Pearl Harbor - Il trio perfetto

di Stella Dark Star
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il fuoco ardente del Tennessee ***
Capitolo 2: *** Il tempo di volare ***
Capitolo 3: *** Il rumore di un cuore infranto ***
Capitolo 4: *** Partenze e ritorni ***
Capitolo 5: *** La vita a Pearl Harbor ***
Capitolo 6: *** La perla del Pacifico ***
Capitolo 7: *** La felicità è solo un'illusione ***
Capitolo 8: *** Un mostro chiamato Gelosia ***
Capitolo 9: *** All'inferno e ritorno ***
Capitolo 10: *** Il trio perfetto ***
Capitolo 11: *** Scelte sbagliate ***
Capitolo 12: *** Marito e moglie ***
Capitolo 13: *** L'area di un triangolo ***
Capitolo 14: *** L'anello della discordia ***
Capitolo 15: *** Di nuovo addio ***
Capitolo 16: *** Il sottile filo della vita ***
Capitolo 17: *** Al bivio tra passato e futuro ***
Capitolo 18: *** Always ***



Capitolo 1
*** Il fuoco ardente del Tennessee ***


1
Il fuoco ardente del Tennessee
 
Marybeth McCawley uscì di casa tenendo la bambina in braccio, diretta al capannone degli attrezzi del marito. Si aspettava di trovarvi il figlio, magari in compagnia del compagno di giochi, e invece stranamente non vi era nessuno dei due.
“Dove sarà finito quel bambino?” Il tono non era spazientito, anzi vi era un accenno di divertimento nella voce. La piccola tra le sue braccia la stava guardando con occhi sgranati, come in attesa di qualcosa.
Lei le sorrise: “Vedrai che lo troveremo! Non temere, piccola Katy!”
Uscita dal capannone si diresse verso il vialetto tra i campi, godendosi il sole radioso di una piacevole mattinata estiva. In fondo al viale vide l’aereo da disinfestazione del marito.
“Che strano. Non lo lascia mai là.”
Continuò a camminare e finalmente li vide: due figure saltellanti vicino all’aereo. Stavano esultando per qualcosa, ma non riusciva ancora a sentire cosa dicessero. Solo avvicinandosi poté pian piano udire le parole: “Abbiamo volato! Abbiamo volato!”
“Oh forse ho capito. Probabilmente John gli ha concesso di fare un giretto prima di recarsi in paese a consegnare le taniche vuote.” Non le passò nemmeno per la mente che quei due diavoletti avessero appena combinato una marachella. Non appena fu a portata di orecchio chiamò: “Rafe!”
Udendo il richiamo, Rafe smise di saltare e di gridare e si voltò verso la madre. La vide camminare verso di lui come una Madonna col bambino, o almeno la versione moderna di una Madonna, coi capelli biondi tagliati alla maschietta come voleva la moda, un vestito a stampa fiorita e sandali campagnoli, il volto acqua e sapone e un dolce sorriso sulle labbra.  Corse da lei, seguìto da Danny, il compagno di giochi.
“Sì mamma?” Disse alzando il viso abbronzato e sgranando gli occhi color nocciola.
Marybeth posò a terra la bambina con attenzione: “Potresti badare a tua sorella mentre preparo la colazione?”
La piccola Katherine allungò un braccino paffutello e tirò una manica della camicia di Rafe, poi emise una risatina e tentò di chiamare il suo nome: “Ef! Ef! Ef!”
Rafe le regalò un sorriso e subito dopo rispose alla domanda della madre: “Certo, mamma!”
Marybeth gli accarezzò il capo affettuosamente, scompigliandogli i capelli castani.
“Te l’affido per un’oretta. Vi chiamerò quando sarà pronta la colazione.” Un ultimo sorriso e si voltò per tornare verso casa.
Rafe non perse tempo, carico di entusiasmo si rivolse subito alla sorellina: “A cosa vuoi giocare, Katy?”
Danny si inginocchiò per essere alla stessa altezza della bambina: “Vorresti fare una corsetta con me e Rafe?”
Katherine scoppiò di gioia e si mise a gridare battendo le manine: “Sì! Sì!”
Rafe e Danny si scambiarono uno sguardo complice, quindi presero entrambi una mano della bimba e iniziarono a correre per il viale, cercando di tenere sollevata la piccola perché non si facesse male. Corsero per tutto il viale fino ad arrivare in prossimità del capannone di legno e solo allora si fermarono e si lasciarono andare sul prato, assieme alla piccola Katy che continuava a ridere. Qualche istante per riprendere fiato e Rafe afferrò il corpicino della sorella per farla sedere cavalcioni sul suo petto: “Sai Katy, prima io e Danny abbiamo volato per davvero! Eravamo sull’aereo di papà e l’abbiamo fatto sollevare da terra!”
Danny si intromise con entusiasmo: “Siamo i migliori! Diventeremo degli eroi!”
Nonostante i due anni di età, Katherine era una bambina molto sveglia e intelligente, e riuscì a capire il racconto del fratello e l’entusiasmo del suo amico. Per dimostrarlo decise di unirsi alla gioia di gruppo in un modo tutto suo: librò le braccia in aria fingendo di essere un aereo.
Danny, guardandola, ne rimase entusiasta e si diede in un applauso lungo e rumoroso.
La piccola tentò di dire: “Voae! Noi voae!”
Danny si mise subito in piedi con uno scatto e la prese tra le braccia per accontentarla: “Vuoi volare Katherine?”
Lei batté le manine: “Sì! Voae!”
“Ok, allora preparati al decollo!”
Rafe scattò in piedi a sua volta, al posto della gioia nei sui occhi si era fatta posto l’ombra della gelosia: “Dammela, la faccio volare io.”
Danny rispose con calma: “E’ in braccio a me, adesso. Posso farlo io.”
Rafe aggrottò le sopracciglia e con gesto villano afferrò la sorella per strapparla dalle braccia di Danny: “Ti ho detto che la faccio volare io.”
Katherine si ritrovò coinvolta in quell’alterco e il suo istinto di bambina le suggerì di fare il labbro tremulo e mettere in mostra gli occhioni pieni di lacrime.
Danny si alterò: “La stai spaventando. Smettila di comportarti così.”
Rafe rispose a tono: “E’ colpa tua. Vuoi sempre intrometterti.”
Inevitabilmente, Katherine scoppiò a piangere. Cominciò a tirare calci coi piedini, costringendo il fratello a metterla giù: “No. Ef no. Eni no.”
Rafe si rivolse a Danny: “Hai sentito? Non vuole che litighiamo.”
Danny emise un lungo sospiro per ritrovare la calma, poi propose una soluzione: “Senti, facciamo decidere a lei.”
Rafe fece un cenno col capo: “Sono d’accordo. Sarà lei a dire chi di noi due potrà farla volare.”
La piccola, sentendosi al centro dell’attenzione, cominciò a muovere lo sguardo da uno all’altro, il ditino indice tra le labbra.
Rafe saltò fuori egoisticamente: “Vedrai che sceglierà me.”
Danny rispose ringhiando: “Non è detto.”
Allorché Rafe non riuscì a trattenersi: “Katy, scegli me.”
E Danny lo imitò: “No, scegli me.”
“Scegli me.”
“Katy, scegli me.”
“Ti prego scegli me.”
La piccola, vedendo con quanta foga rivaleggiavano i due bambini, non riuscì nemmeno a parlare. I suoi occhi tristi e gonfi di lacrime pian piano iniziarono a cambiare. Al posto del lucido scintillio delle lacrime, nacque quello della rabbia. Nella sua mente le voci di Rafe e Danny si fecero quasi assordanti, sovrapposte e insistenti, e lei cominciava ad averne abbastanza.
*
“Adesso basta!” Katherine pose fine a quel continuo conflitto gridando a pieni polmoni. Le sopracciglia aggrottate e gli occhi che emanavano scintille.
Quella bimba che una volta guardava dal basso all’alto era ormai diventata una bella ragazza di quindici anni dai lunghi capelli biondi, la carnagione color latte come quella della madre, occhi color nocciola come quelli del padre, altezza perfetta per guardare negli occhi quei due imbecilli che ogni giorno litigavano per lei, neanche fosse stata un trofeo.
“Insomma! E’ da tredici anni che andate avanti così.” Disse agitando le braccia lungo i fianchi e tenendo i pugni chiusi.
Danny fu il primo a farsi avanti: “Hai ragione. Io cerco sempre di farlo ragionare, ma lui non collabora.” Il suo carattere era diventato ancora più mite dopo la pubertà e i suoi rotondi occhi scuri da orsacchiotto di peluche lo rendevano ancora più innocuo.
“Devi metterti in testa che io sono suo fratello ed è mio dovere proteggerla, quindi lei deve volare con me.” Al contrario dell’amico, Rafe con il passare del tempo era diventato ancora più arrogante e protettivo. I suoi occhi in quel momento avevano una scintilla di fuoco ardente che ricordava molto quella della sorella quando si arrabbiava. Se fisicamente i due non si somigliavano molto, di certo il loro carattere non lasciava dubbi su quale fosse la loro parentela.
Danny agitò le braccia in aria: “Praticamente mi stai accusando. Stai insinuando che volando con me correrebbe dei rischi. Grazie tante per la fiducia, amico mio.”
Rafe sollevò una mano in segno di tregua: “Non sto affatto dicendo questo. So che sei un bravo pilota. Il punto è che io sono il più grande, anche se solo di pochi mesi rispetto a te, ed ho più esperienza nel pilotare un aereo. Tutto qua.”
Katherine allungò le mani e le posò una sul petto di Rafe e una sul petto di Danny: “Sentite, non voglio che ogni volta litighiate per me. Sarebbe molto più semplice se faceste a turno e la smetteste con tutte queste storie. Siete cresciuti assieme, andate perfettamente d’accordo, non capisco perché quando si tratta di me vi comportiate così. Mi fate sentire in colpa.”
Rafe sbuffò contro se stesso, sentendosi davvero colpevole: “Lo sai che non è colpa tua, però hai ragione, spesso ci comportiamo come bambini. E io… Bè, ammetto di essere ossessionato dal mio ruolo di fratello maggiore.”
Danny fece un cenno positivo col capo: “Soprattutto quando si tratta di te, Katy, abbiamo la tendenza a diventare iperprotettivi. Ti chiedo scusa per questo.”
Katherine sorrise vedendo che i bollori si erano spenti ed entrambi sembravano dispiaciuti per quella situazione. Prese il comando dicendo: “Suvvia, ora è il momento di passare all’azione! Tra non molto papà sarà di ritorno e noi non abbiamo ancora cominciato.”
Rafe si allarmò: “Accidenti. Diamoci una mossa.”
I tre giovani, dentro le loro tenute da aviatore, si avviarono velocemente verso i due aerei per la disinfestazione, posizionati in un modo tale che sembrava li stessero osservando.
Un attimo prima di salire sul proprio, Rafe si voltò verso Katherine e le chiese tranquillamente: “Ti va di volare con me oggi?”
Lei lo osservò un istante senza manifestare emozioni, poi spostò leggermente lo sguardo in un’altra direzione, incontrando lo sguardo di Danny. Per un istante che parve durare un’eternità i loro sguardi si fusero l’un con l’altro in una dimensione parallela in cui esistevano solo loro due, e quando quell’attimo finì Katherine seppe esattamente cosa rispondere: “Volentieri, fratellone!”
Rafe l’aiutò a salire sulla postazione dell’accompagnatore e poi salì davanti, sulla propria. Danny nel frattempo aveva già preso posto sul proprio aereo. Tutti e tre inforcarono gli occhialini, i ragazzi accesero i motori e partirono sicuri verso una nuova avventura fuori dalla realtà, eseguendo il proprio dovere di disinfestatori e allo stesso tempo immaginando di esplorare cieli ignoti fuori dalle campagne del Tennessee.
*
Dopo poche ore, gli aerei atterrarono e i ragazzi scesero con evidente aria entusiasta.
Danny in particolare era quello più eccitato di tutti: “Wow! E’ stato uno spasso!”
Rafe aggiunse: “Già! Miglioriamo di giorno in giorno!”
Katherine optò per uno scherzo, si passò una mano tra i capelli e camminò di fronte a loro con civetteria: “E pensare che diventerò più brava di voi.”
Rafe l’afferrò per il girovita e l’attirò a sé: “Quando avrai l’età giusta per volare, magari.”
Lei gli fece la linguaccia, divertita: “Papà ha detto che posso iniziare il prossimo anno e tu dovrai farmi da maestro.”
Rafe alzò gli occhi al cielo: “Papà è troppo buono con te.”
Vedendo che entrambi scoppiarono a ridere, Danny si avvicinò per unirsi a loro: “Bene, Rafe. Io torno a casa. Devo aiutare mio padre con dei lavoretti fuori.”
Rafe si voltò subito a guardarlo, gli occhi improvvisamente sorpresi: “Non dirmi che state ancora lavorando a quello steccato. E’ da settimane che andate avanti. Ti ho detto che sono disponibile se vi serve una mano in più. “
Danny distolse lo sguardo da quello dell’amico, per timore di tradirsi: “Bè, sai com’è! A mio padre piace lavorare con calma. Eh già. E’ così.” Ma poi si portò una mano ai capelli, tradendosi.
Rafe conosceva bene quel gesto e sapeva il suo significato: Danny era a disagio perché stava nascondendo qualcosa. Decise di giocare d’azzardo per coglierlo con le mani nel sacco: “Immagino che Katy verrà con te anche oggi.”
Danny diventò color fragola: “Se lo desidera, sì. Mi farebbe molto piacere. Lo sai che mia madre adora la sua compagnia e di tanto in tanto anche mio padre diventa meno scontroso quando c’è lei nei paraggi.”
Rafe se la stava ridendo sotto i baffi, al contrario di sua sorella che invece cominciava a temere il peggio. Non voleva che Rafe trovasse una scusa per trattenerla a casa. Decise di rompere quel momento di imbarazzo con un’eccessiva allegria: “Ok, allora vado a cambiarmi in un lampo!”
Danny, che era in attesa di trovare una via di fuga da Rafe, commise una gaffe terribile non avendo ascoltato bene le parole di Katherine: “Oh sì, vengo anch’io!”
La voce di Rafe tuonò: “COSA?”
Katherine si voltò perplessa e con lo sguardo chiese a Danny cosa diavolo stesse combinando. Dopo una simile figuraccia Rafe poteva benissimo chiuderla in camera da letto e buttare via la chiave. Fortunatamente Danny si accorse di avere la gola riarsa, così, trovando un briciolo di coraggio per sostenere lo sguardo fulminante di Rafe, riuscì a dire: “Io intendevo dire che… Ho sete. Mi offriresti una birra, Rafe?”
Katherine diede le spalle ai ragazzi e sospirò di sollievo. Ora poteva riprendere il cammino verso la propria stanza.
Rafe cambiò subito umore, trasformando l’espressione del suo viso in puro divertimento. Avvolse le spalle di Danny con un braccio, con fare mascolino, e insieme si diressero verso la cucina.
*
Dalla bottiglia stappata schizzò fuori un po’ di schiuma che andò a finire sopra la credenza, ma Rafe non se ne curò. Porse la bottiglia a Danny, il quale lo ringraziò e si accomodò su una sedia. Rafe stappò un’altra bottiglia e prese posto di fronte all’amico, il braccio sinistro a penzoloni dallo schienale, il braccio destro che si muoveva meccanicamente per portare la bottiglia alle sue labbra  e poi sul tavolo.
In un angolo della cucina, la signora McCawley era intenta a preparare l’impasto per dei squisiti biscotti alla cannella, che la famiglia avrebbe consumato dopo cena o tutt’al più la mattina seguente per colazione.  
Eccezion fatta per gli ovattati rumori del suo lavoro, in cucina regnava il silenzio. Danny beveva tenendo lo sguardo basso, Rafe sembrava perso in pensieri con lo sguardo rivolto al panorama fuori dalla finestra, fino a quando non ruppe il silenzio: “Io so perché Katy viene sempre via con te.”
Danny sollevò lo sguardo su di lui molto lentamente, l’espressione incerta tra il timore e il divertimento: “No… Tu non lo sai.”
Rafe continuò a guardare nel vuoto: “Io credo di sì.”
In quel momento Katherine piombò in cucina vestita di tutto punto con un grazioso abito a stampa fiorita, sandali abbinati e i capelli raccolti in un foulard: “Sono pronta, Danny. Andiamo?”
La madre interruppe la preparazione dell’impasto e si voltò verso di lei con aria preoccupata: “Tesoro, vai da Danny anche oggi? Non vorrei che il signor Walker ne avesse a male.”
Danny scattò in piedi per intervenire: “Niente affatto, signora McCawley. Mio padre non ha niente in contrario e mia madre adora le visite di Katherine. Ha sempre qualche nuovo manicaretto da farle assaggiare ed è felice di sapere la sua opinione.”
La signora gli sorrise bonariamente, il volto un po’ più paffutello e qualche piccola ruga attorno agli occhi erano i segni che la sua gioventù era ormai finita. Tornò a parlare con la figlia con più serenità: “Allora va bene. Però bada che ti voglio a casa per cena.”
Katherine saltellò verso di lei e le stampò un bacio con lo schiocco sulla guancia. “Sì, mammina. Sei la migliore del mondo!” Saltellò indietro verso Danny  e lo prese  a braccetto.
Mentre uscivano dalla cucina intonarono un  beffardo: “Ciao, Rafe!” E si dileguarono.
Rafe sorrise suo malgrado per quella scenetta buffa, di certo non poteva dire che la sorella e l’amico fossero una compagnia noiosa. In ogni caso la sua espressione tornò più seria, lo sguardo ancora puntato in direzione della porta dal quale erano usciti: “Lo so eccome.”
*
Dopo una corsa tra i campi accompagnata da risate e scherzi, Katherine e Danny si fermarono all’ombra di un grande ciliegio che delimitava il confine tra la terra dei McCawley e quella dei Walker. Dapprima si sedettero semplicemente sul terreno erboso per riprendere fiato, ma poi Katherine si lasciò cadere all’indietro maliziosamente trascinando Danny con sé. Un ultimo scoppio di risa per quello scherzo, poi i loro sguardi si incontrarono e l’atmosfera cambiò completamente. Le loro labbra si unirono calde e assetate, assaporandosi minuziosamente. Katherine intrecciò le braccia attorno al collo di Danny, lui si sistemò su di un fianco per bilanciare meglio il peso e usare la mano libera per accarezzarle una gamba e avventurarsi discretamente sotto la sua gonna.
Tra un bacio e l’altro a Danny tornò in mente un pensiero che lo fece sorridere, costringendolo così ad interrompere il bacio.
Lei sorrise a sua volta: “Hey, che c’è?”
“Stavo solo pensando. Tua madre ha ragione. Se mio padre ti vedesse tutti i giorni farebbe di sicuro una scenata di disapprovazione.”
Katherine si mise a giocare con la sua frangetta che ogni volta gli ricadeva sugli occhi: “Fortunatamente mi vede solo una volta a settimana, visto che tutti gli altri giorni ce ne stiamo qui a coccolarci sotto il ciliegio.”
Danny arricciò le labbra: “Non so se riderci sopra o sentirmi in colpa per tutte le bugie che raccontiamo.”
“Ma noi non mentiamo! Il ciliegio è davvero vicino a casa tua.”
“Non è la stessa cosa!”
Una breve risata rese meno pesante la conversazione e un altro bacio li aiutò entrambi a ritrovare la serenità. Questa volta fu lei ad interrompere il bacio e a guardare Danny con occhi cupi: “Perché non lo diciamo alle nostre famiglie?”
Lui sospirò: “Non sarebbe saggio. Se dicessimo a tutti che siamo innamorati verremmo tenuti sotto controllo costantemente. Non potremmo più stare soli. Senza contare che Rafe mi seguirebbe passo passo con il fucile in mano.”
“Cosa credono che potremmo fare? Qualche bacio non è un crimine. Poi tu hai già diciannove anni, sei abbastanza grande per assumerti la responsabilità delle tue azioni.”
Danny le stampò un bacio sulla fronte: “Sei troppo bella. Lo sai. Presto o tardi cederò, non sono un santo.”
Neanche a dirlo, Katherine si sentì avvampare e il suo respiro si fece più intenso: “Lo sai che non mi devi parlare in questo modo. Già sento costantemente il bisogno di baciarti, se poi mi parli così rischio davvero di perdere il controllo e desiderare cose non adatte alla mia età.”
In effetti Danny lo sapeva, però come poteva non parlarne? Lei diventava sempre più bella, le sue curve erano sempre più perfette e i suoi baci sempre più piccanti. Bando all’età erano entrambi pronti per vivere emozioni più intense, anche se questo era un territorio pericoloso.
“In fondo non facciamo niente di male, no?” Pensò Danny tra sé, dandosi così una spinta morale per procedere con ciò che voleva fare. Puntò dritto sull’incavo tra la spalla e il collo, dove sapeva che lei era più sensibile al contatto delle sue labbra. Quei baci caldi provocarono una reazione in entrambi, ma stavolta Danny non si scostò, rimase dov’era e lasciò che lei intrecciasse le gambe attorno alla sua vita. Le sensazioni diventavano sempre più forti, Katherine sentì il bisogno di inarcare i fianchi verso di lui. Solo i vestiti li dividevano. Ad un tratto, proprio quando il piacere si fece intenso fino al limite, entrambi trovarono la forza di separarsi e rotolare sull’erba in direzioni opposte. Schiena contro schiena, si concessero il lusso del silenzio per ritrovare il controllo.
*
“Oh sei arrivata appena in tempo!” La voce squillante di Rafe l’accolse sull’uscio della porta della cucina. Lui e il padre avevano già preso posto, la tavola era imbandita e Marybeth stava giusto sfornando un pasticcio di carne fumante dal profumo delizioso.
“Katy, vieni a sederti. Tua madre sta per servirci la cena.” Il padre la invitò col sorriso sulle labbra e un gesto della mano. Lei si sedette senza proferire parola.
Subito il signor McCawley si preoccupò: “Tesoro, è forse accaduto qualcosa mentre eri dai Walker?”
Katherine scosse la testa e cercò di far emergere un sorriso. “No, papà. E’ tutto a posto. Sono solo pensierosa.”
Rafe, incuriosito, allungò una mano verso i capelli di lei e ne estrasse un filo di erba. Subito abbozzò uno scherzo: “Katy! Sei grande ormai. Dovresti smettere di fare le capriole sull’erba.”
Lei lo riprese con aria turbata: “Ma che diavolo dici?”
“Katy, lo sai che non mi piace questo linguaggio. Comportati bene.” La signora McCawley non fu severa, ormai era abituata agli scivoloni linguistici della figlia, soprattutto a causa della vita di campagna e delle amicizie maschili.
Katherine divenne il ritratto di una bambina capricciosa: “Ma mamma! Rafe mi prende in giro. Dovresti sgridare lui.”
Con lo stesso tono disimpegnato, la signora si rivolse al figlio maggiore: “Rafe, lascia stare tua sorella, per favore.”
Subito lei sfoggiò un sorriso soddisfatto al fratello, sotto lo sguardo divertito di John che non si era perso nemmeno un istante di quella buffa scenetta. I suoi figli non erano cambiati nemmeno un po’ sotto quel punto di vista e lui ne era lieto. 

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Capitolo 2
*** Il tempo di volare ***


2
Il tempo di volare
 
Altro giorno, altro litigio, stesso motivo: Rafe e Danny pretendevano entrambi che Katherine volasse con loro.
Rafe puntò il dito contro Danny: “Te lo ripeto ancora una volta, Daniel, mia sorella deve volare con me.”
Danny ribatté con altrettanta foga: “Non è una tua proprietà, mettitelo in testa!”
“Ragazzi!” Tuonò Katherine. “Oggi sarò io a decidere. E sto parlando sul serio. Sono arcistufa dei vostri inutili litigi.”
I due la guardarono con attenzione, in attesa del verdetto.
“Voglio volare con Danny. E non voglio sentire obiezioni.”
Rafe e Danny si scambiarono un’occhiata in tralice e poi scoppiarono a ridere come se fino a quel momento avessero solo recitato una parte. Ovviamente non era così, quando litigavano erano assolutamente convinti di quello che dicevano.
Rafe alzò le mani in segno di resa: “Ok, lo ammetto, questa volta ho perso.”
Katherine lo punzecchiò: “E come pegno dovrai leggere un intero capitolo di Guerra e Pace in nostra presenza, senza nemmeno sbagliare a leggere una parola.”
Lui le regalò un’occhiataccia: “Ah ah. Fai pure la spiritosa. Vedrai che un giorno ti farò rimangiare tutte le tue battutine pungenti sul mio problema con le lettere.”
“Mh, forse hai ragione. Vorrà dire che d’ora in poi te le scriverò così potrai offenderti solo quando riuscirai a leggerle.”
Danny interruppe quell’alterco prima che la situazione degenerasse: “Va bene, voi due, ora smettetela. Abbiamo del lavoro da sbrigare se ricordo bene. Gli aerei non possono volare da soli.”
Quello era il loro segnale di attacco, bastò dire la parola magica e in capo a pochi secondi tutti e tre erano ai loro posti, occhialini inforcati e pronti a partire.
*
Durante il pomeriggio, dopo che John e Rafe erano usciti per una commissione e Marybeth si era recata alla parrocchia per un incontro tra devoti, Danny e Katherine ne approfittarono per godersi la quiete della casa raramente vuota senza timore di essere beccati in flagrante e rimproverati.
La stanza di Katherine era un luogo piccolo ma piacevole, di forma rettangolare, la mobilia era ben posizionata per non far sembrare la stanza troppo piccola. Un armadio occupava un lato sottile, la cassettiera e la specchiera erano posizionate accanto alla porta sulla parete di destra, un tavolino con sopra un vaso da fiori e un comò facevano presenza sotto ad una finestra del secondo lato sottile ed infine letto e due poltroncine occupavano la parete restante assieme ad altre due finestre. Di certo la luce non era una cosa che le mancava! In quel momento Katherine e Danny erano seduti proprio sulle poltroncine e parlavano allegramente di quanto successo durante la mattinata.
“Ti giuro che per un attimo ho creduto che ci saremmo schiantati! Però è stato divertente! Soprattutto quando abbiamo trasformato quel mancato incidente in un gioco e gli abbiamo anche dato un nome.”
Lei sottolineò: “Il nome è completamente assurdo. ‘Perde chi molla’. Ma fammi il piacere! Però sì, devo ammettere che mi sono divertita anch’io.”
Danny rise così tanto che dovette perfino portarsi una mano all’addome. Era incredibilmente bello quando rideva, con quegli occhi scuri che si assottigliavano fino a diventare due fessure e le guance che diventavano di un bel rosa acceso.
Katherine adorava osservarlo in tutta la sua bellezza, ma in quell’occasione doveva davvero essersi persa in pensieri perché quando tornò al presente si accorse che lui la stava osservando incuriosito. Si sentì in imbarazzo per essere stata scoperta così: “Cosa c’è? Perché mi guardi?”
Il suo sguardo era brillante e la risposta che diede lo fu ancora di più: “Perché sei bellissima quando sei assorta.”
Katherine si morse le labbra per superare l’imbarazzo: “Sì bè… Volevo dirti, sono contenta di aver potuto scegliere, oggi.”
“E’ stato bello vederti così convinta. Mi ha fatto molto piacere. Era da una vita che non volavi con me a causa del caratteraccio di Rafe!”
“Io volevo volare con te, Danny.” Sentì il cuore batterle più forte in petto per ciò che stava per dire: “Voglio ancora volare con te.”
“Davvero?”
“Davvero.”
Danny si alzò agilmente dalla poltroncina e si diresse verso la cassettiera dove aveva posato gli occhialini. Una volta afferrati, voltandosi si accorse che lei lo aveva seguito, allora la prese per mano e disse semplicemente: “Andiamo.”
Lui stava per avviarsi ancora, ma lei lo trattenne. Prima che lui potesse chiederle qualunque cosa, Katherine buttò fuori tutto d’un fiato: “Voglio volare con te fino ad arrivare in un luogo che non si può raggiungere con l’aereo.”
Danny capì al volo l’allusione ma ugualmente rimase immobile e senza proferire verbo. Osservò Katherine avvicinarsi, allungare un braccio verso di lui, sentì il calore della sua mano attraverso la stoffa mentre lei gli accarezzava il petto. Poi lei indietreggiò di un passo, interrompendo così il contatto. Si portò le mani al colletto della camicia e…
“Oh mio Dio.” Sussurrò Danny.
Katherine si sbottonò la camicia senza distogliere lo sguardo da lui un solo istante, facendolo così sentire un vero idiota perché non era in grado di tenere lo sguardo alla stessa altezza. L’indumento scivolò dalle sue braccia e finì per terra. Pochi gesti e anche i pantaloni ebbero la stessa sorte. Katherine scavalcò il fagotto formatosi a terra e si mise ad armeggiare con le mani dietro le proprie spalle. Nell’esatto momento in cui il reggipetto scivolò e toccò terra, gli occhialini che Danny teneva tra le dita fecero altrettanto. Gli mancò il respiro, il cuore batteva a mille. Lei, compiaciuta di vederlo ammaliato, si chinò un istante per sfilare le mutandine e si rialzò nuda e bella come una venere nata da un mare di latte. Danny aveva completamente smesso di respirare. Si riprese solo quando si accorse che lei gli aveva tolto la camicia di dosso e stava cercando di sfilargli la canotta dalle braccia. Con un gesto impacciato cercò di aiutarla e l’indumento fu eliminato. Ma non era finita! A Danny mancò un battito quando lei si mise in ginocchio di fronte a lui per slacciargli i pantaloni, ma il colmo arrivò subito dopo, quando, ormai nudo, sentì le labbra di lei a stretto contatto con la sua parte più intima.
“Ora davvero mi manca il respiro.” Pensò, chiudendo gli occhi. Non avrebbe saputo dire quanto durarono quella sensazione e quell’incontrollabile piacere, fatto sta che all’improvviso non sentì più niente. Riaprì gli occhi e vide Katherine che lo fissava con aria divertita.
“Dì un po’, come fai ad essere così esperta?” Cercò di sdrammatizzare.
Lei sorrise maliziosamente: “Diciamo che ho messo in pratica alcune conoscenze teoriche. E da come hai reagito direi che me la sono cavata bene!”
Ora basta. Voleva essere lui a dominare la situazione. Era lui il sesso forte. Era lui l’uomo. La prese tra le braccia e la strinse forte a sé, baciandola con ardore. Quando interruppe il bacio la guardò, aveva il respiro affannato e gli occhi desiderosi.
“E’ il momento di fare sul serio.”
*
Katherine aprì gli occhi e sorrise al mattino. Nelle lenzuola sentiva ancora il profumo dell’amore che lei e Danny avevano fatto il pomeriggio prima. Ricordava ancora la pena provata alla sera, quando avevano dovuto separarsi prima dell’arrivo dei famigliari di lei, però fortunatamente il sonno l’aveva colta presto concedendole una bella dormita risanatrice.
Si alzò agilmente dal materasso con un balzo e fu di fronte alla cassettiera.  
Non passarono che pochi minuti quando entrò in cucina gridando: “Buongiorno a tutti! Oggi è il grande giorno!”
Rafe e John la guardarono con tanto d’occhi, invece Marybeth optò per una battuta: “Vorrei vederti così euforica anche la domenica quando andiamo a messa!”
Katherine si sentì pungere sul vivo: “Mamma! Per favore!” Si sedette a tavola e attese che la madre servisse i piatti della colazione. Le parve di morire d’impazienza e non appena anche la madre si sedette, lei cominciò a divorare le uova nel piatto come un animale selvaggio.
“Calmati, sorellina. Se ti agiti così tanto non riuscirai nemmeno a decollare.” Rafe era la voce della ragione, una volta tanto.
John si sporse per guardare fuori dalla finestra, con aria pensierosa: “Se devo dirla tutta questo cielo non mi piace. Non è un buon tempo per volare.”
La figlia lo riprese capricciosamente: “Papà, non portare sfortuna. Mi avevi detto che potevo fare qualche prova di volo prima dell’autunno invece di aspettare la prossima primavera. Non potrei resistere fino al giorno del mio compleanno.”
John sospirò lanciandole un’occhiata paziente: “Non voglio che tu sia in pericolo. Se il tempo peggiora dovremo rimandare. E questo non significa necessariamente che rimanderemo al prossimo anno.”
In quel momento riecheggiarono tre colpi alla porta d’ingresso della casa.
Katherine si alzò dalla sedia, felice: “E’ arrivato Danny!” Corse ad aprire e in un minuto fu di ritorno con Danny a braccetto.
Lui si rivolse gentilmente alla famiglia: “Buongiorno signori McCawley. Buongiorno Rafe.”
Marybeth, che nel frattempo si era alzata per andare ai fornelli, sollevò una caffettiera fumante: “Bevi del caffè, Danny?”
Lui scosse il capo: “No, la ringrazio. Ho già fatto colazione. Sono venuto sperando che il tempo migliorasse, ma a giudicare dai nuvoloni che si stanno avvicinando temo che pioverà a dirotto.”
Katherine gli lasciò subito il braccio e lo squadrò con rabbia: “Ti ci metti anche tu?”
Soppesò con lo sguardo tutti i presenti, ma vedendo che nessuno era dalla sua parte, girò sui tacchi ed uscì facendo sbattere la porta alle proprie spalle. Non fece nemmeno in tempo a raggiungere il retro della casa, dove si trovavano gli aerei, che una goccia di acqua gelida le cadde sulla fronte. Si fermò e sollevò lo sguardo. Tutto era contro di lei.
Rientrò in casa coi capelli e la giacca chiazzati di gocce di pioggia e gli occhi pieni di lacrime. Lanciò giusto un’occhiata alla cucina e si diresse tristemente alla sua camera da letto.
Rafe ruppe il silenzio: “Povera Katy. Ci teneva tanto.”
Danny si offrì: “Vado a parlarle.” E corse verso la sua stanza. La trovò sdraiata sul letto, i capelli sparpagliati sul cuscino, gli scarponcini gettati alla mala peggio sul pavimento. Le sedette accanto e  le carezzo una guancia: “Non fare così. Vedrai che il sole tornerà presto.”
Katherine lo attirò a sé sul letto per potersi stringere a lui e farsi coccolare.
*
I signori McCawley, con addosso le mantelle per la pioggia, si affacciarono alla stanza di Rafe e trovarono il figlio disteso sul letto e intento a contemplare il soffitto.
John gli parlò: “Siamo in partenza, Rafe. Il pranzo non durerà più di un paio di ore, ma se dovessimo attardarci non ti devi preoccupare, sai che amiamo conversare con i Marshall.”
Marybeth aggiunse: “Bada a tua sorella mentre siamo via.”
Rafe sfoggiò un sorriso ironico: “Tanto c’è Danny a consolarla!”
I signori, senza dare troppo peso a quell’allusione, abbozzarono un saluto e uscirono di casa.
Dopo aver sentito il rumore della porta d’ingresso che veniva chiusa, Rafe sbuffò e balzò giù dal letto. Aprì la cassettiera e ne estrasse un piccolo diario con la copertina arricchita dall’illustrazione di due gattini bianchi che giocano con una farfalla variopinta. Lo aprì: “Vediamo cos’ha fatto la mia sorellina nei giorni scorsi.”
Sfogliò alcune pagine, poi si soffermò sulla pagina recante la data 10 agosto 1936: “Questa pagina non l’ho ancora letta.”
Katherine e Danny erano ancora intenti a coccolarsi distesi sul letto di lei, cullati solo dal silenzio e dalla quiete. Almeno fino a quando un grido improvviso non spezzò l’incantesimo.
“DANIEL!!!”
Danny saltò via dal letto come una lepre giusto un attimo prima che Rafe spalancasse la porta e si mettesse a gridare: “Questa è la volta buona che ti ammazzo.”
Danny aggrottò le sopracciglia: “Che ho fatto?
Rafe continuò a gridare come un ossesso: “Che hai fatto? Maledetto, hai rubato la verginità di mia sorella.”
Danny tentò di fingersi estraneo alla cosa, rispondendo: “Ma che ti salta in mente? Io non farei mai una…” Ma non poté finire la frase perché Rafe lo afferrò per il colletto della camicia e lo sbatté contro la parete.
Guardandolo negli occhi con aria assassina, chiese ancora: “Come ti sei permesso?”
Katherine cercò di intervenire: “Rafe, lascialo stare. Così gli fai male.”
Rafe non l’ascoltò nemmeno, anzi fece pressione su di lui per convincerlo a parlare: “Allora, Walker? Devo farti ingoiare i bottoni?”
Danny, messo letteralmente alle strette, provò a sdrammatizzare: “Non gliel’ho rubata, in realtà. Lei me l’ha ceduta e io l’ho presa molto gentilmente.”
Rafe sollevò la mano libera stringendola a pugno ed era prossimo a sferrarlo sulla faccia dell’amico, ma fortunatamente Katherine gli afferrò il braccio appena in tempo: “Basta, Rafe. Questi non sono affari tuoi.”
Rafe sentì come una pugnalata al petto a causa di quelle parole. Perché lei non riusciva a capire? Tutto ciò che faceva era solo per il suo bene, eppure ogni volta faceva la figura del fratello geloso e prepotente. Lasciò la presa al colletto di Danny e strattonò l’altro braccio per liberarlo dalla presa della sorella.
Danny approfittò di quell’improvviso momento di tregua per chiarire le cose: “Rafe, lo so che non avrei dovuto farlo. O almeno avrei dovuto prendere precauzioni. Però è successo. Io sono innamorato di tua sorella. Tu non lo sai ma io e Katy stiamo insieme da un anno.”
Rafe fece una smorfia e si tradì ammettendo: “Questo lo so.”
Danny e Katherine si scambiarono un’occhiata, quindi lui chiese: “Come fai a saperlo? Lo abbiamo tenuto nascosto a tutti.”
Capendo di essere finito davvero dalla parte del torto, Rafe prese a gesticolare con le mani in attesa di trovare una risposta convincente, ma poi, non sapendo su quali specchi arrampicarsi, optò per la verità: “L’ho letto nel diario di Katy.”
Katherine rimase stupita: “Lo hai letto?”
Di nuovo lui riprese a gesticolare, come se servisse a qualcosa: “Sì, va bene? E’ da quando hai imparato a scrivere che leggo i tuoi diari. E’ il miglior modo per proteggerti e tenerti lontana dai guai.”
Lei scosse la testa, accantonando quel discorso: “No, quello che intendevo dire è: sei riuscito a leggere?”
Rafe esitò a rispondere. Si sarebbe aspettato una scenata, una sfuriata, una predica sull’importanza della privacy, e invece il viso di sua sorella si era pian piano rasserenato. Si voltò e vide che anche Danny lo guardava in modo diverso. A quanto pare si erano entrambi illusi che il suo problema con le lettere stesse scomparendo come una nuvola di fumo in un giorno di vento. Abbassò lo sguardo: “Vi prego, non dovete illudervi. Non è come sembra. Sì è vero che leggo i diari di Katy, però dovete sapere che molte parole non sono ancora in grado di capirle. Per decifrare una pagina mi ci vuole un’ora.”
Presa dall’emozione, Katherine gli saltò addosso per abbracciarlo e mentre lo stringeva gli bisbigliò dolcemente: “Un passo alla volta, Rafe. Un passo alla volta.”
*
Finalmente il sole splendeva! Il cielo era di un bell’azzurro intenso e non si vedevano nuvole minacciose da nessuna parte. I tre ragazzi erano riuniti accanto all’aeroplano rosso di Rafe.
“Allora sorellina, sei pronta per volare?”
“Sì! Sono prontissima!” Rispose lei con occhi che brillavano per l’eccitazione.
Danny la stuzzicò un poco: “Per fortuna ha smesso di piovere. Per te dev’essere stato straziante aspettare per dieci lunghi interminabili giorni.”
Rafe intervenne con lo stesso tono canzonatorio: “Mai straziante quanto te. Hai passato tutto il tempo a supplicarmi di perdonarti. Quasi mi aspettavo di vederti in ginocchio e con le mani giunte.”
Danny abbozzò una risata, indeciso se rispondere o meno a quella battuta provocatoria, ma Katherine attirò la sua attenzione avvicinandosi a lui e gettandogli le braccia al collo: “Dimmi buona fortuna, amore.”
Danny sussurrò: “Buona fortuna, amore!” Fece per chinarsi a baciarla, ma Rafe si affrettò ad afferrare la sorella per il girovita impedendo così il contatto tra loro: “Suvvia, Katy! Mica vi separate per sempre! E’ solo un’esercitazione di volo!”
La trascinò via da Danny e l’aiutò a salire sul posto di comando dell’aereo, per poi prendere posto dietro di lei.
“Ascoltami, Katy. E’ importante che tu segua alla lettera le mie istruzioni. Pilotare non è semplice e tu non puoi permetterti di prendere iniziative, perciò fai quello che ti dico senza discutere, okay?”
Lei rispose sfoggiando un luminoso sorriso: “Okay, Rafe!” E inforcò gli occhialini.
Danny, che nel frattempo si era allontanato ad una distanza di sicurezza, assistette al decollo dell’aereo provando una forte emozione. Come se lei potesse sentirla col pensiero, lui bisbigliò: “Forza, Kate!”
Osservò con la massima attenzione ogni movimento dell’aereo che si librava nel cielo, i cerchi perfetti che disegnava attorno agli alberi e la precisione con cui percorse l’intero perimetro del terreno McCawley. Con la mente immaginò di essere accanto a Katherine, di poter vedere il suo viso sorridente e di sentire la sua emozione di pilotare per la prima volta. Ricordava bene quando era successo a lui, ricordava ogni istante, ogni parola del padre di Rafe che si era offerto di fargli da maestro in cambio di un aiuto con la disinfestazione dei campi. Dio quanto gli era grato!
Perso in lieti pensieri, ritornò bruscamente al presente quando notò che l’aereo aveva cominciato ad oscillare pericolosamente e sembrava diretto verso una piccola macchia di alberi.
“Oh no.”
In volo, Rafe stava sbraitando: “Katherine, porta a terra questo dannato aereo.”
“No. Voglio riprovare.”
“Non puoi riuscire a fare grandi acrobazie. E’ la prima volta che tocchi i comandi.”
“Ce l’avevo quasi fatta, invece. Lasciami riprovare.” Con testardaggine, continuò a rimanere in quota.
“Così andremo a schiantarci contro il meleto. Katherine, dannazione.”
Danny stava correndo verso quella direzione gridando inutilmente: “Rafe. Falla atterrare.” Aveva quasi raggiunto il meleto quando vide l’aereo planare in un’altra direzione e atterrare non proprio dolcemente sul vialetto che tagliava i campi.
Katherine scese e buttò a terra gli occhialini con cattiveria. Vedendo Danny correre verso di lei, gli corse incontro a sua volta e si gettò tra le sue braccia dove scoppiò a piangere.
Danny la strinse forte a sé: “Grazie a Dio stai bene. Ho temuto avessi perso il controllo dell’aereo.”
Rafe, passo dopo passo, li raggiunse proprio quando lei sollevò il viso bagnato di lacrime per rispondere: “Stava andando tutto bene, te lo giuro. Poi Rafe ha cominciato a urlare come una scimmia allora io mi sono irritata e ho preso a fare di testa mia.”
Danny incrociò lo sguardo di Rafe, spronandolo tacitamente a dire qualcosa per scusarsi.
Rafe sospirò, però seguì il consiglio: “Scusa se ho gridato in quel modo. Avevo paura per te. Temevo fossi in pericolo.”
Katherine si sciolse dall’abbraccio e si voltò per guardare il fratello negli occhi. Vide il suo sguardo pentito e si sentì un po’ colpevole per averlo accusato. Una lacrima le attraversò il viso quando gli disse: “Lo so, tu pensi solo al mio bene.”
Rafe accennò un sorriso: “E’così.” Quindi aprì le braccia e accolse la sorella con tutto l’affetto possibile: “Ti voglio tanto bene, Katy.”
Lei scoppiò a piangere di nuovo: “Oh Rafe, possibile che io non sappia fare proprio niente?”
“Questo non è vero. Tu sai fare molte cose. L’unico problema è che sei impaziente.”
“Dimmi la verità. Riuscirò mai a volare come si deve? Riuscirò mai a volare da sola?”
Rafe scambiò uno sguardo d’intesa con Danny. Scostò la sorella per riuscire a guardarla negli occhi e asciugarle una lacrima dalle ciglia: “Te lo assicuro, Katy. Un giorno volerai da sola.”
*
Era l’aprile del 1940. Un gruppo di piloti e i rispettivi insegnanti stavano con il naso all’insù, buffi come dei cagnolini che tengono una pallina in equilibrio sul naso. Tutti stavano guardando ed esaminando con attenzione un aereo che sfrecciava nel cielo. Il Maggiore Doolittle osservava con espressione impassibile e tenendo le braccia incrociate sul petto. Accanto a lui, Rafe osservava con grande attenzione e le labbra socchiuse erano segno della sua ammirazione. Al contrario di lui, Danny non faceva che stringere i denti per l’agitazione e alcune gocce di sudore di tanto in tanto gli colavano lungo le tempie anche se la giornata era tutt’altro che calda. I suoi occhi erano come incollati alla cupola dell’aereo.
Doolittle, tenendo lo sguardo rivolto al cielo, chiese: “McCawley, chi le ha insegnato a pilotare?”
Rafe sussultò al suono della sua voce, non aspettandosi di ricevere domande proprio in quel momento, ma fece del suo meglio per ricomporsi: “Io, signore. Me ne sono occupato personalmente negli ultimi tre anni, signore.”
Doolittle si voltò verso uno dei suoi capisquadra: “Dille di atterrare.”
L’uomo in questione sollevò la radio ricetrasmittente all’altezza delle labbra e disse poco gentilmente: “McCawley, puoi atterrare. Il Maggiore ha visto abbastanza.”
Si udì la voce carica di emozione rispondere: “Ricevuto, signore.”
Portò l’aereo a terra con gran precisione e quando scese, con addosso una provvisoria divisa militare e i capelli raccolti in una coda di cavallo, aveva ancora stampato sul volto un bel sorriso. Solo il timore di non sembrare professionale le impose di tornare seria, così, quando arrivò di fronte a Doolittle e si mise sull’attenti, la sua espressione era già diventata dura proprio come quella di un soldato.
Doolittle la congelò col proprio sguardo: “Dunque, McCawley femmina. Sei venuta qui dopo aver compilato una domanda di ammissione al mio Campo, giusto?”
“Sì, signore.”
“Sai che nelle forze armate non c’è mai stata una donna?”
“Sì, signore.”
“Sai che, in caso di guerra, dovresti partire e combattere come tutti gli altri piloti?”
“Sì, signore.”
“E tu credi di esserne all’altezza? Credi di essere degna di far parte della mia squadra?”
Katherine aggrottò le sopracciglia e rispose digrignando i denti: “Sì. Signore.”
Doolittle accennò un sorriso, o meglio, sollevò appena un angolo della bocca: “Io sarei l’ultimo uomo al mondo che potrebbe scegliere una ragazzina diciannovenne, fresca di compleanno, come membro della mia squadra di piloti.”
Rafe strinse i pugni per la rabbia, Danny si voltò sbuffando in segno di disapprovazione.
“Ma se questa ragazzina, oltre che essere molto bella, dimostrasse di avere talento, allora potrei pensare di fare un’eccezione alla regola.”
Tutti guardarono il Maggiore con aria stupita.
“Perciò, McCawley femmina, dato che tu mi hai appena dimostrato di possedere quel talento, sono disposto ad accoglierti nella mia squadra e ti ordino di migliorare ancora.”
Danny e Rafe si scambiarono un sorriso di vittoria.
Katherine abbandonò la posizione militare per fare un salto di gioia e ridere come una ragazzina felice: “La ringrazio, signore! Prometto che non la deluderò mai!”
Doolittle rimase completamente serio: “Ho forse detto la parola ‘riposo’?”
Lei arrossì fino alla radice dei capelli e si rimise immediatamente sull’attenti: “No, signore. Mi scusi, signore.”
Doolittle si voltò per andarsene, ma prima di allontanarsi, le dedicò un ultimo rimprovero: “Sei tale e quale a tuo fratello, purtroppo per te. E purtroppo per me.”
Quando lui e i capisquadra rientrarono nell’edificio, Katherine finalmente si lasciò andare alla felicità e si gettò tra le braccia del fratello gridando: “Non ci posso credere! Sono un pilota!”
Rafe scoppiò come un petardo: “Sono io che non posso crederci! La mia sorellina è un pilota!”
Danny si unì all’abbraccio con lo stesso entusiasmo: “Sei stata fortissima, Kate! L’ho sempre detto che ci saresti riuscita!”
Tenendosi tutti e tre abbracciati come cari e vecchi compagni, si diressero alla sala mensa per festeggiare, seguiti dagli altri piloti e i loro schiamazzi. Di quel gruppo facevano parte i più cari amici di Rafe e Danny, non che ottimi piloti che seguivano le loro orme. Red, il rosso balbuziente ma dal carattere mite, Anthony, il classico tipo fico che sa di esserlo, e Billy, il biondo dolce e furbo come una volpe.
*
Più che una struttura militare si sarebbe potuta definire una taverna sentendo il gran baccano che proveniva dalla mensa. Grida, schiamazzi, sedie spostate, tintinnio di bicchieri e bottiglie, chi era mezzo ubriaco e chi lo era del tutto, ma la protagonista quella sera era solo lei: Katherine.
Per tutta la sera aveva partecipato ai festeggiamenti con grande entusiasmo, si era divisa equamente tra le braccia del fratello e quelle di Danny ed era stata attenta a non esagerare con l’alcol.
Ad un tratto, Rafe si alzò dalla sedia, ubriaco fradicio: “Ragazzi, i festeggiamenti sono finiti. Lasciate in pace la mia sorellina.”
Anthony si rivolse a Danny con un sorriso da beota: “Ma che gli prende?”
Rafe prese in braccio Katherine con poca galanteria: “E’ tardi, è ora di fare la nanna. Non ti lascio in compagnia di questi cretini tutta la notte.”
Danny fece spallucce e rispose ad Anthony: “Quando è ubriaco si comporta così. Niente di cui preoccuparsi.” Però preferì alzarsi e seguire Rafe per accertarsi che non combinasse guai.
Nei corridoi dell’ala separata dagli uffici, dove si trovavano le camere da letto del Maggiore e dei capisquadra, era stata preparata in gran fretta una stanza anche per Katherine perché, in quanto ragazza, non poteva certo dormire nei capannoni assieme agli altri piloti. Così Rafe si era avventurato per accompagnare -anzi, trasportare!- la sorella fino alla camera a lei destinata, ma il problema è che con tutto l’alcol che aveva nel sangue, non faceva che sbattere contro le porte e contro le pareti. Quando finalmente arrivarono a destinazione, Katherine pensò bene di chiedere: “Ora potresti mettermi giù, per favore? Domani sarò ricoperta di lividi grazie a te.” Il tono era più divertito che arrabbiato.
Rafe la lasciò, spalancò la porta e spinse la sorella all’interno senza troppe cerimonie: “Buonanotte, sorellina.”
Danny sbucò alle sue spalle: “Rafe! Qui è al sicuro, non c’è bisogno che le fai da guardia del corpo!”
Rafe si voltò verso di lui, rischiando di cadere a terra come un sacco di patate da quanto era ubriaco. “Perché non vai a dormire anche tu, Daniel?”
Danny cercò di non ridergli in faccia: “Tra un momento. Voglio dare la buonanotte a Katy.”
Rafe fece un passo verso di lui e gli mise un braccio attorno al collo: “Mio caro Danny. Non riuscirai a farmi fesso. Vattene nei bagni e fatti una sega.”
Inevitabilmente, Katherine scoppiò a ridere di gusto.
Danny avvolse il busto di Rafe per accertarsi che non crollasse a terra: “Stai proprio vaneggiando. Vieni, ti porto al dormitorio.” Allungò lo sguardo per richiamare l’attenzione di Katherine, ma vedendo che lei si era addirittura buttata sul letto a causa delle incontenibili risate, si limitò ad uscire trasportando il suo fardello.
Quando tornò una decina di minuti dopo, lei si accorse del suo sguardo serio e si preoccupò: “Danny, cosa c’è?”
“Rafe.”
“Si è sentito male?”
Danny scoppiò a ridere: “E’ davvero uno stronzo!”
Fece qualche passo e raggiunse Katherine sul letto, dove lei lo aspettava con addosso una sbarazzina camicia da notte molto corta e con le maniche di pizzo. Un piccolo tocco femminile per accogliere il suo innamorato. Una volta che lui si fu steso, Katherine gli accarezzò il torace e fece scendere la mano fin dentro i pantaloni. Gli lanciò uno sguardo malizioso e disse sensuale: “Potrei fartela io.”
Danny rispose senza il minimo imbarazzo: “Non te la caverai così facilmente, amore mio. Non me ne andrò da qui fin che non avremo fatto tutto.”
Lei gli diede la sua approvazione stampandogli un focoso bacio sulle labbra, il bacio che diede il via alla loro danza d’amore. Dopo anni trascorsi alla ricerca del piacere più profondo, i loro corpi non avevano più segreti. Ogni movimento, ogni carezza, ogni bacio era esattamente come doveva essere, ogni parola sussurrata era quella giusta, ogni sguardo era un viaggio dentro l’anima dell’altro.
Era notte fonda quando terminarono le loro fatiche amorose. Danny stava riposando abbracciato a lei, la testa appoggiata al cuscino, un braccio sul fianco di lei con le dita abbandonate nel vuoto. Lei gli accarezzava i capelli e lo guardava con dolcezza, i lineamenti disegnati dalla luce gialla della lampadina sul comò.
Gli sussurrò: “Vorrei restare così per sempre. Con te.”
Lui riaprì gli occhi e la guardò con sguardo assonnato: “Ti amo, Katy.” Si sporse per sfiorarle le labbra con un bacio, poi appoggiò la testa sulla spalla di lei e si addormentò.

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Capitolo 3
*** Il rumore di un cuore infranto ***


3
Il rumore di un cuore infranto
 
L’autunno aveva appena aperto le porte quando i tre ragazzi rividero il Tennessee in occasione del compleanno di Danny.
I Walker e i McCawley erano tutti riuniti nella sala da pranzo per festeggiare, al centro del tavolo un’elaborata torta alla crema con sopra ventitre candeline e nell’aria il tipico canto “Perché è un bravo ragazzo…”. Perfino il padre di Danny riuscì ad intonare qualche nota tra un sorso di liquore e l’altro, prima di isolarsi buttandosi su una sedia come un peso morto.
Danny spense le candeline con un unico lungo soffio e tutti applaudirono.
Rafe fu il primo a complimentarsi, dandogli una pacca sulla spalla: “Buon compleanno, amico mio.”
Subito dopo di lui, la madre di Danny, una simpatica donnina dalle forme burrose e i capelli neri raccolti, gli incorniciò il viso con le mani e gli stampò un bacio sulla fronte: “Tanti auguri, figliolo. E cento di questi giorni.”
Poi fu Katherine a gettarsi tra le sue braccia, sorridente, e a baciarlo sulle labbra: “Buon compleanno, amore mio.”
Tutti presero posto sulle sedie, tranne lei che preferì accomodarsi sfacciatamente sulle ginocchia di Danny. La signora Walker tagliò la torta e adagiò le fette nei piattini da dolce, mentre Marybeth si occupò di servire.
Nel tardo pomeriggio, al termine della festa, Danny e Katherine uscirono per una romantica passeggiata a tu per tu, mano nella mano. Quando arrivarono al loro ciliegio, Danny la spinse con fare giocoso contro il tronco dell’albero e le rubò un lungo ed intenso bacio. Non appena le labbra si separarono, le bisbigliò: “Prima, quando ho spento le candele, ho espresso un desiderio.”
Lei sorrise divertita: “Come fanno tutti!”
“Io però ho espresso un desiderio speciale. Una cosa che cambierà la mia vita.”
Katherine scherzò: “Hai desiderato di prendere il posto di Doolittle al Campo Mitchell?”
Danny scoppiò in una risata: “No!”
“Meno male! Non riuscirei ad immaginare quel posto senza di lui.”
“Io sì, invece. Niente più rimproveri e sgridate a squarciagola.”
Lei abbozzò un broncio: “Oh Danny, non essere cattivo. Se non fosse per lui ora non saremmo qui a festeggiare il tuo compleanno.”
Danny scostò lo sguardo, inseguendo un pensiero: “Chissà perché ci ha dato il permesso.”
“Gliel’ho chiesto io!”
Danny fece una smorfia: “Cosa?”
Katherine sbatté le palpebre, come sorpresa: “E’ il mo regalo per te, amore.”
Lui si voltò sospirando: “Possibile che tu sia sempre nel suo ufficio?”
“Veramente gliel’ho chiesto al bar. Mi aveva invitata a bere qualcosa mentre tu eri in volo.”
Danny si alterò: “Praticamente siete usciti insieme!”
Lei alzò il tono di voce a sua volta: “Non dire assurdità! Era solo un’uscita formale.”
“Se fosse stata formale sareste andati alla mensa del Campo.”
“Allora diciamo che era un’uscita amichevole.”
“Ma ti senti quando parli? Doolittle non familiarizza coi piloti e nemmeno coi capisquadra. E’ chiaro che ci sta provando con te. Lo sospettavo fin dal primo giorno, quando ti ha accettata al Campo.”
“E anche se così fosse? Sei geloso?”
“Sì. Proprio così. Non sopporto l’idea che ti stia sempre intorno. E non sopporto nemmeno che tu gli dia campo libero.”
Lei lo squadrò con sospetto: “Che cosa stai insinuando, Danny?”
Lui rispose tra i denti: “Lui ti piace.”
Katherine rimase a bocca aperta per una simile insinuazione: “Non lo penserai davvero?”
“Dimmi la verità, Kate. Cos’hai fatto per ottenere i permessi di congedo?”
“Non ho fatto niente. Ho solo chiesto.”
“Secondo me ci sei andata a letto.”
Katherine gli tirò uno schiaffo ben assestato e lo guardò con occhi infuocati: “Non ti permettere.”
Danny si portò una mano alla guancia arrossata e si voltò per guardarla andare via, lungo i campi. Resosi conto che lei non si sarebbe voltata indietro, Danny strinse i denti e poggiò la fronte contro il tronco dell’albero, dandosi il tempo di ritrovare la calma. Emise un pesante sospiro e si spostò dal tronco. Si portò una mano al taschino della camicia e ne estrasse un anello d’argento con diamante bianco a forma di goccia. Lo sollevò all’altezza degli occhi: “Voglio sposarti. Ma prima devo essere sicuro di potermi fidare di te.”
*
Doolittle posò la penna accanto alla pila di fogli che aveva appena firmato, poggiò i gomiti sul bordo della scrivania e intrecciò le dita delle mani sotto il mento.
“McCawley, è da qualche settimana che ti vedo seria e di cattivo umore. Ho ricevuto anche delle segnalazioni dal tuo caposquadra. Dice che il tuo modo di volare è feroce e questo è di cattivo esempio per gli altri piloti. Ora è mio dovere andare a fondo alla questione. Dimmi, cosa ti sta accadendo?”
Katherine rimase sull’attenti, sperando di salvarsi: “Problemi personali, signore. D’ora in poi farò in modo che non interferiscano più col mio addestramento, signore.”
Doolittle sospirò, quindi si alzò dalla poltrona e le si avvicinò: “Riposo.”
Katherine abbassò lo sguardo, ormai non poteva fare niente per evitare quell’interrogatorio.
“Come Maggiore non posso aiutarti, ma come amico forse sì. Katherine, cos’hai? Da quando sei tornata al Campo non ti riconosco più. Cos’è accaduto nei giorni in cui sei stata a casa?”
Lei sollevò lo sguardo su di lui, con aria triste: “Io e Danny abbiamo litigato. Mi ha lanciato un’accusa imbarazzante.”
Doolittle fece dei cenni col capo: “Immaginavo che riguardasse lui. Walker ha molto potere su di te. Vuoi raccontarmi i dettagli?”
Lei aveva gli occhi lucidi: “Io…credo che lo lascerò. Qualcosa tra di noi si è spezzato e io non mi sento più a mio agio accanto a lui. Perfino mentre sono in volo sento le sue parole nella mia mente e questo non fa che irritarmi.”
“La vostra storia va avanti da cinque anni, senza contare che vi conoscete da tutta la vita. Forse si tratta solo di un periodo buio. Riflettici bene prima di prendere una decisione così importante.”
“Ci ho già pensato. Non possiamo più andare avanti così. Non voglio farlo soffrire.”
Doolittle si lasciò scappare una risata: “Non ti capisco! Se lo lasci soffrirà di certo!”
Katherine sentì mancare l’aria e cominciò a muovere le mani come in cerca di qualcosa da afferrare. Guardò Doolittle negli occhi e i suoi si riempirono di lacrime.
Lui aprì le braccia per accoglierla, pensando che volesse sfogare il pianto, invece rimase pietrificato quando lei gli afferrò la cravatta per attiralo a sé e rubargli un bacio. Un bacio forte e inaspettato, al quale lui non riuscì a ritrarsi. Allo stesso modo Katherine si staccò bruscamente, lasciandolo congelato in quella situazione. Quando finalmente lui si mosse, per portarsi una mano alla fronte come se fosse contrariato, lei si sentì in imbarazzo e prese la porta per uscire dall’ufficio. Solo quando sentì quel rumore, Doolittle parve tornare al presente. La chiamò, ma ormai era tardi, lei era già lontana.
*
Doolittle entrò nel locale e richiuse la porta alle proprie spalle rapidamente per non far entrare il freddo.
L’uomo dietro al bancone, un corpulento reduce della Grande Guerra dai capelli rossi e ricci, il naso storto e abiti sudici, fece un cenno verso di lui: “Buonasera, Maggiore.”
Doolittle lo salutò con un fiacco gesto della mano e disse: “Il solito, Gunter.”
L’uomo si affaccendò qualche istante dietro al bancone, lasciandogli così il tempo di guardarsi attorno. Il locale ospitava pochi clienti quella sera, gente taciturna che beveva e fumava pensando ai propri guai, oppure tentava la fortuna giocando ai dadi con poco interesse. Aguzzò la vista per guardare attraverso la coltre di fumo di sigarette e sigari e allora la vide. Teneva una bottiglia marrone tra le dita, lo sguardo assente.
Il barman lo richiamò tenendo alzata una bottiglia: “La sua birra, Maggiore.”
Lui la prese e accennò un grazie.
“Sapevo che ti avrei trovata qui.”
Katherine ebbe un fremito nell’essere distolta così bruscamente dai propri pensieri. Lo guardò di sfuggita e subito abbassò lo sguardo.
Doolittle prese posto accanto a lei: “Vieni a rifugiarti qui quando qualcosa ti turba.” Bevve un sorso dalla propria bottiglia e continuò: “Solo sono sorpreso di non aver visto l’auto del Campo parcheggiata qui fuori.”
Lei rispose secca: “Sono venuta a piedi.”
Lui sorrise con una punta di sarcasmo: “Una bella camminata!”
“Ascolta, se vuoi sapere di quello che è successo…”
“Del bacio, intendi?”
Katherine si sistemò una ciocca di capelli dietro all’orecchio, imbarazzata: “Sì, quello. E’ stato un incidente, quindi per favore non farmi la predica.”
Doolittle bevve un lungo sorso, guardando nel vuoto: “Non farò niente del genere, credimi. Volevo solo dirti che ci ho pensato tutto il pomeriggio.”
Lei sospirò, ammettendo: “Anch’io.”
“E non posso negare di provare qualcosa per te.”
A quelle parole lei sollevò lo sguardo su di lui, ascoltando con attenzione.
“Credevo che il nostro rapporto fosse nato su una base diversa. Che tu mi vedessi come una figura paterna. Ma dopo quanto accaduto ho dovuto ricredermi.”
Solo allora si decise a guardarla negli occhi per vedere la sua reazione. Era visibilmente confusa. Prendendo l’iniziativa, avvicinò il viso al suo e le sfiorò le labbra con un bacio, giusto un lieve tocco e poi si scostò per guardarla. Lei aveva ancora gli occhi chiusi come per assaporare un’emozione.
“Sei tu che devi decidere. Da parte mia posso consigliarti di aggiustare il tuo rapporto con Walker. E’ la cosa migliore.”
Katherine riaprì gli occhi, il suo sguardo era privo di luce: “Prima mi baci e poi mi consigli di tornare da lui?”
Doolittle accennò uno dei suoi mezzi sorrisi: “Lo sai che amo le contraddizioni.”
*
Rafe bussò alla porta della stanza di Katherine. Non ottenne risposta, ma decise di entrare comunque. La vide sdraiata sul letto, lo sguardo triste puntato al soffitto. Si avvicinò per sedersi sul bordo del materasso, quindi le carezzò i capelli con affetto: “Katy, è tutto il giorno che sei chiusa qui dentro. Questa mattina hai anche saltato l’esercitazione di volo. Sono preoccupato per te.”
Lei non mosse nemmeno lo sguardo, allora Rafe si chinò e le bisbigliò all’orecchio: “Sorellina, confidati con me.”
Stavolta Katherine reagì: “Rafe, tu mi odi?”
Lui buttò fuori una risata: “Certo che no! Anzi, ti voglio un bene dell’anima e farei qualunque cosa per te.”
“Allora devi farmi un favore. Stai vicino a Danny e se puoi fa in modo che nemmeno lui mi odi.”
“Lui ti ama. Non potrebbe mai odiarti. Tra non molto lo saprai.”
“Io temo che potrebbe odiarmi a causa di quello che gli dirò.”
“Che assurdità. Cosa mai potresti dirgli di così terribile?”
Katherine volse lo sguardo altrove, come per mascherare i propri pensieri e questo fu un chiaro segnale di allarme. Rafe aveva preso quella strana conversazione come uno scherzo, ma ora cominciava a capire che c’era qualcosa di grosso in ballo.
“Katy, non avrai intenzione di…?”
Lei si voltò a guardarlo e dentro quegli occhi lui lesse la risposta.
Il suo tono di voce si alterò: “No. Katy non farlo. Non puoi farlo. Ti prego, cambia idea. Lui non si aspetta minimamente una cosa del genere. Non puoi fargli questo.”
Katherine si mise seduta, lo sguardo di una che non accetta obiezioni: “So quello che sto facendo. Non si tratta di un capriccio.”
“E per quale remota ragione dovresti lasciarlo?”
“Perché ho preso una cotta per un altro. Ecco.”
Rafe aggrottò le sopracciglia: “Allora è vero quello che si dice.”
Katherine scosse la testa: “No, non è vero. Quelle sono solo cattiverie. Non siamo mai andati a letto assieme.”
Il fratello si alzò dal letto con uno scatto, il suo volto una maschera di rabbia: “Lasci un ragazzo che ti ama da tutta la vita per fare la sgualdrina con un tuo superiore?”
Era davvero troppo. Katherine si incendiò: “Vaffanculo, Rafe. Te l’ho già detto anni fa: non sono affari tuoi.”
“Più tardi, quando Danny si presenterà a te con lo sguardo felice e una frase importante fra le labbra, voglio vedere se avrai il coraggio di lasciarlo. Spero per te che ti renda conto in tempo della puttanata che stai per fare.”
Uscì dalla stanza facendo sbattere la porta.
*
Katherine continuava a camminare avanti e indietro all’interno del capannone. Attorno a lei imperavano numerosi modellini di aerei che pendevano dal soffitto tramite corde metalliche, sulla parete in fondo, accanto alla porta dei bagni, era stata messa una piccola libreria che conteneva manuali di pilotaggio, storia dell’aviazione e quant’altro riguardasse quell’argomento. Le due file di letti avevano un aspetto severo, ma fortunatamente ad attenuarlo c’erano i comò su cui i piloti tenevano foto e piccoli oggetti personali di valore affettivo. Su quello di Danny vi erano solo una sveglia ed un portafoto a libretto. Si avvicinò per guardare meglio le foto, una ritraeva lei e Danny nel Tennessee, abbracciati e sorridenti, l’altra invece era un primo piano di lei, un piccolo capolavoro di fotografia. Posò lo sguardo sulla foto precedente e sentì una fitta al cuore al pensiero di quello che stava per fare.
“Se io fossi stata una ragazza normale e fossi rimasta a casa, tutto questo non sarebbe mai successo.” Si asciugò una lacrima prima che questa scivolasse dalle ciglia.
Danny entrò nel capannone come un fulmine, sorriso raggiante e mazzo di rose rosse in mano. Vide Katherine, intimidita dentro una camicetta blu e una gonna al ginocchio dello stesso colore: “Quanto sei bella. Hanno ragione i nostri amici a dire che sono il ragazzo più fortunato del mondo.”
La vide abbassare il viso e credette si trattasse di una forma di timidezza. Le si avvicinò e le risollevò il viso con una carezza: “Sei bellissima, amore mio.” Si chinò per baciarla, ma lei scostò il viso per impedirglielo.
Nonostante il comportamento strano, Danny non si preoccupò, continuando a sorridere le mise il mazzo di rose tra le mani. Solo quando sentì quelle mani tremare, cominciò ad allarmarsi, e risollevando lo sguardo vide che i suoi occhi erano pieni di lacrime.
Katherine cercò di darsi forza: “Danny, devo assolutamente parlarti prima che il coraggio mi venga meno.”
“Cosa succede?”
“Non ti sei accorto che ultimamente le cose tra noi non vanno bene? Non hai notato il mio distacco?”
Lui deglutì, impacciato: “Sì, l’ho notato. Ma non ha importanza, perché le cose d’ora in poi andranno per il verso giusto. Per noi è arrivato il momento di una svolta.”
“No, Danny. Non sarà una svolta, ma un ritorno alle origini. Non percorreremo più la stessa strada ma io sarò comunque in una strada accanto alla tua.”
Lui non capì il significato di quelle parole, perciò proseguì con quanto aveva in mente: “Amore, noi saremo più uniti che mai. Tra le rose c’è il nostro futuro.”
Katherine scoppiò in lacrime: “Come faccio a dirti che ti lascio? Stai rendendo le cose più complicate che mai.”
Un secchio di acqua gelida sulla testa, ecco come si sentì in quel momento. Cosa stava accadendo? Non poteva aver sentito quelle parole. No. Di certo si era sbagliato. Ma allora perché stava tremando in quel modo ed era terrorizzato?
“Cosa…? Cos’hai detto?”
Katherine parlò tutto d’un fiato, nonostante le lacrime non le dessero tregua: “Non voglio più essere la tua ragazza. Questo rapporto mi sta soffocando. E non posso nemmeno darti la colpa perché il problema sono io. Tu avevi previsto che sarebbe successo ma io non ti ho creduto.”
“Stai parlando di Doolittle, vero?”
“Ti prego di perdonarmi. Non riesco a cancellare quello che provo per lui.”
“Mi dispiace averti accusata quel giorno. Non credevo che quelle parole ti avrebbero davvero allontanata da me.” Le afferrò le mani che ancora stringevano il mazzo di rose: “Non lasciarmi. Io ti amo.”
“Mi dispiace. Sono troppo attratta da lui e se resto con te finirò per tradirti.”
Per un istante Danny vide una luce di speranza in quelle parole: “Se è solo questo il problema, ti prometto che farò finta di niente. Per una notte chiuderò gli occhi, potrai fare tutto quello che vorrai.”
Katherine liberò le mani dalle sue e gettò sul letto il mazzo di rose: “Ma che stai dicendo? Vuoi essere chiamato cornuto per il resto della tua vita?”
A quel punto Danny cedette alla disperazione, gli occhi pieni di lacrime come quelli di un bambino: “Katy, ascoltami. Tra le rose c’è il nostro futuro. Ora non puoi capire, ma se guardi all’interno…”
Katherine lo interruppe, riprendendo in mano il mazzo e sventolandolo: “Sono fiori. Cosa c’entra il futuro?” Stanca di quel discorso, gettò il mazzo a terra con più cattiveria di quanto avesse voluto. Doveva andarsene o il dolore l’avrebbe fatta crollare. Si incamminò velocemente verso la porta, ma proprio quando stava per uscire, Danny le corse incontro e l’afferrò per un braccio: “Tu non capisci. Io ti sto chiedendo di…”
Lei lo interruppe di nuovo: “Lasciami andare, ti prego. E perdonami se puoi.” Si liberò dalla stretta e corse via piangendo a dirotto.
Danny sentì che le forze lo stavano abbandonando. Si inginocchiò a terra e pian piano strisciò fino ad arrivare al suo letto. Le lacrime finalmente sgorgarono mentre le labbra sussurravano con difficoltà: “Katy. Katy.” Con le dita che tremavano, prese dal pavimento l’anello che era scivolato fuori dal mazzo quando lei lo aveva gettato a terra.
*
Grazie al cielo, durante la corsa non aveva incontrato nessuno. Aveva corso come se avesse avuto il diavolo alle calcagna e finalmente era arrivata al proprio dormitorio. Invece di andare nella propria stanza era andata dritta in quella di Doolittle. Chiuse la porta come se fosse stata la sua unica salvezza e poi vi appoggiò le spalle e si diede il tempo di riprendere fiato.
Doolittle era disteso sul letto, intendo a leggere un libro, ma quando la vide lo posò e si alzò per andare da lei. Aveva il viso segnato di lacrime e gli occhi gonfi e rossi.
“Non posso vederti così. Preferisco che torni da lui piuttosto che vederti soffrire in questo modo.”
Katherine lo guardò, ricominciando a lacrimare: “Ho fatto la mia scelta. Non posso più tornare indietro.”
Doolittle sospirò: “Nemmeno io.” E voltò il viso verso la luce affinché lei vedesse: sulla guancia c’era una vistosa ombra viola.
Lei si avvicinò per guardare meglio, alzò una mano per sfiorare quell’ombra, ma poi non osò per timore di fargli male: “Chi è stato?”
Lui emise un suono divertito e rispose: “Un omaggio di tuo fratello. Mi ha detto chiaramente cosa pensa di me.”
“Oddio, mi dispiace. Non credevo che avrebbe reagito così.”
“Suppongo tu gli abbia detto tutto durante il pomeriggio. Appena mi sono ritirato nella mia stanza lui mi ha raggiunto.”
Katherine scosse il capo, dispiaciuta: “Avrei fatto meglio a tacere.”
“No. Me lo sarei preso comunque. Prima o dopo non fa differenza.”
“Ora dove si trova Rafe? Lo hai fatto…” Non riuscì a dire quella parola, così fu lui a pronunciarla: “Arrestare? No, tranquilla. Me lo sono meritato. Non posso biasimarlo. In fondo sei sua sorella.”
Si guardarono negli occhi qualche istante e poi si lasciarono andare in un abbraccio di conforto. Ora erano soli e avevano tutti contro.
*
Rafe entrò nel capannone e trovò Danny che piangeva col viso affondato nel cuscino.
Sentendo un rumore provenire dalla porta, Danny sollevò il capo per vedere chi fosse. Riconoscendo l’amico, gli lanciò uno sguardo disperato.
Rafe si affrettò ad andare da lui ed ad abbracciarlo fraternamente: “Mi dispiace, amico mio.”
Tra i singhiozzi, Danny riuscì solo a dire: “Tu lo sapevi, vero?”
“Ho provato ad impedirglielo. Te lo giuro.”
“Rafe, mi sento a pezzi. Lei è quella giusta per me. Non posso credere che sia accaduto davvero.”
“Lo so. Vedrai che quando si renderà conto di ciò che ha fatto tornerà da te e ti supplicherà di perdonarla.”
“Lo pensi davvero?”
“Andrà tutto bene.” Ma il suo sguardo perso nel vuoto diceva tutt’altro.
*
Il sole caldo risplendeva, l’aria era meno fredda del solito, la tranquillità del cielo era disturbata dalle decine di aerei del Campo durante l’orario di addestramento. E quel giorno, Danny fece uno dei suoi atterraggi migliori.
Billy, sfoggiando un gran sorriso entusiasta, fu il primo a complimentarsi: “Ecco il Re dei piloti!”
Red, dietro di lui, si fece avanti più timidamente: “P-proprio u-un bel att-terraggio, Danny!”
Poi fu la volta di Rafe, che li sorpassò con aria da perfetto gradasso e gli mise un braccio attorno al collo: “Niente male. Sei diventato bravo quasi quanto me.” Ed entrambi scoppiarono a ridere per quello scherzo.
Danny era contento di essere, per una volta, al centro dell’attenzione per la sua bravura di pilota invece che per le sue sventure amorose, e il suo bel sorriso era sincero. Bastò che allungasse lo sguardo sulla pista per cambiare espressione in un lampo. I suoi occhi si posarono su Katherine, in quel momento intenta a scendere dal proprio aereo, i lunghi capelli che si agitavano al vento. Non li legava mai quando pilotava.
Rafe si accorse del suo sguardo, sembrava quasi dire ‘ce la sto mettendo tutta per dimenticare ma non ci riuscirò mai’, così pensò bene di attirare la sua attenzione con una domanda banale: “Ti fa ancora molto male?”
Silenzio ti tomba.
Lui perciò proseguì: “Non sei costretto a parlarle se non te la senti.” Deglutì e aggiunse: “Me lo ha detto lei.”
Solo allora Danny lo degnò di uno sguardo, lanciandogli un’occhiata carica di interesse: “Ti ha parlato di me?”
Rafe abbassò lo sguardo, non sapendo cosa rispondere.
“Rafe, sono passate tre settimane. Ho avuto tempo per pensare e ho preso una decisione. Se ho perso il suo amore è stata solo colpa mia. Non ho saputo averne cura. Ma questo non significa che voglio rinunciare al suo affetto. E tantomeno che non proverò a riconquistarla. Ma per adesso mi accontenterò di essere il suo migliore amico. Come quando eravamo bambini.”
Rafe rialzò lo sguardo su di lui e parlò francamente: “Vorrei che tu riuscissi a darle quell’anello.”
In un solo istante, l’atterraggio e la gloria furono dimenticati.
*
Quella sera stessa, Danny bussò alla porta di Katherine.
Lei uscì dalla stanza, richiudendo velocemente la porta alle proprie spalle. Il suo sguardo era felicemente sorpreso e le labbra sussurrarono il nome di Danny come una parola magica.
Lui invece era visibilmente agitato: “Hey…ciao! Avevo voglia di vederti. E anche di…parlarti. Se sei d’accordo. Di questi tempi ci siamo scambiati a malapena il saluto.”
Katherine si morse un labbro, un po’ imbarazzata: “Sì, ho notato che per te era un enorme sforzo rivolgermi la parola. Non ti ho cercato perché temevo di peggiorare le cose.”
Danny si portò una mano tra i capelli: “Non avresti potuto peggiorarle di più, credimi. Comunque, sì, insomma, sono qui per parlarti.”
“Va bene. Ti ascolto.”
“Ehm… Preferirei entrare nella tua stanza. Sai, è una cosa un po’ riservata.”
Katherine strinse il pomello della porta fra le mani, dietro di sé: “Forse è meglio se parliamo un’altra volta.”
Danny la squadrò severamente, come accorgendosi all’improvviso che lei indossava solo una camicia color crema di almeno due taglie più grande e le sue lunghe gambe nude sembravano stringersi contro il freddo del corridoio.
La fulminò ad occhi stretti e sussurrò: “Lui.” Poi puntò il dito verso la porta e alzò la voce: “E’ lì dentro vero?”
Katherine cercò di calmarlo: “Danny, per favore. Non è il caso di fare scenate qui.”
“Non sto facendo scenate!”  Questa volta aveva gridato così forte che si ritrovò senza fiato. Aveva ragione lei. Sospirò rassegnato: “E’ meglio che me ne vada. Scusami.”
Si voltò per andarsene, ma si bloccò quando lei disse: “Mi manchi.”
Continuando a darle di spalle, lui disse in tono nostalgico: “Ricordi quando io venni qui al Campo ma tu dovesti rimanere a casa perché eri troppo giovane?”
Lei deglutì per scacciare quel nodo alla gola: “Sì.”
“Io ti telefonavo tutte le sere e parlavamo per ore, tanto che una volta fui rimproverato. Ricordi?”
“Sì.”
“E ogni sera, nonostante tutte le risate, le promesse e le parole dolci, quando arrivava il momento di riattaccare tu piangevi, perché dicevi che ti mancavo.”
“Sì.” Katherine rispose anche se non era una domanda.
“A quei tempi ti mancavo davvero. Ti mancavo a tal punto che non potevi trattenere le lacrime al pensiero di non sentirmi fino al giorno dopo. Adesso invece non piangi più.”
Lei disse senza fiato: “Non è vero.” Cercò in ogni modo di trattenere le lacrime, non voleva scoppiare a piangere proprio in quel momento.
Danny se ne andò senza voltarsi, lasciandola sola in quel freddo corridoio. Katherine aveva una gran voglia di seguirlo, di raggiungerlo e tirargli uno schiaffo. E di baciarlo. E di dirgli che lo amava. E di chiedere perdono. Ma non poteva. Si asciugò gli occhi con la manica della camicia e rientrò nella stanza. Si tolse la camicia, restando così completamente nuda, e si infilò sotto le coperte dove Doolittle la stava aspettando.
Lui le cinse il girovita con un braccio: “Ti ama davvero molto.”
Lei cercò di rispondere con distacco: “Credo di sì.”
Ovviamente lui si era accorto che qualcosa non andava, perciò gli venne spontaneo sorridere e animare il momento: “Sai, non ho ancora capito perché hai lasciato un ragazzo così innamorato per metterti con un vecchio come me!”
La tattica funzionò, visto che lei emise una risatina: “Tu non sei vecchio! Non hai nemmeno l’età per essere mio padre!”
Nella mente di Doolittle riaffiorarono tutti gli incontri con l’insegnante di calcolo matematico. Quella materia non era certo il punto di forza di quella ragazza! Però lui aveva sempre chiuso un occhio: “Non so quanti anni abbia tuo padre, ma ti assicuro che io ho l’età per esserlo. Ne ho quarantaquattro.”
Katherine lo zittì con un bacio. Non aveva proprio voglia di fare di conto, in quel momento.
Gli lanciò un’occhiata maliziosa: “Ho freddo. Aiutami a scaldarmi.”
Doolittle, seppur eccellente uomo d’armi, era pur sempre un uomo, perciò accettò l’invito senza pensarci due volte.

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Capitolo 4
*** Partenze e ritorni ***


4
Partenze e ritorni
 
Gennaio 1941. Il gruppo di piloti aveva appena terminato l’addestramento e si era riunito di fronte all’edificio.
Uno dei capisquadra si avvicinò: “Dove sono i due McCawley e Walker?”
Anthony rispose prontamente: “Ancora in addestramento, signore.”
Dalla propria cabina di pilotaggio, Rafe, di ottimo umore, parlò al microfono: “Danny! Katy! Facciamogli vedere come si vola! Giochiamo a ‘perde chi molla’!”
Katherine rispose per prima, con tono divertito: “Rafe, tu hai sempre voglia di metterti in mostra! Ammettilo!”
“Okay, lo ammetto. Ora però giochiamo, si sta facendo tardi.”
Danny tentò di farlo ragionare: “Questi non sono aerei da disinfestazione. Non gioco a ‘perde chi molla’ con te.”
Rafe diventò capriccioso: “Dai, non fare il bambino. Facciamo così.”
“Ho detto di no, Rafe.”
“Io ti vengo addosso. O ti scansi o ci scontriamo. Vedi un po’ tu. Sorellina, tu hai voglia di giocare con me, vero?”
Lei rispose stando un po’ in guardia: “Sì, basta che non ci mettiamo nei guai come le altre volte.”
A terra, il caposquadra vide i tre aerei avvicinarsi da tre direzioni diverse e gli venne spontaneo chiedersi: “Che accidenti stanno facendo?”
Anthony lo affiancò, lo sguardo puntato in alto: “Ci risiamo.”
Danny, dal suo aereo, continuò la conversazione: “Ma perché devi sempre rompermi, Rafe?” Ma poi si arrese: “Da che parte vuoi andare?”
Lui rispose dubbioso: “Ehm, vado a destra. No. A sinistra. Vado a sinistra.”
Katherine scoppiò in una risata: “Lo stai facendo apposta! Lo sapevo!”
Danny incalzò: “Allora deciditi. Destra o sinistra?”
“A sinistra, Danny.”
“Sì, a sinistra. Ma la mia o la tua sinistra?”
“Ecco mi hai fatto confondere. Non ci capisco più niente adesso.”
Katherine intervenne con un altro scherzo: “Non ricordo di una volta in cui ci hai capito qualcosa.”
Danny al contrario si incupì ancora di più: “Rafe, smettila di giocare. Non voglio che Katy si faccia male. E credo che non lo voglia nemmeno tu.”
Rafe lo sfotté per bene: “Che premura! Guarda che Katy ha sempre un asso nella manica.”
I tre aerei erano ormai vicinissimi, allora fu Danny a prendere l’iniziativa: “Va bene, andiamo a destra. Tutti e tre a destra.”
Gli aerei eseguirono un perfetto numero acrobatico, mancandosi per un pelo. I piloti loro amici esultarono da terra.
Anthony si lasciò sfuggire: “Quelli sono proprio degli assi!”
E il caposquadra lo fulminò all’istante: “Hai detto qualcosa?” Poi si rivolse a tutto il gruppo: “Bè, vi informo che i due campagnoli e la principessa sul pisello restano a terra.”
Red si obbligò ad intervenire, per fare il lecchino: “Sì, signore. Uso assolutamente immm-proprio di aerei militari.”
Il caposquadra lo guardò di sottecchi: “Dammi il berretto.” Si voltò e ordinò ad un altro caposquadra: “Manda quei tre saltafossi da Doolittle.”
*
Katherine fu l’ultima ad essere ricevuta. Quando Rafe e Danny uscirono dall’ufficio notò che sui loro volti vi erano delle espressioni particolari. Quella del fratello era molto pensierosa, quella dell’amico era preoccupata. Ma soprattutto, notò che nessuno dei due la guardò negli occhi.
Entrò nell’ufficio con aria spavalda e si rivolse a Doolittle con tono confidenziale: “Sei stato così severo con loro? Avevano certe facce!”
Lui, che prima le dava di spalle, si voltò verso di lei e rispose con tono di comando: “McCawley femmina. La tua condotta è stata pessima. Dovrei rimproverarti severamente.”
Katherine si avvicinò a lui, gli intrecciò le braccia al collo e lo provocò con un sorriso malizioso: “Puoi anche sculacciarmi se vuoi.”
Solo allora lui gettò la maschera da Maggiore e stette al gioco: “Stai attenta. Potrei accettare la proposta.”  L’adagiò sulla scrivania e le rubò un lungo bacio tutt’altro che romantico.
Quando sentì che le sue mani stavano armeggiando abilmente con i bottoni della camicetta, Katherine cercò di fermarlo: “Non vorrai farlo qui! Potrebbero vederci.”
Lui abbozzò uno scherzo: “Come se non lo sapessero già tutti!”
Sbottonata la camicetta, Doolittle le sollevò la canotta fino alle spalle e immerse il viso fra i suoi seni, strappandole così i primi sospiri di piacere. Un paio di minuti e poi cominciò a scendere, stampandole baci sull’addome, mentre con le mani si diede da fare per slacciarle la cintura e abbassarle i pantaloni fino alle cosce. Stava quasi per dedicarsi ad una nuova immersione quando lei lo fermò afferrandolo per i capelli. Il suo sguardo era incerto, quasi ubriaco per il desiderio.
Lasciò la presa solo per avere le mani libere e praticargli lo stesso trattamento a cintura e pantaloni, quindi lo afferrò per la cravatta e lo attirò a sé.
Doolittle fece il suo dovere di uomo, incurante dei rumori della scrivania, lei invece cercò di trattenere le grida per timore che qualcuno potesse davvero sentire e capire cosa stava accadendo. Di conseguenza, quando ebbero terminato, lei rimase accasciata ed esausta e fu lui a dover risistemarle i vestiti addosso. Una volta che l’ordine fu ristabilito, l’aiutò a risollevarsi e l’accolse tra le proprie braccia come per tenerla al sicuro. O forse per sostenerla prima dell’attacco.
“Tuo fratello è più maturo di quel che sembra. Ha carattere. Ha giudizio. Ha talento. Farà grandi cose per la patria. Sono fiero di lui.”
Katherine, riprendendosi dall’ubriacatura del piacere, sollevò lo sguardo su di lui con sospetto: “Perché mi stai dicendo questo?”
Lui scostò lo sguardo: “Quando è uscito dall’ufficio non ti ha accennato niente?”
“No. Di cosa stai parlando?”
“Allora vai da lui. E’ giusto che sia lui a dirtelo.”
*
Katherine irruppe nella sala mensa come un carro armato, interrompendo qualunque conversazione ai tavoli.
“Cosa mi stai nascondendo? Cos’è che devo sapere?”
Rafe, sapendo che la domanda era rivolta a lui, posò la bottiglia di birra sul tavolo, si alzò con noncuranza e andò dalla sorella. La prese per mano e disse di sfuggita: “Vieni con me.”
Attraversarono tutta la lunghezza del corridoio e uscirono dall’edificio.
Sempre più in ansia, Katherine chiese nuovamente: “Perché mi stai tenendo sulle spine?”
Rafe evitò di guardarla ancora per qualche istante, poi fattosi forza riuscì ad affrontarla: “Parto volontario, Katy. Vado in Inghilterra.”
Non poteva credere alle sue orecchie. Che stava succedendo?
“L’Inghilterra è in guerra. Perché vuoi andare là? Cosa speri di ottenere?”
“Ci vado per mettermi alla prova. Per farmi valere.”
“Ma Rafe! Sei il miglior pilota del paese, sono certa che ti saranno riconosciuti i tuoi meriti.”
Rafe si alterò: “Quali meriti? Non ho fatto niente in questi anni. Solo esercitazioni. E tutto quello che ho ottenuto sono innumerevoli sgridate dai miei superiori. Io voglio di più.”
Vide gli occhi della sorella inumidirsi, perciò abbassò il tono: “Ho bisogno di partire, Katy. Ho bisogno di cavarmela da solo. Mi capisci?”
Katherine si gettò tra le sue braccia e lo strinse forte: “Sì. Lo capisco. E so che non potrò fermarti.”
Rafe ricambiò l’abbraccio con trasporto: “Così ti voglio, sorellina. Fidati di me.”
Quando si sciolsero dall’abbraccio, lei ricacciò indietro le lacrime per mostrarsi forte. Strinse i denti finché non sentì che le mancava il respiro. Guardò il fratello un’ultima volta: “Ora vado in camera mia. Non ho ancora scelto il vestito da sera che indosserò quando saremo a New York.”
Rafe si limitò a sorridere e a lasciarla andare. La guardò rientrare, poi si voltò per guardare la pista di atterraggio del Campo. Non ebbe nemmeno il tempo di perdersi in pensieri che udì di nuovo il rumore della porta.
“Avresti dovuto dirle anche di Doolittle.”
Rafe lanciò un’occhiata a Danny e subito riabbassò lo sguardo: “L’accordo è questo, ricordi? Io le ho detto dell’Inghilterra e lui le dirà il resto.”
Danny scosse il capo: “Non capisco. E’ tua sorella, avresti dovuto avvertirla.”
“Non sono una spia. Ho mantenuto il segreto di Katy prima che ti lasciasse. Allo stesso modo non tradirò un mio superiore.”
Danny sospirò con disapprovazione: “Io l’aiuterò a guarire da tutte le ferite che le state affliggendo. Non le volterò mai le spalle.” Detto questo, girò sui tacchi e rientrò.
*
Katherine entrò nell’ufficio di Doolittle, fiera dentro la propria divisa e con il soprabito sul braccio.
“Mi hanno detto che volevi vedermi. E’ già la seconda volta oggi. Non riesci proprio a starmi lontano!”
Lui era serio, in piedi davanti alla scrivania, le mani appoggiate sul bordo: “C’è ancora un argomento che dobbiamo affrontare prima del tuo trasferimento.”
Lei sorrise divertita, gli si avvicinò e gli stampò un bacio sulla guancia: “Non temere, non ti tradirò. Né a New York né a Pearl Harbor. E ti scriverò centinaia di lettere, così sentirai meno la mia mancanza.”
Lui alzò il tono di voce: “Katherine, è una cosa seria. La renderò più indolore possibile, ma tu devi ascoltarmi.”
Sentendo quel tono di voce e vedendo quello sguardo, lei s’intimorì.
“Prima vorrei confessarti che non sopporto l’idea di dirtelo in questo modo e per di più a pochi minuti dalla tua partenza, però non posso fare altrimenti.”
“Mi stai spaventando. Cosa devi dirmi di così terribile? Rafe mi ha già parlato dell’Inghilterra.”
“Non si tratta di quello, infatti.” Prese un bel respiro e parlò scandendo ogni parola: “D’ora in poi, l’unico rapporto che ci sarà tra me e te sarà strettamente professionale.”
Lei scosse il capo, come non capendo: “Cosa stai dicendo?”
“La nostra relazione termina qui. Ora hai davanti a te una grande carriera, mentre io sono inchiodato qui al Campo Mitchell. Non me la sento di rimanere legato a te in questo modo.”
“Jimmy, mi stai lasciando?”
Lui sospirò: “Sì, Katherine.”
Katherine si sentì smarrita, aveva voglia di gridare e aveva voglia di piangere. Invece si limitò a chiedere un banalissimo: “Ma perché?”
“Perché per me è più importante il dovere militare dei sentimenti. Lo sai.”
“Non puoi parlare sul serio. Io ho fatto dei sacrifici per te. Ho sofferto per stare con te.”
“Lo so bene, ma questo non cambia le cose. Sono un tuo superiore e sono molto più vecchio di te. Tra noi non potrebbe durare a lungo comunque.”
Le lacrime iniziarono a sgorgarle dagli occhi, gridò: “Io provo ancora qualcosa per te.”
“Quel qualcosa non è amore. Devi dimenticarlo e devi dimenticare me.”
“Non puoi ordinarmelo.”
Doolittle rispose con tono di comando: “Come superiore sì.”
Katherine, in un gesto disperato, gli gettò le braccia al collo, incurante del soprabito che cadde a terra: “Non sei mai stato così freddo con me. Perché ti comporti così?”
“E’ inutile che provi ad intenerirmi. Non funzionerà.”
“Con quale coraggio mi parli in questo modo? Questa mattina mi hai scopata sulla tua scrivania.”
Doolittle, punto sul vivo,  le afferrò le mani per togliersela di dosso: “Puoi dirmi che sono un bastardo. Me lo merito. Ti ho usata come un pezzo di carne, lo ammetto. Però sappi che da parte mia ti ho amata nel breve tempo che siamo stati insieme.”
Katherine gli lanciò un’occhiata di fuoco: “Ho quasi voglia di odiarti.”
Lui agitò le braccia in aria: “Allora fallo. Non chiedo di meglio. Odiami come fanno tutti gli altri in questa base.”
Lei singhiozzò, troppo fragile per combattere quella battaglia: “Mi scriverai mentre sarò a Pearl Harbor?”
Doolittle parve tranquillizzarsi, forse lei finalmente aveva capito: “Sì. Se vuoi lo farò. Almeno finché non ti sarai ripresa.”
Katherine fece un cenno positivo col capo e si voltò per andarsene.
“McCawley femmina.”
Voltandosi, vide Doolittle chinarsi per raccogliere il soprabito da terra e porgerglielo. Lo prese con mani tremanti e volontariamente sfiorò la sua mano. L’ultimo contatto prima dell’addio.
Doolittle accennò un sorriso: “Sei uno dei miei piloti migliori. Metti il tuo talento a disposizione dell’America.”
Lei rispose con voce tremante: “Sì. Maggiore.” Chiuse gli occhi un istante, poi si voltò e uscì dall’ufficio.
*
Il locale sembrava un vespaio impazzito tra piloti in divisa ed infermiere dai pittoreschi abiti che ballavano, bevevano e facevano di tutto e di più per divertirsi. E la regina di quel vespaio, o meglio, la regina della tristezza era senz’altro lei: Katherine. Seduta ad un tavolo, attorniata dai bicchieri vuoti dei piloti che prima erano accanto a lei e poi si erano dati alla caccia di sottane. I suoi occhi erano fissi sulla lampada al centro del tavolo, una fioca luce gialla metteva in risalto le lacrime che le riempivano gli occhi. Tra le dita, un bicchiere costantemente pieno di scotch.
Danny, seduto ad un tavolo poco lontano dal suo, si voltava spesso in quella direzione ed era completamente indifferente alla graziosa infermiera dai grandi occhiali che sedeva al suo stesso tavolo. Il suo sguardo incontrò una figura familiare sulla pista da ballo, Rafe che danzava stringendo a sé la bella fidanzata Evelyn, ovviamente anche lei infermiera. Vedendoli sorridenti e complici, non poté fare a meno di scuotere il capo e parlare tra sé: “Questo non è da te, Rafe.”
In capo a pochi secondi, li vide prendersi per mano ed uscire dal locale, soli.
Danny si alzò dal posto, attraversò non senza qualche problema l’affollata pista da ballo e giunse a destinazione prendendo posto accanto a Katherine.
“Non posso vederti qui da sola mentre tutti si divertono.”
Lei rispose continuando a fissare la lampada: “Non sono dell’umore per festeggiare.”
“So che sembra ridicolo detto da me, ma…” Fece una pausa e finì la frase: “Devi reagire.”
Katherine si portò il bicchiere alle labbra e lo vuotò tutto d’un fiato.
A Danny venne spontanea la domanda: “Quanti ne hai bevuti?”
“Pochi. Non sono nemmeno ubriaca. Purtroppo.”
Rimasto a corto di argomenti, Danny prese a giocare distrattamente con un tovagliolo e lei si riempì un’altra volta il bicchiere di scotch.
Incerto se parlare o meno, Danny prese respiro diverse volte prima di accennare: “Non hai indossato il vestito da festa.”
Lei ingollò tutto lo scotch e gli rispose con tono aspro: “Ti ho detto che non sono dell’umore per festeggiare.”
Lui non si lasciò intimorire, anzi interpretò quel tono scontroso come una richiesta di aiuto. Con due dita sotto il mento le fece voltare il viso delicatamente e la guardò dritto negli occhi: “Mi sarebbe davvero piaciuto vederti con quel vestito di seta rosa.”
Katherine si sentì maledettamente in colpa nei suoi confronti. Perché era sempre così dolce? Perché era sempre presente per lei?
“Perché sei qui dopo quello che ti ho fatto?” Nel pronunciare quelle parole, una lacrima fece capolino dalle ciglia e le scese lungo la guancia.
Lui sorrise dolcemente: “Perché, che tu lo voglia o no, sei la cosa più importante della mia vita.”
Lei dovette sfuggire al suo tocco perché fu assalita dalle lacrime, ma subito cercò di ricomporsi inghiottendo la tristezza e prendendo un bel respiro. Risollevando il viso si accorse che Danny le stava porgendo il tovagliolo. Lo prese e si asciugò gli occhi, quindi lo posò di nuovo sul tavolo.
Guardò Danny negli occhi e stavolta gli lanciò davvero una disperata richiesta di aiuto: “Portami via da qui.”
*
Entrarono insieme in albergo, dove ben presto si sarebbero ritirati anche tutti gli altri, rigorosamente suddivisi in coppie uomo/donna. Mentre Danny si faceva dare la chiave dal concierge, Katherine sorrise al pensiero di tutti i pettegolezzi che avrebbe udito il giorno seguente, tutti i racconti sconci dei suoi colleghi che le avrebbero tenuto compagnia durante il viaggio fino a Pearl Harbor. Siccome infermiere e piloti avrebbero viaggiato ancora separati, avrebbe dovuto attendere prima di sentire anche le versioni femminili. D’altra parte non aveva scelta, essendosi isolata, non aveva avuto modo di conoscere le amiche di Evelyn. Fece spallucce tra sé e alzò lo sguardo su Danny che le stava porgendo una mano.
Nonostante fosse stato lui a girare la chiave nella toppa, Katherine volle entrare per prima nella stanza. Decise di non accendere la luce, constatando che quella proveniente dalla strada principale a cui era affacciato l’albergo era più che sufficiente per i suoi occhi.
Dal canto suo, Danny si limitò a richiudere la porta ed ad infilare la chiave nella serratura all’interno. Quando terminò, con un po’ di difficoltà a causa della debole luce, si voltò e allungò lo sguardo su Katherine, immobile davanti alla finestra. Si avvicinò a lei e l’avvolse in un abbraccio.
Katherine abbandonò il capo all’indietro, sulla spalla di lui e posò una mano su quelle che lui teneva intrecciate sul suo grembo. Con lo sguardo fisso fuori dal vetro, si limitò a dire con voce rauca: “Perché diavolo ti ho lasciato?”
Danny non rispose. Nessuna parola sarebbe stata utile in quel momento. Abbassò il capo e le stampò dei baci sul collo, lentamente e con dolcezza. Liberò una mano e sempre lentamente le slacciò la cravatta e le sbottonò il colletto per poter immergere il viso più a fondo e baciarle l’incavo tra la spalla ed il collo.
Katherine chiuse gli occhi e si abbandonò completamente al tocco di quelle labbra calde che conosceva bene e che adorava.
Interpretandolo come un segnale per continuare, Danny usò quella stessa mano rimasta di nuovo libera per infilarla sotto la giacca di lei e afferrare un seno a coppa, stringendolo come un frutto maturo.
A quella nuova esplorazione, Katherine si sciolse dall’abbraccio e lo guardò negli occhi con un lampo di timore nello sguardo: “Lo sai che ti ho lasciato per capriccio, vero? Io non amavo Doolittle, ho sempre amato te. Volevo solo provare un’esperienza nuova. Ma poi quando mi ha lasciata ho capito che una parte di me si era affezionata  a lui ed ora non riesco a dimenticarlo. Solo tu puoi aiutarmi. Se mi ami ancora.”
Lui sapeva di averla in pugno, sapeva di avere tutto il potere, sapeva di poter scegliere cosa fare di lei, sapeva che lei pendeva dalle sue labbra. Avrebbe potuto respingerla, avrebbe potuto usarla e gettarla via, ma non fece niente di tutto questo. Avvicinò il viso al suo e sussurrò appena: “Io ho già dimenticato ogni cosa. Ci riuscirai anche tu.”
Si strinsero in un forte abbraccio scambiandosi un bacio puro e assetato che racchiudeva settimane di separazione.
Amarsi tra le lenzuola era il miglior modo per aggiustare il loro rapporto, per saldare quel legame che si era indebolito in precedenza. Era l’unico luogo dove esistevano solo loro due, il centro del loro mondo, lontano da tutto e tutti. Immerso nel rapporto, Danny cercò di afferrare ogni singola sfumatura come se fosse la prima volta. Gli era mancata da morire. Gli erano mancati i suoi gemiti di piacere, i suoi capelli biondi sparsi sul cuscino, la sua espressione eccitata, le carezze delle sue mani sulla schiena e, con un pizzico di erotismo, confessò a se stesso che gli era mancato il modo in cui lei lo stringeva tra le cosce. Ora tutto questo era di nuovo suo. Erano di nuovo insieme.
Dopo aver toccato entrambi l’apice del piacere, i loro sguardi si fusero per condividere quel qualcosa che avevano nell’anima e che si poteva dimostrare solo attraverso lo sguardo.
Katherine, con le dita, spostò qualche ciuffo di capelli dalla fronte di lui, per poterlo guardare meglio ma anche perché sentiva il bisogno di trasmettergli dolcezza. Il suo sguardo si spostò un po’ più in basso, sulle sue labbra socchiuse, e i due denti incisivi bianchi come perle attirarono la sua attenzione. Allungò le labbra e li sfiorò con un bacio.
Danny, sfinito da quelle piacevoli fatiche, abbandonò il capo sulla spalla di lei e lasciò che Katherine gli accarezzasse i capelli.
*
A tarda serata, dopo aver chiesto l’informazione al concienge, Rafe entrò nella stanza di Katherine senza nemmeno bussare.
“Sorellina, ci sei?”
Trovò l’interruttore ed accese la luce. Quando si voltò, non avendo il minimo sospetto di quello che avrebbe trovato, rimase letteralmente a bocca aperta. Vide Danny saltare giù dal letto veloce come una lepre in cerca della biancheria intima e la sorella tirare su il lenzuolo fino alla gola per coprire la propria nudità.
Avendo già la bocca aperta, Rafe tentò di far uscire qualche suono, anche se non fu affatto facile: “Ehm… Io… Non pensavo che… Speravo che non vi avrei mai sorpresi in questa situazione. Cioè, mi fa piacere che vi siate rimessi assieme. O almeno così sembra. Però… Una parte di me ha una gran voglia di prendere a pugni Danny.”
Katherine cercò subito di esporre una giustificazione, temendo il peggio: “Rafe, posso spiegarti. Noi…”
Rafe la interruppe immediatamente, agitando le mani di fronte a sé: “No no no! E’ già tutto chiaro. Nessuna spiegazione. Davvero.”
Lei e Danny si lanciarono un’occhiata imbarazzata.
Rafe si schiarì la voce per prendere tempo, quindi andò a sedersi sul bordo del letto, accanto alla sorella: “Ero solo passato per vedere come stavi e…magari tenerti compagnia. Sai, prima ero con Evelyn e…ho dovuto dirle della mia partenza per l’Inghilterra.”
Katherine sfoggiò un perfetto sguardo di comprensione: “Poverina… Si sarà sentita molto male quando glielo hai detto.” Lui abbassò lo sguardo e fece dei cenni col capo: “Sì, è così. E anche lei ha provato a farmi cambiare idea, proprio come voi. Per questo ho preferito salutarla invece di passare la notte con lei.”
Danny, recuperati e indossati maglia e pantaloni, si sentì più sicuro di sé e prese posto accanto a Rafe: “Ti ama come ti amiamo noi, Rafe. E’ normale che abbia tentato.”
Rafe alzò lo sguardo su di lui e poi su Katherine e improvvisamente si sentì di troppo: “Sarà meglio che vada, ora. Vi lascio soli.”
Katherine lo afferrò per un braccio impedendogli così di alzarsi: “No, ti prego. Rimani qui. E’ l’ultima volta che possiamo stare tutti e tre insieme. Non sappiamo quando avremo l’occasione di farlo ancora.”
Lui si voltò verso Danny, constatando che era d’accordo: “Sì, ha ragione lei. Nessuno di noi merita di rimanere solo, questa notte.”
Rafe si sentì invadere da una forte emozione, come se gli anni della sua infanzia e della sua adolescenza fossero scoppiati dentro di lui. I suoi occhi si riempirono di lacrime, ma non se ne vergognò: “Insieme. Dopo tutti questi anni, siamo ancora insieme.”
*
Camminavano tutti e tre fianco a fianco all’interno della stazione dei treni. Gli sguardi seri, le labbra serrate. Rafe portava una valigia, Katherine teneva sottobraccio il suo soprabito e il suo cappello nella mano, Danny portava un’altra valigia sulla spalla.
Vedendo l’amico guardarsi attorno in continuazione, Danny gli chiese curioso: “Non hai detto che le hai chiesto di non venire?”
“Sì, infatti.”
“Perché la cerchi allora?”
“E’ una prova. Se io le dico di non venire e lei viene lo stesso…” Fece spallucce e continuò: “Bè, vuol dire che mi ama.”
Il capostazione in quel momento gridò: “In carrozza. Binario 57.”
Rafe sospirò. Ormai era giunto il momento. Si rivolse alla sorella: “Katy, potresti andare a comprare una rosa rossa da quel venditore ambulante che abbiamo appena superato?”
Lei fece un cenno col capo, cercando di sorridere: “Sì, fratellone!”
Lui la guardò allontanarsi, quindi si rivolse seriamente a Danny: “Ho due favori da chiederti. Il primo è: prenditi cura di Katy. E’ così fragile.”
Danny rispose tranquillo: “Lo farò. L’ho sempre fatto. Non hai niente da temere. Il secondo favore qual è?”
Rafe si fece ancora più serio: “Danny, se dovesse accadermi qualcosa, voglio che sia tu a dirlo ad Evelyn e Katy.”
Danny abbassò lo sguardo un istante, prima di rispondere: “E tu pensa a tornare vivo. Fallo per tua sorella, per me e per la tua fidanzata.”
Katherine arrivò in quel momento con una rosa rossa in mano: “Ecco, Rafe!”
Lui strinse una mano della sorella tra le proprie: “Voglio che tu faccia una cosa per me.”
Lei provò ad indovinare: “Devo consegnarla ad Evelyn da parte tua.”
Rafe sorrise: “No, Katy. Voglio che sia tu a conservare questa rosa. Finché sarà fresca potrai vedere nel rosso di questi petali tutto l’amore che provo per te. Poi quando sarà appassita vorrei che tu la riponessi tra le pagine del tuo diario, così ogni volta che ti mancherò potrai andare a guardarla.”
Katherine aveva gli occhi che lacrimavano: “Allora so già che passerò le giornate a guardarla perché mi mancherai da impazzire.”
Facendo attenzione alla rosa, si gettò tra le braccia del fratello e lui la strinse forte a sé: “Non dimenticare mai quanto ti voglio bene.”
Servirono alcuni minuti prima che trovassero il coraggio di slacciarsi. Subito dopo, Rafe regalò un abbraccio anche all’amico. Facendosi forza, prese le valige che lui e Danny avevano posato a terra, poi lasciò che la sorella gli riponesse il soprabito sottobraccio e il cappello militare sul capo.
Danny gli diede un’amichevole pacca sulla spalla come saluto.
Rafe guardò un’ultima volta le due persone che gli erano state accanto per tutta la vita, poi, con coraggio, s’incamminò verso il treno dicendo: “Ci vediamo al ritorno.”
Katherine scoppiò a piangere, ma fortunatamente trovò riparo tra le braccia di Danny per sfogare il pianto. Dal canto suo, Danny rimase a guardare l’amico che si allontanava e solo quando lo perse di vista sussurrò l’ultimo augurio: “Buona caccia, Rafe.”

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Capitolo 5
*** La vita a Pearl Harbor ***


5
La vita a Pearl Harbor
 
Katherine era certa che quello sarebbe stato il suo porto sicuro. Non solo letteralmente, ma anche emotivamente. Pearl Harbor era ufficialmente il porto più sicuro del mondo e lei sperava che l’avrebbe aiutata a dimenticare tutte le divergenze del passato e stringere nuove amicizie sia sul posto di lavoro che nel privato. Camminava un passo dietro a Danny, il quale apriva il gruppo di piloti in alta divisa tutti accaldati e con le valigie in mano. Allungò lo sguardo dove degli uomini stavano lavorando su alcuni aerei. Chissà dove si trovavano i piloti… In particolare fu incuriosita da un uomo vestito all’hawaiana con tanto di cappello di paglia, intento a lavorare ad una particolare tavola da surf. Tra le mani aveva qualcosa, una specie di pinna. Quando si accorse del loro arrivo si voltò, così lei poté vedere che sotto quel ridicolo cappello c’era un buffo viso ricoperto di graffi.
Lui e Danny scambiarono qualche battuta, facendole così scoprire che i piloti con cui avrebbero lavorato erano proprio loro.
Spostando lo sguardo notò che uno in particolare indossava un cappello con su scritto il proprio nome: Earl. Forse il capo era lui. Come in risposta alla sua domanda, l’uomo in questione soppesò il gruppo di nuovi arrivati. Dal movimento delle labbra sembrava che stesse contando.
Aggrottò le sopracciglia: “Hey, ma voi siete di più di quello che mi avevano detto. Al dormitorio ogni posto è già stato assegnato.”
Katherine, perfettamente mimetizzata dentro la propria divisa, posò la valigia a terra e sorpassò Danny affinché quel tizio potesse vederla: “Probabilmente non ti hanno parlato di me.”
“E dove dormirai? Sul pavimento?”
Lei spaziò lo sguardo per cercare qualcosa, quindi si rivolse ancora a lui facendo un cenno col capo: “Quella laggiù dev’essere la vettura che mi hanno assegnato. Mi servirà per gli spostamenti da qui al dormitorio delle infermiere.”
Earl incrociò le braccia al petto e parlò con tono canzonatorio: “E come mai un ragazzino come te dorme con le infermiere? Hai bisogno della balia per fare la nanna?”
Katherine rise divertita. Era evidente che non aveva ancora capito chi lei fosse. Senza vergogna, prese a sbottonarsi la giacca, poi la camicia. Alzò lo sguardo su Earl e, aprendo i lembi della camicia, disse in tono di sfida: “Le riconosci queste?”
Gli sguardi dei piloti di quel gruppo si fissarono su di lei, o meglio sulle evidenti rotondità coperte solo da una canotta maschile.
Earl cominciò a balbettare: “Ma… Ma… Io non sapevo che… Che ci fosse una ragazza tra i piloti nuovi. Io...”
Katherine si riabbottonò la camicia e gli fece un cenno col capo: “Scuse accettate.”
Riprese la valigia e s’incamminò verso l’auto militare priva di tettuccio, per poi gettare il bagaglio sul sedile posteriore con noncuranza. Si sedette alla guida e accese il motore. Un attimo prima di lasciare la frizione, sentì una voce chiamarla: “Katy, aspetta.”
Si voltò e vide Danny raggiungerla di corsa.
“Vuoi che venga con te?”
“Me la caverò. Non temere.”
Danny si sfiorò il berretto, un po’ impacciato: “Sì, lo so. Non intendevo dire… Cioè, magari potrei farti compagnia.”
Katherine gli sorrise, intenerita da quel buffo comportamento: “Ora pensa a sistemarti, poi più tardi ci rivediamo. Evelyn mi aspetta.”
Lui rise contro se stesso per la propria goffaggine, poi le lanciò uno sguardo più sicuro: “Va bene, allora. Ci vediamo dopo. Verrò io da te.”
Katherine partì a tutto gas, tanto che il berretto che aveva in testa rischiò di volarle via e questo regalò un bel sorriso a Danny che la osservò finché non sparì all’orizzonte.
*
Il dormitorio delle infermiere altro non era che una bella casa con vista sul mare e circondata da giardini rigogliosi. Non appena Katherine l’avvistò, un bel sorriso sbocciò sulle sue labbra. Parcheggiò l’auto sulla strada ghiaiosa diagonale alla casa e scese richiudendo la portiera un po’ bruscamente, proprio come avrebbe fatto un soldato. Con un sospiro di sollievo si tolse la giacca, già pregustando il piacere di un bagno ghiacciato per scrollarsi di dosso il calore accumulato a causa della divisa. Non appena si sporse sul sedile posteriore per prendere la valigia, una voce alle sue spalle la richiamò: “Ben arrivata, Katy! Sono felice di rivederti!”
Rialzatasi, Katherine allungò lo sguardo e vide Evelyn che l’attendeva all’ingresso con volto sorridente e rossetto impeccabile. Mentre lei la raggiungeva con la valigia in mano, Evelyn scese i tre gradini di fronte alla porta e le andò incontro per accoglierla.
“Non sai quanto ti invidio per il fatto che ti abbiano dato una decappottabile!” Disse in tono giocoso.
Katherine rise per lo scherzo e di rimando usò il braccio libero per afferrarle il girovita, con fare alquanto mascolino: “Non giocare col fuoco, piccola.”
Questa volta risero entrambe. Evelyn risalì i gradini ed aprì la porta vetrata per permetterle di entrare in casa: “Vieni, vorrei presentarti le mie amiche.”
Al di là della porta vi era un grazioso salottino composto di due sofà, un tavolino dall’aspetto antico restaurato, alcuni mobili arricchiti da vasi da fiori e una radio dall’aspetto imponente che sembrava dominare l’intera stanza. Da un lato, a creare un perfetto semicerchio, stavano le infermiere che condividevano la casa. E che quindi sarebbero state sue coinquiline.
Evelyn si fece avanti e iniziò le presentazione come una perfetta padrona di casa, indicando una ad una le ragazze: “Ti presento Barbara, la pantera della casa.”
Una bionda tutto pepe dallo sguardo sicuro e malizioso la salutò con un fugace: “Ehilà.”
“Lei è Sandra, la più timida tra noi.”
Un tipetto dai grandi occhiali ma dagli occhi da cerbiatta che riuscì a malapena a sollevare la mano per salutarla.
“Lei è Betty, la nostra piccola mascotte.”
Un’altra bionda, ma dall’aspetto gioviale e simpatico, le regalò un bel sorriso e disse: “Benvenuta! Sono felice di conoscerti!”
“E per ultima, ma non meno importante, la nostra giunonica protettrice, Martha.”
Una donna tondetta ma dall’aria molto sicura che sostenne il suo sguardo con fierezza.
Infine Evelyn presentò Katherine alle ragazze: “Amiche mie, vi presento la mia cara Katherine, altrimenti detta Kate o Katy dagli amici. E’ la sorella minore di Rafe, quindi si può dire che siamo quasi cognate.” A quest’ultima frase il tuo tono fu un po’ da smorfiosetta, però tornò normale quando proseguì con la presentazione: “Nonostante sia una ragazza, fa parte della migliore squadra di piloti del paese. Però a causa del suo ruolo spesso tende a dimenticare le piccole gioie femminili, perciò sarà nostro compito ricordargliele portandola con noi a fare shopping ad ogni occasione.”
Tra le risate e le conferme, Betty fece qualche passo in avanti: “Per prima cosa dobbiamo toglierle di dosso questa divisa.”
Pur essendo quello che lei stessa voleva fare, Katherine prese quella frase come un’invasione personale, perciò sentì il bisogno di fare un passo indietro e di stringersi un braccio al petto in segno di protezione. Il suo sguardo era visibilmente turbato: “La mia divisa? Perché?”
Evelyn, vedendo il suo stato, pensò bene di intervenire per allentare la tensione: “Non ora, ragazze. Lasciamole il tempo di sistemarsi nella nuova stanza e di riposare.”
Attraversarono un piccolo corridoio sulla sinistra ed entrarono nella prima stanza sul percorso. Un ambiente spazioso e semplice, costituito da un grande armadio per i vestiti, e tre letti con rispettivi comò ben distribuiti nello spazio.
Evelyn puntò il dito verso il letto nell’angolo sinistro: “Quello laggiù è il tuo. Spero non ti dispiaccia se io sto al centro e Betty sulla destra.”
Katherine scosse il capo vivacemente: “No no, tranquilla. Anzi, vi ringrazio per avermi accolta in camera con voi.”
Si avvicinò al letto e posò la valigia sul pavimento. Si sedette sul bordo del materasso e con le mani accarezzò le lisce lenzuola, quasi come fossero dei gatti dal pelo lungo e morbido.
Evelyn la guardò stando appoggiata allo stipite della porta, con volto soddisfatto: “E’ stato Rafe a suggermi di farti dormire sul lato sinistro. Mi ha descritto la tua stanza nel Tennessee.”
Katherine le regalò un sorriso nostalgico: “Sì… Era proprio così.  Ti ringrazio.”
Evelyn notò lo sguardo dell’amica, perciò la raggiunse e si sedette accanto a lei per accertarsi delle sue condizioni. Le mise una mano sulla spalla, delicatamente: “Katy, come stai veramente?”
Lei rispose tenendo lo sguardo basso: “Come sembra.”
“Io voglio aiutarti. Ho coinvolto le ragazze perché vorrei che ti lasciassi andare. Che non ti sentissi più triste e sola. Come ti ho vista quella sera a New York.”
Era ancora un tasto dolente che avrebbe preferito non venisse toccato, però Katherine aveva capito il significato di quelle parole, perciò cercò di abbozzare un sorriso riconoscente: “Ti ringrazio, Evelyn.”
Evelyn le sorrise di rimando, poi si alzò dal letto energicamente: “Bene! E’ il momento di sistemare i tuoi vestiti nell’armadio.” Prese la valigia da terra e la ripose sul letto, dove l’aprì.
Ci volle appena una mezzora per sistemare tutto, però alla fine ogni cosa aveva trovato il proprio posto, compreso il diario dentro il cassetto del comò, una foto ritraente lei, Rafe e Danny in bella vista sulla superficie e la rosa rossa, dentro un modesto vaso dal collo lungo, i cui petali sembravano vegliare sulla foto.
*
Era ormai pomeriggio e Katherine aveva approfittato della quiete domestica per fare una cosa importante. Era stesa a pancia in giù nel verso opposto del letto,  le gambe intrecciate in aria, appoggiata sui gomiti e intenta a scribacchiare un numero imprecisato di fogli da lettera. Quando udì il rimbombo di due colpi alla porta d’ingresso, interruppe la lettera e si alzò per andare ad aprire. Già entrando nel salotto e allungando lo sguardo sulla porta vetrata, un sorriso le illuminò il viso. Danny era arrivato.
Gli aprì la porta e lasciò che lui entrasse, constatando che era in soggezione.
Danny si passò una mano tra i capelli e biascicò un banale: “Buongiorno.”
Lei rise un istante: “Non c’è nessuno in casa! Le ragazze sono andate in spiaggia.”
Lui si rilassò visibilmente e riabbassò la mano: “Oh, capisco. Come mai non sei andata con loro? Vestita così ti avrebbero nominata reginetta della spiaggia!” Il suo sguardo divorò le curve di Katherine senza pudore, partendo dai seni intrappolati in una stretta canotta, il girovita sottile marcato da una cintura e un paio di pantaloni piuttosto attillati di colore marrone.
Katherine, cercando di attirare la sua attenzione un po’ più a nord della propria persona, si schiarì la voce e disse con tono velato di tristezza: “Stavo scrivendo a Rafe.”
Funzionò all’istante, Danny risollevò lo sguardo sui suoi occhi, dispiaciuto. Con la stessa rapidità cambiò discorso: “Come ti trovi qui? Ti hanno dato una bella stanza?”
Lei sorrise e gli fece segno di seguirla: “Divido la camera con Evelyn e con la sua amica Betty. Sarà divertente stare assieme. Soprattutto perché Betty sta già cercando di riconvertirmi alla femminilità!”
Entrarono nella stanza e lei indicò l’angolo: “Ecco, lì è dove dormirò io.”
Danny la osservò con sguardo nostalgico, evidentemente anche lui aveva notato la somiglianza con quella del Tennessee, ma ad attirare la sua attenzione fu la foto sopra il comò. Si avvicinò a rapidi passi e prese la cornice tra le dita: “Sapevo che l’avrei trovata.”
Lei lo seguì e confermò: “Sì, non posso farne a meno.”
“Da quando eravamo bambini, ogni anno ci scattiamo una foto tutti e tre insieme e poi la incorniciamo.”
Quelle parole la riportarono un po’ alla tristezza: “Chissà quando scatteremo quella di quest’anno.”
Danny mise a posto la foto, si sedette sul ciglio del materasso e attirò Katherine su di sé per avvolgerla nel proprio abbraccio: “Appena Rafe sarà tornato rimedieremo.”
Si scambiarono qualche sguardo complice, cercando di ristabilire l’armonia dei pensieri e dello spirito. I loro visi si avvicinarono in modo quasi impercettibile e quando le labbra si sfiorarono lo fecero con assoluta lentezza. Fu lui a lasciarsi ricadere all’indietro e a stringerla forte a sé. E…fu così che il letto venne inaugurato.
*
Katherine trascorse le prime settimane al meglio, esercitandosi in volo ogni giorno, scrivendo lunghe lettere a Rafe, approfondendo l’amicizia con le infermiere e aspettando l’arrivo di una particolare lettera da Long Island che sembrava non arrivare mai. Poi un giorno, un tranquillo pomeriggio come tanti, rientrando dopo l’ennesimo allenamento, trovò proprio quella lettera in bella vista sul cuscino del suo letto. La sorpresa l’aveva bloccata sullo stipite della porta, ma pur non potendo leggere il mittente da quella distanza, sapeva perfettamente che era quella che attendeva, poiché quando arrivavano lettere di Rafe, Evelyn era solita posarle sul comò accanto alla foto. Scoppiò in un impeto di gioia che la fece correre verso il letto, dove afferrò la lettera come un rapace con la preda. Non si era sbagliata, era davvero da parte di Doolittle! Si diede di nuovo alla corsa per dirigersi in cucina, dove sapeva si trovavano le ragazze.
“Quand’è arrivata?”
Evelyn, appoggiata accanto al fornello in attesa che la teiera fischiasse, stava chiacchierando con Sandra, ma quando vide Katherine irrompere nella cucina come un vulcano, si zittì all’istante. Abbassò lo sguardo e parlò in un sussurro: “Ieri.”
Katherine scosse il capo, accennando un sorriso: “E l’hai tenuta nascosta fino adesso? Perché?”
Evelyn intrecciò le dita in grembo, evidentemente a disagio, poi sollevò lentamente lo sguardo su quello di lei. Le sue labbra rosso fuoco si schiusero un paio di volte prima che le parole uscissero: “Temevo che ti avrebbe fatto stare male. L’ho fatto solo per proteggerti. Poi però ho fatto un esame di coscienza e ho capito che non era giusto intromettermi nelle tue faccende private. Spero mi perdonerai.”
Katherine sorrise divertita: “Ti preoccupi troppo! Aspettavo questa lettera con ansia!”
Girò sui tacchi e corse fuori in giardino, dove si buttò sgraziatamente su una sedia a sdraio. Aprì la lettera e gettò la busta a terra per la foga.
“Cara Kate,
avevo promesso che ti avrei scritto ed io mantengo sempre le mie promesse. Spero che il soggiorno a Pearl Harbor sia di tuo gradimento e che tu stia dando del tuo meglio nell’addestramento.
Qui al Campo le cose non sono più come prima da quando ve ne siete andati voi due McCawley e Walker. E’ tutto maledettamente tranquillo e ordinato. Forse sono impazzito, ma confesso che ho nostalgia delle vostre bravate e delle vostre esibizioni. Eravate un trio così affiatato da trascinare tutti gli altri piloti nel vostro vortice. Ogni giorno mi aspetto di ricevere un rapporto che parli di te e Walker, ma non è ancora accaduto. Per questo non posso fare a meno di preoccuparmi. Non ti sei ancora ripresa dalla fine della nostra storia? Io ero assolutamente certo che avresti trovato immediato conforto tra le braccia di Walker. Cosa è andato storto? Provo ancora rimorso per averti ferita ma rimango convinto di aver fatto la cosa giusta per te. Io vivo del mio ruolo militare e presto o tardi ti saresti stancata di me.
Ti chiedo ancora perdono e ti auguro di ritrovare la grinta di un tempo. Fatti valere. Te lo ordino come superiore.
Fin da adesso vorrei ricordarti che sarebbe meglio interrompere la nostra corrispondenza al più presto. Non voglio in alcun modo essere una distrazione per te. Ma non prima di aver ricevuto una tua risposta sincera, che aspetterò con ansia.
Jimmy Doolittle”
Solo al termine della lettura si accorse che stava piangendo. Sfiorandosi con la mano sentì chiaramente di avere le guance rigate di lacrime. Se le asciugò alla bell’e meglio e chiuse gli occhi qualche minuto per ritrovare la calma. Non sapeva nemmeno se fossero lacrime di gioia o di tristezza. I suoi sentimenti erano contrastanti a causa di quella dannata lettera. Forse Evelyn aveva ragione, non era ancora pronta. Scosse il capo e si impose di reagire: “No. Non mi farò divorare dal passato. Da adesso metterò la parola fine su questa storia. E’ inutile piangere per un’avventura.”
*
Cosa può esserci di meglio di volare? Sfrecciare nel cielo ad alta velocità, esibirsi in audaci e rischiose giravolte, precipitare fino a sfiorare le onde e poi risalire. Può essere migliore solo ciò che accade dopo l’atterraggio. Liberarsi delle cinghie di sicurezza, sgusciare fuori dalla cabina di pilotaggio e sentirsi soddisfatti. Se poi puoi condividere quell’emozione con qualcuno, ancora meglio! Katherine era assolutamente radiosa, pur indossando la classica canotta maschile, e la luce rosa arancio del tramonto che le accarezzava il viso la rendeva la più bella creatura esistente. E Danny ne era affascinato. Era consapevole di essere innamorato perso di lei e di essere la parte debole della coppia, ma che importanza poteva avere?
Nell’esatto istante in cui i loro corpi entrarono in contatto, si sentì completo. Stringerla a sé, assorbire il suo calore, respirare il suo profumo, sentire il piacevole solletico dei suoi capelli sul viso e sussurrarle all’orecchio un sincero: “Ti amo, Katy.”
Stranamente, lei non rispose.
Allentò la stretta per poterla guardare in volto, ma tenendola comunque avvolta in un abbraccio. Lei era ancora sorridente, quindi optò per uno scherzo: “Ogni giorno che passa ti vedo sempre più sicura nel volo. Dì un po’, dove vuoi arrivare? Direttamente in paradiso?”
Lei rise. Aveva fatto centro!
“Puoi dirlo forte, mio caro! E quando sarò tornata te lo descriverò!”
“E pensare che fino a poco tempo fa il tuo modo di pilotare era condizionato dal tuo stato d’animo. O te lo sei già dimenticato, principessa sul pisello?”
Katherine gli diede una pacca sul petto, con fare giocoso: “Quanto odio quel soprannome. E lo stesso vale per il mio caposquadra. E comunque nemmeno tu eri perfetto, campagnolo!”
“Hey, questo è un colpo basso!”
“No. Io direi che lo è di più questo.” Con abile mossa fece scivolare un braccio verso il basso, seguì la curva del fianco e gli diede una fugace palpata alla natica destra, senza curarsi dei piloti che stavano lavorando a poca distanza da loro.
Danny stette al gioco e, di rimando, viaggiò con la mano sul corpo di lei fino a quando arrivò a destinazione su un seno: “Allora io ti faccio un colpo alto.”
Lei rise di gusto, affondando il viso sulla spalla di lui, eppure quella risata morì velocemente com’era nata. Cosa c’era sotto? Fu lei a sciogliersi dall’abbraccio e camminare a brevi passi verso l’auto, lasciando Danny indietro come non curandosene.
Lui si avvicinò cautamente, ormai consapevole che quello che stava per accadere non sarebbe stato piacevole.
“Di cosa si tratta?”
Lei prese respiro e si voltò, cercando di sostenere il suo sguardo: “Non è come pensi. Doolittle non c’entra nulla. Ho preso la mia decisione da sola.”
Già il fatto che avesse pronunciato quel nome lo infastidì parecchio: “Vuoi lasciarmi?”
Lei rispose impacciata: “No! Cioè, sì… Però no, non la metterei su questo piano.”
Danny l’afferrò alle spalle: “Mi ami o no?”
Fu una consolazione vederla sorridere in quel modo innocente, nonostante la situazione non fosse per niente allegra: “Danny, io ti ho sempre amato e non smetterò mai. Lo sai bene. Solo…in questo momento l’amore che provo non è del tipo che vorresti.”
Lui riabbassò le mani e chiuse gli occhi qualche istante, cercando di elaborare quella frase, poi azzardò una domanda diretta: “Abbiamo fatto l’amore ogni giorno e ogni notte dopo che Doolittle ti ha scaricata. Che tipo di amore è quando vieni a letto con me?”
Vide l’incertezza nei suoi occhi, quella sottile ruga sulla sua fronte che si formava solo quando non sapeva cosa dire.
“La verità è che non lo so. Non ho niente da rimproverarti. Sei meraviglioso, mi hai sempre dato tutto e mi hai sempre perdonato tutto.”
“Ma?”
“Ma… Ho bisogno di te come amico, ora. Ti prego, non chiedermi perché. Non ne ho idea. So solo che ti voglio accanto senza sentirmi incatenata.”
Danny rise suo malgrado: “Incatenata?”
Katherine si morse un labbro: “Dai, hai capito cosa voglio dire.”
Lui non sapeva nemmeno se arrabbiarsi o lasciar perdere. In fondo la conosceva da tutta la vita e sapeva che non era una ragazza costante. Però quelle parole gli bruciavano.
Accorgendosi della sua esitazione, Katherine continuò: “Il mio pensiero è rivolto a Rafe. Quando piloto penso a lui e a tutto ciò che mi ha insegnato, per questo mi vedi così sicura. Il mio punto di forza è lui.”
Danny fece dei cenni positivi col capo: “Capisco. Almeno questo lo capisco. Il resto invece no, però rispetto la tua decisione. Se ti facessi pressione peggiorerei solo le cose.” Si guardò attorno, o meglio, in direzione del sole che stava tramontando e cercò di assorbire la sua bellezza nella speranza di vedere le cose in maniera più rosea. Quando si voltò di nuovo verso Katherine, lesse nei suoi occhi la preoccupazione e si sentì colpevole. Abbozzò un sorriso: “Migliori amici?”
Lei si illuminò, gli occhi pieni di lacrime: “Migliori amici!”
Si strinsero in un abbraccio apparentemente uguale a quello precedente, ma con la differenza che il loro legame affettivo era di nuovo stato chiarito.
*
Il segretario entrò nell’ufficio e porse la lettera a Doolittle anche se questo era ancora chino su dei documenti che evidentemente avevano tutta la sua attenzione.
“Una lettera da Pearl Harbor, maggiore.”
Lui non sollevò nemmeno lo sguardo, si limitò ad alzare una mano su cui il segretario posò la lettera in questione.
“Ora puoi andare. Grazie.”
L’uomo fece un cenno col capo al vuoto e uscì dall’ufficio.
Doolittle prese la lettera con entrambe le mani ed osservò quella busta con aria sollevata. L’aprì alla mala peggio e spiegò il foglio che conteneva:
“Salve Maggiore,
sono lieta di aver ricevuto la sua lettera. Non nego di averla attesa con impazienza.
Qui a Pearl Harbor non è speciale come avevo sentito, però io e i ragazzi ci stiamo impegnando nell’addestramento e abbiamo già imparato a lavorare coi nuovi piloti.
Giusto per soddisfare la sua curiosità, la informo che dopo la nostra separazione io e Walker ci siamo accoppiati innumerevoli volte come ricci. E ora mi dica, si sente rodere? Lo spero davvero dopo quello che mi ha fatto passare.
Gettando la maschera, Jimmy, ti confesso che a volte penso ancora a te e a quello che c’è stato tra noi. Qualunque cosa fosse sono sicura che nel mezzo ci sia stato anche un po’ di affetto e per questo non voglio dimenticare. Essere lasciata in quel modo è stato un violento schiaffo che credo non ti perdonerò mai, però pensandoci bene credo che tu abbia ragione, presto o tardi ti avrei lasciato io. Una relazione non può stare in piedi quando ha contro la distanza e la differenza di età.  Nemmeno quando lui è un buon amante!
Prima di dimenticarmene, in una lettera che ho scritto a Rafe ho riportato le tue parole riguardanti il nostro trio e sono curiosa di sapere cosa mi risponderà. Però ho deciso di non fartelo sapere, solo per farti un piccolo dispetto. Concedimi almeno questo.
Come aveva chiesto, maggiore, la nostra corrispondenza termina qui. Le auguro il meglio e, chissà, forse presto riceverà un resoconto dettagliato delle bravate fatte da me e Walker.
Katherine McCawley”
Doolittle ripiegò la lettera e la posò sulla scrivania, accanto alla lampada e alla foto di lei. Di punto in bianco scoppiò in una risata: “Doolittle, vecchio mio, quella ragazza è indomabile! Ti avrebbe fatto perdere la testa!”

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Capitolo 6
*** La perla del Pacifico ***


6
La perla del Pacifico
 
Alla fine le aveva accontentate. Le sembrava di sentire ancora nelle orecchie l’eco delle parole insistenti delle infermiere, che per l’intera mattinata avevano fatto di tutto per convincerla ad indossare l’audace costume che tutte loro le avevano regalato ed andare alla spiaggia da sola per rilassarsi e magari fare qualche incontro interessante. Quell’ultima parte in particolare le faceva ancora ribollire il sangue. Di cosa si impicciavano? La sua vita privata era una cosa che apparteneva solo a lei. Galline! Scosse il capo per allontanare quei pensieri molesti e si passò la mano tra i capelli nel tentativo di non averli costantemente davanti agli occhi, ma il vento quel giorno sembrava avercela con lei. Perché accidenti non si era portata un foulard? Abbassò distrattamente lo sguardo sul costume rosso ciliegia che lasciava ben poco spazio all’immaginazione e sorrise tra sé, ammettendo che non le dispiaceva sentirsi così femminile e provocante. Il sole era tiepido, ottimo per la sua pelle delicata, la sabbia le accarezzava piacevolmente i piedi, sottobraccio teneva una voluminosa borsa di paglia contenente solo un vestitino da giorno, un paio di ciabatte estive e un telo da spiaggia. D’istinto andò sulla riva e attese che la spuma frizzante le solleticasse i piedi. Non si sentì affatto ridicola nel liberare una risatina infantile, anzi per la prima volta da settimane si sentì finalmente libera e la spiaggia incredibilmente deserta le dava un senso di relax. Si allontanò dalla riva giusto quel che bastava per schivare le onde e riprese a passeggiare, quando il suo sguardo fu attirato da qualcosa proveniente dal mare. Prima non lo aveva notato, eppure in acqua c’era un uomo con la tavola da surf. Incuriosita si fermò ad osservare quello che faceva, la sua destrezza, il modo in cui cavalcava le onde, la posizione curiosa per tenersi in equilibrio sulla tavola. Respinse l’impulso di applaudire, non essendo certa che lui avrebbe sentito da quella distanza. Dopo un’altra acrobazia lo vide stendersi sulla tavola e remare con le braccia verso il mare aperto e quando allungò lo sguardo ne capì il motivo. Dall’orizzonte era in avvicinamento un’onda di notevoli dimensioni e di certo lui voleva cavalcarla. La sua curiosità impennò ulteriormente e seguì ogni suo movimento con attenzione. Tutto procedeva per il meglio, l’onda era vicinissima, lui era pronto, si mise in piedi sulla tavola e…sparì all’interno dell’onda. Bastarono pochi secondi e lo rivide, però in una situazione allarmante. Lo seguì con lo sguardo, era chiaro che stava cercando di tenersi stretto alla tavola abbracciandola, ma quel che la spaventò fu vedere lo schianto contro gli scogli e la tavola spezzarsi come un ramoscello.
“Oh mio Dio!” Katherine gettò la borsa a terra e si tuffò in acqua senza esitare. Nuotò il più velocemente possibile verso il luogo dell’impatto ma quando arrivò vide solo frammenti di tavola e nessuna traccia del proprietario. Prese un bel respiro e s’immerse. Spaziò lo sguardo sul fondale marino e lo vide, privo di sensi e in balìa della corrente che lo stava portando lentamente verso riva. Lo raggiunse e lo afferrò per il girovita, pregando mentalmente di avere abbastanza forze per nuotare di nuovo in superficie. Fortunatamente ci riuscì e una volta a galla lasciò che la forza delle onde l’aiutasse ad arrivare a riva. Non appena sentì di nuovo la sabbia sotto i piedi, sfruttò le ultime forze per trascinare il corpo dell’uomo sulla spiaggia.
Si inginocchiò accanto a lui, spaventata come non mai: “Oh no! Questo non respira! Chefacciochefacciochefaccio???”
Si impose di ripensare alle lezioni di primo soccorso che le avevano insegnato al Campo, anche se una vocina in un angolo della sua mente continuava ad imprecare contro le infermiere che non c’erano mai quando c’era bisogno di loro!
Tornata al presente, si impegnò a praticare il massaggio cardiaco e la respirazione bocca a bocca, sperando di eseguire tutto correttamente. Al terzo tentativo andò nel panico: “Perché non respira? Dove ho sbagliato?”
Senza riflettere, gli colpì il torace coi pugni un paio di volte gridando: “Perché non respiri?”
Improvvisamente l’uomo diede un colpo di tosse e lei si arrestò di colpo. Gli appoggiò una mano dietro la testa e lo aiutò a girarsi in modo da facilitargli l’espulsione dell’acqua dai polmoni. Vedendo che le cose stavano tornando alla normalità, le uscì spontaneo sussurrare: “Grazie al cielo.”
Lo aiutò nuovamente a stendersi sulla sabbia e gli concesse qualche minuto di pace per riprendere fiato e lucidità, assicurandosi di ripararlo dal sole usando se stessa come scudo. Osservandolo bene ebbe la sensazione di averlo già visto, ma non ne era certa. Quei capelli biondi arricciolati, quel viso leggermente affilato e non esattamente piacente a causa di molti graffi, quel fisico dalla muscolatura forgiata. Quel qualcosa di inspiegabile che… l’attraeva?  
Attese che il suo respiro tornasse alla normalità e che aprisse gli occhi più di uno spiraglio, quindi si sporse su di lui e chiese a bassa voce: “Come ti senti?”
Lui era visibilmente frastornato, però quando il suo sguardo incontrò quello di lei tornò improvvisamente lucido: “Wow, sono finito in paradiso!” Anche se il tono era alquanto teatrale, la frase ebbe effetto, almeno fino a quando quell’allocco non ebbe la brillante idea di sollevarsi e rubarle un bacio!
Katherine d’istinto gli diede uno schiaffo e gli gridò contro imbarazzata: “Che diavolo fai?”
Lui finì di peso su un gomito -per fortuna c’era la sabbia!- e si portò la mano libera alla guancia dolorante: “Acc…! Mi sa che invece sono finito all’inferno!”
Lei rispose a tono: “Bel ringraziamento dopo che ti ho salvato la vita.”
Lui sollevò lo sguardo su di lei, sorpreso, fino a quando la memoria gli tornò dritta come un fulmine: “E’ vero. Mi hai salvato dopo lo schianto.” Si tirò su a sedere e si portò entrambe le mani alle tempie: “Sto facendo la figura dell’idiota.”
Katherine si sentì in colpa per essere stata così pungente, perciò cercò di rimediare: “Ti chiedo scusa, mi sto comportando come una gran maleducata. Permettimi di accompagnarti all’ospedale.”
Lui scosse il capo: “No, non ce né bisogno. Sto già meglio.”
“Sicuro?”
“Sì, non preoccuparti. Sapessi quante volte sono andato a sbattere contro quei dannati scogli.”
Per un attimo si sentì smarrita e spaziò lo sguardo attorno per prendere tempo. Quando vide la borsa di paglia a pochi passi, dove prima l’aveva lasciata per tuffarsi in acqua, si alzò in piedi e andò a recuperala. Ne estrasse il telo da spiaggia e tornò dal surfista, ancora immobile con le mani alle tempie. Gentilmente gli avvolse il telo sulle spalle e cominciò ad asciugarlo e massaggiarlo. A lui fece piacere sentire il suo tocco attraverso il tessuto e lasciò ricadere le mani per rilassarsi.
Giusto per spezzare il silenzio, lei chiese: “Se mi dici dove hai lasciato i tuoi vestiti posso andare a prenderteli, se vuoi.”
“Nella mia auto, ma ora non mi servono. Non ho intenzione di andarmene.”
Doveva assolutamente fare qualcosa! Il suo buon senso le suggeriva che non era sicuro restare lì con un estraneo e massaggiargli le spalle con il telo! Se l’avesse vista qualcuno sarebbe morta per la vergogna. Di scatto tolse le mani da lui, come se si fosse scottata. Ovviamente lui se ne accorse e si voltò per guardarla, constatando che le sue guance erano chiazzate di rosso e il suo sguardo era nervoso.
Con la massima tranquillità si mise in piedi e le sorrise, mettendo in mostra una dentatura perfetta e luccicante: “Ti và di andare a bere qualcosa al locale qui vicino?”
Lei gli lanciò un’occhiata e riconobbe subito lo stile da bell’imbusto intento a rimorchiare una pollastrella, eppure si sorprese di se stessa quando le sue labbra pronunciarono un timido: “Sì!”
*
Il locale in questione altro non era che il chiosco sulla spiaggia che lei conosceva bene, dato che era solita andarci in compagnia di Danny e degli amici nei fine settimana o nelle serate in cui proprio non voleva saperne di andare a dormire.
Lei e lo strano tipo che aveva salvato, presero posto ad un tavolo in disparte, lontano dal banco e dalla poca gente che c’era, e presero entrambi il classico cocktail hawaiano con tanto di cannuccia ed ombrellino colorato.
Senza preamboli, lui prese subito a parlare di sé e della sua passione per il surf: “Ho imparato prima a cavalcare le onde che ad andare in bicicletta. D’altra parte abitando al confine tra Ventura e la contea di Santa Barbara è naturale, lì si vive di solo surf. I miei problemi sono iniziati proprio qui a Pearl Harbor. Non so perché ma continuo a far visita agli scogli!”
Katherine rise volentieri a quella battuta, completamente trascinata dal suo modo di fare buffo e imbranato, però si ritrovò spiazzata quando si sentì dire di punto in bianco: “Non mi hai ancora detto come ti chiami, bella salvatrice.”
Si sentì le gote in fiamme. Accidenti che figuraccia!
“Katherine.” Le uscì quasi senza voce.
Lui si stampò in faccia un sorriso malizioso: “Molto grazioso.”
Lei scosse il capo per scacciare quell’assurda timidezza e si impose di tirare fuori un po’ di sicurezza: “E tu invece come ti chiami, surfista californiano?”
“Mi chiamo Gooz.” E strizzò l’occhio proprio come un perfetto playboy.
Quel nome la insospettì, aveva sempre più l’impressione di conoscerlo: “Dove ho già sentito questo nome?”
Lui, pavoneggiandosi, continuò la sceneggiata: “Sono abbastanza famoso, ormai. Forse per via dell’invenzione a cui sto lavorando, la “Pinna Gooz” per le tavole da surf.”
Katherine si illuminò all’istante, schioccò le dita al vuoto e disse raggiante: “Sei un pilota!”
“Vedo che sei ben informata. Dimmi Katherine, sei qui in vacanza?” Tolse la cannuccia dal bicchiere con due dita, come fosse una sigaretta, e si portò il bicchiere alle labbra.
Dimenticata ogni timidezza, lei optò per assumere un atteggiamento superiore, incrociando le braccia al petto: “Non mi hai riconosciuta? Sono un pilota anch’io. McCawley del Campo Mitchell.”
Gooz rischiò seriamente di strozzarsi sentendo quella frase: “Tu sei la ragazza pilota?”
“Sì, signore!”
Lui batté il bicchiere sul tavolo e si diede alcune possenti pacche sul petto, dando qualche colpo di tosse e solo allora riuscì a parlare di nuovo: “Come potevo riconoscerti? Ti ho sempre vista in abiti maschili e coi capelli raccolti!”
Katherine era troppo divertita da quella situazione! Certo non poteva dargli torto, però.
La sorpresa iniziale svanì rapidamente dal volto di Gooz, lasciando il posto ad un’espressione preoccupata: “Maledizione, ci ho provato con te. Walker mi ucciderà.”
Lei sbottò: “Cosa??? Danny non farebbe del male a una mosca! Perché pensi questo?”
Lui diventò titubante e cominciò a muovere il collo e le spalle in quel modo buffo dettato dall’indecisione: “Bè... Che domanda scema! Sei la sua ragazza!”
Ora era tutto chiaro. Katherine scosse il capo e si affrettò a chiarire tranquillamente: “Non stiamo più insieme. Ora siamo solo amici. Anzi, migliori amici, se devo essere precisa.”
Gooz sulle prime non sembrava convinto, il suo sguardo indagatore la diceva lunga su quanto credesse a quell’affermazione, ma alla fine decise di far cadere il discorso con la vaga risposta: “Oh, allora è okay.”
Ancora una volta Katherine gli rise in faccia. Com’era possibile che riuscisse a divertirla con ogni parola? Era incredibile il modo in cui si era ribaltata la situazione nel giro di un’ora. Peccato che il pensiero di una promessa riguardante una cena tra amiche e un dolce alla mousse di fragole disturbò quella felicità e la obbligò a porre fine all’incontro.
“Io adesso dovrei rientrare, mi accompagneresti all’auto? L’ho parcheggiata poco lontano da qui.”
“Oh, certo. Anche per me è ora di rientrare e credo che la mia auto si trovi nel tuo stesso parcheggio.”
Camminarono fino al parcheggio senza parlare, ma fianco a fianco e senza più tensioni.
Katherine aprì la portiera della decappottabile, ma prima di salire si voltò verso Gooz con un dolce sorriso sulle labbra: “Allora ci vediamo sulla pista.”
Lui fece un cenno positivo col capo: “Assolutamente sì.”
“E’ stato un piacere conoscerti.”
“E’ stato un piacere essere salvato da te.”
Un’ultima leggera risata riempì l’aria e poi ognuno andò per la propria strada.
*
Era sera, Danny se ne stava beatamente sdraiato sul letto, la luce bianca del neon appeso al soffitto sembrava confondersi con la sua carnagione. Una mano tra la nuca ed il cuscino, un’altra teneva un libro di piccole dimensioni poggiato sul petto.
Gooz, anch’egli sdraiato su un letto, continuava a roteare l’orologio da polso nervosamente e allungava spesso lo sguardo in direzione di Danny. Di punto in bianco si sollevò per mettersi seduto sul bordo, prese coraggio e disse con tono da conversazione: “Dì un po’, Walker. Come stanno le cose tra te e quella ragazza? Sai, la pilota che dorme dalle infermiere.”
Danny chiuse il libro, si appoggiò su di un gomito e gli fece notare: “Sarà un’ora che te ne stai sdraiato su un letto che non è il tuo. Da altrettanto tempo mi stai lanciando occhiate inquietanti. Tutto questo per fami una domanda così?”
Gooz strinse nervosamente le lenzuola sul bordo del letto, tradendo il suo nervosismo, ad ogni modo il tuo tono di voce rimase tranquillo: “Bè, sai com’è. Certe domande non si sa mai quando porle.”
“Per quale motivo vuoi saperlo?”
“Così, per parlare del più e del meno. Io e te lavoriamo nella stessa squadra, allo stesso aereo. Non sarebbe una cattiva idea conoscerci meglio.”
Danny rise tra sé. Non aveva mai sentito una risposta più assurda in vita sua!
“Sei proprio malato! Tornatene nella tua camerata, fammi il piacere!” Quindi si rimise comodo sul materasso e riaprì il libro.
Gooz era rimasto immobile come una statua, non sapendo come interpretare quelle parole. Gli aveva detto di togliersi dai piedi perché non voleva parlare della sua vita privata o era un modo per dargli il consenso di frequentare Katherine senza preoccupazioni? Il suo cervello, perennemente impegnato in un giro in giostra, preferì prendere per buona la seconda ipotesi.
Si alzò dal letto e si incamminò verso l’uscita, ma arrivato sulla soglia si voltò verso Danny ancora una volta e disse: “Ti auguro la buona notte, Walker. E spero che anche le mie saranno buone d’ora in poi.”
Danny non l’aveva nemmeno ascoltato, troppo concentrato sulla lettura.
*
Con assoluta precisione e lentezza l’amo attraversò il foro del lobo; dietro l’orecchio un movimento del pollice fece scattare la chiusura a monachella; l’indice sfiorò il pendente a rosa dorata facendolo così oscillare. Sulle labbra di Katherine nacque un sorriso vedendo quanto quegli orecchini le donavano. Fu solo un sorriso passeggero, che morì velocemente quando il suo sguardo si allargò a tutta la figura dello specchio, dove oltre al proprio riflesso c’erano anche quelli delle infermiere attorno a lei, tutte con sorrisetto malizioso stampato in faccia.
Martha strizzò l’occhio al riflesso di Katherine: “Anche se non hai ancora detto una parola, lo abbiamo capito che hai un appuntamento!”
Betty arricciò le labbra e aggrottò le sopracciglia: “Eddai dicci chi è lui! E’ forse un hawaiano?”
Barbara ammiccò: “Un marinaio?”
Sandra sollevò il dito indice e sgranò gli occhi sotto ai voluminosi occhiali da vista: “O forse uno dei piloti?”
Katherine voltò la testa con uno scatto per lanciarle un’occhiataccia, tanto che la poverina si sentì raggelare: “Ops.”
Le altre tre scoppiarono in grida entusiaste: “Allora è un pilota!”
Infastidita e con i timpani abbattuti, Katherine si fece spazio per uscire da quel gruppo invadente e camminò fino al letto dove era arrotolata una cintura in tessuto giallo.
Evelyn, con una spalla appoggiata alla finestra e le braccia incrociate al petto, pensò bene di riprendere le amiche con tono materno: “Ragazze, per favore, smettetela. La state irritando. Poi non lamentatevi se declina i vostri inviti a fare shopping.”
Betty le si avvicinò, marcando ancora di più il broncio: “Ma perché? Siamo solo curiose.”
“Se non vuole dirvi con chi esce non è giusto che la forziate. Infatti io non lo faccio.”
Katherine la ringraziò con lo sguardo. Aveva sempre ammirato quella qualità in lei, il suo autocontrollo, il suo giudizio, il suo rispetto. Sarebbe stata un’ottima moglie per Rafe, su questo non aveva dubbi.
Tornò di fronte allo specchio per rimirare la propria figura e subito le quattro galline la incorniciarono ancora.
Barbara si illuminò: “Sei adorabile.”
Martha sollevò un sopracciglio maliziosamente: “Farai scintille.”
Betty sorrise: “L’ho sempre detto che saresti stata bene in abiti femminili.”
Sandra, ancora turbata dalla precedente gaffe, si limitò a fare un cenno di consenso col capo.
Tutto quello che avevano detto era vero, era davvero bellissima con i capelli raccolti e i boccoli laterali, gli orecchini a rosa, un filo di rossetto rosso sulle labbra, un abito estivo color giallo limone dalla gonna a tulipano e la cintura coordinata stretta in vita e sandali neri scollati.
Per un attimo dimenticò ogni cosa, cullata dalla gioia di essere così bella, o almeno fino a quando Evelyn infranse quel momento gridando più forte di quanto avessero fatto le sue amiche in precedenza: “Oh mio Dio, sta arrivando qualcuno!”
Le quattro amiche corsero alla finestra e fecero di tutto per schiacciare i nasi contro il vetro, troppo curiose di vedere di chi si trattasse.
Betty ululò: “E’ lui?”
Nessuno rispose, però tutto il gruppetto di infermiere cominciò ad emettere gridolini irritanti e fastidiosi, perciò Katherine pensò bene di dileguarsi dalla stanza facendo attenzione a non battere i tacchi sul pavimento. Vedendolo arrivare, aprì la porta vetrata e si precipitò fuori per corrergli incontro, incurante della ghiaia che le graffiava i sandali con prepotenza.
Di fronte a lui, gli donò un radioso sorriso: “Ciao, Gooz!”
Lui dischiuse le labbra per ricambiare il saluto, ma la voce gli si bloccò in gola nel vedere quanto era bella. Si scosse solo quando udì la voce di lei chiedere con una punta di ansia: “Va tutto bene?”
Scosse la testa, riprendendosi: “Sì, certo! Tutto bene. E’ solo che sei….” Aveva una gran voglia di farle un complimento, ma per qualche ragione inspiegabile scivolò su un banale: “…così sorridente.”
“Sì, perché non vedevo l’ora che arrivassi.”
“Già… E non sei l’unica a quanto pare.”
Katherine seguì la direzione del suo sguardo che puntava dritto sulla finestra dove le ragazze, compresa Evelyn, erano ancora intente in una lotta per aggiudicarsi la visuale migliore. E pensare che sarebbe bastato sfruttare anche la porta vetrata! Il cervello femminile aveva davvero poco di cui vantarsi, purtroppo.
Si aggrappò al braccio di Gooz e si affrettò a lasciarsi tutto alle spalle: “Meglio andare.” Sfortunatamente quel gesto provocò un’altra ondata di gridolini che si sentivano perfino attraverso la finestra chiusa, perciò sentì il bisogno di voltarsi e di scandire col labiale: “Galline!”
Viaggiarono a bordo dell’auto di Gooz fino al locale sulla spiaggia, che quella sera era pieno di gente. La maggior parte erano militari, con o senza divisa, che si erano riuniti per bere un aperitivo prima di cena. Gooz e Katherine trovarono un tavolo per pura fortuna in mezzo a quella ressa!
Ordinarono lo stesso cocktail del loro primo incontro e si ritrovarono a dover gridare per riuscire a scambiarsi qualche parola, tanta era la confusione. Per questo, ma non solo, dopo un po’ Katherine si ritrovò pensierosa a giocare con l’ombrellino di carta colorata, lo sguardo perso nel vuoto.
Gooz, accorgendosene, le sfiorò una mano per richiamarla al presente: “Qualcosa non va?”
Lei abbozzò un sorriso triste: “Sono in imbarazzo per quello che è accaduto prima.”
“Per le infermiere? Andiamo, non dirai sul serio!”
“Speravo che non si impicciassero e inceve…ecco il risultato.”
Gooz rise per allentare la tensione: “Tipico delle donne! Dovresti averci fatto l’abitudine ormai!”
Lei diventò ancora più mogia: “Nel Tennessee non avevo molte amicizie femminili. Fin dall’infanzia ho avuto la compagnia di mio fratello Rafe e di Danny. Eravamo inseparabili, anche se io ero la più piccola.”
Perfetto! Con le sue battute idiote le aveva fatto tornare in mente il fratello in guerra e l’aveva fatta rattristare. Si sentiva un fallito. Cosa poteva fare per rimediare? Le strinse la mano nella sua e aspettò che lei rialzasse lo sguardo per farle un sorriso comprensivo: “Che ne dici di un ristorante all’aperto?”
*
La serata era incantevole in quel ristorantino all’aperto, rinfrescati dall’aria della sera e cullati dal piacevole chiacchiericcio delle persone ai tavoli. Anthony si stava letteralmente crogiolando in quella beatitudine gustando una morbida e succulenta bistecca al sangue, tanto piacevole da chiudere gli occhi ad ogni boccone prima di deglutire. A spezzare l’incantesimo, un braccio stretto attorno alla gola e una voce scherzosa all’orecchio: “Ma stai ancora mangiando?”
Anthony posò forchetta e coltello sul bordo del piatto e diede una gomitata all’indietro per liberarsi di quella fastidiosa stretta, sibilando: “Danny sei un cretino.”
Le risate si accesero alle sue spalle, rivelando la presenza di altri piloti.
Red infierì: “D-dovresti vedere la tua fac-cia, amico!”
Lui rispose con evidente sarcasmo: “Ah ah mi sto ammazzando dalle risate. Siete un branco di idioti. Non si può nemmeno mangiare in pace.”
Danny si buttò su una sedia senza tanti complimenti, un braccio a penzoloni dallo schienale: “Dai, non prendertela. Siamo qui per invitarti. Vorremmo andare al cinematografo, tanto per cambiare routine.”
Anthony fece un’espressione disgustata: “Speravo che cercassimo qualche pollastra, stasera.”
Billy, alle sue spalle, gli diede una grattata di pugno sulla testa: “Pensi solo a quello, eh?”
Tutti scoppiarono a ridere di nuovo e lui in risposta affondò il gomito nello stomaco dell’amico, con più cattiveria di quanto avesse fatto con Danny.
“Non c’è niente da ridere. Facciamo pena. Dopo  la serata a New York  siamo diventati preti, accidenti. Perfino quel caso disperato di Gooz ha trovato compagnia prima di noi.”
Billy sdrammatizzò: “Sarà un’hawaiana cieca e sorda, niente di cui essere invidiosi.”
“Ti sbagli di grosso, invece. Guarda tu stesso.” Roteò il busto e allungò un braccio per indicare un tavolo al lato opposto del ristorante.
Il buonumore di Danny svanì improvvisamente quando si accorse di chi c’era a quel tavolo. La voce gli si spezzò in gola nel pronunciare il nome: “Katy.”
Tutti rimasero a bocca aperta nel vedere che lei stava ridendo di gusto ad un racconto di Gooz, il quale gesticolava senza senso e faceva espressioni buffe. Danny non era ancora riuscito ad elaborare ciò che i suoi occhi vedevano, ma a dargli la scossa fu vedere la sua Katherine sporgersi verso Gooz e stampargli un bacio sulla guancia con naturalezza, come se lo conoscesse da sempre.
Red rientrò in scena nel momento sbagliato: “Altro che p-pollastra! Quello è un f-falco tr-travestito da cigno!”
Questa volta Anthony si alzò in piedi e assestò una pacca alla nuca dell’amico, lanciandogli un’occhiata glaciale.
Red non ebbe nemmeno il coraggio di protestare, anzi si sentì un pessimo amico quando guardò l’espressione turbata di Danny e le lacrime agli occhi come un bambino.
Nel momento esatto in cui Gooz ricambiò il bacio sulla guancia di Katherine, Danny si alzò di scatto dalla sedia e fece per andargli incontro, ma i ragazzi lo fermarono accerchiandolo e tenendolo per le braccia.
Anthony lo apostrofò: “Cosa pensi di fare?”
Lui tentò di liberarsi, inutilmente: “Non lo so. Lasciatemi andare.”
“Non è il caso di fare una scenata. Lo hai detto tu stesso che non state più insieme, quindi datti una calmata.”
Danny guardò ad uno ad uno i suoi compagni e improvvisamente si sentì in colpa. Stava rovinando la serata a tutti e non era giusto. Abbassò il capo in avanti e lasciò che un singhiozzo si liberasse dalla gola assieme a quelle lacrime che gli offuscavano la vista. Bastò questo a farlo sentire meglio, o forse sarebbe più corretto dire che se lo fece bastare per non ferire il proprio orgoglio maschile.
Vedendo che il peggio era passato, i ragazzi lo lasciarono, tranne Anthony che si premurò di mettergli un braccio attorno alle spalle e portarlo via di lì: “Parlerai con lei un’altra volta. Ora pensa solo a goderti la serata coi tuoi amici.”
Inutile dire che scelsero il cinematografo più distante possibile da lì.
*
Per il ritorno, essendo il ristorante non troppo lontano dalla casa, avevano scelto di fare una passeggiata tra le vie costellate di palme e di godersi l’atmosfera della notte hawaiana. Gooz non era ancora stanco di raccontare aneddoti sulla sua vita e la stessa Katherine non aveva ancora esaurito le scorte di risate e l’interesse per il modo schietto in cui lui raccontava le cose.
“Un giorno ti farò provare. E’ divertente se hai la fortuna di non schiantarti!”
Lei rise ancora una volta, ormai ubriaca di battute da non riuscire più a darsi un freno. Per fortuna in suo soccorso arrivò la cara stradina ghiaiosa che portava dritta alla casa dove dormiva.
Si fermò proprio nel punto in cui il sentiero si incrociava con la strada principale e sorrise al suo cavaliere: “Grazie per la bella serata, Gooz. Era da tempo che non mi divertivo così.”
“Nemmeno io.” Confessò lui, senza vergogna. “I ragazzi della squadra dicono che sono un caso disperato. Billy più di tutti. Da quando ci siamo conosciuti non fa che ripetermelo.”
“Se si riferiscono al surf hanno assolutamente ragione!” Scherzò lei, per poi proseguire più seria: “Ma se sei qui significa che sei un bravo pilota e devi essere orgoglioso di te stesso.”
Lui scostò lo sguardo per la timidezza, ma poi le regalò un sorriso: “Ti ringrazio, Kate.”
I loro sguardi si tennero stretti ancora un po’, quasi non volessero lasciarsi nonostante l’ora tarda. Fu lui il primo a dare il via ai saluti: “Ti lascio rincasare. Devo tornare indietro di corsa a controllare che l’auto ci sia ancora!”
Di nuovo! Di questo passo l’avrebbe uccisa dalle risate.
“D’accordo. Allora...buonanotte.”
Lui fece un cenno col capo regalandole un ultimo sorriso, quindi si voltò e tornò sui propri passi.
Lei lo osservò per tutto il tempo possibile, si sentiva incredibilmente serena e leggera. La serata era stata davvero meravigliosa. Percorse il sentiero con questo pensiero nella mente, ma proprio quando stava per mettere piede sul primo gradino dell’ingresso della casa, un rumore sulla sinistra la fece voltare di scatto, spaventandola.
Dal buio comparve Danny: “Non volevo spaventarti. Scusa.”
Lei si portò la mano al petto e prese un bel respiro: “Danny, mi hai quasi fatto morire. Cosa ci fai qui a quest’ora?”
“Dovevo vederti.”
La sua espressione era così abbattuta che lei temette cattive notizie: “E’ successo qualcosa?”
In risposta, lui l’afferrò per il girovita e le rubò un lungo e focoso bacio, al quale lei non si ritrasse. Quando le loro labbra si separarono, si ritrovarono entrambi senza fiato e con il sangue che pulsava nelle orecchie e…in altri posti nascosti.
Danny si chinò e le sussurrò all’orecchio: “Rimani con me stanotte.”
Lei gli gettò le braccia al collo e, come aveva fatto lui, gli sussurrò: “Al motel più vicino. Ora.”
*
Vestaglie non esattamente pudiche, bigodini tra i capelli, nessun cenno di trucco sul viso, le infermiere erano sedute attorno al tavolo della cucina e stavano facendo colazione.
Martha, tenendo sollevata la tazza del caffè, esclamò: “Secondo me non doveva rimanere fuori tutta la notte. Non al primo appuntamento.”
Betty addentò una fetta di pane tostato spalmata di burro: “Dovevamo spiegarle le regole. Non ci si butta tra le braccia di un ragazzo così in fretta se si vuole una storia seria.”
Sandra si sistemò gli occhiali sul naso: “Ha sempre vissuto attorniata da soli uomini. Non è colpa sua.”
Barbara  sollevò un sopracciglio e disse rigida: “Quando torna le daremo una bella lavata di capo.”
Il rumore della porta vetrata che sbatteva le colse tutte di sorpresa. Tacchi che correvano sul pavimento e poi il viso di Katherine fare capolino dalla porta della cucina: “Evelyn, dove sei?”
Le quattro amiche si alzarono e le andarono incontro come uno stormo di galline affamate di fronte al fattore con il mano il secchio di grano.
“Allora com’è andata?”
“Vogliamo i dettagli!”
“E’ bravo fra le lenzuola?”
Katherine rispose sbrigativa, troppo ansiosa di trovare Evelyn: “Non ne ho idea. Non sono stata con lui stanotte. Evelyn ho bisogno di parlarti subito.”
Solo allora Evelyn si alzò dal posto, si fece spazio nel gruppo e prese Katherine per mano: “Andiamo nella nostra stanza.”
Lasciarono le ragazze lì impalate a farsi un mucchio di domande e congetture.
Entrate nella stanza, Katherine andò dritta a sedersi sul bordo del proprio letto, mentre Evelyn si occupò di chiudere a chiave la porta, quindi raggiunse l’amica e si sedette accanto a lei.
Cominciò con un tono rassicurante: “Te la senti di entrare nei dettagli?”
Katherine, al contrario, si lasciò prendere dall’agitazione: “Il problema è che non so cosa fare. Da un lato sono felice, dall’altro sono triste e non so come venirne fuori. Per questo ho bisogno del tuo consiglio. Tu sei così giudiziosa.”
Evelyn le mise una mano sulla spalla per tranquillizzarla: “Avanti, racconta.”
Le spiegò la situazione per filo e per segno e concluse con il nocciolo del problema: “Io amo Danny però ora vorrei davvero provare ad avere una storia con Gooz. Lo so che è una cosa orribile e disonesta, ma ho voglia di cambiare, di vivere una nuova esperienza, di avere un nuovo amore.”
“Se hai le idee così chiare, perché vuoi sapere il mio parere?”
“Temo che Danny possa soffrire a causa della mia decisione. Non voglio che si senta morire nel vedermi con un altro.” Abbassò lo sguardo e terminò: “Non voglio un’altra Long Island.”
A quel punto Evelyn capì che cosa preoccupava davvero l’amica e cercò di darle il consiglio migliore che la coscienza le suggerisse: “Io credo che dovresti parlarne con lui e farti dire cosa ne pensa.”
“E se mente per non farmi preoccupare?”
A quel punto Evelyn sorrise: “Katy! Vi conoscete da una vita! Se mente lo capirai senz’altro!”
La conversazione fu interrotta da due colpi alla porta e dalla voce ovattata di Sandra: “Scusatemi se vi disturbo. C’è Danny. Ha riportato la borsetta di Katy.”
Lei si guardò le mani sorpresa, accorgendosi solo allora di non averla. L’aveva lasciata al motel. Quando risollevò lo sguardo incontrò quello di Evelyn, illuminato di ottimismo: “A quanto pare il destino ti sta dando una mano!”

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Capitolo 7
*** La felicità è solo un'illusione ***


7
La felicità è solo un’illusione
 
La via del mercato era affollata come sempre, il sole splendeva alto nel cielo e una leggera brezza rendeva l’aria più fresca. In aggiunta, il profumo del mare rendeva l’atmosfera perfetta.
Katherine e Gooz, mano nella mano, camminavano fra la gente sprizzando aria fresca di relazione. Lui con camicia hawaiana aperta sopra una maglia bianca, braghe a mezza gamba e occhiali da sole inforcati, con un braccio cingeva la vita di una radiosa Katherine vestita di un abitino rosso fragola e occhiali da sole, tra le mani una bottiglia di Coca-Cola con cannuccia per sorseggiare. 
“Sai Gooz, non ho mai tenuto conto di queste cose, ma  oggi è il nostro primo settiversario, è da sette giorni che stiamo insieme.”
Lui si fece sfuggire a mezza voce: “E nove ore!”
Lei si voltò, sollevando lo sguardo su di lui: “Cosa?”
Gooz si schiarì la gola e mentì: “No niente, dicevo che nemmeno io ho mai tenuto conto di queste cose. Che senso ha, poi? Non possiamo certo festeggiare tutte le settimane!”
Lei sorrise divertita e gli schioccò un bacio sulla guancia, senza avere la minima idea di cosa gli stesse frullando nella testa in quel momento. Era dalla sera precedente che pensava a cosa regalarle per festeggiare quei primi sette giorni insieme. Sette giorni! Per lui era un record, visto che negli anni aveva avuto solo una gran sfortuna in amore. E ora aveva davvero voglia di festeggiare quel primo traguardo, anche se di fatto con lei era arrivato solo in seconda base e niente più. Dall’arrivo al mercato si era guardato attorno con attenzione, scrutando ogni singolo oggetto esposto, che fosse futile o culinario, qualunque cosa per sorprenderla e farla sorridere. E magari scivolare in terza base come premio…
“Hey, quella bancarella non era lì la settimana scorsa!”
“Che memoria! Io non lo avrei mai notat….” Si fermò di colpo, gli occhi sgranati.
Lui la guardò sorpreso: “Cosa hai visto?”
Lei scostò lo sguardo: “Niente di importante.”
“Se fai così significa che lo è, invece. Dai, Kate, dimmelo.”
Katherine arrossì nel confessare: “Un uomo vende bracciali coi nomi degli Stati americani. Mi piacerebbe avere quello del Tennessee.”
Gooz corse come un fulmine a parlare col commerciante e in capo ad un minuto fu di ritorno.
“Porgimi il braccio.”
Lei obbedì e lasciò che Gooz le avvolgesse il polso con il freddo metallo. Quando ebbe finito, Katherine sollevò il braccio e osservò entusiasta la scritta incisa a caratteri maiuscoli “TENNESSEE”. Gridò per la contentezza: “Oh Gooz!” Gli gettò le braccia al collo ripetendo un susseguirsi di grazie sospirati.
*
Al ritorno dalla passeggiata, Gooz prese il coraggio di accompagnare Katherine fino ai gradini dell’ingresso della casa, invece di fermarsi all’inizio del viale come le altre volte. Sembra assurdo, però dal giorno in cui si erano scambiati il primo bacio proprio in quel punto della strada, lui aveva considerato opportuno non oltrepassare quella soglia, avendo il timore che gli avrebbe portato male. Si sentiva così orgoglioso per essere riuscito a conquistare la ragazza più bella di Pearl Harbor, e sorrideva ogni volta che gli tornava alla mente quel primo bacio, così improvviso, inaspettato e assolutamente gradito. Quella sera, la stava riaccompagnando al termine del secondo appuntamento e, di punto in bianco, lei si era sollevata sulle punte delle scarpe e lo aveva baciato. Ricordava ancora il sapore di quel bacio, aroma di lei e di vodka, ovvero quella che lei aveva assaggiato dopo cena. E lui, senza farsi domande, l’aveva avvolta in un abbraccio e aveva ricambiato il bacio con sentimento. Quel che accadde dopo fu ancora più bizzarro, perché appena le loro labbra si erano separate lui l’aveva guardata negli occhi e le aveva chiesto semplicemente: “Vuoi essere la mia ragazza?” Vedere il suo sorriso mentre rispondeva di sì era stato emozionante come ascoltare alla radio la vittoria della squadra del cuore.
Ma oggi, il giorno del primo settiversario, sentiva che era arrivato il momento di fare un passo avanti, o meglio, i venti passi che conducevano all’ingresso della casa, tenendo stretta la mano di lei. Katherine mise piede sul primo gradino e si voltò verso di lui, gli occhi che brillavano: “Allora…ci rivediamo questa sera!”
“Sì, alle sette.”
“Allora…a dopo!”
“A dopo.”
Quello scambio di battute era divertente, specialmente perché nessuno dei due sembrava intenzionato ad andare. Le mani dalle dita intrecciate non accennavano a sciogliersi.
Fu Katherine a prendere l’iniziativa, attirandolo verso di sé e dandogli un bacio intenso.
“La terza base è vicina!” Pensò Gooz tra sé, fiero di se stesso.
*
Stava attraversando il corridoio principale del dormitorio, diretto alla camerata, quando Danny sbucò all’improvviso dalla propria.
Lo chiamò con tono gioviale: “Ehilà, Walker!”
Lui rispose apparentemente con lo stesso entusiasmo e lo stesso sorriso: “Hey, Gooz! Come va?”
“Tutto bene, amico. Ho appena riaccompagnato Kate a casa.”
Lui strinse le labbra e fece un cenno positivo con la testa: “Ben fatto. Rafe mi ha raccomandato di prendermi cura di lei ma, quando è con te, sei tu che devi badarle.”
Gooz puntò sull’umorismo: “E quando è a casa se ne occupa Evelyn!”
Entrambi scoppiarono in una risata che rimbombò tra le pareti del corridoio, forse un po’ eccessiva per la semplicità di quella battuta. Danny rideva per reprimere il desiderio di tirargli un pugno in faccia per la gelosia. Cosa ci trovava Katherine in lui? Non aveva intelligenza e non aveva sex appeal. Però in fondo la cosa migliore da fare era fingere che fosse tutto ok per tenere d’occhio Gooz e accertarsi che non la facesse soffrire. Questo pensiero lo rafforzò e quando porse la mano a Gooz per una stretta d’intesa, lo fece da vero amico.
*
Sole splendente, mare mosso e spiaggia deserta. Quale giorno migliore per tentare un’impresa impossibile come insegnare il surf a Katherine? Era quello che Gooz continuava a ripetersi quella mattina, determinato a portare a termine l’impegno che aveva preso e provare ancora una volta la sua pinna dopo l’ennesima modifica. E dopo l’ennesimo scontro sugli scogli che gli era costato un graffio lungo tutta la guancia destra e un bernoccolo sulla testa.
Katherine chiese dubbiosa ancora una volta: “Sei sicuro che ce la farò?”
Lui rispose meccanicamente: “Ti tengo io, non hai niente da temere.”
L’aiutò a salire sulla tavola da surf e poi salì dietro a lei.
“Resta in ginocchio e comincia a remare con le mani.” Il suo tono era serio quanto quello di un istruttore.
Remarono insieme per un breve tratto, acquistando la giusta velocità e trovando la giusta sintonia con il mare.
“Adesso alzati lentamente.” La guidò con cautela tenendola per i fianchi e quando furono entrambi in piedi, aggiunse: “Trova l’equilibrio. Muoviti seguendo il ritmo delle onde e apri le braccia come se fossi un aeroplano.”
Dopo il timore di cadere in acqua prima ancora di riuscire a mettersi in piedi, Katherine si era man mano rilassata grazie alle attenzioni di Gooz e alle sue istruzioni dettagliate, ma ciò che le ridiede sicurezza fu quell’ultima frase. Chiuse gli occhi e lasciò che l’aria le accarezzasse i capelli e il viso, che gli schizzi d’acqua le bagnassero le gambe, che le mani di Gooz la guidassero e solo allora distese le braccia come se fossero le ali di un aereo.
Con senso di responsabilità ed un pizzico di malizia, Gooz pensò bene di cingerle il girovita con un braccio.
“E’ bellissimo! Ora capisco perché lo fai così spesso.” Disse lei, respirando la libertà a pieni polmoni.
Fece appena in tempo a finire la frase, che Gooz avvistò un’onda di grandi dimensioni che puntava dritta verso di loro.
“Oh no. Facciamo attenzione.”
Quel tono la riportò alla realtà, riaprì gli occhi e allungò lo sguardo per vedere cosa lo preoccupasse. Vide l’onda. Le mancò un battito.
“Gooz… Forse è meglio tornare a riva. Quella cosa mi fa paura.”
“E’ troppo tardi. Se cerchiamo di scappare ci colpirà in pieno. Dobbiamo attraversarla.”
Attraversarla? Già era un miracolo che fosse riuscita a stare in equilibrio fino a quel momento, figuriamoci attraversare una gigantesca onda assassina! Non ebbe nemmeno il tempo di protestare perché Gooz diventò padrone della situazione e guidò la tavola dritta verso il tunnel d’acqua. La paura e l’emozione si impossessarono di lei insieme, facendole scoprire un nuovo mondo tra acqua e aria. Peccato che quel mondo la intrappolò chiudendo rapidamente l’unica uscita verso l’esterno.
Sentì Gooz gridare: “Attenta!”
Katherine chiuse gli occhi, il braccio di lui le stringeva il girovita come una morsa. Il resto fu solo confusione per lei. La caduta, l’acqua che la sommergeva, il braccio di lui che la stringeva e poi finalmente…aria! Riprese fiato e quando aprì gli occhi vide la tavola che galleggiava nell’acqua, spezzata a metà.
Dietro di lei la voce di Gooz suonò adirata: “Di nuovo! Ho distrutto più tavole io da solo che tutta la nazione!” Continuando a tenerla stretta, cominciò a nuotare dandosi la spinta con le gambe e con il braccio libero. Fortunatamente lì vicino c’era un gruppo di scogli su cui potevano salire e riposare prima di tornare a riva.
Cessato il pericolo e passata la rabbia, Gooz notò che lei non aveva ancora detto una parola, perciò si affrettò a prendere posto accanto a lei sullo scoglio e a chiederle: “Stai bene?”
Lei si voltò a guardarlo con occhi smarriti e…scoppiò in una risata isterica.
“Oh no. L’acqua salata le ha già dato al cervello.” Disse Gooz preoccupato.
Katherine gli diede una pacca sul petto: “No! Mi sono divertita un mondo! Dobbiamo rifarlo ancora e ancora e ancora! Voglio surfare con te fino alla morte!”
Lui la guardò con tanto d’occhi: “Che potrebbe essere molto presto con la mia imbranataggine e la tua inesperienza.” Quindi si guardò attorno sorpreso: “Ora che ci penso, è la prima volta che salgo su uno scoglio di mia spontanea volontà!”
Questa volta risero entrambi, cogliendo il lato comico della situazione, e si abbracciarono. Le risate si spensero in fretta grazie a quel contatto. Le mani di Gooz presero a sfiorare la schiena di lei con tocco delicato, Katherine si ritrovò ad usare il proprio respiro come strumento di contatto sulla spalla di lui. Le loro guance si sfiorarono e poco alla volta si ritrovarono faccia a faccia, occhi negli occhi. Katherine sentiva il desiderio di impossessarsi delle sue labbra e di andare oltre tutto ciò che avevano fatto in quelle prime settimane.
Come percependo i suoi pensieri, Gooz sussurrò: “Kate. Ti senti pronta per…?”
Lei fece un cenno appena percettibile con la testa, gli avvolse le spalle con le braccia e si lasciò andare all’indietro su quello scoglio che sembrava essere fatto apposta per fungere da letto.
*
In cima ai passatempi maschili che non avrebbe mai capito c’era quello che lei definiva “scazzottata” ma che tutti gli altri chiamavano più semplicemente “pugilato”.
Che senso aveva prendersi a pugni al centro di un’arena quadrata? Cosa c’era da dimostrare? Tenendosi stretta a Gooz come una scimmietta impaurita, era assolutamente incapace di distogliere lo sguardo dall’incontro a cui lui e Danny avevano deciso di assistere assieme a centinaia di altri militari, tutti stretti come sardine sulla plancia della corazzata. L’incontro era niente meno che tra un possente e titanico meccanico e un cuoco di colore. Pur essendo la sfida irregolare a primo colpo d’occhio, ben presto Katherine si rese conto che il cuoco non era messo male come sembrava, anzi la sua muscolatura era interessante e nonostante tutto continuava a resistere ai colpi dell’avversario. Il suo sguardo rimase incollato a lui anche quando le rimbombò nelle orecchie la conversazione tra Gooz e Danny. Quei due teppisti stavano scommettendo su chi sarebbe stato il vincitore. Gooz aveva scelto il meccanico e Danny il cuoco. Scelta coraggiosa! Però lo capiva, Danny stava sempre dalla parte dei più deboli ed era fermamente convinto che grazie alla forza di volontà fosse tutto possibile. Se anche lei fosse stata costretta a scommettere avrebbe scelto il cuoco, però per un altro motivo: lo trovava attraente. E sperava che Gooz non se ne accorgesse!
Di fatto il cuoco assestò il colpo giusto nel momento giusto ed il meccanico cadde a terra come una pera cotta.
Danny esultò e poi si rivolse tutto contento a Gooz: “Sgancia i soldi!”
Gooz scosse il capo con aria indignata: “No. E’ un match truccato.”
Una stretta al fianco da parte di Katherine gli fece abbassare lo sguardo e quando incontrò il suo sguardo tagliente, capì di dover rinunciare ai cinque dollari che aveva scommesso.
*
In mezzo a quella massa era già tanto riuscire a respirare, figuriamoci uscire! Però alla fine, dopo un numero imprecisato di piedi calpestati, imprecazioni e gomitate -nel caso di Katherine, qualche furtiva palpata arrivata da chissà dove- riuscirono finalmente a rimettere piede a terra.
Gooz, ancora infastidito per aver perso la scommessa, ricominciò a lamentarsi: “Ti ripeto che non è assolutamente possibile che un cuoco abbia battuto un bestione come il meccanico. Era tutto stabilito.”
Danny si fece sapiente: “Non bisogna tenere conto solo dei muscoli. Con astuzia e intelligenza si può ottenere tutto.”
Katherine, ancora appollaiata sottobraccio a Gooz,  intervenne con una battuta: “Quella cosa che dovresti usare anche quando fai surf, hai presente, amore?”
Sia lei che Danny scoppiarono a ridere, Gooz al contrario si fece ancora più buio: “Spiritosi. Bè sappi che i soldi che ho perso erano per la nostra cena romantica. Stasera ci toccherà mangiare alla mensa grazie al tuo migliore amico.”
Danny si mise a recitare con gesti ed espressioni teatrali: “Oh come mi sento colpevole. Vorrà dire che per rimediare sarò io a portarla fuori a cena stasera.”
Gooz, un po’ per gioco e un po’ per vendetta, lasciò Katherine per gettarsi su Danny e stringergli un braccio attorno al collo: “Ci sono due miei amici che vorrebbero tanto essere invitati. Il pugno destro e il pugno sinistro. Quale vuoi conoscere per primo?”
Katherine, timorosa che potessero farsi male sul serio, si fece avanti per cercare di separarli. Nel trambusto, la voce di Anthony entrò nelle loro menti come un’eco lontana. Fu lei la prima a voltarsi e a vederlo correre verso di loro con un foglio giallo in mano. Si affrettò a dare una pacca sulla spalla a Gooz, così lui lasciò libero Danny ed entrambi si accorsero della presenza di Anthony. Il suo sguardo non era affatto rassicurante.
“Danny, ti ho cercato dappertutto.” Si fermò di fronte a lui e si chinò sulle ginocchia per riprendere fiato.
“Ci sono problemi?”
Anthony allungò il braccio con il foglio e glielo porse: “E’ arrivato un telegramma dall’Inghilterra. Mi hanno detto di consegnartelo immediatamente.”
Sia Danny che Katherine ebbero un fremito nel sentire la parola “Inghilterra” e lui impiegò un tempo quasi infinito per prendere quel foglio dalla mano di Anthony, come se fosse terrorizzato dal solo toccarlo.
Anthony si rimise in posizione eretta e spaziò lo sguardo sul trio, sentendo la loro ansia. Un telegramma giallo non era mai una buona notizia. Incerto sul cosa dire, alla fine si limitò ad una frase di circostanza: “E’ meglio se vi lascio soli.” E se ne andò.
Katherine si rivolse a Danny con voce spezzata: “Ti prego, dimmi che non è niente di grave.”
Danny non rispose, sollevò il foglio e lo aprì molto lentamente, la mano tremante. Il suo sguardo lesse le poche parole che conteneva. Il suo braccio ricadde a peso morto.
Gooz abbozzò un: “Walker?”
Non sopportando più l’attesa, Katherine gli tolse il foglio di mano e lo lesse. I suoi occhi si riempirono di lacrime, un singhiozzo le uscì dalla gola. Le sue mani presero a tremare così forte che il foglio le scivolò dalle dita e cadde a terra danzando come una piuma al vento.
Buttò la testa all’indietro e gridò disperata: “RAAAAAFE!”
Danny sorpassò Gooz e la strinse tra le braccia, mescolando le lacrime alle sue, cercando di sostenerla nella sua debolezza femminile, offrendo la sua spalla come cuscino per soffocare le sue grida.
Gooz si ritrovò a fissarli con sguardo vuoto. Cosa poteva fare di fronte ad una scena così? Come poteva intromettersi in quel legame? La ragazza che amava aveva appena perso il fratello e il suo migliore amico era lì per lei, per condividere il dolore e consolarla. Cosa c’entrava lui in tutto questo? Era come l’ultimo arrivato, l’intruso, quello che non era considerato parte del gruppo, quello che non poteva capire a fondo i loro sentimenti. Deglutì un boccone amaro nel pensare: quello che non aveva nemmeno conosciuto Rafe McCawley.
Danny, seppur invaso dalle lacrime e dalla disperazione, si impose di reagire. Scosse Katherine e la guardò in viso: “Ti prego, riprenditi. Non posso farcela se tu non mi aiuti.”
Lei era in preda alle convulsioni, forse non lo aveva nemmeno sentito, perciò Danny la strinse nuovamente in un abbraccio, affondando le dita nella sua schiena, come se il dolore fisico potesse sopprimere quello dell’anima. Lei non reagì, fu lui a gridare al suo posto. Strinse i denti nella speranza di fermare il pianto, uno sforzo che gli fece avvampare tutto il viso. Riprese a respirare solo quando sentì di essere prossimo al soffocamento, quindi buttò fuori l’aria tutta insieme.
“Devi aiutarmi, Katy. Ho bisogno di forza. Devo trovare il coraggio di dirlo ad Evelyn.”
Con uno scatto eccessivo la scostò da sé e la porse a Gooz: “Ho un compito da portare a termine. Portala con te al dormitorio e prenditi cura di lei fino al mio ritorno.”
Gooz gli fece un cenno affermativo col capo: “Conta su di me.” Prese Katherine in braccio come una bambina e si incamminò, lasciando Danny solo in mezzo alla strada deserta.
Il suo sguardo passò rapidamente da loro al sole all’orizzonte. Era quasi il tramonto, ormai. Istintivamente si portò una mano al viso, rendendosi conto di aver smesso di piangere. Abbassò lo sguardo sul suo petto, sulla maglia bianca che indossava e parlò tra sé: “Devi farlo come si deve, Daniel. Divisa. Berretto. Sguardo fermo.” Rialzò lo sguardo verso il sole arancione e terminò: “Evelyn.”
*
Da quel giorno la fragilità di Katherine diede piena mostra di sé in ogni occasione. Non era nemmeno riuscita ad assistere ad una piccola cerimonia privata organizzata da Danny, in cui lui e pochi amici intimi avevano brindato in onore di Rafe. Non era riuscita una sola volta a guardare Evelyn negli occhi e parlare di lui. Era diventata il fantasma di se stessa.
In poco tempo, nessuno sarebbe stato in grado di contare le volte in cui era scappata via piangendo, che fosse un pranzo con le infermiere, un’uscita tra piloti o una passeggiata sulla spiaggia con Gooz, lei non faceva che fuggire all’improvviso, in lacrime, senza voltarsi indietro. Evelyn, che pure passava le notti a piangere, era particolarmente angosciata nel vederla disperarsi tenendo tra le mani il diario in cui vi era la rosa rossa appassita che lui le aveva donato il giorno della partenza per l’Inghilterra.
Quando le forze glielo permettevano, Katherine trascorreva ore ed ore in volo. Sfrecciava nel cielo senza darsi un limite, eseguiva numeri acrobatici che richiedevano la massima concentrazione solo per non avere altri pensieri in testa. Talvolta lasciava precipitare l’aereo in picchiata fino a sfiorare le onde del mare e solo allora riprendeva quota. In quei momenti, immaginando il fratello nella stessa situazione, si chiedeva se lui avesse sofferto o se avesse avuto la grazia di una morte rapida. Altre volte invece volava solo per poter piangere indisturbata, senza che nessuno le stesse intorno per cercare inutilmente di consolarla. E quando scendeva, non gliene importava niente degli sguardi compassionevoli degli altri piloti.
Un giorno in particolare, mentre i piloti stavano lavorando alle modifiche di un aereo, lei era corsa via per l’ennesima volta con la scusa di andare alla toilette e Danny, sapendo che era solo una menzogna, le era corso dietro.
“Katy, aspetta.”
Lei si fermò dalla corsa, ma rimase girata per non doverlo guardare.
Danny arrivò alle sue spalle, il tono sofferente ed irritato al contempo: “Non ce la faccio più a vederti così. Lo capisci?” Trasportato dalle emozioni, la abbracciò e affondò il viso sull’incavo tra la spalla ed il collo di lei.
Katherine, già con le guance rigate di lacrime, prese respiro e disse: “Sono disperata, Danny. Non faccio che peggiorare ed ora non so più dove andare a sbattere la testa.”
Lui sussurrò: “Lo so. E’ così anche per me.”
Lei si alterò: “No, tu non lo sai. Non puoi sapere cosa…”
Di cosa stava parlando? Non era solo per Rafe, c’era qualcos’altro sotto. Il sospetto lo spinse ad agire in modo un po’ brusco, prendendola per le spalle e voltandola verso di lui in modo da poterla guardare in faccia.
“Di cosa stai parlando?”
Katherine si morse un labbro, nuove lacrime sgorgarono dai suoi occhi: “In una delle sue lettere mi aveva scritto che tu saresti stato il primo a ricevere la notizia nel caso fosse accaduto il peggio, ma io credo che qualcosa sia andato storto. Tu, oltre ad essere il primo, sei anche l’unico ad aver ricevuto il telegramma.”
Danny era confuso: “Come fai a dirlo?”
“Ho ricevuto una lettera dai miei genitori, ieri. Mi hanno chiesto come mai Rafe non scrive più a casa.” La sua voce divenne il miagolio di un gattino a causa delle contrazioni del pianto: “Capisci adesso? Loro non sanno ancora niente. Come faccio a dire ai miei genitori che Rafe non… Che lui non…”
Danny sentì un’altra lama attraversargli il cuore, come il giorno in cui aveva letto il telegramma. Di nuovo. Un’altra responsabilità che era costretto a prendersi e che gli costava il cuore. Strinse Katherine in uno stretto abbraccio, cedendo alle lacrime come aveva fatto lei: “Lo farò io. Katy, lo farò io. Non so come ma lo farò. Te lo prometto.”
*
Era un pomeriggio come tanti, nel dormitorio dei piloti. Katherine, sul letto del proprio ragazzo, stringeva le gambe tra le braccia, il mento posato sulla ginocchia, occhi gonfi e rossi e sguardo spento. Gooz sedeva sul bordo del letto, accanto a lei, e non aveva ancora proferito parola. Era concentrato su se stesso, su quello che aveva in mente e stava solo spettando il momento giusto per metterlo in pratica. Di punto in bianco si schiarì la voce e diede un colpo di tosse, lei non mosse nemmeno lo sguardo. Sollevò una mano e sfiorò quelle di lei, quindi prese respiro per fare il discorso più serio che avesse mai fatto: “Qualunque cosa io faccia o dica, non riesco a strapparti un sorriso. Da quel giorno, ho speso ogni singolo momento a pensare a come aiutarti. Ti sono stato vicino, ti ho ascoltata, ti ho protetta, ho cercato di spronarti ad andare avanti. Ma poi…ho capito che le parole non sono abbastanza per farti superare il lutto. Per questo ho trovato una soluzione.”
Tolse la mano per portarsela a una tasca dei pantaloni militari e la ritirò fuori chiusa  a pugno. La sollevò all’altezza del viso di lei e l’aprì lentamente.
Katherine, attraverso le lacrime, cercò di mettere a fuoco l’oggetto che vi era sopra quella mano. Era un anello. Cinque piccole pietre viola a forma di goccia chiuse a formare una corolla e al centro un altrettanto piccolo diamante bianco di forma circolare, a completare il tutto due pietre verdi sempre a forma di goccia poste ai lati del fiore. Se in apparenza il suo sguardo non sembrava manifestare emozioni, Gooz sapeva che in realtà quell’anello le piaceva.
“So che stiamo insieme da pochi mesi, ma sento che è arrivato il momento di fare il grande passo. Sono maturato da quando ti ho conosciuta e mi viene da ridere se ripenso a quando avevo solo in mente di correre in terza base! Ora voglio dare una svolta alla nostra relazione e dimostrarti che sono l’uomo giusto per te.  Perciò, Katherine McCawley, quello che ti sto chiedendo è: vuoi diventare mia moglie?”
Lei sollevò la testa dalle ginocchia e lo guardò con evidente preoccupazione: “Gooz… Non vorrei offenderti ma, in questo momento non potrei nemmeno pensare di sposarmi. Sto troppo male.”
Sulle labbra di lui si formò un lieve sorriso: “Non sono stupido come sembra! Ti chiedo solo di pensarci. Poi quando starai meglio e avrai preso una decisione, io ti ascolterò.” Prese la sua mano destra e infilò l’anello sul dito anulare: “Sulla destra non è un impegno. Quando sarai pronta, se mi dirai di sì, lo passeremo assieme sulla sinistra.”
*
Danny sedeva al banco del bar, una bottiglia di birra in mano, sguardo basso puntato nel vuoto, negli occhi l’ombra della tristezza.
Gooz lo vide appena entrò nel locale, era impossibile non notarlo in quella posa, essendo l’unico seduto da solo e l’unico che non stava né parlando né ridendo. Andò a sedersi accanto a lui e ordinò la stessa birra.
Danny, accorgendosi della sua presenza, abbozzò un saluto a mezza voce senza nemmeno voltarsi a guardarlo.
Gooz attaccò senza troppe cerimonie: “Ho bisogno che tu mi faccia un favore, Danny.”
“Di cosa si tratta?”
“Ho chiesto a Katherine di sposarmi.”
Non era proprio dell’umore per affrontare una notizia del genere. Strinse la bottiglia nella mano, quasi volesse sbriciolarla: “Perché me lo stai dicendo?”
Gooz sospirò, perdendo lo sguardo attraverso il vetro della bottiglia che il barman gli aveva appena portato: “Credevo che la mia proposta l’avrebbe aiutata a guarire. E invece l’ha confusa ancora di più.”
Era possibile fare una conversazione, seduti fianco a fianco, senza nemmeno guardarsi? Evidentemente sì, visto che loro lo stavano facendo.
“Cosa c’entra questo con me?”
“Tu sei l’unico che può aiutarla.”
Danny scosse il capo: “Ti sbagli. Io non sono in grado di aiutare nessuno.”
Gooz batté un pugno sul banco e si voltò verso di lui: “La conosci meglio di chiunque altro. Hai il potere di influire sul suo stato d’animo. Chi meglio di te potrebbe aiutarla?”
Danny, indifferente, si portò la bottiglia alle labbra e vuotò quel che era rimasto del contenuto, tutto d’un fiato. La posò sul banco e si asciugò le labbra con una mano: “Mi dispiace. Hai preso un abbaglio.
“Se tu provassi a…”
Danny si alzò di scatto facendo cadere lo sgabello a terra, e gridò a pieni polmoni: “Non posso fare niente!”
Gooz rimase ad osservarlo con occhi sbarrati, esattamente come le altre persone presenti nel locale. Era chiaro che l’amico era impazzito e dire un’ulteriore parola avrebbe solo peggiorato la situazione. Fortunatamente, Danny si riprese e uscì dal locale in poche falcate.
*
Nei giorni seguenti, Gooz e Danny si comportarono normalmente, come se niente fosse accaduto. Era la cosa migliore, vista la situazione. Katherine aveva bisogno di entrambi e loro dovevano dimostrarsi complici ed essere forti per lei.
Un tardo pomeriggio, mentre gran parte della squadra si era riunita in sala mensa per un’improvvisata partita a poker, Katherine aveva approfittato del trambusto per decollare senza autorizzazione e all’ora del tramonto era ancora in volo sul mare hawaiano.
Earl si alzò dalla sedia di scatto e sollevò con aria gioiosa e trionfante la mazzetta di banconote che aveva appena vinto. Pur non essendo nel suo stile, si mise a denigrare gli altri piloti: “Sono dispiaciuto che voi signorine abbiate perso! E che non possiate sentire il profumo di questi bei bigliettoni!” E detto questo prese ad annusare le banconote come avrebbe fatto con un sigaro cubano.
Attorno a lui c’era chi rideva, chi fischiava, chi rispondeva con altre battute, ma tutti avevano una cosa in comune: sapevano stare al gioco.
Dalla sua cabina di pilotaggio, Katherine continuava a fissare l’orizzonte senza nemmeno preoccuparsi di dove stesse andando. I suoi occhi erano gonfi, il viso rigato di lacrime, le mani nervose.  Nella sua mente sentiva la voce di Rafe, come sempre quando volava, ma quel giorno i ricordi sembravano essersi messi d’accordo per assalirla e cercare di farla precipitare in quell’abisso interiore che solo chi ha perso una persona cara è in grado di raggiungere. Il cielo di Pearl Harbor divenne quello del Tennessee e lei non si trovava più a bordo di un aereo militare, ma su quello da disinfestazione di casa McCawley. Rafe teneva i comandi e lei stava seduta dietro, ansiosa di vedere chi avrebbe vinto quella partita a ‘perde chi molla’ tra lui e Danny.
Rafe si voltò verso di lei quanto poté, senza perdere il controllo dell’aereo. Il suo sorriso era luminoso e attraverso gli occhialini si vedevano chiaramente gli occhi color nocciola illuminati d’entusiasmo: “Guarda attentamente, sorellina! Il tuo fratellone vincerà anche questa volta!”
Lei sorrise a sua volta, si sentiva così felice, soprattutto perché aveva accettato di volare con lui senza fare storie. Era un’emozione stupenda volare con lui, possibile che non l’avesse mai capito prima?
“Rafe!” Lo chiamò e attese che lui si voltasse ancora una volta: “Metticela tutta!”
Lui rispose con una risata gioiosa e…lentamente scomparve.
Katherine si ritrovò catapultata nel freddo presente, sola e persa. Un attimo prima stava sorridendo, ora le sue labbra erano ricadute in quel broncio che ultimamente non abbandonava mai. Sentì una voragine nel petto nel rendersi conto che aveva solo sognato ad occhi aperti. Il suo cuore cominciò a battere forte, il respiro si fece affannato, aveva bisogno di aiuto. Senza nemmeno guardare, puntò il dito sul pulsante del collegamento radio.
Nella mensa c’era confusione totale, dato che ognuno si stava dando alla baldoria bevendo birra, sotto incitazione di Earl che voleva festeggiare. Eppure nel trambusto si udì chiaramente una voce: “Qui 3-0-8. Rispondete.”
Tutti si voltarono nella direzione da cui era venuta, ma fu Earl ad avvicinarsi ad una sedia e a sollevare nella mano una radio ricetrasmittente: “Di chi è questa?”
Billy fu l’unico a rispondere, sollevando le mani al cielo: “Non guardare me.”
La voce tornò di nuovo: “Qui 3-0-8. Rispondete.”
Danny balzò dalla sedia: “E’ la voce di Katherine.”
Corse da Earl e si fece dare la radio, ma un attimo prima che potesse premere il pulsante per rispondere, si bloccò, udendo dei singhiozzi di pianto provenire dal lato opposto.
Katherine stava piangendo e, purtroppo, a nessuno era nuovo quel suono. La sua voce, quasi soffocata dalle lacrime, disse: “Rafe, ci sei?”
Il silenzio più assoluto invase la mensa, nessuno aveva il coraggio di fiatare.
“Fratellone, mi manchi tanto.”
Danny si lasciò cadere a peso morto sulla sedia, improvvisamente senza forze.
“Rafe, dove sei? Voglio volare ancora con te. Non lasciarmi sola.”
Dagli occhi di Danny presero a sbocciare lacrime lente e lucide come gocce di rugiada. Fu quello il segnale che spinse gli altri piloti ad andarsene dalla mensa, senza far rumore e portando tutto il rispetto possibile, soprattutto quelli come Red e Anthony che erano stati compagni di Rafe.
Mentre la mensa prese a svuotarsi pian piano, Gooz gli si avvicinò e disse semplicemente: “Sei l’unico che può aiutarla.”
E anche lui se ne andò, lasciando Danny da solo con le proprie lacrime e con il pianto di Katherine alla radio.
Gli ci vollero alcuni istanti per riuscire a prendere respiro e far cessare il pianto. Ingoiò le ultime lacrime, avvicinò le labbra alla radio e premette il pulsante con il pollice. La voce gli uscì rauca e distante: “Katy, sono Danny. Devo parlarti. Atterra.” Abbassò la mano e sospirò nel vuoto. 

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Capitolo 8
*** Un mostro chiamato Gelosia ***


8
Un mostro chiamato Gelosia
 
Se è vero che il tempo sistema tutto, lei ne era la prova vivente. Erano già passati tre mesi dal giorno della tragica notizia, e finalmente anche Katherine era riuscita a voltare pagina e a guardare avanti. Era un eccellente pilota della marina, aveva un ragazzo che la faceva ridere, un migliore amico sempre accanto e un gruppo di infermiere pettegole che la mantenevano viva. Ad incorniciare il quadro, il ricordo di Rafe che non l’abbandonava mai e che vegliava su di lei ogni istante. Come era prevedibile, dopo aver avviato la sua relazione con Gooz, Katherine si era inserita nel gruppo di piloti capitanati da Danny e lavorava con loro ogni singolo giorno, cercando di aiutare con la manodopera. I piloti, non che suoi amici, per rispetto della sua posizione e  per non ferire il suo orgoglio, non le concedevano favoritismi e la facevano lavorare con gli stessi ritmi, qualunque fosse il servizio necessario. Quella mattina, mentre erano tutti attorno ad un aereo che aveva bisogno di serie modifiche al sistema di puntamento, lei si era auto-incaricata di andare a prendere le taniche di carburante che sarebbero servite al termine del lavoro per un giro di prova. Proprio quando lei svoltò l’angolo, ecco apparire all’orizzonte una Evelyn sexy all’ennesima potenza con addosso un provocante abito rosso che faceva pendant con le sue labbra di fuoco.
Katherine teneva tra le mani le maniglie di due taniche e stava per tornare indietro quando si ritrovò davanti l’intera squadra di piloti, ognuno dei quali sfoggiava un evidente sorriso beota.
Posò le taniche a terra: “Ragazzi, che succede?”
Anthony fu l’unico a voltarsi verso di lei per risponderle: “Quella tua amica, quella Evelyn, è appena arrivata per vedere Danny. Visto l’abbigliamento, di certo non si tratta di una visita formale!”
A quella battuta gli altri piloti ridacchiarono, lei invece sentì come una scossa elettrica dentro la testa. Sgomitando senza riguardo, si fece strada fino all’angolo che dava sull’esterno ed esaminò attentamente la situazione: Danny aveva modi impacciati ed Evelyn sembrava apparentemente timida, ma ciò che le fece davvero urtare i nervi fu proprio il vestito rosso.
“Sgualdrina.” Sibilò tra i denti. Fortunatamente, il suo sguardo fu attratto come una calamita dalla cassetta degli attrezzi che era rimasta accanto all’aereo. Le venne un’idea malvagia.
“Gooz, vieni qui.” Lo chiamò, tenendo gli occhi incollati alla cassetta.
Lui si fece spazio tra il gruppo e in breve fu alle sue spalle: “Che c’è?”
“Vai a prendere la chiave inglese.”
“A che ti serve?”
Katherine si voltò e lo fulminò con lo sguardo: “Per dartela in testa!” Quindi puntò un dito in direzione della cassetta e disse minacciosa: “Muoviti.”
Il tentativo parve funzionare, con l’intromissione di Gooz la coppia di idioti perse il filo del discorso e per un attimo Katherine sperò che Evelyn se ne sarebbe andata. I suoi piani andarono in fumo quando Gooz lasciò nuovamente la scena concedendo intimità ai due. Ancora gesti e frasi impacciate e poi la situazione crollò quando Danny invitò Evelyn a volare con lui per vedere il tramonto dal cielo. Quell’invito fu la goccia che fece traboccare il vaso.
“Dannazione.” Batté il pugno contro il muro. Quando si voltò e si accorse degli sguardi curiosi degli altri piloti, tuonò: “Fatevi gli affaracci vostri!”
Se ne andò furiosa, seguita da Gooz che cominciò a sparare domande come una mitragliatrice.
*
Un dannato incubo, ecco cos’era. La sua mente, incapace di staccare la spina, aveva continuato a rimuginare su quell’invito e durante il sonno aveva creato uno scenario disgustosamente romantico composto da un tramonto sul mare e un aereo che piroettava nel cielo con Danny ed Evelyn all’interno che stavano maledettamente vicini. Doveva svegliarsi. Ma come fare? Era consapevole che si trattava di un incubo, ma non sapeva come fare per tornare alla realtà. Pensare a qualcosa di terribile, per esempio. Più terribile di questo? Cosa poteva esserci? La sua mente venne in suo soccorso donandole la vista della coppietta che corre furtivamente nel deposito dei paracadute, si lascia coinvolgere dalla situazione e…si dà all’intimità.
Katherine sollevò la testa di scatto dal cuscino, occhi spalancati e voce strozzata: “Danny no.”
Si guardò attorno, cercando di riprendere lucidità. Attorno a lei letti occupati da piloti addormentati che russavano, dormendo in svariate posizioni.  La sera precedente aveva chiesto a Gooz di dormire nel dormitorio con lui, di condividere lo stesso letto, troppo nervosa per rincasare, temendo di non trovare Evelyn e di trascorrere la notte a chiedersi dove fosse. Per fortuna Danny aveva il posto letto in un’altra camerata, quindi non poteva sapere a che ora fosse rientrato. Se era rientrato.
Scosse il capo. Si accorse di avere il braccio di Gooz attorno alla vita. Anche lui era addormentato e il suo volto sereno ispirava tenerezza. Avrebbe tanto voluto dormire così bene anche lei. Posò di nuovo la testa sul cuscino, rassegnandosi ad aspettare l’alba.
*
Risate isteriche e gridolini si potevano sentire fin dall’inizio della via ghiaiosa, tanto le infermiere erano chiassose. Tutte sedute sui divani del salotto, allungavano il collo verso Evelyn, la protagonista della mattinata. Lei, gote in fiamme e sguardo basso, si stringeva le ginocchia tra le mani per l’imbarazzo, eppure non si era trattenuta dal raccontare i dettagli alle amiche pettegole.
“E’ stato molto romantico. Forse il momento più romantico della mia vita.”
Gridolini di entusiasmo accolsero quell’ultima frase, prima che Sandra sollevasse una questione di grande importanza: “Dovrai trovare un modo per dirlo a Katy. Non sarà facile per lei sapere che hai deciso di dimenticare Rafe…” Si fermò un istante per deglutire, poi continuò: “…e che hai passato la notte con Danny.”
Nel silenzio generale, Evelyn abbassò il capo e si vergognò come non mai.
Un rumore le sorprese, spaventandole. Si voltarono contemporaneamente verso la porta vetrata e videro Katherine, mano premuta sul vetro e sguardo di chi ha appena ricevuto una pugnalata al cuore. Quell’immagine spettrale si dileguò all’istante.
“Katy, aspetta.” Evelyn si alzò dal divano e corse alla porta per inseguire l’amica.
“Posso spiegarti.” Camminare sulla ghiaia coi tacchi le rese impossibile raggiungerla, ma fortunatamente fu Katherine a fermarsi e tornare indietro da lei.
Le inveì contro: “Spiegarmi cosa? Puttana.”
Evelyn unì le mani come in preghiera: "Ti prego, ascoltami.”
“Hai infangato la memoria di mio fratello.”
Che stava succedendo? Aveva tutto il diritto di essere arrabbiata, eppure vedendosi dall’esterno sembrava lei la cattiva ed Evelyn la vittima. Perché? Per via delle mani unite? Gli occhi lucidi e tristi? Era arte fatta! Presa da un bisogno incontrollabile di farle del male, le mise le mani addosso e la spinse a terra, sulla ghiaia del vialetto.
Le infermiere, che erano rimaste all’interno della casa, corsero fuori strillando di fronte a quell’atto violento. Aiutarono Evelyn ad alzarsi, constatando che la caduta aveva provocato un gomito sbucciato e dei graffi su una gamba.
Betty si portò una mano al viso: “Stai sanguinando.”
Evelyn si affrettò a rassicurarla: “Non preoccuparti, è superficiale. Basterà pulirlo e fasciarlo.”
Barbara si avvicinò a Katherine col fuoco negli occhi: “Dì un po’, sei forse impazzita?”
Non c’era niente che potesse fare per convincerle della sua buona fede, perciò si congedò ringhiando: “Tenetevi pure quella serpe in seno. Io me ne vado.”
Rientrò in casa sbattendo la porta vetrata bruscamente.
Entrata nella sua camera, prese le valigie riposte sotto il letto, le aprì con violenza e cominciò la marcia dall’armadio al letto, ogni volta con un carico di abiti tra le braccia che poi gettava alla rinfusa nelle valigie.
Betty arrivò con passo felpato, entrò nella stanza timidamente: “Posso aiutarti?”
Katherine si voltò a guardarla, sorpresa da quella inaspettata richiesta, ma il suo malumore non si lasciò intenerire: “Non vi siete coalizzate tutte contro di me?”
Betty si lasciò sfuggire un sorriso: “Mi dispiace deluderti, ma non è così!”
Si avvicinò e scrutò l’interno delle valigie: “Dove sono i vestiti colorati che abbiamo acquistato insieme?”
Katherine sbuffò: “Tienili tu, io non so cosa farmene. Sono un pilota.”
Betty, evidentemente delusa, abbassò lo sguardo e fece per andarsene. Si fermò sullo stipite della porta e si voltò verso Katherine: “E’ un peccato. Per le serate in compagnia del tuo ragazzo sarebbero stati perfetti.”
Katherine si bloccò. Pur dandole di spalle sentiva il peso del suo sguardo su di sé.
“Perché ricordati che tu hai un ragazzo, Katy.”
*
Danny attraversò l’ingresso dell’ospedale con un gran sorriso stampato in faccia. Era già la seconda volta che vedeva Evelyn quel giorno ed era solo pomeriggio! Si era cambiato in tutta fretta, aveva indossato una fresca camicia azzurra e pantaloni color crema ed era partito speranzoso di convincere la sua nuova ragazza ad uscire con lui una volta terminato il turno. La vide in fondo al corridoio, molto graziosa sotto la cuffietta da infermiera e lo sguardo concentrato su quello che una collega le stava dicendo. Camminò lentamente, di certo non voleva interrompere il colloquio con la sua presenza, fin che non vide Evelyn fare un cenno positivo col capo e l’altra donna allontanarsi. Solo allora sollevò un braccio a mo’ di saluto e la chiamò: “Evelyn!”
Lei si voltò nella sua direzione, ma stranamente non sorrise, anzi abbassò lo sguardo. Danny percorse l’ultimo tratto che li divideva correndo e quando fu da lei le stampò un bacio sulla fronte: “Lo so che sono passate poche ore, ma dovevo vederti.”
Evelyn sollevò un istante lo sguardo su di lui e abbozzò un mezzo sorriso solamente. Forse per istinto o forse per lanciargli un segnale, si portò una mano al gomito.
Solo allora Danny si accorse della fasciatura. Aggrottò le sopracciglia: “Cosa ti è successo?”
Lei si morse le labbra e distolse lo sguardo ancora una volta: “Bè, in verità…”
*
Danny controllò le camerate rapidamente, lo sguardo infuocato e il passo di chi è trasportato dalla collera. Lei non c’era.
Guidando come un folle arrivò al chiosco sulla spiaggia, esaminò attentamente ogni singolo volto presente nel locale fin che non riconobbe Billy e Gooz seduti ad un tavolo.
Billy rideva a crepapelle mentre l’amico gli raccontava un aneddoto gesticolando in modo buffo: “E così gli ho detto, hey amico! Dovresti metterci dell’olio su quel…”
Danny gli artigliò una spalla e disse in tono rabbioso: “Lei dov’è?”
Gooz, che per poco non cadde dalla sedia per lo spavento, gli disse il fatto suo: “Accidenti, Walker! Vuoi farmi passare a miglior vita?”
Billy continuava a ridere.
Danny alzò il tono di voce: “Lei dov’è?”
“Dov’è chi?”
“Katherine. La sto cercando.”
Gooz ci pensò qualche istante prima di rispondere: “Non ne ho idea. Questa mattina, quando mi sono svegliato, se n’era già andata.”
Danny era evidentemente sorpreso: “Ha passato la notte da noi?”
Gooz si strinse nelle spalle: “Sì, ha dormito con me. Era talmente arrabbiata quando ti ha sentito invitare Evelyn a volare che non ha voluto tornare a casa dalle infermiere. Ha detto che il suo istinto omicida avrebbe preso il sopravvento se l’avesse rivista.”
Danny sospirò esasperato e si portò una mano alla fronte: “Ecco come stanno le cose.”
Al suono di quelle parole, la mente di Gooz si diede all’avventura, immaginando la sua ragazza in preda alla follia e con le mani sporche di sangue. Scattò in piedi come una saetta: “L’ha uccisa davvero? Devo trovarla e portarla in Europa prima che la polizia l’arresti.”
Billy si dovette portare le mani all’addome, esausto da quelle risate senza fine.
Danny, al contrario, afferrò Gooz per le spalle e lo spinse giù a sedere, quasi aspettandosi quella valanga di idiozie da parte sua: “Sei proprio un idiota.”
Gooz tentò di iniziare una frase con un “ma” inutilmente, Danny si era già dileguato. Non gli restò che rivolgersi a Billy: “E tu te la ridi. Quello è sciroccato.”
*
Ora che si era calmato non gli fu difficile trovarla. Era sulla spiaggia, i capelli che ondeggiavano al vento, i piedi che venivano avvolti dalla schiuma delle onde ripetutamente, la canotta maschile attillata sul seno e i pantaloni militari raccolti sulle ginocchia. Man mano che si avvicinava, poteva vedere sempre più particolari, il suo sguardo rivolto all’orizzonte. Stava comunicando con Rafe.
Il suo arrivo la turbò alquanto, cambiandola in un soffio. Con una mano cercò di raccogliere i capelli, lo sguardo ora arrabbiato puntato su di lui: “Che ci fai tu qui?”
Se fino a cinque minuti prima le avrebbe torto volentieri il collo, ora la voglia gli era passata del tutto. La voce gli uscì in un sussurro: “Ti ho cercata dappertutto.” Si schiarì la gola  e si impose di tornare serio per farle capire la gravità della situazione: “Che ti è saltato in mente?”
Lei capì subito a cosa si riferiva, sfoggiò un ghigno e rispose sarcastica: “Vedo che la tua bella ha già cantato.”
Quella risposta gli fece tornare il fuoco nelle vene: “E ha fatto bene! Ti sembra il modo di reagire? Lei non sa difendersi, non ha trascorso l’infanzia facendo la lotta con gli amici.”
“Sei venuto a vendicarla?”
“Sono venuto per farti ragionare.”
Katherine si voltò di nuovo verso il mare: “Non hai idea di quello che ho provato quando l’ho scoperto.”
Era quella la sua arma vincente. I sentimenti. E funzionava.
Danny sospirò e si passò una mano tra i capelli: “Avrei preferito che lo sapessi da me. Te l’avrei detto con tatto.  Mi dispiace.”
Lei strinse i pugni: “Veramente volete continuare questa relazione?”
Sospirò ancora: “Sì.”
“E a Rafe non pensi?”
“Era il mio migliore amico e lo sarà sempre. Ma non posso cancellare quello che provo per Evelyn.”
Katherine deglutì il groppo che aveva in gola e sussurrò: “E io?”
Danny sentì il bisogno di guardare il mare, come stava facendo lei. Forse gli serviva la forza spirituale di Rafe per rispondere a quella domanda.
“Il mio affetto per te resterà immutato. Sei la mia migliore amica.”
Katherine sentì l’aria mancarle nei polmoni. Stava perdendo tutto ancora una volta, non poteva accettarlo. Le lacrime le pizzicavano gli occhi da quanto premevano per uscire.
Si voltò a guardarlo e allungò una mano per sfiorare quella di lui, rilassata lungo il fianco. Quel tocco fece in modo che Danny la guardasse, che tra loro si stabilisse il contatto visivo. E quello dell’anima.
“Non ho speranze che un giorno tu possa tornare da me?”
Lo sguardo di Danny tremò, costringendolo a distogliere lo sguardo. La mano che Katherine gli stava sfiorando si ritrasse e si chiuse a pugno.
“Rafe dammi la forza.” Pensò dentro di sé. Dischiuse le labbra sperando che ne uscisse una risposta decisa e risonante, invece la voce gli morì in gola: “No.”
Sarebbe morto se fosse rimasto lì un minuto di più. Fece per andarsene, ma dopo il primo passo la voce di lei lo bloccò.
“Danny.” Il tono era disperato e spezzato dal pianto.
Non poteva voltarsi. In suo soccorso arrivò il ricordo delle due volte che lei gli aveva spezzato il cuore. Prima con Doolittle e poi con Gooz. Questa volta la voce non lo tradì: “E’ troppo tardi.”
A Katherine mancarono le forze, si ritrovò in ginocchio sulla sabbia prima ancora di rendersene conto. Il pianto e i singhiozzi l’assalirono come colpi di mitraglia. Danny se ne andò.
*
Il sole stava già calando all’orizzonte e lei non aveva nessuna voglia di atterrare. Rimettere i piedi a terra, unirsi ai comuni mammiferi significava rischiare di incontrare Danny. Sentì le gambe tremare anche se era seduta.
“Vaffanculo.” Prese un bel respiro ed eseguì una sequenza di tre giravolte, sentendosi terrorizzata ed eccitata in egual misura. Quando riprese quota guardò di sbieco il sole che tramontava, quasi sfidandolo o forse pregandolo di non andare a dormire. Non ancora, non così presto.
“Non darmi un’altra notte di tortura.” Bisbigliò, rischiando di scoppiare a piangere.
Erano già passate tre settimane da quando Danny l’aveva lasciata e ancora non riusciva a farsene una ragione. Ogni giorno si rifugiava tra le nuvole per interminabili ore, talvolta saltando il pranzo, e poi alla sera, quando il regolamento la costringeva ad atterrare, cominciava l’inferno. Cenare nella stessa sala mensa, vederlo ridere con gli altri piloti, sentire le lacrime agli occhi, scappare via con una scusa per non farsi vedere mentre piangeva. Serate e nottate le passava nei bagni, tanto che Gooz era convinto che fosse diventata bulimica e che si nascondesse per rigettare il cibo prima di digerirlo. Ma ovviamente quel pensiero occupava solo una piccola parte del suo cervello, al contrario del surf che aveva piantato bandiera su una gran fetta di terreno! E lei… Oh quanto avrebbe voluto che fosse davvero quello il motivo delle sue corse improvvise e del suo bisogno di nascondersi! E quante volte si era alzata nel cuore della notte, era entrata alla chetichella nella camerata di Danny e l’aveva osservato dormire, così bello, così innocente, così…non più suo. Era questo che aveva provato quando era stata lei a lasciarlo? Sentiva il cuore spezzarsi nel petto, il dolore era insopportabile. Lo aveva perso per sempre.
Ma quella sera qualcosa, qualcuno, un angelo, le donò un sorriso, un istante di gioia inaspettato. Entrò nella sua camerata, a quell’ora vuota, per prendere un cambio di vestiti e andare a farsi una doccia, una lunga doccia sanatoria. Non aveva problemi e i piloti non ne avevano con lei, ormai era diventata una di loro anche nel privato visto che aveva preso possesso del letto di Gooz in modo permanente. Seppur insieme a lui. Quella sera, sul letto trovò ad attenderla un pacco di carta. Prese il biglietto sulla sommità del pacco e lo aprì con curiosità:
“Volevo conservarli nell’armadio in attesa del tuo ritorno, ma poi ho pensato che ti sarebbero stati utili anche lì. Buona fortuna per tutto. Ti voglio bene.
Betty”
In fondo al biglietto un post scriptum diceva:
“Vieni a chiamarci quando hai voglia di fare shopping!
Martha
Barbara
Sandra”
Un sorriso nacque sulle sue labbra grazie a quelle parole. Ripiegò il biglietto e lo appoggiò in disparte, quindi scartò il pacco. Riconobbe i suoi vestiti perfettamente piegati e disposti secondo i colori dell’arcobaleno. Con le dita li sfiorò uno ad uno, per poi soffermarsi su quello rosa cipria. Lo sfilò dalla pila e se lo accostò al corpo, accarezzando un’idea.
*
Una delle cose che i piloti adoravano fare oltre spassarsela al chiosco sulla spiaggia, era quella di fare una partita  a poker. Quella sera appunto erano impegnati in una dura, sudata, chiassosa partita.
Gooz si alzò di scatto dalla sedia e gettò tre assi in bella vista al centro del tavolo: “Beccatevi questo!”
Emise una risata vittoriosa, accolto da schiamazzi e battute ironiche. Ma che gli importava? Aveva vinto! Che dicessero pure quel che volevano.
Katherine apparve sulla soglia, il rumore dei tacchi non era riuscito a precederla a causa del trambusto che c’era nella sala, eppure la sua buona stella fece in modo che proprio in quel momento Gooz alzasse gli occhi e la vedesse. Gli uscì un sentito: “Woooh!”
Lei sorrise, bellissima, dentro il suo delicato vestito dalla gonna a papavero e la scollatura generosa, le braccia sciolte lungo i fianchi, le caviglie accavallate.
Gooz afferrò la mazzetta di banconote e se la infilò in tasca senza troppi complimenti, mentre le battute sconce intorno a lui spuntavano come funghi. Si abbottonò la camicia militare e si lisciò i capelli con una mano per rendersi più presentabile.
Earl gli diede una gomitata d’incoraggiamento: “Non farla aspettare. Datti una mossa!”
Lui si incamminò con aria decisa, da vero soldato, ma le risate e le battute alle sue spalle si fecero talmente insistenti che fu costretto a voltarsi per zittire tutti: “Siete invidiosi?”
Purtroppo non ebbe l’effetto sperato, perciò si limitò a raggiungere la sua bella ragazza e a porgerle il braccio prima di uscire insieme.
*
Stesi sul sedile posteriore della decappottabile, a malapena illuminati dalle luci artificiali in lontananza e dal chiaro di luna, cullati dal rumore delle onde e dai versi lontani dei gabbiani, Gooz e Katherine si stavano coccolando dopo l’amore. Un amore piuttosto scomodo, ma d’altronde era davvero difficile avere privacy in una camerata condivisa con altri dieci piloti! Fatta eccezione per la prima volta sugli scogli, si erano sempre amati nella decappottabile, tranne qualche raro caso in cui avevano potuto usufruire del comodo letto del dormitorio.
Gooz riposava con il capo appoggiato alla spalla di lei e Katherine gli stava accarezzando i capelli, lo sguardo perso tra le stelle.
“Era da un po’ di tempo che non mi sfilavi un vestito femminile! Ti sei divertito?”
Lui rispose con voce un po’ assonnata: “Dovrò ringraziare Betty. Sei bellissima ed eccitante, ma devo ammettere che mi fa sempre uno strano effetto spogliarti quando hai addosso la divisa militare.”
Lei rise divertita, facendogli così abbandonare ogni speranza di addormentarsi. Ormai del tutto sveglio, Gooz si issò puntellando un gomito sul sedile e le stampò un intenso bacio sulle labbra.
All’improvviso un dolore alla cute lo costrinse ad interrompere: “Ahi, ma che accidenti…?”
Katherine recitò la sua parte: “Oh ti chiedo scusa, amore. E’ colpa dell’anello.” Sbuffò a regola d’arte: “Ultimamente s’impiglia ovunque. La mano destra la uso per tutto, questo coso mi è d’intralcio. Forse dovrei passarlo sulla mano sinistra.”
Lui, non rendendosi conto dell’allusione, si massaggiò la testa borbottando: “Vorrei tenermi i capelli in testa ancora per un po’. Sì, forse è il caso che lo passi sulla…” Si interruppe di colpo, sulla sua faccia comparve un’espressione indescrivibile.
Katherine non poté fare a meno di ridere.
“Vuoi dire che…?” Era talmente sorpreso che non riuscì nemmeno a finire la frase, perciò fu lei a farlo: “Accetto la tua proposta di matrimonio? Sì, è così! Non ho più motivo di aspettare.”
In modo frettoloso ed impacciato, Gooz si prodigò  a sfilarle l’anello dalla destra e metterlo al posto d’onore sulla sinistra. Era felice, entusiasta, non sapeva se ridere o ringraziarla. Ringraziarla di cosa poi? Erano fatti l’uno per l’altra.
Le rubò un lungo bacio appassionato e piccante che fece risvegliare il leone che c’era in lui. E pensare che fino a cinque minuti fa voleva solo dormire! Si separò dalle sue labbra lentamente e accese il contatto visivo, trasmettendo nello sguardo il fuoco che provava dentro.
“Festeggiamo?” Disse sussurrando. Fece per baciarla ancora, invece lei lo bloccò starnazzando un acuto: “Certo che festeggiamo! Dobbiamo dirlo a tutti!”
“Io veramente intendevo…”
Katherine lo allontanò da sé e cercò di recuperare i vestiti che aveva abbandonato sui sedili anteriori, il suo entusiasmo era a mille: “A quest’ora saranno tutti al locale, è un ottimo posto per annunciare il nostro fidanzamento!”
Allacciò velocemente il reggiseno, poi si mise in piedi per riuscire ad infilare le mutandine di pizzo nero. Quando si chinò per prendere il vestito, si accorse che Gooz era ancora immobile e nudo come un verme, lo sguardo perso nel vuoto e una faccia che era tutto un programma. Pensò bene di dargli una pacca sulla spalla: “Muoviti, fidanzato lumacone!”
*
Il locale era affollato e, come previsto, buona parte della squadra era lì assieme alle infermiere. Katherine puntò lo sguardo sul tavolo dove sedevano Red, Betty, Anthony e Barbara, quest’ultima grintosa e seducente nei confronti del proprio cavaliere. E pensare che all’inizio non lo sopportava nemmeno e in più aveva una relazione con Billy! Le cose cambiavano alla velocità della luce per tutti quanti.
Approfittò di una sedia vuota e la usò come scaletta per salire sul tavolo, cogliendo tutti di sorpresa.
“Ragazzi, riempite i bicchieri!” Sollevò la mano sinistra e gridò: “Mi sono fidanzata!”
Le ragazze sotto di lei gridarono all’unisono e si prodigarono in complimenti, mentre i ragazzi presero Gooz d’assalto con sonore pacche sulla schiena e battute piccanti.
Katherine scese dal tavolo e lasciò che Betty le saltasse al collo per complimentarsi, felice e chiassosa, ma pur sempre dolce come uno zuccherino: “Hai preso una decisione, finalmente! Sono così felice per te!”
Le venne spontanea una battuta: “Suvvia, non l’ho lasciato sulle spine così tanto! Solo un paio di mesi!”
La battuta fece scoppiare Barbara in una sonora risata a cui si unirono anche lei e Betty.
Proprio in quel momento, come se il destino fosse in vena di scherzi, arrivarono mano nella mano Danny ed Evelyn. Nonostante la confusione riuscirono ad avvistare i loro amici, stranamente in branco in un punto preciso del locale. Si scambiarono un’occhiata interrogativa e cercarono di raggiungere il gruppo.
Il primo che raggiunsero fu Billy, ma Danny dovette gridargli nell’orecchio perché si accorgesse della sua presenza: “Hey, che state combinando?”
Billy si voltò, il viso sorridente e gli occhi brillanti: “Ragazzi ci siete anche voi! Unitevi ai festeggiamenti, Gooz e Katy si sono fidanzati ufficialmente!”
Danny allungò lo sguardo su un povero Gooz massacrato di grattate sulla testa da parte di Anthony, fino a quando una stretta alla mano riportò la sua attenzione su Evelyn.
Lei aveva uno sguardo incerto, con un’ombra di paura: “Forse dovremmo andarcene. Non ci ha ancora perdonati. Non è giusto che le roviniamo la festa imponendole la nostra presenza.”
Lui cercò di abbozzare un sorriso: “Siamo venuti qui per divertirci ed è quello che faremo. Non devi preoccuparti di nulla.”
Continuando lo scherzetto, il destino fece in modo che lo sguardo di Katherine si posasse su di loro proprio nel momento in cui Danny accarezzò dolcemente la guancia di Evelyn. Il sorriso raggiante si spense di colpo.
Betty se ne accorse: “Stai bene? All’improvviso sei diventata seria da far paura.”
Lei le sfiorò un braccio, congedandosi: “Scusatemi un attimo, ragazze.”
Scansò Red in un modo non esattamente galante e afferrò Gooz per la camicia con violenza per dargli un focoso ed esagerato bacio.
Anthony sottolineò il momento: “Wo-ho-ho! Se è così focosa per il fidanzamento non oso immaginare durante la notte di nozze!”
Mentre tutti scoppiarono a ridere, Gooz faticò non poco per liberarsi dalle grinfie della sua fidanzata e quando ci riuscì l’apostrofò: “Che hai? Sei diventata una piovra?”
Lei gli sorrise, ma non in modo gioioso, era più un sorriso perfido, vendicativo, calcolatore, insomma tutto fuorché il sorriso di una ragazza appena fidanzata!
Katherine lo lasciò andare, si sporse su di un tavolino per afferrare un cocktail e poi sollevò il bicchiere per attirare l’attenzione del gruppo: “Vi ringrazio per il vostro appoggio. Sono felice di avere così tanti buoni amici. Vorrei che anche mio fratello Rafe fosse qui a condividere la mia gioia.”
La frase ebbe l’effetto sperato, tutti si zittirono e lo sguardo di Danny tremò. Fu quello il segnale che la indusse a continuare: “Ma sono certa che la condivida meglio da dove si trova, perché qui soffrirebbe e basta.”
Senza esitare, Danny strinse saldamente la mano di Evelyn nella propria e si fece strada verso l’uscita per portarla via di lì.
Katherine si sentì soddisfatta e ricominciò a sorridere: “Riprendiamo la festa!”
Stava per riavvicinarsi alle ragazze, quando la mano di Gooz le artigliò il braccio, bloccandola. Il suo sguardo sospettoso non prometteva niente di buono. Katherine chiese timorosa: “Cosa c’è? Perché ti comporti così?”
Rispose con tono secco: “Dimmi la verità.”
“Di cosa parli?”
“Kate, non sono del tutto idiota. E non sono cieco.”
Lei cominciò a spazientirsi: “Dove vuoi arrivare?”
Lui si guardò attorno, constatando che nessuno badava a loro, quindi si avvicinò di più a lei per poter essere faccia a faccia e parlarle abbassando il tono di voce: “Non è che ti sei fidanzata con me solo per fare dispetto…” Fece un cenno con la testa in direzione dell’uscita: “…a qualcuno?”
Per un attimo le mancò il respiro. Aveva ragione? Aveva torto? Non lo sapeva più. Dannata Evelyn era tutta colpa sua, sicuramente era stata sua l’idea di andare al chiosco. Proprio quella sera doveva venire ad esibire le sue labbra rosse da prostituta? Ecco, era arrabbiata. La sera del suo fidanzamento, accidenti. Guardò Gooz negli occhi e si sentì in colpa. E adesso? Aveva voglia di piangere, ma se l’avesse fatto lui avrebbe frainteso. D’impulso si incollò alle sue labbra, in un bacio morbido e sentito, un po’ per farsi perdonare e un po’ per darsi il tempo di ricacciare indietro le lacrime. Non era giusto che fosse lui a pagarne le conseguenze.
Quando si separò da lui si sentiva meglio, più forte, meno colpevole, riuscì a guardarlo negli occhi e a sorridere. Lasciandosi trasportare da quell’improvvisa sensazione benevola gli accennò un sospirato: “Ti amo.”
Lui arricciò un angolo della bocca, intenerito e un po’ divertito: “Ti amo anch’io.” Lasciò libero il suo braccio e la guardò tornare dalle ragazze. Avrebbe avuto tempo per pensare a quello che aveva visto, a quella vendetta ai danni di Danny ed Evelyn che aveva quasi mandato a monte la serata. Ma adesso lei sembrava di nuovo serena, aveva detto di amarlo. E questo gli bastava. Almeno per il momento.

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Capitolo 9
*** All'inferno e ritorno ***


9
All’inferno e ritorno
 
Quel sabato sera Sandra era andata a dormire molto presto, subito dopo cena, o meglio quando le amiche erano uscite per andare a divertirsi al locale con i piloti e l’avevano lasciata beatamente sola nella casa silenziosa. Evelyn era l’unica ad essere di turno, quella sera non avrebbe visto Danny, ma sapeva che sarebbe rientrata in casa molto discretamente senza disturbare il suo sonno leggero. Le altre…probabilmente sarebbero tornate la mattina dopo! Perciò si può facilmente immaginare come si sia sentita al brusco risveglio causato da colpi alla porta. I primi le spezzarono il sonno, ma non abbastanza da renderla lucida. I seguenti tre colpi la indussero ad accendere l’abatjour e a cercare gli occhiali a tentoni sul comò. Forse troppo assonnata, o infastidita, o spaventata da quel rumore non violento ma comunque insistente, si tenne gli occhiali stretti in mano come dimenticandosi di averli e infilò velocemente una vestaglia di seta. Nonostante la temperatura fosse mite, sentì il bisogno di stringersi in un abbraccio mentre attraversava il corridoio. Altri tre colpi rimbombarono dalla porta vetrata.
“Sto arrivando.” La voce le uscì come il grido di un gatto strozzato. Ormai era vicina e poteva distinguere una figura alta ed imponente, quindi si trattava di un uomo. Mentre afferrava la maniglia riuscì anche a distinguere una divisa militare, da quante ne vedeva ogni giorno.
“Mi perdoni l’ora tarda, ma è una questione urgente. Devo vedere Evelyn e Katherine.”
Una voce calda, ferma, come quella di un amante. Era sicura di averla già sentita ma non le veniva in mente un volto a cui abbinarla.
Ormai aveva aperto la porta del tutto quindi il buon senso le suggerì di inforcare gli occhiali. Sgranò gli occhi ed impallidì.
“Oh mio Dio.”
Rafe era lì davanti a lei in tutta la sua statuaria bellezza e con un bel sorriso acceso.
“Mi ricordo di lei, era alla festa di New York. Però non ricordo il suo  nome, mi perdoni.”
Sandra si sistemò gli occhiali sul naso, quasi avesse timore che si trattasse solo di un effetto ottico, la voce ancora roca: “Tu sei Rafe…”
Lui rise divertito: “Sì, sono proprio io. Confesso che se non fossi nel mio corpo io stesso crederei di essere un’allucinazione! Però, le ho chiesto il suo di nome, signorina.”
Lei emise dei suoni inarticolati e si passò una mano tra i capelli infiocchettati prima di riuscire a rispondere in maniera adeguata: “Ehm, Sandra. Mi chiamo Sandra.”
Lui fece un cenno di ringraziamento: “Bene, Sandra. Mi scuso per la fretta ma ho urgentemente bisogno di vedere Evelyn e Katy. Sono certo che lei comprenda il motivo.”
Sandra si voltò d’istinto verso l’interno della casa, poi scosse la testa, era nella confusione totale: “Sì, cioè no. Cioè, Evelyn è ancora in ospedale. Sta…lei sta…sì insomma, lavorando, ecco.”
Le labbra di Rafe disegnarono una ‘o’ perfetta, non aspettandosi quella risposta. Se stava per dire qualcosa, fu evidente che cambiò idea e anche soggetto: “E mia sorella?”
Questa volta a Sandra mancò un battito. Doveva dire la verità? Doveva mentire? E come si fa a mentire ad un uomo tornato dall’oltretomba? Ritornando al presente, si rese conto di aver tenuto le labbra arricciate come una vecchia zitella senza dentiera. Prese un bel respiro solo per avere una scusa per aprire la bocca, fingendo che fosse un gesto spontaneo, ma in realtà le sue sopracciglia inarcate dalla preoccupazione la rendevano tutt’altro che naturale. E Rafe se ne accorse.
“Rafe, tua sorella non dorme più qui da mesi.”
Lui inarcò le sopracciglia a sua volta, ma con sospetto: “E dove dorme?”
Sandra si strinse una mano al petto: “Al dormitorio dei piloti. Sai, si è fidanzata di recente quindi condivide il letto con il suo uomo.”
Se prima era solo sospettoso, ora il suo viso contratto era segno di una rabbia crescente: “Che cosa? Ma è impazzita? E’ un comportamento assolutamente irrispettoso verso lei se stessa e quelli che la circondano. Ma perché Evelyn non le ha impedito di farlo?”
Quelle parole fecero scomparire ogni segno di incertezza dagli occhi di Sandra. Il suo sguardo ora limpido e serio si fissò su quello di lui quando confessò: “Non dovrei essere io a dirtelo, ma non ho altra scelta. Katy ed Evelyn non si rivolgono più la parola.”
*
“Dio benedica il sabato sera!” Era questo che Gooz stava pensando, sentendosi improvvisamente grato al creatore per quella serata. Capitava di rado che il dormitorio fosse completamente vuoto, deserto, quasi spettrale, senza ombra di una persona o un rumore sinistro dalla porta d’ingresso. E lui era lì, steso sul suo letto, le braccia piegate sul cuscino, le mani intrecciate dietro la testa, maglia bianca e boxer freschi di bucato, piedi accavallati sul fondo del letto. Chi diavolo era più fortunato di lui? Il suo spirito devoto si stava pian piano convertendo a ben altri santi, quelli a cui ci si rivolge quando le esigenze del corpo si fanno dannatamente insistenti. E la causa di tutto era lei. La sua fidanzata, la sua amica, la sua amante. Lei. Katherine. Bellissima, seducente, che si stava spogliando per lui con uno spettacolo erotico all’ennesima potenza. Era facile ringraziare il cielo mentre lei si sfilava il vestito color lavanda facendolo scivolare lungo il corpo. Ma porca miseria se doveva lodare l’inferno e il suo fuoco ardente per l’emozione che sentiva guardandola sfilarsi il reggipetto e le mutandine, con quella lentezza che sembra una tortura ma che lo fa impazzire. Quando quel minuscolo pezzo di stoffa toccò finalmente terra lasciandola così completamente nuda e con in mostra due perfette natiche che richiamavano alla violenza, Gooz lasciò che la bestia che era in lui emergesse dai bassifondi e rivelasse la sua presenza attraverso la stoffa dei boxer.
Katherine era soddisfatta di quel risultato, era fiera di se stessa e del potere che aveva su di lui, era orgogliosa di essere così bella e desiderabile. E giustamente eccitata e desiderosa di procedere. Si chinò ai piedi del letto, appoggiò le mani sul materasso, pian piano salì e puntellò le ginocchia, salendo lentamente sul corpo di Gooz gattonando come una pantera che si dirige verso la preda. Un po’ aguzzina e un po’ vigliacca, quando le sue parti intime arrivarono allo stesso livello di quelle di Gooz, decise di fare una mossa per sentire quanto era corposa la sua virilità, provocando così una drastica reazione in lui.
Gooz avrebbe voluto fare le cose per bene, con calma, assaporando ogni momento, ma nella mente si ritrovò a contare i secondi che gli mancavano prima di esplodere e…al diavolo il romanticismo! Sarebbe stato più delicato nel secondo round. Con decisione e braccia d’acciaio l’afferrò per il girovita e la buttò distesa sul letto impadronendosi così della posizione dominante. La baciò con tanta foga che la ferì alle labbra, ma cosa poteva fermarlo ormai? La bestia era assetata. Bastava solo liberarla. Katherine, di rimando, gli strinse le gambe attorno al bacino, intrappolandolo in una morsa fatale, come una trappola per animali.  La mano libera di Gooz, passando inosservata, cominciò lentamente a scendere sul braccio di lei, sul fianco, sulla coscia, poi scavalcandola e arrivando a destinazione  ai boxer. Afferrò la stoffa deciso a dargli uno strappo netto e…
“Metti giù le mani da mia sorella!”
In realtà non era sicuro se nel suo cervello era arrivato prima quel grido rabbioso oppure il tonfo della porta che sbatteva contro il muro, ma d’altronde non c’era sangue nella sua testa in quel momento, quindi niente poteva essere chiaro. Al contrario del pensiero, il suo corpo scattò all’istante e si ritrovò in piedi prima ancora di rendersene conto, le braccia alzate al soffitto in segno di resa.
“Non mi azzarderei mai!” Fu l’unica banalità che gli uscì dalla bocca, senza nemmeno sapere con chi stava parlando. In effetti…chi era quell’uomo che si stava avvicinando con passo minaccioso? E perché Katherine era livida e immobile? Quando finalmente il sangue tornò a circolare nella sua testa, formulò un pensiero sensato: aveva detto la parola ‘sorella’, questo significava che lui era…
“Oh mio Dio.”
Rafe, ancora furente di rabbia, gridò ancora: “Ho già visto questa reazione, comincio ad annoiarmi. Sì sono io e quella che stavi per violare è mia sorella. Ora se potessi metterti da parte un attimo.”
Gooz si voltò dalla parte opposta con scatto militare, il suo cuore martellante e il suo cervello confuso che lottavano tra paura e sorpresa.
“Rafe.” La voce di Katherine si spezzò nel pronunciare il nome. Anche se il suo viso era ancora pallido, delle lacrime le gonfiavano gli occhi e il respiro le sollevava il petto in modo più ritmato del normale. Lo guardava, non riusciva a staccargli gli occhi di dosso. Era lì davanti a lei, un sorriso emozionato sulle labbra, gli occhi brillanti e le braccia aperte. Era lui. Era lui davvero! Suo fratello, il suo amato, unico, testone e talentuoso fratello. Con un balzo si alzò dal letto e si gettò tra le sue braccia scoppiando a piangere come una fontana.
Lui la strinse a sé con tutte le forze, felice ed emozionato di essersi ricongiunto a quella sua metà che lo completava, a quella creatura che aveva il suo stesso sangue e che amava di un amore incondizionato. Delle lacrime gli attraversarono le guance mentre le sussurrava all’orecchio: “Mi sei mancata da impazzire, sorellina.”
Per quanto i singhiozzi fossero incontenibili, le parole riuscirono lo stesso ad uscire e a ricadere ovattate sulla spalla di lui: “Ho sofferto per mesi. Non potevo accettarlo. Non tu.”
“Lo so, lo so. Non sapevo come fare ad avvisarti. Sono stato salvato e nascosto in Francia. Quando sono riuscito a scappare e tornare in America sono andato dritto a casa, ho rivisto mamma e papà. Non puoi immaginare cosa è significato per me dargli la gioia della mia presenza.” Inghiottì un assalto di lacrime, quindi continuò: “Poi ho mandato un telegramma a Danny, ma temo di essere arrivato prima io visto che nessuno sapeva del mio ritorno.”
Katherine scosse il capo sulla sua spalla: “Non ne sapevo niente.”
Gooz si era ritrovato testimone involontario di quel grande ritorno. Seppur stando girato come Rafe gli aveva ordinato, aveva poi trasgredito l’ordine sbirciando con la coda dell’occhio. Ancora non poteva credere di aver conosciuto quell’uomo di grande valore ammirato e poi compianto da tutti i piloti di Long Island. Quella figura mistica che era sempre stata presente tra lui e Katherine. Si rese conto di una grande realtà: il vero rivale non era Danny, era Rafe. Fin dal primo momento aveva dovuto condividere il cuore della sua fidanzata con lui e adesso che era tornato in vita sapeva che il suo posto sarebbe sempre stato il secondo. Dopo Rafe. O forse addirittura il terzo. Dopo Danny. Per la prima volta in vita sua sentì la gelosia bruciargli nel petto come un tizzone ardente.
Le lacrime smisero pian piano di sgorgare, le braccia si allentarono, sui volti rimasero i sorrisi sinceri di due fratelli ritrovati. Rafe stampò un bacio sulla fronte della sorella: “Domani sarò tutto tuo, te lo prometto. Ma ora ti prego di concedermi un po’ di tempo per andare da Evelyn. Vado a prenderla all’ospedale, le parlo un po’ e dopo spero di riuscire a portarla a festeggiare con tutti gli amici.” Aveva già dimenticato la grave notizia appresa da Sandra.
Lei lasciò una risatina: “Non esattamente romantico eh? Credo che troverai tutti al chiosco sulla spiaggia. E’ il nostro locale prediletto. Lei sa dove si trova.”
Le accarezzò una guancia: “Grazie, sorellina.”
La sciolse dall’abbraccio e si rivolse ancora con tono brusco a Gooz: “In quanto a te, lì.”
Gooz si voltò verso di lui, ancora intimorito: “Sì, signore.”
Rafe si avvicinò, cercando di non scoppiare a ridere ma comunque abbassando il tono di voce: “Non credi di dovermi almeno una presentazione?”
Lui si batté la mano sulla fronte con uno schiocco, in quel modo buffo a cui le persone non potevano resistere, quindi gli porse la mano: “Gooz Wood, piacere.”
Rafe ricambiò la stretta: “Rafe McCawley, piacere mio.”
Katherine si affrettò a prendere il lenzuolo dal letto e a coprirsi in modo adeguato prima di intromettersi tra loro.
“Gooz è il mio fidanzato. Ufficialmente.” Sollevò la mano ed esibì l’anello con fare civettuolo.
Il fratello fece una strana espressione nel vedere la curiosa forma, ma comunque fece un cenno positivo: “Sì, mi è stato accennato.  Ne riparleremo con calma. Ora perdonatemi.” Abbracciò di nuovo la sorella e si avviò verso l’uscita.
Sentendosi finalmente libero da un enorme masso emotivo, Gooz espirò rumorosamente e si lasciò cadere sul letto: “Che esperienza.”
Katherine, immobile dov’era, rispose solo: “A chi lo dici.”
“Bè, ormai il mio fuoco si è completamente spento, tanto vale che mi faccia una dormita. Sono certo che tu vorrai andare al locale e stare con lui tutta la notte.” Diede un pugno al cuscino e si sistemò in posizione fetale.
Incredibilmente, Katherine scoppiò raggiante: “No! Ora tu ti rivesti e vai al locale! Così quando arriva Rafe lo avvicini e cominci a fraternizzare!”
Lui sollevò la testa dal cuscino: “Che?”
Lei lo afferrò per un braccio, costringendolo ad alzarsi: “Niente storie.” Lo lasciò solo per andare ad aprire l’armadietto dove teneva i vestiti e scelse un paio di pantaloni lunghi color crema da abbinare ad una camicia hawaiana, di un curioso colore che sfumava dal grigio al verde con fiori bianchi stampati, che poteva lasciare aperta sopra la maglia. Privo di forza di volontà, Gooz si risparmiò le lamentele e lasciò che lei lo vestisse come un bambolotto.
Al termine, Katherine gli stampò un bacio sulle labbra e lo spinse via: “Buona fortuna, amore. Io vi raggiungerò presto, non temere.”
Rispose con tono svogliato, mentre si incamminava: “Sì, sì, va bene.”
Rimasta sola, Katherine diede un battito di mani, super eccitata per la situazione: “Bene! E ora pensiamo a me! Potrei indossare l’abito a fiori, oppure quello rosso, oppure….” La sua espressione mutò di colpo quando le tornarono in mente le parole del fratello.
“All’ospedale a prendere Evelyn? Oh nooooo!!!”
Era un totale disastro. O peggio, l’Apocalisse.
*
Billy e altri piloti entrarono nella camerata, il fiato corto e i volti spauriti. Lei nemmeno se ne accorse, troppo impegnata  a litigare mentalmente con il cinturino di un sandalo. Quando finalmente riuscì ad agganciarlo, sbuffò e si rialzò in piedi: “Oh finalmente. Accidenti a te.”
Si passò le dita tra i capelli sciolti, pensando a che acconciatura fare, forse una semplice coda di cavallo sarebbe bastata, oppure no. Non sapeva cosa avrebbe trovato una volta arrivata al locale. Dipendeva tutto da Evelyn.
“Quella sgualdrina.” Sibilò tra i denti. Si incamminò verso l’uscita e per poco non fu investita da Gooz, di ritorno proprio in quel momento.
La riprese seriamente: “Dove credi di andare?”
Lei fece un gesto verso la porta: “Al chiosco. Piuttosto, tu che ci fai qui?”
Lui la prese per mano e la trascinò con sé verso il letto: “Tu non vai da nessuna parte.”
Katherine cercò di ribellarsi, ma stranamente la sua stretta sembrava d’acciaio: “Gooz. Lasciami. Che ti prende?”
Gooz si fermò e la guardò dritta negli occhi: “Sono appena fuggito da una rissa. Gli sbirri non mi hanno preso per un pelo.”
“Una rissa? Devo andare da mio fratello.” La sua intenzione era di correre via, ma la stretta di Gooz la fece rimbalzare indietro come una molla.
“Kate, è stato proprio tuo fratello a scatenarla.”
Lei rimase a bocca aperta: “Che cosa?”
“Si è ubriacato, ha litigato con Danny e poi hanno iniziato a fare a pugni.”
“A maggior ragione devo andare. Lasciami!”
“Andare dove? A farti arrestare? Quando sono arrivati gli sbirri lui e Danny sono saliti sull’auto e sono fuggiti assieme. Secondo me non li troveresti nemmeno camminando tutta la notte. Dammi retta, lascia che la risolvano tra loro.” Le lasciò il braccio e si diresse tranquillamente verso il proprio letto, per poi sedersi sul bordo.
Osservandolo, Katherine finalmente notò che mancava qualcosa. Gli si avvicinò: “Amore, dov’è la tua camicia?”
Lui sollevò lo sguardo: “Ah, giusto. L’unica cosa positiva della serata. Credo di essere entrato nelle grazie di tuo fratello, proprio come volevi.  Dopo aver ascoltato i suoi racconti gli ho dato la mia camicia in segno di rispetto e lui l’ha accettata.” Suo malgrado sorrise, ricordando l’episodio come una barzelletta.
Al contrario di lui, Katherine era in piena agitazione, voleva solo correre via e cercare quei due cretini prima che si uccidessero. Ma come poteva fare? Gooz non glielo avrebbe mai consentito.
*
Il destino volle che, proprio quella mattina del 7 dicembre, più di un centinaio di aerei militari giapponesi attaccasse Pearl Harbor poco dopo l’alba, cogliendo di sorpresa l’intera flotta navale. Qualunque problema personale era destinato a diventare inutile e di nessuna importanza a confronto di quello che tutt’oggi è ricordato come il più spietato attacco della storia.
Danny e Rafe, dopo essere scappati dal locale avevano trovato un posto tranquillo dove poter parlare e discutere del passato e del presente. Forse grazie alla sbornia di Rafe che fece da camomilla, alla fine si erano entrambi adagiati sui sedili dell’auto e avevano preso sonno.
Non fu certo il migliore dei risvegli, il loro. Il rumore delle mitraglie li portò bruscamente alla realtà e al senso del dovere. Danny partì sgommando, diretto ad una delle basi, ma gli aerei lo costrinsero ad abbandonare l’auto nel bel mezzo del percorso.
Danny saltò fuori dall’auto con foga: “La palestra è qui vicino, possiamo raggiungerla correndo.”
Lui saltò fuori a sua volta e sbraitò: “Hai voglia di fare pesistica adesso?”
“E’ il posto più vicino in cui ci sia un telefono.” Fece un gesto brusco con la mano per ammonirlo e si diede alla corsa, seguito da Rafe.
Stavano correndo come il vento quando Rafe udì una voce alle proprie spalle, in lontananza. Qualcuno lo stava chiamando. Smise di correre e si voltò, vedendo così sua sorella che correva a perdifiato lungo la pista. Danny si fermò a sua volta, seppur con l’impazienza di ripartire.
Rafe accolse la sorella tra le propria braccia, per sostenerla mentre lei riprendeva fiato: “Katy, da dove vieni?”
Lei, agitata e col fiato corto, cercò di spiegarsi il più velocemente possibile: “Da nessuna parte. E’ da prima dell’alba che ti sto cercando. Quando Gooz mi ha detto della rissa, ieri sera, volevo raggiungerti ma lui me l’ha impedito. Sono riuscita a scappare solo questa mattina. Quando ho visto gli aerei giapponesi sono corsa qui per dare l’allarme.” Sperò che fosse una spiegazione sufficiente perché aveva assolutamente bisogno di riprendere fiato o sarebbe morta. Se poi si aggiunge il dolore ai piedi a causa dei tacchi, era un miracolo che riuscisse ancora a stare in piedi.
Danny se ne saltò fuori con una battuta sarcastica: “Ne sono già tutti al corrente, nel caso non l’avessi notato.”
L’occhiata fulminante di lei fece scattare un campanello nella testa di Rafe. Possibile che quei due volessero litigare nel mezzo di una pista sotto attacco? Prese in braccio la sorella prima che lei potesse protestare e si rimise a correre verso la palestra. Danny li seguì.
Di fronte all’ingresso erano già schierati dei soldati armati e intenti a sparare colpi al nemico che sfrecciava nel cielo. Danny agitò le braccia e gridò: “Fermi. Non sparate.”
Gli uomini cessarono il fuoco giusto il tempo necessario affinché loro potessero entrare all’interno dell’edificio.
Danny si precipitò alla scrivania dove c’era il telefono, compose il numero in tutta fretta e cominciò a pregare che qualcuno rispondesse. Rafe rimise a terra la sorella e le fece da scudo contro la parete. Una scarica di proiettili investì la palestra in quel momento.
Finalmente dalla pista Earl prese la cornetta e si lasciò identificare: “Earl.”
Danny, dall’altro capo, gridò a pieni polmoni: “Sono Walker. Rifornisci subito gli aerei di armi e carburante.”
Da sotto la scrivania fece capolino uno spaventatissimo Gooz: “Che succede là fuori, eh?”
Udendo la sua voce, Katherine si liberò dal rifugio creato da Rafe e corse alla scrivania, trasportata da incredulità e rabbia. Lo vide lì sotto, raggomitolato e spaurito come un bambino.
“Che ci fai lì sotto?”
Dal telefono, Earl udì le grida femminili seguite da un rumore di spari e gli venne spontanea una battuta: “Cos’è tutto quel fracasso? Katherine sta mitragliando Gooz?”
Danny lo informò senza preamboli: “No, è la seconda guerra mondiale.”
Gooz si affrettò ad uscire dal nascondiglio, ma lo spavento gli impedì di parlare.
Katherine gli gridò contro: “Tutti sono là fuori a combattere e tu ti nascondi come un vigliacco? Che razza di uomo sei?”
Lui gesticolò confusamente, le parole gli uscirono dalla bocca senza creare frasi compiute: “Io non… Mi stavo allenando a pugilato, ma poi…”
Lei tuonò minacciosa: “In questo momento vorrei usarti come sacco da pugni!”
E mentre loro litigavano, Danny si stava facendo in quattro per spiegare la situazione ad Earl.
Gooz, cominciando a riacquistare lucidità e forza d’animo, cercò di avvolgere la fidanzata in un abbraccio, ma lei lo allontanò schiaffeggiandogli una mano: “Non toccarmi.”
Finalmente Rafe si fece sentire, aprì le braccia formando un arco a mezz’aria e li rimproverò: “Vi sembra il momento? Ne parlerete più tardi, se sarete ancora vivi.”
All’improvviso una bomba travolse l’edificio, facendo crollare tutti quanti come un castello di carte. Rafe si ritrovò semplicemente in ginocchio grazie alla protezione del muro che aveva attutito la forza bruta dell’esplosione, Gooz fu sbalzato all’indietro, Danny finì lungo disteso vicino a lui e Katherine si ritrovò sopra a Danny.
Per ovvie ragioni, Rafe fu il primo a rimettersi in piedi e a correre dalla sorella per aiutarla a rialzarsi. La sollevò di peso e fece in modo di essere faccia a faccia con lei: “Katy, guardami. Come stai?”
Lei scosse la testa per scostare i capelli che le erano finiti sparpagliati in faccia: “Bene, credo.”
Rafe l’adagiò su una sedia che era lì accanto e tornò ad occuparsi degli altri: “Ragazzi, tutto ok?”
Danny si sollevò su di un gomito: “Sì, io sto bene.”
Gooz fece altrettanto: “Idem per me, credo.”
Rafe porse entrambe le mani a cui loro si aggrapparono per rimettersi in piedi.
Katherine, che nel frattempo si era ripresa, li raggiunse, così si ritrovarono tutti in cerchio a scambiarsi sguardi rassicuranti.
Danny reagì per primo, scattò verso la porta con agilità: “Forza, andiamo.”
Corsero lungo la pista per raggiungere l’auto, fortunatamente ancora intatta. A loro si unirono anche Anthony e Red, reduci dalla sparatoria e scampati alla forza della bomba. Danny prese posto alla guida, Gooz, Red ed Anthony sul sedile posteriore e Rafe, con  Katherine sulle ginocchia, sul sedile davanti. Partirono a tutta velocità.
Rafe si informò: “Dove stiamo andando?”
Danny stava divorando la strada e con lo sguardo teneva d’occhio il cielo, ma lo stesso riuscì a rispondere: “E’ una piccola pista di collaudo a dieci minuti da qui. Non l’hanno ancora colpita.”
Sul sedile posteriore, intanto, Anthony si prese l’incarico di dare una tragica notizia a Gooz. Forse il momento non era dei migliori, ma lui aveva il diritto di sapere. Gli mise una mano sulla spalla e aspettò di avere la sua attenzione: “Gooz devo dirti una cosa. Si tratta di Billy.”
Lui inarcò le sopracciglia: “Lo hai visto? Sai dove si trova?”
Anthony deglutì: “Prima ha preso posto ad una delle mitragliatrici. E’ stato coraggioso.”
“Certo che è coraggioso, ma io ti ho chiesto dove si trova ora.”
“Dopo la scarica di proiettili un aereo ha sganciato una bomba.”
“Lo so. Ero dentro la palestra. La smetti di divagare?”
“Lui è rimasto al suo posto quando ha visto che la bomba non era esplosa all’impatto col terreno.”
Gooz sentì un brivido: “Che vuoi dire? La bomba è esplosa. Lo so per certo.”
“Sì, è esplosa. Dopo.”
Gooz ingoiò un improvviso groppo alla gola, il cuore gli mancò un battito: “Billy dove…?”
Anthony prese un lungo respiro per riuscire a parlare: “Era lì quando è esplosa.”
Un’ondata di gelo lo travolse dall’interno, mille aghi invisibili gli colpirono lo stomaco. Il suo sguardo tremò. Billy, il suo migliore amico, era morto.
Anthony, ancora con la mano sulla sua spalla, gli diede una stretta di confronto: “Mi dispiace.”
Sul sedile davanti non avevano sentito una parola.
*
Una volta arrivati alla pista, si unirono a dei soldati che avevano innalzato una piccola barricata di sacchi di sabbia. Con loro avevano una mitragliatrice e dei fucili. Earl li stava aspettando.
Gooz si precipitò sulla mitragliatrice, ormai aveva ripreso pieno dominio di sé e dagli occhi gli uscivano fiamme di odio. Danny si accucciò accanto ad un soldato, Rafe si premurò di fare ancora una volta da  scudo alla sorella, proteggendola al meglio.
Il rumore di un aereo in avvicinamento attirò l’attenzione di tutti. Gooz prese la mira, pronto a sparare: “Lasciatemi mandare quel maledetto all’inferno dei giapponesi.”
Rafe lo bloccò: “No, aspetta. Non ci ha visti. State tutti fermi.”
Nel gruppo non si sentì nemmeno più il rumore di un respiro, tutti attesero che l’aereo si allontanasse. E grazie a Dio lo fece davvero.
Danny prese il comando con totale sicurezza, dando ordini a Gooz e a uno dei soldati: “Voi restate qui, ci servirete come fuoco di copertura.” Poi si rivolse a Red ed Anthony: “Voi invece venite con noi agli aerei, abbiamo bisogno del vostro aiuto.” I due fecero un cenno di consenso col capo.
Earl richiamò l’attenzione di tutti: “Tre Zero in avvicinamento. Se restiamo qui ci fanno a pezzi. Andiamo agli aerei. Forza, venite.”
Dividendosi in coppie come stabilito, si diedero tutti alla corsa per la conquista degli aerei da pilotare.
Katherine aveva appena scavalcato la barricata quando sentì una mano afferrarle il braccio. Si voltò e incontrò lo sguardo di Gooz.
“Sei sicura di sentirtela? Puoi restare qui con me se preferisci.”
Lei tagliò corto: “Certo che me la sento. Sono un pilota, non ho paura.”
Negli occhi di lui passò un’ombra di pentimento: “Mi dispiace per prima. Perdonami.”
Katherine dischiuse le labbra, ma si bloccò prima di parlare. Sì, era arrabbiata per ciò che era accaduto in palestra ma dopo qualcosa in lui era cambiato. Lo aveva notato quando erano scesi dall’auto, il suo sguardo era cupo e concentrato. E il modo in cui si era gettato sulla mitragliatrice, pronto a sparare? Era così virile, così coraggioso, così…uomo. In quel momento non voleva parlare, aveva solo voglia di saltargli addosso e assorbire quell’improvvisa essenza virile che lui stava emanando e che la faceva impazzire. Si vergognò per quel pensiero inappropriato. Quanta gente stava morendo mentre lei pensava alla lussuria? Strinse le labbra e abbassò lo sguardo per l’imbarazzo. Liquidò il discorso con un semplice: “Devo andare.”
Si liberò dalla sua presa e fece per avviarsi, quando si accorse che Earl la stava aspettando lì a pochi passi. Lui le diede un colpetto sulla spalla e le fece un cenno col capo: “Coraggio, andiamo.”
Insieme corsero fino all’aereo destinato a lei, dopodiché l’aiutò a salire a bordo. La osservò prendere posto nella cabina di pilotaggio, dentro di sé qualcosa di simile alla fierezza gli fece accennare un mezzo sorriso, senza che però lei lo vedesse.
Pronta ad accendere i motori, Katherine puntò lo sguardo a terra e fece ad Earl un segno di ringraziamento.
L’arrivo degli aerei giapponesi fu il segnale che i giochi stavano per avere inizio. Red con Rafe ed Anthony con Danny, riuscirono ad ultimare gli ultimi preparativi senza essere uccisi solo grazie alla prontezza di Gooz che li coprì mitragliando il nemico a sangue freddo e facendo precipitare uno degli aerei.

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Capitolo 10
*** Il trio perfetto ***


10
Il trio perfetto
 
Il piano era semplice. Mentre loro si davano da fare ad abbattere gli aerei dal cielo, Earl e compagnia dovevano raggiungere la torre di controllo, salire in cima e prepararsi ad ‘accogliere’ l’aereo giapponese che gli avrebbero portato.
Una volta che gli accordi furono presi, Rafe si rivolse alla sorella sempre attraverso la radio: “Katy, c’è una cosa importante che devo dirti prima di partire. E voglio che tu la segua alla lettera.”
Lei rispose con tono cantilenante: “Lo so, lo so. Tu sei il più grande e io devo seguire le tue istruzioni.”
Rafe non poté trattenere una risata, ma cercò di tornare serio in velocità: “Ora il nostro obiettivo è attirare l’attenzione del nemico in modo che la smetta di distruggere le piste. Perciò Katy, se ti dovesse venire un’idea…”
“La cancello subito dalla mia mente?”
“Mettila in atto senza pensarci un solo istante.”
Dal proprio aereo, Katherine allungò lo sguardo in direzione della cabina del fratello. La sua sorpresa era evidente anche da quella distanza: “Dici sul serio?”
Lui fece un cenno positivo col capo: “Assolutamente sì.”
La loro connessione fraterna fu spezzata solo dal grido di battaglia di Rafe, rivolto anche a Danny: “Ora tocca a noi!”
Tutti e tre accesero i motori.
*
Quando ricomparvero gli aerei giapponesi, Danny gridò: “Via! Muoviamoci!” Giusto un attimo prima che quelli ricominciassero a sparare.
La pista era corta, al termine c’era un edificio e tre Zero giapponesi gli stavano alle calcagna. Come inizio non era il massimo! Danny si lasciò prendere dal panico: “Non faremo in tempo, Rafe. Non abbiamo pista a sufficienza.”
“Dai massima potenza prima di staccare.” Fu il pronto consiglio di Rafe.
Danny espirò con decisione: “Devo mantenermi calmo. Devo mantenermi calmo.” Nonostante il suo aereo stesse decollando, l’agitazione gli giocò un brutto scherzo inducendolo a strillare ancora come un bambino spaventato: “Rafe, andrò a sbatterci contro.”
Questa volta invece di un consiglio gli arrivò ai timpani una critica aspra da parte di Katherine: “Falla finita, Danny. Sei sempre stato così. Invece di farti coraggio ti arrendi subito. E’ per questo che la nostra storia è finita, non hai mai lottato per avermi.”
Lei stessa si sorprese di quello sfogo. Perché diavolo aveva tirato fuori quella storia? Era impazzita? Però le sue parole ebbero effetto perché Danny riacquistò la grinta necessaria per decollare, scaricando su di lei un ruggito di rabbia: “Se solo sapessi…” Strinse i denti imponendosi di tacere.
Rafe, concentrato sul proprio aereo, non aveva nemmeno dato peso a quello che la sorella e l’amico si erano detti, la sua mente e i suoi occhi erano fissi sul palazzo che ormai era vicinissimo. Per quanto coraggio potesse avere, sentì il bisogno di sussurrarsi un incitamento: “Forza. Forza.”
Grazie alle loro grandi capacità e ad un pizzico di fortuna, i tre piloti riuscirono a far decollare gli aerei senza incidenti e i loro compagni esultarono dal basso.
Rafe esultò a sua volta: “Siamo in quota, ce l’abbiamo fatta.”
Ma Danny pose fine ai festeggiamenti con un aggiornamento: “Abbiamo gli Zero dietro, Rafe.”
“Hai visto quanti sono, Danny?”
Danny si guardò velocemente alle spalle, mentre il nemico ricominciava a sparare: “Cinque. Sono cinque a ore sei.”
Katherine si intromise: “Ne stanno arrivando altri due a ore nove.”
Fecero un giro attorno alla pista per accertarsi della situazione e poi si diressero verso il centro della città per inoltrarsi tra gli edifici, nella speranza che i giapponesi andassero a sbatterci contro.
Per migliorare la strategia, Rafe ordinò: “Volate radente al suolo.”
Il piano non funzionò, i nemici erano sempre più agguerriti e sparavano senza sosta, perciò dovettero cambiare strategia.
Rafe vide la torre, ma era troppo presto, Earl e gli altri avevano bisogno di tempo per arrivarci col camion, perciò dovette pensare ad un modo per prendere tempo: “Non abbiamo scelta, dobbiamo separarli. Danny tu vai a sinistra.  Io vado a destra. Katy tu invece…”
Lei lo interruppe con decisione: “So cosa fare.” Aumentò la velocità e sorvolò la torre, seguita da due aerei nemici. Rafe e Danny presero le direzioni stabilite.
*
Katherine si destreggiò abilmente tra i palazzi, dando parecchio filo da torcere ai suoi inseguitori, che tuttavia non mollavano.
“Sia mai che Katherine McCawley si faccia mettere i bastoni tra le ruote da un paio di occhi a mandorla.” Disse tra sé, irritata e spazientita per non essere ancora riuscita ad annientare i suoi inseguitori. La vista di un grande palazzo cubico le stuzzicò un’idea spiritosa.
“Tanto vale provare.”
Finse di voler virare a destra e invece all’ultimo istante si buttò sulla sinistra. L’aereo che le era più lontano rispose prontamente con la stessa mossa, quello più vicino invece fu costretto a fare una virata larga. Nel frattempo Katherine aveva saettato attorno all’edificio ed era ritornata sulla scia iniziale. In questo modo si ritrovò in una posizione di vantaggio e sorprese l’aereo arrivando alla sua sinistra. Bastò una scarica di proiettili per farlo precipitare.
“Fuori uno!” Gridò alla radio, entusiasta di se stessa.
Rafe rispose dalla sua postazione: “I miei complimenti, sorellina.”
“Grazie, fratellone. E ora pensiamo al secondo.”
L’aereo restante ora le stava addosso e la irritava con continue scariche di proiettili che lei doveva schivare frettolosamente, impedendole così di poter pensare.
“Figlio di una puttana giapponese.” Quanto avrebbe voluto che il pilota potesse sentire!
L’unico modo per uscirne vincente era puntare ancora una volta sui palazzi, perciò scese a bassa quota e si infilò nei vicoli sperando che il nemico abboccasse all’amo.
“Seguimi. Avanti, seguimi.”
Era pericoloso per lei stare lì a schivare i palazzi e anche i proiettili dell’aereo nemico, però non aveva altre idee. Probabilmente stanco del giochetto, alla fine il giapponese cedette e scese di quota per seguirla in quel labirinto di palazzi. Forse sperava di colpirla più facilmente, o forse voleva dimostrare di essere superiore, fatto sta che era andato proprio dove lei voleva. L’inseguimento continuò per alcuni minuti ancora, fino a quando Katherine non vide un vicolo stretto che considerò adeguato al caso suo. Un po’ sfacciatamente, un po’ strategicamente, ci si infilò volando in verticale e pregò che il piano funzionasse. L’aereo giapponese tentò la stessa manovra e fu la sua fine. Le ali non ben allineate finirono col scontrarsi sulla facciata dei palazzi e in breve l’aereo si ritrovò schiantato a terra.
Katherine esultò di nuovo: “Evvai! Ho fatto fuori anche il secondo!” Aguzzò la vista nel cielo in cerca di Rafe e Danny, ma non vedendoli dovette ricorrere alla radio. Ricordandosi che Danny aveva ben tre aerei che lo inseguivano, decise di rivolgersi a lui: “Danny, dimmi la tua posizione così posso venire ad aiutarti.”
In quel momento, però, Danny era troppo preso dalla situazione critica per rispondere. Aveva annientato un avversario che però era stato subito sostituito da un altro. Gli aerei giapponesi comparivano ovunque, senza sosta.
Lo sguardo di Katherine diventò di pietra quando si accorse di essere inseguita da un altro aereo: “E questo da dove è saltato fuori?” Partì una scarica di proiettili che per poco non colpì la cabina dove si trovava, ma per fortuna lei virò in tempo.
“Maledizione. Ragazzi, sono ancora sotto tiro.”
Dal canto suo, anche Rafe aveva abbattuto un aereo e se ne era ritrovato subito uno di rimpiazzo, perciò si ritrovava con non pochi problemi con i suoi due inseguitori. Uno in particolare era sempre più vicino e mirava sempre meglio. Il colpo successivo avrebbe potuto centrarlo.
“Dannati giapponesi. Katy, Danny, ho un’idea. C’è solo una cosa che possiamo fare per toglierceli dai piedi. Insegniamo loro come si gioca a ‘perde chi molla’.”
L’idea era assolutamente bizzarra ma perfetta. Danny confermò: “D’accordo. Affare fatto.”
Katherine si illuminò di contentezza anche se nessuno poteva vederla: “Ci vediamo sopra la pista, allora. Non tardate!”
*
Rafe fu il primo ad arrivare al luogo dell’incontro. Quando vide Danny all’orizzonte gridò al microfono: “Punto dritto su di te. Non virare finché non te lo dico io. Katy ci sei?”
La sua voce riempì le cuffie: “Sto arrivando dalla tua sinistra, Rafe!”
I tre aerei, con tanto di giapponesi accodati, si stavano avvicinando sempre più, ma Rafe era risoluto ad aspettare fino all’ultimo istante: “Ancora no. Ancora no.”
Danny, sottopressione per la situazione che si faceva via via più rischiosa, dovette ripetersi ancora una volta: “Forza, forza.”
E finalmente arrivò il segnale di Rafe: “Tutti a sinistra. Adesso.”
I tre aerei fecero un perfetto numero acrobatico, proprio come ai tempi del Campo Mitchell, mentre i loro inseguitori finirono col schiantarsi in pieno cielo. O almeno, tutti tranne uno che riuscì a scampare allo schianto.
La voce di Earl arrivò come quella del Salvatore, chiara e limpida: “Siamo sulla torre.”
Rafe rispose: “Earl, ne ho uno in coda, te lo porto dritto in bocca.”
Earl e i ragazzi caricarono le mitragliatrici e si misero in attesa dell’ “ospite”. Rafe arrivò di gran carriera, superò la torre e lasciò a loro il compito di finire il nemico.
Rafe gridò entusiasta: “Bella mira, ragazzi! Bel colpo, Earl!” Ed eseguì una giravolta di festeggiamento.
Ora che il peggio era passato, in lui la figura del pilota si rimpicciolì un poco, giusto quel che bastava per lasciare il posto a quella del fratello maggiore. Prese un respiro e parlò con voce mite alla radio: “Katy, ascolta. Voglio che torni indietro e che atterri alla pista.”
Lei ovviamente protestò: “Ma Rafe! Dobbiamo andare sul mare. Ci sono ancora giapponesi là.”
“Lo so, infatti io e Danny ci stiamo andando.”
Lei ribatté con tono ancora più capriccioso: “Voglio venire con voi!”
Lui ordinò con tono severo: “Ho detto di atterrare.”
La rabbia le salì alla testa in un istante. Perché si ostinava a trattarla come una ragazzina? Perché riteneva Danny degno di stare al suo fianco e lei no? Danny. Tutto l’odio represso che provava per lui decise di venire fuori come vomito: “E se a Danny viene un altro attacco di panico? Non mi fido a lasciarti da solo con lui.”
Era troppo. Era davvero troppo. Danny esplose come un vulcano, stanco di sentirsi trattare in quel modo proprio da colei che lo aveva lasciato e tradito un’infinità di volte, che aveva giocato col suo cuore e che poi l’aveva odiato solo perché era riuscito a trovare la felicità senza di lei. Assestò un pugno al sedile e gridò a pieni polmoni: “Sei sempre stata convinta di essere più forte di me, vero? Sappi che non lo sei affatto. Per ben due volte ho tentato di chiederti di sposarmi.”
Dalla torre di controllo, la radio che Earl aveva lasciato accesa trasmise quelle parole così chiaramente che il suono parve rimbombare nonostante lo spazio aperto. Tutta la squadra aveva udito quella confessione, tutti si sentirono stringere la gola al pensiero di tutto quello che avevano visto accadere tra quei due nell’arco di tre anni, essendo stati loro compagni fin dagli esordi a Long Island. Earl invece conosceva solo la realtà a lui più vicina, quella di Pearl Harbor, perciò la sua reazione fu di voltarsi verso Gooz. Lo vide immobile, lo sguardo fisso nel vuoto, volto impassibile. Eppure sapeva che quelle parole dovevano averlo pugnalato al cuore. Era la sua fidanzata quella di cui stavano parlando. Infatti Gooz, pur non dandolo a vedere all’esterno, si stava sgretolando dentro. Prima la morte di Billy e ora questa confessione. Sarebbe riuscito a sopravvivere fino a sera? Non aveva alcun appoggio. L’unica cosa che riuscì a fare fu di abbassare lo sguardo e ricacciare indietro le lacrime di sconforto. Quel semplice gesto bastò a Earl come conferma.
Katherine era rimasta talmente sconvolta da quelle parole che stava pilotando senza nemmeno guardare dove andava, il silenzio radio stava diventando assordante. Grazie al suo istinto di capobranco, Rafe salvò la situazione cambiando discorso, concedendosi il lusso di essere protagonista e di parlare a cuore aperto.
“Il tuo aiuto è stato molto prezioso, Katy. Innumerevoli volte mi hai dimostrato di essere un bravo pilota e io sono fiero di te. Ma adesso voglio solo che atterri, al sicuro. Sai... Io non te l’ho detto ma… Quando sono partito per l’Inghilterra, la sofferenza di lasciare tutto non è stata così lacerante. E sai perché? Perché sapevo che ti stavo lasciando in un nido sicuro. Sapevo che Danny ti avrebbe protetta da ogni pericolo, che Evelyn ti avrebbe riscaldato con l’affetto, che i nostri amici ti avrebbero ricoperta di attenzioni. Lo so che ormai sei grande, che sei diventata una donna, però resti sempre la mia sorellina e io non smetterò mai di preoccuparti per te.”
Katherine aveva pianto per tutto il tempo, perciò la sua voce uscì un po’ rauca: “Oh Rafe…”
“Ora atterra e aspettami là. Vado a prendere a calci i giapponesi e torno!” Era come se fossero tornati nel Tennessee, quando erano giovani e innocenti.
“Va bene, fratellone.” Disse, mescolando una piccola risata con un singhiozzo di pianto.
Dalla torre, i ragazzi si scambiarono sguardi nostalgici che Earl interpretò nel modo corretto. Prese la radio e spinse il pulsante di collegamento: “Rafe McCawley, vai tranquillo. Andiamo subito alla pista a raggiungere tua sorella.”
Lui rispose con gratitudine: “Grazie, Earl. Grazie, ragazzi.”
*
Quando arrivarono alla pista col camion, Katherine era infatti già atterrata. La trovarono seduta sul bordo della cabina di pilotaggio, le gambe all’interno, un braccio appoggiato alla cupola aperta, i capelli sciolti che ondeggiavano al vento riflettendo la luce del sole che splendeva radioso, lo sguardo rivolto al cielo limpido, puntato nella direzione da cui sarebbero tornati Rafe e Danny.
Gooz aveva gli occhi incollati a quella visione, non poteva muoversi, non poteva parlare. Una parte di lui stava gridando che quella era la sua donna, quel pilota straordinario era la sua fidanzata e lui ne era fiero, ma l’altra parte, quella più oscura  e profonda, avrebbe solo voluto andarla a prendere e portarla via, custodirla in cassaforte come una pietra preziosa, senza che nessuno potesse toccarla. Combattuto da queste due parti, si impose di restare fermo e di godere di quella bellezza in silenzio per tutto il tempo che gli era possibile.  
*
I due amici non tardarono a tornare. Avevano svolto il loro dovere col massimo impegno fino alla fine dell’attacco ed ora stavano tornando a quella pista dove avrebbero lasciato riposare gli aerei proprio come i cavalieri un tempo facevano coi cavalli dopo una lunga battaglia.
Lo sguardo di Katherine si accese di gioia mentre seguiva l’atterraggio. Quando il fratello uscì dalla cabina di pilotaggio le parve di vederlo risplendere. Era reale o solo un effetto di luce causato dal sole? A terra, i ragazzi lo guardavano con ammirazione, perfino Earl non riusciva a distogliere lo sguardo da lui. Allora era vero che stava brillando, non era la sua immaginazione!
Rafe scese dall’aereo e si diresse verso quello di lei, il passo tranquillo e un’espressione gioviale sul viso.
Katherine scivolò fuori dalla cabina di pilotaggio e si alzò in piedi sull’ala in attesa che il fratello arrivasse. Lui la guardò, notò quanto era bella con il viso baciato dalla luce del sole anche se era sfumato di polvere a causa dall’esplosione alla palestra, quanto era graziosa coi capelli sciolti che fluttuavano nel vento anche se erano sporchi e spettinati, quanto era innocente con quel vestitino arancio anche se uno strappo sul fianco metteva in bella vista la coscia e l’elastico delle mutandine.
Ora era sotto di lei  e poteva ammirarla da vicino, come Romeo e Giulietta nella scena del balcone, anche se il loro amore era di tutt’altro tipo! Aprì le braccia e le sollevò in aria in un chiaro invito.
Lei accennò un sorriso e saltò giù dall’ala con totale fiducia in lui, finendo dritta tra le sue braccia. Un angelo che cade dal cielo non avrebbe potuto essere più incantevole. Le braccia di Rafe erano il suo rifugio, l’unico luogo in cui si sentiva davvero protetta. Quel magico abbraccio le donò immediata serenità.
I loro sguardi si fecero sempre più sorridenti, la realtà stava prendendo di nuovo il posto dell’incanto. Katherine sentì il bisogno di dire quelle parole che per molto tempo aveva detto solo ad una foto o a un pensiero e che ora poteva dire all’uomo in carne ed ossa: “Ti voglio tanto bene, Rafe.” Le lacrime le inumidirono gli occhi.
Rafe sorrise, poi poggiò la fronte a quella della sorella e sussurrò: “Anch’io ti voglio tanto bene, Katy.”
“Anch’io ve ne voglio.”
Entrambi si voltarono verso un Danny alquanto sporco e malridotto che li guardava con volto sorridente, quasi sull’orlo di una risata.
Rafe gli fece un cenno e liberò un braccio per accoglierlo. Si strinsero tutti e tre in quel potente abbraccio, con la voglia di ridere e di piangere contemporaneamente. Un trio che non si sarebbe mai spezzato e che sarebbe vissuto all’infinito.
Dal gruppo di piloti, Gooz si fece avanti con l’intenzione di andare incontro al trio, ma il braccio di Earl gli sbarrò la strada. Lui gli lanciò uno sguardo interrogativo al quale il sergente rispose scuotendo la testa. Non poté far altro che restare lì fermo a guardare la scena, senza poter partecipare.
*
“Sarà meglio che io e te torniamo all’attracco delle navi, Danny. La situazione sarà disperata.”
Le parole di Rafe la portarono bruscamente alla realtà. Vide il suo sguardo serio rivolto a Danny e ascoltò la frase che seguì: “E anche all’ospedale. Anzi, forse è meglio cominciare da lì.”
Un velo di delusione calò sul viso di Katherine: “Ve ne andate ancora?”
Entrambi la guardarono accennando con la testa e Rafe aggiunse: “Tu rimani qui coi ragazzi. Dovrete verificare i danni del dormitorio, della pista e delle strutture adiacenti.
Lei sospirò rassegnata: “Va bene. Ho capito.”
Li guardò allontanarsi e salire sull’auto, apparentemente sembrava tranquilla. Bastò che loro sparissero all’angolo perché i suoi veri sentimenti riemergessero. Il suo corpo prese a tremare.  Si voltò verso il gruppo di piloti, il viso contratto dalla rabbia: “L’ospedale. E’ chiaro. Sempre lei.” Gridò isterica: “Hanno in mente sempre lei! Cos’ha lei che io non ho?”
Nessuno rispose a quella domanda assurda, ma questo servì solo a farle perdere ulteriormente la pazienza. Fece un gesto in aria e sibilò: “Al diavolo.”
Fece per andarsene, sbattendo i tacchi sul duro asfalto con rabbia. Earl si incamminò per seguirla, o meglio, per raggiungerla anche se non sapeva esattamente il perché. Allungò un braccio per afferrarla e improvvisamente si ritrovò a sostenerla in tutto il suo peso.  Gridò verso il gruppo: “E’ svenuta.”
Con attenzione la sollevò fino a riuscire a prenderla in braccio. Nel frattempo Gooz era corso al suo fianco quindi gli ordinò: “Prendi un’auto, dobbiamo portarla al dormitorio.”
Gooz corse via come un fulmine ed Earl cercò di stargli dietro fino a quando trovarono un’automobile in buono stato da poter guidare.  Earl prese posto sul sedile posteriore tenendo sempre Katherine ben stretta a sé, Gooz si mise al volante e fece rombare il motore.
Si voltò verso l’amico: “Che cos’ha secondo te? Perché è svenuta?”
Lui rispose sarcastico: “Non ti bastano gli avvenimenti delle ultime due ore? Muoviti!”
Gooz spinse a fondo l’acceleratore e partì in una pazza corsa.
*
I muscoli erano ancora indolenziti per la tensione, in tutto il corpo non c’era un solo punto che non le dolesse, nella testa un ronzio assordante e il buio completo.
“Rafe? Danny? Dove siete?” Dal modo in cui la voce rimbombava nel vuoto, capì di trovarsi all’interno di un sogno. Si chinò per togliersi quelle maledette scarpe col tacco, per essere un sogno era alquanto doloroso! Si sedette sulla superficie nera, aveva caldo, faceva fatica a respirare, attorno a lei non tirava un alito di vento. Nel suo cuore solo il vuoto.
Si distese, non vedeva nulla eppure puntava gli occhi verso l’alto, come in attesa di qualcosa. Magari di svegliarsi. Si rese conto che la respirazione era tornata normale, il suo corpo non stava più soffrendo come prima. Ora si sentiva solo stanca, aveva voglia di dormire. Ma come si fa ad addormentarsi all’interno di un sogno? Provò a chiudere gli occhi e a rilassarsi. All’improvviso una sensazione benevola la sfiorò. Una sensazione di freschezza, piacevole, la percepì prima sul viso, poi sul collo, sulle braccia, sull’addome, sulle gambe, sui piedi. Il caldo insopportabile di poco fa stava svanendo rapidamente. In lontananza le parve di sentire un rumore musicale. Un gocciolio. C’era dell’acqua. Il dolce suono delle gocce le occupò la testa come una melodia, facendo svanire il ronzio. Prese un bel respiro, riempiendo i polmoni di aria fresca, lo trattenne alcuni secondi e poi lo lasciò andare lentamente. Finalmente stava bene.
Aprì gli occhi lentamente, la luce del giorno era così intensa da darle fastidio. Sbatté le palpebre un paio di volte e lo vide. Il volto di Gooz, chino su di lei. La sua espressione era attenta, vigile, un po’ preoccupata. Sentì la sua mano carezzarle una guancia, un tocco appena percettibile.
“Come ti senti?” Le bisbigliò.
Lei sbatté le ciglia per mettere bene a fuoco l’immagine e quando le parve abbastanza nitida, si arrischiò a rispondere: “Meglio.” La voce era un po’ rauca, ma niente di grave. Vide Gooz chinarsi e poggiare qualcosa sul pavimento. Dal rumore capì che era un catino. Cercò di sollevare la testa, Gooz se ne accorse e si affrettò ad aiutarla e a sistemarle il cuscino dietro la testa. Con un gran sforzo e  con il suo aiuto, riuscì a mettersi in una posizione semi-seduta. Si accorse di avere addosso solo la biancheria intima e rimase un po’ sorpresa.
Gooz spiegò: “Ti ho spogliata io per poterti pulire e rinfrescare. Avevi addosso la polvere dell’esplosione ed eri sudata.”
Lei risollevò lo sguardo su di lui e gli sorrise: “Grazie, amore.”
“Earl ti ha presa prima che cadessi a terra e ti ha tenuta in braccio fin qui al dormitorio.”
Katherine sorrise ancora di più: “Dovrò ringraziarlo, allora!”
Lui inarcò le sopracciglia: “In effetti è stato un comportamento strano da parte sua!” Le prese una mano tra le proprie e cominciò ad accarezzargliela con tutta la dolcezza possibile.
Katherine sospirò: “Ti devo delle spiegazioni per la mia scenata di prima.”
“Non sei costretta  a parlarne adesso.”
“Invece voglio farlo!” Il tono di voce era alterato, a quanto pare le forze le erano tornate in fretta!
“E’ esattamente come sembra. Io detesto quella donna. E non sopporto l’idea che Rafe e Danny la tengano in un palmo di mano. Mi sento come se non fossi più niente per loro.”
“Per me sei tutto, invece.” Il tono non era stato particolarmente severo, ma lo sguardo diceva molto di più, traspariva il suo disagio e la sua irritazione.
Katherine si morse la lingua per essere stata così avventata: “Lo so, non parlavo di te. Quello che stavo cercando di spiegarti è che non sopporto che quella donna si metta in mezzo tra me e…”
“E loro due. Lo so bene. In questo trio perfetto tu non tolleri l’intromissione di una quarta persona. Che sia Evelyn o che sia io non fa differenza, vero?” Era arrabbiato, non voleva più nasconderlo.
Lei si sentì stringere il cuore, era la prima volta che lo vedeva così, era la prima volta che litigavano. Possibile che fosse riuscita a rovinare anche quel rapporto? Le lacrime le riempirono gli occhi: “Non volevo ferirti. Ti chiedo scusa. Io ti amo, Gooz, però ci sono cose che non riesco a superare, che non riesco a capire.”
Lui continuò: “Io ti amo davvero, Kate. So di non essere abbastanza per te, ma ti prometto che farò di tutto per migliorare. Hai visto tutti i lati del mio carattere, partendo dall’idiota che si schianta contro gli scogli e fa discorsi insensati, poi il vigliacco che si è nascosto sotto la scrivania… Ma oggi hai visto anche il soldato che ha mitragliato gli aerei nemici. E soprattutto, ti ho sempre sostenuta nei momenti difficili. Non conta proprio niente per te?”
Lei ingoiò le lacrime, non voleva fare la vittima. Prese tutto il coraggio che possedeva e si sporse per baciarlo. Il contatto con le sue labbra le fece tornare alla mente quel momento di lussuria che l’aveva invasa in precedenza. Era quello l’uomo che desiderava e forse ora poteva averlo, almeno per una volta. Il litigio aveva acceso quella scintilla in lui che lo faceva sembrare così maschio e allo stesso modo aveva acceso la passione in lei. Il tempo di litigare era finito. Tutto ciò che voleva era sentirsi posseduta da quel soldato impavido che aveva lasciato sulla pista. 

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Capitolo 11
*** Scelte sbagliate ***


11
Scelte sbagliate
 
I feretri disposti in file perfette, le foto, i fiori, le trombe che suonavano la marcia funebre, donne piangenti, velette nere, fazzolettini bianchi stretti tra le dita guantate, uomini in divisa con sguardo fisso e mascella serrata, chi entrava, chi usciva… Era come trovarsi in un enorme cimitero chiuso tra quattro mura. Una profonda tristezza impregnava l’aria. Dopo aver detto una preghiera per ogni amico deceduto durante l’attacco, Katherine e Gooz si erano fermati davanti al feretro dove giaceva Billy. Lui riusciva a stento a trattenere le lacrime mentre guardava la foto del suo migliore amico, una foto che lo ritraeva sorridente e con il berretto militare un po’ troppo calato sugli occhi. Katherine teneva un braccio avvolto al suo e gli stringeva la mano. Lui aumentava la stretta ogni volta che inghiottiva le lacrime. Katherine sollevò lo sguardo su di lui, ripensò al momento in cui le aveva dato la notizia, ai giorni in cui aveva pianto parlando di lui, ricordando tutti gli episodi buffi della loro amicizia, il modo in cui Billy rideva alle sue battute, le frasi scherzose con cui lo prendeva in giro quando era ancora single. Per giorni aveva parlato di lui con trasporto, senza riuscire a fermarsi, come se rievocando il suo spirito avesse potuto riportarlo in vita. E ora, di fronte al feretro, non riusciva più a proferire verbo.
Katherine si voltò in un’altra direzione, poco distante da loro c’erano Red e il gruppo di infermiere e dietro loro Danny e Rafe. Si sentì stringere il cuore. In quell’attacco Gooz aveva perso il suo migliore amico e lei aveva perso…Betty. Prese respiro, rendendosi conto di averlo trattenuto.
Si voltò di nuovo verso Gooz e gli sussurrò all’orecchio: “Torno subito, amore.”
Lui rispose con un cenno del capo, quindi lei gli sfiorò la guancia con un bacio e scivolò da sotto il suo braccio.
“Red.”
Lui ebbe un fremito nel sentire quella voce all’improvviso, alzò lo sguardo e incontrò quello di lei, entrambi avevano gli occhi carichi di lacrime. In un gesto assolutamente naturale, Red aprì le braccia e accolse l’amica in quell’abbraccio che solo loro potevano capire veramente.
Katherine contrasse il viso nella speranza di bloccare le lacrime, ma non ci riuscì. La voce le uscì spezzata nel dire: “Non la dimenticherò mai.”
Lui la strinse ancora più forte a sé e lasciò che delle lacrime cadessero sui capelli di lei, ben pettinati ma sciolti sulle spalle e fermati solo da una forcina diamantata sulla nuca.
Quando si sciolsero dall’abbraccio, Katherine fece un passo verso le ragazze. Porse loro le mani, a cui Barbara e Martha si aggrapparono con riconoscenza. Sandra si fece avanti e unì le mani a sua volte su quelle delle amiche, quindi tutte e quattro sporsero le teste in avanti per chiudere il cerchio. Una tacita preghiera e i loro sguardi si sollevarono, fondendosi in un tutt’uno. Katherine cercò di abbozzare un mezzo sorriso, mentre le lacrime le rigavano le guance. Si sciolse dalle amiche lentamente. Notò che Evelyn si era avvicinata, forse nella speranza di dirle qualcosa, ma lei fu scaltra a schivarla fingendo di non averla vista. La perdita di un’amica in comune non era sufficiente a stabilire una tregua.
Con mano leggermente tremante sfiorò il feretro, il legno di colore chiaro e ben lucidato scivolò sotto le sue dita come seta. Non poteva credere che la sua piccola mascotte, la sua dolce amica, fosse davvero lì dentro. Perché il destino era stato così crudele? La ricostruzione dei fatti era semplice, mentre stava correndo all’ospedale si era ritrovata nella traiettoria dei proiettili giapponesi ed era rimasta uccisa. Katherine allungò lo sguardo verso la foto che la ritraeva. Era bellissima con i suoi grandi occhi luminosi e il viso sorridente. Era così giovane, diciassette anni appena. Era fidanzata con Red da più tempo di lei con Gooz, solo che Betty aveva accettato subito la proposta di matrimonio ed aveva dimostrato più volte di essere pazza di Red nonostante il suo inguaribile difetto della balbuzie.
“Non è giusto che sia finita così.” Le parole le uscirono appena percettibili.
Premette la mano contro il legno all’incirca all’altezza in cui dovevano trovarsi le mani di lei. Se non poteva toccarla fisicamente, almeno poteva farlo spiritualmente. Con gli occhi incollati alla foto, le venne spontaneo sorridere tra le lacrime: “Ti ringrazio di tutto, piccola.” In qualche modo, sapeva che lei l’aveva sentita.
Tornò da Gooz con passo lento per darsi il tempo di asciugarsi le lacrime con il fazzolettino e infilarlo nuovamente sotto la giacca. Si era dimenticata di portare con sé la pochette, quello strumento femminile che lei considerava così inutile e ingombrante, ma che quel giorno avrebbe voluto avere per sentirsi più integra.
Sfiorò il braccio di Gooz, attirando così la sua attenzione: “Andiamo?”
Non voleva strapparlo via da lì, ma la sua forza si stava riducendo visibilmente e aveva bisogno di allontanarsi da tutto quel dolore. E sperava che lui fosse della stessa opinione.
Fortunatamente Gooz fece un cenno positivo, le cinse le spalle con un braccio e si avviarono insieme verso l’uscita.
Vedendoli, Rafe si allontanò dal gruppo e corse per raggiungerli chiamando il nome della sorella. Entrambi si voltarono e lui, vedendo l’espressione affranta di Gooz, si sentì improvvisamente in colpa per la propria invadenza: “Oh, scusatemi.  Volevo parlare con Katy ma…mi rendo conto che forse non è un buon momento.”
Gooz lo tranquillizzò, la voce stanca e gli occhi gonfi per i lunghi pianti di quei giorni: “Figurati, Rafe. Hai tutto il diritto di parlare con tua sorella.” Poi si rivolse a lei: “Ho visto Earl fuori, vado a vedere come sta. Sai, lui non sopporta queste situazioni.”
Lei sfoggiò uno sguardo preoccupato: “Sicuro? Se vuoi io e Rafe possiamo rimandare.”
“No, parlate pure. Ti aspetto fuori quando hai terminato.”
Mentre lui si allontanava, Rafe non poté fare  a meno di notare: “Si vede che sta soffrendo.”
Lei si umettò le labbra e rispose: “Sì. Anche se all’apparenza non sembra, in realtà  è molto sensibile.”
Rafe si schiarì la voce e propose saggiamente: “Bene, andiamo fuori a passeggiare.”
*
Nonostante il verde dei giardini facesse da tranquillante naturale e le palme dessero un tocco di esotico all’ambiente, la tensione tra i due fratelli si poteva quasi toccare. Non avevano ancora avuto occasione di fare una chiacchierata introspettiva a causa del duro lavoro dopo l’attacco e ora entrambi sembravano temere il discorso.
Forse perché era il più grande, il più coraggioso o solo la figura maschile, Rafe si schiarì la voce e ruppe il ghiaccio: “Allora è la verità. Non parli più con Evelyn.”
Lei rispose strascicando le parole e tenendo lo sguardo basso: “Non sopporto nemmeno la sua vista, se devo essere sincera.”
“Credo di sapere il motivo, però preferirei sentirlo dalle tue labbra.”
“Ha infangato la tua memoria.” Rispose secca.
Rafe sospirò: “E?”
“E cosa?”
“Dillo.”
Stavolta fu Katherine a sospirare e concentrarsi per trovare il coraggio di ammetterlo: “Mi ha portato via Danny.”
Lui fece un cenno col capo anche se la sorella non lo stava guardando: “Temevo che fosse questo il vero motivo.”
“Ora dirai che sono una stupida perché è successo tutto a causa mia. Prima l’ho lasciato per Doolittle, poi l’ho ripreso e dopo l’ho lasciato per Gooz. E quando lui si è messo con un’altra ho cominciato a fare scenate per…”
Rafe la interruppe: “Perdonami, hai detto di averlo lasciato per Gooz?”
Lei lo guardò con sospetto: “Sì, perché?”
Lui rimase a bocca aperta: “Ecco perché si è messo con Evelyn. Io credevo fosse stato lui a lasciare te. Non lo capisci? Quando mi credevano morto, lei è rimasta sola e lui non poteva contare su di te. Questo ha fatto sì che si avvicinassero.” Strinse i denti, sentendo il sangue salirgli alla testa.
Dal canto suo, Katherine avrebbe voluto scomparire per la vergogna e per la paura. La reazione di Rafe era del tutto giustificata. Era davvero colpa sua se si era formata quella coppia. Deglutì un groppo alla gola: “Ti prego, non odiarmi.”
Lui si passò una mano tra i capelli, spazzolandoli all’indietro, un gesto che poteva essere interpretato come un modo per ritrovare la calma. Attese alcuni secondi, lasciandola sulle spine, poi si decide a rispondere: “Non potrei mai odiarti. E’ andata così, non si può tornare indietro.”
Quella frase le riportò alla mente una cosa importante, una cosa che aveva bisogno di sapere e che non voleva più rimandare. Prese respiro e sollevò lo sguardo sul fratello: “Rafe, ho bisogno di saperlo. Quand’è che Danny ha tentato di chiedere la mia mano?”
Lui si bloccò un istante, il piede a mezz’aria e lo sguardo fisso nel vuoto, ma fu solo un attimo, riprese a camminare e disse: “Forse sarebbe meglio che non lo sapessi.”
Lei allungò un braccio verso di lui e lo costrinse a fermarsi: “Ti prego.”
Vide il suo volto ansioso, la piccola ruga al centro della fronte che pulsava solo quando lei era agitata. Come poteva evitarlo?
Sospirò: “La prima è stata quando siamo tornati nel Tennessee per il suo compleanno. La seconda invece è stata a Long Island, la sera in cui lo lasciasti per Doolittle. Ti aveva preso un bell’anello d’argento con un diamante a forma di goccia. Semplice ma incantevole. Perfetto per te.”
Lo sguardo di Katherine tremò: “Oh Dio. Sono un mostro.”
Lui le mise le mani sulle spalle, per confortarla: “Non dire così, io…”
Lei alzò il tono di voce: “Se non avessi commesso tutti quegli errori, a quest’ora io e Danny saremmo già marito e moglie.”
Lui alzò il tono di voce a sua volta: “E se io non fossi partito non avrei perso Evelyn. Davvero vuoi giocare a ‘di chi è la colpa’? In questa partita siamo pari, quindi è inutile continuare a parlarne.”
Era stato troppo severo. Non era sua intenzione. Avvinghiò la sorella in un abbraccio, la strinse forte a sé per riallacciare quella connessione fraterna che li aiutava a superare ogni cosa insieme. Le baciò i capelli con affetto.
Katherine ricambiò la sua stretta, aveva bisogno della sua forza, aveva bisogno di sentirsi protetta e solo lui poteva darle tutto questo. Gli disse piano all’orecchio: “Cosa farai adesso?”
Lui si ritrovò ad inarcare lievemente le sopracciglia. Non ci aveva ancora pensato. Sapendo che con lei poteva essere onesto, rispose semplicemente: “Non lo so, Katy. Non lo so.”
*
Come se i problemi non fossero già abbastanza, come se la situazione sentimentale di tutti loro non fosse già intricata, un altro fantasma decise di ricomparire nelle loro vite. E lo fece attraverso lettere di richiamo nel Continente per la maggioranza dei piloti. Doolittle. Questo non fece che irritare Katherine ulteriormente. Chissà per quanto tempo non avrebbe potuto rivedere Rafe e Gooz. E Danny. Non poteva lasciarlo andare senza prima averlo affrontato faccia a faccia. Non quando c’erano in ballo un anello di fidanzamento e anni d’amore.
Non avendolo visto rientrare al dormitorio, in principio aveva pensato che fosse rimasto con Evelyn, magari per dedicarsi a strazianti saluti e nauseanti promesse d’amore, per questo pensò che sarebbe stato deliziosamente maligno da parte sua interromperli! Invece apprese da Sandra che Danny non era lì da loro, Evelyn era rientrata senza di lui. C’era solo un posto dove avrebbe potuto trovarlo. Lì dove tutto era finito. La spiaggia. Danny era là, seduto sulla sabbia, le gambe piegate a piramide, i gomiti puntellati sulle ginocchia, le mani a coppa per sostenere il mento.
Katherine si sentiva sempre più insicura man mano che si avvicinava, temeva di disturbarlo ma allo stesso tempo desiderava farlo. Ora era accanto a lui, strinse tra le mani le scarpette nere che si era dovuta togliere per camminare sulla sabbia, poi le posò. Sempre in silenzio, prese posto sedendosi accanto a lui, ma non lo guardò.
“Portami a vederlo, per favore.”
Danny non mosse un solo muscolo, sembrava non aver udito, e invece all’improvviso rispose con noncuranza: “Dubito che il cinematografo sia aperto a quest’ora. Soprattutto dopo quanto è accaduto la settimana scorsa.”
Katherine si voltò di scatto: “Di cosa stai parlando?”
“Hai detto che devo portarti a vederlo. Suppongo tu stia parlando di un film.”
Lei scosse la testa, suo malgrado divertita da quell’umorismo fuori luogo: “No, Danny. Parlavo dell’anello.”
Quella parola lo risvegliò come se avesse preso la scossa. Lasciò ricadere le braccia e si voltò verso di lei con aria allarmata: “E’ stato Rafe?”
Katherine si alterò: “Non ha importanza! Dannazione! Portami a vederlo!”
Danny si voltò di nuovo verso il mare emettendo un sospiro. Il suo sguardo perse ogni traccia di sentimento: “Non c’è bisogno di andare da nessuna parte.”
Un invisibile masso le crollò sullo stomaco. La voce le uscì in un sussurro nel chiedere: “Lo hai…gettato?”
“No.” La voce di Danny arrivò forte come un colpo di pistola. Si alzò in piedi e fece alcuni passi verso la riva, giusto quel che bastava perché la schiuma gli bagnasse i piedi nudi.
Katherine si alzò di riflesso e gli andò accanto: “Ma allora…”
Lui la interruppe: “Lo tengo costantemente nelle mie tasche dal giorno in cui l’ho comprato. Non me ne separo mai.” Scoppiò a ridere amaramente: “Rischio sempre di perderlo. O peggio, che Evelyn lo trovi, ma non me ne importa niente. Ho bisogno di averlo con me, è diventato il mio talismano. Ogni volta che mi sento abbattuto o devo affrontare qualche problema, mi basta stringerlo tra le dita per ricordare che nella vita ci sono cose peggiori. Come essere lasciato dalla donna che amo.”
Infilò la mano nella tasca destra dei pantaloni e la ritrasse chiusa a pugno, per poi volgerla a lei.
Katherine porse la mano aperta, attese di sentire il piccolo freddo fardello sul palmo e istintivamente chiuse la mano a pugno. Prese un bel respiro e riaprì la mano. Era lì, esattamente come Rafe lo aveva descritto. Le piaceva da impazzire. Solo quando sentì il sapore di salsedine in bocca si rese conto di avere le labbra socchiuse. Le uscì un sognante: “E’ bellissimo!”
Danny emise un gemito di gola e increspò le labbra in un sorriso sarcastico: “Mai quanto l’opera d’arte di Gooz!”
Lei lo rimproverò con tono severo: “Danny. No.”
“Sai cosa mi rompe di tutta questa storia?” Doveva essere una domanda retorica visto che il suo sguardo era praticamente incollato al paesaggio marittimo, però il tono di voce alterato spinse Katherine a rispondere ugualmente.
“No. Cosa?” Si rese conto di aver innescato il conto alla rovescia della bomba che era in lui, ma ormai era troppo tardi.
“Io ce l’ho messa tutta. Dico davvero! Mi sono ripreso dopo che tu mi hai scaricato per Doolittle. Mi sono messo da parte quando tu  mi hai scaricato ancora per metterti con Gooz.  Ho accettato di essere il tuo giocattolo quando soffrivi per la perdita di Rafe. E cos’ho ottenuto in cambio?” Assestò un pugno all’aria e gridò: “Solo problemi!”
Katherine era pietrificata, non avrebbe potuto parlare nemmeno sotto tortura. Era la prima volta che lo vedeva in quello stato.
Danny riprese il suo monologo, questa volta gesticolando animatamente, ma sempre guardando il mare: “Con Evelyn avevo finalmente trovato il mio posto. Lei era la ragazza giusta per me ed era riuscita a rendermi felice nei pochi mesi che siamo stati insieme. Sì, voglio gridarlo a tutto il mondo: io-sono-stato-felice! Per un maledetto breve lasso di tempo sono stato felice davvero. E poi cos’è accaduto? In una notte ho perso tutto. Rafe è tornato dall’oltretomba per riprendersela e il nostro Paese è entrato in guerra.” Emise una risata isterica, seguita da un gesto altrettanto isterico rivolto al vuoto, poi una veloce passata tra i capelli e di nuovo un pugno all’aria. E in un battito di ciglia tornò il Danny di sempre. Ritirò i piedi dall’acqua e si voltò verso Katherine con occhi pieni di lacrime: “Sai cosa mi rompe di tutta questa storia?”
Nonostante questa volta fosse davvero una domanda rivolta a lei, non riuscì a rispondere.
Lui continuò: “Io non ho mai smesso di amarti. Sono legato a te da una forza che va oltre la ragione, oltre la vita, oltre il tempo. Ovunque vada, qualunque cosa accada, io appartengo a te. Lo capisci?”
Ormai Katherine aveva gli occhi gonfi di lacrime quanto lui. Ma Danny non riusciva a fermare quel flusso di parole: “Posso stringere Evelyn tra le mie braccia e dirle che l’amo un milione di volte. Non ha alcuna importanza. Nei suoi occhi continuerò a vedere i tuoi, facendo l’amore continuerò a pensare a te, ogni parola d’amore che dirò sarà rivolta a te, ogni volta che lei mi risponderà io sentirò la tua voce.” Strinse le labbra con forza per non scoppiare a piangere, lo sguardo agitato.
Katherine gridò di punto in bianco: “Danny, sposiamoci.”
Se voleva la sua attenzione, l’aveva ottenuta. Fece un passo avanti e proseguì con sicurezza: “Smettiamola di scappare dal destino. E’ evidente che dobbiamo stare insieme. Qualunque scelta facciamo ci ritroviamo sempre qui. Io e te e il mondo fuori.” Aprì le braccia in un segno di libertà: “Mandiamo tutto al diavolo e costruiamoci una vita insieme!”
Danny aggrottò la fronte e scostò lo sguardo. Aveva tutto il diritto di arrabbiarsi. Probabilmente le avrebbe dato della pazza e se ne sarebbe andato. Magari avrebbe spifferato tutto a Gooz solo per vendetta. Avrebbe potuto fare di tutto, se lo aspettava. Tutto tranne incontrare i suoi occhi da cucciolo e sentire la sua voce rispondere: “Facciamolo. Subito.”
Katherine sgranò gli occhi. Aveva sentito bene? La stava prendendo in giro? Era diventato completamente matto? Si ritrovò a balbettare: “Sub…? Cos…? N-no. Aspetta. Io non…non…”
Lui sdrammatizzò: “Cristo, mi sembra di sentire Red!”
“Non dirai sul serio.”
“Conosco solo lui con questo problema.”
Lei alzò gli occhi al cielo: “Non quello. Parlavo della tua pazzia. Che senso ha essere così precipitosi? Domani partirai per ordine di Doolittle, non sai nemmeno quando ci rivedremo.”
Danny si animò e prese le mani tra le sue: “Proprio per questo voglio farlo ora. Non ho idea di cosa accadrà, per una volta nella mia vita voglio essere io a decidere del mio destino. Voglio unirmi a te e sapere che sarai mia per sempre.”
Lei dischiuse le labbra, ancora confusa da come quella conversazione aveva cambiato la traiettoria. In suo soccorso vennero i sensi di colpa: “Come lo diremo a Gooz ed Evelyn?”
“Ci penseremo dopo. Francamente ora non mi importa un accidente di loro!” Il tuo tono era allegro, neanche stesse parlando di palloncini e zucchero filato…
“E le fedi? Io posso usare l’anello che mi hai dato, ma tu? Non puoi legarti a me senza fede.”
Lui le lasciò le mani sbuffando. In effetti non ci aveva pensato.  Si passò una mano tra i capelli, pensando, quando all’improvviso il suo volto si illuminò: “La fedina di mio nonno. Me l’affidò alla sua morte, la porto sempre con me quando viaggio.”
“Non sapevo che avessi una collezione di anelli!”
Lui non la sentì nemmeno, batté le mani entusiasta: “E’ perfetto! Mentre io corro al dormitorio per prenderla, tu recati in quella piccola chiesa protestante qua vicino. Vedi se c’è quel tizio…prete, reverendo, il papa in persona, chiunque sia supplicalo di sposarci. Io ti raggiungo al più presto.” Si buttò sulla sabbia e recuperò le scarpe che si infilò in tutta fretta.
Katherine era immobile, perplessa, spaventata, eccitata, mille domande le ronzavano nella mente come uno sciame di api impazzite. Eppure l’unica domanda che riuscì a formulare fu: “E se cambi idea durante il tragitto?”
Lui si lanciò in una corsa sfrenata, senza voltarsi indietro: “Faccio finta di non aver sentito.”
Lo sguardo preoccupato di Katherine lo seguì fino a quando fu possibile e quando si ritrovò di fatto sola, fu assalita dalla paura. Si abbracciò e cercò di infondersi coraggio: “Andrà tutto bene. Devo solo convincere il Reverendo.” Il solo pensiero le fece venire le farfalle allo stomaco. Se lei stessa era la prima ad ammettere quanto quella situazione fosse assurda, come avrebbe convinto un estraneo?
Batté un piede così forte da creare una piccola fossa sulla sabbia e gridò al vento: “Sì. Sto per sposare Danny e nessuno mi fermerà!”
Afferrò le scarpette da terra e scattò nella direzione opposta a quella presa da Danny. Corse come una pazza per dieci minuti buoni e quando avvistò la chiesetta riuscì perfino ad aumentare la velocità. Solo quando arrivò a destinazione si fermò a riprendere fiato e si accorse di aver tenuto le scarpe in mano per tutto il tempo. Le gettò a terra e si affrettò ad infilarsele ai piedi. Il suo sguardo si mise involontariamente ad esaminare l’edificio, piccolo, coi marmi anneriti dal tempo che lo rendevano un po’ spettrale, ma ciò che le fece mancare un battito fu vedere le porte, dal legno bruciato dal sole, chiuse.
Salì i pochi gradini dell’ingresso e si gettò di peso su quelle porte, sbattendo i pugni e gridando: “Aprite, per favore. E’ importante. Qualcuno mi sente? Hey! C’è nessuno?”
“Signorina, cosa succede?” La voce era maschile e l’accento straniero.
Katherine si voltò e vide che si trattava del Reverendo, probabilmente sbucato da un ingresso laterale. Si staccò dalle porte e si precipitò da lui, le mani già unite in preghiera: “Reverendo, ho bisogno di lei.”
*
Danny sfrecciò nel corridoio del dormitorio senza incontrare ostacoli. E con “ostacoli” lui intendeva “persone”. Si fermò giusto in tempo per non schiantarsi contro le porte vetrate che conducevano alla propria camerata. Afferrò la maniglia e scivolò dentro, ricominciando a correre. In prossimità del proprio letto si buttò sulle ginocchia e si lasciò scivolare sul pavimento, finendo dritto addosso al baule in cui teneva i propri effetti personali. Spalancò il coperchio e si mise a frugare come un procione nella tana, per poi sollevare una mano al soffitto e gridare trionfante: “Trovata!”
Senza preoccuparsi di richiudere il baule, si rimise in piedi e scattò verso la porta, ma quando imboccò il corridoio…
“Hey Walker, hai un momento?”
Danny si fermò, inciampando sui suoi stessi piedi, fortunatamente senza cadere a terra come un idiota. Strinse la fedina nel pugno, sperando che lui non la notasse: “Hey Gooz! Dimmi tutto, amico!” Aveva usato un tono gioviale, ma lui non sembrava proprio nelle condizioni di sorridere. Il suo aspetto trasandato e stanco lasciava intendere che non si era ancora scrollato di dosso la cerimonia funebre della mattinata.
“Per caso hai visto Kate?”
“No! Cioè, sì. Cioè…” Si impose autocontrollo e usò un tono più serio: “L’ho intravista dopo la funzione, stava parlando con Rafe.”
“Sì, però dopo mi ha raggiunto e siamo tornati insieme al dormitorio. Mi sono unito ai ragazzi per parlare di Billy e dopo un po’ mi sono accorto che lei se n’era andata.”
Danny sentì una morsa al cuore sentendo il nome dell’amico scomparso. Per un po’ aveva dimenticato tutto, tutti gli amici che non c’erano più. Avrebbe potuto essere uno di loro.
Gooz, vedendo di aver perso la sua attenzione, gli parlò ancora per riportarlo al presente: “Se dovessi vederla, dille che devo parlarle con urgenza.”
Danny osservò quegli occhi tristi e cerchiati e si sentì un vigliacco. La mano nella quale stringeva l’anello tremò.
“Certo, Gooz.” La voce gli era quasi mancata nel dirlo. Dovette distogliere lo sguardo e andarsene, altrimenti le forze lo avrebbero abbandonato.

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Capitolo 12
*** Marito e moglie ***


12
Marito e moglie
 
Danny stava correndo come se avesse il diavolo alle calcagna, forte, sempre più forte, il vento tra i capelli, la giacca che gli stringeva le spalle, gli mancava l’aria, aveva disperatamente bisogno di rivedere la sua Katherine. E alla fine eccola, seduta sui gradini della chiesetta, il vestitino nero aderente e le lunghe gambe in mostra.
“Katy, sono qui.” La richiamò anche se era ancora distante.
Lei si voltò di scatto e, quando lo vide, il suo viso si accese di gioia, si alzò dai gradini per accoglierlo.
Danny rallentò fino a fermarsi proprio di fronte  a lei: “Ce l’ho fatta. Ho la fedina.”
Lei gli prese le mani e lo aggiornò sugli ultimi fatti: “Ho raccontato la nostra storia al Reverendo e lui ha acconsentito ad unirci in matrimonio. Però…” Il suo sorriso si spense un po’.
“Però cosa?”
“Ad una condizione. Trovare due testimoni.”
Danny rise: “Tutto qui? E’ presto fatto!” Si guardò attorno fiducioso, come se un miracolo potesse arrivare lì per lui. E aveva ragione! Dall’angolo della strada sbucò una coppia di turisti di mezza età in tenuta da spiaggia. Danny gli si fiondò di fronte emettendo uno strillo da cowboy, cogliendoli di sorpresa: “Buongiorno cari signori! Vi sembrerà assurdo, ma devo chiedervi un immenso favore. Io e la mia ragazza vorremmo sposarci e avremmo bisogno che qualcuno…”
L’uomo, con sguardo vuoto sotto a delle folte sopracciglia bionde, lo interruppe: "Je ne comprend pas.".”
L’entusiasmo di Danny si sgonfiò come un palloncino, la sua faccia divenne triste come quella di un cagnolino lasciato solo dal padrone, però la determinazione lo spinse a tentare di farsi capire con l’aiuto dei gesti e di qualche nozione spagnola e tedesca dei tempi della scuola. Era così buffo che Katherine non poté trattenere una risata, con tanto di lacrime agli occhi e mani strette all’addome.
“Madame, Messieur, s’il vous plait.” Il Reverendo scese i gradini con calma, sotto gli sguardi sorpresi della coppia e il sorriso da beota di Danny. Fortunatamente quell’uomo era tanto gentile quanto scuro di pelle e, oltre ad essersi dimostrato di buon cuore accettando quel matrimonio bizzarro, ora era anche intervenuto per parlare personalmente con la coppia di turisti in favore dei due sposini.
Pur non capendo il discorso, a Danny fu chiaro quale fosse l’esito quando l’uomo gli mise una mano sulla spalla e gli fece un cenno affermativo col capo e la moglie gli sorrise.
Entrarono in gruppo all’interno della chiesetta, dove il Reverendo si era già occupato di addobbare l’altare per la cerimonia. I due testimoni presero posto sulle panche, Katherine salì all’altare e si chiuse a guscio per prepararsi spiritualmente, Danny approfittò della momentanea assenza del Reverendo per prendere una rosa bianca dalle composizioni.
Braccio sinistro dietro la schiena, inchino galante, braccio destro porto in avanti e la rosa bianca tra le dita: “Per la mia sposa.”
Katherine ne rimase incantata, non tanto per il dono, ma per il fatto che lui avesse pensato a quel piccolo dettaglio. La prese con gentilezza e gli sorrise: “Grazie, amore mio.”
“Possiamo dare inizio alla cerimonia.” Una volta tornato, con addosso la tonaca adeguata, richiamò l’attenzione con quella maestosità che solo un rappresentante di Dio poteva avere.
Di quella cerimonia si poteva dire di tutto tranne che fosse un grande evento, se si consideravano i fatti. La sposa indossava un abito da lutto, lo sposo era in divisa militare, ma senza cappello e coi capelli spettinati, il Reverendo doveva ripetere le frasi in bilingue e i testimoni indossavano indumenti assolutamente inadeguati ad un luogo sacro. Eppure la magia non mancava grazie agli sguardi innamorati dei due sposi e ai sorrisi sinceri che brillavano sui loro volti. Quando si scambiarono le fedi nuziali, il patto venne suggellato e Danny prese la sua sposa tra le braccia per baciarla mentre il Reverendo stava ancora pronunciando le parole “io vi dichiaro marito e moglie”.
*
Rafe si adagiò quanto più piano possibile sul materasso, facendo attenzione a non piegare la schiena, evitando così di alimentare quel dolorino martellante che lo infastidiva da un paio di giorni. Il cuscino era morbido, forse un po’ troppo, ma ugualmente preferì portarsi le mani intrecciate dietro la testa. Emise un sospiro di sollievo socchiudendo gli occhi e disse a mezza voce: “Che giornatacce.”
Chiuse gli occhi nella speranza di addormentarsi, non appena incontrò il buio nella sua mente comparve il viso della sorella, malinconico come lo aveva visto poche ore prima.
“Povera Katy… L’ho lasciata sola per quasi un anno. E quell’idiota di Danny se la spassava con la mia ragazza invece di stare accanto a lei.”
I suoi pensieri amari contro quello che aveva considerato un fratello fin dall’infanzia gli fecero battere il cuore con forza brutale.
“Eppure ora sono pronto a scendere in campo al suo fianco. Qualunque cosa abbia in serbo per noi Doolittle.”
Pensò a tutte le bravate, a tutti quei momenti gioiosi che aveva condiviso con Danny e con Katherine, mentre cercavano un modo per farsi strada nel mondo, insieme, loro tre. Il trio perfetto. Era stato lui a spezzare la trinità, il giorno in cui se n’era andato. E ora era troppo tardi, niente sarebbe più stato come prima. Un’immagine di loro tre bambini che corrono tra i campi lo fece sorridere. Era quella la sua medicina, il suo pensiero felice, l’immagine con cui voleva addormentarsi.
La sequenza sfocata di immagini del passato  fu squarciata di netto da una risata. Femminile, molto civettuola, un po’ infantile. No, non una: due. La seconda era maschile. Udendo il pesante tonfo di una porta sbattuta, Rafe aprì gli occhi istintivamente. Ora le risate erano a malapena coperte dalla parete della stanza. Un altro rumore non ben definito e il cigolio delle molle del materasso gli diedero un pugnalata allo stomaco. Aveva voglia di vomitare. Ma la vera scintilla fu causata da dei gridolini e da un fastidioso “no” seguiti da uno strillo da cowboy a spingerlo ad alzarsi dal letto. Il dolore alla schiena era miracolosamente sparito.
Con passo sicuro andò alla porta, l’aprì e svoltò l’angolo per ritrovarsi di fronte alla porta dei rumorosi vicini. Sollevò il pugno in aria, ma prima di sferrare il colpo si accorse del cartello appeso alla maniglia con uno spago. Abbassò il braccio e lesse le parole sbiadite dal tempo che erano incise sul cartello. Dicevano “Just Married”. Lasciò andare il cartello e fece un’espressione disgustata: “Quale idiota passerebbe la prima notte di nozze in una squallida camera di motel di fronte ad una pompa di benzina?”
Emise un suono sprezzante con la bocca e rientrò nella propria stanza sbattendo la porta alle proprie spalle. Guardò l’orologio appeso alla parete, segnava le sette.
“E non hanno nemmeno aspettato il dopocena! Che zoticoni di campagna. E pensare che sono un campagnolo anch’io.”
Si massaggiò la fronte con la mano, ormai rassegnato. Prese un bel respiro e sentenziò: “D’accordo. Ora andrò a cena e poi tornerò qui con un paio di birre. Spero che basteranno a farmi crollare fino a domattina.”
*
Danny aprì gli occhi pigramente. Dapprima il suo sguardo incontrò il soffitto ingiallito, poi lentamente fece una panoramica della stanza, dove la luce frammentaria proveniente dalla finestra sembrava giocare con la sobria mobilia e le macchie sulle pareti. Il calore umano del corpo che aveva abbracciato per ore gli portò alla mente la dolce realtà e gli donò un sorriso. Con una leggera torsione del collo riuscì a piegarsi abbastanza da poter vedere quello spettacolo di dolcezza. I capelli biondi sparsi ovunque, la testa appoggiata sul suo petto, gli occhi chiusi, le lunghe ciglia chiare, la linea del naso, le labbra chiuse a bocciolo come quelle di un bebè, una mano dalle dita rilassate che veniva alzata e riabbassata al ritmo del respiro di lui. Un piccolo movimento del corpo e Katherine dischiuse le labbra per prendere respiro. Le sue gambe si stiracchiarono sotto le lenzuola, le dita della mano si mossero per giocare con la peluria, gli occhi erano ancora chiusi.
Danny fu preso da una voglia di tenerezza improvvisa. Con il braccio strinse quel corpo a sé più saldamente e allungò il collo fino a riuscire a stampare un bacio sulla spalla di lei. Solo allora Katherine aprì gli occhi e sollevò il capo.
“Ciao.” La voce ancora roca per il sonno e un lieve sorriso sulle labbra.
Danny ricambiò il sorriso e chiese in un sussurro: “Tutto bene, signora Walker?”
Lei emise solo dei gemiti affermativi a labbra chiuse, cercando di nascondere la contentezza che provava nel sentire quelle parole. Il suo sguardo si spostò dagli occhi di Danny alla parete della stanza dove era appeso l’orologio. La figura inizialmente nebbiosa si fece più nitida, rivelando la posizione delle lancette. Katherine si sollevò di scatto: “E’ quasi mezzogiorno!”
Danny si tirò su a sedere, però con assoluta tranquillità: “E allora?”
“Ci daranno per dispersi! Manchiamo da quasi un giorno!”
Di fronte a quegli occhi sbarrati, Danny si lasciò andare ad una risata: “Non essere così drammatica.  Abbiamo fatto l’amore fino all’alba, meritavamo un po’ di riposo.”
Si sporse su di lei per stamparle un altro bacio sulla spalla. Poi uno più su. Uno ancora più su. Uno sul collo. Katherine abbandonò ogni timore e si lasciò andare al tocco di quelle labbra calde. Un bacio sulle labbra e i loro occhi s’incontrarono. Danny l’afferrò per il girovita e la spinse giù sul materasso, facendole emettere un gridolino, quindi si adagiò su di lei e le rubò un lungo ed intenso bacio.
Quando le labbra si separarono, Danny sospirò: “Vorrei non partire. Ma il mio senso del dovere me lo impone.”
Katherine gli accarezzò una guancia: “Lo so, amore. Se può consolarti, prometto che ce la metterò tutta per non tirare il collo ad Evelyn.”
Danny sorrise suo malgrado, ma tornò subito serio: “Sii gentile con lei durante la mia assenza. E’ l’unico favore che ti chiedo.”
Lei sospirò: “Non sarà facile ma…lo farò. Per te.”
Danny continuò: “E io ti prometto che baderò a Gooz mentre siamo via. Santo Dio dobbiamo fare quest’ultimo sacrificio per loro. Per Evelyn e per Gooz.”
*
Si rivestirono lentamente, senza dire una parola e senza guardarsi negli occhi.  Danny stava per terminare di abbottonarsi la camicia, ma si fermò quando si accorse che Katherine era immobile a contemplare l’anello del matrimonio. Si avvicinò a lei e attirò la sua attenzione sfiorandole una spalla: “Va tutto bene?”
A quel sussurro, Katherine alzò lo sguardo, aveva gli occhi pieni di lacrime: “Non ho il coraggio di sfilarlo.”
Danny le prese la mano e sfilò l’anello dal dito molto lentamente. Le sorrise: “E’ solo per un po’ di tempo. Quando tornerò potrai indossarlo ancora. E sarà per sempre. Naturalmente quando torneremo nel Tennessee ti donerò la fede nuziale appartenuta a mia nonna. Ti piacerà, ne sono certo. All’interno c’è incisa la parola ‘always’ e…” Si interruppe ritrovandosi le braccia di lei attorno al collo.
“Non ce la faccio, Danny.” La sua voce era spezzata dal pianto.
Lui inizialmente la strinse forte per confortarla, ma poi la scostò da sé e la scosse severamente: “Avevi promesso di non comportarti così.  Piangere non servirà a niente.  Credi che per me sia facile? Dovrò abbracciare Evelyn, forse baciarla e farle giuramenti d’amore, quando invece vorrei solo dirle la verità. E tu dovrai fare la stessa cosa con Gooz affinché lui parta tranquillo.”
Katherine aveva smesso di piangere, turbata dalle percosse, e ora lo stava fissando con aria rassegnata.
Lui continuò incalzante: “Dobbiamo fargli credere che sia tutto a posto. Dobbiamo fare in modo che si sentano amati, fino al giorno in cui gli sbatteremo in faccia la verità.  Abbiamo fatto una cosa orribile, Katy, e saranno loro a pagarne le conseguenze. Il minimo che possiamo fare è donargli un’ultima illusione d’amore.”
Katherine si sciolse dal suo abbraccio violento, infilò una mano nella piccola tasca della giacca funebre e ne estrasse l’anello a forma di fiore. Lo indossò con disimpegno, nella mente solo il pensiero dell’altro anello. Si rivolse a Danny: “Posso indossare il tuo come ciondolo, almeno? Non sopporterei l’idea di seppellirlo in una tasca.”
Con gesto sicuro, sganciò la catenina che aveva al collo e porse un’estremità a Danny affinché lui potesse infilare l’anello a forma di goccia. Lo osservò mentre scivolava lungo il filo della catenina, per poi scontrarsi con la croce argentea emettendo un tintinnio. Katherine riagganciò la catenina al collo e fece per incamminarsi verso la porta della stanza.
Danny la fermò: “Non ci vedremo per mesi.”
Lei si voltò a guardarlo e in capo ad un istante si gettò tra le sue braccia e lo baciò con tutto l’amore possibile. Un bacio disperato. Un bacio che sembrava gridare che sarebbe stato l’ultimo.
*
Katherine si sentiva come una criminale, il pensiero di rientrare nel dormitorio le dava un senso di terrore come se avesse appena svaligiato una gioielleria e dovesse entrare in un commissariato di Polizia senza far capire a nessuno ciò che aveva fatto. Altrimenti detto, si sentiva come una ragazza che aveva sposato in segreto l’amante e ora stava tornando dal fidanzato nella speranza che lui non capisse che qualcosa non andava. Attraversò il corridoio guardandosi continuamente alle spalle, anche se non c’era nessuno. Entrò nella propria camerata con discrezione e vide Gooz chino su una valigia aperta sopra il letto. Stava sistemando degli indumenti.
Lui, sentendo un rumore alle proprie spalle, si voltò di scatto. Il suo sguardo era evidentemente sorpreso: “Dove sei stata fino adesso? E’ da ieri che ti cerco.”
Domanda assolutamente legittima. Il problema era che lei non si era preparata una risposta convincente. Quanto era cretina! Abbassò lo sguardo e si portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio, giusto per prendere un po’ di tempo: “Ehm… Sì, hai ragione. Sono sparita senza dirti niente. E’ che io stavo…”
Lui tagliò corto: “Non importa, ora sei qui.”
Il tono frettoloso la fece insospettire, ma la frase che arrivò dopo la lasciò letteralmente di sasso: “E’ arrivata una lettera di richiamo anche per te.”
Sollevò di nuovo lo sguardo su di lei, esaminò il suo volto incredulo: “Ho chiesto per quale motivo fosse arrivata in ritardo rispetto a tutte le altre. Mi è stato risposto che il Colonnello Doolittle ha dato l’ordine di recapitarla solo in un secondo momento. Onestamente non capisco cosa stia accadendo. Per quale motivo ha richiamato anche te?”
Katherine era ancora pietrificata per quella notizia. Un richiamo? Certo, non poteva esserne sorpresa, in fondo era un pilota. Ma perché richiedere la sua presenza dopo gli altri? Cosa c’era sotto? Non riceveva lettere da Doolittle da talmente tanto tempo! Aveva appreso della sua nomina a Colonnello solo tramite i ragazzi della squadra. Dopo il Campo Mitchell credeva che non l’avrebbe più rivisto, credeva che quel capitolo fosse chiuso per sempre. E ora invece avrebbe dovuto affrontare quel fantasma del passato, magari anche fingendo di aver dimenticato. Incontrò lo sguardo di Gooz per puro caso in quel vortice di pensieri, era ancora lì ad aspettare una risposta. Cosa poteva dire? Dischiuse le labbra e lasciò che uscisse qualcosa, senza pensare: “Non…ne ho idea.” Era la verità. Era sempre la scelta migliore dire la verità. Assaporò quelle parole umettandosi le labbra con la lingua, come se davvero potesse sentirne il sapore. Chissà quando avrebbe potuto dire ancora la verità.
Gooz si riconcentrò sul proprio lavoro, ma comunque la informò: “Ad ogni modo, non trovandoti, ho deciso di prepararti le valigie.”
Solo allora lei si accorse che le sue valigie erano chiuse e riposte accanto al letto, ma la sua attenzione fu attratta da ciò che vi era sul materasso. La sua divisa.
Gooz si accorse del suo sguardo e precisò: “Essendo un trasferimento militare dovrai indossare anche tu la divisa. L’ho messa qui per fartela trovare pronta da indossare.”
Katherine non sapeva cosa dire. Non solo le mancava il respiro per via del richiamo, ma a causa di queste piccole attenzioni ora si sentiva un groppo in gola per l’altro problema. Aveva di fronte un uomo convinto di essere il fidanzato ufficiale, invece di fatto era solo un uomo tradito che presto sarebbe stato abbandonato. Improvvisamente si sentì sporca, si faceva schifo. Gooz non meritava questo. Il senso di colpa la inghiottì, le girava la testa, aveva bisogno di aggrapparsi ad un punto fisso o sarebbe crollata. Si gettò tra le braccia di Gooz e lo strinse forte. In quel momento era lui il suo punto fisso.
Gooz, non potendo sapere il vero motivo di quel gesto, ricambiò la stretta con trasporto. Sentendola tremare gli venne spontaneo sussurrarle all’orecchio: “Tranquilla, piccola. Ci sono io con te.”
Lei emise un grido lacerante nell’anima, talmente forte che se le fosse uscito dalla bocca avrebbe potuto infrangere tutti i vetri della camerata.
*
Arrivarono in automobile, vestiti di tutto punto, alla pista dove si erano radunati gli altri piloti convocati, in attesa dell’aereo che li avrebbe riportati nel continente.
Red corse verso di loro in modo un po’ impacciato, tenendosi il berretto fermo sulla testa con una mano: “P-per caso serve aiuto c-con le valigie?”
Gooz scese dalla decappottabile, richiuse la portiera e gli lanciò un sguardo colmo di furbizia: “Certo, amico mio. Ti sarò davvero riconoscente se mi aiuterai con le valigie di Kate. Pesano un quintale ciascuna!”
Lui e Red scoppiarono a ridere rumorosamente, mentre lei, presa alla sprovvista, li guardava con sguardo perplesso. Contò fino a cinque, il tempo necessario per mettere da parte i problemi personali ed inserirsi in quella scena comica sfoggiando un perfetto broncio: “Non è affatto vero. Siete cattivi.” Per poi ridere a sua volta, come era giusto che fosse.
Era incredibile come un semplice scherzo potesse cambiare completamente l’umore di una persona, sciacquare via la tensione, rimuovere i problemi, unire come un collante le anime di tre amici. Uno scherzo per ricominciare a vivere. Forse, dopo tutto, se la sarebbe cavata meglio di quanto si aspettasse. Se non fosse stato per…
“Cosa ci fai tu qui in divisa?”
La domanda posta con un tono di voce allarmante e gli occhi che sprizzavano scintille, interruppe le risate all’istante, lasciando il trio in soggezione. Era Danny.
Katherine cercò di abbozzare una risposta: “Beh, ho ricevuto la lettera di richiamo, perciò…”
“Cosa? Doolittle è forse impazzito?” Il tono adesso era rabbioso e il volto paonazzo.
Gooz intervenne: “Hey, amico, ma che ti prende?”
Non era proprio il momento. Danny gli si rivolse con lo stesso tono: “Non chiamarmi ‘amico’. E non metterti in mezzo.”
Gooz gli si avvicinò, lo sguardo di fuoco e un pugno che gli tremava: “Mi metto in mezzo eccome visto che stai gridando contro la mia fidanzata.”
Ormai prossimo all’attacco, Danny sibilò tra i denti: “Non sai nemmeno cosa…”
“Adesso smettetela, voi due.” Katherine era letteralmente saltata giù dall’auto e si era messa tra loro, giusto un attimo prima che si prendessero a pugni. Non doveva succedere, soprattutto perché Gooz non sapeva il motivo per cui Danny era tanto arrabbiato. Afferrò Danny per un braccio e lo trascinò via da lì con decisione. Mentre camminava si voltò verso Gooz: “Tu e Red occupatevi delle valigie, per favore. Ho bisogno di parlare in privato con Danny.”
Gooz lanciò un’ultima occhiataccia al rivale, per poi lasciare che il suo carattere mite avesse il sopravvento sulla rabbia. Ciononostante rispose severo: “Sì, è meglio. Occupati tu di quel pazzo furioso.” Sputò sull’asfalto per chiudere la questione e tornò a dedicarsi all’amico che se ne era rimasto fermo e muto per tutto il tempo: “Red, diamoci da fare, và.”
Ormai giunta ad una distanza considerevole, certa che nessuno avrebbe potuto udire la loro conversazione, Katherine finalmente lasciò il braccio di Danny e lo rimproverò amaramente: “Ma che ti è preso? Nemmeno un’ora fa parlavi di sacrificio e atti d’amore e adesso ti metti a fare una scenata davanti a tutti?”
Danny buttò fuori l’aria dai polmoni con violenza, come se volesse liberarsi di tutta la rabbia che aveva dentro, quindi strinse forte il pugno e cercò di parlare civilmente: “Questo era prima di sapere che saresti partita con noi.”
Lei agitò le braccia in aria: “E allora? Qual è il problema? Sono un eccellente pilota al pari di mio fratello. E’ normale che Doolittle mi rivoglia a servizio dopo quanto è accaduto.”
Aveva fatto apposta a dire il proprio nome assieme a quello di Rafe, escludendo il suo,  giusto per ricordargli cosa pensava delle sue doti. Se ne pentì subito. Perché stava cercando di ferirlo?
Fortunatamente Danny non se ne accorse, troppo concentrato nel tentativo di calmare i bollenti spiriti: “Non parlo di questo. Io…” S’interruppe bruscamente e si portò una mano al berretto, neanche gli stesse per volare via a causa di una immaginaria folata di vento.
Quel gesto la insospettì, sapeva che stava nascondendo qualcosa. Fece un tentativo: “Cosa vuoi dirmi? Qual è il vero problema?”
Aveva fatto centro. C’era davvero qualcosa che non andava. Lo capì vedendo Danny mordersi un labbro e scostare lo sguardo da lei.
Lei incalzò: “Danny?”
Messo alle strette, Danny sbuffò e tirò un pugno all’aria: “Con chi dormirai quando saremo alla base?”
Si aspettava tutto tranne che una domanda come quella! Così sul momento le venne solo da dire: “Con chi… Cosa?”
“Quello che voglio dire è che non ho nessuna intenzione di lasciarti dormire assieme a lui.”
Quindi era una questione di orgoglio. Dischiuse le labbra per rispondergli, ma lui la interruppe: “So che non puoi dormire con me perché il nostro matrimonio deve restare segreto, però non puoi pretendere che io rimanga là fermo a guardare mentre lui ti tocca e ti bacia e Dio sa cos’altro.” Ora i suoi occhi erano lucidi e sottili, come sempre quando era triste.
Katherine fece per abbracciarlo, ma si bloccò. Perché poi? Si erano abbracciati un’infinità di volte davanti agli altri piloti, non c’era nulla di male, eppure in quel momento temeva che qualcuno potesse intuire qualcosa o fraintendere quel gesto. In alternativa gli prese una mano e la strinse nella propria, per rassicurarlo: “Farò in modo che la situazione sia vivibile per tutti e tre. Te lo prometto. Dormirò da sola e terrò Gooz al suo posto.”
Danny si sentì rincuorato da quelle parole, ma lo stesso sentì il bisogno di chiedere: “Come farai?”
Lei ammiccò: “Il dovere viene prima di tutto, no?”
Danny fece un mezzo sorriso, quindi lei gli lasciò la mano e si allontanò. La seguì con lo sguardo fin che non arrivò da Gooz. In quel momento avrebbe dato qualunque cosa per essere al posto dell’amico, esserle vicino, cingerle la vita con un braccio. Scosse la testa e si diresse verso una panchina libera. Si accorse che Rafe era arrivato alla pista e che stava camminando verso di lui, ma preferì fingere di non averlo visto. Aveva bisogno di un minuto per essere in grado di riuscire a sopportare anche lui. E ancora non aveva salutato Evelyn. Chiuse gli occhi e pregò di salire presto su quel dannato aereo. 

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Capitolo 13
*** L'area di un triangolo ***


13
L’area di un triangolo
 
“Vorrei chiederle un’ultima cosa, colonnello.” Lo sguardo di Rafe era puntato su Doolittle come un fucile pronto a sparare. Per tutta la durata del colloquio aveva ascoltato il suo superiore parlare del motivo per cui erano lì, dei progetti futuri, aveva ricevuto una medaglia e il grado di Capitano assieme a Danny, ma niente di tutto questo era importante come ciò che stava per chiedere.
Doolittle lo squadrò: “Non riguarda la missione segreta, vero?”
“No, signore.”
Sapendo di non poter evitare l’argomento, il colonnello sospirò e si preparò alla fucilata: “Parla pure liberamente, McCawley.”
Nonostante il permesso, Rafe rimase sull’attenti e parlò con voce chiara e risonante: “Sarà coinvolta anche mia sorella?”
E così il colpo era partito davvero! Doolittle non riusciva a credere di essere così agitato per quella domanda. Dannazione, vedeva bene che Rafe era agitato quanto lui in attesa della risposta. Però è anche vero che il pugno ricevuto poco più di un anno prima gli aveva insegnato che Rafe McCawley non teme le conseguenze dei propri gesti. Cosa gli avrebbe impedito di farlo ancora se lui avesse dato la risposta sbagliata? Contò fino a dieci e parlò con tono distratto, come se niente fosse: “No, lei non lo sarà.”
Vedere il volto di Rafe rilassarsi lo fece sentire meglio. Per sua fortuna aveva dato la risposta giusta. Quello che non si aspettava era di vedere Danny irrigidirsi come la corda di un violino. Perché quella reazione? Non era contento di sapere che la sua amica d’infanzia sarebbe rimasta al sicuro?
“Allora, se posso chiederlo, per quale motivo l’ha richiamata?”
La nuova domanda di Rafe distolse la sua attenzione da Danny. Si stropicciò le mani per temporeggiare, così giusto per prendersi una rivincita, quindi fece un passo verso di lui e lo guardò dritto negli occhi: “Voglio che prenda parte all’addestramento cui vi sottoporrò.” In un battibaleno la tensione tornò, forse a causa dello sguardo penetrante di Rafe, perciò sentì il bisogno di deglutire e di aggiungere: “Spero sia una risposta soddisfacente.”
Rafe, divertito nel vedere le reazioni del suo superiore, abbozzò un sorriso: “Sì, colonnello.”
L’attenzione di tutti e tre fu richiamata da un rumore di passi a poca distanza dall’ufficio. Doolittle allungò lo sguardo e vide che si trattava di Katherine scortata da un ufficiale.
Rafe si accorse dell’emozione sul suo volto e volle intervenire gentilmente: “Possiamo congedarci, signore?”
Il sussulto di Doolittle fu una prova schiacciante e la parlata confusa non lasciava spazio a dubbi su quali fossero le sue emozioni in quel momento: “Oh. Ehm, sì. Certo, potete. Andate, andate pure.”
Rafe e Danny fecero il saluto militare ed uscirono dall’ufficio.
*
Che qualcosa non andava l’aveva capito alla prima occhiata. I loro volti erano come dei libri aperti, solo che la differenza di espressione le impediva di capire cosa stesse succedendo. Perché Rafe sorrideva? E perché Danny aveva la fronte perlata di sudore? Nel momento in cui passò in mezzo  a loro sentì la mano di Rafe sfiorarle il braccio. L’impulso le suggerì di voltarsi e di chiedere spiegazioni, ma lei non lo fece.
“Un sogno ad occhi aperti.” Pensò Doolittle quando l’ebbe di fronte. Un cenno all’ufficiale e questi uscì dall’ufficio chiudendo le porte con cura, lasciando così loro due soli. Sapendo di essere visibilmente nervoso e di non poter far nulla per calmarsi, decise di parlare con tono confidenziale, abbandonando così la propria posizione professionale.
“Sei identica all’ultima volta che ti ho vista.”
“Non è esatto. L’ultima volta tenevo il soprabito sul braccio, ora invece non ce l’ho. Però…sì, te lo concedo, la divisa e l’acconciatura sono identiche.”
Il tono sarcastico e lo sguardo di ghiaccio gli lasciarono intendere cosa pensasse di lui. Tentò di difendersi alla meglio: “Kate, è passato molto tempo. Credevo che mi avessi perdonato, ormai. Non puoi essere ancora in collera con me.”
“Non posso? E chi me lo impedisce?” Si avvicinò a lui con aria minacciosa e lo afferrò per la cravatta: “Ammetto che mi era passata, ma ora che ti ho di fronte ho una gran voglia di prenderti a schiaffi per come mi hai trattata. Non dimenticherò il modo in cui mi hai lasciata e nemmeno la tua stupida lettera dove fingevi di preoccuparti per me.”
Sarebbe bastata una parola per farla arrestare. Doolittle era consapevole del proprio potere, ma come poteva abusarne sapendo che lei aveva ragione? Nella mente poteva rivedere ancora quel giorno, la sfacciataggine con cui l’aveva presa sopra la scrivania e le parole severe che le aveva detto poche ore dopo per lasciarla. Per non parlare della lettera che lui stesso aveva sperato non arrivasse mai a destinazione da quanto era scritta male. Mise da parte il militare e lasciò che l’uomo emergesse: “Hai pienamente ragione, ma preferirei parlarne in modo civile.”
Katherine gli lasciò la cravatta e gli voltò le spalle: “Parlare di cosa? Ormai non c’è più niente da dire. Sono qui perché sono stata richiamata e voglio sapere il perché.”
Doolittle rimase deluso da quel repentino cambiamento di discorso. Sperava in una riappacificazione, magari inaugurando la scrivania di quella base. Scosse il capo per quel pensiero stupido e riprese il controllo di sé: “Ho sempre avuto a cuore il tuo addestramento e non volevo tenerti lontana da tuo fratello dopo quanto è accaduto.”
Lei si voltò di scatto: “Già. Non mi hai scritto nemmeno una parola quando tutti credevamo che Rafe fosse morto.”
Doolittle scostò lo sguardo e lo puntò verso la vetrata dell’ufficio. In verità lui aveva scritto decine di messaggi, ma poi non ne aveva spedito nemmeno uno. Sapeva che il dolore per il lutto non sarebbe passato con semplici parole scritte. E poi temeva che lui fosse l’ultima persona al mondo che lei volesse risentire. Ora si rendeva conto che sarebbe stato meglio fare qualcosa per riavvicinarsi a lei. Riprese il filo del discorso: “Per sapere i dettagli dovrai rivolgerti a lui. Hai il diritto di sapere. Per quanto riguarda te, invece, parteciperai all’addestramento assieme ai tuoi compagni e poi al termine tornerai a Pearl Harbor.”
“E loro?”
“Loro ed io andremo in missione in Giappone.”
Katherine spalancò la bocca per la sorpresa, anzi per l’indignazione: “Mi stai dicendo che sono venuta qui in vacanza prima di dire addio a mio fratello per la seconda volta?”
Doolittle non rispose subito, sapeva che Katherine e Rafe avevano lo stesso carattere impulsivo. Una parte di lui temette che stavolta sarebbe stata lei a colpirlo. Si schiarì la voce e rispose con fermezza: “Sì.”
“Stai scherzando, vero? Non rimarrò a terra sapendo che Rafe è in pericolo.”
“Dovrai farlo, invece.”
“Non se ne parla nemmen…”
Doolittle la interruppe gridando: “Katherine McCawley, è un ordine.”
Le vetrate vibrarono al suono della sua voce e la stessa Katherine sentì un brivido lungo la schiena.
“Sull’attenti.”
Lei eseguì l’ordine all’istante, eppure Doolittle non si sentì fiero di se stesso. Le si avvicinò e cercò di addolcire il tono: “Volevo congratularmi con te per l’ottimo lavoro svolto durante l’attacco giapponese. Ti sei distinta e io sono fiero di te.”
Lei rispose senza battere ciglio: “La ringrazio, signore.”
Doolittle si ritrovò ad osservarla nel dettaglio, i capelli raccolti sotto al berretto gli facevano venir voglia di poterglieli toccare con le dita, il collo costretto dalla camicia e dalla cravatta lo richiamava a posare le labbra sulla pelle calda dell’incavo. Sollevò una mano lentamente e l’avvicinò alla guancia di Katherine con l’intenzione di accarezzarla.
Non appena percepì il suo tocco, Katherine si ritrasse e lo fulminò con lo sguardo.
Doolittle si morse un labbro: “Perdonami, non so quello che sto facendo.”
“E’ evidente, colonnello.” Il tono sarcastico era tornato. Pur senza permesso, Katherine si voltò e aprì le porte, ma prima di uscire si rivolse ancora una volta a Doolittle: “Come aveva detto un tempo, colonnello, d’ora in poi il nostro rapporto sarà strettamente professionale.”
*
Katherine era ancora pensierosa mentre svuotava le valigie. Stava facendo le cose con più cura di quanta ne avesse mai avuta in vita sua per dei vestiti. Forse perché i movimenti erano meccanici? Nella sua mente si confondevano i pensieri, Rafe, Danny, la missione. E Doolittle. Il suo comportamento era stato molto strano, soprattutto quel goffo tentativo di accarezzarla. Ma ormai non aveva importanza, doveva preoccuparsi di cose ben più importanti. Una delle quali, non tardò ad irrompere nella stanza: “Che cosa significa?”
Katherine non alzò nemmeno lo sguardo e continuò ad armeggiare con gli ultimi vestiti che si trovavano nella valigia posta sopra il letto.
“Hey, mi hai sentito?”
Lei rispose con noncuranza: “Sì, Gooz.”
“E allora perché non mi dai una spiegazione?”
Se avesse gridato un po’ più forte lo avrebbero sentito fino a Pearl Harbor, probabilmente. Katherine pensò bene di accennare alla cosa, usando un tono fermo ed uno sguardo acceso: “Magari lo farò quando smetterai di sbraitare!”
Tenendo il vestito color crema in una mano e quello arancio nell’altra, attraversò la stanza per dirigersi all’armadio, dove le ante aperte lasciavano vedere tutti gli altri capi già appesi. Con cautela appese gli ultimi due abiti agli appendini liberi, facendo accrescere il nervosismo di Gooz. Terminato il tutto, richiuse le ante dell’armadio, tornò verso il letto per chiudere la valigia ed infine andò a riporla in un angolo della stanza dove la compagna già vuota l’attendeva.  Solo allora si decise ad affrontare Gooz, faccia a faccia: “Cosa vuoi sapere?”
Lui trasalì: “Come sarebbe a dire? Siamo fidanzati! Ero convinto che avremmo condiviso una stanza e invece mi sono ritrovato Red! Quando l’ho visto posare le valigie sul materasso mi è quasi preso un colpo.”
Guardando le sue sopracciglia aggrottate in quel modo buffo, Katherine non riuscì a trattenere una risata, con la conseguenza che lui si arrabbiò ancora di più.
“Ah, ti fa ridere? Io invece avrei voglia di fare a pugni.”
“Con me?”
Sentendosi preso in giro, Gooz decise di prendere un bel respiro e di analizzare la situazione. Fare l’uomo infuriato di fronte ad una ragazza ridente lo faceva sentire un povero idiota. Guardò di sfuggita la finestra, quindi si mise le mani sui fianchi e tornò a concentrarsi sulla conversazione: “Non lo faccio solo perché sei una ragazza. Ecco.”
Lei gli accarezzò una guancia, continuando a ridere divertita: “No, amore mio. Non lo fai perché sai che potresti perdere!”
Quando è troppo è troppo. Gooz si sentì in dovere di riaffermare la propria mascolinità e lo fece nell’unico modo possibile in quel momento. Afferrò la mano di Katherine e se la portò al petto, lo sguardo fisso su quello di lei.
“Baciami.” Il tono fermo non ammetteva obiezioni.
Katherine, presa alla sprovvista, soffocò la risata che ancora le vibrava nella gola e si ritrovò a balbettare: “N-n-non credo sia… Non ora…”
“Adesso.”
Poteva contare sulle dita le volte in cui lo aveva visto così sicuro di sé e, per propria sfortuna, ogni volta si era arresa a quel fascino violento con anima e corpo. In effetti rivide in lui lo stesso uomo della mitragliatrice che le aveva fatto perdere la testa. Di lei non restava che il lato debole. Il lato femminile. Come poteva resistergli? Ma questa volta non voleva dargli la soddisfazione. Voleva essere lei a comandare. Con decisione gli afferrò i capelli biondi dietro la testa, nel punto in cui erano più arricciolati, e tirò così forte da costringerlo a ripiegare il capo un po’ all’indietro.
Gooz non si aspettava una reazione così, men che meno quando si ritrovò coinvolto in un bacio forte, quasi doloroso. Qualche istante di smarrimento e poi riprese il controllo della situazione, attirando la fidanzata a sé e stringendole il girovita in una morsa di ferro. Quel gesto obbligò Katherine a lasciare la presa e a far scivolare la mano sulla spalla di lui, abbandonandola.
“Questo bacio sarebbe degno del cinematografo.” Pensò lei con orgoglio, fantasticando sulle emozioni del momento. Ma quel pensiero fu squarciato da un evidente rumore di passi che rimbombò nella sua mente come un tamburo. Si separò da Gooz bruscamente e vide Rafe di fronte alla porta aperta con viso sorridente.
“I ragazzi stanno preparando una partita a poker per allentare la tensione, volete partecipare?”
Se Katherine era in evidente imbarazzo, Gooz al contrario si illuminò di entusiasmo: “Certo! Una bella partita è quel che ci vuole!”
Rafe gli fece un cenno affermativo col capo, poi si rivolse alla sorella: “E tu, Katy?”
Ancora rossa in volto e con le mani che si stavano torturando, lei non riuscì nemmeno a sollevare lo sguardo: “Lo sai che non ho mai capito quel gioco, Rafe. E poi ora non sono di compagnia, preferisco stare qui.”
Gooz le si rivolse gentilmente: “Tesoro, io raggiungo i ragazzi. Passerò da te più tardi, va bene?”
Katherine abbozzò un sorriso: “Sì, certo. A dopo.”
Gooz le fece un cenno col capo, quindi diede un’amichevole pacca sulla spalla a Rafe e si dileguò nel corridoio.
Rafe fece un passo all’indietro per andarsene a sua volta, ma la voce della sorella lo fermò: “Non dire niente a Danny.”
Lui la guardò sorpreso: “Riguardo cosa?”
“Del…del bacio che hai visto.”
“Scherzi, vero? E’ il tuo fidanzato, sei libera di baciarlo quando vuoi! Cosa c’entra Danny?”
Vide la sorella portarsi una mano al petto, come se avesse un dolore. O qualcosa che aveva bisogno di toccare. Riuscì ad intravedere una sagoma sotto la camicia, ma non avrebbe saputo dire di cosa si trattava. Sicuramente un ciondolo.
“No, niente. Non c’entra niente. Hai ragione. Ora devo finire di disfare i bagagli, scusami.” Richiuse la porta velocemente, lasciando Rafe con un voluminoso interrogativo sopra la testa. Solo quando rimase sola, respiro affannato, testa e spalle poggiate contro la porta, riuscì a bisbigliare a se stessa: “Non c’entra niente. E’ solo mio marito!”
*
Rafe entrò silenzioso nella sala dove i compagni lo stavano aspettando, tutti attorno ad un tavolo per cominciare la partita di poker.
Anthony, vedendolo, si alzò in piedi: “Sbrigati, Rafe!”
Lui arricciò un angolo delle labbra: “Dovrete abituarvi, cari miei! Quando avrò ricevuto ufficialmente la nomina di Capitano mi farò desiderare ancora di più!”
Quasi tutti scoppiarono a ridere e a rispondere con battute sarcastiche, Gooz invece fu l’unico a richiamarlo con un gesto della mano: “Hey Rafe, siedi accanto a me.”
Lui si incamminò verso l’amico, ma appena toccò la sedia Anthony si fece sentire con un nuovo scherzo: “Sono certo che Gooz non sia così gentile solo perché siete quasi cognati.”
Di nuovo uno scoppio di risa.
Rafe rise a sua volta, ma poi si unì allo scherzo: “Certo che no! Lo fa perché spera che io metta una buona parola per lui col colonnello.”
Le risate aumentarono a dismisura, Rafe si premurò di fare un cenno si scuse a Gooz.
In capo a pochi minuti la partita ebbe inizio e il chiasso incontenibile venne sostituito da un profondo silenzio e da sguardi attenti. Eppure, per quanto Rafe si sforzasse di seguire il gioco, non riusciva a smettere di pensare al bizzarro comportamento della sorella. Di tanto in tanto lanciava a Danny delle occhiate di sospetto, cercando di non farsi notare dagli altri, oppure si sporgeva verso Gooz con l’intenzione di porgli delle domande, ma poi ci ripensava. Solo quando lo sentì imprecare tra i denti, evidentemente per l’arrivo di pessime carte, decide di fare un tentativo.
“Dimmi Gooz, tra voi le cose come vanno? Con mia sorella, intendo. Non che siano affari miei, ma sai com’è…”
Gooz rispose senza distogliere lo sguardo dalle proprie carte: “Tutto okay. Lei a volte si comporta in modo strano, ma è okay. Anche prima, quando sono andato a parlarle, mi ha degnato di uno sguardo solo dopo aver riposto le valigie vuote.”
Rafe aggrottò le sopracciglia: “Le valigie? Credevo dovesse ancora disfarle.”
“Mh. No. Ha già finito. Al contrario di me.”
Rafe allungò lo sguardo verso Danny ancora una volta. Era sempre più convinto che lui c’entrasse qualcosa.
*
Danny si muoveva discreto tra i corridoi, scivolando da una parete all’altra ed esitando ad ogni passo. Solo quando arrivò davanti alla porta di Katherine riuscì ad emettere un sospiro, come se per tutto il tempo avesse trattenuto il fiato. Si ritrovò ad esitare ancora una volta, ma poi si auto rimproverò: “Che diamine fai? Non sei mica un dannato ladro. Il massimo che potrebbe succederti è di essere beccato in flagrante da Gooz.” Sollevò un sopracciglio al vuoto: “O peggio, da Rafe.”
Sollevò la mano chiusa a pugno e colpì la porta con le nocche per tre volte, rapidamente, sperando di non fare troppo rumore. Si portò le nocche alle labbra, mordendone una: “Che significano tre colpi? Quale altro idiota andrebbe a bussare ad una porta nel cuore della notte?”
Un rumore dall’interno lo indusse al silenzio. Vide la maniglia abbassarsi lentamente e un attimo dopo intravide il viso di Katherine dallo spiraglio aperto. La porta fu aperta del tutto.
Katherine gli fece segno con la mano di entrare e si spostò per lasciare libero il passaggio. Lui entrò nella stanza illuminata solo da una lampada, posta sopra il comò nell’angolo accanto al letto, che irradiava una soffusa luce gialla. Di certo un pensiero da parte del colonnello. Sentì alle proprie spalle lo scatto della porta che veniva richiusa. Si voltò, lei aveva ancora la maniglia stretta nella mano. Danny allungò un braccio al quale lei si aggrappò senza esitare e in un attimo si ritrovarono avvinghiati in un caldo abbraccio, i visi che quasi si sfioravano.
Katherine sentì il caldo respiro di lui contro la guancia. Sollevò lentamente il viso fino a sentire il calore sulle labbra, quindi si sporse leggermente e baciò le sue labbra. Un bacio dolce, sereno, appena accennato, quasi casto. Un bacio che solo anni di amicizia potevano aver forgiato. Fu lei la prima a separare le labbra da quelle di Danny. Sembrava stesse combattendo con se stessa su cosa fosse giusto e cosa sbagliato. Evidentemente il bacio era dalla parte del sbagliato, l’abbraccio da quella del giusto.
Danny fece scivolare la guancia contro quella di lei, bisbigliando: “Che cos’hai?”
Lei sospirò contro la sua spalla, chiuse gli occhi: “Mi sento come se stessi sbagliando tutto.”
“Io no.”
“Pensi ancora ad Evelyn?”
Stavolta fu lui a sospirare: “Sì.”
Katherine si morse le labbra: “Non so per quanto ancora riuscirò ad ingannare Gooz.”
Suo malgrado, Danny si alterò un poco: “Potrei dire la stessa cosa. Abbiamo un problema in comune, ricordi?”
Katherine si sciolse dal suo abbraccio, spazientita: “E allora troviamo una soluzione.”
Nonostante la gravità della situazione, Danny aveva una gran voglia di ridere. Il modo in cui Katherine spalancava gli occhi quando era turbata, i gesti nervosi con le mani, come si poteva stare seri di fronte ad uno spettacolo così buffo? Abbassò il capo con la scusa di doversi grattare la nuca, ma in realtà era solo un modo per non far capire a lei cosa stava accadendo realmente. Strinse forte le labbra ed inghiottì il gorgoglio che gli stava per salire dalla gola, quindi si schiarì la voce e risollevò il viso: “Hai qualche idea?”
Lei agitò le mani in aria, in preda all’agitazione, e fece un giro su se stessa, come se la risposta fosse intorno a lei, visibile come un cartellone pubblicitario. Invece fu la luce della lampada ad illuminarle la mente. Si voltò verso Danny con aria raggiante: “Potremmo fare in modo che si innamorino tra loro!”
Quella fanfaronata abbatté ogni difesa di Danny senza pietà. Scoppiò in una fragorosa risata, incurante del fatto che fosse notte e che qualcuno avrebbe potuto sentirlo, ma soprattutto, si guadagnò un’occhiataccia da parte di Katherine.
*
L’attività fisica le aveva sempre giovato, ma da quando era giunta lì in quella base l’addestramento era la parte migliore della giornata, perché le permetteva di tenere occupata la mente e di sfogare la frustrazione. Evitava il più possibile le effusioni con Gooz in privato, faceva in modo che non ne avessero in pubblico, aveva deciso di non fare l’amore con Danny nonostante le sue frequenti visite notturne, ma questo comportamento la faceva sentire ugualmente in colpa nei confronti di entrambi. Talvolta ritrovarsi di fronte a Danny mentre Gooz le cingeva la vita oppure rifiutare il bacio della buonanotte di Gooz sapendo che a breve sarebbe arrivato Danny, la faceva sentire come se avesse una pietra legata al collo. Se avesse potuto non vedere nessuno dei due sarebbe stato molto meglio. Se avesse potuto restare a Pearl Harbor sarebbe stato meglio per tutti. Peggio ancora era ricercare le attenzioni di Rafe, trovare rifugio nel suo abbraccio fraterno, farsi coccolare da lui come quando era bambina ed essere costretta a tenere strette le labbra per timore di esplodere e raccontargli tutta la verità.  Talvolta, durante quegli abbracci, le lacrime la tradivano. Lei faceva di tutto perché lui non se ne accorgesse, ma le piccole traditrici scivolavano silenziosamente sulle sue guance e poi cadevano sulla spalla di Rafe, lasciandogli ogni volta sulla spalla degli aloni che col passare dei minuti diventavano gelidi. Quando lui se ne accorgeva, la stringeva ancora più forte a sé, promettendo a se stesso di scoprire cosa stava accadendo e di fare qualunque cosa per regalare di nuovo il sorriso alla sua sorellina.
*
Un’altra riunione era cominciata. Ormai aveva perso il conto di tutte le volte in cui Doolittle li aveva radunati per parlar loro di strategie militari. A Katherine veniva mal di stomaco ogni volta che sentiva la parola riunione, questo perché sapeva di dover affrontare un problema ben grave. Ogni volta che metteva piede in quel capannone, dove i piloti usavano dei barili vuoti al posto delle sedie, lei era obbligata a trovare il posto perfetto nelle file. Si presentava già sottobraccio a Rafe, assicurandosi così che lui occupasse il posto alla sua destra, ma poi, in un battito di ciglia, si ritrovava spettatrice involontaria della lotta per il posto sulla sinistra. Danny cercava sempre di soffiarlo a Gooz, il quale, povero uomo, non si accorgeva nemmeno di quanto fossero mirati i suoi intenti. Però a volte, forse per pietà o forse perché si sentiva ridicolo, Danny lasciava il posto a Gooz e lui si accontentava di sedersi vicino a Rafe. Non a caso, ovviamente. Se non poteva stare con la ragazza che amava per lo meno voleva tenere intatto il trio. Quel giorno, tuttavia, Rafe giocò un brutto scherzo alla sorella. All’ultimo momento si alzò dal proprio posto e…
“Gooz, puoi sederti qui se vuoi. Io prenderò un altro posto.” Di Rafe McCawley si poteva dire tutto, ma non che fosse uno stupido.
Gooz lo ringraziò assestandogli una pacca sulla spalla: “Grazie, amico.” E si stravaccò sul barile con aria soddisfatta.
Katherine sbiancò, nonostante la sua pelle fosse lattea di natura. Il suo sguardo tremò nel pronunciare le parole: “Rafe…ma perché?”
Lui fece spallucce: “Perché no?” Le lanciò un’occhiata maliziosa e le voltò le spalle, prendendo posto un paio di file più avanti, accanto ad Anthony.
Katherine si sentì presa dal panico.  Si voltò a destra, dove Gooz sedeva con aria tranquilla, senza nemmeno accennare a darle un po’ di attenzione. Si voltò a sinistra e vide Danny con due vistose gote arrossate e lo sguardo puntato in avanti come se volesse fingere di non essere imbarazzato. Anche se lei e Danny erano gli unici a sapere la verità, era comunque difficile comportarsi con naturalezza in una situazione così. Entrambi sentivano il peso del segreto che portavano sulle spalle.
Doolittle arrivò con passo spedito e si impossessò della lavagna portata lì appositamente per le riunioni. Prese in mano il gessetto e cominciò a scrivere qualcosa, mentre dava spiegazioni: “Bene, ragazzi. Oggi parleremo di…”
Katherine prese un profondo respiro e si impose di tenere gli occhi fissi su Doolittle e la mente concentrata su quello che stava dicendo. Fu impossibile.
Tutto sommato la riunione era interessante, Doolittle parlava con sentimento e ben presto lei riuscì persino a dimenticare tutto il resto. L’ansia sembrava essersi placata del tutto. Bastò un gesto spontaneo a far crollare quel castello di sicurezza. Immersa nel discorso che stava ascoltando, si rilassò a tal punto da puntare i palmi delle mani ai lati del barile, in modo da far pressione sulle braccia e poter stendere bene la schiena. Un movimento sulla destra le fece scattare un campanello d’allarme all’interno. Senza voltarsi, ma limitandosi a roteare gli occhi, riuscì a scorgere Gooz mentre cercava di cambiare posizione senza dare troppo nell’occhio. Precisamente, si stava sporgendo verso di lei.
“Probabilmente vuole appoggiare la mano sulla mia… Glielo concedo.” Pensò Katherine.
Per facilitargli le cose, cambiò rapidamente posizione lasciando che le mani cadessero oltre i bordi del barile. Ed ecco un movimento sulla sinistra. Danny, con noncuranza, stava bilanciando il peso in modo da lasciar ricadere la mano destra.
“No. Dimmi che non sta accadendo davvero.”
Purtroppo i suoi timori erano fondati. Dapprima le dita di Gooz si insinuarono furtivamente tra le sue, poi furono quelle di Danny a ricercare la sua mano al lato opposto. Katherine smise di respirare.
“Non ce la faccio più.” Gridò dentro di sé. Era forse finita in un film horror? Dov’era il regista? Perché non diceva stop? Meglio ancora, perché non arrivava un mostro a strapparle il cuore dal petto? Almeno così tutto sarebbe finito una volta per tutte. Istintivamente strinse le mani dei suoi aguzzini, in modo tutt’altro che amorevole, addirittura sperando di fargli abbastanza male da costringerli a lasciare la presa.
In suo soccorso, seppur involontariamente, arrivò Doolittle: “L’incontro termina qui. Vi aggiornerò a breve. Ora potete andare.”
Quelle parole per lei risuonarono come quelle del Reverendo al termine della funzione. Se non fosse stato un suo ex amante sicuramente l’avrebbe abbracciato per ringraziarlo. E invece si trattava di Doolittle, l’uomo con cui aveva avuto una storia e che aveva avanzato delle avances il giorno in cui l’aveva rivista. Ma perché si ritrovava rinchiusa lì con tutti gli uomini che si era scopata? Sporca sgualdrina che non era altro!
Questo auto rimprovero le ridiede la carica per reagire. Con uno scatto si liberò dalle mani e si alzò in piedi, quindi si allontanò con passo deciso fregandosene degli sguardi interrogativi di tutti i  presenti. 

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Capitolo 14
*** L'anello della discordia ***


14
L’anello della discordia
 
“Che cosa?” Forse sarebbe stato più dignitoso usare un’ottava più bassa e sicuramente più professionale tenere la bocca chiusa, però il suo spirito ribelle andava oltre queste cose.
Tuttavia, aspettandosi una reazione di quel tipo, Doolittle non riuscì nemmeno a fingere di arrabbiarsi, tanto bene conosceva quella ragazza. Optò per un tono neutro e paziente: “Katherine, è fondamentale che io dia la precedenza ai piloti e ai rispettivi copiloti che dovranno far decollare gli aerei. E’ un addestramento molto importante, che richiede la massima serietà. Perciò, anche se a malincuore, devo ordinarti di rimanere a terra.”
Lei sfoggiò un perfetto broncio infantile: “Ma-ma-ma… Non è giusto!”
“Potrai stare a bordo pista ad osservare, se lo desideri, ma nient’altro.”
“Voglio provare anch’io! Come faccio ad imparare se resto a terra?”
Rafe fece un passo avanti, intromettendosi nella conversazione: “In effetti, signore, ha diritto tanto quanto noi di fare pratica. Magari al tramonto, quando noi ci ritiriamo. Non vedo perché non dovrebbe darle la sua approvaz…”
Doolittle lo interruppe con quel modo di fare dannatamente tranquillo che però non ammetteva obiezioni: “McCawley, ho già preso la mia decisione. Non sentirti autorizzato a contrariarmi solo perché sei salito di grado.”
Rafe si morse le labbra e ritornò al proprio posto. Saggiamente.
Il colonnello fece una veloce panoramica del gruppo di piloti e concluse: “Bene. Se non ci sono altre obiezioni direi che possiamo cominciare con la prima coppia.”
Rassegnata e amareggiata per quell’esclusione, Katherine rimase immobile ad osservare gli amici che si allontanavano lungo la pista, tutti diretti al punto in cui gli aerei avrebbero dovuto staccarsi da terra. Quella striscia pitturata sull’asfalto che determinava la soglia tra la vita e la morte. Era quello lo scopo dell’addestramento: riuscire a decollare su pista corta, superare i propri limiti, familiarizzare con aerei militari alleggeriti di peso inutile. Lei capiva il senso di responsabilità che li schiacciava, ma non riusciva ad accettare quell’abbandono. Nessuno si era fermato per dirle una parola di conforto, nessuno si era accorto che lei era rimasta indietro. Eccoli là, passo sicuro e testa alta, giungere a destinazione senza voltarsi indietro. Poi un piccolo miracolo. Gooz scambiò qualche parola con Rafe, il quale gli fece un cenno di assenso. Uscì dal gruppo e corse verso di lei.
“Hey, piccola. Vieni anche tu. Il colonnello ha ragione almeno su questo, osservando potresti comunque imparare.”
Katherine si ritrovò con gli occhi pieni di lacrime per l’emozione. Con uno slancio gli fu addosso e lo abbracciò stretto. Gooz. Tra tutti solo lui si era ricordato di lei. Era forse il suo angelo custode? O solo quel simpatico buffone che le era sempre stato accanto anche quando nessun altro lo faceva? Chiunque fosse, in quel momento era tutto ciò di cui aveva bisogno. Oh se lui avesse saputo quanta gioia le aveva appena donato con quel semplice gesto… Ma Gooz non aveva poteri paranormali. L’unica cosa che aveva visto era la sua fidanzata gettarsi al suo collo. Ma almeno quella reazione gli aveva strappato un mezzo sorriso di divertimento.
“Ok, piccola. Ora andiamo.”
Quando lei si sciolse dall’abbraccio lui le porse la mano in un chiaro invito, che lei accettò. Sentire la stretta di Gooz  la fece sentire protetta.
*
Katherine bevve l’acqua dal bicchiere tutta d’un fiato, gustando la piacevole sensazione di freschezza all’interno, in netto contrasto con il calore esterno dovuto alla ginnastica mattutina. Era quasi l’ora di pranzo, tra poco tutti i piloti l’avrebbero raggiunta, riempiendo così di vita quella mensa vuota e desolata. Poggiò il bicchiere sul banco, pensando a dove avrebbe voluto sedersi quel giorno, ma quel pensiero fu interrotto da un rumore proveniente dall’ingresso. Si voltò di scatto, il suo sguardo incontrò quello di Danny.
“Si può sapere che ti prende in questi giorni?”
Quand’era alterato, quel ragazzo diventava ancora più affascinante, e di certo i capelli scompigliati e la pelle rilucente di sudore fresco contribuivano. Oh no. Stava arrivando. Quella voglia maniacale e incontrollabile di saltagli addosso e sbatterlo sul tavolo come una cotoletta. Ma perché i suoi pensieri erano così volgari? Ah gia… L’astinenza. Da quanto tempo non si faceva una scopata? Troppo, evidentemente. Ma aveva preso una decisione e non voleva contraddirsi. Strinse i denti e si obbligò a voltarsi.
La voce di Danny si alterò ancora di più: “Allora è come pensavo. Sei davvero arrabbiata con me. E scommetto che è ancora per quella stupida storia.” Sbuffò, esasperato: “Non ti sono corso incontro perché Gooz mi ha anticipato.”
Giusto! Lo aveva completamente dimenticato. Per fortuna ci aveva pensato lui a ricordarglielo, così adesso poteva usare quel pretesto per smorzare la passione. Se era arrabbiata con lui di certo non poteva saltargli addosso. Ora sì che era pronta per voltarsi e affrontarlo!
“Non sono arrabbiata, sono solo delusa.”
“E cosa dovrei fare allora? Mettermi in ginocchio?”
Lei sorrise, suo malgrado: “Sarebbe la giusta penitenza. Meglio ancora se lo facessi in presenza dei nostri amici. E in mutande.”
Danny scoppiò a ridere e si batté una pacca sulla coscia: “Se è un modo per dirmi che mi perdoni, ho capito.” La raggiunse e l’avvolse in un abbraccio pieno di malizia. La sua voce diventò un sussurro: “Stanotte. Ti va?”
Lei rispose riallacciandosi al discorso che stavano facendo, al massimo dell’ingenuità: “Ma dormiranno tutti!”
Lui scosse il capo e diventò serio: “Sto parlando di noi due. Da quando abbiamo messo piede in questo posto non abbiamo più fatto l’amore.”
Aveva toccato il tasto dolente. Katherine abbassò lo sguardo: “Lo sai come la penso.”
“Sì, però hai torto. Siamo sposati, non c’è niente di male.”
“Porto al dito l’anello di fidanzamento di un altro uomo.” Non voleva sfidarlo, ma quella frase le era uscita secca e improvvisa, come un colpo di pistola sparato per errore.
Ovviamente Danny, sentendosi provocato, rispose per le rime: “E io tengo la fotografia della mia ragazza appesa alla testiera del letto.”
Quella invece era una granata. Nessuno sbaglio, aveva preso la mira e gliel’aveva lanciata contro con prepotenza. Aveva osato nominare Evelyn.
Lei lo spinse via da sé e rispose ringhiando: “Allora fatti una sega pensando a lei.”
“Dannazione, Katherine.” Il grido di Danny rimbombò nella sala vuota.
“Ragazzi, che sta succedendo?”
Entrambi puntarono lo sguardo sull’entrata, dove Rafe li stava guardando con tanto d’occhi.
“Allora? Vi decidete a parlare?”
“Niente.” Risposero contemporaneamente e abbassando lo sguardo.
Rafe perse le staffe: “Bè, sapete una cosa? L’unico che ha un motivo per essere arrabbiato, qui, sono io. Torno dall’oltretomba e ritrovo mia sorella fidanzata con lo scemo del villaggio e il mio migliore amico assieme alla mia ragazza. Fatevi un esame di coscienza e piantatela di litigare di nascosto.” Quelle ultime parole riecheggiarono nel corridoio alle sue spalle, dove voci e schiamazzi si stavano rapidamente avvicinando.
Il primo a fare il proprio ingresso fu Gooz: “Che avete da gridare? Vi si sente da fuori.”
“Niente!” Risposero con rabbia loro tre per poi prendere posto a tre diversi tavoli. Non c’è bisogno di specificare che Gooz rimase di sasso.
Per fortuna il gruppo di piloti arrivò, ponendo così fine a quell’insolita situazione.
*
Ormai era diventato un rito. Ogni singola sera Katherine apriva le ante dell’armadio, si sedeva sul pavimento e guardava tutti i vestiti colorati appesi alle stampelle, pensando a tempi migliori, ad un’amica che non c’era più, lasciando che le tinte pastello le donassero tranquillità. Quella sera però le lacrime ebbero il sopravvento. Rannicchiata sul pavimento, stringendo tra le mani un abitino porpora, stava dando sfogo al pianto come non faceva da settimane. Le lacrime sembravano non finire mai.
Un singhiozzo riecheggiò nella stanza: “Oh Betty. Non so cosa devo fare. Questa storia non porterà nulla di buono. Non so come devo comportarmi.” Un altro singhiozzo la costrinse a tacere. Affondò il viso nella stoffa, incurante di bagnarla.
“Mi sento svuotata. Non faccio altro che mentire a tutti quelli che mi vogliono bene.”
Batté un pugno a terra e rialzò il viso: “Vorrei tanto che tu fossi qui con me. Mi hai sempre dato consigli preziosi e hai sempre avuto ragione. Ti prego, Betty. Aiutami.”
Un rumore all’interno dell’armadio la fece sobbalzare. Si passò velocemente la manica della camicia sugli occhi per asciugare le lacrime, in modo da poter mettere a fuoco. Puntò lo sguardo all’interno dell’armadio e all’improvviso il suo volto arrossato dal pianto divenne paonazzo.
“Cosa…?” Si mise in ginocchio ed allungò un braccio verso il fagottino colorato scivolato dalla stampella e lo sollevò. Si trattava del vestito giallo, quello che aveva indossato il giorno del suo primo appuntamento con Gooz.
“Possibile che…?” Era un segno? Carezzando la stoffa soleggiante pensò che forse si trattava davvero di un messaggio da parte di Betty, che il suo spirito l’avesse ascoltata e fosse intervenuto in suo soccorso.
Katherine sollevò lo sguardo al soffitto, negli occhi una luce di certezza: “D’accordo Betty. Lo farò.”
Indossò l’abito e si spazzolò i bei capelli biondi con cura come forse non aveva mai fatto prima. Pur sentendo una fitta al cuore, si tolse la catenina con appesa la croce e l’anello del matrimonio per poi riporre il tutto dentro il cassetto della biancheria, fingendo che non le importasse. Non doveva dimostrare niente a nessuno, però fingere con se stessa era un bisogno necessario in quel momento. Aprì la piccola scarpiera accanto alla porta ed indossò un paio di scarpette col tacco, quindi uscì dalla stanza senza timori. Attraversò il corridoio rapidamente e si ritrovò di fronte alla porta che le interessava.
Sentendo bussare, Red si precipitò alla porta: “Vado io!”
Gooz, sdraiato sul proprio letto, occhi chiusi e braccia intrecciate dietro al capo, rispose solo con un mugolio. Non avrebbe mosso un muscolo nemmeno se lo avessero pagato!
Non appena aprì la porta, Red restò letteralmente a bocca aperta. Nel tentativo di dire qualcosa, gli uscì dalla gola un suono strozzato che subito insospettì l’amico.
“Per l’amor del cielo, Red! Ogni volta che emetti questo suono mi fai perdere un giorno di vita! Che succede?”
Una risatina femminile lo indusse ad aprire gli occhi. Con uno scatto si sollevò e puntò lo sguardo verso la porta. Rimase a bocca aperta esattamente come Red.
Timidamente, Katherine si scusò: “Non volevo allarmarti.”
Lui scosse il capo e le sorrise: “Oh, non fa niente, figurati!”
La raggiunse in brevi falcate ed assunse una posa da playboy appoggiando una mano allo stipite della porta e sporgendo il resto del corpo verso destra.
“A cosa devo l’onore?”
Lei si strinse nelle spalle, sorridendo: “Ho solo voglia di trascorrere una serata con il mio fidanzato!”
“Dove di preciso?” Mr Delicatezza non si smentiva mai.
“Bè… Nella mia stanza magari. Non voglio certo disturbare Red.”
Gooz si voltò verso l’amico e gli lanciò un’occhiata piena di significato, mettendolo talmente in imbarazzo che il poveretto si ritrovò a balbettare: “S-sì, s-sono molto s-s-stanco questa sera.”
Senza il minimo tatto, Gooz cantilenò: “Bene allora ti lasciamo riposare. Buonanotte Red.” E si affrettò a chiudere la porta alle proprie spalle.
Katherine scoppiò a ridere: “Oddio come sei prepotente!”
Lui fece spallucce: “Ma dai, non si è nemmeno offeso.”
Le avvolse le spalle con un braccio e prese abilmente il controllo della situazione.
*
In mezzo al chiacchiericcio generale, a Danny capitò di sentire le parole di Red: “Non credevo che ti avrei ritrovato in stanza al mio risveglio. Sei sicuro che vada tutto bene tra voi?”
E subito dopo la voce di Gooz leggermente alterata: “Ti ho già risposto. Perché continui a chiedermelo? Katherine non era particolarmente calda. E ho detto tutto.”
Qualcosa nella sua testa scattò come un allarme, esplose come una granata, irruppe come gli aerei giapponesi a Pearl Harbor. Una sensazione orrenda. Senza nemmeno rendersene conto era andato dritto alla meta, comparendo alle spalle di Gooz all’improvviso, stranamente con un ampio sorriso stampato sulle proprie labbra: “Hey ragazzi, di che parlate?”
Gooz sobbalzò e si portò una mano al cuore: “Accidenti, Walker. Mi hai fatto prendere un colpo.” Sbuffò per scacciare lo spavento e solo dopo rispose alla domanda che gli era stata posta: “Niente di importante, solo che Red si intromette un po’ troppo nella mia vita privata.”
“Oh davvero? Perché? E’ successo qualcosa di interessante?”
“Niente che sia degno di nota. Kate aveva voglia di stare con me.”
Danny sentì il sangue ribollirgli nelle vene, ma riuscì a mantenere il sorriso intatto: “Oh davvero? E come avete passato la serata?”
“Bene, tutto sommato. Anche se speravo di concludere meglio.”
Danny strinse un pugno, le unghie gli si conficcarono nella carne: “Oh davvero?”
Gooz sbottò: “Ma che ti prende, Walker? Sembri un disco rotto!”
“Sono solo curioso. In fondo, tra amici ci si raccontano queste cose.”
Il sorriso forzato insospettì Gooz al punto da indurlo a porre fine al discorso: “Sì, bè… Preferisco non entrare troppo nei dettagli con te.”
La parola dettagli fu la goccia che fece traboccare il vaso.
Perché non vuole dirmelo? Cos’hanno fatto? L’ha toccata? L’ha baciata? L’ha scopata? Cosa, perdio? Se avesse urlato quelle domande a pieni polmoni tanto quanto le stava gridando nella sua testa, probabilmente avrebbe infranto i vetri e crepato i muri. La rabbia poteva trasformarsi in un’arma micidiale, specialmente se caricata con una dose eccessiva di gelosia.
“Prendete posto, la riunione sta per avere inizio.”
Il richiamo di Doolittle fu semplicemente il tasto di arresto, la parola fine, quel maledetto fortuito caso in cui viene decisa la vita o la morte di un individuo. Gli occhi di Danny videro Gooz allontanarsi, ma l’immagine era sfocata, quasi irreale. Gli servì una pacca sulla spalla per tornare alla realtà.
“Danny, che stai aspettando? Sediamoci.”
Voltò la testa lentamente e vide che accanto a lui vi era Rafe con Katherine sottobraccio. Entrambi lo stavano guardando con sguardo un po’ sorpreso.
“Sì, vi seguo.” La sua voce era rauca, come se avesse trattenuto il respiro. Forse lo aveva fatto.
Loro si avviarono, evidentemente non dando peso a quel particolare. Ora che aveva il tempo di riprendersi, Danny abbassò il viso e prese un profondo respiro. Il suo sguardo si posò sulla mano ancora chiusa a pugno, la riaprì lentamente. I quattro piccoli tagli sulla pelle erano di un rosso acceso.
*
Soli nella stanza, in piedi di fronte al letto, abbracciati, solo il rumore dei loro baci a rompere il silenzio. Ogni bacio non faceva che aumentare il senso di colpa di Katherine nei confronti di Danny, ma allo stesso tempo si sentiva travolta anche da quello nei confronti dello stesso Gooz, il primo tradito in ordine cronologico e ignaro di tutto quello che stava accadendo. Katherine sapeva che ogni bacio avrebbe potuto essere l’ultimo, giorno dopo giorno si stava inevitabilmente avvicinando il momento della verità. Persa in questi pensieri, non si accorse nemmeno che Gooz aveva abbassato la zip del suo vestito verde acqua, o almeno se ne accorse solo quando la spallina le scivolò sul braccio.
La mano leggera di Gooz le sfiorò la pelle salendo lungo il braccio, poi seguì la linea della scapola e risalì il collo per terminare dolcemente sotto al mento. Solo allora separò le labbra dalle sue e la guardò dritto negli occhi.
“So che stai vivendo una situazione difficile, ma voglio che tu sappia che io ti sono accanto.”
Una semplice frase sussurrata e Katherine si ritrovò gli occhi pieni di lacrime.
“Non sono perfetto, questo è evidente!” S’interruppe perché a lei sfuggì una risatina, poi proseguì: “Anzi, sono considerato un babbeo, però ti amo davvero, Kate.”
Provando imbarazzo per se stessa, Katherine si portò le mani al volto e saltò via dall’abbraccio di Gooz.
Lui inarcò le sopracciglia, preso alla sprovvista: “Ho detto qualcosa di sbagliato?”
“No, Gooz. L’unica cosa sbagliata, qui, sono io.”
Avendo abbassato le mani per parlare, Gooz poté notare il suo viso arrossato e le lacrime che le rigavano le guance. Si avvicinò per abbracciarla di nuovo, ma lei si ritrasse: “No, ti prego. Tu sei un uomo stupendo e io non ti merito. Sono sporca.”
Gooz si lasciò sfuggire una battuta: “Ma se ti fai il bagno ogni santo giorno!”
Lei rispose per le rime: “Sono seria, Gooz. Io non ti merito. Faccio schifo.”
Forse per via del tono alterato, forse per via del suo aspetto, Gooz iniziò a capire che c’era qualcosa di serio sotto. Nonostante lei si ribellasse, lui era deciso a stringerla tra le proprie braccia. Quando ci riuscì, Katherine dovette arrendersi e abbandonarsi alla sua dolce volontà.
Gooz le bisbigliò all’orecchio: “Dimmi cosa ti sta accadendo, amore.”
Lei rispose quasi senza voce: “Non posso. Non voglio. Non voglio ferirti.” E affondò il viso sulla spalla di lui.
“So che ha a che fare con Walker.” Sentì il corpo di lei tremare, ma continuò: “Da un po’ di tempo vi comportate in modo strano. L’ho notato. Ma se non vuoi parlarmene, è okay, non ti forzerò. In ogni caso, di qualunque cosa si tratti, ti prometto che lo risolveremo insieme. Io e te.”
“Non esiste una soluzione. L’unica cosa che posso fare è amarti con tutta me stessa il più possibile.” Pensò Katherine, convincendosi che era la cosa migliore. Rialzò il viso su di lui e lo guardò negli occhi, completamente sopraffatta dall’emozione: “Ti amo per quello che sei, Gooz. Promettimi che non cambierai mai.”
Era vero, dannazione. Lo amava. Dal giorno in cui si erano incontrati aveva capito che con lui la chimica era perfetta. Non c’era mai stato un litigio, i loro interessi combaciavano, lui l’aveva coinvolta nella sua passione per il surf anche se lei era e sempre sarebbe stata negata. Ma allora perché aveva bisogno di Danny per sentirsi completa? Perché erano cresciuti assieme? Perché la conosceva meglio di chiunque altro? Scosse la testa.
“Questa notte esisti solo tu, Gooz. Voglio amarti come meriti.”
Gooz non afferrò bene il significato di quella frase. L’unica cosa che capiva era che la sua fidanzata stava vivendo un gran conflitto interiore.
Le loro labbra si unirono delicatamente, dapprima sfiorandosi, poi immergendosi in un bacio sempre più profondo. Gooz le sfilò anche l’altra spallina, facendo così perdere l’ultimo appiglio al vestito, il quale scivolò lungo il corpo di lei per ricadere a terra. Rimasta con addosso solo la biancheria intima, Katherine si prodigò a sfilare la maglia dalle braccia di Gooz, quindi armeggiò in basso per slacciare la cintura e abbassargli la zip dei pantaloni. Quando anche questi toccarono terra, Gooz afferrò Katherine per il girovita e la issò in modo che lei intrecciasse le gambe attorno al suo bacino. Seguirono dei baci famelici e rumorosi, mentre Gooz pian piano si avvicinava al letto, dove poi si lasciò cadere tenendo la sua fidanzata stretta a sé. Rotolarono sul materasso, fino a quando non trovarono la posizione perfetta. Quindi anche la biancheria intima di entrambi venne tolta di mezzo.
Tra un bacio e l’altro, Gooz cercò di parlare: “Aspetta. Spengo la lampadina.”
Lei gli afferrò il polso prima che lui potesse farlo: “No. Lasciala accesa. Voglio vederti.”
Lui sorrise maliziosamente: “Quest’idea mi piace!”
*
Il mattino seguente, Gooz si svegliò all’alba, la testa goffamente abbandonata sul cuscino e un braccio ad avvolgere le spalle di Katherine.
“Dannata lampadina.” Disse tra i denti, per poi accorgersi che in realtà era spenta e che la luce rosa e arancio proveniva dalla finestra. Si portò una mano alla fronte: “Già, è vero. L’avevo spenta prima di addormentarmi.”
Scivolò lentamente giù dal letto, senza svegliare lei, quindi iniziò a vestirsi a scaglioni, raccogliendo da terra i vari indumenti buttati disordinatamente. Quasi per caso incontrò il proprio riflesso sullo specchio e notò che i suoi capelli erano totalmente in ribellione. Si avvicinò per vedere meglio.
“Se esco conciato così e incontro qualcuno la figuraccia è assicurata.” Abbassò lo sguardo sulla cassettiera: “Chissà dove tiene il pettine.”
Aprì un cassetto a caso, ma trovò solo biancheria mista, tra cui alcuni reggipetto mescolati a calzettoni maschili. Fece per richiuderlo, ma qualcosa attirò la sua attenzione. Affondò la mano ed estrasse la catenina che Katherine indossava dal giorno del funerale. Tranne in quei giorni. Vide che assieme alla croce c’era qualcos’altro, così prese tra le dita il secondo ciondolo per esaminarlo meglio.
“E questo?”
Andò di fronte alla finestra dove c’era più luce e contemplò l’anello con la pietra a forma di goccia.
“Che significa? Da dove salta fuori?” Si voltò a guardare Katherine, addormentata e con espressione serena sul volto. Se si fosse svegliata in quel momento si sarebbe arrabbiata e lui non aveva voglia di litigare dopo la bella notte appena trascorsa.
Rimise la catenina nel cassetto e uscì dalla stanza con passo spedito.
*
“Potete andare, ora. Vi aspetto dopo pranzo alla pista di atterraggio.”
Come al solito, la voce di Doolittle rimbombò imperiosa tra le pareti.
Tutti si alzarono dai barili e si diressero alla spicciolata verso la mensa. Gooz osservò Katherine, sorridente e impegnata in una conversazione con Danny, il quale rideva di gusto. Stranamente, dopo tanto tempo, lei era di buon umore. Con occhi di falco notò che indossava di nuovo la catenina, esattamente come notò che lei sembrava fare molta attenzione a nascondere i ciondoli sotto la camicia. Quel pensiero lo riportò al presente e a quello che aveva intenzione di fare.
“Hey Rafe, hai un attimo?”
Udendolo, Rafe si arrestò di colpo e si voltò a guardarlo con aria un po’ sorpresa: “Sì, perché?”
Gooz temporeggiò, in attesa che fossero tutti usciti: “E’ solo una curiosità.”
Rafe si avvicinò a lui: “Dimmi, non farti problemi.”
Gooz sbirciò intorno, constatando che erano effettivamente rimasti soli, quindi chiese: “Non che siano affari miei ma… Per caso hai regalato qualcosa a tua sorella quando sei tornato?”
Rafe ci pensò su: “No. Mi sembra di no. Perché?”
Ecco, aveva fatto una gaffe!
“Lascia stare. Non importa.”
“Adesso mi hai incuriosito. Ti riferivi a qualcosa in particolare?”
“Non voglio impicciarmi. Se lei lo tiene nascosto avrà le sue ragioni.”
Fece per andarsene, ma Rafe lo agguantò ad una spalla: “Se questa cosa ti turba magari posso aiutarti. Fidati di me. Siamo quasi cognati!”
Gooz fu tentato di fare una battuta infelice, ma si trattenne: “Per puro caso ho scoperto che assieme alla Santa Croce tiene anche un anello.”
“Un anello, dici? Puoi descrivermelo?”
“E’ d’argento e ha un diamante bianco a forma di goccia.”
Rafe si sentì come se qualcuno gli avesse rovesciato il secchiello del giaccio dentro i pantaloni.
“Tu ne sai qualcosa?” Lo sguardo di Gooz era speranzoso e triste in egual misura.
Nella mente di Rafe tornarono vecchie immagini che ora, disgraziatamente, combaciavano e trovavano un senso: il giorno in cui aveva detto a Danny ‘Vorrei che tu riuscissi a darle quell’anello’ e il più recente episodio nel quale la sorella gli aveva detto ‘Non dire niente a Danny’ e poi si era portata una mano al petto come per aggrapparsi ad un’ancora di salvezza. Ritornò bruscamente al presente, Gooz era ancora lì immobile in attesa di una risposta.
“Mi dispiace, Gooz. Non so proprio di cosa tu stia parlando.”
Gooz fece spallucce per nascondere la delusione: “Oh, va bene. Non fa niente. Grazie comunque.”
Rafe rimase a guardarlo mentre si allontanava, sentendo la rabbia crescere dentro di sé ad una velocità che nessun aereo avrebbe mai potuto raggiungere.
*
“Rafe, dove mi stai portando? Che ci facciamo qui?” Chiese Danny, esasperato, cercando di star dietro all’amico. Rafe invece non lo degnò nemmeno di una risposta, sembrava molto in collera e questo era un cattivo segno, però Danny non sarebbe scappato, di qualunque cosa si trattasse gli avrebbe tenuto testa. Quando finalmente vide Rafe fermarsi, bruciò la beve distanza tra loro con un accenno di corsa. Si trovavano sul retro di un edificio isolato, a debita distanza dal campo di addestramento.
“Allora, mi vuoi dire che ti prende?”
Rafe si girò con scatto felino, lo afferrò per le spalle e lo spinse contro il muro: “E così le hai dato l’anello, eh?”
Danny non si ribellò, quella morsa e quello sguardo glielo impedirono: “E tu come lo sai?”
“Gooz l’ha trovato e mi ha chiesto aiuto.”
Danny fece una smorfia: “Gooz? E che aiuto ha chiesto? Non sa nemmeno di cosa si tratta.”
Rafe lo strinse ulteriormente contro il muro: “Lui non sa niente ma io sì. Cosa ti è saltato in mente? Gooz la ama e tu devi toglierti di mezzo. Hai distrutto la mia felicità, non ti permetterò di fare lo stesso con mia sorella.”
Danny teneva gli occhi fissi nei suoi, sentiva il suo alito sul viso da quanto gli era vicino: “Quindi cosa dovrei fare?”
Rafe alzò il tono di voce: “Lascia in pace Katy. Stalle lontano. Fai in modo che Gooz non debba più preoccuparsi. Ma soprattutto…” Appoggiò la fronte a quella di Danny e sibilò: “Ora che mi hai portato via Evelyn voglio che tu faccia l’impossibile per renderla felice o giuro su Dio che ti spezzo l’osso del collo.”
Danny avrebbe voluto mantenere fede al suo proposito di prima, ma come poteva tenergli testa? Era colpevole e presto avrebbe dovuto pagare caro ogni torto.
Deglutì per allentare la tensione: “Ora ti sarei grato se mi lasciassi andare.”
I loro sguardi e le loro fronti rimasero uniti ancora qualche istante, poi Rafe lo liberò dalla stretta e se ne andò senza voltarsi indietro.
Rimasto solo, Danny si massaggiò una delle spalle indolenzite e, alzando gli occhi al cielo, imprecò tra i denti: “Maledizione.”

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Capitolo 15
*** Di nuovo addio ***


15
Di nuovo addio
 
Doolittle non avrebbe voluto rimproverarli, lo si capiva dalla sua espressione e lei sapeva decifrare con precisione le espressioni dell’uomo che aveva amato. Mentre lo osservava, si chiedeva che cosa l’avesse fatta innamorare. I suoi begli occhi chiari prima di tutto, ma poi? Ripensando a quei tempi si sentiva ridicola, si rivedeva troppo giovane e ingenua, anche se a conti fatti si trattava di circa due anni di distanza. Possibile che fosse cresciuta così tanto in così poco tempo? Sì, poteva. La presunta perdita di Rafe prima e l’attacco a Pearl Harbor dopo, avevano contribuito al cambiamento, ma allora perché non le sembrava una spiegazione sufficiente?
“Siamo qui da due mesi. Mi sentite? Da due mesi! E ancora non siete in grado di far decollare quell’aereo entro il limite di pista stabilito. Ora ditemi, ve lo chiedo come uomo e non come superiore, ditemi cosa devo fare per aiutarvi. Non siete abbastanza motivati forse?” Gridando quest’ultima frase spalancò le braccia, come per arrendersi.
In mezzo al gruppo, sguardo furbo e braccia incrociate sul petto, Katherine buttò fuori una risata. Tutti si voltarono a guardarla.
Rafe intervenne all’istante: “Colpa mia, colonnello. Le raccontavo una barzelletta.”
Doolittle lo liquidò con un gesto: “Balle.” Fece qualche passo verso Katherine e la fulminò con lo sguardo: “McCawley femmina, ti diverte tanto il mio discorso?”
Lei scosse lentamente il capo, le labbra ancora increspate in un sorriso: “Mi stavo solo chiedendo se davvero lei pensa prima di parlare. Senza offesa, colonnello, crede davvero che non siamo motivati?”
Incredibilmente, Doolittle si mostrò a disagio: “Quello che volevo dire è…”
“I nostri compagni sono morti!” Gridò lei.
“Ognuno di noi ha perso qualcuno di importante. Un caro amico.” Lanciò un’occhiata in direzione di Gooz, riferendosi a Billy.
“O una persona amata.” E si voltò verso Red, riferendosi a Betty.
A Red si riempirono gli occhi di lacrime, abbassò lo sguardo.
Katherine riportò lo sguardo tagliente su Doolittle: “Ma soprattutto abbiamo perso bravi uomini e ottimi piloti.”
Doolittle incrociò le braccia al petto, sfidandola: “Se sono stato privo di tatto, porgo le mie scuse a tutti i presenti. Però vi ricordo che abbiamo un problema da risolvere.”
Katherine uscì dal gruppo e parlò con sentimento rivolta a tutti: “Siamo talmente concentrati sulla tecnica da aver dimenticato la cosa più importante. Gli aerei che pilotiamo non sono solo strumenti di guerra. Sono l’estensione di noi stessi. Sono ciò che ci occorre per librarci nel cielo, dove ci sentiamo liberi. Noi non invidiamo gli angeli e le loro ali, perché noi abbiamo di meglio. Abbiamo gli aerei. E se ora sono l’unica cosa di cui disponiamo per vendicare i nostri amici, non sarà certo una pista ridotta a fermarci!”
Doolittle applaudì sfacciatamente, battendo le mani con colpi lenti e secchi, nei suoi occhi un altro lampo di sfida: “Eccellente, discorso. Davvero! Soprattutto perché pronunciato dall’unico pilota che ho lasciato a terra.”
Lo sguardo divertito di lei fu una risposta sufficiente.
“Anthony, fammi da copilota.” Disse, facendogli un cenno col capo.
Lui si guardò attorno smarrito, quindi si puntò un dito al petto: “Perché io?”
Lei fece spallucce: “Perché voglio te.”
“E… E perché non Gooz?”
Lui subito alzò le mani, vigliaccamente: “Non mettermi in mezzo.”
“Per favore, Anthony. Fallo per me.” Questa volta Katherine sfoggiò un’espressione da bambina sul punto di scoppiare a piangere. Mossa un po’ sleale, ma…
Anthony strinse le labbra, non potendo più rifiutare, quindi abbassò un attimo lo sguardo per darsi forza: “Va bene. Però non voglio subire conseguenze.”
Felice per quella conquista, Katherine fece dei saltelli sul posto e lanciò dei gridolini tutt’altro che professionali. Quando Anthony le fu accanto, lei si aggrappò al suo braccio e insieme andarono all’aereo di addestramento. Bastò prendere posto e inforcare le cuffie per mutare completamente. La bambina felice e capricciosa abbandonò la scena per lasciare il posto al pilota provetto. Il suo sguardo si accese sull’orizzonte: “E’ il momento di decollare.”
Non appena sentì il rumore dei motori, Rafe si affiancò a Doolittle: “Signore, se mia sorella non dovesse farcela, non ci saranno conseguenze, vero?”
Il colonnello si limitò ad accennare un sorriso, tenendo lo sguardo puntato sull’aereo: “Se c’è una cosa che so per certo, McCawley, è che tua sorella è il mio pilota migliore.”
Nella cabina di pilotaggio, Katherine si rivolse ad Anthony con aria decisa, lo sguardo di una tigre: “Pronto?”
Il poveretto dovette distogliere lo sguardo: “Mi spaventi quando fai così! Sembri assatanata.”
“Allora temo che tra poco te la farai sotto, perché ho intenzione di andare fino in fondo.”
L’aereo iniziò la sua corsa sulla pista. Rafe ingoiò il nodo che aveva alla gola. L’aereo raggiunse la massima velocità. Danny strinse un pugno per la tensione. La pista stava per terminare, tutti rimasero col fiato sospeso. E alla fine… Appena un metro prima della linea, le ruote si sollevarono da terra.
Rafe esultò: “Oh mio Dio! Ce l’ha fatta davvero!”
Doolittle invece rimase impassibile: “Avevi dubbi?” Lasciò il gruppo a vociare per quella vittoria inaspettata, lui se ne andò con espressione segretamente soddisfatta.
*
Era un giorno come tanti, una pausa pranzo in sala mensa come quelle di ogni giorno, almeno fino a quando Red non ebbe la brillante idea di appoggiare il piatto, ricolmo di pasta al sugo, sulla sedia di Anthony. Il motivo? Tenere il posto riservato per lui. Anthony però non si accorse di quella discutibile premura e quando andò per sedersi, si ritrovò a balzare come un coniglio spaventato.
“Red! Accidenti!”
L’amico, rosso nei capelli quanto in viso per la figuraccia, sollevò le mani per discolparsi: “Hey, non guardare me. Sei stato tu a ch-chiedermi d-d-di tenerti il posto.”
“Sì, ma non ti ho detto di mettere il piatto sulla sedia! Guarda che roba.” Vederlo mentre tentava di scrutarsi il di dietro con fare impacciato, non fece che aumentare le risate attorno a lui. Sui pantaloni la vistosa macchia rossa di sugo di pomodoro era assolutamente equivoca.
Dal proprio tavolo, Gooz infierì: “Hey Antonia! Dal giorno del decollo non fai che attirare l’attenzione su di te. Ma questa scenata mestruale mi sembra un po’ eccessiva!”
Katherine, seduta accanto a lui, si sentì raggelare. Nella sua mente svanirono le risate degli amici, il rumore assordante del cuore le rimbombava nelle orecchie. Con uno scatto si alzò dal posto e uscì dalla mensa quasi correndo.
Rafe, sguardo sorpreso e bocca aperta, tentò di fare una domanda a Gooz: “Ma…cosa le è preso?”
Gooz, sorpreso quanto lui, fece spallucce: “E che ne so? Sarà andata a cambiare il cotone per non fare la stessa figuraccia di Anthony.”
Nel frattempo Katherine aveva attraversato i corridoi come se avesse avuto il diavolo alle calcagna. Addirittura aveva rischiato di sfondare la porta col proprio corpo, tanta fretta aveva di arrivare. Si precipitò alla cassettiera e aprì il primo cassettino sulla sinistra. Artigliò l’agenda come un rapace e sfogliò le pagine per trovare quelle con il calendario annuale 1941/1942. Lo sguardo si puntò prima sul cerchietto rosso attorno al numero 9 sul mese di Gennaio di quell’anno. Febbraio vuoto. Marzo, giunto quasi al termine, ancora vuoto.
Katherine puntò il dito sul cerchietto di Gennaio e lo fece scivolare sull’altra pagina del calendario, precisamente al numero 8 di Dicembre. Il giorno successivo all’attacco. Ripensò alla notte di nozze con Danny, avvenuta circa una settimana dopo. A Gennaio il ciclo le era venuto, poi a Febbraio aveva avuto una notte d’amore con Gooz.
Era forse incinta? No, non era quella la domanda che voleva porsi. Sapeva già la risposta. Sì, era incinta. La domanda a cui doveva rispondere era…
“Chi è il padre?”
A prima vista chiunque avrebbe potuto dirle che si trattava di Gooz, ma lei sapeva che in realtà non era facile stabilirlo. Sì, dopo Danny il suo corpo si era purificato, ma questo non significava niente. Molte donne contavano i mesi affidandosi al calendario e poi si ritrovavano in faccia una realtà diversa leggendo le analisi ritirate dall’ospedale. Non poteva averne la certezza. Non ora. Avrebbe dovuto attendere di tornare a Pearl Harbor e chiedere aiuto a qualcuno di fiducia.
*
Red attraversò il deposito guardando a terra con attenzione. Ad un certo punto il suo sguardo si illuminò: “Ah ecco dov’eri!”
Bevve un sorso dalla bottiglia di birra che stringeva in una mano, quindi si diresse verso il punto interessato. Si chinò per raccogliere la medaglietta di riconoscimento: “Temevo di averti smarrita.”
La mise nella tasca dei pantaloni, ora non gli andava di esaminarla. Se gli era caduta probabilmente aveva bisogno di una piccola riparazione. Red buttò il capo all’indietro per ingollare un’altra bella sorsata di birra. Dai portelloni aperti poteva vedere tutto il campo e la pista di atterraggio, illuminati dalla luce del tramonto. Una figura attirò la sua attenzione. Nonostante fosse ben mimetizzata, lui la vide lo stesso. I lunghi capelli biondi e la gonna arancio che ondeggiavano al vento.
Red deglutì di malavoglia, improvvisamente l’alcol non gli andava più e perfino tenere la bottiglia in mano gli dava fastidio. Diede un’occhiata intorno, quindi la posò a terra: “Ti riprenderò più tardi.”
Katherine sembrava priva di emozioni, il suo sguardo era vuoto, le sue labbra serrate. Talvolta i capelli le frustavano il viso a causa di alcune folate di vento, ma lei non reagiva.
“Sei preoccupata per la missione?”
Finalmente le sue labbra si dischiusero, gli occhi vibrarono nella luce arancione, la mano destra scostò i capelli ribelli dal viso.
“Red. Scusami, non ti ho sentito arrivare.”
“Lo so. Eri assorta.”
Lei abbassò lo sguardo e rispose alla domanda che le era stava posta prima: “Non è solo per la missione. Cioè… Ovviamente darei volentieri un rene pur di non vedervi partire per una missione così pericolosa. Però in questo momento darei qualunque cosa pur di non dover più sopportare il peso dei miei segreti.”
“E indossare questo vestito ti aiuta?” Sapeva bene che era uno dei tanti abiti che aveva acquistato in compagnia di Betty, ma aveva una gran voglia di parlare di lei.
Come sentendo i suoi pensieri, Katherine rispose con voce roca: “Mi manca tanto.”
Quando si trattava di Betty erano entrambi fragili. Era stata una figura importante per le loro vite e ora che non c’era più era diventata il collante della loro amicizia. Red strinse l’amica in un abbraccio, un po’ per confortarla, un po’ per confortare se stesso. Era bello avere una spalla su cui piangere.
“Perdonami. Non volevo turbarti. E’ che a volte ho bisogno di parlare di Betty per mantenere vivo il suo ricordo.”
Katherine dovette trattenere il respiro per alcuni secondi, per poter rispondere: “Red, sento che se non ne parlo con qualcuno diventerò pazza.”
Lui le diede qualche colpetto sulla schiena, con fare un po’ mascolino: “A me puoi dire tutto. Però adesso calmati.”
Lei sollevò il viso, gli occhi talmente pieni di lacrime da sembrare due diamanti al sole: “Sai tenere un segreto,vero? Se Betty ti ha mandato da me significa che sei la persona giusta a cui dire la verità.”
Red la guardò di sbieco, non sapendo se stesse parlando seriamente o se fosse solo vittima dell’emozione. Ad ogni modo era evidente che aveva bisogno di aiuto, perciò glielo concesse.
“Non dirò niente a nessuno. E non ti giudicherò.”
Katherine prese un bel respiro, ricacciò indietro le lacrime: “Credo di essere incinta. Ma non so con certezza chi sia il padre.”
Red lasciò una mezza risata: “Che vuoi dire? Sei fidanzata!”
“Gooz non è l’unico con cui sono stata, Red.”
“Katy, stai vaneggiando. Non sai quello che dici.”
Lei si alterò: “Sì che lo so, invece! Vorrei non essere incinta, visto il casino in cui mi trovo!”
A quel punto Red capì la gravità della situazione. E rimase perplesso.
“Dio mio… E’ tutto vero. Ma allora se il padre non è Gooz, chi altri…?”
“Davvero non conosci la risposta?”
Lui sospirò e fece un cenno affermativo col capo: “Ascolta, ho promesso di non giudicarti e non lo farò, però ora dovrai dirmi una cosa. Come devo comportami adesso che lo so?”
Katherine gli prese entrambe le mani, in un gesto disperato: “Dovrai fingere di non saperlo. Ti prego, Red. Voglio che tu abbia cura di Gooz finché non avrò chiarito ogni cosa.”
“E quando sarà?”
“Al vostro ritorno. Te lo prometto. Pagherò tutte le conseguenze delle mie azioni.”
Red riuscì ad abbozzare un sorriso: “Per il bene di tutti, pregherò affinché il bambino sia di Gooz, così tutto tornerà alla normalità.”
Sciolse le mani da quelle di lei e si avviò per rientrare.
“Red.”
Si fermò e si voltò verso di lei.
“Io amo Gooz, devi credermi.” Un ciuffo di capelli le attraversò il viso.
Red sorrise: “Questo lo so. Non temere.”
*
Danny entrò nella propria camera con noncuranza, ma non appena ebbe chiuso la porta, voltandosi si ritrovò davanti la scena più dolce che avesse mai visto. Rafe e Katherine, abbracciati sul letto di lui. Rafe le stava accarezzando i capelli con la mano, lei lo stringeva forte tra le braccia.
Accorgendosi dell’arrivo dell’amico, Rafe sorrise e gli lanciò un’occhiata di scuse, poi si rivolse alla sorella: “Katy, è arrivato Danny. Forse è il caso che io ti riaccompagni alla tua stanza. Hai bisogno di riposare, e anche noi.”
Lei scosse la testa e si aggrappò a lui con più forza, capricciosamente.
Rafe rise: “Devo darti una banana, scimmietta?”
Lei sollevò il viso, gli occhioni gonfi e le labbra imbronciate: “Non voglio separarmi da te di nuovo.”
“Lo so, Katy, per questo ti ho promesso che tornerò. Non dico tutto intero, però tornerò.”
Questo scherzo la fece arrabbiare, tanto da assestargli un colpo sulla spalla come ammonimento.
Rafe continuò a ridere: “Hey, vorrei partire sano! Danny, è richiesto il tuo aiuto!”
Solo allora Danny si fece avanti, ridendo a sua volta: “Eccomi!”
Si buttò sul letto e l’impatto fece balzare Katherine addosso a lui, così poté approfittarne per stringerla a sé. Fortunatamente lei dimenticò subito il malumore e si lasciò andare ad una squillante risata.
Rafe si buttò su di loro e li avvolse entrambi in un grande ed equivoco abbraccio.
“Sembriamo un sandwich di campagna!”
Era quello il trio perfetto. Rafe-Katy-Danny.
In quel buffo abbraccio erano racchiusi anni di felicità, di corse nei campi, di marachelle, di lacrime e di bisticci. In quell’abbraccio potevano rivedere le loro vite nel modo in cui le avevano vissute prima che il dovere militare subentrasse assieme a nuove passioni e tradimenti.
Danny esplose di punto in bianco: “Ho un’idea! Che ne dite di unire i due letti e dormire tutti e tre assieme?”
Rafe sbottò: “Quanto sei scostumato.”
“C’è tua sorella in mezzo a noi! Nessuno può fraintendere!”
Katherine s’intromise simulando una vocina infantile: “E dai, fratellone. Dormiamo insieme. Solo stanotte.”
Come poteva dire di no al fantasma bambino di sua sorella? Quegli occhi supplichevoli, quella boccuccia piena. Dovette arrendersi, senza onore.
“Due contro uno. Avete vinto. Però vi avverto: se qualcuno ci scopre e finiamo agli arresti per atti osceni, giuro che non vi rivolgerò più la parola.”
Danny e Katherine gridarono un super infantile “Yeah!”, proprio come quando erano bambini.
Tutti e tre balzarono giù dal letto di Rafe e si aiutarono a vicenda per spostare il letto di Danny. Stesero i cuscini occupando tutta la larghezza e poi presero una grande e vaporosa coperta dall’armadio che condividevano.
Tenendo addosso la biancheria intima -giusto per evitare equivoci- presero posto sul nuovo giaciglio. Tra chiacchiere e scherzi, il Tennessee non sembrava più così distante.
*
Quella mattina Katherine aveva abbracciato tutti. Ma proprio tutti! Per ogni singolo pilota aveva una parola di incoraggiamento e una lacrima per l’imminente separazione. Erano tutti amici e compagni d’arme, niente da ridire, però Gooz cominciava a non sopportare più l’amaro gusto della gelosia.
Rafe, notando il suo sguardo tagliente, cercò di ammorbidirlo un po’ puntando sui sentimenti: “Ti sta lasciando per ultimo perché sei il più importante.”
Lui ingoiò l’ennesimo boccone di fiele: “Sarà anche come dici tu, ma mi dà fastidio vederla strusciarsi addosso a tutta la squadra. E davanti ai miei occhi, per giunta!”
Non avendo ottenuto l’effetto sperato, Rafe deviò sull’umorismo: “Oh andiamo, non essere possessivo. Al ritorno l’avrai tutta per te!”
Gooz emise un suono contrariato, ma almeno non disse nulla.
Quando finalmente Katherine li raggiunse, sfoggiò un luminoso sorriso rivolto al fratello e lo allacciò in un affettuoso abbraccio.
“Tutto bene, Katy?”
“Sì. Adesso sì.”
Si scambiarono uno sguardo complice, dopo di che Rafe sciolse l’abbraccio e si congedò: “Vado a fare quella cosa di cui mi hai parlato. Ci vediamo dopo.”
Lei gli fece un cenno positivo e lo lasciò andare.
“E così…è giunto il momento.” La voce di Gooz era dispiaciuta a puntino e il suo sguardo triste era la perfezione. Katherine si abbandonò a lui, lasciando che la stringesse forte e che affondasse il viso nei suoi lunghi e morbidi capelli. Lei sentì il bisogno di approfondire quell’intimità ricambiando l’abbraccio e, volontariamente, viaggiò sul suo collo e sull’incavo della spalla per respirare il sottile aroma di sale. Sorrise al pensiero di cosa si trattava in realtà. Da quando lo conosceva aveva imparato a riconoscere i residui salini dell’acqua di mare da quelli causati dall’agitazione. E sapeva bene che in quegli ultimi mesi lui non aveva surfato. Era nervoso per la partenza. Quell’ultima piccola parola, anche se solo pensata, la fece tremare.
“Ho tanta paura, Gooz.”
Lui fece scivolare il viso sui suoi capelli e poi sulla guancia, quindi la guardò negli occhi: “Anch’io. Ho paura di non rivederti più.”
Dannazione! Come poteva non piangere dopo una frase così? Semplice: non poteva. Le lacrime presero a scorrere copiose sulle sue guance. Gooz, prontamente, sollevò una mano con la quale cercò di scostare quelle calde lacrime che stava versando per lui.
“Hey, piccola. Farò il possibile per sopravvivere. Te lo prometto.”
Lei singhiozzò: “Non posso lasciarti andare.”
“Mi valuti così poco?” Aveva cercato di usare un tono scherzoso, ma la voce gli si era incrinata.
Suo malgrado, Katherine sorrise tra le lacrime: “Come pilota no. Ma come uomo… Ammettilo, Gooz, sai essere davvero imbranato! Se ripenso a tutte le volte che ti sei schiantato con la tavola da surf, io…”
“Non sto andando ad una competizione di surf, per tua informazione!” Si concesse qualche istante per tornare serio, poi aggiunse: “Promettimi che quando ti rivedrò indosserai lo stesso vestito della sera in cui hai accettato di sposarmi.”
“Solo se tu mi prometti di non fare pazzie.”
“Accordato.”
Unirono le labbra in un lungo e romantico bacio al quale poi ne seguirono altri brevi e leggeri, giusto per assaggiarsi un’ultima volta e memorizzare ogni dettaglio.
A poca distanza, Danny stava osservando la scena. Dall’esterno non manifestava alcuna emozione. E forse neanche all’interno. Rafe lo affiancò: “Sono una bella coppia, non trovi?”
Danny rispose con indifferenza: “Sì.” Distolse lo sguardo da loro e si accorse che Rafe teneva in mano una videocamera.
“E quella?”
Rafe la sollevò: “E un’idea di Katherine. Vuole darla a Gooz per documentare il viaggio in mare. Credo sia un modo per farlo distrarre un po’ prima del grande giorno.”
“Un pensiero carino…”
Accorgendosi che la coppia aveva terminato le effusioni, Rafe si congedò: “Vado a portargliela.”
Danny lo lasciò andare e rimase lì a guardare la scena. Katherine aveva smesso di piangere, ma il suo viso era ancora arrossato, si stava sforzando di apparire tranquilla. Poi ci fu un breve colloquio fra i tre, la videocamera passò nelle mani di Gooz. Un ultimo abbraccio tra lei e il fratello e poi al presunto fidanzato. I due piloti si diressero verso la portaerei. Quando furono spariti all’interno, Katherine, come richiamata dal magnetismo, si voltò e incontrò lo sguardo di Danny. Lo raggiunse a passi lenti.
“Ha un significato particolare questo vestito?”
Lei si lisciò la gonna bianca a stampa floreale verde e rossa, fece risalire la mano fino all’abbottonatura del corpetto: “Mi ricorda il Tennessee. Mi sto aggrappando alla speranza che presto tornerò a casa.” Gli donò un sorriso pieno di malinconia.
Danny non attese oltre, l’avvolse in quel sentito abbraccio che non aveva potuto darle in presenza di Rafe. E di Gooz.
Posò le labbra sulla sua tempia, tutto il suo corpo era rigido per via della tensione. Se l’avesse lasciata adesso si sarebbe spezzato dentro.
“Katy, qualunque cosa accada, ricordati che ti amo. Sei l’amore della mia vita. Sei tu la mia vita.”
Katherine si ritrovò a stringerlo con quanta più forza avesse creduto di avere. Era come se stesse cercando di tenere stretta la sua metà, come se sentisse che non avrebbero potuto sopravvivere separati. Un pensiero ridicolo. O forse no. Come poteva in una sola frase racchiudere tutto quello che voleva dirgli? Da quando era nata erano sempre stati insieme, il suo cuore aveva il nome di Danny inciso, nonostante alcune deviazioni sapeva che erano destinati a condividere tutto, per sempre. Sentirlo così forte e vivo tra le sue braccia era come un tuffo nel passato. Ogni singolo abbraccio, ogni carezza, ogni bacio. Perché la guerra le stava portando via tutto questo?
“Ti prego, perdonami per tutte le volte che ti ho fatto soffrire.” Il perdono era ciò di cui aveva bisogno. Se lui fosse partito senza averglielo concesso non si sarebbe data pace. Si sentiva così colpevole per tutte le scelte sbagliate. Tutto il tempo sprecato che avrebbe potuto condividere con lui.
Danny, al contrario, stava cercando di imprimere nella mente tutti i ricordi più lieti. Ogni sorriso, ogni bacio, ogni sguardo. Fin da quando erano bambini non ne aveva dimenticato uno. Aveva persino la romantica presunzione che lei fosse venuta al mondo per congiungersi a lui. Nel sentire quella supplica, gli occhi gli si riempirono di lacrime. Soffiò fuori un semplice: “Già fatto.”
“Ti aspetterò, amore mio. Torna da me.”
A quel punto Danny si sentì invadere da un fuoco. Anzi, un incendio! Era stato paziente, si era comportato bene, ma ora era il momento di farla finita. Quattro mesi in cui si era accontentato solo di baci e carezze, per rispetto di Gooz. Ora non voleva più trattenersi. Tenendola ferma per le braccia la guidò fino a svoltare l’angolo dell’edificio. Nessuno nei paraggi. Danny stava letteralmente ardendo nel desiderio di possedere sua moglie prima di partire. Sentiva la pressione del sangue premergli sul viso, sulle mani, sul basso ventre. Lo sguardo fermo sembrava incollato a quello di lei. Che fosse amore, che fosse disperazione o entrambi, non aveva importanza. La patta dei pantaloni aperta, una gamba di lei a cingergli il fianco, la gonna leggermente sollevata sulla coscia. Il fuoco della passione che li univa prepotente. Giusto un paio di minuti, il tempo di trovare il paradiso dentro di lei, di sentirla sua. I loro sguardi magnetici non si erano mossi un attimo. Era possibile dare tutto e prendere tutto in così poco tempo?
Attesero che il respiro tornasse alla normalità, fermi fronte contro fronte. Le loro labbra si unirono per la prima volta. Un bacio forte, possessivo, un’esplorazione dei sensi. L’ultimo fino al suo ritorno. Fu quasi impossibile per loro sciogliersi da quella dimensione. Mantennero il contatto attraverso le mani, svoltarono l’angolo sperando che non ci fosse nessuno ad attenderli.
Katherine parlò timidamente: “Stai attento a Gooz, se puoi. E’ così distratto che temo possa farsi del male.”
Danny accennò un mezzo sorriso: “Ci proverò.”
Lei sollevò una mano, quasi con timore, e gli accarezzò dolcemente una guancia: “E abbi cura di te, amore.”
Lui mosse leggermente il capo in modo che la mano di lei gli fosse all’altezza delle labbra, quindi baciò quelle dita sottili e tiepide. Un piccolo gesto affettuoso.
“Lo farò, amore mio.”
Il momento era carico di emozione, i loro sguardi trasparivano tenerezza. Doveva interrompere tutto o non sarebbe più partito. La baciò ancora, trasmettendole ciò che stava provando. Si separò da lei con un coraggio di facciata, si voltò ben tre volte prima di salire a bordo della portaerei. E ogni volta il suo corpo era lì lì per tornare indietro. Nella mente dei flash di loro due. Si fermò e si voltò indietro, la guardò un’ultima volta in tutta la sua bellezza.
“Ti amo.” Lo aveva detto sottovoce, tanto che lei capì solo per avergli letto le labbra.
Katherine sorrise e sussurrò allo stesso modo: “Ti amo anch’io.”
Danny entrò

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Capitolo 16
*** Il sottile filo della vita ***


16
Il sottile filo della vita
 
Le parve di vivere un déjà vu. Stesso sentiero ghiaioso, stessa automobile, stessa divisa militare, stessa casa bianca senza tendine alle finestre. Una sola cosa era cambiata, questa volta ad attenderla sulla soglia della porta c’era Sandra, con occhi gioiosi e un bel sorriso sulle labbra.
Katherine spense il motore della vettura e si tolse subito il cappello, che gettò monellamente sul sedile accanto. Sandra le venne incontro mentre lei scendeva dall’auto così, quando ebbe chiuso la portiera, Sandra le gettò le braccia al collo con trasporto.
“Non puoi nemmeno immaginare quanto mi sei mancata, amica mia!”
A Katherine venne spontanea una battuta: “Non credevo odiassi tanto la tranquillità!”
Una breve risata condivisa e si sciolsero dall’abbraccio.
“Dimmi, Katy, come stai? E’ stata molto dura vedere Rafe partire ancora una volta?”
“La verità? Mi sento uno straccio. Le persone che più amo al mondo stanno andando in Giappone e solo Dio sa cosa potrebbe accadere.” Si morse le labbra come autopunendosi per aver pensato in negativo.
Sandra la guardò, comprendendo appieno il suo sguardo malinconico, ma poi la prese per mano e cambiò discorso: “Vieni dentro, ti prego. Qui fuori è un forno! Sono certa che una limonata fresca ti farà sentire meglio.”
Entrare di nuovo in quella casa le fece uno strano effetto. Attraversò il salotto, si impose di non guardare sulla sinistra dove c’era il corridoio che portava alle camere da letto.
“Non adesso, Katy. “ Pensò.
Comode attorno al tavolo su cui facevano bella mostra due grandi bicchieri e una caraffa di vetro piena di liquido frizzantino, le due amiche si misero a chiacchierare del più e del meno come ai vecchi tempi. Fino a quando Katherine decise che era arrivato il momento di passare a una cosa di assoluta serietà.
“Sandra, avrei un favore molto importante da chiederti.”
“Qualunque cosa.” Rispose l’amica, con il tono più dolce che si potesse avere.
Katherine prese respiro e proseguì: “Sei un’infermiera competente e so che farai tutto con discrezione.”
A quel punto Sandra sgranò gli occhi sotto i grandi occhiali da vista: “Di cosa si tratta?”
Uno. Due. Tre. “Ho bisogno di fare un test di gravidanza.”
L’infermiera liberò un sospiro e sorrise: “Solo questo! Ma certo, me ne occuperò io!”
Ovviamente non poteva sapere la gravità della situazione, Katherine si ritrovò ad afferrarle una mano sopra il tavolo e a guardarla dritto negli occhi: “Ho bisogno di un risultato dettagliato, Sandra. So già di essere incinta. Quello che voglio sapere è quando ho concepito questo bambino.”
Sandra cominciava ad entrare nell’ottica. Chiese un superfluo: “E’ così importante per te?”
“Sì. Ma non posso ancora spiegarti il motivo. Perdonami.”
L’amica rifletté su quella risposta qualche istante, quindi assunse un’aria professionale e rassicurante: “Sarà impossibile stabilire il giorno esatto, ma la settimana probabilmente sì. Quando hai avuto il tuo ultimo ciclo?”
“Il 9 di Gennaio. Però so che ci sono buone possibilità di averlo concepito prima.”
Lei confermò: “Sì, non è una cosa insolita. Dopo la fecondazione il corpo ha bisogno di espellere le sostanze di scarto un’ultima volta. Non temere, Katy, avrai una risposta soddisfacente. Vieni all’ospedale domani mattina alle 8.30 in punto. Ti aspetto.”
Katherine sorrise speranzosa: “Ti ringrazio di cuore per il tuo aiuto.”
Il rumore della porta vetrata dell’ingresso le fece sobbalzare entrambe. Sandra rise tra sé: “Dopo tutto questo tempo mi spavento ancora! Forse è tornata Martha dalla passeggiata.”
Katherine si illuminò, aveva una gran voglia di rivederla, ma il sorriso le morì sulle labbra quando vide di chi si trattava in realtà.
Sguardo ansioso, colorito più pallido del solito, labbra socchiuse dipinte di un rosso acceso, vestitino rosso che lei ricordava fin troppo bene. Evelyn.
“Katherine… Sono lieta di rivederti. Come stai?”
Lei si alzò dalla sedia come per andarle incontro, ma invece di salutarla la superò per uscire dalla cucina.
Evelyn cercò di fermarla. “Perché mi porti rancore? Rafe e Danny hanno fatto pace. Non hai motivo di odiarmi.”
Katherine strinse forte i pugni per non dare in escandescenze. Sibilò tra i denti: “Mi rifiuto di guardarti finché avrai addosso quel vestito.”
Uscì dalla casa sbattendo la porta vetrata alle proprie spalle.
Evelyn rimase immobile, ferita da quel comportamento. Sandra le si avvicinò: “Non so di cosa stesse parlando, ma di certo è l’ultima volta che puoi indossare questo vestito.”
Vedendola portarsi una mano al ventre, ormai prossimo a gonfiarsi, Sandra pensò bene di tranquillizzarla: “Non le ho detto nulla. Ho pensato che avresti preferito farlo tu. Però ti prego di aspettare ancora un po’.”
Evelyn le lanciò uno sguardo interrogativo: “Tra poco sarà evidente. Perché aspettare?”
“Non posso dirtelo. Ti basti sapere che Katy si trova in una situazione complicata e ha bisogno di ritrovare la serenità.”
*
Lasciò cadere il cappello che aveva tenuto stretto tra due dita, poi gettò le valigie con violenza. Sentendosi ancora in trappola, sbottonò la giacca e gettò anche quella sul mucchio, rimanendo così solo in maniche di camicia. Si sedette sul bordo del letto, gomiti puntellati sulle ginocchia e mani alle tempie.
“Non credevo di rivederti qui.”
Lei rispose irritata: “Ti do fastidio?”
Earl sorrise divertito, abbandonò la propria postazione all’ingresso della camerata e la raggiunse: “E’ vero che quel letto è di Gooz, però ci hai dormito per così tanto tempo che ormai è anche tuo. Quello che intendevo dire prima è che pensavo ti saresti fermata dalle infermiere, dove di certo hai una stanza più confortevole.”
Katherine si sentì minuscola, si abbracciò il torace e chinò il capo come per proteggersi: “Ci ho provato, ma è stato inutile. Odio troppo quella donna per condividere con lei la stessa città, figuriamoci la stessa stanza!”
Earl si sedette accanto a lei: “Per tua fortuna ora è arrivato papà.”
Lei sollevò il viso di scatto e gli lanciò un’occhiataccia. “Come, prego?"
Le indicò se stesso con le mani: “Per un’oscura ragione, dopo l’attacco giapponese hai cominciato a starmi a cuore.”
Vedendo lo sguardo perplesso di lei, continuò: “Oppure voglio semplicemente tenerti d’occhio dopo tutti i casini che hai combinato. Chi può dirlo?”
“Parli sul serio?”
“Mai stato più serio. E di certo non sono famoso per il mio sorriso.”
Katherine distolse lo sguardo, pensando tra sé, quindi chiese: “E ora cosa pensi di fare, papà?”
“Per prima cosa voglio sentire dalle tue labbra il perché continui a tradire Gooz con Walker.”
Lei sbottò: “Io non sto affatto…”
Ma lui la interruppe: “Il fatto che tu sia qui ne è la prova.”
Si sentì in trappola, senza via di scampo, non poté far altro che prendere un bel respiro ed essere sincera: “Ascolta, non è come sembra. Non sto usando Gooz per il mio sadico divertimento. Sono successe delle cose più grandi di me  e più il tempo passa più io mi sento inghiottita dal vuoto.”
Earl l’ascoltò in silenzio, pesando ogni parola, ma senza interromperla per non rischiare di farla richiudere a guscio.
“Lo so che non ho giustificazioni. Che è ingiusto e immorale. Però di una cosa sono certa: al loro ritorno verrà tutto alla luce e finalmente saprò quale sarà il mio futuro.” Esitò prima di terminare: “E con chi.” Si fermò ancora, inseguendo un pensiero: “Anzi, lo saprò tra qualche giorno comunque.”
Earl la guardò incapace di capire: “Che succede tra qualche giorno?”
Lei sorrise beffarda e gli diede una pacca sulla spalla: “Questo non posso ancora dirtelo, papà.”
*
A miglia di distanza, in pieno Oceano Pacifico, c’era chi si sentiva altrettanto confuso.
Di nuovo chino su quel tavolo. Di nuovo con un foglio davanti. Di nuovo incapace di prendere una decisione. Con la mano aprì a ventaglio le altre lettere, ancora da piegare e imbustare, e le guardò smarrito. Erano dieci lettere d’amore con una caratteristica fondamentale in comune: nessuna aveva il nome del destinatario. Danny era in viaggio da un numero imprecisato di giorni, nemmeno li aveva contati, il Giappone era sempre più vicino, e lui ancora non sapeva per chi aveva scritto quelle lettere. Tutte iniziavano con le parole ‘my dearest’ seguite da un vuoto.
“Dì un po’, Walker, stai scrivendo Delitto e Castigo?” Gooz avrebbe voluto essere spiritoso e invece quelle parole gli erano uscite con tono sarcastico.
Stranamente, Danny sfoggiò un sorriso incerto per auto commiserarsi: “Magari. Sarebbe più facile.”
“Senti amico, ti chiedo scusa. Non volevo essere…”
Danny sollevò una mano e lo interruppe: “Lo so. Non è niente.”
Gooz si sedette per terra, accanto a lui, e cercò di essere più gentile: “Deve mancarti davvero molto se riesci a scriverle tutte quelle lettere.”
Danny sentì un brivido corrergli lungo la schiena: “Di chi parli?”
Gooz fece una smorfia: “Come di chi parlo? Di Evelyn, no?”
Danny si riprese dallo spavento, ma non abbastanza per apparire normale, infatti la sua risposta fu più impacciata che mai: “No. Cioè, sì certo! Lei. Chi altri sennò? Sono lettere d’amore… Tu… Tu piuttosto, come sei messo? Non ti ho ancora visto scrivere a Katy.”
Gooz si strinse nelle spalle: “Io non sono uno che ci sa fare con le parole scritte. E lei lo sa. Per questo mi ha dato la videocamera. Ogni volta che sento la sua mancanza mi metto a riprendere qualcosa e provo ad immaginare la sua espressione quando le mostrerò il nastro.”
Danny capì la profondità di quel pensiero e, suo malgrado, provò ammirazione per lui, nonostante fosse il suo rivale in amore. Almeno Gooz era sicuro dei suoi sentimenti, l’amava davvero, non l’aveva mai tradita. A modo suo avrebbe fatto qualunque cosa per renderla felice. E lui, invece? Era lì e non riusciva nemmeno a scrivere un nome su quelle dannate lettere!
“Ma che mi prende? Deve essere il senso di colpa a bloccarmi. Io e Katy siamo sposati.” Lo aveva pensato così forte che quasi temette che Gooz avesse sentito. Almeno questo avrebbe giustificato il suo sguardo penetrante e sospettoso. Chiuse gli occhi e si disse: “Calmati, Daniel.”
“Se posso, vorrei darti un consiglio, Danny.”
“Dimmi pure.”
“Oltre ad essere tuo amico sono anche il tuo copilota, sai che puoi fidarti di me.”
“Vorrei poter dire altrettanto, credimi.” Lo aveva solo pensato, vero? Evidentemente sì, perché Gooz riprese a parlare.
“Io non sarò certo l’uomo più romantico sulla faccia della terra, però di una cosa sono certo: dovresti scrivere il suo nome su quelle lettere. Le donne vogliono essere al centro dell’attenzione, vogliono la certezza di essere il centro dei nostri pensieri.”
Danny abbassò lo sguardo e fece dei cenni positivi col capo: “Hai ragione.”
“E magari potresti…” Gooz attese che Danny risollevasse lo sguardo, poi proseguì: “Potresti tenere la sua foto sopra il tavolo mentre le scrivi. Guardandola ti sentirai meglio. Io tengo sempre la foto di Katy con me, per darmi forza.”
Ricevere una pugnalata sarebbe stato meno doloroso. La verità era che anche lui teneva sempre con sé una foto di Katherine. Quella di Evelyn era ancora nell’armadietto.
“Gooz, ti prometto che seguirò i tuoi consigli alla lettera. Sei un buon amico.”
Gooz sorrise soddisfatto, quindi si rialzò in piedi e lo salutò: “Torno sul ponte. Red mi sta aspettando. Si è offerto per dipingere la fiancata del nostro aereo, visto che ha finito col suo, e vuole mostrarmi qualche schizzo.”
Danny fece una battuta mentre l’amico si allontanava: “Niente di sconcio, mi raccomando!”
Sentì la voce di Gooz rimbombare nel corridoio fuori dalla cabina: “Contaci.”
Abbozzò un sorriso, probabilmente il primo da settimane, ma non appena si voltò questo si spense nuovamente, come un fiammifero bagnato. Prese la penna tra le dita e sospirò.
“Non mentirò a me stesso. Solo a lui. Quando sono solo non ho nulla da nascondere.”
Poggiò la punta della penna sul foglio della prima lettera e scrisse 'Katy'.
“Scriverò a Evelyn in un altro momento. E metterò in mostra la sua foto per non insospettire nessuno.”
*
“Katy, sei sicura di non volerla leggere adesso? Proprio sicura?”
Katherine aveva ancora nella mente l’eco di quelle parole e poteva rivedere il viso di Sandra mentre le pronunciava, quegli occhi tristi e umidi, quella piccola ruga tra le sopracciglia. Eppure lei se n’era andata dall’ospedale fingendo assoluta tranquillità. La passeggiata solitaria non le aveva giovato molto, anzi, man mano che il dormitorio si avvicinava il suo passo diventava sempre più forzato e l’espressione sul viso, sotto il cappello dalla larga visiera bianca, era sempre più teso. Nella mano stringeva la pochette con dentro la lettera, ergo i risultati degli esami.
“Coraggio, Katherine. Vai nella tua camerata, siediti sul letto e apri quella busta.” Aveva solo bisbigliato, ma il suo tono era stato più duro del più acerrimo generale che avesse mai conosciuto.
Entrò nel dormitorio e…si bloccò.
“Forse è meglio andare nei bagni. Almeno lì sarò certa di non essere disturbata.”
Certo il bagno dei piloti non era il posto più accogliente del mondo, però per qualche ragione vi si rifugiava spesso nei momenti in cui aveva bisogno di solitudine e non aveva abbastanza concentrazione per volare.
Spalancò la porta e notò subito due cose: non c’era nessuno e qualcuno aveva fatto le pulizie. Due buone notizie! Facendosi coraggio entrò e si avvicinò a uno dei lunghi lavabi. Aprì la pochette con gesto sicuro e l’appoggiò sul ripiano sopra il rubinetto, restando così con solo la busta tra le dita. La osservò, bianca e con il suo nome scritto sopra. Il sangue le pulsava nelle orecchie. Rigirò la busta sul retro e con un dito ruppe il bordo. All’interno c’era il foglio ben piegato che le avrebbe rivelato la verità. Stava per avvicinare il pollice e l’indice per prendere il foglio, ma la mano cominciò a tremarle. La nausea l’assalì brutalmente, lasciandole a malapena il tempo di posare la busta accanto alla pochette e di colpire la porta socchiusa di uno dei gabinetti. Proprio in quel momento Earl entrò.
Già udendo i rumori capì che si trattava di lei e quando il suo sguardo incontrò la pochette bianca ne ebbe conferma. Però fu la busta ad attirare la sua attenzione e a spingerlo ad avvicinarsi. La rigirò tra le dita un paio di volte, cercando di indovinarne il contenuto. Niente. Ma lui voleva sapere. Estrasse il foglio all’interno e lo distese con una mano per leggerlo bene.
Katherine, che non si era accorta di nulla, non appena sentì che la nausea si era sfogata, si tamponò le labbra con della carta igienica e tirò lo sciacquone. Quando riaprì la porticina si ritrovò Earl di fronte, che la guardava con sguardo serio e foglio stretto tra le dita.
“Dunque le cose stanno così.”
Esausta per lo sforzo, lei non rispose, si limitò ad andare al lavabo per sciacquarsi la bocca.
Alle sue spalle, Earl chiese ancora: “Di chi è?”
“Dipende.” Tolse l'ingombrante cappello e lo appoggiò sul ripiano.
“Da cosa?”
“Da quello che c’è scritto. A quante settimane è stimata la mia gravidanza?”
Earl scorse velocemente il contenuto con lo sguardo: “Tra le otto e le nove settimane.”
Katherine si ritrovò gli occhi pieni di lacrime. Era felice? Era triste? Non lo sapeva. In quel momento aveva solo voglia di piangere. Si portò una mano al ventre, quindi si voltò verso Earl con un’espressione indecifrabile.
“E’ di Gooz.”
Earl buttò fuori un cumulo di aria trattenuta, liberandosi così di un peso: “Sia ringraziato il cielo.” D’impulso la prese per i fianchi e la sollevò come una bambina, per poi stringerla a sé.
Con la guancia appoggiata alla spalla di lui, Katherine aveva un solo pensiero: quando Danny e Gooz sarebbero tornati, lei avrebbe parlato con entrambi e avrebbe lasciato che fossero loro a prendere una decisione. L’unica cosa che importava davvero era il bambino. Chi gli avrebbe fatto da padre era facoltativo.
*
Il destino giocò un brutto scherzo ai volenterosi piloti americani. Un’intercettazione li costrinse a decollare prima del previsto. I piani furono cambiati, anticipati, lasciando la squadra in balia del caso. Un aereo alla volta iniziarono a decollare. Tra gli ultimi, c’era quello con la squadra di Danny.
“E’ tutto a posto?” Il tono ansioso di Gooz riportò Danny alla realtà.
“Sì.”
“Bene.”
“No. C’è ancora una cosa che devo fare.”
“Che cosa?”
Si portò una mano al taschino della giacca e lo allargò con due dita. Della foto che vi era all’interno riuscì ad intravederne solo una parte. I capelli chiari, gli occhi sorridenti e luminosi. Gli bastò per dargli coraggio. Richiuse il taschino e vi premette la mano sopra, contro il cuore: era quello il posto della sua Katherine.
La voce ancora più ansiosa di Gooz lo richiamò: “Allora, Walker?”
Danny tolse la mano dal cuore e se la portò alla tasca destra dei pantaloni, estraendone così la foto di Evelyn. La mostrò a Gooz, come per dimostrargli qualcosa, quindi posò la foto in un punto dove sarebbe rimasta in vista ma non d’intralcio ai comandi.
Gooz sospirò di malinconia: “Anch’io ho una foto della mia ragazza. Però mi sono promesso di guardarla solo nel caso che questa dannata missione finisse male. Oppure prima di morire, nel peggiore dei casi.”
Danny lo guardò con comprensione, abbozzando un sorriso: “Farò lo stesso anch’io, nel peggiore dei casi.”
Ora erano davvero pronti a partire. Non dovevano far altro che attendere il segnale sulla pista.
*
La missione non fallì. Non del tutto, almeno. La squadra di aerei guidata da Doolittle raggiunse la capitale giapponese. Alcune fabbriche furono bombardate, come previsto dal piano. Grazie alle ultime gocce di carburante gli aerei riuscirono ad arrivare alle coste della Cina, dove però furono obbligati ad effettuare degli atterraggi di fortuna. Molti piloti morirono. Quel che successe dopo fu come guardare un film attraverso un banco di nebbia. Tutto era confuso. Danny era ferito, un pezzo di ferraglia gli si era conficcato nel collo durante il turbolento atterraggio che aveva semidistrutto il suo aereo. Ed erano arrivati alcuni soldati giapponesi. L’arresto. I fucili puntati. Un’imprudenza di Rafe. Un atto di coraggio di Danny. Danny, ferito a morte dai proiettili nemici per difendere l’amico. Rafe era corso ad assisterlo, non c’era più niente da fare, tranne dire la verità. Come può sentirsi un uomo a cui, in punto di morte, viene rivelato che sta per diventare padre? Danny versò qualche lacrima, benedì Rafe affinché si prendesse cura di Evelyn e crescesse il bambino. Per avere il perdono divino, per alleggerire il cuore del peso che portava, Danny sapeva che doveva dire tutta la verità. Ora o mai più. Anche se questo avrebbe ferito le persone che più amava.
“Non posso morire così.”
“Infatti non accadrà. Lo vuoi capire, pezzo d’idiota? Con quale coraggio lo dirò ad Evelyn?” Rafe aveva alzato il tono di voce per darsi forza, in attesa di trovare una soluzione impossibile. Lo sapeva che non c’era speranza.
Danny prese a scuotere il capo, consumando quelle poche energie che gli erano rimaste: “Tu… Tu non lo sai. Non lo sai.”
“Danny, di cosa stai parlando? Cosa cerchi di dirmi?”
“Dovete sapere… Tu e Gooz… Chiama Gooz…”
“Va bene, va bene. Ora calmati. Lo faccio subito.” Bastò un’occhiata al colorito del suo viso per capire che ormai non gli restava molto. Sollevò lo sguardo verso il gruppetto di piloti, raggruppati dai soldati giapponesi che gli tenevano i fucili puntati contro.
Gridò: “Gooz, vieni qui.”
Con le mani sollevate in aria e un fucile puntato in faccia, lui rispose l’unica cosa che gli venne da dire: “Sei pazzo?”
“Vieni qui, dannazione! Siamo tutti disarmati e sotto tiro. Non ti spareranno se mi aiuti ad assistere un compagno in fin di vita.”
Gooz si sentì mancare l’aria. Fece un cenno al soldato giapponese che lo puntava, come se bastasse ad evitare di essere ammazzato. Lentamente abbassò una mano per indicare se stesso e poi Danny, disteso a terra. Il soldato gridò qualcosa. Un altro gli rispose.
Gooz, credendo di essere spacciato, bisbigliò: “Ti amo tanto, Kate.” E chiuse gli occhi.
Un grido e un colpetto della canna del fucile sul petto lo indussero a riaprire gli occhi. Il soldato lo puntava ancora, però cercava di fargli dei segni con la testa. Era il permesso di andare da Danny.
Lentamente si mosse in direzione dell’amico, tenendo le braccia sollevate e sentendo il peso morale del fucile puntato alla schiena. Il soldato gli sarebbe rimasto alle spalle, pronto a fare fuoco, ma almeno lui avrebbe potuto parlare con i due piloti. Si lasciò cadere in ginocchio e abbassò le braccia.
“Rafe, come sta?”
Rafe sospirò e fece un cenno negativo col capo.
La voce roca di Danny parlò.
“Gooz… Ascoltami…”
“Ti ascolto, amico. Dimmi tutto.”
“Ti prego… Non arrabbiarti con lei. Non ha colpe. Sono stato io a confonderla.”
“Va bene. Sarà fatto. Tutto ciò che vuoi. …di che stai parlando di preciso?”
“Katy… Katy è innocente…”
Gooz e Rafe si scambiarono un’occhiata. Entrambi avevano il presentimento che ciò che stavano per sentire non gli sarebbe piaciuto per niente.
“Sono pronto, Walker. Cos’è successo tra voi?”
Danny tossì, del sangue gli uscì dall’angolo della bocca. Rafe lo ripulì con la manica della propria giacca.
“Io e lei…siamo sposati. Siamo marito e moglie.”
Una scossa attraversò la mente di Gooz, le mani gli tremarono, ma si obbligò ad ascoltare tutta la confessione.
“E’ successo…il giorno della cerimonia funebre. A Pearl Harbor. Non so nemmeno spiegarti il perché. Quel giorno stavamo discutendo e…io le ho dato l’anello. Nel giro di mezz’ora eravamo marito e moglie.”
Rafe prese la parola: “E Evelyn? Lei non sa nulla, vero?”
“No… Non lo sa nessuno… Lo avremmo detto solo dopo la missione. Al mio ritorno. Io avrei parlato con Evelyn e lei con Gooz. Sapevamo…che avremmo fatto del male a molte persone, ma ormai era tardi. Io le ho promesso…di regalarle la fede di mia nonna, una volta tornati nel Tennessee.”
Stavolta Gooz non riuscì a trattenersi: “Quindi lei non mi ha mai amato.”
Danny riuscì ad appoggiare una mano sulla sua, seppur con enorme sforzo: “Lei ti ama. Devi credermi. Questo matrimonio è stato un errore.”
“Ma lei ha scelto te,Walker. Mi ha mentito per mesi. Probabilmente quella notte al campo è venuta a letto con me solo per pietà.”
“No, Gooz. La verità è che tu sei la cosa migliore per lei. Non se ne rende conto ma…io credo che ti ami più di quanto ami me.”
Suo malgrado, Gooz si sentì sollevato. La speranza era l’ultima a morire.
“Dunque ora dovrei perdonarla e dimenticare tutto?”
“So che lo farai… Sarete felici insieme… Con me non lo sarebbe stata…”
Gooz gli strinse la mano, cercando con tutto se stesso di trovare il perdono per l’amico morente.
Rafe, al contrario, era più teso che mai: “E’ incredibile. Ho ancora voglia di prenderti a pugni! Non solo ti sei preso la mia ragazza e l’hai messa incinta, ma hai anche sposato mia sorella di nascosto!”
Gooz sbottò: “Evelyn è incinta?”
Rafe lo liquidò subito: “Non ora, Gooz.” Prese respiro e si rivolse a Danny: “Io non so… Non so cosa dire. Davvero.”
Danny sorrise a stento: “Dì che sono un maledetto bastardo! Me lo merito.”
“E infatti lo sei! Ma non voglio darti la soddisfazione di andartene così.” Deglutì, gli occhi pieni di lacrime: “Voglio essere io a farti fuori.”
“Se può farti sentire meglio, pensa che senza me fra i piedi tu potrai stare con Evelyn.” Volse lo sguardo verso Gooz e finì la frase: “E anche tu, una volta che Katy sarà vedova i vostri problemi saranno risolti.”
Gooz scosse il capo, si sentiva colpevole sotto quella prospettiva: “Non dire così, Walker. Ti prego.”
“Perdonatemi, se potete. Vi ho preso in giro tutti.”
Rafe rimase pietrificato da quelle parole. Gooz, invece, prese una giusta decisione. Infilò una mano nella tasca dei pantaloni e ne estrasse la foto di Katherine.
“E’ tutto ciò che posso fare, amico. Non voglio che tu te ne vada senza aver visto un’ultima volta la donna che ami.”
Danny puntò lo sguardo sulla foto. Era diversa da quella che aveva lui. Probabilmente quella di Gooz risaliva a Pearl Harbor, era più recente, tranne che per due cose identiche: il sorriso pieno di vita e gli occhi brillanti. Quella era la sua ragazza per volontà divina. E sua moglie per la legge.
“Oh Katy… Non volevo farti del male. Ti ho amata con tutto me stesso. Ti amerò sempre.” Chiuse gli occhi, ormai le energie erano ridotte al minimo. Li riaprì a fatica e prese un po’ di fiato: “Gooz, abbi cura di lei.”
Gooz si batté le nocche sulla fronte, un gesto mascolino per non piangere: “Lo farò, Danny. E’ una promessa. Se vorrà stare ancora con me e accettare il fatto che sono un babbeo patentato, giuro che non le farò mai mancare niente.”
Rafe, ripreso dallo stato d’immobilità, s’intromise nel discorso con una battuta adeguata: “Onestamente, Gooz, devo ancora capire cosa ci trovi mia sorella in te!”
Tutti e tre risero, loro malgrado. Un istante di ilarità. Quasi dimenticando ciò che stava accadendo intorno a loro. Lo stesso Danny parve riprendere colorito nello sforzo di ridere, ma fu solo un’illusione. Abbozzò un ultimo e sospirato: “Grazie.” I suoi occhi si spensero lentamente.
Gooz abbassò lo sguardo: “Oh no. Danny.”
Rafe, molto più impulsivo, scosse il corpo senza vita di quello che era stato come un fratello fin dalla nascita. Non poteva finire così. Non poteva.
“Danny, no. Danny. Aspetta, Danny. Non farmi questo.” Delle lacrime gli solcarono il viso, lui continuava a gridare: “Come lo dirò a Katy? Come lo dirò a Evelyn?”
La mano di Gooz pose fine all’inutile tentativo. Era il momento di guardare in faccia alla realtà.
La voce di Red che gridava l’arrivo dei rinforzi, dei soldati cinesi loro alleati, fu solo un’eco lontana nella mente di Rafe.

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Capitolo 17
*** Al bivio tra passato e futuro ***


17
Al bivio tra passato e futuro
 
E così era arrivato il momento. Katherine era talmente agitata da non riuscire a stare ferma. Continuava a camminare avanti e indietro, talvolta in cerchio, tranne quando si fermava e batteva i tacchi sull’asfalto. Di tanto in tanto si lisciava la gonna del vestito, assicurandosi che non ci fossero segni visibili della gravidanza, poi controllava la scollatura, palpava l’acconciatura per accertarsi che le forcine fossero ben salde. Il gesto più frenetico, però, era un altro: sull’anulare sinistro, sopra l’anello di fidanzamento di Gooz, aveva aggiunto anche quello di Danny e non faceva che rotearli sul dito. Insomma, faceva qualunque cosa tranne stare ferma.
Aveva deciso di parlare apertamente con entrambi, mettendoli sullo stesso piano. Alla pari. Suo marito e il padre del bambino che portava in grembo avevano gli stessi diritti su di lei.
La folla intorno attirò la sua attenzione, tutti stavano guardando il cielo, quindi anche lei sollevò lo sguardo. Il bianco aereo che stava riportando la squadra di piloti a Pearl Harbor era in vista. Lo osservò avvicinarsi, le gente arretrò per sicurezza, e in breve l’aereo atterrò. Vedendo il portellone aprirsi, Katherine prese un bel respiro per darsi coraggio.
“Cosa ne sarà di me?” Si chiese timorosa. Ci sarebbe voluta una buona dose di sfacciataggine per dire a Gooz che si era segretamente sposata con Danny e poi dire a Danny che in una notte di debolezza era stata con Gooz ed era rimasta incinta. Scosse la testa, per quanto complicato, doveva farcela.
I piloti cominciarono ad uscire uno ad uno. Vide Gooz, il suo sguardo che vagava tra la folla per cercare lei. La vide. Katherine si sentì soffocare. Notò che il suo sguardo era molto serio, fisso su quello di lei, come se volesse immobilizzarla. Sapeva qualcosa?
Impaurita da quel pensiero, rimase effettivamente immobile fino all’ultimo istante. Poi qualcosa nei suoi occhi, forse una luce di nostalgia, la spinse ad abbracciarlo.
“Grazie a Dio stai bene.” Gli sussurrò all’orecchio, dimenticando ogni paura. Sentì la sua stretta farsi più intensa, le sue labbra sfiorarle l’incavo tra la spalla e il collo. Quel segno d’intimità la fece irrigidire.
“Gooz. E’ necessario che io ti parli di una cosa molto importante.” Un tono fermo era assolutamente indispensabile.
Sciogliendola dall’abbraccio, lui la guardò negli occhi e disse con evidente emozione: “Lo hai indossato davvero. Questo vestito. Sei così bella, amore mio.”
Le sorrise sinceramente, facendola sorridere a sua volta. Le prese la mano e la sollevò per baciargliela, mi si fermò quando si accorse del secondo anello.
Katherine vide il suo sguardo turbato, tornò seria: “Ci sono questioni urgenti da affrontare. Riguardano me e te. E Danny.”
Gooz parve tremare nel sentire quel nome, involontariamente le strinse la mano: “Kate, prima devo dirti io una cosa importante.”
Il suo comportamento era strano. Troppo strano. Sembrava quasi che…
“Tu lo sai già.”
“Sì. Ma non è questo il punto. Io…”
“Anche Red ha infranto la promessa?”
“Red? Che c’entra Red? Ascolta, devo dirti...”
Lei lo interruppe ancora: “No. Non ora. Dobbiamo parlare tutti e tre assieme. Dov’è Danny?”
Gooz si morse un labbro, distogliendo lo sguardo: “E’ quello che sto cercando di dirti.”
“Allora parla. Cos’è successo? Dov’è Danny?”
Gooz alzò lo sguardo su di lei. Pochi istanti e le fece un cenno col capo. Lei allungò lo sguardo nella direzione suggerita, non vide altro che il gruppo di piloti. E un feretro provvisorio.
Le si mozzò il fiato: “Chi? Chi c’è?” Si voltò di scatto verso di lui, la paura le fece battere il cuore all’impazzata.
“Chi c’è? Dimmelo.”
Lo sguardo di Gooz fu una risposta sufficiente. Ma la conferma l’ebbe quando allungò di nuovo lo sguardo. Rafe porse una giacca ad Evelyn e poi accolse la donna tra le proprie braccia.
Katherine si portò una mano al ventre. Era come se dentro avesse un macigno che la stava uccidendo.
Scosse il capo: “No. No.” Le lacrime uscirono dagli occhi nello stesso momento in cui un grido le uscì dalle labbra. Lo chiamò: “Danny.”
Gooz fece per cingerla con le braccia, ma lei lo schivò e gridò ancora.
Quel grido non passò inosservato. Rafe voltò lo sguardo in quella direzione e vide la sorella in lacrime, con Gooz accanto che teneva le braccia sollevate e aveva lo sguardo perso. Vide Katherine correre via e lui restare fermo impalato.
“Gooz.”
Lui si voltò di scatto verso quel richiamo, quindi Rafe continuò: “Che stai aspettando? Corrile dietro.”
Neanche fosse stato un comando, lui obbedì.
Inevitabilmente Evelyn cercò di sciogliesi dal suo abbraccio. Si sentiva di troppo. Nel posto sbagliato.
“Vai da lei, Rafe. Tua sorella ha bisogno di te.”
Lui la tenne stretta, non l’avrebbe lasciata per niente al mondo: “No, Evelyn. Sei tu ad aver bisogno di me, adesso.”
“Io ho solo bisogno di piangere in questo momento. Non voglio nessuno.”
“No. Prima di piangere la morte di Danny devi sapere tutta la verità.”
Evelyn lo guardò con sospetto: “Di quale verità parli?”
Rafe sospirò, si guardò attorno: “Andiamo in un posto più tranquillo.”
*
Gooz ce la stava mettendo tutta, le sue gambe si muovevano agili e scattanti, ma lo stesso non era ancora riuscito a raggiungerla. Rosso in viso per la fatica e con la fronte sudata, teneva gli occhi sbarrati e sperava almeno di non perderla di vista dato che non aveva idea di dove lei stesse andando.
“Ma come fa ad essere così veloce quella ragazza?” Disse tra i denti.
Provò a chiamarla: “Kate! Fermati!”
Ovviamente non servì a nulla, perciò prese la saggia decisione di risparmiare il fiato per la corsa.
Stava quasi per gettare la spugna, quando finalmente la vide: la casa delle infermiere.
“Allora è lì che stai andando. Ma perché?”
Sapeva quanto lei odiasse quel posto, non aveva senso che andasse a rifugiarsi là. Ormai prossimo all’arrivo, Gooz rallentò e gli sembrò che i muscoli delle gambe lo stessero ringraziando.
Spinse la porta vetrata ed entrò. Vide una bionda tutto pepe puntare il dito verso il corridoio che conduceva alle camere da letto.
Ora capiva.
Si affacciò alla stanza dove lei una volta dormiva. La trovò là, raggomitolata e in preda alla disperazione, tra le braccia un cuscino. Il letto era quello di Betty.
Si avvicinò con calma, si sedette sul bordo del letto. Quasi timoroso di farlo, le sfiorò una spalla con la mano.
“Vorrei che lei fosse qui a consolarti. Di certo saprebbe cosa dirti.”
Lei sollevò un attimo il viso su di lui, gli prese la mano e se l’avvicinò al viso, inondandola di lacrime. Tra i singhiozzi riuscì a dirgli: “Non voglio perdere anche te.”
Gooz la rassicurò: “Non accadrà. Sarò sempre al tuo fianco. Ti amo.”
Rimase fermo a guardarla piangere senza sosta. Katherine aveva bisogno di sfogarsi per far uscire tutto il dolore che aveva dentro, per svuotarsi di quel pesante fardello. Le fu grato di aver scelto la sua mano come scrigno per quelle gemme di luce.
*
Rafe non poteva credere alle proprie orecchie. Davvero aveva sentito quelle parole? Il suo sguardo era un punto interrogativo bell’e fatto. Ingoiò il nodo che aveva in gola, quindi sollevò una mano e andò a sfiorare la guancia di Evelyn con tutta la delicatezza che poté.
“Sei sicura di volerlo fare? Secondo me non siete ancora pronte ad affrontare questa cosa.”
Evelyn alzò lo sguardo su di lui, un pizzico di irritazione nella voce: “Devo farlo. Niente più segreti. Niente più menzogne. Sono stanca, Rafe.”
Indietreggiò di un passo per sfuggire al suo tocco, quindi si fece forza ed entrò nella camera da letto. Non fu sorpresa di vederla sopra il letto di Betty. Ciò che la colpì nel profondo era vederla così inerme e persa nel dolore. L’aveva sempre considerata forte. Evidentemente si era sbagliata.
Il rumore dei tacchi sul pavimento attirò l’attenzione di Gooz, che si voltò a guardarla. Subito dopo anche Katherine sollevò lo sguardo. Incontrò quello di Evelyn, poi quello del fratello, che era rimasto indietro appoggiato allo stipite della porta. I suoi occhi tornarono sulla figura di Evelyn. Lei sollevò un braccio, mostrando una giacca militare. Quella di Danny.
“E’ giusto che questa la tenga tu.” La voce non era del tutto ferma, lo sguardo invece sì.
Katherine si sollevò a sedere, allungò il braccio per prenderla. Strinse quell’indumento familiare al petto e ricominciò a piangere. Le era stato restituito un frammento di quello che aveva perso. Non sarebbe mai potuto bastare.
“Nel taschino c’è la tua foto. L’ha tenuta vicino al cuore il giorno della missione e…” Si fermò per deglutire, quindi proseguì: “Ha parlato di te prima di morire.”
Katherine chiuse gli occhi e strinse la giacca ancora più forte.
“Voglio che tu sappia che non ti porto rancore. Ho sempre saputo che ti amava. Che il suo cuore apparteneva a te. Sapere del matrimonio è stata una sorpresa, non posso negarlo, ma ti assicuro che mi sarei fatta da parte. Anche se…” Con le mani disegnò la forma del ventre arrotondato, i suoi occhi si riempirono di lacrime: “Porto suo figlio in grembo.”
Katherine aveva guardato, ma sembrava non avesse visto. Continuava a piangere, non dava segni di reazione.
Evelyn fece per andarsene, la voce di Katherine la fermò all’improvviso: “Aspetta.”
La vide tentare di asciugarsi il viso con le mani, poi la osservò attentamente mentre scivolava giù dal letto. Gooz la stava aiutando come se temesse di vederla cadere e frantumarsi come un vaso di vetro. Se la ritrovò di fronte, nella sua statuaria altezza e bellezza. Vide nei suoi occhi gonfi e arrossati dal pianto una fioca luce di speranza.
“Lo sai perché ti odiavo?”
Evelyn rispose in un sussurro: “Perché te l’ho portato via.”
Katherine scosse il capo e sorrise a stento: “Perché tu lo rendevi felice.”
Fu come assistere all’incontro tra due angeli avvolti dalla luce del tramonto. Le braccia aprirsi armoniosamente come ali pronte a spiccare il volo, i sorrisi sinceri e lievi nonostante il dolore. Evelyn e Katherine si abbracciarono come forse non avevano mai fatto prima.
Katherine scoppiò di nuovo a piangere: “Dimmi che possiamo ancora essere amiche.”
Evelyn addirittura singhiozzò: “Lo siamo sempre state!”
Piansero l’una sulla spalla dell’altra come bambine, sotto gli occhi di Rafe e Gooz, i quali non avevano il coraggio di disturbarle in quel momento di riconciliazione.
Forse per curiosità o forse per un momento di entusiasmo, Katherine si scostò da lei per poterla guardare in viso: “Quando nascerà il bambino?”
Evelyn tirò su col naso, stava sorridendo e piangendo contemporaneamente: “Verso la fine di Luglio.”
“Il mio invece nascerà in Ottobre.”
Vedendo lo sguardo dell’amica congelarsi, si corresse immediatamente: “Il mio è di Gooz! Non fraintendere!”
A quel punto, il nominato si fece sentire con un sonoro: “Che cosa?”
Lei si sciolse dalle braccia di Evelyn e lo guardò con aria divertita: “Capisci meglio se ti dico che il bambino che ho nella pancia l’ho fatto con te?”
“E quando è successo?”
“A Febbraio, ricordi?”
“Ne sei certa?”
Lei finse di pensarci su: “L’ho sognato o è successo davvero?”
Lui sbottò esasperato: “Non quello! Sei sicura che il bambino sia mio?”
Quello sguardo a metà tra la rabbia e il sospetto la fece sorridere: “Non ho dubbi. Ti mostrerò il risultato degli esami.”
*
Non era voluta andare in un motel. Gooz glielo aveva proposto, convinto che avesse bisogno di piangere, di stare sola, o almeno da sola con lui. Invece no. Non si erano trattenuti oltre alla casa, Evelyn e Rafe avevano evidentemente bisogno di intimità, c’erano molte cose di cui dovevano parlare. Così loro erano usciti, avevano passeggiato fino al dormitorio, poi avevano preso la macchina. Birra e panini imbottiti per cena. Avevano trascorso la serata sulla spiaggia, sul sedile posteriore dell’auto, abbracciati. Avevano parlato tanto del bambino. Nient’altro. A tarda sera erano tornati al dormitorio, come nulla fosse e adesso erano lì, sdraiati sul loro letto. Attorno a loro i piloti addormentati russavano o si muovevano nel sonno, la grande camerata era a malapena rischiarata dalle luci artificiali all’esterno. Katherine giaceva serena con la testa appoggiata al petto di Gooz, lui le cingeva le spalle con il braccio, muovendo distrattamente le dita sulla sua pelle.
“Dopo il congedo vorrei tornare a Rincon e cominciare una nuova vita. Ho intenzione di brevettare la mia invenzione, la pinna per le tavole da surf, e magari fare fortuna per vivere bene. Non dico nel lusso, ma almeno con agio!”  Era la prima volta che parlava di se stesso, quella sera. Il sonno non voleva saperne di arrivare e stare fermo e muto gli metteva agitazione. Aveva bisogno di parlare, di progettare. Il tutto con un tono di voce estremamente basso, per non svegliare gli altri.
“Ho sempre pensato che quella pinna sia un’ottima invenzione. Vedrai che ti renderà famoso.”
“Dici davvero?”
Lei confermò con dei mugolii.
Gooz si schiarì la voce e provò a buttare lì un pensiero: “I miei genitori hanno una casa grande, sono sicuro che ci ospiteranno fino a quando non ne avremo trovata una per noi. Magari…mia madre potrebbe aiutarti con i preparativi per il matrimonio.”
Katherine si sollevò su di un gomito e lo guardò con un’ombra di tristezza negli occhi: “Non sei costretto a sposarmi, Gooz. So di averti fatto una cosa imperdonabile.”
“Non mi sento costretto. Io ti amo e vorrei sposarti prima che nasca nostro figlio.”
“Non temi il giudizio dei tuoi famigliari? Per il fatto che io sia…vedova, intendo.”
Gooz le sfiorò una guancia con le dita, l’agitazione era svanita così com’era arrivata. Sapeva ciò che voleva. Voleva lei.
“Non è necessario che lo sappiano. Sei la mia fidanzata, indossi il mio anello da mesi e stai per darmi un figlio. Tutto il resto voglio cancellarlo dalla mente.”
Katherine deglutì: “Questo significa che non verrai con me nel Tennessee?”
“Certo che lo farò! Ci tengo a conoscere i miei futuri suoceri.”
“Non intendevo questo. Io…” Sospirò, con le labbra ricercò la mano di Gooz, alla ricerca di affetto.
“Dovrò compilare dei documenti per dichiarare che rinuncio a qualsiasi eredità di mio…della famiglia Walker e soprattutto dovrò parlare coi genitori di Danny e raccontare loro la verità.”
Gooz fece un’aggiunta: “E vedere se saranno disposti a cederti la fede che Danny ti aveva promesso.”
Lei lo guardò con aria sorpresa: “Come lo sai?”
“Me lo ha detto lui. Comunque non preoccuparti, per me va bene. E’ giusto che tu abbia un suo ricordo. In fondo siete cresciuti insieme, il vostro legame era forte. Non sarò io a spezzarlo.”
Katherine aveva voglia di piangere. Dopo tutto quello che gli aveva fatto, lui aveva ancora la forza di essere così comprensivo e gentile. Si chinò per sfiorargli le labbra con un bacio, quindi disse in un sussurro: “Ti amo tanto. E ogni giorno che passa sono sempre più convinta di non meritarti.”
Lui accennò un sorriso e con il braccio la strinse a sé: “Infatti meriti di meglio. Ma temo che ormai dovrai accontentarti di me!”
Entrambi cercarono di trattenere una risata per non disturbare il sonno dei piloti. La loro complicità era di nuovo intatta, il loro amore ancora saldo.
*
La mattina seguente tutto sembrava essere tornato alla normalità. L’atmosfera era serena. Si erano dati appuntamento al solito locale sulla spiaggia, come due normali coppie in un giorno qualunque.
Gooz e Katherine erano tornati quelli di sempre, una coppia allegra, bisognosa di piccole attenzioni e contatto fisico. La grande novità riguardava l’altra coppia. Rafe teneva Evelyn costantemente avvolta con un braccio o sulle spalle o attorno alla vita e lei sembrava felice di quelle premure, lo si poteva capire dall’espressione sul suo viso e dai baci che stampava sulla guancia di lui ogni due minuti. Di tanto in tanto anche le loro labbra si sfioravano, quasi timidamente, ma ricercandosi continuamente.
“A quanto pare anche loro hanno ritrovato l’intesa.” Pensò Katherine, compiaciuta.
 La conversazione era incentrata sull’imminente congedo che li avrebbe allontanati definitivamente dal clima di guerra e gli avrebbe permesso di rimettere ordine nelle loro vite.
“Quindi vi stabilirete nel Tennessee?” Chiese Gooz, interessato.
Rafe ed Evelyn si scambiarono uno sguardo d’intesa colmo di affetto, quindi lei rispose sorridendo dolcemente: “Sì.”
Rafe aggiunse: “Troverò un terreno da coltivare e metterò in pratica gli insegnamenti di mio padre. Evelyn si occuperà della casa, però se lo vorrà potrà riprendere il ruolo di infermiera una volta che il bambino sarà abbastanza grande.”
Gooz lanciò un’occhiata a Katherine: “Se quella pinna ci porterà fortuna, anche noi prenderemo una casa in campagna. La useremo come residenza estiva, magari.”
Lei lo punzecchiò per prenderlo in giro: “Vedo che qualcuno si è già montato la testa! Signor Inventore, dovrebbe volare più in basso!”
Le risate sbocciarono come fiori di primavera attorno a quel tavolo. Certo il dolore per la perdita di Danny era grande e tutti loro ne sentivano il peso. Aveva lasciato una vedova e un figlio che non avrebbe mai conosciuto. Ma se si fossero soffermati a pensarci, sarebbero impazziti. Katherine avrebbe avuto innumerevoli occasioni di piangere stringendo al petto la giacca di Danny, guardando la sua foto, la foto si loro insieme, baciando gli anelli delle loro promesse d’amore, di gridare il proprio dolore rivolta all’acqua cristallina dell’Oceano Pacifico, di guardare il cielo rinnovando il suo giuramento d’amore eterno. Ma quel giorno il suo nome non fu pronunciato, anche se la sua presenza era lì con loro. Nella mente di Rafe, nel cuore di Katherine, nel ventre di Evelyn, nel pugno di Gooz.  Quel giorno era dedicato solo all’avvenire.

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Capitolo 18
*** Always ***


Epilogo
Always
 
Agosto 1945. Tennessee. Casa McCawley.
Il tramonto inondava le campagne del Tennessee con la sua luce arancio e rosa. Il piccolo Danny, coi suoi occhietti vispi e il visetto tondo, aveva appena raccolto da terra un ramoscello interessante e ora stava correndo da Rafe per mostrarglielo.
“Guarda, papà! Può andare bene per il nostro modellino?”
Rafe prese il ramoscello dalla manina che glielo porgeva e lo avvicinò al viso per osservarlo con attenzione.
“Sì. Credo di sì.”
Il piccolo esultò: “Evviva! L’aeroplano è finito!”
Rafe gli sorrise e gli scompigliò i capelli scuri con la mano: “Già, piccoletto. Domani ci daremo un’occhiata assieme.”
“Hey, voi. Se poteste smetterla di parlare di modellini, vorrei dirvi che i nostri ospiti sono arrivati.”
Entrambi si voltarono nella direzione da cui proveniva la voce. Evelyn, bellissima dentro un elegante abito da sera di colore nero e i capelli raccolti, regalò loro un luminoso sorriso.
Rafe diede una leggera pacca sulla spalla del bambino: “Avanti, Danny, andiamo.”
Camminarono attorno alla casa fino a raggiungere l’ingresso, dove gli ospiti li attendevano.
Rafe lanciò un’occhiata beffarda alla Rolls-Royce bianca parcheggiata nel vialetto, ma la sua attenzione si spostò subito altrove, sentendo gridare: “R.J.! Ho una notizia fantastica!”
Il bambino a cui apparteneva il nome gli corse incontro con occhi azzurri sgranati e i capelli biondi e ondulati che si agitavano durante la corsa.
“Prima che tu dica qualunque cosa, voglio precisare che è stata tutta colpa di Gooz.”
A parlare era stata Katherine, sorridente, splendida in un vestito da campagna a stampa floreale, i capelli raccolti in una crocchia, una mano delicatamente appoggiata sul ventre in avanzata gravidanza.
Rafe rispose con tono divertito: “Quando mai è colpa tua?”
Gooz, in un paio di pantaloni larghi e camicia bianca dalle maniche rimboccate, ci tenne a precisare: “Temo che sia vero, questa volta. Non le ho permesso di uscire dalla porta fino a quando non mi sono accertato di aver preparato i bagagli correttamente, per la partenza di domani. Ho sempre il timore di dimenticare qualcosa di importante qui e ricordarmene a Rincon.”
Katherine sbottò: “Oh ti prego. Anche se dovesse succedere, dov’è il problema? Basta che chiedi a uno dei lecchini dei tuoi dipendenti di venire qua a prendertela.”
“Ma perché li chiami così? Alcuni sono ottimi lavoratori.”
“E altri vogliono solo spillarti soldi.”
A quel punto Rafe dovette interromperli, sollevando le mani in segno di resa: “Per favore, non fatelo. Quando cominciate a parlare di queste cose sembrati due ricchi snob.”
Gooz non riuscì a trattenere una risata: “Vestiti così? Ogni estate, quando vengo nel Tennessee, ho  il terrore di essere fermato dagli sbirri e arrestato per furto d’auto! Chi mai crederebbe che quel gioiellino è nostro?”
Evelyn intervenne: “Chiunque veda i vostri documenti, suppongo.” Poi si rivolse gentilmente a Katherine: “Katy, vieni dentro a sederti. Se rimani in piedi troppo a lungo corri il rischio di partorire in anticipo.”
Lei sorrise: “Non credo che questa principessa abbia voglia di conoscere il mondo troppo presto.”
Rafe la guardò con tanto d’occhi: “Principessa? Cos’è questa novità? E’ impossibile che tu lo sappia.”
“Infatti non lo so. Però ho una forte sensazione.”
“Nel caso avessi ragione, spero vivamente che le darai un nome originale. Già non riesco ancora a capacitarmi che tu abbia chiamato mio nipote Rafe John, se dovessi chiamare la mia nuova nipotina Marybeth giuro che ti faccio visitare da uno strizzacervelli!”
Katherine simulò un perfetto broncio: “Ma perché? Sei cattivo. Io penso che chiamare mio figlio con il tuo nome e quello di papà sia stato un gesto molto affettuoso.”
Rafe fece spallucce: “Sarà… Ma io lo trovo assurdo lo stesso.”
A quel punto Evelyn si fece sentire: “Rafe! Smettila! Ti stai rendendo davvero insopportabile!”
“Sto solo dicendo quello che penso.”
Katherine lo informò: “E comunque mia figlia si chiamerà Perrie.”
“Ecco appunto.” Terminò Rafe, con tono rassegnato.
Il discorso venne chiuso con una risata di gruppo, sotto agli sguardi interrogativi dei due bambini.
Le donne entrarono in casa per prime, tenendosi a braccetto, e cominciarono a parlare dei rispettivi figlioletti. Gli uomini, al contrario, si buttarono sullo sport.
*
Dopo cena, mentre i bambini consumavano le ultime energie giocando nella nursery, Katherine ed Evelyn guardavano per la centesima volta le foto di famiglia stando comode sul sofà del salotto. Rafe e Gooz stapparono le ultime birre della serata e si accomodarono su due poltrone.
Gooz bevve un sorso e disse: “Ho sentito che la guerra sta per finire anche per il nostro paese. Dopo la liberazione dell’Europa, sarebbe ora.”
Rafe fece una smorfia: “Onestamente preferisco non pensarci troppo. E’ da tre anni che i nostri soldati combattono questa fottuta guerra.”
“Se posso essere sincero, Rafe… A volte mi sento un vigliacco per essermi ritirato.” Disse Gooz, abbassando lo sguardo.
Rafe lo osservò, cercando di capire a fondo il suo stato d’animo: “Io no. Ne ho passate davvero troppe. Preferisco di gran lunga stare accanto alla mia famiglia, nella tranquillità della campagna.”
“Non ti manca pilotare un aereo?”
“Lo faccio tutti i giorni per disinfestare i campi!”
“Sai cosa intendo.”
Rafe abbandonò gli scherzi, bevve un lungo sorso di birra: “Ogni giorno. Ma poi penso a tutti i nostri compagni che non ce l’hanno fatta.”
“Capisco. Io e Kate invece lo facciamo ancora, di tanto in tanto. Bè, lei lo fa più di me. Dice di sentirsi libera. In senso spirituale, intendo.”
“Sì, Katy ha reagito in modo diverso da noi.” Allungò lo sguardo sulla sorella e benedisse il suo sorriso e la sua voglia di vivere.
Entrambi erano caduti e si erano rialzati. Lui era quasi morto, ma poi era tornato. Aveva accettato di crescere il figlio del suo migliore amico come fosse suo, per amore di Evelyn. Katherine aveva perso un marito che amava e si era rifatta una vita con un altro uomo che la stava rendendo felice. Comunque, Rafe avrebbe messo la mano sul fuoco che nel suo cuore il posto più importante era ancora riservato a Danny.
Evelyn chiuse il libro di foto: “Credo che sia ora di mettere a letto i bambini.”
Katherine confermò: “Sì, sono d’accordo. Domani ci aspetta un lungo viaggio e se R.J. dorme tutto il tempo in auto poi gli viene l’emicrania.”
Prima che si alzasse dal sofà, Evelyn la trattenne con una mano: “Katy, prima che andiate… Ho bisogno di chiedertelo un’ultima volta. Sicura di volerci ospitare il prossimo Natale?”
Katherine abbozzò una risata: “Certo! Come ogni anno. Perché non dovrei?”
“Con l’arrivo della bimba immagino che sarai esausta e avere noi in casa potrebbe essere troppo.”
“Ma fammi il piacere! Siete sempre i benvenuti. E poi credo che assumerò una balia come ho fatto per R.J.”
Evelyn si rilassò visibilmente a quella risposta, ma poi divenne di ghiaccio quando sentì la cognata chiedere: “A meno che la tua nuova gravidanza non ti affatichi troppo. So bene cosa significa viaggiare con un bambino nella pancia.”
Evelyn era sbalordita: “Come sai che sono…?”
“L’ho capito dal tuo sguardo. E ho anche capito che Rafe ancora non lo sa.”
Lei buttò fuori una risata: “No, infatti! Stavo aspettando la conferma dall’ospedale, prima di dirglielo.”
“A patto che l’attesa non sia troppo lunga! Sarebbe buffo vederti mentre dici ‘tesoro, aspetto un bambino. Ora che ne ho la certezza posso dirtelo’ e lui rispondere ‘lo sospettavo. O quello o che avessi mangiato un pallone e l’intera squadra di calcio’!”
Entrambe scoppiarono a ridere rumorosamente, attirando gli sguardi incuriositi dei mariti.
Rafe sussurrò tra sé: “Ma che avranno da ridere quelle due?”
“Un’ultima cosa, Rafe.”
Spostò il suo sguardo su Gooz, notò la sua espressione seria.
“Non so se è per via della nostra conversazione o per la quantità di birra bevuta, ma vorrei chiedertelo. So che è presto ma, pensi che un giorno dirai al piccolo Danny chi era davvero suo padre?”
“Di certo non lo dirò mai ai Walker. Lui invece…” Si concesse una breve riflessione prima di rispondere: “Sì. Quando sarà grande e in grado di capire. Se troverò il coraggio.”
Gooz gli fece qualche cenno di comprensione: “Sei un grande uomo, Rafe. Ti ammiro.”
Le donne si alzarono dal sofà e andarono a recuperare i bambini dalla nursery.
Gli ultimi saluti furono fatti all’ingresso. Gooz si premurò di portare un dormiente R.J. sul sedile posteriore dell’auto, in modo da poter scambiare qualche altra parola con i cognati. Evelyn e Katherine si abbracciarono calorosamente e scambiarono un’ultima occhiata complice per il segreto che condividevano. Rafe e Gooz, più pratici, si scambiarono una stretta di mano e si augurarono buona fortuna per i rispettivi affari di lavoro.
*
Ancora una volta. Stupidamente aveva creduto di farcela e invece non c’era riuscita. Il volante stretto tra le mani, la necessità di fare presto. Finalmente svoltò sul vialetto che conduceva a casa McCawley. Il sole si stava alzando nel cielo, a breve sarebbe dovuta tornare alla residenza estiva per permettere a Gooz di caricare i bagagli in macchina. Aveva poco tempo. Parcheggiò la Rolls sul vialetto, non voleva rischiare di svegliare qualcuno andando sul cortile all’ingresso. Scese e accompagnò lo sportello con la mano in modo da non fare troppo rumore. Si sentiva come una ladra.
Si avviò lungo la fiancata della casa e lo vide. I raggi del sole rendevano la pietra quasi bianca, le lettere luccicavano. Il piccolo monumento che Rafe aveva fatto costruire in onore di Danny. I fiori gialli si muovevano, agitati dalla brezza mattutina. Erano incantevoli.
Il cuore le batteva all’impazzata nel petto, il respiro le si spezzava. Percorse l’ultimo tratto quasi correndo, i lunghi capelli sciolti si agitarono nel vento. Si gettò sull’erba, in ginocchio. La scritta ‘Daniel Walker’ si offuscò. Katherine scoppiò in lacrime, come ogni anno. Quante volte ancora si sarebbe chiesta perché? Quante volte ancora avrebbe stretto tra le dita quegli anelli? Dal giorno del funerale di Danny, svoltosi nella piccola chiesa del loro paese natale, Katherine teneva costantemente al collo la catenina. La sottile fede dorata appartenuta alla nonna di Danny si era unita all’anello col diamante a goccia e alla croce d’argento. Il tintinnio che producevano ad ogni suo movimento era come il canto degli angeli. Non l’abbandonava mai.
Baciò gli anelli con labbra umide di lacrime.
“Ti amerò sempre. Ti amerò sempre.” Un giuramento per ogni bacio.
Ad un tratto sentì una mano grande e calda posarsi sulla sua spalla. Sollevò il viso di scatto e vide Rafe in tenuta da aviatore.
Si inginocchiò accanto a lei: “Sapevo che saresti venuta.”
Katherine si morse le labbra, ma le lacrime non cessavano: “Non potevo andarmene senza averlo salutato.”
Rafe lanciò un’occhiata al nome, poi abbassò lo sguardo: “Io credo che ti possa vedere  e sentire. Ovunque si trovi. Il vostro amore era così forte che sono certo gli abbia concesso un posto in paradiso. Non in senso biblico, intendo un luogo meraviglioso e pieno di gioia.”
“Io lo amo come il primo giorno, Rafe.”
“Lo so.”
Il rumore del vento s’intromise tra loro.
“Gooz lo sa che sei qui?”
Katherine deglutì nella speranza di riuscire a parlare: “Mi conosce. Non c’è stato bisogno di dirglielo.”
Rafe vide gli anelli tra le sue dita. Riuscì a scorgere l’incisione sulla fede.
“Sai, Katy, avrei tanto voluto essere presente al vostro matrimonio. Probabilmente avrei gonfiato la faccia di Danny a suon di pugni e ceffoni, però avrei voluto esserci. Non ho mai amato nessuno come voi due. Meritavate un futuro insieme.”
Ovviamente la sorella riprese a singhiozzare. Lo sapeva meglio di chiunque altro, quanto lo avrebbero meritato. Se avessero fatto le scelte giuste fin dal principio, avrebbero avuto tutto.
Rafe avvolse le spalle di lei con un braccio e l’avvicinò a sé. Katherine appoggiò la testa sulla sua spalla. Le lacrime scendevano come pioggia dai suoi occhi. Sollevò la fede dorata con due dita, verso la luce del sole, e ne lesse l’incisione all’interno: Always.
Con voce spezzata disse: “Ti amerò sempre, Danny.”
Proprio al centro della scritta ci fu un luccichio.
Katherine riabbassò la mano, si rese conto di aver smesso di piangere. Puntò lo sguardo sul nome inciso sul monumento. Prese respiro e recitò quelle poche frasi di una poesia che stava componendo. Una poesia d’amore in ricordo dell’uomo che amava. Dell’uomo che le era stato accanto fin dalla nascita. La sua metà. Il suo tutto.
 
“ 'cause I always saw in you
My light, my strength
And I want to thank you
Now for all the ways
You were right there for me
You were right there for me
For Always[1]

 
 [1]: strofa della canzone “There you’ll be” di Faith Hill, dalla Colonna Sonora originale del film.

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