Stand by me

di kateausten
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** A special friend ***
Capitolo 2: *** Distance ***
Capitolo 3: *** You're okay? ***
Capitolo 4: *** Silence ***
Capitolo 5: *** Stand by me ***



Capitolo 1
*** A special friend ***


Era un tiepido mercoledì pomeriggio di fine aprile e Martin Street, una placida strada in un altrettanto placido quartiere di Lawrence, Kansas, era inondato dal sole delle cinque del pomeriggio.
La quiete fu improvvisamente turbata dal rumore di una macchina che stava arrivando a velocità sostenuta dalla via principale e che si fermò inchiodando davanti al numero 17 di una graziosa villetta.
“Non capisco perché tutta questa furia!” esclamò con stizza il passeggero del veicolo.
Sam Winchester, tredici anni tondi tondi, si scostò i capelli castano scuro dalla fronte- troppo lunghi, gli davano fastidio da morire-, e si rivolse al ragazzo seduto accanto a lui, che, al contrario, aveva stampato un sorriso soddisfatto sul volto e le mani che picchiettavano ritmicamente sul volante.
“Sam, tra tre anni prenderai la patente e queste lezioni di guida gratuite e fantastiche, aggiungerei, te le becchi gratis tutti i giorni, dalle sette e trentadue alle sette e quarantacinque e dalle quattro e quaranta alle cinque e tre” replicò Dean Winchester, mentre tirava il freno a mano e si voltava verso il suo fratellino.
Sam sbuffò.
“Lezioni di guida fantastiche un corno! Questi sono solo test per monitorare la resistenza del mio cuore!” esclamò “Oggi mi hai quasi fatto prendere un infarto, Dean”.
“Perché sei un pappamolle, Sam. Solo per questo”.
“Non sono un pappamolle!” ribattè Sam, furente.
Dean ridacchiò e gli diede un’amichevole pacca sulla schiena.
“No, non lo sei. Sei piuttosto forte per avere tredici anni”.
Sam si girò verso il finestrino, cercando di non cedere al sorriso che si stava formando sul suo volto, dandosi mentalmente del cretino: tutte le volte che suo fratello gli faceva un complimento sentiva la rabbia scemare.
Scesero dalla macchina, un catorcio che usavano in attesa che Dean rimettesse a posto la sua baby, l’adorata Impala del ‘67 che il padre gli aveva ceduto con un sorriso preoccupato il giorno che Dean era tornato sventolando con aria vittoriosa il foglio rosa.
Dean si affiancò al fratello sul vialetto mentre Sam si voltò verso di lui.
“E comunque è vero che in queste ultime settimane corri più del solito. Certe volte ci fermavamo a prendere un hamburger o a vedere una partita di football, invece adesso torniamo sempre a casa così puoi metterti attaccato a quel maledetto computer finché mamma non ci chiama per cena”.
Le parole erano state dette precipitosamente, quasi per non far capire quanto tempo ci aveva pensato e quanta gelosia stesse provando per qualcosa che non sapeva spiegare ma che sentiva comunque come una minaccia.
Dean si bloccò a metà vialetto, con un leggero rossore in viso e l’aria imbarazzata che stonava con la faccia da figo che solitamente metteva su a scuola.
“Sammy..” cominciò e poi sospirò. “Sam, ho veramente tanti compiti da fare. Se non ricordi, mi è arrivata solo la lettera d’ammissione della dannata Università del Kansas e lo sai benissimo che è l’ultima scuola che avevo scelto. Quindi mi devo impegnare di più. Devo sparare le ultime cartucce”.
Sam lo osservò per qualche secondo, notando le dita che giocherellavano nervosamente con i lacci della cartella.
Compiti. Certo.
“Sembri un nerd, rinchiuso in quella stanza” disse infine, decidendo di dargli un po’ di tempo.
Dean rise socchiudendo gli occhi verdi, scompigliando i capelli del fratellino, con aria immensamente sollevata.
“Non confondiamo i ruoli, Sammy” lo sbeffeggiò mentre apriva la porta di casa “Di nerd in questa casa ci sei solo tu”.


*


C’era già un messaggio.
Dean sorrise, mentre apriva la pagina di Facebook e cliccava sulla casella dei messaggi di posta. Si accomodò sulla sedia, ascoltando i rumori di Sam nella stanza accanto e i quelli di sua madre in cucina.
Amava quei rumori; li aveva sempre sentiti e ancora non immaginava il momento in cui li avrebbe lasciati per il college quell’autunno.
Lasciare la sua camera, la sua casa, i suoi genitori, Sam- Sammy, intendiamoci, come avrebbe fatto, se lo sarebbe portato al college avesse potuto-, lasciare tutto quanto per la San Francisco University gli sembrava ancora irreale.
Era tuttavia determinato, la sua scelta era San Francisco.
O San Francisco o niente.
O San Francisco o sarebbe andato a lavorare nel garage di zio Bobby.
Ecco, semplice. Quello era il suo piano. Sorrise lievemente al pensiero della faccia di sua madre mentre gli annunciava che non sarebbe andato al college per fare il meccanico.
La pagina dei messaggi si aprì e ogni pensiero gli scomparve dalla mente. Il lieve sorriso si allargava pian piano mentre leggeva il messaggio davanti a se e la mano andò sul ciuffo biondo, spettinandoselo come se avesse il solito pubblico di cheerleaders adorante di fronte a lui.
Ecco perché correva a casa dopo le lezioni.
Ecco perché Sammy si lamentava della sua guida.
Ecco perché San Francisco.
Castiel.

Nessuno sapeva di Castiel. Non lo aveva raccontato a Benny, che era il suo migliore amico e nemmeno a quella pazza di Charlie, perché sapeva che avrebbe frainteso tutto quanto, dicendo cose insensate su cui poi lui avrebbe riflettuto e pensato e diamine, lui non voleva pensare. Non in quel momento per lo meno.
In fondo, non c’era neanche nulla da dire o sapere su Castiel. Si erano conosciuti perché a entrambi piacevano i Metallica e il tre febbraio (si, Dean ricordava il giorno) si erano insultati sul gruppo di Facebook dedicato alla band musicale, discordanti praticamente su tutto quello che riguardava i componenti e le canzoni.
A Dean non ci era voluto nulla per aggiungere Castiel Novak fra gli amici per scrivergli privatamente e insultarlo ancora meglio. E a Castiel ci era voluto ancora meno per rimetterlo al suo posto, con quelle risposte contenute, le virgole al loro posto e il lessico perfetto.
“Maledetto figlio di puttana ingessato” aveva mormorato Dean leggendo le risposte che quella sottospecie di diciassettenne californiano gli scriveva.
Quella notte aveva spento il computer alle quattro del mattino, pensando che neanche con Lisa Breaden, la sua ultima conquista, aveva mai fatto così tardi.
Aveva resettato Castiel e le sue risposte dal tono antiquato in un angolo della sua mente per due giorni, fino a quando il suo nemico non aveva deciso di riscrivergli, dicendogli qualcosa sui cantanti che lo aveva mandato in bestia.
Poi, Dean se ne era reso conto solo un paio di giorni prima, dei Metallica non avevano più parlato.
Agli insulti erano seguiti informazioni sulla propria vita, sulla scuola, sulle proprie aspirazioni. Parlare con Castiel era come parlare con se stesso e Dean era spaventato dalla facilità con cui le cose che voleva dire ma che facevano fatica ad uscire dalla sua bocca, con Castiel venissero fuori di getto.
Aveva saputo che Castiel viveva a San Francisco, piuttosto vicino al mare, in una vecchia casa vittoriana che scricchiolava tutta; che aveva un gatto, un fratello maggiore e una sorella più piccola. Che amava gli hamburger e che il suo capo di abbigliamento preferito era un vecchio trench-coat che gli aveva lasciato il padre prima di abbandonarli. Castiel non diceva mai che li aveva lasciati o che se ne era andato per i fatti suoi. Dean aveva notato che usava sempre il termine ‘abbandonato’.
Castiel a sua volta sapeva tutto di Mary e John Winchester, di come avrebbe rinunciato volentieri alla sua vita per Sam e della sua passione per le macchine e la torta di mele.
Castiel era anche un secchione, quasi quanto Sam, ed era stato già accettato alla facoltà di medicina della San Francisco University.
Quando Dean gli aveva confessato che avrebbe voluto studiare ingegneria meccanica, Castiel non aveva riso (come quegli stronzi di Benny e Sam) o fatto battutine.
Aveva semplicemente detto: “Ci sono delle buone facoltà di ingegneria qua a San Francisco, Dean”, e Dean si era sentito tremare dentro, in un posto indefinito, ma molto vicino al suo stomaco. Poi aveva aggiunto: “Potresti venire qui. Potremmo frequentare il college insieme”.
Dean aveva osservato lo schermo qualche secondo, cercando di calmare il battito del cuore, dicendosi che era stupido emozionarsi come una ragazzina solo perché questo Castiel, uno che non poteva neanche definire amico (non si erano mai visti e non contava che Dean avesse stalkerato ogni sua foto su Facebook. Stava bene in costume, però) gli stesse suggerendo di trasferirsi sulla costa ovest e frequentare la stessa università.
Le dita si mossero leggere sulla tastiera e quello che Dean digitò sorprese anche se stesso:
Potrei”.

Ecco perché San Francisco.
I suoi voti non erano male, ma neanche spettacolari ed era veramente poco fiducioso in una risposta affermativa da parte dell’università.
Finì di leggere il messaggio che Castiel gli aveva mandato la sera prima e che lui non aveva letto perché si era addormentato sul libro di storia (faceva veramente i compiti e quel nerd di Sam poteva pensare quello che voleva).
Mentre si accingeva a rispondergli, il pallino accanto al nome di Castiel diventò improvvisamente verde e Dean sentì il solito guizzo nelle viscere.
Hey, Cas” digitò velocemente.
Aspettò paziente qualche secondo, pesando come tutte le volte cose totalmente prive di senso: stavolta non gli avrebbe risposto, si era stancato di parlare con lui, aveva da fare…
Ci fu un lievissimo bep.
Ciao, Dean”.
Dean sorrise.

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Capitolo 2
*** Distance ***


Se Dean avesse dovuto spiegare come era il Paradiso (anche se lui non ci credeva: erano arrivati lì per un puro fatto di evoluzione bla bla bla, il resto lo lasciava a Sam), sicuramente avrebbe descritto quella scena: “Nothing else matters” in sottofondo, il sole che vedeva tramontare dalla finestra, l’odore del cibo che stava preparando sua madre, Sam nella stanza accanto e Castiel che gli descriveva la sua giornata.
A questo ultimo pensiero sobbalzò lievemente. Si, ok, era piacevole parlare con lui, ma definirlo un pezzo di Torta Paradiso? Era un’esagerazione.
Forse.
Eppure Dean non si agitò ne smise di leggere quello che Cas gli stava scrivendo e relegò il pensiero in un angolo della sua mente.

E così Sam si lamenta della tua guida”.
Non capisce la mia maestria nel guidare”.
Forse sei tu che guidi male”.
Dean fece una smorfia contrariata, picchiettando energicamente sui tasti.
Lo escludo nel modo più categorico che ci sia. E quando avrò rimesso a posto la mia bambina, Sam dovrà pregarmi per salirci sopra”.
Pazientò qualche secondo, mentre Castiel stava sicuramente pensando a una risposta per demolirlo.
Non bulleggiare tuo fratello, Dean. Anche se è più piccolo di te potrebbe diventare un bestione e fartela pagare”.
Dean scoppiò a ridere.
Credimi Cas, Sam è un nanerottolo di tredici anni e non diventerà mai un armadio di due metri pronto a pestarmi”.
Io sono più piccolo di Gabriel eppure sono più alto di lui”.
Il ragazzo strizzò gli occhi verdi e occhieggiò l’orario per l’ennesima volta, maledicendo il poco tempo che rimaneva prima di cena.
Sai sempre come abbattermi, Cas” scrisse, ma ci aggiunse una faccina per fargli capire che scherzava. Aveva notato che Castiel non era incline a capire le sue battute.
Mi piace”.
Dean aggrottò la fronte, non capendo quell’improvvisa uscita dell’amico.
Abbattermi?”.
Castiel ci mise un po’ a scrivere, come se stesse pensando seriamente alla risposta.
Il fatto che mi chiami Cas. Mi piace”.
Castiel. Cas. Beh, mi sembra logico, no? E’ il tuo diminutivo”.
Improvvisamente sentì bussare alla porta e la voce di suo fratello entrò prepotentemente nel suo mondo ovattato.
“Dean, è quasi pronta la cena. Vieni”.
“Arrivo subito Sammy!” gridò lui cominciando a battere ritmicamente il piede, preoccupato di dover chiudere bruscamente la comunicazione.
Nessuno mi chiama Cas”.
Neanche i tuoi fratelli?”.
Hanna mi chiama semplicemente Castiel” scrisse “E Gabriel.. Cassie”.
Dean non potè fare a meno di scoppiare a ridere.
Ma è da donna!”.
Non c’è niente da ridere, Dean”.
E tu come fai a sapere che sto ridendo?”.
Anche stavolta Castiel ci mise di più a rispondere e Dean continuò a battere nervosamente il piede, sentendo la porta d’ingresso sbattere.
“Papà!” lo strillo di Sam arrivò dal salotto alla camera del ragazzo, che assottigliò le labbra mentre guardava lo schermo.
Mi è facile immaginarti, Dean”.
Rimase un attimo sorpreso a quelle parole, dimenticandosi dell’apprensione e perdendo il ritmo con il piede.
Davvero?”
Si”.
Castiel lo immaginava. Quindi lo pensava. E questa cosa lo rendeva più felice del dovuto.
Comunque deve essere una cosa dei fratelli maggiori, Cas” scrisse Dean cercando di smorzare la conversazione “Anche io certe volte chiamo Sam, Samantha. Sai, quando si comporta come una ragazzina, se capisci quello che intendo”.
Ci fu una breve pausa e poi Castiel scrisse:
No”.
Dean rise e si stropicciò gli occhi.
Sei senza speranza”.
Forse dovresti conoscere Gabriel. Con la faccenda dei nomignoli andreste d’accordo”.
Tu dici?”.
In realtà non vi vedo molto bene insieme”.
Dean si lasciò scappare un risolino, prima di darsi un tono e tossire.
Ah, si? E con chi mi vedi bene Cas?”.
La domanda restò senza risposta per un po’.
Cas?”
Poi sentì dei passi pesanti sulle scale e cominciò a digitare freneticamente.
Devo andare. Mio padre è tornato”.
Stava per inviare quando si rese conto che Castiel non aveva una porta che sbatteva per annunciare il ritorno del proprio padre dal lavoro, così cancellò e riscrisse velocemente:
Devo andare. La cena chiama”.
Certo. Ci sentiamo presto”.
Era una cosa assurda, perché non si erano mai visti ed erano a diversi stati di distanza, ma Dean potè chiaramente sentire la delusione e l’amarezza di Castiel.
Indugiò qualche secondo sulla tastiera quando Castiel lo congedò definitivamente.
Arrivederci, Dean”.
Ciao, Cas”.
Spense lo schermo nell’esatto momento in cui John Winchester aprì la porta.
Dean sorrise e il padre ricambiò, facendosi venire delle piccole rughe intorno agli occhi.
“Ciao, figliolo”.

 
*

 
In fondo, erano solo 1589 miglia.
In macchina, ci sarebbero volute 25 ore e 35 minuti, senza mai fermarsi. Una bazzecola, no?
Mentre Dean si buttava come un condannato che non vedeva un pasto decente da mesi sull’arrosto che sua madre aveva scongelato quella sera, pensò alla sua Impala quasi messa a nuovo e al fatto che sembrava proprio la macchina giusta per affrontare un viaggio che andava dal Kansas alla California.
1589 miglia.
25 ore e 35 minuti.
“Dean?”.
Il maggiore dei Winchester guardò sua madre che, spostandosi una ciocca bionda dal viso, gli restituì uno sguardo un po’ preoccupato.
“Buono l’arrosto, mamma” disse lui con un ghigno e lei sorrise incerta.
“Non era questa la risposta da dare, scemo!” lo riprese Sam ridacchiando, mentre mangiava quella robaccia verde a cui Dean non si sarebbe avvicinato neanche per sbaglio.
“Zitto mostriciattolo e finisci di mangiare la tua erba”.
“Non è erba, è verdura e non sarebbe tanto male se anche tu…”.
“Bla bla bla.. Non ti sento, non ti sento, non ti sen..”.
“Basta”.
La voce pacata di John fece ammutolire pressoché immediatamente Dean e fece chiudere la bocca anche a Sam, che sembrava pronto a rispondere al fratello e che solitamente ci metteva un po‘ di più a eseguire gli ordini del padre.
“Scusa” dissero contemporaneamente, puntando lo sguardo nei piatti ancora pieni.
Mary sospirò e guardò John. A Dean non piacque quello sguardo. Significava che stavano per affrontare una conversazione spiacevole.
Forse aveva telefonato nonno Samuel dicendo che andava a trovarli e Dean, dentro di se, stava già pensando a come descrivere a Castiel il nonno paterno, spiegandogli poi che i loro caratteri erano troppo diversi per andare d‘accordo.
Forse, però, non riguardava lui, ma qualcosa che aveva combinato Sam.
“Tesoro” esordì sua madre rivolgendosi a lui.
No, niente Sam.
Per un qualsiasi motivo che non sarebbe mai riuscito a spiegare, Dean sperò con tutte le sue forze che si trattasse veramente di Samuel. O della preside Naomi che aveva chiamato a casa perché aveva scoperto che era stato lui a fare quel disegno osceno di lei nel bagno dei maschi (non avrebbe nominato Benny, però. Lui era un amico fedele). O di qualsiasi cosa tranne…
“Si?” chiese con un filo di voce.
“Dean, io e tuo padre siamo un leggermente.. Ecco, leggermente preoccupati” cominciò, mentre Sam si girava verso di lui con aria estremamente interessata. Piccolo stronzetto.
“Perché?”.
“Sei un po’ strano in questo periodo, figliolo” spiegò John “Un po’ distante”.
Dean arrossì lievemente sulle guance.
“Davvero?”
Distante? Lui? Andiamo, ma quando mai. Aveva sempre adorato passare il tempo con i suoi e Sam, ma stava crescendo e non potevano fargli una colpa se adesso stava meno attaccato alla giacchetta di John.
“Non che tu stia facendo qualcosa di sbagliato” precisò sua madre “Ma.. Ti vediamo leggermente cambiato e vorremmo assicurarci che tu stia bene”.
“Sto bene. E non sono cambiato” ribattè Dean, dando un morso mostruoso all’arrosto.
“Tesoro, ti sei messo a fare i compiti!” esclamò Mary preoccupata.
Dean lanciò un’occhiata a Sam, che in quel momento stava facendo del suo meglio per non affogare con l’acqua che stava bevendo a causa delle risatine che scuotevano il suo scheletrico corpo.
“Non vedo cosa ci sia di sbagliato!” protestò.
Che diamine!
“Tua madre non sta dicendo che stai facendo qualcosa di sbagliato, figliolo. Dice che sei piuttosto strano, tutto qui” disse John, lanciando un’occhiata di ammonimento alla moglie.
Dean sospirò profondamente.
“Sapete che l’unica lettera di ammissione che mi è arrivata è quella dell’Università del Kansas. Sto solo cercando di..”.
“Sparare le ultime cartucce” mugolò Sam.
“Fottiti”.
“Dean, non parlare così a tuo fratello!”.
Il ragazzo sbuffò e cercò di riprendere il filo.
“Dicevo che.. Beh, queste sono le ultime settimane e vorrei vedere se, prendendo buoni voti, anche altre Università..”.
“Quali altre Università?” chiese immediatamente Mary “Università lontane?”.
Dean si morse il labbro e incrociò lo sguardo attento di John.
“Non lo so, mamma. Non lo so”.
 
*


La fine della cena fu una liberazione: non parlarono più ne della sua relativa stranezza ne di università troppo distanti dal nido familiare e nonostante Sam avesse cambiato totalmente argomento (a parte qualche disastrosa occasione, Sam continuava ad essere, agli occhi di Dean, il salvagente a cui aggrapparsi quando la nave stava per affondare e non gliene fregava nulla se tra i due il più grande era lui) la tensione non aveva abbandonato lo stomaco del ragazzo per tutto il tempo, costringendolo a non rendere onore al famoso arrosto.
Si stravaccò sulla sedia di camera sua e accese Facebook, aprendo contemporaneamente il libro di letteratura.
Poteva parlare di Castiel, no? Era solo un amico, dannazione. Aveva avuto l’occasione perfetta a cena e lui l’aveva sprecata impantanandosi in mugugni e occhiate colpevoli.
Ho un nuovo amico. Vive sulla cosa ovest. E sto meditando di farmi quasi duemila chilometri di macchina solo per vederlo.
Ecco, tutto qua.
Lasciando perdere, almeno per il momento, la storia dell’Università.
La pagina principale si aprì e, come lo avesse chiamato, apparve una foto di Castiel con un altro ragazzo e un gatto rossiccio in braccio.
Dean assottigliò gli occhi e guardò il ragazzo stravaccato accanto a Cas: bruno, naso aquilino e un sorrisetto compiaciuto sul volto.
“E questo chi cazzo è?” mormorò Dean, osservando ancora l’immagine.
Lo scrutò ancora un po’ e poi guardò Castiel. Stringeva il gatto (che aveva un’espressione così furente che Dean non potè fare a meno di ridacchiare) e sorrideva leggermente mentre il ciuffo di capelli neri andava quasi a coprire gli occhi, senza però riuscirci.
Dean guardò per bene gli occhi e sentì l’arrosto ballare la rumba nel suo stomaco. Forse era meglio se apriva il libro di letteratura, no? Doveva proprio finire di studiare tutte quelle stupide poesie depresse e…
La pagina facebook di Castiel era desolante, in effetti: a parte qualche rara fotografia e qualche link di canzoni, le attività del ragazzo erano pari allo zero.
La foto era stata messa da una certa Hanna Novak e i nomi taggati erano quelli di Castiel e Gabriel Novak. Dean tirò un sospiro e si diede mentalmente dell’imbecille.
E poi, insomma, cosa poteva importargli se Castiel aveva un ragazzo, una ragazza o un qualsiasi essere che aveva il permesso di baciarlo, e toccarlo e guardarlo negli occhi, quegli occhi blu, troppo blu, sembravano finti da quanto erano blu. Insomma, la gente normale non aveva occhi di quel colore.
Basta, adesso avrebbe chiuso tutto e approfondito la conoscenza del signor Walt Whitman.

Il gatto sembra arrabbiato”.
Passarono cinque minuti e Dean stropicciò la pagina del libro. Poi ne passarono altri cinque e la punta della matita che stava usando per sottolineare una frase che non stava leggendo si spezzò. Altri cinque e gli venne in mente quella sera di qualche settimana fa quando aveva dovuto preparare un parziale di spagnolo e Castiel gli aveva fatto compagnia. O quella volta che lo aveva convinto a guardare a guardare “Blade Runner” in contemporanea con lui e Castiel interrompeva sempre lo streaming per fargli domande strane e inopportune.
Dean sorrise al ricordo. Non è che Castiel dovesse rispondergli subito, avevano la loro vita, quindi si sarebbe comportato come una persona adulta e matura e avrebbe atteso.
Bep.

Lucifero ha sempre quell’espressione”.
Dean fece un balzo, facendo cadere qualche evidenziatore dalla scrivania.
Lucifero?”
Il gatto. Non chiedere. Ha scelto Gabriel ovviamente”.
Bel nome”.
Più che altro è adatto. L’unica persona alla quale era affezionato era mio padre e da quando ci ha abbandonato sembra non trovare pace”.
E’ agitato?”.
Ho diverse cicatrici che possono dimostrarlo. La più recente è vicino l’inguine”.
E Dean non avrebbe dovuto, davvero, ma sentì caldo in tutto il corpo e le guance diventare ardenti dopo aver letto quella frase. Erano parole a tutti gli effetti innocenti ma evidentemente la sua mente malata aveva deciso di trasformarle in qualcosa di diverso.
Dean?”.
Si?”.
Mi dispiace per prima”.
Per cosa, Cas?”.
Sono stato un po’ freddo al momento dei saluti e poi mi sono sentito in colpa. Non volevo, sul serio, è solo che mi piace davvero parlare con te”.
Dean stava per ribattere un “Non preoccuparti” quando Castiel continuò il suo discorso:
E quando devi andare via, non lo so, io mi sento..”.
Dean si leccò nervosamente le labbra e finì la frase:
Abbandonato”.
Ci fu una pausa.
Si” e subito dopo “E’ stupido, lo so”.
No, non lo è. E’ comprensibile”.
Non avevo mai raccontato a nessuno la mia vita, Dean” scrisse “Non avevo mai raccontato a nessuno di mio padre”.
Dean sorrise.
Questo mi rende un tipo speciale, eh?”.
Castiel gli mandò una faccina che sorrideva e per un attimo, un solo attimo, Dean pensò a come sarebbe stato vederlo sorridere dal vivo. Deglutì e guardò l’ultima frase che Cas gli aveva scritto, probabilmente con l’intento di farlo morire.
Sei veramente una bella persona, Dean Winchester”.
E quella sera, Dean Winchester, sorrise come un’idiota sperimentando le varie gradazioni del rosso, ringraziando gli angeli e tutti i santi di essere da solo.
Voleva sentire Castiel di più, quella era verità. Non più solo un’ora prima di cena e un’ora dopo (l’ora dopo cena oscillava invariabilmente fra le due e le tre, ma dettagli).
Quindi, c’era solo una decisione da prendere.
Ehi, Cas. Che ne dici di scrivermi il tuo numero?”.
 

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Capitolo 3
*** You're okay? ***


La campanella del liceo di Lawrence suonò per la prima volta quel venerdì mattina, inaugurando, tra una serie di grugniti, la giornata scolastica.
Dean guardò Sam avvicinarsi verso il suo amico, un certo Ash, un tipo strano che sembrava aver preso la scossa ma che era un nerd addirittura più invasato del suo fratellino, e attraversò anche lui il prato per avviarsi verso l’entrata della scuola.
Mentre camminava tirò fuori il cellulare e vide che aveva un messaggio. Sorrise e lo aprì, pensando che Castiel era veramente un tipo fuori dal mondo, che usava ancora i messaggi normali, metteva le virgole al posto giusto e mandava faccine sorridenti anche quando non ce ne era bisogno.
“Perché sorridi in quel modo lascivo?”.
Una voce penetrante lo fulminò sul posto, facendolo rimettere il cellulare in tasca con una smorfia di disappunto nei riguardi della sua interlocutrice.
“Buongiorno anche a te, piccola saputella”.
Charlie Bradbury sorrise e si mise una gomma in bocca, ravviandosi i corti capelli rossi.
“Buongiorno. Comunque non hai risposto alla mia domanda”, replicò, mentre entrambi si incamminavano verso il portone d’ingresso ed entravano.
“Era una domanda priva di logica, Charlie. Per questo non ti rispondo”, affermò Dean, cercando con lo sguardo Benny, l’unico che poteva salvarlo da una conversazione di quel genere con la sua amica. “Hai visto l’ultima puntata di Game of Thrones?”, chiese poi, cercando di distrarla da tutte le sue elucubrazioni mentali.
Charlie però lo ignorò mentre arrivavano agli armadietti- li avevano uno accanto all’altro, quando si dice che la sfiga non ha mai fine-, vedendola imbronciarsi un attimo per poi sorridere.
“Non voglio sapere i tuoi affari, Winchester, se è questo che pensi. Figuriamoci. Ho una vita sentimentale molto più movimentata della tua”, disse mentre Dean alzava gli occhi al cielo e prendeva il libro di chimica dall’armadietto. “Ti volevo solo dire che quel sorriso ti dona”.
Dean la guardò un attimo sorpreso da quella inaspettata pseudo gentilezza.
“Il sorriso lascivo mi dona?”, si ritrovò a chiedere.
Charlie rise, buttando la testa all’indietro, per poi prendere anche lei il libro di chimica dall’armadietto.
“Mi sa che mi sono espressa male. Non era un sorriso lascivo, Dean”, si corresse, chiudendo di colpo l’armadietto. “E’ solo che in questo ultimo periodo mi sembri felice. E vorrei sapere chi ringraziare”.

Ecco perché non doveva parlare con Charlie. Perché sapeva che gli avrebbe detto cose sbagliate e giuste insieme e lui sarebbe rimasto con una faccia da beota per tutta la conversazione, senza trovare una risposta adatta.
“Buongiorno fratello”.
Mentre apriva svogliatamente il libro di chimica, la calda voce di una delle persone a cui teneva più al mondo si fece spazio tra il chiacchiericcio di sottofondo e la figura di Benjamin Lafitte prese posto accanto a lui. Si tolse l’onnipresente cappellino e si sistemò con eleganza sulla sedia.
Dean, nonostante fosse più alto e slanciato non aveva nessun atteggiamento da piccolo lord (come Sam diceva sempre del suo amico), ne quei modi di fare così gentili ed educati che sembravano arrivare direttamente dalla Louisiana dell’Ottocento.
“Ciao Benny”, disse Dean sorridendo. “Tutto bene?”.
“Direi di si”, ammiccò l’altro, aprendo alla pagina giusta il libro.
“Che vuoi dire?” chiese.
Benny lo guardò con un ghigno e poi si girò per controllare che nessuno stesse ascoltando. Dietro di loro c’era solo Charlie, però, intenta a scaricare l’ultima diavoleria sul suo cellulare. Seriamente, Dean aveva perso il conto di quante cavolate gli aveva ordinato di scaricare (e che lui aveva scaricato, ma solo per far contenta la sua amica. E con cui poi ci aveva giocato, sempre per lo stesso motivo).
“Allora?” disse spazientito.
“Diciamo che adesso potrei uscire con te e Lisa senza fare da terzo in comodo”.
Dean sgranò gli occhi.
“Non è vero!” esclamò “Tu e Andrea..”.
“Esatto”.
Dean si lasciò andare a una risata a metà tra lo scherno e l’affetto e tirò una manata sulla schiena massiccia del suo amico.
“Quale droga hai usato per convincerla a mettersi con te?”.
“Il mio charme è stato più che sufficiente”.
Dean scosse la testa sorridendo.
“Sono felice per te amico, sul serio”.
Dean aveva visto Benny interessarsi a poche ragazze e Andrea, una sventola del penultimo anno, era stata l’unica che aveva mantenuto l’interesse di Benny per più di qualche mese.
“Grazie”.
Uno sbuffo dietro di loro li avvertì che Charlie aveva finito di incasinarsi la testa con quei giochi e che li stava ascoltando.
“Finito questo momento da ragazzine?” chiese “Perché anch’io avrei una cosa da dirvi”.
Benny alzò gli occhi al cielo.
“Quale delle ragazze che noi non avremo mai ti sei fatta?” chiese.
Dean soffocò una risata allo sguardo di Charlie, che sarebbe dovuto essere offeso ma che invece era solo compiaciuto.
“No, mio caro Benny”, replicò, sventolandosi i capelli con fare seducente. “Nulla di tutto ciò, anche se proprio vuoi saperlo stasera esco con Sarah Madden”.
Dean lanciò un fischio.
“Però. Mica male”, commentò. “E’ nella squadra delle cheerleader con Lisa. Non sapevo fosse…”.
“Oh, non lo sa”, disse Charlie con un sorriso. “Ma lo scoprirà stasera”.
Benny scoppiò a ridere mentre entrava in classe quella palla del professore Micheal Emerson.
“Sei pessima”, disse Dean scuotendo la testa.
Si girò verso l’uomo per controllare che non avesse ancora cominciato a fulminarlo con il suo sguardo laser per poi accusarlo di non prestare attenzione alla lezione (“Signor Winchester” era il suo ritornello preferito “Mi può dire a quale argomento sicuramente più interessante della chimica sta oziosamente pensando?”) e poi si rigirò verso Charlie.
“Insomma, cosa volevi dirci Catwoman?”, chiese, mentre anche Benny si rigirava verso l’amica.
Charlie sorrise.
“Oh, nulla di che”, disse con fare noncurante. “Vi volevo solo informare che sono stata accettata in posticino che si chiama Harvard. Tutto qua”.
 
*

Il resto della mattinata scolastica andò bene, anche se Dean aveva veramente il cervello scollegato dal resto del corpo.
“Attento!”.
Benny riprese al volo la bottiglietta d’acqua che stava scivolando dal vassoio dell’amico, mentre raggiungevano Sam a uno dei tavoli da pranzo.
“Oh, grazie” disse Dean, tirando fuori il cellulare e guardando lo schermo.
Benny aggrottò la fronte e abbassò la voce.
“Fratello, tutto bene?” chiese.
“Cosa? Certo”, rispose Dean dopo un attimo, facendo una smorfia nei confronti del telefono. “Tutto a meraviglia”.
Si sedettero, Dean davanti a Sam e Benny davanti a Garth, un altro amico stramboide di Sam.
“Questa pasta sembra colla”, commentò mentre si sedettero.
“Eppure questo non ti sta fermando dal mangiarla”, replicò Benny.
Garth ingurgitò alla velocità della luce il resto della pasta con un gran sorriso, mentre Benny lo guardava abbastanza disgustato.
“Dean, va tutto bene?” chiese a un certo punto Sam, guardando il fratello.
Dean voltò lo sguardo verso il suo fratellino con un sorriso.
“Ma certo Sammy”, disse, incominciando a mangiare.
Sam lo guardò ancora e poi rivolse un’occhiata a Benny, che si limitò ad alzare le sopracciglia.
“Charlie ci ha appena detto che è stata accettata ad Harvard”, disse Garth, mentre cominciava a mangiare la seconda porzione di pasta. “E’ fantastico”.
“Si, lo è”, confermò Benny.
“Ce la vedo Charlie a laurearsi tipo un milione di anni prima del tempo e a mandare in corto circuito il software dell’università come regalo d‘addio”, commentò Sam, ridacchiando.
Benny sorrise e voltò lo sguardo verso Dean, che mangiava il suo pranzo con aria meditabonda.
“Insomma, fratello! Si può sapere cos’hai?” chiese spazientito.
Dean sobbalzò e lo guardò male.
“Non ho nulla!” replicò infastidito “E’ solo che tutti stanno entrando in fantastiche università e io resterò qui a Lawrence”.
“Tutti chi?” chiese Benny “Per adesso soltanto Charlie è stata accettata”.
Dean scosse la testa e si girò verso destra, per poi alzarsi velocemente.
“Non ho fame. Penso che andrò a fare un po’ di attività fisica”.
Tutti e tre i ragazzi lo guardarono andare da Lisa Breaden, che - in divisa da cheerleader blu e capelli neri lucidi e sciolti sulle spalle-, lo stava aspettando con un gran sorriso vicino alla porta.
“Devo dire che tuo fratello ha un gran talento per le metafore” disse Garth, ma sia Sam che Benny evitarono di replicare.
 
*

“Dean..”.
La voce di Lisa era un sussurro bollente che si infilò direttamente nell’orecchio destro del ragazzo, mentre le sue mani erano occupate sul corpo della sua fidanzata.
“Sei sempre così bella?”, domandò in tono retorico Dean, mordendole li labbro inferiore, infilandole la mano sotto la canottiera dell’uniforme.
Lisa soffocò una risatina e lo baciò con entusiasmo, passandogli le mani fra i capelli, sulle spalle e infine sullo stomaco.
Dean strizzò gli occhi, cercando di eccitarsi in tutti i modi: aveva il corpo di Lisa spalmato sul suo, i capelli lunghi e profumati che gli solleticavano deliziosamente il naso, una litania di gemiti che solitamente lo facevano impazzire e in più erano in nella palestra della scuola. Ok, non c’era nessuno ma c’era comunque possibilità che li beccassero e questo, solitamente, faceva eccitare Dean più di quanto fosse lecito.
Avanti, si disse continuando a baciarla.
Avanti.
Palestra. Uniforme. Cheerleader disponibile.
Avanti. Avanti!
Lisa si scostò, ansimando leggermente.
“Tutto bene?” chiese piano.
“Certo”, rispose automaticamente.
Se, nell’arco della giornata, un’altra persona gli avesse chiesto se andasse tutto bene gli avrebbe certamente urlato in faccia.
“Dean”, cominciò, ma si dovette fermare perché lui riprese a baciarla e i baci di Dean erano qualcosa di eccezionale. Sembrava metterci tutto se stesso, sembrava perdersi in quei baci e Lisa, dopo cinque mesi, non si era ancora abituata alla lingua calda di Dean che si introfulava piacevolmente nella sua bocca.
Lisa si staccò con rammarico, ma c’era evidentemente qualcosa che non andava.
“Tesoro”, disse, bloccandosi incapace di continuare il discorso.
Gli occhi verde chiaro di Dean la fissarono.
“Che c’è, baby?”.
Lisa chinò la testa verso l’inguine di del ragazzo e poi lo riguardò dritto negli occhi.
“Non dico che in cinque minuti devi essere pronto, ma non ti era mai successo che in venti minuti..”:
Dean si scostò da lei quasi impercettibilmente.
“Non fa niente”, esclamò. “Davvero amore, non fa niente. Non mi importa”.
“Ma a me si”, rispose atono Dean, incassando la testa nelle spalle.
Lisa stette in silenzio, mordendosi il labbro inferiore.
“Questo ultimo periodo di scuola è così stressante”, disse dopo qualche minuto Dean, e lei si affrettò ad annuire.
“Certo che lo è. Con tutti questi test finali e l’ansia per le ammissioni”.
“A te è arrivata risposta dalla Brown?” chiese Dean.
Lisa scosse la testa.
“Ancora no. Vogliono farmi penare fino in fondo. Tu, invece?”,
“Per adesso solo l’Università del Kansas”.
La ragazza annuì e scese il silenzio fra loro.
“Dean”, riprese esitante. “Sai, vero, che se hai un problema potresti dirmelo. Lo sai, no?”.
Dean la guardò e Lisa ebbe veramente, veramente paura che il problema ci fosse davvero e che Dean avesse un piano, una cartina geografica dove lei non rientrava perché era così bello, simpatico e… buono, ecco, Dean era buono, e lei non poteva far parte della sua vita.
Ma poi sorrise, il solito ghigno che l’aveva fatta capitolare e si concesse di ricominciare a respirare.
“Lo so, bellezza. Certo che lo so. Ma non devi preoccuparti, non c’è nessun problema”, rispose, sentendosi un macigno sul cuore. “Mai stato meglio”.
 
*

I messaggi con Castiel erano diventati più frequenti che mai.
Letteratura era stato un enorme buco nero, storia un sottofondo noioso e a biologia si era salvato giusto perché il professore aveva un debole per Charlie (tutti i professori avevano un debole per quel genietto malefico) ed, essendo seduto accanto a lei, evitava tutte le domande a trabocchetto che il signor Smith faceva durante la lezione.
Adesso quella giornata, quella incresciosa, lunga, tediosa giornata era finita ed era sdraiato sul letto con un braccio sotto la nuca e l’altro sugli occhi. Si sentiva stremato.
Tutti a chiedergli se stava bene, Charlie che lo lasciava per andare ad Harvard e, ciliegina sulla torta, neanche mezza erezione di fronte alla ragazza più arrapante della scuola.
Una vera giornata di merda.
Cosa gli prendeva?
Dean odiava psicanalizzarsi. Quello solitamente era Sam, che si faceva domande anche sul perché gli uccellini cinguettassero; a lui bastava veramente un po’ di buona musica di sottofondo e lavorare alla sua bambina per sentirsi meglio, qualunque fossero le ansia che lo affliggevano.
Ma la sua Impala era praticamente finita e non aveva voglia di ascoltare musica.
Quindi la faccenda era grave.
Forse, ma solo forse, proprio perché non sapeva cosa fare, pensò che la colpa fosse di Castiel se lui era in quello stato.
Indirettamente, d’accordo. Ma colpa sua.
E per quale motivo?, chiese la coscienza di Dean, forse la parte ancora sana e obiettiva che gli era rimasta.
Quale era la colpa di Castiel, oltre al fatto di vivere a quasi duemila miglia di distanza? Lo aveva aggiunto lui, Dean, su Facebook. Ed era stato sempre lui a chiedergli il numero di telefono.
Cosa erano quelle, pene d’amore? Perché il suo ragazzo era lontano e voleva vederlo?
A quel pensiero balzò a sedere sul letto, con le guance che gli ardevano e un leggero principio di nausea.
Suvvia, a lui non piacevano i ragazzi.
Lisa ne era la dimostrazione vivente. Anche se quel pomeriggio il suo amico non si sarebbe smosso neanche se la ragazza avesse cominciato a fare una lap-dance.
Dean sospirò e guardò lo schermo del cellulare. Doveva sfogarsi, quindi poteva chiamare…
Ma no, la cosa era assurda.
Castiel lo avrebbe ignorato.
Non gli avrebbe risposto e magari lo avrebbe bloccato su tutte le piattaforme elettroniche esistenti.
Eppure le sue dita andarono sul numero di Castiel e poi sull’icona accanto, cliccandola per avviare la chiamata.
Dean era terrorizzato.
Cosa stava facendo?
Cosa. Diamine. Stava. Facendo.
Avrebbe riattaccato e poi sostenuto che la chiamata era partita per sbaglio. Bobby affermava che quelle diavolerie elettroniche fossero il demonio in persona e che potevano mettere nei guai le persone.
Pronto?”.
Dean fece quasi cadere il cellulare.
Non rispose subito. Il battito del cuore doveva ancora rallentare un po’ per fargli pensare a una risposta decente da dare.
Dean?”.
Così quella era la voce di Castiel. Era bella, si sorprese a pensare. Era roca, come quella di una persona che si era appena svegliata, ma chiara e piacevole.
Dean, ci sei?”.
Castiel avrebbe attaccato presto, lo sapeva. Non poteva aspettare in eterno. Strinse forte il telefono nella mano sudata.
Ho avuto veramente una giornata di merda”, biascicò velocemente.
Si diede mentalmente dello stupido, dell’imbecille e del cretino perché quello era la frase peggiore che poteva dire. Smise di auto insultarsi solo perché Castiel rispose.
E, non sapeva come, nella sua voce percepì un vago sorriso.
Beh. Potremmo parlarne”.

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Capitolo 4
*** Silence ***


Un incendio, eh?”
Dean spostò la mano sinistra e mosse cautamente le dita, diventate insensibili dopo quei quaranta minuti passati sotto la sua testa.
Da quando avevano parlato quel primo pomeriggio dopo la famosa giornata di merda di Dean, una sera si e una no, lui e Cas si chiamavano e si raccontavano la propria giornata. O delle scene divertenti che erano successe recentemente (Cas diceva di non averne, a parte qualcuna riguardante la sua cosiddetta migliore amica, tale Meg, che a  Dean sembrava solo una serpe in seno). Oppure gli episodi più importanti della propria vita. O semplicemente se ne stavano li, ad ascoltare l’uno il respiro dell’altro.
Erano passate due settimane da quel giorno e più di una volta Dean si era risvegliato la mattina seguente con il cellulare appiccicato all’orecchio e la chiamata chiusa da un Castiel che evidentemente aveva avuto il buon senso di non addormentarsi a metà conversazione.
Già. Un incendio”, disse Dean a disagio. “Avevo quattro anni mentre Sam solo sei mesi”.
Accidenti”, mormorò Castiel. “Come avete fatto a fuggire?”.
Dean chiuse gli occhi: non si ricordava molto bene dell’episodio in se, quanto il battito impazzito del cuore mentre il puzzo di fumo minacciava di soffocarlo.
Diamine, ma come erano finiti a parlare di quel fatto? Dean odiava aprirsi; le parole- quelle importanti-, non gli uscivano mai.
Mia madre era andata a controllare Sam. Ed era proprio li che l’incendio era nato. Ha fatto in tempo a chiamare mio padre e lui ha portato in salvo me e Sam e poi è tornato dentro la casa per salvare anche mia madre”.
Castiel non disse nulla e aspettò che Dean terminasse il racconto.
Passò qualche secondo.
Quando eravamo nel giardino, mio padre mi passò Sammy e mi disse di aver cura di lui”. Dean si schiarì la voce, perché invece quello, di ricordo, era ben stampato nella sua testa. E forse, era anche il più difficile da affrontare. “Poi si precipitò in casa per recuperare mia madre. Non so come riuscì a portarla fuori”.
Questo episodio ti turba ancora?”, chiese Castiel con la sua voce profonda e roca.
Dean sospirò a quella domanda così seria, fatta con quella voce, che aveva come proprietario quell’ ingessato diciassettenne californiano.
Però ci pensò. Ci pensò veramente.
In effetti gli incendi mi creano un po’ di panico”, rise nervosamente. “Non credo farò mai il pompiere, ecco”.
Castiel non rispose subito e Dean si sentì quasi come a un’ interrogazione, mentre il professore ti guarda in silenzio e tu sai di aver dato la risposta sbagliata.
Non intendevo l’incendio in se”, affermò Castiel. “Intendevo quello che ti ha detto tuo padre”.
A Dean si seccò la gola, mentre un tenue rossore gli colorava le guance.
Prenditi cura di Sam.
Dean..”, mormorò Castiel.
Da allora la sicurezza di Sam è diventata uno degli aspetti più importanti della mia vita”, disse tutto d‘un fiato. “Non posso.. Non posso neanche respirare se non so che Sam sta bene”.
Oh”, fece Castiel dopo un momento, come se avesse capito qualcosa che a Dean era sfuggito.
Stettero in silenzio un altro po’. Dean non si sentiva neanche a disagio in quei momenti; sembrava quasi che Castiel fosse fatto di silenzi ed era qualcosa a cui lui si doveva adattare.
Se gli succedesse qualcosa, io..”, Dean deglutì e si sorprese a provare quella sensazione di vulnerabilità.
Ti senti responsabile per lui”, disse Castiel piano.
Dean sospirò piano, stringendo forte il cellulare nella mano.
Forse troppo, Dean. Forse dovresti semplicemente lasciarlo andare”.
Lasciare andare. Non era un concetto che Dean Winchester capiva molto bene.
Dean non rispose e chiuse gli occhi, ascoltando semplicemente il respiro di Castiel, leggero come una piuma.
Forse ho esagerato”, mormorò quello dopo qualche momento. “Chiedo scusa”.
Dean sorrise, sempre a occhi chiusi.
Sembri veramente avere una scopa su per il culo quando ti esprimi così, Cas”, disse con leggerezza, sentendosi pieno e svuotato allo stesso tempo.
Castiel sbuffò, ma non sembrava essersela presa.
Ancora nessuna notizia dalla SFU?”, chiese.
No. A questo punto non credo mi abbiano accettato, sai”.
Sentì Castiel sospirare risentito stavolta.
Non essere negativo, Dean. Forse è una cosa buona non aver ricevuto subito una risposta negativa”.
Dean ridacchiò.
Ma si, vediamola così”, disse “Sai, certe volte mi pare di parlare con l’angelo Clarence. Sei così ottimista”.
Ci fu una pausa e poi Castiel chiese:
Chi?”.
Dean sgranò gli occhi e balzò su a sedere.
La vita è meravigliosa, Cas. Frank Capra. James Stweart. Natale. Ti dice nulla?”.
Ci fu un’altra pausa.
Non capisco di cosa stai parlando”.
Dean sospirò scioccato.
Ok. Ascoltami bene. Quella storia è un capolavoro persino per me, che non amo quel genere di film”.
“Ah”.
Dovresti guardarlo”, dichiarò Dean convinto. “Anzi dovremmo guardarlo insieme. Un film si gusta meglio quando si è in due, no?”.
Ci fu un momento di silenzio da parte di entrambi, ma un tipo di silenzio un tantino diverso da quello rilassante, così tipico delle loro conversazioni: Dean, turbato dalle sue stesse parole, pensò freneticamente a un modo che potesse giustificare la sua ultima uscita, ma poi Castiel parlò e lui dimenticò tutto.
Mi piacerebbe, Dean”, disse con voce calda. “Mi piacerebbe molto”.

 
*
 


“Fratello, ti ha dato di volta il cervello?”.
Dean spostò lo sguardo dall’armadietto al ragazzo apparso improvvisamente accanto a lui.
“Buongiorno anche a te, Benny”, replicò, mentre prendeva il libro di storia e chiudeva l’armadietto con una botta. Stupido aggeggio arrugginito.
“Charlie mi ha detto che hai lasciato Lisa”, disse Benny senza preamboli, spostando il proprio libro da una mano all’altra. “Si può sapere che diamine ti è successo? Hai sbavato dietro quella ragazza per mesi!”.
Dean aggrottò le sopracciglia.
“E Charlie come farebbe a saperlo?”, chiese.
Anche Benny aggrottò le sopracciglia.
“La tua unica risposta è questa?”.
“Benny, avanti”.
Il ragazzo sospirò, guardando l’amico.
“Glielo ha detto Sarah. Alla quale immagino l’abbia detto Lisa, visto che sono in squadra insieme”.
“Quindi Charlie è riuscita a corrompere anche Sarah”.
Benny fece un sorrisetto, senza lasciarsi distrarre. Entrarono in classe e si sedettero ognuno al suo posto.
“Dean, non so che ti stia capitando in quest’ultimo periodo, ma.. Non voglio forzarti a parlare, fratello, ma se hai qualche problema..”.
Dean sorrise e annuì.
“Non andavamo più, Benny. Lisa è meravigliosa, davvero, e in altre circostanze avrei potuto anche pensare a un futuro a lungo termine con lei. Ma non si meritava di essere ingannata. Non.. Io non posso darle quello che vuole”.
Benny annuì piano.
“E tu fratello? Cosa vuoi, tu?”.
Dean sobbalzò e lo guardò. Aprì la bocca e poi la richiuse.
“Voglio solo che questo maledetto liceo finisca. Ne ho veramente le palle piene”, dichiarò con la sua solita faccia da schiaffi.
Benny fece per replicare, ma Dean lo interruppe con un sorrisetto.
“Allora, Andrea lo sa?”, chiese.
“Cosa?”, disse Benny, confuso per il cambio d’argomento così repentino.
“Che guardi The Vampire Diares, mi sembra ovvio”,
Benny riuscì a mantenere un contegno da piccolo lord anche mentre lo mandava silenziosamente, dato l’arrivo del professore, a fare in culo.

 
*


“Ciao stronzetto”.
Dean sorrise e non si girò. Lasciò che il sole continuasse a scaldarlo mentre Charlie si sedeva accanto a lui, sugli spalti deserti del campo da rugby della scuola.
“Ciao piccola nerd”, rispose quando la ragazza si fu accomodata a gambe incrociate.
Stettero un po’ in silenzio e Dean notò come quei silenzi fossero simili a quelli con Cas: nessuna pressione, nessun obbligo a mostrarsi allegro.
“Allora, Dean. Vuoi dirmi cosa c’è che non va?”, chiese Charlie a bassa voce.
Entrambi guardavano di fronte a se, senza staccare gli occhi dal campo erboso.
“Non c’è nulla che non va”, rispose lui e Charlie sbuffò.
“Ascolta. Io voglio questa conversazione molto meno di te, ma Sam è preoccupato e io non posso dire no a quegli occhioni da cucciolo bastonato”, affermò Charlie.
Dean si girò, guardandola dritto in quei grandi e caldi occhi castani.
“Sammy?”, chiese sbalordito. “Sammy ti ha chiesto di venire a parlare con me?”.
Charlie fece un sorrisetto.
“Non mi ha esattamente chiesto di parlare con te. Mi ha solo chiesto se sapevo che casini avevi combinato per essere così strano in questo ultimo periodo”.
“Oh”, fece Dean.
“Mi ha chiesto se stavi bene”, continuò Charlie con voce più dolce. “E, dato che sa, che con lui dei tuoi problemi non ne parleresti mai..”.
“Io parlo dei miei problemi con Sam!”, protestò Dean, interrompendola.
Charlie inarcò il sopracciglio e lo guardò con severità.
“Ah, si?”, disse ironicamente. “E’ da quando ti conosco che non hai mai lasciato trasparire nulla con Sam, nulla che ti facesse stare male. Sei sempre stato il suo fratello maggiore perfetto e senza problemi”.
Dean si incupì e tornò a guardare il campo deserto.
“Lo dici come se fosse una cosa brutta”, borbottò.
Charlie sospirò, continuandolo a guardare e provando una tenerezza infinita per il suo amico.
“Lo so che ti senti fico perché Sam ti ritiene fico”, disse. “Ma tuo fratello ti apprezzerebbe anche se fossi umano e ti confidassi con lui se hai qualche problema. E’ maturo, per avere quattordici anni. Sicuramente più maturo di te”, puntualizzò alla fine e Dean fece una risatina.
“E’ il mio fratellino”, disse Dean a mezza voce. “Non voglio farlo soffrire. Non voglio deluderlo”.
Charlie lo guardò.
“Non credo che tu possa fare nessuna di queste due cose, Dean”, affermò con sicurezza. “Devi credermi. Ti conosco”.
“Davvero?”, chiese Dean con un mezzo sorriso. “Perché in questo momento tutte le mie certezze si stanno sbriciolando. Non mi riconosco più, kiddo”.
Charlie si morse il labbro inferiore.
“E’ per questo che hai mollato Lisa?”, chiese con titubanza.
Dean sospirò.
“Anche”, rispose cautamente. “E comunque tu dovresti imparare a non farti spifferare i dettagli delle relazioni altrui”.
Charlie ridacchiò.
“Sarah è una tale chiacchierona. Me lo ha praticamente gettato in faccia il fatto che avevi mollato Lisa, elencandomi poi tutte le altre cheerleader che ti avrebbero fatto il filo”.
“Lei era tra queste?”, chiese con un sorrisetto.
“Ovvio che no, tesoro. Vorrei ricordarti che in quel momento lei era con me”.
Dean scosse la testa, sorridendo. Stettero un po’ in silenzio, guardando le ombre che si allungavano sul campo.
“Sarah mi ha detto anche un’altra cosa”, disse poi Charlie, però con cautela perché lo conosceva il suo amico, diamine, lo conosceva veramente e forse il punto centrale di ciò che stava succedendo a Dean era quello. “Mi ha detto che Lisa è convinta di essere stata mollata perché.. Sei innamorato di qualcun altro”.
Dean la guardò con gli occhi sgranati.
“Cosa?”, esclamò. “Cosa hai detto?”.
“Hai sentito benissimo”, replicò la ragazza. “Hai per la testa un’altra persona”.
Dean scosse la testa e non replicò.
“E’ normale, sai”, disse Charlie. “E’ normale cambiare sentimenti per una persona”.
“Già”, convenne lui con voce atona. “Ma è.. Complicato”.
Charlie rimase nuovamente in silenzio, capendo che Dean non si sarebbe sbilanciato più di così.
Si alzò, spolverandosi il dietro sei jeans e poi si piegò all’altezza dell’amico.
“Io vado”, gli sussurrò. “Ti voglio bene, stronzetto”.
Dean, per un momento, si lasciò carezzare i capelli dalla mano gentile dell’amica, prima di catturarla con la sua e stringerla forte.
“Lo so”.
 

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Capitolo 5
*** Stand by me ***


Le cose più importanti sono le più difficili da dire, perché le parole le rimpiccioliscono.
(Stand by me)


Maggio era quasi finito. Dean non si era neanche reso conto del passare del tempo: studiare, andare alle partite di football della scuola con Benny, guardare Game of Thrones con Charlie, stare più tempo con Sam (ancora un altro minuto con lui, per favore, implorava Dean silenziosamente dentro di se, mentre Sam lo guardava serio da sopra i suoi compiti), parlare con Cas.
Tutto era stato intenso, tutto era stato troppo veloce e l’adolescenza gli stava scivolando via dalle dita senza che lui potesse fare nulla, come quando vedeva le foglie dell’albero davanti casa sua tramutarsi da verdi a gialle così velocemente da non rendersi conto che l’estate era finita e stava arrivando l’autunno.
“L’autunno dell’innocenza”, disse Castiel quando Dean lo chiamò quel pomeriggio. “Certe volte faccio fatica a seguire i tuoi processi mentali, Cas”, replicò lui.
Castiel fece una breve risata e Dean si beò di quel suono.
Ormai non si faceva più domande sul perché il cuore accelerava quando Castiel chiamava o mandava un messaggio; farsi domande, aveva deciso, era deleterio.
“E’ un racconto di Stephen King, Dean. In realtà si chiama “Il corpo”.
“Che nome allegro”, commentò lui.
“L’adattamento cinematografico l’ha ammorbidito”, ribadì Castiel, con leggera disapprovazione. “Lo ha intitolato 'Stand by me'”.
A Dean si accese una lampadina.
“Si”, disse. “Credo di averlo visto. Parla di quel gruppo di ragazzini alla ricerca di un cadavere”.
“Esatto”.
“E quei due ragazzini che sono più amici degli altri due ragazzini”.
“La tua capacità di sintesi è sbalorditiva”.
Dean ridacchiò.
“Accidenti, sarcasmo Cas”, disse. “Dove hai imparato?”.
“Ho avuto un ottimo maestro”.
“Ah, grazie”, rispose Dean compiaciuto.
Sentì Castiel sospirare.
“Ancora nulla?”, chiese.
“No”. Dean era improvvisamente teso come una corda di violino. “Ancora nessuna fottutissima lettera”.
“Dean..”.
“Mi sa che non ci vedremo mai, Cas”.
Seguì un breve silenzio.
Poi Castiel disse: “Questo non è detto”.
“Leggerò di te sul giornale una mattina a colazione, fra qualche anno. Avrai trovato un antidoto per una malattia rarissima o fatto un trapianto di cuore e cervello mai riuscito e io potrò dire in giro che per qualche mese ci siamo scritti”.
“Dean”.
“Smettila di dire il mio nome”, scattò Dean.
La mano libera andò a scompigliare i capelli, quasi li tirò e non se ne accorse neanche.
“Io.. Da quando ti ho conosciuto è cambiato tutto, Cas”. Deglutì. “Sono cambiato io”.
La mano che teneva il telefono sudava pericolosamente.
"Cosa vorresti dire?”, la voce di Castiel era calma, ma Dean si bloccò. Se avesse detto qualcosa di compromettente, lo avrebbe perso.
“Nulla”.
“Io voglio vederti, Dean”, disse Castiel e la voce gli tremava pericolosamente. “Non desidero che vederti. Da mesi”.
“Cas..”.
“Ti prego, non tirarti indietro. Non farlo. Non adesso”.


*

Mary Winchester conosceva suo figlio. Aveva visto Dean crescere e sbocciare come una persona alla mano e protettiva, simpatico praticamente a tutti ma solo in pochi potevano essere considerati suoi amici.
Dean era trasparente in un modo che le faceva male al cuore; non avrebbe voluto vederlo soffrire (anche se sembrava assurdo, era molto più fragile di Sam), ma si era accorta, sapeva in un certo senso, che questo era un periodo decisivo per suo figlio. Decisivo per un sacco di cose.
Così, quando quel pomeriggio, due settimane prima della consegna dei diplomi lo trovò sdraiato sul divano, che leggeva un racconto di Stephen King (probabilmente rubato dalla scrivania di Sam) si godette un attimo l’immagine di suo figlio.
Il suo bellissimo, bravissimo figlio così buono.
Casa sarebbe stata diversa senza Dean: non lo avrebbe più visto seduto a tavola a fare scherzi a Sam; non lo avrebbe più trovato in garage con John intenti ad aggiustare Baby ; non lo avrebbe più svegliato la domenica mattina per trascinarlo a tavola ne lo avrebbe più aspettato la sera quando faceva tardi.
“Tesoro”.
Dean le sorrise e si tirò su facendole un po’ di posto. Mary si sedette accanto a lui e tirò fuori una busta che aveva preso cinque minuti prima dalla cassetta delle lettere. Suo figlio sgranò gli occhi e trattenne il fiato, occhieggiando la busta come se non fosse vera.
“Prima di aprirla..”, disse Mary. “Sei veramente sicuro di questa scelta?”.
“Si”, rispose Dean. “C’entra una persona in questa decisione?”.
Dean la guardò a bocca aperta e Mary sorrise.
“Come pensavo. E’ speciale?”.
“Molto”, rispose Dean a voce bassa. “Moltissimo. Così tanto che non sono sicuro di meritarla”.
Mary sentì gli occhi velarsi di lacrime.
Gli tese la busta e Dean la prese.
“Tanto non mi hanno preso”, mormorò mordendosi il labbro inferiore.
“Intanto aprila”, lo esortò con voce tremante.
Era grata di poter vivere quel momento con Dean da sola, se lo sarebbe ricordata per il resto della sua vita.
Dean alzò lo sguardo su di lei.
“Ma a te va bene vero? Che.. Sai, nel caso.. Me ne vada”.
Mary annuì, non fidandosi della voce.
“Se è quello che vuoi anche tu”, disse dopo qualche momento cercando di riprendere il controllo.
“Okay”, sospirò Dean, aprendo la busta. “Okay”.


*


“Avanti Castiel, rispondi”, mormorò Dean con il telefono appiccicato all’orecchio mentre andava su e giù per la camera. “Dove cazzo sei?”.
Doveva dirglielo.
Non si erano sentiti più dopo quella telefonata e ormai erano passati tre giorni. Dean non aveva risposto all’ultima richiesta di Castiel (“Ti prego, non tirarti indietro. Non farlo. Non adesso”) e dopo qualche minuto il suo amico aveva appeso la chiamata, mentre il cuore di Dean si frantumava e le parole per fermarlo e dirgli tutto comunque non uscivano.
“Accidenti a te”, mormorò, scagliando il telefono sul letto.
Poteva scrivergli un messaggio, così glielo avrebbe detto, si.
Gli avrebbe detto: “Sono confuso e spaventato, ma voglio passare ogni singolo giorno ad ascoltare la tua voce, il tuo respiro e se ho preso un granchio non importa, davvero, mi basterà stare a guardarti e sapere che stai bene. Non mi tiro indietro, Cas, non mi tirerò mai indietro”.
Dio, Charlie sarebbe stata così orgogliosa di lui.
Ma, proprio in quel momento, il campanello suonò e suo fratello andò ad aprire. “Dean!”, urlò Sam. “E’ per te”. Sperando che non fosse Benny (il momento era troppo delicato per prestare attenzione al suo amico), scese le scale di corsa decidendo di mandare a spigolare chiunque fosse sulla soglia di casa.
Ma, sulla soglia di casa c’era un ragazzo. Un ragazzo magro dai capelli neri e gli occhi così blu che Dean per un attimo si chiese se fossero veri. Esattamente come la prima volta che li aveva visti attraverso lo schermo del suo computer. Stettero in silenzio, mentre Dean guardava Castiel e Castiel guardava Dean, come se fosse normale che lui fosse nella sua cucina, senza alcun preavviso, dopo tre giorni di assoluto silenzio da parte di entrambi.
Sam tossicchiò e Dean rientrò per un attimo nell’orbita terrestre.
“Io me ne vado in camera mia”, disse lanciando un’occhiata maliziosa al fratello. Il cuore di Dean mancò un battito. Possibile che quell’astuta puttanella di Sam..?
Ma poi il suo sguardo tornò su Castiel e niente aveva più importanza.
“Ti sei fatto 25 ore e 35 minuti di macchina per venire qui?”, chiese Dean non riuscendo a dire altro.
“Ventisette”, rispose Castiel e la sua voce era addirittura meglio dal vivo. “Un’ora e mezzo mi sono dovuto fermare per dormire”. Inclinò la testa da un lato “Anche se non volevo”.
Dean ridacchiò, ma era tutto irreale.
Castiel era li, nella sua cucina e sarebbe potuto svenire dalla gioia se questo non avesse significato perdere minuti preziosi da passare con lui.
“Sei un’idiota”, disse. Castiel scrollò le spalle, per nulla infastidito.
“Sono stato accettato.”, disse poi. "Dall'Univeristà intendo".
Il volto di Castiel si aprì in un sorriso enorme e Dean sentì il suo fare lo stesso. “Questo vuol dire che mi dovrai sopportare ancora per qualche anno. Però, diciamo.. Più vicino. Fisicamente vicino”, spiegò Dean, mentre Castiel faceva qualche passo verso di lui. “Potrebbe essere faticoso”.
Era così vicino adesso. Poteva vedere l’accenno di barba sulle guance di Castiel. Le mani gli prudevano per la forza che stava mettendo nel non toccarlo.
“Beh”, replicò Castiel con un sorriso, ormai a un sospiro da Dean. “Potremmo parlarne”.

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