sono la sola ad aver perso qualcuno di caro.”
“Mi dispiace, piccola. Davvero non capisco perché quella donna debba essere sempre così insopportabile: dopo tutto, tu sei l’unica figlia che le rimane e dovrebbe tentare di capirti di più, starti accanto.”
“E chi ti dice che io la voglia accanto, eh? - Charlotte strinse le labbra, aggrottò la fronte e sospirò - Lasciamo perdere, te ne prego. Non sono dell’umore e poi il locale non si pulirà da solo, tantomeno queste casse si svuoteranno come per magia, quindi alza quel bel culo sodo che ti ritrovi e mettiti al lavoro.”
“Agli ordini, mio solo ed unico Capitano!”


 
**
 

“Dexter Freeman, si può sapere cosa stai facendo sotto il mio portico a quest’ora della sera?”
Mrs. Freeman, sbigottita nel trovarsi davanti suo figlio maggiore che non vedeva da quasi un anno, allungò il passo e in un attimo percorse il vialetto di mattoni e raggiunse il portico.
“Mi sei mancata anche tu, mamma. – canzonò Dex, sorridendo sghembo e abbracciando la madre – Non sei contenta di vedermi?”
“Avrei preferito una telefonata, un qualsiasi avviso a dire la verità, ma… - lasciò intenzionalmente la frase in sospeso, squadrò il figlio e con disappunto increspò le labbra – Santo Cielo, ragazzo mio, sei pelle e ossa: cosa ti danno da mangiare a Londra, aria?”
“Mamma, non iniziare ti prego…”
“Io ho sempre detto che c’è gente strana in quella città, ma ora non devi preoccuparti di nulla: stasera ti preparerò dei deliziosi manicaretti e in men che non si dica quella faccia emaciata sparirà completamente.”
Dex portò gli occhi al cielo, scosse la testa ridendo e arrendevole seguì sua madre all’interno della modesta casa dai mattoni rossi in cui era cresciuto, respirando dopo tanto, troppo tempo l’odore familiare del camino da poco spento, dei libri impilati perfettamente nella libreria del salotto, dei manicaretti di sua madre, beandosi dell’atmosfera che rendeva quel posto unico al mondo, il suo porto sicuro, la sua casa.
 
“Allora, mi spieghi cosa ci fai a Richmond? – riprese sua madre, una volta seduti a tavola – Ti credevo a Londra, alle prese con un nuovo romanzo.”
“Non credo che ci sarà un nuovo romanzo, non nel prossimo futuro almeno. – informò Dex, tenendo lo sguardo fisso sulla cena – L’ultimo è stato un tale fiasco che… quello che voglio dire è che mi sono preso una pausa.”
“Una pausa? E hai deciso di tornare a Richmond per prenderti una pausa? – la donna non poteva credere alle sue orecchie, la notizia aveva dell’incredibile – Tra tutti i posti del mondo, ragazzo mio, sei tornato a Richmond?”
“Avevo, ho bisogno di rimettere insieme i pezzi, e in ogni libro che si rispetti il protagonista torna sempre a casa, dove tutto è iniziato.”
“E Margaret come l’ha presa? Spocchiosa com’è non si trasferirà di certo qui, presumo. Non ce la vedo proprio in questa città, vestita di tutto punto con le sue scarpe firmate, le sue borse firmate e Dio sa che altro.”
“Margaret non è un problema, mamma: ci siamo lasciati, è andata via di casa e probabilmente in questo momento sarà ai Caraibi, sulla barca di qualche ricco imprenditore a sorseggiare champagne e mangiare ostriche.”
“Oh! – Mrs. Freeman fu sinceramente stupita da una tale rivelazione: non aveva mai approvato quella donna troppo frivola per lei, troppo diversa da suo figlio, ma un divorzio era l’ultima cosa che avrebbe voluto per lui – Mio caro, mi dispiace così tanto.” disse, allungando una mano e posandola su quello del ragazzo.
“Non esserlo, va tutto bene: sto bene, me ne sono fatto una ragione. Il nostro amore, se così può essere definito, non ha mai avuto vere possibilità e solo ora lo capisco. Siamo troppo diversi e il nostro è stato un matrimonio affrettato, un passo azzardato compiuto in un attimo di follia, quando pensavamo di essere in un idillio e sulla vetta del successo. Io, almeno, pensavo di esserlo…”
“E ora cosa farai?” chiese ancora, una domanda a cui neanche Dex aveva una risposta.
“Non lo so – rispose sinceramente, scrollando le spalle – Vivrò la vita giorno per giorno, cercherò di rimettere insieme i pezzi e rialzarmi. Me la caverò, come sempre, e in qualche modo supererò anche questa.”
 

**
 

In una stanza anonima situata al terzo piano di in un edificio grigio altrettanto anonimo, un gruppo di ragazzi e ragazze erano seduti in cerchio e stavano presenziando alla solita riunione settimanale. Charlotte era ormai una habituè di suddette riunioni, e con il passare delle settimane l’imbarazzo iniziale provato nell’avere tutti quegli occhi addosso – occhi di persone sconosciute o conoscenti, tutti obbligati al silenzio – era svanito. Arrivò il suo turno di parlare, e preso un respiro profondo e lisciata la gonna a fantasia scozzese che indossava quel giorno si alzò e, sorridendo ai presenti, disse:
“Ciao a tutti! Mi chiamo Charlotte, ho 27 anni e sono un alcolista.”



_____________________________________________________________________________________________________

Angolo Autrice: Salve, gente! Eccomi nuovamente con il secondo capitolo, in cui conosciamo - iniziamo a conoscere - la protagonista femminile, Charlotte. Come avrete ben capito anche lei non ha una vita esattamente facile, e con il procedere della storia capiremo cosa l'ha portata alla dipendenza. Spero che il capitolo vi sia piaciuto, e ringrazio immensamente coloro che hanno recensito lo scorso capitolo e chi ha messo la storia tra le seguite. Se vi va, invito come sempre a lasciarmi una recensione.
Alla prossima,
V.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** 03. ***







 


Dexter Freeman si grattò distrattamente la barba dai colori rossicci che aveva deciso di lasciarsi crescere qualche mese prima e si domandò se presentarsi a mani vuote a casa di sua sorella – una sorella che non vedeva da più di un anno – fosse una buona idea: la risposta, ovviamente, fu no. Cappello in testa e occhiali scuri inforcati, Dexter decise di addentrarsi per la prima volta dal suo arrivo a Richmond, avvenuto tre giorni prima, tra le strade della città, in cerca di un qualsiasi cosa – fiori, magari – che potessero addolcire l’animo avvelenato di sua sorella: da sempre, Rose lo accusava di essere un pessimo figlio, un menefreghista che, dopo la morte del loro padre, si era rifugiato nel suo nido sicuro a Londra dimenticando tutto e tutti, e non a torto.
Camminando per i vicoli della città – era pazzesco, pensò mentre si guardava attorno, come niente in quella città fosse cambiato, come la sua memoria ricordasse ogni scorciatoia, ogni angolo, ogni dettaglio – oltrepassò un paio di fiorai, qualche negozio di oggettistica, nulla che avesse qualcosa abbastanza bello da attirare la sua attenzione, arrivando davanti a una pasticceria che non aveva mai visto, un nuovo negozietto dall’arredamento rustico che lo colpì immediatamente e destò la sua curiosità degna dello scrittore che era stato, che nel profondo del suo animo era ancora.
La pasticceria si chiamava “Sunflower”, Girasole, e nella vetrina dalla quale si poteva intravedere un largo bancone e alcuni tavolini di legno che ricordavano le sale da tea di un tempo, vi erano esposte alcune torte dall’aspetto delizioso ed esteticamente perfetto. Dexter sorrise sghembo, conscio di aver trovato finalmente qualcosa degno di essere portato a casa di sua sorella Rose, e senza indugiare oltre aprì la porta d’ingresso – la quale a sua volta andò a cozzare contro un campanellino fissato sul soffitto che annunciò l’entrata di un nuovo cliente – e mise per la prima volta piede in quell’ambiente accogliente che, non seppe neanche lui dire come o perché, lo conquistò immediatamente.

“Buongiorno!” esclamò la voce entusiasta di una ragazza dai capelli biondo-ramati, la quale teneva tra le mani una torta dalla glassatura bianca che le oscurava parzialmente la vista. “Come posso aiutarla?”
“Buongiorno a lei! - disse a sua volta Dex, ricordandosi le buona maniere e togliendosi il largo cappello che indossava. – Desidero comprare una torta, ma purtroppo con i dolci sono una frana e temo di aver bisogno di un aiuto.”
“Non si preoccupi, consigliare e aiutare la gente è il nostro lavoro, Mr… - in quel momento la ragazza, che nel frattempo aveva messo nel bancone che li separava la torta, alzò lo sguardo, bloccandosi immediatamente e realizzando che quello davanti a lei era una sua vecchia conoscenza, uno dei suoi scrittori preferiti: Dexter Freeman, l'uomo da cinquanta milioni di copie – Ma tu sei Dexter Freeman, lo scrittore!” esclamò, forse con troppo enturismo.
Il biondo abbassò lo sguardo, sorrise sghembo – in verità, non seppe dire se di quello smascheramento così palese fosse onorato o infastidito – e tranquillo annuì e disse: “Sono io. Appena tornato a Richmond dopo tre anni, ma la prego di non farne parola con nessuno: non ho alcun desiderio di essere perseguitato, inoltre ricordo fin troppo bene quanto gli abitanti di questa cittadina possano essere impiccioni e pettegoli.”
“Non preoccuparti, il tuo segreto è al sicuro con me! – la ragazza strizzò un occhio con fare complice, cambiando subito dopo argomento – Allora, quale torta desidera da noi uno scrittore famoso come lei?”
“Qual è la vostra specialità?” chiese a sua volta, chinandosi sulle ginocchia per osservare meglio quelle prelibatezze.
“C’è la zuppa inglese, la classica cheesecake, la crostata di lamponi e… - la bionda si soffermò sull’ultima torta, la sua preferita, quella che suo fratello le aveva insegnato a creare poco prima dei suoi diciotto anni – la torta foresta nera l’ho fatta io stessa con le mie mani, e posso assicurare che è buonissima.”
“In questo caso mi fido di lei e la prendo. Me la confezioni in modo impeccabile, mi raccomando: mia sorella Rose è una perfezionista e, confesso, lo sono anche io.”
“Siamo in tre, allora. – la biondina schioccò la lingua sul palato, e presa la torta gli diede le spalle e iniziò a confezionarla – Non si preoccupi, Mr. Freeman, sia lei che sua sorella rimarrete stupiti positivamente.”

“Ecco a lei, una splendida foresta nera!” esclamò serafica la ragazza, porgendogli la torta confezionata in modo impeccabile.
“La ringrazio. Quanto le devo?” chiese, uscendo dal cappotto il portafogli.
“Nulla, davvero. Ritenetelo il mio regalo di benvenuto, o di bentornato, a Richmond; dopo tutto, lei è uno dei miei scrittori preferiti, una celebrità da queste parti e non solo!”
“Io…” Dexter, imbarazzato, si grattò nervosamente la nuca e non sapendo cosa dire decise di optare per una risposta semplice, la più semplice: “Grazie, davvero. Lei mi onora e… cavolo, non so neanche il suo nome.”
“Charlotte, mi chiamo Charlotte.”
 

**



“Ed ecco che ritorna a casa, dopo ben tre anni, il figliol prodigo, la celebrità, lo scrittore da cinquanta milioni di copie, mio fratello Dex!”
Rose non perse tempo per sbeffeggiarlo, e ferma sulla soglia della porta lo accolse con un freddo bacio sulla guancia. Da piccoli erano stati molto legati, loro due, ma con l’avvento della fama di Dexter, del suo trasferimento a Londra, i suoi lussuosi viaggi in Europa e la sua folle decisione di sposare una ricca spocchiosa conosciuta a Oxford durante i suoi studi in letteratura Inglese, il loro rapporto si era lentamente sgretolato, trasformato in silenzi, occhiate di disappunto e litigate da manuale ogni volta che Dex tornava a casa a trovare la madre per le vacanze.
“Ti trovo bene, Rose – Dex decise di lasciarsi scivolare addosso le parole della minore, poiché litigare era l’ultimo dei suoi desideri – La gravidanza ti ha reso più raggiante che mai, e noto che non hai perso la tua parlantina.”
“Merito di tua nipote: la piccola Susy sgambetta per tutta la casa e non sai mai cosa le passi per la testa, quale piano diabolico stia progettando.”
“Immagino sia cresciuta molto. – ipotizzò giustamente Dex, che non vedeva sua nipote dal giorno del suo battesimo, da quasi due anni – Non vedo l’ora di vederla e darle il suo regalo: spero le piacciano gli orsacchiotti di pezza.”
“A quale bambino non piacciono?” chiese retoricamente Rose, chiudendosi alle spalle la porta, ricevendo dal fratello la scatola bianca e celeste in cui era stata confezionata la torta: “E questa cosa sarebbe?”
“Una torta. – rispose con ovvietà Dex, sfilandosi la sciarpa – Sono passato da una pasticceria qua vicino; è la prima volta che ci metto piede, presumo sia aperta da poco, e la ragazza dentro è stata davvero gentile e mi ha consigliato questa torta fatta con le sue stesse mani.”
“La ragazza? – Rose aggrottò le sopracciglia – Non starai parlando di Charlie Harrison, del Sunflower?”
“Esattamente e… Charlie Harrison?” Dex sgranò impercettibilmente gli occhi: non sentiva pronunciare quel nome da anni, ormai, e quando sua sorella annuì e fece la perfetta descrizione della ragazza che l’aveva servito si diede mentalmente dell’idiota – l’alcool doveva aver bruciato anche i suoi ultimi neuroni funzionanti – per non aver riconosciuto quella ragazza che conosceva praticamente da tutta la sua vita.
“Dio, – aggiunse, passandosi una mano tra i ricci biondo rossicci – E’ cambiata così tanto, non sembra neanche la stessa ragazzina di un tempo.”
“E cosa ti aspettavi, scusami? Charlie è cresciuta, come tutti, non è più la ragazzina di diciassette anni che ti ha salutato sotto il patio di casa di nostra madre prima del tuo trasferimento a Londra.”
“L’ultima volta che ho sentito parlare di lei mi avevano detto che si era trasferita in Francia, a Parigi, quindi… - Dex aggrottò la fronte, si chiese come una ragazza, uno spirito libero e ribelle come Charlie, fosse finita a gestire una pasticceria a Richmond, in quella stessa città dalla quale aveva sognato di scappare per tutta la vita – Insomma, come avrei potuto immaginare?”
“Be, come ti ho già detto, tante cose sono cambiate da quando hai raggiunto la tua fama: Charlie è tornata un anno fa, pare che le cose in Francia le siano, come dire, scappate di mano, e poi… sai cosa è successo dopo, no?”
“Certo che lo so, e anche se non ho partecipato al funerale non vuol dire che…”
“Ti prego, risparmiami! – Rose alzò una mano a mezz’aria, zittendolo – Non mi interessano i tuoi motivi, personalmente non mi devi alcuna scusa, quindi non sforzarti neanche. Matt era il tuo migliore amico, non il mio.”
Rose si incamminò verso il soggiorno, dove suo marito e la loro madre – intenta a giocare con la nipote – stavano attendendo, per poi tornare sui suoi passi e riavvicinarsi al fratello, sussurrare a bassa voce un avvertimento che prese completamente alla sprovvista il biondo:
“Se pensi che io sia una stupida, Dex, ti sbagli. – sibilò a denti stretti, guardandolo sottecchi – Se pensi che io non mi sia accorta tramite i giornali, le interviste, delle tue condizioni allora sei uno sciocco. So che bevi, so cosa si dice di te a Londra, e se pensi che ti lascerò…” prese un respiro profondo, guardò verso la porta del soggiorno per accertarsi che non ci fosse nessuno: “Mamma ti vuole bene, e anche se mi consideri una stronza isterica anche io te ne voglio: hai fatto un milione di cazzate, Dex, ma ora che sei tornato a Richmond voglio che le cose siano chiare tra noi, che tu ti rimetta in sesto, quindi ti prego, ti supplico, vai in una clinica e smettila di bere.”
“E’ così evidente?” chiese con stupore e amarezza Dex, sentendosi la peggiore canaglia del mondo, una persona orribile. “Non preoccuparti, sorellina, non sono venuto qua per rovinare la vostra vita. Sono qui per rimettere insieme i pezzi, e sono convinto a farlo: domani andrò a parlare con un dottore, uno specialista, qualcuno che possa aiutarmi e vedrò di uscire da questo casino.”
“Lo spero, Dex, lo spero davvero. – Rose posò una mano sulla spalla del fratello maggiore e sorrise – E ora andiamo, fratellone: dentro c’è una piccola nanerottola bionda che muore dalla voglia di conoscere suo zio.”




______________________________________________________________________________________

Angolo Autrice: Salve, gentaglia. Eccomi con il terzo capitolo di questa storia che, confesso, mi sta prendendo molto. Ed eccoci anche con il primo - più o meno - incontro tra Charlotte e Dex, anche se quest'ultimo non l'ha riconoscita per ovvie ragioni. So che sono molte le domande da chiarire, so che sto lasciando molti indizi che vi stanno incuriosendo, ma prometto che con il procedere della storia tutto verrà spiegato e raccontato. Detto questo, ringrazio tutti voi che seguite la storia e le fantastiche persone che recensiscono.
Ogni tanto, come in questo caso, a inizio capitolo metterò della gif - non mie! - trovate su internet e rappresentanti i "miei" Dex e Charlie, che andranno a sostituire la coperina da me ralizzata e che, volendo, potrebbero anche rappresentare un momento narrato nel capitolo.
Alla prossima,
V.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** 04. ***










Dexter Freeman guardò la grande struttura grigia davanti a sé e sospirò pesantemente: non voleva farlo, una parte di lui avrebbe voluto girare i tacchi e andarsene, ma sapeva di doverlo fare. Doveva farlo per sua sorella Rose, che si era offerta di accompagnarlo in quella clinica privata appena fuori Richmond, per sua madre ignara di tutto, per lui stesso e per la sua vita, per uscire dal buco nero in cui era stato assorbito e tornare ad essere il ragazzo positivo e creativo che era stato un tempo. L’unico modo per rimettere insieme i pezzi era disintossicarsi dall’alcool e di conseguenza ricoverarsi in quella clinica in cui lo avrebbero aiutato con l’astinenza delle prime settimane, con l’incubo che lo stava aspettando in quel palazzone circondato da alberi e un giardino all’inglese perfettamente curato che da solo non avrebbe mai potuto affrontare e superare. Sospirò ancora, lasciando trapelare tutto il suo nervosismo, e si chiese se sarebbe stato in grado di farcela: non voleva fallire, non di nuovo, non dopo il fiasco professionale e personale che lo aveva travolto nell’anno appena passato. No, lui doveva dimostrare di essere migliore, di essere forte, un giovane uomo di cui la sua famiglia sarebbe andata nuovamente fiero, un esempio per il suo paese e per tanti altri ragazzi alcolizzati come lui.

“Sei pronto, fratellone?” chiese Rose, sorridendogli e stringendo la sua mano nel tentativo di tranquillizzarlo.
Dex tentennò, si inumidì le labbra appena screpolate, e preso un respiro profondo sospirò per l’ennesima volta nel giro di pochi minuti: “Sì. – rispose alla fine, annuendo lievemente e guardando con la coda dell’occhio la ragazza – Sono pronto, sorellina.”
“Molto bene. Allora forza e coraggio: andiamo a prendere a calci in culo l’alcolismo!”
 


**
 
 
Il Dottor Oliver Simpson si sfilò i sottili occhiali da vista quando la sua segretaria entrò nel suo studio dopo aver lievemente bussato con le nocche della mano destra e annunciò l’arrivo del nuovo paziente. Era un uomo sulla cinquantina, più vicino ai sessanta che ai cinquanta e da quasi trent’anni si occupava di casi di dipendenza da droghe e alcool, di disperati casi umani che si recavano da lui e vedevano nella sua distinta figura l’ultima chance, l’ultimo porto sicuro a cui rivolgersi prima della fine, dell’onda letale che li avrebbe travolti distruggendoli definitivamente.
Come tutti a Richmond, anche Oliver Simpson conosceva Dexter Freeman – la sua fama lo precedeva, dopo tutto – e come la maggior parte dei cittadini che popolavano quella città anche lui si era ritrovato con curiosità a sfogliare e leggere quei libri tanto acclamati dalla critica e dal pubblico di tutto il Regno Unito e l’Europa, senza però riuscire a capire cosa avessero di tanto speciale. Ma, dopo tutto, il Dottor Simpson non era mai stato il tipo da romanzi: lui preferiva i grandi classici della letteratura inglese – Dickens, Defoe, Sir. Walter Scott – a dei romanzi che avevano per protagonisti soggetti dal passato travagliato, persone le cui vicende rasentavano il paradossale, il clichè. No, Oliver Simposon proprio non era riuscito ad apprezzare i suoi lavori – non c’era da stupirsi che l’ultimo fosse stato un totale fiasco – ne tantomeno si era stupito nel ricevere la telefonata di Miss. Freeman, di venire a conoscenza delle condizioni disastrose e della dipendenza di suo fratello maggiore.
Celebrità, pensò mentre attendeva l’ingresso del suo nuovo paziente, tutte uguali: una massa di lussuriosi che giocano ad essere Dio, credono di essere superiori a tutto e tutti, irraggiungibili.
 
“Lei deve essere Dexter Freeman! – esclamò con falso interesse il Dottore, alzandosi dalla grande sedia di pelle su ruote e sporgendosi in avanti per stringergli la mano – Da queste parti è una celebrità.”
“Invece lei deve essere il mio aguzzino. – scherzò a sua volta con sarcasmo Dex, stringendogli la mano – Vorrei dirle che è un piacere conoscerla, ma in effetti non ne sono così sicuro.”
“Non si preoccupi, me lo dicono in molti – il Dottore fece cenno di sedersi – Accomodatevi, prego.”
“Grazie.” Risposero in coro i due fratelli, scambiandosi un occhiata tra il divertito e l’imbarazzato.

“Dunque, – riprese il Dottor Simpson, posando il mento contro i dorsi delle mani, rivolgendosi a Dex – se non le dispiace, Mr. Freeman, inizierei con alcune domande di routine.”
“Non mi dispiace affatto, Dottore. – rispose Dex, apparentemente tranquillo – Proceda pure, sono pronto.”
“Molto bene. – l’uomo annuì lievemente e si schiarì la voce – Perché è qui, Mr. Freeman?”
“Perché sono un alcolizzato e ho bisogno di aiuto per uscirne.” Rispose in modo calmo ma deciso il biondo, intrecciando le dita delle mani.
“E da quanto pensa di esserlo, – un alcolizzato, intendo – Mr. Freeman?”
“Non so dirle quando è iniziata, temo. Credo sia stata una cosa consequenziale alla fama; sa, le feste, i party esclusivi pieni di ottimo champagne francese da 100£ a bottiglia.”
Per un istante Dex provò nuovamente quell’ebbrezza scaturita ogni volta che varcava la soglia di quei locali esclusivi, di uno quei grandi alberghi a cinque stelle in cui veniva puntualmente invitato per discutere del suo libro, sponsorizzarlo, quando la vita gli sorrideva e tutto era grandioso e sfavillante attorno a sé, quando lui era ancora una celebrità, l’uomo da cinquanta milioni di dollari e non il Fiasco di Londra.
“Sa, – riprese, abbozzando un lieve sorriso – sin da ragazzo l’alcool mi ha attratto: la mente leggera, il corpo disinibito. Era tutto perfetto con un bicchiere di vino in corpo, dopo una birra o uno shot di vodka; tutto era possibile, e io mi sentivo forte, spavaldo, capace di compiere cose straordinarie. Poi è arrivata la fama, e con essa le feste: bere era la routine, una cosa normale, ma solo dopo…” Dex si fermò bruscamente, aggrottò le fronte. Era difficile parlare della sua lenta e inesorabile caduta, del fallimento e della solitudine.
“Dopo? – lo incoraggiò il medico, continuando ad osservarlo – Immagino che sia arrivato il conto da pagare.”
“Immagina bene, Dottore: il mio ultimo libro, come tutti sanno, è stato un fiasco e mia moglie mi ha lasciato. L’alcool era il mio solo amico, la bottiglia di whiskey l’unica compagna che mi faceva compagnia nelle notti insonni.”
“E quanto, quanto è solito bere di preciso? Una, due, tre bottiglie.”
“Dipende dai giorni. – rispose lui, muovendosi sulla sedia improvvisamente scomoda – Mai meno di una bottiglia, sempre meno di tre.”
“Capisco.” Il Dottor Simpson annotò i dati su di una cartella, inforcò nuovamente gli occhialetti per focalizzare meglio le lettere.
“Nel suo caso, – proseguì – consiglierei un ricovero di un paio di settimane, il tempo di passare le prime fasi di astinenza; dopo di queste, procederei con le sedute settimanali con gli altri pazienti. Due volte alla settimana, almeno, e una seduta a settimana con la nostra psicologa, Miss. Barnes.”
“Sedute, psicologa? – Rose prese per la prima volta la parola, rivelando una voce piena di ansie ed insicurezze – Ma è proprio necessario?”
“Temo di sì, Miss. Freeman, temo proprio di sì.”
“Non preoccuparti, Rosie – la tranquillizzò il fratello, posando una mano su quella di lei – me la caverò, come sempre. Inoltre, credo che le sedute non potranno che farmi bene e, chissà, anche ritrovare l’ispirazione.”

“Prego, una firma qui e un’altra qui.” Oliver Simpson gli porse dei fogli, indicando con una ics il punto in cui firmare.
“E’ il foglio di ricovero, vero?” chiese retoricamente lui, sospirando quando il dottore annuì e gli passò la penna. “Molto bene, allora.”
Dexter Freeman firmò ogni singolo punto senza indugiare oltre: se avesse pensato, se avesse concesso alle sue paure e alle sue debolezze di farsi avanti tutto sarebbe andato in malora, probabilmente sarebbe scappato lontano, molto lontano.
“Perfetto! – esclamò con un falso sorriso stampato in viso Oliver Simpson – Da questo momento in poi, Mr. Freeman, può considerarsi a tutti gli effetti un nostro paziente. Vedrà, non si pentirà della scelta fatta e tra due settimane ringrazierà sua sorella per averla portata nella nostra clinica e il nostro staff per averla liberata dai suoi demoni.”


 
**
 
 
Passato anche l’ultimo conato di vomito, Dexter tirò lo sciacquone e si lasciò cadere sulle piastrelle fredde del bagno della sua stanza. Il suo corpo era madido di sudore, le sue mani tremavano: era nel mezzo di una crisi di astinenza da alcool e faceva schifo. Si inumidì le labbra secche, socchiudendo gli occhi e cercando di ignorare gli spasmi del suo stomaco dolorante. Era là dentro da solo una settimana, eppure per lui sembravano passati mesi e mesi dall’ultima volta che aveva visto sua sorella Rose, assaporato un goccio di prelibato whiskey scozzese, camminato per le strade di Londra in cerca di una qualche ispirazione.

Fanculo! – esclamò con voce impastata a causa della bocca dal retrogusto di vomito, fissando il soffitto bianco come bianche erano le pareti della sua stanza – ‘Fanculo la mia vita, Londra; ‘fanculo Richmond, questa situazione di merda e soprattutto vaffanculo questo posto di merda!”
Avrebbe voluto tornare a casa – casa, certo, ma dov’era casa? Non a Londra, certo, ma neanche a Richmond. – trovare un posto dove sentirsi vivo, un posto dove sentirsi voluto, amato. Certo, c’era sua madre, la sua casa d’infanzia ma non era la stessa cosa: quel posto era la fonte dei suoi ricordi, il nido che aveva lasciato tempo prima, ma non era davvero suo. Non lo era più da quando aveva deciso, a 18 anni, di partire per l’università per seguire il suo sogno di fare lo scrittore, sogno che si era realizzato a 25 anni, quando aveva pubblicato il suo primo romanzo, il suo grande successo.
“Fanculo!” disse nuovamente, mentre con gran fatica si alzava dal pavimento e sbandando appena raggiungeva il letto, quel piccolo rettangolo morbido su cui si buttò a peso morto e si addormentò stravolto l’istante successivo.
 

**



Charlotte guardò l’orologio appeso sulla parete destra della sua pasticceria e imprecò mentalmente: era tardi, e nel giro di mezz’ora sarebbe iniziato il suo settimanale incontro con altri ex alcolisti come lei. Nonostante fosse completamente sobria da quasi quattro mesi, quelle riunioni riuscivano sempre a farla star meglio, a zittire la vocina fastidiosa che ogni tanto – nei momenti più bui, quando si lasciava andare ai ricordi, ricordi oscuri, dolorosi, ricordi che avrebbe voluto cancellare per sempre – ritornava a farsi sentire. In quelle due settimane, inoltre, Charlie aveva spesso pensato e ripensato a Dexter Freeman, al migliore amico di suo fratello Matt, a quel ragazzo adesso uomo che non vedeva da anni ma di cui aveva sempre seguito la vita e la carriera attraverso magazine e i suoi libri, dei libri in cui aveva ritrovato dei richiami autobiografici, piccoli elementi che le avevano fatto ripensare a suo fratello e allo stesso Dexter quanto entrambi erano poco più che adolescenti e si ritrovavano nella stanza di Matt a strimpellare la chitarra e fumare di nascosto sigarette e chissà che altro quando i genitori erano a lavoro.
Sorrise al ricordo di quei momenti così lontani nel tempo, al ricordo di suo fratello, della sua giovane vita piena di promesse e speranze tragicamente spezzata da un incidente stradale, un incidente di cui lei stessa era stata testimone, dal quale era uscita quasi del tutto incolume fisicamente ma devastata psicologicamente.

“Non farai tardi?” la voce di Cole, chiara e squillante, la destò dai suoi ricordi.
Cole era l’unico che sapeva delle riunioni, delle sedute dallo psicologo, ogni suo più piccolo segreto; lui era il suo migliore amico, sapeva leggerla come un libro aperto e con il moro al suo fianco Charlie riusciva sempre a parlare di ogni problema, di ogni suo più piccolo pensiero. Era fortunata ad averlo nella sua vita, ne era consapevole, e anche se lui avrebbe voluto qualcosa di più di una semplice amicizia e notti occasionali di passione nel suo letto, gli era grata per non averle mai messo pressione, per aver rispettato i suoi tempi, le sue necessità.
“Temo di sì – rispose lei, storcendo la bocca – Ti dispiace finire tu qua? Io ho davvero bisogno di andare e…”
“Sai che non mi dispiace, piccola.” Cole si avvicinò a lei e con una delle sue grandi mani calde le portò una ciocca dispettosa dietro l’orecchio.
Charlie sorrise imbarazzata: i suoi gesti così dolci e carini la mettevano sempre a disagio, non sapeva mai come reagire, cosa dire o fare.
“Grazie, sei sempre il migliore.” Lo abbracciò, gli permise di stringerla forte contro il suo fisico imponente e gli diede un bacio veloce prima di portare le mani dietro la schiena e iniziare a slacciare il grembiule.
“Allora lascio tutto a te. – proseguì, intenta ad infilarsi cappotto e sciarpa – Ci vediamo domani, e grazie… credo che sarei persa senza di te.”
“Sempre pronto a servila, mia dolce pulzella di marzapane.”




 
**
 

Charlotte arrivò con il fiatone e palesemente in ritardo alla riunione. Sperando di non dare nell’occhio, aprì piano la porta che collegava il corridoio della struttura in cui per alcune settimane era stata ricoverata per disintossicarsi dall’alcool con la grande stanza in cui erano state disposte in senso circolare molte sedie blu e grigie, sgusciando al suo interno con passo felpato e raggiungendo una delle sedie ancora vuote. La responsabile della riunione, Mrs. Robinson, una donna dal fisico robusto e dal volto simpatico, le lanciò un occhiata di rimprovero e, non perdendo l’occasione per rimproverarla, la riprese ad alta voce davanti a tutti.
“Miss. Harrison, quale onore! – esclamò con sarcasmo – Finalmente si è unita a noi: prego, prego, si sieda.”
“Scusi Mrs. Robinson, non accadrà più.” Charlie abbassò il capo, sentendosi piccola, una bambina colta con le mani nella marmellata, e si strinse il cappotto e la borsa posata sulle gambe al ventre, continuando a fissare la punta dei piedi come se fosse la visione più interessante dell’universo.
“Lo spero. – concluse la donna, tornando a rivolgere l’attenzione verso il nuovo paziente della clinica, il bello e famoso scrittore che stava per iniziare la sua prima seduta di terapia presso gli alcolisti anonimi. – Prego, mio caro, continua pure.”
“Sì, dunque… - Dex si alzò con atteggiamento goffo dalla sedia, si guardò attorno e cercò di pensare ad altro, di ignorare tutti quegli sguardi puntati su di lui – M-mi chiamo Dexter Freeman, ho 32 anni e sono un alcolista.”

Sentendo quel nome, il suo nome, Charlotte Harrison alzò lo sguardo, incontrando gli occhi azzurri di Dexter Freeman: per la prima volta in quasi dieci anni si guardarono con la consapevolezza di chi fosse l’altro, - lui il migliore amico di suo fratello, lei la sorella minore del suo migliore amico – e ritrovarsi là, in quella stanza dalle mura spoglie e fredde, insieme, fu destabilizzante.
Come aveva fatto quella dolce ragazzina, si chiese Dexter, a diventare un alcolista? Cosa l’aveva spinta in quel baratro? A tanto l’aveva portata la perdita del suo unico fratello? Avrebbe voluto chiederglielo, avrebbe voluto sedersi con lei, magari davanti ad un caffè e ad un’ottima fetta di torta preparata da Charlie con le sue mani e ascoltarla, parlare per ore delle loro vite in quegli anni, dei loro sogni infanti, delle loro gioie, dei loro fallimenti, delle loro perdite.
Avrebbe voluto, certo, ma non lo fece: tutto ciò che fece fu guardarla negli occhi ancora per un attimo, abbassare il capo e sospirare malinconicamente. Sarebbe stata una lunga settimana quella che aspettava Dexter, ma il pensiero di vedere un volto amico durante le dannate riunioni di alcolisti anonimi la rendeva un po’ meno lunga.



*



Angolo Autrice: Rieccomi con il nuovo capitolo. Dex sta affrontando i suo demoni, e non sarà facile. Ha scoperto il segreto di Charlie, e Charlie ha scoperto il suo, e questo segnerà notevolmente il loro rapporto futuro. Le cose si faranno interessanti, dal prossimo i due protagonisti inizieranno ad interagire realmente e presto si scopriranno i segreti di Charlie, quelli che solo Cole conosce.
Grazie, come sempre, a tutti voi che seguite la storia e recensite. Mi raccomando, lasciatemi vostri pareri, non importa di che tipo. Non mordo, giuro! :3
Alla prossima,
V.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** 05. ***




 



Charlotte Harrison si era chiesta spesso in quelle due settimane che fine avesse fatto Dexter, se lo avrebbe più rivisto. Nei pomeriggi passati a fare torte o nei momenti precedenti al sonno, stesa sul suo letto, aveva pensato a lui, a quel giovane uomo di trentadue anni per cui un tempo – tanto, tanto tempo prima – aveva provato dei sentimenti talmente forti, tipici dei suoi quasi diciotto anni, da farle mancare l’aria nei polmoni e sentire una morsa alla bocca dello stomaco ogni volta che lui le sorrideva o semplicemente la guardava; in quei giorni si era chiesta quale strambo motivo lo avesse ricondotto là, a Richmond, in quella cittadina che gli era sempre stata stretta e dalla quale era fuggito definitivamente a ventitré anni, subito dopo la laurea.
Aveva fatto molte ipotesi, tutte diverse, ma mai avrebbe pensato a quella: ritrovarlo nella sua comunità di alcolisti anonimi, con un volto pallido e scavato, fu per la giovane uno shock. Certo, nell’ultimo anno aveva – come tutti del resto – letto sui giornali delle sue disavventure, della rovinosa caduta dall’Olimpo degli scrittori, le interviste a quelle malelingue che insinuavano la sua dipendenza da droghe, da alcool, il tradimento della sua – ormai ex – moglie, ma lei non aveva mai voluto crederci, aveva sempre finito per chiudere quelle squallide riviste con un sonoro sbuffo, nervosa e seccata, e lanciarle lontano ripromettendosi di bruciarle o ridurle a brandelli.
Ora, però, tutto ciò che Charlotte poteva fare era accettare la scomoda situazione, le debolezze e le fragilità di quel ragazzo che lei aveva sempre visto come un Dio, cercare di capire cosa lo avesse spinto a tanto, a distruggersi con le sue stesse mani, mandare in fumo tutti i suoi soldi, la sua vita.


“Charlie, aspetta!”
Era appena finita la riunione quando Dex si avvicinò a lei nel tentativo di fermarla prima che andasse via. Sperò di passare inosservato, di non provocare le ire di Mrs. Robinson, - in quel momento era distratta, impegnata in una conversazione con un altro paziente, un uomo sulla cinquantina con una lunga barba spruzzata di bianco – e con fare furtivo si approcciò alla biondina e le sfiorò un polso con la sua mano.
“Dex! – Charlie si voltò verso di lui, sorridendo nervosa – Sai che non è permesso interagire con gli altri partecipanti dopo la seduta, vero? Dio, se ci vedesse Mrs. Robinson…”
“A momento è occupata, – la tranquillizzò, indicando con un cenno del capo in direzione della donna di mezza età – e prometto di non rubarti più di due minuti. Ti prego.”
Charlie non aveva mai saputo resistere ai suoi occhi azzurri, e a distanza di quasi dieci anni dovette ammettere, suo malgrado, che la cosa non era cambiata.
“Bene! – esclamò arrendevole – Ma fai in fretta: devo tornare in pasticceria.”
“Giusto, giusto – Dex annuì, si grattò nervosamente la nuca – Parlando proprio della pasticceria, volevo dirti che mi dispiace: non avevo idea che tu fossi tu… insomma, sono passati quanti, otto anni?”
Quasi dieci, Dexter, quasi dieci. – lo corresse piccata – E sì, accetto le tue scuse. Dopo tutto, come mai avresti potuto riconoscermi? Sono così cambiata.”
“Anche io lo sono.” disse a sua volta lui, e sorridendo prese una ciocca dei capelli biondo-rossicci tra le dita e aggiunse: “Vedi, niente più nero corvino, solo il mio naturale colore e tanti ricci.”
“Come dimenticare i tuoi capelli corvini? – chiese retoricamente, coprendosi le labbra per sopprimere una risata – Tu e i tuoi capelli neri ed io con il mio biondo platino: una strana coppia, non trovi?”
“Più che strana direi originale: lo siamo sempre stati, noi tre, e mi ricordo ancora quando Matt si tinse i capelli rosso fuoco, la faccia di vostra madre quando lo vide per la prima volta e…”
Dex si bloccò bruscamente: il pensiero di quei giorni felici, del suo defunto amico, faceva male, provocava in lui una strana sensazione, un amarcord dalle sfumature grigie, senza colore alcuno.
“Mi dispiace non essere riuscito a venire, credimi. Non era un bel periodo per me, tra la crisi del mio matrimonio e i miei agenti che mi stavano con il fiato sul collo dopo il fiasco del romanzo…”
“So che ti dispiace e va bene così, credimi. Non sono arrabbiata, e neanche Matt lo sarebbe stato: lui… lui ti ha sempre voluto bene, in quel periodo era preoccupato per te; più volte avrebbe voluto chiamarti, ma non aveva il tuo numero, così…”
“Sono stato un pessimo amico, l’ho capito troppo tardi. Sono stato egoista, ho pensato solo ai miei di problemi, ed ora  la vita mi sta presentando il conto, un conto amaro che mi merito.”
“Nessuno è perfetto, Dex. – Charlotte posò una mano sulla sua spalla, strinse leggermente e cercò il suo sguardo – Non lo sei tu, non lo era Matt e di sicuro non lo sono io. Se lo fossi non starei qui, in una comunità di ex alcolisti.”
“Sì, ecco, parlando di questo, io vorrei…”

“Mr. Freeman! – la voce squillante di Mrs. Robinson non gli diede tempo di terminare la frase – Devo ricordarle le regole? E lei, Miss Harrison, non ha nulla da fare? Sa che nelle prime settimane non ci devono essere contatti con i pazienti, lei stessa è stata in questa clinica solo sei mesi fa e dovrebbe ricordare…”
“Mi scusi, Mrs. Robinson, non succederà più. – rispose Charlie, guardando prima la donna e poi Dexter – Devo andare. Stammi bene, Dex, e riguardati: quando uscirai da questo posto parleremo ancora. Sai dove trovarmi, no?”
“La pasticceria, certo. – Dex annuì e le riservò un ultimo sorriso – Alla prossima, piccolo Girasole.”


 

**
 
 
Fuori pioveva da giorni, anche il tempo sembrava triste per l’imminente partenza di Dex. Era metà Settembre, l’Estate era finita e una delle persone più importanti della sua vita stava per lasciare Richmond per sempre, lasciarla sola, a combattere i pregiudizi della comunità, i giudizi di sua madre, ad affrontare l’ultimo anno di liceo prima dell’università. Dexter c’era sempre stato per lei, era nei suoi ricordi da che ne avesse memoria e l’idea di non vederlo più, di non sentire più la sua risata, di non essere più abbracciata da lui, tenuta stretta tra le sue forti e caldi braccia, le provocava una fitta al cuore e rigava il suo bel viso di lacrime simili alla pioggia che cadeva dal cielo plumbeo sopra di lei.

“Cosa ci fai tutta sola al freddo?” chiese Dex, raggiungendola sotto il patio e sorridendo sghembo, in quel modo irresistibile che le faceva tremare le ginocchia ogni santa volta.
“Ehi, ehi, ma tu stai piangendo!” esclamò poi, notando le lacrime che prontamente Charlotte andò ad asciugare con la manica della sua giacca di pelle bianca.
“E’ colpa mia? – chiese, strofinando una mano sul suo braccio – Stai piangendo per colpa mia?”
“N-no… - gli rispose con voce tremante, scuotendo il capo – Sono felice per te, davvero lo sono, ma…”
Charlie tirò su con il naso, si morse un labbro e suo malgrado percepì nuovamente le calde lacrime rigare le sue guance arrossate.
“Oh, Dex!” in un istante fu tra le sue braccia, si strinse forte a lui, che in risposta iniziò a cullarla come una bambina e a baciarle la fronte, quei capelli biondo platino scarmigliati del colore opposto ai suoi.
“Mi mancherai tanto, mi mancherai così tanto!”
“Anche tu mi mancherai, Charlie. Tu e Matt siete le uniche persone che odio lasciare, ma prometto che ti scriverò, ti chiamerò appena potrò e che niente…”
“Non dirlo! – lo zittì lei, posando i polpastrelli della mano destra sulle sue labbra – Non mentire, non dire che niente cambierà, che tutto rimarrà come adesso; non trattarmi come una sciocca, una bambina. Non sono più una bambina, Dex, non lo sono più da un pezzo.”
“Sì, lo so bene. – Dex inclinò il viso, accarezzò la sua guancia – Non sei più una bambina, me ne hai dato prova questa estate.”
Charlie trattenne il respiro, deglutì in modo nervoso e abbassò il capo, troppo nervosa per sostenere il suo sguardo; troppo imbarazzata al ricordo di ciò che era accaduto in quelle settimane appena passate, dei loro baci, delle carezze, delle mani di lui sul suo corpo, sotto le sue maglie di cotone e sopra la sua pelle bollente, del desiderio che entrambi avevano provato e al quale erano riusciti a resistere per un soffio.
Vedendola assorta, Dex capì subito che stava ripensando a loro due, a quello che era stato e a quello che sarebbe potuto essere, e portata una mano sotto il mento della ragazza la costrinse ad alzare il viso, a guardarlo.
“Sai perché ho dovuto farlo, vero? Non sarebbe stato giusto, per nessuno dei due. Tu sei ancora una ragazzina, e la prima volta dovrebbe essere speciale, condivisa con la persona che ami, non con un potenziale scrittore squattrinato in procinto di trasferirsi a Londra. Sarebbe stato un grosso errore.”
“Forse. – sussurrò lei, continuando a guardarlo, ricacciando dentro l’impulso di rivelargli tutto, il suo folle amore per lui – Ma sarebbe stato un bellissimo errore.”


Dex la strinse più forte, facendo scontrare i loro corpi e, per un ultima volta, si permise di essere egoista e cedette al desiderio baciandola con trasporto e passione, approfondendo subito il contatto, lasciandosi trasportare da un bacio pieno di sentimenti celati, parole non dette e disperazione per quella separazione oramai prossima.

 


Charlotte si svegliò di soprassalto, sgranando gli occhi chiari nell’oscurità della stanza: un sogno, era stato un sogno, un ricordo di ciò che era stato.
Si toccò le labbra, giurò di sentire su di esse il sapore di quelle di Dex, il retrogusto della birra che avevano bevuto quell’ultima sera e della nicotina; il ricordo delle sue labbra calde sulle sue non avevano mai lasciato la sua mente, seppur nascosto in un angolo remoto. Dopo tutto quel tempo, dopo tutto ciò che era successo, pensò, riecco comparire quelle sensazioni riaccese come una lampadina ritenuta fulminata che, improvvisamente, illumina la stanza, sorprendendo tutti.
Charlotte sospirò, si lasciò nuovamente cadere sul letto, sul cuscino in cui era impressa la forma del suo viso e, posata una mano sul cuore, si rese conto che stava battendo forte, troppo forte. Non era un buon segno.
 



*



Angolo Autrice: Rieccomi con il quinto capitolo di questa storia, capitolo di cui sono piuttosto soddisfatta. Finalmente iniziamo a scoprire di più del passato dei nostri protagonisti, il legame che un tempo li ha uniti. Spero che l'idea del sogno-ricordo vi sia piaciuta, perchè probabilmente più avanti ce ne saranno altre simili, anche se non so bene quanto. La copertina/immagina, che ricordo non è creata da me a differenza del banner solito, è presa dal film "Only Lovers left alive - Solo gli Amanti sopravvivono" con Tom Hiddleston e Tilda Swinton e riprende proprio l'immagine del sogno, come mi sono immaginata Charlotte e Dex nel loro ultimo incontro prima della partenza di lui per Londra.
Grazie, come sempre, a tutti voi che seguite la storia. Mi raccomando, lasciatemi una recensione... non mordo, giuro! :3
Alla prossima,
V.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** 06. ***






 



Dexter Freeman indugiò – schiena dritta e mano destra a mezz’aria chiusa a pugno - alcuni istanti davanti alla porta di legno massiccio, soffermando il suo sguardo azzurro sulla targhetta posta sulla parte destra della suddetta porta, targhetta su cui era inciso in corsivo il nome della sua psicologa, quella donna dal volto misterioso che nelle quasi due settimane rinchiuso in clinica si era sempre immaginato austero e che avrebbe incontrato per la prima volta nel giro di pochi minuti.
Olivia Barnes, questo il suo nome, era colei che avrebbe deciso il suo futuro, senza il cui consenso non avrebbe mai lasciato quella clinica dai muri sempre più piccoli, quella clinica troppo stretta per uno come lui, un sognatore e uno spirito libero. Eppure, come il Dottor Simpson gli aveva detto sin dall’inizio, sarebbe stata lei – dopo una seduta della durata a lui ignota – a redigere il suo profilo psicologico finale dal quale sarebbe successivamente dipesa la decisione di trattenerlo altre settimane o dimetterlo come lui sperava.
Scosse la testa: doveva smetterla con quelle seghe mentali, quelle ansie sempre più persistenti ed essere fiducioso come un tempo, prima del fiasco, del divorzio, dell’alcool e della quasi depressione. Doveva fare una buona impressione, dimostrare alla Dottoressa che era migliorato, che poteva tornare nel mondo, ritornare ad essere un cittadino come tanti, un cittadino modello.
Poteva farcela, doveva farcela, e senza indugiare oltre bussò un paio di volte con le nocche di quella mano destra per troppo tempo rimasta in sospeso a mezz’aria contro la porta, udendo quasi immediatamente una voce gentile ma sicura che lo invitava ad entrare.

L’ambiente all’interno era luminoso, le tende color panna erano aperte e le finestre da cui entrava la pallida luce del sole di inizio Novembre affacciavano sul giardino interno, lo stesso giardino che Dex aveva percorso infinte volte in quelle due settimane, ammirandone la cura, gli alberi dalle foglie multicolore – gialle, rosse, arancioni – tipiche dell’autunno che cadevano stanche qua e là, ricoprendo il manto del prato all’inglese sempreverde, le piccole viuzze fatte di selciato e ghiaia.
Lo studio era minimale, lo stile moderno, e seduta con le gambe accavallate su di una poltrona color vinaccia c’era lei, Olivia Barnes, una ragazza sulla trentina con gli occhi marroni da cerbiatto e capelli neri racchiusi in una treccia laterale che spiccavano sulla sua pelle lattiginosa. Il primo pensiero di Dexter fu prettamente maschile – la sua bellezza era indiscussa, questo non lo si poteva negare – poiché nei suoi pensieri si era sempre immaginato una donna di mezza età, non una giovane donna sua coetanea con gli occhi da cerbiatto e lunghe gambe magre.

“Mr. Freeman, immagino! – esclamò Miss. Barnes, alzandosi lentamente dalla sedia e tendendogli una mano dalle unghie laccate di rosso – La stavo aspettando.”
“La Dottoressa Barnes, suppongo. – disse a sua volta Dex, canzonandola di proposito e stringendole la mano - Piacere di conoscerla.”
“Piacere mio. Prego, sieda! – invitò la donna, indicandogli con un gesto della mano il divanetto in pelle posto alla sinistra della sedia su cui tornò a sedersi – Confesso di aver letto il suo primo libro, “Merry-Go-Round” e di averlo trovato indiscutibilmente bello. Ditemi, c’è qualcosa di autobiografico in quelle pagine?”
“Ben poco, credo. Solo il motto del protagonista, Tom: “La giostra non smette mai girare”. – rispose lui come tante volte aveva fatto davanti a stampa e lettori curiosi – Il suo è anche il mio motto, oltre che essere in parte il titolo del mio primo libro. Ma, dopo tutto, come poter dar torto al ragazzo? Io stesso sono stato vittima della giostra che è la vita, una giostra da cui non sempre si può scendere e che spesso prende il sopravvento su di te, sulle tue volontà.”
“Quindi nessun amore impossibile, nessun addio strappalacrime e nessuna ragazza rimasta indietro con il cuore spezzato?”
“No, nessuna.” Rispose senza pensarci, sebbene la sua Alice fosse stata ispirata da una ragazza in carne e ossa, una ragazzina più piccola di lui che per un breve periodo aveva pensato di poter amare davvero. Ma questo, questo non lo avrebbe mai detto a nessuno, neanche a quella donna da cui dipendeva il suo prossimo futuro.
“Certo, – riprese poi, come se nulla fosse – ammetto che io stesso come Tom ho abbandonato Richmond per seguire i miei sogni, lasciandomi alle spalle persone eccezionali, amici, ma la mia separazione è stata più facile, meno drammatica. Inoltre al tempo della mia partenza avevo già conosciuto Margaret, quella che sarebbe diventata mia moglie e che ora è la mia ex moglie, una donna dalle mille facce come ho scoperto mio malgrado.”
Sorrise algido: anche in quella frase c’era verità e menzogna allo stesso tempo, poiché se da un lato quelle parole erano vere – lui e Margaret si erano conosciuti all’ultimo anno di college – dall’altro erano anche false. In quei mesi estivi precedenti alla partenza, infatti, Dex le aveva chiesto un periodo di riflessione, – non era più sicuro dei suoi sentimenti per lei, che fosse lei la donna giusta per lui, con cui si vedeva in un futuro lontano, vecchio e grigio – periodo che era finito quando lei era andata a trovarlo nel suo appartamento a Londra poco prima del Natale del 2003, dieci anni prima, in un’altra vita.
Ricordò di aver fatto l’amore con lei quella notte, – e anche in quelle seguenti – con quella giovane ragazza piena di voglia di vivere, di arrivare alla vetta; ricordò il suo sorriso, un sorriso così bello e luminoso da riuscire a farlo capitolare ancora, da indurlo a riprenderla con sé, a farla rientrare nella sua vita da giovane aspirante scrittore squattrinato appena trasferito a Londra.
Poi l’amore – era mai stato vero amore? – era scemato, l’indifferenza aveva preso il suo posto e quando il successo di Dexter si era velocemente e inesorabilmente trasformato in fallimento lei, la sua bella e provocante moglie, non aveva perso tempo prima di fare le valige e lasciarlo per un uomo più grande, un uomo più ricco.
“E cosa ha suscitato in lei l’abbandono di sua moglie, la fine del suo matrimonio?” chiese Miss. Barnes, assottigliando leggermente gli occhi e facendogli capire di aver iniziato il suo “interrogatorio”, la sua analisi.
“La verità? – chiese retorico Dexter, guardandola sottecchi – Niente. Quando ho letto il biglietto che mi aveva lasciato sul tavolo non ho provato nulla, solo una strana sensazione alla bocca dello stomaco, un senso di libertà: da tempo non ci amavamo più, non comunicavamo e quando lo facevamo era sempre tutto surreale, le nostre parole erano veleno e il solo vivere sotto lo stesso tetto era diventato insopportabile.”
“La accusava di qualcosa, e lei accusava sua moglie?” chiese ancora, iniziando ad oscillare lievemente una gamba.
“Mi accusava di essere un fallito, un ubriacone. Diceva che le stavo rovinando la vita, i suoi sogni, che non ero neanche capace di scrivere un misero libro. Io, d’altra parte, l’accusavo di essere una spina nel fianco, una sanguisuga: mi stava prosciugando non solo il patrimonio, i miei soldi, ma anche l’anima. Con lei accanto non riuscivo a respirare, a pensare, a scrivere, ed è stato un bene per me che lei sia andata via. Non le porto rancore, le auguro ogni bene, ma non voglio avere più a che fare con lei; non mi aspetto certamente di risentirla, no, non dopo averle lasciato la casa sulle Alpi francesi, non dopo aver firmato i documenti di divorzio ed essere riuscito a mantenere i miei risparmi grazie alla sua storiella con il multimiliardario finita su tutti i giornali che mi ha fatto uscire da questa storia come parte lesa. – sorrise ancora, era la prima volta che diceva quelle cose ad alta voce – No, la cara Margaret è uscita per sempre dalla mia vita, una vita che sto ricostruendo con fatica per me stesso, per ritornare ad essere quello di un tempo, il giovane scrittore di cui la mia famiglia andava tanto fiero.”
“E come sono i rapporti con la sua famiglia, cosa dicono di tutta questa faccenda, dalla sua dipendenza?” Miss. Barnes cambiò discorso, si addentrò verso un sentiero più irto, una questione più delicata.
“Mio padre è morto poco dopo il mio trasferimento a Londra. Infarto: è successo di notte, nel suo letto, mentre dormiva e ogni volta che penso a lui spero non abbia sofferto troppo. Mia madre è rimasta vedova a neanche sessant’anni, ma ho provveduto a lei appena ho potuto, anche se mia sorella Rose mi ha sempre accusato di essere assente, di non essere un buon figlio. – Dex sospirò, si passò una mano tra i capelli – Sostiene che l’affetto non si paga con i soldi, che una madre ha bisogno della presenza di un figlio, ma all'epoca ero troppo immerso nel mio mondo perfetto per fregarmene. Poi, però, la ruota ha girato e ho capito…”
“Si è dovuto guardare allo specchio e vedere chi era diventato.” Questa volta la Dottoressa non aveva posto una domanda, ma Dex annuì ugualmente: “E cosa ha visto nello specchio, cosa ha capito?”
“Non mi piacevo. Non mi riconoscevo, mi facevo pena e ho capito di dover cambiare, di poterlo fare solo tornando alle radici, dove tutto era iniziato. A Richmond ho deluso tante persone, non solo parenti ma anche amici, e per alcuni di loro è troppo tardi…”
“Cosa intende dire con tardi?” Olivia Barnes assottigliò le labbra e pensò che quell’uomo era più complesso di quanto sembrasse, pieno di ombre.
“Io… ecco… - stava arrivando la parte più difficile, più dolorosa – E’ successo un anno fa, lui era il mio migliore amico e…”
“E’ morto?” terminò lei per lui e Dex si limitò ad annuire e tenere il capo basso.
Era difficile parlare di lui, era riuscito solo con Charlotte qualche giorno prima, e il suo perdono era riuscito ad alleviare in parte i suoi sensi di colpa, quella colpa che non avrebbe mai potuto espiare.
“Un incidente d’auto. Non so bene come sia successo, so solo che era sera e che sua sorella era con lui. – chiuse gli occhi come accecato da una luce invisibile, pensò a Charlotte, a quello che aveva passato, che aveva provato – Non sono riuscito ad andare al suo funerale, non sono… non ci sono riuscito e…”

Qualcuno bussò alla porta: Dex si bloccò bruscamente, lanciando uno sguardo sollevato verso l’ingresso; chiunque fosse lo aveva appena salvato da una conversazione alla quale non era pronto, a pronunciare parole più pesanti del marmo, troppo pesanti. Faceva troppo male, e lui non era pronto, non ancora.
“Temo che sia arrivata la prossima paziente. – disse calma la Dottoressa, guadando l’orologio al suo polso – Per oggi il tempo è finito, ma credo di avere abbastanza materiale per compilare il suo profilo.”
“In questo caso, spero di essere andato bene! – esclamò ammiccando Dex, grattandosi nervosamente la nuca – Confesso di iniziare ad essere stufo di queste quattro mura tutte uguali, di aver bisogno di uscire.”
“Vedrò cosa posso fare, Mr. Freeman. – le tese una mano come aveva fatto un’ora prima e lui la strinse – Ci vediamo lunedì prossimo alla stessa ora, mentre per le dimissioni dall’ospedale e l’esito del nostro incontro dovrà rivolgersi direttamente al Dottor Simpson.”
“Lo farò quanto prima, stia sicura. Buona giornata, Dottoressa.”



 
**


 
Quella mattina Charlotte era in perfetto orario per il suo appuntamento con la sua psicologa, la Dottoressa Olivia Barnes, e per una volta tanto fu lieta di non dover ascoltare le sue solite prediche sulla puntualità e su ciò che questa significava nella società contemporanea, sul suo simbolo di professionalità.
Erano ormai sei mesi che andava a quelle sedute, che conosceva la donna con cui le piaceva pensare di essere diventata quasi amica, ma certe cose non cambiavano: lei era sempre la sua paziente.
In quelle settimane, poi, i suoi bisogni di parlare con qualcuno si facevano sempre più forti, poiché da poco era passato l’anniversario della morte di suo fratello Matt, a breve sarebbe stato un anno…
No, non voleva pensare a quello, non doveva pensare a quello, quello che sarebbe potuto essere, a quello che non sarebbe mai stato. Spesso si era detta che era stata la volontà divina, – proprio lei, che in quel Dio tanto venerato da sua madre non aveva mai creduto – che il destino toglie per poi dare, che non era ancora il suo tempo, che ci sarebbero state altre occasioni, ma nulla di tutte quelle scuse, quelle effimere consolazioni era bastata a farla sentire meglio, a far scemare il senso di vuoto lasciato dalla perdita.
 

Arrivata allo studio della dottoressa, situata nella stessa clinica in cui era stata in cura per quasi un mese, bussò un paio di volte alla porta prima di entrare. Dall’altra parte, ovattate, si sentivano delle voci – una di queste era maschile – ma neanche per un attimo Charlotte aveva immaginato di potersi ritrovare davanti lui, Dexter Freeman, il suo fantasma dei natali passati.
Eppure eccolo, sempre bello e affascinante, davanti a lei, i suoi occhi fissi nei suoi e un piccolo accenno di sorriso, quel sorriso che le faceva sempre battere più forte il cuore, arrossare le gote. Dannato lui, dannato lui e il suo fascino!

“Charlie!” esclamò con sorpresa, anche un po’ di nervosismo, baciandole d’istinto una guancia.
“Dex!” esclamò a sua volta lei, senza sottrarsi al bacio. Di tutto ciò avrebbe dovuto parlarne con la Dottoressa, di certo non appena lui fosse andato via e lei fosse rimasta sola con l’altra donna le domande di quest’ultima sarebbero partite una dietro l’altra.
Non si dissero altro, lui la superò dopo averle strizzato un occhio con fare sornione e lei gli sorrise un’ultima volta prima di sospirare profondamente ed entrare nello studio dal quale la psicologa aveva assistito a quella strana interazione, a quello scambio di sguardi sospetti.
“Non dirmi che è lui. – iniziò senza neanche darle il tempo di togliersi il cappotto – Non dirmi che il tuo Dexter è quel Dexter.”
Charlie abbassò lo sguardo, fissandosi le punte dei piedi con aria colpevole e confermando i sospetti della donna: da settimane oramai parlava di lui con lei, parlava dei loro incontri, dei suoi sogni-ricordi che non le davano tregua.
“Oh, Charlotte! – Olivia Barnes si portò una mano sul viso, sospirò e scosse lievemente il capo – Questo sarà un problema, questo è un grandissimo problema!”
 




*



Angolo Autrice: Salve, gente! Sesto capitolo della storia, in cui Dexter inizia ad affrontare - seppur con molta difficoltà - i suoi demoni interiori, mentre Charlotte continua a tenere nescoste cose del suo passato che tra non molto verranno svelate. Spero che vi sia piaciuto, e ringrazio tutti voi che seguite la storia, i lettori silenziosi e quelli che lasciano un segno. Come sempre, vi invito a lasciare una recensione. Non mordo, giuro :3
Alla prossima,
V.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** 07. ***







 

Charlotte Harrison si cinse il corpo con le braccia e, sguardo fisso oltre il vetro della finestra dello studio della sua psicologa, la Dottoressa Olivia Barnes, sospirò: non aveva mai immaginato, prima di quella mattina, che la sua vita sarebbe stata ancora una volta scombinata da un uomo, un uomo che fino a poche settimane prima aveva creduto di aver cancellato per sempre dalla sua vita e dai suoi ricordi di ragazzina.
Dexter era un effetto collaterale non previsto, il primo amore solo apparentemente scordato ma effettivamente mai scordato che neanche per un istante aveva pensato di rivedere a Richmond, nella sua pasticceria, nello studio della psicologa che lei stessa frequentava da sei mesi. Eppure, a dispetto di tutto, lui era tornato, prepotente e onnipresente com’era sempre stato, e lei avrebbe dovuto fare i conti con questa situazione, con i sentimenti che la sua presenza scaturiva, i ricordi che pian piano stavano riaffiorando nella sua mente.

“Non sapevo dell’esistenza delle sue sedute, giuro! – si giustificò esclamando con forza lei, continuando a dare le spalle ad Olivia – Ci siamo visti solo due volte, e in una di queste lui non mi ha neanche riconosciuta.”
“Lo so bene, me ne hai parlato, - ricordò la mora, fissandola sottecchi – ma non è questo che mi preoccupa: mi preoccupa la sua influenza, ho paura che possa nuovamente portarti giù nel baratro. Siete due ex alcolisti, lui forse lo è ancora, e il pensiero di lui che ti ronza intorno...”
“Mi reputi così debole?” chiese lei, offesa, interrompendola bruscamente e girando si scatto il capo nella sua direzione.
“Ti reputo una ragazza che ne ha passate troppe, una ragazza fragile specialmente in questo momento: solo un mese fa è stato l’anniversario della morte di tuo fratello, e sappiamo entrambe che in quell’incidente non hai perso soltanto un fratello.”
“Non c’è giorno che non pensi a quella sera: per mesi e mesi ho rivissuto quella scena, la neve che cadeva copiosa, il ghiaccio sulla strada, la macchina che sbandava e poi… - Charlie chiuse gli occhi, nella sua mente il ricordo era ancora vivido, poteva riviverlo chiaramente – Non dimenticherò mai l’impatto e il sangue: tutto quel sangue che colava dal capo di mio fratello, sul suo corpo privo di sensi e sul mio…”
“Eppure sei qui, viva e sai che questo è un miracolo: ne sei uscita quasi illesa nonostante la macchina mezza distrutta, e non devi mai dimenticare che ti è stata data una seconda opportunità, un nuovo inizio.”
“Non fai che ripetermelo da sei mesi, Olivia – l’apostrofò, chiamandola con il suo nome di battesimo – ma per quanto mi sforzi proprio non riesco a capirne il perché, perché dovrei sentirmi fortunata? Sono uscita a pezzi da quell’incidente, ho perso tutto, tutto quello che di buono mi rimaneva: mio fratello, il mio… - le parole le morirono in gola, non riusciva a parlarne senza provare una stretta al cuore – Non riesco a vivere, per quanto mi sforzi sono bloccata in questo limbo: non riesco a parlare con i miei genitori, non riesco a fidarmi della gente, non riesco da amare! In questo anno mi sono annullata, sono diventata invisibile a tutto e tutti. Sono un mostro invisibile e sono incapace di amare!*”
“Eppure un tempo amavi: hai amato Gaspard fino all’annullamento più totale, nonostante il suo doppiogiochismo e la sua codardia; hai amato Dexter nei tuoi anni di spensieratezza giovanile, e con lui sei diventata donna. E poi c’è Cole…”
“Non voglio parlare di Cole! – esclamò bruscamente lei, aggrottando la fronte – Ogni volta che incontro il suo sguardo mi sento un mostro: lui mi ama, mi ama e se solo volessi potrei essere felice. Lui mi renderebbe schifosamente felice, e amata, amata tantissimo; potrei sposarlo, un giorno, avere dei figli con lui… se solo volessi, se solo riuscissi ad amarlo.”
“Ma sei affezionata a lui, quando sei con lui ridi, riesci a non pensare. Tu stessa l’hai ammesso più volte.”
“Cole è il solo amico che mi rimane, dopo il trasferimento di Dexter era diventato uno dei più cari amici di Matt: quando siamo insieme mi sento meno sola, stare con lui mi fa sentire più vicina a mio fratello, ma…”
“Ma, ma cosa, Charlotte? – Olivia continuò a provocarla, voleva avere un quadro chiaro e preciso della situazione in cui si trovava Charlotte – Ma non è Dexter, non è Gaspard, non è Matthew?”
“Non è nessuno di loro tre, no. Lui… - sospirò e chiuse gli occhi – Se pensi che mi lascerò condizionare dal ritorno di Dex, influenzare da lui ti sbagli: non sono più una ragazzina, sono cresciuta, ho imparato dai miei errori. E poi lui non ha bisogno di una come me nella sua vita; inoltre non vedo la ragione per cui parlarne? Non lo amo, forse quello provato per lui non è mai stato vero amore ma solo una forma di affetto troppo forte tipica dell’adolescenza. Certo, dal nostro incontro la mia mente ha iniziato a farmi scherzi e non nascondo che ho spesso pensato a lui, ma questo è tutto, non c'è niente di più!”
“Niente di cui preoccuparsi, dunque?” chiese Olivia, guardandola di sbieco.
“No, niente di cui preoccuparsi. Ed ora, se questo terzo grado è finito, io andrei. Per oggi credo di essermi sfogata abbastanza e ho molto da fare in pasticceria, consegne che mi attendono.”
“Allora vai, vai dalle tue preziose consegne, ma non dimenticare quello che ci siamo dette: stai attenta quando sei con Dexter Freeman, non lasciare che i sentimenti un tempo provati per lui prendano il sopravvento. Una relazione tra voi non sarebbe sana, non adesso.”
“Non ho mai voluto alcuna relazione nell’ultimo anno e mezzo della mia vita, e dubito che ne vorrò una proprio adesso, con Dexter Freeman.” Sottolineò per l’ennesima volta Charlotte, e prima di lasciare lo studio concluse: “E’ sempre un piacere parlare con te, Olivia. Ci vediamo la settimana prossima!”

 


**


La prima volta che si baciano le sue labbra sanno di birra, il suo profumo di dopobarba le invade le narici, le sue mani sulla sua schiena le provocano un brivido lungo tutto il corpo. Succede inaspettatamente, all’inizio sembra uno scherzo, ma poi diventa reale, speciale, unico. E’ il primo bacio che da ad un ragazzo in quasi diciotto anni, un bacio consapevole, carico di passione e promesse che lui non manterrà mai.
“Perché lo hai fatto? – chiede lei quando, a corto di fiato, allontanano i loro visi leggermente arrossati – Perché mi hai baciato?”
Dex sorride sghembo, come solo lui sa fare e, accarezzando la sua guancia e mantenendo quell’aria sornione, risponde: “Perché era la sola cosa giusta da fare.”

 


**



“Cole, ci sei?” Charlie entrò dall'entrata del retro della pasticceria ancora chiusa, e tolto il cappotto che appese sull’attaccapanni si addentrò alla ricerca del suo amico e collega, sperando di trovarlo alle prese con qualche sua creazione.
Aveva bisogno di staccare la mente, durante il tragitto dallo studio alla pasticceria si era persa nuovamente in ricordi a cui non avrebbe dovuto pensare, nel ricordo del loro primo bacio, e l’unico modo per staccare la mente che conosceva oltre l’alcool era Cole, perdersi in lui e nella passione che scaturiva ogni volta che si sfioravano, nel piacere che lui sapeva darle.
Piccola, non ti aspettavo così presto. Cosa ci fai qua a quest’ora?” chiese con curiosità lui, sorridendole tranquillo.
“Io, ecco… - Charlie fissò il pavimento sporco di farina, si morse il labbro inferiore: non aveva il diritto di chiederlo, si sentiva una carogna ogni volta che avanzava delle pretese su di lui, sul suo corpo – Mi sentivo sola, mi mancavi…”
Bugiarda: non sentiva affatto la sua mancanza, voleva semplicemente essere abbracciata da qualcuno, l’affetto incondizionato di una persona a lei cara. Poco importava fosse Cole o qualcun altro, poco importava il resto: era un mostro invisibile, ed era incapace di amare, di un atto di altruismo. Se davvero avesse tenuto a lui non sarebbe mai andata in pasticceria, non avrebbe mai fatto quello che sarebbe successo da lì a poco.
“Puoi abbracciarmi? – chiese con voce bassa, avvicinandosi a lui e lasciandosi abbracciare forte – Quando mi abbracci tutto sembra migliore.”
“Quando ti abbraccio, oppure quando faccio altro?” chiese retorico, prima di baciarle le labbra in modo casto.
“Anche quando fai altro, ovviamente!” rispose lei lascivamente, sfilando il nodo che teneva chiuso il grembiule bianco del ragazzo, attirandolo nuovamente verso di lei per baciarlo con più trasporto.
“Perché sei venuta qui, Charlie?” chiese ancora una volta lui, mentre lei baciava pigramente il suo collo, solleticava il suo mento coperto dalla barba che da qualche mese si stava lasciando crescere.
“Non lo sai? – chiese a sua volta lei, guardandolo sottecchi – So di non avere diritto, so che non dovremmo ma… ti voglio, adesso!”


Anche quella volta lui era capitolato. Anche quella volta, come le altre, l’aveva spogliata e aveva esaudito ogni suo desiderio. Non aveva protestato, non aveva cercato di tirarsi indietro: l’aveva presa in braccio, aveva permesso alle sue gambe e alle sue braccia di intrecciarsi al suo corpo slanciato e muscoloso e l’aveva condotta verso il una stanzina piccola in cui era presente un divano e aveva iniziato a fare l’amore con lei.
Cole, Cole!” aveva sospirato lei, quando la bocca di lui si era chiusa sui suoi seni rosei, succhiandoli, e le sue mani erano affondate in quelle onde color della pece che tanto amava, quei capelli selvaggi sempre più lunghi.
Aveva continuato a chiamare il suo nome anche quando lui era scivolato in lei, continuando a baciarle il collo, le labbra e invasa dal piacere si era inarcata e aveva affondato le sue unghie nella sua spalla, godendo insieme a lui.
Si erano guardati negli occhi quando tutto era finito, lui le aveva sorriso dolcemente, e anche lei gli aveva sorriso, gli aveva accarezzato una guancia e aveva baciato timidamente la punta del suo naso, continuando ad abbracciarlo, a tenerlo vicino al suo corpo accaldato e sudato, al suo cuore dal battito accelerato per il piacere che lui le aveva dato.
Gaspard non aveva mai fatto l’amore con lei in quel modo – neanche la prima volta, neanche quando lei gli aveva donato all’età di 22 anni la sua verginità – eppure lei lo aveva amato comunque, poco importavano le bugie, la presenza di un’altra donna, di quella giovane moglie che lo aspettava ogni sera a casa per cena.
Cole l’amava, era sincero, buono, affettuoso, e Charlie si disse che meritava un’occasione, che era cento volte meglio di Gaspard, che non l’aveva mai abbandonata come aveva fatto dieci anni prima Dexter.

“Sei innamorato di me?” chiese lei, rompendo il silenzio, pentendosi di quella domanda l’istante successivo.
Gli occhi scuri di Cole si erano sgranati, era stato spiazzato da una domanda così imprevista eppure secca, che ammetteva solo e soltanto due apparentemente semplici risposte.
Il giovane uomo chiuse gli occhi, annuì e disse: “Sì, credo di esserlo.”
“Perché non me lo hai mai detto?” chiese ancora, e ancora si pentì.
“Non c’era bisogno di dirlo, era talmente palese: ma tu, tu non mi ami, l’ho sempre saputo, capito dal modo in cui fai sesso con me.”
“Io con te faccio l’amore, - proseguì, mettendosi seduto sul bordo del divano – mentre tu fai sesso. E’ una sottile differenza, ma è una grande differenza.”
“E se imparassi? Se volessi imparare ad amarti, tu mi aiuteresti? – chiese, mettendosi a sua volta seduta accanto a lui e strofinando il viso contro la sua spalla nuda – Insegnami ad amare, Cole, perché temo di aver dimenticato come si faccia…”
“Lo vuoi davvero, è questo che davvero vuoi?”
“Sì, è questo. – rispose, sporgendosi verso di lui e baciandolo a stampo – E tu, tu lo vuoi, mi insegnerai?”
“Lo farò, è tutto ciò che ho desiderato fare dal primo momento in cui ti ho vista: prendermi cura di te, tenerti al sicuro e conquistare il tuo cuore, essere l’unico uomo della tua vita.”
“E lo sei, sei l’unico.” Disse, accarezzandogli il viso, mentendo ancora una volta, pensando a Gaspard, l’ultimo a cui aveva detto quelle stesse parole, a Dexter, a cui le aveva dette per la prima volta dieci anni prima, a cui le aveva dette credendoci davvero, a quei due uomini che, a modo loro, l’avevano lasciata sola e con il cuore a pezzi.




*




*Citazione presa da "Invisible Monsters" di Chuck Palahniuk.



Angolo Autrice: Salve, gentaglia! Settimo capitolo interamente dedicato a Charlotte, in cui si scopre qualcosa di più sul suo passato, sugli uomini nella sua vita - i quali sono i protagonisti del banner e che hanno il volto di Aidan Turner (Cole), Guillaume Canet (Gaspard), Sam Claflin (Matthew) e del nostro Tom Hiddleston (Dexter) - e sui ruoli che questi hanno avuto. Ora, so che questo Gaspard è spuntato dal nulla ma prometto che verrà spiegato il suo ruolo importante nel passato di Charlotte molto, molto presto.
Grazie, come sempre, a tutti voi che leggete e seguite la storia. Lasciatemi una recensione, mi raccomando. Non mordo, giuro! :3
Alla prossima,
V.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** 08. ***









Dexter Freeman, seduto su di una apparentemente comoda poltroncina rivestita di pelle pregiata situata nel corridoio dalle pareti bianche a lui fin troppo noto, muoveva nervosamente la gamba destra – un ticchettio nervoso a cui si era abiutuato da tempo e che iniziava senza che lui se ne accorgesse ogni volta che il nervosismo faceva capolinea – in attesa di essere ricevuto dal Dottor Simposon.
Erano passati tre giorni dalla sua prima seduta con la Dott.ssa Barnes, dal referto psico-clinco che aveva stilato e dal quale dipendevano le sue sorti, e finalmente il direttore della clinica in cui era rinchiuso da oramai tre settimane e mezzo lo aveva chiamato per parlare faccia a faccia con lui. Desiderò ardentemente una sigaretta, sebbene non fosse mai stato un fumatore accanito, un amante della nicotina e del suo retrogusto amarognolo lasciato sulle papille gustative ogni volta che ne spegneva una; una sigaretta lo avrebbre calmato, sarebbe stata un placebo non indifferente per i suoi poveri nervi, ma come da regolamento là dentro era vietato fumare, per i pazienti persino disporre di un pacchetto di sigarette di ogni tipo.
Era in trappola, non aveva altra scelta che attendere e continuare a muovere nervosamente la gamba nella speranza che finisse tutto al più presto.

“Mr. Freeman? – la segretaria del Dottor Simposon sbucò come per magia nel corridoio, e con il suo sorriso bianco degno di una pubblicità di dentifrici gli sorrise e attirò la sua attenzione – Il Dottor Simposon è pronto a riceverla. Prego, mi segua.”
Dex si alzò di scatto, finalmente libero di muoversi, e a passo svelto la raggiunse ed entrò insieme a lei in quello studio oramai famigliare sulle cui parenti svettavano titoli di studio e opere d’arte comprate all’asta – forse a Londra, forse chissà dove – per una cifra che, da una prima occhiata, sembrava piuttosto elevata.

“Buongiorno Mr. Freeman, - lo salutò con la solita voce pacata e leggermente rauca l’uomo, invitandolo a sedersi con un gesto della mano sulla sedia posta davanti a lui, dall’altro lato della scrivania di legno pregiato – Prego, prego, si sieda. E scusi l’attesa, ma un paziente ha chiesto la mia attenzione.”
“Non si preoccupi, non ho atteso molto. – mentì lui, che aveva trovato quell’attesa la più snervante e lunga della sua vita dopo quella passata sveglio nella sua casa di Londra, tanti anni prima, per attendere la chiamata del suo agente a distanza di 24h dell’uscita del suo primo romanzo, il suo grande successo – Ma se non le dispiace io non mi perderei in inconvenevoli e andrei subito al punto.”
“Ma certo, si capisce. – Oliver Simposon sorrise algido, inforcò gli occhiali da vista e, aperto il cassetto, estrasse la cartella medica di Dexter – In queste tre settimane e mezzo ha iniziato la sua disintossicazione, superando in modo positivo le crisi d’astinenza; ha partecipato alle sedute con altri alcolisti come lei, e infine ha incontrato la nostra psicologa, Miss Barnes.”
“Sono stato un paziente modello!” esclamò Dex con forse troppa euforia, sorridendo all’uomo senza essere ricambiato.
“Nessuno si è lamentato di lei, vero, ma questo non prova nulla: l’alcolismo è qualcosa che non si sconfigge nel giro di un mese, e lei sa che se permetterò le sue dimissioni dovrà presentarsi qui in clinica due volte a settimana per i prossimi sei mesi, sottoporsi a dei test rigidi che ci diranno se continuerà a seguire una vita sana o se sarà tornato a quella vecchia fatta di sregolatezze ed eccessi.”
“Lo so bene, e sono più che determinato a cambiare vita, a non ricadere nei vizi, commettere gli stessi errori.”
“Questo lo vedremo! – esclamò l’uomo, piccato – Niente di personale, Mr. Freeman, ma queste parole le sento ogni giorno da quasi trent’anni e sa quante di queste persone che hanno pronunciato le sue stesse parole sono morte con un ago in vena o perché il loro fegato ha ceduto? Innumerevoli.”
“Le credo, e non la biasimo ma… - sospirò e si grattò nervosamente la nuca: non stava andando da nessuna parte, qualsiasi cosa avesse detto non sarebbe stata mai abbastanza – Cosa ha detto la Dottoressa Barnes, cosa ne pensa lei? Potrò uscire o sarò costretto a rimanere qui per altre settimane, mesi?”
Il Dottor Simposon inspirò profondamente, chiuse per un breve istante gli occhi scuri e lentamente annuì: “Credo che possa uscire, sì. Credo che si possa fare un tentativo…”
“Allora firmerà le mie dimissioni?” chiese retorico Dex, senza preoccuparsi di celare l’entusiasmo.
“Le firmerò, ma con riserva: – precisò lui, puntando i gomiti sulla scrivania – se qualcosa durante le visite di controllo dovesse andare storto, mi riserverò di trattenerla nuovamente in clinica per almeno un altro mese.”
“Mi sembra più che giusto, un accordo onesto.”
“In questo caso non abbiamo più nulla da dirci: disporrò le sue dimissioni in giornata e domani mattina potrà lasciare la clinica.”
“Molto bene. – Dexter gli porse una mano – Arrivederci, Dottor Simposon.”
“Arrivederci, Mr.Freeman.”


 

**


“Sì, Rose, è così ti dico: mi hanno dimesso, firmerò i moduli domani mattina!” entusiasta, Dexter stava parlando telefonicamente con sua sorella tramite la cabina telefonica rossa messa a disposizione dalla clinica per i pazienti.
Era concessa una sola telefonata al giorno, così come le visite erano circoscritte a determinate ore del fine settimana, e Dexter, uscito fischiettando dallo studio del Dottor Simposon, non aveva perso tempo e si era diretto al suddetto telefono per chiamare sua sorella Rose e darle la lieta notizia.
Sono così felice e orgogliosa di te, fratellone! – esclamò con entusiasmo la minore, che in quel momento si trovava a casa – Passerò domani mattina a prenderti e per festeggiare organizzerò un pranzo in tuo onore! Mamma sarà contenta di vederti dopo quasi un mese: proprio ieri mi stava domandando quando saresti tornato dal tuo “ritiro spirituale” in montagna.”
Di comune accordo, Dexter e Rose avevano deciso di non dire nulla alla loro madre sul ricovero dello scrittore, di farla rimanere all’oscuro per non affaticare il suo già malandato cuore con preoccupazioni e dispiaceri, e per giustificare l’assenza del biondo avevano inventato la scusa di un ritiro spirituale nei pressi del Parco Nazionale di Dales nello Yorkshire.
“Non vedo l’ora di riabbracciarla, di passare del tempo con tutti voi. – confessò Dexter, pregustando il momento in cui sarebbe uscito dalla clinica e respirato aria fresca, l’aria di Richmon e di casa – Ma non preoccuparti per me, posso tornare con l’autobus: non cammino da troppo tempo e una passeggiata per le strade del centro è quello che mi ci vuole.”
Sei sicuro? – chiese la ragazza, titubante – Guarda che è una bella scarpinata dalla clinica a casa mia, e posso chiedere a Joe di…
“Non scomodare tuo marito, Rosie: una passeggiata non può che farmi bene, e giuro che non mi fermerò alla prima enoteca a comprare una bottiglia di vino.”
Sarà meglio per te! – esclamò in tono minaccioso lei, non cogliendo il sarcasmo del fratello – Altrimenti dovrai vedertela con me, e questa volta non ci andrò così leggera.
“Ti credo, sorellina, ti credo. – rise nervosamente – Allora ci vediamo domani: non vedo l’ora di assaggiare i tuoi fantastici manicaretti.”
E io di rivederti, fratellone. A domani, passa una buona serata.


 
**



“E così il grande giorno è arrivato! – esclamò Valerie, la capo reparto delle infermiere con la quale in quel mese Dex era divantato quasi amico – Mi raccomando, giovanotto, testa alta e gambe in spalla: non vogliamo rivederti mai più in questi corridoi, intesi?”
“Intesi, Madam, intesi! - rispose, abbracciandola con affetto – Grazie di tutto, davvero. Siete stati tutti fantastici, anche se in alcuni momenti confesso di avervi odiato.”
“Normale amministrazione, Mr. Freeman. E ora forza, firmi questi moduli ed esca fuori di qui.”
Dexter annuì, e presa la biro nera firmò svariate volte i fogli che Valerie gli mise davanti. Terminata la procedura, alzò nuovamente lo sguardo verso l’infermiera di colore e, abbozzando un sorriso, la salutò: “Arrivederci.”
“Arrivederci, Mr. Freeman e grazie per l’autografo: d’ora in avanti custodirò quel libro, il suo libro, gelosamente.”

Si scambiarono un’ultimo guardo e, accennato un segno di saluto con il capo, Dexter varcò la soglia del grande portone d’ingresso e fu finalmente libero di lasciarsi alle spalle quel posto, camminare dritto per la sua strada e ammirare il mondo attorno a lui, guardare per la prima volta quella cittadina dalla quale era scappato tanti anni prima con occhi nuovi.
Aspetto l’autobus all’angolo della strada per una decina di minuti e, una volta salito, si sedette e ammirò il panorama alla sua destra, la campagna che lasciava posto ai palazzi, i negozietti e le prime luci natalizie – mancava meno di un mese al Natale – che spuntavano qua e là in attesa di essere accese al calare della sera. Scese non molto tempo dopo, e si incamminò verso casa di sua sorella Rose: sulla strada, però, il suo sguardo e la sua attenzione caddero inevitabilemte sulla vetrina di quella pasticceria a lui ben nota, il Sunflower, e benchè una vocina nella sua testa intimò di non farlo, attraversò la strada e arrivato davanti alla porta del negozio sbirciò dentro in cerca di una chioma bionda e un paio di occhi azzurri che conosceva da tutta la vita.
Portate entrambe le mani accanto agli occhi per vedere meglio all’interno, Dexter iniziò a guardarsi attorno, notando che il locale era vuoto – dopo tutto erano appena le dieci di mattina – e che non c’era traccia di Charlotte.
Stava quasi per andar via, deciso a ripassare in un secondo momento, quando qualcosa – qualcuno – attirò la sua attenzione: inizialmente fu un’ombra, un leggero movimento nella penombra lontana, ma poi Dexter assottigliò gli occhi e mise a fuoco la figura, le figure.
Due figure, un ragazzo e una ragazza – il primo alto, con i capelli scuri e ricci, la seconda più bassa e minuta con capelli color dell’oro – si stavano baciando a fior di labbra nel retro della pasticceria, nel piccolo corridoio semibuio che collegava il forno con il bancone: lui le teneva il mento con una mano, lei aveva la sua posata sulla guancia di lui ed entrambi avevano gli occhi chiusi.
Dexter deglutì rumorosamente, improvvisamente nervoso ma anche infastidito da quel momento rubato di cui lui era spettatore involontario. Lui, Dexter Freeman, stava osservando lei, Charlotte Harrison, la sorella minore del suo defunto migliore amico, baciare un ragazzo sconosciuto, qualcuno che non era lui.
Sapeva di non avere alcun diritto su di lei, di aver perso qualsiasi diritto tanti anni prima, quando aveva deciso di trasferirsi a Londra, eppure quel fastidio così simile alla gelosia lo aveva attanagliato senza che potesse impedirlo.
Aggrottò le sopracciglia, si morse un labbro e, fatto un passo indietro, si allontanò dalla vetrina, dal negozio, e mani in tasca  e testa bassa riprese a camminare a passo svelto verso casa di sua sorella Rose, sperando di dimenticare al più presto quell’immagine che gli stava facendo attorcigliare le budella e ribollire il sangue nelle vene.


 

*


NDA: Salve, gente! Passato un buon Natale? Spero di sì. Nuovo capitolo, in cui ritroviamo per la gioia di molti il nostro Dexter! Spero che vi sia piaciuto nonostante non succeda poi molto e, nulla, avviso che il prossimo arriverà dopo Capodanno - se non anche dopo le feste in generale-, quindi abbiate pazienza.
Grazie, come sempre, a tutti voi che seguite la storia e lasciate meravigliose recensioni.
Alla prossima,
V.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** 09. ***





 





Charlotte Harrison non ricordava l’ultima volta che un uomo l’aveva baciata con tale dolcezza, con una devozione alla sua persona e al suo corpo come in quel momento la stava baciando e adorando Cole. Ogni volta che la baciava, il moro aveva la straordinaria capacità di farla rabbrividire di piacere, riusciva a farla rilassare, a lasciarsi andare e far sorridere anche dopo una giornata orribile. Lui era tutto ciò di cui lei aveva bisogno, il suo punto fermo: sapeva come farla ridere, sapeva cosa dirle in ogni situazione, era un ottimo partner sia lavorativo che sotto le coperte e più di ogni altra cosa lui c’era stato, era rimasto, quando tutti gli altri erano andati via.
Lui era Cole, il ragazzo che aveva conosciuto quasi per caso al suo ritorno dalla Francia, un caro amico, un instancabile lavoratore, il ragazzo perdutamente innamorato di lei, e in un mondo perfetto sarebbe stato il ragazzo di cui lei si sarebbe follemente innamorata a sua volta, avrebbe sposato e con cui avrebbe avuto dei figli, creato una famiglia.
“Credo che dovremmo…” iniziò lei, non appena lui spostò le sue labbra verso il suo collo, guardando con la coda dell’occhio verso la vetrina del negozio dopo che una strana sensazione, un sesto senso, l’aveva messa in allarme.
Baciarsi con tanto trasporto nel corridoio sembibuio della pasticceria, dove i passanti più attenti avrebbero anche potuto vederli, non era stata una buona idea, ma quando Cole le aveva circondato la vita con le sue braccia, l’aveva fatta indietreggiare fino a spingerla con la schiena contro il muro e l’aveva baciata in quel modo Charlotte non era riuscita a tirarsi indietro, a dire di no.
“Cole! – protestò nuovamente, portando le mani sul petto di lui e allontanandolo di qualche centimetro – Non possiamo continuare così, non mentre lavoriamo: la gente potrebbe vederci e io non voglio che la nostra relazione diventi oggetto di pettegolezzi, non voglio che la cosa si sappia, non ancora.”
“Lo so, lo so, ma sei così bella con questo vestito e non ho saputo resistere alla voglia di baciarti.” Si giustificò lui, abbozzando un sorriso sghembo, squadrandola ancora una volta.
Era uscita solo pochi minuti prima dal bagno con indosso un vestito taglio tubino blu che aveva messo in occasione di un evento importante, del pranzo a cui era gentilmente stata invitata da Rose Freeman, e quando Cole l’aveva vista si era letteralmente avventato sul suo corpo dalle forme sinuose e sulle sue labbra rese ancor più carnose dal rossetto appena applicato.
“So di essere uno schianto, – disse lei, scherzando e fingendo di darsi arie – ma ti prego di tenere a bada i tuoi ormoni, Monaghan.”
“Farò del mio meglio, dolcezza. – promise, afferrendola nuovamente per la vita – Ma continuo a non capire perché vuoi andare a questo pranzo: Dexter Freeman è appena uscito dal centro di riabilitazione, e dubito che stare a contatto con un soggetto fragile e imprevedibile come lui possa giovarti.”
“Vado, - rispose piccata – perché Dexter e la sua famiglia sono persone a cui tengo, perché mi hanno vista crescere  e perché sua sorella Rose un tempo è stata una delle mie più care amiche. Vado perché a mio fratello avrebbe fatto piacere, perché a me fa piacere, quindi ti prego di non insistere oltre.”
“Okay, scusami. Non volevo sembrare possessivo o cercare di farti stare lontano dalle persone a cui tieni, è solo che… - sospirò e scrollò le spalle – Ho letto di quello scrittore, so cosa si dice di lui sui giornali, e sarà stato anche tuo amico un tempo, il migliore amico di Matt, ma la verità è che oggi è uno sconosciuto.”
“Hai detto bene, Cole: è stato mio amico, un secondo fratello – ed io lo amavo, l’ho amato con tutta me stessa, nel modo puro  ingenuo in cui solo un’adolescente sa e può amare, pensò – e voglio che sappia che non è solo, che ha amici a cui può fare affidamento. Tu per primo sai quanto è stato difficile per me dopo la morte di Matt, dopo la clinica e dovresti capire perché lo faccio, capire che…”
“Lo so, lo so. – disse, interrompendola e posando le mani sulle sue braccia – Sei una ragazza dal cuore d’oro, speciale, e mi sono innamorato di te anche per questo. E hai ragione: in questo momento delicato Dexter avrà bisogno di vedere volti amici attorno a lui, quindi vai! Vai, prendi la tua deliziosa torta e passa una buona giornata. Io sarò qui ad aspettarti.”
“Grazie. – disse lei, posando una mano sulla sua guancia e baciandolo – Grazie per aver capito, per riuscire a capirmi sempre.”



 
**



“Scusa il ritardo! – esclamò Charlotte quando Rose le aprì la porta d’ingresso della villetta – Ho fatto tardi e con la torta nella macchina ho dovuto tenere una velocità sostenuta.”
“Non preoccuparti, Dexter non è ancora arrivato. – la informò Rose, celando malamente la sua preoccupazione – Mi aveva detto che sarebbe arrivato per le dodici, che avrebbe preso un autobus fino al centro e poi avrebbe fatto una passeggiata ma è passata un’ora e sto iniziando a preoccuparmi.”
“Hai provato a chiamarlo sul cellulare? Magari ha avuto un imprevisto e l’hanno trattenuto più del previsto.”
“Spento. Dexter difficilmente riaccenderà quel “mostro infernale”, come gli piace chiamarlo, non prima di aver attivato un nuovo numero. Ha deciso di sparire dalla circolazione ed è deciso a fare le cose per bene.”
“Di certo arriverà a momenti. – cercò di tranquillizzarla, abbozzando un sorriso non molto convincente – Dex è sempre stato un amante delle lunghe passeggiate all'aria aperta, e probabilmente si sarà fermato in qualche parco, ad ammirare il panorama e i fiumicciattoli, e avrà perso la cognizione del tempo.”



 
**



“E così hai deciso? – gli aveva detto Matt, raggiungendolo in strada e appoggiandosi alla sua macchina di seconda mano rossa in cui il suo amico stava caricando le valigie – Addio Richmond, te ne vai per sempre.”
“Non farla più tragica di come sembra, amico: tornerò per Natale, e ci sentiremo spesso. Mi comprerò uno di quei maledetti arnesi, un cellulare, e mi potrai chiamare quando vorrai. Non è la fine del mondo.”
“Per alcuni lo è, sai? – chiese in maniera retorica, inclinando leggermente la testa – E non guardarmi con quella faccia: sai perfettamente di chi sto parlando. La mia piccola sorellina si è follemente innamorata di te, e se non fossi il mio migliore amico adesso dovrei spaccarti la faccia. Forse lo farò anche se sei il mio migliore amico.”
“T-tu… - Dex sgranò gli occhi, boccheggiò – Come lo sai?”
“Dio, Freeman, è mia sorella: so ogni cosa che le passa per la testa, è un libro aperto per me, e poi solo un cieco, o tu, non si sarebbe accorto del modo in cui ti guarda da tipo un anno, dei suoi occhi che brillano ogni volta che entri in una stanza. Sei il suo mito, ed era abbastanza intuibile una cosa del genere.”
“Mi dispiace, davvero. Odio lasciarla, odio l’idea di abbandonarla con il cuore infranto ma che cosa potrei offirle? Ha 17 anni, cazzo, è una ragazzina. Ha una vita davanti, mille possibilità, e di sicuro non sarò io a precuderle quella vita, quelle possibilità.”
“Così lo ammetti: qualcosa è successo tra di voi?” Matt assottigliò lo sguardo, si sporse verso di lui con aria minacciosa.
“Io… noi… niente di irreparabile! La virtù di tua sorella è intatta, non siamo andati oltre qualche innocente bacio.” Si affrettò a dire il futuro scrittore, chiudendo gli occhi per paura di ricevere un pungo in faccia.
“Innocente, eh? Non credo proprio. Vi ho visti l’altro giorno sul patio, e il bacio che le stavi dando non era affatto innocente.”
“Matt, amico, io… lascia che ti spieghi! Io… io ci tengo davvero a lei, io la amo!” esclamò, senza neanche rendersi conto di ciò che aveva detto ad alta voce all'amico.
“T-tu, davvero? – Matt strabuzzò gli occhi: quella rivelazione non se la sarebbe mai aspettata – Dex, non hai mai ammesso una cosa del genere per nessuna, neanche per le tue ragazze storiche, per Margaret.”
“Lo so, lo so, e ancora non riesco a crederci di averlo detto ma… - scosse la testa, gesticolò – Non è questo il punto: io devo andare, devo fare quello che è giusto fare. Non sarebbe felice con me, lo capisci, capisci quello che intendo?”
“Sì, sì lo capisco… - Matt sospirò e abbassò lo sguardo – Ci tieni a lei, vuoi solo il meglio. Lo capisco, lo accetto e non devi preoccuparti per lei: baderò io alla mia sorellina, mi prenderò cura di lei e la farò stare bene. Ce la caveremo, come sempre, quindi non preoccuparti e pensa solo a realizzare il tuo sogno.”
“Grazie, Matt, grazie.” Allungò una mano che Matt strinse saldamente, e prima di entrare in macchina e partire alla volta di Londra lo salutò dicendo: “Arrivederci, Harrison.”
“Arrivederci, Freeman.”

 
 

 
**
 
 

“Mi dispiace di essere così tardo.” Sussurrò, piegandosi sulle ginocchia e posando un girasole sulla tomba del suo amico.
Dexter Freeman aveva camminato senza meta per svariati minuti – ripensando dopo anni all’ultima volta che aveva visto Matt da solo prima della sua partenza per Londra - prima di decidersi ad andare al cimitero, a rendere omaggio al suo amico, parlare con lui dopo tanti anni. Non era mai stato un fervido credente, si reputava agnostico, ma era certo che in qualche posto non troppo lontano Matt lo stava osservando, poteva vederlo prostrato davanti alla sua tomba e sentire le sue parole bisbigliate.
“Sono un pessimo amico, lo sono sempre stato.” Continuò, sedendosi a gambe incrociate sul perfetto prato all’inglese che ricopriva le tombe.
“Non sono tornato per il tuo funerale, non ci sono riuscito: sono stato un codardo, mi sono fatto scudo della scusa del lavoro, della promozione del libro per scappare lontano, far finta che non fosse successo nulla; sono scappato, ho fatto ciò che so fare meglio e mi vergogno…”
Si passò una mano tra i capelli, sospirò: “Tu ci saresti stato, tu c’eri sempre: per me, per Charlotte, per la tua famiglia. Sempre, tu facevi di tutto per esserci, non importa se in quel momento eri dall’altra parte del mondo: tu prendevi aerei, treni, autobus e qualsiasi mezzo assurdo per arrivare in tempo, non lasciare da solo un amico. Non ho mai meritato la tua amicizia, non ho mai meritato neanche Charlotte…”
Sorrise algido, sul suo viso comparve una smorfia: “L’ho vista, sai? Con il pasticcere, con quel tipo moro: si stavano baciando. Ebbene sì, Charlotte è andata avanti, è diventata una donna sexy che tutti vorrebbero al loro fianco, si sta costruendo una nuova vita, una vita in cui io non ho posto. Dio, non che sia geloso, no, solo… - roteò gli occhi, rise – Tutti sono andati avanti, mentre io sono tornato indietro: ho avuto la presunzione di credere che a Richmon avrei trovato tutto come l’avevo lasciato, che tutti mi avrebbero accolto come una star, invece la gente mi guarda con indifferenza, i miei amici di un tempo non sono più tali; tua sorella non è più la ragazzina innamorata di me, ma una donna che ne ha passate tante e tu… tu sei andato via, e io mi sento così solo.”
Portò gli occhi al cielo, indicò l’azzurro candido con un dito ed continuò: “Stai ridendo di me, adesso, vero? So che te la stai ridendo, bastardo, e hai tutte le ragioni per farlo. Avrei dovuto darti ascolto, sai? Sarei dovuto tornare, prendere Charlotte, portarla via di qua e vivere con lei a Londra. Ce l’avrei fatta, l’avrei resa felice, forse… o forse avrei rovinato tutto? – scosse la testa – Dio, non lo so, non lo so. Forse sarebbe andata diversamente, forse lei sarebbe stata la mia musa, ma forse no… forse avrei trascinato anche lei nel baratro e ci saremmo distrutti come ci siamo distrutti io e Margaret.
“Ma io non ho mai voluto bene a Meg come ho voluto bene a Charlie: il nostro rapporto è sempre stato altalenante, molto fisico e… no, Meg non è mai stata la piccola Charlotte, e io sono stato stupido a riprenderla con me.”
Si portò le gambe al petto, continuò a fissare la lapide del suo amico: “Le auguro tutta la felicità del mondo, sai? Spero che sia felice con lui, che abbia quello che ha sempre sognato. Certo, vorrei sapere cosa le è capitato, cosa l’ha spinta verso la bottiglia, ma non credo siano affari miei. Non ho alcun diritto di chiederglielo, sono un estraneo per lei, qualcuno che un tempo conosceva, che ha amato… - sorrise ghembo – Sì, stronzo, lei mi amava, anche se ho negato quando tu me lo ha chiesto. Ma anche questo lo sapevi, vero? Sapevi sempre quando mentivo, quando dicevo una cazzata. Tu eri mio fratello, la parte migliore di me, e te ne sei andato troppo presto. Sai, farei qualsiasi cosa per poterci scambiare di posto, per farti tornare, ma non posso… - alzò gli occhi, i suoi occhi verdi che si stavano velando per le lacrime – Mi dispiace, Matt, mi dispiace per tutto. Spero che, ovunque tu sia, tu possa perdonarmi; spero che tu stia in un posto migliore di questo, spero che tu te la stia spassando con qualche pollastra e… e spero di rivederti un giorno. Mi manchi, e ti vorrò sempre bene. Non ti dimenticherò, mai e prometto che non lascerò mai più sola la tua preziosa sorellina, che ci sarò sempre per Charlotte e che la proteggerò nel modo che merita, come avresti fatto tu. Starà bene, vedrai, e anche io prima o poi starò bene, quindi non preoccuparti per me. Non preoccuparti di nulla, amico mio, e riposa in pace. Addio.”


 


*



Angolo Autrice: Nono capitolo della storia, un capitolo piuttosto intenso soprattutto nel finale e nel salto temporale/ricordo di Dexter. Non ho molto da dire oggi: spero che il capitolo vi sia piacuito, di essere riuscita a trasmettere tutte le forti emozioni descritte e ringrazio come sempre tutti voi che seguite la storia! Lasciate una recensione se vi va. Non mordo, giuro :3
Alla prossima,
V.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** 10. ***


 






Dexter Freeman stava percorrendo il vialetto di selciato della villetta di sua sorella Rose quando quest’ultima aprì la porta d’ingresso e, guardandolo con un cipiglio severo, si parò in mezzo al patio anteriore con le mani posate sui fianchi, un atteggiamento che gli ricordò la loro madre, la sua infanzia, le sere trascorse fuori a fare baldoria insieme a Matt e altri loro amici e i rientri all’alba che finivano sempre con i rimproveri di Mrs. Freeman che lo accusava di essere un figlio degenere e la causa della sua pressione alta.
“Si può sapere dove diavolo sei stato, Dex? – lo accolse Rose, mantenendo quel fastidioso cipiglio, senza dargli neanche il tempo di raggiungere il patio – Hai una vaga idea di che ora sono, di quanto tu sia in ritardo? Mi hai fatto preoccupare a morte, quindi spero per te che tu abbia una buona scusa da utilizzare!”
“Ho percorso la via più lunga, mi sono perso un paio di volte e temo di aver lasciato volare fin troppo la mente. – si giustificò lui, omettendo di proposito la visita al cimitero – Tornare a Richmond mi ha fatto capire di aver dimenticato questa città, e l’ultima cosa che volevo era farti preoccupare. Mi dispiace, davvero.”
Rose arricciò le labbra, la sua fronte cessò di essere corrugata e sebbene avrebbe voluto continuare a dirgliene quattro decise di desistere per no rovinare quella giornata ancor prima del suo inizio. Dopo tutto, pensò Rose, quella sarebbe dovuta essere una giornata allegra, dedita ai festeggiamenti, non un’occasione di litigio e di tenersi il muso.
“Capisco. – liquidò dunque, permettendogli di salire i due gradini che collegavano il vialetto e il patio – Mamma è arrivata da quasi un’ora, quindi corri ad abbracciarla e vedi di non farti scappare nulla sulla tua “vacanza” fuori città: questa giornata dovrà essere perfetta, perfetta!”
“Rilassati, Rosie – canzonò lui, baciandole una guancia e sorridendole sghembo – Tutto andrà come stabilito: ci divertiremo, passeremo una bella giornata in famiglia e da domani farò conoscere a tutti voi il nuovo Dexter.”
“Sarai anche il “nuovo” Dexter, ma sei sempre il solito ritardatario!” concluse lei, con tono scherzoso ma severo allo stesso momento, dandogli uno scappellotto leggero dietro la nuca ed entrando in casa insieme al fratello.


“Il mio ragazzo!” esclamò Mrs. Freeman non appena Dexter fece la sua comparsa nel soggiorno, alzandosi con un po’ di fatica dalla comoda poltrona e facendo qualche passo nella sua direzione con le braccia aperte.
“Ciao, mamma. – la saluto Dex, abbracciandola e dandole un bacio sulla guancia – Perdona il ritardo, il pullman ha fatto ritardo e mi senza accorgermene ho iniziato a divagare con la mente e mi sono attardato.”
“Sempre il solito, non cambierai mai. – disse la madre, dandogli un buffetto sulla guancia – E’ da quando hai cinque anni che ti perdi nei tuoi pensieri, a guardare il cielo e chissà che altro e a trent’anni non sei cambiato affatto.”
“Che ci vuoi fare, mamma, sono un caso perso!” esclamò, scrollando le spalle e grattandosi la nuca con fare imbarazzato, portando lo sguardo prima verso il pavimento e poi verso un angolo della stanza dove, con le mani intrecciate all’altezza del ventre e un lieve sorriso sul volto, si trovava Charlotte Harrison.
“Charlie, che sorpresa! – esclamò il biondo, realmente sorpreso, che proprio non si sarebbe aspettato di vederla a casa di sua sorella. In una situazione normale la sua presenza sarebbe stata per lui fonte di immensa gioia ma quella non era affatto una situazione normale: entrambi erano ex alcolisti, nelle ultime settimane si erano incontrati in luoghi in cui mai nessuno dei due avrebbe pensato di incontrare l’altro, e dopo quello che Dexter aveva visto alla pasticceria, quella scena di cui era stato uno spettatore non previsto, una strana sensazione di disagio si fece strada dentro di lui – Non pensavo di vederti, Rose non mi ha detto nulla.”
“Era una sorpresa! – esclamò piccata la sorella, rispondendo al posto della giovane – Ho pensato che ti avrebbe fatto piacere avere qualcuno non di famiglia, anche se la nostra Charlotte qui la consideriamo tutti una di famiglia.”
“Hai pensato bene, Rosie. – disse lui, guardando prima la sorella e poi nuovamente Charlotte, alla quale si avvicinò con finta disinvoltura – Mi fa molto piacere vederti, Charlie.”
“Anche a me fa piacere rivederti, Dex. Ti trovo molto, molto bene: l’aria di montagna ti ha senza dubbio giovato. – posò una mano sulla sua spalla e si scambiò un sorriso complice con lui – Ho portato una torta, la tua preferita. La Foresta Nera è ancora la tua preferita, vero?”
“E’ ancora la mia preferita, non temere.” Rispose lui, sorridendo e trattenendo l’impulso di scompigliarle i capelli come un tempo era solito fare, un tempo in cui lui era un ragazzo appena uscito dall’adolescenza e lei una bambina dallo sguardo curioso in procinto di entrarci.
“Avanti, avanti, tutti a tavola! – aveva esclamato Rose, entrando nel salone con l’arrosto, lanciando un’occhiata ai due – Questo arrosto ha aspettato fin troppo, quindi prendete posto e iniziamo. Dexter, tu siederai a capotavola, al posto d’onore, mentre tu Charlotte puoi accomodarti alla sua destra.”
“Alla destra del festeggiato, quale onore!” esclamò Charlotte, sbeffeggiandolo di proposito e ridendo sotto i baffi.
“Taci, smettila di prendermi in giro e siediti. Sai quanto io odio essere al centro dell’attenzione e non è divertente.”
“Oh, posso assicurarti che lo è invece. E’ tutto molto, molto divertente.”


 

**



Fortunatamente per Dexter, la sua persona era stata per poco l’argomento di discussione, e dopo neanche venti minuti dall’inizio del pranzo Charlotte aveva iniziato a parlare di argomenti futili spostando l’attenzione da lui a qualcosa riguardante una sua vicina e dei pettegolezzi riguardante quest’ultima. Mentalmente l’aveva ringraziata per averlo tolto da una posizione scomoda, imbarazzante, per essere stata sua complice senza neanche averlo stabilito e adesso che erano gli altri a parlare e non lui, la sua mente aveva iniziato a divagare nuovamente, mentre la forchetta stretta nella mano destra giocherellava distrattamente con una patata al forno bruciacchiata e i suoi occhi si stavano soffermando più del dovuto sulle labbra carnose di Charlotte, sul suo sorriso.
Pensò alla prima volta che aveva baciato quelle labbra, a dieci anni prima, e si chiese se fossero ancora morbide come le ricordava. Aveva impresso il loro sapore e la loro consistenza nella sua mente, ricordava le sensazioni provate come se quelli avvenimenti fossero accaduti da poche ore e non da dieci anni, e senza accorgersene la sua bocca era diventata secca e il suo cuore aveva iniziato a battere più forte.
Di certo, aveva pensato, quelle labbra erano ancora invitanti e sensuali, ma a differenza di tanti anni prima non erano sue, non più. Adesso erano di un altro, un altro ragazzo che viveva poco lontano da quell casa, e lui non aveva il diritto di ripensare a quei baci, di pensare a lei in quel modo. Lui l’aveva lasciata, aveva rinunciato a lei, a loro e non aveva nessun diritto, alcun diritto, eppure…
 
 

**



“Guarda, una stella cadente!” aveva esclamato lei, portandosi a sedere con uno scatto e indicando il cielo estivo privo di nubi con un dito, verso il punto in cui aveva visto per un breve istante la stella.
“L’hai vista, Dex?” aveva chiesto successivamente, spostando lo sguardo dal cielo al ragazzo, continuando a mantenere il sorriso spensierato sulle labbra.
Era estate, Dexter era tornato dal college e nel giro di un mese o poco più si sarebbe trasferito a Londra per inseguire il suo sogno di scrittore, mentre lei avrebbe iniziato il suo ultimo anno di scuola prima di partire a sua volta per il college e fare ciò che sempre aveva sognato, imparare quelle lingue latine che sempre l’avevano affascinata e che non aveva mai avuto l’occasione di studiare in modo approfondito.
“No, l’ho mancata per un soffio! - aveva risposto lui, sbuffando e maledicendo mentalmente la sua sfortuna che ancora non gli aveva fatto ammirare una stella cadente – Hai espresso un desiderio?”
“Certo che sì, ma non te lo dirò mai altrimenti non si avvera.” Gli aveva spiegato lei, anticipando la sua domanda e tornando a stendersi sulla coperta che avevano steso sul prato.
“Avanti, Charlie, a me puoi dirlo. – aveva ribattuto lui, ancora seduto a gambe incrociate – Non lo dirò a nessuno, neanche a Matt, lo giuro.”
“No, no e poi no! Porta sfortuna e tu lo sai!”
“Ma io sono tuo amico, come mai potrei portarti sfortuna? Dai, almeno lasciami indovinare! – esclamò, ma ancora una volta lei scosse con forza la testa – Okay, allora vediamo…”
“Dexter, no!” protestò invano, iniziando ad odiare quella sua testardaggine, quella sua curiosità malsana e il suo voler ficcare il naso.
“Ci sono! – Dexter smise di picchiettarsi il mento con un dito ed esclamò quella frase schioccando le dita – Hai desiderato Parigi, camminare per le Champs-Elysee sotto braccio di uno di quei francesi mangia lumache che tanto ti affascina, non è così?”
“Non sono affaracci tuoi, Freeman! Pensa alla tua stupida Londra e lascia stare la mia Parigi. – Charlotte incrociò le braccia al petto e girò la testa dall’altra parte nella speranza che smettesse – E comunque no, Dex, no!”
“Io invece dico di sì, dico che ci ho preso ma non lo vuoi ammettere.”
“Ed io, invece, ti dico di no quindi piantala di fare il cretino e di tormentarmi: mi stai dando sui nervi.”
“Vedi, ho ragione io! – continuò imperterrito lui, alzandosi poi dalla coperta e sedendosi sulle ginocchia davanti a lei nella speranza di incrociare il suo sguardo sfuggente – Allora se non ho ragione dimmi cosa!”
“No, e piantala! – Charlotte si alzò di scatto dalla coperta, rischiando di far perdere il precario equilibrio a Dexter, ma non fece neanche cinque passi prima di essere afferrata per un polso da quest’ultimo – Dex, dannazione!”
“Scusami, mi dispiace, io… - le parole gli morirono in gola quando si accorse che lei stava piangendo, che le sue guance erano rigate da lacrime silenziose – Charlie, perdonami, sono un completo idiota. Non volevo farti piangere, non… perdonami te ne prego.”
“Sì, sei un completo idiota Dexter, sei così idiota che non capisci mai niente, niente! Sei, sei…” Charlotte si morse un labbro e represse malamente un singhiozzo con la manica della sua felpa.
Dexter le asciugò premurosamente le guance con i polpastrelli dei pollici, avvicinò il suo viso a quello di lei fino a far scontrare le loro fronti e cinse la sua vinta con le braccia.
“Mi dispiace, rimangio tutto quello che ho detto: Parigi è una città meravigliosa, e sono sicuro che anche i francesi, nel profondo, sono persone carine, sopportabili e gentili.”
“Scemo! – l’apostrofò lei, ridendo – Non me ne frega niente di Parigi e dei dannati damerini francesi, non potrebbe importarmene di meno in questo momento.”
Alzò lo sguardo verso l’alto, cercando la forza di sostenere quello di lui e fare ciò che stava per fare, e con voce incerta e tremante chiese: “Vuoi ancora saperlo il desiderio?”
“Solo se tu vuoi dirmelo. Non voglio che tu faccia nulla se non vuoi.” Rispose, utilizzando quell’ultima frase che, nel mese successivo, le avrebbe ripetuto molte volte ancora durante i loro momenti di intimità.
“Lo voglio, lo voglio, io…” ancora una volta tornò a mordersi il labbro inferiore e, preso un respiro profondo, si alzò in punta di piedi fino a toccare, sfiorare, le labbra di Dexter con le sue. Il contatto fu veloce, durò un istante, e come scottata si ritrasse con la stessa velocità con cui si era avvicinata.
“Ecco, ora lo sai. Era il solo modo per dirtelo e farlo accadere, così… - fece un passo indietro, poi un altro, scrollò le spalle – Meglio che vada, adesso. B-buona notte!”
“Ehi, aspetta! – per la seconda volta si ritrovò ad afferrarla per un braccio, a farla voltare – Non vai da nessuna parte da sola, e poi cosa diavolo era quello? Non un bacio, voglio ben sperare.”
“I-io… ecco…” si sentì terribilmente in imbarazzo, l’idea di dirgli che quello era il suo primo bacio fece diventare le sue gote ancor più rosse.
“Quello non era un bacio, bimba, quindi temo che il tuo desiderio non si sia avverato. – la guardò sottecchi, rise sghembo – Ma possiamo sempre rimediare, non credi?”
“C-Cosa?”

Charlotte non capì mai come aveva fatto a ritrovarsi così velocemente tra le braccia di Dexter, con la sue labbra sulle sue, ma quello che lei – come lui – non dimenticò mai fu quel bacio, il sapore delle labbra dell’altro, le loro bocche che si scoprivano per la prima volta e la sensazione della barba di qualche giorno di lui che solleticava piacevolmente la guancia di lei.
Fu magico, senza dubbio unico, uno di quei baci da romanzo – quei romanzi che lei leggeva da sempre, che lui sognava di scrivere un giorno – che non si dimenticano mai e poi mai; fu il primo bacio di Charlotte, il loro primo bacio e nei mesi seguenti, negli anni seguenti, avrebbero sempre custodito gelosamente il suo ricordo.

 
 
**



“Dexter? Dexter, vuoi altro arrosto? - gli aveva chiesto per l’ennesima volta Rose, destandolo dai suoi ricordi – Dex, tutto bene?”
“Cosa? Ah, sì, grazie… cioè no, grazie, niente arrosto ancora. Sono pieno. – abbozzò un sorriso imbarazzato e si diede del completo imbecille per aver permesso alla sua mente di divagare in libertà durante quel pranzo – Scusatemi, vado fuori a fumare una sigaretta.”
“Da quando fumi?” chiese sua madre, stupita.
“Fumo solo ogni tanto; sai, il fascino dello scrittore.” Rispose lui, alzandosi dalla sedia, incamminandosi subito dopo verso l’ingresso della villetta.


“Va tutto bene, Dex? Ti vedo assorto, silenzioso, e se vuoi parlarne…”
Charlotte l’aveva raggiunto fuori, sotto il patio anteriore, e senza chiedere il permesso si accostò a lui e posò le sue braccia sul davanzale ligneo, imitandolo.
“So come ti senti, ci sono passata anche io: inizialmente ti senti alienato, tutto è paradossale, ma vedrai che tempo una settimana tutto tornerà nella norma. – sorrise, poi si corresse – Beh, quasi tutto! L’alcool si spera non torni.”
“E’ un sollievo poter contare su di te, anche se non me lo merito: sono stato pessimo, con tutti voi, ma con te ancora di più. Sarei dovuto tornare, avrei dovuto scriverti, chiamarti, avrei…”
“Non importa, è il passato: come ti ho già detto ho perdonato, la disintossicazione e le sedute dalla psicologa mi hanno aiutato a superare ogni cosa, e perdonare e dare seconde possibilità e sono andata avanti con la mia vita, me ne sto costruendo una di cui essere fiera.”
“Immagino: un lavoro proficuo, una casa tutta tua, un fidanzato magari…”
“Ecco, l’ultimo punto è complicato: ho avuto più delusioni di quanto tu immagini, per molto tempo ho perso la fiducia sugli uomini, ma ora sto cercando di abbattere il muro e lasciare entrare qualche spiraglio di luce nella speranza di incontrare finalmente quello giusto.”
“E pensi di averlo trovato? Quello giusto, intendo…”
Charlotte alzò gli occhi, sostenne il suo sguardo, increspò le labbra in un ghigno e disse: “Forse, chissà. Staremo a vedere.”
“Lo sai che ti auguro solo il meglio, vero? Ti ho sempre augurato il meglio.”
“Sì, certo. – posò una mano su quella di Dexter, la strinse – Ed io auguro lo stesso a te, te lo auguro con tutto il cuore.”
“Grazie, dolce Charlie, le tue parole significano molto.”
“Non c’è di che, Freeman. E ora torniamo dentro: è l’ora del gran finale, del dolce, e aspetto con impazienza un tuo giudizio.”
“Ed io non vedo l’ora di assaggiarlo: sono certo che sarà delizioso.”


 
*



NDA: Salve, gente! Non ho molto da dire su questo capitolo, se non che spero che vi sia piaciuto. So che ci sono ancora molti punti di domanda, specialmente quando si parla di Charlotte, ma tempo qualche capitolo credo che verranno fuori.
Avviso anche che, causa esami universitari, non so con quanta frequenza potrò aggiornare fino alla fine di Febbraio, quindi vi prego di portare pazienza.
Grazie, come sempre, a tutti voi che seguite la storia e alle persone che recensiscono. I vostri pareri e consigli sono sempre preziosi e invito chi vuole a fare altrettanto e lasciarmi due righe.
Alla prossima,
V.

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** 11. ***






 




Cole Monaghan stava lavando l’ultimo pezzo di pavimento del negozio, accompagnato dalle note di un canzone dei Radiohead che stava canticchiando sottovoce, quando la porta della pasticceria si aprì e qualcuno entrò ignorando il cartello attaccato poco prima sui vetri della suddetta porta che avvisava la chiusura del negozio.
Si sporse all’indietro, quel tanto che bastò per affacciarsi verso la sala e il bancone, e si accigliò nel ritrovarsi davanti niente di meno che Dexter Freeman, lo scrittore, il caro e indimenticato amico di Charlotte, la sua Charlotte.  La sua reputazione lo precedeva, sebbene non fosse un segreto la poca simpatica che Cole provava per lo scrittore, e con ancora il mocio dal manico rosso che stava utilizzando per lavare a terra in mano si avvicinò a passo felpato e, facendo perno su di esso, si sporse verso di lui e con un sorriso algido lo salutò dicendo:
“Sei Dexter, vero? Lo scrittore.”
“Tu, invece, – rispose, indicandolo con l’indice e assottigliando lo sguardo – devi essere Cole, l’amico di Charlotte.”
“Il suo ragazzo. – precisò, piccato, allungando una mano – Tanto piacere.”
“Piacere mio. Sto cercando…”
“So chi stai cercando, – lo interruppe lui, ghignando – ma mi duole informarti che lei non è qui. E’ uscita prima… impegni.”
“Capisco… - Dexter si guardò attorno, la penombra di quella stanza rendeva quell’ambiente solitamente accogliente un luogo ostile e freddo – In questo caso proverò a passare domani. A meno che tu non voglia darle un messaggio da parte mia e il mio numero di cellulare…”
Cole tentennò, indeciso su cosa rispondergli, ma alla fine scrollò le spalle e, con disinvoltura, disse: “Certo, nessun problema. Lasciami prendere un pezzo di carta e una penna.”
“Non hai l’accento di Richmond: - fece notare Dexter, ancora fermo al centro della stanza, mentre Cole armeggiava vicino la cassa nella ricerca di carta – Di dove sei?”
“Redmire. – rispose Cole, senza guardarlo – Non è molto lontano, nella Contea di Richmond, vicino la Valle di Dales.”
“Conosco la valle, ma non sono mai stata a Redmire: bella città?”
“Dio, no! – esclamò il moro, scuotendo la testa e ridendo – Una città di seimila anime, nessuna prospettiva per il futuro. Sono scappato a York appena compiuti diciotto anni, poi sono ritornato a Richmond e ho conosciuto Matthew…”
“Matt, certo… - Dexter sorrise algido, ricordò la conversazione avuta con Charlotte qualche settimana prima – Avete aperto insieme la pasticceria, giusto?”
“Giusto. Matt aveva un fiuto eccezionale per gli affari, mentre io ho sempre avuto un talento particolare per l’arte, la pasticceria: lui era la mente ed io il braccio, e per quei pochi mesi passati insieme in questo negozio gli affari sono andati alla grande. – un sorriso malinconico comparve sul suo viso, durò solo un istante – Poi è successo l’incidente che ha cambiato tutto e Charlotte è subentrata: è una ragazza in gamba, sprecata per questa città, ma lei si dice soddisfatta, abbastanza felice, e chi sono io per dire il contrario?”
“Charlie è sempre stata una ragazza intelligente, speciale: quando ho saputo della sua borsa di studio in Francia, dello stage e tutto il resto sono stato felice per lei, sinceramente felice.”
“Anche lei lo è stata, inizialmente, ma poi… - Cole lasciò la frase in sospeso, non si addentrò oltre: non voleva rischiare di dire troppo, non se si parlava di Charlotte e del suo doloroso passato. Dopo tutto non sapeva cosa lei gli avesse confidato in quelle settimane, e una sola parola di troppo avrebbe potuto svegliare nello scrittore una curiosità malsana per la ragazza – Sai, la vita: tutto inizia, tutto finisce.”
“Un giorno sei all’apice, l’altro giorno hai toccato il fondo: sì, ne so decisamente qualcosa. – una smorfia comparve sul viso del moro, il suo sguardo si abbassò, divenne assente – E’ stato un piacere conoscerti, Cole. Dai il mio messaggio a Charlotte, quando la vedi, e passa una buona serata.”
“Una buona serata anche a te, Dexter. Alla prossima.”



 

**
 


Aveva iniziato a piovere, una pioggerella fine ma fastidiosa che arrivava fin nelle ossa, quando Cole, mani in tasca e un berretto di lana a coprirgli i capelli neri e ricci, arrivò all’appartamento di Charlotte situato in un palazzo di quattro piani non molto lontano dalla pasticceria.
Alzò lo sguardo fino al terzo piano, fino alla finestra da cui filtrava attraverso le bianche tende che la coprivano la luce di un lampadario, segno inconfondibile della presenza della ragazza nell’appartamento, e senza indugiare e senza preoccuparsi della reazione che la sua visita inaspettata avrebbe potuto avere su Charlie salì i tre gradini che collegavano il marciapiede con il piccolo portoncino e pigiò il tasto collegato con il citofono del suddetto appartamento.
“Sono Cole, posso salire?” chiese, quando la voce metallica della ragazza riempì il silenzio della strada, ottenendo in risposta l’apertura del portone.
Salì velocemente le rampe di scale, superando i primi due pianerottoli e cercando di non maledire come spesso capitava la sua ragazza per aver scelto di vivere in un palazzo privo di ascensore, e arrivato al terzo piano sorrise sghembo in direzione della porta sul cui stipite era ferma Charlotte, – capelli raccolti disordinatamente in una coda e pantaloni del pigiama e felpa della Duff indosso – la quale lo guardò con curiosità.

“Cosa ci fai qui?” chiese lei, rimanendo ferma sullo stipite della porta, una mano appoggiata ai cardini e l’altra placidamente posata sul fianco.
“Sorpresa! – esclamò in risposta il moro, sporgendosi in avanti per baciarla sulle labbra – Volevo vederti.”
“Ma se ci siamo visti tre ore fa?” fece notare lei, sorridendo e permettendogli di entrare nel modesto appartamentino.
“Lo so, lo so, ma volevo sapere com’era andata la seduta e poi… - rovistò tra le tasche del cappotto color verde militare e ne estrasse un bigliettino – Dovevo darti questo: un messaggio da Dexter Freeman, lo scrittore.”
“So bene chi è Dexter Freeman, mio caro. – fece notare Charlie, leggendo le poche righe scritte sul foglio, il numero di telefono – Ti ha detto cosa voleva?”
“No, ha detto solo di darti il numero, e così ho fatto. Dimmi, sono o non sono un perfetto postino?”
“Capisco… - Charlotte sospirò, si rigirò il foglietto tra le mani sottili – Presumo sia per l’appartamento al quarto piano: sai, quello che si è liberato il mese scorso.”
“Non avrai intenzione di farlo trasferire al piano di sopra? – Cole strabuzzò gli occhi – Dio, Charlie, anche la Dottoressa Barnes ti ha consigliato di stare alla larga da lui, ti ha messo in guardia su di un vostro possibile riavvicinamento, e tu cosa fai?, gli proponi di diventare il tuo vicino di casa! A questo punto perchè non farlo diventare tuo coinquilino?”
“Ascolta, so cosa pensi di Dexter, so che non ti piace, ma non per questo lo taglierò fuori dalla mia vita: ha passato un periodo orrendo, è solo e io sono l’unica che lo capisce davvero, che sa cosa sta passando. Ci sono passata anche io sei mesi fa, ricordi?”
“Come dimenticare… - Cole sfiorò la mano di lei con la sua, e di rimando Charlotte l’allontanò – Non fare la bambina, ascoltami: io mi preoccupo per te, so quello che hai passato, quanto fragile possa essere un equilibrio mentale e fisico in queste circostanze. Ne siamo usciti insieme, tu ed io, e non importa se ti incazzerai o se inizierai a sbraitare: non ti lascerò mandare a ‘fanculo tutto per colpa di quello scrittore da strapazzo, mettere in pericolo tutti i progressi fatti, non ora.”
“Stai dicendo che mi consideri ancora un’alcolista, che non hai fiducia in me? – Charlotte lo guardò basita, delusa – Pensi che potrei fare qualche cazzata, che una di queste sere potresti ritrovarmi in salotto, stesa sul divano con una bottiglia di whiskey scozzese in mano?”
“Non è di te che non mi fido ma di lui: non mi fido, non lo voglio vedere ronzare attorno alla pasticceria, attorno a te. Non sopporto il modo borioso con cui parla di te, come se fossi una sua proprietà, tantomeno mi piace il modo in cui ti guarda, come se fossi…”
“Sei geloso! Da quando ti ho raccontato della mia infanzia trascorsa con lui e Matt sei diventato geloso, credi che lui abbia ancora un forte ascendente su di me, sui miei pensieri e desideri. – Charlotte scosse la testa, represse una risata – Cole, mio caro…” lasciò la frase in sospeso, posò il palmo della mano destra sulla sua guancia appena ispida e in punta di piedi lo baciò.
“Dexter è solo un vecchio, caro amico. Quando sto con lui sto bene, lo ammetto, e riesco a ripensare a Matt senza soffrire troppo. Lui era il suo migliore amico, e quando parliamo e scherziamo, ricordiamo mi sembra di sentirlo, di sentire la sua voce, aspetto il momento di vederlo arrivare e abbracciarlo. – abbassò lo sguardo e sospirò – Non essere geloso, te ne prego, e soprattutto fidati di me: ti fidi di me?”
“Ma certo che mi fido di te. – le permise di prende il suo viso tra le mani e si lasciò baciare ancora una volta – Perdonami, non volevo sembrare un fidanzato geloso e petulante, e solo che ci tengo così tanto a te…”
“Ed io tengo a te: è solo grazie a te se non sono ricaduta nella dipendenza, se sono riuscita a superare la perdita, la depressione… - lo abbracciò, forte – Tu sei stato la mia salvezza, Cole Monaghan, e qualsiasi cosa accada non smetterò mai di essere in debito con te.”
“Mi rendi così felice, Charlotte, così felice… - la baciò, questa volta con più ardore, la strinse forte  - Ti amo.”
Lei sorrise, non rispose, e lo baciò ancora una volta, zittendo la vocina fastidiosa nella sua testa che le sussurrava sensi di colpa: sapeva che lui si era accorto del suo evitare di proposito  qualsiasi tipo di risposta al “ti amo” appena pronunciato, sapeva che lei non l’amava nello stesso modo in cui lui amava lei, ma sapeva anche che non avrebbe fatto nulla, che le avrebbe dato tempo. Tempo, certo, ma quanto? Quanto tempo necessita l’amore per sbocciare, e chi dice che sboccerà mai? Cosa avrebbe fatto tra uno, due, dieci anni, se questo amore non si fosse manifestato come lei sperava?
Non aveva risposte, nessuna.
Continuò a baciarlo, affondò le mani nelle onde color dell’ebano dei suoi capelli sempre più lunghi e poi gli sfilò la giacca e lo prese per mano.
“Vieni, andiamo a letto.” Sussurrò, iniziando a camminare verso la stanza da letto poco lontano, sorridendogli sorniona.
“Letto? Vuoi andare già a dormire? – lanciò un’occhiata all’orologio da parete appeso nell’ingresso – Non sono neanche le dieci e mezza.”
“Dormire? – chiese retoricamente, rise scuotendo la testa – E chi ha mai parlato di dormire?”
“Oh…. Capisco. In questo caso…”
Lasciò la frese in sospeso, l’abbracciò da dietro, le baciò il collo e barcollando a causa dei loro corpi malamente intrecciati e ridendo come due bambini entrarono nella stanza da letto di lei e si chiusero la porta alle spalle.


 

**



La prima volta che Cole incontrò Charlotte era tarda sera, fuori pioveva e Matt era furioso come mai prima; l’amico non l’aveva mai visto così sconvolto, arrabbiato e deluso, eppure quella precisa sera stentò a riconoscere il sempre socievole e allegro Matthew, il ragazzo conosciuto in un pub per puro caso e con cui da un anno aveva aperto una pasticceria.
Dietro di lui, timida e bagnata come un pulcino, c’era Charlotte, valige dall’aspetto pesante strette in mano e sguardo basso e colpevole dipinto sul viso pallido incorniciato da capelli biondo-ramati dello stesso colore del fratello maggiore. Matt parlava spesso di Charlotte, non perdeva mai occasione di elogiare davanti a Cole e agli amici le straordinarie doti della sorella minore, il suo talento, la sua caparbietà, il successo meritato che l’aveva portata lontano, a Parigi, ad essere l’assistente di uno dei più lodati e rispettati professori della Paris-Sorbonne, Gaspard Dubois, ma mai prima di quella sera Cole aveva incontrato Charlotte, ammirato il suo viso.
La ragazza dagli occhi tristi, pensò Cole non appena la vide, aveva un fascino tutto suo, una bellezza di altri tempi che gli ricordò uno di quei quadri di Raffaello che aveva visto durante un suo viaggio in Italia, tanti anni prima.
Si chiese cosa avesse fatto quella bella ragazza dagli occhi tristi per adirare in quel modo il tranquillo Matt, avrebbe voluto chiederglielo, invece non disse una sola parola e si precipitò ad aiutare la ragazza, a farla entrare nella pasticceria e offrirsi di prendere il suo cappotto color lilla zuppo di pioggia.

“Stai bene? – le chiese, rivolgendole la parola per la prima volta, ma lei non rispose – Ragazza, sei davvero fradicia: lascia che ti prepari una tazza di buon tea caldo. Abbiamo dell’ottimo tea, sai?”
“Non voglio niente, grazie.” Disse lei, sussurrando e rimanendo ferma al centro della stanza, dietro di lei le orme liquide dai contorni più scuri lasciate dai suoi stivaletti.
“Insisto, e poi se ti venisse un raffreddore Matt se la prenderebbe tantissimo. – sorrise educatamente e le porse una mano – Sono Cole, suo amico e socio. Tu devi essere Charlotte, sua sorella.”
“Sì, sono io. – rispose freddamente, senza stringergli la mano, scegliendo invece di sedersi ad un tavolino poco lontano – E se proprio insisti, allora accetto questo tuo mirabolante tea.”
“Non te ne pentirai, credimi. – le riservò un sorriso, cercò senza successo di incontrare il suo sguardo – Torno subito.”


Cole tornò dieci minuti dopo con un vassoio rosso su cui erano state adagiate due tazze di tea fumante, e con attenzione le posò sul tavolo, una davanti a Charlotte e l’altra davanti alla sedia vuota su cui si sedette successivamente.
Nei dieci minuti trascorsi, il moro aveva cercato di far parlare Matt, capire cosa fosse successo tra i due fratelli, ma il maggiore come la minore sembrava essersi chiuso in uno strano mutismo e non essere incline al dialogo.
“Allora, Charlotte, potrei sapere cosa sta succedendo? Tuo fratello si è ammutolito, e ad essere sinceri questa situazione mi sta preoccupando.”
“Non preoccupartene, non sono affari tuoi! – esclamò piccata lei, forse troppo bruscamente – E poi Matt ha tutte le ragioni di essere arrabbiato con me: sono un totale disastro, l’ho deluso e…”
Sospirò, sopprimendo malamente un singhiozzo e scosse la testa: “Se solo non avessi fatto determinate scelte, se solo non fossi stata così stupida adesso non sarei in questa situazione, in questo pasticcio…”
“Qualsiasi cosa sia successa sono certo che si sistemerà e che Matt ti perdonerà. – posò una mano su quella di lei, azzardando un gesto che molti avrebbero considerato sfacciato – Lui ti adora, non fa altro che parlare di te, elogiarti e non potrebbe mai, mai portarti rancore.”
“Lo dici perché non sai cosa ho fatto. – si morse un labbro, fece scivolare la mano da sotto a quella di lui e tornò a posarla attorno alla tazza calda di tea – I frutti marci delle mie azioni mi perseguiteranno per sempre, non posso più sfuggire… è solo questione di tempo prima che lo vengano a sapere tutti.”
“Senti, non so cosa ti sia successo, non voglio sapero ma sono certo di una cosa: fino a quando avrai Matt tutto andrà bene. Lui c’è sempre, per tutti, e ci sarà anche per te… sei la sua sorellina, la sua famiglia, e la famiglia non si abbandona, mai. Lascialo sfogare, adesso, e domani, quando la pioggia sarà cessata e la notte avrà portato consiglio vai da lui e parlagli. – cercò ancora una volta lo sguardo chiaro della ragazza, ancora una volta sorrise e quella volta giurò di aver visto sulle sue labbra un’ombra di un sorriso – Tutto andrà bene, vedrai. Le cose tra te e Matt si sistemeranno, te lo prometto.”



 
**



“Non permetterò a nessuno di farti soffrire ancora, piccola. – sussurrò Cole, osservando Charlotte dormire abbracciata al suo corpo nudo – Ti terrò al sicuro, ti proteggerò e farò in modo che tu non debba più soffrire la perdita di nessun caro. Non dopo aver perso Matt, non dopo…”
Sospirò, la strinse più forte e le baciò il capo: “Ti amo, Charlotte, e so che un giorno, spero tra non troppo, anche tu mi amerai come ti amo io.”



 
*



NDA: Salve, gente! Nuovo capitolo, capitolo in cui lasciamo un attimo da parte Dexter e Charlotte per conoscere meglio Cole, questo ragazzo che tanti di voi non riuscivano ad inquadrare. Spero vi siate fatti un'opinione più chiara di lui e, soprattutto, che il capitolo vi sia piaciuto.
La foto animata-banner dovrebbe rappresentare il momento del primo incontro tra lui e Charlotte, il sorriso che lui le regala nel tentativo di farla parlare e stare meglio.
Grazie, come sempre, a tutti voi che seguite la storia e recensite. Continuate a lasciarmi i vostri preziosi pareri e a chi ancora non lo ha fatto invito a lasciarmene uno! :3
Alla prossima,
V.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** 12. ***






 



Dexter Freeman aggrottò le sopracciglia dalle sfumature rossicce, protrasse nuovamente il dito indice verso il piccolo pulsante alla cui destra, in un altrettanto minuscolo rettangolino bianco, c’era scritto a penna nera il nome di Charlotte e nuovamente lo ritrasse.
Sbuffò: forse quella di prendere in considerazione di trasferirsi nello stesso palazzo di Charlotte non era stata una buona idea, forse avrebbe dovuto lasciar perdere e cercare altrove; dopo tutto, i soldi non gli mancavano – il suo primo romanzo continuava a vendere discretamente nonostante la sua crisi nera e il fiasco dell’ultimo – e stando al suo conto in banca avrebbe potuto permettersi qualcosa di più lussuoso, magari una villetta appena fuori Richmond.
Decidere di vivere nello stesso palazzo, divisi solo da una rampa di scale, sarebbe stata una pessima decisione, molti l’avrebbero criticata – sua sorella, la loro psicologa – eppure Charlotte si era dimostrata entusiasta quando, la sera prima, lo aveva chiamato per informarlo di aver ricevuto il messaggio da Cole e di come l’idea di ritornare ad essere vicini di casa come ai vecchi tempi la entusiasmasse molto.
Per diciotto lunghi anni Charlotte e Dexter erano stati vicini di casa, molti erano stati i weekend trascorsi sotto lo stesso tetto, approfittando dell’assenza di una delle due famiglia per restare svegli fino a tardi a strimpellare una chitarra acustica malconcia e spesso scordata, vedere film horror, mangiare schifezze e ridere dopo qualche battuta pessima fatta da un Matt piuttosto brillo a causa di una o due birre rubate di nascosto dal frigorifero di casa Harrison di troppo.
Una parte di lui, quella sognatrice e ancor piena di speranza, credeva di poter passare nuovamente dei bei momenti con Charlotte, di poter creare nuovamente quel clima sereno, ma l’altra – quella realista e cinica – sapeva che quei giorni non sarebbero mai più tornati: Matt era morto, lui era diventato un ex alcolizzato e Charlotte…
Increspò le labbra, scese i tre gradini che separavano il portoncino dalla strada e spalle contro il palazzo tastò le tasche della sua giacca di pelle alla ricerca del pacchetto di sigarette, se ne accese successivamente una e tornò a pensare a Charlotte come spesso gli capitava da settimane.
Era così diversa, cambiata, e Dexter non sapeva se in meglio o in peggio. La ragazzina solare e sognatrice sembrava essere spazzata vita – come biasimarla, dopo tutto? La perdita di un fratello non poteva essere paragonabile a quella di un amico, anche se Matt era sempre stato per lui più un fratello che un amico – nascosta sotto strati di cinismo, amarezza e rimpianto. Eppure…
Eppure qualcosa, il suo sesto senso, gli diceva e gli ripeteva che Charlotte nascondeva qualcos’altro, un segreto di cui nessuno – forse neanche i suoi genitori, probabilmente neanche il suo ragazzo – conosceva. Probabilmente il presunto segreto era collegato con Parigi, con qualcosa che era successo in quei mesi passati oltre la Manica, come stagista prima e assistente universitaria poi, con quel qualcosa che “era sfuggito di mano” di cui gli aveva solo accennato sua sorella Rose.
Forse, forse no, di certo non lo avrebbe mai scoperto standosene imbambolato e fermo sul ciglio della strada, a fumare una sigaretta: improvvisamente nauseato, Dexter la gettò con un colpì secco lontano, sbuffò l’ultimo tiro nell’aria secca di metà mattina e senza indugiare oltre risalì i tre gradini e pigiò deciso quello stesso tasto su cui aveva tanto indugiato.


“Sei in ritardo!” esclamò con un tono di finto rimprovero Charlotte, comparendo sullo stipite della porta d’ingresso.
“Colpa del traffico… - si giustificò lui, utilizzando la prima scusa sensata che gli balenò in mente, omettendo per ovvie ragioni le vere motivazioni del ritardo – Perdonami.”
“Non importa. – liquidò lei, abbozzando un sorriso e, prese due paia di mazzi di chiavi, si chiuse la porta alle spalle e con un gesto lo invitò a seguirla al piano di sopra – Vieni, i proprietari mi hanno lasciato le chiavi, hanno detto che possiamo dare un’occhiata all’appartamento quando vogliamo. Sai, i vecchi proprietari erano due anziani a modo, e dopo la morte di lui lei si è trasferita da sua figlia e ora vogliono affittare, se non anche vendere, l’appartamento. E’ molto carino, luminoso e spero ti piaccia.”
“La zona è molto tranquilla, ben servita, e mi sento fiducioso.”
Charlotte lo guardò con la coda dell’occhio, sorrise sghemba, e infilata la chiave nella toppa aprì la porta e a tentoni – dentro le stanze erano immerse nel buio più pesto – si addentrò alla ricerca della finestra più vicina.
“Vieni, entra! – lo chiamò poco dopo, una volta fatte entrare luce ed aria nel salottino adiacente al piccolo ingresso – Fai come fossi a casa tua!”
Dexter rise, iniziò a guardarsi attorno e raggiunse l’amica nel salottino in cui c’erano ancora un paio di scatoloni imballati di proprietà degli ormai ex inquilini, iniziò ad analizzare attento l’ambiente.
“Non male, non male… - sussurrò, sbirciando anche nel piccolo cucinino – Spero solo che ci sia una stanza in più per poter scrivere, ammesso che l’ispirazione decida di ritornare un giorno.”
“Da quanto tempo non scrivi?” chiese lei, avvicinandosi con passo felpato a lui, azzardando quella domanda forse troppo privata.
Dexter la guardò per un istante, assottigliò le labbra e scrollò le spalle; non ricordava neanche lui quanto tempo era passato dall’ultima volta che aveva tenuto una penna in mano, dall’ultima volta che si era seduto alla grande scrivania del suo studio di Londra – quello che dava su quella vista mozzafiato che era Regent’s Park – e aveva scritto qualcosa di decente, qualcosa che lo aveva davvero soddisfatto.
“Scusami, - riprese lei, mortificata – non avrei dovuto chiedertelo, sono stata invadente…”
“Nessun problema, stai tranquilla. La verità è che non ricordo quando è stata l’ultima volta, probabilmente è passato più di un anno… - aprì la porta di quella che scoprì essere la stanza da letto dalle pareti color avorio nella quale avevano lasciato uno spazioso armadio a muro di legno su misura risalente con molta probabilità agli anni ’60 – L’ispirazione sembra avermi abbandonato, ma in compenso in quel periodo l’alcool è stato il mio migliore amico…”
“Così è questo il motivo che ti ha spinto a bere, la mancanza di ispirazione?”
“Quello e le continue feste a cui partecipavo, i party esclusivi della Londra aristocratica-borghese, una frustrazione crescente ed un matrimonio con una donna che un tempo ho amato ma che pian piano si è trasformata in un’astranea… - rispose lui, senza però riuscire a guardarla in faccia, continuando a perlustrare l’appartamento – Il tuo invece?”
“La perdita, suppongo… - rispose a sua volta lei, aspettandosi quella domanda da parte dell’amico, sorridendo algida – Quella di un fratello e molto altro…”
“Altro? – Dexter si girò di scatto, la guardò di sbieco – Intendi la tua posizione come assistente all’università di Parigi?”
“Tra le altre cose… - rispose vaga lei, non sentendosi pronta per parlare con lui degli avvenimenti di Parigi, di Gaspard e delle conseguenze disastrose della loro relazione clandestina – Ma non ne ho voglia di parlarne, non ora. Perdonami.”
“Sì, lo capisco: neanche io riesco ancora a parlare di tante cose, ma sappi che potrai sempre contare su di me se mai, se… - si grattò imbarazzato la nuca – Sì, insomma, ha capito.”
“Lo so, lo so. – Charlotte si avvicinò a Dexter, gli accarezzò la guancia morbida nonostante la barba – Grazie.”

Ci fu qualche secondo di imbarazzo, un imbarazzo reso ancor più carico dal silenzio che regnava in quella casa, e i loro occhi incatenati non miglioravano di certo la situazione.
Per quanto entrambi odiassero ammetterlo, tra di loro c’era ancora una forte alchimia, una strana attrazione che nessuno dei due sapeva spiegare e che puntualmente gli faceva avvicinare come due falene alla luce mortale.
“Sai, - disse finalmente lui, rompendo il silenzio e l’imbarazzo – credo proprio che questa casa faccia per me, credo che la prenderò.”
“Davvero? – Charlotte non riuscì a contenere la felicità nella voce, un sorriso gioioso che fece sorridere anche lui – Oh, Dex, sono così contenta! Vedrai, non te ne pentirai.”
“Sì, anche io… - confessò a sua volta, stringendole una mano – Non sarà come ai vecchi tempi, ma non nego che tornare ad essere vicini di casa è qualcosa che mi allieta grandemente.”
“In questo caso dobbiamo festeggiare! – esclamò euforica lei, prendendogli anche l’altra mano – Vieni, scendiamo: nel frigo ho delle birre.”
“C-cosa?” Dexter la bloccò bruscamente per un braccio, la guardò scoppiare a ridere allibito.
“Sono analcoliche, sciocco!” esclamò lei, continuando a ridere e tranquillizzandolo prima di uscire sul pianerottolo seguita da lui.
“Analcoliche…  - sussurrò lui, dandosi mentalmente dell’idiota - Ma certo, certo.”


 


*


Angolo Autrice: Sono in ritardo mostruoso, lo so, e questo capitolo non è neanche tanto lungo come avrei voluto, ma non volevo farvi aspettare ancora, così... Purtroppo gli esami non mi danno tregua e questo è il meglio che son riuscita a fare. Spero vi sia piaciuto ugualmente, e ringrazio tutti voi che seguite la storia  e recensite.
L'immagine di apertura capitolo, non mia, rappresenta il momento - come me lo sono immaginato - in cui Dexter visita con Charlotte il suo nuovo appartamento.
Alla prossima,
V.

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** 13. ***


 








Charlotte Harrison teneva lo sguardo basso, attendeva una domanda che sarebbe arrivata da lì a poco. Non mancava molto ormai, giusto qualche minuto, secondi scanditi ritmicamente dall’orologio appeso alla parete dello studio della Dottoressa Olivia Barnes; quest’ultima, come lei, era seduta in modo apparentemente tranquillo su di una poltrona rivestita di pelle identica a quella su cui era seduta – niente affatto comodamente, piuttosto nervosa e irrequieta -  Charlotte, la quale aveva iniziato a picchiettare distrattamente le dita affusolate sul bracciolo della suddetta sedia, segno palese di un’insofferenza crescente.
“E così siete diventati vicini di casa. – iniziò finalmente Olivia Barnes, abbassando il taccuino che stringeva tra le mani sulle ginocchia – Decisione azzardata, non credi?”
Olivia non ebbe bisogno di fare il nome dell’altra persona, del nuovo vicino di casa: entrambe le donne sapevano di chi o cosa stessero parlando, dello scrittore dai trascorsi burrascosi che era stato amico di Charlotte, che stava tornando a essere amico di Charlotte oltre che il suo vicino di casa.
“So che eri contraria, so cosa pensi della decisione che abbiamo preso di comune accordo, ma posso assicurarti che tutto andrà bene.”
“Tutto, anche tra te e Cole? – chiese la dottoressa, inclinando leggermente il capo – Lui è d’accordo con questa situazione, all’idea di avere intorno Dexter?”
“Io e Cole ne abbiamo parlato più di una volta e sì, a lui la situazione sta bene. Sa che Dexter è solo un amico, che la sua vicinanza non cambierà le cose: non sono disposta a gettare al vento mesi e mesi di terapia, tantomeno a mettere a repentaglio il rapporto con l’unico ragazzo che tiene davvero a me, che mi è stato accanto per tutto questo tempo.”
Charlotte sospirò, chiuse a pugno le mani posate sulle ginocchia: “Non sto dicendo che diventeranno amici, non sono ingenua fino a questo punto: dico solo che Cole rispetta i miei desideri, ha fiducia in me, e con il tempo si abituerà alla cosa, all’idea che Dexter sia importante per me, un caro amico.”
“Questo lo stai dicendo a me, oppure lo stai dicendo a te stessa nella speranza di convincerti che andrà così?”
Charlotte guardò Olivia Barnes con la coda dell’occhio, sorrise algida e prima di rispondere non riuscì a fare a meno di ritornare con la mente a due settimane prima, a quella sera – poco dopo la decisione di Dexter di trasferirsi nello stesso palazzo della ragazza – in cui Cole era andato da lei e li aveva trovati a ridere e bere birra analcolica seduti sul divano del soggiorno, come due vecchi amici, agli occhi di lui forse come qualcosa di più; era proprio lo sguardo sorpreso e pieno di gelosia di Cole ciò che Charlotte ricordava meglio, e con il ricordo tornò prepotente il senso di colpa, l’amara consapevolezza di averlo indirettamente tradito, ferito.


 
**
 


“Charlie, amore ci sei? Sono tornato prima e passando dal fioraio ho visto i girasoli e… - le parole del moro gli morirono in gola, i due girasoli che stringeva a mezz’aria in mano si abbassarono insieme al braccio, toccarono quasi il pavimento e negli occhi scuri di Cole si palesò tutta la sorpresa, il fastidio che quella scena intima gli aveva provocato – Freeman, che sorpresa. Non volevo interrompere…”
“Non hai interrotto nulla. – si affrettò a dire Charlie, mettendo subito in chiaro le cose – Stavamo solo bevendo una birra analcolica e ricordando i vecchi tempi.”
Si alzò dal divano dopo aver posato in terra la birra e, raggiunto il moro, gli baciò la guancia e prese dalle sue mani i fiori: “Sono bellissimi, ti ringrazio.”
“So che sono i tuoi preferiti, così ho pensato…”
“Hai fatto bene, è stato un gesto davvero carino. – si scambiarono un sorriso impacciato, poi Charlie tornò a guardare Dexter – Dex sarà il mio nuovo vicino: ha deciso di affittare la casa al piano di sopra e credo che entro la fine del mese si trasferirà definitivamente.”
“Ma non mi dire? – chiese retoricamente Cole, senza neanche tentare di nascondere il suo sarcasmo – Buon per te, Freeman: Charlotte è una ragazza meravigliosa, sarà una vicina modello.”
“Sì, lo so. Siamo stati vicini di casa per anni, io e lei, ricordi? O forse lei non te l’ha detto? – chiese in tono provocatorio, alzandosi dal divano e ignorando l’occhiataccia che Charlotte gli aveva appena lanciato – In ogni caso, credo sia meglio se vi lascio soli.”
“No, Dexter, rimani! – pigolò Charlie, avvicinandosi all’amico – Posso preparare qualcosa, oppure ordinare delle pizze; potremmo cenare insieme, passare una serata insieme dopo anni.”
“Magari un’altra volta, okay? – le disse, posando una mano sul braccio e stringendo appena in modo affettuoso, così come affettuoso fu il sorriso che le riservò – E poi sono certo che Cole preferisca passare la serata da solo con te, come una neocoppietta.”
“Okay, come vuoi, ma promettimi che ci vedremo per un caffè sabato, che se avrai bisogno per il trasloco mi farai sapere.”
“Prometto! – esclamò, dandole poi un bacio sulla guancia – A sabato, allora. Passa una buona serata.”
Si avviò verso l’uscita e, oltrepassato Cole, lo salutò freddamente e frettolosamente, nello stesso modo in cui fece anche il moro, quest’ultimo sollevato dal netto rifiuto del biondo di restare a cena, all’idea di restare da solo con Charlotte senza terzi incomodi tra i piedi.
“Non sei stato gentile, Cole, affatto!” lo rimproverò lei non appena Dexter lasciò l’appartamento, guardandolo severa.
“Cosa ti aspettavi, baci e abbracci? – chiese retoricamente lui, scrollando le spalle – Sai che quel tipo non mi piace, che non mi fido e che non lo voglio attorno a te come un avvoltoio che aleggia sopra una preda morente!”
“Un avvoltoio? – Charlotte strabuzzò gli occhi, basita da quel paragone – Dio, Cole, ma ti senti quando parli? Dexter è un bravo ragazzo, è mio amico e di certo non è un avvoltoio; inoltre, non ho intenzione di tenere le distanze da lui, né per te né per chiunque altro quindi è meglio se te ne fai una ragione!”
“E’ così che stanno le cose, uh? Preferisci lui a me, a me che ti sono stato accanto per tutti questi mesi, che ci sono stato per te quando nessun altro sembrava interessarsi?”
“Ti prego, Cole, non ricominciare…”
“Invece ricomincio, Charlotte, ricomincio! – esclamò piccato, interrompendola – Tu davvero manderesti a puttane tutto per Dexter Freeman, per un uomo che non conosci come credi, un uomo che si palesa a Richmond dopo anni senza apparente motivo? Davvero, Charlotte?”
“Tutto questo è ridicolo, tu sei ridicolo! – Charlotte rise algida, scosse la testa – La tua gelosia insensata ti sta facendo diventare paranoico, vedi cose che non esistono! Tu… tu sei incredibile!”
“Io ci tengo a te, è diverso. Ci tengo più di qualsiasi altro: io ti amo!”
“Ed io tengo a te, Cole, ci tengo moltissimo ma non per questo ho intenzione di annullarmi, di dare anima e corpo ad un uomo… - Charlotte sospirò, chiuse per un istante gli occhi – Ho già fatto questo errore, mi sono già annullata una volta per un uomo e sai benissimo com’è finita, quanto ho sofferto, quanto io abbia perso. Gaspard mi ha distrutta, e ora tu non puoi pretendere che io rimanga sotto una campana di vetro per sempre, che reciti una parte non mia…”
“La parte della fidanzata innamorata, intendi. – precisò Cole, sempre più amareggiato – Cosa che, ovviamente, non sei.”
“Cole, io… ti prego…”
“No, va bene. Va bene, davvero: so che non mi ami, lo accetto, forse anche lo capisco… - sospirò profondamente, si passò una mano tra i capelli – E’ meglio che vada, adesso. Sì, sì è meglio…”
“No, non andare! – lo supplicò lei, avvicinandosi e afferrandolo per un polso – Non devi, sai che non devi. Non voglio che tu vada, che la serata sia rovinata; non voglio che una stupidaggine come questa metta in discussione il nostro rapporto, non voglio…”
“Eppure sembra averlo fatto, Charlotte, e in questo momento non posso fare a meno di chiedermi se non sia un errore, se noi due insieme non siamo un errore…”
“Gaspard è stato un errore, - disse lei, severa, stringendo più forte la presa sul suo polso – ma tu, Cole, tu non potrai mai essere un errore. Tu sei la mia roccia, sei mio amico, sei la persona che ha asciugato le mie lacrime, che conosce i miei più oscuri segreti, ed io ti devo ogni cosa, tutto.”
Si alzò in punta di piedi, lo baciò sulle labbra: “Io ti amo.”
“Lo dici solo perché ti faccio pena, non lo pensi davvero…”
“Lo dico perché lo penso, perché ci credo! – esclamò, guardandolo dritto negli occhi – Ti amo, Cole, davvero.”



 
**
 
 

“Così gli hai confessato i tuoi sentimenti. - disse pacatamente Olivia Barnes, la quale aveva ascoltato in silenzio il racconto della ragazza – Ed è la verità?”
“Sì, credo di sì. Cole è la persona più importante al mondo dopo Matt, e credo davvero di amarlo.”
“E Dexter? Cosa mi dici di lui?” chiese, incuriosita da ciò che la ragazza avrebbe risposto.
“Lui avrà sempre un posto speciale nel mio cuore: è stato il mio primo amore, un secondo fratello, ma è anche il passato.  Sono cresciuta, sono andata avanti e sento che il mio posto è con Cole, deve essere con Cole. E’ la scelta più saggia, la scelta più giusta.”
“La più sicura, vorrai dire. – la corresse Olivia Barnes, la quale aveva imparato a conoscerla bene in quell’anno di terapia – Cole è il tuo porto sicuro, ti dà delle certezze che nessuno ti ha mai dato e con lui non devi dare alcuna spiegazioni. Perché è di questo che si tratta, vero? Hai paura, sei terrorizzata all’idea di dover rispondere alle domande scomode che un giorno, presto, Dexter ti porrà, di guardare in faccia ancora una volta i tuoi demoni.”
“Hai ragione, Cole è il mio porto sicuro, con lui non mi devo giustificare, ma questo non ha nulla a che vedere con i miei sentimenti. Io ci tengo a lui, lo amo a prescindere da tutto, da Dexter!”
“Questo non cambia le cose: Dexter presto farà domande, e allora tu cosa farai? Gli parlerai del tuo passato, di Gaspard e di tutto ciò che la relazione con lui a comportato, delle tragiche conseguenze, della perdita, oppure tacerai e inventerai scuse?”
Charlie deglutì rumorosamente, abbassò il capo e scrollate le spalle disse: “Non lo so. Vorrei tanto saperlo ma non lo so. La verità, Olivia, è che ho paura, sono terrorizzata all’idea di raccontargli tutto, di deluderlo, di leggere nei suoi occhi la stessa delusione che lessi negli occhi di Matt quando gli raccontai tutto. Non lo sopporterei, non una seconda volta, non da Dexter tra tutti. – si coprì per un momento il viso con le mani, inspirò profondamente – Lui mi vede ancora come la ragazzina diciottenne che sono stata tanti anni fa, quando lui è partito per Londra, ma la verità è un’altra: la verità è che quella ragazzina non esiste più da un pezzo, è sparita. La verità è ben altra, e se solo lui sapesse… Oh! Se solo sapesse…”
 



*



Angolo Autrice: Salve, gente! Rieccomi con un nuovo capitolo tutto dedicato a Charlotte. Le cose si complicano come avete visto, e sebbene i sentimenti di Charlotte sembrino chiari scoprirete più avanti che così non sono. Inoltre, nel giro di qualche capitolo si scopriranno finalmente tutti i suoi segreti, e credo anche che inizierà a crearsi qualcosa di interessante tra lei e Dexter.
Detto questo, spero che il capitolo vi sia piaciuto e ringrazio ancora una volta tutti coloro che seguono la storia e recensiscono.
Alla prossima,
V.

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** 14. ***







 


Febbraio 2014, un mese e mezzo dopo…
 
 
 


Dexter Freeman stava camminando, mani in tasca, verso la pasticceria di Charlotte. Il tempo era nuvolo quella mattina di inizio Febbraio, e una fine pioggerellina stava iniziando a cadere, bagnare i palazzi e le strade asfaltate di Richmond, le auto dai diversi colori che percorrevano le vie o erano ferme a qualche semaforo, parcheggiate parallelamente ai marciapiedi.
A Dexter non era mai dispiaciuta la pioggia, elemento costante nella sua vita, e se accanto a lui i passanti iniziavano ad aprire i variopinti ombrelli, lo scrittore decise di continuare a camminare come se nulla fosse, a farsi bagnare le spalle coperte da un cappotto nero e i capelli mossi dalle sfumature rossicce sempre più lunghi.
Arrivato al Sunflower, in quelle settimane chiuso per lavori di ampliamento, – Charlotte aveva deciso di aprire una sala da the e da lettura adiacente alla pasticceria, creare un luogo di pace in cui i clienti avrebbero potuto sorseggiare delle bevande calde, leggere un libro e assaporare con calma gli squisiti dolci appena sfornati. – Dexter bussò un paio di volte alla porta di vetro chiusa a chiave e coperta come il resto delle vetrine che in altre occasioni avrebbero dato ai passanti una visuale del locale da delle veneziane dal tenue colore; attese qualche istante, poi finalmente la porta si aprì e Charlotte, vestita con un abbigliamento sportivo e tenendo i capelli legati in una coda scarmigliata, lo accolse con un frettoloso saluto e lo invitò ad entrare.

“Dex, che sorpresa! – esordì lei, richiudendo a chiave la porta d’ingresso – Cosa ci fai qui?”
“Ero in zona, ho fatto qualche commissione e ho pensato di passare a farti un saluto. – rispose lui, alzando a mezz’aria la busta di carta contenete dei libri appena comprati ad una libreria vicina – Disturbo?”
“Non disturbi mai. – rispose lei, sbirciando nella busta del ragazzo – Dex, finalmente hai ricominciato a frequentare librerie, leggere libri!”
Tornare a frequentare le librerie era il passo successivo della sua riabilitazione, comprare dei libri e provare a leggerli qualcosa che si era deciso a fare con non poca fatica; da quando era uscito il suo ultimo libro, Dexter si era tenuto il più possibile lontano dalle librerie, terrorizzato all’idea di vedere in vetrina o, peggio, gettato in qualche angolo remoto quel fiasco che era stato il suo romanzo, un romanzo rimasto invenduto per tantissimi mesi, che tanto era stato criticato.
Adesso, però, grazie alla Dottoressa Barnes, alla disintossicazione e alla fiducia in se stesso che stava pian, piano recuperando, Dexter era riuscito a varcare la soglia di una libreria con animo quasi sereno, senza angoscia o terrore, senza la paura di scorgere da qualche parte i suoi romanzi, il suo fallimento.
“Sì, così pare. – confessò, abbozzando un sorriso imbarazzato – Ho comprato un paio di romanzi, tra cui uno di uno scrittore australiano: si chiama Zusack e il suo “La bambina che salvava i libri” ha avuto e sta avendo tutt’ora successo in tutta Europa. Ne hanno comprato i diritti per un film, dovrebbe uscire a breve.”
“E’ uscito in Novembre, ad essere precisi. – lo corresse lei, evidentemente più aggiornata di lui sull’uscita dei film dell’ultimo anno passato – “Storie di una ladra di libri”, questo il titolo. Molto bello, l’ho visto insieme a Cole.”
“In questo caso dovrò assolutamente leggere il libro e, terminato, vedermi anche il film.”
Dexter si guardò attorno, lanciò uno sguardo verso l’arco che collegava la pasticceria alla nuova saletta e cambiando totalmente discorso chiese: “Come procedono i lavori?”
“Molto bene. Andiamo spediti come un treno, e sono fiduciosa e convinta che riusciremo a riaprire la pasticceria e inaugurare la nuova sala entro la fine del mese.”
“E puoi star certa che io sarò presente! – le strizzò un occhio e sorrise sornione – Chi l’avrebbe mai detto che alla fine saresti diventata una pasticciera e un’imprenditrice? Io ho sempre pensato che il tuo futuro sarebbe stato in Francia, a Parigi, nella città che hai sempre amato, e invece…”
“Invece le cose non vanno sempre come sogniamo. – concluse lei al posto suo, assumendo un tono di voce severo – La vita è ben diversa, e ci riserva amare sorprese che mai avremmo potuto prevedere.”
“Ti stai riferendo a Matt, a quello che è successo?”
“Anche. – rispose, abbassando lo sguardo – Alle volte non posso fare a meno di pensare che, se non avessi fatto determinate scelte, errori, se non fossi tornata dalla Francia, se non ci fossi mai andata adesso lui…”
“No, non ti permetto di pensare una cosa del genere! – esclamò Dexter, afferrandola per le spalle e guardandola negli occhi – Quello che è successo a Matt è stato un incidente, una tragica sciagura e tu non ne hai colpe.”
“Oh, Dexter… - Charlotte sorrise algida, scosse la testa – Tu mi reputi ancora la ragazzina diciottenne di un tempo, quella ragazzina ingenua da proteggere a tutti i costi ma la verità è ben altra: non sono più quella ragazzina da molto, molto tempo, e se tu sapessi quello che ho fatto…”
“Io cosa? – la provocò, continuando a fissarla – Pensi davvero che potrei giudicarti? Io, proprio io tra tutti? Dio, Charlie, non potrei mai!”
“Attento, Freeman, potrei metterti alla prova.”
“Allora mettimi alla prova! – esclamò con tono di sfida, facendo un passo indietro e aprendo le braccia a croce – Avanti, mettimi alla prova. Non credo che riusciresti a scandalizzarmi, ad allontanarti da te; sono stato anche io un alcolizzato, proprio come te, e anche io ho fatto cose di cui non vado fiero, cose che non ti saresti mai aspettata dal ragazzo ventenne che è partito alla volta di Londra con tanti sogni da realizzare, con l’ambizione di diventare un famoso scrittore.”
“Bene, come ti pare. – disse alla fine, accettando la sfida – Ma non qui: a casa, stasera. Cole è fuori città e nessuno ci disturberà. Prometto che sarò sincera, che risponderò ad ogni tua domanda.”
“Mi sembra un’ottima idea. A stasera allora. – si avvicinò a lei e la salutò con un bacio sulla guancia – Passa una buona giornata, Charlotte.”




 
**



“Il motivo per il quale sono tornata a Richmond si può sintetizzare con due semplici parole, un nome solo: Gaspard Dubois.”
Erano seduti entrambi sul divano del soggiorno di Charlotte, Dexter era andato da lei come stabilito e lei aveva mantenuto la sua promessa e gli stava finalmente confessando ogni cosa, il suo oscuro passato.
Lui la stava ascoltando in silenzio, le aveva promesso di non fare alcun commento, di non interromperla mai; Charlotte aveva così iniziato il suo racconto, racconto che, sapeva, le sarebbe costato molto dolore.
“Era un professore di Francese presso la Paris-Sorbonne, il più stimato e famoso nel suo campo, ed io ero stata scelta per essere la sua assistente. – sorrise malinconicamente al ricordo della felicità che le aveva dato quella notizia, l’orgoglio negli occhi di sua madre, di suo padre; se avesse potuto tornare indietro a tre anni prima avrebbe detto alla lei ventiduenne di non lasciare Richmond, di rifiutare quell’opportunità e restare a casa – Sua madre era Inglese, e per qualche anno ha insegnato anche a Oxford. Tutte le ragazze morivano per lui, lo guardavano con occhi sognanti, e come dar loro torto? Lui era affascinante, aveva quel classico fascino francese, e resistergli era praticamente impossibile.
Ma io inizialmente non l’ho visto sotto quella luce, non ero interessata: volevo solo essere la sua assistente, imparare tutto da lui, ma dopo il primo semestre qualcosa è cambiato, qualcosa è nato tra di noi e…”
Charlotte sospirò, si passò nervosamente una mano tra i capelli: “Sono diventata la sua amante. Semplicemente, sono diventata l’altra donna; improvvisamente, sono diventata la cura al suo matrimonio alla deriva, la ragazza di ventidue anni a cui si rivolgeva ogni volta che aveva bisogno di staccare la mente, di evadere dal mondo.”
Portò gli occhi al cielo, scosse la testa e sorrise amaramente: “Ma vuoi sapere qual è la cosa più buffa, Dex? La cosa più divertente di tutte? Io ero innamorata di lui, e pensavo, credevo che un giorno, fino alla fine, sarei stata l’unica donna della sua vita. Ero certa che avrebbe lasciato sua moglie, che presto ci saremmo costruiti una vita insieme, ma così non è stato.
Lui voleva solo sesso da me, lui non mi amava davvero; io ero solo la sciocca ragazzina venuta dall’Inghilterra, un passatempo come un altro, e quando le cose gli sono sfuggite di mano lui ha chiuso la relazione ed io mi sono trovata senza niente: niente cattedra di assistente, niente possibile lavoro alla Sorbonne, niente amici, niente. Ero sola, totalmente sola e con il cuore a pezzi. Lui mi ha distrutta, ed io in cambio ho permesso di distruggermi, gli ho dato ogni cosa, tutto, persino la mia innocenza.”
“Intendi che… - Dexter parlò per la prima volta, le sue parole furono un lieve sussurro – Tu e lui…”
“Sì, è stato il primo uomo con cui sono stata. Il primo, e di certo non era l’uomo degno che speravi per me, quello che mi avrebbe reso felice. – lo guardò con la coda dell’occhio, non riuscì a guardarlo negli occhi – Ma, come ho detto, sono stata una sciocca impulsiva, ero completamente ammaliata da questo aitante trentenne professore di francese dai capelli neri, dalle sue belle parole e pensavo…”
Scrollò le spalle, concluse: “A dire la verità non so cosa stessi pensando, probabilmente, sicuramente in quel momento non stavo pensando affatto.”


Charlotte chiuse gli occhi, respirò a fondo, e per qualche istante ripensò a quella sera, a lei e Gaspard chiusi nel grande ufficio di lui, alle sue mani che le sbottonavano la camicetta di seta, ai loro corpi, al momento in cui cedette alle sue richieste e gli permise di farla sua, di prendersi ciò che sarebbe dovuto essere di un altro uomo, di un altro ragazzo, del giovane che in quel momento era seduto accanto a lei e la guardava con quello sguardo a cui non era mai riuscita a resistere, che le faceva mancare il fiato ogni volta.


 
**




Cherie, ti ho già detto che il tuo profumo mi fa impazzire?” soffiò lui sul suo collo, dopo averla fatta stendere sul pregiato divano di pelle del suo ufficio e averla sovrastata con il suo corpo.
“Almeno un centinaio di volte.” Rispose lei, chiudendo gli occhi e rabbrividendo di anticipato piacere quando lui iniziò a baciarle il collo e sbottonare la sua camicetta di seta.
“Allora questa sarà la centounesima: il tuo profumo mi fa impazzire, tu mi fai impazzire. – la baciò sulle labbra, sbottonò anche l’ultimo bottone – Ti voglio, Cherie, sono pazzo di te.”
“Ma se ci vedessero… quello che stiamo facendo non è giusto: sono la tua assistente, e…”
“Come se fosse la prima volta! – esclamò piccato, sfilandole la camicetta – Sai quanti professori si sono portati a letto le loro assistenti, le loro stagiste, anche semplici alunne in cerca di una raccomandazione? Innumerevoli.”
“M-ma tu sei sposato, hai una moglie ed io… io…”
“Sai che non amo mia moglie, che oramai il nostro matrimonio è finito, quindi di cosa ti preoccupi? – Gaspard l’aveva guardata infastidito, si stava spazientendo – Se non vuoi allora prendi la tua roba e vattene, ma se rimani qua allora metti da parte queste sciocchezze, taci e scopiamo!”
“E’ solo che, ecco…” tentennò, imbarazzata dalla rivelazione che stava per fare, ma quando lo vide scostarsi da lei e in procinto di alzarsi lo bloccò per un braccio e concluse: “Non l’ho mai fatto, sarebbe la mia prima volta.”
“Sei vergine? – Gaspard strabuzzò gli occhi, non riuscì a credere alle sue orecchie – Tu non hai mai… mai?”
“No, mai…” rispose lei, arrossendo visibilmente.
“Oh, Cherie, quando arrossisci sei ancora più bella. Te lo hanno mai detto?”
Sì, pensò lei, sì. Dexter glielo aveva sempre detto, lo ripeteva sempre ogni volta che arrossiva, nelle settimane in cui erano stati insieme, avevano dato vita a quella sottospecie di relazione e lei era arrossita per qualche suo complimento, per qualche bacio o carezza troppo spinta, lui, sorridendole dolcemente, le aveva detto quelle parole.
“Non temere, mia cara, renderò questa tua prima volta indimenticabile. – continuò lui, baciandola a fior di labbra – Fidati di me, lasciami fare: vedrai, dopo questa notte niente sarà più lo stesso.”


 

**



Charlie riaprì gli occhi, rabbrividì al pensiero di quelle parole pronunciate da Gaspard, al ricordo di quella fiducia mal riposta. Lei si era fidata di lui, gli aveva permesso di prendere la sua verginità quella sera stessa, su di un divano di pelle nera da cinquemila sterline, e niente era stato più lo stesso.
“Charlie, piccola, stai bene? – Dexter si avvicinò a lei e le circondò le spalle – Charlotte, mi dispiace per quello che è accaduto in Francia.”
Le passò un pollice su di una guancia, e solo in quel momento lei si accorse che una lacrima dispettosa stava rigando il suo viso.
“Mi dispiace, Charlie, così tanto. – l’abbracciò e le baciò il capo – Mi dispiace per quello che hai passato, mi dispiace di averti lasciata sola.”
“Oh, Dex… - la voce le morì in gola, strinse forte le labbra – Saresti dovuto essere tu, solo tu. Se solo tu avessi voluto, se…”
Il cellulare di Charlotte iniziò a squillare in quel momento, facendo sobbalzare entrambi i ragazzi che, come colti in fragrante, si allontanarono bruscamente dal corpo dell’altro, mettendo tra loro più distanza possibile.
“Devo rispondere, è Cole. – informò lei dopo essersi sporta in avanti e aver afferrato il cellulare – Scusami.”
“Nessun problema. Anzi, io dovrei andare. – Dexter si alzò, mostrandosi impacciato e imbarazzato a causa di quello che era appena successo, che sarebbe successo se il dannato cellulare non avesse iniziato a squillare – Se hai bisogno di qualcosa, qualsiasi cosa…”
“Sì, lo so. Grazie, di tutto. – gli sorrise e gli baciò una guancia – Buona notte, Dex.”
“Buona notte, Charlie.”


*



Angolo Autrice: Salve, gente. Nuovo capitolo della storia, un capitolo molto importante che vede una svolta significativa nel rapporto tra Charlotte e Dexter. La verità non è ancora uscita completamente fuori, c'è ancora qualcosa di segreto nel passato della nostra Charlotte, ma tempo un paio di capitoli tutto sarà svelato.
Spero che la storia vi stia piacendo e ringrazio tutti voi che la state seguendo e che recensite.
Alla prossima,
V.

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** 15. ***









Charlotte Harrison salutò nuovamente la bambina dagli occhi neri, l’osservò lasciare il negozio mano nella mano di sua madre, il muffin al cioccolato che le aveva regalato nell’altra, e di rimando lei le sorrise un ultima volta prima di svanire dalla sua vista.
Grazie di essere venuti, aveva detto ai suoi genitori, una coppia di trentenni di Richmond, porgendoli subito dopo la torta impacchettata e il muffin alla bambina – Quanti anni avrà avuto?, si era chiesta la ragazza mentre li osservava lasciare il Sunflower, dandosi come risposta silenziosa un numero che variava da uno a due – e quando i suoi grandi occhi scuri si erano illuminati e il suo visino paffuto si era aperto in un grande sorriso luminoso, il suo stomaco si era chiuso in una morsa dolorosa e il suo cuore aveva perso un battito.
Si domandò che tipo di madre sarebbe stata, se mai lo sarebbe stata, e in un attimo tutta l’angoscia e la disperazione che in quell’anno e mezzo aveva con tutte le forze cercato di contenere – prima con l’alcool, poi con la disintossicazione, infine con la terapia – tornarono a galla.
Piano circondò il ventre con le sue stesse braccia fino a coprirlo del tutto, deglutì rumorosamente, e prese un respiro profondo: per settimane, mesi, aveva sognato un bambino con degli occhi simili a quelli della piccola che aveva appena lasciato il Sunflower, gli occhi di Gaspard, dell’uomo che lei aveva amato tanto tempo prima, in una vita passata, l’uomo che era stato l’origine delle sue sciagure, della sua miseria; per settimane aveva fantasticato sul suo volto, la sua mente vagato e creato scene di loro tre come una vera famiglia, di lei sola che si occupava del loro bambino, del figlio che non sarebbbe mai nato.
In quei mesi si era anche domandata che tipo di padre sarebbe stato Cole, il dolce ragazzo con cui aveva deciso di intraprendere una relazione, aveva cercato di immaginarsi una vita con lui, un matrimonio e dei figli, ma non era riuscita nell’intento di crearsi un quadro che la soddisfacesse.
Non perché non amasse Cole, non perché non desiderasse una famiglia, ma per la paura di non poterla avere, di non essere destinata ad una tale felicità, a condividere la propria vita con un uomo totalmente fedele e devoto a lei, ad avere dei bambini suoi, una casa e tutte quelle altre belle storie che le madri raccontano alle proprie figlie sin da piccole.
E vissero tutti felici e contenti…


“Una grande giornata, non trovi? – chiese Cole, raggiungendola dietro il bancone, dandole poi un bacio a schiocco sul collo scoperto – Charlie, va tutto bene?”
“Cosa? – Charlie sbattè le palpebre, sembrava uscita da un sonno profondo, da un flusso di coscienza alquanto intricato, guardò confusa il ragazzo per pochi secondi – Sì, sì, va tutto bene.”
“No, invece: dimmi, cosa ti preoccupa?”
“Nulla, davvero. – sorrise frettolosamente, gli baciò una guancia, poi le labbra – Va tutto bene: la riapertura è stata un successo, i clienti sono stati soddisfatti, e il mio pasticciere, nonchè ragazzo, ancora una volta si è dimostrato indispensabile per me.”
“Stai mentendo… - le disse con voce pacata e ferma Cole, guardandola con la coda dell’occhio – ma va bene, davvero. Dopo tutto ognuno di noi ha dei segreti, pensieri che non vuole condividere, e questo mi sta bene. Se ne vorrai parlare, più tardi o nei prossimi giorni, sai dove trovarmi.”


 

**



“Un anno… - disse lei in un sussurro quasi impercettibile, alzando gli occhi dalla tazza di caffè che stringeva tra le mani, rivolgendo l’attenzione a Cole - Avrebbe avuto un anno, lo avrebbe compiuto in questi giorni, ed io non riesco a smettere di pensarci…”
Cole sospirò, posò sul ripiano del tavolo il bicchiere di succo d’arancia, e indirizzò uno sguardo preoccupato verso la sua ragazza.
“Non puoi continuare a tormentarti così, Charlotte, non puoi permettere ai tuoi fantasmi di prendere il sopravvento: non è salutare, non è giusto, non ti farà bene.”
“Quindi cosa dovrei fare, uh? Fare finta che non sia mai successo nulla, di non aver mai avuto un fratello, un incidente, di non aver mai… - la voce di lei si spezzò – Non posso, Cole, non ci riesco.”
“Non puoi rovinarti la vita con le tue stesse mani, non puoi continuare a pensare al passato, alla tua non vita; piuttosto dovresti pensare al futuro, alle persone che ti vogliono bene, che sono vive, a costruire qualcosa di concreto e reale con loro.”
“Con te vorrai dire.” Lo corresse piccata lei, per nulla contenta dei toni utilizzati da Cole, picchiettando nervosamente con i polpastrelli sulla tazzina di ceramica.
“Certo, anche con me. Dopo tutto sono o non sono il tuo ragazzo? – chiese retoricamente – Praticamente viviamo insieme, ci conosciamo da quasi due anni, ci amiamo, quindi perché no? Perché non dovrei pensare ad un futuro insieme, un futuro in cui potrebbero esserci altri figli?”
“Pensi davvero che io possa renderti felice e darti dei figli? Credi davvero che un giorno ce ne saranno? – rise – Massì, perché no? Dopo tutto anche io mi sono ritrovata a fantasticare su di un paio di marmocchi che scorrazzano allegri per casa, uno o due figli con capelli ricci e biondi e gli occhi scuri.”
“Lo hai fatto, davvero?” chiese lui, stupito da una simile rivelazione.
“Certo. Perché no? Ti sembra così strano che io possa fantasticare su queste sciocchezzuole tipiche delle ragazze comuni tutte rose e fiori?”
“No, certo che no, è solo che… - Cole fece una pausa e soppesò le parole da utilizzare successivamente – Sei sempre così cinica e ogni volta che abbiamo parlato di un futuro, di una famiglia, tu hai sempre stroncato la conversazione sul nascere e mi hai fatto intuire di non volerla, di non essere interessata.”
Si guardarono dritto negli occhi e lui proseguì: “Non fraintendermi, so bene cosa hai passato, le conseguenze dell’incidente, e proprio per questo…”
“Il fatto che io sia difettosa non significa che non desideri un bambino tutto mio; solo perché sono difettosa non significa che non abbia dei sogni, dei progetti, un mio personale ed egoistico modo di immaginarmi il futuro, un futuro che so che rimarrà solo un cumulo di speranze vane e sciocchezze.”
“Ecco, vedi, è proprio di questo che parlavo! – esclamò Cole, indicando con una mano qualcosa di non ben definito – Questo tuo atteggiamento negativo, questo vedere sempre il bicchiere mezzo vuoto: io non lo capisco, proprio non riesco a comprenderlo, non…”
“Non riesci, Cole, davvero? – rise algida – Dopo tutto questo tempo passato insieme davvero non riesci a capire, non riesci a capire quanto io sia stata segnata dagli eventi, quanto io ne abbia sofferto, ne sia uscita distrutta.”
“Non dico questo, so quello che hai dovuto affrontare, solo non capisco…  - fece una pausa, prese un respiro profondo prima di continuare – Non capisco perché tutto questo vittimismo, perché tu debba fare queste scenate ogni volte che l’occasione si ripresenta…”
“Non capisci, Cole? Non capisci? – gli fece il verso lei, alzandosi dal tavolo, scuotendo la testa – Beh, allora potrai capirlo quando perderai tuo fratello e il figlio che portavi in grembo nella stessa sera, a causa di uno stupido incidente stradale, quando proverai quello che ho provato io. Fino a quel momento risparmiati e risparmiami la tua comprensione e non cercare di passare per quello che sa come ci si sente perché è logico che tu non lo sai, Cole: tu non sai un bel niente.”
“Forse no, - le disse Cole, guardandola severo, bloccandola sullo stipite della porta prima che lei potesse lasciare la stanza – ma so cosa si prova a perdere un padre, vederlo svanire giorno dopo giorno senza poter fare nulla. Forse te lo sarai scordato, presa come sei dal tuo egocentrismo, ma è quello che sta capitando a me: mio padre sta morendo e l’impotenza che per mesi ha tormentato te è la stessa che sta tormentando adesso me, quindi ti prego non venirmi mai più a dire che non so come ci si sente. So benissimo come ci si sente, e tu non sei l’unica qui ad aver provato il dolore della perdita, l’unica vittima di questa merdosa vita.”
“Io… - Charlie tentennò, per la prima volta da quando avevano iniziato quell’ennesima discussione assurda si sentì in colpa, pentita – Mi dispiace, scusami.”
“Sì, anche a me. – concordò Cole, passandosi una mano tra i folti capelli neri, alzandosi a sua volta – Ed è proprio per questo che credo sia meglio prenderci una pausa.”


 
**



Sin da bambina il fiume Swale, a pochi passi dalle rovine del Castello di Richmond, era sempre riuscita a calmarla, il lento scorrere delle sue acque l’aveva aiutata a schiarirsi le idee e farle passare la rabbia, la tristezza, la delusione.
Cole le aveva proposto una pausa di riflessione, si era detto troppo incasinato per pensare e badare anche ai suoi di casini, e lei non gli aveva dato torto: dopo tutto era sempre stata una ragazza difficile, dopo l’incidente era diventata ancora più complicata e ingestibile, e spesso si era chiesta se ne valesse la pena, se le attenzioni e le premure di Cole fossero meritate.
Con lui accanto si era sempre sentita sicura, protetta, a volte anche giustificata a fare quello che aveva fatto, battere i piedi come una bambina, prendersi diritti che non le spettavano; a lui aveva prosciugato tutta la pazienza, tutta la comprensione, lasciando solo frustrazione e impotenza.
Lanciò il mozzicone di sigaretta che aveva fumato nei minuti precedenti nel vento, si portò nuovamente le gambe al petto, le circondo con entrambe le braccia e si domandò perché i vent’anni fossero così estenuanti: dopo tutto, i suoi coetanei sembravano felici, pieni di sogni e di speranze, facevano progetti per il futuro, mentre lei era un totale disastro, colma di tutti quei cadaveri che si portava dietro.
Tutti quei fantasmi, legati alla schiena…


“Charlotte?” una voce alle sue spalle la destò, e girarto di scatto lo sguardo fu sbalordita nel ritrovare poco lontano, mani in tasca e occhiali da soli inforcati nonostante le nubi in cielo, Dexter Freeman.
Poi, però, come una memoria lontana nel tempo ricordò che quello era stato prima di tutto il suo posto – il suo e quello di suo fratello Matt, il luogo in cui si rifugiavano per scappare dai problemi -  e questo giustificava la sua presenza lì, spiegava il loro imprevisto incontro.
“Cosa ci fai qui? Va tutto bene, stai bene?” chiese ancora, avvicinandosi a lei.
Non rispose: rapida si alzò dall’erba verdeggiante, a grandi falcate lo raggiunse e, facendogli quasi perdere l’equilibrio, l’abbracciò stretto e liberò tutta la sua frustrazione e il suo dolore sotto forma di pianto a dirotto.
Dexter non disse più nulla, si limitò a stringerla al suo corpo – nello stesso modo in cui aveva fatto tantissime volte, nello stesso modo in cui aveva fatto quasi dieci anni prima, quando si erano detti addio prima della sua partenza per Londra – fino a quando i singhiozzi cessarono insieme al pianto e, sempre in silenzio, si sedettero sull’erba accoccolati l’uno accanto all’altra ad osservare il lento scorrere del fiume.



 
*



Angolo Autrice: Perdonatemi, so di pubblicare questo capitolo con un ritardo mostruoso, ma ora una cosa e ora un'altra non sono riuscita a farlo prima. Spero, comunque, di essermi fatta perdonare con questa nuova pubblicazione in cui finalmente scopriamo ogni cosa - o quasi - del passato di Charlotte, sui retroscena dell'incidente che ha provocato la morte di Matt. Tutto sarà chiarito meglio nel prossimo, un capitolo che prevedo sarà molto introspettivo, dedicato ai nostri due protagonisti.
Grazie, come sempre, a tutti voi che seguite la storia e recensite.
Alla prossima,
V.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** 16. ***


 







Dexter Freeman lanciò l’ennesimo sguardo pieno di dubbi e preoccupazioni in direzione di Charlotte.
La ragazza continuava ad osservare con occhi spenti il lento scorrere del fiume davanti a loro, le lacrime versate un vago ricordo nonostante le guance ancora arrossate, e non aveva detto nulla in quei minuti interminabili, neanche una parola, mantenendo una quasi insopportabile distanza tra loro nonostante fossero abbracciati l’uno all’altra.
Sin da piccola era sempre stata una bambina silenziosa, chiusa nel suo mondo dalle mura invalicabili, e con una punta di rammarico Dexter notò che questo suo aspetto caratteriale era rimasto invariato negli anni.
Nessuno, eccetto suo fratello maggiore Matt, era mai stato in grado di leggere i suoi pensieri, riuscire nell’ardua impresa di strapparla al suo mutismo, alla sua solitudine, e farle tornare il sorriso sul viso dai lineamenti dolci che Dexter aveva sempre trovato irresistibile.   
Purtroppo, però, suo fratello non era più tra loro e lo scrittore era rientrato da troppo poco tempo nella sua vita per ritenersi in grado di capirla completamente – sarebbe stato presuntuoso da parte sua, specialmente dopo tutto quello che lei aveva passato, i segreti che ancora gli nascondeva – e intuire la causa della sua profonda tristezza.

“Charlie, - la chiamò finalmente, deciso a scoprire cosa le fosse capitato, come aiutarla – te la senti di dirmi cosa è successo?”
La ragazza alzò gli occhi, incontrando quelli di lui, e sospirò: “Non sei obbligato a rimanere qui con me, tantomeno ad ascoltare i miei problemi; conosco i tuoi, e credimi quando ti dico che non hai bisogno di altre preoccupazioni, di pensare alla mia vita incasinata…”
“No, non sono obbligato, ma è quello che voglio. – le disse lui con tono di voce serio – Siamo amici, Charlotte, amici da sempre e vederti in questo stato mi spezza il cuore. Ti ho lasciato da sola fin troppe volte, ho fatto tanti errori con te, e questo non sarà l’ennesimo.”
“Dex…- la voce di Charlotte si spezzò, le sue labbra si assottigliarono, i suoi occhi chiari andarono altrove – Sai che non ti incolpo di nulla: hai fatto quello che hai fatto perché era ciò che pensavi fosse giusto, il meglio per entrambi, per il mio futuro. All’epoca ero così giovane, appena diciottenne, e venire con te a Londra…”
Fece una pausa e concluse: “Sarebbe stato un errore, avremmo finito per odiarci, per rinfacciarci cosa orribili. Credimi, Dex, è stato meglio così per entrambi…”
“Forse, o forse no. Magari saremmo stati felici insieme, tu saresti stata la mia musa, e io ti avrei dato tutto il mio supporto negli studi; magari i sogni di entrambi si sarebbero avverati e nessuno dei due avrebbe fatto lo sbaglio di finire con le persone sbagliate, persone che non hanno fatto altro se non farci soffrire.”
Portò una mano sotto il mento di lei, afferrandolo delicatamente tra l’incavo del pollice e dell’indice, e con un sorriso malinconico confessò: “In questi mesi mi sono chiesto più volte come sarebbe stato, nel corso di questi anni mi sono ritrovato a rimuginarci sopra, e ora che ci siamo nuovamente ritrovati ho capito che una parte di me non ti ha mai dimenticata.”
“E invece avresti dovuto! – esclamò lei, quasi con rabbia, alzandosi dall’erba verde e sovrastandolo – Non ti avrei mai reso felice, sarebbe stato un disastro, e sai perché? Perché io distruggo tutto quello che tocco e chi mi sta intorno alla fine finisce sempre per andarsene per sempre. Lo ha fatto Gaspard, lo ha fatto Matt, lo hai fatto tu, persino il mio…”
Lasciò bruscamente la frase in sospeso, si morse forte il labbro inferiore, e senza rendersene conto portò le mani sul ventre che un tempo aveva racchiuso la vita del suo povero bambino.
“Anche Cole mi ha lasciato, sai? – rivelò alla fine – Ha detto che ha bisogno di una pausa, che non ce la fa più a farsi carico dei miei problemi, che sono diventata un peso insostenibile. Alla fine ho fatto scappare anche lui, ho distrutto anche l’ultima relazione che mi era rimasta, e la colpa è solo mia.”
“Forse non ti ama abbastanza…”
“O forse sono io che non lo amo abbastanza da mettere da parte tutti i miei problemi per dare priorità ai suoi; forse sono troppo egoista per prendermi cura di lui come lui si è preso cura di me in quest’ultimo anno e mezzo… - una lacrima tornò a rigarle il viso – Forse restare da sola è quello che merito.”
“Basta, smettila di dire certe sciocchezze! – Dexter si alzò di scatto e le prese il  viso tra le mani – Nessuno merita la solitudine, tantomeno tu, inoltre non puoi essere sola perché hai me.”
Avvicinò lentamente il suo viso a quello di lei e a pochi centimetri dalle sue labbra appena dischiuse disse ancora: “Hai me, Charlotte, e ti prometto che mi prenderò cura di te e non ti lascerò mai più sola.”
“Dex… - cercò di dire lei con voce insicura, chiudendo la sua mano attorno al polso di lui, deglutendo a fatica – Dexter, non puoi essere…”
Non finì mai la frase: Dexter eliminò qualsiasi distanza tra loro e senza preavviso posò con forza le labbra su quelle di lei.
Da settimane sognava di poterla nuovamente baciare, il momento in cui avrebbe dato sfogo alla sua folle voglia di assaporare dopo dieci anni le sue labbra, e quella volta nessun telefono gli avrebbe impedito di giungere al suo scopo.
Charlotte sussultò, sorpresa, e spalancati gli occhi non rispose subito al bacio; solo successivamente, forse anche grazie al braccio di Dexter che circondava la sua vita, si rilassò completamente e lo ricambiò con altrettanta impazienza.
Per entrambi fu come tornare indietro nel tempo, a dieci anni prima, fu come se nulla fosse cambiato: le loro labbra, le loro mani, tutto del loro corpo tornò ad essere semplicemente familiare.
Si inebriarono del profumo dell’altro, le loro bocche si assaporarono con lentezza, e come per magia i fantasmi dei loro rispettivi passati si dissolsero come neve al sole e furono dimenticati.

“Dexter… - sussurrò lei a corto di fiato quando il baciò terminò, posando le mani sul petto di lui e facendo un passo indietro – Non posso, non possiamo, non è giusto per nessuno dei due.”
“Sì che possiamo, possiamo ora più che mai, ora che entrambi siamo liberi dal nostro fantasma e dai legami che ci hanno tenuti lontani durante tutti questi mesi.”
“Se solo fosse così facile… - sorrise lievemente – Ritrovarti è stata la cosa migliore che mi sia capitata dalla morte di Matt, la nostra amicizia significa molto, ma la verità è che tu non sai niente di me; sei ancora legato alla diciottenne che sono stata, è lei che desideri, non l’incasinata Charlotte che ti sta davanti.”
“Allora perché non mi permetti di conoscere tutto di te, di lasciarmi entrare, di aiutarti? – chiese posando le mani sulle sue spalle – Credi davvero che mi allontanerei dopo tutte le cazzate che ho fatto? Io, un ex alcolizzato, uno che non ha mosso un dito per salvare il suo matrimonio, che ha fallito in tutto?”
“Neanche sapere quello che è accaduto in Francia, quello che è successo tra me e quello che sarebbe dovuto essere esclusivamente il mio mentore, la mia decisione scellerata di intraprendere una relazione con lui nonostante sapessi del suo matrimonio e diventare la sua amante?”
“Tutti facciamo cose di cui ci pentiamo, ma nessuno decide chi amare, e anche se le tue scelte ti hanno portato qui so che tu hai amato Gaspard; lo leggo nei tuoi occhi, dal modo in cui ne parli, dal dolore che provi.”
“Non è solo questo… - disse senza guardarlo – C’è molto che non sai, altre cose che mi sono successe e che mi impediscono di andare avanti con la mia vita, che per sempre mi impediranno di averne una normale.”
“E’ per l’incidente, vero? E’ qualcosa che è successa quella dannata notte?”
“Sì… - ammise finalmente – Sì, riguarda l’incidente e le sue conseguenze, il posto dal quale stavamo tornando io e Matt quella sera.
Se solo io non avessi mai permesso a Gaspard di entrare nella mia vita, se solo fossi stata più lungimirante e attenta, adesso Matt sarebbe vivo.”
“Charlotte, piccola, se solo…” cercò di accarezzarle il viso ma lei si scostò e fece qualche passo indietro.
“So che mi vorresti aiutare, Dexter, so che vorresti prenderti cura di me; anche Cole ci ha provato, ha fatto del suo meglio, ma non credo di poter essere salvata da nessuno di voi due.
Questi sono i miei fardelli, capisci, i fantasmi che mi porterò per sempre dietro e che non mi abbandoneranno mai. Sono difettosa, Dex, sono un caso perso e non dovresti perdere il tuo tempo con una come me.”
“Io credo che tu abbia soltanto bisogno di tornare ad avere fiducia in te stessa, ad essere felice, amare come un tempo hai amato. – prese una sua mano tra le sue e la strinse – So che dentro di te hai ancora tanto amore da dare, so che puoi farcela, che se più forte di così.”
“Ti sbagli, Dexter, ti sbagli. – ancora una volta si liberò dalla sua presa e si allontanò – E ora scusami ma è meglio che vada a casa.”
“Bene, come vuoi, ma permettimi almeno di accompagnarti. Si sta facendo buio e non sei nelle condizioni di guidare.”
“Mi sembra una proposta saggia. – rispose pacata – Sì, va bene, accompagnami a casa.”


 

**



Quando rientrò a casa trovò le luci spente, nessuna radio accesa in sottofondo, nessuna voce squillante e allegra ad accoglierla.
Cole era andato via, aveva lasciato un biglietto sul tavolo del soggiorno in cui le scriveva che era tornato a casa, che il giorno dopo sarebbe partito di buon’ora verso casa dei suoi genitori per stare vicino al padre malato; scriveva che gli dispiaceva, che nonostante tutto ci teneva a lei e l’amava, e di perdonarlo per essere stato egoista e averla lasciata in quel momento delicato.
Terminata la lettura di quelle poche righe Charlotte accartocciò l’improvvisata lettera e la lanciò lontano, sprofondando successivamente in un nuovo vortice di depressione e impotenza.
Se solo fosse stata più saggia, meno egoista, più forte di com’era. Se solo non avesse commesso tutti quegli errori, chiesto così tanto a suo fratello, se solo…
Basta, basta, basta!
Charlotte si prese la testa tra le mani e chiuse gli occhi: la vocina nella sua testa era tornata a farsi sentire prepotentemente, le rinfacciava ogni errore, ogni scelta, la riteneva responsabile di tutte le sciagure avvenute.
Non era la prima volta che si trovava in quella situazione, era già successo un anno e mezzo prima, e l’unica soluzione trovata per metterla a tacere era stata la bottiglia.
“Magari se ne prendessi solo un sorso, giusto un bicchiere…”
Lanciò uno sguardo verso l’ingresso, verso la borsa posata sul pavimento di marmo, al cui interno c’era il portafoglio con i soldi: prendere una banconota da 20£, scendere le scale, arrivare al negozio di liquori più vicino – a neanche due isolati c’era un negozietto niente male che ne vendeva di tutti i tipi – e comprare una bottiglia di whiskey sarebbe stato un gioco da ragazzi.
Nessuno lo avrebbe saputo, neanche Cole, sarebbe stato il suo piccolo segreto. Solo una volta, una volta soltanto, per far zittire la voce e riuscire ad andare avanti senza impazzire; solo una volta e poi avrebbe ripreso l’astinenza.

In fretta e furia si alzò dal divano, afferrò la borsa e uscì di casa richiudendosi alle spalle la porta d’ingresso; si precipitò verso le scale, scese la prima rampa, ma proprio quando stava per arrivare al piano sottostante qualcosa la fece fermare di colpo.
No, non poteva farlo, non poteva mandare all’aria tutti i sacrifici fatti.
Cosa avrebbe detto Matt vedendola in quel momento, cosa avrebbe detto Cole, e Dexter? No, non poteva deluderli in quel modo, non così.
Ma allora cosa fare? Si morse un labbro, pensierosa, e alla fine ritornò sui suoi passi e al posto che scendere iniziò a salire fino ad arrivare davanti ad una porta che aveva imparato a conoscere bene nei mesi appena passati.
Senza indugio suonò il campanello e attese che lui le aprisse la porta; quando lo fece, lo stupore nei suoi occhi fu palese, la sorpresa di ritrovarsela davanti dopo una manciata di ore dal loro ultimo incontro complicato tangibile.
“Posso entrare, Dex? – chiese supplicante - Ho bisogno di parlare con qualcuno, di stare con qualcuno, ho bisogno di te.”


 


*



Angolo Autrice: Salve, gente! Capitolo intenso, in cui finalmente accade qualcosa tra Dexter e Charlotte, un passo non indifferente verso quello che succederà nel prossimo. Il momento della verità è praticamente arrivato, Charlotte non può più nascondersi, e chissà che non succeda anche altro... :3
Spero che vi sia piaciuto, vi chiedo perdono per l'attesa ma in questo periodo ho pochissimo tempo libero, e ringrazio come sempre tutti voi che seguite e recensite.
Alla prossima,
V.

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** 17. ***




 






Charlotte Harrison aveva bussato a quella porta senza pensarci troppo, la sua unica preoccupazione era stata quella di placare il desiderio di attaccarsi nuovamente alla bottiglia, e solo quando Dexter le si parò davanti realizzò di non aver neanche per un secondo preso in considerazione la reazione dell’amico.
E se lui le avesse chiuso la porta in faccia? Se non fosse stato disposto ad ascoltare nuovamente i suoi problemi, non dopo quello che era successo quel pomeriggio, dopo il bacio e il rifiuto.
Faceva male, troppo male, scoprire quanto avesse bisogno di lui in quel momento, delle sue parole e del suo supporto, e la sola possibilità di ritrovarsi con una porta sbattuta in faccia rese quei secondi di silenzio ancor più terribili.
“Entra.” Disse semplicemente, in un sussurro calmo e quasi impercettibile, scostandosi leggermente per farla entrare.
La casa era in ordine, dal salone confinante con l’ingresso proveniva un vociare ovattato appartenente ad un presentatore televisivo rinchiuso nella scatola magica a schermo piatto, e nell’aria c’era un buon profumo di manicaretti al forno.
Dexter era sempre stato bravo in cucina, bravo per quanto un uomo possa esserlo, e sin dai suoi primissimi mesi passati a Londra aveva fatto del suo meglio per imparare i rudimenti della cucina e cavarsela da solo: il risultato erano stati degli sformati di patate niente male, vari secondi di carne con altrettanti contorni, e persino un tiramisù decente.
“Accomodati. – le disse, cercando di apparire tranquillo, di sopprimere la voglia di chiederle cosa fosse accaduto e di abbracciarla stretta – Stavo riscaldando un pasticcio di carne in crosta, e credo ce ne sia abbastanza per due persone, quindi se vuoi…”
“No, grazie, non ho fame.” Rispose con garbo lei, sedendosi sul divano di pelle dall’aria costosa e iniziando a torturarsi le mani come sempre faceva quando qualcosa non andava.
Fece un cenno con la testa, qualche passo verso il piccolo cucinino, poi nuovamente indietro, verso quella che come mai prima gli sembrava una ragazzina impaurita, l’adolescente curiosa e sempre nei guai che un tempo era stata e che lui aveva amato a modo suo.
“Ti prego, Charlie, dimmi cosa c’è che non va. – le disse a pochi passi da lei, posando una mano sullo schienale del divano, mantenendo una certa distanza per concederle i suoi spazi – E ti prego, ti prego, sii sincera.”
Charlie alzò lo sguardo, girò lentamente il viso verso di lui, lui che notò i suoi occhi velati e stanchi, il suo viso più pallido del solito e la sua fragilità:
“Stavo per fare qualcosa di sbagliato, di molto sbagliato; stavo per mandare nuovamente tutto a puttane, nella mia solitudine ho pensato di impazzire, di non essere abbastanza forte.
E forse lo sono, una debole, una che non riesce a restare a galla con le proprie forze, senza un salvagente a cui aggrapparmi, qualcuno che non mi lasci annegare nel mare profondo dei miei tormenti.”
Sospirò, continuò a guardarlo dritto negli occhi, e proseguì: “Credo sia arrivato il momento di raccontarti tutta la mia storia, quello che è successo nell'ultimo anno e mezzo, tutto quanto. – disse con voce estremamente calma – Credo che sia inevitabile, l’unico modo se voglio il tuo aiuto, per permetterti di aiutarmi davvero.”
“Sai che non ti giudicherò, non potrei mai; - la tranquillizzò, sedendosi accanto a lei, lasciando sempre dello spazio tra di loro – sai che di me ti puoi fidare, che puoi parlare, che non farò nulla per farti sentire in colpa.”
“Lo so, lo so, ed è per questo che inizierò a raccontarti tutto dall’inizio. – annunciò lei, abbozzando un sorriso nonostante tutto, nonostante il dolore che provava e che avrebbe provato nel riportare a galla quei ricordi – Inzierò raccontandoti di come è finita con Gaspard, del perché è finita, del mio ritorno in grande stile in Inghilterra.”
Si morse l’interno del labbro inferiore e prese un lungo respiro prima di iniziare il racconto:
“Devi sapere che quando Gaspard ed io abbiamo iniziato la nostra relazione lui stava passando un profondo periodo di crisi con sua moglie: avevevano avuto da qualche mese un bambino, un bambino che inizialmente lui non aveva voluto, e che era stato il motivo scatenante del loro allontanamento.
Spesso mi raccontava di come si sentisse oppresso, dei suoi sospetti sulla moglie, su come quest’ultima lo avesse incastrato con una gravidanza smettendo di prendere la pillola senza dirglielo.
Non era adatto a fare il padre, lui, non ne aveva l’indole ma essendo incastrato in un matrimonio con una donna bella, giovane e facoltosa, una donna che aveva sposato per amore oltre che per denaro, aveva accettato suo malgrado la situazione e l’idea di avere un figlio con lei.
Poi è iniziata la nostra storia, la mia prima storia, una storia in cui io ero entrata inesperta, vergine, in cui mi sono lasciata guidare da lui, modellare come un pezzo di creta si fa modellare da un artista, ed è stata proprio questa mia inesperienza a costarmi caro. – sorrise amaramente – Non avevo un ginecologo a Parigi, ero là momentaneamente, e non prendevo alcuna pillola, le uniche precauzioni erano i preservativi.
Tutto andava bene, sapevo che lui non avrebbe lasciato la moglie, non in un futuro prossimo e anche se alle volte la parte dell’amante mi stava stretta prendevo quello che lui mi dava e mi accontentavo.”
“E poi? – chiese lui con una sfumatura di preoccupazione – Poi cosa è accaduto?”
“Quello che forse hai immaginato: sono rimasta incinta.”
Lo aveva detto, finalmente lo aveva ammesso ad alta voce, lo aveva confessato ad una persone diversa da Cole o da Matt.
Solo loro due sapevano, neanche i suoi genitori erano stati messi al corrente della cosa, e ora che anche Dexter lo sapeva la confessione fu per lei liberatoria e piena di timore per ciò che avrebbe pensato al tempo stesso.
“Sono rimasta incinta, e lui andò su tutte le furie, chiuse immediatamente la relazione e mi intimò di lasciare la casa a nord di Montmartre in cui mi aveva concesso di abitare dai primissimi mesi della nostra relazione.
Mi stacco persino un assegno per abortire, duemila euro, ma io lo strappai in mille pezzi e gli dissi di pulirsi il culo con quei soldi.
Due giorni dopo mi ritrovai sull’aereo per Londra, tornai a Richmond dopo tre giorni esatti, e quando mi presentai alla pasticceria di Matt senza preavviso e con quella altrettanto inaspettata notizia lui mi diede della sciocca, disse che ero stata una folle a immischiarmi in una relazione con un uomo sposato, una sconsiderata per essere rimasta incinta: litigammo molto quella sera, la stessa sera in cui conobbi Cole, ma passata la rabbia lui tornò il solito Matt e si offrì di aiutarmi con quella spinosa situazione.
Era pronto ad aiutarmi a crescere il bambino, a darmi il suo sostegno economico nonostante fosse pieno di debiti, ma tu sai com’era Matt…”
“Sempre pronto ad aiutare tutto e tutti, a dare una mano, in prima fila quando c’era bisogno di un aiuto.” Disse lui, scambiandosi un malinconico sorriso con Charlotte, lasciandole nuovamente la parola.
“Tre giorni dopo andai da un ginecologo. Volevo abortire, ero decisa a terminare la gravidanza e dimenticarmi di quella storia, e chiesi a Matt di accompagnarmi per darmi sostegno.
Ero convinta della mia scelta, o almeno così credevo prima dell’ecografia, prima di realizzare davvero che dentro di me stava crescendo una vita: dopo l’ecografia mi resi conto di non poterlo fare, non perché quello fosse l’ultimo legame tra me e Gaspard o stronzate del genere, ma perché quello era mio figlio e non potevo ucciderlo.
Lo dissi a Matt, il quale capì e fu in parte anche contento del mio ripensamento, e insieme ci rimettemmo in macchina per tornare a casa.
Pioveva molto quella sera, lo studio medico non era a Richmond ma a Darlington, - non volevo destare sospetti, rischiare che qualcuno mi vedesse, che iniziassero a circolare voci – così prendemmo la A1 per tornare.
Stavamo parlando, Matt stava già facendo progetti riguardo culle e tutine, neanche fosse stato lui il padre, quando improvvisamente qualcosa attraversò la strada e lui…”
Charlie chiuse gli occhi e strinse la mano di Dexter: non aveva mai più parlato dell’incidente, almeno non con persone che non fossero medici, e sapeva che quel racconto era doloroso tanto per lei quanto per l’amico.
“Ha perso il controllo, la macchina si è andata a schiantare, la parte del guidatore si è accartocciata insieme a quella anteriore, e quando i soccorsi sono arrivati per lui era troppo tardi. – alzò gli occhi al cielo per impedire alle lacrime di piangere e si passò una mano sul viso – Anche per il mio bambino non ci fu nulla da fare, l’impatto mi aveva causato un aborto spontaneo, un’emorragia violenta che ha dato ai medici molte preoccupazioni.
Quando tornai cosciente e fui abbastanza forte da reggere l’ennesima notizia devastante i medici mi dissero che le probabilità di rimanere nuovamente incinta sarebbero state molto basse, che l’impatto mi aveva danneggiato molto più di quanto pensassero, che erano spiacenti.”
Fece un’ultima pausa prima di concludere il doloroso racconto, scrollò le spalle, si sforzò di sorridere nonostante tutto: “La dottoressa quella sera mi disse che la nascita era prevista in Aprile, nella prima metà del mese, e quando l’altro giorno mi sono accorta della data sul calendario, quando ho realizzato che, se le cose fossero andate diversamente, avrei avuto un perfetto e sano figlio di un anno da accudire e amare sono crollata e caduta nuovamente nella depressione.
Ecco perché ho dato di matto con Cole, ecco perché lui mi ha lasciata, il motivo per cui oggi mi hai trovata vicino al fiume  a fissare il vuoto.
Questa è la storia, tutta la storia, senza filtri e senza omissioni.”


“Charlotte, piccola, io… - Dexter era visibilmente sconvolto, aveva fatto di tutto per non darlo a vedere, ma i suoi occhi azzurri lo tradivano – Mi dispiace. So che sembra una cosa stupida, banale, persino poco originale da dire ma è quello che sento. Mi dispiace che tu abbia dovuto sopportare tutto questo, tutte queste perdite, questo dolore: non oso immaginare cosa voglia dire perdere un figlio e un fratello nella stessa sera, essere da sola ad affrontare questo dolore, e non ti biasimo per aver trovato conforto nella bottiglia.”
“Non ho mai detto nulla del bambino ai miei, loro non l’hanno mai saputo, e con la morte di Matt l’unico che sapeva era Cole. Così mi sono avvicinata molto a lui, senza accorgermene era diventato il mio migliore amico, e con il passare del tempo qualcosa di più. – parlare di Cole la faceva sentire ancora più male per com’erano andate le cose tra loro, sapeva quanto fosse in debito con lui, quanto lui meritasse di meglio – A modo mio lo amo, devi credermi, eppure quando sono con te…”
“Quando sei con me?” chiese retoricamente, incitandola a proseguire.
“Lo sai, Dex, lo sai benissimo. Anche tu provi quello che provo io, questa irresistibile attrazione, questa complicità. – lentamente annullò le distanze tra i loro corpi, le loro gambe si scontrarono, così come le loro braccia – Siamo legati, io e te, non solo dal passato ma da tante altre cose: entrambi abbiamo provato la perdita, il fallimento, la depressione e la dipendenza.
Ci siamo amati, io ti ho amato e tu hai amato me, e non so se questo amore sia svanito come fino al tuo ritorno ho creduto.”
“Charlie…”
“Puoi abbracciarmi? – chiese, apparendo ai suoi occhi non più come una giovane donna ma come una bambina, la tenera e vivace bambina dai capelli biondi racchiusi in trecce che era stata – Solo abbracciarmi, tenermi stretta, niente di più. Ho bisogno di…”
“Non hai bisogno di dire altro. – Dexter circondò il corpo di lei con le sue braccia – Vieni, stringiti, non preoccuparti. So che adesso sembra difficile, so che ti senti impotente, di essere ritornata al punto di partenza ma vedrai che tra qualche giorno tutto apparirà migliore.”
Le baciò il capo e accarezzò pigramente i suoi capelli: “E, per quanto possa valere, neanche io credo che quel sentimento sia svanito. Credo, in fondo al mio cuore, di provare ancora qualcosa per te.”
Charlotte alzò lo sguardo, arrossì senza neanche accorgersene, e timidamente allungò il viso verso quello di Dexter fino a trovare le sue labbra. Fu un bacio molto più dolce del precedente, senza troppe pretese, un semplice contatto di labbra contro labbra capace di far sentire meglio entrambi.
“Posso rimanere qui con te? – chiese terminato il bacio – Stanotte?”
“Fino a quando vorrai, bimba. Puoi rimanere fino a quando lo vorrai.”


 


*

 


Angolo Autrice: Salve, gente! Mi scuso per il ritardo nell'aggiornamento ma è un periodaccio! Spero che il capitolo vi sia piaciuto, non mi dilungherò molto perchè credo si commenti da solo, dico solo che finalmente ogni cosa del passato di Charlotte è stata scoperta.
Grazie, al solito, a tutti coloro che leggono in silenzio, che seguono e che recensiscono!
Alla prossima,
V.

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** 18. ***


 




 
 
Dexter Freeman aprì lentamente gli occhi, lo sguardo assonnato e vacuo percorse la penombra della stanza, osservò distrattamente i tiepidi raggi del sole che strisciavano sottili da dietro le pesanti tende scure.
Dalla freddezza di quella luce, lo scrittore capì immediatamente che sarebbe stata l’ennesima mattinata grigia, e portate la braccia in alto si stiracchiò e ringraziò di non avere alcun impegno che lo costringesse ad affrontare il freddo della giornata.
Si passò la lingua sulle labbra secche, inumidendole quel tanto che bastava, e con la coda dell’occhio osservo Charlotte ancora assopita accanto a lui: riposava in posizione fetale, sembrava una bambina, e le ciocche di capelli ricadute sul suo viso lattiginoso la facevano apparire ai suoi occhi ancor più eterea e bella.
Sorrise, ricordando la notte appena trascorsa, il calore del suo corpo abbracciato al suo e i baci umidi e passionali che si erano scambiati.
Per Dexter era sembrato di essere tornato indietro nel tempo, di essere nuovamente un ragazzino con la testa piena di fantasie e sogni, uno sciocco sentimentale che perdeva le sue ore a scrivere poesie e osservare in lontananza la bellezza del mondo.
Piano, senza fare rumore, scostò le pesanti coperte dal suo corpo e con solo dei calzettoni di lana ai piedi uscì dalla stanza a passo felpato; raggiunta la cucina preparò il caffè, del pane tostato, e si sedette sul davanzale della finestra del piccolo cucinino in attesa che tutto fosse pronto.
Fuori il cielo era nuvolo come aveva immaginato, compatte nuvole grigie coprivano l’azzurro del cielo e facevano da scudo ai raggi del sole, dando alla città un aspetto che Dexter avrebbe definito nei suoi romanzi triste o tetro.
Sicuramente avrebbe piovuto più tardi, si disse, probabilmente avrebbe nevicato – una neve leggera, di quelle che si sciolgono non appena toccano il suolo, una delle ultime prima della bella stagione primaverile – e le strade si sarebbero riempite di odiose macchine incolonnate e strombazzanti piene di inglesi in procinto di lasciare la città per passare una domenica fuori porta o a casa di qualche parente che viveva nelle campagne vicine.
Sì, senza ombra di dubbio Dexter avrebbe passato quella domenica a casa, nel calduccio della sua modesta dimora a guardare una partita di rugby e mangiare un pranzo improvvisato.
Quello oppure…
Dexter scosse la testa e si vergognò per il pensiero appena avuto: per quanto fantasticare di passare la domenica sotto le lenzuola con Charlotte, nudi a fare l’amore, fosse un pensiero eccitante e allettante era pur sempre inappropriato e tipico di un ragazzetto appena entrato nella pubertà e sempre arrapato.
No, lui non era così, lui era razionale e concreto, non si sarebbe lasciato trasportare da quelle idiozie, da due ormoni pazzi che non vedevano una donna da troppo tempo.
Sospirò, passandosi una mano tra i capelli scarmigliati, e si domandò da quanto tempo non faceva sesso con una donna: sicuramente più di un anno, l’ultima volta era stata con una donna di cui non ricordava il nome, solo i lunghi capelli biondi, e in quell’occasione era stato talmente ubriaco da non riuscire ad avere neanche un’erezione decente.
Sì, era senza dubbio stato un fiasco grandioso, un po’ come il suo libro, e dopo quella catastrofe sessuale era stato troppo impegnato a firmare scartoffie per il suo divorzio e a bere fino a dimenticare il suo nome per scappare dietro alle gonne delle donne.
In quel momento il tostapane rilasciò con un rumore sordo le fette di pane tostate, destandolo dai suoi disastrosi ricordi, e sceso dal davanzale aprì il mobile sopra il lavabo, prese un piatto, e ci adagiò le suddette fette di pane.


“Buongiorno!”
La voce leggermente bassa e rauca di Charlotte lo fece sobbalzare appena, il piatto per poco non gli sfuggì dalle mani, ma nonostante questo sorrise.
“Scusa, non volevo spaventarti. – continuò con tono mortificato – Stavi preparando la colazione?”
“Nessun problema, dubito mi venga un infarto per così poco, - scherzò – e per quanto riguarda la tua risposta sì, sto preparando la colazione.”
Ora che ci pensava attentamente, si rese conto di non conoscere i suoi gusti in fatto di colazione, cosa preferisse bere al mattino o mangiare e ancora una volta si diede dell’imbecille.
“Spero che del caffè e dei toast imburrati con della marmellata ti vadano bene. – disse – Io non sono mai stato tipo da colazione salata al mattino, ma questo probabilmente te lo ricordi, però se vuoi dovrei avere un paio di uova in frigo.”
“Caffè e toast vanno benissimo, non preoccuparti.”
“Sicura? – chiese e lei annuì – Bene, allora vai pure in soggiorno e siediti dove più gradisci, io arrivo subito con tutto il necessario.”

Consumarono la loro colazione in silenzio, in sottofondo la voce del presentatore di un notiziario mattutino e qualche rumore ovattato proveniente dalla strada, entrambi alla ricerca delle parole giuste da dire dopo quello che era successo la notte passata.
Charlotte era stata ben con Dexter, accanto a lui era riuscita a non pensare al suo tragico passato, tra le sue braccia e nei suoi baci aveva trovato il calore e l’affetto di cui aveva bisogno. Era stata senza dubbio una notte speciale, non solo per lei ma anche per lui, ma adesso il sole era sorto e bisognava mettere in chiaro le cose.
“Vuoi fare qualcosa oggi?” chiese Dexter, spezzando il silenzio.
“Fuori piove, - disse lei, facendo notare per la prima volta al biondo le goccioline d’acqua che avevano iniziato da qualche minuto a bagnare i vetri – non è di certo tempo per una scampagnata, e di sicuro non ho alcun pranzo domenicale con i miei in programma.”
“Neanche io. – disse a sua volta Dexter – Rose e mia madre sono fuori città, dai genitori del marito di Rose, e torneranno in serata.”
“Allora opto per una tranquilla domenica da passare in pigiama a casa.”
O anche senza, magari nudi a rotolarci tra le coperte, mai sazi. – ancora una volta Dexter si maledì per quel pensiero, si domandò cosa gli stesse capitando, se fosse la vicinanza di Charlotte e il suo profumo a renderlo del tutto imbecille.
“O magari potremmo parlare una volta per tutte e mettere in chiaro il nostro rapporto.”
Charlotte trattenne il respiro, alzò gli occhi di scatto, si mosse improvvisamente scomoda sulla sedia lignea.
“Non fraintendermi, - continuò lui – so che ci sono ancora delle faccende in sospeso con Cole, che lui ha chiesto una pausa ma non ti ha lasciato definitivamente ma sappi che non so se riuscirei ad accettare l’idea di dividerti con un altro.”
“Sì, lo capisco, e non ti chiederei mai questo.”
“Il fatto è che sono già troppo incasinato di mio, Charlie, sono appena uscito dal tunnel dell’alcool e sto seguendo un percorso delicato che durerà ancora per molto. Ho bisogno di stabilità e tranquillità, non di stress e incertezze, di una donna che mi stia vicino e sia solo e soltanto mia. – sospirò – Il divorzio da Margaret è una ferita che brucia ancora, un fallimento che non riesco a perdonarmi, e anche se quello che provo per te è molto forte devo mettere me stesso al primo posto.”
“Le tue parole sono giuste e sagge, non posso darti torto, ma non puoi chiedermi di smettere di amare una persona da un giorno all’altro.”
“Quindi torneresti con lui se adesso suonasse alla tua porta, pentito e affranto, e ti chiedesse di perdonarlo per averti lasciato.”
Charlotte abbassò lo sguardo e iniziò a torturarsi le mani: cosa avrebbe dovuto rispondergli? Non sapeva cosa avrebbe fatto in quella circostanza, una parte di lei sicuramente l’avrebbe perdonata ma l’altra si sentiva ferita e tradita, non incline al perdono.
E poi lei amava anche Dexter, lo amava di un amore diverso e più innocente rispetto al modo in cui amava Cole, provava per lui un sentimento quasi platonico ma anche un’attrazione che la stava consumando lentamente. Magari, se si fossero lasciati andare, senza pensare al domani…
“Non lo so. – rispose sinceramente – Non lo so e mi odio per questa mia perenne indecisione, per essere sempre incasinata e indecisa, per non riuscire ad essere indipendente e prendere in mano la mia vita come vorrei. Non lo so perché credo di provare qualcosa di molto forte per te, qualcosa di diverso ma allo stesso tempo simile a quello che provo per Cole, e poi c’è questa attrazione che non riesce a tenermi lontano da te e a farmi smettere di desiderare i tuoi baci e di stringermi tra le tue braccia…”
“Lo so, è la stessa cosa che provo io, la sento anche ora… - Dexter si alzò lentamente dalla sedia, costeggiò il tavolo arrivandole accanto, le tese una mano aiutandola ad alzarsi a sua volta – Forse, per convincerti, dovrei lasciarmi sopraffare da questa passione e mostrarti ogni aspetto di ciò che potrebbe essere la nostra relazione.”
“Dexter…”
Lui le prese il mento tra il pollice e l’indice della sua mano sinistra, mentre l’altra si spostò sulla sua schiena, e avvicinò pericolosamente i loro visi:
“So che è folle, sciocco, che potremmo pentircene ma permettimi di mostrarti quanto ti desidero e permetti a te stessa di chiudere tutto il resto fuori da questa casa e concentrarti su noi due e quello che provi.”

Le sue labbra furono su quelle di Charlotte. La ragazza chiuse gli occhi, rispose immediatamente al bacio diventato quasi subito passionale, circondò le spalle di Dexter con entrambe le braccia.
Ritornare in camere da letto fu altrettanto facile: Dexter la sovrastò con il suo corpo, iniziandola a spogliare lentamente, permettendole di spogliarlo a sua volta.
Si erano già visti nudi, dieci anni prima, ma nonostante questo la sorpresa di lui fu grande nello scoprire che il corpo virgineo e fanciullesco di Charlotte era svanito ed era stato rimpiazzato da quello di una donna fatta e finita.
I suoi seni erano sempre rosei ma più pieni, il suo corpo era più formoso e attraente, e il suo pudore era scomparso: quella davanti a lui era una donna con esperienza, che aveva avuto degli uomini prima di lui, che sapeva come muoversi e cosa fare.
Charlotte sembrava quasi spregiudicata, piena di iniziativa, affatto imbarazzata della sua nudità e di quella di lui, e glielo dimostrò in più modi.
La bionda si morse un labbro per reprimere un sorriso notando le espressioni sorprese dello scrittore, si lasciò andare alle piccole carezze sul suo corpo, alle sensazioni provate percependo le grandi mani di Dex mentre le solleticavano l’interno coscia.
Ben presto, in uno spazio fuori dal tempo, entrambi trovarono la proprio tempo, il loro incastro perfetto, il proprio crescendo che esplose prepotentemente.

Quando tutto terminò, Dexter si lasciò lentamente crollare alla propria sinistra, voltò il viso verso di lei e dopo essersi scambiati un sorriso la baciò un’ultima volta a fior di labbra.
Charlotte, a sua volta, si accoccolò su di lui e nascose il viso nell’incavo del suo collo, lasciandosi solleticare dalla sua barba rossiccia, circondare dalle sue forti braccia.
Da quel momento in avanti nessuno dei due avrebbe potuto tornare indietro.


 

*



Angolo Autrice: Salve, gente! Chiedo perdono per l'immenso ritardo, ma tra gli esami prima e il blocco scrittore riguardo la fine di questa storia dopo è stato un periodaccio che non vi dico. Ma ora dovrei esserne uscita e il prossimo arriverà di sicuro molto presto! E vi anticipo anche l'ingresso di un nuovo personaggio a breve ;)
Spero che vi sia piaciuto, ringrazio coloro che leggono in silenzio, seguono la storia e recensiscono.
Alla prossima,
V.

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** 19. ***










Charlotte Harrison mugugnò percependo una mano tra le sue cosce, reprimendo un gemito di piacere, stupendosi di quanto fosse pronta di prima mattina.
Dexter l’aveva osservata dormire, nuda e irresistibile, per quasi mezz’ora e impaziente di farla nuovamente sua aveva deciso di ricorrere a metodi piuttosto sfacciati per svegliarla: non che fosse la prima volta che svegliava in quel modo una donna, nei primi anni del loro rapporto e del loro matrimonio spesso aveva svegliato alla stessa maniera sua moglie, la sensuale Margaret che adorava il sesso mattutino, eppure in un certo modo quella volta sembrò diversa dalle altre.
Neanche per Charlotte era la prima volta, quelle attenzioni verso il suo corpo e le sue esigenze erano sempre state frequenti nella relazione tra lei e Cole, un modo segreto tutto loro di iniziare la giornata con del buon sesso.
Per questa ragione, per un breve istante Charlie immaginò che fosse il suo ragazzo a toccarla con tale spregiudicatezza, a darle piacere con le sue affusolate dita, dandosi poi dell’idiota: Cole era lontano chilometri da lei, a Redmire, e quello steso nel letto con lei era Dexter, il suo più caro amico d’infanzia e adesso amante.
“Dex…- gemette portando il braccio all’indietro e cercando il suo viso – !”
“Buongiorno… - sussurrò prima di baciarla, continuando a darle piacere, aumentando il ritmo – Spero di non averti destato da un bel sogno.”
“Questo è meglio!” esclamò con voce spezzata, baciandolo ancora, cacciando la testa all’indietro e cedendo al piacere.

Fecero l’amore anche quella mattina, dimenticandosi del mondo fuori, seguendo il ritmo di una musica silenziosa, un tempo esclusivamente loro.
Per Dexter quel letto rappresentava la loro isola felice, il corpo caldo di Charlie era tutto per lui, sebbene stare insieme in quel momento fosse allo stesso tempo sbagliato e giusto.
Sapeva che ben presto Cole sarebbe tornato, che quelle giornate non sarebbero durate, che lei amava il suo ragazzo più di quanto non volesse ammettere; sapeva che lui era l’altro, era diventato quello che aveva giurato di non diventare mai per lei, aveva ceduto all’attrazione che da troppo tempo aveva combattuto.
L’unico modo per liberarsi da una tentazione è cedervi.
Nella sua mente riecheggiarono le parole di Oscar Wilde, scrittore che tanto aveva amato all’università, una citazione che non avrebbe potuto essere più vera in quel momento.
Con un’ultima spinta si liberò in lei, gemendo sul suo collo imperlato di sudore, e continuando a tenerla stretta la baciò con trasporto.
 


**



In quello stesso momento, a molti chilometri di distanza, un ragazzo con capelli scuri e scarmigliati e il volto pallido stava cercando di chiamare la sua ragazza all’esterno di un ospedale.
Cole era rimasto al capezzale di suo padre per tutta la notte, insieme a lui sua madre e suo fratello minore, trascorrendo i suoi ultimi momenti con il patriarca della famiglia Monaghan.

“Sono Charlotte, a momento non sono in casa. Lasciate un messaggio dopo il segnale acustico e vi richiamerò appena potrò.”
Il cellulare della sua ragazza – ma era ancora la sua ragazza? – era spento dalla sera precedente, e a casa continuava a scattare la segreteria, così Cole decise di lasciarle un messaggio:
“Sono io. – esordì – Non so quanti minuti a disposizione ho, quindi sarò breve: mio padre è morto questa notte, fortunatamente non ha sofferto, e domani ci saranno i funerali.
Ho provato a chiamarti ovunque, persino in pasticceria, ma a quanto pare sembri essere sparita. Dove sei, Charlie? Ti prego, richiamami appena senti questo messaggio, sono in pensiero per te e vorrei parlarti. Vorrei…
Forse è meglio se ne parliamo a quattr’occhi di questo. – sospirò – Mi manchi, ti amo. Richiamami appena puoi. Ciao.”
Chiuse la chiamata, osservando desolato lo schermo diventare nero, e infilato il telefono nella tasca interna della giacca ritornò nella cappella dell’ospedale dov’era stato portato il corpo di suo padre.

 

**




Nello stesso momento, mentre Charlotte e Dexter stavano facendo l’amore e Cole stava lasciando un messaggio in segretaria alla prima, una ragazza di trent’anni era seduta sul sedile di pelle di una carrozza di prima classe di un treno partito da Londra e diretto a Richmond.
Andrea Edwards stava tentando da più di un mese di contattare l’uomo per cui lavorava da quattro anni, lo scrittore Dexter Freeman, ma senza alcun risultato: sapeva che era tornato a Richmond, dalla sua famiglia, per disintossicarsi e rimettere insieme la sua vita ma da quando aveva lasciato Londra, sei mesi prima, era svanito come un’ombra.
Per settimane Andrea aveva pensato, stupidamente, che lui l’avrebbe cercata non appena sarebbe stato in grado di ragionare lucidamente, specialmente dopo quello che era successo tra di loro due notti prima della decisione di andarsene; con il passare del tempo, però, aveva capito che lui non l’avrebbe cercata e che quella notte non aveva significato assolutamente niente per l’uomo.

– Sei sempre stata una sciocca, Andy, una sciocca con troppa fiducia negli uomini. –
Aveva pensato di avere molto in comune con l’uomo, qualcosa che andava ben oltre la comune passione per la letteratura e l’arte, una sintonia che li legava anche fuori dalla vita lavorativa: entrambi stavano uscendo da un divorzio doloroso, erano stati traditi dai rispettivi compagni, e quando lei si era ubriacata insieme a lui finendoci a letto aveva pensato che non fosse stato solo l’alcool ad agire e a condurli tra le braccia dell’altro.

Osservò fuori dal finestrino la stazione di Richmond avvicinarsi sempre di più e rimesse le sue cose nella borsa prese il piccolo trolley che aveva portato con se e si preparò a scendere.
L’aspettava una bella caccia all’uomo, avrebbe iniziato dall’indirizzo che aveva trovato sull’elenco telefonico, dalla casa della madre di Dexter, e in un modo o in un altro l’avrebbe trovato e convinto a ritornare insieme a lei a Londra.

 


**


Charlotte era tornata al suo appartamento per prendere dei vestiti puliti, ed entrando nell’ingresso notò immediatamente la luce lampeggiante della segreteria che segnalava la presenza di nuovi messaggi; così, lasciata la porta socchiusa, schiacciò il pulsante e si mise all’ascolto.
Arrivato il turno del messaggio di Cole, sentendo la voce rotta del ragazzo e la notizia della dipartita del padre, Charlotte si sentì quasi mancare.

– Sei una persona orribile, si disse nel riflesso dello specchio, lui aveva bisogno di te e al posto di correre da lui ti sei infilata nel letto di Dexter e ci hai fatto sesso. –

Con qualche coraggio avrebbe potuto chiamarlo, correre da lui come sicuramente lui le avrebbe chiesto, guardarlo negli occhi – abbracciarlo e magari baciarlo – e fare finta che tutto andasse bene?
Lui l’amava, nonostante tutto, nonostante le cattiverie e le mancanze, nonostante tutto quello che era successo prima della sua partenza: lui l’amava ancora e lei l’aveva tradito.
Sentì il cuore esplodere in mille pezzi, anche respirare faceva male, e lasciandosi cadere lentamente si portò le gambe al petto e iniziò a singhiozzare.

“Charlie! – Dexter l’aveva raggiunta non vedendola tornare – Charlie, piccola, cosa succede?”
La ragazza continuava a singhiozzare, il suo corpo era scosso da spasmi, non riusciva neanche a guardare l’altro negli occhi.
“E’ stato un errore… - disse continuando a piangere – Lui non se lo merita, lui mi ama, non merita questo tradimento.”
“Ha chiamato?”
Charlie annuì: “Suo padre è morto questa notte, mentre noi facevamo sesso come se nulla fosse, e lui era da solo! – esclamò – Avrei dovuto essere con lui, essere la sua forza come lui è stato la mia per un anno, invece sono scappata alla prima difficoltà e mi sono rifugiata nel tuo letto!”
“Vuoi andare da lui?”
“Per guardarlo negli occhi e mentirgli, dirgli che gli sono vicina e che può contare sempre su di me, quando invece l’ho tradito? – scosse la testa – Con quale coraggio potrei?”
“Vuoi mettere fine alla nostra relazione o quello che è?”
“Io… - afferrò una sua mano – Tu mi hai fatto sentire viva, Dex, questa notte è stata speciale ma non credo sia giusto andare avanti. Non è giusto per te, non posso farti questo, non voglio. Ho bisogno di stare sola, capire cosa voglio, chi voglio davvero.”
“Mi sembra una decisione saggia…”
“E devo chiamarlo, devo chiamare Cole, non posso nascondermi. – si alzò in piedi con l’aiuto dell’altro – Lui sta aspettando una mia chiamata, è in pensiero per me, ed è giusto che sappia quello che è successo.”
“Vuoi dirglielo adesso, per telefono? – Dexter sgranò gli occhi – Charlie, non credo sia una buona idea, lasciagli almeno seppellire il padre.”
“Sì, hai ragione, gli dirò semplicemente di tornare e che ho bisogno di parlare con lui.”

Preso il cellulare, sui cui trovò dei messaggi e alcune chiamate perse sempre da parte di Cole, Charlie si fece coraggio e chiamò il suo ragazzo.
Uno, due, tre squilli, poi finalmente la sua voce.
Piccola, finalmente! – esclamò sollevato – Sono stato in pensiero.”
“Mi dispiace, non volevo darti altri pensieri: ho passato la notte fuori e come una stupida ho lasciato il cellulare a casa. – guardò Dexter e si sentì ancora più sporca – Ho sentito il tuo messaggio, mi dispiace tanto per tuo padre, avrei dovuto essere là con te…”
“Non sarebbe stato un bello spettacolo, ti avrebbe rievocato ricordi dolorosi, specialmente in questo periodo dell’anno. – fece una pausa – Mi dispiace per aver litigato, Charlie, voglio rimediare: puoi perdonarmi e dimenticare?”
“Ho già dimenticato quello che è successo tre giorni fa, Cole, non potrei mai portarti rancore. – rispose – Tutto ciò che hai detto di me è vero, sono proprio un’egoista, non penso mai agli altri e ai loro sentimenti. Tu meriti di meglio, Cole…”
“Probabilmente sì, eppure è te che amo, voglio solo te. – disse con una dolcezza disarmante – Ascolta, tornerò a Richmond tra tre giorni e quando saremo nuovamente insieme affronteremo con calma la cosa. So anche che in questo periodo sono stato geloso, che Dexter Freeman significa molto per te, e sono anche disposto ad accettare questa vostra profonda amicizia se questo servirà a riportarti da me.”
“Cole… - nuovamente le lacrime pizzicarono i suoi occhi – Non ti merito, non merito la tua fiducia, la tua comprensione. Tu hai bisogno di una ragazza migliore di me…”
“Se continui a ripeterlo potrei seriamente pensare di andare a cercare questa leggendaria e perfetta ragazza. – rise e con lui Charlotte – Ti amo, Charlie.”
“Anche io ti amo, Cole, ti amo immensamente.”
“E’ quello che volevo sentire. – sorrise – Ci vediamo tra tre giorni: occupati della pasticceria e non combinare guai.”
“Non lo farò. – mentì: il guaio più grosso l’aveva già combinato – Ci vediamo sabato.”


“E’ meglio che vada adesso.”
“No, ti prego, rimani.”
“Sai che non posso. – disse sorridendo tristemente – La notte appena trascorsa, questa mattina, sono state perfette. Rifarei tutto altre cento, mille volte, ma adesso tu hai bisogno di stare da sola e capire quello che vuoi.”
“E’ per quello che gli ho detto?” chiese preoccupata.
“No, Charlie, no. – posò una mano sulla sua spalla – Non ti biasimo per amarlo, Cole è un bravo ragazzo, ti è stato vicino nel momento più buio della vita; amarlo è giusto, conoscevo bene i tuoi sentimenti quando ieri sera ho fatto l’amore con te, ma adesso è meglio se stiamo lontani per un pochino.”
“Sì, hai perfettamente ragione. – abbassò lo sguardo – Anche per me questa notte è stata importante, la conserverò per sempre tra i miei ricordi, ma è giusto che io metta in ordine le mie idee.”
“Se avrai bisogno di qualsiasi cosa sai dove trovarmi. – la baciò sulle labbra – Ci vediamo presto, Charlie.”

 


**



Aggrottò immediatamente la fronte quando vide la figura di una donna davanti alla sua porta: il suo fisico era asciutto, i suoi capelli di un castano rossiccio, le scarpe che indossava avevano un tacco vertiginoso.
“Edwards?” chiamò, non riuscendo a credere ai suoi occhi.
“Freeman, finalmente. – Andrea sorrise sghemba – Trovarti è stato più semplice del previsto. Sai, tua madre è davvero una persona splendida, oltre che disponibile a scambiare informazioni e ammetto che sei in gran forma proprio come lei mi ha raccontato.”
“Cosa ci fai tu qui?” chiese perplesso.
Andrea inclinò leggermente il viso, portando una mano al fianco, e tranquillamente rispose: “Che domande, Freeman, sono qui per riportarti a Londra!”



 
*



Angolo Autrice: Salve, gente! Anche questa volta sono in ritardo ma a mia discolpa posso dire che è colpa dell'estate! Non mi sono dimenticata di questa storia, non abbiate paura, e come anticipato nel precedente capitolo ecco qui il nuovo personaggio, Andrea, che come scopriremo nel prossimo è l'assistente di Dexter.
Cosa accadrà adesso? Si accettano scomesse! :D

Alla prossima,
V.

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** 20. ***









Andrea Edwards era nata e cresciuta nella City, Londra e il suo essere cosmopolita non l’avevano mai spaventata, al contrario si era sempre trovata a suo agio in quella città che sembrava non dormire mai e piena di possibilità.
Richmond, al contrario, le parve immediatamente troppo piccola e tranquilla per una come lei, una abituata ad entrare e uscire da una metro all’altra, da un taxi all’altro, e trovare la modesta dimora di Mrs. Freeman si era rivelato più facile del previsto.
La donna viveva in una casa a schiera di mattoni uguale alle altre, in una via silenziosa e appena fuori il centro della città, e quando lei si era presentata come l’assistente del suo unico figlio era stata accolta in casa con parole gentili e le era addirittura stato offerto dell’ottimo Earl Grey con tanto di biscotti al burro talmente buoni da farla sospirare.
Dopo una breve chiacchierata, Mrs. Freeman le aveva dato l’indirizzo di casa di Dex, descrivendolo come un appartamento modesto e sotto la sua portata che aveva comprato poco più di un mese prima per ritrovare la sua indipendenza e, Andrea sperava, anche la sua voglia di scrivere.
Ringraziata e salutata la donna, Andrea si era rimessa in marcia, alla ricerca della sua destinazione ultima, del palazzo di sei piani situato nel centro della città completamente diverso dalla prima abitazione.
E ora lui era davanti a lei, molto più in forma dell’ultima volta che l’aveva visto, con i capelli rossicci scarmigliati e più lunghi del solito, e la guardava sorpreso.


“Cosa ci fai tu qui?” chiese perplesso.
Andrea inclinò leggermente il viso, portando una mano al fianco, e tranquillamente rispose: “Che domande, Freeman, sono qui per riportarti a Londra!”
“Londra? – Dex aggrottò la fronte e sorrise sghembo – Non ho alcuna intenzione di tornare a Londra, non ancora, non prima di finire le mie sedute con la mia strizzacervelli e le riunioni degli alcolisti anonimi. No, Edwards, no!”
“Mi vuoi per caso chiudere la porta in faccia ancor prima di farmi accomodare dentro? – lo prese in giro lei – Perché non mi inviti a bere qualcosa, qualsiasi intruglio analcolico tu abbia in casa, e parliamo un pochino: non ci vediamo da più di sei mesi e mi farebbe piacere fare una chiacchierata tra amici.”
Dexter esitò, non perché non volesse parlare con lei o non fosse contento di vederla, ma perché la conosceva fin troppo bene e sapeva cosa si celava dietro il suo falso accomodamento e i suoi modi gentili.
“Ti posso offrire una tazza di caffè, o un Earl se preferisci, ma sappi che non cederò alle tue moine: i tuoi occhioni da gatta non hanno alcun effetto su di me, Edwards.”
“Sicuro? Perché l’ultima volta che ci siamo visti ricordo vagamente il contrario! – esclamò con tono scherzoso, volendolo provocare, mordendosi subito dopo la lingua quando lo vide innervosirsi d’istinto – Scusami, Dex, fai finta che non abbia detto nulla.”
“No, scusami tu, non volevo farti sentire in alcun modo in colpa. – si affrettò a dire – Vieni, entra, il salotto è subito a sinistra. Mettiti pure comoda, io metto sul fuoco l’acqua per il the, ti raggiungo in un istante.”


“Ti trovo bene. – gli disse quando lui la raggiunse nel salotto con in mano due tazze di the caldo e si sedette al suo fianco – Sei dimagrito, mi piacciono i tuoi capelli più lunghi del solito, sembri quasi un’altra persona.”
“Merito della disintossicazione, delle sedute, e delle persone che mi sono accanto. – confessò – Quando sono arrivato a Richmond non avrei mai pensato di poterne uscire, di ritornare a sentirmi vivo, invece eccomi qua. Con questo non dico che l’alcool sia una storia chiusa, ho ancora tanta strada da fare, ma posso dire con certezza che sarà in discesa.”
“Ed io sono orgogliosa di te! – esclamò posando una mano sulla sua – Inizialmente, quando ho trovato quel messaggio sconcertante, ho avuto paura. Pensavo potessi fare una cazzata, però poi ho ricevuto la tua lettera dalla clinica e mi sono sentita meglio; inoltre, voglio che tu sappia che non porto alcun rancore per quello che è successo l’ultima volta che ci siamo visti, che non mi devi nessuna scusa.”
“Dici? – chiese con una punta di sarcasmo – Io, invece, credo di dovermi scusare: quella notte ero ubriaco marcio, non ho minimamente pensato alle conseguenze, e tu eri là…”
“Siamo state due persone sole che si sono fatte compagnia, è stata una bella notte per quel poco che ricordo, ma non sono una ragazzina e so che è stata una parentesi nella nostra amicizia. – sorrise – Quindi buttiamoci tutto alle spalle, ricominciamo da zero, e ritorniamo ad essere i vecchi amici di sempre.”
“Edwards, devo ammettere che sono felice di rivederti, di vedere che sei sempre la solita donna dal carattere forte ed indipendente che sa sempre come prendere in mano le situazioni ed uscirne vincente.”
“Sono nata nella City, bello, non come voi provinciali: io ho Londra nelle vene, se voglio qualcosa mi alzo e me la prendo, e non permetto a niente di abbattermi.”
“E il tuo nuovo look fiammeggiante lo sottolinea ancora di più. – scherzò sfiorando un ciuffo dei suoi capelli dai riflessi ramati – Mi piacciono, il rosso ti dona molto, contrasta con i tuoi occhi azzurri.”
“Freeman, tu e il tuo romanticismo senza speranza. – scosse la testa – Non c’è da stupirsi se le donne cadono ai tuoi piedi, non hai neanche bisogno di decantare due versi per farle svenire, ti bastano due paroline dolci e un sorriso ammiccante.”
Risero ancora, proprio come due vecchi amici, e Dexter realizzò per la prima volta quanto tutto quello gli fosse mancato: gli erano mancate le chiacchierate con Andrea, il loro prendersi in giro, la sua aria londinese che si portava sempre dietro; gli erano mancate quelle sensazioni, sentirsi qualcuno di importante, apprezzato non solo per essere stato il migliore amico di qualcun altro o il vecchio amico dei tempi andati ma anche per il suo talento e le sue molteplici doti nascoste.
E quanto era diversa Andrea da Charlotte, la ragazza che gli aveva stravolto la vita non appena aveva messo piede a Richmond, la ragazza insicura che si portava dentro segreti troppo dolorosi da essere anche solo raccontati.
Andrea era solare, forte, indipendente. Andrea era un tornado, otteneva sempre quello che voleva, si rialzava da ogni caduta più forte di prima.
Charlotte, d’altra parte, aveva una sensibilità unica ed era la ragazza solo in apparenza forte. Charlotte era la donzella da salvare, la ragazza che aveva bisogno di qualcuno al suo fianco per non annegare, era la sua infanzia e il suo primo amore.
Ma sarebbe stato abbastanza? Lei era abbastanza?
Dopo tutto lui non era più il Dexter ventenne, era un uomo, e anche se il primo amore non si scorda mai Charlotte in quel momento era una bomba pronta ad esplodere.
Non che si sentisse pentito di quello che aveva fatto, di aver fatto l’amore con lei, ma poteva essere abbastanza?
Lei era così piena di segreti, innamorata di un altro più di quanto non volesse ammetterlo o realizzare, e iniziare una relazione con lei sarebbe stata la scelta più sbagliata per lui; lui, che si sentiva ancora così fragile, che aveva appena ricominciato a stare sulle sue gambe e muovere i primi passi in autonomia; lui che era scappato da Londra in cerca di pace, ma che di pace non ne aveva trovata, non ne avrebbe mai trovata con Charlotte.
“Dex? – Andrea sventolò una mano davanti al suo viso – Terra chiama Dexter Freeman. Dexter, rispondici!”
“Cosa? – Dex strabuzzò gli occhi – Perdonami, mi sono distratto.”
“Pensieri importanti? Non dirmi che stai prendendo in considerazione di tornare a Londra…”
“Edwards! – Dex la rimprovererò – No, niente Londra, solo… una ragazza!”
“Oh… - per un istante, un piccolissimo istante, Andrea provò una forte gelosia – Hai conosciuto qualcuno, dunque. Lei chi è? Non dirmi che è anche lei un’ex alcolista…”
“Sì, lo è, ma non lo sapevo la prima volta che l’ho rivista. – confessò – Sì, già la conoscevo, è la sorella minore di quello che un tempo è stato il mio migliore amico. Ha una pasticceria poco lontano, si chiama Sunflower, e da qualche mese è anche la mia vicina di casa.”
“E la ragazza misteriosa ha un nome?”
“Charlotte. – rispose – Si chiama Charlotte Harrison.”
“Interessante… - Andrea accavallò le gambe – E, dimmi, lei ricambia? Insomma, per caso è lei il motivo per cui non vuoi tornare a Londra?”
“Credo ricambi, non saprei, in verità la questione è complicata… - prese un respiro profondo – Vedi, lei è fidanzata, e io sarei l’altro anche se prima di stanotte tra di noi non era mai successo niente di troppo compromettente.”
“Oddio, Dex…- Andrea si portò una mano al viso – Sei per caso impazzito? Dannazione, con tutti i tuoi casini e problemi!”
“Lo so, lo so: devo ancora avere il divorzio da Meg, ho i miei agenti e la casa editrice con il fiato sul collo, tutti si chiedono dove io sia finito e chissà che altro…”
“Hai lasciato un bel casino a Londra, amico, non hai idea di cosa abbia dovuto fare in questi sei mesi per pararti il culo sodo che ti ritrovi. – si posò con la schiena contro il divano – Dex, ascolta, non conosco questa tizia e non mi permetto di giudicarla ma credo che con tutti questi casini…”
“Dovrei prendere le distanze? Sì, lo so, non sei la prima a dirmelo. Anche la mia psicologa lo pensa, e una parte di me lo pensa, ma lei è speciale.”
“Perché? Perché ci hai scritto qualche verso nelle notti di triste solitudine?”
“No, perché lei è stata il mio primo amore, lei è la musa del mio primo romanzo…”
“Vuoi dire che Alice in realtà è Charlotte? – sgranò gli occhi quando lui annuì – Cazzo!”
“Ora capisci perché è così difficile? – si alzò – Lei è stata il mio primo amore, di lei ho scritto pagine e pagine; lei mi ha dato il successo, da lei ho tratto ispirazione per il mio primo romanzo, ed è come se in tutto questo tempo non mi abbia mai davvero lasciato.”
“Ma… - Andrea lo guardò sottecchi – So che c’è un grande ma, quindi avanti, sputa!”
“Ma credo che la ragazzina di diciotto anni che ho lasciato dieci anni fa e la donna adulta che ho ritrovato non siano più la stessa persona. – ammise suo malgrado – Charlotte è cambiata profondamente, più di quanto lei non se ne renda conto, e molto spesso mi sembra un’estranea. La sua mente è un mistero, non riesco mai a capire cosa pensa, e sebbene sia difficile ammetterlo lei ama molto Cole.”
“Deduco che Cole sia il suo ragazzo.”
Dexter annuì: “Non so cosa fare, ecco, sono incastrato in questa ragnatela invisibile. So di non essere forte come un tempo, che potrei nuovamente far crollare il castello di sabbia con estrema facilità, ma dall’altro lato non riesco a lasciarla andare.”
“Non riesci a lasciare andare lei o non riesci a lasciare andare la ragazzina che è stata?”
“Avresti dovuto fare la strizzacervelli! – esclamò piccato – Sei sprecata come assistente e PR, sai?”
“Lavoro a contatto con la gente da quasi dieci anni, comprenderla è il mio lavoro, e poi tu sei sempre stato un libro aperto per me. – anche Andrea si alzò – Ci tengo a te, Dexter Freeman, sono stata al tuo fianco dagli inizi. Ti sono rimasta accanto nel successo e anche nel declino, ho fatto del mio meglio, ed è per questo che ti prego di considerare l’idea di tornare a Londra con me.
Sai, - continuò – hai lasciato più cose in sospeso di quanto tu non pensi, nonostante il fiasco una parte del pubblico continua a seguirti e attende il tuo ritorno. Londra attende il tuo ritorno, io e le persone che ti stanno accanto, e che ti piaccia o no la City fa parte della tua vita e di quello che sei tanto quanto Richmond.”
Dexter ponderò sulle parole dette dall’amica, sapeva che erano giuste e vere, che tutto quello che aveva detto su Charlotte, su di lui, su Londra era vero.
Lui amava la Charlotte diciottenne, era ancora aggrappato a quei ricordi, a Matt e alla loro amicizia e ai giorni che erano stati; non che non provasse attrazione per Charlotte, era una bellissima donna, con lei stava bene ma cosa avevano in comune se non i ricordi?
E poi c’era Cole, Cole che compariva ogni volta che pensava a lei, Cole che l’amava e che non meritava un trattamento del genere, Cole che amava lei per quello che era e non per quello che era stata. Cole l’amava con tutte le sue debolezze, i suoi bisogni, i suoi trascorsi e i suoi demoni interiori.
Lui, invece, non era sicuro di riuscire ad amarla senza autodistruggersi a sua volta, perché la verità è che lei non era la donna giusta per lui in quel momento.
Andrea, lei era una donna forte e decisa, il tipo di donna di cui lui aveva bisogno: sarebbe stata la sua roccia, insieme avrebbero potuto fare grandi cose, e chissà cosa sarebbe successo se lui non fosse scappato – scappato anche da lei, ora se ne rendeva conto – a Richmond come un perfetto codardo.
“Ci penserò sopra, lo prometto. – rispose finalmente – Quello che dici è giusto, confesso che alle volte Londra mi manca, e quindi mi darò del tempo per pensarci.”
“Lo sapevo! – Andrea gli buttò le braccia al collo con fare entusiasta – Sapevo che non mi avresti deluso, Freeman, sapevo di poter ancora contare su di te.”
“Non ho detto che accetto!”
“Ma hai detto che ci penserai, e io sarò paziente, attenderò tutto il tempo che sarà necessario.”
“E nel frattempo dove pensi di stare?” chiese curioso.
“Oh… - Andrea si morse distrattamente un labbro – Non ne ho idea. Sai indicarmi un albergo in zona o qualche posto dove potrei stare?”
“Potresti stare qua, da me, nella camera degli ospiti.”
“Dex, avanti, sii serio.”
“Ma lo sono! – rispose aggrottando leggermente le sopracciglia – La stanza è come nuova, mai usata, e sarei contento di averti qui con me. Mi faresti compagnia e ti guarderesti bene dal farmi commettere qualche stronzata.”
“Sicuro? Guarda che non sei mica costretto.”
“Più che sicuro!”
“Okay, allora… - prese il suo trolley rimasto davanti alla porta d’ingresso e tornò da lui – Fai strada, capitano!”
“Sai, Edwards, - le disse dopo che lei si mise a braccetto e iniziarono insieme a camminare verso la stanza degli ospiti – devo ammettere che mi sei mancata.”
Andrea sorrise, contenta di sentire quelle parole, e con altrettanta gioia concluse: “Anche tu, Freeman. Mi sei mancato anche tu.”




 

*



Angolo Autrice: Salve, gente! Cosa ne pensate di questo nuovo personaggio? Concordate su quello che si sono detti lei e Dexter? E cosa pensate accadrà ora?
La storia sta per volgere al termine, vorrei finirla nel giro di un cinque capitoli, quindi manca davvero poco.
Ringrazio, come sempre, tutti coloro che leggono in silenzio, seguono e recensiscono.

Alla prossima,
V,

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** 21. ***


 






Charlotte Harrison trattenne il fiato udendo il rumore di passi pesanti rimbombare sempre più forte nella tromba delle scale.
Si torturò le mani, come sempre faceva quando era nervosa, e inspirò profondamente osservando la figura slanciata di Cole salire l’ultima rampa e fermarsi sul pianerottolo a pochi passi da lei; i suoi capelli le sembrarono più lunghi di come ricordasse, il suo viso era ben rasato ma più pallido del solito, eppure i suoi occhi neri sprigionavano gioia nonostante la recente perdita paterna.

“Ciao, bimba! – la salutò annullando la distanza e, lasciata cadere con un rumore ovattato il borsone che stringeva nella mano destra, l’abbracciò – Mi sei mancata tantissimo.”
Charlotte si aggrappò alle sue spalle, i suoi occhi stavano iniziando a velarsi per il rimorso che in quei giorni la stava dilaniando, e mantenersi calma fu molto difficile.
“Mi dispiace…” iniziò ma lui la zittì immediatamente.
“No, niente scuse, quello che è stato è stato e non voglio più pensarci. – disse pacato – Abbiamo sbagliato entrambi, io ho detto cose che non pensavo, tu eri sconvolta: le emozioni ci hanno travolti ma la perdita di mio padre mi è servita per fare chiarezza e capire cosa voglio davvero.”
Charlotte sorrise appena, prendendogli la mano, e senza dire nulla lo condusse dentro il suo appartamento.
Se c’era una cosa che aveva fatto giusta, era quella di non consumare il rapporto con Dexter tra quelle mura, in quella casa che era il tempio della passione e dell’amore che la legava a Cole; in caso contrario non se lo sarebbe mai perdonato, il solo chiedergli di entrare sarebbe stato un doppio tradimento, e la vista del suo letto le avrebbe provocato la nausea.
“Devi essere stanco, - gli disse – vuoi farti una doccia? Nel frattempo posso preparare qualcosa da mangiare, una tazza di the caldo o qualsiasi altra cosa, ho anche dei biscotti…”
“Una doccia mi basta. – rispose prima di baciarla sulle labbra – Magari potremmo farla insieme, come abbiamo fatto una delle ultime volte, e dopo fare la pace come si deve nel nostro letto.”
Sarebbe stato bello accettare, così facile spogliarsi e fare l’amore con lui mentre fuori il sole tramontava, per tutta la notte; sarebbe stato bello dimenticare e far finta che nulla in quei giorni passati lontani fosse accaduto ma Charlotte sapeva che questo non poteva essere e che Cole meritava di sapere la verità e lei di essere odiata per quello che aveva fatto.
“No, meglio di no. – rispose – Credo, invece, che noi due dovremmo parlare prima di fare qualsiasi altra cosa quindi ora fatti una doccia calda e poi raggiungimi in soggiorno.”
Cole aggrottò le fronte, pensieroso e leggermente innervosito dalle inaspettate parole della sua ragazza, e dopo un momento di titubanza annuì e si chiuse in bagno senza aggiungere nulla.


La raggiunse venti minuti dopo, indosso solo dei jeans e una maglia grigio scuro, i capelli ricci ancora umidi.
Charlotte era seduta sul divano, tra le mani stringeva una tisana per rilassare i nervi, e notando la sua figura ferma sullo stipite della porta gli sorrise.
“Meglio?” domandò.
“Decisamente molto meglio. – rispose lui andandosi a sedere vicino a lei – Allora, dimmi, di cosa mi vorresti parlare?”
“Ti amo… - disse con voce tremante – E’ stupido, lo so, ma voglio che tu sappia che ti amo e che mi dispiace per tutto quello che è successo e tutto quello che ti ho fatto passare.”
“Charlie, credo di essere stato abbastanza chiaro quando…”
“Lo so, mi hai perdonato, anche questa volta ti sei dimostrato comprensivo e gentile, il migliore che io conosco, qualcuno che non merito.”
“Ma questo non è vero…”
“Sì invece! – esclamò più forte – Io non ti merito, io distruggo qualsiasi cosa tocco, sono una mela marcia che trascina sul fondo ogni persona che cerca di salvarmi.
Quando te ne sei andato ho pensato di impazzire, anche respirare faceva male, e stare in questa casa era insopportabile: così ho iniziato a camminare senza meta – continua – e senza sapere come sono arrivata al fiume. Non so per quanto tempo sono rimasta là, ma ad un certo punto ho sentito una voce e Dexter…”
“Dexter? – Cole sgranò gli occhi e la sua voce non fu affatto accomodante – Cosa c’entra quel tizio in tutta questa storia?”
“Lui… - prese un respiro profondo – Quando mi ha trovato ero in lacrime, così mi ha calmata e riportata a casa, si è assicurato che stessi bene.
Ma non stavo bene, non quel giorno, non dopo tutto quello che era accaduto: avevo bisogno di bere, volevo un sorso di qualsiasi cosa contenesse alcool, e stavo per scendere e andare a comprare una bottiglia quando ho capito che sarebbe stato un grosso errore.
Nonostante questo, però, non potevo restare sola e così…”
“Sei andata da lui… - concluse al posto suo – E immagino che lui ti abbia fatto accomodare, consolata magari, e tu…”
“Cole, io… - le lacrime finalmente sgorgarono – Mi dispiace, giuro che mi dispiace, che non avrei mai voluto farti una cosa simile!”
“Tu… - Cole chiuse gli occhi cercando di reprimere la rabbia – Ci ha scopato! Non ero andato via da neanche un giorno e tu ti sei lanciata tra le braccia della tua prima cotta adolescenziale e ti sei fatta scopare. Cazzo!”
“Ho sbagliato, lo so, non ti meritavi un trattamento del genere ma la verità è che nonostante il mio amore per te provo qualcosa per lui…”
“Taci, ti supplico! – urlò quasi alzandosi e allontanandosi da lei – Sei davvero un’ingrata, ecco cosa sei, e io stronzo che sono tornato con la coda tra le gambe e l’intenzione di chiederti di sposarti.”
“C-cosa?” il cuore di Charlotte sembrò fermarsi nel petto.
“Esatto, Charlotte, sposarti! – ribadì – Ho comprato un cazzo di anello, lo tengo nel borsone, e domani sera avrei voluto portarti fuori a cena e chiederti di diventare mia moglie. Ma tu, a quanto sembra, preferisci gli scrittori tormentati e falliti.”
“Io… - si morse un labbro – Mi dispiace, mi dispiace, lo giuro.”
“Avresti dovuto pensarci prima, non credi? – sorrise sarcastico – Almeno dimmi che non avete fatto sesso sotto questo tetto, nel nostro letto.”
“No, mai, non avrei mai…”
“Sono stanco di sentire le tue scuse, le tue parole ipocrite, stanco di te. – le diede le spalle, riprese il borsone e afferrò la giacca – E’ finita, Charlotte, ho chiuso con i tuoi casini e la tua ingratitudine.”
“Aspetta, non andartene, - Charlie tentò di seguirlo e farlo ragionare – Cole, aspet…”

Il rumore fragoroso della porta che si chiudeva sbattendo a pochi passi da lei e la figura di lui che lasciava probabilmente per sempre l’appartamento senza esitare neanche un momento furono per la ragazza peggio di una coltellata in pieno petto.


 

**



Non versò neanche una lacrima. Non perché non volesse, anzi piangere avrebbe probabilmente reso tutto più facile, ma perché non ci riusciva.
Sembrava essere caduta in uno stato di apatia, non riusciva a provare niente, se non un enorme vuoto al centro del suo petto: Cole era andato via e sembrava aver portato con lui ogni sua più piccola emozione e voglia di vivere.
Potrei andare da Dexter, pensò, magari vederlo e parlare con lui potrebbe farmi bene.
No, andare da lui e farsi consolare sarebbe stato l’ennesimo errore, un errore che lei non avrebbe commesso.
Doveva stare lontana da lui, doveva prendersi una pausa da quella sua vita, andare via.
Via, certo, ma dove?
Suo zio aveva una fattoria in Scozia, non troppo lontano da Inverness, allevava la tipica razza bovina degli Highlander e passare con lui la primavera e magari anche l’inizio dell’estate non sembrava una così cattiva idea.
Allontanarsi da tutto e da tutti, ritrovare se stessa nella natura, capire finalmente cosa – meglio ancora dire chi – il suo cuore volesse davvero.
Cole avrebbe mandato avanti la pasticceria se lei si fosse tirata indietro, dopo tutto il Sunflower era nata come creatura sua e di Matt, ed era giusto che fosse lui a portarla avanti e farla crescere.
Dexter, d’altra parte, avrebbe sicuramente capito e accettato la sua decisione: anche lui era scappato da Londra, giunto a Richmond in cerca di pace, anche se lei aveva sempre avuto il timore – un timore che ora era divenuta certezza – di aver distrutto quel suo sogno pacifico con i suoi problemi e la sua sola presenza.

“Non c’è altra scelta…” sussurrò nel silenzio della stanza, e alzatasi dal divano prese coraggio e si avviò verso l’appartamento di Dexter, pronta ad affrontare anche lo scrittore.


 

**



“Posso aiutarla?”
Charlotte fu presa completamente alla sprovvista quando ad aprirle la porta di casa di Dexter non fu quest’ultimo ma una ragazza con i capelli rossi vestita con una maglia troppo larga per lei e dei pantaloni della tuta.
“Io… - tentennò senza sapere bene cosa dire o cosa pensare – Cercavo Dexter.”
“E’ uscito un’ora fa, la sua consueta corsa serale non dura più di un’ora e mezza di solito, quindi credo che tornerà a momenti. – le sorrise – Ma perdona la mia scortesia: io sono Andrea Edwards, l’assistente di Dexter.”
“Charlotte Harrison. – rispose la ragazza stringendole la mano – Sono un’amica.”
“Sì, Dexter mi ha parlato di te, della tua pasticceria e della vostra amicizia.”
Non sapendo bene perché, Charlie si sentì infastidita da quella rivelazione, sapendo che quella sconosciuta sapesse praticamente tutti di lei e che fosse stato proprio Dexter a raccontarle della sua vita e i suoi segreti.
Lui, dopo tutto, non aveva mai parlato di questa sottospecie di assistente venuta certamente da Londra – il suo accento era sfacciatamente cockney, tipico della City – in quasi un anno passato insieme.
“E cosa la porta qui a Richmond? – chiese curiosa – Non si vede spesso un londinese nella nostra città, voi di solito preferite rimanere a sud, in Cornovaglia o nel Kent.”
Andrea sorrise algida: “Dexter è un caro amico, volevo accertarmi delle sue condizioni, ricordargli cose che aveva dimenticato.”
“Capisco… - Charlotte abbassò per un attimo lo sguardo: Dexter aveva ancora una vita lasciata in sospeso a Londra, questo era innegabile, e probabilmente quella ragazza sarebbe riuscita nel suo intento di riportarlo nella City. Quella parte della vita dello scrittore era completamente sconosciuta per lei, Dexter non ne parlava mai, ma entrambi sapevano che esisteva e che un giorno lui avrebbe lasciato nuovamente Richmond.
Ma, ad essere onesti, anche lui non sapeva nulla o quasi della sua vita a Parigi, della sua vita in quegli ultimi dieci anni e se non fosse stato per il doloroso ricordo di Matt e l’affetto che un tempo li aveva legati probabilmente sia lui che lei avrebbero continuato con le loro vite senza degnarsi di un secondo sguardo. – Potresti dirgli che sono passata per salutarlo, che tra qualche giorno ho intenzione di partire, lasciare Richmond per qualche tempo?”
“Non dovresti farlo tu? – chiese perplessa Andrea – Dopo tutto Dexter è tuo amico.”
“E’ meglio di no, fidati. – fece un passo indietro – Digli che gli auguro tutto il meglio e che mi aspetto grandi cose da lui.”

Andrea annuì, osservando quella strana ragazza sorriderle prima di voltarle le spalle e sparire imboccando la rampa delle scale, ed egoisticamente pensò che dopo quella strana conversazione sarebbe stato molto più semplice riportare Dexter a Londra.  



*



Angolo Autrice: Salve, gente! Aggiornamento che arriva prima del previsto, ma ci tenevo a pubblicare questo capitolo, un capito che definirei chiave per la conclusione di questa storia. Charlotte ha finalmente scelto se stessa, ha realizzato che per capire cosa vuole davvero deve allontanarsi per un tempo non ben definito, dare anche a Cole e Dexter tempo e modo per fare le loro scelte.
E, niente, spero che vi sia piaciuto e ringrazio ancora una volta tutti voi che leggete in silenzio, seguite e recensite.

Alla prossima,
V.

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** 22. ***










Dexter Freeman aveva corso più del solito quella sera, lo faceva sempre quando aveva bisogno di pensare e schiarirsi le idee, e quella volta non fu un’eccezione.
L’arrivo improvviso di Andrea a Richmond, seppure fosse stata una piacevole sorpresa, lo aveva scombussolato e le questioni in sospeso con Charlotte lo tormentavano.
Doveva darle tempo, questo era indiscutibile, ma dopo quello che era successo tra di loro le cose erano totalmente cambiate e il futuro si era fatto incerto: una parte di lui desiderava tornare a Londra, rimettersi in gioco per provare a se stesso e al mondo che era tornato in carreggiata ed era ancora capace di scrivere qualcosa di grandioso ed emozionante, ma l’altra desiderava rimanere nella sua città natia con Charlotte, starle vicino e creare con lei una famiglia, renderla felice nel modo in cui meritava.
Certo, non sarebbe stato facile, Andrea ci aveva visto lungo quando gli aveva detto che la loro era una conoscenza superficiale, che era di un ricordo e nient’altro di cui era invaghito, che la ragazza – la donna – del presente era per lui un mistero; inoltre lei era innamorata di un altro, più volte aveva confessato il suo amore per Cole, mentre ciò che sembrava legare loro due erano i ricordi di tempi passati, una forte attrazione fisica, un comune smarrimento della retta via che li aveva portati verso il baratro dell’alcool e della depressione.
Forse, pensò mentre percorreva l’ultimo isolato che lo separava dal suo appartamento, trascorrere del tempo lontano avrebbe fatto bene ad entrambi: lui avrebbe capito se Londra avrebbe potuto ancora essere la sua casa, un luogo in cui poter scrivere il suo nuovo romanzo, quella trama che da settimane gli frullava per la testa; Charlotte, invece, avrebbe – o almeno lui sperava – finalmente compreso con chi dei due uomini avrebbe passato la sua vita e concesso il suo cuore.

“Dobbiamo parlare! – esclamò Andrea non appena il biondo entrò in casa – Charlotte è passata di qui, prima, mi ha chiesto di darti un suo messaggio.”
“Charlotte? – Dexter si innervosì al solo udire il nome della ragazza – Sta bene, è successo qualcosa, ha per caso lasciato Cole?”
“Non ho una risposta per questo, ma da quello che potrei aver capito temo di no. – rispose lei con calma – Charlotte ha deciso di lasciare Richmond, non mi ha detto dove, ma mi ha chiesto di salutarti e di non cercarla. Ha detto, inoltre, che si aspetta grandi cose da te.”
“E’ per caso uno scherzo? – chiese basito il ragazzo e Andrea scosse il capo – Lasciare Richmond? Perché mai e poi senza neanche una spiegazione? Devo andare da lei…”
“No! – esclamò la ragazza afferrandolo per un polso – Non capisci che così faresti del male ad entrambi? E’ palese che lei sia confusa, non ancora pronta per prendere una decisione finale, e se adesso ti lasciassi andare da lei non sarei affatto una buona amica.”
“E cosa dovrei fare, eh? Lasciarla andare via, senza una spiegazione, e accettare passivamente la cosa?”
“Sì, è quello che dovresti fare. – rispose calma Andrea – Dovresti mettere te stesso al primo posto, smettere di correre dietro ad una ragazzina confusa, lasciare che per una volta sia lei a prendere delle decisioni in piena libertà. Insomma, ragiona: se ha deciso così vuol dire che ha detto di voi a Cole, probabilmente lui l’ha lasciata o si sono presi una lunga pausa di riflessione, e questo significa che anche voi due dovete mettere in pausa il vostro rapporto e concentrarvi esclusivamente sul vostro lavoro.”
“Tornare a Londra, vuoi dire. – Dexter increspò le labbra in una smorfia – E’ questa la conclusione del tuo discorso, vero? Propormi di tornare a Londra e riprendere da dove ho lasciato quasi un anno fa…”
Andrea annuì, senza nascondersi dietro sotterfugi, e disse: “Sì, è esattamente così. Torna con me a Londra, Dex, torna e scrivi quel romanzo di cui mi stavi accennando l’altra sera. Ti starò vicino, ti aiuterò, ci sarò sempre qualsiasi cosa accada e se tra un mese o due realizzerai di essere infelice allora ti lascerò tornare qui senza fare opposizione.”
Dexter addolcì la sua espressione, accarezzò affettuosamente una guancia dell’amica, e sorridendo disse: “La mia Andrea, sempre così giudiziosa e coscienziosa: cosa mai farei senza di te?”
“Direi che per un anno te la sei cavata piuttosto bene anche senza la mia presenza continua, - le ricordò lei con una punta di imbarazzo causata dalla mano di lui sulla sua guancia – ma mi fa comunque piacere sapere che hai ancora bisogno di me di tanto in tanto.”
“Credo, mia cara Andrea, che una parte di me avrà sempre bisogno di te.”


 
**


Cole Monaghan era impegnato nella preparazione di alcune torte quando Dexter entrò inaspettatamente nella pasticceria che aveva aperto anni prima insieme a Matt, in cui aveva lavorato per più di un anno fianco a fianco con Charlotte, finendo per innamorarsene follemente e soffrire come un cane a causa del cuore che lei gli aveva spezzato.
Fu Lily, la commessa poco più che ventenne assunta da poco meno di un mese ad avvisarlo che c’era qualcuno per lui, e inconsciamente il moro sperò che quella persona fosse Charlotte: la sua speranza si spense bruscamente nel ritrovarsi davanti Dexter Freeman, quello scrittore da strapazzo che aveva distrutto la cosa più bella che gli fosse mai capitata, tramutandosi in rabbia e odio.

“Che cazzo ci fai tu qui?” chiese cercando di darsi un contegno.
“Non ti ruberò molto tempo, sono solo passato per chiederti informazioni riguardo Charlotte, dirti che sto tornando a Londra.”
“La tua amichetta è andata via, in Scozia, ha chiuso per sempre con me. – disse quasi con disgusto – Ha lasciato a me la totale direzione della pasticceria, com’è giusto che sia, e non so quando e se mai tornerà. A dire il vero non mi interessa quindi se vuoi raggiungerla e scopartela tra i verdeggianti prati delle Highlands accomodati pure.”
“Smettila di parlare così di lei, sai che non lo merita, che ti ama. – gli disse nonostante quelle parole facessero male – Quello che è successo tra di noi…”
“So bene quello che è successo, - lo interruppe bruscamente – non ho bisogno di un ripasso, quindi se hai finito adesso vattene. Buon ritorno a Londra, ai tuoi festini e ai tuoi party privati, spero di non rivederti mai più.”
“Cole, ascoltami…”
“No! – esclamò con voce alta – Sono stanco di ascoltare, dovrei darti un pugno su quella faccia che ti ritrovi invece che stare qui a parlarti civilmente, ma non mi abbasserò a questi livelli. Vattene, Freeman, prima che cambi idea e decida di averne abbastanza della civiltà e non farti mai più vedere in questo locale.”
Dexter non poté fare altro che annuire, uscire dal locale senza mai voltarsi indietro, constatare che Charlotte era uscita anche dalla vita del moro: come Andrea aveva immaginato, il moro era venuto a sapere di loro due e l’aveva lasciata, con il suo gesto più che comprensibile aveva scatenato in lei la decisione ultima di andarsene dalla città per chissà quanto tempo.
Anche Dexter era arrivato a quella stessa conclusione, deciso a tornare a Londra per avere una seconda possibilità, nella speranza che presto anche Charlotte avrebbe dato una seconda possibilità  a loro due e alla loro storia.

 

**


Londra era esattamente come la ricordava: rumorosa, caotica, enorme. Gente andava e veniva da ogni dove, le strade erano pieni di pullman rossi a due piani e taxi neri che sfrecciavano a tutta velocità, e la metro era gremita di gente ad ogni ora.
Tutto era diverso da Richmond, dalla quieta città percorsa dal fiume Swale, ma allo stesso tempo aveva qualcosa di intimo: Londra era la sua casa, quella che aveva scelto, e persino ritornare nel suo ampio appartamento che dava su Regent’s Park gli provocò sensazioni contrastanti.

“Abbiamo già delle offerte per questo appartamento. – gli disse Andrea, che su sua richiesta aveva messo in vendita la casa, quel luogo in cui erano racchiusi tutti i suoi fallimenti e i suoi incubi – Possono già venire sabato, uno di loro ha proposto un milione e mezzo di sterline, un’offerta davvero allettante.”
“E di nuovi appartamenti? Ne hai visto qualcuno?”
“C’è un appartamento su due piani a Notting Hill, mentre ho visto un attico a Mayfair: entrambi sono vicini a Hyde Park, costano all’incirca quanto questa casa.”
“In questo caso prendimi un appuntamento in settimana: - le disse – voglio lasciare il prima possibile questa casa, i suoi fantasmi, iniziare da zero in una nuova e scoprire se sono ancora in grado di scrivere qualcosa di emozionante.”

Alla fina Dexter Freeman comprò l’attico a Mayfair: era un appartamento luminoso, con una cucina moderna ad isola, un salone enorme in cui poter dare delle feste riservate, tre bagni e altrettante camere da letto; aveva anche un enorme studio, perfetto per la sua vasta libreria a parete, con la luce giusta sia al mattino che al pomeriggio. Era, insomma, la casa perfetta per lui e lo scrittore lo capì non appena ne varcò la soglia.
Una settimana dopo il termine del trasloco, rimasto finalmente solo, Dexter si accomodo sulla sua sedia da ufficio rivestita di pelle, alla sua nuova scrivania comprata per l’occasione e acceso il laptop aprì un nuovo file di word e fissò per alcuni istanti l’immacolato foglio virtuale.
Prese un respiro profondo, concentrandosi per poter entrare in quello stato di meditazione in cui cadeva ogni volta che incanalava le idee nella sua mente, e avvicinate le mani ai tasti neri iniziò a scrivere.


*


Angolo Autrice: Salve, gente. Capitolo breve e di passaggio, lo so, ma mi serviva per mettere un punto fermo anche alle vicende di Dexter e fargli aprire un nuovo capitolo della sua vita. Nel prossimo, finalmente, scopriremo che fina ha fatto Charlotte e la sua decisione finale. In tutto ci saranno ancora tre capitoli, di cui uno sarà un breve epilogo conclusivo, e spero davvero che la conclusione vi piaccia.
Infine, come al solito, ringrazio tutti voi che leggete, seguite e recensite la storia. Spero di avere qualche altro parere in questi atti finali, visto che negli ultimi capitoli le recensioni sono scarseggiate, e non vorrei che sia per come sta andando avanti la trama.

Alla prossima,
V.

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** 23. ***











Inverness, sei mesi più tardi…




Charlotte Harrison si portò una mano al viso per coprirsi gli occhi dai raggi del sole, ammirando il cielo privo di nubi sopra di lei, il verdeggiante panorama delle Highland che da oramai sei mesi era diventato familiare.
In Scozia, nella campagna di proprietà di suo zio, Charlotte aveva ritrovato se stessa e la voglia di vivere, era riuscita a dimenticare tutto ciò che di brutto le era capitato negli ultimi due anni e ad aprire un nuovo capitolo della sua vita.
Inverness le aveva offerto semplicità, tranquillità, una quotidianità fatta di piccole cose ricavate dalla terra e dalla natura, lontano dalla città e dai suoi problemi: in quei prati lei era cresciuta, si sentiva veramente donna, e nelle ore passate a meditare osservando le tranquille seppur rapide rive del fiume Ness aveva finalmente compreso quale sarebbe stato il suo posto nel mondo e il suo futuro.
Tutto ciò che doveva fare, a più di sei mesi dalla sua folle decisione di lasciare tutto e andarsene, lunghi mesi in cui l’inverno era passato e con esso anche un nuovo anno, dando spazio ad una nuova primavera di rinascita, era trovare il coraggio per reclamare nuovamente ciò che sentiva essere suo.
Certo, non sarebbe stato facile, ripresentarsi da lui dopo mesi e mesi di totale silenzio, senza una chiamata o una lettera, senza dare alcun segno di vita – a meno che lui non si fosse tenuto in contatto con i suoi, uniche persone a sentirla quotidianamente, a sapere esattamente dove fosse e come se la stesse passando – sarebbe stato difficile: molto probabilmente sarebbe stata respinta, rimandata al mittente come un pacco mancante di destinatario, avrebbe trovato dall’altra parte solo parole di circostanza e sguardi freddi ma non per questo avrebbe desistito.
Charlotte avrebbe combattuto con le unghie e con i denti, non si sarebbe fermata al primo ostacolo, e alla fine avrebbe ottenuto la sua felicità.

“Sei sicura di voler andare? – le chiese sua zia Adele, una donna dal viso rubicondo e gentile, con il quel suo marcato accento scozzese che la contraddistingueva – Da quando James e Mary si sono trasferiti in città la casa è così vuota e in questi mesi è stato un po’ come ritornare indietro nel tempo.”
“Non voglio approfittare ulteriormente della vostra ospitalità, cara zia, e anche se mi piacerebbe restare con voi ho delle faccende in sospeso che devono essere risolte.”
“Sì, capisco. – la donna annuì facendo oscillare lievemente i suoi morbidi capelli bianchi – In questo caso spero di rivederti presto qui a Inverness, magari con il ragazzo di cui tanto ci hai parlato in queste ultime settimane, così che anche lui possa godere della pace e dell’aria pulita che si respira in questi luoghi.”
“Lo spero anche io, zia, lo spero tantissimo.”


**


Lasciò la fattoria dei suoi zii quattro giorni più tardi, percorse in treno parte della Scozia fino a Edimburgo, e ancora verso sud fino ad arrivare a York.
Trascorse là una notte, in una stanza minimale e non troppo dispendiosa di un hotel a due stelle a cinquecento metri dalla stazione, e il giorno dopo riprese il suo viaggio.
Il treno sarebbe partito alle 10:40, fortunatamente senza ritardo alcuno, e quando salì sulla carrozza e si sedette nel posto a lei assegnato chiuse per un istante gli occhi e prese un lungo respiro.
Ancora poche ore e lo avrebbe rivisto, si sarebbe trovata faccia a faccia con l’uomo con cui aveva deciso di passare la sua vita, nella speranza che lui le desse una seconda possibilità.
Certo, non si aspettava che lui l’accogliesse a braccia aperte, non dopo il modo in cui si era comportata e dopo tutto quello che era successo: aveva tirato troppo la corda, aveva giocato con i sentimenti di Cole e Dexter, ma quando si era ritrovata sola nel profondo nord della Scozia aveva realizzato, giorno dopo giorno, che era solo uno dei due a mancarle davvero.
Lui, la sua scelta, le era mancato come l’aria, ogni cosa di lui rendeva ogni giorno trascorso lontano più insopportabile; le era mancato il suo sorriso dolce, il suo profumo, il modo in cui lui l’abbracciava e le dava sicurezza, i suoi occhi pieni di premura e infinito amore.
Era stata sciocca a non capirlo prima, a dare tutto per scontato, a vacillare e illudere non solo lei stessa ma anche una delle persone che più significavano per lei e a cui avrebbe voluto bene per sempre.
Si domandò, mentre il paesaggio scorreva alla sua destra e l’Inghilterra prendeva il posto della Scozia, cosa suo fratello Matt avrebbe pensato di tutta quella faccenda: avrebbe approvato la sua decisione ultima? Certamente sì.
Avrebbe compreso e perdonato il modo in cui si era comportata per un anno? Forse.
Sarebbe rimasto al suo fianco nonostante tutti i suoi errori? Sempre.

Il treno arrivò in stazione senza che Charlotte se ne accorgesse, il suo viaggio era quasi terminato, e con non poca difficoltà afferrò frettolosamente le sue due valige e scese dal treno.
Era nervosa, lo fu per tutto il tempo che passò in autobus, fino a quando non si ritrovò faccia a faccia con le sue scelte.
Il sole stava lentamente calando, la sua luce calda dalle sfumature arancione conferiva alla città tutta la sua magia, eppure lei non riuscì a godersela: era troppo nervosa, troppo, tanto da poter percepire il suo cuore che martellava impazzito nel petto.
Attraversò la strada, e arrivata a destinazione aprì la porta con un gesto deciso, ritrovandosi davanti una ragazza forse anche più giovane di lei ad accoglierla dietro il bancone pieno di torte dall’aspetto delizioso che per più di un anno era stata la sua postazione.

“Posso aiutarla?” chiese la ragazza, mostrando i denti perfettamente bianchi, un sorriso di cortesia ma mai falso.
“Sto cercando Cole. – disse con voce appena rauca – In verità, sarei la proprietaria di questo posto, anche se solo al cinquanta percento.”
“Oh! – la ragazza sussultò – Tu sei Charlotte?”
“Sì, sono io. – rispose a quella domanda retorica, una domanda che non aveva bisogno di risposte, di conferma alcuna – Posso parlare con Cole?”
“C-certo! – esclamò balbettando e mostrandosi alquanto impacciata uscì dal bancone – Vado subito a chiamarlo.”
“Grazie.”
Charlotte l’osservò sparire nel retro bottega, verso il forno in cui da sempre Cole preparava le sue fantastiche torte, e stringendo forte le dita della mano attorno alla tracolla portata su di una spalla si fece forza e si preparò ad affrontare la reazione del moro.


 

**


Cole Monaghan aveva appena infornato l’ultima torta del giorno, una teglia di brownies al cioccolato e arachidi che erano stati ordinati il giorno prima per una festa, quando Lily lo raggiunse e lo informò che qualcuno chiedeva di lui.
La ragazza gli parve subito nervosa, segno che qualcosa non andava, e sperò vivamente che i fornitori non fossero tornati a bussare alla loro porta per chiedere il saldo dei pagamenti.
“No, non i fornitori, - disse Lily – ma la tua socia. Charlotte è tornata.”
Cole rimase basito sentendo il nome della ragazza, i suoi occhi scuri si sgranarono, e il suo cuore sembrò fermarsi: erano passati più di sei mesi dall’ultima volta che l’aveva vista, i loro rapporti non si erano chiusi bene, eppure in tutte quelle settimane il ragazzo non aveva mai smesso di pensarla e chiedersi come se la passasse in Scozia.
Certo, il tradimento e il dolore che lei gli aveva inflitto scottavano ancora, così come la rabbia che scorreva nelle sue vene ogni volta che ripensava a lei e a quello scrittore da strapazzo insieme, nudi, a fare sesso.
Eppure…
“Cosa diavolo vuole? – chiese restio – Ti ha detto qualcosa?”
“No, nulla. – rispose scuotendo il capo Lily – Mi ha semplicemente chiesto di te.”
“In questo caso dovrà aspettare. Dille che ho alcune faccende da finire, che se vuole può tornare alla chiusura del locale, o andarsene se preferisce. E’ una maestra in questo.”
Lily lo guardò sottecchi, in quei mesi aveva imparato a conoscere quel ragazzo taciturno e all’apparenza scontroso, e capì che sotto quella corazza fatta di arroganza e sicurezza si nascondeva un uomo ferito nel profondo.
“Va bene.” Disse semplicemente e senza aggiungere altro ritornò sui suoi passi.


La rivide qualche ora più tardi, mentre stava chiudendo il negozio dopo aver mandato Lily a casa, e per Cole fu come rivederla per la prima volta.
Immobile dall’altra parte della porta a vetro della pasticceria, i capelli castano ramati e gli occhi pieni di timore, gli ricordò la ragazzina spaventata e sconvolta che aveva conosciuto in quella stessa pasticceria due anni e mezzo prima, la stessa che pensava di aver deluso profondamente suo fratello maggiore, il suo idolo, e di non meritare il suo affetto.
“Cosa ci fai qui?” chiese dopo averle aperto la porta.
“Vorrei parlarti se me lo permetti.”
Cole arricciò le labbra, indeciso su cosa dire o fare, e fattosi da parte le permise di entrare.
“E’ stata una lunga giornata e stavo chiudendo quindi ti prego di essere veloce.”
“Non ti ruberò più di qualche minuto, promesso. – disse Charlotte guardandosi le punte dei piedi: sembrava una bambina, la bambina che un tempo era stata, quella che si guardava le punte dei piedi ogni volta che suo padre la rimproverava per qualche disastro combinato insieme a suo fratello – Mi è mancato questo posto, il profumo di dolci che impregna le pareti, il suono della campanella che annuncia l’entrata dei clienti; mi è mancata Richmond, il castello e il fiume, ma più di ogni altra cosa mi sei mancato tu.”
“Se non te ne fossi accorta è con il pasticcere che stai parlando, - le disse piccato Cole – lo scrittore è tornato a Londra, a lui dovresti dire queste tue belle e altrettanto poetiche parole. Magari potrebbe inserirle nel suo prossimo libro.”
“Dexter è a Londra, lo so bene, e se fossi tornata per lui adesso sarei anche io a Londra; invece sono qui, a Richmond, davanti a te e ti sto chiedendo…”
“Non hai alcun diritto di chiedere! – esclamò furente – Non hai alcun diritto, Charlotte, non dopo quello che mi hai fatto.”
Iniziò a camminare nervosamente per il locale, a scompigliarsi i lunghi capelli ricci con una mano, facendo correre i suoi occhi il più possibile lontano da lei.
“Tu mi hai tradito, sei andata a letto con quello stronzo, mi hai distrutto. – continuò – Volevo sposarti, creare una famiglia con te, ti amavo con ogni fibra del mio essere!”
“Lo so, lo so e mi dispiace per tutto il dolore che ti ho inflitto. Mi dispiace e mi odio per quello che ho fatto, per aver ceduto alla passione e a un sentimento che ho capito troppo tardi essere solo profondo affetto, e non ti biasimerò se adesso vorrai urlarmi contro e cacciarmi in malo modo dal locale. Lo merito, Cole, merito il tuo odio e il tuo disprezzo, ma sappi che mi dispiace e che sono tornata solo e soltanto per te. Io ti amo.”
Cole colpì il ripiano di marmo con un pugno, rischiando di rompersi le nocche, facendo sussultare per la paura lei e cercando a tutti i costi di tenere a bada le lacrime.
“Te ne sei andata, Charlie, sei andata via e mi hai distrutto. – sussurrò – Hai distrutto tutte le mie certezze, le mie speranze, e ora torni qui dopo sei mesi e dici di amarmi.
Dimmi, - proseguì voltando appena il suo sguardo nella sua direzione – come posso crederti? Come posso perdonarti, dimenticare? Cosa dovrei dire o fare adesso? Dimmelo, Charlie!”
“Nulla. – rispose con voce rotta – Non devi dirmi niente, non pretendo nulla da te, non sono una sciocca: non ho mai pensato di trovare parole dolci e gentili al mio ritorno, di trovarti a braccia aperte, pronto a riaccogliermi nella tua vita.
Voglio solo che tu sappia che tutto ciò che ho appena detto è vero, che non ti darò mai più per scontato, che Dexter non potrà mai prendere il tuo posto e che ti amo più di quanto abbia mai amato un uomo. E se adesso vuoi che me ne vada, che non mi faccia più vedere, allora tornerò in Scozia dai miei zii e non mi rivedrai mai più. Lo giuro.”

Cole si avvicinò a lei, lento e silenzioso come un lupo, artigliò la sua nuca e con rabbia incollò le loro labbra.
Il suo sapore era come lo ricordava, dolce e intenso, le sue labbra soffici e morbide come il velluto e il suo profumo delicato fu capace di fargli perdere il lume della ragione.
La trascinò nel retro, lontano da occhi indiscreti, e con foga continuò a baciarla mentre le sue mani alzavano la sua gonna e strappavano la sua camicetta di lino.
Morse il suo seno, facendola urlare, e intrecciato il corpo esile di lei al suo la sbatté contro la parete bianca e la penetrò con un’unica e poderosa spinta.
Charlotte gemette, ancora, un gemito di dolore misto a piacere e nonostante le lacrime che rigarono per tutto il tempo il suo viso – neanche lei seppe mai il motivo di quelle lacrime – lasciò che lui la prendesse con rabbia e foga, in quell’unione che di dolce non ebbe nulla, che le avrebbe lasciato solo lividi esterni ed interni.
“Dì il mio nome! – le sussurrò all’orecchio, tirandole i capelli così da portare indietro il viso, azzannandole il collo – Dì il mio nome!”
E lei lo fece: disse il suo nome, lo urlò in preda alla disperazione e al piacere che stava montando dentro di lei, ancora e ancora, fino a quando ebbe fiato in gola.
Cole non aspettò i suoi tempi, non le permise di provare il piacere che le sarebbe spettato di diritto, quell'estasi a cui aveva sempre tenuto tanto e quando si sentì appagato si ritrasse e, come tornato alla ragione, si allontanò da lei, ancora ansimante e provato, fino a toccare la parete adiacente.

“Vattene! – le disse quando ebbe trovato il fiato, gli occhi carici di lussuria e di tristezza, il petto in bella vista che si alzava e abbassava velocemente – Lasciami solo.”

Ubbidì: lentamente, Charlotte si rivestì, sistemando i suoi abiti – quello che ne rimaneva – al meglio possibile e con il viso rigato da calde lacrime uscì dal locale.
Quello che era appena successo era stato paradossale, tra tutte le reazioni che il moro avrebbe potuto avere mai si era immaginata una cosa del genere, e sotto la pioggia che aveva iniziato a cadere copiosa si avviò verso la sua vecchia casa, sperando di essere abbastanza forte da far svanire i lividi sulla sua pelle e il dolore al centro del petto.


 

*


Angolo Autrice: Salve, gente! Finalmente Charlotte ha fatto la sua scelta - una scelta che, lo so, avrà sicuramente stupito molti di voi - ma non è ancora detto se la sua scelta sarà disposta a ricominciare tutto daccapo e dimenticare quello che è successo.
E Dexter, direte voi? Beh, lo scopriremo nel prossimo e ultimo capitolo prima dell'epilogo.
Grazie a chi legge, segue e recensisce. Come sempre vi invito a lasciarmi due righe, anche solo per "insultarmi" per le scelte prese, non si sa mai ;)

Alla prossima,
V.

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** 24. ***













Dexter Freeman adagiò la schiena contro lo schienale in pelle dell’ampia poltrona da ufficio, osservando con mani giunte in segno di preghiera appoggiate contro il mento ispido a causa della barba rossiccia e sguardo appena accigliato il monitor luminoso del suo laptop.
Erano passati quasi sette mesi dal suo ritorno a Londra, sette lunghi mesi che lo scrittore aveva passato a scrivere il suo nuovo romanzo, quello stesso romanzo che con non poca fatica aveva terminato in quella mattina primaverile più calda del solito.
Non era stato facile scrivere quelle quattrocentocinquanta pagine, far fluire attraverso le sue dita affusolate i pensieri e le emozioni che aveva provato di capitolo in capitolo, ma alla fine era riuscito a portare a termine il romanzo.
Chissà cosa ne avrebbe pensato il suo agente, pensò continuando a fissare assorto il luminoso monitor, quale sarebbe stata la reazione del pubblico nel leggerlo: c’era molto, troppo di autobiografico in quelle pagine, in alcuni punti il dolore e il fallimento che aveva provato oramai due anni prima erano tangibili, e poi c’era la protagonista…
In quell’istante il cellulare alla sua sinistra vibrò, segnalando l’arrivo di una e-mail, e messe da parte le preoccupazioni e i timori decise di leggerla immediatamente.
Nei primi istanti Dexter non diede molto caso all’indirizzo del mittente, tanti erano i messaggi ancora da leggere, ma poi realizzò: quella e-mail non era stata mandata da uno dei soliti sciacalli del mondo delle case editrici, o dal suo agente, ma da una persona a lui molto cara.
Era stata Charlotte a mandarle quella e-mail, e questo bastò per rendere nervoso lo scrittore, che da oramai sette mesi aveva perso le tracce dell’amica d’infanzia.


«Mio carissimo Dexter, spero tu stia bene e che la tua vita a Londra stia procedendo con la tranquillità e la serenità d’animo che tanto hai cercato nei mesi trascorsi a Richmond.
Probabilmente questa e-mail arriva in un momento inaspettato, così come inaspettate saranno le parole che adesso ti scriverò, ma non potevo esimermi dallo scriverti.
Sono tornata a casa due settimane fa, il mio viaggio-esilio a Inverness è terminato con l’arrivo del nuovo anno e della primavera, e sto cercando di riprendere possesso della mia vita.
So bene di essermi comportata male nei tuoi confronti, di essere sparita senza darti neanche una spiegazione, ma avevo bisogno di stare sola e riflettere, specialmente dopo quello che era successo…
I mesi trascorsi insieme sono stati importanti per me, e non li dimenticherò mai, ma devi capire, mio carissimo Dex, che, nonostante l’affetto profondo che ci lega, il mio cuore è sempre appartenuto ad un’altra persona…
Ero solo troppo cieca per accorgermene. 
Ho capito troppo tardi di non poter provare più che dell’affetto per te, ti chiedo perdono se ti ho illuso e ferito, perché ferirti è sempre stato l’ultimo dei voleri; ho capito troppo tardi che la nostra è stata solo una passione carnale che si è consumata come una fiammella, che è stato il dolore della perdita a parlare per noi, non l’amore puro e profondo.
E so, mio caro Dexter, che tu meriti una persona migliore di me, qualcuno che ti ami incondizionatamente, che ti doni non solo il suo corpo ma il suo cuore, qualcuno che ti starà accanto nel bene e nel male.
Spero di rivederti, un giorno, di leggere presto il nuovo libro che mi hanno detto stai scrivendo, di sorseggiare una buona tazza di the caldo insieme come due vecchi amici.
Magari a Richmond, forse a Londra, chissà…

Con la speranza che tu possa perdonarmi e capire, ti abbraccio forte e ti faccio i miei migliori auguri per tutto ciò che la vita ti riserverà.

 


La tua affezionata amica,
Charlotte

 



Era ancora assorto nei suo pensieri, stava rimuginando sulla lettera di Charlotte appena letta, quando Andrea entrò nel suo studio con indosso una vestaglia di seta color smeraldo.
Sorrise, notando la sua aria assente, e a piedi scalzi nonostante il pavimenti di marmo gelido si avvicinò a lui e posò una mano sulla sua spalla destra.
“Pensieri?” chiese con voce suadente, destandolo dai suoi pensieri, strappandogli un sorriso una volta seduta sulle sue gambe.
“Edwards! Sei sveglia… - appurò lo scrittore, sentendosi immediatamente sciocco per quella frase, accarezzando pigramente la morbida coscia di lei – Hai dormito bene?”
“Come un angelo. – rispose avvicinando i loro visi e baciandolo – Devo ancora abituarmi a questo, svegliarmi nel tuo letto ogni mattina, fare l’amore tutta la notte.”
“Allora siamo in due.”
Quello che era successo tra Dexter e Andrea non era stato previsto: la giovane donna gli era stata accanto in quei sette mesi, non lo aveva lasciato mai e lo aveva incoraggiato con la scrittura, spinto a dare il massimo.
Non aveva mai chiesto nulla in cambio, non i soldi per le ore di straordinario, non del contatto fisico o qualunque altra cosa.
Andrea era stata al suo fianco semplicemente perché teneva a lui, perché era sua amica, e nessuno dei due si era scandalizzato più di tanto quando, sei settimane prima, erano finiti a baciarsi e fare sesso prima sulla scrivania e poi sul divano del suo studio.
Da quel momento non avevano più smesso, realizzando ogni giorno di più di avere bisogno l’uno dell’altra, che il loro non era solo semplice sesso ma qualcosa di più.
“Cos’è questa?” chiese Andrea quando il suo sguardo cadde sulla e-mail ancora aperta.
Dexter sbuffò, maledicendosi mentalmente, staccandosi mal volentieri dal suo collo morbido ed invitante: riaprire il discorso Charlotte con Andrea sarebbe stato difficile, specialmente dopo i dubbi che avevano attanagliato la seconda durante le primissime settimane del loro rapporto, il suo sentirsi un ripiego in mancanza della prima.
“Una e-mail da Charlie. – disse con voce più calma possibile – E’ tornata a Richmond.”
Dexter percepì il corpo di lei farsi immediatamente più teso e quando cercò di alzarsi e allontanarsi da lui dovette fare uno sforzo non indifferente per bloccarla.
“Ferma! – esclamò autoritario – So cosa stai pensando ma la risposta è no! No, non mi ha chiesto di tornare da lei, tantomeno mi ha chiesto di poter venire a Londra, vederci.
Ha fatto una scelta, certo, ma la scelta non sono io.”
“E se, invece, fossi stato la sua scelta? – chiese Andrea – Se fosse venuta qui, a suonare alla tua porta, chiedendoti di riprenderla nella sua vita?”
“Ma non lo ha fatto, no?”
Andrea scosse la testa e, con uno strattone, si liberò dalla presa dello scrittore e si mise in piedi: “No, certo, ma questo non cambia le cose. Cosa avresti fatto, Dex? Perché sai come la penso, ti ho detto mille volte che non ho intenzione di essere un ripiego, una toppa messa sui pantaloni in attesa di comprarne un paio nuovo.”
“E io, invece, ti ho detto mille volte che non lo sei! – esclamò – Non avrei mai iniziato un qualsiasi tipo di relazione con te, la mia più cara amica, se provassi qualcosa per Charlotte.”
“Ma voi avete condiviso così tanto, siete stati così complici, avete un passato e io…”
“Tu sei quello che voglio. – si avvicinò a lei e le alzò il viso prendendole delicatamente il mento con una mano – Non Charlotte, non la mia ex moglie, tu! Se avessi voluto davvero Charlotte sarei andato in Scozia, con o senza la tua benedizione, l’avrei portata indietro e le avrei dichiarato il mio amore eterno, invece sono rimasto a Richmond, sono tornato a Londra con te e ho capito che è solo un profondo affetto quello che ci lega. Non la amo, non come un uomo dovrebbe amare una donna, e lei non ama me.
Questo non è abbastanza, Edwards? Non ti bastano le mie rassicurazioni, le mie promesse, quello che entrambi proviamo quando ci baciamo, restiamo stretti l’uno all’altra, facciamo l’amore per tutta la notte?”
Andrea abbassò il capo e assottigliò le labbra: “Perdonami. – sussurrò – Ho avuto paura, in queste settimane ho atteso con terrore questo momento, il momento in cui lei sarebbe tornata a bussare alla tua porta. Ho avuto paura di non essere abbastanza, non a confronto con lei, la tua amica d’infanzia, la ragazza che riesce a far cadere tutti ai suoi piedi, con cui hai così tanto in comune. Ho avuto paura e mi dispiace, mi dispiace di aver dubitato di te, di aver messo noi in discussione.”
“Non c’è nulla da perdonare.”

L’abbracciò, facendola sentire desiderata e amata, e con passione la baciò e la strinse talmente forte da toglierle il fiato.
Le sfilò la vestaglia di seta, scoprendo i piccoli seni rosei, facendo lo stesso con i suoi slip neri, e fatta sedere sulla scrivania chiuse con un tonfo sordo il laptop e, senza mai smettere di baciarla, le fece allargare piano le gambe.
Andrea si inebriò delle sensazioni che seguirono, del piacere e dei baci, della passione che i loro corpi accaldati erano capaci di diffondere e chiusi gli occhi capì di essere l’unica donna nella vita e nel cuore dello scrittore.
Dexter respirò il profumo floreale della pelle di lei, continuando a baciare sua bocca carnosa e gonfia, dimenticandosi totalmente di Charlotte e di quello che era stato, concedendosi completamente alla donna a cui, senza neanche accorgersene, aveva donato il suo cuore.

 


**



Charlotte Harrison era rannicchiata sotto una calda coperta di lana e stava guardando senza troppa attenzione un programma televisivo, uno di quei quiz che andavano in onda nel tardo pomeriggio e anticipavano il notiziario della sera, quando il campanello suonò.
Domandandosi chi potesse essere a quell’ora di sera, la ragazza abbandonò contro voglia il tepore del divano e si diresse verso la porta, sussultando appena per la sorpresa quando davanti a lei si palesò la slanciata figura di Cole.

“Cole! – esclamò sorpresa – Cosa ci fai qui?”
Erano passate quasi tre settimane dal suo ritorno, da quella sera in cui aveva affrontato il ragazzo e gli aveva permesso di prenderla in quel modo quasi bestiale nel retro della pasticceria, contro quella parete da poco riverniciata: lui non l’aveva più cercata – non che la cosa si fosse rivelata una sorpresa – e lei non aveva cercato lui, dandogli i suoi spazi e il modo di riflettere attentamente su quello che davvero voleva, sul loro futuro.
“Ho portato la tua quota mensile degli incassi e alcune cose che mi hanno lasciato per te i clienti durante i tuoi mesi d’assenza. – disse sfilando dalla tasca interna del cappotto una busta giallastra con dentro dei soldi e posando a terra una scatola di medie dimensioni – Ecco, è tutto qui dentro.”
“Non dovevi disturbarti a passare, sarei venuta io alla pasticceria in mattinata, oppure avresti potuto lasciare tutto a Lily, così da non dovermi vedere.”
“Ci ho pensato, - confessò lui – ma penso sia meglio così. E poi ti devo delle scuse per quello che è accaduto qualche settimana fa, per il modo in cui ho agito, per averti fatto del male…"
"Sono stato una bestia, – sussurrò pieno di vergogna – ti ho praticamente violentato; da quando è accaduto non dormo la notte e mi maledico ogni mattina.”
“Violentato? – solo pronunciare quella parola la fece rabbrividire – Cole, ascoltami: solo perché non ho avuto un orgasmo e mi hai praticamente strappato di dosso una camicetta non vuol dire che tu mi abbia violentato. Certo, il modo in cui abbiamo fatto sesso è stato piuttosto rude e forse in alcuni momento violento, ma se fosse accaduto contro la mia volontà non avrei mai e poi mai assecondato i tuoi baci e pronunciato più volte il tuo nome in preda alla passione e al piacere che stavo provando.”
“Quindi non sei… - Cole tentennò – Stai bene?”
Charlotte sorrise e annuì, segretamente contenta di appurare quanto il ragazzo ancora tenesse a lei e si preoccupasse per il suo stato d’animo, e tranquilla rispose:
“Sì, sto bene. Un po’ infreddolita per questo vento che proviene dalle scale ma niente di più. – si strinse di più nelle spalle – Vuoi entrare?”
Cole temporeggiò, indeciso o meno se accettare la sua gentile proposta, temendo di non riuscire a resistere una seconda volta ai suoi modi premurosi e alle sue belle parole.
“Okay, ma solo per qualche minuto.”

Fu strano rientrare dopo così tanti mesi in quella casa, nella casa in cui lui aveva vissuto insieme a lei per quasi un anno e in cui lui aveva sperato di formare una famiglia; fu strano ritrovare quel clima accogliente, rendersi conto di come nulla fosse cambiato, di come ogni cosa là dentro rievocasse nella sua mente un ricordo prezioso.
Aveva perso il conto delle volte in cui avevano fatto l’amore sul quel divano, lo stesso su cui si sedette in modo impacciato su invito di lei, e senza poterlo impedire fu nuovamente colto dalla rabbia: se solo lei fosse stata più saggia e forte, se solo quello scrittore da quattro soldi non fosse mai tornato a Richmond, se solo lei avesse realizzato prima i suoi veri sentimenti per lui, allora quante cose sarebbero cambiate.
Sarebbero stati già sposati, forse, sarebbero diventati una famiglia e magari con un po’ di fortuna lei sarebbe anche rimasta incinta di suo figlio.

“Puoi tornare, se vuoi… - le disse cogliendola ancora una volta di sorpresa – Al Sunflower, intendo. Puoi tornare, anche domani stesso, quando vuoi.
Dopo tutto è tanto mio quanto tuo, tuo fratello lo ha lasciato a te per un motivo, e non ho alcun diritto per andare contro le sue volontà ed estrometterti.”
“Non sei costretto a farmi tornare, la pasticceria e il bar vanno bene anche senza di me, in questi mesi con l’aiuto di Lily te la sei cavata bene e io posso sempre trovare qualche altro lavoro e nello stesso tempo continuare a ricevere una minima parte dei profitti.”
“Sì, hai ragione, in questi mesi me la sono cavata più che bene e Lily è stata una grande risorsa… - fece una pausa e sospirò – Prima che ritornassi prepotentemente nella mia vita ho addirittura pensato di chiederle di uscire una sera, così da voltare pagina una volta per tutte e dimenticarti, ma a quanto pare al destino piace prendersi gioco di me.”
“Se stare lontano da me è quello che vuoi, se può farti vivere sereno e darti la possibilità di andare avanti con la tua vita com’è giusto che meriti allora dimmelo adesso e io tornerò a Inverness, in Scozia, entro fine mese. – posò una mano sulla sua – Devi solo dirlo, Cole, e giuro che io scomparirò dalla tua vita. Hai già sofferto troppo a causa mia, a causa dei miei problemi e delle mie debolezze, e non voglio che tu soffra ancora.”
“Lo faresti davvero? Torneresti in Scozia, dai tuoi zii, sotto mia richiesta?”
“Sono stata egoista per troppo tempo, ho messo me stessa e i miei capricci al primo posto per più di un anno, e non posso più permettermi di esserlo. – disse guardandolo negli occhi – Ho capito, nei mesi trascorsi lontano da te, che se ami davvero qualcuno devi pensare prima alla sua felicità e poi alla tua e io… io ti amo più di me stessa e per questo sì, ritornerei in Scozia, farei qualsiasi cosa pur di saperti sereno e contento.”
“No, non voglio questo… - confessò prendendole la mano sinistra tra le sue – Sai, l’ho conservato. L’anello, intendo, quello che avevo comprato nella speranza di sposarti. Lo tengo a casa, nascosto, e ogni volta che ho provato a sbarazzarmene non ci sono riuscito.
Sì, ti amo ancora se è quello che stai pensando, benché mi pesi ammetterlo dopo quello che mi hai fatto…
Ma ho bisogno ancora di qualche tempo per abituarmi al tuo ritorno, a riaverti nella mia vita, a riconsiderare un futuro insieme.”
“E io ti darò tutto il tempo necessario, rispetterò i tuoi tempi, non avanzerò richieste. – disse speranzosa – Non fraintendermi, so che alla fine quell’anello finirà al mio dito, e combatterò ogni giorno per riaverti nuovamente al mio fianco, ma lo farò con i tuoi tempi.”
“Sempre decisa e testarda, vero? – Cole rise – Non cambierai mai, ma è anche questo che mi piace di te, che mi ha sempre affascinato. Sei decisa, forte, se vuoi una cosa combatti come una tigre per ottenerla.”
“E questa volta è te che voglio. – sorrise sorniona e si avvicinò a lui – So che ho appena detto che rispetterò i tuoi tempi ma pensavo che, almeno per stasera, potrei provare a chiederti un bacio. Solo uno, nient’altro, solo se lo vuoi anche tu.”
Cole fece finta di rifletterci, tenendola di proposito in tensione, e dopo alcuni lunghissimi istanti le circondò con un braccio la vita e la fece sedere a cavalcioni su di lui.
“Molto bene, Harrison, ma solo uno.”
Charlie circondò il suo collo con le braccia, affondando le dita nei suoi ricci ribelli, e impaziente unì le loro labbra in un bacio ben lontano da essere casto e che lasciò entrambi a corto di fiato.
Cole intrufolò la sua mano fredda sotto la maglia di lei, facendola rabbrividire per quel contatto contro la sua pelle bollente, e sussultò quando lui le morse il collo e tornò a baciarla con la stessa passione di prima.
“Non si era detto un solo bacio?” chiese sorniona lei, ricordandogli le sue stesse parole.
“Non si era detto che sarei stato io a prendere decisioni?”
Si scambiarono un sorriso sornione e lascivo, uno sguardo complice, e senza aggiungere altro tornarono nuovamente a baciarsi.



 


*



Angolo Autrice: Okay, folks, this is it! L'ultimo capitolo della storia, al quale seguirà molto presto un breve epilogo, ci ha finalmente mostrato dove le strade dei due ragazzi li hanno condotti. Non anticipo nulla su quello che verrà scritto nell'epilogo, ambientato credo un'anno e mezzo dopo, ma posso con certezza dirvi che nonostante si siano separate e per breve tempo incontrare le loro strade hanno portato Charlotte e Dexter alla felicità.
Grazie, infine, a chi legge, segue e recensisce. Ricordo che due righe sono sempre gradite, specialmente ora che siamo alle battute finali, quindi non siate pigri! ù.ù

Alla prossima,
V.

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** 25. Epilogo ***










Charlotte Harrison strattonò bruscamente il moro alla sua destra, bloccandosi davanti alla vetrina di una delle librerie del centro di Richmond, osservando con fronte leggermente aggrottata il libro dalla copertina dai toni caldi che spiccava al centro.
“Va tutto bene? – chiese l’uomo preoccupato – Il bambino continua a scalciare?”
“Guarda! – esclamò indicando il suddetto libro – Meno di due mesi ed è già al numero uno dei bestseller britannici ed europei.”
Erano passati poco più di due anni da quando Dexter era tornato a Londra, sei mesi dalla pubblicazione del suo libro, avvenuta solo dopo il consenso che Charlie aveva dato: dopo tutto, quel libro portava il nome della sua pasticceria, Sunflower, parlava dei suoi momenti più bui ed era stato palese a tutti coloro che avevano vissuto quei mesi con lo scrittore che la protagonista fosse ispirata a Charlotte.
“Lo scrittore è ritornato alla ribalta con il botto, bisogna ammetterlo. – ammise Cole, che inizialmente si era opposto a quella pubblicazione, una pubblicazione che, aveva temuto, avrebbe potuto riportare la sua futura moglie, la stessa donna che aveva sposato due mesi dopo in un’intima cerimonia avvenuta a Richmond, tra le braccia dello scrittore – Buon per lui.”
“Sarà sicuramente fiero di questo suo successo, specialmente ora che manca poco meno di un mese al suo matrimonio con Andrea.”
Dexter le aveva inviato una partecipazione due mesi prima, come lei aveva fatto con lui quasi un anno addietro, quando lei e Cole si erano rimessi insieme e lui le aveva chiesto di sposarla nel giro di poche settimane.
Lui, però, non aveva partecipato – l’imminente pubblicazione del suo libro lo aveva tenuto occupato e per rispetto nei confronti di Cole aveva preferito declinare l’invito e non rischiare di agitare nuovamente le acque nel giorno più bello della vita di Charlotte – e con la delicata gravidanza che si stava portando avanti anche Charlotte aveva dovuto rinunciare ad essere tra gli invitati per non sottoporsi allo stress del viaggio e rischiere di ricadere in una nuova minaccia d’aborto.
“Nonostante tutto ammetto che è un ottimo romanzo e dovrebbe essere orgoglioso di ciò che è riuscito a fare: molti lo davano per spacciato, all'inizio nessuno gli ha dato troppa importanza dopo il fiasco precedente, ma Freeman se l’è cavata egregiamente. – baciò il capo di sua moglie e le circondò la vita – Vieni, bimba, andiamo. Inizia a fare freddo e i tuoi genitori ci stanno aspettando per pranzo.”
Charlotte annuì senza dire nulla, prendendo nuovamente la mano di suo marito, e con la coda dell’occhio diede un ultimo sguardo fugace alla vetrina: quel libro sarebbe rimasto per sempre nel suo cuore, si trovò ad ammettere, così come i mesi che aveva trascorso insieme a Dexterd a Richmond.

Benché le loro strade li avessero condotti verso due vie diverse, Charlotte sapeva che Dexter era felice nel suo successo ritrovato e con accanto la donna giusta per lui - quella che stava per sposare e con cui progettava di avere dei figli -  almeno quanto lei lo era in quel momento, stretta mano nella mano dell’uomo che amava e che era suo marito, con il bambino che cresceva nel suo grembo e che, presto, avrebbe stretto tra le braccia.


 

*



Angolo Autrice: Eccomi qui, al termine di questa storia. Non ho molto da dire, se non che è stato un lungo viaggio e che sono contenta di averla terminata.
Spero che questa storia vi sia piaciuta, nonostante nell'ultimo periodo abbia notato un calo di interesse e recensioni notevoli, e che le mie scelte non vi abbiano spinto ad abbandonarla. Se fosse così mi dispiacerebbe, anche se riscriverei questa storia esattamente così altre cento volte.
Non ho molto altro da aggiungere, se non ringraziare chi ha letto in silenzio e chi ha seguito, ma soprattutto chi ha sempre recensito nonostante tutto.

Arrivederci, e grazie per tutto il pesce, [cit.]
V.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2897317